Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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IL COGLIONAVIRUS
SESTA PARTE
DI ANTONIO GIANGRANDE
LA SOCIETA’
INDICE PRIMA PARTE
IL VIRUS
Introduzione.
Le differenze tra epidemia e pandemia.
I 10 virus più letali di sempre.
Le Pandemie nella storia.
Coronavirus, ufficiale per l’Oms: è pandemia.
La Temperatura Corporea.
L’Influenza.
La Sars-Cov.
Glossario del nuovo Coronavirus.
Covid-19. Che cos’è il Coronavirus.
Il Coronavirus. L’origine del Virus.
Alla ricerca dell’untore zero.
Le tappe della diffusione del coronavirus.
I 65 giorni che hanno stravolto il Mondo.
I 47 giorni che hanno stravolto l’Italia.
A Futura Memoria.
Quello che ci dicono e quello che non ci dicono.
Sintomi. Ecco come capire se si è infetti.
Fattori di rischio.
Cosa risulta dalle Autopsie.
Gli Asintomatici/Paucisintomatici.
L’Incubazione.
La Trasmissione del Virus.
L'Indice di Contagio.
Il Tasso di Letalità del Virus.
Coronavirus: A morte i maschi; lunga vita alle femmine, immortalità ai bimbi.
Morti: chi meno, chi più.
Morti “per” o morti “con”?
…e senza Autopsia.
Coronavirus. Fact-checking (verifica dei fatti). Rapporto decessi-guariti. Se la matematica è un'opinione.
La Sopravvivenza del Virus.
L’Identificazione del Virus.
Il test per la diagnosi.
Guarigione ed immunità.
Il Paese dell’Immunità.
La Ricaduta.
Il Contagio di Ritorno.
I preppers ed il kit di sopravvivenza.
Come si affronta l’emergenza.
Veicolo di diffusione: Ambiente o Uomo?
Lo Scarto Infetto.
INDICE SECONDA PARTE
LE VITTIME
I medici di famiglia. In prima linea senza ordini ed armi.
Dove nasce il Focolaio. Zona rossa: l’ospedale.
Eroi o Untori?
Contagio come Infortunio sul Lavoro.
Onore ai caduti in battaglia.
Gli Eroi ed il Caporalato.
USCA. Unità Speciali di Continuità Assistenziale.
Covid. Quanto ci costi?
La Sanità tagliata.
La Terapia Intensiva….Ma non per tutti: l’Eutanasia.
Perché in Italia si ha il primato dei morti e perchè così tanti anziani?
Una Generazione a perdere.
Non solo anziani. Chi sono le vittime?
Andati senza salutarci.
Spariti nel Nulla.
Epidemia e Case di Riposo.
I Derubati.
Loro denunciano…
I Funerali ai tempi del Coronavirus.
La "Tassa della morte".
Le ritorsioni.
Chi denuncia chi?
L’Impunità dei medici.
Imprenditori: vittime sacrificali.
La Voce dei Malati.
Gli altri malati.
INDICE TERZA PARTE
IL VIRUS NEL MONDO
L’epidemia ed il numero verde.
Coronavirus, perchè colpisce alcuni Paesi più di altri?
Perché siamo i più colpiti in Occidente? Chi cerca, trova.
Il Coronavirus in Italia.
Coronavirus nel Mondo.
Schengen, di fatto, è stato sospeso.
Quelli che...negazionisti, sbeffeggiavano e deridevano.
…in Africa.
…in India.
…in Turchia.
…in Iran.
…in Israele.
…nel Regno Unito.
…in Albania.
…in Romania.
…in Polonia.
…in Svizzera.
…in Austria.
…in Germania.
…in Francia.
…in Belgio.
…in Olanda.
…nei Paesi Scandinavi.
…in Spagna.
…in Portogallo.
…negli Usa.
…in Argentina.
…in Brasile.
…in Colombia.
…in Paraguay.
…in Ecuador.
…in Perù.
…in Messico.
…in Russia.
…in Cina.
…in Giappone.
…in Corea del Sud.
A morte gli amici dell’Unione Europea.
A morte gli amici della Cina.
A morte gli amici della Russia.
A morte gli amici degli Usa.
INDICE QUARTA PARTE
LA CURA
La Quarantena. L’Immunità di Gregge e l’Immunità di Comunità: la presa per il culo dell’italianissimo “Si Salvi chi Può”.
L'Immunità di Gregge.
L’Immunità di Comunità. La Quarantena con isolamento collettivo: il Modello Cinese.
L’Immunità di Comunità. La Quarantena con tracciamento personale: il Modello Sud Coreano e Israeliano.
Meglio l'App o le cellule telefoniche?
L’Immunità di Comunità: La presa per il culo dell’italianissimo “Si Salvi chi Può”.
Epidemia e precauzioni.
Indicazioni di difesa dal contagio inefficaci e faziose.
La sanificazione degli ambienti.
Contagio, Paura e Razzismo.
I Falsi Positivi ed i Falsi Negativi. Tamponi o Test Sierologici?
Tamponi negati: il business.
Il Tampone della discriminazione.
Tamponateli…non rinchiudeteli!
Epidemia e Vaccini.
Il Vaccino razzista e le cavie da laboratorio.
Il Costo del Vaccino.
Milano VS Napoli. Al Sud gli si nega anche il merito. Gli Egoisti ed Invidiosi: si fanno sempre riconoscere.
Epidemia, cura e la genialità dei meridionali.
Il plasma della speranza, ricco di anticorpi per curare i malati.
Gli anticorpi monoclonali.
Le Para-Cure.
L’epidemia e la tecnologia.
Coronavirus e le mascherine.
Coronavirus e l’amuchina.
Coronavirus e le macchine salvavita.
Coronavirus. I Dispositivi medici salvavita: i respiratori.
Attaccati all’Ossigeno.
INDICE QUINTA PARTE
MEDIA E FINANZA
La Psicosi e le follie.
Epidemia e Privacy.
L’Epidemia e l’allarmismo dei Media.
Epidemia ed Ignoranza.
Epidemie e Profezie.
Le Previsioni.
Epidemia e Fake News.
Epidemia e Smart Working.
La necessità e lo sciacallaggio.
Epidemia e Danno Economico.
La Mazzata sui lavoratori…di più sulle partite Iva.
Il Supply Shock.
Epidemia e Finanza.
L’epidemia e le banche.
L’epidemia ed i benefattori.
Coronavirus: l’Europa ostacola e non solidarizza.
Mes/Sure vs Coronabond.
La Caporetto di Conte e Gualtieri.
Mes vs Coronabond-Eurobond. Gli Asini che chiamano cornuti i Buoi.
I furbetti del Quartierino Nordico: Paradisi fiscali, artifici contabili, debiti non pagati.
"Il Recovery Fund urgente".
Il Piano Marshall.
Storia del crollo del 1929.
Il Corona Virus ha ucciso la Globalizzazione del Mercatismo e ha rivalutato la Spesa Pubblica dell’odiato Keynes.
Un Presidente umano.
Le misure di sostegno.
…e le prese per il Culo.
Morire di Fame o di Virus?
Quando per disperazione il popolo si ribella.
Il Virus della discriminazione.
Le misure di sostegno altrui.
Il Lockdown del Petrolio.
Il Lockdown delle Banche.
Il Lockdown della RCA.
INDICE SESTA PARTE
LA SOCIETA’
Coronavirus: la maledizione dell’anno bisestile.
I Volti della Pandemia.
Partorire durante la pandemia.
Epidemia ed animali.
Epidemia ed ambiente.
Epidemia e Terremoto.
Coronavirus e sport.
Il sesso al tempo del coronavirus.
L’epidemia e l’Immigrazione.
Epidemia e Volontariato.
Il Virus Femminista.
Il Virus Comunista.
Pandemia e Vaticano.
Pandemia ed altre religioni.
Epidemia e Spot elettorale.
La Quarantena e gli Influencers.
I Contagiati vip.
Quando lo Sport si arrende.
L’Epidemia e le scuole.
L’Epidemia e la Giustizia.
L’Epidemia ed il Carcere.
Il Virus e la Criminalità.
Il Covid-19 e l'incubo delle occupazioni: si prendono la casa.
Il Virus ed il Terrorismo.
La filastrocca anti-coronavirus.
Le letture al tempo del Coronavirus.
L’Arte al tempo del Coronavirus.
INDICE SETTIMA PARTE
GLI UNTORI
Dall’Europa alla Cina: chi è il paziente zero del Covid?
Un Virus Cinese.
Un Virus Americano.
Un Virus Norvegese.
Un Virus Svedese.
Un Virus Transalpino.
Un Virus Teutonico.
Un Virus Serbo.
Un Virus Spagnolo.
Un Virus Ligure.
Un Virus Padano e gli Untori Lombardo-Veneti.
Codogno. Wuhan d’Italia. Dove tutto è cominciato.
La Bergamasca, dove tutto si è propagato.
Quelli che… son sempre Positivi: indaffarati ed indisciplinati.
Quelli che…i “Corona”: Secessione e Lavoro.
Il Sistema Sanitario e la Puzza sotto il Naso.
La Caduta degli Dei.
La lezione degli Albanesi al razzismo dei Lombardo-Veneti.
Quelli che…ed io pago le tasse per il Sud. E non è vero.
I Soliti Approfittatori Ladri Padani.
La Televisione che attacca il Sud.
I Mantenuti…
Ecco la Sanità Modello.
Epidemia. L’inefficienza dei settentrionali.
INDICE OTTAVA PARTE
GLI ESPERTI
L’Infodemia.
Lo Scientismo.
L’Epidemia Mafiosa.
Gli Sciacalli della Sanità.
La Dittatura Sanitaria.
La Santa Inquisizione in camice bianco.
Gli esperti con le stellette.
Epidemia. Quelli che vogliono commissariare il Governo.
Le nuove star sono i virologi.
In che mani siamo. Scienziati ed esperti. Sono in disaccordo su tutto…
Virologi: Divisi e rissosi. Ora fateci capire a chi credere.
Coronavirus ed esperti. I protocolli sanitari della morte.
Giri e Giravolte della Scienza.
Giri e Giravolte della Politica.
Giri e Giravolte della stampa.
INDICE NONA PARTE
GLI IMPROVVISATORI
La Padania si chiude…con il dubbio. A chi dare ragione?
Il Coglionavirus ed i sorci che scappano.
Un popolo di coglioni…
L’Italia si chiude…con il dubbio. A chi dare ragione?
La Padania ordina; Roma esegue. L’Italia ai domiciliari.
Conta più la salute pubblica o l’economia?
Milano Economia: Gli sciacalli ed i caporali.
“State a Casa”. Anche chi la casa non ce l’ha.
Stare a Casa.
Ladri di Libertà: un popolo agli arresti domiciliari.
Non comprate le cazzate.
Quarantena e disabilità.
Quarantena e Bambini.
Epidemia e Pelo.
Epidemia e Violenza Domestica.
Epidemia e Porno.
Quarantena e sesso.
Epidemia e dipendenza.
La Quarantena.
La Quarantena ed i morti in casa.
Coronavirus, sanzioni pesanti per chi sgarra.
Autodichiarazione: La lotta burocratica al coronavirus.
Cosa si può e cosa non si può fare.
L’Emergenza non è uguale per tutti.
Gli Irresponsabili: gente del “Cazzo”.
Dipende tutto da chi ti ferma.
Il ricorso Antiabusi.
Gli Improvvisatori.
Il Reato di Passeggiata.
Morte all’untore Runner.
Coronavirus, l’Oms “smentisce” l’Italia: “Se potete, uscite di casa per fare attività fisica”.
INDICE DECIMA PARTE
SENZA SPERANZA
TUTTO SARA’ COME PRIMA…FORSE
In che mani siamo!
Fase 2? No, 1 ed un quarto.
Il Sud non può aspettare il Nord per ripartire.
Fase 2? No, 1 e mezza.
A Morte la Movida.
L’Assistente Civico: la Sentinella dell’Etica e della Morale Covidiana.
I Padani col Bollo. La Patente di Immunità Sanitaria.
Fase 2: finalmente!
“Corona” Padani: o tutti o nessuno. Si riapre secondo la loro volontà.
Le oche starnazzanti.
La Fase 3 tra criticità e differenze tra Regioni.
I Bisogni.
Il tempo della Fobocrazia. Uno Stato Fondato sulla Paura.
L’Idiozia.
Il Pessimismo.
La cura dell’Ottimismo.
Non sarà più come prima.
La prossima Egemonia Culturale.
La Secessione Pandemica Lombarda.
Fermate gli infettati!!!
Della serie si chiude la stalla dopo che i buoi sono già scappati.
Scettici contro allarmisti: chi ha ragione?
Gli Errori.
Epidemia e Burocrazia.
Pandemia e speculazione.
Pandemia ed Anarchia.
Coronavirus: serve uno che comanda.
Addio Stato di diritto.
Gli anti-italiani.
Gli Esempi da seguire.
Come se non bastasse. Non solo Coronavirus…
I disertori della vergogna.
Tutte le cazzate al tempo del Coronavirus.
Epidemia: modi di dire e luoghi comuni.
Grazie coronavirus.
IL COGLIONAVIRUS
SESTA PARTE
LA SOCIETA’
· Coronavirus: la maledizione dell’anno bisestile.
Coronavirus: la maledizione dell’anno bisestile, che cosa significa quel giorno in più. Pubblicato mercoledì, 11 marzo 2020 da Corriere.it. È difficile in questi giorni così drammatici, guardare con distacco, i proverbi che associavano l’anno bisestile alle peggiori sfortune: «anno bisesto, anno funesto»”, «anno bisesto basta che passi presto»… e così via. Tradizioni che si ritengono legate ai cicli della terra e alle coltivazioni. E ripetere che non vi è alcuna evidenza scientifica e statistica non serve a nulla. D’altra parte i nostri nonni qualche memoria «a sostegno» dei proverbi l’avevano, come il terremoto di Messina nel 1908, o per restare più vicini quello nel Belice del 1968 o in Friuli nel 1976. Del tutto inutile elencare i terremoti avvenuti in anni non bisestili, che sono ovviamente un gran numero. Per sdrammatizzare un po’ e cercare di strappare un sorriso possiamo ricordare che per la cultura anglosassone quello bisestile è considerato al contrario un anno fortunato. In Irlanda in particolare chiamano il 29 febbraio il «leap day», giorno del salto. In quel giorno le ragazze possono chiedere al fidanzato di sposarle. Secondo alcuni era prevista anche una penitenza per quegli uomini che decidevano di rimanere scapoli a tutti i costi: dovevano regalare alle fidanzate dodici paia di guanti, uno per mese, per coprire la mano «orfana» di anello. Prima del 1582, era in vigore il calendario giuliano, introdotto da Giulio Cesare nel 46 a.C. e che «eccedeva» per 12 minuti ogni anno. Quella eccedenza sarebbe stata eliminata dal calendario gregoriano, varato da papa Gregorio XIII, nel 1582, quando infatti sparirono dieci giorni e chi andò a dormire il 4 ottobre si svegliò il 15. L’anno solare ha una durata di 365 giorni 5 ore 48 minuti e 46 secondi quindi non corrisponde ad un numero intero di giorni. L’anno bisestile serve a correggere questo scostamento. Bisestile, o bisesto, è una parola di origine latina. Per la precisione dal latino tardo bisextus «due volte sesto», secondo l’uso romano di contare due volte negli anni bisestili il sesto giorno prima delle calende di marzo, cioè il 24 febbraio. Calcolo facile siccome le calende (ricordate la parola calendario con cui abbiamo aperto questo 2020) identificavano il primo giorno del mese. Quindi accanto a questo sesto giorno se ne aggiungeva un altro, per questo detto «bisesto». Il calendario giuliano, decisione mantenuta poi in quello gregoriano, ha stabilito che questo giorno «doppio» cadesse oltre l’ultimo giorno del mese, quindi il 29 febbraio. L’unica differenza è che il calendario gregoriano per avvicinarsi sempre di più alla durata dell’anno solare introduce un’altra piccola variante: non considera bisestili gli anni secolari se non siano multipli di 400. Per capirci sono bisestili gli anni 1600, 2000, 2400... mentre non lo sono gli anni 1700, 1800, 1900, 2100, 2200 e così via. Quindi, per avvicinarsi il più possibile all’anno solare ci sono 97 anni bisestili ogni 400 anni. Ma uno scarto rimane lo stesso, pari a circa 26 secondi. Quindi nell’arco di 3.323 anni ci troveremo con un giorno in più. Evenienza di cui si occuperanno, se ne avranno voglia, i nostri trisnipoti nel 4905. Il 29 febbraio è stato senz’altro un giorno straordinario. I nati in questo giorno possono festeggiare il compleanno solo ogni quattro anni, ma potranno consolarsi facendo parte di una ragguardevole schiera. Tra i tanti, sono nati il 29 febbraio papa Paolo III (1468, nato Alessandro Farnese), il musicista Gioachino Rossini (1792), il pittore francese Balthus (1908). Nella storia non sono molti gli episodi che lo ricordano, ma uno riguarda il nostro Risorgimento. Il 29 febbraio 1848 Ferdinando II re delle due Sicilie accettò che venisse promulgata la Costituzione palermitana, nel tentativo di placare la rivolta scoppiata il 12 gennaio proprio a Palermo. Fu il primo episodio in un anno colmo di rivoluzioni e rivolte popolari, avviando quell’ondata di moti rivoluzionari che sconvolse l’Europa e che viene definita primavera dei popoli. La rivoluzione siciliana portò alla proclamazione di un «nuovo» Regno di Sicilia indipendente, che sopravvisse fino al maggio del 1849.
Il 2020 è bisestile, la leggenda dietro al 29 febbraio. Federico Dedori il 28/02/2020 su Notizie.it. È di nuovo 29 febbraio, il 2020 è bisestile, la leggenda dietro a questa rara data. I giorni dell’anno normalmente sono 365 ma ogni quattro anni 366 perché? La vox populi ha sempre diffidato di questo periodo. L’anno solare è il tempo che la terra impiega per girare intorno al sole e ritornare allo stesso punto di partenza. Girando anche su se stessa il periodo di tempo dell’anno solare è formato dall’alternanza del giorno e della notte. Possiamo quindi dire che la terra per girare intorno al sole ci mette 356 giorni ma non è vero, infatti l’anno solare dura teoricamente 365 giorni e quasi 6 ore. Nell’antichità questo problema è stato quasi sempre ignorato. A cercare di risolverlo fu per la prima volta Giulio Cesare con il suo Regifugium Cesare, riformando l’antico calendario, dove aggiunse un giorno ogni quattro anni. Febbraio ha una storia oscura fin dalla sua introduzione con Numa Pompilio, successore di Romolo, februarius è il momento dell’anno dedicato ai morti e agli dei inferi. Con il provvedimento di Cesare il punto di partenza dell’orbita solare della terra veniva superato anche se di poco. Fu con Papa Gregorio XIII che si decise allora di eliminare dal calendario 11 giorni. Così nell’anno della riforma gregoriana del calendario, nel 1582, dopo il 4 ottobre si passò direttamente al 15 ottobre. Da tutti questi calcoli e credenze deriva la preoccupazione e superstizione che nutriamo ancora oggi verso il febbraio con ventinove giorni.
Curiosità. Esiste anche il 30 febbraio: gli svedesi infatti stabilirono che il 1712 dovesse essere un anno “doppiamente bisestile”, ovvero con il 29 e il 30 febbraio. Per ricordare velocemente quali sono gli anni bisestili occorre tenere presente le annate nelle quali si tengono le Olimpiadi.
Storia del 29 febbraio: cos’è l’anno bisestile e perché cade ogni quattro anni? Pubblicato sabato, 29 febbraio 2020 da Corriere.it. Il 2020 è un anno bisestile. Significa che i giorni non sono 356, ma uno in più: oggi, il 29 febbraio. L’anno bisestile cade ogni 4 anni: l’ultimo che abbiamo vissuto è il 2016, il prossimo sarà il 2024. Ma che cosa significa questa definizione? Per capirlo, bisogna innanzitutto distinguere tra «anno civile» e «anno solare». Il primo, anno civile, è quello che vediamo sul calendario. Ovvero quello che dura, appunto 365 giorni. Mentre l’anno solare, il periodo che serve alla Terra per fare un giro completo intorno al Sole, è sempre uguale: 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 45 secondi. Da ciò si deduce che, ogni anno, avanziamo circa 6 ore. Che poi vengono raggruppate per formare un giorno di 24 ore. Ogni quattro anni. Ed ecco l’utilità dell’anno bisestile e dell’introduzione del 29 febbraio nel calendario. C’è però un altro problema: anche con l’aiuto degli anni bisestili, avanziamo ogni anno qualche minuto. Non sono infatti 6 ore precise quelle che avanziamo, ma «circa» 6 ore. Ecco allora che per aggiustare il tutto si è deciso di rendere bisestili anche alcuni dei primi anni di secolo. Non tutti: sarebbe troppo. Soltanto quelli divisibili per 400. Il 2000 è stato un anno bisestile, ad esempio. Il 1900, no. Questo complesso calcolo per rendere il calendario civile il più possibile coerente con l’anno solare è stato inizialmente creato da Giulio Cesare nel 46 avanti Cristo. Anche prima di lui c’erano stati diversi tentativi di mettere ordine, soprattutto tra gli astronomi, ma è con il calendario giuliano che si porta la durata dell’anno da 355 a 365 giorni, viene eliminato il mese «aggiuntivo» di 20 giorni — ma era di durata variabile — per pareggiare i conti e viene data una regola un po’ più precisa. C’è anche da aggiungere che ai tempi ogni mese era diviso in calende, idi e none. Il giorno aggiuntivo viene inserito «il sesto giorno prima delle calende di marzo», che sarebbe il 24 febbraio. Negli anni bisestili, questo durava 48 ore al posto che 24. Quindi c’erano due giorni prima dei sesti giorni prima delle calende. Da qui il nome «Bisextus», bisestile. Il calendario è rimasto invariato per secoli. Si crede che solo nel Medioevo si sia iniziato a fissare il giorno in più, ogni 4 anni, il 29 febbraio. Mentre ad accorgersi del piccolo avanzo di pochi minuti e a volerlo correggere è stato Papa Gregorio XIII alla fine del XVI secolo. Per ovviare all’errore di tutti gli anni precedenti, nel 1582 impone una riforma che prevedeva di passare dal 4 ottobre direttamente al 15 ottobre. E poi aggiunge un nuovo anno bisestile ogni inizio di secolo dei secoli divisibili per 400. Nei secoli l’anno bisestile ha assunto le sfumature culturali più varie. Sono molti a considerarlo un anno sfortunato - solo superstizione, dura di più ma per il resto è uguale agli altri - tanto da essere nato anche il detto «anno bisesto, anno funesto». Questo perché febbraio, per gli antichi romani, era il mese dedicato ai morti. Quindi già di per sé poco allegro. Ma ci sono anche tradizioni popolari più curiose. Come quella irlandese, che voleva che le donne potessero dichiararsi agli uomini solo il 29 febbraio. Se l’uomo rifiutava, doveva però comunque dare qualcosa in cambio alla amata rifiutata: una moneta, un paio di guanti o un bacio. Mentre in Francia, dal 1980, c’è un giornale che esce solo il 29 febbraio, chiamato Le Bougie du Sapeur. I profitti vanno tutti in beneficenza. Ci sono persino dei protagonisti della storia che sono nati il 29 febbraio, come Papa Paolo III e Gioacchino Rossini. Quando festeggiano queste persone nate in un giono così particolare? Sicuramente non ogni quattro anni, ma il 28 febbraio o il primo marzo. Esistono anche due club che riuniscono ogni 4 anni tutti i figli dell’anno bisestile: il Club Mundial de los bisiestos, che si dà appuntamento a San Sebastian. E lo statunitense The honor Society of Leap Year Day Babies. Infine citiamo l’unico caso di 30 febbraio: in Svezia, nel 1712, si è aggiunto anche questo giorno in più.
Lucia Esposito per "Libero" il 29 marzo 2020. Eccolo qui, il 29 febbraio. Il giorno in più che si presenta ogni quattro anni con la sua zavorra di superstizioni e paure. Quest' anno cade di sabato e si affaccia in un mondo ostaggio del Coronavirus, in preda alla paura di un contagio globale. Una coincidenza, ovviamente - mica siamo superstiziosi - che tuttavia rafforza la credenza secondo cui l' anno bisestile sia portatore di sfighe di ogni tipo. Il 29 febbraio è l' essenza stessa dell' anno bisesto: è il giorno introdotto allo scopo di pareggiare i conti con le sei ore che avanzano ogni anno. Fu voluto da Giulio Cesare che chiese, su consiglio di Cleopatra, una consulenza all' astronomo Sosigene di Alessandria. Questi invitò l' imperatore ad inserire nel suo calendario un dì in più ogni quattro anni subito dopo il 24 febbraio che era il sexto die ante Calendas Martias, il sesto giorno prima delle calendi di marzo. Quel giorno diventò il bis sexto die (da qui il termine bisestile). Per gli antichi Romani febbraio era il mese dei riti dedicati ai defunti, quello in cui si svolgevano le Terminalia dedicate a Termine, dio dei Confini, e le Equirie, gare che celebravano la conclusione di un ciclo cosmico. Eventi tutt' altro che felici e da qui deriva l' idea che l' anno bisestile sia foriero di sventure. Molti proverbi rafforzano l' idea che gli anni più lunghi siano anche i più esposti ai capricci del caso e sconsigliano di avviare imprese e perfino di unirsi in matrimonio (Quando l' anno vien bisesto non por bachi e non far nesto; anno che bisesta non si sposa e non s' innesta). Ci sono detti ancora più tragici come: anno bisesto, anno funesto; bisestile chi piange e chi stride; e pure anno bisesto che passi presto. Modi di dire che fanno venire voglia di chiudere gli occhi e risvegliarsi tra quattro anni.
IL PASSATO Andando indietro nel tempo si scopre che: in un anno bisestile, il 1908, il terremoto distrusse Messina; nel 1968 la terra tremò nel Belice; nel 1976 in Friuli e nel 1980 in Irpinia; nel 2004 lo tsunami devastò il sud-est asiatico. Per il 2012 i Maya avevano previsto addirittura la fine del mondo, evidentemente ci è andata bene. Il 2016 è stato funestato dagli attentati a Bruxelles, Orlando e Nizza, seguiti dal terremoto in centro Italia. Ma chi crede a queste coincidenze dimentica tutte le sciagure - sia naturali che causate dagli uomini - di cui sono pieni i giornali e i tg tutti i giorni di ogni anno. Basti pensare al terremoto dell' Aquila del 2009, all' attentato alle Torri Gemelle del 2001, per non parlare dello scoppio della seconda guerra mondiale
E per il 2020? «La grande peste nella città marittima non cesserà prima che morte sarà vendicata del giusto sangue per preso condannato innocente, della grande dama per simulato oltraggio», lo scrive Nostradamus nella centuria 2:53 del suo libro di profezie. Per molti la "grande peste" di cui parla l' astrologo sarebbe l' epidemia di Coronavirus. E poco importa che il chiaroveggente indichi una città di mare. Ecco trovata la spiegazione: Wuhan non è bagnata dalle acque ma una delle ipotesi che circolano è che il virus abbia trovato nel mercato del pesce della città cinese il suo punto di partenza. La predizione è talmente vaga che, se si vuole, un collegamento con il virus lo si trova sempre. Nostradamus per il 2020 ha fatto altre quattro previsioni: considerato che siamo solo all' inizio di quest' anno bisestile, ecco che cosa possiamo aspettarci. La Gran Bretagna dovrebbe avere un nuovo re, ma il chiaroveggente non precisa se Elisabetta muoia o ceda volontariamente lo scettro. Nella Corea del Nord dovrebbe verificarsi un cambiamento di potere e in questa rivoluzione la Russia dovrebbe svolgere un ruolo di primo piano. Infine, dovrebbe arrivare pure un devastante terremoto in California. Facciamo tutti gli scongiuri, dimentichiamo Nostradamus e abbracciamo l' idea del Nord Europa secondo cui gli anni bisestili portano, invece, prosperità e fortuna. Nei Paesi anglossassoni il 29 febbraio è l' unico giorno in cui sono le donne a poter chiedere la mano al fidanzato e non viceversa come vuole la tradizione. Fu San Patrizio a concedere questo onore alle signore dopo le pressioni di Santa Brigida. Se un uomo riceve una proposta il 29 febbraio è incastrato: deve per forza dire sì. Quest' obbligo è dovuto alla regina Margaret di Scozia che, nel XIII secolo, impose una tassa salatissima per i fidanzati che rifiutavano la proposta del 29 febbraio. Ancora oggi, in alcuni paesi nordeuropei i maschi che respingono una fanciulla nel giorno bisestile devono risarcirla regalandole abiti. E chi nasce il 29 febbraio? Leggenda vuole che sia fortunato. Forse perché anziché di ripiegare sul 28 febbraio o sul primo marzo, può scegliere di festeggiare il compleanno ogni quattro anni. E nascondere la sua vera età.
È di nuovo 29 febbraio, il 2020 è bisestile: la leggenda nera del "sesto bis". Superstizione: la vox populi non ha dubbi. E ha sempre diffidato di questa eccedenza periodica. Marino Niola il 28 febbraio 2020 su La Repubblica. Anno bisesto, anno dissesto. In materia la vox populi non ha dubbi. E ha sempre diffidato di questa eccedenza periodica. Una sporgenza del tempo che riequilibra l' anno sul piano astronomico ma lo sbilancia su quello simbolico. Fa quadrare il conto delle stagioni ma introduce nel calendario uno stato di eccezione. Questa cattiva fama dell' anno più lungo viene da molto lontano. Dai tempi dei romani. E non è una semplice questione di misura, non dipende da un giorno in più o in meno. Ma dalla reputazione magica del mese in cui quel giorno supplementare viene fatto cadere. Perché febbraio non è solo il mese più corto. è anche il più compromesso con le potenze delle tenebre. Sin dai tempi di Numa Pompilio, il mitico successore di Romolo che lo aggiunge al calendario, februarius è il momento dell' anno dedicato ai morti e agli dei inferi. è l' ultimo mese dell' anno, quello in cui la società romana celebra i suoi riti di purificazione, chiamati februa - di qui il nome febbraio. Tra questi rituali, due in particolare spiegano l' aura sinistramente sacrale che circonda quest'ultima frontiera del calendario. I Feralia - all' origine dell' aggettivo ferale - che il ventunesimo giorno del mese aprono il varco al ritorno dei morti, e il Regifugium che rievoca la cacciata dei re e la fondazione della repubblica. Questa festa ricorre il 24. La data, detta anche "giorno sesto" perché precede di sei giorni le calende di marzo, segna simbolicamente la fine dell' anno. I giorni successivi sono tempo morto, un vuoto temuto e nefasto che dura fino al primo marzo. E proprio alla fatidica data del Regifugium Cesare, riformando l' antico calendario, aggiunge un giorno ogni quattro anni. Deve però fare i conti con la nota predilezione delle potenze infere per i numeri pari. I giorni di febbraio devono dunque restare ventotto. Il fondatore dell' impero salva allora capra e cavoli raddoppiando il giorno sesto. Nasce così il bisesto. Ovvero il sesto bis. Da questo antico groviglio di simboli, di credenze, di calcoli, di superstizioni deriva quella legittima suspicione che nutriamo ancora oggi nei confronti del febbraio con ventinove giorni. Non temiamo certo di urtare la suscettibilità di Proserpina e Plutone. Ma continuiamo ad attribuire un surplus di significato a questa anomalia del tempo. A questo zoppicamento che richiede di essere corretto con un artificio che faccia camminare il calendario con passo regolare, mettendogli una stampella per riallineare l' incedere dei giorni e delle stagioni. Non è un caso che i popoli più diversi rappresentino l' andatura difettosa del tempo come uno zoppicamento che va corretto. Come se l' anno di tanto in tanto andasse in asincrono e fosse necessario scongiurare questa ferale aritmia con una sorta di ortopedia simbolica. Dalla danza claudicante della Cina tradizionale ai saltellamenti descritti negli antichi testi talmudici, fino ai salterelli rituali dell' Europa moderna. In tutti i casi si scongiurava il pericolo di un passo irregolare dell' anno mettendolo in scena attraverso un esorcismo ritmico. Sostituendo i cicli della natura con quelli della tecnologia, i tempi astronomici con quelli elettronici, ci siamo liberati dalle stagioni dei nostri padri ma non dalle loro superstizioni. Semplicemente abbiamo tradotto le antiche credenze popolari in inquietudini postmoderne. E nonostante il tempo non ci basti mai, non siamo contenti di avere in agenda quella pagina in più. Fosse almeno festivo, il giorno bisesto sarebbe meno indigesto. (questo articolo è stato già pubblicato sull'edizione di Repubblica del 30 dicembre 2007)
· I Volti della Pandemia.
