foto antonio  1.jpgDenuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, calunnia o pazzia le accuse le provo con inchieste testuali tematiche e territoriali. Per chi non ha voglia di leggere ci sono i filmati tematici sul 1° canale, sul 2° canale, sul 3° canale Youtube. Non sono propalazioni o convinzioni personali. Le fonti autorevoli sono indicate.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.

Dr Antonio Giangrande  

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SARAH SCAZZI: IL DELITTO DI AVETRANA

IL RESOCONTO DI UN AVETRANESE

 

Di Antonio Giangrande

 

http://www.megghy.com/immagini/animated/bobine/bandes-10.gifRESOCONTO DI UNA VERGOGNA

http://www.megghy.com/immagini/animated/bobine/bandes-10.gifLA VERITA' SUL DELITTO LE INTERCETTAZIONI

LA VERITA' SUL DELITTO SINTESI DEL PROCESSO

http://www.megghy.com/immagini/animated/bobine/bandes-10.gifI LUOGHI ED I PERSONAGGI

http://www.megghy.com/immagini/animated/bobine/bandes-10.gifAVETRANA. SARAH SCAZZI ED IL CALCIO. PER GLI STUPIDI IGNORANTI SIAMO TUTTI ASSASSINI

Il Pozzo del ritrovamento

Parla Avetrana

Parla Concetta Serrano e Franco Sebastio

Michele Misseri e la Stampa

Taranto: Foro dell'Ingiustizia

I Magistrati: Vendicativi

Magistrati: violazione del segreto istruttorio

I Magistrati: Orrori ed Errori

 Ingiusto Processo e Luci della Ribalta per i Magistrati

Sabrina ed i giornalisti: chi ha usato chi 

Le Speculazioni

Lo Sciacallaggio mediatico

Il Massacro mediatico

Scempio, Voyeurismo e Ribellione

Valentino Castriota: il testimone inascoltato

Il giallo delle firme in banca

Il Sogno del Fioraio

I Testimoni coerenti ed attendibili....

Michele Misseri: Le tante verità 

 INTRODUZIONE E PREMESSA

SCOMPARSA, RITROVAMENTO ED INDAGINI

PROCESSO

CONSIDERAZIONI E CONCLUSIONI

SABRINA E COSIMA, COLPEVOLI DI UN OMICIDIO TANTO EFFERATO?

Tutti dentro se la legge fosse uguale per tutti. Ma la legge non è uguale per tutti.

CARMINE SCHIAVONE. MAGISTRATI: ROMA NOSTRA!

PARLIAMO DELLA CORTE DI CASSAZIONE, MADRE DI TUTTE LE CORTI. UN CASO PER TUTTI.

LA VOCE AD ANTONIO GIANGRANDE.

IL COMMENTO DI MAMMA CONCETTA.

IL COMMENTO DEI CONDANNATI.

GIUSTIZIA O INGIUSTIZIA? IL DELITTO DI SARAH SCAZZI: PROCESSO AI MISSERI; PROCESSO ALL’ITALIA.

ITALIA, TARANTO, AVETRANA: IL CORTOCIRCUITO GIUSTIZIA-INFORMAZIONE. TUTTO QUELLO CHE NON SI OSA DIRE.

Il falso Moralismo: l’arrembaggio mediatico e le speculazioni. IL CASO FABRIZIO CORONA.

La sindrome della "Ribalta Mediatica". GLI AVVOCATI, LA TV ED IL TESTIMONE MAI CHIAMATO AL PROCESSO: VALENTINO CASTRIOTA.

Il business sulla pelle di Sarah. GLI AVVOCATI E LA TV.

 

 

CONSIDERAZIONI E CONCLUSIONI

SABRINA E COSIMA, COLPEVOLI DI UN OMICIDIO TANTO EFFERATO?

Le conclusioni devono partire da un dato di fatto.

«Perché non me lo hai detto subito che eri stato tu, papà?». Queste sono state le prime parole pronunciate da Sabrina Misseri, parlando al telefonino con suo padre, la notte del suo arresto. Certamente dialogo non premeditato. Infatti, la notte della prima confessione di Michele Misseri in cui fece ritrovare Sarah, la giovane condannata all’ergastolo insieme alla madre per l’omicidio della cugina Sarah Scazzi, parlò con suo padre. Prima di non parlarsi mai più, infatti, la ragazza e suo padre Michele Misseri, 59 anni, si scambiarono una drammatica telefonata nella notte in cui il contadino di Avetrana fece ritrovare il corpo della nipote uccisa confessandone il delitto (che ritrattò in parte una settimana dopo). In quella breve e ultima conversazione tra padre e figlia, è contenuto l’epilogo della sconvolgente notte, tra il 6 e il 7 ottobre del 2010, che fece perdere le speranze di ritrovare viva la 15enne scomparsa misteriosamente il 26 agosto dello stesso anno. Mentre i due si parlavano, l’orecchio elettronico degli investigatori ascoltava e registrava minuziosamente ogni parola. «Perché non me lo hai detto subito papà? », chiedeva la ragazza al padre. Erano le 3.47. Tutte le edizioni notturne dei telegiornali nazionali avevano già diffuso l’angosciante notizia dell’uccisione di Sarah Scazzi e della confessione dello zio-orco. Anche i giornali avevano già dato alle stampe quella che per diversi giorni sarebbe stata la notizia d’apertura. Il reo confesso aspettava nella caserma dei carabinieri di Manduria di essere trasferito nel carcere di Taranto. Aveva appena firmato il suo primo interrogatorio da indagato (qualche ora prima, quando era crollato, era ancora considerato “persona informata sui fatti”). Il carabiniere che lo teneva d’occhio gli consegnò il telefonino che durante l’interrogatorio aveva squillato più volte. A chiamare era stata sempre Sabrina, sua figlia. Ed era ancora suo il nome che cominciò a lampeggiare sul display alle 3.47 in punto. Michele Misseri guardò il militare, che con un cenno gli fece capire che poteva rispondere alla telefonata. Fu quella una mossa studiata a tavolino dagli investigatori, ai quali interessava molto ascoltare (e registrare) l’inattesa conversazione tra padre e figlia. Sabrina Misseri, dall’altra parte del telefono, si trovava nella villetta in via Deledda ad Avetrana con la sorella Valentina, 28 anni, e la madre Cosima Serrano, 58 anni. Sapevano la stessa cosa che ormai tutti avevano appreso in quelle ore: ad ammazzare Sarah era stato zio Michele. Questo aveva confessato Michele. Aveva dichiarato di aver strangolata Sarah nel garage sotto casa per poi caricarla sull’auto per far sparire il corpo come un animale morto. Per tutti ormai era lui il mostro. Lo era anche per Sabrina, che appena ebbe l’occasione di parlargli non concesse al padre nessun dubbio, nessuna titubanza circa la sua certa colpevolezza: «Perché non me lo hai detto subito papà?» (“che eri stato tu a uccidere Sarah?”, è la naturale continuazione della frase).

Sabrina: «Perché non me lo hai detto subito papà?»

Michele : «… [incomprensibile]… non mi aspettare più.»

Sabrina: «Sì, va bene papà, … io ti voglio parlare, però poi…»

Michele: «Ma chissà quando…»

Sabrina: «No, ma chissà quando…! Vedi che puoi decidere quando vuoi tu per parlare con noi…»

Michele: «Sì, però, se il telefonino lo lasciano a me!»

Sabrina: «Va bene… e tu non ti preoccupare che se tu vuoi parlare con noi alla fine loro ti fanno parlare.»

Michele: «Il telefonino no, stasera è l’ultima telefonata… il telefonino me lo tolgono …»

Sabrina: «Ho capito papà… però gli avvocati poi alla fine gli danno il coso per farti parlare…»

Michele: «Sì.»

Sabrina: «Però; papà, perché lo hai fatto? Io non me lo so spiegare proprio… tu non hai fatto mai niente di male… perché in quel momento … cosa ti è venuto?»

Michele: «Non lo so.»

Sabrina: «Poi parliamo…»

Michele: «Sì.»

Sabrina: «Ciao.»

Michele: «Ciao.»

Esattamente una settimana dopo quella sconvolgente e chiara ultima conversazione da cui traspare la palese responsabilità, cioè il 15 ottobre 2010, Michele Misseri raccontò la sua seconda verità, coinvolgendo anche la figlia nel delitto della povera Sarah. Sabrina da quel momento in poi si è sempre rifiutata di parlare con il padre e di rispondere alle sue numerosissime lettere scritte e inviatele prima dal carcere e poi da casa. L’uomo ha poi ritrattato quelle confessioni che coinvolgevano la figlia, perché, a suo dire, era stato indotto alla falsa confessione dalla consulente Bruzzone e dall’avvocato Galoppa. Michele, successivamente e per sempre ha continuato ad accusarsi dell’omicidio, ma i giudici non gli credono più e lo hanno condannalo “solo” per il reato di occultamento di cadavere.

Questo succede perché, forse in Italia la legge non è uguale per tutti?

“La mafia, come ci è inculcata dalla stampa di regime, è un’entità astratta, impossibile da debellare, proprio perché non esiste.”

Lo scrittore Antonio Giangrande sul fenomeno “Mafia” ha scritto un libro: “MAFIOPOLI. L’ITALIA DELLE MAFIE. QUELLO CHE NON SI OSA DIRE”. Book ed E-Book pubblicato su Amazon.it e che racconta una verità diversa da quella profusa dai media genuflessi alla sinistra ed ai magistrati.

«L'Italia tenuta al guinzaglio da un sistema di potere composto da caste, lobbies, mafie e massonerie: un'Italia che deve subire e deve tacere. La “Politica” deve essere legislazione o amministrazione nell’eterogenea rappresentanza d’interessi, invece è meretricio o mendicio, mentre le “Istituzioni” devono meritarlo il rispetto, non pretenderlo. Il rapporto tra cittadini e il rapporto tra cittadini e Stato è regolato dalla forza della legge. Quando non vi è cogenza di legge, vige la legge del più forte e il debole soccombe. Allora uno “Stato di Diritto” degrada in anarchia. In questo caso è palese la responsabilità politica ed istituzionale per incapacità o per collusione. Così come è palese la responsabilità dei media per omertà e dei cittadini per codardia o emulazione.»

Continua Antonio Giangrande.

«La mafia cos'è? La risposta in un aneddoto di Paolo Borsellino: "Sapete che cos'è la Mafia... faccia conto che ci sia un posto libero in tribunale..... e che si presentino 3 magistrati... il primo è bravissimo, il migliore, il più preparato.. un altro ha appoggi formidabili dalla politica... e il terzo è un fesso... sapete chi vincerà??? Il fesso. Ecco, mi disse il boss, questa è la MAFIA!"

“La vera mafia è lo Stato, alcuni magistrati che lo rappresentano si comportano da mafiosi. Il magistrato che mi racconta che Andreotti ha baciato Riina io lo voglio in galera”. Così Vittorio Sgarbi il 6 maggio 2013 ad “Un Giorno Da Pecora su Radio 2.

“Da noi - ha dichiarato Silvio Berlusconi ai cronisti di una televisione greca il 23 febbraio 2013 - la magistratura è una mafia più pericolosa della mafia siciliana, e lo dico sapendo di dire una cosa grossa”. “In Italia regna una "magistocrazia". Nella magistratura c'è una vera e propria associazione a delinquere”.  Lo ha detto Silvio Berlusconi il 28 marzo 2013 durante la riunione del gruppo Pdl a Montecitorio. Ed ancora Silvio Berlusconi all'attacco ai magistrati: «L'Anm è come la P2, non dice chi sono i loro associati». Il riferimento dell'ex premier è alle associazioni interne ai magistrati, come Magistratura Democratica. Il Cavaliere è a Udine il 18 aprile 2013 per un comizio.

Questi sono solo pochi esempi di dichiarazioni ufficiali.

Abbiamo una Costituzione catto-comunista predisposta e votata dagli apparati politici che rappresentavano la metà degli italiani, ossia coloro che furono i vincitori della guerra civile e che votarono per la Repubblica. Una Costituzione fondata sul lavoro (che oggi non c’è e per questo ci rende schiavi) e non sulla libertà (che ci dovrebbe sempre essere, ma oggi non c’è e per questo siamo schiavi). Un diritto all’uguaglianza inapplicato in virtù del fatto che il potere, anziché essere nelle mani del popolo che dovrebbe nominare i suoi rappresentanti politici, amministrativi e giudiziari, è in mano a mafie, caste, lobbies e massonerie. 

Siamo un popolo corrotto: nella memoria, nell’analisi e nel processo mentale di discernimento. Ogni dato virulento che il potere mediatico ci ha propinato, succube al potere politico, economico e giudiziario, ha falsato il senso etico della ragione e logica del popolo. Come il personal computer, giovani e vecchi, devono essere formattati. Ossia, azzerare ogni cognizione e ripartire da zero all’acquisizione di conoscenze scevre da influenze ideologiche, religiose ed etniche. Dobbiamo essere consci del fatto che esistono diverse verità.

Ogni fatto è rappresentato da una verità storica; da una verità mediatica e da una verità giudiziaria.

La verità storica è conosciuta solo dai responsabili del fatto. La verità mediatica è quella rappresentata dai media approssimativi che sono ignoranti in giurisprudenza e poco esperti di frequentazioni di aule del tribunale, ma genuflessi e stanziali negli uffici dei pm e periti delle convinzioni dell’accusa, mai dando spazio alla difesa. La verità giudiziaria è quella che esce fuori da una corte, spesso impreparata culturalmente, tecnicamente e psicologicamente (in virtù dei concorsi pubblici truccati). Nelle aule spesso si lede il diritto di difesa, finanche negando le più elementari fonti di prova, o addirittura, in caso di imputati poveri, il diritto alla difesa. Il gratuita patrocinio è solo una balla. Gli avvocati capaci non vi consentono, quindi ti ritrovi con un avvocato d’ufficio che spesso si rimette alla volontà della corte, senza conoscere i carteggi. La sentenza è sempre frutto della libera convinzione di una persona (il giudice). Mi si chiede cosa fare. Bisogna, da privato, ripassare tutte le fasi dell’indagine e carpire eventuali errori dei magistrati trascurati dalla difesa (e sempre ve ne sono). Eventualmente svolgere un’indagine parallela. Intanto aspettare che qualche pentito, delatore, o intercettazione, produca una nuova prova che ribalti l’esito del processo. Quando poi questa emerge bisogna sperare nella fortuna di trovare un magistrato coscienzioso (spesso non accade per non rilevare l’errore dei colleghi), che possa aprire un processo di revisione.

Non sarà la mafia a uccidermi ma alcuni miei colleghi magistrati (Borsellino). La verità sulle stragi non la possiamo dire noi Magistrati ma la deve dire la politica se non proprio la storia (Ingroia). Non possiamo dire la verità sulle stragi altrimenti la classe politica potrebbe non reggere (Gozzo). Non sono stato io a cercare loro ma loro a cercare me (Riina). In Italia mai nulla è come appare. Ipocriti e voltagabbana. Le stragi come eccidi di Stato a cui non è estranea la Magistratura e gran parte della classe politica del tempo.

Chi frequenta bene le aule dei Tribunali, non essendo né coglione, né in mala fede, sa molto bene che le sentenze sono già scritte prima che inizi il dibattimento. Le pronunce sono pedisseque alle richieste dell’accusa, se non di più. Anche perché se il soggetto è intoccabile l’archiviazione delle accuse è già avvenuta nelle fasi successive alla denuncia o alla querela: “non vi sono prove per sostenere l’accusa” o “il responsabile è ignoto”. Queste le motivazioni in calce alla richiesta accolta dal GIP, nonostante si conosca il responsabile o vi siano un mare di prove, ovvero le indagini non siano mai state effettuate. La difesa: un soprammobile ben pagato succube dei magistrati. Il meglio che possono fare è usare la furbizia per incidere sulla prescrizione. Le prove a discarico: un perditempo, spesso dannoso. Non è improbabile che i testimoni della difesa siano tacciati di falso.

Nel formulare la richiesta la Boccassini nel processo Ruby ha fatto una gaffe dicendo: "Lo condanno", per poi correggersi: "Chiedo la condanna" riferita a Berlusconi.

Esemplare anche è il caso di Napoli. Il gip copia o si limita a riassumere le tesi accusatorie della Procura di Napoli e per questo il tribunale del riesame del capoluogo campano annulla l'arresto di Gaetano Riina, fratello del boss di Cosa nostra, Totò, avvenuto il 14 novembre 2011. L'accusa era di concorso esterno in associazione camorristica. Il gip, scrive il Giornale di Sicilia, si sarebbe limitato a riassumere la richiesta di arresto della Procura di Napoli, incappando peraltro in una serie di errori e non sostituendo nella sua ordinanza neanche le parole «questo pm» con «questo gip». 

Il paradosso, però, sono le profezie cinematografiche adattate ai processi: «... e lo condanna ad anni sette di reclusione, all'interdizione perpetua dai pubblici uffici, e all'interdizione legale per la durata della pena». Non è una frase registrata Lunedì 24 giugno 2013 al Tribunale di Milano, ma una battuta presa dagli ultimi minuti del film «Il caimano» di Nanni Moretti. La condanna inflitta al protagonista (interpretato dallo stesso regista) è incredibilmente identica a quella decisa dai giudici milanesi per Silvio Berlusconi. Il Caimano Moretti, dopo la sentenza, parla di «casta dei magistrati» che «vuole avere il potere di decidere al posto degli elettori».

Tutti dentro se la legge fosse uguale per tutti. Ma la legge non è uguale per tutti. Così la Cassazione si è tradita. Sconcertante linea delle Sezioni unite civili sul caso di un magistrato sanzionato. La Suprema Corte: vale il principio della discrezionalità.

Ed in fatto di mafia c’è qualcuno che la sa lunga. «Io non cercavo nessuno, erano loro che cercavano me….Mi hanno fatto arrestare Provenzano e Ciancimino, non come dicono, i carabinieri……Di questo papello non ne sono niente….Il pentito Giovanni Brusca non ha fatto tutto da solo, c'è la mano dei servizi segreti. La stessa cosa vale anche per l'agenda rossa. Ha visto cosa hanno fatto? Perchè non vanno da quello che aveva in mano la borsa e si fanno consegnare l'agenda. In via D'Amelio c'erano i servizi……. Io sono stato 25 anni latitante in campagna senza che nessuno mi cercasse. Com'è possibile che sono responsabile di tutte queste cose? La vera mafia sono i magistrati e i politici che si sono coperti tra di loro. Loro scaricano ogni responsabilità  sui mafiosi. La mafia quando inizia una cosa la porta a termine. Io sto bene. Mi sento carico e riesco a vedere oltre queste mura……Appuntato, lei mi vede che possa baciare Andreotti? Le posso dire che era un galantuomo e che io sono stato dell'area andreottiana da sempre». Le confidenze fatte da Toto Riina, il capo dei capi, sono state fatte in due diverse occasioni, a due guardie penitenziarie del Gom del carcere Opera di Milano.

Così come in fatto di mafia c’è qualcun altro che la sa lunga. Parla l’ex capo dei Casalesi. La camorra e la mafia non finirà mai, finchè ci saranno politici, magistrati e forze dell’ordine mafiosi.

CARMINE SCHIAVONE. MAGISTRATI: ROMA NOSTRA!

"Ondata di ricorsi dopo il «trionfo». Un giudice: annullare tutto. Concorsi per giudici, Napoli capitale dei promossi. L'area coperta dalla Corte d'appello ha «prodotto» un terzo degli aspiranti magistrati. E un terzo degli esaminatori". O la statistica è birichina assai o c'è qualcosa che non quadra nell'attuale concorso di accesso alla magistratura. Quasi un terzo degli aspiranti giudici ammessi agli orali vengono infatti dall'area della Corte d'Appello di Napoli, che rappresenta solo un trentacinquesimo del territorio e un dodicesimo della popolazione italiana. Un trionfo. Accompagnato però da una curiosa coincidenza: erano della stessa area, più Salerno, 7 su 24 dei membri togati della commissione e 5 su 8 dei docenti universitari. Cioè oltre un terzo degli esaminatori.

Lo strumento per addentrarsi nei gangli del potere sono gli esami di Stato ed i concorsi pubblici truccati.

I criteri di valutazione dell’elaborato dell’esame di magistrato, di avvocato, di notaio, ecc.

Secondo la normativa vigente, la valutazione di un testo dell’esame di Stato o di un Concorso pubblico è ancorata ad alcuni parametri. Può risultare utile, quindi, che ogni candidato conosca le regole che i commissari di esame devono seguire nella valutazione dei compiti.

a) chiarezza, logicità e rigore metodologico dell’esposizione;

b) dimostrazione della concreta capacità di soluzione di specifici problemi giuridici;

c) dimostrazione della conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti giuridici trattati;

d) dimostrazione della capacità di cogliere eventuali profili di interdisciplinarietà;

e) relativamente all'atto giudiziario, dimostrazione della padronanza delle tecniche di persuasione.

Ciò significa che la comprensibilità dell’elaborato — sotto il profilo della grafia, della grammatica e della sintassi — costituisce il primo criterio di valutazione dei commissari. Ne consegue che il primo accorgimento del candidato deve essere quello di cercare di scrivere in forma chiara e scorrevole e con grafia facilmente leggibile: l’esigenza di interrompere continuamente la lettura, per soffermarsi su parole indecifrabili o su espressioni contorte, infastidisce (e, talvolta, irrita) i commissari ed impedisce loro di seguire il filo del ragionamento svolto nel compito. Le varie parti dell’elaborato devono essere espresse con un periodare semplice (senza troppi incisi o subordinate); la trattazione dei singoli argomenti giuridici deve essere il più possibile incisiva; le ripetizioni vanno evitate; la sequenza dei periodi deve essere rispettosa della logica (grammaticale e giuridica). Non va mai dimenticato che ogni commissione esaminatrice è composta da esperti (avvocati, magistrati e docenti universitari), che sono tenuti a leggere centinaia di compiti in tempi relativamente ristretti: il miglior modo di presentarsi è quello di esporre — con una grafia chiara o, quanto meno, comprensibile (che alleggerisca la fatica del leggere) — uno sviluppo ragionato, logico e consequenziale degli argomenti.

Questa è la regola, ma la prassi, si sa, fotte la regola. Ed allora chi vince i concorsi pubblici e chi supera gli esami di Stato e perché si pretende da altri ciò che da sé non si è capaci di fare, né di concepire?

PARLIAMO DELLA CORTE DI CASSAZIONE, MADRE DI TUTTE LE CORTI. UN CASO PER TUTTI.

La sentenza contro il Cavaliere è zeppa di errori (di grammatica).

Frasi senza soggetto, punteggiatura sbagliata... Il giudizio della Cassazione è un obbrobrio anche per la lingua italiana. Dopodiché ecco l’impatto della realtà nella autentica dettatura delle motivazioni a pag.183: «Deve essere infine rimarcato che Berlusconi, pur non risultando che abbia trattenuto rapporti diretti coi materiali esecutori, la difesa che il riferimento alle decisioni aziendali consentito nella pronuncia della Cassazione che ha riguardato l’impugnazione della difesa Agrama della dichiarazione a  non doversi procedere per prescrizione in merito ad alcune annualità precedenti, starebbe proprio ad indicare che occorre aver riguardo alle scelte aziendali senza possibilità. quindi, di pervernire...». Ecco. Di prim’acchito uno si domanda: oddio, che fine ha fatto la punteggiatura? Ma dov’è il soggetto? Qual è la coordinata, quante subordinate transitano sul foglio. «...ad una affermazione di responsabilità di Berlusconi che presumibilmente del tutto ignari delle attività prodromiche al delitto, ma conoscendo perfettamente il meccanismo, ha lasciato che tutto proseguisse inalterato, mantenendo nelle posizioni strategiche i soggetti da lui scelti...». Eppoi, affiorano, «le prove sono state analiticamente analizzate». O straordinarie accumulazioni semantiche come «il criterio dell’individuazione del destinatario principale dei benfici derivanti dall’illecito fornisce un risultato convergente da quello che s’è visto essere l’esito dell’apprezzamento delle prove compito dai due gradi di merito..» E poi, nello scorrere delle 208 pagine della motivazione, ci trovi i «siffatto contesto normativo», gli «allorquando», gli «in buona sostanza», che accidentano la lettura. Ed ancora la frase «ha posto in essere una frazione importante dell’attività delittuosa che si è integrata con quella dei correi fornendo un contributo causale...». Linguaggio giuridico? Bene anch’io ho fatto Giurisprudenza, ed anch’io mi sono scontrato con magistrati ed avvocati ignoranti in grammatica, sintassi e perfino in diritto. Ma questo, cari miei non è linguaggio giuridico, ma sono gli effetti di un certo modo di fare proselitismo.

Qualcuno potrebbe definirla una famiglia “particolare” scrive “Libero Quotidiano”. Al centro c'è Antonio Esposito, giudice della Corte di Cassazione che in una telefonata-intervista al Mattino anticipò le motivazioni della condanna inflitta a Silvio Berlusconi per frode fiscale nel processo Mediaset. E che in più occasioni è stato “pizzicato” da testimoni a pronunciare frasi non proprio di ammirazione nei confronti del Cavaliere. Poi c'è la nipote Andreana, che sta alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, cui i legali di Berlusconi vorrebbero far ricorso contro la sentenza emessa dalla Cassazione. Paradosso: a passare al vaglio la sentenza pronunciata da Esposito potrebbe essere la nipote. Non bastassero loro, c'è il papà di Andreana, che come scrive, mercoledì 28 agosto,  su Libero Peppe Rinaldi, è stato fotografato mentre prende il sole e fa il bagno presso il Lido Oasi di Agropoli, nel Cilento. Il problema è che il lido è abusivo ed è stato soggetto a indagini, interpellanze, ordinanze di abbattimento. In zona tutti sanno. Curioso che Vitaliano Esposito, ex procuratore generale della Cassazione, non sappia di mettersi a mollo in uno stabilimento balneare fuorilegge (abusivo a sua insaputa). Infine, della famiglia fa parte anche Ferdinando Esposito, Pubblico Ministero a Milano, che tempo fa finì sotto indagine del Csm (che poi archiviò) per le cene a lume di candela del giudice (ma va, anche lui?) in Porsche con Nicole Minetti, allora già imputata per istigazione alla prostituzione insieme a Lele Mora ed Emilio Fede.

Una famiglia, gli Esposito, una delle tante dinastie giudiziarie, che non fosse altro dimostra come la magistratura sia una vera, autentica, casta.

Ciononostante viviamo in un’Italia fatta così, con italiani fatti così, bisogna subire e tacere. Questo ti impone il “potere”. Ebbene, si faccia attenzione alle parole usate per prendersela con le ingiustizie, i soprusi e le sopraffazioni, le incapacità dei governati e l’oppressione della burocrazia, i disservizi, i vincoli, le tasse, le code e la scarsezza di opportunità del Belpaese. Perché sfogarsi con il classico  "Italia paese di merda", per quanto liberatorio, non può essere tollerato dai boiardi di Stato. E' reato, in quanto vilipendio alla nazione. Lo ha certificato la Corte di cassazione - Sezione I penale - Sentenza 4 luglio 2013 n. 28730!!!

Questa è la realtà con cui dobbiamo confrontarci per poi esprimere le nostre valutazioni.

Invece questi sono i commenti alla sentenza.

Gli Scazzi. Ad assistere al verdetto, all'interno dell'aula Alessandrini del Palazzo di giustizia, il padre della vittima Giacomo Scazzi, il fratello Claudio e la madre Concetta Serrano Spagnolo che ha accolto con un po' di sollievo il verdetto: «Chi uccide merita l’ergastolo. Ci speravo ma è sentenza amara. Voglio ringraziare i miei legali che sono stati molto bravi e mi sono stati vicini. Un ringraziamento va poi alla Procura, a tutti i giudici e alle forze di polizia per il loro lavoro e il loro impegno. Speravo in questa sentenza. Certo questa è comunque una sentenza amara per tutti quanti e in ogni caso non dà nè soddisfazione nè serenità. Nessuno mi ridarà Sarah, il dolore rimarrà per sempre. L’unica cosa che mi porta un pò di sollievo è che Sarah riceva giustizia». «Non ha vinto nessuno, perchè Concetta, Giacomo e Claudio hanno perso una figlia e una sorella». Così l’avvocato Walter Biscotti, legale di parte civile della famiglia di Sarah Scazzi, ha commentato la sentenza di condanna all’ergastolo per Cosima Serrano e Sabrina Misseri. «E' una sentenza severa ma era attesa – ha aggiunto - perchè gli uffici del pm hanno fatto un lavoro esemplare che ha fatto emergere in modo inconfutabile le responsabilità». «Concetta chiedeva una giustizia inflessibile. Questa è una storia che ha generato dolore a 360 gradi. Una storia che purtroppo ha privato la famiglia Scazzi di una bambina, ma le imputate non hanno fatto alcun passo in avanti, non ci hanno permesso di aiutarle». Lo ha sottolineato l'avv. Nicodemo Gentile, legale di parte civile per la famiglia Scazzi. Secondo il legale, «la giustizia umana ha fatto il suo corso perchè doveva essere una sentenza giusta per il reato commesso e i comportamenti avuti». «Concetta – ha proseguito il legale – è in difficoltà per questo. Sicuramente non andrà a brindare al ristorante con la sua famiglia».  «La prima partita processuale ci dice quello che abbiamo sempre pensato e che ha pensato la procura: ad uccidere Sarah - ha detto – sono state Sabrina e Cosima». «Per Concetta – ha detto ancora – oggi la ferita è ancora aperta, c'è tantissimo dolore perchè in quella casa in cui Concetta mandava la figlia per proteggerla, purtroppo Sarah ha trovato la morte». «E' arrivata una sentenza dura, severa – ha concluso – però proporzionata alla gravità del fatto e soprattutto alle prove che sono state portate nel processo. Gli imputati hanno avuto un comportamento che ha cercato sempre di assicurare loro impunità e non si è mai preso in considerazione il dolore della famiglia Scazzi e di Sarah».

Sabrina Misseri. Particolarmente dura la reazione di Nicola Marseglia che con il professore Franco Coppi (assente in aula) difende Sabrina Misseri. «Con questa dura sanzione – ha detto – la Corte ha voluto esorcizzare la debolezza del quadro probatorio».

Cosima Serrano. Mentre l'avvocato Franco De Jaco, uno dei legali di Cosima Serrano, ha dichiarato: «Questa sentenza verrà ribaltata totalmente. La Corte si è presa cinque giorni per ribadire le stesse cose che avevano detto i pubblici ministeri. Questa è una sentenza che verrà ribaltata totalmente con buona pace dei media e di chi invece ritiene che questa accusa abbia fondamento. Abbiamo accontentato l’opinione pubblica perchè l’antipatia verso queste donne era forte, ma poi vedremo cosa accadrà. Se ci sono state le richieste del pubblico ministero totalmente accolte – ha proseguito – evidentemente qualcosa non ha funzionato nell’analisi. Si sono presi cinque giorni per dire esattamente quello che hanno detto i rappresentanti dell’accusa. La difesa di Cosima Serrano – ha aggiunto – si sente tranquilla per l’appello e per la Cassazione eventualmente». Il legale ha poi riferito che ascoltando la sentenza, «Cosima non ha pianto, non ha detto niente, ha solo subito questa ignominia e basta». «La posizione di Cosima meritava un’attenzione particolare. La ricostruzione dei pm era affidata a elementi fantasiosi», ha invece commentato Luigi Rella, uno degli avvocati di Cosima Serrano.

Michele Misseri. «sta molto male, è nervoso per gli ergastoli». Lo ha riferito l’avvocato Luca Latanza, il legale del contadino di Avetrana condannato ad otto anni di reclusione per soppressione del cadavere della nipote Sarah Scazzi. Probabilmente non parlerà – ha aggiunto il legale - si chiuderà in casa e non parlerà».

Carmine Misseri. Lorenzo Bullo che difende Carmine Misseri è curioso di sapere «quale tesi dell’accusa i giudici hanno ritenuto valida dal momento che ne sono state cambiate tante».

Cosimo Cosma. «Prendiamo atto di una sentenza che va rispettata ma che ovviamente non ci lascia soddisfatti». Lo ha detto l’avv. Raffale Missere, legale di Cosimo Cosma, nipote di Michele Misseri, condannato a 6 anni di carcere per concorso in soppressione di cadavere nel processo di primo grado per l’omicidio di Sarah Scazzi. «Vogliamo capire in che modo - ha precisato – i giudici hanno valutato le accuse e per quale ragione non sono state tenute in considerazione le contraddizioni che abbiamo messo in evidenza nel corso del dibattimento.»

La Procura.«In Italia vige la presunzione di innocenza, e questa è una sentenza di primo grado, ma sembrerebbe che errori macroscopici o grossolani non ne siano stati commessi» questo invece il commento del procuratore capo di Taranto Franco Sebastio.

La massa di coglioni nullafacenti. Presenti in aula una cinquantina di cittadini autorizzati ad assistere al verdetto. In molti si sono radunati nella provincia pugliese per seguire l'ultimo capitolo della terribile vicenda. Giornalisti, televisioni e semplici cittadini curiosi. Fuori dal cancello del tribunale jonico anche uno striscione: "Vogliamo la verità". Si sono registrati inoltre anche una serie di disordini. Un tarantino, Sergio Pichierri 43 anni già conosciuto alle forze dell'ordine per passati gesti eclatanti, ha tentato di aggredire Michele Misseri all'ingresso in aula.

Il Giudice Popolare. Quando lascia il palazzo di giustizia, dopo cinque giorni di isolamento in camera di consiglio, Giancarlo De Santis, unico uomo dei sei giudici popolari del processo Scazzi, ha gli occhi stanchi e lucidi, scrive Nazareno Dinoi su “La Voce di Manduria”. Visibilmente provato, la sua prima reazione è quella di «non voler più ricordare tutto ciò che ha letto e visto in questi giorni». De Santis, pensionato, non ha ancora fatto rientro a casa dove non vede l’ora di ritrovare i propri familiari. E’ restio a parlare, ma qualcosa alla fine la dice su come si sono svolti i lavori al secondo piano della palazzina della Marina militare che li ha ospitati. «Abbiamo lavorato ininterrottamente dalle otto di mattina sino a tarda sera, a volte dopo mezzanotte», racconta il giudice popolare. Che aggiunge: «tra di noi c’è stata sempre unanimità ma questo non vuol dire che non abbiamo mai avuto dubbi, anzi». De Santis spiega la fatica di tutti nell’espletamento dei propri compiti poi si lascia andare a ricordi tristi. «La parte più difficile per tutti noi – dice – è stata quando abbiamo visto le immagini del pozzo e della povera Sarah. Sono cose che non dimenticheremo mai», confessa l’uomo che racconta di come «alcune scene ci hanno provocato commozione e dolore interiore». La stessa commozione, aggiunge il giudice del popolo «che non abbiamo notato in alcune persone presenti in aula durante le udienze». Dalla sua testimonianza è possibile scandire i tempi per una decisione così importante come l’ergastolo. «La presidente Rina Trunfio e la giudice Fulvia Misserini – dice – hanno completato tutto stamattina alle undici perché dovevano chiudere il capitolo dei risarcimenti per le parti civili. Le condanne – invece – fa sapere De Santis – le abbiamo stabilite ieri sera nella più completa condivisione e unanimità». Una decisione sofferta e per niente facile, fa sapere. «Abbiamo letto ogni atto depositato, ogni memoria sia dell’accusa sia delle difese; abbiamo ascoltato e visto tutte le intercettazioni con le cuffie facendo attenzione alle traduzioni di quelle in dialetto». Una mole impressionante di documenti. «Io personalmente – spiega De Santis – ho scaricato trenta faldoni pieni di fogli di carta e supporti magnetici». Il giudice quasi non ricorda il giorno in cui ha presentato la sua candidatura per quel ruolo. «Sarà stato una ventina di anni fa, mi trovavo in municipio per fare la domanda da scrutatore per le elezioni e vidi il modulo di candidatura per giudice popolare che compilai e spedì senza speranze. Dopo vent’anni, un anno e mezzo fa, mi è arrivata la sorpresa». Lo rifarebbe? «Per carità, mai più. Questa storia che non credo di riuscire a dimenticare mi ha provato assai e non nascondo che mi ha coinvolto anche emotivamente».

Avetrana. Ottocentosessantotto giorni dopo quel torrido e brutale 26 agosto, Avetrana non sembra più la stessa, scrive Michele Pennetti su “La Voce di Manduria”. Come se l’accoramento postumo per la morte di Sarah prevalesse su tutto. Anche sulla rabbia nei confronti di quella mamma – Cosima Serrano – che la sera in cui venne portata di peso in caserma rischiò il linciaggio della folla inferocita. E pure sul livore verso quella figlia – Sabrina Misseri – che, nel ponte tra la scomparsa e il ritrovamento del cadavere, capeggiò fiaccolate e si espose in prima persona in nome della cugina. Trascorse un paio di ore dalla sentenza che ha condannato le due donne all’ergastolo, nel cuore di un pomeriggio che il sole non riscalda e il vento non alleggerisce, la sintesi del sentimento comune è nel gesto di tre signore – Iolanda, Concetta e Sonia – e di un uomo – Angelo – che varcano la soglia del cimitero e si fermano a pregare sulla tomba di Sarah Scazzi. Recitano un Padre Nostro, borbottano qualcosa del tipo «bella mia, oggi ti hanno reso giustizia», si fanno il segno della croce, cantilenano parole tristi. Cariche di rammarico, invece, sono le dichiarazioni del sindaco Mario De Marco. «Perché – sostiene – il processo ha offerto uno spaccato particolare della nostra cittadina. Come se, quel tremendo 26 agosto, più di qualcuno fosse a conoscenza dei fatti e avesse deciso di starsene zitto. Eppure, in questi casi, può essere sufficiente una lettera anonima inviata ai carabinieri per lanciare un segnale. Niente di niente. È il dato, da primo cittadino, che più mi colpisce e rincresce dell’intera vicenda». In vico Verdi, intanto, un solo fotografo e una sola troupe televisiva aspettano il rientro a casa di papà (a pezzi), mamma (confusa) e fratello (appesantito) di Sarah. Tirano dritto i tre, non si concedono, «non andranno certo al ristorante a festeggiare», come dice l’avvocato Valter Biscotti a sentenza appena emessa. In via Grazia Deledda, peraltro, dove una volta i turisti dell’orrore si accalcavano assieme a giornalisti e cameraman, il villino della famiglia Misseri non subisce l’assedio immaginabile qualora Sabrina e Cosima fossero state assolte. Al suo interno è già rientrato Michele. «Può darsi che lo faccia più tardi, ma adesso non ha voglia di parlare», sostiene il suo legale Luca La Tanza che, a distanza di un’ora abbondante, si concede un caffè con un collega in un bar nei paraggi. La ragazza al bancone chiede: «Allora, avvocato, si è conclusa ‘sta storia?…» e il collega di La Tanza lì pronto: «No, oggi è iniziata la storia del prossimo processo, quello di secondo grado…». In via Roma, di converso, quando aprono i negozi, il traffico s’intensifica e gli anziani cominciano ad occupare le prime panchine, la percezione è che Avetrana non sia per niente sorpresa. In settemila (abitanti) alle 14.13, quando la giudice Rina Trunfio leggeva il dispositivo con allegato ergastolo, sostavano (forse) tutti incollati davanti alla tv. Però erano in pochi a credere che Sabrina e Cosima potessero uscirne indenni. «Siamo dispiaciuti per come si sono comportate», afferma Roberto Distratis, 43 anni, operaio, mentre porta a passeggio il cane. «Non pensavo ad una pena talmente severa, ma come ho sentito dichiarare a Concetta – la madre di Sarah – chi uccide se la può anche meritare». Un pelo di giustizialismo affiora pure dalla considerazione di Carmela Raho, 24 anni, studentessa universitaria: «Non vedo quale altro castigo fosse più sacrosanto, hanno distrutto la vita di una magnifica ragazza e della famiglia a cui apparteneva». Ma sono apici che De Marco, sindaco dal 2006, smorza in base a ciò che ha visto e ascoltato: «In paese non c’era grande trepidazione per la decisione dei giudici. Disappunto per l’atteggiamento delle due condannate, diversamente, sì. Non conosco la famiglia Scazzi e nemmeno la famiglia Misseri. Di nome conoscevo Michele, perché era unanimemente ritenuto uno dei migliori agricoltori della zona e in molti non lo presumevano capace di uccidere. Di sicuro, dalla valanga di testimoni – duecento – presentatisi in aula resta in me il sospetto che qualcuno il 26 agosto sapesse e tacesse». Una spia che Avetrana, in reminiscenza di Sarah, ha il dovere di tenere accesa.

Il Commento di Antonio Giangrande. «Se il sindaco Mario De Marco, che dovrebbe difendere i suoi concittadini e l'onore e la dignità di una comunità, ha dei dubbi sull’omertà dei suoi concittadini e lo stesso dà mandato ad un legale, non per perseguire tutta quella marmaglia che ha vilipeso gli avetranesi, ma per costituirsi parte civile nel processo. E questo legale (avv. Pasquale Corleto) dice che gli avetranesi sono come Michele Misseri. Bene, a questo punto bisogna dire che Avetrana meriterebbe il sindaco che ha. Purtroppo non è il sindaco di Brembate che ha cacciato i giornalisti dal suo territorio. Fortunatamente in questa storia nulla è come i media vogliono far apparire. I giornalisti sanno bene dove andare a trovare tutti quei personaggi senza arte né parte che possano convalidare le loro idee stravaganti. Meno male che Avetrana non è solo De Marco, c’è molto di più. Basta saper cercare. Purtroppo però, dobbiamo farcene una ragione. Ci è toccato lui, i Misseri e gli Scazzi. Alle disgrazie non c'è contrasto.»

Ed a proposito del giudice c'è da constatare che la separazione delle carriere avrebbe fatto del bene a questo processo. Per carità, fino a prova contraria il presidente della Corte, la dottoressa Maria Ausilia Cesarina Trunfio, è un buon giudice che non sarà influenzabile dal contesto in cui "vive ed opera". Il problema è che ad ogni istanza difensiva non accolta, ad ogni ulteriore chiusura alla Difesa, si potrebbe pensare che parteggia per la Procura della Repubblica di Taranto e ci potrebbero essere polemiche. Questo perché "vive ed opera" a Taranto da molto più di vent'anni e negli anni novanta era lei stessa un sostituto procuratore di quella città, al pari del dottor Buccoliero per fare un paragone attuale, ed ha lavorato gomito a gomito, tutti i giorni, anche con chi tutt'ora in procura vi lavora. E, per fare un esempio, coi i procuratori ha avuto frequentazioni. Lei ed il dottor Argentino il 28 aprile 2011, dalle 15.30 alle 17.30, hanno parlato agli studenti della sezione di Taranto della facoltà di giurisprudenza (con sede centrale a Bari), sul tema: "L'esame incrociato: insidie e strategie". E l'esame di cui si parla riguarda i testimoni e gli indagati, quindi sia l'uno che l'altra hanno una identica veduta su come lo si deve fare, combacerà con quanto crede la Difesa?

La dottoressa Maria Ausilia Cesarina Trunfio ricopre il ruolo che occupa dal 2008 in seguito al valzer delle toghe ed in seguito allo scandalo delle toghe sporche sullo Jonio.

Il giudice Pio Guarna è il nuovo capo dei gip presso il Tribunale di Taranto. La sua nomina rappresenta l’ultimo dei tanti cambiamenti nel Palazzo di Giustizia che negli ultimi mesi ha profondamente cambiato il suo volto. A cominciare dai vertici con Antonio Morelli, divenuto presidente del Tribunale, e Franco Sebastio, procuratore capo della Repubblica. Entrambi, come Guarna, tarantini doc. Gianfranco Coccioli e Pietro Genoviva sono divenuti presidenti delle sezioni del Tribunale civile, mentre a capo di una sezione penale è stata indicata Lina Trunfio. Il nuovo capo dei gip sale in plancia di comando di un ufficio che ha radicalmente rinnovato i suoi ruoli. Sono passati in Corte d’Appello gli ex gip Annamaria Lastella e Bina Santella, mentre in Tribunale sono arrivati i loro colleghi Ciro Fiore e Luciano La Marca. Negli uffici di gip e gup sono arrivati Pompeo Carriere, Martino Rosati, Patrizia Todisco, Giuseppe Disabato e Valeria Ingenito.  Il quadro dei gup è completato dal giudice Giuseppe Tommasino. Valzer di toghe anche in procura, dove trasferimenti e promozioni hanno aperto più di qualche varco. L’ultima in ordine di tempo ha lasciare l’ufficio è stata Antonella Montanaro, passata alla procura generale presso la Corte di Appello, dove era stata preceduta da Mario Barruffa. Alla DDA di Lecce è passato Alessio Coccioli,  mentre Luca Buccheri è andato in forza alla procura di Brindisi. Pietro Argentino, invece, è diventato procuratore aggiunto.

In procura sono invece arrivati Enrico Bruschi e Giovanna Cannarile.

 Al Tribunale di Taranto si è tutti una famiglia, ma per il resto si può stare tranquilli. Appunto. Il giudice Cesarina Trunfio, ex sostituto procuratore di Taranto, già sottoposta del Procuratore Capo di Taranto Franco Sebastio e collega dell’aggiunto Pietro Argentino e del sostituto Mariano Buccoliero emette sentenza.

Ci sono anche altri 3 avvocati, oltre a Vito Junior Russo, che poi il 21 novembre 2011 sono stati assolti da Pompeo Carriere: Gianluca Mongelli accusato di tentato favoreggiamento personale insieme a Vito Russo. Per Emilia Velletri, ex difensore di Sabrina con il marito Vito Russo, le accuse di intralcio alla giustizia e di soppressione di atti veri. All’avv. Francesco De Cristofaro, del foro di Roma, ex legale di fiducia di Michele Misseri, la Procura contesta invece il reato di infedele patrocinio. Velletri, Mongelli e De Cristofaro sono stati giudicati e assolti con il rito abbreviato. La Procura ha chiesto un anno di reclusione per Emilia Velletri e Francesco De Cristofaro e sei mesi per Gianluca Mongelli. Settantacinque pagine per spiegare perchè gli ex legali di Michele e Sabrina Misseri e l’aspirante difensore del contadino di Avetrana andavano assolti. Nei loro confronti, i pm Pietro Argentino e Mariano Buccoliero avevano chiesto la condanna, ad un anno di reclusione per Francesco De Cristofaro (difensore di Michele) ed Emilia Velletri e sei mesi per Gianluca Mongelli. Coloro che facevano parte del collegio difensivo, dopo l’incriminazione, furono costretti a rimettere il mandato. Tutti e tre hanno scelto di essere giudicati con l’abbreviato (solo l’avvocato Vito Russo, ex difensore di Sabrina, ha scelto il rito ordinario). L’ex difensore di Michele, De Cristofaro, del foro di Roma, accusato di infedele patrocino, secondo il gup, non ha cercato di convincere il contadino di Avetrana ad autoaccusarsi falsamente del vilipendio del cadavere per rendere più credibile la sua versione. De Cristofaro, si legge nelle motivazioni, “si è limitato a raccogliere la versione dei fatti di Michele Misseri su quale fosse stata la dinamica dell’omicidio, invitandolo semplicemente a ripetere tale versione davanti agli inquirenti e davanti ai giudici”. Un comportamento che quindi, “all’evidenza risulta del tutto difforme da quello ipotizzato nell’imputazione”. Inoltre, la condotta del professionista, scrive ancora il giudice Carriere, anche “ove fosse stata posta in essere in termini storicamente diversi da quelli descritti nel capo d’imputazione, non potrebbe comunque essere qualificata come infedeltà ai doveri professionali”. De Cristofaro è stato assolto “perchè il fatto non sussiste” poichè il gup non ha ritenuto “sufficientemente provato, oltre ogni ragionevole dubbio, lo stesso fatto storico oggetto dell’imputazione”. Infine, sull’imputazione, Carriere osserva che il reato contestato “andrebbe più inquadrato nella fattispecie del tentativo” poichè il presunto suggerimento del legale non fu seguito da Michele. L’avvocato Velletri (difesa dall’avvocato Gianluca Pierotti) rispondeva di distruzione di un verbale di un interrogatorio di Ivano Russo nell’ambito delle indagini difensive. L’imputata, da quanto si evince dalle motivazioni, è stata scagionata dalla perizia disposta sul Balckberry dallo stesso pm. La registrazione vocale trascritta dal perito, ingegnere Sergio Civino, ”è perfettamente conforme e fedele al contenuto del verbale” poi esibito da Russo durante una perquisizione effettuata dai carabinieri. Quel verbale cartaceo, quindi, rileva Carriere, non fu strappato o cancellato ma “semplicemente conservato” dai legali. La loro condotta “appare essere stata tutt’altro che ineccepibile dal punto di vista procedurale e deontologico” ma i fatti contestati “non sussistono”. Riguardo alle dichiarazioni di Ivano Russo sulla cancellazione della registrazione audio, due le ipotesi di Carriere: o ha mentito oppure ha scambiato l’interruzione dell’audio (rilevata dal perito) con la distruzione. Anche Mongelli (difeso dall’avvocato Antonio Raffo) che rispondeva di favoreggiamento è stato assolto il 21 novembre 2011. In concorso con l’avvocato Russo (per il contestato favoreggiamento il gup ha emesso nei suoi confronti sentenza di non luogo a procedere, rinviandolo a giudizio per intralcio alla giustizia), avrebbe cercato, attraverso il fratello Carmine Misseri, di indurre Michele a cambiare difensore. Ciò per convincerlo a ritrattare le accuse su Sabrina.Secondo il gup, “manca la prova certa della direzione inequivoca degli atti” rispetto all’ipotesi di favoreggiamento. Inoltre, il giudice ritiene il comportamento di Mongelli, “rispettoso della deontologia professionale” in quanto di fronte all’eventualità che la nomina gli venisse conferita dalla figlia di Michele, Valentina, lui “preferì, nel rispetto del codice deontologico, che la nomina provenisse direttamente da Misseri”. Infine, fa notare Carriere, nulla vieta che un legale possa essere contattato da un collega, purchè quest’ultimo non riceva denaro. Dopo le motivazioni del gup, la Procura deciderà se impugnare il verdetto di assoluzione in appello oppure lasciare che il processo a carico dei tre avvocati termini in primo grado. In questo processo quel che salta agli occhi di chi ha anche poca dimestichezza con le cose di giustizia e che palesemente si evidenzia è la coerenza assoluta del pensiero dei magistrati.

I moventi del delitto secondo l’accusa: gelosia per Ivano, anzi, no;  lesione dell’onore e della reputazione familiare, anzi, no; gelosia tra sorelle. Uno vale l’altro, c’è solo l’imbarazzo della scelta. La ricostruzione del delitto secondo la procura avallata dal Gip di Taranto, in base alle motivazioni delle custodie cautelari di Pompeo Carriere e Martino Rosati: 6 ottobre 2010, Michele Misseri confessa ai carabinieri, in un interrogatorio a Taranto, di aver ucciso Sarah, strangolandola nel garage di casa dopo un rifiuto alle sue avances, e di aver abusato del cadavere in campagna. Nella notte fa ritrovare il corpo, gettato in un pozzo-cisterna, anzi, no; Sabrina (d’accordo con il padre che uccide Sarah) ha trascinato con forza nel garage la cugina Sarah con il proposito di darle una lezione, al fine di evitare che la ragazzina potesse diffondere in paese la notizia delle attenzioni sessuali riservatele dallo zio, delle quali anche Sabrina era venuta a conoscenza, anzi no; l’omicidio è stato commesso esclusivamente da Sabrina, in garage, fra le 14.28.26 e le 14.35.37, anzi no; l’omicidio è stato commesso dalla sola Sabrina, in garage, prima delle ore 14.20, anzi, no; l’omicidio è stato commesso da Sabrina, in concorso con la madre, e non più in garage, ma in casa.