Papa Francesco, Mattarella, Conte e De Luca, la classifica dei volti della Fase 1. Guido Barlozzetti su Il Riformista il 5 Maggio 2020. Chi sono i volti del tempo del Covid-19? Quali sono le figure che ci portiamo dietro da questa esperienza che va a segnare un primo paletto di scadenza? Poco meno di due mesi per questa storia della clausura. La potremmo considerare come un periodo della nostra vita, addirittura un periodo della Storia se, presi dall’enfasi, ci venisse da dilatarla a una dimensione epocale. È una tentazione, che alimenta anche questo bisogno della comunicazione di trovare sempre titoli una volta si diceva cubitali, e trasformare il particolare e l’occasionale in Evento. Cosa che il Covid19 è stato, continua e continuerà a essere, ma non immergendolo in una piena mediatica spesso ridondante e compulsiva. E allora proviamo ad avviare un rewind e a mettere insieme un album, un po’ come si fa con le immagini dei calciatori, perché di immaginario si tratta, al confine forse con una realtà di cui ci resta solo quello che abbiamo visto. Comincerei con Papa Francesco. A lui dobbiamo le parole, i silenzi e le scene più potenti di questi giorni. La benedizione Urbi et orbi nel plumbeo di una serata fradicia di pioggia, il rito della Via Crucis, la solitudine affranta unita alla speranza e a quella domanda ripetuta come un mantra analitico «perché hai paura?». Papa Francesco ha esorbitato dalla cronaca e dal suo effimero ripetitivo e vizioso e si è posto sul bordo tra lo smarrimento e il mistero che si sublima nella sfida della fede, nell’estremità umana della preghiera e dell’invocazione. Un ecumenico profeta-antagonista del Covid, potente nella fragilità di un corpo malfermo e nel coraggio dell’umano che si rivolge al divino. Dopo il Papa, mettere, per responsabilità istituzionale, il Presidente della Repubblica, ancor più fedele al ruolo pedagogico che lo contraddistingue nella gestione di un ruolo che ai cittadini tutti si rivolge. Partecipazione e ingessatura della carica. Indimenticabile la sua solitudine con mascherina, nel silenzio del Vittoriano, la sua figurina esile e scura che scende la scalinata a rappresentare un Paese a distanza. E visto che l’umanità che c’è alla fine si fa strada, vale più di tutto la risposta fuori onda che dà all’operatore che gli dice del ciuffetto fuori posto, «non vado dal barbiere neanche io». Giuseppe Conte. Il nostro dirimpettaio, il Presidente del Consiglio doveva parlare e ha parlato, e per questo gli ansiosi e concorrenziali leader-speaker della nostra politica hanno avuto da ridire. Più volte si è affacciato dalla televisione e lo ha fatto con i toni che vengono dalla responsabilità in un’emergenza sconvolgente. Ha cercato di essere rassicurante anche quando le ordinanze che annunciavano non tranquillizzavano, si è rivolto ai cittadini e al loro senso di responsabilità, cercando di dare l’immagine di uno Stato presente, sollecito, organizzato. E, verrebbe da pensare, cos’altro avrebbe dovuto fare, spingere sull’allarmismo? Rovesciare su chi l’ascoltava l’ansia per i buchi, le difficoltà immani e per gli scricchiolii che pure ci sono stati? Semmai, qualche incrinatura: il singhiozzo degli orari delle apparizioni, il rischio di cortocircuito dei rinvii, lo scivolone della polemica frontale e tutta nell’agone scomposto della politica con i rappresentanti dell’opposizione e le lesinate apparizioni in Parlamento. I Governatori delle Regioni, ognuno con il suo stile. Restano le immagini del Presidente della Lombardia Fontana con la mascherina/senza mascherina, del Veneto Zaia, efficienza, siamo avanti e, se volete, seguiteci, e Jole Santelli della Calabria che i bar li riapre, comunque. Ma al top non può che esserci il reggente della Campania, De Luca, performance da fustigatore dei costumi incompatibili con la prossemica del Covid, salace, irriverente, humour sulfureo a chi tocca tocca, dalla pastiera a domicilio ai “cinghialoni come lui” che vanno in giro con le tute alla zuava, da denunciarli per offesa alla pubblica decenza. De Luca è un caso di anarchia discorsiva, che usa le parole come sciabolate e un tono di voce che sembra quello di un pirata con il coltello fra i denti pronto a colpire. Poi c’è il Prisma dei virologi. Tante facce, ognuna con la sua verità, un confine incerto tra l’autorevolezza e la capacità di persuasione, un irsuto del discorso può avere una straordinaria competenza e viceversa il sapere di un incantatore può lasciare a desiderare. E noi stiamo nel mezzo. Versioni diverse, il sacerdotale Burioni, l’inflessibile Capua, il ragionieristico Pregliasco, il colloquial/sussiegoso Galli... parliamo di stili di comunicazione, perché quelli vediamo. Nelle classifiche di merito e titoli – si fanno anche classifiche dei virologi – i nostri hanno risultati altalenanti (al top della rivista Scopus, Anthony Fauci, consigliere non sottomesso di Trump e in bella evidenza Alberto Mantovani/Humanitas e Giuseppe Remuzzi/ Ist. Mario Negri). Ma i talk spesso privilegiano quella strana cosa che è la televisività. Di contro alla scena pubblica ufficiale, Manzoni avrebbe detto “il volgo disperso che nome non ha” che si è espresso nei social come sui telefonini con una piena di riti apotropaici, i più vari, caricature, parodie, sberleffi, filmini di famiglia, reportage dal terrazzo di casa, confessioni, happening musicali.. Una galassia in espansione che prima o poi bisognerà esplorare. E, infine, c’è lui Il Covid-19, il Coronavirus con la sua immagini indolore e persino curiosa di uno di quei cuscinetti in cui sarti appuntano gli spilli, in questo caso con una rossa capocchia floreale. Mai fidarsi delle apparenze.
Altro che talk show, Papa Francesco e la Regina Elisabetta insegnano cos’è la vera comunicazione. Paolo Guzzanti su Il Riformista il 18 Aprile 2020. Credo che uno dei modi più divertenti per passare il tempo in questa stagione di arresti domiciliari sia andare a vedere i notiziari degli altri Paesi, basta avere una parabola e il decoder. Per poi assaporare il piacere di tornare sulle nostre emittenti e ridere senza che ci sia davvero molto da ridere. Ma bisogna pure ammazzare il tempo, specialmente quello della nostra era virale. Dal confronto con le altrui News , Talk show inclusi, è più facile apprezzare il fatto che le nostre emittenti, effettivamente, emettono. In senso proprio: gemono, essudano, secernono, spurgano ed emettono. Emettono prediche, essudano emozioni da quattro soldi, diffondono predicazioni politiche e pro e (molto meno) anti governative, tanto che sembra di essere in una Repubblica fondamentalista. Ed ecco infatti che il più laico di tutti, pare proprio il Papa. Io non sono un papista di questo papa, ma comincio ad apprezzarlo. Ha un body language calmo e ci ha fatto tenerezza mentre avanzava come un onesto scarabeo leggermente oscillante per il peso del suo corpo e dei suoi anni, su quella piazza San Pietro vuota e lucida di pioggia. Fa delle prediche, non si può negare, ma tutte accettabili. Persino Elisabetta seconda – di cui siamo segretamente invaghiti per i filmati del 1946 che la mostrano mentre gioca a palla prigioniera con la sorella e gli eccitati marinai su una nave da guerra in rotta per l’Africa – vestendo ora di giallo canarino, ora di verde appassito, ma anche di un nero coleottero, parla ai sudditi con la stessa vocina ordinata senza esitazioni né sbavature emotive che aveva usato alla radio da bambina quando il governo di Winston Churchill prese la decisione di togliere i bambini alle famiglie di Londra e spedirli in treno in località sicure. Allora, la piccola Elisabetta aveva espresso alla radio la sua calma solidarietà alle famiglie costrette a dividersi. E per questo oggi, la straordinaria regina si è di nuovo rivolta al suo popolo ricordando esattamente quel preciso evento: oggi dovete separarvi dai vostri padri e nonni per proteggere la loro vita, così come durante la guerra i bambini furono separati dai genitori, affinché fosse protetta la loro. Tradotto: “Dobbiamo accettare oggi la separazione nelle famiglie così come la accettammo durante la guerra quando ero una bambina e ve lo chiedevo come ve lo chiedo oggi”. Un messaggio forte e pacato. Da noi non si usa. I messaggi devono essere lacrimosi come un parmigiano di vent’anni, sprizzare eccellenza, perché anche mentre ci esponiamo nelle condizioni più tristi e perdenti, continuiamo a darci dell’eccellenza a vicenda. E naturalmente questa maledetta pandemia ha fatto polpette di quel che restava della comunicazione in lingua italiana che nelle nostre News: ha imbarbarito e perfezionato il bipolarismo tra leccaculismo governativo e l’ingiuria isterica ripetitiva. Manca del tutto un teatro televisivo in cui vada in scena lo spettacolo dello scontro fra le idee opposte. Non esiste. Nessuno è disposto ad ascoltare una posizione diversa dalla sua senza dare segnali di insofferenza, furia, o senza sovrapporsi a gran voce. Credo che alcuni di voi lettori stiate covando la domanda corretta, cui io risponderò scorrettamente. La domanda corretta è: per favore, fai nomi e cognomi, indica le trasmissioni, nomina i membri delle varie compagnie di giro che si alternano nelle diverse testate. La risposta scorretta è che non lo farò nella presunzione che a questo vuoto possiate rimediare voi lettori con una certa facilità. Vedete, è inutile aprire polemiche che non portano da alcuna parte. Una delle cose più adorabili del nostro Paese e anche del sistema linguistico televisivo ad esso connesso, e che noi italiani ci piacciamo molto così come siamo lascia perdere se di destra o di sinistra. Purtroppo questa è una qualità che pochi ci invidiano, tranne noi stessi. È cresciuta una generazione di conduttrici, generalmente belle e intelligenti, e di anchorman, ai quali non frega una cippa di ciò che dicono gli ospiti, perché hanno una scaletta scritta dalla Gestapo in cui a quel minuto preciso ti devono far vedere un “contributo” girato in qualche posto sfigato e che non c’entra niente con quello che si sta dicendo. Ma hanno imparato a memorizzare le ultime due o tre parole dette dall’ospite per riversarle sul successivo, mentre quello che stava parlando prova l’eccitante sensazione di un ostaggio in tuta arancione cui da dietro qualcuno abbia tagliato la gola con un grosso coltello. Tutti hanno imparato, ancor prima del Corona virus che ha comunque rivoluzionato il presente e il futuro, che non si deve mai dire “sì”, ma “assolutamente sì”. Pippo, sei d’accordo? “Assolutamente sì”, fa Pippo dalla piazza di Bruzzino Inferiore. I conduttori solo raramente seguono quel che dicono gli ospiti perché non pensano che sia loro compito farlo e hanno quasi sempre qualcos’altro per la mente. Gli ospiti delle compagnie di giro – le individuate subito cuius regio eius religio, secondo la rete e il main stream – si laureano presto in leccaculismo reciproco, un’arte che consiste nel premettere una serie di saluti e festosi apprezzamenti per tutti i presenti, usando quel sistema che la natura usa per proteggere i cuccioli: i cuccioli, anche di una scolopendra, sono sempre così carini che non li vorresti ammazzare. Mi rendo conto di fornire con queste banali riflessioni gli strumenti per un gioco di società familiare per le serate davanti ai telegiornali virali e tutti gli altri talk. A meno che non parli uno scienziato. In Italia è stato inoculato un siero paralizzante del cervello, emanato direttamente dallo schermo, che impedisce di concepire sia pure il pensiero che un tizio presentato come virologo, epidemiologo, ma anche esperto di solo colon o di lobi dell’orecchio, possa essere un deficiente. Il siero è paralizzante e il nuovo linguaggio televisivo ha decretato che la scienza non è una attività di ricerca viva e intelligente, fatta di ipotesi e di verifiche e di errori e di correzioni, ma che è invece un Tabù di fronte al quale ci si può solo sdraiare adoranti e penitenti. Così, fra tanti esimi ricercatori di qualità, vengono esposti in tabernacolo televisivo anche una discreta quantità di esimi cialtroni. La gente è invitata ad adorare, in attesa che compaia il signor Primo Ministro gratta-e-vinci della storia il quale si produce in lezioni di ipnotismo e quando deve pronunciare parole con troppe consonanti le agglutina in un mormorio. Scusate, non ho fatto nomi, ma li potete scrivere a matita a piè di pagina per passare nuove straordinarie serate Covid-19, sezione News e dintorni.
La 94enne Elisabetta II dà scacco all’impacciato Boris Johnson. Guido Barlozzetti su Il Riformista il 7 Aprile 2020. Un discorso della Regina Elisabetta al popolo è un evento. E viene da chiedersi cosa carichi questa apparizione televisiva della Queen di un significato così particolare che forse soltanto a lei e a pochissimi altri è concesso. E la risposta sta nella lunghissima continuità del Regno e nel modo in cui Elisabetta continua a svolgere la sua funzione. La Regina è diventata l’identità-mito di se stessa e come tale si offre e viene percepita, sta qui, davanti a noi, e al tempo stesso in un altrove, rassicurante e fuori dal tempo. C’è, come un nume tutelare e, quando serve, si manifesta. Non capita spesso che Elisabetta parli e questa rarità non fa che dare forza e autorevolezza a queste occasioni e a lei che ne è la protagonista. La Regina esce dalla Chiacchiera, dice quanto deve e quanto basta, un messaggio secco, rassicurante e chiaro che s’impone per la sintesi lapidaria che lo caratterizza. Era accaduto solo quattro volte, l’ultima volta nel 2012 per il Giubileo di Diamante dei sessant’anni del Regno. Prima, Elisabetta aveva deciso di parlare solo e sempre in occasioni straordinarie, la Guerra del Golfo nel 1991, la morte della Regina Madre e quella di Lady Diana. E se si torna alla prima apparizione ufficiale, bisogna risalire al 21 aprile del 1947, quando in occasione del ventunesimo compleanno e cinque anni prima di diventare Regina, dichiara con una promessa che è un impegno, che la sua vita «breve o lunga, sarà dedicata al vostro servizio». Adesso, è il Covid-19 che l’ha decisa a uno speech inevitabilmente storico. È apparsa nello schermo della televisione, vestita di verde, la collana e gli orecchini di perle, una spilla, i capelli inappuntabili…e subito è cominciata l’analisi pedante dei dettagli, alla ricerca di corrispondenze tra il modo in cui ha deciso di presentarsi e l’occasione. Difficile trovare sfasature, Elisabetta è arbiter di se stessa, non segue le mode, le oltrepassa perché non risiede del flusso della quotidianità e nel rutilante ed effimero vortice dei consumi e delle apparenze. Anche su questo versante, in ogni caso, conferma di risiedere su un altro piano. Elisabetta, infatti, appartiene stabilmente all’ordine simbolico dove le figure valgono e s’impongono perché tengono insieme due livelli che ai più sono preclusi, una qualità personale che si cementa negli anni, fatta di affidabilità, autorevolezza, prestigio e dedizione al compito, e l’istituzione che si rappresenta, di cui si è transitori depositari e che viene consegnata per presidiarla e riconsegnarla poi a chi verrà. È la Regina e al tempo stesso la Regina Elisabetta, in un binomio che tende alla coincidenza, dovuta certo alla lunghezza di un Regno, ma anche e soprattutto all’immagine con cui questo connubio inscindibile si è offerto ed è stato percepito. E non deve colpire il fatto che il breve discorso non contenga dichiarazioni a effetto o costruite per diventare il titolo di un giornale, no, la Regina parla nella distanza/prossimità in cui si trova, distante perché non può che essere altrove, prossima perché è proprio quella distanza che le consente di essere rassicurante e protettiva, mentre guarda senza una piega dalla tv. Appare, e già questo è un segno di sovrana sollecitudine, si rivolge a chi la ascolta e dice ciò che ci si aspetta da lei. Ricorda il «momento sempre più impegnativo e… di rottura nella vita del Paese», i lutti, le difficoltà finanziarie, «gli enormi cambiamenti nella quotidianità di tutti». Ringrazia gli operatori della sanità, il duro lavoro di chi, fuori, assolve al dovere di ogni giorno, e chi aiuta in casa persone più vulnerabili. Sottolinea che «insieme stiamo affrontando questa malattia» e che l’unità e la risolutezza sono le condizioni per superarla. Poi guarda avanti, nella posizione di chi il tempo lo misura sulla lunga durata, e si augura che i posteri potranno dire che «i britannici di questa generazione sono stati forti, come ogni altra volta». E infine chiude sul pilastro delle doti british: l’autodisciplina, la tranquilla risolutezza «condite dal buon umore». Una sintesi antropologica enunciata con fierezza secolare. Insomma, Elisabetta ricorda, ringrazia, rassicura, spera. Come un augusto genitore – con in più la Corona – che si prende cura dei figli che in questo caso sono il popolo britannico. Nessun accenno ai reami del Commonwealth che pure sono sotto la sua sovranità. I British la sentiranno sicuramente come un’apparizione salutare, non dico salvifica o taumaturgica, come accadeva con i Re francesi a cui per secoli si attribuiva il potere di guarire dalla scrofolosi. Nello stesso momento in cui Elisabetta parlava alla Country, il primo ministro Boris Johnson veniva ricoverato per accertamenti legati all’infezione contratta una decina di giorni fa. Non è il caso di ironizzare, e però come non notare la tempra inossidabile della Regina a fronte del suo premier decisionista e un poco scapestrato!? E viene da pensare a quando, fra decenni e decenni, la Queen più longeva, capace di battere anche il record di durata della Regina Vittoria, non potrà più apparire, e verranno a sostituirla eredi in cui si fatica a riconoscere la stessa monolitica complessione. Ma, forse, ne abbiamo il sospetto, la Regina potrebbe anche non essere sottoposta alle contingenze della nostra vita… A noi, che di lei sudditi non siamo, la sua vista ha ricordato il cielo che un tempo si pensava delle stelle fisse, quelle che risplendono comunque e in ogni caso. Qualunque cosa accada quaggiù.
· Partorire durante la pandemia.
Bambini nati durante il lockdown, le storie di Giulia, Mariachiara, Eleonora e Matteo. Rossella Grasso su Il Riformista il 18 Giugno 2020. Durante il lockdown sono nati 116 milioni di bambini in tutto il mondo. Per tutti loro e per i loro genitori è iniziata una nuova avventura senza precedenti, quella di nascere nel pieno di una pandemia. Andrea, Carolina e Barbara non si aspettavano di ritrovarsi da sole in sala parto, Luciano non avrebbe mai potuto immaginare che avrebbe vissuto questo momento così importante della sua vita in auto fuori una clinica senza sapere il momento esatto in cui Giulia, la sua primogenita, avrebbe visto la luce e Marinù non poteva sapere che il primo bacio al nipotino appena nato lo avrebbe potuto dare solo 15 giorni dopo il suo arrivo a casa. Le difficoltà che hanno dovuto affrontare i genitori di Giulia, Marichiara, Eleonora e Matteo sono state molteplici. Prima l’ansia di dover partorire durante una pandemia, dover entrare in un ospedale con il rischio di contrarre il virus. “È stato terribile vivere gli ultimi mesi di gravidanza bombardati dalle notizie sul coronavirus – racconta Luciano – la paura cresceva ogni giorno”. Poi il parto, da sole, senza che nessuno aspettasse le neomamme fuori la porta per abbracciarle e gioire insieme. C’è chi come Andrea è entrata in ospedale accompagnata dalla mamma Marinù che poi è dovuta rimanere sempre in stanza per tre giorni senza mai poter uscire. “Ho aspettato in stanza anche durante il parto cesareo – racconta Marinù – Ero in ansia da morire, pensavo: e se qualcuno in sala parto ha il covid e non lo sa?”. “Per me la cosa più butta è stata quella di non poter toccare il mio bambino – racconta Andrea – Appena è nato lo potevo solo sentir piangere. Poi l’ho visto un giorno e mezzo dopo nel nido, bardata di mascherina. Gli ho potuto dare il primo bacio solo quattro giorni dopo quando lo abbiamo portato a casa”. “Il peggio è stato non poter condividere tutte queste emozioni con tutti i miei amici e parenti – racconta Claudia – Ho desiderato a lungo questa bambina e la gioia era immensa. Ho potuto condividerla solo tramite whatsapp”. Purtroppo la paura del virus e di una nuova ondata di contagi impone ancora regole ferree soprattutto negli ospedali e nelle strutture sanitarie. Così i disagi toccheranno ancora a molte mamme. “Una cosa bella come una nascita in questo periodo è diventata un po’ triste – dice Andrea – ma non preoccupatevi: non c’è niente di più bello di stringere al petto il proprio bambino. Questo dà la forza di superare qualsiasi cosa”.
Partorire durante la pandemia, il racconto di Carolina: “Prima fa paura, ma il bello arriva quando nasce”. Rossella Grasso su Il Riformista il 3 Luglio 2020. Sono tantissime le mamme che in tutto il mondo hanno partorito durante la pandemia. Se per i contagi il peggio per il momento sembra essere passato, nelle strutture sanitarie continuano a persistere tanti disagi per le mamme che ancora devono partorire. Tra queste c’è Carolina, una giovane ormai neomamma che ha raccontato il suo parto in un epoca complicata “destinata ad essere raccontata nei libri di storia”, come dice lei. Il racconto inizia a poche ore prima di entrare in clinica. “Non ho paura – dice – è più che non me l’aspettavo che questo momento andasse così. Avevo sempre immaginato di poterlo condividere con tutte le persone a me care e invece per via del rischio covid nemmeno il mio compagno potrà starmi vicino”. Per evitare qualsiasi rischio, le strutture sanitarie hanno eliminato la possibilità per le donne di essere accompagnate in sala parto e in molti casi persino nelle stanze, per fare compagnia alle degenti. “Il mio compagno potrà vedere il bimbo solo attraverso il vetro in un appuntamento prestabilito – continua il racconto Carolina – E con me ci sarà mia madre ma solo in stanza, non potrà assistermi in sala parto. All’inizio mi sono molto dispiaciuta per tutto questo poi però ci ho fatto l’abitudine e mi sono detta che il bello sarebbe venuto soltanto dopo, quando sarebbe nato il mio piccolo Ivo”. Tra i disagi c’è anche quello di non aver potuto comprare nulla per preparare l’arrivo del nascituro. “Io ho partorito quando la pandemia era appena finita – dice – ho dovuto acquistare tutto online: per me non c’è stato nessun giro per i negozi in cerca di vestitini o dell’occorrente che volevo. Ma alla fine ho trovato tutto ciò che mi serviva”. Per tutte le mamme il momento del parto resta indelebile nella memoria delle mamme. Per chi nasce dopo il fatidico marzo 2020 continuerà ancora ad essere molto diverso da come se l’aspettavano in tanti. “Non importa la paura, le difficoltà o i disagi: avere il proprio bimbo tra le braccia è l’esperienza più bella che ci possa mai essere”.
Cosa significa nascere durante l'emergenza Coronavirus. Da mesi nei reparti maternità si vive tra tamponi, tute e mascherine. Ma l'ospedale di Bagno a Ripoli (Firenze) non ha mai chiuso ai papà la porta della sala parto. E questi scatti ci restituiscono dei momenti di eccezionale normalità. Angiola Codacci-Pisanelli l'8 luglio 2020 su L'Espresso. Per fortuna è andata bene: «Perché mica mi ci tenevano lontano da mio figlio. Scalavo il muro, entravo dalla finestra. Ho fatto il calcio fiorentino, io, e non c’è da nascondersi, nel nostro ambiente siamo abbastanza suonati…» È andata bene perché Devid il suo Dario l’ha visto nascere: a differenza di quasi tutti i padri di bambini venuti al mondo subito dopo l'arrivo del Covid in Italia, lui in sala parto, nell’ospedale Santa Maria Annunziata di Bagno a Ripoli (Firenze), c’è potuto entrare. Non come quel suo amico che all’ospedale di Careggi, pochi giorni fa, è rimasto fuori: «Gli hanno fatto il tampone, hanno detto che appena arrivava il risultato lo facevano entrare. Lui è rimasto in macchina ad aspettare, ma ci sono volute otto ore per controllare che lui fosse negativo, e intanto il suo bambino era già nato». Nascere al tempo del coronavirus è un’impresa speciale. Tra corsi pre-parto da remoto, tamponi a scadenze fisse e visite vietate a parenti e amici, è andata per aria tutta una tradizione di riti di accompagnamento della mamma e di accoglienza del neonato. «Quando è iniziata l’epidemia, abbiamo saputo che ai padri non era più permesso entrare in ospedale, e l’idea di non poter essere lì con Samanta mi metteva molto in ansia», racconta Lorenzo, che in pieno lockdown è diventato papà di Alice ed Emma. «Poi ci hanno parlato dell’ospedale di Bagno a Ripoli, abbiamo preso contatto con loro e ci siamo rassicurati». Durante il lockdown, la procedura standard teneva i padri del tutto fuori dall’ospedale: al momento del parto accompagnavano la compagna in accettazione e dopo quattro o cinque giorni andavano a riprendere lei e il neonato. Regole così strette da provocare un aumento delle richieste di partorire a domicilio. Lo conferma Giulia, la mamma di Dario: «Senza Devid accanto non ci sarei potuta stare, avrei scelto di partorire in casa». Con l’arrivo della fase 3, le regole di sicurezza si sono un po’ allentate e per assistere al parto serve solo il tampone anche per il futuro papà. Per il resto, la routine non è cambiata di molto. «Ma finalmente è scomparsa la paura», commenta Alberto Mattei, primario di ostetricia e ginecologia a Bagno a Ripoli. «Si torna a interessarsi delle problematiche che si presentano ogni giorno in ospedale: gli spazi e gli orari di visita stanno tornando normali. È iniziata la fase di convivenza con il virus, e l’eventuale sintomatologia viene ora valutata con senso clinico e non come un allarme rosso ad ogni starnuto». Però proprio il suo reparto è stato uno dei pochissimi in Italia a garantire una gestione delle nascite il più possibile normale anche durante il lockdown: «Pur mantenendo norme di sicurezza stringenti, abbiamo voluto mantenere la possibilità per il padre di partecipare ad un evento così importante, spesso unico nella vita di tutti noi. Il primo punto è stato quello di eseguire il maggior numero di tamponi alle donne in prossimità del parto: le donne, sicuramente negative, hanno potuto partorire in sicurezza per sé, per il padre e per gli operatori sanitari». E tutto questo mantenendo la vocazione per il “parto dolce” che l’ospedale di Bagno a Ripoli ha consolidato negli anni: «La nostra è una azienda molto grande, sia nei numeri che nell’estensione territoriale», spiega ancora Mattei, «comprende tre province e sette punti nascita. I casi più delicati vengono concentrati in altri ospedali, mentre il nostro ha da sempre una vocazione e una preparazione molto pronunciata per l’umanizzazione del parto. Da noi le ostetriche curano con grande passione l’esigenza delle coppie di vivere appieno il momento più alto della loro vita insieme». Mantenere questo approccio anche nei giorni più duri dell’epidemia è stata una scelta di successo: «Abbiamo avuto ottimi risultati e un numero di nascite più alto dello stesso periodo negli anni precedenti». Oltre a ecografie, cardiotocografia e altri usuali controlli delle ultime settimane di gravidanza, in questo periodo le donne devono fare anche il tampone: «Dovevamo farlo ogni sei giorni», ricorda Giulia. «Poi, quando sono andata per l’ultimo tampone, sono iniziate le contrazioni e cinque ore dopo Dario era lì». E se il tampone fosse stato positivo? O in caso di emergenza? Le procedure previste le spiega Mattei: «Dopo un tampone positivo, o se non era arrivato il risultato, la donna rimaneva in un’aria speciale, al di fuori del reparto. In caso di urgenza, invece, c’era una sala parto riservata in cui l’assistenza alla partoriente seguiva le procedure sanitarie previste per chi era positivo al covid»: quindi medici e ostetriche indossavano le tute sterili e le doppie mascherine che abbiamo visto nei servizi fotografici dai reparti più a rischio. «Ma ricordo bene la prima volta che ha partorito una donna che poteva essere positiva al covid», continua Mattei. «Medici, ostetriche, pediatri hanno passato ore in abiti che li rendevano molto più vicini esteticamente a un astronauta che a un medico, ma riuscivano a trasmettere umanità e gioia». Per una donna che aspetta un bambino in questo periodo, la quarantena non è ancora finita: «stay safe, stay home» è un motto obbligato perché entrare in contatto con una persona positiva renderebbe molto più complicata la gestione del parto. «Io sono stata sempre in casa, uscivo solo per le visite mediche», conferma Eleonora, che da poche settimane ha messo al mondo il terzo figlio, Andrea. «E poi si stava sempre tutti imbacuccati, anche durante le ecografie. Le altre volte vedere quelle immagini è stata un’emozione grande, ma stando a distanza di sicurezza non mi sono nemmeno potuta godere lo spettacolo, non riuscivo a vedere bene lo schermo». Anche i parenti si finisce per sentirli solo per telefono. E poi niente visite dei nonni in ospedale, e poche anche adesso che i nipotini sono arrivati a casa: «Ma questo non è solo un danno», commenta Giulia con franchezza toscana. «Significa anche avere meno rotture di scatole...». A Bagno a Ripoli però il personale ha fatto sentire tutti in famiglia: «Per questo mi complimento con i miei collaboratori, medici e ostetriche», commenta Mattei. «Perché l’aspetto umano non si insegna e non si impara, ma si ha dentro, o non si ha. Soprattutto durante il lockdown ho avuto l’impressione forte di vedere persone che remavano nella stessa direzione: sanitari e puerpere si aiutavano a vicenda per far prevalere la vita e l’entusiasmo sulla malattia». Nel racconto delle mamme dell’era Covid gli esempi del calore umano del personale medico sono una quantità: «Sono riusciti a farci sentire come se fuori dall’ospedale non stesse succedendo niente di speciale», assicura Lorenzo. La sua compagna, Samanta, è ostetrica, ma assicura: «Quando si partorisce tutto quello che si sa in teoria si offusca. Stavo seguendo un corso di preparazione in piscina ma dopo due incontri è stato interrotto, e mi è mancato molto. Anche preparare il corredino per le bambine è stato complicato, con i negozi chiusi e la paura di uscire di casa. Ce la siamo cavata un po’ grazie al commercio online, molto per le cose usate che ci sono arrivate grazie alla solidarietà di altre mamme, che si sono fatte in quattro per procurarci tutto quello che serviva». Eleonora, che prima di Andrea di bambini in questo stesso ospedale ne aveva avuti due, dice che «si notava una disponibilità ancora maggiore rispetto al normale. Avevo paura, sì, perché per me era il terzo cesareo e sapevo che è un intervento delicato. Però solo questo mi metteva ansia: l’atmosfera era tranquilla, rilassata, con mio marito subito fuori dalla sala operatoria. Ci siamo sentiti coccolati. Pensi che il bambino è stato in incubatrice e quando ci hanno dimessi l’infermiera che lo aveva seguito non era di turno: la sera stessa mi è venuta a trovare a casa...» Unico problema, l’obbligo di usare la mascherina: «Io la metto quanto vi pare», commenta Devid, «ma la mamma no, non potete obbligarla, è una tortura: come si fa a fare il travaglio senza poter respirare a pieni polmoni?». Ora la vita sta ricominciando al ritmo normale. Eleonora ha già ripreso il lavoro: «Sono veterinaria, mi occupo di controlli alimentari e ho sempre lavorato da casa». Resta il ricordo di un’esperienza diversa da quella vissuta dalle altre mamme. Restano le foto fatte da Malou Scuderi, che normalmente nei reparti maternità ci va su invito dei genitori che vogliono un servizio fotografico del parto, e questa volta invece ci è entrata per testimoniare come si viveva in quelle stanze in questo periodo eccezionale. «Chissà cosa diranno le bambine quando vedranno le foto» si chiede Samanta. «Vorranno sapere perché babbo e io portavamo quella buffa mascherina. O forse no: forse dovremo continuare a portarla per anni, e loro ormai ci saranno abituate».
· Epidemia ed animali.