Le tante ricostruzioni del delitto fatte dall’Accusa a carico di Sabrina Misseri, elencate da Maria Corbi de “La Stampa”.

a) prima ordinanza di custodia cautelare emessa a carico di Sabrina Misseri, in data 21 ottobre 2010, dal G.I.P. di Taranto, basata su una delle ricostruzioni dei fatti fornite dal padre Michele Misseri (cfr. all. 1): Sabrina (d’accordo con il padre) ha trascinato con forza nel garage la cugina Sarah con il proposito di darle una lezione, al fine di evitare che la ragazzina potesse diffondere in paese la notizia delle attenzioni sessuali riservatele dallo zio, delle quali anche Sabrina era venuta a conoscenza. Nel frangente, quindi, mentre quest’ultima teneva per le braccia la cugina, impedendole di allontanarsi, lo zio le aveva avvolto una corda intorno alla gola ed aveva stretto, per alcuni minuti, fino ad ucciderla; Sabrina, dal canto suo, nel momento in cui aveva visto la cugina accasciarsi, impaurita, aveva mollato la presa e si era immediatamente allontanata (p. 4, ord. in data 21.10.2010); l’azione omicidiaria si assume avvenuta fra le 14.28.26, ora del messaggio con cui Sarah avrebbe segnalato il suo arrivo nei pressi di casa Misseri e le 14.35.37, ora in cui Sabrina risulta avere risposto con il suo cellulare ad un messaggio inviatole dalla sua amica Angela Cimino (p. 13, ord. di custodia cautelare in data 21.10.2010);

b) ordinanza del Tribunale del Riesame di Taranto, in data 22.11.2010, con la quale è stata rigettata la richiesta di riesame avanzata avverso contro l’ordinanza di cui al punto 1)(cfr. all. 2): l’omicidio è stato commesso esclusivamente da Sabrina, in garage, fra le 14.28.26 e le 14.35.37. “E’ il caso di evidenziare – recita l’ordinanza in questione – che la Misseri non avrebbe avuto alcuna necessità di condurre la cugina nel garage contro la sua volontà, peraltro in tal modo esponendosi al rischio di essere vista da terzi. Come già evidenziato, lei e Sarah si recavano spesso insieme in quel posto, sicché è assolutamente verosimile, a maggior ragione considerando che Sarah non aveva alcun motivo di sospetto verso la cugina, che costei con un qualsiasi pretesto l’abbia indotta ad entrare nel garage. E’ quindi altamente plausibile che la Misseri abbia atteso sulla veranda, o addirittura in strada vicino al garage, l’arrivo della Scazzi, la quale era giunta in perfetto orario (anzi, come al solito, leggermente in anticipo) rispetto all’appuntamento fissato per le 14.30; che le due siano entrate nel garage, luogo dove andavano abitualmente insieme; che lì sia avvenuta (rectius proseguita) la lite dovuta alla gelosia a seguito della quale la Misseri ha ucciso la cugina strangolandola. La morte della Scazzi è stata infatti causata da un’asfissia acuta primitiva, meccanica e violenta messa in atto mediante costrizione del collo, con una cintura, durata circa 2,5 minuti (media dei tempi, minimo e massimo, stimati concordemente dai Consulenti di parte) e senza che la vittima offrisse resistenza all’aggressore. Successivamente a questo momento la ricostruzione del fatto si fonda sulle credibili dichiarazioni del Misseri, secondo cui la figlia ha avuto il tempo per entrare in casa, chiamare il padre, ritornare con Misseri nel garage, scambiare qualche battuta con il predetto, mandare il messaggio alla Cimino (ore 14.35.37), mentre fungeva da palo sulla soglia del garage, inviare un altro SMS (“pronta”, ore 14.39.27) alla Spagnoletti, che quando l’ha ricevuto era quasi arrivata in Via Deledda n. 22. Il lasso temporale di circa 7 minuti – tenuto conto della contiguità dei luoghi (casa-garage), della concitazione del momento e in considerazione della verosimile breve durata del litigio (l’odio della Misseri per la cugina covava da tempo ed è stata un’azione d’impeto totalmente inaspettata della vittima) – autorizza pienamente a concludere per la ragionevolezza di siffatta conclusione (p. 48 ord. 22.11.2010);

c) ordinanza del Tribunale del Riesame di Bari, in data 31.1.2011, con il quale è stato rigettato l’appello proposto avverso l’ordinanza del G.I.P. di Taranto, in data 22.10.2010, con la quale era stata rigettata una richiesta di revoca della misura cautelare (cfr. all. 3): l’omicidio è stato commesso dalla sola Sabrina, in garage, prima delle ore 14.20. In base a tale ricostruzione, Sarah sarebbe uscita dalla sua abitazione non oltre le 13.55 e sarebbe giunta presso quella del Misseri dopo circa 5/6 minuti (p. 20, ord. cit.); può a questo punto “plausibilmente affermarsi” secondo la citata ordinanza che “l’omicidio della Scazzi è avvenuto entro le 14.20. Una volta ricevuto il messaggio dalla Spagnoletti delle ore 14.23.31 (“il tempo di mettere il costume e vengo”), la risposta della Misseri delle ore 14.23.02 (“avviso Sara”) altro non è che il primo atto con cui la ricorrente ha iniziato scaltramente a precostituirsi l’alibi falso: ovvero che la cugina non era ancora giunta presso la sua abitazione e non era neppure a conoscenza della gita al mare con la Misseri e la Spagnoletti” (p. 21, ord. 31.1.2011);

d) seconda ordinanza di custodia cautelare, emessa dal G.I.P. di Taranto, in data 26 maggio 2011: l’omicidio è stato commesso da Sabrina, in concorso con la madre, e non più in garage, ma in casa. Sarah Scazzi è giunta a casa Misseri fra le 13.55 e le 14.00 (p. 32 ord. cit.) ed è stata dunque strangolata, all’interno dell’abitazione, fra le 14.00 e le 14.20 (p. 37 ord. cit.). “Con ogni verosimiglianza quel 26 di agosto, intorno alle 14.00, quando Sarah Scazzi è arrivata a casa della cugina, Michele Misseri e sua moglie stavano riposando, uno in cucina e l’altra nella stanza da letto, come sempre facevano, dopo una giornata di lavoro nei campi iniziata di primo mattino. E questo dà ulteriore conferma del fatto che non v’era alcuna ragione perché Sarah scendesse in quel garage” (p. 70, ord. cit.); siccome l’indagine avrebbe messo in luce che i rapporti fra Sabrina e Sarah erano particolarmente tesi, “è del tutto illogico ipotizzare che le due non abbiano, anche soltanto per pochi minuti, discusso fra loro; dovrebbe pensarsi, altrimenti, ad un’azione proditoria della Misseri, che però, a quel punto, aprirebbe scenari diversi e più gravi per costei, non potendosi logicamente escludere, in tal caso, l’eventualità della premeditazione”; dunque, nella migliore delle ipotesi per lei, Cosima Serrano, che era lì, in quelle stanze, a pochissimi metri, se non soltanto a decine di centimetri, da dove sua figlia stava strangolando la cugina, non può non aver assistito, per lo meno, ad un’ampia parte di un’azione omicidiaria protrattasi per vari minuti (che, in quel contesto, sono un’eternità) e, in una simile situazione, non ha fatto nulla per impedire che siffatta condotta giungesse a termine” (p. 76, ord. 26.5.2011) [resterebbe da capire che cosa ha fatto Michele Misseri, che la citata ordinanza colloca in casa, insieme alla moglie, ma evidentemente si tratta di un dettaglio irrilevante…..];

e) Il sogno: Il fioraio Buccoliero ha raccontato un sogno ai carabinieri secondo cui Sarah sarebbe stata ad un certo punto costretta dalla zia Cosima a salire in macchina e che sul sedile posteriore aveva visto la sagoma di una persona di sesso femminile, robusta e con i capelli di colore scuro, lunghi e raccolti dietro. Sabrina? Dunque Sabrina non era in casa, diversamente da quanto sostenuto dall’ordinanza di custodia cautelare. Buccolieri ha prima firmato un verbale senza specificare che era un sogno, per poi una volta accortosi dell’errore ha chiesto ai carabinieri di rettificare il verbale. Una rettifica che gli ha procurato un rinvio a giudizio per false dichiarazioni e favoreggiamento.

Avetrana, l’ “inattendibilità diffusa”, dei testimoni ascoltati sui fatti di causa, continua Maria Corbi. La difesa di Sabrina Misseri ha sottolineato in diversi ricorsi «lo strano fenomeno per il quale, nel presente processo, delle dichiarazioni dei testimoni ascoltati al fine di ricostruire l’ora del delitto o gli spostamenti delle persone oggetto di indagine esistono sempre due (o addirittura tre) versioni diverse (spesso fra loro assolutamente inconciliabili) e che, altrettanto stranamente, fra le versioni in conflitto viene sempre ritenuta più attendibile la seconda o la terza (quella cioè che, almeno in linea di principio, dovrebbe ritenersi meno genuina, in quanto più lontana dai fatti e possibile frutto di contaminazioni e suggestioni esterne, soprattutto nell’ambito di una vicenda oggetto di spasmodica attenzione da parte dei media)». «A ciò va aggiunto – sulla scorta dell’analisi obiettiva degli interrogatori di Michele Misseri, amplissimi stralci dei quali sono stati integralmente trascritti in tutti gli atti difensivi, compresi i motivi nuovi depositati nell’ultima udienza dinanzi al Tribunale del Riesame – che le modalità di conduzione dell’esame da parte degli inquirenti appaiono spesso ispirarsi ad una metodologia del tutto criticabile. Sono numerosissimi i passaggi di tali interrogatori caratterizzati da domande apertamente suggestive, che tradiscono chiaramente le preconcette convinzioni degli inquirenti e trasmettono all’interlocutore una implicita richiesta di adeguamento all’opinione dell’interrogante, con rischi inevitabili per la genuinità del materiale probatorio che si viene così ad acquisire».

Questo è un PROCESSO INDIZIARIO. Ossia è un processo senza prove ma solo indizi, contrastanti e contestabili. Senza prove, nonostante vi siano innumerevoli intercettazioni ambientali, anche in carcere. Nulla traspare la prova regina. Mai vi sono state confessioni carpite, ma solo le confessioni genuine di Michele Misseri: la prima e l’ultima. Da parte della magistratura tarantina vi è solo l’esigenza di accontentare la bolgia popolina che chiede il sangue degli imputati e la dimostrazione che Avetrana è omertosa e collusa. Indotti a ciò da un giornalismo approssimativo ed ignorante, oltre che pregno di pregiudizi e luoghi comuni. A ben guardare con gli occhi imparziali la ricostruzione del delitto pare che sia più frutto di illazioni, supposizioni e congetture della Pubblica accusa, mal sostenute da prove oggettive. Tale ricostruzione è facilmente attaccabile dalla difesa degli imputati. Difesa composta da vecchi ed agguerriti volponi. Da quanto desunto e dalla mancanza della pistola fumante (prova certa) appare che le imputate (Cosima e Sabrina): o sono innocenti,  o siano talmente brave, le imputate, da non lasciar alcuna traccia del loro delitto. Nessuna prova; nessuna confessione. D’altro canto colui che si professa colpevole, inascoltato, lui sì, avendo fatti trovare prima il cadavere e poi il cellulare, è solidamente riconducibile al delitto ed alla soppressione del cadavere. E non si pensi che Michele sia uno sprovveduto. Le sue comparsate in tv e le lettere e quant’altro fatto senza la presenza dei parenti induce a pensare che “Zio Michele” sa il fatto suo. Ogni sua azione non può essere frutto di induzione ed istigazione di moglie e figlia tenuto conto che esse marciscono in galera da anni e quindi nessuna possibilità di regia. Comunque, per colpevoli che possano essere agli occhi dei giustizialisti, è pur vero che la colpevolezza va provata e nessuno, dico nessuno, può essere condannato senza prove che adducano ad una colpa al di là di ogni ragionevole dubbio. Eppure c’è chi si ostina a tener ferma la sua posizione, senza ombra di dubbio, mossa da sentimenti prosaici e poco religiosi.

«Non possiamo sapere se c'era dell’altro di ancora più losco e pericoloso. Dai messaggi è emersa la vita immorale che conducevano. Sabrina aveva tutto il diritto di fare la vita che voleva, bastava non lo facesse davanti alla bambina - Lo ha affermato Concetta Serrano, mamma della 15enne Sarah Scazzi uccisa ad Avetrana il 26 agosto 2010, intervenendo a Domenica live del 10 marzo 2013 e commentando uno dei possibili moventi dell’omicidio. - Può darsi che Sarah abbia visto qualcosa – ha aggiunto - sia rimasta scandalizzata e abbia spifferato qualcosa in giro. Credo che gli amici, Alessio, Ivano, Mariangela e non so chi altro, sappiano la verità, ma non la dicano».  Riferendosi alla sorella Cosima e alla nipote Sabrina Misseri, per le quali la Procura di Taranto ha chiesto la condanna all’omicidio, Concetta ha detto: «La cosa che più mi fa arrabbiare è la falsità che c'è in Cosima e Sabrina, l'ipocrisia, il non voler confessare, il loro mancato pentimento. Non le vedi disperate. Fanno quella faccia come se loro non c'entrassero niente, anche davanti all’evidenza. Quella condanna è il minimo per loro perché per le persone che hanno ucciso una bambina in un modo così barbaro è anche poco. La cosa che mi rattrista di più è che non so come fanno a dare l’impressione di persone che non hanno fatto niente. Non c’è sofferenza nel loro volto. La falsità, l’ipocrisia, il non voler confessare, il loro mancato pentimento, non le vedi disperate, non le vedi tristi. Nessuna persona nemmeno la più stupida crede più a quello che dice lui (Michele Misseri). Volevo capire perché lui dice di aver fatto tutto da solo. Tutto quello che lui dice è falso, non ha potuto fare tutto lui. E’ andato con qualcuno, i pm credono siano stati il nipote e il fratello. Tutto ruota intorno a loro- dice riferendosi alla sorella Cosima e alla nipote Sabrina -dai testimoni agli indizi, tutto conferma che sono state loro. Abbiamo tutti gli accertamenti e il pm ha fatto un ottimo lavoro. Cosa possiamo chiedere di più? Mi chiedo solamente, queste persone in quale famiglia sono vissute? In una famiglia di criminali? Non hanno avuto un briciolo di pietà verso questa bambina. Ho visto Cosima impassibile e non ho visto piangere Sabrina, anche se i giornalisti dicono che sia scoppiata a piangere. Se la legge prevede questo (la pena richiesta per Michele), è bene che li faccia: sarà anche innocente per l’omicidio, ma ha pur sempre seppellito una bambina. La legge umana prevede questo. È inutile chiedere di più o di meno. Sono stata dove Michele ha seppellito Sarah - ha confessato Concetta - E sono ricordi che fanno molto male. Ma ho voluto rendermi conto, vedendo i luoghi e le distanze, che non ha potuto fare tutto da solo. Ho visto l’albero di fico. Ha fatto troppe manovre, l’ha vestita l’ha spogliata. Sarebbe trascorso troppo tempo. Non poteva essere da solo. Il pm dice che fosse lì con il nipote ed il fratello. Sarah conosceva quasi tutti i segreti di Sabrina: magari l’hanno portata a qualche festino e ha visto qualcosa che l’ha sconvolta. C’è gente che sa e se non parlano non possiamo sapere tutta la verità fino in fondo. Gli amici, Ivano, Alessio, Mariangela, forse sanno e non dicono nulla». «Non  abbiamo mai frequentato festini particolari o scabrosi – ha detto Ivano Russo in un’intervista trasmessa a “Quarto Grado” di Salvo Sottile dell’8 marzo 2013 – Se queste cose, sono nate fantasiose da questi sms, stiamo toccando l’assurdo. Claudio Scazzi ha frequentato la nostra comitiva e si è fidato. Con Sabrina c’era solo un rapporto di amicizia. Sarah era sotto la completa tutoria di Sabrina. Se in Sabrina c’era qualcosa che non andava, si doveva intervenire prima, ahimè! Adesso sono un papà che cerca di sistemarsi e vivere la propria vita tranquillamente. Gli sms, era una presa in giro tra me e la mia interlocutrice (Sabrina)…non mi sarei mai spogliato per 15 euro. Quella sera io stavo lavorando. E praticamente da quello che ricordo del contesto del messaggio che poi mi è stato riferito, si trattava di una serata dove è entrata una tedesca, un turista tedesca, in birreria, il posto dove di solito eravamo noi, che frequentavamo noi. E praticamente ha incominciato uno show perché forse un po’ brilla ed ha cominciato a denudarsi (le tette) per far vedere i tatuaggi…queste cose qua. Il messaggio in cui si parla che con Sarah sono passati dove si appartano le coppiette. Sicuramente doveva essere un gioco, anche perchè non so con chi stavano, dato che Sabrina non aveva la macchina e Sarah era minorenne. Non so con chi stavano, probabilmente con qualche amica loro ed andavano in giro. Non sapendo come passare la serata scherzavano in questa maniera. Il mio gruppo, quello che facevamo è andare in birreria, bere qualche birra, scherzare, ridere, ma non abbiamo mai frequentato ipotetici festini particolari o scabrosi. Non è mai accaduto. Se queste cose sono nate, direi fantasiosamente dai messaggi che hanno detto in Tribunale, stiamo toccando veramente l’assurdo. Che queste cose non esistono. Da quello che io so, non esistono. E comunque, ritorno a dire, Claudio Scazzi ha frequentato anche noi, la nostra compagnia, evidentemente si è fidato perché se c’era qualche cosa di strano da buon fratello direbbe “guarda quella gente non la frequentare più”. Con Sabrina era un rapporto di amicizia. Sarah, come ho sempre detto, era una ragazzina di 15 anni che ne dimostrava molti di meno, era sotto la completa tutoria di Sabrina. Quindi non stava mai a casa, rare volte stava a casa (di mamma Concetta), spesso e quasi sempre stava con Sabrina. Se c’era qualche cosa che non andava in Sabrina, ahimè bisognava accorgersene prima e bisognava capire prima. Io non ho mai fatto spogliarelli, anche perché, leggendo il messaggio, è facilmente capibile che era un tono scherzoso. Si scherzava su questa cosa qui, tanto è vero che poi alla fine gli scrivo che “guarda che non le faccio queste cose perché io sono gay”. Gli scrivo. Io adesso sono papà. Adesso sono un papà che cerca di vivere la sua vita tranquillamente.

La mamma di Sarah come non si era mai raccontata prima intervistata da Nazareno Dinoi per il settimanale Di Più e per “La Voce di Manduria”.

Come per liberarsi di un pesante fardello che la opprimeva da quella terribile notte del 6 ottobre in cui la figlia fu trovata morta nel pozzo in contrada Mosca, appesantito dalle lunghe udienze del processo in Corte d’assise, Concetta Serrano Spagnolo, mamma di Sarah Scazzi, mi rilascia una lunga intervista in cui si apre come mai aveva fatto prima, parlando di tutti i dubbi accumulati in questi due anni.

Signora Concetta, dopo trentasette udienze e tanti testimoni, quali cose ha capito di questo processo? E che cosa si aspetta?

«Ho trovato eccellente la presidente della Corte d’Assise Rina Trunfio, bravi anche i pubblici ministeri Mariano Buccoliero e Pietro Argentino che hanno condotto indagini puntuali e puntigliose. Come andrà a finire non lo so, non ho molta fiducia nella giustizia degli uomini. I magistrati, anche loro, si devono attenere a certi dettami di legge che non ci proteggono. Anche se gli imputati prenderanno il massimo della pena, tra indulti e buona condotta li rivedremo in giro dopo pochi anni. Così, tanti sacrifici, tanto lavoro e tanti soldi di noi cittadini a che cosa saranno serviti? A niente. Ieri sono andata a comprare delle caramelle e il negoziante mi ha fatto notare la stranezza delle leggi: Fabrizio Corona deve stare in carcere cinque anni per reati tutto sommato banali, mentre mio cognato Michele, che ha gettato il corpo di una bambina in un pozzo, lo vediamo girare libero in paese come se niente fosse. Non solo io, ma tutto il paese è indignato per questo».

Lei ha preso parte a quasi tutte le udienze. C’è stata una testimonianza che l’ha infastidita particolarmente?

«Sono state più di una per la verità, ma quella che mi ha fatto proprio male è stata la testimonianza di mia nipote Valentina Misseri. Per difendere sua sorella Sabrina, ha infangato il nome di Sarah in una maniera vergognosa, pesante. Non ha avuto nemmeno rispetto verso una povera bambina che hanno ucciso. In aula ha detto che Sarah e sua sorella non avevano litigato per Ivano e che, anzi, era mia figlia che si mischiava con tutti i maschi. E già, proprio loro dovevano dare lezioni di buon comportamento a mia figlia. Come si dice: “Da quale pulpito arriva la predica”. Altri testimoni hanno detto cose irriguardose nei confronti di mia figlia, ma erano degli estranei, mentre da lei non mi aspettavo un comportamento simile. Quasi tutti i testimoni sono andati E per difendere la propria posizione, nessuno con la voglia di fare scoprire la verità, tranne Donato Massari, Mariangela Spagnoletti, Anna Pisano e Antonio Petarra, e forse mi sfugge qualcuno: tutti gli altri si sono preoccupati di difendere o difendersi da qualcosa».

Secondo lei, i testimoni hanno detto la verità?

«La verità non è venuta fuori fino in fondo. Il fioraio Giovanni Buccolieri sarebbe il testimone chiave, ma non è mai venuto da me a parlarmi: inizialmente aveva espresso a qualcuno questo desiderio, ma poi non l’ho mai visto. Come lui, anche mio cognato Michele Misseri non si è visto, ma non mi importa sentirlo: se deve dire anche a me, come va ripetendo a tutti, che è stato lui a uccidere Sarah, è meglio che non venga, perché tanto non gli credo. Sono convinta che Michele nasconda dell’altro: lui stesso dice spesso che nessuno conosce la verità ed è proprio così».

Signora Concetta, lei spesso dice che sua figlia è stata uccisa per farla tacere. Che cosa intende di preciso?

«Sì, è vero, io dico sin dall’inizio che a Sarah è stata tappata la bocca perché non parlasse. Quando senti parlare i testimoni e leggi i verbali, allora conosci tante cose che non sapevi e ti fai una idea. La mia è questa: non credo che il movente che ha fatto uccidere mia figlia sia solo la gelosia di Sabrina per il giovane Ivano Russo che frequentava la loro compagnia. Se fosse solo quello, allora sarebbe bastato che Sabrina venisse da me chiedendomi di non fare andare più Sarah a casa sua perché magari si impicciava di troppe cose. Io lo avrei fatto e il discorso sarebbe finito lì. Invece non mi spiego tanto interesse da parte di mia sorella Cosima che addirittura, secondo il racconto che alcuni testimoni attribuiscono al fioraio Buccolieri, si espone in quel modo, con inseguire mia figlia e a fare tutto il resto. Tutto questo affanno solo per Ivano? Mi sembra esagerato. Ecco perché sono convinta che il motivo è un altro ed è legato a qualcosa che mia figlia ha visto o sentito».

Sì, ma cosa?

«Di preciso non lo so, non so se riguardi fatti di sesso o di droga o altro, non lo posso sapere. Magari il movente della gelosia c’entra pure qualcosa, ma non solo quello. Forse è un insieme di cose, questo sì. Il “movente Ivano” è debole, anche se la Procura punta tutto su quello. Solo alcuni comportamenti tra Ivano e Sabrina erano strani. Sarah, per esempio, si lamentava sempre degli atteggiamenti di Ivano nei confronti di Sabrina. Mia nipote confidava tutto a mia figlia, per questo quando eravamo sole Sarah mi diceva: “Mamma, se fossi io Sabrina manderei Ivano a quel paese, gli tirerei un calcio e via”. Io allora dicevo: “Scusa, Sabrina è più grande di te: saprà pure comportarsi, no?”. E lei insisteva: “Mamma, ma se quella piange ed è depressa che cosa devo fare io per confortarla?”. Una delle tante anomalie: era lei che consigliava la cugina più grande».

Sempre secondo il suo punto di vista, c’è qualcuno che non figura tra gli imputati e che invece meritava di essere indagato?

«Per l’omicidio, sicuramente no. Però sono sicura che altre persone erano informate sui fatti. Più di uno tra gli amici di Sabrina, per esempio: lei avrà pure detto qualcosa quando è stata con loro. Certi amici, secondo me, nascondono qualcosa e tacciono per paura: sanno che cosa ha fatto Sabrina prima dell’omicidio e non parlano per tutelare se stessi. Mi ha fatto molto riflettere mia nipote Valentina, per esempio, quando, durante un interrogatorio, si meravigliava del fatto che io non mi preoccupassi di conoscere le persone che frequentava mia figlia. Che cosa voleva dire? Che avrei dovuto sapere forse più cose sugli amici di sua sorella? Che facevo male a fidarmi di lei che era più grande e matura? Che cosa avrà voluto dire con quelle parole? C’è poi la storia della frequentazione di una villa di cui non si è mai saputo nulla. Perché nessuno parla più di questo? Gli stessi investigatori, forse, avrebbero potuto scoprire qualcosa indagando di più sugli amici di Sabrina».

In questi anni, ha mai pensato che forse avrebbe potuto salvare sua figlia Sarah?

«No. Più che altro avrei voluto che avesse seguito la mia religione. Io appartengo ai Testimoni di Geova e avrei voluto che restasse tra noi fratelli, come noi Testimoni di Geova ci chiamiamo l’un l’altro: tra noi sarebbe stata più al sicuro. Noi Testimoni di Geova nemmeno nella fantasia possiamo pensare di uccidere una persona, figuriamoci realmente. Lo dicevo sempre a mia figlia che chi non ama Dio non può amare te. Non l’ho mai obbligata a seguirmi, forse in questo ho sbagliato? ».

I suoi parenti le stanno vicino?

«I miei parenti? E dove sono? Nella mia congregazione dei Testimoni di Geova ho sorelle, figli, nonni, nipoti, quella ora è la mia famiglia. Nessuno dei miei parenti è più presente, sono come morti. Le mie sorelle, piuttosto che stare vicino a me che ho perso una figlia in quel modo atroce, hanno subito parteggiato per l’altra sorella che invece ha la figlia in carcere».

Ed ancora, a pochi giorni dalla sentenza di un lungo processo che mira a dare una giusta pena agli assassini di Sarah Scazzi, Concetta Serrano Spagnolo, ha trovato la forza di visitare i luoghi dove il 26 agosto del 2010 il corpo senza vita di sua figlia finì il suo viaggio da Via Deledda alla contrada Mosca. Ferma sul bordo di ciò che rimane del pozzo che ha inghiottito la sua creatura, mamma Concetta scruta con apparente calma il centro del cratere, ora coperto di rovi, cercando con l’immaginazione l’ingresso della cisterna dove Michele Misseri, suo cognato, ha detto di avere infilato l’esile corpo di Sarah. Per arrivare lì Concetta ha percorso il sentiero fatto da zio Michele due anni e mezzo prima. Gli occhi bassi guardano con attenzione il terreno come se volesse con i suoi passi calpestare gli stessi passi del contadino che ricurvo e senza pietà si appresta a sbarazzarsi del peccato che porta in spalla. Con questa visione nella mente la donna cerca di giustificare a se stessa la sua presenza: «Quando scriverà l’articolo – chiede a Nazareno Dinoi de “Il Corriere del Mezzogiorno” - deve dire che Concetta ha voluto venire qui per fare le sue deduzioni». L’impatto emotivo è molto forte.

Signora Concetta, che impressione le fa visitare questi luoghi?

Si capisce che non ha voglia di mostrare le sofferenze che la dilaniano ancora. «Che devo pensare? Che Michele ha trovato proprio bene questo posto sperduto che se non fosse stato lui a farlo trovare nemmeno tutte le protezioni civili d’Italia ci sarebbero riusciti». (Pochi minuti in silenzio, forse a pregare, su quell’enorme buco tra la vite e un vicino canneto prima di tornare indietro. Liberatasi di un peso che la opprimeva dalla notte del 6 ottobre del 2010 quando la televisione le raccontò i particolari del macabro ritrovamento, mamma Concetta si sente ora libera di parlare e lo fa come non lo aveva mai fatto tirando fuori le impressioni più intime partendo proprio dal lungo processo che sta per concludersi).

Signora Concetta, cosa ne pensa del processo e come spera che finisca?

«Spero non come dicono gli avvocati dei miei parenti perché a sentire loro mia figlia è come se non fosse stata uccisa. La presidente della Corte d’assise è bravissima e anche i pubblici ministeri che hanno fatto indagini scrupolose. Come andrà a finire? Inutile prendersi in giro, perché anche se prenderanno l’ergastolo, tra una decina di anni ce le troveremo libere in giro. Quindi mi chiedo a cosa sono servite tante indagini, tante udienze e tanti soldi spesi se poi tra sconti di pena e indulti ce le ritroveremo fuori?»

Lei che ha partecipato a quasi tutte le udienze, c’è stata una testimonianza che l’ha infastidita particolarmente?

«Sono state più d’una, ma più di tutte quella di mia nipote Valentina perché pur di difendere la sorella ha gettato fango su mia figlia, non ha avuto rispetto per una ragazzina di quindici anni che hanno ucciso dicendo in udienza che si strusciava con tutti gli uomini. Anche altri hanno parlato male di mia figlia ma loro almeno erano estranei, invece Valentina non ha avuto pudore ad infangare il nome di Sarah».

Hanno detto tutti la verità secondo lei?

«Non tutti. Molti hanno mentito, il fioraio ad esempio, ma non è il solo. Quasi tutti i testimoni hanno parlato più che altro per proteggere la propria posizione o quella di altri, nessuno che sia venuto per aiutare la giustizia a trovare la verità. Solo pochissimi si sono presentati spontaneamente per dire ciò che sapevano, tutti gli altri invece sono stati trascinati dagli investigatori. Anche tra gli amici c’è stata molta falsità. Non riesco a credere che nessuno abbia saputo niente di più di quello che dice. Nei 42 giorni delle ricerche di mia figlia loro sono stati sempre insieme ed è impossibile che nessuno abbia mai avuto sospetti su Sabrina o sulla sua famiglia. Gli amici quando parlano mettono sempre le mani avanti, si propongono come persone che non sanno niente e ti raccontano certi episodi ma solo per dire: guarda che io non so niente».

Lei ha sempre sostenuto che sua figlia sia stata uccisa perché non raccontasse qualcosa. Ne è ancora convinta?

«L’ho sempre pensato e lo penso ancora. Anche il pubblico ministero Mariano Buccoliero lo ha fatto capire con la storia dei messaggi e delle cose losche che accadevano in quella comitiva. Non credo che la gelosia sia il solo movente, credo piuttosto ad un insieme di motivi che riguardano forse storie di sesso, di droga o altro che non saprei dire. Agli inizi si era parlato della famosa villa ma poi non si è più saputo niente, forse non si è indagato molto in quella direzione».

Si è mai sentita in colpa di ciò che è successo?

«L’unico rammarico è non essere riuscita a convincere mia figlia a seguire la mia religione di Geova. Le dicevo sempre che gli uomini sono cattivi e solo con Geova si è al sicuro».

Questa storia le ha portato via una figlia e, in maniera differente, anche una parte dei parenti. Che rapporto ha con gli altri suoi familiari?

«I miei parenti sono le consorelle e i confratelli di Geova. Tutti gli altri hanno preferito stare con la sorella che ha la figlia in carcere e non con me che una figlia non ce l’ho più».

Eppure, nonostante la sicurezza di Concetta, senza alcun ombra di dubbio, troviamo d’altro canto la certezza di Michele Misseri.

La residenza dei Misseri in Via Deledda è troppo grande per un uomo solo. Le ampie stanze con gli arredi che tradiscono l’assenza prolungata di una donna, sono abitate da quasi due anni da Michele Misseri che lotta per un’impresa ardua: liberare dalla prigionia le sue donne, la moglie Cosima con la figlia Sabrina accusate di avere ucciso la nipote Sarah Scazzi e arrestare lui che si addossa, non creduto, tutte le colpe di quell’omicidio. A Nazareno Dinoi de “Il Corriere della Sera” e de “La Voce di Manduria” pensando al peggio, Michele Misseri prefigura così l’esito finale del processo in corso a Taranto: «alla fine – dice – ci saranno quattro innocenti in galera e un colpevole fuori e io a quel punto la farò finita». Ad essere condannate ingiustamente, secondo il contadino di Avetrana, saranno Sabrina e Cosima per l’omicidio e Carmine Misseri e Cosimo Cosma, fratello e nipote per la soppressione del corpo della quindicenne uccisa.

A quel punto cosa ha intenzione di fare?

«Aspetterò sino alla Cassazione e se anche lì non mi crederanno allora la farò finita, so già come devo ammazzarmi, ho ancor ala bottiglietta in cantina. Non sopporterei ancora una vita di solitudine in questa casa. Questa per me non è più vita già adesso, figuriamoci dopo. Ho perso l’unico fratello che mi voleva bene, Salvatore e con le famiglie dei miei fratelli e sorelle che vivono a Manduria ho chiuso ogni rapporto».

Qui in paese ha delle frequentazioni? Ha degli amici?

«Pochissimi, tutti mi scansano, mi dicono che dovrei marcire in galera ma io che ci posso fare se i magistrati non mi arrestano perché non mi credono? Lo so che la gente mi odia, ma devo pure uscire, lavorare, comprare qualcosa, che faccio chiuso in questa casa che mi fa impazzire?»

Se anche riuscirà a farsi arrestare e dare così la libertà a sua moglie e a sua figlia, crede che la perdoneranno mai per ciò che ha fatto loro?

«Cosima sì. Già quando veniva in carcere mi aveva perdonato. Sabrina non lo so. Forse come dice giustamente Valentina, l’altra mia figlia, lei mi perdonerà di tutto ma non di avere ucciso Sarah. Per quello non mi perdonerà mai».

Sua figlia Valentina le dà conforto?

«Meno male che ho lei. Però per colpa della gente non ci vediamo spesso perché lei vive a Roma e quando viene ad Avetrana evitiamo di incontrarci spesso perché dicono che è lei che mi manovra».

Quanto le manca sua figlia e sua moglie?

«Mi mancano tanto, quando vado al processo le vedo solo di spalle, loro non si girano mai, solo qualche volta Sabrina mi ha lanciato degli sguardi veloci. Vorrei poterle abbracciare. Con il mio avvocato stiamo decidendo di chiedere un colloquio in carcere, però dopo la sentenza sennò dicono che mi suggeriscono cosa devo dire».

Signor Misseri, come ha vissuto le ore e i giorni successivi all’uccisione di Sarah?

«In quei giorni io stavo morendo, aveva deciso di avvelenarmi poi ho pensato che se l’avessi fatto nessuno avrebbe saputo la verità e il corpo di quell’angelo biondo sarebbe rimasto per sempre in quel pozzo. Nessuno mi capiva, piangevo, non mangiavo, dimagrivo, mi rifiutavo di vedere la televisione che parlava dell’angelo biondo, ma nessuno si chiedeva cosa avessi. Sabrina qualche volta si è accorta che piangevo ma non è mai venuta a dirmi: papà ma che hai? Forse se me lo avessero chiesto avrei detto tutto a loro». La prima notte non ho dormito. Mi alzavo sempre da quella sdraio e uscivo fuori in giardino, poi rientravo e uscivo di nuovo. Volevo morire, stavo impazzendo, mi dicevo, ma cosa ho fatto? Possibile che è successo proprio a me? Volevo farmi scoprire ma non ci riuscivo, la vergogna era troppo forte per ciò che avevo fatto. Ero e sono da solo, sin da bambino lo sono stato. A sei anni mio padre mi ha dato alle masserie per lavorare. A otto anni poi quella brutta storia che non ho mai detto a nessuno, nemmeno a mia moglie. Sotto quell’albero sono stato legato e qualcuno, un parente di mio padre, mi ha fatto delle cose che non posso dire».

Ci fa pensare ancora e dovrebbe far pensare anche la mamma di Sarah, in attesa del verdetto, cosa è successo all’udienza precedente alla requisitoria della Pubblica Accusa in riferimento all’atteggiamento tenuto dai giudici popolari, giusto per far capire che in Italia mai nulla è come appare. Ci fa riflettere sulla questione anche il pensiero di Maria Corbi su “La Stampa”.  Non devono essere piaciute le risposte della testimone Liala Nigro alla giudice popolare. Troppo a favore di Sabrina Misseri? Certamente quella frase sfuggita ad alta voce e detta all’orecchio della sua collega di giuria popolare non è sembrata opportuna alla difesa, tanto che l’avvocato Nicola Marseglia ha fatto presente il fatto alla presidente Rina Trunfio chiedendo l’astensione della signora. E dopo una breve riunione la giudice ha letto la sua astensione «per motivi personali». Sarà. D’altronde il beneficio del dubbio sembra concedersi a tutti in questa aula. Tranne che alle imputate, Sabrina Misseri e Cosima Serrano, madre e figlia, accusate si essere le assassine della piccola Sarah. Condannate dai milioni di giudici fai da te attaccati ai salotti tv invasi di cronaca. Ed evidentemente condannate anche da quella signora seduta in giuria, se è vero quello che sostiene l’avvocato di Sabrina, Nicola Marseglia. E il fatto che la giudice si sia astenuta certo fa pensare. E questo ennesimo colpo di scena turba un clima già non sereno dove il principio democratico e a base del sistema giudiziario del «dubbio pro reo», sembra dimenticato. Non è questione di essere innocentisti e colpevolisti, basta analizzare le circostanze venite fuori da queste udienze a carico di Sabrina e Cosima per capire che non si tratta di fatti, di prove. E che gli indizi anche messi tutti insieme non fanno una prova. A Sabrina piaceva Ivano. Anche a Sarah piaceva Ivano. Quel giorno le cugine dovevano andare al mare. Non si sa bene se quel giorno in attesa di Sarah, Sabrina fosse sulla veranda o per strada. Una testimone dice che Sarah quella mattina era triste. Un altro testimone spiega che quella signora (la supertestimone) era detestata da Sarah ed era per quello che sembrava triste la mattina del 26 agosto a casa di Sabrina dove c’era proprio quella signora. Gli orari? Ognuno ricorda diversamente. E per mettere tutti i testimoni d’accordo non sono bastati due interrogatori dei pm e tutte le udienze. Il sogno? E’ rimasto tale con il fioraio che preferisce finire nei guai, indagato per false dichiarazioni piuttosto che dire quello che tutti vogliono sentire da lui, ossia che quel sogno (dove Sabrina e Cosima trascinavano via Sarah in macchina) è realtà. Confusi dopo questo riassuntino? Nessuna preoccupazione, è questo lo stato dell’arte. Peccato che una ragazza e sua madre stiano in carcere da anni. E chi se ne importa del ministro Severino che in apertura di anno giudiziario ha ripetuto fino allo sfinimento che la carcerazione preventiva deve essere solo una extrema ratio.  Ma torniamo alla testimone, quella che non è piaciuta alla giudice popolare che alla fine ha deciso saggiamente di dimettersi dal suo incarico. Forse sarebbe stato meglio che lo facesse anche la sua vicina, quella a cui ha urlato l’insulto all’orecchio, visto che la risatina offerta al pubblico non è sembrata a molti garanzia di imparzialità. Liala parla tranquilla, senza esitazioni, invitata dalla presidente Trunfio a stare tranquilla e a dire la verità, di non avere altre preoccupazioni. E Liala ricorda. Forse le cose che dice sono troppo distanti dal ritratto che è stato fatto di Sabrina. Chissà. Ma la giudice popolare non ce la fa e sbotta in quella frase poco lusinghiera. «E’ stato un episodio increscioso», - dice diplomaticamente Franco Coppi, il principe del Foro che difende Sabrina Misseri -. «E mi auguro che sia limitato a questo giudice perché non possiamo che continuare ad avere fiducia nella serenità e nell’imparzialità di tutto il collegio».

Fiducia ed imparzialità. Già, non ci sono prove, eppure si considera Sabrina e Cosima colpevoli del delitto di Sarah Scazzi. Invece per definire il comune di Manduria come mafioso ci sarebbero le prove, ma non per il Ministro Cancellieri, per la quale il Comune di Manduria (paese limitrofo ad Avetrana) non sarà sciolto per infiltrazioni mafiose così come si temeva e come avevano chiesto sia i tre commissari ministeriali che per sei mesi hanno tenuto sotto accertamento la macchina amministrativa, sia il prefetto di Taranto, Claudio Sammartino. Lo ha definitivamente stabilito il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, nel decreto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. «Dalla documentazione esaminata – si legge nel provvedimento del ministro – non emerge la concomitanza di elementi concreti, univoci e rilevanti tali da pregiudicare il funzionamento dei servizi ed i legittimi interessi della collettività, amministrata da un commissario straordinario sin dal 19 aprile 2012». L’atto ministeriale ripercorre l’iter dell’accertamento antimafia innescato dall’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Lecce  e dal decreto del prefetto di Taranto con il quale, il 29 marzo del 2011 istituiva la commissione d’indagine composta da due prefetti e dal maggiore della Guardia di Finanza, Giuseppe Dell’Anna. I tre commissari finirono il loro lavoro, durato sei mesi, proponendo lo scioglimento del Consiglio che, di fatto, si era autosciolto per il venir meno della maggioranza di centrodestra. Sulla scorta di quest’analisi, Il 4 novembre 2012,  anche il prefetto di Taranto inviava al ministro una sua relazione nella quale, scrive la Cancellieri, «venivano valutati gli elementi di cui all’articolo 134, comma 1 del decreto legislativo 18 agosto 2000, numero 267». Considerato tutto questo, il ministro ha comunque deciso che «non sussistono i presupposti per lo scioglimento o l’adozione di altri provvedimenti», stabilendo così la conclusione del procedimento.

GIUSTIZIA O INGIUSTIZIA? IL DELITTO DI SARAH SCAZZI: PROCESSO AI MISSERI; PROCESSO ALL’ITALIA.

ITALIA, TARANTO, AVETRANA: IL CORTOCIRCUITO GIUSTIZIA-INFORMAZIONE. TUTTO QUELLO CHE NON SI OSA DIRE.

«Giusto processo in Italia. E’ solo una stronzata. E l’intercalare rende bene l’idea sull’indignazione dei giuristi con un po’ di dignità. A Taranto ci hanno messo 6 giorni per accogliere pari pari le richieste dell’accusa. Ufficio della Procura di cui la presidente Trunfio ne faceva parte. Tutti abbiamo diritto al Giusto Processo, ma a Taranto tale diritto è negato. Sabrina Misseri e Cosima Serrano colpevoli del delitto? Forse sì e forse no. Ma anche loro meritano un giusto processo. Per la morte di Sarah Scazzi una sentenza di condanna per tutti gli imputati accolta da un’Italia plaudente. E’ una vergogna. E’ disumano ed incivile rallegrarsi per le disgrazie altrui. Una sentenza di condanna così come da me ampiamente prevista anche per l’appello. Previsione pubblicata sui giornali in tempi non sospetti. E non poteva essere altrimenti. Una trappola strategica ordita dall’accusa. I Giudici sono stati obbligati ad emettere sentenza di condanna. Al contrario ci sarebbe stato il paradosso di non aver avuto nessun colpevole per quel delitto, essendo stato estromesso Michele Misseri dall’accusa di omicidio. Con un’assoluzione e senza responsabili del delitto la Procura di Taranto in Italia avrebbe fatto ridere pure i polli. Una sentenza emessa dal popolo italiano e non “in nome del popolo italiano”. Un popolo che ha giudicato non solo i protagonisti, ma tutta una comunità. Un popolo plasmato da media morbosi e gossippari. Nei film la trama ed il regista ci fanno sapere chi è l’assassino, che la polizia ed il giudice non conosce. Se il colpevole viene assolto o non indagato perché non ci sono prove, lo spettatore ci rimane male. Eppure, attraverso i comportamenti ritenuti corretti da parte dei protagonisti del film, la morale è chiara. Niente prove, niente condanna. La morte di Sarah Scazzi è realtà. Come in un film i media morbosi ci hanno indotto a credere, convincendoci, che Sabrina Misseri e Cosima Serrano fossero le colpevoli. Potrebbero esserlo, nulla è escluso, ma dobbiamo farcene una ragione: non ci sono prove. Indizi contestabili, sì, ma prove niente. Addirittura per Cosima meno di nulla. L’art. 533, primo comma, c.p.p. impone il principio di Diritto per cui si condanna “al di là di ogni ragionevole dubbio”. Questo perché in un paese civile meglio un reo in libertà, che un innocente in galera. E, a quanto pare, l’Italia pur essendo la culla del diritto, non figura tra i paesi civili.»

Intervista esclusiva al dr Antonio Giangrande, avetranese doc.  Egli, avendo vissuto la storia del delitto di Sarah Scazzi sin dall’inizio, conosce bene fatti e persone, protagonisti della vicenda. Corso degli eventi seguiti e documentati sin dal principio in un libro e con video. Un punto di vista interessante ed alternativo, sicuramente non omologato. Un personaggio che non si fa certo intimorire dalla magistratura e dall’avvocatura e che bistratta quell’informazione corrotta culturalmente. Per conoscerlo meglio basta andare su www.controtuttelemafie.it.  

Dr Antonio Giangrande sembra sicuro di quello che dice.

«Via Poma, Garlasco, Perugia, il caso Yara Gambirasio. I casi più celebri. Orrori senza fine e quando, per caso, il colpevole salta fuori, si scopre che la soluzione era a portata di mano, quasi banale, e perfino ovvia: come nella vicenda dell'Olgiata con il maggiordomo filippino. E invece la nostra giustizia e i nostri apparati investigativi continuano, spesso e volentieri, a perdersi dietro congetture dietrologiche e teoremi labirintici, ma soprattutto le troppe inchieste finite in nulla e i troppi processi impantanati. Gli esperti arrivano tardi, quando le prove sono già state compromesse, contaminate, sprecate. Polizia e carabinieri sono spesso in disaccordo fra di loro, secondo una trita consuetudine centenaria, e la polizia giudiziaria esplora le piste possibili con il guinzaglio corto impostole dalla legge che le ha messo addosso il collare della dipendenza dalla magistratura. Per restare sulla cronaca: da una parte c’è Michele Misseri, difeso dagli avvocati Luca Latanza da Taranto e Fabrizio Gallo da Roma. Quest’ultimo che accusa a Quarto Grado del 19 aprile 2013 il primo avvocato di Misseri, Daniele Galoppa, di essere stato ripreso dal GIP perché suggeriva a Michele Misseri le risposte che accusavano la figlia Sabrina in sede di Incidente Probatorio. Il contadino di Avetrana che si dichiara colpevole del delitto e della soppressione del corpo della nipote, non risparmia dichiarazioni e interviste ai vari corrispondenti delle testate televisive nazionali che presidiano costantemente la villa di via Deledda. In una di queste, al Graffio di Telenorba, prima ha spiegato per l’ennesima volta le modalità del delitto e poi ha mostrato la valigia già pronta per quando sarà trasferito in carcere al posto – così lui spera fino in Cassazione – della figlia e di sua moglie. Dall’altra parte, dopo aver rispedito alla Corte d'Appello il processo sul delitto di Meredith Kercher, la ragazza inglese assassinata a Perugia nella notte tra il primo e il due novembre 2007, la Cassazione ha annullato anche la sentenza di assoluzione di Alberto Stasi per l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007 a Garlasco (in provincia di Pavia). Da quando Chiara Poggi venne uccisa e ritrovata senza vita il 13 agosto del 2007 nella sua casa di Garlasco, errori soprattutto nelle prime 24 ore ci sono stati. Così come a Perugia; così come ad Avetrana. Innanzitutto troppe persone sono entrate nella casa, inquinando la scena del crimine. Poi il primo interrogatorio di Alberto, che poteva essere determinante, è stato condotto prima da un maresciallo dei CC, poi interrotto, e continuato da un Capitano arrivato più tardi. Non è stata cercata immediatamente l'arma del delitto. E' stato acceso e spento troppe volte il pc di Alberto, che, per la Procura, doveva essere la prova regina. Non sono state sequestrate subito le famose scarpe di Alberto, né la bicicletta. Non è stato fatto un sopralluogo a casa sua o nell'officina del padre dove poteva nascondersi l'arma del delitto. I cellulari di alcune persone legate ai due sono stati messi sotto controllo solo dopo mesi e non immediatamente. Tutto questo davanti ad una Procura che è parsa inadeguata fin dal principio come gli investigatori. Perché solo con la parola "inadeguatezza" si può spiegare il fatto che nella casa sotto sequestro e con la "scena del crimine" ancora da analizzare (lo ricordiamo era quasi ferragosto e persino la scientifica era in ferie) venne lasciato libero di circolare il gatto di casa e qualcuno si è pure permesso di fumare, lasciare cenere sul pavimento, calpestare tracce ematiche. Il 18 aprile 2013 la Cassazione ha conferma questi dubbi ed ha deciso che il procedimento va rifatto per questioni di "metodo". L'accusa chiede la condanna a 30 di reclusione. Diversi gli indizi raccolti contro l'ex fidanzato: le scarpe “candide”, i pedali della sua bicicletta con tracce ematiche della vittima, le sue impronte miste al Dna di Chiara trovate sull'erogatore del sapone nel bagno dove l'assassino si è lavato. Nessun alibi, secondo l'accusa, per l'ex fidanzato: non era al computer mentre Chiara veniva uccisa. Innocente al di là di ogni ragionevole dubbio in primo grado ed in Appello. A questo punto mi si deve spiegare una cosa: a chi dare ragione? Ai giudici che assolvono od a quelli che condannano? Perugia, Garlasco, Avetrana: il ragionevole dubbio per motivare l’assoluzione se non sovviene in questi casi, allora quando?»

Ma chi è Antonio Giangrande. Nessuno da Avetrana ha mai parlato di lui, né, tantomeno, tv e giornali hanno richiesto i suoi commenti.

«Rappresentare con verità storica, anche scomoda ai potenti di turno, la realtà contemporanea, rapportandola al passato e proiettandola al futuro. Per non reiterare vecchi errori. Perché la massa dimentica o non conosce. Questa è sociologia storica, di cui sono massimo cultore. Conosciuto nel mondo come autore ed editore della collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” pubblicata su www.controtuttelemafie.it ed altri canali web, su Amazon in E-Book e su Lulu in cartaceo, oltre che su Google libri. 50 saggi pertinenti questioni che nessuno osa affrontare. Ho dei canali youtube e sono anche editore di Tele Web Italia: la web tv di promozione del territorio italiano. Bastone e carota. Denuncio i difetti  e caldeggio i pregi italici. Perché non abbiamo orgoglio e dignità per migliorarci e perché  non sappiamo apprezzare, tutelare e promuovere quello che abbiamo ereditato dai nostri avi. Insomma, siamo bravi a farci del male e qualcuno deve pur essere diverso! Il fatto che nessuno mi ha mai interpellato sul delitto di Sarah Scazzi, nonostante che tutti ad Avetrana abbiano avuto l’occasione per farsi intervistare (alla faccia dell’omertà), non me ne cruccio, probabilmente i giornalisti non ritengono interessante il personaggio e le sue opinioni. D’altronde mi vanto proprio di essere diverso per i miei convincimenti e per il mio spirito libero e responsabile. Di parere diverso dai miei detrattori sono i miei sostenitori, che, in centinaia di migliaia, invece, seguono i miei video e leggono i miei testi,  ritenendoli importanti, alternativi e fondamentali per farsi un’opinione corretta sui fatti. Oltretutto su internet seguono più me e le mie inchieste che il lavoro di tante redazioni stereotipate e finanziate da una certa politica, che, pur pensando di essere unici, navigano nel mare dell’informazione insieme a migliaia di simili. Mi da fastidio solo una cosa: snobbare me può essere giustificato dalla codardia, ma ignorare l’associazione antimafia che rappresento, a tutto vantaggio di altri sodalizi ben sponsorizzati politicamente, descrive bene la professionalità di certi giornalisti».

Che coincidenza: nascere ad Avetrana, il paese dei Misseri, e vivere di luce riflessa!