"Rischiamo di perdere il controllo". Dopo la pandemia c'è l'incubo panzoozia. Il virus potrebbe diffondersi anche tra le specie animali. L'avvertimento della virologa Ilaria Capua: "Potrebbe essere il primo virus pandemico che diventa una panzoozia. Così perderemo il controllo". Francesca Bernasconi, Martedì 17/11/2020 su Il Giornale. "C’è un arcobaleno alla fine della tempesta Covid, tra le nuvole possiamo già intravederne i colori...". Ma, secondo la virologa Ilaria Capua, direttrice del One Health Center of Excellence dell’Università della Florida, non bisogna fermarsi qui. Perché nonostante le buone notizie relative al vaccino, il rischio potrebbe non essere finito. E sotto i riflettori finisce il mondo animale, che rischiano di essere contagiati e diffondere il virus in modo incontrollato, come successo ai visoni in Danimarca. "È una prospettiva che il mio gruppo di ricerca aveva già segnalato in tempi non sospetti, prima che scoppiasse il caso in Danimarca e altrove", ha rivelato la virologa in un'intervista all'Huffington Post, citando un articolo risalente allo scorso maggio, in cui si parlave del rischio del Covid-19 di "essere il primo virus pandemico che diventa una panzoozia, cioè che colpisce anche tante specie animali". In particolare, secondo un altro studio pubblicato a settembre, "i mustelidi (la famiglia dei visoni e dei furetti, per intenderci) sono animali che possono diventare serbatoio per questo fenomeno panzootico. Ad oggi sappiamo che i mustelidi sono molto ricettivi - ci sono stati casi anche in Olanda e negli Stati Uniti - e non abbiamo dati sui mustelidi selvatici". La circolazione del virus negli animali, soprattutto in quelli selvatici, potrebbe far "perdere definitivamente il controllo dell’infezione. È impensabile fare sorveglianza e andare a controllare le donnole o le faine nel loro habitat naturale. Il virus chiaramente potrebbe mutare in un’altra specie animale e questo potrebbe minare le nostre possibilità di controllare la pandemia". Sull'arrivo del vaccino, la Capua precisa: "La luce alla fine del tunnel c’è e c’è sempre stata. Da questi fenomeni epocali l’umanità è sempre sopravvissuta, anche quando non c’erano i vaccini, i monoclonali, gli antibiotici". Ma la luce non è rappresentata solamente dal vaccino. Si è arrivati, in questi mesi, anche a "una migliore comprensione della malattia, protocolli di intervento precoce, trattamenti come la sieroterapia, farmaci come gli antivirali e i cortisonici, e poi addirittura una terapia miracolosa come quella basata sugli anticorpi monoclonali". Inoltre, le ultime notizie parlano di più vaccini in arrivo: "Siamo di fronte a una situazione unica- commenta la Capua all'Huffington Post- È per questo che bisogna organizzarsi per avere dei piani di distribuzione che tengano conto delle specificità dei diversi vaccini che verranno approvati". Essendo più di uno, saranno diverse anche le tecniche di conservazione e di somministrazione: per questo è necessario un piano preciso, in grado di "mettere in campo un mix di organizzazione e flessibilità". La Capua, nel corso dell'intervista, commenta anche lo studio pubblicato dall'Istituto Tumori di Milano, che sostiene la presenza del Covid-19 in Italia fin dal settembre 2019: "Questo dovrebbe essere un dato confermato da altri studi europei- ha detto- Non c’è ragione per credere che il virus sia arrivato in Italia mesi prima rispetto ad altri Paesi europei. Se questo dato verrà confermato da studi analoghi fatti in Germania, Francia, Spagna, allora vorrà dire che il virus è circolato per molto tempo sotto traccia: saremmo di fronte a un fallimento clamoroso del meccanismo di sorveglianza, un fatto gravissimo. C’è da augurarsi che si siano sbagliati; nell’attesa di conferme, meglio essere cauti". Relativamente alla seconda ondata, la virologa precisa le modalità utili per affrontare la "pandemic fatigue", il senso di stanchezza e avvilimento causati dal ritorno del Covid-19: "Innanzitutto, bisogna capire che esiste, che ci rende tutti molto più fragili", che porta le persone a dire "basta". "È una resa alimentata anche dal fatto che arrivano messaggi contraddittori o segnali di grande speranza, che poi ovviamente vengono subito ridimensionati- precisa Capua- Un tale zig zag emozionale - gioia / disastro – provoca per forza questo meccanismo psicologico. Ci si sente disorientati, stanchi, impotenti di fronte a un caos soverchiante". Per poter combattere questa situazione è necessario che ognuno alzi "il proprio tollerometro, perché siamo in una situazione eccezionale, tiriamo fuori il nostro senso di gregge, secondo il quale se un lupo mangia la mamma pecora, gli agnellini li allatta un’altra mamma pecora. Diventiamo comprensivi, troviamo spazio per l’ascolto ma non per gli attacchi e lasciamo cadere le provocazioni. Alzare il tollerometro, mettere la mascherina e dare il buon esempio è tutto ciò che possiamo fare". Ma la pandemia nasconde anche un "arcobaleno", che può dare all'Italia e a tutto il mondo la "possibilità di ripartire in un modo più sostenibile".
AGI l'8 settembre 2020 - "Dal punto di vista medico il messaggio è chiaro: bisogna smetterla di vivere a contatto con gli animali come si usa fare in molti paesi dell'Asia". È l'invito che il genetista Mauro Giacca, professore del King's College di Londra, ha rivolto in occasione di un incontro a Trieste su “Come migliorare il nostro rapporto con la Natura dopo il coronavirus”, nell'ambito del programma del Science in the City Festival di Esof2020. "Il fatto di vivere a stretto contatto tra uomini e animali ci ha regalato l'influenza aviaria, la suina, la Sars e ora il coronavirus. In Africa ha portato ebola. Quindi, bisogna stare lontano dagli animali". "Gli animali", ha spiegato Giacca, "sono pieni di virus, molti di questi hanno la facilità di fare il salto di specie". Ma "noi siamo impreparati, non siamo evoluti per difenderci dai virus degli animali". Ognuno, dunque, deve stare nel proprio spazio. "Non stiamo a contatto con allevamenti massicci di polli", ha puntualizzato il genetista, "di suini, non lasciamo i mercati con le bestie vive che si toccano e si portano a casa. Se dobbiamo fare allevamento e macellazione dobbiamo farlo in ambienti protetti, igienicamente controllati". "Non è un caso", ha concluso Giacca, "che queste malattie siano partite dagli animali in Asia e Africa e non in Europa o in altri Paesi. Ci sono abitudini millenarie che fanno sì che ci sia questo rapporto con gli animali che e' totalmente inconcepibile in un pianeta di 7 miliardi di persone".
Il Covid non si trasmette con le zanzare: uno studio italiano conferma. Notizie.it il 04/07/2020. Dopo il chiarimento dell'ISS, uno studio scientifico condotto a Padova risponde alla domanda: "Il Covid si trasmette con le zanzare?" Dopo dubbi e paure, uno studio tutto italiano conferma: il Covid non si trasmette con le zanzare. La ricerca è stata condotta dall’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie di Legnaro, in provincia di Padova.
Il coronavirus non si trasmette con le zanzare: la ricerca. Lo studio è stato condotto da Fabrizio Montarsi, responsabile del team di zooprofilassi che ha studiatogli insetti. La ricerca è stata fatta in partnership con virologi e biologi molecolari, insieme all’Istituto superiore di Sanità di Roma. L’esito è confortante: le zanzare esaminate non sono portatrici del coronavirus. Il virus, entrato nell’insetto attraverso un pasto di sangue infetto, non si replica all’interno dell’animale. In questo modo, la zanzara non riesce a inoculare il Covid-19 all’interno di un ospite, quindi un essere umano: “Noi qui a Legnaro abbiamo testato la zanzara Tigre, l’Aedes albopictus, mentre in Iss hanno lavorato sia sulla Tigre che sulla zanzara comune, la Culex pipiens. Il risultato è stato lo stesso” ha detto il dott. Montarsi a Repubblica: “Dopo il pasto infetto, abbiamo ucciso le zanzare congelandole a -20. Le zanzare impiegano qualche giorno a digerire, e solo allora, quando hanno digerito, mangiano di nuovo. Quindi, analizzando gruppi di insetti a intervalli regolari a distanza dal pasto abbiamo dimostrato che quando la digestione era terminata, il virus non l’avevano più. Di conseguenza non potevano, non possono, iniettarlo in un altro ospite” ha spiegato.
L’Iss tranquillizza sulla zanzara. Il timore che la zanzara potesse trasmettere il virus è aumentata con l’aumento del caldo estivo. La ricerca ha avvalorato quanto dichiarato di recente dall’Istituto Superiore di Sanità. I dati preliminari di una ricerca hanno appurato che né la zanzara comune né quella tigre possono infettare le persone con le loro punture, visto che il virus non sarebbe in grado di replicarsi nel loro organismo. Anche nel caso dovessero pungere un positivo, le zanzare non agirebbero da tramite. “A oggi non c’è alcuna evidenza scientifica di una trasmissione attraverso insetti che succhiano il sangue, quali zecche o zanzare, che invece possono veicolare altri tipo di virus, responsabili di malattie come la dengue e la febbre gialla” hanno commentato i ricercatori dell’ISS. Il coronavirus resta un virus respiratorio e, come tale, può essere trasmesso solo attraverso goccioline derivanti da starnuti e colpi di tosse, detti nel gergo droplets.
Perché i maiali ci fanno paura: così fanno "esplodere" il virus. I maiali sono in grado di mescolare i virus dell'uomo e degli uccelli, creando nuovi patogeni, tra cui quelli potenzialmente pandemici. Il virologo Palù: "Regole stringenti per gli allevamenti". Francesca Bernasconi, Sabato 04/07/2020 su Il Giornale. Un nuovo virus isolato in Cina potrebbe diventare una minaccia, scatenando una pandemia globale. È stato chiamato G4EA H1N1 e unisce un ceppo trovato negli uccelli europei e asiatici, quello dell'influenza suina (H1N1), che ha causato la pandemia del 2009 e uno dell'H1N1 nordamericano che ha diversi geni dal virus dell'influenza aviaria, umana e suina. Gli scienziati hanno scoperto il nuovo ceppo nei maiali di diversi allevamenti, tanto da identificarlo come "predominante nelle popolazioni suine dal 2016".
I maiali fanno paura. I virus influenzali, come quello che ha scatenato la pandemia da H1N1 e quello appena scoperto, sono centinaia e, come spiega all'Agi Giovanni Maga, direttore dell'Istituto di genetica molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Igm), "trovano negli uccelli migratori acquatici il loro principale serbatoio naturale". Ma, per passare a l'uomo è necessario "un incubatore, ovvero una specie intermedia in cui avviene il rimescolamento genetico grazie al quale il virus è in grado di trasmettersi all'uomo". E uno degli animali che si è prestato ad essere l'ospite intermedio tra virus zoologici e umani è stato, nella storia, il maiale. Questo perché i suini, oltre ai patogeni della propria specie, possiedono virus aviari e umani. Come ha spiegato ad AdnKronos, il virologo Giorgio Palù, presidente delle società italiana ed europea di virologia, i maiali "hanno caratteristiche peculiari perché hanno recettori dell'influenza sia per i virus aviari sia per quelli umani" e funzionano come "una sorta 'provetta' in grado di mescolare i virus dell'uomo e degli uccelli", dando origine a nuovi patogeni. "Quello che avviene- aggiunge Maga- è un rimescolamento nei geni degli agenti patogeni, per cui si producono quelli che vengono definiti riassortanti, cioè nuovi virus che occasionalmente possono passare all'uomo. Per questo i ricercatori inglesi si sono posti il problema di verificare se in questi anni H1N1, che è oggi in circolazione come virus influenzale stagionale, avesse subito dei rimescolamenti". Lo studio, che ha raccolto i dati in vari allevamenti, ha permesso di individuare diversi ceppi virali che mostrano il rimescolamento dei geni. Tra questi, c'era anche il G4, considerato predominante. "Il gruppo di ricerca- spiega Maga- ha inoltre utilizzato una coltura per dimostrare che G4 ha la capacità di riconoscere i recettori dell'organismo umano e di replicarsi all'interno delle cellule umane". Per questo, il G4EA H1N1 viene considerato in grado di trasmettersi all'organismo umano".
Il problema degli allevamenti. A mettere in guardia sui rischio dello sviluppo di nuove pandemie è il virologo Giorgio Palù, che mette l'accento sul problema degli allevamenti, in particolare su quelli dei maiali. Secondo l'esperto, è necessario "evitare modifiche incontrollate di nicchie ecologiche: modifiche che danno spazio alla nascita di nuovi virus, la forma di vita più diffusa sul pianeta". Per questo, chiede a gran voce all'Organizzazione mondiale della sanità di promuovere "regole chiare e sorveglianza per tutti gli allevamenti, in particolare quelli di maiali". In Cina, spiega Palù, "ci sono grandi allevamenti intensivi di maiali. E molte volte queste strutture si trovano ai bordi delle risaie, dove trasmigrano le anatre, che spesso sono portatrici del virus influenzale". Un dettaglio importante, data la capacità dei maiali di assorbire i virus dei volatili e degli uomini, rischiando di mescolarli. Regole stringenti sono necessarie, a causa delle azioni umane: "Stiamo modificando il pianeta - spiega ancora Palù -abbattiamo le foreste facendo sì che i pipistrelli non infettino solo gli animali selvatici ma vengano addirittura nelle nostre case, come è avvenuto con Ebola in Africa, con lSars-Cov-1 e Sars-Cov-2. E in diversi altri casi. Modifichiamo il pianeta non solo a livello del clima, deforestando e con globalizzazione di persone e merci, ma anche cambiando le nicchie ecologiche o con coltivazioni massive di animali esposti a tutto". Proprio per questo, "l'Oms dovrebbe far sì che tutti i Paesi possano applicare le regole di prevenzione che conosciamo bene da tempo. Come non permettere allevamenti di maiali vicino alle risaie, o il consumo di animali selvatici. E anche imporre la sorveglianza costante degli allevamenti". Lo studio, a detta di Maga, rappresenta "un campanello d'allarme". Infatti, la presenza di virus potenzialmente pandemici negli animali e nei suini in particolare, ha causato 5 pandemie influenzali dalla fine dell'800 fino ad oggi: "L'ultima del 2009 non ha avuto conseguenze particolarmente gravi, ma è assolutamente imprevedibile cosa potrebbe accadere con la prossima". Ma, specificano gli esperti, manca ancora un gradino per la diffusione, cioè la trasmissione da uomo a uomo. E "la probabilità che questa particolare variante causi una pandemia è bassa", tanto che lo studio è stato definito un "gioco di ipotesi".
Da ilmessaggero.it il 20 giugno 2020. Non si placa l'emergenza Coronavirus nei mattatoi della Germania: sono 1.029 i dipendenti dell'industria della carne tedesca Toennies risultati positivi finora al test del Covid. Lo ha reso noto il Consiglio della circoscrizione di Guterloh, nel Land del Nordreno-Vestfalia. L'esplosione dell'infezione aveva già portato alla chiusura delle scuole e degli asili infantili nei giorni scorsi. Di fronte alla gravità della situazione, il ministro presidente del Land, Armin Laschet, (Cdu), non ha escluso un ritorno del lockdown a livello regionale. Al momento l'infezione è localizzata, ma se questo dovesse cambiare - ha affermato ieri sera parlando a Duesseldorf - potrà diventare necessario anche un lockdown a tappeto nella regione». Laschet si è detto particolarmente preoccupato dal momento che molti dipendenti dell'impresa vengono da diverse città della Vestfalia.
Da "Ansa" il 5 luglio 2020. Alcuni focolai di Covid si sono manifestati negli ultimi giorni in un'area del Mantovano. L'ultimo ha riguardato un salumificio di Viadana e così al momento sono cinque le attività produttive in cui si è sviluppato il contagio (considerando anche una nella vicina Dosolo), tra macelli e salumifici, che contano un totale di 68 dipendenti positivi. L'ultima segnalazione dell'Ats Valpadana arriva dal salumificio Fratelli Montagnini di Viadana, dove ieri le squadre Usca (Unità speciali di continuità assistenziale) sono intervenute per sottoporre a tampone 26 dipendenti, dopo che uno di loro era stato ricoverato in ospedale con febbre alta. L'esito dello screening ha consentito di scoprire 5 positivi, tra cui 3 dipendenti di una cooperativa che lavorano nel salumificio. L'Ats ha predisposto ieri la chiusura del macello e oggi è attesa la sanificazione. Salgono a 68 i lavoratori (non tutti residenti nel Mantovano) contagiati nei 5 macelli, di cui due ricoverati in ospedale, in condizioni che non sarebbero gravi.
Pierangelo Sapegno per “la Stampa” il 6 luglio 2020. Adesso è Mantova il cuore del Covid, pochi chilometri racchiusi in una piana che puzza di soldi e di maiali, con un macello dietro l'altro e i campanili che spuntano all'orizzonte. Qui dove la vita affonda nel sole asfissiante della Padania e nella sua frenesia di ricchezza, il virus ha rimesso implacabile le proprie radici. In dieci giorni, mille tamponi e 68 contagi fra i lavoratori di due salumifici e tre macelli, dipendenti diretti o reclutati da cooperative, molti dei quali extracomunitari, riproducendo pari pari l'incubo che aveva spaventato la Germania appena finito il lockdown, quando oltre 1200 infettati erano apparsi all'improvviso fra gli uomini che faticano con i maiali - qualche volta torturandoli - quasi tutti emigrati dall'Est Europeo rientrati dopo la quarantena, senza averne osservato le rigide imposizioni. E' ancora presto per affermare che si è ripetuto pure da noi lo stesso perverso meccanismo. Ma il sospetto c'è. Per adesso le autorità sanitarie si sono limitate a far sapere che in tutti i 5 luoghi colpiti dal Covid, «i protocolli sarebbero stati regolarmente rispettati». Certo è che c'è qualcosa di inspiegabile e preoccupante in questa esplosione. E' cominciato tutto al salumificio Gardani di Viadana, nella riva sinistra del Po, solo afa, pianura e le gaggie sugli orli del fiume: 11 contagiati. Subito dopo, secondo focolaio al Macello Ghinzelli, ancora Viadana: 41 su 450 dipendenti. Poi Macello Martelli, a Dosolo: altri 5. Salumificio Rosa, di nuovo Viadana: 6. L'altro ieri, Macello dei fratelli Montagnini: 5. Le prime quattro strutture continuano a funzionare regolarmente. Solo l'ultima ha temporaneamente interrotto l'attività. Tre di questi posti sono nella zona industriale di Gerbolina, quasi attaccati fra di loro, uno dietro l'altro, come capannoni dalla produzione intensiva, a raffigurare il mito di una società che non si ferma mai. Anche il coronavirus non si ferma mai. E ora, il timore è che questa sia solo la punta dell'iceberg. Non a caso, le autorità hanno appena disposto di estendere lo screening a tutti i macelli della zona. Sono stati ordinati altri mille tamponi che verranno effettuati a partire da oggi. Se le prime verifiche delle autorità sanitarie hanno accertato che queste cinque strutture sono tutte a norma di legge, e che quindi molto probabilmente, proprio come in Germania, i responsabili di questa diffusione del Covid sarebbero i lavoratori stranieri che avrebbero portato da fuori il contagio, non possiamo illuderci che il mondo dei maiali sia quello di Orwell e del suo Napoleon. Molte volte le fattorie degli animali sono luoghi di tortura, qui come altrove, posti dove risuonano le loro urla straziate, con i box sporchi e sovraffollati e i maialini sofferenti che vengono strappati dalle madri allontanate a calci per spingerle nei recinti. Nei macelli gli animali vanno per morire. E un mondo che rischia di morire appena si ferma può mai avere pietà di loro? Se uno è mai entrato in una di quelle gabbie dove vengono ammassati i maiali, gli sarà rimasto in mente il fango dei corridoi, percorso da uomini con gli stivali alle ginocchia, e il ricordo di certi lamenti che coprono i grugniti, come grida di dolore urlate al vuoto. Non chiedetevi se piangono il loro destino. E' la legge di una società massificata che deve dare d mangiare a tutti. La Lega Antivivisezione, la Lav, ha però lasciato delle immagini agghiaccianti che restituiscono ai nostri occhi tutta la crudeltà dei luoghi costruiti per la morte, dove i lavoratori castrano i maialini di un mese senza anestesia e senza somministrare nemmeno alcun analgesico per attutire il dolore, e poi li marchiano afferrandoli per le orecchie con le dita che gli schiacciano gli occhi fino a farli sanguinare. Dove gli orifizi anali vengono chiusi con una spilla da balia, e gli animali gettati nei recinti ancora sanguinanti, e tatuati anche se hanno grossi prolassi. Code e testicoli mutilati sono dati in pasto alle scrofe. Gli ascessi vengono incisi, il pus sporca le gabbie. I piccoli suini sono gettati nei box come vecchie scarpe, buttati via brutalmente. Le celle frigorifere sono piene di animali che non sopravvivono al dolore. Può darsi che siano semplicemente le regole del gioco. Il team investigativo della Lav aveva chiesto alla regione Lombardia l'immediata chiusura di quelle strutture. Ma è così che muoiono i maiali anche al tempo del Covid.
Focolai, contagi e vittime: l’inferno dei mattatoi. Federico Giuliani il 22 giugno 2020 su Inside Over. Il Covid si diffonde a macchia d’olio all’interno dei mattatoi di tutto il mondo. L’ultimo allarme arriva dagli Stati Uniti. Anche qui, proprio come in Germania, i lavoratori contagiati dal virus aumentano giorno dopo giorno. Molti di loro sono morti, altri si trovano in gravi condizioni. “Quello che sappiamo è che i lavoratori stanno morendo, e stanno morendo anche gli ispettori dei macelli”, ha spiegato Neal Barnard, medico e fondatore dell’associazione Physicians Committee for Responsible Medicine citato dal Corriere della Sera. La domanda che in tanti si fanno è: perché le grandi aziende della carne devono fare i conti con simili stragi? Gli esperti hanno provato a dare una risposta basandosi sulle condizioni di lavoro.
La diffusione dei virus nei mattatoi. Due potrebbero essere i fattori principali. Primo: le scarse misure di sicurezza adottate dagli impiegati, spesso in azione senza indossare i dispositivi di protezione individuale e rispettare le distanze. Secondo: le basse temperature che permetterebbero una maggiore sopravvivenza del virus. Riguardo quest’ultima ipotesi, anche gli scienziati cinesi sono convinti che gli ambienti refrigerati possano aiutare il Sars-CoV-2 a proliferare. Emblematico il caso del mercato di Xinfadi, a Pechino, dove un focolaio potrebbe aver avuto origine dall’importazione di alimenti congelati. In un primo momento sembrava che il responsabile fosse il salmone proveniente dall’Europa; in seguito il pesce è stato scagionato, anche se i funzionari stanno adesso indagando sulla pista che porta dritta agli imballaggi e alle spedizioni di cibo.
Stati Uniti e Germania: situazione critica. Tornando ai mattatoi, secondo quanto riferito da un rapporto del Farm Animal Investment Risk and Return (FAIRR) ben oltre il 70% “delle più grandi e quotate aziende che commerciano carne, pesce e latticini sono da considerare a rischio elevato nel favorire nuove pandemie di origine zoonotica”. Un rapporto pubblicato a giugno dal Food and Enviroment Reporting Network ha evidenziato come nella prima parte del mese, in Europa, vi fossero 2670 casi confermati di Covid tra gli addetti degli impianti di lavorazione carne. In questo momento la situazione è particolarmente critica negli Stati Uniti e in Germania. Negli Usa si contano 24mila contagi e 92 decessi tra i dipendenti dei mattatoi, e questi numeri, nel frattempo, potrebbero già essere aumentati. Nello stato del Dakota del Sud, ha spiegato Barnard, più della metà dei casi di Covid sono stati riscontrati nel macello della Smithfield, una società cinese che possiede stabilimenti anche negli Stati Uniti. “Non è la sola – ha aggiunto lo stesso Barnard – Sta succedendo a macelli di altre società come Tyson o Jbs. Ci sono focolai in oltre 200 strutture sparse in tutto il Paese”. La situazione non è diversa in Germania, dove pochi giorni fa sono stati riscontrati 650 positività in uno stabilimento Tonnies situato nel Nordreno-Vestfalia. Risultato? Quarantena obbligatoria per più di 7mila lavoratori del gruppo. In questo caso i focolai sono stati collegati al rientro in terra tedesca di lavoratori provenienti dall’est Europa. In ogni caso, fonti di agenzia confermano che ci sono stati diversi focolai nei mattatoi tedeschi nelle ultime settimane, che hanno spinto il governo a imporre regole di sicurezza più rigorose per l’industria e vietare la pratica dell’uso di subappaltatori. E l’aumento dell’indice Rt in Germania (arrivato a 2.88) è un chiaro segnale di quanto possa essere fondamentale la sicurezza di questi centri: necessari per l’alimentazione della popolazione tedesca ma altrettanto centrali nella lotta al coronavirus.
Il virus preferisce i mattatoi? Federico Giuliani il 18 giugno 2020 su Inside Over. Dalla Germania agli Stati Uniti, dal Canada all’Irlanda passando per Regno Unito, Australia e Brasile. Questi sono soltanto alcuni dei Paesi che devono fare (o hanno fatto) i conti con pericolosi focolai di Covid-19 esplosi all’interno di grandi aziende che lavorano la carne. Se nei primi mesi della pandemia erano gli ospedali a essere considerati gli incubatori e diffusi per eccellenza del virus, adesso i riflettori sono puntati sui mattatoi. In Germania, al momento, la situazione è particolarmente critica. A Dortmund, dall’inizio della settimana, sono stati riscontrati 657 casi positivi di coronavirus tra i dipendenti di un macello. Le autorità sanitarie del comune di Guetersloh hanno subito messo in quarantena circa 7mila persone, tra cui tutti i lavoratori dell’impianto, che ha temporaneamente sospeso la lavorazione. Le scuole e i centri ricreativi della zona sono stati chiusi. Il consigliere distrettuale Sven Georg Adenauer ha spiegato che l’azienda, facente parte del gruppo Toennies, uno dei più importanti dell’industria della carne in Germania, resterà chiusa per un periodo di tempo compreso tra i 10 e i 14 giorni.
In Germania la situazione è critica. Per quale motivo i mattatoi sono diventati così pericolosi? Tornando al caso tedesco, l’azienda colpita ha spiegato che l’esplosione dei contagi sarebbe da ricollegare al rientro sul posto di lavoro di centinaia e centinaia di addetti originari dell’Est europa. Questi, per lo più rumeni e polacchi, dopo aver trascorso un lungo weekend in patria, avrebbero viaggiato fino a 17 ore stipati in bus affollati senza rispettare alcuna misura di prevenzione anti contagio. A quanto pare nessuno dei lavoratori presentava sintomi, anche se con i primi test sono emersi i primi 128 positivi. Un portavoce di Toennies si è scusato per l’accaduto, sottolineando che le basse temperature presenti nell’impianto agevolano l’infezione. In realtà, fa notare i più che il freddo, a provocare l’impennata dei contagi sarebbero le condizioni in cui sono costretti a vivere gli stranieri dell’Est, alloggiati da Toennies in dormitori insalubri e privi delle minime regole sanitarie da rispettare per scongiurare la diffusione del virus. Già “spaventata” dai salmoni, la Cina ha bloccato l’importazione di carne di maiale dall’azienda. Secondo quanto annunciato oggi dell’Amministrazione generale delle dogane, a tutti i prodotti del mattatoio tedesco è stato vietato l’ingresso in Cina a partire dal 17 giugno.
Perché si creano focolai nei grandi macelli. A proposito dei mattatoi, il Guardian ha definito questi luoghi “caotici e folli”. A preoccupare gli epidemiologi sono almeno due aspetti. Il primo è che le particolari condizioni di lavoro hanno spesso impedito agli addetti di dotarsi di ogni protezione e applicare il distanziamento sociale. Il secondo riguarda la forza di lavoro in sé. Molto spesso i lavoratori sono immigrati, talvolta irregolari, che sfuggono a ogni controllo e vivono in veri e propri dormitori sovraffollati. Un contesto ideale per la diffusione del virus. Dulcis in fundo, i grandi macelli non hanno mai smesso di lavorare, neppure durante le fasi più critiche della pandemia. Stando a quanto riportato dal Midwest Center for Investigative Reporting, alla fine di maggio oltre 10mila contagi avvenuti negli Stati Uniti sarebbero da ricollegare ai mattatoi.
Il Covid si diffonde nei macelli del mondo, ma in Italia non si fanno neanche i tamponi. Dalla Germania agli Usa, negli impianti di lavorazione della carne scoppiano focolai. Nel nostro Paese una filiera poco trasparente rende invece impossibile capire cosa succede davvero. Francesco De Augustinis l'1 luglio 2020 su L'Espresso. Centinaia di casi positivi in giro per il mondo, nuovi focolai, una curva che non accenna a rallentare: l’impatto del Covid-19 sull’industria globale della carne e sui suoi lavoratori continua ad alimentare la preoccupazione dei governi e delle autorità sanitarie. Un problema che tocca gli Stati Uniti, il Brasile, l’Argentina, l’Australia. E non risparmia l’Europa e l’Italia, dove la scarsa trasparenza della filiera rende difficile capire davvero quanto il Coronavirus abbia colpito i lavoratori del settore. Negli ultimi giorni è esploso il nuovo caso in Germania, che ha coinvolto il macello più grande di Europa nel Nord Reno-Vestfalia dove sono lavorati ogni anno 16 milioni di suini e impiegati quasi 7 mila dipendenti. Il 17 giugno le autorità hanno confermato l’esistenza di un focolaio di Covid19, con oltre 1.300 casi di contagio già accertati. Non un caso isolato: secondo un dossier del Food and Environment Reporting Network (Fern) già prima del caso tedesco si contavano 2.670 casi di contagio negli impianti di lavorazione carne. Negli Stati Uniti il legame tra macelli e diffusione del Covid è di gran lunga più marcato che in Europa. Secondo lo stesso dossier Fern, a inizio giugno il conteggio era arrivato a 20 mila casi e 92 vittime tra i lavoratori. Alcuni focolai americani hanno persino superato il caso tedesco, come nel macello di suini Smithfield di Sioux Falls, in South Dakota. Si tratta di uno dei principali impianti del Paese, con 3.700 dipendenti e una capacità di macellare 19.500 capi ogni giorno. Qui già a inizio maggio si contavano oltre 1.000 casi di Covid tra dipendenti e contatti diretti. Il ruolo dei macelli nella diffusione del Covid negli Stati Uniti è diventato così evidente che un’inchiesta di Usa Today ha provato a incrociare i dati di contagio della popolazione con le aree dove si trovano i macelli . I risultati hanno mostrato un aumento dell’incidenza dell’epidemia del 75 per cento nelle contee dove si trovano le strutture. Il moltiplicarsi di casi ha spinto le autorità e le aziende in Europa a fare tamponi a tappeto nei macelli dove si rilevavano anche piccoli focolai. In questo modo sono emersi focolai in 19 strutture in Irlanda (956 casi in tutto), una avicola in Galles (158 casi), tre in Francia (115, 54 e 9 casi), tre in Olanda (147, 21 e 28 casi), una in Belgio (70 casi) e sei in Spagna. In tutti questi casi la quasi totalità dei lavoratori era asintomatica. Alla fine di maggio anche il principale macello della Danimarca, di proprietà della Danish Crown, è stato chiuso per alcuni giorni mentre il 2 giugno l’associazione dei produttori del Regno Unito ha chiesto aiuto al governo per la mancanza di forza lavoro. In Italia del rapporto tra Covid e macelli si è discusso in riferimento a un impianto in Puglia, il macello dell’azienda Siciliani di Palo del Colle. Qui a fine aprile le autorità hanno contato complessivamente 71 casi positivi su 500 dipendenti, innescando la chiusura dello stabilimento per due settimane. «La società ha avuto notizia dall’autorità sanitaria che quattro lavoratori in servizio presso il reparto di macellazione erano risultati positivi al Coronavirus», ricostruisce l’azienda. La Siciliani racconta quindi di aver «programmato, di concerto con le autorità sanitarie, l’esecuzione di un’importante campagna di circa cento tamponi, che ha prevalentemente interessato i lavoratori del reparto in questione. Quello che non è noto è che tutti i soggetti risultati positivi ai test condotti in azienda sono del tutto asintomatici e che l’approccio innovativo adottato ha condotto, mediante uno screening a tappeto di natura esclusivamente cautelativa, all’identificazione di positività che altrimenti non sarebbero emerse». In altre parole, secondo l’azienda, questo focolaio sarebbe rimasto occulto se di fronte a casi isolati di positività non fossero stati disposti tamponi a tappeto su tutti i dipendenti. Gli allevamenti industriali si rivelano sempre più dannosi e favoriscono il salto di specie dei virus. E questa pandemia mette sotto accusa un intero sistema di produzione e consumo. Nel resto del Paese, fino al mese di giugno, non sono emersi altri focolai, ma non sono stati effettuati tamponi a tappeto neanche di fronte ad alcuni casi di positività nelle strutture. «Dobbiamo ricordarci che fino a poco tempo fa non c’era disponibilità di fare tamponi», sostiene François Tomei, presidente di Assocarni, sigla a cui sono associati 120 macelli (ma non quello di Palo del Colle) che rappresentano circa il 70 per cento della produzione in Italia. Solo qualche giorno fa con il nostro partner Unisalute abbiamo lavorato sul tema dei test e dei tamponi. Un mese e mezzo fa la stessa Unisalute ci ha detto che non potevamo farne, neanche privatamente. L’unico mezzo che avevamo era quello di essere molto prudenti». Secondo Assocarni, nei macelli associati i casi di lavoratori positivi al Covid sono stati poche unità. Uno dei macelli più colpiti dal lockdown è stato probabilmente l’impianto Inalca di Ospedaletto Lodigiano. Lo stabilimento, circa 750 dipendenti (di cui 650 circa in appalto), ha dimezzato la sua attività all’inizio dell’epidemia trovandosi ai margini della prima zona rossa di Codogno. «I primi Comuni che hanno dichiarato zona rossa erano vicini al macello, Casalpusterlengo, Codogno, per cui siamo stati messi tutti in quarantena, più della metà siamo rimasti a casa, chiusi nel Comune, e l’azienda è andata avanti con pochissima gente», racconta un dipendente. Quando è passata la quarantena, hanno lasciato a casa più della metà di noi con la cassa integrazione, così hanno creato le condizioni per il distanziamento». Secondo una fonte sindacale interna all’azienda, in quelle prime settimane di epidemia «parecchie produzioni sono state spostate all’impianto Inalca di Castelvetro (di Modena, ndr), dove sono stati assunti altri 50 interinali». In questo impianto, riferisce la fonte, l’azienda e il sindacato hanno verificato quattro casi positivi al Covid, più una dipendente dell’amministrazione. Dopo i casi confermati, aggiunge la fonte, non sono stati fatti tamponi a tappeto agli altri dipendenti. «Sul piano della sicurezza, l’azienda è partita in ritardo. All’inizio abbiamo lavorato a ritmi straordinari, non avevamo protezioni, la gente era pigiata, lavoravamo anche il sabato e la domenica. Poi quando c’è stata la chiusura del governo ci si è messi pian piano in sicurezza». In questi giorni il comitato per la sicurezza dei lavoratori dell’impianto Inalca di Castelvetro ha chiesto di effettuare test sierologici a tutti, ma - secondo fonti sindacali - l’azienda non avrebbe risposto. L’Inalca non è stata disponibile per un’intervista sul tema contagi nelle proprie strutture, né a permetterci di visitare l’impianto. Fonti sindacali denunciano opacità anche in altri macelli in Italia, in particolare proprio per quanto riguarda il mondo dei lavoratori in appalto, che spesso rappresentano la maggior parte della forza lavoro. «Dal nostro osservatorio, possiamo dire che in provincia di Modena c’è stata qualche decina di contagi nei macelli», afferma Marco Bottura, sindacalista Flai Cgil, basandosi su dati statistici Inail e segnalazioni degli stessi lavoratori positivi, «possiamo sospettare che ci siano stati focolai che non conosciamo in tutto il sistema appalti, dove ci sono molti lavoratori stranieri membri di comunità che vivono a stretto contatto e vanno a lavoro con mezzi in comune. Ma ad oggi abbiamo solo notizie per vie traverse o di qualcuno che è venuto a farsi patrocinare». Dello stesso avviso Roberto Montanari, Unione sindacale di base di Piacenza, che rappresenta anche operai della logistica che lavorano nei macelli attraverso gli appalti: «Noi non abbiamo un numero preciso di contagiati. Sappiamo che ci sono stati contagi perché sappiamo quali nostri iscritti hanno usufruito della quarantena». Sono 168 i comuni della Regione a rischio ambientale per eccessivi carichi di azoto legati agli allevamenti intensivi. Eppure continua il flusso di denaro pubblico, mentre le piccole aziende che producono in modo ecologico scompaiono in silenzio. L'indagine dell’Unità investigativa di Greenpeace. Uno stato di agitazione e uno sciopero sono stati proclamati a inizio marzo dai lavoratori dell’impianto Aia di San Martino Buon Albergo (Verona), uno dei macelli avicoli più grandi d’Italia con oltre 2.200 dipendenti e 160 mila polli macellati ogni giorno. «Nel settore della macellazione e della lavorazione delle carni avicole è quasi impossibile trovare il distanziamento perché i lavoratori sono gomito a gomito», afferma Paolo Vaghini, sindacalista Fai Cisl di Verona. « A parere nostro bisognava ridurre un po’ le linee. L’azienda per far fronte all’aumento della richiesta di mercato invece ha attivato unilateralmente lo straordinario obbligatorio», rimasto fino ai primi di giugno. Secondo Vaghini lo stato di agitazione è stato ritirato dopo che l’azienda ha assicurato ai lavoratori dispositivi di protezione individuale e una migliore gestione dei turni. Il sindacalista non possiede dati esatti dei numeri di contagio nell’impianto, ma parla di alcune unità, e conferma che a oggi nello stabilimento non sono stati fatti tamponi o test a tappeto. Anche nell’area di Forlì e Cesena, distretto di produzione avicolo, fonti diverse riferiscono di casi di Covid negli impianti di macellazione avicoli: «Ci sono stati casi nei macelli», afferma un dipendente di un’associazione di lavoratori. «In Romagna abbiamo molti macelli avicoli e ci sono stati casi anche qui, ma sono riusciti a individuarli: in genere hanno creato un sistema a squadre, in modo che quando si rilevava un’infezione in un turno si fermava tutto il turno, che non aveva mai commistione con altri turni, con altri settori». Alessandro Scarponi di Uila Uil riferisce che nel periodo dell’epidemia anche il principale macello di Amadori, a San Vittore, ha assunto 100 nuovi dipendenti per far fronte alla produzione. Negli ultimi giorni di giugno fonti di stampa riferiscono di due nuovi focolai scoperti in un macello e in un impianto di lavorazione carni nel Mantovano, ciascuno con 12 casi accertati di lavoratori positivi al Covid19. Nel macello, situato a Viadana e di proprietà del gruppo Pini, l’azienda ha chiesto di fare i tamponi a tutti i 400 dipendenti per conoscere la reale dimensione del focolaio. Alla luce dei focolai nati nel mondo intorno a questo tipo di impianti, la scelta di fare tamponi a tappeto in caso di alcuni lavoratori positivi al virus sembra quanto mai necessaria. Resta poi inesplorato un altro aspetto, quello della logistica che ruota intorno a questa industria. «Nella città dove abito ci sono all’incirca 10 mila persone che lavorano nella logistica, tra questi ci sono quelli dei macelli», continua Roberto Montanari. «Hanno continuato a girare per tutto questo periodo. Piacenza è una delle città che ha avuto il massimo numero di contagiati e morti. È difficile pensare che così tante persone che giravano non abbiano contribuito alla diffusione del virus».
"Lo studio: cani e gatti che vivono con Covid positivi possono infettarsi”. Le Iene News l'11 giugno 2020. Il professor Sergio Rosati ci spiega alcuni dei risultati di uno studio in corso di pubblicazione sul coronavirus e la possibilità di trasmetterlo a cani e gatti. “Su oltre 200 campioni analizzati tra cani e gatti, risulta che circa il 12% dei gatti e il 4% dei cani hanno sviluppato gli anticorpi all’infezione da coronavirus”. Sergio Rosati, professore di scienze veterinarie all’Università di Torino, ci spiega lo studio in corso di pubblicazione del suo dipartimento in collaborazione con l’Università di Bari e una rete di laboratori di diagnostica veterinaria. “Lo studio è nato circa due mesi fa”, spiega Rosati, “quando abbiamo sollecitato i colleghi veterinari per creare una rete a livello nazionale che consentisse di capire il ruolo di cani e gatti in questo contesto epidemico. Abbiamo chiesto di ricevere campioni di sangue di questi animali che coabitavano con pazienti accertati positivi al coronaviurs. Lo abbiamo fatto nella speranza di non trovare nulla”, aggiunge il professore. “Si tratta di uno studio retrospettivo: abbiamo chiesto campioni di sangue che sono stati raccolti dopo la fine della quarantena del proprietario, in modo da non sottoporre a rischi gli operatori che dovevano fare i prelievi. Quindi si tratta di una fotografia di cosa è successo nelle settimane precedenti”. “In questi studi si vanno a cercare gli anticorpi nel sangue degli animali”, continua Rosati. “Ovvero una traccia del fatto che gli animali si sono infettati. Oltre al consenso informato dei proprietari abbiamo chiesto anche alcune abitudini: se l’animale vive in casa o fuori, se ha avuto contatti ravvicinati con il paziente positivo e per quanto tempo”. “Abbiamo esaminato circa 200 campioni tra cani e gatti e più del 12% dei gatti e il 4% dei cani avevano sviluppato gli anticorpi”, conclude Rosati. “Tutti gli animali con anticorpi erano conviventi con uno o più pazienti Covid positivi. Quindi la fonte dell’infezione sarebbe stato il proprietario. Nella maggioranza dei casi si trattava di infezioni asintomatiche negli animali. Con qualche eccezione, in cui è stata riportata una serie di sintomi che potrebbero essere compatibili con l’infezione, ma su questo non possiamo dare al momento un dato certo. C'era ad esempio un caso di rinite, uno di polmonite e un caso trombosi". “Quello che viene fuori dallo studio”, continua il professore Rosati, “è che oggi possiamo dire che una certa percentuale di animali che sono a contatto con pazienti infetti si sono infettati. Quindi le precauzioni che prendiamo per non infettare altre persone dovrebbero essere prese anche per non infettare gli animali. Sarebbe bene che il positivo non avesse contatti ravvicinati con il proprio animale proprio per tutelarlo. Gli animali sono vittime in questa pandemia, non possono essere considerati untori. Non ci sono al momento evidenze che cani o gatti possano trasmettere il virus all’uomo: la linea di trasmissione è uomo-animale, nei pochi casi che abbiamo documentato”. “L’unico sospetto che c’è stato di trasmissione animali-uomo al momento è quello dei visoni in Olanda”, dice il professore riferendosi ai due allevatori di visoni che si sospetta siano stati contagiati dagli animali. Un sospetto che ha portato all’abbattimento di 10mila visoni in Olanda. “E’ comunque plausibile che il virus sia arrivato ai visoni dall’uomo e in condizioni di allevamento intensivo si possa essere poi diffuso tra gli animali”. "Nel caso del cane o del gatto", dice il professore nel video che potete vedere qui sopra, "che non vivono in contesti di allevamenti intensivi, noi non creiamo quelle condizioni per cui il gatto possa poi alimentare la catena di trasmissione virale". "Il nostro studio", conclude il professor Rosati, "consolida una raccomandazione che abbiamo sempre fatto: trattiamo i nostri animali come tratteremmo i nostri familiari”.
Dall’uomo al visone e viceversa: ecco come il virus potrebbe essere mutato. Federico Giuliani su Inside Over il 9 novembre 2020. Un’epidemia nel bel mezzo di una pandemia, e per giunta in uno dei Paesi che meglio sta contenendo il Sars-CoV-2. È questo il doppio paradosso con cui deve fare i conti la Danimarca, nuovo osservato speciale d’Europa. Già, perché Copenaghen, che al momento, dall’inizio dell’emergenza, conta poco meno di 60mila casi e quasi 800 morti, è stata costretta a lanciare un inaspettato allarme per la comparsa di un ceppo di Covid-19 correlato ai visoni. Ad ora sono 12 le persone colpite da questa particolare mutazione del virus, 11 nel nord e una nella Danimarca occidentale. Lo spauracchio degli esperti è che la diffusione di una variante del coronavirus possa rendere vane le ricerche sul vaccino e compromettere tutti gli sforzi fin qui fatti per frenare l’emergenza sanitaria globale. Il motivo è presto detto: il “nuovo” Covid-19 interverrebbe sull’organismo delle persone infette indebolendo la capacità dei loro organismi di formare gli anticorpi. E quindi mettendo a rischio l’immunità in vista di un futuro antidoto. A quanto pare, la malattia generata dal virus mutato non sarebbe grave ma pericolosa quanto basta per trasformare in carta straccia gli studi fin qui effettuati sul misterioso agente patogeno. L’istituto di ricerca danese Statens Serum Institut non ha usato mezzi termini: “Nel peggiore dei casi, rischiamo che la pandemia ricominci da capo con sede in Danimarca”. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), che “sta lavorando con le autorità danesi sulla ricerca e sugli sforzi per controllare il fenomeno”, ha fatto sapere che saranno necessari ulteriori studi per risolvere il rebus.
L’inferno degli allevamenti di visone. Nel frattempo il governo danese non ha potuto far altro che blindare le sette regioni in cui si sono concentrati i casi. Più di 250.000 persone nel nord della Danimarca sono entrate in lockdown. Ma da dove arriva la variazione mutata del coronavirus? Niente meno che dagli allevamenti di visone che si trovano un po’ in tutto il Paese, uno dei principali esportatori mondiali di pellicce di questo piccolo animaletto. Il governo danese ha ordinato l’abbattimento di tutti i 15 milioni di visoni allevati nelle 1.139 fattorie della Danimarca. Lo State Serum Institute, ha sottolineato il Guardian, ha riscontrato dallo scorso giugno almeno 214 persone contagiate da versioni del coronavirus legate proprio ai visoni, anche se, come detto, finora solo 12 soggetti sono stati infettati dal ceppo mutato, riscontrato in cinque allevamenti. “Dobbiamo abbattere completamente questa variante del virus”, ha detto il ministro della Salute danese Magnus Heunicke non nascondendo la potenziale gravità della situazione. E la situazione presente all’interno degli allevamenti di visone presenta le condizioni ideali per consentire la proliferazione dei virus. Proprio come nei wet market asiatici, abbiamo spazi strettissimi, gabbie ammassate l’una sull’altra e tanti animali disposti su lunghi corridoi, pronti per essere uccisi e trasformati in pellicce. Se aggiungiamo il liquame che talvolta bagna i pavimenti – dal sangue delle bestiole agli escrementi passando per altri liquidi – il contatto incessante tra gli allevatori e i visoni e le non sempre adeguate protezioni indossate dagli addetti, il gioco è fatto. Siamo di fronte a uno scenario perfetto per la zoonosi, ovvero il salto di specie.
Condizioni favorevoli. Per capire cosa potrebbe essere accaduto in Danimarca dobbiamo fare un passo indietro e spostarci in Olanda, nei pressi di Amsterdam. Qui, a giugno, si sarebbero registrati i primi “contagi incrociati” tra esseri umani e visoni. Dieurne, una municipalità di quasi 32mila abitanti, è stata teatro di due eventi singolari. In un allevamento di visoni sono stati segnalati casi di animali infettati dal virus Sars-CoV-2. Inoltre, due lavoratori dell’allevamento sarebbero stati contagiati dagli stessi visoni (il condizionale, come detto, è d’obbligo). Immediata la risposta delle autorità: il ministro dell’Agricoltura olandese ha annunciato l’abbattimento di oltre 10mila visoni da allevamento nei luoghi in cui erano stati constatati casi. “Sulla base dei nuovi risultati della ricerca in corso sulle infezioni da virus Sars-CoV-2 presso allevamenti di visoni, è plausibile che si sia verificata un’infezione da visone ad essere umano. Sembra anche, da questa ricerca, che i visoni possano avere Covid-19 senza mostrare sintomi”, affermava il governo olandese lo scorso maggio. Adesso che la stessa situazione si è ripetuta in Danimarca – molto più grave dato il numero di visoni allevati – gli esperti stanno iniziando a studiare il fenomeno con una certa attenzione.
Dall’uomo al visone, dal visone all’uomo. L’ipotesi più plausibile è che un lavoratore di un allevamento, forse asintomatico, possa aver infettato un visone. A quel punto, complici le condizioni favorevoli (spazi stretti e affollati), il virus avrebbe colpito a ripetizione tutti gli animali presenti nelle gabbie. Nel corso delle settimane, contagio dopo contagio, il Sars-CoV-2 potrebbe aver subito qualche mutazione tale da renderlo leggermente diverso dalla sua forma iniziale. A quel punto un visone infettato dalla nuova variante potrebbe averlo restituito ai lavoratori dell’azienda. Più di 50 milioni di visoni all’anno vengono allevati per la loro pelliccia, principalmente in Cina, Danimarca, Paesi Bassi e Polonia. Sono stati segnalati focolai negli allevamenti di animali da pelliccia in Paesi Bassi, Danimarca, Spagna, Svezia e Stati Uniti, e milioni di animali sono stati abbattuti. I visoni, come i loro parenti stretti furetti, sono noti per essere suscettibili al coronavirus e, come gli esseri umani, possono mostrare una serie di sintomi, fra cui anche la polmonite. Il visone si infetta dagli esseri umani. Ma il lavoro di indagine genetica avrebbe mostrato che in un piccolo numero di casi, nei Paesi Bassi e ora in Danimarca, il virus avrebbe compiuto il percorso inverso: dal visone all’uomo. Al momento sono in corso studi per scoprire come e perché i visoni siano stati in grado di diffondere l’infezione.
Da "huffingtonpost.it" il 5 novembre 2020. Il primo ministro danese, Mette Frederiksen, ha fatto sapere il governo intende abbattere tutti i visoni negli allevamenti del Paese, circa 15 milioni, per ridurre al minimo il rischio che ritrasmettano il coronavirus agli esseri umani. Frederiksen ha riferito che il rapporto di un’agenzia governativa che mappa il Covid-19 ha mostrato una mutazione nel virus trovata in 12 persone nella parte settentrionale del Paese, che sono risultate infettate dai visoni. Il ministro della Sanità, Magnus Heunicke, ha detto che la metà dei 783 casi di Covid-19 nel nord della Danimarca “sono legati” al visone. ”È molto, molto serio - ha affermato Frederiksen - Pertanto, il virus mutato nei visoni può avere conseguenze devastanti in tutto il mondo”. La Danimarca è uno dei principali esportatori mondiali di pellicce di visone, producendo circa 17 milioni di pellicce all’anno. Kopenhagen Fur, una cooperativa di 1.500 allevatori danesi, rappresenta il 40% della produzione mondiale delle pellicce di questo animale. La maggior parte delle esportazioni va in Cina e Hong Kong. Secondo le stime del governo, l’abbattimento dei 15 milioni di visoni del Paese potrebbe costare fino a 5 miliardi di corone (785 milioni di dollari). Il capo della polizia nazionale Thorkild Fogde ha detto che “dovrebbe accadere il prima possibile”. Il ministro danese per l’Alimentazione, Mogens Jensen, ha riferito che 207 aziende sono state infettate, rispetto alle 41 del mese scorso, e la malattia si è diffusa in tutta la penisola occidentale dello Jutland. Il mese scorso, la Danimarca ha iniziato ad abbattere milioni di visoni nel Nord del paese. Il governo ha promesso di risarcire gli allevatori. Il Paese ha registrato 50.530 infezioni e 729 decessi.
Covid e visoni, emergenza in Danimarca. E l'Italia cosa aspetta a chiudere gli allevamenti? Le Iene News il 06 novembre 2020. Allarme e misure di emergenza in Danimarca dopo che 214 persone sono state contagiate dai visoni con una forma di coronavirus mutata. Il problema potrebbe riguardare anche gli allevamenti in Italia: due in Lombardia non rispetterebbero le norme igieniche necessarie e si conterebbero già due casi secondo la Lav. Che chiede al governo di vietare l'allevamento di visoni nel nostro paese. “Vietate definitivamente in Italia l'allevamento di visoni e di animali per la produzione di pellicce”. È l’appello della Lav, la Lega antivivisezione al governo italiano dopo l’emergenza che sta coinvolgendo la Danimarca dove 214 persone sono state infettate dai visoni con una forma di coronavirus mutata (12 in particolare da una variante che sarebbe meno sensibile agli anticorpi). Per questo sono stati vietati gli spostamenti di 280mila persone che vivono nella zona del nord dello Jutland vicino ai grandi allevamenti intensivi di questi animali, in un paese che è il secondo più grande produttore al mondo di pellicce dopo la Cina. Le misure sono state annunciate in diretta tv dalla premier Mette Frederiksen, assieme all’abbattimento di 17 milioni di esemplari. Tutto sarebbe partito da un allevamento intensivo danese in cui migliaia di visoni convivono in spazi estremamente limitati. Qui il virus “trova un ambiente ideale per replicarsi, evolvere e dunque subire mutazioni”, spiegano dalla Lav. Gli animali si ritrovano a convivere in gabbie strettissime: non hanno spazio per muoversi, arrampicarsi o nuotare. Questa specie di carnivori semiacquatici si ritrova in queste condizioni a dover vivere anche tra i cadaveri dei loro simili. Stando in gabbia, basta solo che un animale sia infetto per trasmettere il virus a tutti i suoi simili. “Questi piccoli carnivori sono stati chiamati in causa come una specie intermedia che potrebbe traghettare il virus dall’ambiente selvatico del pipistrello all’uomo” ci ha spiegato Sergio Rosati, professore di Scienze veterinarie all’università di Torino nel video che potete vedere qui sopra. “Le condizioni di un allevamento intensivo possono amplificare le infezioni, in una stretta promiscuità in cui il virus potrebbe adattarsi a una nuova specie ed essere fonte quindi di infezioni anche per noi”. A questo si aggiunge il mancato rispetto delle norme igieniche in alcuni allevamenti: ci sarebbe personale che entra nelle gabbie senza alcuna protezione, né mascherine, né calzari o tute. Ma neppure le strutture seguirebbero le norme di sicurezza garantendo delle zone dove è possibile isolarsi tra l’interno e l’esterno dell’allevamento per igienizzarsi e decontaminarsi. Questo problema riguarda anche l’Italia che conta oltre 60mila visoni. Ci sono 8 allevamenti: 3 in Lombardia tra Brescia e Cremona, 2 in Veneto tra Padova e Venezia, altrettanti in Emilia-Romagna e uno in Abruzzo. Secondo la Lav due allevamenti lombardi non avrebbero rispettato le norme igieniche con animali sofferenti e allevatori privi di protezioni. “Almeno due campioni prelevati nel mese di agosto dai visoni di un unico allevamento sono risultati positivi al Sars-Cov-2 e l’informazione è arrivata solo dopo i nostri numerosi e insistenti appelli e le nostre istanze di accesso agli atti”, fa sapere la Lav. Non è stata presa però alcuna decisione in merito “invece di avviare un rigoroso screening con test diagnostici in tutti gli allevamenti di visoni in Italia”. “Ha senso continuare ad allevare migliaia di visoni per la produzione di pellicce consapevoli che può portare all’ulteriore diffusione del coronavirus anche in una forma mutata e potenzialmente più pericolosa?", si chiede Simone Pavesi, responsabile Lav Area Moda Animal Free. Alla sua domanda ne aggiungiamo un’altra: non è arrivato il momento di chiudere gli allevamenti di visoni, destinati alla produzione di pellicce? C’è chi è disposto a farlo come Massimiliano Filippi. “Se il governo decidesse di chiudere gli allevamenti, chiuderei anche il mio”, ci ha detto. “Ma dovrebbero dare un compenso per convertire l’attività”.
Coronavirus nei visoni, l'Italia sta facendo il possibile per scongiurare il pericolo? Le Iene News l'11 novembre 2020. L’Italia avrebbe atteso oltre due mesi prima di comunicare il primo contagio dei visoni nei nostri allevamenti. Perché? E perché non ha fatto i test di massa come in Olanda? Giulia Innocenzi proverà a rispondere a tutte queste domande nel servizio in onda giovedì a Le Iene. Perché l’Italia avrebbe impiegato più di due mesi per comunicare all’Organizzazione mondiale della sanità animale il primo caso di visone contagiato? E perché non ha testato tutti gli allevamenti come ha fatto l’Olanda, ma solo quelli dell’allevamento col caso di positività? Sono alcune delle domande che solleva Giulia Innocenzi su come l’Italia ha gestito l’allarme coronavirus negli allevamenti di visoni, nel servizio che andrà in onda giovedì nella puntata de Le Iene. La Danimarca, primo paese in Europa per la produzione di pellicce, sta abbattendo i suoi 17 milioni di visoni, dopo che è stato scoperto una mutazione di coronavirus avvenuta dopo che l’uomo ha contagiato i visoni, e gli animali hanno trasmesso a loro volta il virus all’uomo. Il rischio è che la nuova variante di coronavirus, infatti, potrebbe rendere meno efficace il vaccino in produzione, che si basa sul covid originale. Così la Danimarca, per scongiurare il pericolo, ha deciso di abbattere tutti i visoni sul suo territorio. E l’Italia? Il primo caso di visone contagiato risale al 10 agosto in provincia di Cremona, e viene scoperto perché in seguito alla positività di un lavoratore si procede a testare gli animali dell’allevamento. Viene trovato soltanto un altro animale positivo. Con una lettera indirizzata all’Organizzazione mondiale per la sanità animale l’Italia dà conto dei contagi avvenuti. Ma aspetterebbe più di due mesi per farlo: la lettera è datata infatti 30 ottobre. E cioè tre giorni dopo che la Lav, l’associazione per i diritti degli animali, rende pubblica la notizia dei visoni contagiati in Italia, dopo che finalmente gli enti preposti rispondono ai loro pressanti quesiti. L’Italia ha aspettato davvero tutto questo tempo prima di informare la comunità internazionale? Se sì, perché, visto che la tempestività è una delle armi fondamentali per combattere il coronavirus? E perché l’opinione pubblica non è stata informata? Gli abitanti nei pressi dell’allevamento non avevano diritto di sapere cosa stava avvenendo? C’è un altro aspetto su cui la Innocenzi mette la lente d’ingrandimento, e cioè le misure preventive adottate dalle autorità sanitarie. In Olanda, dopo il primo caso di contagio già nel mese di maggio, sono stati istituiti test obbligatori a tutti gli esemplari di visoni negli allevamenti per pellicce. In Italia, invece, si è proceduto a fare i test soltanto nell’allevamento dove sono stati registrati i primi contagi (1124 su 26.000 animali). Per gli altri allevamenti, come scritto nella circolare del ministero datata 14 maggio, si chiede di osservare gli animali e verificare se hanno sintomi, come l’inappetenza o problemi respiratori, e poi eventualmente procedere ai test. E i casi asintomatici? Perché non è stato fatto un test di massa anche in Italia proprio come in Olanda, dove così hanno scoperto numerosi focolai? Infine, quanti sono gli allevamenti di visone operativi oggi in Italia? Secondo il ministero della Salute, come risulta nella comunicazione fatta all’Organizzazione mondiale della sanità animale, 9. Secondo la Lav, che ha fatto un censimento chiedendo direttamente alle singole Regioni, 8, per un totale di poco più di 60.000 animali. Tutte domande che Giulia Innocenzi ha rivolto al ministero della Salute, ma dall’ufficio stampa le hanno risposto che la richiameranno. C’è tempo fino a domani sera, prima della puntata de Le Iene, per dipananare ogni dubbio.
In Spagna 100mila visoni saranno abbattuti perché positivi al coronavirus. Le Iene News il 17 luglio 2020. Dopo l’Olanda e la Danimarca, anche in Spagna sono tantissimi i visoni d’allevamento che verranno uccisi perché risultati positivi al coronavirus. A Iene.it aspettando Le Iene Giulia Innocenzi ha intervistato il professor Sergio Rosati: “Le condizioni di un allevamento intensivo possono amplificare l’infezione tra la specie”. Dopo l’Olanda e la Danimarca, anche in Spagna tantissimi visoni verranno abbattuti perché positivi al coronavirus. Sono i circa 100mila i capi dell’allevamento di La Puebla de Valverde, nella regione di Aragona, l’87% dei quali è risultato positivo. Le autorità locali ne hanno disposto l’abbattimento “per evitare il rischio di trasmissione del virus alle persone”, come ha detto il ministro dell’Agricoltura dell’Aragona Joaquin Olona, anche se non esistono prove certe che il coronavirus si trasmetta dai visoni all’uomo. Il primo caso di abbattimento di visoni per sospetto contagio era stato quello in Olanda, dove due allevatori avevano contratto il coronavirus. Intervistato da Giulia Innocenzi per Iene.it: aspettando Le Iene a proposito di questo sospetto contagio, il professor Sergio Rosati, ha spiegato: “È plausibile che un lavoratore in questi allevamenti abbia contagiato il visone”. “I visoni come i furetti sono specie suscettibili, quindi in grado di essere contagiati dall’uomo”, ci aveva spiegato. “Inoltre le condizioni di un allevamento intensivo possono amplificare l’infezione tra la specie”. “I visoni stanno in gabbia negli allevamenti e questa è una sicurezza”, ha replicato Massimiliano Filippi, allevatore di visoni, nell’intervista che potete vedere qui sopra. “Così non possono scappare”. Il problema degli allevamenti sembra però essere che se si contagia un animale, si contagiano anche tutti gli altri. Così chiediamo a Filippi se non sia arrivato il momento di chiudere gli allevamenti di visoni, destinati alla produzione di pellicce. “Ci sono tante cose futili che produciamo. Se il governo decidesse di chiuderli chiuderei anche il mio, ma dovrebbero dare un compenso per convertire l’attività”. Intanto, però, sono già tanti i visoni abbattuti per il coronavirus. I casi dei visoni abbattuti per il coronavirus hanno portato la Lav, insieme a Fur free alliance e a Essere animali, a tornare a chiedere all’Italia di vietare gli allevamenti di animali per produrre pellicce. Secondo Essere animali nel nostro Paese, a dicembre 2019, sono attivi una decina di allevamenti che secondo la loro stima avrebbero ucciso oltre 100mila animali. L’Italia infatti, insieme a Francia, Portogallo e Irlanda, è uno dei pochi Paesi europei a non aver ancora introdotto il divieto di allevamento di animali allo scopo di produrre pellicce. Forse l’arrivo di una nuova e devastante epidemia, che come vi abbiamo raccontato con il nostro Gaston Zama è stata proprio causata dal nostro sfruttamento ai danni degli animali, spingerà finalmente la politica a mettere un freno a queste terribili pratiche.
Virus trasmesso dall'uomo. Coronavirus, focolaio in un allevamento di visoni: animali salvati dal macello. Redazione su Il Riformista il 4 Maggio 2020. Risultati positivi al coronavirus i visoni di un allevamento in Olanda saranno così salvati dal macello per essere trasformati in pellicce. L’allevamento, infatti, è stato segnalato come focolaio dell’infezione dopo che alcuni dipendenti hanno mostrato sintomi di Covid-19. Al momento si ritiene che sia stato l’uomo a trasmettere il virus all’animale e non viceversa. L’Istituto olandese per la sanità pubblica e l’ambiente (Rivm) ha deciso che gli animali non saranno abbattuti perché la macellazione potrebbe esporre il personale a rischi maggiori. Vietato anche il trasferimento dall’allevamento per evitare di diffondere l’infezione. I lavoratori dell’allevamento dovranno ora essere forniti i dispositivi di protezione e dovranno segnalare la comparsa negli animali di ogni segno clinico dell’infezione. Secondo i ricercatori, nonostante la marginalità del fenomeno, non può essere escluso l’impatto di infezioni animali sulla salute umana e per questo l’allevamento olandese sarà trasformato in un laboratorio naturale per studiare l’epidemia in questa specie. Saranno quindi avviate una serie di analisi sugli animali contagiati e su quelli morti. I visoni, allevati soprattutto nel Nord-Est della Cina, sono infatti una delle specie nelle quali potrebbe essere nato il nuovo coronavirus.
Coronavirus, in Olanda abbattuti 10 mila visoni dopo casi di sospetta trasmissione del contagio all'uomo. Pubblicato lunedì, 08 giugno 2020 su La Repubblica.it da Gabriella Colarusso. La decisone è presa: l’Olanda abbatterà circa 10mila visoni da pelliccia dopo che sono stati individuati due possibili casi di trasmissione del virus Sars-CoC-2 dagli animali all’uomo. Alla fine della scorsa settimana, gli allevamenti intensivi hanno già cominciato gli abbattimenti: casi di infezione tra gli animali sono stati trovati in 10 fattorie del Paese, secondo la Food&Wares authority olandese. “Tutte le fattorie di allevamento di visoni in cui vi è un’infezione saranno eliminate e le fattorie in cui non vi sono infezioni non lo saranno”, ha spiegato la portavoce dell’agenzia. Gli animalisti avevano cercato di bloccare l’abbattimento, ma il via libera è arrivato dopo che il tribunale di Amsterdam ha bloccato il ricorso presentato dalle associazioni. I primi casi di coronavirus negli allevamenti erano stati individuati ad aprile, a maggio il governo aveva comunicato due casi di trasmissione dagli animali all’uomo, i primi fuori dalla Cina. I visoni, anche cuccioli, verranno abbattuti con il gas, i corpi smaltiti e le aziende sanificate. Le associazioni animaliste che si battono contro la produzione e il commercio di pellicce chiedono la chiusura degli stabilimenti produttivi: “Chiediamo ai 24 Paesi in tutto il mondo che consentono ancora l’allevamento di visoni di valutare molto rapidamente la situazione e le prove provenienti dai Paesi Bassi”, ha dichiarato Claire Bass, direttore della Humane Society International del Regno Unito. Secondo l’organizzazione, Cina, Danimarca e Polonia sono i maggiori produttori di visoni, ogni anno vengono abbattuti 60 milioni di visioni per le pellicce. In Olanda, secondo i dati la Federazione olandese degli agricoltori Pelt riportati dalla Reuters, ci sono 140 allevamenti di visoni che esportano 90 milioni di euro di pellicce l’anno. In Italia sulla vicenda è intervenuto Massimo Comparotto, presidente dell’Oipa, organizzazione internazionale protezione animali: “Ci appelliamo al Governo italiano affinché decida la chiusura di tutti gli allevamenti di animali da pelliccia in Italia, purtroppo ancora attivi in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Abruzzo, prevedendo il recupero e la riabilitazione degli animali”, ha dichiarato. “In questi stabilimenti gli animali vivono per lo più in pessime condizioni igieniche e lo stress che subiscono dalla nascita all’uccisione è altissimo, costretti come sono a subire un'angusta cattività in scenari d’inferno”.