«Ognuno di noi è nato in qualche posto che sicuramente non era voluto dal nascituro. Poi sta a noi rendere quel posto dove siamo nati degno di essere vissuto, né quel posto può essere l’alibi dei nostri fallimenti. Per dire: Chi nasce a Roma non diventa automaticamente Presidente della Repubblica. Io vivo in questa vita con dei compagni di viaggio. Qualcuno scenderà  dal treno prima, qualcun altro dopo di me. Scenderanno comunque tutti dal treno della vita, anche coloro che saliranno dopo, così come hanno fatto quelli che son saliti prima. E non osta il fatto di avere nobili natali.  Sono le fasi della vita. Io faccio di tutto per tutelare e onorare il posto dove sono nato. Località né peggio, né meglio di altre. Non vivo sotto i lampioni, per cui non rifletto né la mia, né l’altrui luce. Anche perché ognuno di noi vive il suo spazio e con il web questo mio spazio è il mondo. Solo gli ignoranti sminuiscono la forza che la mente ha nel superare lo spazio ed il tempo. Il miglior riconoscimento ricevuto è il ringraziamento da parte del Commissario Governativo per le iniziative contro la lotta alla mafia e all’usura, il quale mi ha invitato, anche, a partecipare all’incontro tenuto a Napoli con i Prefetti del Sud Italia per parlare di Sicurezza, mafia ed usura. Ciò significa considerarmi degno interlocutore, mentre le Autorità locali mi ignorano, mi emarginano, mi perseguitano. Appunto. L’avv. Santo De Prezzo, di Avetrana, conferma in una sua denuncia (in seguito alla quale per me è scaturita assoluzione più ampia perché il fatto non sussiste e di cui si è chiesto conto a lui ed anche nei confronti dei magistrati che l’hanno agevolata), che il Presidente dell’Associazione Contro Tutte Le Mafie, Dr Antonio Giangrande, è considerato dalle Forze dell’Ordine di Avetrana un mitomane calunniatore. Tale affermazione spiega bene il perché degli insabbiamenti e le archiviazioni che seguivano le mie denunce, sol perché si denunciavano i reati degli intoccabili. Spiega bene altresì, l’ostracismo dei media. Fa niente se i dotti emancipati e non omologati saranno additati in patria loro come Gesù nella sua Nazareth: semplici figli di falegnami, perchè "non c'è nessun posto dove un profeta abbia meno valore che non nella sua patria e nella sua casa". Non c'è bisogno di essere cristiani per apprezzare Gesù Cristo: non per i suoi natali, ma per il suo insegnamento e, cosa più importante, per il suo esempio. Fa capire che alla fine è importante lasciar buona traccia di sè, allora sì che si diventa immortali nella rimembranza altrui.»

Dr Antonio Giangrande, con le sue opere letterarie, la sua web tv ed i suoi canali youtube ha voluto documentare in testi ed in video pregi e difetti della società italiana. Ma chi sono gli italiani?

«Chi siamo noi?

Siamo i “coglioni” che altri volevano che fossimo o potessimo diventare.

Da bambini i genitori ci educavano secondo i loro canoni, fino a che abbiamo scoperto che era solo il canone di poveri ignoranti.

Da studenti i maestri ci istruivano secondo il loro pensiero, fino a che abbiamo scoperto che era solo il pensiero di comunisti arroganti. Prima dell’ABC ci insegnavano “Bella Ciao”.

Da credenti i ministri di culto ci erudivano sulla confessione religiosa secondo il loro verbo, fino a che abbiamo scoperto che era solo la parola di pedofili o terroristi.

Da lettori e telespettatori l’informazione (la claque del potere) ci ammaestrava all’odio per il diverso ed a credere di vivere in un paese democratico, civile ed avanzato, fino a che abbiamo scoperto che si muore di fame o detenuti in canili umani.

Da elettori i legislatori ci imponevano le leggi secondo il loro diritto, fino a che abbiamo scoperto che erano solo corrotti, mafiosi e massoni.

Ecco, appunto: siamo i “coglioni” che altri volevano che fossimo o potessimo diventare.

E se qualcuno non vuol essere “coglione” e vuol cambiare le cose, ma non ci riesce, vuol dire che è “coglione” lui e non lo sa, ovvero è circondato da amici e parenti “coglioni”.»

A scrivere delle malefatte dei poteri forti a lei cosa ne consegue?

«Per prima cosa le sto a segnalare il fatto, già segnalato ai precedenti Parlamenti, che è impossibile in Italia svolgere l’attività di assistenza e consulenza antimafia se non si è di sinistra e se non si santificano i magistrati. In Italia l’antimafia è una liturgia finanziata dallo Stato in cui vi è l’assoluto monopolio in mano a “Libera” di Don Ciotti e di fatto in mano alla CGIL, presso cui molte sedi di “Libera” sono ospitate. La sinistra, i media, gli insegnanti ed i magistrati artatamente han fatto di Don Luigi Ciotti e di Roberto Saviano le icone a cui fare riferimento quando ci si deve riempir la bocca con il termine “legalità”. “Libera”, con le sue associate locali, è l’esclusiva destinataria degli ingenti finanziamenti pubblici e spesso assegnataria dei beni confiscati. Di fatto le associazioni non allineate e schierate (e sono tante) hanno difficoltà oltre che finanziaria, anche mediatica e, cosa peggiore, di rapporti istituzionali. Si pensi che la Prefettura di Taranto e la Regione Puglia di Vendola a “Libera” hanno concesso il finanziamento di progetti e l’assegnazione dei beni confiscati a Manduria. A “Libera” e non alla “Associazione Contro Tutte le Mafie”, con sede legale a 17 km. A “Libera” che non può essere iscritta presso la Prefettura di Taranto, perchè ha sede legale a Roma, e non dovrebbe essere iscritta a Bari, perché a me è stato impedita l’iscrizione per mancata costituzione dell’albo. Altra segnalazione di una mia battaglia ventennale riguarda l’esame truccato dei concorsi pubblici ed in specialmodo quello di abilitazione forense, che poi è uguale a quello del notariato e della magistratura. Ho anche cercato di denunciare l’evasione fiscale e contributiva degli studi legali presso i quali i praticanti avvocato sono obbligati a fare pratica. I “Dominus” non pagano o pagano poco e male ed in nero i praticanti avvocati e per coloro che non hanno partita iva non gli versano i contributi previdenziali presso la gestione separata INPS. Agli inizi, facendo notare tale anomalia al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, mi si disse: “fatti i cazzi tuoi anche perché vedremo se diventi avvocato. Appunto. Da anni mi impediscono di diventarlo, dandomi dei voti sempre uguali ai miei elaborati all’esame forense. Elaborati mai corretti. Mi hanno condannato all’indigenza. Tenuto conto che i miei libri si leggono gratuitamente, da scrittore non ho nessun introito. A dover scrivere la verità, purtroppo, non posso essere amico di magistrati, avvocati e giornalisti. Essere amico su chi avrei da scrivere, inficerebbe la mia imparzialità di giudizio. Avendo avuto l’occasione di svolgere l’attività forense per 6 anni senza abilitazione ma con il patrocinio legale, ho sì vinto tutte le cause, ma si sono imbattuto in tutto quello che è più malsano del mondo della giustizia: la corruzione morale e materiale delle toghe, siano essi magistrati od avvocati. E nessuno ne parla. Io ne parlo e ne subisco le ritorsioni. Non mi abilitano e sono investito da processi per diffamazione. Sempre assolto, ma per esserlo sono stato costretto a denunciare e ricusare il giudice naturale. Il giudice Rita Romano di Taranto, tra le altre cose, ha assolto chi mi aveva aggredito in casa mia con l’intento di far male a me, a mia moglie ed ai miei figli, affinchè non presenziassi ad un’udienza in cui difendevo la moglie dell’aggressore, vittima di stalking. Le prove dell’aggressione non sono state prodotte dalla procura, né ammesse dal giudice. A questo punto l’assoluzione dell’aggressore fu così motivata: “la testimonianza di Antonio Giangrande non possa ritenersi pienamente attendibile”. La Procura di Taranto chiede ed ottiene l’archiviazione delle denunce contro loro stessi. La Procura di Potenza archivia tutte le mie denunce contro i magistrati di Taranto ed accoglie tutte le denunce dei loro colleghi tarantini contro di me per quanto scrivo su quello che succede a Taranto. Un modo di tacitarmi per quanto scrivo anche su quello che succede  Potenza. In virtù della mia esperienza il mio assunto è: la mafia vien dall’alto!»

Perché parla di cortocircuito Giustizia-Informazione?

«I giornalisti ci hanno inculcato la convinzione della santità, della infallibilità e della intoccabilità della magistratura. Il mondo della comunicazione e dell’informazione fa passare il principio per il quale i magistrati, preparati, competenti ed equilibrati, non sbagliano quasi mai e per di più, quando lo fanno, non devono essere criticati, in quanto le colpe delle disfunzioni giudiziarie vanno ricondotte sempre e comunque al sistema, quindi alla politica. Insomma: i magistrati sono di un’altra razza. Gli avvocati, anche per colpa della propria viltà, anziché imprimere l’assioma della indispensabilità e della parità della loro funzione, sono fatti passare per comprimari. Agli occhi della gente incarnano coloro che con sotterfugi e raggiri fanno uscire i rei dalla galera. Il dogma che dovrebbe valere per tutti i Magistrati e tutti i Giornalisti è: non avere ideologia, né amici. Questo per dare un’apparenza di imparzialità. Invece l’ideologia non gli manca, né tantomeno gli amici. Ed ottimi amici, spesso, sono proprio tra di loro, i Magistrati con i Magistrati ed i Magistrati con i Giornalisti, in un rapporto di reciproca mutualità. Amici ed ideologia, a iosa, spesso in un rapporto vicendevole: eccome! I magistrati ed i giornalisti hanno un ego smisurato che li rende autoreferenziali, presuntuosi ed arroganti, dimenticando che il potere, che gli uni e gli altri hanno, è stato assunto in virtù di un concorso pubblico, come può essere quello italiano. I Magistrati ed i Giornalisti non vengono da Marte, pertanto senza natali e casato e con un DNA differente dal resto dei cittadini. I primi, quindi, non sono la voce della Giustizia, i secondi non sono la voce della Verità. Tutto questo crea un vulnus all’esistenza di tutti noi. Prova ne è la sorte di Pietro D’Amico. Si è tolto la vita assistito dal personale di una clinica Svizzera. Pietro D'Amico era un magistrato per bene, una «toga buona» e fuori dai giochi di potere. Messo in croce sui giornali per un sospetto suffragato da indizi labili. Pietro D'Amico, autore di saggi di Filosofia del Diritto e Diritto romano adottati come libri di testo da alcune università, era stato indagato, insieme ad altri magistrati dalla Procura di Salerno, per una fuga di notizia per la perquisizione di un parlamentare nell'ambito dell'inchiesta Poseidone sui presunti illeciti nella gestione dei fondi per la depurazione. Ne era uscito indenne, ma totalmente disgustato. Aveva deciso di abbandonare la toga commentando: "Questa magistratura non mi merita". Tutto ciò fa pensare una cosa: se è successo a lui, figuriamoci cosa succede ai poveri cristi. Non esiste un solo Paese democratico e moderno nel quale uno dei poteri che regge l’architettura dello Stato è sottratto a qualsiasi controllo e sul quale vige una sorta di impunità che si è trasformata, negli anni, in un delirio di onnipotenza senza strumenti di comparazione nell’intero mondo occidentale; uno Stato nello Stato, regolato da leggi autonome, sottratto ai più elementari controlli democratici e autoimmunizzato contro ogni critica. Guai a chi si permette di criticare un magistrato, l’operato di un giudice o la conduzione di un’indagine: il rischio automatico è quello di attirare gli strali dei “pasdaran” del giustizialismo con ondate di fango mediatico; gli stessi per i quali un magistrato in esercizio della sua funzione, e magari nel tempo libero, può criticare liberamente lo Stato suo datore di lavoro, dare giudizi estremi sul Parlamento che vota le leggi (che un magistrato dovrebbe applicare e che invece vorrebbe lui dettare) e ridurre il tutto ad un mero esercizio di presunta democrazia, mentre se è lo Stato o il Parlamento, o anche un semplice cittadino, a criticare un magistrato si grida al complotto, o, addirittura, si è condannati per diffamazione dagli stessi magistrati criticati. Ma si sa. La coerenza è il segno distintivo dei limitati encefalici.»

Perché tra le sue opere a carattere generale ha scritto il libro su una vicenda particolare “SARAH SCAZZI, QUELLO CHE NON SI OSA DIRE. IL RESOCONTO DI UN AVETRANESE”?

«Avetrana, e per questo non si ha alcuna spiegazione logica, stranamente ed a differenza di altre sparizioni di persone, sin dal primo giorno della scomparsa di Sarah Scazzi è stata oggetto di attenzione mediatica morbosa. Sin dal primo momento è stata invasa dai camion con le paraboliche tv, come se una regia occulta avesse predisposto l’evento ed avesse previsto l’imponderabile, misterioso e drammatico seguito. Sin da subito sono arrivati i migliori consulenti forensi e gli eccelsi avvocati dai fori più importanti con la conseguente domanda logica: chi li paga? Per propaganda e pubblicità: chissà? Sono calati avvocati propostisi (vietato dalla deontologia; divieto che pare valga solo per l’avv. Vito Russo di Taranto), o avvocati consigliati da parenti od amici interessati. Solo per gli imputati minori si son visti avvocati riconducibili a conoscenza personale. Si son visti, addirittura, avvocati che si sono arrogati la funzione di pubblici ministeri: la ricerca della verità. In questo coinvolgendo i consulenti salottieri che alla tv, in programmi che dovevano trasparire imparzialità, invece, propinavano la loro convinzione personale ospiti di conduttrici compiacenti. Poi alle accuse di Michele di essere stato plagiato rispondevano: io non c’ero! Si son visti giornalisti vagare per Avetrana intenti ad intervistare appositamente ignoranti nullafacenti nei bar, con l’intento di estorcere delle considerazioni dotte. Si son visti giornalisti aspiranti scrittori, con il sogno di scrivere sul delitto di Avetrana un esclusivo Best Sellers, arrogandosi la elitaria genitura della verità. Generalmente da tutta Italia mi si chiede aiuto, essendo riconosciuta la mia competenza per aver seguito tutti i casi giudiziari analoghi. Ad Avetrana, da avetranese, sono stato tra i primi ad offrire la mia consulenza gratuita, dopo aver segnalato alle autorità alcuni personaggi che gironzolavano intorno alla famiglia Scazzi. Personaggi che hanno conosciuto i fatti dall’interno della famiglia nell’imminenza dell’evento, ma che non sono stati mai chiamati a testimoniare. Con Concetta e Giacomo Scazzi vi è stato un’incontro, qualche consiglio. Presente era Cosima e Valentina. Le ho viste affiatate con Concetta. Successivamente, con l’arrivo degli avvocati di Perugia (in quella fase non vi era alcun assoluto bisogno di assistenza legale) si era sottoposti al loro vaglio per parlare con la Famiglia Scazzi. Si è erto un muro. Da allora nessun incontro vi è più stato, né nessun grazie si è dato alle associazioni avetranesi che si sono attivate per la ricerca di Sarah e per la fiaccolata in suo onore. Le luci della ribalta sono un’illusione anche nel dolore, in special modo se c’è qualcuno che illude. In quei frangenti caotici si veniva a formare la trama intrigante, oscura, imperscrutabile e misteriosa di un film più che “giallo”. “Giallo” è la definizione italiana, poiché negli Stati Uniti non esiste questa parola per definire lo specifico genere cinematografico che va sotto i nominativi di “crime story”, “noir”, “mistery” e “thriller”. Avetrana è diventata, suo malgrado, l’ombelico del mondo. E’ conosciuta ormai in tutto il pianeta. Tutti parlano di Avetrana, degli avetranesi, degli Scazzi, dei Serrano e dei Misseri. E tutte le altre località se ne dovranno fare una ragione. Eppure tanta notorietà (subita) provoca immenso rancore. La sventura altrui rappresenta per l’invidioso ciò che la cioccolata è per il goloso e il sesso per il lussurioso. Il nostro cervello, infatti, tratta le esperienze sociali e quelle fisiche in modo più simile di quanto si pensi. Chi ha sete chiede acqua. Chi ha freddo, un riparo. Chi non è soddisfatto di se stesso anela a sentirsi migliore attraverso la svalutazione degli altri. Studi scientifici dimostrano come spesso l’invidioso ha la sensazione di non poter raggiungere con le proprie forze ciò che vorrebbe per sé e per riportare l’equilibrio nel confronto sociale deve passare per la distruzione materiale o simbolica dell’altro. Le ingiustizie sono ovunque anche nella nostra vita: c’è chi nasce ricco e ha la strada spianata, chi lo diventa con la spregiudicatezza, chi detiene il potere o posti di responsabilità pubblica senza averne le capacità, chi non paga le tasse, chi lavora meno di noi e ottiene di più, chi non ha arte ne parte, ma ha le luci della ribalta (come i personaggi del gossip o, come nel nostro caso, i protagonisti delle cronache giudiziarie). Infastidirsi è normale, soprattutto se il fortunato ci assomiglia: magari abita nell’appartamento vicino, ha fatto la nostra stessa scuola, ha scelto la nostra stessa carriera. Insomma ci ricorda quello che avremmo potuto essere e non siamo. Ma giornali e tv hanno allargato la nostra comunità di riferimento, aumentando esponenzialmente anche il numero di confronti sociali con persone di cui spesso non conosciamo né gli sforzi né le pene. Per questo si odia tanto Avetrana e Sabrina Misseri. Loro malgrado hanno un successo planetario che altri (gli invidiosi) vorrebbero per sé, finanche per le stesse ragioni, ma non lo possono mai avere. Allora scatta il meccanismo di delegittimazione e di denigrazione, fino ad arrivare al vilipendio di una comunità. Quando si parla del delitto di Sarah Scazzi, non si parla del danno che il sistema banale, superficiale e poco professionale dell’informazione e della comunicazione ha arrecato alla comunità colpita. State sicuri: nessuno vuol parlarne e nemmeno può. Bisogna essere Avetranesi con dignità ed orgoglio per sentire sopra la propria pelle il disprezzo di gente stupida ed ignorante che quando sa che tu sei di Avetrana nella migliore delle ipotesi sghignazza: “ahhaaaa…., ahhaaaa…”. Oppure di gente cattiva che lancia epiteti e che ti apostrofa: “ahhaa…, siete quelli che hanno ucciso Sarah”; “ahhaaa…, il paese omertoso e mafioso che ha ucciso la bambina”. Come al solito, poi, in questa Italia dove il migliore c’ha la rogna, te lo dice gente che a parlar di loro o della loro comunità dovrebbero mettersi la maschera in faccia per coprirsi per la vergogna. Certo che ad Avetrana vi è un inspiegabile accanimento mediatico. Finanche lo sport ha parlato di Sarah Scazzi. Un servizio della “Domenica Sportiva” della Rai il 7 aprile 2013 parla, sì, di calcio ad Avetrana, ma (pure qui con retro pensiero) evidenzia anche il malessere che comporta l’essere di Avetrana in trasferta. Ma noi avetranesi ad  aver grande intelletto e ad insegnare cultura adottiamo il celebre verso della Divina Commedia del sommo poeta Dante Alighieri “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”. E proprio per passare oltre, il mio compito è quello di svelare il corto circuito informazione-giustizia. In questa Italia pregna di banalità e pregiudizi, frutto di ignoranza e disinformazione, e a volte di malafede, ognuno di noi dovrebbe chiedersi. La mafia cos'è? La risposta in un aneddoto di Paolo Borsellino: "Sapete che cos'è la Mafia... faccia conto che ci sia un posto libero in tribunale..... e che si presentino 3 magistrati... il primo è bravissimo, il migliore, il più preparato.. un altro ha appoggi formidabili dalla politica... e il terzo è un fesso... sapete chi vincerà??? Il fesso. Ecco, mi disse il boss, questa è la MAFIA!" «Da noi - ha dichiarato Silvio Berlusconi ai cronisti di una televisione greca il 23 febbraio 2013 - la magistratura è una mafia più pericolosa della mafia siciliana, e lo dico sapendo di dire una cosa grossa». «In Italia regna una "magistocrazia". Nella magistratura c'è una vera e propria associazione a delinquere» Lo ha detto Silvio Berlusconi il 28 marzo 2013 durante la riunione del gruppo Pdl a Montecitorio. Ed ancora Silvio Berlusconi all'attacco ai magistrati: «L'Anm è come la P2, non dice chi sono i loro associati». Il riferimento dell'ex premier è alle associazioni interne ai magistrati, come Magistratura Democratica. Il Cavaliere è a Udine il 18 aprile 2013 per un comizio. «Dovete sapere – dice a un certo punto Salvatore Borsellino al convegno a Bari per la presentazione del libro di Giuseppe Ayala - che mio fratello Paolo dopo il 1° luglio 1992 chiese varie volte al Procuratore della Repubblica di Caltanisetta di essere ascoltato come testimone per riferire circostanze decisive per l'accertamento della verità della strage di Capaci, in cui perirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta, ma questi, il Procuratore della Repubblica di Caltanisetta, si rifiutò di ascoltarlo.» Al che Giuseppe Ayala, sorridendo, ha commentato: “Eh si! In effetti c’è anche questa!”. Sono piene le aule dei Tribunali di tesi accusatorie, spesso strampalate dei PM, imbastite in modo a dir poco criticabile, poi accolte dai loro colleghi giudici. Il caso di Salvatore Gallo è di quelli destinati a passare alla storia degli errori giudiziari più clamorosi. Fu condannato all’ergastolo per l’omicidio del fratello Paolo che in realtà, sette anni dopo, si ripresenta vivo e vegeto. Ed ancora la Iena Mauro Casciari, che ha preso a cuore la vicenda della morte di Giuseppe Uva, ha ricevuto una querela per diffamazione per un servizio andato in onda ad ottobre nel 2011, che conteneva un'intervista a Lucia Uva, la sorella di Giuseppe Uva anch'essa querelata per diffamazione. Giuseppe Uva il 43enne morto a Varese, nel giugno del 2008, dopo essere stato fermato e trattenuto in caserma a Varese per alcune ore. Un’altra “vittima di Stato”, come si denuncia da anni, come Stefano Cucchi e Federico Aldrovandi. Lucia Uva chiede solo giustizia e si ribella contro gli insabbiamenti delle denunce. Stessa sorte, querela per diffamazione, è toccata alla mamma di Aldrovandi, come stessa sorte è toccata ad Alfonso Frassanito, padre adottivo di Carmela, la ragazzina di Taranto morta perché stuprata e non creduta dai magistrati. In Italia devi subire e devi tacere. Da sempre, inascoltato, combatto per istituire il “Difensore Civico Giudiziario” con i poteri dei magistrati, ma senza essere uno di loro. Solo nel 2012 l’Italia ha aggiunto un nuovo record alla lista di primati negativi collezionati nel tempo a Strasburgo sul fronte della giustizia. Dopo essersi aggiudicata per anni la maglia nera come Paese, tra i 47 del Consiglio d’Europa, con il più alto numero di sentenze della Corte per i diritti dell’uomo non eseguite (arrivato ora a quota 2569, dietro di noi ci sono la Turchia con 1780 sentenze non eseguite e la Russia con 1087), l’Italia è diventata anche lo Stato che spende di più per indennizzare i propri cittadini per le violazioni dei diritti umani subite: ben 120 milioni di euro. Una cifra pari a circa cinque volte il contributo annuo versato al Consiglio d’Europa e più del doppio di quanto nel 2012 hanno pagato complessivamente, come indennizzi, tutti gli altri Stati membri dell’organizzazione. Senza parlare poi di quegli errori giudiziari che costano come una manovra. Indagini approssimative. Magistrati ed avvocati che sbagliano. Innocenti in cella. Enormi risarcimenti da pagare. Uno spreco umano ed economico insostenibile, che arriva a costare allo Stato diverse decine di milioni di euro ogni anno. L'ultimo, in arrivo, l'indennizzo per gli accusati della strage di via d'Amelio, ingiustamente condannati all'ergastolo e ora liberi dopo 18 anni di carcere in regime di 41bis. C'è già un altro cittadino italiano pronto a entrare in una classifica "poco onorevole" per il nostro Stato: si chiama Raniero Busco e ha 46 anni, assolto dalla condanna a 24 anni per l'omicidio della sua ex fidanzata, Simonetta Cesaroni, la ragazza del "delitto di via Poma" avvenuto nella capitale il 7 agosto 1990. Il caso di Busco, difeso proprio da Franco Coppi difensore anche di Sabrina Misseri nel processo sul delitto di Sara Scazzi, rientrerebbe nel nutrito elenco degli errori giudiziari. Una realtà che pesa, anche sotto il profilo economico, sull'amministrazione della giustizia nel nostro Paese. Solo nel 2011, lo Stato ha pagato 46 milioni di euro per ingiuste detenzioni o errori giudiziari. L'ultima vicenda di questo tipo, forse la più eclatante nella storia della Repubblica, è quella dei sette uomini che erano stati condannati come autori dell'attentato che costò la vita al giudice Paolo Borsellino e alle cinque persone della scorta, il 19 luglio 1992. Nell'autunno 2012, sono stati liberati: dopo periodi di carcerazione durati tra i 15 e i 18 anni, trascorsi tra l'altro in regime di 41 bis. La strage non era cosa loro. Il risarcimento? È ancora da quantificare. Il 13 febbraio 2011, invece, la Corte d'appello di Reggio Calabria ha riconosciuto un altro grave sbaglio: è innocente anche Giuseppe Gulotta, che ha trascorso 21 anni, 2 mesi e 15 giorni in carcere per l'omicidio di due carabinieri nella caserma di Alcamo Marina (Trapani), nel 1976. Trent'anni dopo, un ex brigadiere che aveva assistito alle torture cui Gulotta era stato sottoposto per indurlo a confessare, ha raccontato com'era andata davvero. La cosa sconcertante è che, nel 1977, fu ucciso a Ficuzza (Palermo) anche l'ufficiale che aveva condotto quell'inchiesta con modi tutt'altro che ortodossi, il colonnello Giuseppe Russo: l'indagine sul suo omicidio ha prodotto un altro errore. Per la sua morte, infatti, sono stati condannati tre pastori e, solo vent'anni dopo, si è scoperto che esecutori e mandanti erano stati invece i Corleonesi. Ma il caso forse più paradossale di abbaglio giudiziario risale al 2005. Ne fu vittima Maria Columbu, 40 anni, sarda, invalida, madre di quattro bambini: condannata a quattro anni con l'accusa di eversione per dei messaggi goliardici diffusi in rete, nei quali insegnava anche a costruire "un'atomica fatta in casa". Nel 2010 fu assolta con formula piena. Per l'ultimo giudice, quelle istruzioni terroristiche erano "risibili" e "ridicole". Ma quanti sono, in Italia, gli errori giudiziari? Quante persone hanno scontato, da innocenti, anni e anni di carcere? Quante vite e quante famiglie sono state distrutte? "Una statistica ufficiale, ministeriale, ci dice che tra il 2003 e il 2007 ci sono stati circa ventimila errori giudiziari, un numero enorme del quale non si parla mai, se non nei casi che fanno notizia. Ci sono poi vicende famose, e sconcertanti, rilanciate ogni volta che si scoprono nuovi episodi: dal caso Tortora al caso Barillà. Ottomila richieste di risarcimento negli ultimi 10 anni. Le ingiuste detenzioni e l'enorme costo economico che comportano sono ormai al centro di una battaglia politico-legale avviata dalle associazioni contro gli errori giudiziari. Analizzando sentenze e scarcerazioni degli ultimi 50 anni, Eurispes e Unione delle Camere penali italiane hanno rilevato che sarebbero cinque milioni gli italiani dichiarati colpevoli, arrestati e rilasciati dopo tempi più o meno lunghi, perché innocenti. Errori non in malafede nella stragrande maggioranza dei casi, che però non accennano a diminuire, anzi sono in costante aumento. Bisogna che qualcuno dica alla gente che quello che succede ad Avetrana succede in tutta Italia. Tante le similitudini con i fatti di cronaca riportati dai media. Informazione e giustizia. Simbiosi cinica e bara, sadismo allo stato puro. Parliamo di Franco Califano. È stato arrestato due volte per cocaina, una volta nell’ambito del caso Chiari-Luttazzi (una serie di personaggi dello spettacolo messi in cella per droga nel 1970 e poi tutti assolti), un’altra all’interno del caso Tortora (l’inchiesta della magistratura napoletana che accusò falsamente il popolare presentatore di essere un boss della Camorra, uno dei più grandi scandali giudiziari degli anni Ottanta). In tutto s’è fatto per questo tre anni e mezzo di carcere. Suo commento: «Negli anni Settanta sono finito nel processo di Walter Chiari, negli anni Ottanta in quello con Tortora: possibile che alla mia età, con la mia carriera non me ne sono meritato uno tutto per me?». Stranamente, o forse no - scrive Valter Vecellio su “L’Opinione” - sarebbe stato strano il contrario, quasi tutti i giornali (non più di un paio le eccezioni), ricordando Franco Califano, hanno fatto cenno alle disavventure giudiziarie del “Califfo” limitandole alla vicenda che portò in carcere Walter Chiari e Lelio Luttazzi, per uso e spaccio di droga. E anche su questo si potrebbe dire: che ogni volta che richiama in causa Luttazzi si dovrebbe aver cura di ricordare che “el can de Trieste” era assolutamente estraneo ai fatti contestati, solo tardivamente venne riconosciuto innocente, patì una lunga e ingiusta carcerazione, e da quell’esperienza ne uscì schiantato. Luttazzi a parte, Califano venne coinvolto, ficcato a forza è il caso di dire, nella vicenda che in precedenza aveva portato in carcere Enzo Tortora, nell’ambito di quell’inchiesta che doveva essere il “venerdì nero della camorra” e fu invece un venerdì (e non solo un venerdì) nerissimo per la giustizia italiana. Califano ci raccontò che ad accusarlo erano due "pentiti": Pasquale D' Amico e Gianni Melluso, "cha-cha". Ma D' Amico poi aveva ritrattato le sue accuse. Melluso, invece le aveva reiterate, raccontando di aver consegnato droga a Califano in un paio di occasioni: nel sottoscala del "Club 84", vicino a via Veneto, a Roma; e successivamente nell'abitazione del cantante a corso Francia, sempre a Roma. Solo che nel "Club 84" il sottoscala non c’era; e Califano in vita sua non ha mai abitato a corso Francia. Infine Califano, in compagnia di camorristi, avrebbe effettuato un viaggio da Castellammare fino al casello di Napoli, a bordo di una Citroen o di una Maserati di sua proprietà; automobili che Califano non ha mai posseduto. Califano ci raccontò che le accuse nei suoi confronti erano solo quelle di cui s’è fatto cenno; e che non si siano svolte indagini e accertamenti per verificare come stavano le cose non sorprende col senno di poi, e a ricordare come l’inchiesta in generale venne condotta. E sulle modalità investigative, può risultare illuminante un episodio in cui sono stato coinvolto. Anni fa, chi scrive venne convocato a palazzo di Giustizia di Roma, per chiarire – così si chiedeva da Napoli – come e perché in un servizio per il “Tg2”, “in concorso con pubblici ufficiali da identificare”, avevo rivelato «atti d’indagine secretati consistenti in stralci della deposizione resa in una caserma dei carabinieri dal pentito Gianni Melluso sulla vicenda Tortora». Ed ero effettivamente colpevole: avevo infatti raccontato che Melluso aveva ritrattato tutte le sue accuse; e che assieme a Giovanni Panico e Pasquale Barra aveva concordato tutto il castello di menzogne e calunnie; un segreto di Pulcinella, tutto era già stato pubblicato dal settimanale “Visto”; e il contenuto degli articoli anticipati e diffusi da “Ansa”, “Agenzia Italia” e “AdN Kronos”. Dunque, sotto inchiesta per aver ripreso notizie (vere) pubblicate da un settimanale e da agenzie di stampa. Evidentemente dava fastidio la diffusione in tv... Queste le indagini; e dato il modo di condurle, non poteva che finire in una assoluzione piena: per Tortora, per Califano, e per tantissimi di coloro che in quel blitz vennero coinvolti. Ma a prezzo di sofferenze indicibili e irrisarcibili. Indagini che la maggior parte dei cronisti spediti a Napoli, presero per buone, e furono pochi a vedere quello che poteva essere visto da tutti. È magra consolazione aver fatto parte di quei pochi; e non sorprende che questa vicenda la si preferisca occultare e ignorare. Ed ancora. Per i pubblici ministeri Vincenzo Barba e Francesca Loy, Stefano Cucchi «è morto di fame e di sete». "Tutti volevano farsi grandi con la morte di Cucchi", ha accusato il pubblico ministero Vincenzo Barba. Che ha ricordato le difficoltà affrontate nel corso delle indagini a causa ''del clamore mediatico insopportabile'' e in particolare per proteggere quello che ritiene essere il testimone ''credibile'', l'immigrato Samura Yaya. "Abbiamo avuto l'esigenza di tutelarlo come fonte di prova - ha continuato Barba - A un giorno dall'incidente probatorio tutti hanno tentato di raggiungerlo, anche il senatore Stefano Pedica. Noi abbiamo dovuto fare una lotta impari per difendere la nostra fonte di prova da un attacco politico e giornalistico, tutti volevano farsi grandi con la morte di Cucchi. Il processo è stato difficile - ha detto il pm Barba - anche a causa di varie rappresentazioni dei fatti che sono state portate fuori dal processo. I mass media hanno influito sull'opinione pubblica. C'è chi ha voluto dare una rappresentazione della realtà diversa da quella emersa dal processo''. «Riteniamo inaccettabile e gravemente offensive le dichiarazioni del pm Barba sul conto di Stefano e di tutti noi - commenta la sorella Ilaria Cucchi - Continuo a chiedermi chi sono gli imputati nel processo per la morte di mio fratello. Non posso accettare che non venga riconosciuta la verità su quello che è successo a Stefano tutto il resto non mi interessa - ha aggiunto con gli occhi lucidi - La verità la sanno tutti. Io, speravo che entrasse anche nell'aula di giustizia e continuo ad avere fiducia nella Corte: ripongo in loro tutta la mia fiducia, perché ogni risposta che non sia coerente con quanto accaduto a Stefano, ogni risposta ipocrita noi non la possiamo accettare. L'atteggiamento che abbiamo notato oggi in aula è perfettamente coerente con quello che e stato l'atteggiamento della procura per tutta la durata del processo, tanto che spesso viene da chiedersi chi sono gli imputati nel processo per la morte di mio fratello. La responsabilità dei medici è assolutamente gravissima e innegabile, loro non sono più degni di indossare un camice, questo lo abbiamo sempre detto e continueremo a sostenerlo fino alla morte. Loro avrebbero potuto salvare mio fratello e non lo hanno fatto, si sono voltati dall'altra arte e non si può far finta di niente, come non si può far finta che Stefano sarebbe finito in quell'ospedale per cause che non c'entrano con il pestaggio. Non si può negare che Stefano fino a prima del suo arresto conduceva una vita assolutamente normale. Abbiamo discusso per anni con la procura della frattura di l3. Ora apprendo che si è concordemente riconosciuto che gli accertamenti ed i prelievi sono stati fatti sulla maggior parte della vertebra lasciando fuori proprio quella in discussione. In particolare i consulenti del Pm hanno prelevato tessuto osseo della vertebra nella parte opposta ed interna dove, guarda caso , vi era una vecchia frattura . Non solo, ma poi è emersa evidente un'altra frattura ad l4, cioè così vicina e sotto ad l3 da non poter non far pensare che entrambe siano state procurate a Stefano con un calcio od un colpo diretto proprio in quella zona. Tutti i medici che lo visitarono notarono segni evidenti e particolare dolore lamentato da mio fratello proprio lì. Gli stessi consulenti del Pm hanno fotografato abbondante sangue sui muscoli della stessa zona, che, visti al microscopio, risultano anche lacerati. Insomma la schiena di Stefano è massacrata di fratture e la procura procede per lesioni lievi. Ora, dopo aver detto che la frattura di l3 su cui i miei consulenti discutevano, era in realtà vecchia, mi aspetto che su quella di l4 si dica che se l'è procurata da morto. Siamo veramente stanchi di questo teatrino tragicomico». Ed ancora. La madre di Yara Gambirasio, Maura Panarese, ha scritto al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a più di due anni dalla morte della figlia. Il testo della lettera parla di "Scarsa collaborazione degli investigatori con la parte lesa". E' quanto rivela la puntata "Quarto Grado" andata in onda venerdì 25 gennaio 2013. Secondo quanto riferito dalla trasmissione, nella lettera inviata al Capo dello Stato, la madre di Yara esprime le proprie critiche nei confronti di chi ha eseguito l’inchiesta. Un’indagine che si è concentrata, prima sul cantiere di Mapello, poi sull’ipotetico figlio illegittimo di un autista bergamasco morto da anni, basandosi sul Dna. La donna manifesta dunque al Presidente Napolitano tutto il dolore e lo sconforto perchè, dopo anni d’indagini, la figlia non ha ancora avuto giustizia. A proposito del delitto di Sarah Scazzi e di Yara Gambirasio e gli autogol della giustizia e del giornalismo italiano. Vi ricordate il caso di Giusy Potenza, antesignano del delitto di Avetrana? Giusy Potenza viene uccisa a Manfredonia con una grossa pietra. Il suo corpo è ritrovato il pomeriggio successivo all'omicidio sulla scogliera, vicino allo stabilimento ex Enichem. In un bar del centro di Manfredonia Carlo Potenza, padre di Giusy, accoltella per vendetta Pasquale Magnini, padre di una delle ragazze arrestate con l'accusa di aver indotto Giusy alla prostituzione. Il suicidio di Grazia Rignanese madre di Giusy Potenza è l'ultimo episodio di un caso che ha sconvolto l'esistenza della famiglia Potenza e scosso la cittadina di Manfredonia, in provincia di Foggia. Il caso scuote la città del Gargano che viene assediata nei giorni successivi dalle tv nazionali e locali in cerca di risoluzioni per quello che diviene un caso di cronaca nazionale. È stato un periodo di tensione e terrore, quello che si è consumato a Manfredonia, sessantamila abitanti, una quarantina di chilometri da Foggia. Per mesi questa fetta del Gargano è stata sotto shock per la tragica fine di Giusy, uccisa a colpi di pietra da Giovanni Potenza, un pescatore di 27 anni, che 40 giorni dopo (il 23 dicembre 2004) venne arrestato dalla polizia e che confessò l'omicidio: l'uomo, un cugino del padre della ragazza, ha ammesso di aver colpito la vittima con una pietra perché tra loro c'era una relazione e lei minacciava di raccontare tutto a sua moglie se l'avesse lasciata. Il ricordo della povera Giusy è ancora vivo in tutta la comunità accusata a suo tempo di omertà come tutte le comunità che subiscono vicende analoghe. Una vicenda drammatica con molti colpi di scena seguitissima da stampa e tv. Speciali tv sono stati dedicati al caso dalla solita Rai Tre con il programma “Ombre sul giallo”, ideato, scritto e condotto da Franca Leosini. Entrano nell'inchiesta altre due ragazze: si tratta di Sabrina Santoro e Filomena Rita (Floriana) Magnini, che vengono arrestate con l'accusa di favoreggiamento e false dichiarazioni, oltre che di induzione e sfruttamento della prostituzione. Intanto l’8 ottobre 2011 per quel delitto il pianto liberatorio delle due amiche accompagna la lettura della sentenza del presidente della sezione “famiglia” della corte d’appello di Bari, che ribalta il verdetto di primo grado di condanna a 4 anni di carcere a testa per favoreggiamento della prostituzione emessa dal Tribunale di Foggia l’11 ottobre del 2007. Sabrina Santoro, 30 anni, e Filomena Rita (Floriana) Mangini di 25 anni, non hanno favorito la prostituzione di Giusy Potenza, la quattordicenne sipontina ammazzata a pietrate il 13 novembre del 2004 da un procugino con il quale aveva una relazione clandestina, che lei minacciava di rivelare se lui non avesse lasciato la moglie. Le due imputate sono state assolte per non aver commesso il fatto, dopo due ore di camera di consiglio; pg e parte civile chiedevano la conferma della condanna a 4 anni, la difesa l’assoluzione. Le ragazze accusate malamente in vario modo si rammaricano del fatto che i giornali e le tv pronti ad infierire con accanimento mediatico su di loro, nel momento in cui vi è stata per loro stesse una sentenza di assoluzione, omertosamente i medesimi giornalisti hanno censurato la notizia, tacitando gli errori dei magistrati. Sono loro a gridare con una testimonianza esclusiva al dr Antonio Giangrande, scrittore (autore anche del libro su Sarah Scazzi, già pubblicato sul web) e presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie. In sintesi il loro pensiero conferma un tema ricorrente identico a sé stesso: povero territorio e poveri protagonisti della vicenda, vittime sacrificali di un sistema mediatico che nell’orrore e nella persecuzione ha la sua linfa. Si inizia con uno strillio del citofono, con le forze dell’ordine che ti cercano. In quel momento ti casca il mondo addosso. E’ un uragano che ti investe. Ti scontri con procuratori della repubblica innamoratissimi della loro tesi di accusa, assecondati dal Tribunale della loro città e sostenuti da giornalisti che pendono dalla loro bocca o che si improvvisano investigatori. E l’opinione pubblica, influenzata dalla stampa, ti odia fino ad augurarti la morte. «Dalla sentenza che ha acclamato la nostra estraneità ai fatti, nessuno ci ha cercato per ristabilire la verità e per renderci la nostra dignità e la nostra reputazione. Chi è schiacciato dal tritasassi della giustizia, anche se innocente, è frantumato per sempre». E’ il pensiero di Sabrina Santoro e Filomena Rita (Floriana) Magnini, ma possono essere le affermazioni di migliaia di innocenti che da queste vicende ne sono usciti distrutti. Certo Giusy Potenza merita la nostra attenzione, ma non meritano forse analoga compassione le altre vittime di questa vicenda? Sabrina Santoro e Filomena Rita (Floriana) Mangini additate da tutti come “puttane” che hanno indotto Giusy alla prostituzione e accusate di essere state responsabili indirettamente della sua morte. Bene se nessuno lo fa, sarò io a ristabilire la verità e a dar voce a quelle vittime silenti, che oltraggiate dalla gogna mediatica, non sono mai oggetto di riabilitazione da parte di chi ha infangato il loro onore. Quei media approssimativi e cattivi che si nutrono delle disgrazie altrui. La verità si afferma dall’alto di un fatto: una sentenza definitiva di assoluzione. La verità tratta da un fatto e non dedotta da un opinione di un giornalista gossipparo. Il fenomeno Vallettopoli era appena cominciato: un tormentone mediatico che aveva trasformato la tranquilla e sonnecchiante città di Potenza in un vero e proprio “ombelico del mondo”, scriveva Stella Montano sul “Quotidiano della Basilicata”. Giornalisti, reporter, fotoreporter, cameraman di testate giornalistiche e agenzie di stampa di tutt’Italia, tutti a Potenza, per studiare da vicino quella che sarebbe stata una delle inchieste più discusse degli ultimi anni; ma anche autisti, avvocati, segretari, agenti di spettacolo al servizio di veline e soubrette, di attori e calciatori, chiamati a rispondere alle difficili domande del pm che aveva aperto le indagini sulle presunte estorsioni ai danni di vip, attività che aveva fatto la fortuna dell’agenzia “Corona’s”, il cui logo, in quel periodo era diventato uno status symbol, consolidato persino dinanzi al carcere di Potenza, il 29 marzo del 2007, giorno del suo 33esimo compleanno, festeggiato dai suoi collaboratori più fedeli con una grande torta e con tanto di candeline. Albergatori e ristoratori felici del tutto esaurito; trovare un posto libero in un pub o in una pizzeria era diventata un’impresa. Esaurite sin dalle prime ore del mattino le copie di quotidiani, settimanali e periodici: la voglia di leggere era diventata dilagante, dirompente. Per i 3 tassisti in servizio in città, spola ininterrotta dalla stazione al tribunale, dagli alberghi al carcere: un lavoro così estenuante a Potenza non si era mai visto. Come non si era mai visto che qualcuno prendesse addirittura dei giorni di ferie dal lavoro per non perdersi uno spettacolo “live” senza eguali, tra le inferriate del Tribunale. Tra flash e microfoni buttati letteralmente in aria, il passaggio super scortato di Raoul Bova, Loredana Lecciso, Diego Della Valle, Fernanda Lessa, Nina Moric, aveva mandato in visibilio anche studenti, adolescenti e ragazzine, pronte ad immortalare con un flash quel passaggio dorato di vittime/carnefici del “sistema Corona”. Girandola di starlette e paillettes che in quei giorni avevano di fatto trasformato la visione del capoluogo lucano agli occhi del mondo mediatico. Merito di quel “pm biondo che faceva impazzire il mondo” che aveva scoperchiato le malefatte di un “ragazzo insolente” di nome Fabrizio Corona. Qualcuno aveva persino proposto di far diventare Henry John Woodcock «assessore al turismo del comune di Potenza». Starlette, gossip ed inchieste giudiziarie. Le tante Ruby dell’informazione e della giustizia italiana. Guerra, Berardi, Polanco, Faggioli… Che fine hanno fatto le “olgettine”? Qualche anno fa non si parlava che di loro, oggi sono quasi dimenticate. Da Barbara Guerra a Iris Berardi, da Marysthell Polanco a Barbara Faggioli. Che fine hanno fatto le cosiddette ragazze del bunga-bunga? E quelle che abitavano nell’ormai famigerato appartamento di via Olgettina, a Milano? Non si parlava d’altro, i quotidiani erano ricchi tutti i giorni di notizie e segnalazioni sulle loro imprese e i rotocalchi si contendevano le loro immagini «rubate» durante costosissime incursioni nel quadrilatero della moda, in centro a Milano, per l’immancabile shopping quotidiano. Erano tante le ragazze in qualche modo entrate nell’elenco delle donne attribuite a Silvio Berlusconi. “Oggi” le aveva contate una a una: da Nicole Minetti a Maryshtell Garcia Polanco, da Roberta Bonasia a Barbara Faggioli, da Alessandra Sorcinelli a Iris Berardi, per non parlare di Ruby Rubacuori. L’elenco, alla fine, ne conteneva ben 131. È passato, come dicevamo, solo qualche anno. Per qualcuno il ricordo di quelle ragazze è già sbiadito. Per altri sono rimaste nella memoria collettiva. «Subisco dai giudici violenza psicologica, una vera e propria tortura, una pressione insostenibile». Lo ha detto Ruby, all’anagrafe Karima El Mahroug, la giovane marocchina al centro del processo sui festini hard nella residenza di Silvio Berlusconi ad Arcore, che il 4 aprile 2013 ha inscenato una protesta contro i magistrati davanti al Palazzo di Giustizia di Milano. La giovane ha letto un comunicato stampa lungo sei pagine sulle scale del tribunale e si è presentata con un cartello che recitava 'Caso Ruby: La verità non interessa più?'. Protesta anche contro la stampa, che a suo parere strumentalizza la sua storia: «Per colpire Berlusconi la stampa ha fatto male a me. Oggi ho capito che è in corso una guerra contro Berlusconi e io ne sono rimasta coinvolta, ma non voglio che la mia vita venga distrutta». Ruby ha letto un comunicato che ha consegnato ai giornalisti presenti. «La colpa della mia sofferenza è anche di quei magistrati che, mossi da intenti che non corrispondono a valori di giustizia, mi hanno attribuito la qualifica di prostituta, nonostante abbia sempre negato di aver avuto rapporti sessuali a pagamento e soprattutto di averne avuti con Silvio Berlusconi. Non sono una prostituta. Nessuno ha voluto ascoltare la mia verità, l’unica possibile. Voglio essere ascoltata dai magistrati per dire la verità, sono la parte lesa in questa vicenda. Voglio protestare per non essere stata sentita. Non ne capisco la ragione e intendo dirlo pubblicamente. La violenza che più mi ha segnato è stata quella del sistema investigativo. Dei ripetuti interrogatori che ho subìto, soltanto alcuni sono stati messi a verbale. Trovo sconcertante e ingiusto che nessuno voglia ascoltarmi, soprattutto perché secondo l'ipotesi accusatoria io sarei la parte lesa, secondo la ricostruzione dei pm sarei la vittima. Oggi dopo aver sopportato tante cattiverie sono qui a chiedere di essere sentita. Sono vittima di uno stile investigativo e di un metodo fatto di domande incessanti sulla mia intimità, le propensioni sessuali, le frequentazioni amorose, senza mai tenere conto del pudore e del disagio che tutto ciò provoca in una ragazza di 17 anni. A 17 anni non sapevo nemmeno chi fossero i pm, non leggevo i giornali, a malapena sapevo chi fosse Berlusconi. Oggi ho capito che è in corso una guerra nei suoi confronti che non mi appartiene, ma mi coinvolge, mi ferisce. Non voglio essere vittima di questa situazione non è giusto. Chiedo che qualcuno ascolti quello che ho da dire, voglio raccontare l'unica verità possibile e lo voglio fare in sede istituzionale. La violenza che più mi ha segnato è stata quella di essere vittima di uno stile investigativo fatto di promesse mai mantenute di aiutarmi a trovare una famiglia e di proseguire gli studi. Alla pressione incessante dei magistrati ho ceduto: era più facile dire sì e raccontare storie inverosimili, piuttosto che farmi angosciare o peggio far accettare la verità che avrei voluto raccontare. Ho deciso di parlare per rispondere a chi, magistrati e giornalisti inclusi, mi ritiene una poco di buono. Sono spiaciuta di aver fatto una cavolata dicendo che ero parente di Mubarak». E contro i magistrati: «Non c’è la prova che mi prostituissi, l’atteggiamento degli investigatori fu amichevole poi cambiò quando capirono che non avrei accusato Silvio Berlusconi. A quel punto sono iniziate le intimidazioni subliminali, gli insulti nei confronti delle persone che mi avevano aiutato...una vera e propria tortura psicologica. Una volta - ha raccontato ancora Ruby - non potendone più sono addirittura scappata dalla comunità di Genova in cui mi trovavo per non dover subire ancora quella pressione e l'unico che si preoccupò e mi convinse a rientrare è stato un amico al quale sono tuttora affezionata. Sono rientrata e di fronte alla pressione incessante dei magistrati ho ceduto: era più facile dire sì e raccontare storie inverosimili piuttosto che farmi angosciare o peggio far accettare la verità che avrei voluto raccontare. Mi sono resa conto - ha continuato - che a loro non interessava nulla di me. Ho raccontato di aver incontrato persone che conoscevo solo grazie ai rotocalchi, come Cristiano Ronaldo o Brad Pitt e dentro di me mi domandavo come fosse possibile che non si accorgessero che erano frottole. Questa è stata la peggiore delle violenze che ho subito, oltre alle costanti diffamazioni riportate dalla stampa alle quali mi pento di non aver reagito prima. Ho  raccontato tante bugie, anche ai magistrati, perché mi vergognavo di me, del posto in cui sono nata, della mia famiglia, dei piccoli lavori di fortuna che sono stata costretta a fare per racimolare qualche spicciolo. Per questo ho raccontato bugie per sentirmi diversa e per convincere anche gli altri che lo fossi davvero, diversa come avrei voluto essere sempre. Mi spiace aver raccontato queste bugie anche a Silvio Berlusconi, il quale, oggi, sono sicura, si sarebbe dimostrato rispettoso e disposto ad aiutarmi anche se avessi detto la verità. La verità è che vengo da una paesino che si chiama Letojanni e che la mia famiglia vive in condizioni di grande precarietà. La verità è che per tanto tempo volevo essere un'altra persona e adesso pago il conto: il rischio di vivere il resto della mia vita con appiccicato il marchio infamante della prostituta che qualcuno ha voluto affibbiarmi a tutti i costi. Quanto alla finta parentela, «mi spiace di aver detto altre bugie sulle mie origini, ho giocato di fantasia perché il vecchio passaporto me lo ha permesso». E, per essere ancor più credibile, la giovane marocchina ha mostrato ai giornalisti un falso passaporto nel quale compariva il nome di Mubarak. «Presentarmi come la nipote di Mubarak - ha aggiunto Ruby - mi serviva a costruire una vita parallela, diversa dalla mia. Mi serviva a mostrare un’origine diversa, lontana dalla povertà in cui sono nata e cresciuta e dalla sofferenza che ho patito prima e dopo aver lasciato la mia famiglia in Sicilia. Ho subito un ennesimo episodio di intolleranza, quando la domenica di Pasqua una persona guardando mia figlia ha detto “spero che non diventi come sua madre”. Voglio che si sappia che la colpa è di quella stampa che per colpire Silvio Berlusconi ha fatto del male a me. Parlo di quei giornalisti che mi hanno violentato pubblicando le intercettazioni telefoniche che mi riguardavano». La ragazza ha spiegato di essere stata «umiliata per troppo tempo» e, ha aggiunto, «se questo è il Palazzo di Giustizia voglio che giustizia sia fatta». «Non voglio - ha concluso Ruby - essere distrutta, non voglio che venga distrutto il futuro di mia figlia a causa di un gioco pericolosissimo molto più grande di me nel quale sono stata trascinata con violenza quando avevo solo 17 anni. Voglio che mia figlia sia fiera di me». Intanto la «strega» diventa oggi l’ultima fatica letteraria di Mario Spezi in “L’angelo dagli occhi di ghiaccio” che sarà in libreria a fine marzo 2013 ma solo in Germania, perché gli editori italiani e quelli americani non lo hanno voluto stampare. Questa volta non è una ragazza chiamata Sabrina, ma una ragazza chiamata Amanda. Lasciatasi alle spalle la drammatica esperienza del Mostro, Spezi con il suo amico Douglas Preston, scrittore americano impegnato anche lui nella controinchiesta sui delitti di Firenze, in questo libro non raccontano solo la lunga vicenda giudiziaria di Amanda e Raffaele ma stabiliscono un inquietante collegamento fra l’inchiesta sul Mostro di Firenze e l’omicidio di Meredith. Due inchieste condotte dallo stesso Pm, Giuliano Mignini: «Con gli stessi argomenti», scrivono Spezi e Preston. «Rituali osceni, riti satanici, orge di sesso e sangue, omaggi a Satana, come aveva predetto una “santona” che, con le sue rivelazioni, aveva dato un contributo importante al magistrato nelle indagini sul Mostro». Amanda sembra non avere dubbi. «Contro di lei uno stillicidio che ha influito sulle persone». «L’aveva intuito anche Raffaele Sollecito che pochi giorni dopo la sua assoluzione mi confidò: “Ho capito benissimo che la mia storia è stata solo l’apice di quella di Mignini e dell’indagine perugina sul Mostro di Firenze”», rivela Spezi. Che aggiunge: «Senza l’antefatto del Mostro non si capisce fino in fondo cosa sarebbe avvenuto a Perugia nei quattro anni successivi. Un antefatto che aprì le porte dei tribunali a una nuova versione dell’antica caccia alle streghe». Ma come è stata costruita la «strega Amanda»? Spiega Spezi: «Con uno scientifico stillicidio di notizie a senso unico iniziato poche ore dopo il suo arresto. Non dimentichiamoci che quattro giorni dopo gli inquirenti annunciarono: “Il caso è chiuso”. Oggi sappiamo che nessuno di loro è colpevole. Ma in primo grado Raffaele e Amanda furono condannati. E l’opinione pubblica era colpevolista. Per loro fortuna i giudici dell’Appello fecero fare una nuova perizia scientifica e il risultato per l’Accusa fu uno tsunami: “Tutti gli accertamenti tecnici svolti prima non sono attendibili”, stabilirono i nuovi periti. Malgrado ciò fuori dal Tribunale la sera dell’assoluzione centinaia di persone accolsero la sentenza urlando: “Vergogna”. Evidentemente erano manipolati da una falsa informazione. Per loro la strega doveva finire al rogo. Tutti i mezzi di informazione diedero il massimo risalto all’assoluzione ma ben pochi indagarono sul perché era avvenuta una storia tanto grave. E ancora oggi in America chi osa difendere Amanda rischia addirittura l’incolumità. Ne sa qualcosa il mio amico Preston che sul suo blog riceve spesso pesanti minacce». Sul delitto di Sarah Scazzi sono stati scritti fiumi di parole e mandati in onda migliaia di ore di disquisizioni giornaliere sull’argomento, in salotti con gente che si improvvisava esperta di sociologia e di diritto. Avetrana è stata invasa da orde di giornalisti, ognuno portatore di pregiudizi e luoghi comuni. Sentimenti che hanno trasbordato ai loro lettori. Io conoscitore attento delle vicende umane in Italia in tema di violazione dei diritti umani in ambito della giustizia e dell’informazione, ho voluto riportare un punto di vista oggettivo che nessuno mai ha ed avrebbe avuto il coraggio di riportare. La storia di Sarah da me riportata è intrisa di storie analoghe alla sua. Ho rapportato il comportamento di media e magistratura per poter fare un parallelismo tra le varie vicende.  Chi legge i miei libri, e quello su Sarah Scazzi in particolare, non rimarrà deluso, ma si arricchirà di informazioni mai da alcuno riportate. Per esempio nessuno ha mai parlato di Valentino Castriota, il portavoce della famiglia Scazzi, che nelle prime settimane viveva in quella casa. Il Castriota non è stato mai chiamato a riferire quanto lui avesse saputo in quei giorni. Come strano è – così come ha sottolineato Franco De Jaco, difensore di Cosima Serrano, criticando l’operato della Procura – il perché, quando si è accertato che Sarah, uscita da casa, era arrivata in quella dei Misseri, non è stata sequestrata l’abitazione dei Misseri?»