Coronavirus, chi si prende cura degli animali domestici dei pazienti? Antonino Paviglianiti il 20/04/2020 su Notizie.it. Coronavirus, ma dove vanno a finire gli animali domestici se si trovano in case di pazienti positivi? Chi si prende cura di loro? Dove finiscono gli animali domestici durante il periodo di coronavirus? L’iter, a volte, sembra uguale: il paziente – a casa, spesso da solo – si ammala disperatamente. L’ambulanza arriva finalmente per portarlo via. Quindi, una seconda squadra, vestita con una tuta ignifuga, segue per salvare un membro della famiglia abbandonato nel caos e improvvisamente bisognoso di un nuovo ‘ricovero’: l’animale domestico del paziente. Ed è quanto sta accadendo, per esempio, a El Rifugio di Madrid: le squadre di questa associazione finiscono per collocare gli animali domestici in case adottive con persone che si prenderanno cura di loro. Migliaia di animali in Spagna sono stati dimenticati in uno dei più grandi e mortali focolai di coronavirus del mondo. Allo stesso tempo, la richiesta di adottare cani e gatti è aumentata durante il blocco. “La grande notizia è che ora ci sono molte più persone che si sono offerte di prendersi cura di un animale domestico rispetto al numero che abbiamo dovuto salvare”, ha dichiarato Nacho Paunero, presidente di El Refugio. Ma l’intensità dell’epidemia del Paese sta sollevando alcune questioni etiche e pratiche per i lavoratori della protezione degli animali. Sono preoccupati che la fretta di adottare animali domestici non sia sempre nel miglior interesse degli stessi e in alcuni casi hanno iniziato a porre dei limiti. Gli amministratori dei rifugi si stanno chiedendo quanto siano impegnati i proprietari adottivi a tenere i loro nuovi animali domestici o se li abbandoneranno dopo la fine dell’emergenza. Poiché il passeggio con cane è una delle poche attività esenti dal rigoroso blocco della Spagna, i lavoratori del rifugio per animali temono che ciò abbia spinto la domanda di adozioni. Dal 14 marzo, il paese ha tenuto i suoi 47 milioni di residenti sotto stretto controllo e attentamente monitorati, vietando a quasi tutti, compresi tutti i bambini, di fare anche una breve passeggiata fuori casa. “Se hai fretta di adottare, vedo che è un segnale molto negativo, soprattutto perché è chiaro che ci sono persone che vogliono adottare per avere una scusa per camminare per le strade – il che a sua volta significa che questi animali potrebbero essere restituito a noi o abbandonato”, ha dichiarato Javier Rodellar, presidente di Anerpa, un’associazione per la protezione degli animali. Rodellar ha dichiarato che il suo gruppo ha sospeso tutte le adozioni e limitato i tirocini temporanei alla sua cerchia di volontari e sostenitori da quando la Spagna è stata chiusa a metà marzo. Da allora ha respinto almeno 50 richieste di adozione. Anerpa sta proteggendo tutti i suoi animali per ora, ha detto Rodellar, una decisione che sta ribassando considerevolmente le sue finanze. Ha riconosciuto che le associazioni spagnole per il benessere degli animali si sono divise sulla questione, con alcuni ragionamenti secondo cui qualsiasi badante è meglio di niente. Luz Vaillo, che gestisce un rifugio nella città di Salamanca, ha affermato di aspettarsi che molti dei sette cani adottati il giorno prima che il blocco della Spagna entrasse in vigore saranno restituiti, ma è fiducioso che nel frattempo si troveranno ben. “È impossibile sapere cosa motiva esattamente qualcuno, quindi possiamo solo sperare che nessuno abbandonerà di nuovo un cane non appena tutte le restrizioni di movimento saranno revocate”, ha affermato la signora Vaillo. El Refugio sta mettendo gli animali domestici solo in affidamento per ora. “Faccio una distinzione tra un’adozione, che è per sempre, e la necessità di trovare una soluzione di emergenza temporanea”, ha dichiarato Paunero, di El Refugio. In alcuni casi, i proprietari di animali domestici si sono ammalati in rapidità scioccante. “Nei casi più drammatici, purtroppo, abbiamo dovuto prelevare un animale da un appartamento subito dopo che i servizi di emergenza avevano rimosso il cadavere del suo proprietario”, ha affermato Paunero. Quello che succede dopo per gli animali domestici è spesso l’improvvisazione. Mentre El Refugio organizza missioni di salvataggio a Madrid, le sorti di altri animali domestici in Spagna spesso rimangono in bocca al passaparola: un vicino chiede se qualcuno può aiutare, un soccorritore che cerca di trovare un parente. In genere, se il proprietario ha una possibilità di tornare a casa, il nuovo accordo è temporaneo. Come per Antonio Viñas, 46 anni, ricoverato in ospedale a Madrid, “è successo tutto un po’ troppo all’improvviso” per fare piani di emergenza per il suo cane, Augusto, uno Spitz tedesco bianco con la faccia color crema. Augusto è stato collocato nella casa dei vicini, Ariel Framis, 15 anni, e sua madre, Alicia, che non avevano mai incontrato il signor Viñas, ma hanno accettato di accogliere Augusto dopo aver sentito da un amico che un cane nel loro quartiere aveva urgentemente bisogno di cure. Ora, Ariel e sua madre inviano aggiornamenti quotidiani al Sig. Viñas, condividendo foto e storie su Augusto che “chiaramente portano un po’ di gioia nel suo letto d’ospedale”, ha detto la signora Framis. Anche Ariel ha tratto beneficio dal prendersi cura di Augusto. “Abbiamo sempre pensato di avere un cane, ma non sembrava davvero possibile perché viviamo in un appartamento, mia mamma lavora e normalmente sono a scuola o all’allenamento di basket”, ha detto Ariel. “Ma ora sono bloccato a casa e mi diverto davvero a giocare con Augustus”.
Caterina Maniaci per “Libero quotidiano” il 2 aprile 2020. Milo è un bel cavallo giovane. Vivace, affettuoso, sempre pronto a sgambettare felice nel prato adiacente al suo box, ancora più felice quando vagabonda, a passeggio nei campi, con il suo padrone, che appena può scappa da Milano e lo raggiunge in questo maneggio in un angolo della campagna milanese. Ora da giorni Milo guarda sconsolato al di là del ristretto orizzonte del suo box, aspettando un giorno dopo l' altro che il suo amico torni. Ma i giorni passano e lui non arriva, è già tanto che qualcuno lo faccia mangiare e gli faccia fare qualche giro alla corda. Il suo padrone, isolato a casa, non sa che fare. «Che ne sarà di lui, se non posso andarci io?», si dispera l' uomo. E il suo grido d' allarme si associa a quello di molti altri. «Perché il cane si può portare a fare una passeggiata, per farlo muovere, e il cavallo no?», è infatti la domanda legittima che si stanno facendo tutti coloro che hanno scelto di condividere la propria vita con questi meravigliosi animali. Le disposizioni governative impediscono gli spostamenti e quindi di raggiungere i maneggi. Eppure i cavalli sono animali da compagnia e molto spesso sono anche un necessario aiuto in molte attività, dalla ippoterapia - che aiuta disabili, autistici - a lavori agricoli, ad attività turistiche, allo sport a livello agonistico. All' associazione Italian Horse Protection di Volterra, in Toscana, sta arrivando una valanga di accorate richieste di aiuto. Raccontano storie come quelle di Milo e del suo amico. Il presidente di Ihp Sony Richichi ha lanciato un nuovo allarme: «Oltre che per la grande sofferenza che i cavalli stanno subendo a causa della forzata reclusione nei box, siamo molto preoccupati per il fatto che la sospensione delle attività, specialmente se dovesse protrarsi nel tempo, potrebbe indurre alcuni centri ippici a dare via i cavalli per sopravvenute difficoltà. È concreto il rischio che centinaia di cavalli vengano ceduti ai commercianti e che molti finiscano al macello». Ad Agazzano, nella campagna intorno a Piacenza, c' è un luogo che si contrappone a queste visioni desolate. Ma anche qui le preoccupazioni e la consapevolezza dei rischi non mancano. Li ha molto chiari Nicoletta Carnazzi, nella sua azienda agricola e allevamento di cavalli di Rio Fontanino, che gestisce con il marito, insieme alla NGA Horses, società sportiva dilettantistica, dove si danno lezioni di equitazione. O almeno si davano, fino a un mese fa. «Ci occupiamo di una cinquantina di cavalli, tra quelli nostri e quelli a pensione. Da oltre tre settimane i proprietari non possono venire, quindi siamo noi - io, mio marito, il nostro lavorante, e persino mio figlio quattordicenne - a portare sul paddock i cavalli, gli facciano mangiare l' erba, insomma ci occupiamo di loro, dalla mattina alla sera. Lo facciamo volontariamente, senza costi aggiuntivi. Questa è un' oasi felice, con tanto spazio libero, gli animali non rischiano certo l' incuria. I proprietari telefonano, chiedono notizie, noi mandiamo le foto dei cavalli e loro si rincuorano», racconta a Libero Nicoletta. Ma, si chiede, cosa avverrà tra uno o due mesi, se i proprietari non dovessero più farcela a pagare le loro rette? E che succede in maneggi e allevamenti più piccoli, dove si moltiplicano le difficoltà, dove non c' è nessuno che possa portare a camminare i cavalli, che sono confinati in spazi ridotti, se non addirittura nei box? «Una cosa è certa», afferma Nicoletta, «un cavallo non può rimanere fermo a lungo, ne va della sua vita. E soffre di solitudine. Se i proprietari non possono occuparsene, se la crisi che arriverà dopo questa emergenza li costringerà a non poter più pagare la pensione, che fine faranno questi animali? Come saranno ridotti dopo mesi di inattività, di cibo razionato e senza pulizia?» Se almeno si potesse permettere ai proprietari di andare una volta alla settimana dai loro cavalli, per accudirli...Esiste un mondo di attività, di produttività, di lavoro, di passione che rischia di finire in pezzi. Le cifre non sono cosa da poco. «Penso a quello che sta succedendo da noi. Stop alle lezioni di equitazione, l' allevamento è fermo, anche perché le nostre fattrici non sono state ingravidate e quindi non figlieranno. E tutte le attività sportive, le gare, l' indotto? Perdite immense...». Mantenere un cavallo, praticare l' equitazione non è cosa da privilegiati, non è un' attività di nicchia. «Ci sono persone che anche con uno stipendio di 1200 euro al mese riescono a ritagliare una quota per quella che è una vera passione, un legame affettivo inossidabile», spiega ancora Nicoletta Carnazzi. Anche perché pagare un maneggio può costare dai 200 ai 600 euro al mese, costi non impossibili. Senza contare che per molti bambini con disabilità la terapia con il cavallo è irrinunciabile.
Dagospia il 24 marzo 2020. Da “la Zanzara - Radio 24”. A un certo punto il conduttore Giuseppe Cruciani gli chiede: ho visto nei necrologi anche dei cacciatori morti per il coronavirus. E Paolo Mocavero, capo dell’associazione 100 per 100 animalisti, risponde così: “E chi se ne fotte. Non me ne frega niente, dov’è il problema? Per le altre persone mi dispiace un sacco, massimo rispetto. Dei cacciatori morti non me ne frega niente. Il cacciatore è un uomo di merda. Se muore, io godo. Devono morire tutti, sti pezzi di merda. Voi dite quello che volete, io dico quello che penso”. Così dice Mocavero durante La Zanzara su Radio 24. Ma vorresti che morissero tutti di coronavirus, domanda ancora Cruciani?: “Magari, questa sarebbe una gran bella cosa. Per tutte le altre persone sono dispiaciuto come te, come altri animalisti. Dei cacciatori me ne sbatto i coglioni, devono morire tutti”. Dunque saresti contento se il virus uccidesse in maniera selettiva tutti i cacciatori: “Sarebbe un colpo al superenalotto, una botta di culo mai vista”. I cacciatori potrebbero fare lo stesso ragionamento con te: “Assolutamente. Sono liberi di pensarlo e ci mancherebbe altro. Il mio non è odio. Gli animalisti al contrario dei cacciatori salvano le vite, non le tolgono. Sono due cose un po’ diverse. Se crepa un cacciatore vuole dire che animali vivono, quindi il cacciatore può andarsene affanculo. Se muore me ne sbatto i coglioni”. Ma alcune associazioni hanno fatto delle donazioni per combattere il virus, voi cosa avete fatto: “Hanno fatto questa donazione per ripulirsi l’immagine di merda che hanno. E poi non saranno soldi loro, ricevono un sacco di sovvenzioni. Così sono buoni tutti”
Da “Libero quotidiano” il 23 marzo 2020. Arrivano tranquille quando il sole è sorto da poco, sguazzano tutto il giorno nell' acqua approfittando ella bella stagione e soprattutto dell' improvvisa mancanza degli umani. Il precedente avvistamento risale a un anno fa. Ma ora le anatre sono tornate nella fontana della Barcaccia, in piazza di Spagna a Roma, e chissà se sono le stesse. Ora si cercherà di capire la loro provenienza: c' è pure il sospetto che qualcuno le abbia abbandonate. «Le stiamo notando da almeno tre giorni - ha raccontato un agente della polizia Municipale in servizio proprio nella piazza - arrivano all' alba e poi la sera volano via per poi tornare».
DAGONEWS il 21 aprile 2020. Ci sono voluti 45 minuti, ma alla fine ce l’hanno fatta. Un gruppo di poliziotti è stato chiamato all’inseguimento di un maiale a Stamford, nel Connecticut. Ma l’animale non ne voleva sapere di farsi acchiappare e per quasi un’ora gli agenti sono stati impegnati in un rocambolesco inseguimento. Il tutto filmato dalla telecamera di sicurezza di un poliziotto che, inconsapevolmente, stava girando un’esilarante scena destinata a diventare virale. Alla fine il maiale è stato acchiappato e la sua corsa è finita sotto a un bidone che la polizia ha usato per bloccarlo e restituirlo ai proprietari.
Gianluca Roselli per il “Fatto quotidiano” il 21 aprile 2020. A colpire di più è forse il video in cui si vedono due piccoli cerbiatti , due "bambi", tranquillamente a passeggio nel centro storico di Casale Monferrato . Poi si fermano incantati, davanti alla vetrina di un parrucchiere, naturalmente chiuso. Ci rimangono diversi secondi, incuriositi. Come a chiedersi: ehi, dove siete finiti tutti? Poi se ne vanno trotterellando, e uno di loro quasi scivola con gli zoccoli sul pavé lustro. Ma in questi giorni sembra di essere dentro il Libro della Giungla. Perché sono tantissimi gli avvistamenti di animali nelle città e a ridosso dei centri abitati. A Montebelluna (Treviso) è stata filmata una famiglia di anatroccoli a passeggio in centro: davanti la mamma, dietro una decina di piccoli. A Prato un vigile urbano scorta una famiglia di papere che attraversa la strada. "Prego, passate pure". A Milano nei parchi si sono rivisti i leprotti , mentre alcune anatre sono comparse in piazzale Cadorna. A Roma si è più abituati, tra gabbiani e cinghiali che rovistano nella monezza. Ma, da quando è iniziato il lockdown, pure nella Capitale si sono fatti avvistamenti miracolosi. Nel parco dell' Appia, istrici e volpi , sugli alberi del Lungotevere, addirittura i barbagianni . A far compagnia ai piccoli pappagalli verdi di cui Roma è solitamente piena. Più noi umani siamo invisibili, asserragliati in casa per l' emergenza Covid, più gli animali si riprendono i loro spazi. "Noi siamo prepotenti e invasivi. Appena facciamo un passo indietro, loro riacquistano terreno. Li vediamo nei centri urbani perché non avvertono il pericolo. Gli animali sono molto curiosi: senza automobili e uomini non si sentono minacciati e vengono in esplorazione, alcuni anche in cerca di cibo. Gli spettacoli naturali cui assistiamo in questi giorni sono tra le poche cose positive del virus", osserva Mario Tozzi, geologo del Cnr e volto televisivo della Rai. Altri animali visti sul web in ordine sparso. Un meraviglioso daino che gioca con le onde sul litorale della Maremma . Una famiglia di oche in fila indiana a Marina di Pietrasanta . Chissà, magari neanche loro vogliono più vedere i milanesi incolonnati sul lungomare di Forte dei marmi Tre maestosi cervi a spasso nelle vicoli di un borgo in Abruzzo . A Burano , a pelo d' acqua, si sono rivisti i cigni. Due caprioli sono stati ripresi nel giardino di una scuola ad Alba , in Piemonte. E poi ci sono i pesci. Nel porto di Napoli e a Cagliari si sono rivisti i delfini , mentre alcuni polpi sono stati filmati sulla banchina di Marina Grande a Capri . Sempre nelle acque del porto di Napoli avvistati pure alcuni tonni e qualche squaletto. In Trentino, invece, si è rivisto pure l' orso M49 : l' animale catturato la scorsa estate perché ritenuto "problematico", che poi è riuscito a scappare dal centro faunistico del Casteller (Trento) scavalcando un recinto elettrificato. Ma sono gli avvistamenti in città a fare più effetto. Strade deserte e animali che scorrazzano, come in certe scene di film catastrofisti, dove la razza umana si è estinta, o quasi. O come la città fantasma di Pripyat, vicino Chernobyl, rimasta deserta dopo l' incidente nucleare del 1986 e oggi colonizzata dagli animali selvatici. "Quando l' emergenza finirà speriamo che ci rimanga memoria di tutto questo e magari un pizzico di consapevolezza in più di essere anche noi ospiti nella natura", aggiunge Tozzi. Per il momento, finché siamo costretti a stare in casa, godiamoci lo spettacolo.
Delfini nei porti, lepri in città, cervi in piscina: la riscossa della natura in tempi di quarantena. Pubblicato lunedì, 23 marzo 2020 su Corriere.it da Donatella Percivale. Video e segnalazioni di animali in libertà arrivano un po’ da tutta Italia, dimostrando come la natura finalmente indisturbata riconquista lentamente i propri spazi. È oramai noto il caso di Venezia dove le acque, normalmente torbide e melmose, in questi giorni di serrata sono diventate talmente trasparenti da far intravedere i numerosi pesci che le abitano. Anche gli uccelli sembrano apprezzare gli inaspettati silenzi della laguna: una coppia di Germano Reale ha infatti scelto di realizzare il proprio nido sul pontile di attracco dei vaporetti, nel cuore di Piazzale Roma.E sempre in Sardegna, a Sassari, poche sera fa, una famigliola di cinghiali è stata avvistata fra Piazza Italia e Corso Umberto, in pieno centro storico, dove indisturbata ha razzolato tra le aiuole cittadine spingendosi fino al quartiere di Luna e Sole. Non solo cinghiali: a Pula, nel sud ovest della Sardegna, gli avvistamenti di cervi e daini sono all’ordine del giorno. Alla ricerca di erba fresca e arbusti succulenti, i magnifici esemplari lasciano gli attigui boschi di Su Gutturu Mannu per raggiungere indisturbati i campi da golf e le ville del Resort di Is Molas — nel Cagliaritano, non lontano dalla strada statale 195 — approfittando della magnifica piscina deserta e dedicarsi, perché no, anche un tuffo ristoratore.
Coronavirus, come disinfettare le zampe del cane? Pubblicato lunedì, 16 marzo 2020 su Corriere.it. Sono membri della famiglia e come tali cani e gatti vanno tutelati. Tenendo la giusta distanza quando rientriamo in casa, se siamo dovuti usciti per lavoro o per fare la spesa, evitando di accarezzarli per un po’, e adottando semplici precauzioni per “bonificare” il loro pelo e le zampe se il gatto è stato in libera uscita o abbiamo portato fuori il cane. I suggerimenti dei medici veterinari vanno contestualizzati all’oggi, perché «non si sa esattamente quanto Covid19 possa rimanere efficace fuori da un ambiente umano e quindi infettare», spiega Francesco Bucchia, medico veterinario che lavora nella Capitale. L’igiene delle zampe «può essere garantita sia per i cani sia per i gatti lavandole al rientro da un’uscita con acqua e euclorina che è una simil candeggina ma con l’attenzione di far seguire poi un attento risciacquo, perché a lungo andare queste sostanze possono irritare le zampe». Mentre si procede, bisogna usare sempre guanti e mascherina. Non dimenticando che siamo noi i potenziali vettori del virus. Per il manto, invece, l’ideale è avere a disposizione alcol a 90 gradi. «Non l’alcol denaturato, perché è amaro e soprattutto per i gatti risulta veramente insopportabile – spiega il dottor Bucchia –, nella proporzione del venti per cento, un misurino di alcol e quattro di acqua. La soluzione abbassa notevolmente la carica infettante. Se si esce con il cane in passeggiata il rischio che possa ‘caricare’ il virus sul pelo è relativo, il problema è se però va a fare le feste a un umano. Ecco perché al rientro è bene pulire il pelo con la soluzione alcolica con una salviettina come spolverando una polvere immaginaria e poi per almeno mezz’ora, meglio ancora un’ora, tenere la giusta distanza. Ricordiamoci che il virus passa attraverso le nostre vie respiratorie e dunque l’igiene che instauriamo nelle relazioni tra persone valgono per i nostri pet». Anche i cani dovrebbero adeguarsi a uscite meno frequenti e strettamente essenziali alle esigenze fisiologiche. Resta il punto fermo che «il virus permane nell’ambiente se trova cellule umane vive e i pet dobbiamo immaginarli come oggetti veicolatori non come potenziali soggetti infettivi». Per i gatti che vivono in casa, stesse tutele adottate per gli altri componenti della famiglia. Se c’è la possibilità di lasciarli riparati in una stanza diversa da quella di chi sia risultato positivo, o di cedere loro (così a un cane) la poltrona dove vanno sempre a rifugiarsi, meglio ancora.
Da adnkronos.com l'11 aprile 2020. Avere un cane potrebbe aiutare contro il nuovo coronavirus? Uno studio italiano effettuato dall’Università Cattolica di Roma, in collaborazione con l’Università Magna Graecia di Catanzaro e l’Università di Milano, ha portato a scoprire una grande somiglianza nella struttura della proteina spike del coronavirus umano con quella del cane e del bue, suggerendo dunque l’ipotesi - tutta da dimostrare però - che l'esposizione a questi animali domestici possa dotarci di difese immunitarie naturali, in grado di attenuare i sintomi di un’eventuale infezione da Covid-19. Questa ipotesi di lavoro preliminare potrebbe portare in futuro a nuovi trattamenti e vaccini, ma anche a nuovi approcci diagnostici. Lo studio, descritto sul sito del Policlinico Gemelli di Roma - in uno spazio dedicato alle nuove 'Pillole anti Covid-19' - suggerisce anche una possibile spiegazione alla grande variabilità dei quadri clinici osservati nel caso di infezione da Covid-19 (da quelli fatali, a quelli paucisintomatici). Ma come nasce questa ipotesi? Lo studio di bioinformatica, pubblicato online su “Microbes and Infection”, ha realizzato un confronto tra identikit molecolari di coronavirus infettanti specie animali diverse della sequenza aminoacidica della proteina Spike del Sars CoV-2, usata dal virus per penetrare nelle cellule, confrontandola con quella di altri coronavirus imparentati da un punto di vista tassonomico e dotati di un tropismo per altre specie animali. I risultati hanno rivelato una bassa omologia di sequenza della proteina Spike del Sars-CoV2 con quella del coronavirus respiratorio del cane (36,93%), del coronavirus bovino (38,42%) e del coronavirus enterico umano (37,68%). "Ma andando a restringere l’analisi alle sequenze che si sa essere riconosciute dal sistema immunitario, i cosiddetti epitopi del SarS CoV-2 - spiega Maurizio Sanguinetti, direttore del Dipartimento Scienze di laboratorio e infettivologiche del Policlinico Gemelli e ordinario di microbiologia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore - abbiamo riscontrato un'elevata percentuale di omologia rispetto ai coronavirus tassonomicamente correlati. Di particolare interesse risulta la grande somiglianza delle sequenze dell’epitopo 4 del coronavirus respiratorio canino con quelle del SarS CoV-2". I risultati dello studio, appena pubblicato, aprono la strada a nuove ipotesi di lavoro per cercare di comprendere i meccanismi biologici alla base dell’infezione virale. In particolare, gli autori ipotizzano che una precedente esposizione al coronavirus del cane potrebbe garantire un’immunizzazione almeno parziale, in grado di attenuare i sintomi di un’eventuale infezione da Covid-19. Somiglianze importanti sono emerse anche tra gli epitopi della proteina Spike del SARS CoV-2 e il coronavirus bovino (il cui genoma e le cui proteine sono stati inclusi in alcune delle formulazioni vaccinali impiegate in medicina veterinaria su animali da reddito). "Gli animali insomma - conclude Sanguinetti - potrebbero aver avuto un ruolo critico nell’innesco e nell’evoluzione di questa epidemia (che ricordiamo essere una zoonosi), sia come serbatoio virale, ma anche agendo come fonte benefica di particelle virali immuno-stimolanti, in grado di offrire protezione contro il Sars CoV-2 circolante, attenuandone i sintomi". Una ipotesi di lavoro, che andrà vagliata da studi ed esperimenti ad hoc, concludono i ricercatori.
Michela Allegri per “il Messaggero” il 7 aprile 2020. Due cani e un gatto a Hong Kong, un altro gatto in Belgio. E, ora, una tigre malese in uno zoo di New York, contagiata dal custode e risultata positiva al coronavirus. Il primo caso negli Usa, che riaccende i riflettori sul rapporto tra Covid-19 e animali, soprattutto domestici, e sui rischi di trasmissione dell'infezione. Per il momento gli esperti sembrano d'accordo: si tratta di un virus che ha avuto un'origine animale - arriva da un pipistrello - e che, mutando, è arrivato all'uomo. Ma adesso sono proprio gli uomini ad essere untori: non ci sono prove che gli animali possano diventare veicoli di contagio. Ma, al contrario, rischiano di ammalarsi, anche se sembra sviluppino sintomi lievi. Come Nadia, appunto, la tigre di 4 anni che vive in uno degli zoo del Bronx. In tutti i casi registrati nel mondo - sono solo cinque - all'origine dell'infezione negli animali ci sarebbe la malattia dei proprietari, affetti da Covid-19. E, in quello di Nadia, il contagio sarebbe partito da un membro dello staff dello zoo, inizialmente sintomatico ma che negli ultimi giorni è risultato positivo al virus. Adesso nella stessa struttura sono sotto osservazione altre tre tigri e tre leoni africani: tutti hanno mostrato sintomi simili a quelli di Nadia, cioè tosse secca inappetenza. I casi a livello mondiale sono ancora troppo pochi per parlare di trend, o per trarre conclusioni certe. Il virologo Roberto Burioni sottolinea che «il fatto che gli animali possano essere contagiati non è solo un elemento negativo», perché «questo ci potrebbe permettere di avere un notevole vantaggio nella sperimentazione dei vaccini. Una delle cose che ha rallentato moltissimo la ricerca di un vaccino contro Hiv è stata la mancanza di modelli animali. Per questo virus, invece, potremmo averli. I nostri amici a quattro zampe potrebbero darci una mano fondamentale». Mentre Roberto Cauda, infettivologo del policlinico Gemelli di Roma, spiega che, analizzando i dati relativi ai contagi e vedendo che il numero di soggetti colpiti nel mondo supera il milione, mentre ci sono pochissimi casi di animali ammalati, «risulta evidente che il contagio avviene da uomo a animale, più che il contrario. Bisogna però tenere presente che il virus è venuto da un animale, non domestico, e che ha fatto salto di specie». Il professor Cauda sottolinea quindi che «un contagio di ritorno da animale ad uomo potrebbe succedere, anche se, almeno in questo momento, gli animali non sono una sorgente di infezione. Ma questo virus impariamo a conoscerlo giorno dopo giorno. Ad oggi possiamo dire che gli animali domestici non sembrano essere coinvolti, quindi bisogna evitare di trattarli come nemici. Anzi, è necessario proteggerli e prendere precauzioni». E di precauzioni parla anche l'Istututo superiore di sanità, in una scheda realizzata da Umberto Agrimi, direttore del Dipartimento sicurezza alimentare, nutrizione e sanità pubblica veterinaria. «Poiché la sorveglianza veterinaria e gli studi sperimentali suggeriscono che gli animali domestici siano, occasionalmente, suscettibili a Sars-CoV-2, è importante proteggere gli animali di pazienti infetti, limitando la loro esposizione». Secondo Agrimi, «non esiste alcuna evidenza che gli animali domestici giochino un ruolo nella diffusione di Sars-CoV-2 che riconosce, invece, nel contagio interumano la via principale di trasmissione». Ma visto che si tratta di una situazione in evoluzione, è necessario ridurre il più possibile l'esposizione degli animali al contagio, evitando contatti ravvicinati con pazienti infetti. Sono anche utili altre precauzioni di base: lavarsi bene le mani dopo avere accarezzato cani o gatti, o dopo avere toccato lettiere o ciotole, pulire le zampe degli animali dopo una passeggiata fuori, evitare di baciarli, di farsi leccare in faccia e di condividere cibo. Anche il ministero della Salute ha chiarito il rapporto tra diffusione del coronavirus e animali domestici: l'attuale livello di contagio in Italia «è il risultato della trasmissione da uomo a uomo - si legge nel vademecum - Ad oggi, non ci sono prove che gli animali da compagnia possano diffondere il virus». Tuttavia, specificano dal ministero, dal momento che gli animali e l'uomo possono condividere alcune malattie è necessario che vengano adottate sempre le normali misure raccomandate.
Mauro Evangelisti per “il Messaggero” il 4 aprile 2020. La storia si svolge ad Anzio, in provincia di Roma, e le autorità sanitarie della Regione Lazio stanno indagando: un uomo, che abitava solo, è risultato positivo a Covid-19. A causa delle sue condizioni, è stato ricoverato, ma prima di andare in ospedale ha chiesto a una coppia di vicini di dar da mangiare al gatto che restava solo. Purtroppo, dopo pochi giorni, anche i due vicini si sono ammalati, positivi al tampone. Ora si sta svolgendo, come si fa in casi come questi, una meticolosa indagine epidemiologica. Si vuole comprendere se il contagio dei vicini sia avvenuto per canali indipendenti, se al contrario ci sia stato un contatto con l' uomo che per primo si è infettato, se il coronavirus sia rimasto sulle superfici dell' appartamento. Ma si stanno anche studiando le condizioni del gatto, perché vi sono già stati casi di animali domestici contagiati; è giusto però precisarlo: gli esperti ritengono improbabile che cani e gatti possano contagiare a loro volta l' uomo. Spiega l' assessore alla Salute del Lazio, Alessio D' Amato: «Abbiamo dato mandato all' istituto zooprofilattico di fare i tamponi sull' animale che è in buone condizioni. Attendiamo gli esiti». Ieri l' Istituto superiore di Sanità ha spiegato: «Gli animali domestici sono suscettibili a Sars-CoV-2 ed è importante proteggerli dai pazienti affetti da Covid-19, limitando la loro esposizione. Fino al 2 aprile sono solamente quattro i casi documentati: in tutti i casi all' origine dell' infezione vi sarebbe la malattia dei loro proprietari affetti da Covid-19».
RESTO DEL MONDO Nelle settimane scorse si è parlato molto del caso del cane contagiato a Hong Kong e poi morto, anche se secondo gli esperti intervistati dal South China Morning Post «è assai improbabile che Covid-19 sia stata la causa del decesso dell' animale». Successivamente un altro cane e un gatto sono risultati positivi nell' ex colonia britannica. Anche in Belgio invece è stato segnalato il caso di un gatto positivo: la facoltà di medicina veterinaria di Liegi ha riferito che in un felino è stata determinata un' infezione da coronavirus. Osserva Ilaria Capua, docente all' Università della Florida, intervistata su Radio Rai 2 nel corso della trasmissione Caterpillar: «Con il primo contagio da Covid-19 su un gatto è arrivato il colpo di coda che ci aspettavamo. Essendo un virus di origine animale, ora torna a infettarli. Bisogna così gestire anche l' infezione degli animali, sia domestici come l' esemplare felino, sia quelli negli allevamenti. E questo sarà un enorme problema di gestione sanitaria pubblica». Secondo l' Istituto superiore di Sanità «nei cani e nel gatto osservati ad Hong Kong l' infezione si è evoluta in forma asintomatica». «Il gatto descritto in Belgio ha, invece, sviluppato una sintomatologia respiratoria e gastroenterica a distanza di una settimana dal rientro della proprietaria dall' Italia. L'animale ha mostrato anoressia, vomito, diarrea, difficoltà respiratorie e tosse ma è andato incontro a un miglioramento spontaneo a partire dal nono giorno dall' esordio della malattia. Essendo Sars-CoV-2 un virus nuovo, occorre intensificare gli sforzi per raccogliere ulteriori segnali dell' eventuale comparsa di malattia nei nostri animali da compagnia, evitando tuttavia di generare allarmi ingiustificati». Secondo l' Iss, insomma, «non esiste alcuna evidenza che cani o gatti giochino un ruolo nella diffusione epidemica di Sars-CoV-2 che riconosce, invece, nel contagio interumano la via di trasmissione. Tuttavia, la possibilità che gli animali domestici possano contrarre l' infezione pone domande in merito alla gestione sanitaria degli animali di proprietà di pazienti affetti da Covid-19».
Da leggo.it il 28 febbraio 2020. Primo caso di contagio del Coronavirus sugli animali: il cane di una donna infetta è stato messo in quarantena a Hong Kong dopo che alcuni campioni prelevati dall'animale sono risultati positivi al virus. Lo hanno annunciato le Autorità, secondo cui non c'è rischio di contagio da parte dell'animale. Il cane non ha sintomi della malattia, ha affermato il ministero competente. Ma «i campioni prelevati dalle cavità nasali e orali sono stati trovati positivi per il virus Covid-19», ha detto un portavoce. Il cane è stato prelevato a casa della sua proprietaria mercoledì, una donna di 60 anni ricoverata in isolamento. Non ci sono prove che animali come gatti o cani possano trasmettere il virus all'uomo, ma il ministero ha stimato che gli animali domestici di persone infette dovrebbero stare in quarantena per 14 giorni. Saranno condotti ulteriori test sul cane, che rimarrà in isolamento fino a quando non risulterà negativo. Hong Kong conta 93 casi di Coronavirus, tra cui due morti.
Da ilmessaggero.it il 3 aprile 2020. Un gatto domestico è risultato positivo al coronavirus a Hong Kong, dove vive insieme a una donna contagiata dal Covid-19 e attualmente in quarantena. Lo ha dichiarato il portavoce del ministero dell'Agricoltura e della Pesca, spiegando che l'animale è stato testato nonostante non presentasse i sintomi della malattia. Si tratta del secondo caso confermato al mondo, dopo un gatto domestico risultato positivo in Belgio. La donna con cui vive, 25 anni, è risultata positiva al test dopo aver frequentato un bar di Hong Kong. Le sue condizioni sono giudicate serie.
Da "leggo.it" il 18 marzo 2020. E' morto il cane che a Hong Kong era stato sottoposto ai test per il coronavirus diventando così famoso in tutto il mondo. Il decesso è avvenuto lunedì, due giorni dopo la fine della sua quarantena iniziata il 26 febbraio in un centro della città. La notizia è stata resa pubblicata dal Dipartimento per l'Agricoltura, la Pesca e la Conservazione dell'ex colonia britannica (Afcd), che ha precisato che non sono state accertate le cause del decesso poiché la proprietaria non ha dato il consenso per l'autopsia. Il cane, ha scritto il South China Morning Post, era un volpino di Pomerania di 17 anni. E fonti mediche hanno chiarito al giornale che molto probabilmente il cane non è morto di coronavirus. Il cane, anziano e risultato più volte "debolmente positivo" al coronavirus, era stato "liberato" sabato dalla sua quarantena dopo che erano risultati negativi gli ultimi test effettuati il 12 e il 13 marzo. Nel frattempo è guarita la sua padrona, una 60enne ricoverata il 25 febbraio e dimessa l'8 marzo. "Il cane non aveva sviluppato alcun nuovo sintomo - hanno detto le fonti mediche interpellate dal South China Morning Post - E' molto improbabile che il virus abbia contribuito alla morte del cane". Gli esperti continuano a sottolineare come non esistano prove di trasmissione dell'infezione dall'animale all'uomo. A difesa dei quattro zampe si moltiplicano gli appelli contro l'abbandono.
Cane contagiato da coronavirus, l’esperto: «Un caso non fa testo. Accadde già con i gatti per la Sars». Pubblicato giovedì, 05 marzo 2020 su Corriere.it da Paola D’Amico. Come il coronavirus abbia contagiato il cane di Honk Kong, il volpino di Pomerania messo in quarantena (come i suoi proprietari) da qualche giorno, al momento non si sa. Ma il professor Canio Buonavoglia, docente di Malattie Infettive al Dipartimento di medicina veterinaria dell’Università di Bari, suggerisce: «Il cane può avere avuto contatto con il virus ma mi sento di escludere che sia l’’untore’. Probabilmente, in questo caso, dobbiamo dire attenti all’uomo».
Quindi professore?
«Il consiglio è per chi viene trovato positivo all’infezione ed è in isolamento, trattare il proprio cane con le stesse precauzioni adottate per gli altri abitanti della casa, come se si trattasse di un bambino. Niente carezze, niente contatti». Un suggerimento che le autorità di Hong Kong, dopo l’esplosione del caso, hanno tradotto con l’efficace slogan: «Non baciate i vostri animali di casa».
Facciamo un passo indietro. Al cane è stato fatto un secondo tampone dopo la prima indagine?
«Le prime informazioni parlavano di una bassa concentrazione virale nei tamponi fatti nel naso e nella bocca del cane. Questo dato all’inizio è stato valutato come “strano”, la bassa positività del virus nei tamponi non indicava una infezione violenta nell’animale e quindi, come è poi avvenuto, tutti noi ci aspettavamo che avrebbero rifatto i test per confermare il dato. Il primo pensiero, infatti, era stato che si trattasse di una presenza “passiva” del virus passato dalla proprietaria al cane esattamente come su altre superfici. Hanno rifatto il test il 28 febbraio e di nuovo il cane è risultato positivo, ma sempre su livelli molto bassi».
Questo cosa significa?
«Fa ipotizzare che in qualche misura il virus si sia replicato negli organi del cane».
Come interpretare questi dati?
«Potrebbe trattarsi di un passaggio occasionale del virus dai proprietari verso il cane. Il che può accadere conoscendo i coronavirus che sono virus molto abili a muoversi da una specie a un’altra. Ma questa informazione va presa con le pinze. Perché al momento abbiamo un dato unico, che potrebbe anche non significare niente. Anche il virus della Sars vent’anni fa ha avuto una fase di passaggio nei gatti, ma questo non ha comportato una valutazione epidemiologica significativa».
Cosa occorrerebbe per un quadro più chiaro?
«Sapere per esempio se altri tamponi sui cani/pet sono stati fatti e quanti. Al momento non si sa».
Poi?
«Cercare gli anticorpi nel cane contagiato. Questo potrebbe dirci che ha sopportato la replicazione del virus . Insomma, questa è una storia che va seguita con attenzione e andrà valutata. Intanto, cerchiamo di avere nei confronti dei nostri pet il massimo dell’attenzione, se siamo positivi al coronavirus, evitiamo contatti anche con loro».
Da "adnkronos.com" il 29 marzo 2020. Dopo il cane a Hong Kong, è la volta del primo gatto positivo a Covid-19, in Belgio. "Di recente, la facoltà di medicina veterinaria di Liegi ha riferito che in un gatto è stata determinata un'infezione da coronavirus. Il gatto viveva con il suo proprietario, che ha iniziato a mostrare i sintomi del virus una settimana prima del gatto", ha detto Steven Van Gucht, presidente del comitato scientifico belga e responsabile della Divisione malattie virali a Sciensano, Istituto nazionale belga per la salute pubblica e per quella animale. Lo riferisce The Brussels Times. "Vogliamo sottolineare che questo è un caso isolato. Non ci sono indicazioni che sia comune. Inoltre, in questo caso, stiamo parlando di una trasmissione da uomo ad animale, non viceversa. Il rischio di trasmissione da animale a uomo è molto piccolo", ha aggiunto. Il virus può sopravvivere sugli oggetti, per diverse ore o addirittura giorni, secondo FPS Public Health.
Animali domestici e coronavirus: non lo trasmettono ma sono a rischio contagio. Dopo il caso del cane positivo a Covid-19 i consigli delle autorità. Non ci sono evidenze di trasmissione all'uomo. Ma semmai, come accaduto a Hong Kong, il contrario. Elvira Naselli il 02 marzo 2020 su La Repubblica. Un cane debolmente positivo al coronavirus a Hong Kong e scatta l'allarme tra tutti coloro che hanno in casa cani o gatti. Si ammaleranno anche loro, e cosa rischiano? E, soprattutto, come distinguere una (ormai augurabile) rinite dai primi segnali del coronavirus? Infine, non ci era stato detto che non correvano alcun rischio? Sì, ribattono le proprietarie impaurite sui blog, ma lo avevano detto anche dei bambini e poi si sono ammalati anche loro. Tra chi sostiene che la notizia sia una bufala e chi medita l'isolamento dei suoi animali domestici si inserisce il nostro Istituto superiore di sanità, che ribadisce: non ci sono prove che gli animali da compagnia diffondano il virus. Quanto al potersi ammalare, bisogna precisare che il cagnolino non ha alcun sintomo di malattia ma vive in casa con una persona che invece è malata. L'ipotesi più probabile è che quindi la positività del cane (tracce del virus sono state trovate sulla mucosa orale e nasale) sia dovuta alla malattia della proprietaria. E al fatto di vivere in un ambiente contaminato.
Niente leccate. L'americano Cdc (Center for Disease Control and Prevention) di Atlanta dedica un intero paragrafo a "Covid-19 e animali", dando una serie di consigli. Il primo è fondamentale: limitare i contatti con animali domestici e altri animali se si è malati di Covid-19, così come si evitano i contatti con le persone, almeno finché non avremo informazioni aggiuntive sul virus. Quindi chi è malato e ha un cane o un gatto, consigliano, è preferibile che ceda ad altri membri della famiglia (sani) la gestione del proprio pet. Se si vive da soli la precauzione è quella di indossare una mascherina e di lavare sempre le mani, prima e dopo aver toccato l'animale. Evitando comunque baci, leccate, condivisione di cibo, coccole troppo intime e ravvicinate. Sempre che siate malati.
Il documento americano. Il documento governativo americano è comunque tranquillizzante: nonostante il virus sia arrivato all'uomo da un animale, adesso la trasmissione di Covid-19 è uomo-uomo e non c'è motivo di credere che qualunque animale, compresi quelli che vivono in casa, possano essere fonte di infezione. E del resto non ci sono casi di animali malati, ma un solo caso di animale positivo e senza segni di malattia.
Dati inconsistenti. "In genere i coronavirus degli animali non si trasmettono all'uomo - ragiona Umberto Agrimi, direttore del Dipartimento sicurezza alimentare, nutrizione e sanità pubblica veterinaria dell'Istituto superiore di Sanità - cani e gatti hanno i propri e l'uomo ha i suoi. Il salto di specie non è inusuale ma in questo caso è verosimile che sia stata la donna a infettare il cane e che il virus sia presente nella mucosa del cane come su piatti o tovaglioli utilizzati. Il dato è comunque preliminare e inconsistente. Per pura curiosità scientifica farei i tamponi agli animali domestici dei malati, se non ci fosse la necessità di concentrare gli sforzi sugli uomini. Detto questo, se in Cina imporranno regole strette di tutela delle specie selvatiche e domestiche sarei molto contento. E non solo per ragioni etiche, ma di conservazione delle specie".
Coronavirus, un cane si è ammalato. In Cina è psicosi per il contagio animale. Le Iene News l'1 marzo 2020. A Hong Kong il primo caso registrato di cane positivo al coronavirus: la padrona era già malata, non è chiaro come si sia contagiato. Intanto in Cina è terrore per il possibile passaggio del virus dagli animali, che però è negato dall’Oms: c’è chi addirittura avrebbe ucciso i cani a bastonate. Un cane è stato contagiato dal coronavirus a Hong Kong: la notizia è stata resa nota dall’Organizzazione mondiale della sanità. È il primo caso confermato di animale domestico che si ammala del nuovo virus che sta mietendo migliaia di morti nel mondo. La padrona dell’animale, secondo quanto detto dai funzionari dell’Oms, è una delle persone infettate dal coronavirus a Hong Kong. Il cane è stato messo in quarantena in una struttura, in attesa che i successivi controlli confermino la positività. A quanto sembra, comunque, sarebbero stati trovati bassi livelli di virus nel sangue dell’animale. Inoltre il cane non avrebbe sintomi della malattia e non è chiaro se possa essere contagioso oppure no. Non è nemmeno chiaro come abbia contratto il coronavirus: si pensa infatti che la malattia non possa passare da animale a uomo, ma anche qui le certezze sono poche. È sicuro, invece, che dalla Cina arrivano notizie e segnalazioni di maltrattamenti di animali da parte della popolazione terrorizzata dal virus: la nuova malattia, secondo quanto si conosce finora, sarebbe arrivata agli uomini proprio da alcuni animali selvatici. I principali sospettati sono i pipistrelli e i serpenti. Potrebbe proprio essere questa la ragione per cui alcune persone sembra abbiano aggredito cani e altri animali per strada, spaventati da un possibile contagio: secondo l’Oms però non sembra essere possibile il passaggio del coronavirus da animali di compagnia come i cani e i gatti. Nel video che vedete qui sopra si vedono alcune persone che aggrediscono cani per strada in Cina, sembra proprio a causa della psicosi da contagio. E le notizie di maltrattamenti di animali purtroppo si moltiplicano, anche se come vi abbiamo detto si ritiene impossibile il contagio da cani e gatti. Il dramma del coronavirus però sta portando anche a un insperato effetto collaterale positivo: le autorità della Cina hanno infatti proibito di consumare la carne di animali selvatici acquistata da mercati locali, come quello di Wuhan da cui si ritiene possa essere partito il primo contagio. E c’è anche chi si sta spingendo oltre: Shenzhen ha infatti proposto di diventare la prima città della Cina a proibire il consumo di carne di cane e gatto. “Nei paesi civilizzati gli animali da compagnia non vengono mangiati”, dice la proposta di legge. Oltre alle aggressioni e ai maltrattamenti, comunque, c’è chi si sta prendendo cura come sempre dei proprio compagni animali. E anzi, c’è persino chi si sta spingendo un po’ oltre: nella foto che vedete qui sopra, presa dall’account Instagram del Guardian, si vedono alcuni cani portati a passeggio con le mascherine!
Coronavirus: tigre positiva allo zoo del Bronx a New York. Sotto osservazione altre 3 tigri e 3 leoni con stessi sintomi. La Repubblica il 05 aprile 2020. Una tigre ospitata nello zoo del Bronx, a New York, è risultata positiva al test del coronavirus. Lo riportano diversi media americani, tra cui l'agenzia Bloomberg, che citano una nota della fondazione Wildlife Conservation Society. La tigre malese si chiama Nadia, ha 4 anni ed è il primo animale a risultare positivo negli Usa. Sotto osservazione anche tre altre tigri e tre leoni con gli stessi sintomi. Si sospetta siano state infettate da un dipendente del giardino zoologico.
Da ilmessaggero.it il 6 aprile 2020. E' positiva al coronavirus anche una tigre ospitata nello zoo del Bronx, a New York. Lo riportano diversi media americani, tra cui l'agenzia Bloomberg, che citano una nota della fondazione Wildlife Conservation Society. La tigre malese si chiama Nadia, ha 4 anni ed è il primo animale a risultare positivo negli Usa. Sotto osservazione anche tre altre tigri e tre leoni con gli stessi sintomi. Si sospetta siano state infettate da un dipendente del giardino zoologico.
Basta con la bufala dei gatti che portano il virus. Incolpevoli amici pelosi tirati in ballo dai virologi. Azzurra Barbuto per “la Verità” il 5 aprile 2020. Ci risiamo. Ogni volta che un esperto apre la bocca, crea un danno. E ci tocca metterci la pezza. Informazioni imprecise o incomplete, purtroppo, gettano nel panico la popolazione o la inducono a compiere scelte sbagliate. Venerdì sera, intervistata su Radio Rai 2, la virologa Ilaria Capua, direttore dell' One Health Center of Excellence all' Università della Florida, ha affermato: «Con il primo contagio da Covid-19 su un gatto è arrivato il colpo di coda che ci aspettavamo. Essendo un virus di origine animale, ora torna ad infettarli. Bisogna così gestire pure l' infezione degli animali, sia domestici come l' esemplare felino, sia quelli negli allevamenti. E questo sarà un enorme problema di gestione sanitaria pubblica». Adesso milioni di italiani, se il proprio micio starnutisce, si domandano se abbia contratto il Corona. E lo guardano con sospetto, magari negandogli pure le coccole per timore di ammalarsi e finire in terapia intensiva. Capua ha trascurato di specificare ciò che sarebbe stato indispensabile specificare: così come hanno reso noto sui propri siti internet l' Istituto Superiore di Sanità e l' Organizzazione Mondiale della Sanità, i nostri pelosetti possono essere contagiati dall' uomo, ma non sono contagiosi, ossia non trasmettono il virus agli esseri umani. Tuttavia questi ultimi potrebbero veicolarlo ai primi. Vittime più che vettori «Occorre evitare di generare allarmi ingiustificati. Vivendo in ambienti a forte circolazione virale a causa della malattia dei loro proprietari, non è inatteso che altresì gli animali possano, occasionalmente, contrarre l' infezione. Ma, nei casi osservati, gli animali sono stati incolpevoli vittime», ha reso noto l' Iss. Il quale ha inoltre puntualizzato che è opportuno proteggere le bestie, evitando di metterle a stretto contatto con i pazienti affetti da Covid-19 finché questi non sconfiggano il virus. Si legge ancora sullo stesso sito che «fino al 2 aprile sono solamente 4 i casi documentati di pet contagiati. E in tutti e 4 all' origine della infezione vi sarebbe la malattia dei loro proprietari affetti da Covid-19». Dunque non esiste nessun precedente al mondo di individuo infettato dal proprio cane o gatto. Né vi è traccia di alcuno studio che attesti la possibilità, quantunque recondita, che micio o fido possano passare il Corona ai proprietari. In estrema sintesi, non vi sono prove che i nostri quattro zampe possano costituire un vettore di infezione. I casi ad oggi accertati di contagio da uomo ad animale sono 4: due cagnolini di Hong Kong, un micio della stessa area e un altro che si trova in Belgio. Il gatto cinese, che è in quarantena dal 30 marzo, non ha mostrato gravi segni della malattia, quello belga invece ha sviluppato una sintomatologia respiratoria e gastroenterica (vomito, diarrea, anoressia, tosse) a distanza di una settimana dal rientro della proprietaria dall' Italia. Le sue condizioni sono migliorate spontaneamente a partire dal nono giorno dall' esordio dei primi sintomi. Si ritiene che entrambi i felini siano stati infettati dai rispettivi proprietari. Il micio di Anzio E poi c' è il micio di Anzio, provincia di Roma. Un signore è stato ricoverato a causa del Covid-19 e, prima di essere trasportato in ospedale, ha chiesto ad una coppia di vicini di prendersi cura del proprio gatto. Dopo qualche dì anche questi si sono ammalati risultando poi positivi al test del tampone. È escluso che sia stato il felino, che sta bene, a passare il virus ai vicini, più probabile che essi siano entrati in contatto con il corona nella casa del ricoverato o pure in altre occasioni. L' indagine epidemiologica in corso svelerà l' arcano. Ancora una volta sarà confermato ciò che è emerso da centinaia di esperimenti eseguiti in tutto il globo: i nostri amici a quattro zampe non diffondono il Covid-19. Al massimo se lo beccano, per colpa nostra. Ecco perché i centri statunitensi per il controllo e la prevenzione della malattie raccomandano ai soggetti con Coronavirus di limitare il contatto con i loro animali domestici, evitando pure di accarezzarli, essere leccati nonché di condividere con loro cibo precedentemente manipolato da noi.
Cani addestrati a fiutare la malattia. Marinella Meroni per “Libero quotidiano”. Il cane è considerato il miglior amico dell' uomo, e non è un caso. Tra le sue molte doti ne ha una, un bene prezioso che mette a disposizione degli esseri umani, in grado di salvare vite in tante occasioni: il suo olfatto. Sono ormai note le capacità, grazie al suo fiuto, di trovare persone scomparse, sommerse dalle neve o sotto le macerie, individuare droga, esplosivi etc. Ma soprattutto il suo fiuto è usato in medicina. Ci sono cani capaci di individuare alcuni tipi di tumore, come al seno, a polmoni e melanoma, con una precisione di oltre il 97%, e indicare anche i primi stadi di Parkinson, morbo di Addison, malaria, infezioni batteriche, diabete, Alzheimer. Ma l' ultima novità riguarda l' emergenza Coronavirus. In Inghilterra è partito l' addestramento di un gruppo di cani per fiutare e scoprire le persone infette da Coronavirus, anche asintomatiche. Il progetto è nato grazie ad un team di esperti inglesi del Medical Detection Dogs che stanno lavorando in collaborazione con la London School of Hygiene and Tropical Medicine e la Durham University. Dicono: «Siamo sicuri che i cani possano rilevare il Covid-19. Stiamo addestrando i cani in modo che siano pronti nel giro di 6 settimane, per fornire una diagnosi rapida e non invasiva, in grado di controllare chiunque, comprese le persone asintomatiche. Un metodo veloce, efficace e non invasivo in grado di assicurare che le risorse limitate della sanità inglese vengano utilizzate solo quando davvero necessarie e che i test clinici vengano utilizzati solo dove sono realmente necessari». Inoltre spiega Claire Guest, co-fondatrice di Medical Detection Dogs, «stiamo cercando di trovare il modo più sicuro per "catturare" l' odore del Covid-19 dai pazienti e sottoporlo ai cani. Questi ultimi sono addestrati allo stesso modo di quelli che il centro studi ha già allenato per rilevare malattie come il cancro, il Parkinson e le infezioni batteriche, annusano campioni virali e insegniamo loro a rilevarli anche nelle persone asintomatiche. Sono anche in grado di individuare lievi variazioni della temperatura corporea, quindi aiutare a trovare persone che hanno la febbre, per ciò potrebbero essere dispiegati in spazi pubblici e aeroporti per provare a identificare viaggiatori infetti». Aggiunge il professor James Logan, capo del Dipartimento di controllo delle malattie della London School of Hygiene & Tropical Medicine: «I nostri precedenti lavori hanno dimostrato che i cani sono in grado di rilevare gli odori delle persone affette da diverse patologie, come la malaria, con una precisione elevata. Sappiamo che altre malattie respiratorie come il Covid-19 cambiano l' odore del nostro corpo, quindi c' è un' alta possibilità che i cani siano in grado di rilevare ciò». D'altronde l' Organizzazione Mondiale della Sanità ha sottolineato che i cani non possono essere infettati né contagiati dagli umani, e lo stesso vale per gli altri animali domestici. L' olfatto del cane è 100 mila volte superiore rispetto a quello umano, ha un numero di recettori 40 volte più alti del nostro, noi ne abbiamo circa 5mila, un cane tra i 125 e i 250 milioni. Ed è per questo che ancora una volta grazie al loro prezioso fiuto potranno salvare vite umane.
Da ilmessaggero.it il 6 aprile 2020. Un alligatore è stato visto (e ripreso) vagare fuori da un centro commerciale della Carolina del Sud. L'animale non ha trovato nessun umano sulla sua strada, quella di Barefoot Landing a Myrtle Beach, e quindi nessun ostacolo per la passeggiata "umana" nei giorni del lockdown da Coronavirus. Il video, girato da Clifford Sosis, è stato condiviso migliaia di volte sui social: «La natura si sta riprendendo una parte della nostra città». La polizia locale, dopo le numerose segnalazioni, ha scritto sulla sua pagina Facebook: «Questa mattina è stato avvistato un alligatore sulla spiaggia. Abbiamo riferito alle persone che non c'è nulla che si possa fare, lasciamo che la natura faccia il suo percorso. Il motivo della presenza dell'animale è dettato dall'assenza delle persone in spiaggia».
Estratto dall'articolo di Riccardo Luna per "la Repubblica" il 22 marzo 2020. Il National Geographic ha segnalato delle fake news meno dannose ma non per questo meno infondate: su Tik Tok e Instagram nei giorni scorsi diversi utenti hanno condiviso foto di delfini e cigni nei canali deserti di Venezia e di elefanti; mentre su Weibo, un social network cinese, circolavano foto di elefanti che avevano invaso un villaggio e si erano ubriacati bevendo vino. Quello che tiene assieme questo tipo di post, secondo la prestigiosa rivista, è una presunta rivincita della natura mentre gli esseri umani si sono barricati in casa. Ma i cigni a Venezia non sono una novità, soprattutto a Burano; le foto dei delfini erano state scattate in Sardegna. Mentre in Cina c' è stata una indagine governativa per venire a capo della questione e si è scoperto che una dozzina di elefanti la settimana scorsa hanno effettivamente fatto irruzione in un paio di villaggi, ma questo accade abitualmente. E comunque non erano gli elefanti della foto postata sui social.
Donatella Trunfio per "greenme.it" il 22 marzo 2020. L’immagine degli elefanti satolli, ubriachi e stesi a terra dopo aver bevuto "vino di mais" e aver mangiato a enormi quantità, ha fatto il giro del mondo creando una certa ilarità. Il problema è che in questo scatto, in realtà, non c’è nulla da ridere. Si sono spinti fin dentro un villaggio nella provincia dello Yunan in Cina alla ricerca di cibo. Quattordici elefanti di varie dimensioni che hanno fatto razzia di mais, ma anche di ‘vino di mais’ a tal punto da finire sdraiati (addormentati) in una piantagione di tè. L’immagine ci rimanda a due realtà: la prima è che gli elefanti si sono spinti fino al villaggio perché a seguito del coronavirus, c’è ancora allerta e restrizioni sul fatto di poter uscire e condurre un’esistenza normale. Così come i delfini che sono tornati nei porti e la coppia di germano che ha nidificato sul pontile di Venezia, anche questi elefanti si sono spinti vicino le case. La seconda, più drammatica, è che quegli elefanti erano a caccia disperata di acqua e cibo per via della perdita di habitat naturale e che sono addirittura arrivati a bere del vino, ubriacandosi. I cambiamenti climatici stanno mettendo a dura prova la biodiversità. Siccità, ondate di calore, uragani, ma soprattutto disboscamento illegale e bracconaggio per l’avorio, minano la vita degli elefanti che finiscono inevitabilmente per arrivare fino ai villaggi, con il rischio (in condizioni normali) di essere anche feriti e uccisi. Soprattutto nelle piantagioni di tè il rischio di rimanere intrappolati nelle “trincee” costruite per irrigare è alto, come già denunciato più volte, soprattutto in India. Nessuno sa se la foto che sta girando sui social sia vera. Alcuni elefanti hanno recentemente attraversato un villaggio nella provincia dello Yunnan, in Cina, ma la loro presenza non è fuori dalla norma.
Coronavirus, gli animali invadono le città vuote. Elefanti ubriachi in Cina. Redazione de Il Riformista il 20 Marzo 2020. Prima dell’emergenza coronavirus i macachi venivano nutriti dai turisti che affollavano i templi in Thailandia. Le scimmie adesso arrivano nelle città in cerca di cibo. I cervi in Giappone invadono le strade e le volpi si incontrano sempre più spesso tra campagne e centri abitati d’Europa. In Italia i delfini sono tornati nel porto di Cagliari e il germano reale a nidificare a Venezia. È la natura che, complice il lockdown di città e attività produttive, sembra reclamare i suoi spazi. Ma la storia più strana arriva dalla Cina, riportata su Weibo, popolare social network cinese, e poi ripresa su più canali. Un gruppo di elefanti nella zona di Xishuangbanna, nella provincia dello Yunnan avrebbe fatto irruzione in un villaggio e avrebbe finito per ubriacarsi. Proprio così: i pachidermi si sono ubriacati. Virali ormai le foto degli animali che, dopo l’incursione, si sono stesi a terra in una piantagione. Ecco come sarebbe andata la storia: approfittando dei villaggi deserti gli elefanti selvaggi avrebbero invaso i campi dei contadini. Dopo essersi cibati di canne da zucchero e mais, gli animali avrebbero scovato anche un distillato alcolico prodotto dai contadini. E così i 14 animali di questo gruppo hanno finito per accasciarsi, sbronzi, in un campo adibito alla coltivazione di tè. La vicenda, che le autorità locali non hanno confermato, è stata ripresa anche dal conservazionista indiano Parveen Kaswan, collaboratore di IUCN ed esperto di elefanti, che su Twitter ha spiegato: “È un dato di fatto che gli elefanti adorano l’alcool, sono anche bravi a scoprirlo”. Quello che è sicuro, è la notifica di altre segnalazioni presso l’ufficio forestale della zona di Yunnan dove gruppi di elefanti hanno fatto irruzione e fatto anche danni presso attività e magazzini.
Sarah Martinenghi per torino.repubblica.it il 20 marzo 2020. Mai così tante persone si sono interessate ad avere in adozione un cane o un gatto come in questi giorni di isolamento. Non solo per questione di compagnia, evidentemente, ma anche, viene il dubbio, per poter avere la scusa di uscire di casa e portare a spasso il cucciolo. L’Enpa Torino ha ricevuto già centinaia di chiamate da parte di torinesi disponibili ad aprire le porte di casa ad un animale abbandonato. Così che oggi su facebook l’ente di protezione animali ha rivolto un appello pregando di non chiamare più: “Basta con le telefonate: Buongiorno vorrei adottare un cane o un gatto così mi fa compagnia in questi giorni... grazie”. “In questo momento la gente si sente particolarmente sola e ha anche più tempo da dedicare a un animale - spiega Tiziana Berno, responsabile del canile - ma quando l’emergenza sarà finita? Cosa succede? Che i cani tornano indietro”. La preoccupazione è rivolta alle adozioni lampo, che potrebbero rivelarsi dei boomerang e portare a nuovi abbandoni, con la fine del periodo di isolamento. L’unico cucciolo urgente da adottare, in questo momento è un cucciolo di maremmano di due mesi, Orso, che sarà disponibile, comunque, quando sarà terminata l’emergenza da Coronavirus. “C’è da dire che riceviamo decine di telefonate ogni giorno, ma poi di persona nessuno sta venendo qui a vedere i cani che ci sono - continua la responsabile - Noi in questo momento siamo autorizzati ad essere aperti, anche perché riceviamo tutte le urgenze veterinarie”.
L'Enpa cerca di fare chiarezza sulle voci secondo cui gli animali domestici siano veicolo di contagio. Redazione di Panorama il 30 marzo 2020. Gli animali domestici sono contagiosi? E' in atto un boom di abbandoni? Dobbiamo pulire le zampe dopo la passeggiata? E ancora dobbiamo fare più spesso il bagno ai nostri animali di casa? In questi Vero o falso? Le bufale e le verità sugli animali ai tempi del Coronavirus. Nei giorni concitati sono girate parecchie fake news, non ultima la necessità di lavare le zampette ai cani con l'uso della candeggina. Si tratta di notizie che possono essere estremamente dannose per i nostri amici a quattro zampe e proprio per questo l'Ente Nazionale Protezione Animali ha deciso di ripetere ancora una volta i comportamenti dannosi da diffidare, smontando le più diffuse bufale che stanno girando sugli animali in questi giorni. Gli animali domestici sono contagiosi? Falso! Ripetiamo a gran voce quello che l'Organizzazione Mondiale della Sanità e il Ministero della Salute hanno già ribadito in diverse comunicazioni ufficiali: gli animali domestici non trasmettono COVID- 19 e non sono recettivi. Accademia del Volo Cepu Scopri di più Accademia Del Volo Ann. C'è un boom di abbandoni? Falso. Per fortuna non c'è un boom di abbandoni. Il problema sono le adozioni, un po' a rilento, a causa delle difficoltà di movimento delle persone. Dobbiamo fare il bagno spesso agli animali di casa? Falso. Il lavaggio porta via il sebo del cane, uno strato di difesa molto importante che previene eritemi, arrossamenti. Il bagno andrebbe fatto circa quattro volte l'anno, non tutti i mesi. Fondamentale anche l'uso di saponi specifici per animali. Dobbiamo pulire le zampe dopo la passeggiata? Vero. Anche se sul tema ci sono pareri discordanti può essere una buona abitudine pulire le zampette al rientro dalla passeggiata. Come? L'ideale sarebbe preparare una bacinella di acqua tiepida (mi raccomando non troppo calda o si fanno danni) con dentro un po' di sapone per cani o bicarbonato. Assolutamente NON usare candeggina e neanche i saponi per umani. Immergere le zampette e poi assicurarsi di asciugarle bene con un asciugamano sempre fresco e pulito, da cambiare ogni volta. Per i più pigri si possono anche utilizzare al rientro le salviette igienizzanti per animali, anche se, con l'immersione è sicuramente più semplice e veloce pulire accuratamente. Possiamo far uscire il cane ogni volta che vogliamo tanto passeggiare fa bene? Falso. Ovviamente ogni cane ha capacità e caratteristiche diverse quindi in questo caso il consiglio è di non cambiare le abitudini del cane prima della quarantena, poi se esce una volta in più non succede nulla, ma è importante non stravolgere le sue abitudini. Portare a passeggio il cane dal balcone è una buona idea? Falso. Sono girate diversi video di persone che, per non uscire di casa, stanno calando il cane dal balcone. E' un comportamento assolutamente inaccettabile! E chi decide di fare una cosa così insensata può andare incontro ad una denuncia! Carla Rocchi, presidente nazionale Enpa: "Le fake news ormai sono diventate un nemico quotidiano da combattere e, quando hanno come oggetto gli animali, possono anche rivelarsi letali. Per questo come Enpa non ci stanchiamo mai di ripetere quali sono i comportamenti dannosi da evitare. I nostri animali sono una incredibile risorsa, ora più che mai, dobbiamo prendercene cura con amore e consapevolezza".
Coronavirus, è caos su acquisti e adozioni di cani. Decreti, circolari e ordinanze anti-coronavirus hanno bloccato le adozioni e gettato sul lastrico gli allevatori di cani di razza. Elena Barlozzari, Martedì 31/03/2020 su Il Giornale. Nel ginepraio di decreti, circolari e ordinanze per contenere la diffusione del coronavirus si perde l'orientamento. Il governo prescrive di limitare al massimo gli spostamenti, ammettendo delle eccezioni. Tra queste rientrano anche l'adozione o l'acquisto di animali da compagnia? Purtroppo la risposta non è univoca, e il rischio di essere sanzionati è sempre dietro l'angolo. Secondo Carla Rocchi, presidente dell'Ente Nazionale Protezione Animali, contrariamente a quello che si potrebbe pensare "le adozioni di cani e gatti da canili e rifugi non sono sospese". In una circolare del Ministero della Salute, infatti, la fattispecie rientra nelle attività che "possono essere differite", quindi non c'è un divieto espresso. Una regola di buon senso per evitare il sovraffollamento, perché l'emergenza sanitaria non è servita a fermare gli abbandoni: ogni anno in Italia sono più di 150mila. Certo, le modalità di adozione non sono più le stesse, e cambiano da caso a caso. "È necessario contattare le strutture via telefono per capire come muoversi", chiarisce la Rocchi. Il consiglio è quello di rivolgersi a rifugi che siano nel proprio comune di residenza, allegando all'autocertificazione la documentazione che comprovi l'adozione. Eppure in queste settimane si moltiplicano le richieste di aiuto da parte di dipendenti e volontari, arrivati allo stremo. Le adozioni sono ferme. "Questo perché - spiega la Rocchi - le regole generali posso trovare tramite le diverse aziende sanitarie locali correttivi che variano da regione a regione". Inoltre, le adozioni fuori comune sono sospese dalla regola della "assoluta urgenza" richiesta per giustificare questo genere di spostamenti. E non solo. Come chiarisce Diana Lanciotti, fondatrice del Fondo Amici di Paco, "incide anche il fattore psicologico, con la paura che c'è in circolazione, le persone preferiscono restare a casa e rimandare le adozioni a settembre". "Ci auguriamo - conclude - che questo periodo di attesa non li scoraggi e che in autunno ci sia un boom di adozioni consapevoli". Un discorso a parte, invece, va fatto per chi alleva cani di razza. Il governo ha stilato un elenco di attività produttive che sfuggono alla sospensione, indicandole tramite i rispettivi codici Ateco. Gli allevamenti di cani sono una di queste. Ma in una successiva circolare del Ministero della Salute viene specificato che "gli animali non destinati ad attività produttive e zootecniche" possono essere trasportati "solo per esigenze connesse alla salute e al benessere degli animali". Quindi? Regna la confusione più totale e gli allevamenti rischiano il sovraffollamento. "Ho ventidue cuccioli prenotati prima dell'emergenza e pronti per essere consegnati, non so più dove metterli e non so come devo muovermi", ci racconta Angela, che alleva Labrador e Golden Retriever. "I cani non sono delle scarpe che si possono stoccare in magazzino - attacca - più crescono e più diventa difficile sistemarli". "In più - aggiunge - i costi di gestione stanno lievitando, come faccio?". Una situazione che sta mettendo in ginocchio il settore cinofilo, portando gli allevatori alla disperazione. "Normalmente sono gli acquirenti ad andare a prendere il cucciolo ma, in tempi di emergenza come questo, chiediamo di essere messi nelle condizioni di poterlo trasportare noi senza rischiare di essere sanzionati", propone Pietro Paolo Condò, presidente del club Cani Compagnia. "Il rischio - avverte - è che qualcuno risolva le cose per conto proprio e decida di abbandonare i cani che non riesce più a gestire". La questione è stata sollevata anche dal senatore di Fratelli d'Italia Andrea De Bertoldi, "recentemente è stata liberalizzata la vendita al dettaglio di semi, piante e fiori ornamentali, chiediamo che venga disposto altrettanto per i cani che non sono oggetti ma esseri viventi". E per dare ossigeno alla categoria il senatore ha presentato un subemendamento al decreto Cura Italia che prevede l'estensione "anche ai gestori di attività cinofile della sospensione dei versamenti delle ritenute dei contribuiti previdenziali e assistenziali e dei premi per assicurazione obbligatoria".