Tutto sbagliato, tutto da rifare: la disastrata malagiustizia all’italiana funziona così. E’ d’accordo con me Luca che scrive su “Menti Informatiche”. Processi che durano una vita e non concludono nulla; indagini che non finiscono mai; sentenze parziali e pasticciate che non reggono l’urto dell’analisi logica e costringono spesso a ricominciare tutto daccapo. Non a caso, nella speciale classifica redatta dalla Banca mondiale sul funzionamento della giustizia, l’Italia si piazza al 155° posto su 185 Paesi: siamo meglio dell’Afghanistan, ma peggio della Sierra Leone, del Malawi, dell’Iraq e della Bolivia. Per celebrare il più clamoroso processo penale di tutti i tempi, quello che nel 1946, a Norimberga, giudicò e condannò i crimini del Terzo Reich e dei gerarchi e militari nazisti, cioè 12 anni di storia, bastarono 11 mesi. Al 4 aprile 2013, dopo cinque anni e quattro mesi, noi ancora non sappiamo cosa successe veramente nella villetta di Perugia dove fu uccisa Meredith Kercher; dopo cinque anni e sette mesi, ignoriamo chi sia l’assassino di Chiara Poggi a Garlasco; dopo due anni e sette mesi dall’uccisione di Sarah Scazzi ad Avetrana si è ancora al primo grado; dopo due anni e quattro mesi, brancoliamo nel buio per l’omicidio di Yara Gambirasio a Brembate. Ci sono voluti 22 anni per ritrovarsi al punto di partenza sul mai risolto assassinio di Simonetta Cesaroni, in via Poma, a Roma; 20 anni per scoprire finalmente che l’omicida della contessa Alberica Filo Della Torre, all’Olgiata, è, nel la più classica tradizione giallistica, il maggiordomo filippino Manuel Winston, peraltro in chiodato da una intercettazione disponibile tre giorni dopo il delitto che però non fu mai ascoltata; 20 anni per avere la certezza che se le indagini sulla scomparsa di Elisa Claps a Potenza nel 1993 fossero state svolte con un minimo di competenza, il caso si sarebbe risolto in poche ore e forse Danilo Restivo non avrebbe ucciso nel 2002 in Inghilterra la sartina Heather Barnett. A proposito, qualcuno dovrà pur spiegare ai genitori della studentessa inglese Meredith Kercher, come mai un tribunale di Sua Maestà ha impiegato un anno e l i giorni per arrestare e condannare Restivo all’ergastolo, mentre noi siamo ancora in alto mare nel delitto di Perugia. Secondo le statistiche europee, i processi penali in Italia durano in media otto anni; negli altri Paesi dell’Unione, al massimo tre; negli Stati Uniti, invece, si va da un minimo di un giorno a un massimo di una settimana per la stragrande maggioranza dei casi. In Norvegia, sono bastate 10 settimane per processare e condannare Anders Breivik, autore della strage di Utoya (77 persone uccise a fucilate). Da noi ci sono processi, quelli privilegiati, accelerati perché illuminati dal faro mediatico, che avanzano faticosamente al ritmo di un’udienza a settimana e processi che si inceppano per fatti incredibili: a gennaio 2013 la Corte di Cassazione ha annullato per vizio di forma il deposito delle motivazioni del processo «Crimine infinito» sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Lombardia (110 persone condannate) perché la stampante si era rotta e mancavano 120 delle 900 pagine.

Da queste sue parole si evince che lei non ha remore a parlare degli errori, veri o presunti, commessi dai magistrati di Taranto.

«I magistrati di Taranto ed il loro operato. Il solo che si è ribellato allo strapotere dei magistrati tarantini in ambito locale è stato il dr. Antonio Giangrande, me medesimo. Io ho presentato svariate denunce a Potenza e presso altre procure competenti, quando Potenza non è intervenuta per abuso ed omissione commessi presso gli uffici giudiziari Tarantini. Naturalmente, lasciato solo, non potevo che subire l’onta del linciaggio, dell’accusa di mitomania o pazzia e dell’accanimento giudiziario, che nei miei confronti non ha prodotto alcuna condanna penale per reati d’opinione. Oggi non sono più solo. Anche l’Ilva con un esposto a Potenza denuncia i magistrati tarantini: "Accanimento contro di noi. Verificate se hanno commesso reati". La denuncia è stata depositata negli ultimi giorni di marzo 2013 da parte dell'avvocato Leonardo Pace per conto dello studio De Luca di Milano che segue l'azienda. Non dall’avvocato tarantino che segue gli interessi dell’azienda. Egidio Albanese, avvocato già presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Taranto ed in buoni rapporti istituzionali con quei magistrati. D'altronde un ex prefetto e i magistrati erano fatti appositamente per lavorare a braccetto. Invece sono finiti in tribunale: il presidente dell'Ilva Bruno Ferrante, noto per la sua moderazione e la stima che ha nella magistratura, ex Prefetto di Milano già candidato a Milano proprio per il centrosinistra, ha denunciato in procura a Potenza i magistrati tarantini che si stanno occupando del siderurgico e i custodi incaricati di vigilare il sequestro. A Taranto i magistrati non applicano la legge: loro SONO LA LEGGE. Questo atteggiamento li ha portati a disapplicare le leggi dello Stato, ma per la Corte Costituzionale la legge salva-Ilva è legittima. E dunque il colosso dell'acciaio può continuare a produrre. Perché quelle norme varate per permette all'azienda di restare in vita "non hanno alcuna incidenza sull'accertamento delle responsabilità nell'ambito del procedimento penale in corso davanti all'autorità giudiziaria di Taranto". Un'interpretazione che fa a pugni con quella dei giudici tarantini per il quali autorizzare la produzione equivale a una autorizzazione a inquinare. Anzi, a continuare a inquinare.  Questa la decisione presa dalla Consulta sulla legge 231/2012 varata a dicembre a stragrande maggioranza dal Parlamento, che ha convertito il decreto del governo Monti, intervenuto dopo il sequestro dell'area a caldo dello stabilimento e l'apertura della querelle giudiziaria che ha visto contrapporsi magistratura e politica nella ricerca di una soluzione per Taranto e per la salute dei suoi cittadini. L’azienda che ha anche minacciato di chiedere i danni per i mancati introiti, appellandosi proprio al via libera concesso con la salva-Ilva. Il lungo conflitto sulla legge è partito lo scorso luglio 2012: da un lato i magistrati di Taranto che indagano per disastro ambientale, dall'altro il governo e il parlamento che con la legge hanno di fatto superato quel provvedimento per evitare il blocco dell'attività del siderurgico. Per la Corte Costituzionale sono in parte inammissibili, in parte infondate le questioni di legittimità sollevate. Secondo il Tribunale, la norma con i suoi tre articoli ne viola cinque della Costituzione. Il gip Todisco, invece, ha rilevato elementi per sostenere la violazione di ben diciassette articoli della carta costituzionale. Profili di incostituzionalità - tra cui quello sul diritto alla salute e quello sull'indipendenza della Magistratura - che però non hanno retto al vaglio della Consulta, per la quale lo stabilimento tarantino può proseguire l'attività produttiva e la commercializzazione dei prodotti nonostante i provvedimenti di sequestro disposti dall'autorità giudiziaria. Una puntualizzazione di diritto al fine di spiegare l’eventuale scontato esito della denuncia a Potenza. Il diritto non prevede l’istituto dell’insabbiamento: o rinvio a giudizio per i denunciati o procedimento per calunnia contro Ferrante e Buffo. Chiaro no?!? Sono passati giorni da quando (11 novembre 2010) un magistrato della Procura della Repubblica di Taranto Matteo Di Giorgio è stato rinchiuso in casa agli arresti domiciliari dai Magistrati del Tribunale di Potenza. Magistrati denunciati proprio da Di Giorgio. Premettiamo che a marzo 2010 il Magistrato Matteo Di Giorgio aveva denunciato sia il Magistrato della Procura della Repubblica di Potenza Laura Triassi (M.D.) sia l'ex maresciallo Leonardo D’Artizio alla Procura della Repubblica di Catanzaro per abusi nelle indagini contro di lui. In pratica la dott.sa Laura Triassi si serviva per le indagini contro il collega Matteo Di Giorgio del Maresciallo Leonardo D’Artizio, sottoufficiale dell’arma non più in servizio in quanto espulso dall’Arma perché imputato di maltrattamenti e di altri gravi reati, dai quali era scaturito anche un suicidio di un carabiniere, suo subalterno. La denuncia di Di Giorgio contro la dott.sa Laura Triassi e il maresciallo Leonardo D’Artizio provocò la reazione irata dei magistrati di Magistratura democratica, i quali intimarono a Di Giorgio di chiedere lui stesso il trasferimento presso la Procura della Repubblica di Pescara, dove c’era un posto libero, pena spiacevoli conseguenze per lui. Conseguenze che poi si sono puntualmente verificate. C’è una cittadina in provincia di Taranto di 17.000 anime che si chiama Castellaneta, in cui risiedono un parlamentare del P.D Rocco Loreto ed un magistrato della locale Procura della Repubblica di Taranto Matteo Di Giorgio, i cui parenti militano politicamente nell’area di centro-destra. Nell'anno 2000 infatti il parlamentare del P.D. dopo aver perso le elezioni comunali a Castellaneta, inoltra contro il Magistrato Matteo Di Giorgio ben tre denunce penali una di fila all’altra: 6 aprile 2000, 31 maggio 2000 e 2 giugno 2000. Le denunce però vengono dirottate a Potenza (sede competente a giudicare dei reati in cui è parte lesa un Magistrato che esercita le sue funzioni nel distretto di Taranto) e - fatto imprevisto - pervengono nelle mani di John Woodkock. Woodckock non è un Magistrato condizionabile, indaga da par suo e scopre che nel 2001 il parlamentare aveva contattato un imprenditore tal Francesco Maiorino, testimone nel processo affinché calcasse la mano su Di Giorgio e lo accusasse di fatti non veri per ipotizzare una sua possibile corruzione giudiziaria. Di fronte a fatti di questa gravità Woodckock arresta il parlamentare. Però, nonostante Woodckock, il processo per calunnia va avanti molto a rilento. Ancora nell’anno di grazia 2010 per fatti che risalgono nientedimeno che al 2001, non si è ancora concluso nemmeno il giudizio di primo grado. L'11 settembre 2009 interviene una novità. Woodckock si trasferisce a Napoli e nel Tribunale di Potenza si rafforza la presenza di M.D. Per Di Giorgio inizia presso il Tribunale di Potenza un autentico calvario. Altre denunce partano dalla penna del senatore del P.D. e l’11 novembre 2010 le parti si invertono. Di Giorgio rimane parte lesa di delitto di calunnia, ma diventa imputato di concussione in un altro processo che ha origine dalle denunce di cittadini di Castellaneta chiaramente di sinistra e viene posto lui questa volta agli arresti domiciliari. Si arriva così all’assurdo che nel processo per calunnia ancora in corso Di Giorgio magistrato e parte lesa dovrebbe comparire in catene e il parlamentare imputato di calunnia contro di lui, potrebbe irriderlo dal banco degli imputati. Uno scarno comunicato dei magistrati del Tribunale di Taranto colleghi di Matteo Di Giorgio all’indomani dell’emissione del mandato di cattura contro Di Giorgio (12 novembre 2010) esprime fiducia nell’operato dei giudici di Potenza e auspica però che la vicenda si chiarisca al più presto (ergo che in pochi giorni il collega Di Giorgio sia liberato). In un paese in cui i magistrati fanno interviste e pubblicano libri parlando delle loro inchieste ancora aperte, può sembrare surreale: eppure mercoledì 20 febbraio 2013 il Consiglio Superiore della Magistratura ha punito Clementina Forleo, giudice a Milano, negandole gli avanzamenti di carriera cui avrebbe avuto diritto non solo per anzianità ma anche per le valutazioni sulla sua professionalità («eccellente») fornite dal consiglio giudiziario di Milano e acquisite nel suo fascicolo. La colpa della Forleo è essere andata anni fa in televisione, ad Annozero, denunciando le pressioni dei «poteri forti» sull'inchiesta Bnl-Unipol, ovvero sulla scalata della assicurazione «rossa» alla Banca Nazionale del Lavoro. E l'inizio dei guai della Forleo iniziò quando chiese al Parlamento di poter trascrivere le intercettazioni delle telefonate di Massimo D'Alema e del suo compagno di partito Nicola La Torre, definendoli «complici consapevoli del disegno criminoso». La storia – si diceva una volta – è fatta di corsi e ricorsi storici. Con ciò si voleva dire che la storia è composta di vicende analoghe che di volta in volta nel tempo si ripetono. Quindi è presumibile che Clementina Forleo sia stata massacrata da una azione congiunta che ha visto convergere magistrati dalemiani di M.D. e magistrati finiani di M.I. Tra questi ultimi c’è anche quell’Alberto Santacaterina all’epoca Sostituto Procuratore presso il Tribunale di Brindisi, affiliato a M.I., la corrente di destra delle toghe che fa capo a Gianfranco Fini, il quale in pratica si è clamorosamente e apertamente rifiutato di espletare indagini sulle minacce e sugli attentati subiti dalla famiglia della Forleo, non ultimo la morte dei genitori preannunciata da una lettera anonima (“i tuoi genitori moriranno e poi morirai anche tu“;) e puntualmente verificatasi venti giorni dopo a seguito di uno “strano” incidente stradale. Alberto Santacaterina finì sotto processo per questo motivo, fu a un passo dall’essere sottoposto a mandato di cattura da parte di un valoroso magistrato della Procura della Repubblica di Potenza Ferdinando Esposito per associazione a delinquere, falso, omissioni di atti d’ufficio, abuso in atti d’ufficio e altri reati. Poi, a seguito di un altro strano incidente stradale il giudice Ferdinando Esposito precipitò in una scarpata. Stette lì lì per morire, dovette abbandonare l’inchiesta che passò – provvidenzialmente per Santacaterina – nelle mani di un Magistarto di M.D. Cristina Correlae e tutto si sistemò. In seguito Alberto Santacaterina si troverà in premio a fare il Sostituto Procuratore distrettuale anti-mafia presso la Procura della Repubblica di Lecce. Alcuni Magistrati della stessa Procura della Repubblica di Lecce vorrebbero incriminare i valorosi magistrati della Procura della Repubblica di Bari Antonio Laudati, Ciro Angelillis e Eugenia Pentassuglia sulla base di una denuncia del magistrato sempre di Bari e di M.D. Giuseppe Scelsi. I Magistrati Antonio Laudati, Ciro Angelillis e Eugenia Pentassuglia sono i magistrati i quali, meritoriamente, hanno scoperchiato il pentolone puteolento della malasanità pugliese.  Anche i magistrati del Tribunale di Taranto si son visti recapitare un messaggio inquietante attraverso l’arresto disposto dal magistrato di MD della Procura della Repubblica di Potenza Laura Triassi del loro valoroso collega Matteo Di Giorgio già delegato su Taranto per le indagini anti-mafia dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce diretta dal valoroso magistrato Cataldo Motta. Il mandato di cattura è stato poi in gran parte annullato dalla Cassazione ma al dott. Matteo di Giorgio continua a essere imposta la misura del soggiorno obbligato e la sospensione dal servizio e dallo stipendio che dura ormai da anni. Per aver pubblicato sul mio sito web le vicende attinenti il caso di Clementina Forleo, la Procura, il GIP ed il Tribunale di Brindisi, prima, e la Procura, il GIP ed il Tribunale di Taranto, poi, hanno pensato di incriminarmi per violazione della Privacy e di oscurare l’intero sito di centinaia di pagine, con vicende estranee a quelle oggetto di processo. Ma “un giudice a Berlino” ha rimesso le cose a posto, pronunciando l’assoluzione perché il fatto non sussiste. In questo processo, ossia nel processo per il delitto di Sarah Scazzi, quel che salta agli occhi di chi ha anche poca dimestichezza con le cose di giustizia e che palesemente si evidenzia è la incoerenza assoluta del pensiero dei magistrati. I moventi del delitto secondo l’accusa: gelosia per Ivano, anzi, no; lesione dell’onore e della reputazione familiare, anzi, no; gelosia tra sorelle. Uno vale l’altro, c’è solo l’imbarazzo della scelta. La ricostruzione del delitto secondo la procura avallata dal Gip di Taranto, in base alle motivazioni delle custodie cautelari di Pompeo Carriere e Martino Rosati: 6 ottobre 2010, Michele Misseri confessa ai carabinieri, in un interrogatorio a Taranto, di aver ucciso Sarah, strangolandola nel garage di casa dopo un rifiuto alle sue avances, e di aver abusato del cadavere in campagna. Nella notte fa ritrovare il corpo, gettato in un pozzo-cisterna, anzi, no; Sabrina (d’accordo con il padre che uccide Sarah) ha trascinato con forza nel garage la cugina Sarah con il proposito di darle una lezione, al fine di evitare che la ragazzina potesse diffondere in paese la notizia delle attenzioni sessuali riservatele dallo zio, delle quali anche Sabrina era venuta a conoscenza, anzi no; l’omicidio è stato commesso esclusivamente da Sabrina, in garage, fra le 14.28.26 e le 14.35.37, anzi no; l’omicidio è stato commesso dalla sola Sabrina, in garage, prima delle ore 14.20, anzi, no; l’omicidio è stato commesso da Sabrina, in concorso con la madre, e non più in garage, ma in casa. Inoltre, i difensori degli imputati hanno lamentato di essersi trovati di fronte a una memoria di 599 pagine depositata dal pubblico ministero che, al contrario di quanto era stato assicurato, non sarebbe una mera riproduzione della requisitoria pronunciata in aula, ma conterrebbe alcuni fatti nuovi, che stravolgerebbero la stessa e presenterebbe delle contraddizioni. Quando si pensa che in un dato ufficio giudiziario giudicante vi possa essere il dubbio che il giudizio possa esser influenzato da fattori esterni al processo, la legge dà la possibilità al cittadino di presentare alla Corte di Cassazione il ricorso per rimessione in altro luogo del processo per legittimo sospetto che il giudizio non sia sereno. E’ il ricorso per legittima suspicione. Questo ricorso è stato presentato da Franco Coppi, e non poteva essere proposto se non da un avvocato estraneo al Foro di Taranto anche per ragioni di opportunità, oltre che di coraggio, così come è stato da me presentato per le mie vicissitudini ritorsive, proprio perché, io parlando senza peli sulla lingua sono molesto ai magistrati di Taranto che, da me criticati, pretendono di giudicarmi per quello che scrivo. Purtroppo la Corte di Cassazione mai ha accolto un ricorso del genere, disapplicando di fatto una legge dello Stato per tutelare i loro colleghi magistrati, a scapito della vita di un presunto innocente, dichiarato erroneamente colpevole. Condannate, in primo grado, all’ergastolo Sabrina Misseri e sua madre Cosima Serrano per l’omicidio di Sarah Scazzi. La Corte di Assise di Taranto ha disposto anche l’isolamento diurno di 6 mesi in carcere per entrambe. 8 anni a Michele Misseri per concorso nella soppressione del cadavere della nipote e per furto aggravato del telefonino della vittima. Condannati a 6 anni Carmine Misseri e Cosimo Cosma, fratello di Michele Misseri il primo e nipote il secondo, per concorso in soppressione di cadavere. 2 anni a Vito Russo, ex avvocato di Sabrina, condannato per intralcio alla giustizia. 1 anno a Antonio Colazzo e Cosima Prudenzano e 1 anno e 4 mesi a Giuseppe Nigro, tutti testimoni del processo condannati per falsa testimonianza, con pena sospesa. La Corte di assise di Taranto ha condannato anche Michele Misseri, Cosima Serrano e Sabrina Misseri al risarcimento dei danni, da stabilire in separata sede, alla famiglia Scazzi e al Comune di Avetrana. Nello stesso tempo ha stabilito una provvisionale di 50mila euro ciascuno ai genitori di Sarah, Giacomo Scazzi e Concetta Serrano, e di 30mila euro per il fratello Claudio. La sentenza è stata letta in aula dalla presidente Rina Trunfio che ha dovuto chiedere a forza il silenzio per fermare l’applauso spontaneo dei presenti in aula alla lettura della sentenza. Durissima la reazione alla sentenza della madre di Sarah Scazzi, Concetta Serrano Spagnolo: “chi uccide merita questo”. Le posizioni dei testimoni che non hanno testimoniato a favore dell’accusa saranno vagliate dallo stesso ufficio della procura.

Come volevasi dimostrare e come già ampiamente anticipato a tutta la stampa e ad “Affari Italiani” del 15 novembre 2011 «posso profetizzare la condanna per gli imputati, in 1° e 2° grado, con assoluzione in Cassazione». D’altronde lo stesso Franco De Jaco, difensore di Cosima Serrano, aveva avvertito lo stesso sentore. «Perché qui commetterete un altro omicidio, oltre quello perpetrato in danno di una povera ragazzina. E un altro omicidio è quello di mettere in galera, all’ergastolo due innocenti, una giovanissima peraltro. E’ un altro omicidio. E’ inutile per la difesa arrampicarsi sugli specchi perché tanto la Corte, attenzione, non la gente, la Corte ha già la sentenza, ha già deciso. Quando io sento queste cose mi sento mortificato come cittadino, pur sapendo che ciò non è vero. Però quando viene trasferito questo segnale, quando viene trasferito questo pensiero, noi generiamo nella gente quello che sta avvenendo: la rivolta. Non la rivolta verso la politica; la rivolta verso le istituzioni.» Per quanto preannunciato a tutta la stampa ed ad “Oggi” il 16 febbraio 2012, senza intenti diffamatori ho chiesto agli avvocati in causa ed a tutta la stampa: come è possibile che a presiedere la Corte d’Assise di Taranto per il processo di Sarah Scazzi, in violazione al principio della terzietà ed imparzialità del giudice, sia il giudice Cesarina Trunfio, ex sostituto procuratore di Taranto, già sottoposta del Procuratore Capo di Taranto Franco Sebastio e collega dell’aggiunto Pietro Argentino e del sostituto Mariano Buccoliero. Ex colleghi oggi facenti parte dell’attuale collegio accusatore nel medesimo processo sul delitto di Sarah Scazzi dalla Trunfio presieduto? Qualsiasi decisione finale sarà presa, sarà sempre adombrata dal dubbio che essa sia stata influenzata dalla colleganza funzionale e territoriale. Ma avvisaglie ci erano già state. Non devono essere piaciute le risposte della testimone Liala Nigro alla giudice popolare. Troppo a favore di Sabrina Misseri? Certamente quella frase sfuggita ad alta voce e detta all’orecchio della sua collega di giuria popolare non è sembrata opportuna alla difesa, tanto che l’avvocato Nicola Marseglia ha fatto presente il fatto alla presidente Rina Trunfio chiedendo l’astensione della signora. E dopo una breve riunione la giudice ha letto la sua astensione «per motivi personali». Sarà!, commenta Maria Corbi, giornalista de “La Stampa”. E il fatto che la giudice si sia astenuta certo fa pensare. E che dire dei giudizi espressi dai giudici togati. Tutto tranquillo se non foss’altro che un fuorionda tra i giudici irrompe nel processo. Presidente Trunfio: «certo vorrei sapere, là, le due posizioni sono collegate. Quindi bisogna vedere se si sono coordinati… tra di loro e se si daranno l’uno addosso all’altro.» Giudice latere Misserini: «ah, sicuramente.» Presidente Trunfio: «bisogna un po’ vedere, no, come imposteranno… potrebbe essere mors tua via mea. Non è che negheranno in radice.» Il fuori onda semina imbarazzo al processo per l'omicidio di Sarah Scazzi. Nelle mani della difesa è finito un dialogo, in aula, tra il giudice Rina Trunfio, presidente della Corte di Assise, e il giudice a latere Fulvia Misserini. Le due discutono delle imputate, Sabrina Misseri e sua madre Cosima, che potrebbero, secondo le supposizioni dei giudici - sembra dalla conversazione - optare per una strategia incrociata nella difesa che le porterebbe ad accusarsi a vicenda, La conversazione è stata catturata dai microfoni delle telecamere autorizzate a riprendere il dibattimento.  In particolare la frase che ha colpito gli avvocati è quella dove il presidente della corte d’assise, il giudice Cesarina Trunfio, dice: “(Non è che) negheranno in radice”. «Si evince che hanno già una ben definita opinione che non rinviene necessariamente da una valutazione attenta degli atti ma da un'idea precostituita». Spiega l'avvocato Franco De Jaco. Il professor Franco Coppi parte da solo all’attacco, e non poteva esser altrimenti, e viene seguito soltanto da un componente del collegio difensivo, Franco De Jaco, legale di Cosima, nella formulazione della richiesta di astensione dei giudici della Corte d’Assise. Ed è sulle iniziative da adottare dopo il fuorionda che si spacca l’ampio collegio difensivo. Uno degli avvocati di Cosima, Luigi Rella, dimissionario presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Lecce, va via in netto anticipo rispetto alla fine dell’udienza. Marseglia nel corso del suo intervento spara a zero sugli inquirenti e sulla conduzione dell’inchiesta. «Vi stanno proponendo un errore giudiziario sulla base di prove acquisite in modo barbaro, in perfetto stile cubano. Sulla base di elementi forniti da testimoni che sostengono una giusta causa perché è una giusta causa, sono i metodi per sostenerla che non sono giusti, che fanno indignare e impegnano la difesa fino allo spasimo perché questo modello procedimentale, prima che processuale, non deve passare, perché questa inchiesta è stata condotta in maniera intollerabile in quanto ad acquisizione della prova. Un enorme errore giudiziario costruito su prove acquisite nel corso di deposizioni in cui gli inquirenti hanno usato metodo sbagliato che la legge vieta ». Ciò nonostante Marseglia lascia da solo il professore nell’iniziativa contro l’assise giudicante. «Non posso che invitarvi a valutare la possibilità e il dovere di astenervi», ha chiesto senza mezzi termini ai giudici. «Domani – ha aggiunto Coppi – siamo disposti a riprendere il cammino se ci verrà restituita quella serenità che in questo momento mi è stata tolta. Un difensore – spiega Coppi – non può non rappresentare ai giudici le sue perplessità e le sue preoccupazioni, il giudice ha diritto alla sua serenità ma anche il difensore ha diritto alla serenità di parlare con un giudice terzo, imparziale, che fino all’ultimo momento è disposto ad ascoltare le ragioni dell’accusa e della difesa. Con quale spirito continuiamo ad affrontare al processo? Vi chiediamo una dichiarazione che vi rassereni ma che ci chiarisca il senso di quelle frasi che suscitano preoccupazione. Ci aspettiamo dalla corte un chiarimento che ci restituisca serenità salvo decisioni diverse che potete assumere. Chiediamo che i giudici togati valutino la possibilità di astenersi». Coppi non ha gradito una frase relative a possibili strategie difensive in cui «si fa riferimento ad accordi fra i difensori, c’è cordialità ma non accordi». La presidente Trunfio, da parte sua, visibilmente contrariata, ha alzato le spalle dicendo che non dipendeva da lei tale decisione facendo così intendere di essere disposta al rischio di una ricusazione la cui ultima parola spetta, in questo caso, alla Corte d’appello del Tribunale. Medesima richiesta di astensione è stata fatta subito dopo dall’avvocato De Jaco mentre il suo collega del collegio difensivo, Luigi Rella, aveva lasciato inaspettatamente l’aula. Alla richiesta di astensione formulata dal professore si associa soltanto un componente del collegio difensivo. Ampio collegio, composto dai tantissimi avvocati, più del numero richiesto rispetto ai molti imputati. Avvocati locali, tra cui Lorenzo Bullo, difensore di Carmine Misseri e già praticante avvocato di Nicola Marseglia, di cui ha assunto il modus operandi. Franco De Jaco: «Sono frasi che ci hanno messo in allarme. E’ normale per noi che due colleghi si scambino delle opinioni ma quello che ci preoccupa è l’ultima frase, “non possono negare in radice i fatti”. Diamo la patente di buona fede a quelle dichiarazioni, non ci sono dubbi di nessun genere. Domani se noi la rivedremo qui e saremo rasserenati». Le affermazioni, che De Jaco definisce «imprudenti», anche per il difensore evidenzierebbero «una opinione già precostituita». «Non posso far finta di niente di fronte a certe affermazioni». Imbarazzante, infine, la posizione di Marseglia il quale è stato colto di sorpresa dalla mossa del professore. Da segnalare l’evidente scollamento del collegio difensivo di Sabrina Misseri. «Il mio intervento è a titolo individuale perchè non ho avuto modo e tempo di potermi consultare con l’avvocato Marseglia impegnato nella fatica della sua discussione», ha voluto precisare Coppi mentre il suo collega Marseglia dopo 7 ore di arringa lasciava il tribunale inseguito dai giornalisti ai quali ha confermato di essere all’oscuro di tutto. «Se le cose stanno come mi dite – ha poi dichiarato riferendosi al fuori onda galeotto – spero domani di sentire le spiegazioni della presidente Trunfio e di poter andare avanti con la mia arringa che è ancora impegnativa». Ma nessun avvocato del foro si associa. Solitamente sono i legali a lamentare il condizionamento ambientale dei magistrati presentando richiesta di rimessione. Evidentemente il condizionamento ambientale non vale soltanto per i magistrati. Da pensare è il fatto che un avvocato che si mette contro i giudici può rischiare di non esercitare più la professione forense (procedimenti penali pretestuosi o procedimenti disciplinari fittizi), ovvero rischia di perdere tutte le cause, ovvero rischia che i suoi protetti non passino l’esame di avvocato con i magistrati criticati nelle commissioni d’esame. Chi lo dice? Pasquale Corleto del Foro di Lecce che in riferimento all’esame di avvocato ebbe a dire: “non basta studiare e qualificarsi, bisogna avere la fortuna di entrare in determinati circuiti, che per molti non sono accessibili”. Questo deve far riflettere i profani del diritto. Riflessione generale sul mondo forense italico. A chiacchiere son tutti bravi. I veri avvocati si distinguono dagli “azzeccagarbugli” succubi del potere di manzoniana memoria, proprio nell’adozione di certi atti. Ma come disse don Abbondio  “se il coraggio uno non ce l’ha, non se lo può dare”. Appunto e proprio per questo a Franco Coppi va il premio della Camera Penale di Bari “Achille Lombardo Pijola per la Dignità dell'Avvocato”. La decisione di assegnare il premio al prof.Coppi – è detto in una nota – è “per lo stile che ha saputo dare, quale difensore in un delicatissimo processo in terra di Puglia, esempio luminoso di professionalità e di dignità dell'Avvocato”'. Il riferimento è al processo per l'omicidio di Sarah Scazzi, in cui Coppi difende Sabrina Misseri, cugina della vittima. Peccato però che gli avvocati vili e ignavi continuano sì ad esercitare in combutta con i magistrati, ma intanto a pagarne le pene sono i loro clienti. Per esempio in questo caso si noterà chi è molte spanne sopra ai colleghi, presunti principi del Foro.  Chi lo dice questo? Lo dice chi principe del foro lo è davvero. Franco Coppi: «Poi c’è chi ritiene di far finta di niente e chi ha il coraggio di dire alla giudice che in questo momento non si fida.» «La difesa non è spaccata. Il professor Coppi ha sempre la forza e il coraggio di assumere tutte le posizioni che deve assumere un avvocato comode o scomode che siano». Così risponde, suo malgrado, Nicola Marseglia, l’altro difensore, con Coppi, di Sabrina Misseri. Naturalmente i media stanno lì a limitare la portata della gravità delle affermazioni ed ad affannarsi ad accusare i legali di difesa di prendere la palla al balzo per bloccare un processo terminale. Esemplare è l’editoriale pro magistrati del direttore di studio 100 tv, emittente tarantina e notoriamente vicina alla Procura di Taranto. « Insomma. Naturalmente tutti usano i mezzi possibili ed immaginabili per far vincere le proprie tesi. Sullo sfondo di queste tesi difensive, però, il ficcante lavoro della procura che abbiamo visto nelle udienze passate ha scandagliato con accuratezza la grande mole di indizi, intercettazioni, testimonianze e confidenze, entrando anche e soprattutto, non dimentichiamolo questo, nell’humus sociale, culturale e familiare nel quale si è realizzato il terribile omicidio.» Avetrana:”Humus sociale e culturale che ha prodotto il delitto; ambiente malsano scandagliato dai magistrati tarantini”, dice a mo di lacchè dei magistrati Walter Baldacconi, direttore del TG di Studio 100 tv, emittente “Padana” con sede a Taranto, diffamando il paese di Sarah Scazzi e dei Misseri, criticando le tesi difensive di Nicola Marseglia e le prese di posizione di Franco Coppi in merito al fuori onda che hanno dato l’imput all’astensione dal processo Scazzi della Trunfio e della Misserini. Sia mai che le imputate, ancora presunte innocenti, potessero uscire di galera. In seguito di ciò la Corte d’Assise di Taranto ha deciso di astenersi nel processo sull’omicidio di Sarah Scazzi trasmettendo gli atti al presidente del Tribunale dopo la diffusione del video con fuori onda tra presidente e giudice a latere. «Abbiamo chiesto ai giudici di valutare l’opportunità o meno di astenersi, abbiamo sollevato un problema come qualsiasi altro difensore degno di questo nome avrebbe fatto. I giudici hanno dato dimostrazione di scrupolo rimettendo la valutazione dell’astensione al presidente del tribunale. Non si tratta di ottenere o non ottenere qualcosa – ha aggiunto Coppi – non era un risultato al quale noi puntavamo. Abbiamo sollevato semplicemente un problema che ci sembrava non potesse non essere sollevato in relazione a delle frasi che erano state rese pubbliche. Ci atterremo alla decisione del presidente del tribunale. Chi dice che si tratta di un attacco strumentale alla Corte si deve vergognare di dirlo perchè io ero sceso a Taranto per discutere il processo. Ieri c'è stata questa sorpresa - ha aggiunto Coppi – e io, che ho insegnato sempre ai miei allievi che bisogna avere con la toga addosso di avere il coraggio di assumere tutte le iniziative che rientrano nell’interesse del cliente, ho fatto quello che la mia coscienza mi imponeva di fare. Non vado a cercare mezzucci, che me ne importa del rinvio di un giorno o di un mese in un processo dove si discute di ergastolo. Quindi chi dice queste cose è completamente fuori strada e dovrebbe anzi vergognarsi di dirle, se sono state dette.» Comunque il presidente del Tribunale di Taranto Antonio Morelli, come è normale per quel Foro, ha respinto l'astensione dei giudici Cesarina Trunfio e Fulvia Misserini, rispettivamente presidente e giudice a latere della Corte d'Assise chiamata a giudicare gli imputati al processo per l'omicidio di Sarah Scazzi. I due magistrati si erano astenuti, rimettendo la decisione nelle mani del presidente del Tribunale dopo la diffusione di un video in cui erano “intercettate” mentre si interrogavano sulle strategie difensive che di lì a poco gli avvocati avrebbero adottato al processo. Secondo il presidente del Tribunale però dai dialoghi captati non si evince alcun pregiudizio da parte dei magistrati, non c'è espressione di opinione che incrini la capacità e serenità del giudizio e quindi non sussistono le condizioni che obbligano i due giudici togati ad astenersi dal trattare il processo. Il presidente del Tribunale di Taranto ha respinto l’astensione dei giudici dopo che era stata sollecitata dalle difese per un video fuori onda con frasi imbarazzanti dei giudici sulle strategie difensive delle imputate. E adesso si va avanti con il processo. Tocca all’arringa di Franco Coppi. Posti in piedi in aula. Tutti gli avvocati del circondario si sono dati appuntamento per sentire il principe del Foro. Coppi inizia spiegando il perché della loro richiesta di astensione: «L’avvocato De Jaco ed io abbiamo sollecitato l’astensione in relazione alle frasi note. Noi difensori non avremmo potuto fare nulla di diverso. Hanno detto che era un’ancora di salvezza insperata. Chi ha detto quelle cose offende quella toga che io indosso e che forse anche lui indossa. Nulla è stato fatto per rendere più difficile il cammino della giustizia. E da un mese che studiamo per l’arringa difensiva. Sono venuto a Taranto domenica scorsa con la voglia di discutere questo processo. Abbiamo appreso di questo scambio di battute, abbiamo fatto quello che tutti gli avvocati degni di questo nome avrebbero fatto. Ci siamo rimessi esplicitamente alla coscienza dei giudici, non c’era bisogno della ricusazione. Volevamo una risposta che ci acquietasse. …abbiamo parlato alle vostre coscienze…. Abbiamo messo in gioco la simpatia presso di voi, ma la toga impone iniziative di questo tipo. Noi dovevamo fare quello che abbiamo fatto. Abbiamo avuto una risposta che viene dalle vostre coscienze e spero che la vicenda sia chiusa così. Se ci saranno altri seguiti non dipenderà da noi. Credo di essere ugualmente legittimato di porre a lei il mio saluto e la dimostrazione del mio ossequio insieme all’augurio che la sentenza che voi state per pronunciare sia quale il popolo attende, ossia solamente espressione di verità e di giustizia». «Dunque ergastolo parola tanto attesa da un’opinione imbevuta di messaggi televisivi. Questa parola è stata finalmente pronunciata, non un dubbio scuote il pm e di ciò noi non abbiamo nessun dubbio. Altrimenti la richiesta sarebbe stata diversa. Dice di essere sereno, caso mai condito con un po’ di amarezza. Non importa che Michele Misseri abbia ripetuto in questa aula di essere stato lui l’unico assassino. E questo non è sufficiente a far venire un ragionevole dubbio, nonostante la sentenze della Cassazione che sottolineano come una condanna oltre ogni ragionevole dubbio debba esserci solo quando non esiste una ipotesi alternativa. E non vediamo come si possa parlare di una tesi oltre ogni razionalità umana, quando Misseri ha confessato, ha fatto ritrovare i vestiti, il cellulare, il luogo di sepoltura. Come si può pensare che questa ipotesi sia al di la della razionalità umana? …. Non riusciamo a comprendere come l’ipotesi di Michele Misseri colpevole non sia dotata di razionalità pratica. Altrimenti seguendo il ragionamento del pm dobbiamo dire che la Cassazione è ininfluente. E dobbiamo ricordare che due volte la corte di Cassazione ha dichiarato fragile l’indizio del movente gelosia, e che non ci sono sufficienti gravi indizi a carico di Sabrina. Ma questo non ha nessuna importanza per i pm. Anzi hanno la massima serenità nel chiedere la condanna all’ergastolo per questa ragazza. Un’accusa cieca che non si rende conto delle contraddizioni delle accuse con cui chiede la condanna al’ergastolo. Ha detto o non ha detto che è stato un movente d’impeto? E per questo si chiede l’ergastolo. E’ vero che viene contestato il sequestro in cui assorbe l’omicidio. Ma questo è il processo per l’omicidio di Sarah Scazzi, non di sequestro. E l’omicidio è delineato come animato da un dolo d’impeto. Nonostante tutto ciò: ergastolo. Dico questo per sottolineare alcuni aspetti dell’intervento del pm, per spiegare poi tutto l’apparato critico che intendo dispiegare per dimostrare l’infondatezza dell’impostazione del pm. Ma iniziamo con il dire che la richiesta del pm coincide con una larghissima attesa dell’opinione pubblica. Nego che il pm abbia voluto compiacere all’opinione pubblica, ma certamente c’è una corrispondenza. E una corrispondenza con le sentenze emesse nei vari salotti televisivi. Non è detto che la vox populi sia anche una vox dei. Io ricordo l’ammonizione del presidente di questa corte che ci ha avvertito che a loro interessa solo quello che accade in questa aula». Il professor Coppi parla anche di conduttori, consulenti, qualche magistrato che vanno in televisione «che senza conoscere gli atti di questo processo hanno pontificato con quella sciocca sicumera che è figlia dell’ignoranza». «Abbiamo visto anche testimoni che hanno applaudito quando Cosima è stata arrestata. Voi dovreste essere solo i notai di queste sentenza di condanna popolare. Quest’aula, anche se non ha la responsabilità di quello che accade fuori di essa, ha comunque assorbito il fastidio e l’astio nei confronti dei difensori degli avvocati di Sabrina Misseri. Non abbiamo nessuna intenzione di trasformare questa discussione in una questione personale, lasciamo perdere gli insulti di cui siamo stati oggetti. Lasciamo stare le minacce. Che ci lasciano del tutto indifferenti. Lasciamo perdere tutte le sfide, tutti i paragoni, le domande impudenti volte a sapere chi è che ha retribuito la nostra attività. E quale sarebbe il tornaconto che a noi verrebbe? A tutti ricordo che io sono un vecchio avvocato innamorato della giustizia e mi sia concesso di ripetere a voce alta: solo questo m’arde e solo questo mi innamora. Sono qui soltanto per spirito di giustizia. Non accuserei mai di un omicidio Misseri sapendo che è colpevole la mia cliente. Se posso far passare sotto silenzio le offese che riguardano la mia persona non posso far passare le offese sul merito di questa causa». «Una barzelletta è stata definita la nostra ipotesi del movente sessuale. Vedremo se questa tesi è una barzelletta. Certo non posso negare che quel giudizio non sia anche una sorprendente offesa nei confronti della mia persona. Ne parleremo a lungo della responsabilità esclusiva di Michele Misseri. Il pm dice che hanno dovuto subire una istanza di remissione, come se questo costituisse un offesa. Ma vi siete chiesti signori del pm cosa abbiamo dovuto subire noi difensori? Vi siete chiesti perché l’abbiamo chiesta? Vogliamo ricordare i motivi di quella remissione? Ma vi rendete conto che quando noi abbiamo inteso svolgere investigazioni difensive, anche solo per andare in carcere a sentire Michele Misseri, che il giudice ha imposto la presenza del procuratore della Repubblica a una attività difensiva? C’è tutta l’Italia che ride. E non dovevamo proporre un’istanza di remissione? E vi siete chiesti perché la procura generale ha espresso parere favorevole alla remissione? E vogliamo ricordare le modalità con cui si è proceduto all’interrogatorio di Michele Misseri? “Ma Michele stai tranquillo, a Sabrina non succederà niente”. Vogliamo ricordare l’incidente del giudice popolare che si è dovuto dimettere? (per avere offeso una testimone della difesa). Vogliamo ricordare la lista dei testi messi sotto processo per falsa testimonianza e favoreggiamento? Non si può dire una parola a favore di Sabrina Misseri senza finire sotto processo. Vogliamo ricordare la nomina di una consulente di Michele Misseri che data la sua specializzazione non capiamo a cosa servisse, che addirittura partecipa all’interrogatorio, che sposta il difensore per procedere lei stessa a fare domande? Anche perché questa consulente si era già pronunciata dicendo che Michele era un pedofilo, l’unico responsabile del delitto. Aveva già conquistata la ribalta televisiva accusando il suo futuro cliente. Una nomina che mi porta a pensare all’articolo 64 secondo comma, all’articolo 188 … Io mi sono dovuto ben guardare di svolgere qualche attività non per paura ma per l’interesse della mia cliente. Noi abbiamo una sola speranza e per questo abbiamo valutato l’astensione. Noi vogliamo avere la fiducia che voi signori giudice saprete allontanarvi dalle suggestioni che vengono da fuori ma anche da dentro questa aula riconoscendo le ragioni della difesa. Le nostre ragioni sono basate sui fatti non alla fantasia e attingono alla logica e al buon senso. Manzoni diceva «Il buon senso c’è, ma è nascosto dal senso comune». Noi dobbiamo guardare agli atti sostituendo al senso comune il buon senso. Uno scrittore americano ha scritto che esistono quattro categorie di giudici quelli con il cuore ma senza testa, quelli con la testa ma senza cuore, quelli senza cuore e senza testa e quelli con il cuore e con la testa. Noi siamo convinti di parlare a giudici che fanno parte di quest’ultima categoria e testa e cuore significa coscienze e cuore di un giudice che ha la forza di sconfessare i pm e di assolvere un imputato per cui è stata chiesta la pena dell’ergastolo. Tutti i nostri testimoni sono sotto processo per falsa testimonianza. Brandelli di verità che sono importanti per noi. Va punita Sarah, e la prima idea che gli viene in mente per spiegare perché Sabrina porta Sarah in garage (una delle versioni di accusa) è proprio questa. Quale valore possono avere le sue dichiarazioni dopo tante versioni? La ritrattazione della ritrattazione? Potremmo dire che una ritrattazione annulla l’altra e si deve tornare alla confessione. Ma abbiamo ben altri argomenti. Iniziamo a chiederci il valore della confessione. Come si può definire prima di riscontri la sua confessione? Visto che ha fatto ritrovare telefonino, corpo, chiavi. La confessione è comunque una prova che non esige riscontri, come stabilisce la Cassazione. Non ha bisogno di riscontri esterni. Ma quanti ergastoli sono stati dati con una semplice confessione. Michele Misseri il 6 ottobre è ascoltato come persona informata sui fatti. I pm a quel punto hanno già sospetti su Sabrina, l’hanno già ascoltata il 30 e le hanno detto che sta dicendo delle falsità pazzesche. Questo è l’atteggiamento dei pm come risulta dall’interrogatorio del 30 settembre. I pm maturano l’idea che Sabrina sappia, che sia addirittura coinvolta bell’omicidio, Ma quel 6 ottobre Misseri inizia a cadere in qualche contraddizione, sugli orari, sulla raccolta dei fagiolini. E lo incitano a dire la verità. E il pm inizia a insinuare l’idea che possa essere capitato un incidente, una disgrazia. «Si liberi un po’, ci faccia capire». La confessione spiazza i pm, bisogna nominare un difensore d’ufficio, ma la pista Sabrina non viene eliminata. E i pm non hanno la capacità di eliminare una pista a cui si erano affezionati. E iniziano gli interrogatori. Michele prima coinvolge la figlia come spettatrice (papà cosa hai fatta) , poi c’è la chiamata in correità e infine la chiamata in reità. Mi chiedo se non si siano state tecniche persuasive che hanno vincolato la libera determinazione di Michele Misseri, che non aveva la forza di resistere alle domande di un pubblico inquisitore. E’ singolare, come i mutamenti di versione avvengono quasi sempre dopo una sospensione di un interrogatorio e dopo una serie di rassicurazioni e di inviti su Sabrina. «Questo per scagionare Sabrina, Miché, stai tranquillo….». Anche Nicola Marseglia per Sabrina Misseri, nonostante il suo smisurato rispetto per i magistrati tarantini  afferma che «Questo è un processo particolare, abbastanza atipico. E' il processo di Sabrina Misseri, a Sabrina Misseri. E' stato così sin dal primo momento. Il capitano Nicola Abbasciano, ex comandante del Nucleo investigativo dei carabinieri, che fu posto al vertice delle indagini, l'aveva individuata fin dal primo momento insieme a Ivano Russo – dice l'avvocato Nicola Marseglia - Si coltiva questa ipotesi di lavoro dall'inizio. La confessione di Michele Misseri - ha aggiunto Marseglia - ha spiazzato l'ufficio del pubblico ministero e ha introdotto un elemento spurio di ipotesi di lavoro a cui non aveva pensato nessuno. Da qui nasce l'equivoco nei confronti di Sabrina, che subisce una serie di aggiustamenti nel corso delle indagini che non conoscono alternative.»