In tempi di coronavirus non abbandonate i cani: sono la miglior cura contro la depressione. Pubblicato venerdì, 20 marzo 2020 da F. Rondolino su Corriere.it. «Ci segnalano da più parti l’abbandono di animali domestici, cani in particolare. Comportamento particolarmente deprecabile, anche perché non c’è alcuna possibilità di diffusione del contagio da Covid-19 tramite i nostri animali»: sono le parole, insieme preoccupate e autorevoli, di Angelo Borrelli, il capo della Protezione civile. Anche la Croce Rossa e l’Ordine dei veterinari di Roma hanno lanciato un appello, rilanciato anche dal nostro canale Animalia e sostenuto da molti personaggi dello spettacolo e della cultura, per convincere le persone a non abbandonare i loro animali perché non sono in nessun modo e in nessuna circostanza contagiosi. Onestamente, però, non penso che sia la paura del contagio a spingere un certo numero di nostri concittadini a comportarsi in un modo così sbagliato. Sebbene all’inizio della pandemia siano circolate voci allarmanti, in particolare su un cane di Hong Kong (che effettivamente è morto, poverino, ma non era positivo e aveva 17 anni: un’età da Guinness dei primati), è stato immediatamente chiarito dalle autorità sanitarie e politiche di tutto il mondo che il pericolo di contagio semplicemente non esiste perché il Covid-19 colpisce soltanto l’uomo (altri tipi di coronavirus colpiscono soltanto i cani, o i gatti). Temo invece che la causa di tanti scellerati abbandoni sia semplicemente la pigrizia dei proprietari, o la difficoltà di gestire un animale in casa quando la casa improvvisamente diventa una specie di carcere in cui tutta la famiglia è costretta a convivere, o anche – e su questo il nostro governo dovrebbe riflettere – l’oggettiva difficoltà a portare il cane a fare la sua passeggiatina due volte al giorno nel caos di decreti, norme, inviti, divieti, autocertificazioni e controlli quasi sempre casuali e soggettivi. Ma se il governo e i governatori, in questo come in tutti gli altri aspetti della crisi, ben più drammaticamente gravi, si dimostrano impreparati, contraddittori e spesso del tutto incapaci, non per questo siamo autorizzati a sbarazzarci del nostro compagno a quattro zampe, neppure se siamo costretti a vivere in una manciata di metri quadri. La compagnia di un animale è una delle migliori cure conosciute contro lo stress e la depressione, e accudirlo è una fonte di soddisfazione e di serenità in queste nostre giornate improvvisamente vuote. Dunque vivere con un animale è, a conti fatti, più un vantaggio per noi che per lui. Quanto a me, che già ho il privilegio, inestimabile di questi tempi, di vivere in campagna, il turno settimanale allo stallo gestito dai volontari di Pasqualina & Friends è diventato ancora più prezioso: non soltanto perché si passa qualche ora all’aria aperta, ma anche e soprattutto perché, perdonate il bisticcio, dai cani può venire quel calore umano che tra noi umani è ormai proibito. Se adottare un cane in queste settimane può essere complicato, e non tutte le amministrazioni locali lo consentono, chi ha un po’ più di tempo a disposizione può contattare il canile o lo stallo più vicino: può darsi che abbiano bisogno di una mano. E a guadagnarci sarete voi.
Marco Pasqua per "ilmessaggero.it" il 17 marzo 2020. Difficile dire se certi abbandoni siano già legati alla paura immotivata (l’Organizzazione mondiale della Sanità è stata chiara) della trasmissione del Coronavirus da animale a uomo. Fatto sta che alcune associazioni animaliste registrano alcuni casi singolari, che riguardano cani di razza. Nello specifico, un Dalmata, ritrovato a Roma Sud, all’altezza della Tuscolana, fuori dal Raccordo (e che, per fortuna, in poche ore ha trovato qualcuno per un pre-affido). Ma anche quello di un Husky, con collare e guinzaglio rosso, trovato in questi giorni nella zona del Verano. Anche per evitare altri abbandoni, la Croce Rossa Italiana e l’Ordine dei medici veterinari di Roma, hanno fatto partire una campagna di sensibilizzazioni, che vanta, tra i promotori, Lino Banfi, Giancarlo Magalli, Enzo Salvi. «Noi non siamo contagiosi», è il nome dell’iniziativa. «Gli allarmi diffusi sui social con notizie errate e fake news hanno creato una situazione di panico facendo registrare, recentemente, un incremento ingiustificato degli abbandoni», denunciano i responsabili della campagna, che aggiungono: «Ad oggi non ci sono prove scientifiche del fatto che gli animali possano contrarre il Covid-19 o essere loro stessi veicolo di trasmissione per l’uomo».
La fake news sul boom dei cani abbandonati a causa del coronavirus. La presidente dell’Ente nazionale per la protezione degli animali smentisce la fake news sull'aumento di abbandoni dei cani per paura del Covid-19. Bianca Elisi, Domenica 22/03/2020 su Il Giornale. Sono settimane confuse e paurose. Ogni giorno nelle nostre vite cambia qualcosa. Mentre cerchiamo di adattarci a una nuova quotidianità siamo bombardati da informazioni sull’emergenza coronavirus. Notizie che non sempre si rivelano vere. Una delle più grandi bufale circolate in queste ore ha a che fare con i nostri amici a quattro zampe. C’è chi sostiene che gli abbandoni siano in aumento. Dicono che è tutta colpa di una paura infondata e che in tanti guardino ai propri animali domestici come una minaccia. Si teme che possano trasmettere il Covid-19. Sulla questione è anche intervenuto il capo della Protezione Civile Angelo Borrelli con un appello: “Non abbandonateli, non è dimostrata la possibilità di contagio”. È persino nata una challenge che continua a rimbalzare social network: “Postate una foto del vostro amico peloso e scrivete #iononticontagio, non mi abbandonare”. Ma cosa c’è di vero in questa storia? Nulla. È solo un passaparola che a furia di circolare è diventato virale. La smentita sul presunto aumento degli abbandoni è arrivata da Carla Rocchi, presidente dell’Ente nazionale per la protezione degli animali (Enpa). Sentita dall’Adnkronos la Rocchi ha spiegato che la notizia “è assolutamente priva di qualunque fondamento”. Il problema semmai è un altro: "Abbiamo riscontrato un comprensibile rallentamento delle adozioni nelle ultime due settimane", ha detto la Rocchi. Un’ovvia conseguenza della quarantena. Il decreto del governo non ha espressamente vietato le adozioni, tuttavia ha stabilito che le movimentazioni di animali debbano essere differite “salvo eccezioni inderogabili legate al benessere degli animali”. Un modo per ridurre le occasioni di contagio, ma anche per contrastare i furbetti. Quelli che per eludere le restrizioni sono disposti a tutto: persino a prendere un cane. Servendosi dell’animale per giustificare uno spostamento che altrimenti sarebbe vietato. Il vero boom, infatti, non riguarderebbe affatto gli abbandoni, bensì i tentativi di accaparrarsi un cane. Tanto che in Sardegna le adozioni nei canili comunali sono state bloccate. “Quando è scattata quest’emergenza, abbiamo ricevuto tramite l’Assl, una nota dall’assessorato regionale della Sanità, che ha deciso di chiudere al pubblico tutti i canili”, spiegano all’Agi i dipendenti dal canile di Cagliari. “Con l’emanazione del decreto, sono state sospese tutte le adozioni, anche per disincentivare le persone a trovare la scusa per poter uscire da casa”, aggiungono. In lizza per adottare un cane ci sarebbero soprattutto famiglie con bambini: “Ci hanno detto che, approfittando della chiusura degli istituti scolastici, ora avrebbero potuto seguire bene il cane. Ci hanno contattato anche persone che da molto tempo hanno un nostro animale in affido, a distanza, per chiederci se ci fosse la possibilità di avvicinarsi in canile per prenderlo e portarlo a casa”. Insomma, tutto d’un tratto diverse persone hanno deciso di aprire la loro porta di casa a un cane. Più che una certezza di tratta di un sospetto. E allora viene da chiedersi: chissà se alla fine di questo periodo buio rimarranno dello stesso avviso. “L’auspicio è che quando terminerà questa emergenza possa esserci un’ondata di adozioni consapevoli - spiegano ancora da Cagliari - ci auguriamo che le persone colgano l’occasione per riflettere meglio”.
Davide Turrini per "ilfattoquotidiano.it" il 17 marzo 2020. Il problema sarà reggere l’impatto quando aumenteranno gli abbandoni e diminuiranno le adozioni”. Al canile di Lodi ci si dà da fare il quadruplo rispetto a un mese fa. Sperando che la situazione complicata dell’oggi non peggiori domani. Geograficamente nell’occhio del contagio da coronavirus fin dal 21 febbraio anche le strutture del Nord Italia che accudiscono cani e gatti abbandonati provano a far quadrare il cerchio tra restrizioni del movimento individuale, chiusure al pubblico e il solito amorevole accudire le loro amate bestiole. “Facendo turni lunghissimi stiamo garantendo tutti i servizi necessari per i nostri cani”, spiega la responsabile del canile lodigiano al fattoquotidiano.it. “I nostri volontari nell’emergenza si sacrificano. Hanno i permessi per spostarsi preparati dal nostro presidente. Il nostro veterinario è a disposizione 24 ore su 24 e abbiamo scorte di cibo per almeno tre mesi. Il problema sorgerà nelle prossime ore perché per decreto giovedì 12 marzo ci è stato imposto il blocco delle adozioni e i soli utenti che potranno venire in canile saranno i proprietari dei cani accalappiati per venire a riprenderseli”. “Mi preoccupano i cani che erano già stati prenotati e sarebbero dovuti andare nella loro nuova casa”, racconta Serena Fiorilli dal canile di Trebbo di Reno, il canile comunale della città di Bologna che ospita oltre 130 cani e decine di gatti. “Abbiamo paura che molte adozioni previste si perdano. In questo momento le persone che prima si erano avvicinate con prudenza non mettono più al primo posto l’idea di condividere la propria vita con un animale”. Eppure la “quotidianità” in canili e gattili fino al penultimo dcpm di domenica 8 marzo e all’ultimo dcpm di mercoledì 11 marzo procedeva piuttosto liscia, con le ovvie e obbligatorie precauzioni, come nelle settimane precedenti. “Il giorno successivo alla chiusura delle scuole fuori dalla porta avevamo la ressa. In alcuni momenti anche venti, trenta persone in attesa. Nelle famiglie con bambini era nato spontaneo il desiderio di iniziare a vivere con un cane. Avessimo saputo che tutto quell’assembramento non volontario aumentava i rischi del contagio avremmo lavorato in maniera differente”, ricorda Rina, la responsabile del canile di Colzate che si trova in un altro epicentro del contagio, la Val Seriana a pochi chilometri da Bergamo città. “Come tutti siamo stati presi dal panico, ma abbiamo reagito con calma e determinazione. Tutti i pomeriggi non ci devono essere che più di tre volontari al lavoro con le distanze di legge l’uno dall’altro – continua la donna -, la fortuna, in mezzo a questa situazione d’emergenza, è che per i nostri cani non è cambiato niente. La nostra struttura è a un passo dal bosco e dal fiume così i quadrupedi continuano a fare le loro sgambate sereni”. “Non siamo in sofferenza, anzi siamo sotto i numeri di capienza standard”, sottolinea Michele De Gennaro l’addetto stampa del comune di Milano con delega alle comunicazione per le attività dell’assessorato allo Sport, Turismo e Qualità della vita sotto cui ricade il Parco Canile e Gattile di Milano, gestito poi da Oipa e Arcadia. “Da martedì 10 marzo non accedono più i volontari, ma solo i dipendenti che gestiscono la struttura. L’attività in generale è chiaramente diminuita, perché ora sono attivi solo i servizi online dove puoi informarti sulle adozioni nel futuro quando il canile riaprirà. Noi siamo un’eccellenza italiana del settore, manteniamo bilanciate entrate ed uscite in modo virtuoso. Ora ospitiamo 150 cani e 125 gatti. Ci aspettiamo qualche abbandono di animali soprattutto da parte di anziani e malati, ma ad esempio nei giorni in cui si parlava del primo contagio per Coronavirus su un cane di Hong Kong non abbiamo registrato alcun abbandono o qualsivoglia paura”. “L’amore per cani e gatti vince sempre anche in questi momenti delicati. Siamo riusciti ad ottenere i lasciapassare anche per le gattare che vanno a portare cibo nelle colonie feline limitrofe”, ricorda Cinzia Maddalena del Gattile di Conegliano in provincia di Treviso. “Ora abbiamo una trentina di gatti adulti e a breve arriveranno i cuccioli, pensate che c’è già chi, speranzoso che dal 3 di aprile tutto torni alla normalità, ha già prenotato i gattini ancora in gestazione”. Al gattile di Conegliano si arriva anche ad oltre 30 adozioni a mese, a fronte comunque di un abbandono annuo, nell’intera provincia di Treviso, di oltre 1100 felini. “A breve comincerà a mancare sostegno economico proprio per i cuccioli. Hanno bisogno di vaccini e continui check-up. I nostri veterinari ci aiutano, ma l’elemento maggiore di criticità sarà quello delle spese sanitarie”, conclude la Maddalena -, “a livello personale ho un’unica gioia: in questo momento difficilissimo posso rimanere più tempo a casa con i miei cani e gatti. Non gli toccherà più vivere scene buffe e solitarie come nel film Pets. Sarò lì con loro in attesa che l’emergenza finisca”.
· Epidemia ed ambiente.
Nei giorni del coronavirus, il fantasma di Venezia è una medusa che nuota nei canali. Repubblica tv il 22 aprile 2020. Si è detto e scritto molto dei canali di Venezia tornati puliti e trasparenti a causa - ma sarebbe meglio dire per merito, in questo caso - del lockdown. Ma questo video girato dallo zoologo Andrea Mangoni, appena una settimana fa, supera ogni immaginazione: si scorge una medusa, nell'acqua, e il riflesso dei palazzi veneziani rende il suo movimento ancora più surreale. "A volte basta cambiare il proprio punto di vista, per ammirare un fantasma muoversi attraverso i palazzi veneziani" scrive appunto Mangoni sulla sua pagina Facebook, dove ha condiviso questo filmato. E aggiunge: "Complice l'eccezionale calma dei canali di Venezia dovuta all'assenza delle imbarcazioni, questa medusa polmone di mare (Rhizostoma pulmo) nuotava nelle acque trasparenti vicino al ponte dei Bareteri". Va detto che già nello stesso punto, nel 2016, era stata avvistata una grande medusa. Ma le acque trasparenti delle ultime settimane hanno reso ancora più straordinario il passaggio dell'animale marino ripreso da Mangoni. Video: Facebook/Andrea Mangoni
Aldo Grasso per il Corriere della Sera il 19 aprile 2020. I cieli non sono mai stati così limpidi, ci assicurano i satelliti dell' Ente spaziale europeo. «È la prima volta che vedo questo effetto di ripulitura dell' aria in un' area così vasta», sostiene una ricercatrice della Nasa. L' acqua è tornata limpida persino in laguna, a Venezia. È il paradiso terrestre sognato da Greta Thunberg, quel cielo di Lombardia così bello quand' è bello, è il Nuovo Mondo invocato da Jeremy Rifkin, l' altra mattina a «Radio anch' io», frutto della resilienza, la parola epidemica che risolve i problemi. Un paradiso terrestre da cui però è scomparsa l' umanità, in segregazione domiciliare per via della quarantena. Per fortuna c' è Internet a salvare i nostri rapporti, a permetterci di lavorare, ad avere ancora il mondo a portata di clic. Nei confronti dell' ambiente abbiamo commesso imperdonabili errori, ma il progresso (che ci ha consentito di realizzare tantissimi sogni, tra cui il web) ha un costo: «Sogni gratis non ce ne sono, è sempre una questione di energia» (Antonio Pascale). Acqua azzurra, acqua chiara ma anche benessere, salute pubblica e acqua calda. Non ci resta che la via del compromesso tra il rispetto dell' ambiente e l' irrinunciabile: è la via più difficile, la più complessa ma la sola praticabile. Altrimenti la decrescita felice sarà solo infelicità crescente, un accidioso lockdown.
Luca Bertevello per ilgazzettino.it il 30 marzo 2020. Non solo il coronavirus. L'Est asiatico sembra dispensare minacce a piene mani, stavolta sotto forma di polveri sottili. Ciò che è accaduto negli ultimi giorni ha pochi precedenti: le correnti gelide di inizio settimana hanno pescato aria continentale dalla zona del Mar Caspio e dei deserti del Karakorum che poi le correnti di Bora hanno riversato sui Balcani e sulla pianura padano-veneta. Normalmente si tratta di correnti secche, che hanno il pregio di ripulire l'aria come è accaduto molte volte in passato dopo forti stagnazioni. Non è stato così. Intrappolate nel cuore del continente asiatico, le polveri inquinate si sono messe in marcia, catturate da queste correnti che, come un nastro trasportatore, le hanno depositate sulle nostre regioni. Ieri notte i valori di pm10 sono schizzati alle stelle in tutto il Nordest e rimarranno su concentrazioni straordinariamente elevate almeno fino alle prime ore di lunedì. Non una bella notizia nel periodo di massima emergenza che sta vivendo il paese, dato che la correlazione fra elevate concentrazioni di smog e maggior incidenza di malattie respiratorie è scientificamente dimostrata. L'esposizione prolungata al pm10 porta ad avere una minor capacità di contrastare le infezioni alle vie respiratorie e può rendere perfino critica la condizione di quei pazienti che hanno problemi cronici. I dati delle centraline di rilevamento dell'Arpav fanno capire bene la portata del fenomeno: in un periodo, ultima decade di marzo, in cui la concentrazione media di polveri sottili si attesta storicamente fra i 20 e i 30 microgrammi per metro cubo, ieri c'è stato un picco di 164 nel parco dei Colli Euganei, di 237 in via Beccaria, 239 alla Bissuola, 226 in via Tagliamento e 235 a Rio Novo, tutte stazioni di rilevamento dislocate fra Mestre e Venezia; nella Marca Trevigiana punte di 225 in via Lancieri di Novara, a Treviso città, di 195 a Mansuè e di 167 a Conegliano. Non si sono salvate neppure Adria (171) e Legnago, 142. Si tratta di valori massimi, certo. Ma in molti casi il livello delle polveri sottili non è mai sceso sotto i 120 mg-m3 nell'intero arco delle 24 ore. Se possibile la situazione in alcuni zone attraversate dal flusso continentale sono state ancor peggiori: la vicina Lubiana ha raggiunto un picco di 400 microgrammi per metro cubo, record assoluto per la capitale slovena che mai da quando esistono le rilevazioni, aveva sperimentato un inquinamento di questa portata. D'altronde l'aria fredda, più pesante dell'aria calda, ha permesso al particolato di depositarsi negli strati più prossimi al suolo e lì rimarranno fino a quando non cambierà drasticamente la circolazione atmosferica. Questo dovrebbe accadere da lunedì quando torneranno scenari pienamente invernali su tutto il nord Italia con possibilità di rovesci nevosi innescati da aria fredda ma di contributo artico. A quel punto anche lo smog verrà spazzato via restituendoci un contesto più salubre. Ma fino ad allora c'è una buona ragione in più per restare dentro casa.
Che fine ha fatto Greta? Tornerà ma il mondo sarà diverso. La Repubblica il 22 marzo 2020. Come porti avanti gli scioperi delle scuole che fai ogni venerdì da 82 settimane, ora che le scuole di mezzo mondo sono chiuse? E come progetti le marce globali per il clima, quando siamo barricati in casa da giorni e ci staremo forse per mesi? Il coronavirus ha colpito anche Greta Thunberg e la battaglia dei giovani per cambiare il nostro modo di stare sul pianeta terra. Chiariamo: Greta sta bene. L’ho vista l’altro giorno su Zoom, la piattaforma di videoconferenze che adesso va per la maggiore. Non eravamo soli: c’era qualche altro centinaio di ragazzi e ragazze (ma in video si sono viste solo ragazze). Le chiedevano: e adesso? E noi che facciamo? La crisi del coronavirus come cambia quella del cambiamento climatico? Ci ascolteranno ancora i potenti della Terra? Greta stava nella sua casa di Stoccolma, in felpa nera, ogni tanto il suo cane entrava nell’inquadratura: “Stiamo molto insieme”. A un certo punto ha anche detto che fra le altre cose che sta facendo, sta imparando a fare l’uncinetto; e non sembrava una battuta. Strana la vita, davvero: quando in Cina si sono registrati i primi casi, a dicembre, TIME l’aveva messa in copertina come persona dell’anno. Nel 2019 aveva esordito a gennaio andando a Davos, in Svizzera, urlando ai ricchi e potenti del pianeta “la casa è in fiamme”; ed a settembre era a New York, dopo aver attraversato l’Atlantico a vela per non inquinare, a dire alle Nazioni Unite “How dare?, come vi permettete di non fare nulla?”. E adesso che si fa, Greta? Adesso si ascoltano gli esperti, si seguono le indicazioni degli scienziati, ha detto, lo ha sempre detto del resto. Certo questa crisi non cancellerà quella climatica, perciò dovremo farci trovare pronti, ma per il futuro, non adesso, perché adesso non ci ascolteranno, e non venitemi a dire che l’inquinamento si riduce perché la gente sta chiusa in casa, questa è una tragedia, la gente muore. E ha concluso così: ascoltate gli esperti (di nuovo) prendetevi cura di voi stessi e dei vostri cari, siate felici. Era diversa da come l’abbiamo vista (e ammirata) per oltre un anno. Un po’ confusa, ha ammesso. Ma tornerà, Greta, perché il coronavirus e il cambiamento climatico non sono due crisi alternative, ma due fenomeni che hanno lo stesso punto di arrivo: l’esigenza di ripensare il nostro modo di stare sul pianeta Terra. Tornerà, e il mondo sarà già un po’ diverso.
Coronavirus e altre epidemie: perché sono legate ai cambiamenti climatici e alla perdita di biodiversità. Pubblicato martedì, 17 marzo 2020 su Corriere.it da Alessandro Sala. C’è uno stretto legame tra la perdita di biodiversità, i cambiamenti climatici, le alterazioni degli habitat naturali e la diffusione delle zoonosi, ovvero le malattie trasmesse dagli altri animali all’uomo e di cui anche l’attuale coronavirus che è diventato pandemia fa parte. E per capirlo basterebbe pensare al pangolino. Forse non tutti lo conoscono, soprattutto alle nostre latitudini, ma questo mammifero insettivoro che ha il corpo ricoperto da scaglie che assomigliano ad una corazza da samurai, è una delle specie più a rischio che esistano. Tutte le sue otto varianti sono considerate in via di estinzione dallo Iucn, l’Unione internazionale per la conservazione della natura, e la ragione di questo è da ricercare nel commercio illegale. Antiche credenze hanno fatto diventare questo curioso animaletto un ricercatissimo (e redditizio) oggetto del desiderio, sulla base della credenza anti-scientifica che le sue scaglie e la sua carne possano avere miracolosi poteri taumaturgici e afrodisiaci. Che c’entra dunque il pangolino? Secondo alcuni studi potrebbe essere stato proprio lui la specie «ospite» che ha consentito il transito del coronavirus dal pipistrello all’uomo. Non tutti gli studi sono concordi sul ruolo del pagolino come vettore, gli italiani del l’Univeristà Campus Bio-Medco di Roma tendono per esempio a scagionarlo. Ma sono state trovate corrispondenze tra il genoma del virus Sars-Cov-2 e quelle dei pangolini comprese tra l’85,5 e il 92,4% degli esemplari esaminati. E anche qualora non fosse lui il «taxi» che ha consentito il passaggio dal pipistrello all’uomo — il cosiddetto spillover raccontato anche nell’omonimo libro del 2012 di David Quammen — quello su cui tutti non hanno dubbi è il fatto che vi sia stato un transito della malattia dagli animali alla nostra specie e che questo sia avvenuto in ambiente urbano. Un passaggio che, sottolinea un report del Wwf pubblicato nei giorni scorsi — «Pandemie, l’effetto boomerang della distruzione degli ecosistemi», a cura di Isabella Pratesi, Marco Galaverni e Marco Antonelli e con anche la consulenza scientifica di Gianfranco Bologna e Roberto Danovaro - è strettamente legato ai mutamenti di clima e ambiente causati dall’azione dell’uomo. La tesi è molto semplice: le principali epidemie degli ultimi anni — Ebola, Sars, Mers, influenza aviaria o suina ma anche l’Hiv che causa l’Aids — sono di origine animale. E ad influire la loro diffusione è stata la riduzione delle barriere naturali che per secoli hanno creato un argine al contagio. Le foreste, per esempio, sono sempre state custodi di una vastissima biodiversità e la presenza contemporanea di tante specie animali differenti ha messo i virus di fronte al cosiddetto «effetto diluizione»: avendo la probabilità di attaccare anche specie non ricettive, i virus non trovano un ambiente fertile in cui propagarsi e di conseguenza si bloccano, si indeboliscono, si estinguono. La deforestazione finalizzata alla creazione di pascoli, alla produzione di legname e carta o all’avanzata delle aree urbane ha di fatto cancellato parte di questo «gregge» multiforme e multi-specie che come una sorta di prima linea permetteva di mantenere una maggiore distanza tra i virus che potremmo definire «selvatici» e l’essere umano. Il quale si è invece spinto sempre più, per esplorazione o caccia (anche a specie protette), all’interno delle stesse foreste pluviali, i principali scrigni di biodiversità del pianeta, aumentando i rischi di contagio. Come se tutto ciò non bastasse, sempre l’uomo ha pensato bene di catturare specie animali selvatiche per farne cibo o per la realizzazione di prodotti derivanti da varie parti dei loro corpi. Del resto, sembra ormai assodato che l’origine dell’attuale coronavirus sia da ricercare nel mercato di animali vivi di Wuhan, uno dei tanti «wet market» cinesi in cui la fauna anche selvatica viene esposta viva e poi macellata al momento (il motivo è spesso la mancanza di frigoriferi o congelatori, che impedisce di mettere in vendita animali già morti). In questo modo si realizza uno spargimento di sangue che favorisce la trasmissione del virus da specie a specie. In ogni caso, che l’ospite sia stato il pangolino o che il contagio sia avvenuto direttamente tra pipistrello e uomo attraverso il sangue poco cambia: il dato di fatto è che all’origine del probabile contagio iniziale c’è una pratica, la vendita di fauna selvatica, che dovrebbe invece essere ostacolata su scala globale. E a dire il vero anche la Cina lo ha capito imponendo divieti a seguito del dilagare della Covid-19. La carne di animali selvatici, la cosiddetta «bushmeat», viene spesso consumata da persone povere, che non hanno altre risorse alimentari e che per questo nelle zone rurali dei Paesi poveri o in via di sviluppo si adattano a considerare cibo specie che in Occidente mai e poi mai ci sogneremmo di considerare alimento, come per esempio le scimmie, catturate nella natura selvatica (da cui il termine bushmeat). Ma, evidenzia il Wwf, c’è anche un retaggio culturale che spinge famiglie di origine africana (ma anche di altre aree del Sud del pianeta) emigrate in aree urbane e diventate benestanti a chiedere, per il mantenimento di un legame con la tradizione del Paese di origine, questo tipo di carne, che diventa di conseguenza oggetto di commercio internazionale. La circolazione di animali, vivi o morti, provenienti dal cuore delle foreste pluviali contribuisce alla diffusione dei patogeni. Insomma, la relazione diretta tra i comportamenti sbagliati dell’uomo, la perdita di habitat e foreste e la diffusione di malattie è abbastanza evidente. L’equilibrio che la natura era in grado di stabilire viene meno per effetto delle attività umane. Di qui anche il riferimento ai cambiamenti climatici: laddove non è la ricerca di nuovi spazi e nuovi terreni a cancellare direttamente le foreste, sono le nostre azioni indirette a farlo. Il rapporto del 2019 dell’Ipbes, il comitato internazionale e intergovernativo scienza-politica che per conto dell’Onu si occupa di biodiversità e ecosistemi, parla chiaro: il 75% dell’ambiente terrestre e circa il 66% di quello marino sono stati modificati in modo significativo e circa 1 milione di specie animali e vegetali, come mai si era verificato fino ad oggi nella storia dell’umanità, sono a rischio estinzione. Dati che fanno il paio con quelli del Living Planet Report del Wwf del 2018, che spiega come in circa 40 anni il pianeta abbia perso in media il 60% delle popolazioni di invertebrati. E ancora, su tutto, va considerato che negli ultimi 50 anni la popolazione umana mondiale è raddoppiata, aumentando così il bisogno di risorse che ha portato ad un impoverimento delle risorse naturali e ad un aumento dell’inquinamento: i gas serra, per esempio, sono raddoppiati dal 1980 ad oggi e hanno contribuito fortemente all’ormai acclarato aumento di almeno un grado della temperatura media terrestre rispetto all’epoca preindustriale. Tutte queste azioni scellerate da parte dell’uomo, che non possono più essere considerate inconsapevoli, hanno non soltanto dei costi umani ma anche dei costi economici notevoli. Basti pensare anche a quanto debbano oggi investire le economie mondiali per fare fronte ai contraccolpi dovuti alla pandemia in corso, che pure è solo agli inizi. «Ecco perché è fondamentale riuscire a proteggere gli ecosistemi naturali, conservare le aree incontaminate del pianeta, contrastare il consumo e il traffico di specie selvatiche, ricostruire gli equilibri degli ecostistemi danneggiati e anche frenare i cambiamenti climatici — commenta Donatella Bianchi, presidente del Wwf Italia —. Serve quello che abbiamo definito un New deal for nature and people, che permetta di dimezzare la nostra impronta sulla terra. Iniziare a ricostruire gli ecosistemi distrutti, che sono la rete di protezione naturale da epidemie e catastrofi, è il primo passo da fare». Anche perché, come recita la citazione di Quammen che apre il report, «là dove si abbattono gli alberi e si uccide la fauna, i germi del posto si trovano a volare in giro, come polvere che si alza dalle macerie».