Questo la dice tutta sul clima che si respira a Taranto e sulla conduzione dei processi. A Taranto poi, c’è il paradosso dei rei confessi in libertà e di chi, dichiarandosi innocente, senza cedimenti e da presunti innocenti nelle more del processo, rimane per anni in carcere. A Taranto sono troppi gli errori giudiziari ed i reo confessi che non sono creduti, in onore di una tesi accusatoria frutto di un personale modo di pensare proprio di un magistrato requirente, che non può pregiudicare anni d’indagine da lui condotte, ed in virtù di un appiattimento a questa tesi dovuto ad un libero convincimento di una persona normale, suo collega, che fa il magistrato giudicante avendo vinto un concorso pubblico. Magistrati inseriti in un ambiente dove si tifa per la colpevolezza di qualcuno sotto influenza mediatica locale e nazionale. La stampa, anziché riportare i fatti e concentrasi sul perché l’evento confessato sia avvenuto, si concentra a minare la credibilità del confessore. E meno male che la confessione nel codice di procedura penale è considerata una prova regina! Sembra, infatti, che la percezione che i giurati hanno della sicurezza di un testimone, sia responsabile per un 50% delle variazioni nel loro giudizio sulla credibilità del testimone e che, in ogni caso, la maggior parte delle giurie crede che la sicurezza e la precisione di un resoconto testimoniale siano tra loro correlate positivamente, reputando più attendibile la testimonianza resa dalle forze dell'ordine o di chi riferisce nel racconto molti dettagli marginali, sopravvaluta il tempo impiegato per commettere un crimine e la possibilità di riconoscere un volto a distanza di mesi. Detto questo e in riferimento alle confessioni si richiama un altro caso. Il “killer delle vecchiette”. Ma ormai il “killer delle vecchiette” è morto. E se dalla stampa era venuto questo appellativo di killer qualche omicidio doveva pur averlo commesso, sì, ma per i magistrati di Taranto era colpevole solo per quell’unico delitto per il quale non erano stati capaci di accusare qualcuno. E' morto il 15 dicembre 2012 nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Padova il detenuto tunisino 49enne Ben Mohamed Ezzedine Sebai, conosciuto come il 'serial killer delle vecchiette', trovato impiccato il giorno prima nella sua cella del carcere di Padova. Il legale di Sebai, l’avvocato veneziano Luciano Faraon, ha anche sollevato dubbi sul fatto che il suo assistito si sia effettivamente suicidato. Secondo il legale, dopo una recente sentenza della Cassazione che ha annullato con rinvio una condanna per un omicidio commesso da Sebai a Lucera, il tunisino era infatti nelle condizioni di ottenere la revisione dei suoi processi in quanto non in grado di intendere e volere a causa di una lesione cerebrale subita da piccolo. Aveva quindi, secondo il legale, molte speranze di potere tornare a casa o in un centro adatto alla sua patologia. Condannato a cinque ergastoli per altrettanti omicidi di donne, Ezzedine Sebai aveva confessato di essere l’autore di 14 omicidi di anziane, avvenuti in Puglia tra il 1995 e il 1997. Altra vergogna, altro precedente. 15 aprile 2007. Carmela volava via, dal settimo piano di un palazzo a Taranto, dopo aver subito violenze ed abusi, ma soprattutto dopo essere stata tradita proprio da quelle istituzioni a cui si era rivolta per denunciare e chiedere aiuto. «Una ragazzina di 13 anni - scrive Alfonso, il padre di Carmela - che il 15 aprile del 2007 è deceduta volando via da un settimo piano della periferia di Taranto, dopo aver subito violenze sessuali da un branco di viscidi esseri», ma poi anche le incompetenze e la malafede di quelle Istituzioni che sono state coinvolte con l’obiettivo di tutelarla», perché «invece di rinchiudere i carnefici di mia figlia hanno pensato bene di rinchiudere lei in un istituto (convincendoci con l’inganno) ed imbottendola di psicofarmaci a nostra insaputa». Carmela aveva denunciato di essere stata violentata; e nessuno, né polizia, né magistrati, né assistenti sociali le avevano creduto o l’avevano presa sul serio. Ma le istituzioni avevano anche fatto di peggio. Hanno considerato Carmela «soggetto disturbato con capacità compromesse» e, quindi, poco credibile. Altro precedente. È il più clamoroso errore giudiziario del dopoguerra. Ora il ministero dell’Economia ha deciso di staccare l’assegno più alto mai dato a un innocente per risarcirlo: 4 milioni e 500mila euro. Circa nove miliardi di lire, a fronte di 15 anni, 2 mesi e 22 giorni trascorsi in carcere per un duplice omicidio mai commesso. Il caso di Domenico Morrone, pescatore tarantino, si chiude qua: con una transazione insolitamente veloce nei tempi e soft nei modi. Il ministero dell’Economia ha capitolato quasi subito, riconoscendo il dramma spaventoso vissuto dall’uomo che oggi può tentare di rifarsi una vita. Così, per il tramite dell’avvocatura dello Stato, Morrone si è rapidamente accordato con il ministero e la Corte d’Appello di Lecce ha registrato come un notaio il «contratto». In pratica, Morrone prenderà 300mila euro per ogni anno di carcere. E i soldi arriveranno subito: non si ripeteranno le esasperanti manovre dilatorie già viste in situazioni analoghe, per esempio nelle vertenza aperta da Daniele Barillà, rimasto in cella più di 7 anni come trafficante di droga per uno sfortunato scambio di auto. Morrone fu arrestato mezz’ora dopo la mattanza, il 30 gennaio ’91. Sul terreno c’erano i corpi di due giovani e le forze dell’ordine di Taranto cercavano un colpevole a tutti i costi. La madre di una delle vittime indirizzò i sospetti su di lui. Lo presero e lo condannarono. Le persone che lo scagionavano furono anche loro condannate per falsa testimonianza. Così funziona a Taranto. Vai contro la tesi accusatoria; tutti condannati per falsa testimonianza. Nel ’96 alcuni pentiti svelarono la vera trama del massacro: i due ragazzi erano stati eliminati perché avevano osato scippare la madre di un boss. Morrone non c’entrava, ma ci sono voluti altri dieci anni per ottenere giustizia. E ora arriva anche l’indennizzo per le sofferenze subite: «Avevo 26 anni quando mi ammanettarono - racconta lui - adesso è difficile ricominciare. Ma sono soddisfatto perché lo Stato ha capito le mie sofferenze, le umiliazioni subite, tutto quello che ho passato». Un procedimento controverso: due volte la Cassazione annullò la sentenza di condanna della corte d’Assise d’Appello, ma alla fine Morrone fu schiacciato da una pena definitiva a 21 anni. Non solo: beffa nella beffa, fu anche processato e condannato a 1 anno e 8 mesi per calunnia. La sua colpa? Se l’era presa con i magistrati che avevano trascurato i verbali dei pentiti. Altro precedente: non erano colpevoli, ora chiedono 12 mln di euro. Giovanni Pedone, Massimiliano Caforio, Francesco Aiello e Cosimo Bello, condannati per la cosiddetta «strage della barberia» di Taranto, sono tornati in libertà dopo 7 anni di detenzione e vogliono un risarcimento. Pedone, meccanico di 51 anni, da innocente ha trascorso quasi otto anni in cella prima di intravedere bagliori di giustizia. Ma gli elementi che hanno portato all’affermazione della sua innocenza e di altri tre imputati erano già parzialmente emersi nel corso del processo madre. «E’ certo - ha detto l’avvocato Petrone - che qualcuno sapeva di quanto avvenuto durante le indagini». Ora per gli innocenti si apre un lungo iter processuale per ottenere il risarcimento per ingiusta detenzione. Carlo Petrone è l’avvocato di Dora Chiloiro nel processo sul delitto di Sarah Scazzi, accusata anch’essa di falsa testimonianza.»

Come si è comportata la stampa e la televisione in questa vicenda che ha colpito, sì, la famiglia Scazzi e Misseri, ma anche tutta la comunità avetranese?

«Anche Hollywood fa la sua comparsa nel processo Scazzi. L’accurata arringa dell’avv. Franco De Jaco affida al potere delle immagini di un film in bianco e nero del 1957 il destino della sua assistita. La pellicola diretta da Sidney Lumet, intitolato “Parola ai giurati” e magistralmente interpretato da un superbo Henry Fonda, racconta l’accorata difesa di un ragazzo di diciotto anni accusato di aver ucciso il padre che lo picchiava. Nella pellicola, rivolgendosi ai giurati, riuniti in Camera di Consiglio, spetta all’avvocato del giovane dimostrare che non ci può essere una condanna quando sussista quel “ragionevole dubbio” di fronte al quale è impossibile emettere un verdetto di colpevolezza. “Avetrana non è Hollywood”. L’assedio di media e curiosi. «Non è Hollywood» c’è scritto su un muretto di mattoni che si trova a poca distanza dall’abitazione della famiglia Misseri, dove è stata uccisa, il 26 agosto 2010, Sarah Scazzi. Il messaggio è indirizzato alle numerose troupes televisive e di ‘fly’ (furgoni con le antenne paraboliche montate sul tetto) che presidiano da giorni l’abitazione in cui vivono la mamma e la sorella di Sabrina Misseri. Proprio davanti alla villetta di via Grazia Deledda vanno in onda, in diretta, diversi collegamenti televisivi e si montano ogni giorno i servizi per i telegiornali e gli speciali tv. Già Valentina Misseri aveva urlato in più occasione contro i giornalisti. La sorella di Cosima, Emma,per sfuggire all’assalto dei giornalisti ha colpito con uno schiaffo al volto un operatore tv; contro gli altri ha urlato: «Andate via, che c’entriamo noi!». E continuano anche i pellegrinaggi dei “turisti dell’orrore”: alcune famiglie arrivate dal Foggiano per visitare i luoghi in cui ha vissuto, è morta e ora riposa Sarah. Ma la storia si ripete. A Newtown come Avetrana. Tutto il mondo dei media è paese. La città della strage in Usa è assalita da orde di cronisti e camion tv. Almeno 27 morti, tra cui 20 bambini, tra i 5 e i 10 anni, sono stati falciati il 14 dicembre 2012 da un giovane con problemi mentali, Adam Lanza, poco più che ventenne. Dopo la sparatoria, non c’è tempo per il dolore. La piccola città è letteralmente invasa dai media e dai giornalisti. A denunciare tutto il racconto di un cronista della BBC, Johnny Dymond. “E ‘insopportabile. Che cosa vogliono tutti? Sono quattro o cinque famiglie che hanno perso i bambini ed è troppo per loro, con tutti i media qui. Che cosa cerchi?” gli racconta nella hall dell’albergo dove dorme, uno degli abitanti, infastidito dalla troppa attenzione.  Il villaggio della scuola di Sandy Hook, è cambiato. Tra camion, microfoni e crocevia di persone, le stradine non sono più le stesse. E poi Casa Grillo come ad Avetrana. Dal giorno della certificazione del successo del Movimento 5 Stelle alle politiche 2013 , una schiera di giornalisti e fotografi stanzia di fronte alla casa di Beppe Grillo. Accampati in attesa, nella speranza di una dichiarazione o di un’immagine dell’inafferrabile leader mentre scorrono, nei tg, le immagini del cancello che si apre e da cui esce, quando va bene, un’auto. Un modus operandi, un modo di fare giornalismo e di raccontare le cose che ricorda da molto vicino le più recenti pagine di cronaca del nostro Paese, con i cronisti accampati di fronte alla casa dell’assassino o della vittima di turno. E un modello che, quando Beppe Grillo non è in casa, come in occasione della trasferta romana per l’incontro e la catechizzazione dei neo eletti, si ripete puntuale fuori dall’hotel dove il leader grillino è atteso. Un corto circuito informativo in cui i fotografi vengono fotografati, in cui i leader non dichiarano e i giornalisti non comprendono che la loro attesa a microfono spianato della dichiarazione sarà vana. E così il modello applicato è e rimane quello classico: il modello "Avetrana", un modello inadeguato che genera persino dei paradossi. E’ il caso dei fotografi fotografati, i fotografi cioè che, appostati per catturare le immagini del primo conclave grillino, si sono ritrovati ad essere i soggetti degli scatti divertiti dei neoeletti che con i loro cellulari immortalavano il loro primo momento di notorietà. Come è diversa Brembate di Sopra. Il sindaco di Brembate Sopra, Diego Locatelli, dopo la richiesta di silenzio stampa avanzata dalla famiglia Gambirasio sulla scomparsa di Yara, è intervenuto sulla vicenda e attraverso un comunicato ha invitato “gli organi di informazione ad abbandonare il suolo pubblico occupato e la cessazione delle attività finora svolte sul territorio di Brembate di Sopra”».

Dal punto di vista sociologico cosa ha dedotto dal comportamento dei media e dell’influenza che questi hanno sulla gente che li segue?

«Il delitto di Sarah Scazzi ha dato vita ad un fenomeno inspiegabile e mai avvenuto prima. La gente a casa partecipa ad un reality show e con il telecomando della tv decide chi è il colpevole. Quanto più le trasmissioni tv che si interessano al caso alzano il loro share adottando la linea giustizialista, tanto più quella trasmissione viene seguita dai telespettatori e tanto più si guadagna in pubblicità. Di conseguenza la trasmissione rincara la dose, concentrandosi sugli elementi, veri o artefatti, adducenti la colpevolezza del tapino di turno. Essere garantista in tv non paga e i giornali si adeguano. Lo hanno capito bene i magistrati aprendo un processo ed adottando le tesi accusatorie che più aggradano il pubblico.»

Da esperto giuridico: a punta di Diritto cosa ha da contestare?

«Il processo per il delitto di Sarah Scazzi è un processo con prove certe? No! E’ un processo con indizi precisi, gravi e concordanti, tali da formare una prova? No! E’ solo un processo alle intenzioni. Il processo per il delitto di Sarah Scazzi è un esempio. Questo è un PROCESSO INDIZIARIO. Ossia è un processo senza prove ma solo indizi, contrastanti e contestabili. Senza prove, nonostante vi siano innumerevoli intercettazioni ambientali, anche in carcere. Nulla traspare la prova regina. Mai vi sono state confessioni carpite, ma solo le confessioni genuine di Michele Misseri: la prima e l’ultima. Da parte della magistratura tarantina vi è solo l’esigenza di accontentare la bolgia popolina che chiede il sangue degli imputati e la dimostrazione che Avetrana è omertosa e collusa. Indotti a ciò da un giornalismo approssimativo ed ignorante, oltre che pregno di pregiudizi e luoghi comuni. A ben guardare con gli occhi imparziali la ricostruzione del delitto pare che sia più frutto di illazioni, supposizioni e congetture della Pubblica accusa, mal sostenute da prove oggettive. Tale ricostruzione è facilmente attaccabile dalla difesa degli imputati. Difesa composta da vecchi ed agguerriti volponi. Da quanto desunto e dalla mancanza della pistola fumante (prova certa) appare che le imputate (Cosima e Sabrina): o sono innocenti,  o siano talmente brave, le imputate, da non lasciar alcuna traccia del loro delitto. Nessuna prova; nessuna confessione. D’altro canto colui che si professa colpevole, inascoltato, lui sì, avendo fatto trovare prima il cadavere e poi il cellulare, è solidamente riconducibile al delitto ed alla soppressione del cadavere. E non si pensi che Michele sia uno sprovveduto. Le sue comparsate in tv e le lettere e quant’altro fatto senza la presenza dei parenti induce a pensare che “Zio Michele” sa il fatto suo. Ogni sua azione non può essere frutto di induzione ed istigazione di moglie e figlia tenuto conto che esse marciscono in galera da anni e quindi nessuna possibilità di regia. Ossequiosi e  servili, poi, sono state le parti civili. E non sono mancate i riporti ai luoghi comuni ed ai pregiudizi diffamatori alla comunità: “Delitto di mafia” ha sentenziato la difesa di Concetta Serrano; “Avetrana è una città di gente che lavora e vi preannunzio per andare sempre più in fretta LA GENTE DI AVETRANA E’ COME MICHELE MISSERI. Se ad Avetrana non ci fosse stata gente sana, non avremmo potuto parlare della contestazione d'accusa di sequestro di persona”. Così si è espresso con la sua arringa l’avvocato Pasquale Corleto il quale, in rappresentanza del Comune di Avetrana, ha fatto un’esposizione giuridica che ha ricalcato, potenziandola, la tesi dei pubblici ministeri. E MENO MALE CHE DIFENDE L'ONORE DI AVETRANA, perchè gli avetranesi non gettano i bambini nei pozzi!!!! Pasquale Corleto del Foro di Lecce che in riferimento all’esame di avvocato ebbe a dire: “non basta studiare e qualificarsi, bisogna avere la fortuna di entrare in determinati circuiti, che per molti non sono accessibili”. Amara verità per chi come lui denuncia, sì, ma non fa niente per cambiare le cose e per chi come me, invece, porta avanti una battaglia ventennale che riguarda l’esame truccato dei concorsi pubblici ed in specialmodo quello di abilitazione forense, che poi è uguale a quello del notariato e della magistratura. Ho anche cercato di denunciare l’evasione fiscale e contributiva degli studi legali presso i quali i praticanti avvocato sono obbligati a fare pratica. I “Dominus” non pagano o pagano poco e male ed in nero i praticanti avvocati e per coloro che non hanno partita iva non gli versano i contributi previdenziali presso la gestione separata INPS. Agli inizi, facendo notare tale anomalia al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, mi si disse: “fatti i cazzi tuoi anche perché vedremo se diventi avvocato”. Appunto. Da anni mi impediscono di diventarlo, dandomi dei voti sempre uguali ai miei elaborati all’esame forense. Elaborati mai corretti. Non solo, pur avendo già segnalato ai precedenti Parlamenti, è impossibile in Italia svolgere l’attività di assistenza e consulenza antimafia se non si è di sinistra e se non si santificano i magistrati. In Italia vi è l’assoluto monopolio dell’antimafia in mano a “Libera” di Don Ciotti e di fatto in mano alla CGIL, presso cui molte sedi di “Libera” sono ospitate. “Libera”, con le sue associate locali, è l’esclusiva destinataria degli ingenti finanziamenti pubblici e spesso assegnataria dei beni confiscati. Di fatto le associazioni non allineate e schierate (e sono tante) hanno difficoltà oltre che finanziaria, anche mediatica e, cosa peggiore, di rapporti istituzionali. Si pensi che la Prefettura di Taranto e la Regione Puglia di Vendola a “Libera” hanno concesso il finanziamento di progetti e l’assegnazione dei beni confiscati a Manduria. A “Libera” e non alla “Associazione Contro Tutte le Mafie”, con sede legale a 10 km. A “Libera” che non può essere iscritta presso la Prefettura di Taranto, perchè ha sede legale a Roma, e non dovrebbe essere iscritta a Bari, perché a me, come presidente di una associazione antimafia, è stata impedita l’iscrizione del sodalizio per mancata costituzione dell’albo. Tornando al processo sono di tutt’altro tenore le difese degli imputati: “In questo processo chiunque ha detto cose in contrasto con la tesi accusatoria è stato tacciato di falso, mentre ben altri testi non hanno detto la verità e sono passati per super testimoni» ha detto Franco De Jaco difensore di Cosima Serrano. E’ così è stato, perché sotto processo non c’è solo Sabrina Misseri, Michele Misseri, Cosima Serrano Misseri, Carmine Misseri, Cosimo Cosma, Giuseppe Nigro, Cosima Prudenzano Antonio Colazzo, Vito Junior Russo, ma c’è tutta Avetrana e tutti coloro che non si conformano alla verità mediatica-giudiziaria. Tant’è che i pubblici ministeri hanno chiesto alla Corte d’Assise la trasmissione degli atti riguardanti le deposizioni fatte durante il processo da Ivano Russo, il ragazzo conteso tra Sabrina e Sarah, Alessio Pisello, componente della comitiva delle due cugine, Anna Scredo, moglie di Antonio Colazzo, Giuseppe Olivieri, imprenditore di Avetrana datore di lavoro della moglie del testimone Antonio Petarra che vide il giorno del delitto Sarah Scazzi mentre si recava verso l’abitazione dei Misseri, Anna Lucia Pichierri, moglie di Carmine Misseri, e infine Giuseppe, Dora e Emma Serrano, fratelli e sorelle con Cosima e Concetta, schierate nelle loro testimonianza a favore della prima. Atti che arriveranno allo stesso ufficio della Procura che ne ha chiesto la trasmissione. Poi ci sono anche altri 3 avvocati, oltre a Vito Junior Russo, che, d'altronde, il 21 novembre 2011 sono stati assolti da Pompeo Carriere: Gianluca Mongelli accusato di tentato favoreggiamento personale insieme a Vito Russo. Per Emilia Velletri, ex difensore di Sabrina con il marito Vito Russo, le accuse di intralcio alla giustizia e di soppressione di atti veri. All’avv. Francesco De Cristofaro, del foro di Roma, ex legale di fiducia di Michele Misseri, la Procura contesta invece il reato di infedele patrocinio. Velletri, Mongelli e De Cristofaro sono stati giudicati e assolti con il rito abbreviato. La Procura ha chiesto un anno di reclusione per Emilia Velletri e Francesco De Cristofaro e sei mesi per Gianluca Mongelli. Non ci dimentichiamo poi che il processo ha altri tentacoli. Tra questi c'é quello che coinvolge Giovanni Buccolieri, il fioraio di Avetrana che raccontò di aver visto, il 26 agosto 2010, Cosima intimare in strada a Sarah di salire in auto (dove c'era presumibilmente, per l'accusa, anche Sabrina), salvo poi riferire due giorni dopo che si era trattato di un sogno. C’è sua cognata Anna Scredo, moglie dell’imputato Antonio Colazzo, poi prosciolta dal Gup, c’è il suo amico  Michele Galasso, c’è il funzionario di banca Angelo Milizia. E che dire della ex psicologa del carcere di Taranto Dora Chiloiro, citata come teste dalla difesa di Sabrina Misseri. La stessa, all’udienza del 10 dicembre 2012, ha dichiarato di essere stata "imprecisa" nell' udienza preliminare del 7 novembre 2011, quando riferì di aver avuto numerosi colloqui in carcere con Michele Misseri, di averlo sentito in carcere anche dopo l'incidente probatorio del 19 novembre e che Michele Misseri aveva detto di essere stato lui ad uccidere Sarah. Per questi motivi Chiloiro è stata già rinviata a giudizio per falsa testimonianza, avendo confermato le dichiarazioni dell'udienza preliminare anche nel processo dinanzi alla Corte di assise.»

Da esperto dell’informazione cosa ha da contestare?

«E la stampa cosa fa? E’ sadica e cinica. Da bollino rosso sono tg e approfondimenti giornalistici: il Comitato Media e Minori e L’Agcom hanno «bocciato» soprattutto servizi e dibattiti sui delitti con vittime minorenni: preoccupante lo stile usato nel trattare i casi di Sarah Scazzi, Yara Gambirasio ed Elisa Claps da Tg1 e Studio Aperto (sanzionati più volte); da censurare anche l’approccio di Chi l’ha visto? (Rai3) sull’omicidio Claps per le «immagini particolarmente impressionanti» o di Quarto grado (Rete4) per la «dettagliata galleria di casi criminosi». Il Comitato biasima la scelta di trattare crimini nella fascia protetta «spettacolarizzando la notizia» e «soffermandosi sugli aspetti più morbosi», come è accaduto nei contenitori pomeridiani delle principali reti. Violazioni sono state compiute da Pomeriggio Cinque e Domenica Cinque su Canale 5, e La vita in diretta (Rai1) dove si è giocato sull’«invasività e la ricerca di espressioni e filmati forti capaci di attirare l’attenzione dei telespettatori». Come volevasi dimostrare dopo la scorpacciata di immagini, interviste, servizi tv a favore della requisitoria dell’accusa e delle arringhe delle parti civili, farcite anche di gratuite ed impunite calunnie e diffamazioni o, come ha riferito Franco Coppi «Sono state dette troppe cose e non abbiamo apprezzato alcune battute poco eleganti.» Bene si diceva che dopo l’abbuffata di poco corrette prese di posizioni della stampa, a dare voce alla difesa non c’è nessuno. Eppure c’è stato il coinvolgimento di Ilaria Cavo, giornalista di Mediaset, l’unica insieme a Maria Corbi de “La Stampa”, a raccontare in modo corretto ed imparziale la cronaca di un processo emblematico. Ilaria Cavo, brava giornalista di Mediaset che per conto del programma Matrix si è occupata di celebri casi di cronaca nera. Decine di simili situazioni, nel suo libro “Il cortocircuito. Storie di ordinaria ingiustizia”. Le vicende contenute nel volume riguardano per lo più casi che non hanno attirato su di sé l’attenzione dei media. Sono passati abbastanza in sordina. E forse per questo sono ancora più sconcertanti. Il procuratore aggiunto Pietro Argentino ha fatto notificare l’avviso di chiusura delle indagini preliminari al 34enne di Ginosa Raffaele Calabrese, ingegnere, consulente della difesa di Sabrina Misseri, e alla giornalista di Matrix Ilaria Cavo. L’episodio in questione è quello avvenuto il 26 ottobre 2010, quando Calabrese avrebbe offerto ad alcuni giornalisti televisivi che stazionavano dinanzi al tribunale, alcune foto scattate nel garage della famiglia Misseri, quello che viene indicato negli atti ufficiali come il luogo del delitto di Sarah. Il giornalista del Tg2 Valerio Cataldi riuscì a registrare il colloquio con il consulente della difesa di Sabrina, rifiutando ovviamente ogni forma di trattativa economica. La stessa sera, quelle foto poi furono mandate in onda da Matrix. A Raffaele Calabrese il procuratore aggiunto Pietro Argentino contesta l’interferenza illecita nella vita privata dei Misseri perché «mediante l’uso di una macchina digitale, si procurava indebitamente immagini relative all’interno del «garage» dell’abitazione di Cosima Serrano e Michele Misseri, scattando almeno 16 foto delle quali tre le cedeva a Ilaria Cavo. Con l’aggravante di aver commesso il fatto con abuso di prestazione d’opera». La giornalista Ilario Cavo è indagata invece per ricettazione in quanto «a scopo di profitto acquistava e, comunque, riceveva da Raffaele Calabrese le foto del garage di sicura provenienza delittuosa». E sul fronte dell’informazione, va segnalato che la Procura ha avviato accertamenti anche sull’intervista a Michele Misseri fatta in carcere il 13 febbraio 2011  dalla giornalista di Libero Cristiana Lodi che entrò nella casa circondariale come collaboratrice di un parlamentare del Pdl, la deputata del Pdl Melania Rizzoli De Nichilo. Per Ilaria Cavo e Raffaele Calabrese il giudice monocratico Ciro Fiore il 22 maggio 2012 ha dichiarato l’assoluzione. Calabrese ha chiesto il processo con rito abbreviato, la Cavo rito abbreviato condizionato all'audizione di un altro giornalista. E poi ancora c’è il caso di Fabrizio Corona, condannato a cinque anni di detenzione per estorsione ai danni del calciatore David Trezeguet. Il 2 luglio 2013 da detenuto dovrà presentarsi al Tribunale di Manduria con l’accusa di violazione di domicilio. La denuncia è stata sporta da Concetta Serrano, mamma di Sarah Scazzi. La vicenda risale al 26 febbraio 2011, quando l’ex re dei paparazzi era entrato in casa della famiglia Scazzi passando da una finestra e spaventando la madre della ragazza. Nonostante le scuse alla donna, in televisione Corona ha raccontato un’altra versione dei fatti: disse di essere rimasto nell’abitazione di Concetta a chiacchierare per una mezz’oretta, e che Concetta gli aveva perfino offerto il caffè. Lo scopo del fotografo era quello di realizzare delle interviste in esclusiva ai protagonisti della tragica vicenda. Concetta Serrano non ha ritirato la denuncia e, come disposto dal pm Maurizio Carbone, il paparazzo dovrà presentarsi quest’estate al Tribunale di Manduria. Per l’accusa di violazione di domicilio, Fabrizio Corona rischia altri 3 anni di carcere. A proposito di interviste non autorizzate. Concetta Serrano, la mamma della 15enne Sarah Scazzi uccisa lo scorso 26 agosto 2010, il 9 aprile 2011 ha presentato una denuncia-querela contro il giornalista Mediaset Marcello Vinonuovo per la trasmissione di un’intervista non autorizzata andata in onda venerdì 8. L’episodio, sul quale non si sono appresi particolari, è stato denunciato ai carabinieri della Stazione di Avetrana. E’ andata in onda una nuova puntata di Studio Aperto Live, lo spazio di approfondimento di Studio Aperto che su Italia 1 si occupa delle vicende di cronaca più attuali. Quindi alla luce delle nuove notizie legate alla richiesta del Dna per quattro persone implicate nel caso con diversi ruoli si è deciso di tornare ad Avetrana per parlare con Concetta Serrano ed è stata mandata in onda un’intervista alla madre di Sarah che però non era stata autorizzata dalla donna. L’argomento dell’ultima puntata era ancora il caso dell’omicidio di Sarah Scazzi: tracce di Dna riaprono le indagini. E proprio questo particolare ha spinto Concetta Serrano, madre di Sarah Scazzi, a presentare una querela contro il giornalista di Mediaset Marcello Vinonuovo presso i carabinieri della Stazione di Avetrana. Subito sono arrivate le repliche di Giovanni Toti, direttore di Studio Aperto, e Mario Giordano, direttore di News Mediaset: i due hanno subito detto che quella realizzata da Vinonuovo non è un’intervista rubata, Toti dice: “Il cronista si è qualificato come tale, aveva il microfono in mano e accanto l’operatore con la telecamera in spalla. Le domande erano assolutamente rispettose: non c’era nulla che potesse ledere la dignità della madre di una vittima, anzi la signora Concetta ha avuto la possibilità di esprimere il suo punto di vista. La conversazione si è svolta senza alcuna tensione nè fraintendimento, nè sui contenuti nè sul ruolo di entrambi. Non vedo perchè non avremmo dovuto mandarla in onda”. Anche Giordano interviene sulla vicenda dicendo: “L’intervista è stata realizzata in luogo pubblico, da un giornalista che si è dichiarato tale, con il microfono ben in vista come dimostrano le immagini. La signora Concetta ha espresso ragionamenti sensati e condivisibili rispetto a un tema di interesse pubblico. Una persona può legittimamente non rispondere, ma se risponde e c’è interesse pubblico a quello che dice, non vedo perchè non lo si debba trasmettere”. Non turba a nessuno il fatto di sapere che Concetta Serrano, pur quasi ogni giorno sulla cronaca con la sua famiglia, rilasci interviste a iosa e, nonostante tutti i media siano con lei e artatamente contro sua sorella Cosima Serrano e sua nipote Sabrina Misseri, pretende di autorizzare o meno le interviste scomode e di denunciare Marcello Vinonuovo di Italia 1, forse perché collega di Ilaria Cavo. Ilaria Cavo è con Maria Corbi l’unica ad aver dato notizie con un minimo di imparzialità. Ad Avetrana non c’è modo di palesare la verità nonostante la multa per 400 programmi tv che si sono occupati in maniera morbosa del caso di Avetrana. L’Agcom ha voluto porre un freno a questa continua ricerca di fare ascolti in televisione sfruttando il dolore delle persone ed ha comunicato all’Ordine dei giornalisti l’intenzione di multare 400 trasmissioni che si sono occupate del caso Scazzi violando le norme. Ma secondo il presidente dell’Ordine, Enzo Iacopino i giornalisti sono stati trattati come burattini da burattinai: “Seminavano tutto e tutto noi giornalisti mandavamo in onda o pubblicavamo sui giornali”

A questo punto cosa vorrebbe che si sapesse?

«Ora basta!!! Bisogna far conoscere la verità. La verità storica alternativa a quella mediatico-giudiziaria. Il processo per l’omicidio di Sarah Scazzi non è contro i Misseri, ma contro Avetrana, anzi, contro il Sud Italia. Gelosia e Reputazione sono i traballanti moventi inquadrati da stampa e magistratura. La magistratura sin da subito è stata incapace di sbrogliare la matassa fino a quando la soluzione gli è stata offerta sul piatto d’argento proprio da Michele Misseri. Ed ancora si continua ad insinuare che Avetrana non ha collaborato. Ipotesi fomentate da giornalisti ignoranti e prezzolati da padroni senza scrupoli e dal finanziamento pubblico. Pennivendoli che alimentano stereotipi datati. Nel contesto territoriale (per loro omertoso e retrogrado) non emerge più il cafone con coppola e con lupara che per gelosia spara a destra ed a manca. Oggi ci rapportiamo con l’evoluzione del pregiudizio: donne baffute in nero nascoste da gonne lunghe e fazzoletto in testa che con il sangue lavano l’onta del tradimento e della maldicenza. Poco si parla dell’Avetrana tecnologica con i suoi giovani a navigare sul web ed a rapportarsi sui social network ed a passare il tempo libero fino a notte inoltrata nei Pub all’inglese maniere. No! Bisogna far immaginare Avetrana con i carretti trainati dai muli o meglio dagli asini di Martina Franca. Quante volte si è sentito nei salotti trash della tv italiana da improvvisati commentatori: “…non siamo a Milano o a Roma, siamo lì. Qui si parla di Avetrana, un piccolo paese del sud. Lì..un paese così…dove tutti si conoscono, dove tutti stanno a sparlare…un paese del profondo mezzogiorno. Mi sa tanto che quando si parla dei cervelli in fuga non ci si riferisce alle nostre eccellenze che sono costrette ad emigrare, ma ci si riferisca agli encefali fuggiti dai crani dei giornalisti che sono stati ospitati ad Avetrana, anziché cacciati così come hanno fatto a Brembate di Sopra. Giornalai, e non giornalisti, che per dare la loro verità sono stati pronti ad intervistare nullafacenti ed ubriaconi nei bar del paese. Nel film “Benvenuti al Sud” la frase ricorrente è che chi viene al sud piange due volte: nel venire e nell’andar via. Bisogna dire che, invece, è proprio certa stampa che fa venir da piangere, ma per la loro condizione professionale. Mi sa che fa bene Beppe Grillo a non voler rapportarsi con tutti loro, così come aveva ragione Malcom X. Disse Malcolm X, «Se non state attenti, e dico questo perché ho visto qualcuno di voi cascare nella trappola, se non state attenti finirete con l'odiare voi stessi e con l'amare il bianco che vi procura tanti guai. Se gli consentite di persuadervi, vi spingerà a credere che non è giusto usar violenza contro di lui quando lui la usa contro di voi. Se non state attenti i media vi faranno amare gli oppressori e odiare quelli che vengono oppressi. La stampa è capace di farvi amare gli assassini ed odiare le vittime». Giorgio Bocca (notoriamente antimeridionale) su “L’Espresso” se la prende anche con i giornalisti locali: «Ne esce male anche l'informazione, Avetrana è un villaggio del profondo Sud nella campagna di Taranto, i primi ad accorrere sono i corrispondenti locali che mandano fiumi di parole confuse, di rivelazioni contraddittorie che si aggiungono alla difficoltà di trovare una minima ragione nella caotica e irragionevole vicenda.» Avetrana, invece, ha capito da subito che le luci della ribalta volevano un paese maledetto, omertoso. «Ma quale omertà, qui è il contrario, nessuno si fa i fatti suoi» dicono ora che il virtuale è più forte della realtà. Adesso che i programmi televisivi si sono inseguiti in una corvée instancabile e ormai quasi mancano le comparse, a Sabrina tocca apparire a reti unificate: piange a Matrix e nello stesso tempo è a Porta a porta con la riedizione di un suo intervento a La vita in diretta. La prima a capire che solo la tv poteva salvarla è stata la madre di Sarah, Concetta. Da subito ha intuito che spalancando la porta ai media avrebbe conosciuto la sorte di sua figlia. E così è stato. Sospira il procuratore capo di Taranto Francesco Sebastio: «Ditemi un momento nel quale non era in televisione a dirci come condurre le indagini, come dovevamo fare... Non si poteva neppure dire all’assassino: aspetta a confessare che finisca la trasmissione. Ne sarebbe iniziata un’altra». E per 42 giorni, come nota un investigatore, «lei davanti alle telecamere si è fatta sempre trovare pronta e in ordine». Senza un filo di ricrescita, notano i maligni, «i capelli rossi, come se ogni giorno si rifacesse l’henné». Una famiglia diabolica, i Misseri, decimata dalle accuse ed Avetrana, bollata come omertosa, bugiarda, depistante. Questo il ritratto che il pm del caso Sarah Scazzi ha tracciato in quattro giorni di requisitoria chiedendo l’ergastolo per Sabrina Misseri e Cosima Serrano, madre e figlia, zia e cugina della vittima accusate di concorso in omicidio e sequestro di persona. Non solo. I pubblici ministeri hanno chiesto alla Corte d’Assise la trasmissione degli atti riguardanti le deposizioni fatte durante il processo da Ivano Russo, il ragazzo conteso tra Sabrina e Sarah, Alessio Pisello, componente della comitiva delle due cugine, Anna Scredo, moglie di Antonio Colazzo, Giuseppe Olivieri, imprenditore di Avetrana datore di lavoro della moglie del testimone Antonio Petarra che vide il giorno del delitto Sarah Scazzi mentre si recava verso l’abitazione dei Misseri, Anna Lucia Pichierri, moglie di Carmine Misseri, e infine Giuseppe, Dora e Emma Serrano, fratelli e sorelle con Cosima e Concetta, schierate nelle loro testimonianza a favore della prima.  Ivano Russo in collegamento da Avetrana con “La Vita In Diretta” con Marco Liorni si è lamentato del fatto che lui ha rischiato di essere arrestato perché sospettato del delitto o comunque di essere reticente o falso, oggi verrebbe indagato, pur inquadrate le responsabilità del delitto, per essere stato reticente e falso. Il movente per i Pubblici Ministeri di Taranto? «La possibile rivelazione dei rapporti intimi con Ivano (amico delle due cugine) che avrebbe potuto compromettere l'immagine della famiglia Misseri in un piccolo centro provinciale come Avetrana». Come se la gente del piccolo centro come Avetrana non ha null’altro da fare che stare dietro alle vicende sessuali di una ragazza che non conosce e che non interessa conoscere tenuto conto di tutti i problemi che attanagliano i cittadini italiani. Naturalmente qui si parla di magistrati che, dai dati pubblici rilevabili da siti istituzionali, risultano essere anche loro del posto che degradano. Si parla  di BUCCOLIERO dott. Mariano Evangelista Nato a Sava il 7.4.1965 e di Argentino dott. Pietro di Torricella. Ma contro i pregiudizi non ci sono limiti. Da ultimo e non sarà l’ultima volta, un sedicente giornalista, tal Paolo Ojetti, il 7 marzo 2013 in riferimento al delitto di Sarah Scazzi ha scritto su “Il Fatto Quotidiano”: «Quello che alla fine lascia pensosi è il “contesto”, una alchimia di arcaico e ipermoderno, di barbarie da profondo sud e di spregiudicato uso dei media da parte di assassini e di comprimari…E il movente? Messaggini erotici da tenere segreti. Ricatti sessuali adolescenziali. Difesa della purezza familiare, valore dalla cintola in giù che giustifica tuttora violenza, stupro, incesto, femminicidio. Può anche darsi che la cronaca nera punti solo all’Auditel. Ma, almeno in questo caso, è stato uno schiaffo benefico che riporta con i piedi sulla terra di un paese arretrato». In riferimento al gruppo di Sarah Scazzi il sedicente giornale “padano” di Taranto, “Taranto Sera”, scrive «Un gruppo in cui non si sarebbe disdegnata qualche pratica parecchio ‘spinta’, inconfessabile, a maggior ragione in un contesto come quello di un piccolo paese del profondo Mezzogiorno, quale Avetrana.» Altra sedicente giornalista, tal Annalisa Latartara, non nuova ad exploit del genere (si pensi viene dalla nordica Taranto), lo stesso giorno e sempre a proposito ha scritto su “Il Corriere del Giorno” di Taranto: «Ma l’opera di depistaggio della famiglia Misseri è stata agevolata dall’omertà di chi ha visto e non ha raccontato nulla, né di sua spontanea iniziativa, né dinanzi agli investigatori. Di chi chiamato a deporre in aula non ha detto tutto quello che sapeva.» Ed ancora altro sedicente giornalista, tal Pasquale Amoruso e sempre a riguardo su “Il Quotidiano Italiano” (padano anch’esso) di Bari ha scritto: «L’omertà è il vero strumento di contrasto alla Giustizia nel caso Scazzi. L’omertà di Giovanni Buccolieri, il fioraio di Avetrana che dichiarò di aver visto zia e cugina costringere Sara in lacrime salire in macchina, salvo poi ritrattare la sua versione, dicendo di non aver visto effettivamente la scena, ma piuttosto, di averla sognata, e l’omertà di tre suoi parenti, indagati per favoreggiamento personale e intralcio alla Giustizia. L’omertà dei nove testimoni le cui dichiarazioni contrastano con le prove in mano agli inquirenti e l’omertà di chi, pur sapendo come stanno le cose, perché qualcuno c’è, non parla per preservare, non so cosa sia peggio, un assassino o una rispettabilità ormai perduta. Insomma, quante persone occorrono per uccidere una ragazzina? Tutte quelle che non parlano.» Ed ancora. «Sullo sfondo di queste tesi difensive, però, il ficcante lavoro della procura che abbiamo visto nelle udienze passate ha scandagliato con accuratezza la grande mole di indizi, intercettazioni, testimonianze e confidenze, entrando anche e soprattutto, non dimentichiamolo questo, nell’humus sociale, culturale e familiare nel quale si è realizzato il terribile omicidio.» Dice a mo di lacchè dei magistrati Walter Baldacconi, direttore del TG di Studio 100 tv, emittente “Padana” con sede a Taranto, criticando le tesi difensive di Nicola Marseglia e le prese di posizione di Franco Coppi in merito al fuori onda che hanno dato l’imput all’astensione dal processo Scazzi della Trunfio e della Misserini.»

Va bene, ma gli amministratori locali e con essi l’opposizione consiliare cosa hanno fatto?

«Nonostante lo smacco giudiziario e l’offesa mediatica a tutta la popolazione avetranese il sindaco della ridente località, Mario De Marco, del Popolo delle Libertà, e la sua giunta cosa fanno? Anziché prendersela con chi ci sputtana, le loro ire si rivolgono alle parti più deboli, forse responsabili di delitti che, però, niente hanno a che fare con le insinuazioni o le vere e proprie accuse di omertà ed arretratezza sociale e culturale della comunità. «Avetrana - si legge nell'atto di parte civile - si è guadagnata la triste fama di cittadina quasi omertosa, simbolo di un profondo sud, vittima ancora oggi di troppi luoghi comuni. Sono note le spedizioni dei cosiddetti turisti dell'orrore - continua l'avvocato Corleto - che si sono avventurati nei luoghi simbolo della vicenda: le vie in cui si trovano le abitazioni della famiglia di Sarah e della famiglia Misseri, lo stesso cimitero che ospita la tomba di Sarah, nonché il pozzo di campagna nel quale è stato rinvenuto il cadavere della ragazzina sono stati meta di veri e propri pellegrinaggi. In questa dolorosa vicenda ci sono due vittime. La prima è certamente Sarah, l'altra è la città di Avetrana». «Gli Avetranesi hanno nel cuore Sarah e sono offesi dal comportamento della famiglia Misseri. Perché a prescindere dalle singole responsabilità che saranno accertate nel dibattimento, sono stati loro a innescare la morbosa attenzione dei media su questo caso e la conseguente ripercussione negativa per l'immagine della nostra comunità»,  rincara la dose il vicesindaco Alessandro Scarciglia.  «In tutta questa situazione la popolazione di Avetrana è rimasta letteralmente disorientata, privata della propria serenità, impossibilitata ad osservare il dovuto silenzio e rispetto nei confronti della giovane vittima, nonché violentata in ogni aspetto della quotidianità, oltre che letteralmente assediata dai mezzi di informazione». Una «sete di giustizia», continua il documento della costituzione di parte civile, per «un’offesa enorme, una ferita profonda che merita di essere valutata e adeguatamente riparata in sede giudiziaria». Per gli amministratori che si dichiarano parte offesa, quindi, «il nome di Avetrana è ormai tristemente associato al crimine del quale sono chiamati a rispondere gli imputati» che dovrebbero così, se condannati, rifondere la somma «che sarà poi quantificata - ha spiegato il penalista Corleto - in un secondo tempo e in sede civilistica». Lo stesso avvocato che dovrebbe difendere la reputazione di Avetrana afferma inopinatamente  «Avetrana è una città di gente che lavora e vi preannunzio per andare sempre più in fretta LA GENTE DI AVETRANA E’ COME MICHELE MISSERI. Se ad Avetrana non ci fosse stata gente sana, non avremmo potuto parlare della contestazione d'accusa di sequestro di persona». E MENO MALE CHE DIFENDE L'ONORE DI AVETRANA, perchè gli Avetranesi non gettano i bambini nei pozzi!!!! L’avvocato Pasquale Corleto il quale, in rappresentanza del Comune di Avetrana, ha fatto un’esposizione giuridica che ha ricalcato, potenziandola, la tesi dei pubblici ministeri. Difendendo a suo parere subito la «parte sana» della comunità avetranese (e meno male se fosse stato il contrario?), per il cui danno all’immagine ha chiesto 300 mila euro di risarcimento danni, il penalista leccese ha esordito dicendo che «la popolazione di Avetrana non è omertosa, è fatta di persone buone», fatta eccezione, ha aggiunto diffamando gratuitamente, prima con un’intervista a Blustar TV e poi in aula, coloro che in giudizio non sono. «Il collegio dei Falsi, cioè Valentina (Misseri) e compagni, che buttando a mare tutti gli avvocati precedenti, hanno imposto questa linea  della banda del falso che come Ivano Russo sono i giganti del turpiloquio e del depistaggio: una serpe. E’ il soggetto più turpe, più viscido. La serpe che entra nel processo. Che parla fuori, dentro le aule, le interviste, alle telecamere e tutto ciò che sapete, quando deve dire qualcosa di concreto, è questo il vangelo dettato dalla regia. Quando si sono visti con le mani al collo non potevano più dire chiacchiere a gente con la toga e dicono non ricordo». Avetrana: omertà e mafia, luoghi comuni che si rincorrono. «Un massacro gestito con metodi mafiosi. Sarah Scazzi è stata massacrata ed è un massacro peggiore per le condotte successive al delitto che denotano un metodo mafioso, da 416 bis. Sarah non doveva essere solo uccisa - ha spiegato Nicodemo Gentile, l’avvocato degli Scazzi - ma doveva sparire ed essere annientata. Non doveva esistere più. Doveva diventare uno di quei tanti volti che fanno parte dell'esercito di scomparsi.» Chi rappresentava Avetrana avrebbe fatto meglio a cercare e catalogare in questi anni ogni articolo di stampa ed avrebbe dovuto registrare ogni intervento delle miriadi trasmissioni tv per far rendere il conto delle loro denigrazioni ai rispettivi responsabili, siano essi ignoranti giornalisti o che siano pseudo esperti improvvisati. Come non dar ragione all’altra parte politica di Avetrana: «Sono Cinzia Fronda, cittadina del paese di Avetrana e segretaria sezionale del Partito Democratico. Scrivo da cittadina di un paese devastato, maltrattato, violentato da tanto orrore. Ovviamente mi riferisco al caso Scazzi che da qualche giorno è tornato prepotentemente alla ribalta. Ho sentito diversi giornalisti che con una facilità pericolosa e poco professionale, secondo la mia opinione, continuano a denigrare Avetrana e i suoi abitanti facendoci passare per quelli omertosi, ignoranti e, perché no?, cittadini di serie C2! Sono veramente stanca di questo continuo maltrattamento mediatico, vorrei fare presente che la maggior parte dei cittadini di Avetrana sono persone normali, con una cultura normale, con una vita normale e che non mi sembra assolutamente giusto che si faccia di tutta l'erba un fascio. Con tutto il rispetto per gli abitanti di Brembate, che hanno anche amministratori di rispetto che ben si sono guardati dall'esporsi in maniera esagerata, non cedendo al fascino mediatico, vorrei far presente che lì la famiglia di Yara ha chiesto il silenzio stampa e allora tutti a parlarne bene mentre per il caso di Avetrana si continua a dare addosso agli abitanti perchè molti continuano ad amare intrattenersi con i giornalisti, anche quando sarebbe il caso di smettere di parlare a vanvera e lasciare che gli inquirenti facciano serenamente il loro lavoro. Basta violenze mediatiche, Avetrana non è il paese dei mostri, è un paese che ha voglia di riprendere a vivere normalmente e serenamente». Peccato che anche lei si è limitata a dire parole, parole, parole…..»

Va bene. Allora presenti lei Avetrana.

«Sorge su quella che era chiamata la “Via Sallentina”, Avetrana, l’antico tratto viario che in epoca messapica, e successivamente in quella romana, collegava Taranto, Manduria, Nardò, Leuca e Otranto. Con le sue 8.300 anime, il paese vanta origini antiche, ma sono in particolare le tracce di epoca romana a risaltare come il “canale romano”, che raccoglieva e faceva confluire le acque in quello naturale di San Martino. Sono numerose le ipotesi del suo toponimo, tra cui quella che lo fa derivare da “habet rana”, per via delle massiccia presenza di rane nella zona ricca di paludi o, ancora e forse più attendibile, l’ipotesi che risalga ad una distorsione di “terra veterana”, ovvero non coltivata. Certo è che Avetrana custodisce e mostra le sue vestigia con orgoglio a cominciare dal suo piccolo ma prezioso centro storico, nel quale ogni nobile e feudatario del suo tempo ha lasciato la propria firma: dai Pagano agli Albrizi fino agli Imperiale ed i Filo. Di quello che doveva essere un imponente castello si scorge oggi il torrione circolare e parte delle mura mentre i vezzi decorativi di alcuni palazzi come palazzo Torricelli e palazzo Imperiale, accanto alle architetture più modeste tra i viottoli del centro lasciano oggi intuire il potere della nobiltà nel piccolo e operoso borgo. Zona di grotte e depressioni carsiche dalle quali sono emersi anche resti del Neolitico, Avetrana, in epoche sicuramente più recenti, vanta un’ammirabile tradizione di resistenza: nel 1929 fu il centro di una rivolta dei contadini poi repressa dal regime fascista, mentre negli anni Ottanta si oppose strenuamente alla costruzione nel suo territorio di una centrale nucleare. Il paese dista dal mare appena quattro chilometri e dalla zona denominata “Urmo Belsito”, località marina abitata da moltissimi cittadini extraregionali e comunitari scelta da loro come dimora di relax, lo sguardo può spaziare dal mare all’orizzonte alla rigogliosa macchia mediterranea che la fa da padrone nell’entroterra. Il patrono di Avetrana è San Biagio e viene festeggiato il 29 aprile. Il comune dista 43 chilometri dal capoluogo,Taranto, e 37 chilometri da Lecce. Rispetto ad altri paesi Avetrana si è fatta sempre notare per la sua intraprendenza, emancipazione ed apertura mentale e per le indiscusse virtù di alcuni suoi concittadini. Si ricorda Antonio Giangrande, noto scrittore letto in tutto il mondo o suo figlio Mirko divenuto a 25 anni e con due lauree l’avvocato più giovane d’Italia. Ed ancora Biagio Saracino, Cavaliere della Repubblica; Leonardo Laserra, Tenente Colonnello, maestro della Banda della Guardia di Finanza nota in tutto il mondo. E poi Antonio Iazzi, professore dell’università del Salento, e Leonardo Giangrande, già vice presidente della Camera di Commercio di Taranto. Ed ancora Rita Rinaldi, soubrette e cantante o i duo artistico musicale Mimma e Giusy Giannini (in arte Emme e gy) con Miriana Minonne e Valentina Iaia (in arte Miry e Viky). Ed ancora Vito Mancini, concorrente del Grande Fratello 12. E tanti altri talenti ancora. Ma di questo i media ignoranti ed in malafede non ne parlano.»

La stampa. L’informazione cartacea e video come hanno riportato i fatti storici e giudiziari?

«Con la loro verità mediatica. Come volevasi dimostrare dopo la scorpacciata di immagini, interviste, servizi tv a favore della requisitoria dell’accusa e delle arringhe delle parti civili, farcite anche di gratuite ed impunite calunnie e diffamazioni o, come ha riferito Franco Coppi ad Anna Gaudenzi su Affari Italiani, « Sono state dette troppe cose e non abbiamo apprezzato alcune battute poco eleganti.» Bene si diceva che dopo l’abbuffata di poco corrette prese di posizioni della stampa, a dare voce alla difesa non c’è nessuno. Sono passate sotto silenzio le udienze dedicate agli imputati. Addirittura le tv locali, a turno, hanno ignorato l’evento. Poche righe dedicate e servizi assenti o striminziti. Rimasugli dedicati a Michele Misseri. Solo la malasorte difende Avetrana. Tempi duri per gli operatori dell’informazione. Rovinose cadute, strani malori, telecamere che si spengono, fari che esplodono, cassette inceppate. E ancora serrature d’auto che s’inchiodano, incidenti stradali e bucature multiple delle ruote. Una sospetta concentrazione d’infortuni scuote il popolo dei media che ha preso domicilio ad Avetrana per documentare il giallo dell’uccisione della piccola Sarah Scazzi. Nella graduatoria della iella, la categoria che ha avuto la peggio è quella dei giornalisti. Le donne sono più sfigate dei loro colleghi. Sono molti, anzi troppi i processi sotto la lente mediatica. Si parla troppo spesso di processo mediatico, di quanto possa influenzare quello giudiziario, soprattutto quando l'opinione pubblica non accetta i fatti e le sentenze. Il problema, secondo alcuni, è che anche nei processi si preferisce soffermarsi sugli aspetti scandalistici o curiosi delle vicende anziché addentrarsi sul merito dei reati. Il processo del terzo millennio si offre oramai senza veli allo sguardo mediatico che imbastisce processi paralleli fuori dalle aule di giustizia e dai suoi riti, i cui improvvisasti ed imperiti pubblici ministeri sono i giornalisti od i conduttori di trasmissioni trash tv ed i giudici sono i loro lettori o telespettatori, godenti peccatori delle altrui disgrazie. Nessuno spazio alla difesa dei malcapitati. Fa niente se poi i tapini sono prosciolti nei processi veri. Ha ragione Massimo Prati quando dice che questo fa capire in maniera netta come tanti nostri magistrati non sappiano, o per diversi motivi non vogliano, leggere allo stesso modo le “'tavole” dei codici penali e come tanti di loro si sentano ancora parte attiva di un'altra epoca storica. Fa capire come i nostri magistrati non siano stati preparati, da chi doveva insegnargli ed aiutarli mentalmente, ad entrare da uomini giusti negli anni duemila. Fa capire come siano rimasti ancorati agli albori della giustizia, a quando chi giudicava comminava pene in base alle possibilità economiche ed al ceto sociale. Nella Babilonia di quasi quattromila anni fa, durante il regno di Hammurabi, il povero, a parità di reato, era obbligato alla morte, mentre chi aveva possibilità economiche, per tornare un “uomo libero” si limitava a pagare un'ammenda. Nel basso Medioevo, nella futura italica terra, si procedeva con un trattamento simile, trattamento che teneva conto non solo dei beni posseduti, ma anche delle amicizie altolocate e del ruolo che il reo ricopriva nella sua comunità. Ad oggi nel terzo millennio pare proprio che nulla sia cambiato. Da anni la nostra “giustizia” è divisa in tronconi colorati. E sempre più spesso capiamo di avere a che fare con enormi disparità di trattamento. Già nel '71 con il film “In nome del popolo italiano” ci fu chi puntò il dito (Dino Risi) contro quei magistrati, allora idealisti e squattrinati, che abusavano del potere concesso loro dal popolo italiano. Qualcosa è cambiato da allora? Difficile rispondere sì, visto che fra il “certo colpevole” e chi si dichiara innocente la disparità di trattamento è enorme e tutta in favore del “certo colpevole”, visto che i trattamenti cambiano da procura a procura, da tribunale a tribunale, visto che con alcuni imputati c'è chi usa il guanto di velluto mentre, per reati simili se non identici, da altre parti c'è chi usa il pugno di ferro. Amanda Knox e Raffaele Sollecito sono rimasti quattro anni in carcere in attesa di un verdetto “giusto”. Sabrina Misseri e sua madre sono chiuse in galera da anni senza essere dichiarate colpevoli in modo definitivo. Sabrina Misseri è stata arrestata perché non ha ammesso di amare e di essere gelosa del “Delon di Avetrana”, perché non ha ritenuto di aver litigato con la cugina la sera precedente la scomparsa. Questo è bastato ad impedire si facesse un minimo di indagine che convalidasse i sospetti. Di logica le accuse, siano di estranei o di un “caro genitore”, vanno verificate prima di mandare i carabinieri ad eseguire un ordine di arresto... non si dovrebbe arrestare e sperare di trovar prove successivamente, si dovrebbero trovar prove e poi arrestare. Sua madre ha subìto la stessa sorte: ha seguito la figlia in carcere perché un fiorista l'ha sognata e perché c'è chi ha notato un'ombra grigia sfrecciare per Avetrana. Un sogno ed un'ombra possono giustificare il carcere in canili umani? Non inserirò altre storie di presunti colpevoli, arrestati e carcerati preventivamente e senza prove, basta cercare in internet per trovare migliaia di innocenti risarciti della reclusione ingiusta con soldi statali... e non con quelli privati di chi ha sbagliato a chiudere in carcere, senza avere prove, un incensurato. Rovinare la vita delle persone comuni è fin troppo facile, questo è quanto l'italiano, che non ha mai avuto guai con la giustizia, deve capire. Non deve credere di essere immune perché onesto, e non deve pensare che a lui ed ai suoi figli non capiterà mai quanto capitato ad altri. Lo sbaglio è sempre dietro l'angolo. Lo sa bene Giuseppe Gullotta, che di anni in galera ne ha fatti ventuno, compresi i preventivi, a causa delle torture riservate a chi lo ha accusato (poi impiccatosi in carcere seppure avesse un solo braccio). Ed anche se un domani il danno verrà scoperto e riparato, non ci sarà mai un risarcimento che possa compensare la psiche, che possa riportare in vita i genitori morti dal dolore, che possa ridare la “salute” alle mogli che per la vergogna e il dispiacere sono invecchiate anzitempo (sempre siano restate accanto ad un marito che non c'era), che possa far tornare l'infanzia e l'adolescenza nei figli cresciuti senza un padre accanto, cresciuti col marchio dell'infamia che porta il dover parlare di un genitore non presente perché in carcere. Non inserirò altre vergogne italiche, non le inserirò perché anche se narrassi mille e una storia, nulla cambierebbe e nessuno modificherebbe il proprio modo di operare e di giudicare gli altri, siano essi giudici o pubblico di talk show. Per questo servirà tempo e una buona capacità di insegnamento da parte di chi formerà i nuovi giudici ed i nuovi magistrati. Ma non c'è da stupirsi, in fondo la nostra giustizia rispecchia la maggioranza del popolo italiano... quella maggioranza che succhia la notizia senza accorgersi che il gusto lascia l'amaro in bocca. A un mese dalla sentenza di primo grado sull'omicidio di Avetrana, Michele Misseri torna ad autoaccusarsi. Ospite in collegamento di Barbara D'Urso a Domenica Live, zio Michele ha nuovamente confessato la sua colpevolezza scagionando la moglie Cosima e la figlia Sabrina. “Loro sono innocenti – ha ripetuto più volte Misseri – io sono l’assassino, ma nessuno mi vuole credere. Ho i rimorsi e devo pagare per quello che ho fatto.” L'uomo ha poi minacciato il suicidio se la moglie e la nipote verranno condannate in via definitiva. Per chi se lo fosse perso: Barbara D'Urso e le sue faccette il 3 marzo 2013 hanno intervistato Michele Misseri a Domenica Live su Canale 5. Tempo concesso all'occultatore del cadavere di Sarah Scazzi e reo confesso del delitto: un'ora circa, nemmeno fosse Silvio Berlusconi. Senza lasciare nulla al caso, la D'Urso si è vestita a righe per l'occasione e lo ha intervistato per la seconda volta nel giro di pochi mesi (la prima era stata a dicembre 2012); da Avetrana, collegata in diretta, Ilaria Cavo. Perché a Michele Misseri, nello spazio domenicale che un tempo era rivolto alle famiglie, si concede la diretta. Ma lo scandalo è la piega che prendono certe trasmissioni trash e disinformative: Quarto Grado, La Vita in Diretta, Porta a Porta, Chi la Visto? ecc. E' interessante notare l'evoluzione della figura di Michele Misseri; all'inizio era lo “zio orco”, poi è diventato - per i giornalisti - la povera vittima di moglie e figlia, e allora la sua immagine è stata in parte ripulita. Così per i tg è tornato semplicemente ad essere un uomo: lo zio Michele. Contemporaneamente il processo sull'omicidio di Avetrana si era spostato dalle aule giudiziarie in televisione; la sovraesposizione delle persone coinvolte era stata tale da renderli personaggi televisivi, Sabrina e Michele Misseri in particolare. La voglia di sangue del pubblico. Il Colosseo come gli studi televisivi. La parzialità dei conduttori è spudorata e non fanno niente affinchè non prevalga la voglia di giustizialismo a danno di Sabrina Misseri e Cosima Serrano: Mara Venier e tutti gli altri, compreso l’ipocrisia di Barbara D’Urso che si dichiara  “vicina a Concetta e alla sua battaglia”. Mai nessuno di loro, però, a raccontare la verità. La verità storica ed incontestabile è che il processo è ancora al primo grado, manca il certo appello e la Cassazione e, cosa che rimarca un certo senso di malessere nei confronti di certi magistrati, è che Michele Misseri si dichiara colpevole ma è libero, mentre la moglie e la figlia che si professano innocenti sono in carcere. Si dichiarano colpevoli l’uno ed innocenti le altre da sempre e con coerenza, come se fossero criminali esperti ed incalliti. Non solo: prima la D'Urso lo invita per impennare lo share (e per cos'altro sennò?), poi lo cazzia per quello che ha fatto, (confessare il delitto che secondo lei non ha commesso o aver commesso il delitto?). “I padri non diventano assassini” dice la D’Urso, giusto per appagare le voglie del pubblico guardone e schierarsi dalla parte di chi pensa che Michele menta per coprire Sabrina.»

La mamma di Sarah, Concetta Serrano Spagnolo Scazzi, come si è comportata?

«Comunque, per colpevoli che possano essere agli occhi dei giustizialisti, è pur vero che la colpevolezza va provata e nessuno, dico nessuno, può essere condannato senza prove che adducano ad una colpa al di là di ogni ragionevole dubbio. Eppure c’è chi si ostina a tener ferma la sua posizione, senza ombra di dubbio, mossa da sentimenti prosaici e poco religiosi. Eppure nessuno, oltre al sottoscritto, osa parlare contro il sentimento comune, se non Ilaria Cavo con i suoi atteggiamenti, la giornalista Mediaset indagata proprio dalla procura di Taranto, e Maria Corbi con i suoi articoli, giornalista del “La Stampa” di Torino. La nostra colpa è vedere le cose con imparzialità senza essere genuflessi e succubi ai magistrati tarantini. Il processo al delitto di Sarah Scazzi è il processo ad Avetrana. Alla richiesta da parte di Argentino e Buccoliero della condanna per tutti gli imputati, specialmente per l’ergastolo a Sabrina Misseri ed alla madre Cosima Serrano, tutta l’Italia forcaiola ha applaudito. Si sentono ancora gli applausi registrati nello studio di “La vita in diretta” con Marco Liorni e di “Pomeriggio cinque” con Barbara D’Urso. A tutti i testimoni che hanno testimoniato contro la tesi accusatoria si prospetta la condanna per falsa testimonianza. L’Italia forcaiola che per soddisfare l’aspettativa di vendetta pretende la tortura e l’omicidio di Stato per lavare l’onta di un efferato delitto. A scanso di essere lapidati da falsi moralisti si tiene a precisare che si può essere d’accordo, ma non bisogna mai emettere giudizi affrettati e sommari, prima di ascoltare cosa ha da dire la difesa, tenuto conto che nei processi italiani, fino a che non tocchi ai difensori la parola, hanno voce solo i pubblici ministeri ben ammanicati con giornalisti approssimativi e parziali. Per chi conosce bene il sistema della giustizia in Italia ed i magistrati italiani prima di emettere sentenze popolari bisogna essere cauti e con cognizione piena di causa. La mamma di Sarah, Concetta Serrano Spagnolo, ha accolto le richieste di ergastolo con mezza soddisfazione. «Sono cose che non fanno gioire nessuno e che non servono a ridare la vita strappata di una bambina. Chi uccide merita l'ergastolo - ha dichiarato la mamma di Sarah, Concetta - è stato il processo delle menzogne ed è anche giusto che coloro che hanno detto tutte queste menzogne paghino per quello che hanno detto. Non hanno avuto pietà per una bambina che stava anche piangendo». «Ho sempre detto che il movente della gelosia di Ivano non mi convinceva, che c'era qualcosa di losco e quello che è emerso ieri lo conferma». Lo ha detto Concetta Serrano, madre di Sarah Scazzi. Concetta ha fatto riferimento, con quel 'losco', alle abitudini a sfondo sessuale che aveva la comitiva di cui faceva parte Sabrina Misseri, come fare spogliarelli o andare a vedere le coppiette, coinvolgendo presumibilmente anche Sarah. Certo che ognuno di noi ci si potrebbe anche chiedere cosa facesse una ragazza di 15 anni insieme ad una comitiva di maggiorenni ed avere orari di rientro non compatibili per una ragazza della sua età. Concetta ha aggiunto che «è possibile» che Cosima abbia inseguito Sarah e abbia partecipato al delitto, secondo la tesi dell’accusa, perchè «lei è di altra tradizione, di altra generazione e non accettava questo stile di vita di Sabrina». «Non è vero, come hanno detto – ha aggiunto – che io odio Sabrina e Cosima. Mi fa rabbia che loro ce l’abbiano ancora con Sarah e continuino a dire che sono innocenti nonostante l'evidenza».» Un giornalista chiede a Concetta: “Signora Concetta Serrano (madre di Sarah Scazzi), dopo trentasette udienze e tanti testimoni, quali cose ha capito di questo processo? E che cosa si aspetta?” «Ho trovato eccellente la presidente della Corte d’Assise Rina Trunfio, bravi anche i pubblici ministeri Mariano Buccoliero e Pietro Argentino che hanno condotto indagini puntuali e puntigliose. Come andrà a finire non lo so, non ho molta fiducia nella giustizia degli uomini. I magistrati, anche loro, si devono attenere a certi dettami di legge che non ci proteggono. Anche se gli imputati prenderanno il massimo della pena, tra indulti e buona condotta li rivedremo in giro dopo pochi anni. Così, tanti sacrifici, tanto lavoro e tanti soldi di noi cittadini a che cosa saranno serviti? A niente. Ieri sono andata a comprare delle caramelle e il negoziante mi ha fatto notare la stranezza delle leggi: Fabrizio Corona deve stare in carcere cinque anni per reati tutto sommato banali, mentre mio cognato Michele, che ha gettato il corpo di una bambina in un pozzo, lo vediamo girare libero in paese come se niente fosse. Non solo io, ma tutto il paese è indignato per questo». Critiche alla giustizia in senso lato ed apprezzamenti ai magistrati, che poi non sono altro che il corpo e l’anima della giustizia e per gli effetti gli unici responsabili dell’ingiustizia e della malagiustizia. La ricerca di un colpevole e non del colpevole e la pena dura e certa da far scontare in canili umani per soddisfare il bisogno di vendetta e non di giustizia, pare che sia l’opinione di Concetta Serrano. Le convinzioni di Concetta Serrano sui magistrati italiani non sono certo condivise da altre mamme come lei, certo non traviate dal turbinio mediatico, ma artatamente i media usati da quest’ultime come strumento per una lotta dura e costante mirante alla ricerca della verità. «Ci sono in Italia "inefficienze gravi" nelle indagini che riguardano i sequestri dei bambini, "qualcosa che non funziona" su cui il governo deve intervenire, altrimenti "i bambini continueranno a sparire e non verranno mai trovati".» L’accusa arriva da Piera Maggio e Maria Celentano, rispettivamente la madre di Denise Pipitone  – scomparsa a Mazara del Vallo il 1 settembre del 2004 – e di Angela Celentano, sparita sul Monte Faito il 10 agosto 1996. Intervenute a ‘Buona Domenica’ su Canale 5 del 1 marzo 2008 le due madri hanno preso spunto dalla vicenda di Ciccio e Tore. «Il mio pensiero va a quei due bambini che purtroppo non ci sono più. Ringrazio Dio perché ho ancora la speranza di riabbracciare Angela e invece quei due bambini sono lassù - dice Maria Celentano per attaccare investigatori e inquirenti. «C’é in Italia un’inefficienza grave nelle indagini sui sequestri di bambini – afferma Piera Maggio – Nel 2007 abbiamo scoperto una cosa allucinante. Ci sarebbe stata la risoluzione del caso di Denise, e nessuno se ne era accorto. La sfortuna maggiore di mia figlia è stata quella di avere delle persone che la cercavano che forse non avevano le competenze per svolgere determinate indagini. Ho perso e mi hanno fatto perdere la fiducia nella giustizia italiana. Le famiglie - aggiunge la mamma di Denise - possono fare poco e niente, non hanno mezzi, aiuti necessari. Sono sole psicologicamente e moralmente e a pagare sono sempre i bambini». Parole simili arrivano da Maria e Catello Celentano. «Forse dodici anni fa non c’erano i mezzi che ci sono oggi – dice Maria – ma la realtà e sempre quella: i bambini spariti non si trovano. Non so perché, forse c’é poco impegno e poca responsabilità da parte degli adulti, ma qualcosa che non funziona c’é perché i bambini continuano a sparire. E poi si ritrovano in questo modo qua che è una cosa veramente atroce». «In Italia - aggiunge il marito - ogni volta che scompare un bambino si impiegano persone che non sono attrezzate, non hanno capacità e mezzi. E invece bisogna fare di più per loro». La madre di Yara Gambirasio, Maura Panarese, ha scritto al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a più di due anni dalla morte della figlia. Il testo della lettera parla di "Scarsa collaborazione degli investigatori con la parte lesa". E' quanto rivela la puntata "Quarto Grado" andata in onda venerdì 25 gennaio 2013. Secondo quanto riferito dalla trasmissione, nella lettera inviata al Capo dello Stato, la madre di Yara esprime le proprie critiche nei confronti di chi ha eseguito l’inchiesta. Un’indagine che si è concentrata, prima sul cantiere di Mapello, poi sull’ipotetico figlio illegittimo di un autista bergamasco morto da anni, basandosi sul Dna. La donna manifesta dunque al Presidente Napolitano tutto il dolore e lo sconforto perchè, dopo anni d’indagini, la figlia non ha ancora avuto giustizia.  Il mio libro “Sarah Scazzi, il delitto di Avetrana. Il resoconto di un Avetranese. Tutto quello che non si osa dire”, fa parte integrante della collana editoriale “L’Italia del trucco, l’Italia che siamo” composta da 50 opere trattanti, appunto, la sociologia storica, di cui io sono profondo cultore: ossia rappresentare e studiare il presente, rapportandolo al passato e riportandolo al futuro. Il libro su Sarah Scazzi è la vicenda soggettiva ed oggettiva che rappresenta l’Italia. Sarah Scazzi può essere Yara Gambirasio, Elisa Claps, Ciccio e Tore, Denise Pipitone, e tutte quelle vicende misteriose che hanno interessato i media. Se l’Italia dei media ha giudicato Avetrana, influenzando il pensiero dei più, un Avetranese giudica l’Italia dei media e le sue patologie: omertà, censura, disinformazione. E lo fa con una certa e non indifferente perizia, adottando un sistema inoppugnabile. Non riportare le proprie opinioni, che non interessano a nessuno ed a scanso di accuse di mitomania o pazzia, ma affidarsi ai fatti certi ed incontestabili, citandone la fonte. Il libro work in progress aggiornato periodicamente come tutti gli altri libri si può trovare da leggere gratuitamente sul sito dell’associazione di cui sono presidente nazionale www.controtuttelemafie.it in cui vi sono pure i filmati di riferimento, ovvero a minimo costo su Google libri, su Amazon per l’E-Book o su Lulu per il cartaceo.»

E sui magistrati in generale cosa ha da dire?

«Toghe rosse, toghe nere, toghe rotte. I giudici come le seppie e i polpi: cambiano colore a seconda degli imputati? Il problema forse non è tanto nel colore delle toghe ma nella loro insita incapacità di cogliere la verità storica nelle vicende umane. La loro presunta superiorità morale e culturale rispetto alla massa, avallata dal concorso truccato che li abilita, li pone talmente in alto che miseri loro non riescono a leggere bene la realtà che li circonda. Insomma loro son loro e noi “non siamo un c….”. Le strade italiane, oramai, sono diventate molto più transitabili, quasi deserte, non perché le persone son diventate improvvisamente più casalinghe e pantofolaie, ma semplicemente perché certuni PM e Giudici di casa nostra amano sbattere nelle patrie galere chiunque gli giri intorno: quindi, tutti dentro appassionatamente! La Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo accusa ad alta voce il nostro Paese, che viene giustamente condannato per il trattamento inumano e degradante dei carcerati detenuti nelle infernali galere italiche. Pensate che tale richiamo abbia minimamente scosso gli uomini dalla galera facile? I pubblici ministeri, i Gip, i Gup e i Procuratori Capo? I giudici monocratici o riuniti in assise. Neanche per idea! Al minimo dubbio, al fresco, nei Grand Hotel Italiani a -7 stelle; le cui stanze di meno di 3 metri quadrati possono contenere anche tre o quattro detenuti. Ma, a loro cosa può interessare; per le tenebrose toghe nere ciò che conta è apporre tacche su tacche alle loro pistole fumanti. Tanto chi paga quest’ammasso di carne sovrapposta in loculi invivibili è il cittadino italiano. I tantissimi processi, indagini, rinvii a giudizio per chi non ha fatto un emerito c…., e i tantissimi suicidi che si verificano settimanalmente in tali luoghi di tortura, non contano niente. L’importante è che di fronte a una ridottissima controversia ci si copra le spalle, ammanettando coloro che - di fatto - potrebbero a tutti gli effetti, e molti lo sono, essere innocenti. Tanto i Giudici, i PM e compagnia bella non verranno mai toccati, né verranno mai chiamati a rispondere in solido (pecuniariamente, moralmente, penalmente) dei misfatti compiuti. Solo nei casi eclatanti di magistrati pedofili, di giudici che usano il proprio ufficio per ricattare sessualmente viados o donne della mala, o di quelli conniventi con le varie mafie, si arriva a arrestarli, sed post breve tempus tutto viene subdolamente fatto passare nel dimenticatoio. Questa, purtroppo, è la disperata situazione della legge italiana, a voler continuare a non separare le carriere, a rimandare da tempo immemore la riforma della giustizia, e all’equiparare reati inferiori, quello, per esempio, di Fabrizio Corona, a reati gravissimi come l’omicidio, altro esempio la sentenza vergognosa del macellaio Jucker che si è fatto solo 10 anni per aver trucidato la fidanzata. In campagna elettorale si parla di tutto, meno della libertà del cittadino italiano che sta scomparendo, terrorizzato dalle cupe toghe nere. Il rischio della rappresentanza politica è sbagliare il rappresentante, perché questi signori nominati dall’alto si presentano in un modo e poi si comportano al contrario.»

Che rapporto ha lei con i magistrati locali e se ha fiducia nel loro operato, tenendo conto anche dell’esito del processo sul delitto di Sarah Scazzi?

«C’E’ SEMPRE UN GIUDICE A BERLINO. IL FUTURO AFFIDATO ALLA SORTE PER CHI RACCONTA LA VITA SENZA PARAOCCHI. La condanna o l’assoluzione affidata alla fortuna per la quale ti viene assegnato un magistrato dedito alla giustizia e non al culto della propria personalità. Quando, per poter esercitare il diritto di critica e di cronaca, senza pagare fio, ti tocca essere giudicato dal giusto giudice assegnato per sorte (e non per normalità come dovrebbe essere). «Da noi - ha dichiarato Silvio Berlusconi ai cronisti di una televisione greca il 23 febbraio 2013 - la magistratura è una mafia più pericolosa della mafia siciliana, e lo dico sapendo di dire una cosa grossa». «In Italia regna una "magistocrazia". Nella magistratura c'è una vera e propria associazione a delinquere» Lo ha detto Silvio Berlusconi il 28 marzo 2013 durante la riunione del gruppo Pdl a Montecitorio. Questa premessa per raccontare le mie e l’altrui vicissitudini giudiziarie per aver scritto la verità  e l’esito differenziato dei processi  in virtù del giudice che ha deciso sulle cause.  Per raccontare come può cambiare il senso della vita dell’imputato le cui sorti sono pendenti dal volere  di una persona,  il cui giudizio può essere falsato da un criticabile modus operandi. E’ un giorno come gli altri in quel Tribunale. Tribunale di Manduria, sezione staccata di Taranto. Ma è come se fossi in qualunque Tribunale d’Italia. E’ il 21 febbraio 2013, ma può essere qualsiasi altro giorno dell’anno che fu o che sarà. Sono lì da imputato per l’ennesimo processo per diffamazione a mezzo stampa, uno dei tanti senza soluzione di continuità. E’ il prezzo da pagare per non essere pecora in un immenso gregge. In attesa del mio turno, tra i tanti procedimenti chiamati, seguo il processo a carico dei dirigenti della Banca di Credito Cooperativo di Avetrana ed a carico di un noto politico dello stesso paese, la cui moglie si presenta alle elezioni per la Camera dei Deputati. Sono molteplici i reati contestati, in riferimento ad un assegno incassato ante datato e firmato per somme di denaro riferibili ad un defunto. La stessa banca è coinvolta, tramite il suo funzionario, anche nella vicenda di Sarah Scazzi. Nel proseguo dei procedimenti penali sento il nome dell’imputato di un altro processo, Giovanni Caforio, anche lui perseguito per diffamazione a mezzo stampa. Anche lui una mosca bianca nel sistema disinformativo locale. Accusato e giudicato per aver scritto sul suo giornale di Sava, Viva Voce, il resoconto critico della mal amministrazione cittadina a vantaggio personale, facendo riferimento ad un procedimento penale a carico di un amministratore, avvocato. L’avvocato Romoaldo  Claudio Leone, sentendosi diffamato, ha querelato il direttore del giornale. Nel processo è stato difeso come parte civile dall’avv. Gianluigi De Donno. Il giudice titolare Rita Romano non è lei a decidere ed allora in quel processo accade una cosa che non ti aspetti: il suo sostituto, il giudice togato Simone Orazio, dopo un’attenta ed approfondita analisi della questione giuridica, assolve l’imputato, visibilmente commosso. Strano quel che è successo in quel giorno in quell’aula. In precedenti udienze il direttore Giovanni Caforio era già stato più volte condannato per lo stesso reato, ma per altri fatti, proprio dal Giudice Rita Romano. Sentenze naturalmente appellate. Per la Corte di Appello di Taranto, che assolve Giovanni Caforio perché il fatto non costituisce reato, è da assolvere "perchè nella critica, la verità esprime un giudizio che, in quanto tale, è sì, l’elaborazione soggettiva di un avvenimento ma non può del tutto essere scollegata dalla realtà". Ancora mi rimbomba in testa quel che accadde il 12 luglio 2012: assolto con la formula più ampia nel Tribunale di Manduria dove è titolare Rita Romano, ma da lei non giudicato: per non aver commesso il fatto. Assolto dal giudice onorario della sezione distaccata di Manduria, avv. Frida Mazzuti, su richiesta del Pubblico Ministero Onorario avv. Gioacchino Argentino. Nulla di che, se non si trattasse dell’epilogo di un atto persecutorio da parte della magistratura tarantina. Questa è una esperienza che insegna e che va raccontata. L’oscuramento del sito web effettuato con reiterati atti nulli di sequestro penale preventivo emessi dal Pubblico Ministero togato Adele Ferraro e convalidati dal GIP Katia Pinto. Lo stesso GIP che poi diventa giudice togato del dibattimento e che alla fine del processo proclamerà la sua incompetenza territoriale. Dopo anni il caso passa al competente Tribunale di Taranto. Qui il Gip Martino Rosati adotta direttamente l’atto di reiterazione del sequestro del sito web, senza che vi sia stata la richiesta del PM. Il reato ipotizzato è: violazione della Privacy. Non diffamazione a mezzo stampa, poco punitiva, ma addirittura violazione della privacy, reato con pena più grave. E dire che gli atti pubblicati non erano altro che notizie di stampa riportate dai maggiori quotidiani nazionali. Era solo un pretesto. Di fatto hanno chiuso un portale web di informazione e d’inchiesta di centinaia di pagine che riguardava fatti di malagiustizia, tra cui il caso di Clementina Forleo a Brindisi e una serie di casi giudiziari a Taranto, oggetto di interrogazioni parlamentari. Tra questi il caso di un Pubblico Ministero che archivia le accuse contro la stessa procura presso cui lavora; che archivia le accuse contro sé stesso come commissario d’esame del concorso di avvocato ed archivia le accuse contro la sua compagna avvocato, dalla cui relazione è nato un figlio. Fatti di malagiustizia conosciuti e scaturiti da esperienze vissute personalmente o raccontate dalle vittime, fino a quando mi hanno permesso di svolgere la professione di avvocato e successivamente in qualità di presidente di un’associazione antimafia. Dopo anni i magistrati togati di Taranto non hanno ottenuto la mia condanna, nonostante i più noti avvocati di quel foro abbiano rifiutato di difendermi e sebbene tutti i miei avvocati difensori mi abbiano abbandonato, eccetto l’avv. Pietro DeNuzzo del Foro di Brindisi. Qualcuno si è fatto addirittura pagare da me, nonostante abbia percepito i compensi per il mio patrocinio a spese dello Stato. Ed ancora dopo anni i magistrati togati di Taranto non hanno ottenuto la mia condanna, anche in virtù del fatto che il giudice naturale, Rita Romano, sia stata ricusata in questo processo, perché non si era astenuta malgrado sia stata da me denunciata. A dispetto di tutte le circostanze avverse vi è stata l’assoluzione, ma i magistrati togati hanno ottenuto comunque l’oscuramento di una voce dell’informazione. Voce che in loco è deleteria al sistema giudiziario e forense tarantino e contrastante con la verità mediatica locale. Da rimarcare è il fatto che tutte, dico tutte, le mie denunce od esposti presentati agli organi competenti sono state regolarmente insabbiati: archiviati o di cui non si è più avuto notizia pur chiedendo esplicitamente l’esito. Far passare per mitomane o pazzo chi è controcorrente è la prassi, per denigrarne nome ed attività. Nonostante non vi sia mai stata condanna per calunnia.»

Quindi ritiene che, nonostante la sua opera moralizzatrice, alcuni magistrati del posto la perseguitano?

« Non  dimentico il 18 aprile 2013. Due processi a Manduria, sezione staccata del tribunale di Taranto. In quei processi scomodi, che nessuno vuol fare, più giudici togati di Taranto si avvicendano: Rita Romano, Vilma Gilli, Maria Christina De Tommasi; oltre a 2 giudici onorari: Frida Mazzuti e Giovanni Pomarico. Processi a mio carico costruiti ad arte senza che vi sia stata la querela necessaria o la denuncia di attivazione. Alla prima giudice, Rita Romano, si è presentata ricusazione per la denuncia presentata contro di lei. In seguito di ciò l’avv. Gianluigi De Donno rinuncia alla mia difesa. Ha avuto le stesse remore di Nicola Marseglia nel momento in cui Franco Coppi ha presentato istanza di astensione alla Misserini ed alla Trunfio, i giudici di Sabrina Misseri. Per il primo sono accusato di calunnia in concorso con mia sorella, per aver presentato una denuncia contro un sinistro truffa, in cui era coinvolta un’avvocatessa stimata dai magistrati di Taranto, compreso  un sostituto procuratore della Repubblica dello stesso Foro in cui esercitava, e sono accusato di diffamazione a mezzo stampa per aver pubblicato un esposto penale ed amministrativo a varie istituzioni denunciando questo ed altri casi di malagiustizia. Per l’altro processo sono accusato di diffamazione a mezzo stampa per aver pubblicato una denuncia contro le perizie false in Tribunale, da chi, Giuseppe Dimitri, mio cliente che ho difeso da avvocato fino all’estremo, mancava di legittimazione a farlo, in quanto il presunto diffamato era altra persona, cioè il denunciato. In udienza il danneggiato ha confermato che non ha mai presentato querela contro di me, né aveva avuto mai intenzione di farlo. Per quella denuncia il giudice Rita Romano ha condannato per calunnia Dimitri, nonostante il Consulente Tecnico del Tribunale, proprio per il reato di cui era accusato, era già stato depennato dalla lista tribunalizia dei CTU. Nel primo processo mi si accusa di aver calunniato, in concorso con mia sorella, un avvocato, Nadia Cavallo, accusandola, sapendola innocente, di aver chiesto ed ottenuto illecitamente i danni per un sinistro truffa e con testimoni falsi in suo atto di citazione che indicava come responsabile esclusiva Monica Giangrande. In effetti Monica Giangrande non era responsabile di quel sinistro. Eppure è stata condannata dal giudice Rita Romano. La condanna per calunnia a carico di mia sorella inopinatamente non è stata appellata dai suoi avvocati, pur sussistendone i validi motivi. La giudice, Rita Romano, è stata da me denunciata, così come Salvatore Cosentino, sostituto procuratore a Taranto e poi trasferito a Locri . Salvatore Cosentino, come tutti i magistrati di Taranto aveva molta stima per Nadia Cavallo. Rita Romano ha condannato mia sorella pur indicando in sentenza che altra persona era responsabile esclusiva del sinistro, così come mia sorella andava attestando. Va da sé che tale sentenza contenente illogicità e contraddizioni sarebbe dovuta essere appellata. Salvatore Cosentino era il Sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto che ha chiesto ed ottenuto l’archiviazione della denuncia contro la Procura di Taranto. Procura che ha archiviato le denunce presentate riguardo proprio a quel sinistro truffa. I processi civili inerenti il sinistro sono stati tutti soccombenti, nonostante le prove indicassero palesemente il contrario. La Nadia Cavallo ha ottenuto il risarcimento danni del sinistro dall’assicurazione, oltre che 25,000 mila euro di danni morali da Monica Giangrande proprio per la condanna di calunnia. Per questo procedimento la mia posizione sin dall’inizio è strana. Non sono convocato nella prima udienza preliminare con mia sorella, quindi è nullo il mio rinvio a giudizio. Dopo anni, nella seconda udienza preliminare, il GUP chiede al PM gli atti di prova a mio carico, in tale sede mancanti. Alla risposta negativa gli concede ulteriore termine di 6 mesi per trovare la prova della mia colpa, al termine dei quali, durante la terza udienza preliminare vi è comunque il Rinvio a Giudizio. All’ultima giudice devo provare se il fatto sussiste, se l’ho commesso, se è previsto come reato. Ebbene. Io, come mia sorella sapevamo benissimo che l’avvocato era colpevole: perché non era attendibile la versione fornita dell’evento. Ma questo non lo dicevamo solo noi, io e mia sorella, ma anche l’avvocato della compagnia assicurativa costituita nei vari giudizi. Eppure questi non è stato perseguito dello stesso reato. Per la compagnia non era verosimile il fatto che un signore che tocca lo sportello di un’auto non identificata e condotta da signora diversa dalla Monica Giangrande, si alzi e se ne vada, per poi chiamare un’ambulanza per farsi portare a casa e non in ospedale. Eppure negli atti di citazione non viene chiamata in causa la vera responsabile del presunto sinistro ed il vero proprietario dell’auto. Ciò nonostante si conoscesse il responsabile esclusivo del sinistro, veniva chiamata in causa mia sorella che acclamava a gran voce la sua estraneità. Ma il fatto eclatante è che sono stato accusato di calunnia io che quella denuncia non l’ho mai presentata, né ho indotto mia sorella a farlo, non essendo il suo avvocato. Sono stato accusato di calunnia io, che se l’avessi fatto, sapevo benissimo che la denuncia era fondata. Per quanto riguarda la seconda accusa, di diffamazione a mezzo stampa, c’è da dire che il sito web, su cui vi era l’articolo che faceva riferimento ai fatti, non era mio, né l’articolo era a me riferibile. Io per scrivere le mie inchieste ho moltissimi miei canali di divulgazione facilmente riconducibili a me e di quelli io ne rispondo. Né tantomeno la Polizia Postale si è prodigata sotto gli ordini del PM di sapere dall’azienda web provider che gestisce il server di pubblicazione chi fosse il vero proprietario del sito web e quindi responsabile delle pubblicazioni. E bene sapere, comunque, al di là di questo, che è lecita la pubblicazione delle denunce penali, così come stabilito dalla Corte di Cassazione. Per questi processi, come volevasi dimostrare, con il giusto giudice l’esito è scontato: Assoluzione piena da parte del Giudice Togato Maria Christina De Tommasi e da parte del GOT Giovanni Pomarico. Anzi, meglio ancora. Giovanni Pomarico, nel processo della presunta diffamazione per le perizie false, non ha fatto altro che registrare la remissione della querela delle parti. Di chi non aveva legittimazione a presentarla contro di me e di chi addirittura non l’aveva presentata affatto. Con il giudice naturale, se non vi fosse stata la ricusazione, sarebbe stata condanna certa. Quanto successo a Caforio mi conforta di un fatto: aver adottato i rimedi giusti per potermi salvare da sicura condanna. Il giudice titolare Rita romano è stata da me denunciata per fatti attinenti l’attività giudiziaria, scaturenti condanne per me, che nel proseguo si sono estinti, e per i miei familiari, e per tale denuncia è stata ricusata. Le ricusazioni presentate contro il giudice nei successivi processi che mi riguardavano, ha permesso a me di cambiare il mio destino e comunque di essere giudicato da giudici diversi e per gli effetti di essere dichiarato assolto. Per le ricusazioni presentate per palese mio interesse, però, lo stesso avvocato Gianluigi De Donno, mio difensore, ha rimesso il suo mandato. Motivo: la Ricusazione non si doveva fare. C’è da sottolineare che successivamente il Giudice Rita Romano, ogni qualvolta era investita dei miei procedimenti,  si asteneva,  tacendo della mia denuncia contro di lei, non mancando, però, di sottolineare ad alta voce nelle udienze affollate che l’astensione era dovuta al fatto che io ero stato da lei denunciato per calunnia. Denuncia che avrebbe scaturito un procedimento, di cui io non avevo avuto notizia. Non solo. Il 18 febbraio 2013 il Pm Ida Perrone, sostituta di Pietro Argentino (entrambi denunciati a Potenza) nella sua requisitoria in un procedimento per il reato di usura a carico di un Giangrande (poi non condannato) ha pensato di dichiarare: «i Giangrande sono ben noti in Avetrana per essere considerati usurai e per aver io stessa trattato alcuni procedimenti». In quello stesso collegio giudicante la medesima Rita Romano ha dovuto astenersi per grave inimicizia con il sottoscritto per i suddetti motivi riferiti. Le stesse affermazioni diffamatorie sono state proferite in altro procedimento penale in sede di conclusioni dall’avvocato Pasquale De Laurentiis, difensore di un individuo giudicato e condannato proprio per diffamazione in udienza ed anche lui per aver pronunciato proprio la stessa frase. Evidentemente questi signori lo possono fare, legittimati a farlo dal loro ruolo ed agevolati dal farlo da chi in toga lo permette, senza alcun controllo alcuno, tanto meno se le vittime in tale sede non possono alcunchè obbiettare, né tali dichiarazioni offensive, denigratorie e diffamatorie rese in udienza, vengono verbalizzate dai cancellieri per poter querelare i responsabili, sempre che si trovi un loro collega disposto a perseguirli. E’ chiaro che i magistrati e gli avvocati di Taranto e provincia hanno il dente avvelenato contro di me. L’intento è colpire i Giangrande per colpire il Giangrande, ossia me. Ma una cosa è certa. In Avetrana vi sono centinaia di persone con il cognome Giangrande. Nessuno di loro è stato mai condannato in via definitiva per il reato di usura. Quindi nulla si può dire sul nome Giangrande, ne tanto meno si può dire qualcosa su di me, Antonio Giangrande, che, oltretutto, sono il presidente nazionale proprio di una associazione antiracket ed antiusura, il quale ha fatto l’errore di battersi contro l’usura bancaria e l’usura di Stato. E’ quello che a Taranto è stato il primo ad attivarsi contro le bufale dei titoli MyWay e 4you della Banca 121 poi Banca Monte Paschi di Siena. Quello che ha lottato a tutela degli incapaci e delle perizie false. Quello che ha denunciato i concorsi pubblici truccati e i sinistri stradali falsi. Denunce regolarmente archiviate. Certo è che io, sì, invece, ho scritto libri sui miei detrattori. Specialmente quelli operanti sul foro di Taranto. Che sia per questo il motivo di tanto astio? Ed è questo il motivo che non vogliono che faccia l’avvocato e da decenni non mi abilitano alla professione forense? Ed è questo il modo di collaborare con chi ha il coraggio di mettersi contro la mafia e di affermare che comunque la mafia vien dall’alto e per gli effetti aver denunciato le malefatte dei poteri forti e presentato altresì a Potenza le denunce contro i magistrati di Taranto, che tra l’altro si son archiviati una denuncia a loro carico anziché girarla proprio a Potenza? Per questo forse non vi è alcuna collaborazione istituzionale e sostegno morale e finanziario, per il modo di pormi nei confronti dei poteri forti? Ed è per tutto questo che i loro amici giornalisti ignorano e denigrano me così come fanno con Beppe Grillo?»

Lei ha altri esempi di contrastanti giudizi riferibili all’attività dell’informazione?

«Certo. Il 21 febbraio 2013, un altro fatto. Dopo la richiesta di assoluzione da parte dell'accusa, il giudice del Tribunale di Casarano dott. Sergio Tosi, ha assolto Maria Luisa Mastrogiovanni per tutti e 12 i capi di imputazione. Il fatto non sussiste. E' la sentenza con la quale è stata assolta dall'accusa di diffamazione a mezzo stampa la giornalista Maria Luisa Mastrogiovanni, direttore del Tacco d'Italia. A portarla davanti al Tribunale penale di Casarano, presidente Sergio M. Tosi, è strato Paolo Pagliaro, editore televisivo salentino molto noto di Tele Rama, a sua volta protagonista di alcune vicissitudini giudiziarie, ma come imputato. Proprio queste vicende (l'uomo subì anche gli arresti domiciliari per un'inchiesta della procura barese, il cui processo è stato stralciato dal troncone principale nel quale è stato invece condannato l'ex ministro Fitto), insieme ad una serie di irregolarità e stranezze nella conduzione della sua azienda, costituirono l'oggetto di una corposa inchiesta di copertina de Il Tacco d'Italia, andato in edicola nel dicembre 2005. La stessa sorte non è toccata per Enzo Magistà e Antonio Procacci. Il gip di Bari Gianluca Anglana ha disposto l’imputazione coatta per i giornalisti di Telenorba Enzò Magistà e Antonio Procacci coinvolti nell’inchiesta scaturita dalla messa in onda del filmato girato dalla polizia scientifica di Perugia che mostrava il cadavere di Meredith Kercher. Meredith Kercher fu uccisa nel novembre del 2007 a Perugia e, nella casa in cui viveva, fu girato un video dalle forze dell’ordine per esaminare la scena del crimine che in seguito fu mostrato da Telenorba, una emittente pugliese. Il gip ha invece archiviato le posizioni dei familiari di Raffaele Sollecito, assolto in secondo grado dall’accusa di omicidio volontario insieme ad Amanda Knox. Il pm di Bari aveva chiesto l’archiviazione per tutti gli indagati perché «la diffusione di alcune parti del filmato relativo al sopralluogo effettuato dalla polizia scientifica nell’abitazione in cui venne rinvenuto il cadavere di Meredith Kercher – è stato scritto nella richiesta di archiviazione – , nel quale viene ripreso il corpo denudato della vittima, è avvenuto nell’ambito dell’esercizio del diritto di cronaca senza alcun intento offensivo della reputazione della studentessa uccisa». “Leso il diritto alla riservatezza ed alla tutela dell’immagine della ragazza e, per lei, dei suoi familiari”. E’ scritto, invece, in un passaggio dell’ordinanza con cui il gip del Tribunale di Bari Gianluca Anglana ha accolto l'opposizione proposta dalla famiglia di Meredith Kercher, la studentessa inglese uccisa a Perugia la notte tra il primo e il 2 novembre 2007, con riferimento alla richiesta di archiviazione per due giornalisti pugliesi che nel marzo 2008 mandarono in onda le immagini del corpo nudo della vittima.  Il giudice, nel disporre l’imputazione coatta per Enzo Magistà, direttore di Telenorba, e per il giornalista Antonio Procacci, ha respinto la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura di Bari in relazione ai reati di diffamazione a mezzo stampa e violazione del codice della privacy. In particolare è “pacifica la sussistenza dei requisiti della verità dei fatti rappresentati”, secondo il gip, e “non sembra rispettato il requisito della continenza nella esposizione del servizio”. Per il giudice, “risultano obiettivamente raccapriccianti le immagini delle ferite” e “tali da turbare il comune sentimento della morale”. L'inchiesta, nata dalla denuncia della famiglia Kercher, è approdata a Bari dopo che, in udienza preliminare, il gup di Perugia ha dichiarato la propria incompetenza territoriale. Il procuratore di Bari, Antonio Laudati, nel luglio 2012, aveva chiesto l’archiviazione del procedimento per tutti gli indagati (oltre Magistà e Procacci, anche i familiari di Raffaele Sollecito), ritenendo per i giornalisti “che gli stessi avessero agito nel legittimo esercizio del diritto di cronaca” e per gli altri l’insufficienza di elementi per sostenere l'accusa a dibattimento. Il giudice ha accolto la richiesta di archiviazione per padre, madre, sorella e due zii di Sollecito, condividendo le conclusioni della procura.»

Tutto sbagliato, tutto da rifare: la disastrata malagiustizia all’italiana funziona così, scrive Luca su “Menti Informatiche”. Processi che durano una vita e non concludono nulla; indagini che non finiscono mai; sentenze parziali e pasticciate che non reggono l’urto dell’analisi logica e costringono spesso a ricominciare tutto daccapo. Non a caso, nella speciale classifica redatta dalla Banca mondiale sul funzionamento della giustizia, l’Italia si piazza al 155° posto su 185 Paesi: siamo meglio dell’Afghanistan, ma peggio della Sierra Leone, del Malawi, dell’Iraq e della Bolivia. Per celebrare il più clamoroso processo penale di tutti i tempi, quello che nel 1946, a Norimberga, giudicò e condannò i crimini del Terzo Reich e dei gerarchi e militari nazisti, cioè 12 anni di storia, bastarono 11 mesi. Dopo cinque anni e quattro mesi, noi ancora non sappiamo cosa successe veramente nella villetta di Perugia dove fu uccisa Meredith Kercher; dopo cinque anni e sette mesi, ignoriamo chi sia l’assassino di Chiara Poggi a Garlasco; dopo due anni e sette mesi dall’uccisione di Sarah Scazzi ad Avetrana si è ancora al primo grado; dopo due anni e quattro mesi, brancoliamo nel buio per l’omicidio di Yara Gambirasio a Brembate. Ci sono voluti 22 anni per ritrovarsi al punto di partenza sul mai risolto assassinio di Simonetta Cesaroni, in via Poma, a Roma; 20 anni per scoprire finalmente che l’omicida della contessa Alberica Filo Della Torre, all’Olgiata, è, nel la più classica tradizione giallistica, il maggiordomo filippino Manuel Winston, peraltro in chiodato da una intercettazione disponibile tre giorni dopo il delitto che però non fu mai ascoltata; 20 anni per avere la certezza che se le indagini sulla scomparsa di Elisa Claps a Potenza nel 1993 fossero state svolte con un minimo di competenza, il caso si sarebbe risolto in poche ore e forse Danilo Restivo non avrebbe ucciso nel 2002 in Inghilterra la sartina Heather Barnett. A proposito, qualcuno dovrà pur spiegare ai genitori della studentessa inglese Meredith Kercher, come mai un tribunale di Sua Maestà ha impiegato un anno e l i giorni per arrestare e condannare Restivo all’ergastolo, mentre noi siamo ancora in alto mare nel delitto di Perugia. Secondo le statistiche europee, i processi penali in Italia durano in media otto anni; negli altri Paesi dell’Unione, al massimo tre; negli Stati Uniti, invece, si va da un minimo di un giorno a un massimo di una settimana per la stragrande maggioranza dei casi. In Norvegia, sono bastate 10 settimane per processare e condannare Anders Breivik, autore della strage di Utoya (77 persone uccise a fucilate). Da noi ci sono processi che avanzano faticosamente al ritmo di un’udienza a settimana e processi che si inceppano per fatti incredibili: lo scorso gennaio, la Corte di Cassazione ha annullato per vizio di forma il deposito delle motivazioni del processo «Crimine infinito» sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta in Lombardia (110 persone condannate) perché la stampante si era rotta e mancavano 120 delle 900 pagine. Perché la giustizia italiana è in tilt? «Perché le regole del nostro processo sono farraginose e insopportabilmente burocratiche. Perché, come in tutte le altre professioni, ci sono magistrati che lavorano il giusto e altri che lavorano troppo poco, finendo per ingolfare i tribunali; e poi si perde un sacco di tempo in procedure inutili », ci dice l’avvocato Nino Marazzita, esimio penalista, veterano di casi complessi come quello Moro e Pasolini. «Un esempio? La cosiddetta generalizzazione dei testimoni (obbligatoria da noi, ma inesistente in altri Paesi, come l’Inghilterra) che prima di dire in tribunale quello che sanno devono rispondere a domande del tipo: come si chiama? Quando è nato? Dove abita? Che lavoro fa? Eccetera eccetera. Totale: dieci minuti, in media, persi nei preliminari della testimonianza e cinque pagine almeno di verbale. Moltiplichiamo questi dati per le circa 3 milioni e 300 mila cause penali, ognuna delle quali ha in media cinque testimoni, e scopriremo che la “generalizzazione” ci costa 82 milioni e 5 0 0 mila pagine in u tili e 2.750.000 ore perse ogni anno». E poi c’è il problema delle indagini, troppo spesso sbagliate. «In Inghilterra, è dal 1890 che esistono manuali che spiegano come sterilizzare la scena di un delitto per evitare l’inquinamento delle prove», spiega Marazzita. «Da noi, invece, funziona ancora oggi tutto alla carlona. Ecco perché molte, troppe sentenze di primo grado vengono rovesciate in appello oppure in Cassazione». Sul banco degli imputati c’è il principe delle prove: il test del Dna. «E proprio così», spiega Marazzita. «Anche perché da noi si usa una tecnologia ormai datata che fornisce il risultato, spesso non risolutivo, in 40 giorni, mentre negli Stati Uniti bastano 2 ore e 15 minuti per avere delle certezze scientifiche molto più affidabili. Ecco perché Oltreoceano ci sono magistrati che risolvono, dopo decenni, i cosiddetti coldcase, mentre da noi si impasticciano anche le indagini più lineari o si creano casi spesso grotteschi». Tutto è relativo. C’è da chiedersi, perciò, con che stato d’animo, Alberto Stasi – unico indagato per l’omicidio di Chiara Poggi a Garlasco – viva il ricorso in Cassazione (udienza, il 5 aprile) del Procuratore generale di Milano. Sottoposto a un provvedimento di fermo il 24 settembre del 2007, è stato liberato per l’insussistenza di elementi contro di lui quattro giorni dopo; assolto in primo grado; assolto in Corte d’appello con motivazioni durissime nei confronti dell’accusa, che, scrivono i giudici, delinea «un gioco di variabili multiple, di probabilità assolutamente caotiche e non solidali». «Confidiamo nella fine di questa odissea», ci dice l’avvocato Angelo Giarda, difensore di Stasi. «Certo è che, dopo tre sentenze uniformi, ci potevano risparmiare questo ulteriore passaggio. Alberto è vittima di una persecuzione dei pubblici ministeri». Morale della favola: non c’è un colpevole (e non ci sarà mai) per il delitto di Garlasco; Alberto Stasi ha bruciato quasi sei anni della sua vita; la sua famiglia ha speso una montagna di soldi per difenderlo. E previsto un indennizzo? «Ovviamente no», dice l ’avvocato Giarda. «Il codice non lo prevede perché costerebbe troppo allo Stato, il quale non chiederà nemmeno scusa». Il caso di Elisa caso di Elisa Claps è emblematico di quasi tutti i mali della giustizia italiana. «La Polizia aveva risolto il delitto poche ore dopo», ci dice l’avvocato Giuliana Scarpetta, legale della famiglia Claps. «Avevano messo nel mirino Danilo Restivo chiedendo il sequestro e l’analisi dei suoi abiti insanguinati: la verità sarebbe venuta a galla. Ma il magistrato si rifiutò. Ecco perché si sono persi 17 anni. Ora vogliamo chiarire ogni aspetto oscuro, sapere i nomi di chi ha coperto l’assassino. Noi non ci arrendiamo». La famiglia di Yara, invece, sembra prossima a gettare la spugna. «A quasi tre anni dal l’assassin io del la ragazzina e per lo stato delle indagini», ci dice l’avvocato Enrico Pelillo, legale della famiglia Gambirasio, «si può ragionevolmente sospettare che non ci sarà mai un processo». L’ennesimo delitto senza colpevole; l’ennesima sconfitta della Repubblica italiana.

Il processo al delitto di Sarah Scazzi è il processo ad Avetrana. Alla richiesta della condanna per tutti gli imputati, specialmente per l’ergastolo a Sabrina Misseri ed alla madre Cosima Serrano tutta l’Italia forcaiola ha applaudito. Questi sono gli applausi registrati nello studio di “La vita in diretta” con Marco Liorni e di “Pomeriggio cinque” con Barbara D’Urso. A tutti i testimoni che hanno testimoniato contro la tesi accusatoria si prospetta la condanna per falsa testimonianza. L’Italia forcaiola che per soddisfare l’aspettativa di vendetta pretende la tortura e l’omicidio di Stato per lavare l’onta di un efferato delitto. A scanso di essere lapidati da falsi moralisti si tiene a precisare che si può essere d’accordo ma non bisogna mai emettere giudizi affrettati e sommari, prima di ascoltare cosa ha da dire la difesa, tenuto conto che nei processi italiani fino a che non tocchi ai difensori la parola hanno voce solo i pubblici ministeri ben ammanicati con giornalisti approssimativi e parziali. Per chi conosce bene il sistema della giustizia in Italia ed i magistrati italiani prima di emettere sentenze popolari bisogna essere cauti e con cognizione piena di causa. La mamma di Sarah, Concetta Serrano Spagnolo, ha accolto le richieste di ergastolo con mezza soddisfazione. «Sono cose che non fanno gioire nessuno e che non servono a ridare la vita strappata di una bambina. Chi uccide merita l'ergastolo - ha dichiarato la mamma di Sarah, Concetta - è stato il processo delle menzogne ed è anche giusto che coloro che hanno detto tutte queste menzogne paghino per quello che hanno detto. Non hanno avuto pietà per una bambina che stava anche piangendo». «Ho sempre detto che il movente della gelosia di Ivano non mi convinceva, che c'era qualcosa di losco e quello che è emerso ieri lo conferma». Lo ha detto Concetta Serrano, madre di Sarah Scazzi. Concetta ha fatto riferimento, con quel 'losco', alle abitudini a sfondo sessuale che aveva la comitiva di cui faceva parte Sabrina Misseri, come fare spogliarelli o andare a vedere le coppiette, coinvolgendo presumibilmente anche Sarah. Certo che ognuno di noi ci si potrebbe anche chiedere cosa facesse una ragazza di 15 anni insieme ad una comitiva di maggiorenni ed avere orari di rientro non compatibili per una ragazza della sua età. Concetta ha aggiunto che «è possibile» che Cosima abbia inseguito Sarah e abbia partecipato al delitto, secondo la tesi dell’accusa, perchè «lei è di altra tradizione, di altra generazione e non accettava questo stile di vita di Sabrina». «Non è vero, come hanno detto – ha aggiunto – che io odio Sabrina e Cosima. Mi fa rabbia che loro ce l’abbiano ancora con Sarah e continuino a dire che sono innocenti nonostante l'evidenza».

Signora Concetta Serrano (madre di Sarah Scazzi), dopo trentasette udienze e tanti testimoni, quali cose ha capito di questo processo? E che cosa si aspetta? «Ho trovato eccellente la presidente della Corte d’Assise Rina Trunfio, bravi anche i pubblici ministeri Mariano Buccoliero e Pietro Argentino che hanno condotto indagini puntuali e puntigliose. Come andrà a finire non lo so, non ho molta fiducia nella giustizia degli uomini. I magistrati, anche loro, si devono attenere a certi dettami di legge che non ci proteggono. Anche se gli imputati prenderanno il massimo della pena, tra indulti e buona condotta li rivedremo in giro dopo pochi anni. Così, tanti sacrifici, tanto lavoro e tanti soldi di noi cittadini a che cosa saranno serviti? A niente. Ieri sono andata a comprare delle caramelle e il negoziante mi ha fatto notare la stranezza delle leggi: Fabrizio Corona deve stare in carcere cinque anni per reati tutto sommato banali, mentre mio cognato Michele, che ha gettato il corpo di una bambina in un pozzo, lo vediamo girare libero in paese come se niente fosse. Non solo io, ma tutto il paese è indignato per questo».

Critiche alla giustizia in senso lato ed apprezzamenti ai magistrati, che poi sono il corpo e l’anima della giustizia e per gli effetti gli unici responsabili dell’ingiustizia e della malagiustizia. La ricerca di un colpevole e non del colpevole pare che sia l’opinione di Concetta Serrano. Le convinzioni di Concetta Serrano sulla giustizia italiana non sono certo condivise da altre mamme come lei, certo non traviate dal turbinio mediatico, ma artatamente i media usati come strumento per una lotta dura e costante mirante alla ricerca della verità. Un testimone il 26 febbraio 2013 ha smentito Jessica Pulizzi, imputata del sequestro della sorellastra Denise Pipitone scomparsa da Mazara del Vallo a Trapani l’1 settembre 2004 quando aveva meno di quattro anni. La venticinquenne aveva dichiarato che la mattina della scomparsa, tra le 8.30 e le 9, era andata in un’officina meccanica per una riparazione. Oggi davanti ai giudici del tribunale, Stefano Di Bona, titolare della concessionaria Aprilia dove, nel maggio 2004, Jessica acquistò un ciclomotore Scarabeo 50, ha detto che “non risulta che l’1 settembre 2004 ci siano stati interventi nell’officina convenzionata per conto della Pulizzi ed essendo il mezzo ancora in garanzia non poteva rivolgersi ad altre officine, a meno che non volesse pagare per l’intervento”. E’ stato, poi, ascoltato anche il contitolare dell’officina convenzionata con il concessionario Aprilia, Giovanni Rallo, che ha detto che Jessica si recò in officina per il “tagliando” nel luglio del 2004. In apertura di udienza ha deposto Carla Ciriaco, il perito nominato dal Tribunale per la trascrizione dell’intercettazione ambientale effettuata il 24 novembre 2004 sullo scooter dell’imputata che ha detto: «Sono passati 42 secondi dal momento in cui si spegne il motore dello scooter di Jessica (parcheggiato sul marciapiedi di via Pirandello, davanti l’abitazione della ragazza) fino a quando si sentono due voci maschili. Una, piu’ vicina, dice: “Va pigghia a Denise. Ma Peppe chi ti rissi? Ma dunni l’ha purtari?” (Vai a prendere Denise, ma Peppe che ti ha detto, ma dove la devo portare?). L’altro uomo risponde: “Fora” (Fuori)». Furono, poi, interrogati dalla polizia tredici persone che avevano figlie che si chiamavano Denise. Ma lo spunto investigativo non ebbe seguito. La madre di Denise, Piera Maggio dice che «tutti i testimoni chiamati in causa da Jessica Pulizzi per la ricostruzione dei suoi movimenti nella giornata del primo settembre 2004 hanno fatto crollare il castello di sabbia degli alibi che si era costruita. E oggi è cascata anche la sua ultima carta. Abbiamo avuto la prova in assoluto che quanto abbiamo sempre detto su Jessica: sulla sua posizione bisognava prestare attenzione da subito. Quanto emerso oggi – aggiunge – è anche una prova in più per dire che Denise è viva, come ho sempre sostenuto. Anche perchè non c’è stato mai alcun elemento che provi il contrario. Se il 24 novembre 2004, infatti, si parla di uno spostamento di una bambina, e non abbiamo dubbi sul fatto che si parlasse di Denise nel dialogo intercettato, adesso c’è  anche l’elemento in più costituito da questo “fora”, e cioè fuori, in risposta a chi chiede “ma dunni l’ha purtari?”. Ma chi sono questi due uomini intercettati accanto allo scooter di Jessica? E’ questo il problema – dice la madre di Denise – Allora il procuratore Sciuto incaricò la polizia di piazzare telecamere sul quel tratto di via Pirandello. Ma quell’ordine non fu eseguito. Uno dei tanti gravi errori commessi in questi anni. Se le telecamere fossero state piazzate, avremmo saputo dove stava mia figlia». «Mi vedo costretta a inviare una lettera al Presidente della Repubblica e a organizzare una pubblica raccolta di consensi e sostegno, tramite il sito ufficiale e il blog, per richiedere con grande forza che si faccia al più presto giustizia per Denise, ma soprattutto voglio che sia data risposta alla domanda: a giudizio della procura di Marsala chi ha preso Denise?». Questo lo sfogo di Piera Maggio, madre della piccola scomparsa otto anni fa a Mazara del Vallo, alla richiesta di archiviazione per Anna Corona, madre di Jessica Pulizzi, sorellastra di Denise Pipitone e unica imputata del sequestro della bambina. Lo rende noto il sito “Cerchiamo Denise”. Anna Corona era indagata in un nuovo procedimento per la scomparsa di Denise. «Nonostante ciò che è emerso nel processo sulle responsabilità attribuibili ad Anna Corona - commenta Piera Maggio - incredibilmente la procura della Repubblica di Marsala ha richiesto l'archiviazione dell'indagine a suo carico. «Qualcuno avrebbe contribuito a non far ritrovare mia figlia. Provo sdegno e delusione e al dolore si aggiunge tanta rabbia per ciò che non si è fatto per mia figlia. Sono passati quasi anni e la mia sofferenza non ha fatto altro che accrescere; e mi sento beffata sapendo che ci sono dei responsabili che addirittura possono aver contribuito a non far ritrovare mia figlia, esattamente come sostenuto dal consulente della Procura». Lo dice in una nota Piera Maggio, mamma di Denise Pipitone, la bimba scomparsa da Mazara del Vallo il primo settembre del 2004. In una nota l'Associazione Cerchiamo Denise spiega che alla diciottesima udienza del processo per il sequestro della bambina il consulente della Procura di Marsala, Gioacchino Genchi, ha riferito che una persona vicino alle forze dell`ordine di Mazara del Vallo, in contatto con la madre dell’imputata, agì ai fini di eludere il sistema di intercettazioni, della cui esistenza le due donne erano state poste a conoscenza. “Davanti al giudice - riferisce l'Associazione - Genchi ha precisato: 'Stefania Letterato fornì il suo telefono ad Anna Corona e questo emerge dalle intercettazioni'. Ai tempi la signora Letterato era fidanzata (ora sposata) con l`ex-dirigente del commissariato di polizia di Mazara del Vallo, Antonio Sfameni, mentre Anna Corona, madre di Jessica Pulizzi, è indagata ella stessa per il sequestro di Denise". «Tutto questo non mi da pace: se solo queste persone vivessero un giorno di quelli che io da anni sto attraversando sicuramente capirebbero quanto male sono riusciti a causare. Oggi dagli organi inquirenti non accetto più scuse perché i fatti sono gravi e i comportamenti vergognosi: chi ha colpa deve pagare», conclude Piera Maggio. Nell'ottavo anniversario della scomparsa di sua figlia, Denise Pipitone, Piera Maggio ha tenuto una conferenza stampa nella quale ha fatto il punto sul processo e sulle sue iniziative a tutela delle famiglie dei bambini che, come Denise, sono scomparsi nel nulla. «Dopo questo calvario giudiziario qualcuno mi risarcirà degli errori commessi e di quelli che si continuano a commettere? », si è chiesta Piera Maggio. Piera Maggio, supportata dal suo legale, l’avv. Giacomo Frazzita ha attaccato l’attività investigativa e l’iter processuale. Secondo Piera Maggio «il processo dovrebbe procedere più speditamente, ma in realtà la conduzione delle udienze è spesso ostacolata non dalla burocrazia giudiziaria ma delle tensioni in aula tra le diverse parti. Va precisato inoltre che non si può chiedere al processo, o ai giudici del processo, di svelare il mistero di dove sia Denise, perchè - come è nella logica del diritto - è la Procura (a cui va tanta responsabilità, invece) a svolgere le indagini, mentre il giudice è chiamato solamente a decidere, sulla base delle prove, se gli imputati hanno commesso un reato. Da un anno e mezzo - ha detto Piera Maggio - non ho più notizie dell'indagine riaperta nel 2010. A giugno abbiamo depositato in Procura un sollecito per avere l'esito dell'indagine e sapere delle decisioni della Procura di Marsala. Non sono state approfondite le gravi affermazioni che il consulente Genchi fece su un poliziotto allora capo del Commissariato di Mazara e sulla vicinanza tra la moglie di quest'ultimo e Anna Corona». Sulla questione l'avv. Frazzitta ha aggiunto: «Due donne (alludendo a Jessica Pulizi e Anna Corona) vengono lasciate in una stanza, con le finestre aperte, del Commissariato e la microspia messa accanto a un condizionatore acceso al massimo, ovvio che non si senta bene la registrazione di quanto si sono dette. Le stesse, pur segnalate, a seguito dei sospetti di Piera Maggio, informalmente dopo un'ora dalla scomparsa di Denise, non sono state pedinate». «Non mi risulta - ha aggiunto Maggio - che siano stati effettuati posti di blocco. L'indagine è stata inquinata fin dalle primissime ore». Piera Maggio ha criticato aspramente la magistratura per i continui trasferimenti dei magistrati che hanno condotto l'indagine: 11 in 8 anni, e per la mancata valutazione di importanti aspetti peritali. Si è riferita in particolare al prof. Roberto Cusani, ordinario di telecomunicazioni alla Sapienza di Roma. «Potrebbe - ha detto - apportare un importante contributo al dibattimento, invece è stato messo da parte. Il Tribunale ha ritenuto ammissibili interrogazioni su sogni ed esoterismo, è scandaloso». Alla conferenza stampa era presente pure il padre naturale di Denise, Piero Pulizzi, che ha affermato: «Condivido le esternazioni di Piera, anche io ho forti dubbi sull'attività investigativa e processuale. Voglio la verità. La vittima di questa vicenda è la mia piccola Denise». In aula sono stati ascoltati anche gli investigatori coinvolti nelle ricerche di Denise subito dopo la sua scomparsa. Ed è emerso nuovamente un dato da sempre denunciato da Piera Maggio, ovvero gli errori commessi durante la prima, delicatissima fase delle indagini. I carabinieri che avviarono le ricerche a Mazara del Vallo furono depistati dalla famiglia di Jessica Pulizzi (sorellastra di Denise per parte di padre): quando gli agenti si recarono per la prima volta ad ispezionare l'abitazione di Anna Corona, madre di Jessica ed indagata di reato connesso in un secondo filone investigativo, furono indirizzati verso la casa di una vicina credendo invece di trovarsi invece nell'appartamento di Corona. L'udienza - fiume è stata anche sospesa per qualche minuto a causa di uno scontro tra il legale Frazzitta e il padre naturale di Denise, Piero Pulizzi: uscito dall'aula, l'avvocato ha sorpreso il suo assistito mentre conversava nei corridoi del Palazzo di Giustizia con alcuni testi prima che questi fossero ascoltati. Dopo un diverbio piuttosto acceso, Frazzitta è rientrato in aula facendo presente al presidente del Tribunale Riccardo Alcamo la necessità di un controllo più severo sull'effettivo isolamento dei testi. "Cose simili non devono accadere anche se si tratta di un mio cliente", ha detto il legale, che era sembrato perfino in procinto di rifiutare il mandato affidatogli da Pulizzi. «Ci sono in Italia "inefficienze gravi" nelle indagini che riguardano i sequestri dei bambini, "qualcosa che non funziona" su cui il governo deve intervenire, altrimenti "i bambini continueranno a sparire e non verranno mai trovati".» L’accusa arriva da Piera Maggio e Maria Celentano, rispettivamente la madre di Denise Pipitone  – scomparsa a Mazara del Vallo il 1 settembre del 2004 – e di Angela Celentano, sparita sul Monte Faito il 10 agosto 1996. Intervenute a ‘Buona Domenica’ su Canale 5 del 1 marzo 2008 le due madri hanno preso spunto dalla vicenda di Ciccio e Tore. «Il mio pensiero va a quei due bambini che purtroppo non ci sono più. Ringrazio Dio perché ho ancora la speranza di riabbracciare Angela e invece quei due bambini sono lassù - dice Maria Celentano per attaccare investigatori e inquirenti. «C’é in Italia un’inefficienza grave nelle indagini sui sequestri di bambini – afferma Piera Maggio – Nel 2007 abbiamo scoperto una cosa allucinante, ci sarebbe stata la risoluzione del caso di Denise, e nessuno se ne era accorto. La sfortuna maggiore di mia figlia è stata quella di avere delle persone che la cercavano che forse non avevano le competenze per svolgere determinate indagini. Ho perso e mi hanno fatto perdere la fiducia nella giustizia italiana. Le famiglie - aggiunge la mamma di Denise - possono fare poco e niente, non hanno mezzi, aiuti necessari. Sono sole psicologicamente e moralmente e a pagare sono sempre i bambini». Parole simili arrivano da Maria e Catello Celentano. «Forse dodici anni fa non c’erano i mezzi che ci sono oggi – dice Maria – ma la realtà e sempre quella: i bambini spariti non si trovano. Non so perché, forse c’é poco impegno e poca responsabilità da parte degli adulti, ma qualcosa che non funziona c’é perché i bambini continuano a sparire. E poi si ritrovano in questo modo qua che è una cosa veramente atroce». «In Italia - aggiunge il marito - ogni volta che scompare un bambino si impiegano persone che non sono attrezzate, non hanno capacità e mezzi. E invece bisogna fare di più per loro». «Non so più nulla delle indagini. La giustizia ha commesso errori - dice il 2 settembre 2012 Piera Maggio - Troppi gli avvicendamenti dei pm sul caso di mia figlia: ogni volta bisognava ripartire da capo. E nemmeno le istituzioni mi sono state vicine in questo lungo calvario". Sono trascorsi 8 lunghi anni dall'ignobile gesto commesso ai danni di mia figlia Denise e oggi come allora sento lontana la “Giustizia”, quella con la “G” maiuscola. Mi riferisco sia alle competenze della magistratura, ma anche più in generale agli impegni e alle promesse delle istituzioni italiane che avrebbero dovuto attivarsi per ritrovare mia figlia. Comunque procediamo per gradi, e partiamo dall’ambito giudiziario, perché è attualmente in corso il processo contro gli accusati per il rapimento di mia figlia. Ben 11 magistrati si sono alternati in questi 8 anni, ed in particolare cito: il Procuratore Sciuto a cui è succeduto l'attuale Procuratore Di Pisa ed inoltre in ordine cronologico i sostituti Dr. Boccia, Dr.ssa Angioni, Dr.ssa Puliatti ( della Procura presso il Tribunale per i minorenni di Palermo), Dr.ssa Avila, Dr. Imperato, Dr.ssa Sessa, Dr.ssa Cerroni, Dr. Brandini, Dr.ssa Carmazzi. Loro svolgono quella che io definisco la "giustizia dei magistrati", ma spesso questo tipo di lavoro non soddisfa i danneggiati: a titolo di esempio, troppi e continui cambiamenti non hanno certamente giovato al procedimento. Il processo per il sequestro di mia figlia Denise ha la stringente necessità di una particolare attenzione specialmente nella memoria storica degli atti giudiziari e di indagine, vista la mole di informazioni relative. E invece non appena i magistrati erano in sintonia con i 350.000 atti e avevano cominciato a districarsi nell'ingarbugliata matassa fatta dal consulente tecnico della Procura Dott. (oggi avvocato) Genchi, ecco che giungeva il trasferimento. I continui trasferimenti (anche richiesti dagli stessi magistrati) invalidavano definitivamente la possibilità di poter venire a capo della situazione. L’ultima partenza in ordine cronologico è stata quello del Dr. Brandini approdato alla vicina Procura di Termini Imerese. Ebbene ad oggi non ho più notizie dell'indagine riaperta nel 2010. A mezzo del mio legale abbiamo depositato in Procura nei mesi scorsi un sollecito diretto ad avere notizie sull'esito dell'indagine e sulle decisioni che la Procura ha preso. Abbiamo chiesto di sapere ufficialmente se l'indagine va avanti o se si deve procedere con una richiesta di rinvio a giudizio o con una richiesta di archiviazione nei confronti del filone che vede coinvolta la madre dell'attuale imputata Jessica Pulizzi, ossia Anna Corona. Nel processo principale a volte vengono fissate le udienze a cadenza temporale lentissima. Mi chiedo se sia normale o giusto che i magistrati possono lasciare indagini così laboriose e complesse (oltre che costose per lo stato) possano essere frammentariamente gestite da più persone e tutto ciò senza che gli organi di controllo della magistratura o del ministero intervengano a fare le verifiche del caso… Mi chiedo se dopo un calvario giudiziario come quello che sto passando qualcuno mi risarcirà degli errori commessi e di quelli che si continuano a commettere. Una giustizia senza continuità è di fatto un'ingiustizia legalizzata. Se i medici sbagliano devono rispondere dei loro errori, così come tutte le altre categorie sociali. Sono però a chiedermi: e se l’errore viene commesso da un magistrato, quest’ultimo sconterà i propri sbagli nel nostro paese? Durante il processo che si sta svolgendo come parte lesa ci sentiamo “menomati” dei nostri consulenti tecnici di parte che non sono stati ammessi a contro dedurre e mi riferisco in particolare al Prof. Roberto Cusani, ordinario di telecomunicazioni alla Sapienza di Roma, che potrebbe apportare un importante contributo alla verità o alle falsità che stanno emergendo in dibattimento, e che invece è stato messo da parte. Il Tribunale ha ritenuto ammissibili interrogazioni su “sogni ed esoterismo” piuttosto che sugli argomenti forniti come contributo da un luminare nel campo della telecomunicazioni. Spero che questo Tribunale possa rivedere la assurda posizione assunta processualmente nell'escludere il nostro consulente. Riassumendo non ho più notizie dell'indagine e il processo ristagna dall'inizio dell'anno sulla farraginosa consulenza dell'ex dottore oggi avvocato Genchi. Senza contare che non mi risulta che alcuno abbia approfondito le gravi affermazioni che Genchi fece su un poliziotto allora capo del Commissariato di Mazara del Vallo e sulla vicinanza tra la moglie di quest’ultimo e Anna Corona, madre dell'accusata... E' tutto scandaloso: sia i Procuratori che si trasferiscono sia i poliziotti che possono inquinare le indagini. Se questo è stato l’ambito giudiziario, non migliore sorte è toccata alle ricerche di mia figlia sotto il profilo delle istituzioni. Decine e decine di incontri, di promesse, di strette di mano; rassicurazioni di politici, parlamentari, ministri e delegati…. Ognuno ha fatto a gara per mostrare il proprio interessamento al caso di mia figlia, peccato però che pochissimi abbiano davvero deciso di “continuare” e insistere sull’argomento. Il caso Denise per molte persone è stato un evento “mordi e fuggi”, che ha rappresentato forse una opportunità di promozione personale. Ho sollecitato le istituzioni italiane a farsi carico della vicenda di Denise, come anche di tutti i bambini scomparsi. Inutili sono stati gli appelli alla Chiesa perché venisse lanciato un comunicato a favore di una bambina. Altrettanto inutile l’appello all’ex- Presidente della Repubblica a riconoscere ufficialmente Denise come “figlia di tutti gli italiani”. Era un messaggio forte di solidarietà nazionale, da esprimere a favore di tutti i bambini scomparsi, dei quali proprio il capo dello Stato dovrebbe essere il primo sostegno morale. Alcuni potranno dire che sono stata ricevuta al Quirinale, altri però sanno che ho dovuto incatenarmi per avere un po’ di attenzione… quindi non direi di aver trovato la porta spalancata. I nostri politici hanno altri pensieri, e quando vengono coinvolti direttamente nei problemi della gente comune, sono decisamente infastiditi e cercano di liquidare la situazione nel più breve tempo possibile e al “costo” più basso possibile (non mi riferisco affatto all’aiuto economico che non si è mai visto, ma a quello personale e morale). Ho lottato perché venisse approvata una modifica di legge per punire i responsabili di sequestri di minorenni in modo esemplare. Grazie all’interessamento di qualche saggio politico, la normativa ha fatto un piccolo passo avanti: ma quanti sforzi per muoversi nella direzione giusta, quanta fatica per un risultato la cui utilità era palese agli occhi di tutti ! Centinaia di appelli in televisione e trasmissioni di settore dedicate, con una forza costante applicata alle iniziative per la diffusione dell’immagine di mia figlia, hanno condotto il caso davanti all’attenzione dei media internazionali e ho avuto la possibilità di essere ospite al Parlamento Europeo, dove dinnanzi alla commissione che si occupa dei minori ho potuto esprimere un serio giudizio circa le modalità di intervento e di allerta nelle prime fasi delle “scomparse” dei minori. Soltanto che nulla di ciò che ho proposto è poi stato realmente recepito. Se un bambino viene rapito oggi, succede esattamente quello che è sempre successo in passato; non c’è stato in otto anni un miglioramento dell’efficacia della risposta delle istituzioni nelle prime fasi del sequestro di un minore. L’unica cosa che forse è stata cambiata è la risposta della gente comune, che forse dopo tante battaglie e impegno, ha capito che la voce di una madre non deve rimanere inascoltata, perché i fatti orribili capitano a tutti, in Sicilia e in Lombardia, e non si circoscrivono a quelli di cui viene detto “è nella famiglia”. E’ sempre “nella famiglia”, solo che sono tante le famiglie colpite e la gente ha cominciato a capire che non si può dormire sonni tranquilli quando si è genitori e senza le istituzioni che ti tutelano. Chiedo l'aiuto di tutti. Non abbandonate Denise, a un destino che lei non ha scelto di avere. Aiutatemi ad acquistare la fiducia, perché oggi io non so più chi sono i buoni e chi i cattivi.

Due anni e tre mesi dopo, Yara resta un tragico ricordo. Pieno di misteri, rabbia, amarezza, frustrazione. Quella di non aver saputo trovare chi in una gelida sera di novembre la massacrò. Nessuna giustizia, nessun colpevole per la piccola ballerina di Brembate, 13 anni pronti a sbocciare in un tuffo nel fiore della vita, l'apparecchio ai denti, il corpo che cominciava a trasformarsi in quello di donna. Chi può dimenticare? I corsi della legge, le lentezze, i freni, con tempi che non sembrano oggi più adeguati a quelli degli uomini, però dicono, come avrebbe chiosato caustico Tortora a Portobello, «Big Ben ha detto stop». L'inchiesta è finita, l'indagine forse più dispendiosa nella storia d'Italia, ha fallito, intercettazioni, superesperti, 15mila campioni di Dna prelevati tra vallate e paeselli del Bergamasco non sono serviti a nulla. Hanno fallito polizia e carabinieri, un colonnello silurato e un questore mandato con piacere in pensione. Loro non hanno risolto il caso. Come la pm, Letizia Ruggeri, la signora che andava in vacanza nel pieno delle ricerche. Due anni e tre mesi dopo la scomparsa di Yara Gambirasio il 26 febbraio 2013 si sono chiuse definitivamente le indagini. Archiviato il fascicolo contro ignoti aperto il 27 novembre 2010, il giorno successivo la scomparsa della ragazza. La madre di Yara Gambirasio, Maura Panarese, ha scritto al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a più di due anni dalla morte della figlia. Il testo della lettera parla di "Scarsa collaborazione degli investigatori con la parte lesa". E' quanto rivela la puntata "Quarto Grado" andata in onda venerdì 25 gennaio 2013. Secondo quanto riferito dalla trasmissione, nella lettera inviata al Capo dello Stato, la madre di Yara esprime le proprie critiche nei confronti di chi ha eseguito l’inchiesta. Un’indagine che si è concentrata, prima sul cantiere di Mapello, poi sull’ipotetico figlio illegittimo di un autista bergamasco morto da anni, basandosi sul Dna. La donna manifesta dunque al Presidente Napolitano tutto il dolore e lo sconforto perchè, dopo anni d’indagini, la figlia non ha ancora avuto giustizia. Dolore e sconforto. Sentimenti troppo forti per continuare a rimanere chiusi a doppia mandata nel proprio cuore. Mamma Maura lo ha fatto per quasi due anni, ma adesso non ce la fa più. E lo scrive, in una lettera accorata, al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. L'assassino di sua figlia Yara non ha volto. Tante le piste, tante le supposizioni, tante le amarezze sopportate dal giorno in cui il corpo della ragazzina è stato trovato in un campo incolto di Chignolo d'Isola. Ma vedere che la Giustizia non approda a nulla è troppo anche per chi non ha mai perso occasione di manifestare fiducia negli investigatori e negli inquirenti. Proprio per questo l'iniziativa è clamorosa. Mamma Maura si rivolge direttamente al Capo dello Stato. Lo fa da semplice cittadina che si rivolge alla massima autorità. Il tono è pacato ma fermo. Le parole misurate, gli aggettivi calibrati. Ma da quelle poche righe emerge forte, senza inutili orpelli, l'insoddisfazione per il modo in cui finora sono state condotte le indagini sull'omicidio di Yara. Senza assumere i toni del «j'accuse», la lettera sottopone a Napolitano i dubbi e le perplessità che più volte sono state sollevate anche dagli organi di informazione. Le diverse piste battute: dal cantiere di Mapello ai sospetti su Mohamed Fikri fino al figlio illegittimo di un autista di Gorno morto ormai da parecchi anni. La battaglia, legittima certo, ma poco comprensibile all'uomo della strada, tra pubblico ministero e giudice per le indagini preliminari. I tempi infiniti per avere risposta anche sulle iniziative del proprio legale. Mamma Maura rende partecipe il presidente della Repubblica del dolore provato in questi due anni (Yara fu trovata cadavere a Chignolo il 27 febbraio del 2011) e gli esterna il suo sconforto. Non si aspetta che la soluzione arrivi dal Quirinale. Non cerca a Roma le risposte che tardano ad arrivare (se mai arriveranno) da Bergamo. È lo sfogo di una cittadina amareggiata e delusa. Il grido di dolore di un'intera famiglia che ha sempre tenuto un atteggiamento molto composto. I Gambirasio hanno dovuto farsi forza. All'inizio non avevano voluto nemmeno affidarsi a un avvocato, come pure qualcuno aveva consigliato loro anche solo per mantenere il controllo sull'operato degli inquirenti. Poi, si erano convinti ad affidarsi ad Enrico Pelillo, il legale che dal momento in cui fu effettuata l'autopsia li segue. Ed è toccato a lui sollecitare, come parte lesa, il pubblico ministero ad effettuare nuovi accertamenti. Di qui anche la soluzione di affidarsi a un consulente del calibro dell'ex ufficiale del Ris di Parma, Giorgio Portera, che ha portato nuovi elementi all'attenzione degli inquirenti. Ma era stata proprio Maura Gambirasio ad esternare, rompendo il silenzio fin lì rigorosamente osservato, in aula davanti al giudice per le indagini preliminari Ezia Maccora, lo sconcerto per la mancata verifica delle traduzioni della frase di Fikri che hanno ingenerato più di un sospetto. «Posso dire una cosa?» si era fatta avanti con tono fermo in Tribunale. «Da mamma mi chiedo com'è possibile che le traduzioni siano così diverse», aveva chiesto rivolgendosi al giudice. Un paio di mesi prima, ancora lei aveva sussurrato: «Se questo ragazzo non c'entra nulla, sarò io la prima a chiedergli scusa». E invece, rimane ancora tutto aperto. Il pubblico ministero che vuole l'archiviazione del marocchino. Il gip si oppone. E il mistero, insieme al dolore di una madre e di una famiglia, rimane profondissimo.

Il falso Moralismo: l’arrembaggio mediatico e le speculazioni.

L’orrore e la normalità scrive Terry Marocco su “Panorama”. Avetrana ha capito da subito che le luci della ribalta volevano un paese maledetto, omertoso. «Ma quale omertà, qui è il contrario, nessuno si fa i fatti suoi» dicono ora che il virtuale è più forte della realtà. Adesso che i programmi televisivi si sono inseguiti in una corvée instancabile e ormai quasi mancano le comparse, a Sabrina tocca apparire a reti unificate: piange a Matrix e nello stesso tempo è a Porta a porta con la riedizione di un suo intervento a La vita in diretta. La prima a capire che solo la tv poteva salvarla è stata la madre di Sarah, Concetta. Da subito ha intuito che spalancando la porta ai media avrebbe conosciuto la sorte di sua figlia. E così è stato. Sospira il procuratore capo di Taranto Francesco Sebastio: «Ditemi un momento nel quale non era in televisione a dirci come condurre le indagini, come dovevamo fare... Non si poteva neppure dire all’assassino: aspetta a confessare che finisca la trasmissione. Ne sarebbe iniziata un’altra». E per 42 giorni, come nota un investigatore, «lei davanti alle telecamere si è fatta sempre trovare pronta e in ordine». Senza un filo di ricrescita, notano i maligni, «i capelli rossi, come se ogni giorno si rifacesse l’henné». Ma Concetta, madre dura e dallo sguardo immobile, per 42 notti da sola nella casa di via Verdi ha urlato il suo dolore. E raccontano che le grida spezzavano il silenzio del sonno. Concetta, come chi sa usare i media, dopo il ritrovamento del cadavere si è ritirata. E il testimone è passato al figlio Claudio, cappello con la visiera e piercing sul viso. Lui è meno abile. «Dimmi veloce, che mi chiamano in tanti, se mi piace l’articolo ti dico se mi va di farlo» dice al giornalista di turno. Ma vuole sapere «quante pagine mi dai? E quante foto?». La dirimpettaia della famiglia Scazzi prima di cena si affaccia sulla porta di casa, quasi aspettando come un dovere la sua intervista quotidiana: «Tanti, tantissimi sono venuti da me e alla fine qualcosa gli si doveva pur dire». E racconta di avetranesi che rincorrevano le telecamere pur di essere intervistati. Missione facilissima, soprattutto fra via Verdi e via Deledda, dove i camion delle tv sono parcheggiati a presidiare le case delle due famiglie, che ormai si vedono solo via cavo. In paese, al Pub 102, dove passavano le notti Sabrina e Sarah, Ivano e Mariangela, si riunisce il coro greco. Qui, dove Michele, il proprietario, chiama i suoi panini con nomi di romanzi di Yukio Mishima (Haru no yuki, neve di primavera, speck e fontina), Sarah ascoltava i discorsi dei più grandi abbracciata a Sabrina. E spesso si addormentava appoggiata sulle sue ginocchia mentre la cugina la accarezzava.

E la malasorte difende Avetrana. Tempi duri per gli operatori dell’informazione cacciati prima dalle strade dell’orrore di Avetrana e da ieri anche davanti il tribunale di Taranto, scrive Nazareno Dinoi su “La Voce di Manduria”. E le negatività non si fermano qui. Rovinose cadute, strani malori, telecamere che si spengono, fari che esplodono, cassette inceppate. E ancora serrature d’auto che s’inchiodano, incidenti stradali e bucature multiple delle ruote. Una sospetta concentrazione d’infortuni sta scuotendo il popolo dei media che da due mesi ha preso domicilio ad Avetrana per documentare il giallo dell’uccisione della piccola Sarah Scazzi. Nella graduatoria della iella, la categoria che ha avuto la peggio è quella dei giornalisti. Le donne sono più sfigate dei loro colleghi. La prima ad essere colpita dalla «maledizione» è stata Valentina Loiero del Tg5: una caduta nel box doccia le è costata la rottura del labbro inferiore e un indolenzimento diffuso in tutto il corpo durato diversi giorni. Seconda caduta per Maria Corbi del quotidiano «La Stampa» con infrazione del pollice della mano sinistra. Ritorno a Roma anche per lei. Più preoccupante il malore accaduto alla giornalista di Rai Uno, Flavia Lorenzoni. Un’apparentemente banale caduta nell’albergo dove era alloggiata ha avuto conseguenze più serie con due giorni di ricovero all’ospedale di Manduria e il consiglio dei medici di un lungo periodo di riposo. La sfortuna non ha risparmiato la giornalista di «Porta a Porta», Rosanna Santoro, vittima anche lei di una scivolata per colpa di un gradino poco evidente e la conseguente contusione di un polso e ammaccature alle ginocchia. L’inviata del salotto più famoso d’Italia ha raccontato anche un altro episodio da far venire i nervi. «Dovevo recarmi urgentemente in un posto e la troupe non arrivava e quando ho cercato di avviarmi da sola – dice – sono rimasta bloccata perché la chiave elettronica della messa a moto si era inceppata». Lei, a differenza delle sue colleghe, ha potuto rimanere sul campo a lavorare. Ha dovuto invece recuperare un’altra auto il giornalista dell’agenzia ApCom, Filippo Marra, coinvolto in un incidente stradale quando da Avetrana si stava recando al tribunale di Taranto: lievi ferite per lui, distrutta invece la sua automobile. La iattura ha colpito anche gli operatori e cameramen che accompagnano i cronisti. A passarne di tutti i colori è stato l’operatore di Rai Uno, Vito Cacucciolo che elenca così le malesorti: «Il display del telefonino oscurato, la prima telecamera che non funziona, la sberla in faccia dalla sorella di Concetta, Emma Serrano, una caduta mentre salivo i gradini del furgone del montaggio, infine la rottura della seconda telecamera. Tutto questo in pochi giorni; è una coincidenza che non dovrebbe preoccuparci», conclude Cacucciolo usando prudentemente il condizionale. Altri episodi simili sono accaduti ai suoi colleghi: batterie che si scaricano prima del tempo, lampade che si fulminano oscurando la scena che si attendeva da ore, microfoni che non si agganciano alla telecamera, forature di gomma multiple e così via. Francesco Saccente, cameramen di Mediaset, non vuol rischiare e s’improvvisa dispensatore di amuleti contro la iella. «L’alloro è un ottimo rimedio per allontanare il malocchio – dice –, non per niente gli scaramantici imperatori romani lo usavano come corona». Un gioco, il suo, che comincia a dare i primi risultati perché le sue foglie d’alloro che un vicino di casa di Sara Scazzi gli ha donato, sono andate a ruba.

Parliamo della super testimone Anna Pisanò, testimone di Geova come Concetta Serrano, mamma di Sarah Scazzi e nemica giurata ed astiosa di Sabrina Misseri. Innumerevoli sono state le sue comparsate in TV. La Pisanò, unica ad Avetrana, ha sostituito Sabrina Misseri nei salotti trash della tv italiana. Nel corso dell’ennesimo appuntamento all’insegna della trasmissione Pomeriggio Cinque, il sequel lavorativo di Domenica Cinque e Domenica Live, il 6 marzo 2013 in collegamento da Avetrana e precisamente e provocatoriamente davanti l’abitazione di Misseri, abbiamo ritrovato Anna Pisanò, supertestimone al processo per il delitto di Sarah Scazzi. Nel corso del collegamento, la Pisanò ha nuovamente ribadito per l’ennesima volta il racconto di quel giorno in cui Sarah è stata uccisa, nel quale ha incontrato sia Sabrina, nella sua abitazione, che la piccola Sarah. Tutto ciò serve ad aizzare ed a istigare la folla di vergognosi telespettatori influenzando loro con messaggi subliminari e continui per convincerli di una verità artefatta. I Misseri continuano a darle della bugiarda, mentre la sua testimonianza è stata definita dal pm assolutamente attendibile e di estrema importanza ai fini della ricostruzione stabilita dallo stesso Mariano Buccoliero di quanto accaduto in quel giorno di agosto del 2010. Proprio nel corso del collegamento, abbiamo assistito ad un colpo di scena: Michele Misseri ha voluto reagire dall’interno della sua villetta, inveendo contro la donna e minacciando di denunciarla ai carabinieri. Barbara D’Urso, padrona di casa della trasmissione, ne ha approfittato subito per chiedere all’inviata di avvicinarsi all’abitazione di Michele, chiedendogli se avesse intenzione di intervenire in diretta, ma a quanto pare l’uomo non avrebbe risposto al citofono, nonostante i rumori provenienti proprio dalla villetta. Fabrizio Gallo, uno dei legali del contadino di Avetrana è intervenuto telefonicamente con la trasmissione di Canale 5, dopo richiesta esplicita del suo cliente, replicando alle parole della supertestimone (“Anna Pisanò non credo abbia detto tutta la verità”). Barbara D’Urso come Marco Liorni e Mara Venier, Salvo Sottile come Federica Sciarelli, Bruno Vespa come Massimo Giletti, Giancarlo Magalli come tutti i giornalisti della Rai e di Mediaset, forse hanno preso le loro trasmissioni come un tribunale personale e mi dispiace vedere come lor signori possano dare spazio a tanto SHOW su un problema cosi delicato. Di giudici c’è ne sono anche fin troppo e mi sembra superfluo assistere ad arringhe gratuite di persone motivate da una rabbia di vendetta e prive di umana pietà, pur se sedicenti di profonda religiosità. Quanto accaduto a Pomeriggio Cinque all’indomani della richiesta di condanna con l’ergastolo per Cosima e Sabrina segue l’altro colpo di scena durante la diretta di ‘Domenica Live’ di domenica 9 dicembre 2012. Mentre Barbara d’Urso sta raccogliendo la versione della supertestimone al processo per il delitto di Sarah Scazzi, Anna Pisanò, interviene al telefono un furibondo Michele Misseri che chiede di parlare dopo che la donna aveva commentato l’intervista al contadino di Avetrana, proposta nel corso del programma, come una vergogna: ” E’ un imbroglione nato. A 58 anni non si dicono bugie. Non si vergogna? Ha perso una nipote. Anzi dovrebbero vergognarsi tutti e tre”. Misseri si scaglia subito contro Anna Pisanò coinvolgendo anche la conduttrice, Barbara d’Urso, per quello che definisce programma colpevolista: “Voi la verità non la conoscete. E quando questa uscirà, vedremo chi avrà ragione. Sono arrabbiato non con voi, ma con me. Tu Anna, perché vai in televisione? Tu non c’eri quel giorno, sei una bugiarda, vuoi influenzare la gente così nessuno crede alla mia verità. Sarah non voleva più vederti, lo sai!” Anna Pisanò, malgrado le sue parole, cerca di confortarlo “Se hai detto la verità, sei un grande padre, io avrei fatto lo stesso per mia figlia e spero di tutto cuore che Sabrina sia innocente”.

L'intervista proposta nel programma, domande e risposte sulla Pisanò riportate da TGCom.

Misseri: «Anna Pisanò non l’ho vista, l’ho incrociata solo la mattina quando andavo al lavoro…»

Cavo: «Però lei ha detto che è bugiarda».

Misseri: «Certo che è bugiarda, lo dicono tutti pure…Quando Sarah non si trovava diceva "Ho sognato che sta a Lecce, ho sognato che sta di qua…" quando mia figlia le diceva "Perché non vai dai carabinieri a fare le cose" lei non andava mai».

Cavo: «Però ad esempio ha raccontato della lite tra Sarah e Sabrina la mattina della scomparsa di Sarah.. »

Misseri: «Non lo so, di questa lite non sapevo niente …non penso che hanno litigato perché se Sarah era così era perché ce l’aveva con Anna Pisanò perché parecchio tempo fa lei disse davanti alla ragazza (io non ero presente, me lo avevano raccontato ma ho visto la ragazza che piangeva) lei disse 'Tuo padre sta con altre donne a Milano, tu stai qua', robe del genere…»

Cavo: «Quindi Sarah era così triste e imbronciata quella mattina…»

Misseri: «Perché non la voleva vedere più Anna Pisanò, quando veniva Sarah non stava neppure più nella stanza dove lavorava Sabrina…»

NdR
I punti rilevanti della testimonianza di Anna Pisanò riguardano la lite tra Sabrina e Sarah che ha descritto la mattina dell’omicidio, quando lei si era recata a casa di Sabrina per un trattamento estetico e aveva visto Sarah arrabbiata…Un altro punto riguarda la porta sul retro di casa Misseri: la Pisanò, che andava spesso in giardino, ha detto di averla vista aperta: per l’accusa (che ritiene che Sarah sia stata uccisa in casa da Cosima e Sabrina e solo successivamente portata in garage dallo zio) Anna Pisanò dimostra che esisteva il passaggio interno tra casa e garage. Misseri, nel servizio, mostra invece come la porta a cui si riferisce Anna Pisanò sia quella esterna, sempre aperta, ma non quella in fondo alle scale, sempre chiusa. Mostra anche come, volendo seguire l’ottica accusatoria, se si fossero voluti disfare del corpo di Sarah uccisa in casa l’avrebbero fatto più agevolmente portando un’auto sul retro del giardino e non passando dal garage (percorso più complicato).

Il resto dell'intervista proposta nel programma. «A dire la verità adesso mi sento più leggero, cioè con tutto quello che avevo accumulato adesso sto meglio… Più parlo e più mi libero» così Michele Misseri racconta a Ilaria Cavo, nel corso di ‘Domenica Live’ in onda oggi su Canale 5, il suo stato d’animo dopo la clamorosa confessione fiume nell’udienza di qualche giorno fa. «Questo è il gatto di Sarah, l’unico ricordo che è rimasto…è come un cagnolino, viene lui però lo trovo sempre davanti al garage. Io ho ucciso Sarah, ma non è che volevo ucciderla veramente..quello che ho detto è che non so nemmeno io perché l’ho fatto, questa è la verità, non lo so nemmeno io».

Cavo: «La prima volta aveva messo un movente sessuale?»

Misseri: «Non c’è,non c’è perché devo dire che c’è se non c’è? Il trattore non partiva, dalla mattina, come ho detto in aula, avevo già un dolore alle testa, poi dal calcio è partito tutto».

Cavo: «Come fa a non ricordarsi come ha ucciso –se l’ha uccisa – una ragazzina di 15 anni? Come fa a non ricordarsi quel momento? Lei ieri non ha descritto il momento dell’omicidio, ha descritto il momento prima e quello subito dopo".

Misseri: «E ma io l’ho detto, non ricordo nemmeno io come ho fatto, come è successo io ho detto che i giri della corda li ho visti quando li ho tolti dal collo, erano due o tre giri, non so, due sono sicuro».

Cavo: "Lei ha detto che ha fatto tutto da solo, omicidio e occultamento di cadavere…»

Misseri: «Io ho detto che loro mi hanno sempre sottovalutato. Io oggi spero, visto che l’ho detto davanti alla Corte, di essere un po’ più creduto, di essere meno burattino rispetto a come mi hanno sempre descritto…perché l’ho detto davanti a una corte e non l’ho detto davanti alle telecamere solamente».

Cavo: «Lei guardava spesso sua moglie Cosima in aula?»

Misseri: «E’ stata la prima volta che ce l’avevo di fronte…anche lei mi guardava…le vedevo che erano tristi, ma tristi…di più Sabrina».

Cavo: «Lei si rende conto che dopo la deposizione può avere altri procedimenti per calunnia (da parte di persone che lei ha accusato) o anche nei suoi confronti se decidessero di riaprire la sua posizione processuale».

Misseri: «Tanto se io sto dicendo la verità che paura devo avere? La paura che mi condanneranno? Ma che ho più da perdere? Ho perso tutto… Non penso che rimarrò libero…la cosa che mi sento è che rischiamo di andare in galera tutti e tre però con due innocenti».

Prometteva false assunzioni, condannato ex portavoce degli Scazzi. Valentino Castriota era stato 'ingaggiato' dalla famiglia di Sarah durante i drammatici giorni della scomparsa. Pena esemplare per l'uomo che millantando conoscenze eccellenti truffava ingenui disoccupati, scrive Chiara Spagnolo su “La Repubblica”. Il vizietto per la promessa di false assunzioni Valentino Castriota lo ha coltivato per anni. Millantando conoscenze eccellenti e spillando soldi a ingenui disoccupati da un capo all'altro della Penisola, non disdegnando di concretizzare le sue abilità truffaldine anche in Salento. O almeno così crede il giudice del Tribunale di Campi Domenico Greco, che ha condannato il quarantenne di Trepuzzi, salito alla ribalta delle cronache come portavoce della famiglia di Sarah Scazzi nei giorni drammatici dopo la scomparsa della ragazzina, a un anno di reclusione. Condanna esemplare, a fronte dei sei mesi chiesti dal vice procuratore onorario Antonio Paladini, che ha portato in aula l'ipotesi accusatoria formulata all'esito delle indagini coordinate dal pm Giovanni De Palma. A lui era toccato, infatti, indagare sull'ennesima truffa attribuita a Castriota, arrestato nel gennaio 2011 proprio a causa delle false assunzioni promesse ad alcuni giovani nella Marina militare. Era stata proprio una delle sue vittime a presentarsi in Procura a Genova con la lettera di raccomandazione firmata dall'ex portavoce, facendo scattare indagini e arresto. Lo stesso copione si è ripetuto, qualche mese dopo, a Lecce, quando una donna di Squinzano si è presentata alle Poste centrali con tanto di missiva di "segnalazione" a firma di Castriota. Grande la sorpresa del direttore della filiale nell'ascoltare la richiesta di un posto di lavoro e ancora più grande quella della signora nello scoprire che sarebbe rimasto un sogno quel posto fisso, per il quale aveva sborsato 2.300 euro. A tanto ammontava la cifra chiesta e ottenuta da Castriota, che aveva fatto credere alla vittima designata di conoscere nientemeno che l'amministratore delegato di Poste italiane e di poter avere da lui una raccomandazione talmente potente da farle ottenere un contratto a tempo indeterminato presso la sede di Lecce. Una promessa che ben presto si è rivelata fasulla mentre vera era, secondo l'ipotesi accusatoria, la truffa ordita dal quarantenne. Dello stesso avviso anche il giudice che ha esaminato la vicenda, il quale ha disposto un anno di reclusione e il pagamento di 800 euro di multa insieme alle spese processuali, nonché un risarcimento alla parte civile da liquidarsi in separata sede, affinché la donna possa trovare ristoro dei 2.300 euro che credeva di avere speso per assicurarsi un lavoro e che invece erano finiti nelle tasche di Valentino Castriota. E poi ancora c’è il caso di Fabrizio Corona, condannato a cinque anni di detenzione per estorsione ai danni del calciatore David Trezeguet. Il 2 luglio 2013 da detenuto dovrà presentarsi al Tribunale di Manduria con l’accusa di violazione di domicilio. La denuncia è stata sporta da Concetta Serrano, mamma di Sarah Scazzi. La vicenda risale al 26 febbraio 2011, quando l’ex re dei paparazzi era entrato in casa della famiglia Scazzi passando da una finestra e spaventando la madre della ragazza. Nonostante le scuse alla donna, in televisione Corona ha raccontato un’altra versione dei fatti: disse di essere rimasto nell’abitazione di Concetta a chiacchierare per una mezz’oretta, e che Concetta gli aveva perfino offerto il caffè. Lo scopo del fotografo era quello di realizzare delle interviste in esclusiva ai protagonisti della tragica vicenda. Concetta Serrano non ha ritirato la denuncia e, come disposto dal pm Maurizio Carbone, il paparazzo dovrà presentarsi quest’estate al Tribunale di Manduria. Per l’accusa di violazione di domicilio, Fabrizio Corona rischia altri 3 anni di carcere. A proposito di interviste non autorizzate. Concetta Serrano, la mamma della 15enne Sarah Scazzi uccisa lo scorso 26 agosto 2010, il 9 aprile 2011 ha presentato una denuncia-querela contro il giornalista Mediaset Marcello Vinonuovo per la trasmissione di un’intervista non autorizzata andata in onda venerdì 8. L’episodio, sul quale non si sono appresi particolari, è stato denunciato ai carabinieri della Stazione di Avetrana. E’ andata in onda una nuova puntata di Studio Aperto Live, lo spazio di approfondimento di Studio Aperto che su Italia 1 si occupa delle vicende di cronaca più attuali. Quindi alla luce delle nuove notizie legate alla richiesta del Dna per quattro persone implicate nel caso con diversi ruoli si è deciso di tornare ad Avetrana per parlare con Concetta Serrano ed è stata mandata in onda un’intervista alla madre di Sarah che però non era stata autorizzata dalla donna. L’argomento dell’ultima puntata era ancora il caso dell’omicidio di Sarah Scazzi: tracce di Dna riaprono le indagini. E proprio questo particolare ha spinto Concetta Serrano, madre di Sarah Scazzi, a presentare una querela contro il giornalista di Mediaset Marcello Vinonuovo presso i carabinieri della Stazione di Avetrana. Subito sono arrivate le repliche di Giovanni Toti, direttore di Studio Aperto, e Mario Giordano, direttore di News Mediaset: i due hanno subito detto che quella realizzata da Vinonuovo non è un’intervista rubata, Toti dice: “Il cronista si è qualificato come tale, aveva il microfono in mano e accanto l’operatore con la telecamera in spalla. Le domande erano assolutamente rispettose: non c’era nulla che potesse ledere la dignità della madre di una vittima, anzi la signora Concetta ha avuto la possibilità di esprimere il suo punto di vista. La conversazione si è svolta senza alcuna tensione nè fraintendimento, nè sui contenuti nè sul ruolo di entrambi. Non vedo perchè non avremmo dovuto mandarla in onda”. Anche Giordano interviene sulla vicenda dicendo: “L’intervista è stata realizzata in luogo pubblico, da un giornalista che si è dichiarato tale, con il microfono ben in vista come dimostrano le immagini. La signora Concetta ha espresso ragionamenti sensati e condivisibili rispetto a un tema di interesse pubblico. Una persona può legittimamente non rispondere, ma se risponde e c’è interesse pubblico a quello che dice, non vedo perchè non lo si debba trasmettere”. Non turba a nessuno il fatto di sapere che Concetta Serrano, pur quasi ogni giorno sulla cronaca con la sua famiglia, rilasci interviste a iosa e, nonostante tutti i media siano con lei e artatamente contro sua sorella Cosima Serrano e sua nipote Sabrina Misseri, pretende di autorizzare o meno le interviste scomode e di denunciare Marcello Vinonuovo di Italia 1, forse perché collega di Ilaria Cavo. Ilaria Cavo è con Maria Corbi l’unica ad aver dato notizie con un minimo di imparzialità. Ad Avetrana non c’è modo di palesare la verità nonostante la multa per 400 programmi tv che si sono occupati in maniera morbosa del caso di Avetrana. L’Agcom inutilmente ha voluto porre un freno a questa continua ricerca di fare ascolti in televisione sfruttando il dolore delle persone ed ha comunicato all’Ordine dei giornalisti l’intenzione di multare 400 trasmissioni che si sono occupate del caso Scazzi violando le norme. Ma secondo il presidente dell’Ordine, Enzo Iacopino i giornalisti sono stati trattati come burattini da burattinai: “Seminavano tutto e tutto noi giornalisti mandavamo in onda o pubblicavamo sui giornali”.

Il falso Moralismo: l’arrembaggio mediatico e le speculazioni. Dalla Gazzetta del Mezzogiorno: “Violazione di domicilio”. È il reato contestato a Fabrizio Corona, il fotografo dei vip (o presunti tali) che il 26 febbraio del 2011 cercò di entrare da una finestra nella casa di Sarah Scazzi, la 15enne uccisa ad Avetrana il 26 agosto del 2011. A Corona è stato notificato un avviso di conclusione delle indagini preliminari firmato dal sostituto procuratore Maurizio Carbone, il magistrato tarantino, eletto recentemente segretario nazionale dell'Anm, che si occupa di tutte le vicende, poco commendevoli, che si sono svolte parallelamente all'omicidio della povera Sarah. Fu Concetta Serrano, mamma di Sarah, a presentare denuncia contro Fabrizio Corona, recandosi dai Carabinieri. «Me lo sono trovato davanti all’improvviso, mi ha terrorizzato» spiegò Concetta alla Gazzetta. «Stavo leggendo una rivista in cucina. Ho visto muoversi la maniglia della porta della camera da letto di mio padre (Cosimo Spagnolo, padre adottivo di Concetta, morto nel settembre del 2010). Una prima volta, poi una seconda. Dio mio, chi sarà? Come ha fatto ad entrare? La paura mi ha bloccato. Ho pensato, sarà un giornalista? Ma nessun giornalista si è mai comportato così. Qualcuno è stato scorretto con me. Ha detto una cosa e poi ne ha fatta un’altra. Qualcun altro ha rubato immagini e parole senza avvisarmi prima, ma una cosa del genere è giunta veramente inaspettata. È successo tutto in modo imprevedibile e irreale. Con sé aveva un oggetto, non so se era un registratore oppure una piccola videocamera. Io non avevo nessuna intenzione di essere intervistata». Corona, dopo aver fatto irruzione nella casa di Concetta, andò dal sindaco De Marco al quale disse che si trovava ad Avetrana per fare un lavoro per conto di Canale 5. Il paparazzo cercò di rimediare con un videomessaggio trasmesso alcuni giorni dopo nel corso di «Domenica Cinque» su Canale 5. «Sento il bisogno di chiederti scusa – disse Corona rivolgendosi a Concetta Serrano, la mamma di Sarah – per averti spaventato, per aver violato il tuo dolore di mamma che con dignità sopravvive ad un lutto così profondo. Quello che conta adesso – aggiunse il fotografo – è che tu accetti le mie scuse, perché‚ solo così, Concetta, potrò tornare a guardare negli occhi anche la mia di madre. Le cose – disse tra l’altro Corona – non sono andate proprio come hanno scritto i giornali. Non volevo fare niente di male, cercavo di parlarti, e sono pronto a prendermi le mie responsabilità per ciò che è accaduto. Ho suonato alla porta, poi mi sono avvicinato all’altra entrata e quasi non mi sono reso conto di essere già in casa tua». Ora Corona ha venti giorni di tempo per accedere agli atti e chiedere di essere interrogato e spiegare la sua posizione. Il reato è procedibile solo in presenza di querela della persona offesa: dunque bisognerà vedere anche se Concetta deciderà se ritirare o meno la denuncia. 26 febbraio 2011, gli avvocati di Concetta Serrano, la mamma della 15enne uccisa ad Avetrana, denunciano l'intrusione del fotografo, Fabrizio Corona. I carabinieri hanno raccolto la denuncia per violazione di domicilio, ma Corona assicura: "Mi ha invitato ad entrare e mi ha offerto un caffé". Tutti ne parlano. Tutti ad attaccare Corona: in TV e sui giornali. Uno dei tanti resoconto: su “La Repubblica”. Un blitz dalla finestra per registrare un'intervista da centomila euro. Fabrizio Corona ne ha combinata un'altra, in linea con lo show dell'orrore di Avetrana. Il fotografo dei vip, già incappato in Vallettopoli e in altre indagini penali, si è introdotto da una finestra in casa Scazzi spaventando la madre di Sarah Scazzi, Concetta Serrano. Era l'ora di pranzo. La mamma di Sarah, la 15enne uccisa dallo zio Michele e dalla cugina Sabrina il 26 agosto scorso e scaraventata in un pozzo, era sola: alla vista dell'uomo si è spaventata, è rimasta pietrificata. "E tu che ci fai qui?, ha chiesto a Corona senza neppure riconoscerlo. Il fotografo le ha sorriso e le ha domandato: 'Come, non mi hai riconosciuto?'. Ha quindi chiesto un bicchiere d'acqua e, mentre Concetta glielo versava, ha posizionato sul tavolo un registratore che poi è stato costretto a rimettere in tasca dopo le proteste della donna. Ha spiegato che voleva realizzare un'intervista per alcuni settimanali e ha detto di essere pronto a offrire alla mamma della 15enne 50-100mila euro. Per entrare in casa, dopo aver suonato due-tre volte inutilmente, ha aperto una porta di servizio, che si trova accanto all'ingresso principale, ha percorso un corridoio interno e ha scavalcato una finestra. Unica testimone dell'incursione del paparazzo più famoso d'Italia una giornalista di 'Quarto Grado' Filomena Rorro, che pochi minuti dopo l'arrivo di Corona ha suonato a casa Scazzi perché aveva un appuntamento con Concetta. Una mossa che non è piaciuta ai legali della donna che hanno denunciato il fatto. Il fotografo è entrato da una finestra in casa di Concetta Serrano - lamentano Valter Biscotti e Nicodemo Gentile - la signora Concetta era sola e si è spaventata, è rimasta pietrificata non appena si è accorta della presenza dell'uomo nella sua abitazione. Subito non l'ha riconosciuto". Stando al racconto del legale, nel momento in cui Corona tentava di entrare in casa della donna, ha suonato alla porta la giornalista che ha riconosciuto il fotografo. A quel punto, Corona ha deciso di allontanarsi da casa Scazzi. I due legali condannano "la vigliaccheria, la volgarità, l'essere così spregevoli nei confronti del rispetto delle persone da parte del già giudicato Fabrizio Corona" e "chiedono speranzosi che prima o poi il fotografo torni ad abitare le patrie galere". Sono gli avvocati ad allertare i carabinieri, che sono andati sul posto e hanno raccolto la denuncia di Concetta Serrano per violazione di domicilio. La versione di Corona - "La mamma di Sarah Concetta mi ha fatto entrare in casa, mi ha offerto caffè e acqua, sono rimasto con lei ben trenta minuti: ho le immagini che lo possono documentare. Ero ad Avetrana per il mio spazio a 'Domenica 5' - ha spiegato Corona - sono stufo che ogni volta che faccio qualcosa di serio per il mio lavoro si scrivano cose che non sono vere".  Ha poi aggiunto di aver offerto alla donna 50-100mila euro per un'intervista. Testimone della faccenda è proprio la giornalista che pochi minuti dopo la presunta incursione di Corona ha suonato a casa Scazzi per l'appuntamento con Concetta. La giornalista è poi andata in caserma per la denuncia. Il racconto della testimone - "Intorno alle 13.30 - dice Rorro - ho suonato alla porta e ho sentito una voce maschile che mi chiedeva: 'Chi e'?'. Lo stesso uomo mi ha aperto la porta e ho riconosciuto Fabrizio Corona: indossava un felpa con cappuccio e un jeans. Concetta, appena mi ha visto, mi ha detto 'Lo vedi, mi ha invaso la casa, è entrato dalla finestra...'". "Sulle scale che portano all'abitazione della famiglia Scazzi - continua la giornalista - c'erano molte tracce di fango, fatto questo che mi fa pensare che Corona sia andato prima a fotografare il pozzo in cui fu nascosto il corpo di Sarah", nelle campagne di Avetrana, in contrada Mosca. A quanto si apprende da Rorro, Corona, prima dell'incursione, ha suonato per due-tre volte il campanello di casa Scazzi, poi, poiché Concetta non apriva, ha aperto la porta secondaria dell'abitazione, ha percorso un corridoio interno e ha scavalcato una finestra che porta direttamente nella casa di Sarah. Una volta entrato è stato visto da Concetta che si è molto spaventata, è rimasta impietrita. Corona si è quindi giustificato dicendo di essere stato contattato da alcuni settimanali per fare un'intervista a Concetta. Ha aggiunto di essere disposto a pagare 50-100mila euro. Corona aveva con sé un registratore che ha prima messo sul tavolo della cucina e poi, alle proteste di Concetta, ha rimesso in tasca. Fuori da casa di Concetta è rimasto un fotografo che ha detto all'operatore di Mediaset, riferendosi a Corona, "speriamo che si ricordi di accendere il registratore". Nel programma di Rai 1, “Le amiche del Sabato”, condotto da Lorella Landi, addirittura anche il prete ospite in studio ha usato i toni e le parole dei legali di Concetta contro Corona. Questo senza sapere i fatti. Dura la reazione dei comitati di redazione delle testate giornalistiche del Gruppo Mediaset, che "si dissociano dal grave episodio di cui si sarebbe reso protagonista Fabrizio Corona, che purtroppo attualmente ha un rapporto di collaborazione con l'Azienda". Redazione che come, appunto “Quarto Grado” di Filomena Rorro, il giorno prima mandando le immagini, non si è fatta scrupoli nell'entrare in casa di Michele Misseri o come alla prima puntata attinente la vicenda ha rappresentato Sarah come poco di buono ed Avetrana come arretrata ed omertosa. La stampa e la tv tacciono il fatto che sono due gli indagati per la compravendita delle foto del garage di casa Misseri, ad Avetrana (Taranto): si tratta della giornalista di Mediaset Ilaria Cavo e di un consulente della difesa di Sabrina Misseri, l’ingegnere Raffaele Calabrese di Ginosa. Con questi provvedimenti la procura di Taranto ha chiuso le indagini sulla presunta vendita delle foto scattate nel garage dove sarebbe stata uccisa Sarah Scazzi. L’inchiesta è partita da una denuncia fatta da un giornalista del Tg2, al quale (secondo quanto accertato dal pm) il 26 ottobre scorso il consulente della difesa di Sabrina avrebbe offerto delle foto scattate all’interno del garage dei Misseri in cambio di denaro. Il giornalista della Rai registrò il colloquio con il consulente e rifiutò di acquistare le foto. Le stesse foto furono mostrate in serata durante la trasmissione Matrix su Canale 5. Naturalmente tutti tacciono gli assalti dei giornalisti alla stessa Concetta nell'entrare in casa, tornando dall’obitorio in cui c’era Sarah, ovvero gli assalti a Cosima e Valentina in casa Misseri. Tutto sbeffeggiato da un servizio delle “Iene”. Non si può tacere il fatto che il dr. Antonio Giangrande di Avetrana, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, prima del ritrovamento di Sarah si attivava per promuovere iniziative atte a favorire la ricezione di notizie utili. Aveva invitato i legali e i familiari di Elisa Claps, Ottavia De Luise, i fratellini Ciccio e Tore, oltre che il presidente dell’associazione “Penelope”, per un convegno da svolgersi nell’auditorium dell’Oratorio ad Avetrana, affinchè questi potessero dare un contributo alle indagini e alle ricerche, secondo le loro esperienze acquisite. Bene: la mamma Concetta, interpellata, inibì ogni manifestazione a favore di Sarah in Oratorio (riconducibile al cattolicesimo, essendo lei testimone di Geova) e senza la super visione dei suoi consulenti (Biscotti e Gentile). "La televisione non mi dispiacerebbe". A parlare è Claudio Scazzi, il fratello di Sarah, che dopo il dramma vissuto in famiglia, ha ammesso di aver contattato l'agente delle star Lele Mora per valutare le sue possibilità nel mondo dello spettacolo. "Sto a Milano e ho chiesto a Mora se aveva in mente qualcosa per me", ha detto. La risposta però sarebbe stata negativa: "Dice che non vado bene, che non sono fatto per la tv", spiega il giovane. Fa pensare il fatto che il figlio Claudio Scazzi, durante il viaggio per andare da Milano ad Avetrana, i momenti successivi al ritrovamento della sorella, si sia fermato da Lamberto Sposini alla “Cronaca in diretta” su Rai 1 o le sue successive comparsate avvengono solo per la promozione del calendario e la raccolta di fondi per la sua associazione per la costituzione del canile intitolato a Sarah, tanto che vi è stata aspra polemica politica. Alla presentazione del calendario del 5 gennaio 2011, che doveva svolgersi nell’auditorium dell’Oratorio, le polemiche hanno fatto sì che intervenisse il Vescovo, tanto da far spostare la sede. Una decisione, quella di organizzare l'evento nella sala dei Caduti di Nassiriya anzichè nell'Oratorio sant'Antonio, presa all'ultimo momento per motivi di opportunità dopo le polemiche infuriate per giorni. La presenza di Claudio, che ha teneramente ricordato la sorella, è stata oscurata dal sindaco della città, Mario De Marco, e dall'ex tronista di Uomini e Donne, il salentino Giovanni Conversano, che hanno pensato a difendersi dalle polemiche sollevate dal presidente della pro loco di Avetrana, Emanuele Micelli, il quale ha denunciato la spettacolarizzazione dell'evento e ha censurato la partecipazione di un ex tronista alla presentazione del calendario. «Come possiamo dare un' immagine positiva di Avetrana se sulla morte di una ragazzina si organizza una serata con un tronista?», si era polemicamente domandato Micelli scatenando la bagarre. Il primo cittadino di Avetrana ha risposto con rabbia. «Il presidente della pro loco - ha detto - deve chiedere scusa alla comunità avetranese e alla famiglia Scazzi perchè ha pescato nel torbido». De Marco ha preteso anche «le scuse del direttore di Telenorba», Enzo Magistà, «uno scienziato che fa moralismo a tutto spiano», perchè - ha accusato polemicamente il primo cittadino - «insieme ad altri intellettuali italiani si è espresso e ha dato giudizi gratuiti senza essere informato». «La conferenza stampa di oggi - ha sottolineato De Marco - è finalizzata a chiedere le scuse di chi ha gratuitamente offeso la comunità avetranese». «Gli intellettuali - ha aggiunto - sono bravi a parlare, ma di intellettuali che fanno beneficenza ne conosco ben pochi».

La sindrome della "Ribalta Mediatica". Con l'ingresso di nuovi personaggi e la promozione di un'inutile petizione al Presidente della Repubblica (senza alcun potere esecutivo), suggerita da impreparati o in mala fede istigatori, atta a rinforzare le inutili ricerche, ma non a dare vigore alle ferme indagini, c’è la conferma del fatto che troppi falsi consiglieri sfruttano il clamore mediatico per farsi pubblicità, promuovendosi come salvatori della Patria. Già la stampa riporta che la famiglia Scazzi, ha nominato dapprima un legale di fiducia, l’avvocato Maria Di Castri del Foro di Brindisi, e un portavoce, Valentino Castriota, entrambi componenti dell’associazione “Famiglie fratelli ristretti”. Poi ha nominato legale Giambattista Cervo del Foro di Lecce per la tutela della reputazione e verificare eventuali violazioni della privacy. Nella vicenda di Sarah Scazzi era comparso più o meno all’inizio quando ad Avetrana sono arrivati gli inviati dei quotidiani nazionali e le troupe dei network televisivi più importanti. Valentino Castriota, ben piazzato, di corporatura robusta, era stato presentato come portavoce della famiglia di Sarah. In effetti non c’era dichiarazione o intervista della mamma della ragazza in cui non ci fosse lui; vigile dietro le spalle di Concetta. Valentino diceva di rappresentare l’associazione «Famiglie fratelli ristretti». Era sul balcone di casa Scazzi la sera della fiaccolata ad Avetrana, quando mamma Concetta ha lanciato un ennesimo appello alla figlia. Anzi, proprio Valentino reggeva tra le mani i microfoni di alcune emittenti, tra cui "Studio 100" di Taranto, affinchè cogliessero tutte le parole della madre della ragazza. Poi, di Valentino Castriota si sono perse le tracce. Anzi, l’11 settembre la mamma di Sarah è uscita da casa, è andata dai Carabinieri e quando è tornata, volto scuro, ha detto che erano accadute delle «cose spiacevoli» senza però scendere nei particolari. Si apprende che Valentino Castriota è fuori. Fuori come portavoce, fuori da tutto. I giornalisti hanno pensato bene di sottacere la notizia (o la gaffe). E pensare che era il loro valido interlocutore. L’associazione «Famiglie Fratelli Ristretti», con una nota di Franco Nardelli e Renato De Giorgi, diffida infatti «Valentino Castriota e l’avvocato Giovanni Battista Cervo, come chiunque altro, dal prendere a nome dell’associazione e a nostra insaputa contatti con la famiglia Scazzi, a proporsi come assistente legale o portavoce. Sarebbe un esercizio abusivo della ragione sociale dell’associazione e prova anche di scarsa professionalità». Tutto questo non è altro che l’articolo apparso sulla Gazzetta del Mezzogiorno a titolo “Il portavoce viene sconfessato”. A riguardo su Youreporter del 19 settembre 2010 con titolo “Le mie ragioni sulla famiglia Scazzi” c’è la dichiarazione di Valentino Castriota: «in merito all'articolo pubblicato dalla gazzetta del 14 settembre 2010 intitolato “il Caso Valentino Castriota” mi preme precisare alcune cose:

*       1) La signora Scazzi la sera del 9 settembre firmò la liberatoria per la trasmissione di mattino 5, liberatoria che una volta firmata nessuno, compreso il sottoscritto, poteva chiedere compensi a Mediaset. Questa liberatoria ha prodotto frutti di puro isterismo nella persona della madre di Sabrina, che non accettava minimamente che sua figlia Sabrina firmasse tale foglio.. ci sono testimoni e un parente. Il giorno dopo sono stato rimosso dalla famiglia per un foglio a titolo gratuito e per aver fatto una cortesia a Mediaset;

*       2) sia io che i miei collaboratori ci abbiamo rimesso di tutto, compreso giornate di lavoro e soldi, ma l'abbiamo fatto con amore e per amore;

*       3) io non è che non sto andando più ad Avetrana perchè mi sento in colpa di qualcosa, ma perche è da sabato che sono a Roma per lavoro. Infatti io venni a sapere della mia rimozione quando oramai ero arrivato a Roma. Educatamente chiamai la signora Concetta e lei non si permise di rispondermi. Io non avevo niente contro di lei e contro nessuno, ma quanto meno sapere le motivazioni giuste;

*       4) la mia associazione. Dico mia perché l'ho fondata io insieme a due altre persone e tutti erano a conoscenza che ero lì e del mio operato. Guardatevi le interviste di Studio 100 il giorno della fiaccolata. Era presente il segretario e vari componenti dell'associazione “Famiglie Fratelli Ristretti”, perciò da chi dovrebbero prendere queste distanze? L'avvocato, e vi suggerisco di guardare le interviste sia della Gazzetta del Mezzogiorno che di certe testate giornalistiche, non era Giovanni Battista Cervo, ma bensì un altro legale dell'associazione. Mi chiedo solamente a che gioco stiamo giocando?
Con questo ho detto tutto e sono io a prendere le distanze da tutti, visto come stanno le cose. Grazie al mio intervento ho smosso l'unione sportiva Lecce e il Taranto calcio per il mondo del calcio, Lele Mora per lo spettacolo. L'appello del Presidente della Repubblica sono stato io l'artefice di tutto e l'ho fatto gratuitamente». Questo, oltre a dare una luce nuova, dà da pensare. C’è da chiedersi se, poi, le continue comparsate in tv dei nomi citati, non siano avvenute a titolo oneroso. La risposta la dà successivamente lo stesso Castriota. «Molte tv nazionali hanno offerto soldi a Sabrina e lei li ha accettati volentieri». L'accusa, circostanziata, è stata lanciata ai microfoni del Tg Norba del 19 ottobre 2010 da Valentino Castriota, che per una quindicina di giorni dopo la scomparsa di Sarah Scazzi ha svolto il ruolo di 'portavoce' della famiglia della 15enne di Avetrana. Castriota contesta le ultime dichiarazioni di Valentina Misseri, sorella di Sabrina, che ha accusato i giornalisti di non aver mai aiutato sua sorella, ma di averla rovinata: «Ma se era lei che dalla mattina alla sera cercava i giornalisti... - ha dichiarato Castriota a Telenorba. - Io le organizzavo il palinsesto giornaliero, dalla mattina alla sera si organizzavano le interviste. E quando mi sono permesso di andare a far firmare una liberatoria a casa della famiglia Misseri, la signora Cosima mi attaccò duramente, perché la figlia non avrebbe firmato alcuna liberatoria a titolo gratuito. Sia un settimanale nazionale che molte tv nazionali le hanno offerto soldi e Sabrina li ha accettati volentieri - conclude Castriota, che ha vissuto a stretto contatto con le famiglie Scazzi e Misseri ed oggi afferma: - Ho capito che lei c'entrava qualcosa in questa storia e che c'entrava qualcosa la famiglia». Non solo. Il Messaggero in un articolo pubblicato l’8 ottobre riapre i dubbi sul reale svolgimento della tragedia di Sarah Scazzi. Il giornale romano riporta la testimonianza di Valentino Castriota, per alcuni giorni portavoce della famiglia Scazzi, testimonianza che rivela alcuni particolari sui giorni immediatamente precedenti all’omicidio e a quelli successivi che vengono rilasciate solo ora per la prima volta. «Secondo me le indagini sono al 90%, manca un 10%. - Le parole di Castriota sono state rilasciate all’emittente radiofonica Radio les. Per Castriota - all'interno della famiglia qualcuno conosce qualche dettaglio in più. Sarah - afferma Castriota - ha detto a Sabrina (il 25 agosto) che il papà il giorno prima l'aveva molestata. Non è vero che hanno litigato per altro (gelosia per Ivano Russo). Il litigio era partito dalla denuncia di Sarah alla cugina. Sabrina e Sarah hanno litigato perché Sabrina non accettava il fatto (delle molestie). Castriota pone dubbi anche sul comportamento del padre e del fratello di Sarah: «Il suo comportamento, anche con me, è stato strano sin dall'inizio. Non si è fatto mai vedere. Strano anche il comportamento del fratello, che non si è mosso da Milano. La mamma ha un carattere freddo - conclude - era convinta fosse viva, era tranquilla».

Non finisce qui. A “Porta a Porta” su Rai 1 del 19 ottobre 2010 l’avvocato d’ufficio di Michele Misseri, Daniele Galoppa, chiede all’avvocato di Sabrina Misseri, Vito Russo, come mai era in Avetrana, insieme alla moglie, l'avvocatessa Emilia Velletri, vicino a casa di Sabrina, la mattina presto del 15 ottobre, quando ancora non era indagata, in quanto la versione del padre che la coinvolgeva nel delitto era stata resa solo nel pomeriggio? Russo affermava che era stato contattato da Don Dario De Stefano, parroco di Avetrana. Don Dario, la sera stessa, in diretta, ha smentito, escludendo qualsiasi contatto o coinvolgimento. Ma nel prosieguo li stessi Russo e Velletri sono stati sfiduciati dalla famiglia Misseri, non si sa quanto felici del fatto e nello stesso modo in cui loro volevano fare con l'avv. Galoppa. Appunto. Sulle reti Rai nel pomeriggio del 16 novembre 2010, Carmine, fratello di Michele Misseri, affermava che Russo, Velletri e Valentina, figlia di Michele Misseri, lo hanno costretto ad inviare allo stesso Michele un telegramma, in cui lo si esortava ad estromettere il Galoppa ed a nominare altri avvocati. Carmine ha testimoniato che non voleva noie e chiedeva perchè non lo facessero loro, ma questi lo hanno rassicurato sul fatto che era tutto lecito. La Procura ha aperto un inchiesta ed ha verificato che il telegramma era su carta intestata di un noto studio legale di Taranto vicino proprio ai difensori di Sabrina. La sfiducia si è concretizzata e sono stati affiancati dall'avv. Francesca Conte del Foro di Lecce, che su Telerama del 16 novembre 2010 si è presentata con modo ironico attaccando Galoppa: «Noi non saremo bravi come gli avvocati d'ufficio, ma siamo forti dei nostri 27 anni di attività». Bah!!  Galoppa, nominato d'ufficio dalla Procura di Taranto è l'unico che non si è proposto e con la sua pacatezza e professionalità non incarna certo il luogo comune che colpisce gli avvocati d'ufficio: incapaci e/o disinteressati. Ma il suo mandato non dura molto. Fino all'incidente probatorio del 19 novembre 2010, dove in carcere viene sentito Misseri e contestualmente a "Quarto Grado" compare il video (secretato) in cui si vede Misseri nel suo garage che confessa. «Il caso Scazzi ha perso le sue connotazioni di caso giudiziario ed assume sempre più le connotazioni del business - sono le parole con cui l'avvocato ha motivato la sua decisione di lasciare -. Un business a cui, per cultura ed educazione giuridica e professionale, mi debbo necessariamente sottrarre». Dichiarazioni pesanti, che gettano un'ombra sull'atteggiamento che ha assunto il collegio difensivo di Sabrina Misseri. «Mi è stato insegnato - ha aggiunto Francesca Conte - che la difesa tecnica, per essere efficace, deve essere libera da condizionamenti, indipendente, coerente ed onesta, non potendo invece essere legata a speculazioni inconfessabili di ogni tipo». Ma qualcuno gli fa notare che non ha lasciato lei, ma è stata Sabrina a revocargli il mandato. La Conte si difende dicendo che è stato l’avvocato Vito Russo a fare in modo che Sabrina Misseri revocasse il mandato. È quanto denuncia la stessa penalista di Lecce sottolineando che ha anche una registrazione delle parole di Russo. «L'avvocato Russo, mentre io ero con sua moglie in carcere per l’incidente probatorio – spiega Conte -, dichiarava alla stampa, senza accorgersi della presenza di due miei avvocati che lo hanno registrato, che avrebbe fatto in modo di far revocare il mio mandato, dicendo che l’incidente probatorio è andato male». Che situazione: avvocati dello stesso collegio difensivo che si registrano e si "fanno le scarpe". Bah!! Intanto il 19 dicembre 2010 la stampa comunica che il collegio difensivo di Sabrina Misseri registra una ulteriore new entry: ci sarà, infatti, anche l'avvocato Franco Coppi tra coloro che proveranno a convincere i giudici dell'innocenza della 22enne accusata di aver ucciso la cuginetta, Sarah Scazzi. Coppi, professore di diritto penale alla Sapienza di Roma, ha una grandissima esperienza nelle aule giudiziarie, essendo stato, tra l'altro, tra i difensori di Giulio Andreotti e altri personaggi notissimi del panorama politico italiano. Affiancherà Russo e Velletri. Con l’evolversi degli eventi criminologi e psichiatri della tv irrompono in truppa nel caso Sarah Scazzi. Dagli studi televisivi direttamente ad Avetrana. Pronti a sfidarsi a colpi di perizie per decifrare le pieghe del delitto. Pronti a dire tutto e il contrario di tutto così come hanno fatto in tv. Questa volta sono i legali della famiglia Scazzi a calare gli assi della tv dopo che Galoppa ha preso Roberta Bruzzone, criminologa, e Giancarlo Umani Ronchi, medico legale, Marina Baldi, esperta di genetica forense, per Michele Misseri e Russo ha preso la psicologa e criminologa Cinzia Gimelli e il medico legale Enrico Risso e l'ingegnere elettronico per i telefonini Andrea Paoloni per Sabrina. Come consulenti di parte Scazzi, infatti, sono stati nominati Massimo Picozzi, criminologo, e Alessandro Meluzzi, psichiatra, volti noti del piccolo schermo, oltre che Luciano Garofano, ex Ris di Parma (questi contestualmente è anche consulente dell'avv. di Sabrina Misseri, Francesca Conte, nel processo per l'omicidio "Basile"). Poco ci manca che scendano in campo addirittura i vari Vespa, Sposini, Sottile, Vinci, Sciarelli, D'Urso, Giletti, ecc. Dopo aver scarnificato Sarah, ora si vuole disossare i Misseri. Al programma di Paola Perego su Rai 1 del 19 novembre 2010 alla domanda, “ma chi li paga tutti questi avvocati e consulenti”, Giancarlo Magalli rispose: «Sono loro pronti a pagare per essere là, anziché essere pagati, per la grande pubblicità che si fanno». Ma non finisce qui. Qualcuno vuole rimuovere dall'incarico l'avvocato di Michele Misseri Daniele Galoppa di Grottaglie. A riferirlo è lo stesso legale, intervistato il 20 ottobre 2010 da "Chi l'ha visto?" in onda su Rai 3 e su altri programmi tv. Gli sono stati chiesti i motivi per cui ci sarebbe questa pressione e l'avvocato Galoppa spiega che un motivo e nel fatto che "il caso ha una ribalta nazionale e internazionale", aggiungendo "però mi è stato riferito che il mio ruolo, come viene condotto da me, potrebbe dare fastidio a qualcuno". A chi quindi può dar fastidio Daniele Galoppa e soprattutto, perché? Cosa non si fa per apparire, si arriva anche a “fare le scarpe ad un collega” che svolge bene il suo lavoro e senza timore reverenziale di colleganza. Dai e dai Michele Misseri dalle 12 del 30 novembre 2010 ha due avvocati di fiducia: Daniele Galoppa, che dal 7 ottobre lo assiste come legale d’ufficio, e Francesco De Cristofaro. Il colpo di scena è giunto dopo che in mattinata alla cancelleria del giudice per le indagini preliminari Martino Rosati era arrivata una comunicazione da parte dell’avvocato Francesco De Cristofaro, del foro di Roma, che ufficializzava la sua nomina quale legale di Michele Misseri, così come chiestogli dalla figlia Valentina Misseri. È possibile, infatti, per il prossimo congiunto di un indagato assistito da un legale d’ufficio, la nomina di un avvocato di fiducia che prende il posto di quello scelto tramite il call center degli avvocati. Una opportunità che la figlia Valentina ha voluto sfruttare probabilmente per regolare i conti con Daniele Galoppa con il quale da tempo era in rotta e con il quale ha avuto una discussione molto accesa, stando ad alcune indiscrezioni, il venerdì sera precedente, a Roma, all’esterno dello studio della trasmissione televisiva «Quarto Grado», che si è occupata dell’omicidio di Avetrana, per il quale sono rinchiusi nel carcere di Taranto Michele Misseri e l’altra sua figlia Sabrina. Michele Misseri ha però colto tutti in contropiede, andando all’ufficio matricola e nominando quali avvocati di fiducia sia Daniele Galoppa che Francesco De Cristofaro. L’avvocato di Grottaglie ha saputo dai giornalisti che era stato affiancato da un altro legale, un fatto che a quanto pare non ha concordato con nessuno e che non lo vedrebbe d’accordo. Per questo motivo su un programma RAI del 1 dicembre Galoppa ha specificato che non demorde, né abbandona, ma avverte che il collega dovrà difendere gli interessi o di Michele Misseri o degli altri componenti la famiglia. In caso contrario sarà in conflitto d’interessi e dovrà adottare gli atti più opportuni. E poi, nonostante fosse in preda alla disperazione, che annebbia la razionalità, e fosse consapevole, che nelle situazioni di clamore mediatico tutti avrebbero approfittato per essere illuminati dai media per conseguire notorietà, la famiglia Scazzi il 21 settembre si è affidata agli avvocati Walter Biscotti e Nicodemo Gentile. Dove ci sono le telecamere, subito dopo appaiono loro. I casi più seguiti dai media sono roba loro. Non è accaparramento illecito di clientela. Sia mai. Non è come per gli avvocati tarantini Vito Russo ed Emilia Velletri. Per loro, sì, che si son mossi Procura e Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Taranto. Inoltre i legali degli Scazzi collaborano in modo “simbiotico e significativo” sia con i giornalisti, sia con i magistrati. Gli avvocati di Perugia Walter Biscotti e Nicodemo Gentile rappresentano anche Salvatore Parolisi come persona offesa nell'indagine sull'omicidio della moglie Melania Rea. Anche in questo caso non mancano di soffermarsi su un fatto: stabilire la loro verità. Gli avvocati Gentile e Biscotti hanno spiegato che con la loro nomina intendono "contribuire all'accertamento della verità". «Abbiamo incontrato il pm Umberto Monti - ha detto Biscotti, avvicinato dai cronisti ad Ascoli Piceno - offrendo massima collaborazione. La volontà di Parolisi è essere considerato parte offesa in questa vicenda, collaborando con gli investigatori, come ha già fatto finora». Intanto si è proceduto nei confronti di Parolisi come se si trattasse del vero responsabile. Sia da parte della stampa, sia da parte della procura, che pur procedendo alla perquisizione in casa di Parolisi, a questo non gli è stato indicato di nominare un legale. L'irresistibile ascesa dei due avvocati perugini alla fama nazionale. Si tratta di Valter Biscotti e Nicodemo Gentile che hanno ricevuto l'incarico di difendere Winston Manuel Reves, 41enne domestico di origine filippina che ha ammesso di aver ucciso la contessa Alberica Filo Della Torre. Un delitto che ha trovato soluzione, grazie a nuove tecniche di laboratorio, a quasi 20 anni di distanza. La contessa, infatti, fu uccisa, nella camera da letto della sua splendida villa situata all'interno del parco dell'Olgiata, a Roma, il 10 luglio 1991. Sarà un processo importante per la coppia di avvocati perugini, l'ultimo di una serie che li ha visti protagonisti. Hanno assistito la famiglia di Emanuele Petri, l'agente della Polfer, assassinato il 2 marzo 2003, sul treno Roma-Firenze, dal brigatista Mario Galesi. Hanno poi difeso Rudy Guede nel processo per il delitto di Meredith Kercher. Assistono la famiglia Scazzi dopo il delitto di Sarah, il cui corpo senza vita fu ritrovato nelle campagne intorno ad Avetrana, il 6 ottobre 2010. Infine, i due penalisti, difendono la famiglia di Brenda, il trans brasiliano trovato morto, asfissiato, nella sua modesta abitazione romana, il 20 novembre 2009. Brenda era testimone eccellente nel caso che portò alle dimissioni il governatore del Lazio, Piero Marrazzo. Infine, il solo Biscotti è stato nominato difensore di Sara Tommasi, la starlette ternana comparsa tra le ragazze che avrebbero frequentato le feste di Arcore nella villa di Silvio Berlusconi. Attaccare Sabrina Misseri considerandola responsabile del delitto di Sarah Scazzi, o definire la madre, Cosima Serrano, come fortino da espugnare, riferendosi al fatto non provato che il delitto fosse stato commesso in casa con l’apporto di tutta la famiglia, non sono il solo exploit diffamatorio del duo perugino. Sapete cosa dissero Biscotti e Gentile al processo in cui difendevano Rudy Guede? Vi riporto il passaggio di un articolo de “Il Corriere della Sera” del 25 ottobre 2008. «Chi era Meredith Kercher? Non era certo una ragazza estremamente riservata e che non si faceva avvicinare da nessuno, anzi, amava bere, assumeva delle droghe (cannabis) quando si trovava in compagnia. Aveva inoltre una vita sessuale piena, a trecentosessanta gradi, e provava attrazione non solo per il proprio fidanzato italiano». Gli avvocati Biscotti e Gentile si sono offerti alla famiglia Scazzi (a dire degli avvocati, gratuitamente) e si avvarranno della consulenza dell’ex comandante del Ris di Parma, l'ex generale Luciano Garofano. «Vogliamo essere di supporto alla Procura – ha spiegato Gentile – abbiamo incontrato il sostituto procuratore Mariano Buccoliero (dirige l’inchiesta sulla scomparsa della minore) depositando le nostre nomine. E' stato un colloquio molto cordiale. Poi abbiamo trascorso gran parte della giornata con la famiglia Scazzi, con la mamma e il papà di Sara e anche alcuni famigliari. Coll'ex gen. Garofano (ex comandante Ris di Parma) abbiamo ripercorso il tratto di strada che Sara avrebbe dovuto compiere fino a casa della cugina e fatto una prima ricognizione della zona. Penso che torneremo a breve in Puglia». Da notare che Rudy Guede è stato condannato nonostante si proclamasse innocente e che i suoi legali per forza di cose in quel processo erano antagonisti giudiziari proprio con i Ris di Parma. Da notare che in merito alla vicenda di Meredith Kercher sulla stampa di tutto il mondo e negli atti di difesa di Amanda Knox e di Raffaele Sollecito si parla di errori madornali commessi proprio dal Ris di Parma. Da notare che Wikipedia e vari organi di stampa riportano che l’ex generale Luciano Garofano dal 1995 fino al 2009 è comandante del RIS di Parma (Reparto Carabinieri Investigazioni Scientifiche), chiamato sulla scena di molti casi giudiziari avvenuti negli ultimi decenni nel nord Italia (strage di Erba, il serial killer Bilancia, caso Cogne-Franzoni, ecc.). Presenzialista in tv come esperto di indagini scientifiche, Garofano nel novembre 2009 viene coinvolto in un'indagine della Procura di Parma, che lo vede indagato per peculato e truffa ai danni dello Stato, un'indagine avviata in seguito all'esposto dell'avvocato Carlo Taormina. Garofano ha negato di essersi dimesso dall’Arma dei Carabinieri a causa di queste indagini. Oggi ci troviamo di fronte a degli avversari che si alleano in un caso senza utilità economica. Da notare che l'ex Generale Garofano precedentemente in interviste tv ha reso opinioni, in cui sposava la tesi dell’allontanamento volontario di Sarah. Inoltre, successivamente, si ha la notizia secondo cui la nota criminologa, Roberta Bruzzone, assumerà l’incarico di consulente per Michele Misseri. Partecipando alla trasmissione Open di Telerama del 30 ottobre 2010, la nota specialista (spesso ospite di trasmissioni tv nazionali) ha dichiarato che svolgerà l’incarico a titolo gratuito. Anche lei, come tutti gli altri!! E che dire di Cosima Serrano, madre di Sabrina e Valentina e moglie di Michele Misseri. Cosima è da sempre diffamata, senza tutela della sua immagine, pur non essendo indagata. Additata dai media e sospettata dagli inquirenti come protagonista e regista occulta della vicenda che attiene la morte di Sarah Scazzi. E dire che anche lei ha un avvocato, che la difende: Francesco De Jaco del Foro di Lecce. Sciacallaggio per sciacallaggio, perché non si verifica se e quanto sono pagati i presenzialisti delle tv nazionali (familiari, loro avvocati e consulenti, pseudo esperti salottieri pagati a gettone nei salotti televisivi, che smentiscono sè stessi a secondo l'evolversi delle circostanze e che con piroette verbali tendono a dimostrare tesi basate su pregiudizi e luoghi comuni) per arricchirsi sui poveri resti di Sarah e chi ha dato il diario di Sarah per essere pubblicato. Sarei curioso di sapere se e quanto sono genuine le dichiarazioni rese in tv dai protagonisti prezzolati della tragedia, che si sta rivelando una farsa. Naturalmente nessuno pensa bene, nel loro interesse e non in quello di Sarah, di contestare il modo e i tempi di svolgimento delle indagini. Per esempio: se si trattava di scomparsa di una minore, perchè nell'immediatezza della sparizione non si è aperto direttamente il fascicolo per sequestro di persona, con l'ausilio di strumenti adeguati di indagine come le intercettazioni ambientali e telefoniche, perquisizioni, accertamenti tecnici su computer e cellulari, controlli in tutti i campi Rom in Italia, controllo alle frontiere e sedi di imbarco, affinchè la ragazza non fosse stata portata all’estero. Nessuno promuove verifica sullo svolgimento delle indagini, affinchè queste siano svolte da persone competenti alla specificità del reato e non da chi è delegato giornalmente a fare multe in violazione al codice della strada. Nessuno pensa bene di accertare chi ha consegnato il diario di Sarah a "Panorama", su cui si sono stati basati stereotipi e pregiudizi sulla ragazza e la sua famiglia, violando la loro privacy, e perchè gli inquirenti l'abbiano fatto. Diario consegnato dai famigliari ai carabinieri di Avetrana e per forza di cose segretato e custodito come atto probatorio. Nessuno pensa bene di constatare se ci si sia avvalsi delle riprese dei satelliti militari italiani o stranieri in servizio di sorveglianza ed intercettazione a tutela delle strutture militari nazionali e straniere nella città di Taranto, distanti 40 KM. Un numero incredibile di persone sparisce ogni giorno nel nulla, soprattutto giovanissimi. Molti di loro si trovano, di altri non se ne sa più niente. E’ come se si fossero volatilizzati, spariti. Nel mondo spariscono ogni anno molte migliaia di persone. Ogni anno in Italia sono dichiarati scomparsi oltre 2000 minori. Alcuni di loro tornano a casa da soli, altri vengono ritrovati dalle forze dell'ordine, altri ancora non hanno mai fatto ritorno. Secondo le cifre del Ministero dell'Interno, solo nel 1996, sono stati dichiarati scomparsi 2391 minori. Di questi, 1912 hanno riabbracciato le loro famiglie. Al marzo '98 i minori dichiarati scomparsi erano 1419, di cui 796 sono stati rintracciati dalle forze dell'ordine. Che fine fanno i tanti di cui si perderà ogni traccia? Per farsi una pallida idea di quanto è grave il fenomeno basti sapere che, nel 1997, “Il Giornale” (15 Marzo 1997) titolava un lungo pezzo: “Dal ’90 quadruplicati i ragazzi spariti”. Oggi sono molti di più, senza contare la sparizione non denunciata degli invisibili, ossia chi è illegalmente in Italia e non denuncia per paura di espulsione. Un calcolo, anche approssimativo, è impossibile. Il quotidiano, tra l’altro, denunciava: “Cresce il numero dei giovani, soprattutto tra i 15 e i 18 anni, che svaniscono nel nulla. Le piste: droga, sette religiose, voglia d’avventura e mercato degli schiavi” e, come vedremo, altro ancora. Se molti di questi giovani vengono ritrovati, di altri non se ne saprà più nulla. Alcuni di loro finiscono nella rete della prostituzione, della pornografia, della pedofilia, altri nel sottobosco criminale dei devoti di Satana. Il giornale “La Stampa” (8/2/87) riporta la notizia di una setta satanica che reclutava bambini. Bambini scomparsi, violenze sessuali su di essi e pedofilia a livello mondiale puntano tutti verso il coinvolgimento di una rete organizzata di criminali di alto livello che controllano di nascosto il sistema legale. Senza dimenticare il racket delle asportazioni degli organi umani da organismi sani e controllati commissionati da persone facoltose che non amano aspettare. Vi è, addirittura, anche un mercato di “pezzi di ricambio” umani. Vengono inviati ai possibili clienti veri e propri cataloghi di organi, che dovrebbero servire o come feticci umani per riti satanici o, in altri casi, per corroborare il traffico internazionale clandestino dei trapianti. “Centinaia di minorenni, maschi e femmine, spariscono ogni anno. Molti finiscono all’estero, nel mercato delle adozioni clandestine. Molti finiscono nel circuito della pedofilia e della pornografia” (“Visto”, 8/11/1996). Così ha denunciato la parlamentare Rosario Godoy de Osejo, fondatrice di un “Comitato per i bambini scomparsi” e prosegue: “Ho il sospetto che la ragione della scomparsa possa essere il prelievo di giovani e sani organi da vendere nei paesi ricchi. Se le cose stanno così, è facile capire che fine fanno questi bambini una volta ‘esportati’ “. Fatti allucinanti. Non è, infatti, neppure una “leggenda urbana” quella del supermarket degli organi di giovani cadaveri, ma una realtà agghiacciante. La “Gazzetta del Sud” di Venerdì 25 Agosto 1995, al proposito, scriveva: “L’Onu ha denunciato, in forma ufficiale, il traffico di bambini che si svolge, con queste finalità, in alcuni paesi. (…).

Il business sulla pelle di Sarah. Difatti da “La Repubblica” del 28 ottobre 2010, che contiene l’inchiesta testuale, video e audio, così come altri organi d’informazione, si viene a sapere che c'è il consulente giudiziario che chiede ottomila euro per le fotografie del garage dell'orrore. L'avvocato che ne pretende qualche migliaio per essere ospite in televisione. C'è anche l'ex portavoce delle famiglie Scazzi e Misseri che racconta di cifre a quattro zeri pagate per avere interviste, diari e video in esclusiva. Sul business nato attorno all'omicidio di Sarah Scazzi ci sono soprattutto tre inchieste. Il Garante per la privacy, Francesco Pizzetti, ha chiesto (dopo un esposto del Codacons) spiegazioni a Rai, Rti Mediaset, Sky e Telecom sulla diffusione dei verbali e dei file audio degli interrogatori dei protagonisti del giallo. Il procuratore di Taranto, Franco Sebastio, ha invece aperto un fascicolo per fuga di notizie e ricettazione di atti giudiziari. L'Ordine degli avvocati, infine, ascolterà i tre legali coinvolti della vicenda cercando di capire, se davvero siano stati violati i principi deontologici nella gestione di questo caso. E proprio da un avvocato, Daniele Galloppa, difensore di Michele Misseri, parte un'inchiesta di RepubblicaTv sul mercato nato ad Avetrana. «Sì - confessa Galoppa ripreso con un telecamera nascosta - mi sono fatto pagare per andare in televisione. Qual è il problema? Lo fanno tutti, non capisco perché non dovrei farlo anche io: alcune trasmissioni pagano, è vero, ma bisogna saperci fare». Per lui nessun problema di deontologia professionale. «Io sono un professionista - ribatte Galloppa, che dovrà rispondere all'Ordine del comportamento tenuto con la stampa, insieme con i colleghi Vito Russo ed Emilia Velletri - e quella in fin dei conti è una prestazione. Per stare in tv perdo ore di lavoro: se vengo chiamato come ospite esperto, posso essere pagato. Sono tranquillo». Galloppa non dice quanto incassa, anche se nell'ambiente si parla di cifre intorno ai tremila euro. Certo non si può dire che non ami la televisione: l'avvocato è presenza fissa di Quarto Grado (Rete 4, è ospite il 10, il 15 e il 22 ottobre), ma ha partecipato anche a l'Arena di Domenica in, Matrix,  Mattino cinque, la Vita in diretta. Un po' meno tranquillo sarà probabilmente il consulente tecnico dell'avvocato Russo: l'uomo, un ingegnere nominato per ricostruire il luogo del delitto, ha chiesto (all'insaputa degli avvocati, giurano loro) prima diecimila e poi ottomila euro all'inviato del Tg2, Valerio Cataldi per le foto del garage dell'orrore. Il giornalista ha registrato tutto e poi ha mandato in onda il servizio. Le stesse, tra l'altro, andate in onda in esclusiva qualche ora prima in un programma Mediaset. «Anche Cosima e Sabrina sono state lautamente compensate», si difende, accusando, l'avvocato Galoppa. E una conferma in questo senso arriva da un altro personaggio assai controverso, Valentino Castriota. Per 15 giorni, dopo la scomparsa di Sarah, funge da portavoce della famiglia. Poi viene allontanato proprio da Sabrina Misseri, con l'accusa di essere un «disturbatore televisivo», modello Paolini. É Castriota però a convincere i calciatori del Lecce a scendere in campo con una maglietta per Sarah, su richiesta della famiglia. É Castriota che organizza la fiaccolata in paese. «Di offerte di denaro per interviste o materiale video esclusivo ne arrivavano tutti i giorni - racconta oggi - per il filmato del viaggio a Roma di Sarah e Sabrina sono arrivate proposte da quattromila euro, per i diari cifre superiori a diecimila euro. Quando non erano soldi, erano promesse di costosi regali». Claudio, il fratello di Sarah, ha richieste invece più genuine, tenere. «Quando - racconta - ho partecipato a "La vita in diretta" (ndr, poche ore dopo il ritrovamento del cadavere di sua sorella), ho chiesto come compenso di parlare con un esperto di satelliti per capire se era possibile individuare una foto di via Deledda nel momento un cui Sarah è sparita. Per un'altra intervista ho preteso un esperto di telefonia che mi ha spiegato il funzionamento delle celle. Ora voglio costruire una casa di ricovero per cani ad Avetrana, in memoria di Sarah: ecco, se volete un'intervista mi dovete aiutare in questo». Così spiega Claudio, mentre a pochi metri da casa sua qualcuno ha scritto su un muro: "Avetrana non è Hollywood". Ecco come si spiega l’interesse degli avvocati che si offrono gratis ad assistere le vittime di casi di interesse mediatico. Peccato che ad essere sentiti dal Consiglio dell’Ordine sono solo gli avvocati di Taranto.

La vicenda si chiude con alcune certezze:

che mai un dramma ha avuto tanta attenzione mediatica sin dal primo giorno;

che l’informazione, spesso, è sciacallaggio, superficialità, dilettantismo;

che, nonostante le risorse impiegate e le forze messe in campo, mai si sarebbe scoperto il responsabile di un siffatto delitto e ritrovato il corpo, se non fosse stato lo stesso autore a consegnarsi. Lo stesso procuratore capo di Taranto, Franco Sebastio, in conferenza stampa ha ammesso che non era a conoscenza del fatto che vi fossero 26 mila scomparsi e che i carabinieri avessero il Rac, il Reparto analisi criminologiche;

che la mamma di Sarah ha scelto di affidarsi all’assistenza e consulenza di avvocati ed associazioni che non fossero di Avetrana, pronti a sfruttare la ribalta, nonostante i suoi compaesani si siano prestati in modo disinteressato e non richiesto;

che, da parte dei protagonisti della vicenda, vi è stata troppa propensione ad apparire in tutte le occasioni, anche quando sarebbe stato meno opportuno a tutela dell'immagine di Sarah, ovvero per tempi e modi di trattazione degli eventi;

che gli scomparsi appartengono quasi sempre ad un ceto sociale umile e poco scolarizzato, ma che a torto i media uniformano con tutta la loro comunità, e che solo una mobilitazione mediatica può costringere gli inquirenti a dedicare maggiore attenzione alla vicenda, nella speranza che questi trovino il colpevole e non "un colpevole";

che spesso la massa si erge a giudice degli altri, secondo le circostanze, influenzata dai media, non pensando che gli altri sono anche loro e, comunque, con le sentenze sommarie minacciate si mettono al pari dei carnefici.

FINE