Autostrade e città deserte, fabbriche a ciclo ridotto; il Covid-19 aiuta a migliorare la qualità dell'aria. E può essere un bene anche per la lotta al virus. Barbara Massaro il 23 marzo 2020 su Panorama. Esiste un rapporto diretto tra inquinamento atmosferico e diusione del Coronavirus. La scoperta è stata confermata qualche giorno fa dai risultati di uno studio curato da un team di ricercatori italiani e medici Il Coronavirus abbatte trafco e inquinamento: i dati della Società italiana di Medicina Ambientale (Sima). Gli studiosi hanno incrociato i dati del periodo tra il 10 e il 29 febbraio. Da una parte del graco hanno posto quelli provenienti dalle centraline di rilevamento delle Arpa, le agenzie regionali per la protezione ambientale, dall'altra i dati del contagio da Covid-19 riportati dalla Protezione Civile, aggiornati al 3 marzo, tenendo conto del ritardo temporale intermedio di 14 giorni pari al tempo di incubazione del virus. La conclusione è stata che si evidenzia una relazione tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di Pm10 e PM2,5 e il numero di casi infetti da Covid-19.Se, quindi, l'inquinamento atmosferico favorisce la diusione del contagio da Coronavirus potrebbe essere altrettanto vero che la diminuzione sensibile delle polveri sottili nell'aria faciliti la battaglia mondiale contro il Covid-19. I nuovi dati che arrivano della missione Copernicus Sentinel-5P dell'Agenzia spaziale europea mostrano in maniera chiara come sopra la pianura padana – esattamente come accaduto in Cina – stia diminuendo in maniera sensibile la nuvola rossa di diossido di azoto. Questa è la conseguenza più evidente del rallentamento delle attività produttive e soprattutto degli spostamenti privati responsabili del 70% dell'inquinamento urbano da diossido d'azoto. A Milano negli ultimi 10 giorni la concentrazione di PM10 nell'aria non ha mai superato la quota limite di 50 milligrammi per metro cubo, mentre a metà gennaio il livello medio giornaliero era tra i 79 e i 96 milligrammi. Nella prima metà di febbraio le cose non sono cambiate e la concentrazione diaria di polveri sottili era sempre compresa tra i 79 e i 92 mg/m3. I dati che arrivano da Arpa Lombardia attualizzati agli ultimi 10 giorni evidenziano un sensibile crollo del PM10 sotto la / Madonnina. Il livello minimo è stato raggiunto il 13 marzo quando non è mai stata superata una quota media di PM10 di 17 mg/m3 e il massimo d'inquinanti atmosferici sono stati rilevati il 17 marzo quanto la centralina di Viale Marche ha segnato i 42 mg/m3. Lo stesso vale anche per altri focolai lombardi del contagio. La qualità dell'aria di Codogno, ad esempio, tra gennaio e febbraio era pessima con livelli di PM10 costantemente sopra quota 50. Tra il 10 e il 17 marzo, invece, il livello di PM10 nell'aria ha oscillato tra i 20 mg/m3 e i 44 mg/m3. A Bergamo, nella stessa settimana, le polveri sottili hanno raggiunto un massimo di 35 mg/m3 e un minino di 14 mg/m3 e a Brescia la forbice è stata tra i 18 mg/m3 e i 44 mg/m3 del 17 marzo. Ogni anno in Italia per le conseguenze dello smog muoiono circa 34.000 persone ovvero quasi 100 al giorno. Si tratta di decessi causati da patologie sviluppate a causa dell'inquinamento come asma, polmoniti, patologie cardiache e respiratorie. Le polveri sottili, infatti, rappresentano una sorta di autostrada per virus e batteri che trovano negli inquinanti un ottimo transfert per arrivare all'uomo e quanto accaduto col Coronavirus non fa che confermare questo. Un virus tanto potente e devastante come il Covid - 19 in ambienti saturi di ossidi di azoto e polveri sottili ha trovato l'occasione per deagrare e diondersi in tutta la sua potenza. In Cina in primis, e poi in pianura padana, ma anche nella regione di Madrid e in generale in tutte le zone a più alta concentrazione di inquinanti. Si tratta delle aree dove sono stati registrati i maggiori focolai nazionali di diusione del Covid -19. In questo senso l'arrivo della bella stagione e la drastica diminuzione dell'inquinamento globale dovuto alle misure nazionali di contenimento del contagio potrebbero favorire la vittoria della battaglia "uomo contro Coronavirus". La diminuzione del livello di polveri sottili nell'aria è coerente e proporzionale al crollo del traco urbano ed extraurbano in pianura padana. L'esempio di Milano è lampante. Se nelle prime due settimane d'emergenza il traco privato era diminuito del 15, 20% (i dati arrivano dall'Osservatorio mobilità del Comune di Milano), nella terza settimana il calo è stato del 63%. / Ancora più drastica la riduzione dell'utilizzo dei mezzi pubblici che già a inizio emergenza erano stati dimezzati e ora segnano un calo del 90%. Reggono i mezzi di servizi che, a fronte di una prima diminuzione di circolazione del 10%, tra giovedì e venerdì della scorsa settimana sono scesi al – 45%. E se il traco nell'Aerea B di Milano è diminuito del 60% nella terza settimana di blocco, l'ingresso dei taxi nell'Area C è arrivato a scendere dell'89% nelle ore serali.Interessante osservare la variazione dell'utilizzo di mezzi di sharing o comunque alternativi a autobus, tram e metropolitane. I dati dell'Osservatorio Telepass, infatti, mostrano come a inizio emergenza, a fronte della diminuzione nell'utilizzo dei mezzi pubblici, si era vista un'impennata nell'utilizzo di forme alternative di spostamento come i monopattini elettrici o scooter e bici in sharing. Il Comune di Milano, però, ha fatto notare che, da quando il blocco agli spostamenti si è irrigidito anche i mezzi in sharing sono entrati in crisi con un calo del 78% del noleggio auto dell'85% di bici e moto e dell'89% dei monopattini. Praticamente azzerato il mercato dei bus turistici che nelle ultime 3 settimane è arrivato a segnare un – 97%. Diminuito drasticamente è anche il traco extraurbano. Osservatorio Telepass sottolinea che solo il traco merci è praticamente immutato mentre Autostrade per l'Italia, tramite la concessionaria Atlantia, fa sapere che i passaggi dai caselli nella direzione di tronco di Milano (Lombardia, più basso lodigiano e parmense) sono diminuiti nella settimana tra il 9 e il 15 marzo del 65,5%. Autostrade per l'Italia, inoltre, ha reso noto che, solo nell'ultima settimana, il traco autostradale sull'intero sistema nazionale è calato del 56,3% mentre la precedente era diminuito del 40% e quella ancora prima del 22,7%. Questo signica che sempre più italiani stanno rispettando l'obbligo di rimanere in casa e di non uscire salvo strette emergenze o motivi di lavoro e questo oltre a contenere il contagio migliora la qualità dell'aria e rende la vita dicile al Covid19. Su base annua, facendo una media dei primi due mesi dell'anno, il traco sulla rete autostradale italiana, è diminuito del 8,3%.
Coronavirus, il calo dello smog nel Nord Italia visto dal satellite. Pubblicato giovedì, 12 marzo 2020 su Corriere.it da Giovanni Caprara. Quanto la minaccia e la diffusione di Covid-19 cambi la situazione nella nostra vita quotidiana lo certificano anche i satelliti dallo spazio. Ora è il satellite Sentinel-5 dell’Esa, l’Agenzia spaziale europea, e della Commissione Europea, a mostrarci come nell’aria dell’Italia settentrionale l’inquinante biossido di azoto abbia ridotto la sua presenza fino quasi a dissolversi riducendosi ad un velo impercettibile. Questo gas fa parte della famiglia degli ossidi d’azoto presenti in varie dosi e generati dalla combustione dei combustibili fossili soprattutto dagli impianti di riscaldamento, motori dei veicoli, combustioni industriali, centrali di potenza. Caratterizzato dal colore rosso bruno e da un odore forte e pungente, è tossico ed irritante ed essendo più denso dell’aria tende a rimanere vicino al suolo. Noto è il suo effetto negativo sui polmoni e su chi ha problemi respiratori, aggravandoli. Per questo è in vigore il limite orario di 200 microgrammi per metrocubo; un limite da non superare più di 18 volte all’anno. Ora l’inquietante nube rossastra che il bacino padano mostra di frequente con record a livelli mondiali, in questi giorni sembra quasi scomparsa come mostrano le foto diffuse via Twitter da Santiago Gasso, ricercatore all’Università di Washington e in collaboratore della Nasa. Grazie a Tropomi, che è lo strumento dedicato alle indagini dello stato della troposfera (parte abitata dell’atmosfera) installato sul satellite europeo, è stato possibile documentare il consistente cambiamento che naturalmente è l’effetto della riduzione della circolazione dei veicoli e delle attività produttive imposto dalle circostanze, oltre alla chiusura delle scuole. Meno scarichi e minore inquinamento. Lo stesso effetto era stato rilevato nei cieli della Cina dai satelliti della Nasa e dell’Esa agli inizi di marzo dove i livelli di biossido d’azoto erano scesi del trenta per cento. L’Esa ha una serie di “Sentinelle” in orbita che documentano la salute dell’ambiente sotto i vari aspetti: terra, acqua e aria. E anche l’Asi italiana ha un potente satellite Prisma che assieme alla costellazione dei satelliti CosmoSkymed mirano al controllo ambientale, alle emissioni nocive e allo studio delle condizioni del territorio. Purtroppo il risultato documentato da Sentinel-5 è frutto di limitazioni alla nostra vita quotidiana provocate dalla minaccia del Coronavirus e non da strategie ambientali. Ma pur nell’amarezza della circostanza le immagini satellitari dimostrano che cambiare è possibile.
Marco Cimminella per businessinsider.com il 4 marzo 2020. È l’altro effetto, indiretto, dell’epidemia di coronavirus. La qualità dell’aria sulla Lombardia è cambiata negli ultimi giorni: la riduzione del traffico e delle attività produttive e commerciali, conseguenti all’adozione delle misure regionali e alle indicazioni sanitarie per contenere il contagio, ha contribuito a determinare un taglio delle emissioni. “Il cambiamento del livello di Pm10 è in parte dovuto a condizioni meteorologiche, ma è anche stato causato da una minor inquinamento prodotto dall’uomo”, spiega a Business Insider Italia Guido Lanzani, responsabile Arpa Lombardia per la qualità dell’aria. La minore circolazione delle auto e il rallentamento dei ritmi di lavoro nelle aziende hanno contribuito a una diminuzione delle concentrazioni di particolato nell’atmosfera. Basta dare un’occhiata alle mappe dell’Arpa Lombardia per rendersene conto: dal 25 febbraio 2020 al 2 marzo i colori degli indicatori (che segnalano le stazioni fisse presenti sul territorio) mutano, passando dal rosso (dai 50 ai 100 µg/m³) al celeste (da 0 a 20 µg/m³). “Non è semplice spiegare nel dettaglio questo fenomeno. Innanzitutto perché l’intervallo di tempo considerato, di circa 7 giorni, è troppo breve e non abbiamo tutti i dati necessari per valutare in quali quantità i diversi fattori hanno contribuito a questo miglioramento della qualità dell’aria”, precisa Guido Lanzani. Che aggiunge: “Possiamo però dire che non dipende solo da condizioni atmosferiche favorevoli alla dispersione degli inquinanti”. In effetti, i primi giorni dopo l’adozione dei provvedimenti del governo locale, i livelli di Pm10 registrati dalle stazioni dell’Arpa non avevano subito grosse modifiche. “Se guardiamo i dati di Codogno relativi al 25 febbraio, la media giornaliera di Pm10 era ancora piuttosto alta. La stazione rilevava 82 µg/m³. Solo nei giorni successivi, la quantità di particolato si è ridotta gradualmente, in provincia di Lodi e nel resto della regione”. Secondo l’esperto, le ragioni di questo cambiamento sono diverse. In primo luogo, sono mutate le condizioni meteorologiche: “Il vento e poi ancora le perturbazioni degli ultimi giorni hanno comportato un ricambio della massa d’aria; condizioni diverse rispetto a quelle di gennaio, che hanno invece favorito il ristagno degli inquinanti”. E le disposizioni per affrontare l’emergenza del coronavirus hanno fatto il resto: “Il calo del traffico e la minore attività produttiva hanno sicuramente avuto un impatto sulla qualità dell’aria”. È così che le varie stazioni di Milano riportano dal 27 febbraio al 2 marzo livelli di Pm10 che oscillano tra i 12 e i 35 µg/m³ . Misurare l’impatto preciso dei vari fattori è impossibile per il momento, visto che i dati raccolti finora non sono sufficienti. Le informazioni disponibili forniscono un’indicazione del loro impatto sull’inquinamento atmosferico in questi giorni in Lombardia. Ma probabilmente non si spiega tutto con la riduzione del traffico e delle attività produttive e commerciali o con le mutate condizioni atmosferiche: ad esempio, restano da chiarire gli effetti che hanno avuto l’allevamento intensivo e l’agricoltura. Inoltre questi dati offrono qualche spunto di riflessione, visto che la circolazione delle auto è calata, tra smartworking e isolamento autoinflitto, ma presumibilmente è aumentato l’utilizzo del riscaldamento domestico.
Dagospia il 17 marzo 2020. Da “la Zanzara - Radio 24”. “Se il mondo fosse stato vegano non ci sarebbe stato il coronavirus”. Lo dice convinta Daniela Martani, militante veg ed ex protagonista del Grande Fratello, a La Zanzara su Radio 24. La Martani attribuisce le responsabilità del contagio al cattivo rapporto che l’uomo ha con gli animali selvatici. “Noi vegani – dice - siamo gli unici ad evitare che si diffondano questi virus. Mangiando la carne e certi tipi di animali si diffondono i virus. Avete mai sentito di un virus che deriva dai ceci, dai fagioli o dalle verdure?”. “Ma vi siete informati – aggiunge – da dove vengono questi virus, la sars, la peste suina, la mucca pazza? Vengono dal rapporto sbagliatissimo che noi abbiamo con gli animali. La natura si ribella, la natura si riequilibra. Facciamo un esempio. Quando gli agricoltori si lamentano che ci sono troppi cinghiali, che cosa succede? Si ordina di sparare ad un certo numero di cinghiali. Perché la natura non dovrebbe fare la stessa cosa con noi? Noi siamo in troppi. Siccome la natura è intelligente, si riequilibra. Ad un certo punto dice qua siamo al di sopra del limite...Questo virus potrebbe riequilibrare un po’ la popolazione del pianeta”. Dice poi la Martani : “I vegani hanno meno possibilità di prendere il virus, il sistema immunitario è molto più elevato rispetto a chi mangia carne, quest’anno non mi sono presa nemmeno un raffreddore”. Ma che dici, perché?: “Non è una stronzata. Ci sono due motivi. Il corpo deve essere alcalino ed assumendo cibi acidi si abbassano le difese immunitarie. La carne è uno degli elementi acidi. Seconda cosa. Il 70% degli antibiotici prodotti nel mondo sono utilizzati negli allevamenti intensivi. Quindi quando si mangia un pezzo di carne si fa probabilmente una cura antibiotica. Molti decessi sono causati dalla batterio resistenza, che è bassa proprio perché si mangia carne piena di antibiotici. Se tu sei vegano, hai molte più possibilità di resistere al coronavirus”. Fosse vero quello che dici il governo dovrebbe bloccare la circolazione della carne: “Sicuramente una cosa che avrebbe dovuto fermare immediatamente sono i mattatoi e gli allevamenti intensivi. E poi l’area più colpita è la Pianura Padana e lì c’è la maggiore concentrazione di allevamenti intensivi”.
Francesco Specchia per “Libero quotidiano” il 7 marzo 2020. C' è un curioso effetto collaterale del Coronavirus: passata la buriana ecologista fatta di borracce di vetro, slogan verdi e guerra ai polimeri, torniamo ad essere -come diceva un vecchio detto- "bollicine della plastica in mano a divinità nervose". Nonostante il terrore del virus che dimorerebbe sulle "superfici lisce" (vetro e metallo soprattutto) per almeno 9 giorni, riecco la plastica fare irruzione, prepotente, nelle nostre vite. L' accurato reportage di Piazzapulita su La7 in un reparto ospedaliero di terapia intensiva ha reso plasticamente -scusate il bisticcio- l' idea del cambio di paradigma: mostrava un impressionante garbuglio di corpi malati e intubati, di provette, di fili aggrovigliati come serpenti tra mascherine, di drappelli di infermieri in tute (di plastica) e respiri mozzati. La plastica, dunque, come ultimo baluardo della resistenza. Appare un tantino sfocata, oggi, la foto di Ursula Von Der Leyen e Greta Thunberg, le amazzoni del compostabile, che levano le loro voci verso l' investimento ambientalista da 1000 miliardi di euro ora procrastinato al 2050; e che organizzano la cancellazione del Plasmix, la plastica non riciclabile- a vantaggio di un mondo biodegradabile. Fino a qualche mese fa, anche giustamente, era tutto un tripudio di New Green Deal: si offrivano incentivi a chi rispolverava recipienti in vetro e terracotta; si elevava la plastic tax a indispensabile tributo etico ecc ecc. Oggi, invece, in tempi di emergenza epidemica, la salute della Terra slitta in second'ordine rispetto a quella degli uomini. E la plastica diventa una sorta di mantra inconsapevole, di elemento salvifico, di timone nella tempesta del contagio. Per dire. Onde evitare il propagarsi del Covid-19, la catena Starbucks ha sospeso in Nord America l' utilizzo delle tazze personali, che comportavano per il cliente uno sconto di 10 centesimi sulle bevande, iniziativa lanciata nel 2010 per ridurre il consumo di bicchieri di carta usa-e-getta; e ha ripristinato tazzine e bicchieri monouso, in plastica. Le scuole alla prossima (speriamo) riapertura delle mense sostituiranno i cestoni per il pane e la frutta in sacchettoni. Di plastica. L' Unionplast ha chiamato a raccolta le aziende italiane produttrici di stoviglie in plastica monouso per distribuirle negli ospedali e nei presidi delle Zona Rossa. A Pechino si vendono scudi di plastica tra sedili anteriori e posteriori, a separare la zona del conducente da quella dei passeggeri; mentre nei ristoranti di Hong Kong vanno di moda i "separè trasparenti anti-contagio", ovviamente in plastica. E decine di migliaia di flaconi -in plastica- di disinfettanti e antibatterici sbarcano ogni giorno nei negozi, tra gli uffici, nelle mense: la loro confezione, la loro forma, si è insinuata naturalmente nel nostro quotidiano spazio fisico, nelle nostre tasche tra il portafoglio, il telefonino e -per alcuni- lo spazzolino da denti (anch' esso in plastica). Nel nostro immaginario si sta sfarinando l' immagine della giovane Greta Thunberg e riprende a troneggiare quella del vecchio Giulio Natta, Nobel per la Chimica che diede al polimero una dignità che sembrava persa nella furia dell' economia circolare. Beninteso: l' eccesso di plastica va combattuto per ridare ossigeno a un mondo che abbiamo preso in prestito ai nostri figli. Ma la comune opinione si domostra, come sempre, volatile quanto una zaffata di etilene. Diceva Marcello Marchesi: «Questa è l' epoca della plastica. Memoria di plastica, classe di plastica, raccomandato di plastica. Sembra pesante è leggera, sembra cedevole è resistentissima. Insomma, è l' epoca di tutto ciò che sembra ma non è». Per l' appunto...
Coronavirus ed emissioni di Co2, l’aria è più pulita ma non è una buona notizia: perché? Pubblicato martedì, 10 marzo 2020 su Corriere.it da Milena Gabanelli. Sulla rete autostradale il traffico è calato, nella settimana dal 25 febbraio al 4 marzo, del 18% in media (dati Aspi). Il traffico pesante è stato stabile con un leggero rialzo, anche perché sono aumentate le vendite online, mentre i veicoli leggeri hanno registrato un meno 20%. Meno auto anche sulle statali e in città. A Milano le telecamere dell’area B (quella che comprende il solo territorio cittadino) hanno registrato ingressi in calo del 20%, mentre quelle dell’area C hanno registrato una media del 63% in meno dal 25 febbraio al 4 marzo. La media del calo delle città dell’Emilia Romagna è stata del 12%. La riduzione dotale del CO2 da traffico veicolare, secondo una stima dell’Ispra, è stata di 139.960 tonnellate. A pulire l’aria ci ha pensato il vento. Sui data Arpa Lombardia, confrontando la media degli inquinanti della la settimana precedente l’emergenza Coronavirus con quella successiva, dal 24 febbraio al 1 marzo, c’è stato un calo di monossido di carbonio, biossido di azoto, biossido di zolfo e Pm10 in tutte le città della Regione Lombardia. Sono 15.481 le scuole fra statali e paritarie in Lombardia, Veneto, Emilia Romagna che hanno chiuso completamente la prima settimana d’emergenza (poi molte hanno riaperto solo per attività di segreteria). Impossibile sapere con esattezza se tutte abbiano spento il riscaldamento, sappiamo però che lo hanno fatto in molti, come le 40 scuole di Ferrara e i 158 plessi della città metropolitana di Milano. Sulla base del consumo di gasolio, metano, e teleriscaldamento fatto dalla città metropolitana Milano in 155 scuole da metà ottobre a metà Aprile (115 milioni di kw/h termici) Ispra ha potuto calcolare una stima di minor emissioni di C02 nelle tre Regioni in una settimana per un totale di 78.000 tonnellate. Dal 2 marzo tutte le 53.500 scuole (statali e paritarie) italiane sono chiuse: sono 7.682.635 gli studenti a casa. Nelle ex zone rosse di Lombardia e Veneto sono state 3.543 le aziende che hanno sospeso l’attività. Le dimensioni, le attività e i consumi sono molto diversi fra loro e quindi è impossibile calcolare la quantità di minor emissioni. Dal 3 all’8 marzo gli scali milanesi di Malpensa e Linate hanno registrato la cancellazione del 50% dei voli (da 700 a 350 al giorno), per un totale di 2.100 voli (fonte Assaeroporti). La riduzione dei passeggeri, invece, è stata del 65%, ma è destinata ad arrivare all’80% nei prossimi giorni. A Fiumicino, invece, è stato cancellato il 21% dei voli, pari a 1.131 movimenti in meno, ma la percentuale salirà nei prossimi giorni al 45-50%. Lato passeggeri si registra un dimezzamento. Il totale dei movimenti in meno negli aeroporti italiani dal 15 febbraio al 4 marzo è stato di 3.398, pari a un calo di 1.761.328 passeggeri in meno. Ma le riduzioni aumenteranno con gli stop dei voli annunciati martedì 10 marzo dall’Austria, dalla Spagna e da Ryanair, Iberia, Air Malta, British Airways. Ma in quanto si traduce questo minor movimento come emissioni di gas serra? Un aereo di corto raggio consuma in media 10.000 kg di kerosene. Sul medio raggio (Milano-Dubai) 45.000, sul lungo raggio da 50.000 (Roma-New York) a 60.000 (Roma-Rio de Janeiro). Il consumo, però, dipende da tante variabili (il vento, il carico, il tipo di aereo). La stima di minori emissioni di C02 dovuta al calo di traffico aereo in arrivo e partenza dal territorio italiano, calcolato da Transport & Environment sull’ultima settimana di febbraio, è di 140.973 tonnellate (dati dell’ultima settimana di febbraio a confronto con la stessa settimana del 2019, calcolo di Transport & Environment). La stima di Ispra include anche la prima settimana di marzo ed arriva a 210.000 ton. Il totale quindi calcolato solo sulle tre regioni, relativo a una settimana di riscaldamenti spenti, due settimane di minor traffico automobilistico e aereo (ed esclusi i consumi di riscaldamento delle aziende chiuse) ammonta ad una minor emissione di CO2 per 428.000 tonnellate (qui tutti i dati ). L’equivalente delle emissioni annuali della centrale termoelettrica Ponti sul Mincio di Mantova, o di una città come Bergamo o Monza, oppure della circolazione di 450.000 auto che percorrono 11.000 km annui. Con le restrizioni estese su tutta Italia questo numero si alzerà in modo esponenziale. Almeno dal punto di vista della salute del pianeta è una buona notizia? Per quel che riguarda gli inquinanti sì, perché le concentrazioni sono state basse, per quel che riguarda i gas serra purtroppo no. L’incremento delle concentrazioni di CO2 in atmosfera, e quindi dell’effetto serra, ha memoria di quello che è avvenuto fino ad oggi: è un fenomeno che va valutato nel medio-lungo periodo e ha bisogno di politiche e misure di riduzione delle emissioni di tipo strutturale che tendono a modificare i consumi energetici nel tempo, e non nella congiuntura. Sappiamo, invece, che il costo umano e il disastro economico innescato dalla malattia, potrebbe rendere ancora più difficile combattere i cambiamenti climatici, poiché le risorse che si pensava di destinare a progetti ambientali, dovranno essere dirottate sulla ricostruzione delle macerie. Però se i fondi già stanziati orienteranno gli investimenti in modo sostenibile quando si riparte, se verranno ripensate le catene di fornitura accorciandole, se lo smart working diventerà un modello e non più un obbligo emergenziale, allora potremmo dire che la maledetta piaga ci ha insegnato a entrare in una nuova era.
Francesca Santolini per la Stampa il 16 marzo 2020. Gli effetti del cambiamento climatico sono molteplici: temperature in aumento, scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello del mare, siccità, minaccia alla biodiversità, migrazione umana. Tra tutti questi disastri in corso, ce n’è uno molto importante ma meno conosciuto dall’opinione pubblica. Secondo gli scenari più ottimistici, entro il 2100, il 30% del permafrost potrebbe scomparire. Iniziato da diversi anni, il disgelo di questo strato geologico, composto da ghiaccio e materia organica, minaccia di rilasciare quantità astronomiche di CO2, causando potenzialmente un riscaldamento globale ancora più significativo e rapido del previsto. Ma c’è di più. Il permafrost, come un vaso di Pandora, conserva anche molti virus, sepolti da millenni, sconosciuti e potenzialmente molto pericolosi per l’uomo. Ai tempi del coronavirus, rischia di passare sotto traccia la pubblicazione di uno studio, sulla autorevole rivista scientifica BiorXiv, che mette nero su bianco il vero rischio sanitario dei prossimi anni, causato dallo scioglimento dei ghiacci. Lo studio, pubblicato a inizio gennaio, presenta i risultati di un progetto di ricerca iniziato nel 2015 da un team di ricercatori statunitensi e cinesi, che hanno analizzato il contenuto microbico delle carote di ghiaccio prelevate nell’altopiano del Tibet. I ricercatori hanno perforato uno strato di ghiacciaio profondo 50 metri per ottenere due campioni, e attraverso l’analisi microbiologica, hanno identificato 33 gruppi di virus, 28 dei quali sconosciuti e sepolti da millenni. Il ghiaccio rappresenta per gli scienziati un archivio che consente di studiare cosa è accaduto nel passato. Attraverso i carotaggi nelle aree fredde del pianeta, è possibile quindi fare un viaggio nel tempo per capire quali fossero le condizioni del nostro pianeta e quindi dell’atmosfera nel passato. In questo caso, lo studio delle carote di ghiaccio ha permesso di ricostruire la storia climatica fino a 15mila anni fa. Ora il rischio è che, per effetto del cambiamento climatico, lo scioglimento dei ghiacci, liberi i batteri intrappolati per tutto questo tempo. Facendo arretrare anche i grandi ghiacciai himalayani, infatti, la crisi climatica può rilasciare nell’atmosfera antichi virus sconosciuti e quindi potenzialmente pericolosi per l’uomo che non ha gli anticorpi necessari per affrontarli. I virus immagazzinati nel ghiaccio sono particolarmente complicati da estrarre e studiare, perché possono essere facilmente contaminati da elementi esterni. Gli scienziati hanno seguito un protocollo meticoloso per prevenire qualsiasi contaminazione e hanno poi utilizzato tecniche di microbiologia per decifrare il resto delle informazioni genetiche congelate nelle carote di ghiaccio. Si tratta di agenti patogeni che potrebbero liberarsi nell’aria ed entrare in contatto con le falde acquifere: tra questi il vaiolo, l’antrace e persino la peste bubbonica, oltre ad altre malattie sconosciute. Tutto questo potrebbe accadere perché, mentre in condizioni normali ogni estate nel permafrost si scioglie uno strato di circa 50 cm di ghiaccio che d’inverno torna a formarsi, con il riscaldamento globale la copertura glaciale è in costante diminuzione. Se la comparsa di alcuni virus oggi considerati sradicati, non rientra più nel campo della fantascienza, la minaccia arriverà a priori più dal disgelo del permafrost, che dalle carote perforate a 50 metri di profondità. Lo scioglimento dei ghiacciai - ovunque si verifichi - significa soprattutto la scomparsa di archivi virali e microbici insostituibili per gli scienziati, fondamentali per indagare sull'origine stessa della vita e l'emergere della biodiversità sul nostro pianeta. A proposito di rischi futuri, il Global risk report 2020 del World economic forum, sostiene che tra i dieci rischi globali più probabili, i primi cinque sono ambientali. Tra i dieci rischi globali di maggiore impatto distruttivo, i rischi ambientali si trovano al primo, terzo e quarto posto. Le epidemie globali sono contemplate, ma con impatti minori. Il problema è che per contrastare il rischio climatico, il più probabile e più impattante non basta scoprire un vaccino. L’altro problema è che ci spaventa molto meno di quanto dovrebbe.
Mario Tozzi per “la Stampa” il 16 marzo 2020. Siamo in attesa di sapere se, fra le quattro maniere di cercare di rallentare la pandemia da Covid-19, quella scelta dal think-tank scientifico britannico che ha guidato le decisioni di Boris Johnson funzioni. In linea teorica la "difesa di gregge", che potremo chiamare anche "mischia generale", lascia che il virus si diffonda più rapidamente possibile. La speranza (ritenendo che non lo si possa impedire a lungo) è che si arrivi presto al picco e che altrettanto rapidamente se ne scenda, lasciando sul campo solo i più deboli e immunizzando la restante parte della popolazione che così, in futuro, proteggerà tutti quanti. Puntando sul fatto che non si realizzi un vaccino. Ma si tratta di un darwinismo male interpretato: la "difesa di gregge" avviene quando il patogeno esterno si infrange contro una popolazione immune che, così facendo da cortina, protegge i più deboli al centro del gruppo. Ma in Inghilterra il gregge non è affatto immunizzato e Covid-19 non sceglie solo i più forti: per raggiungere l' immunità, i morti si conterebbero a migliaia. E i sapiens, anche i più cinici, dovrebbero ragionare in termini di individuo, non di specie.
Gli altri modelli. Delle altre maniere la Cina ha scelto la quarantena forzata, nonostante i modelli prevedano che sia impossibile isolare completamente la popolazione malata dai sani. Questa strategia ha già dato ottimi risultati. In Italia è invece in atto un allontanamento sociale ampio (in altre nazioni, per ora, è moderato), quello che, di solito, funziona meglio. Se tutti rispettano le regole. E se i sapiens fanno i sapiens, recuperando la solidarietà, l'empatia e il sacrificio personale (spinto anche oltre i propri limiti, come dimostrano in questo momento tutti gli operatori sanitari del pianeta Terra). Può sembrare paradossale, ma queste sono le prerogative tipiche dell' evoluzione biologica darwiniana e pagano sempre di più e meglio di quelle individualistiche. E la selezione naturale favorisce il più adatto, non necessariamente il più forte. In questa contingenza sta favorendo il virus Covid-19 che, però, fra i suoi interessi non ha lo sterminio degli ospiti, anzi: sono moltissimi i patogeni che "si depotenziano" se le vittime risultano eccessive. Semplicemente stanno sfruttando un' opportunità che gli abbiamo dato noi. Il fatto che siano soprattutto deboli e più anziani a morire rientra perfettamente nelle logiche naturali, esattamente come accade per i predatori che raramente attaccano un maschio o una femmina alfa, ma quasi sempre individui anziani o malati (o giovanissimi, ma per questioni di taglia).
La lezione della storia. In teoria i sapiens comprendono la realtà e vi si adattano o la modificano a proprio vantaggio. Sono realmente sapiens, però, quando questo piegarla non diventa un boomerang. Esattamente quanto sta accadendo con la pandemia da Covid-19. Dalla rivoluzione industriale in poi gli uomini hanno sostanzialmente mutato il volto del pianeta, creando addirittura un periodo geologico che chiamiamo Antropocene, segnato dalle conseguenze delle nostre attività. Questa mutazione si è declinata in tanti modi, ma possiamo riassumerla in uno solo: lo sconvolgimento degli ecosistemi preesistenti. Ciò si traduce in una perdita di natura complessiva che ha, fra le altre conseguenze devastanti, le pandemie che, dunque, non sono affatto casuali. Quando tagli una foresta tropicale, sottrai habitat a pipistrelli e altri animali che ospitano virus e batteri e che sono costretti a cercarsi un altro posto, in genere nei pressi degli allevamenti intensivi o delle periferie urbane. Con tutto il loro corredo di microrganismi. In pratica è come se noi stessi li invitassimo a nuove mense, magari attraverso ospiti-serbatoio, come potrebbe essere stato il caso del pangolino cinese. Secondo l' OMS il 75% delle malattie può essere chiamato zoonosi e ne conosciamo circa 200 al mondo,tutte connesse, da Ebola a Nipah, in un passaggio tipico che prevede sempre gli stessi step successivi: 1) deforestazione, 2) perdita o sterminio di predatori e crescita senza limiti delle specie-serbatoio, 3) prelievo e traffico illegale di queste specie, 4) mercati animali enuovi spazi per i virus (gli slums metropolitani), 4) salto di specie. In questo contesto le malattie-pandemie sono solo destinate a crescere.
La cura naturale. Ma se la situazione è questa, ecco che abbiamo anche la soluzione: basterebbe comprendere che il vero antivirus che abbiamo a disposizione è proprio la conservazione della natura, e in particolare delle foreste tropicali, specialmente quelle del Sud-Est Asiatico. Non è solo l' aspetto ecologico a spingerci verso una gigantesca riconversione ambientale delle attività produttive che comporti zero consumo di suolo e limitato consumo di risorse, oggi è soprattutto la salvaguardia della salute umana e dei viventi. Ma questi aspetti ci erano sconosciuti? E perché eravamo così impreparati? Perché è tipico dei sapiens non prepararsi al peggio probabile, se non è inevitabile. Come dimostra il caso di Ebola, in cui la catastrofe planetaria, o almeno africana, è stata evitata solo perché il virus non si diffonde per via aerea e perché non ha interessato grandi aree urbane (oltre che per il grande lavoro di intelligence degli epidemiologi da campo). In una sua memorabile conferenza del 2015, Bill Gates suggeriva la creazione di un sistema sanitario globale, un corpo medico di riserva e la collaborazione con task force militari pronte all' intervento in ogni parte del mondo. Ebola poteva essere un buon avvertimento. Non lo abbiamo ascoltato.
La sfida tra tecnologia e natura apre lo scontro tra scienziati e letterati. Paolo Guzzanti de Il Riformista il 18 Aprile 2020. E sì, fra tanto orrore, rabbia dolore e pena, almeno un effetto utile questa maledetta epidemia ce lo ha sbattuto brutalmente in faccia. Più che un effetto, è un macigno che ci portiamo sulle spalle e al quale è stato dato un nome nobile: quello delle “Due Culture”. Quali? Quella degli scienziati, gentaccia marchiata dalla tara del materialismo, e quella della gente che ha spazio e tempo per il bello, lo spirituale. Insomma, tutto ciò divide un idraulico da una persona di buone ed eleganti letture. In Italia la caccia alle streghe contro la cultura della scienza ha il suo McCarthy– si chiamava Benedetto Croce. Croce all’inizio dello scorso secolo perseguitò i teorici della matematica come Giuseppe Peano, bloccando le loro carriere. Liquidò la Psicoanalisi di Freud, dopo aver mandato un suo fido a Vienna, come «’na cofana di cazzate», si impuntò con Bertrand Russell che aveva scritto Perché non sono cristiano con una ripicca intitolata Perché non posso non dirmi cristiano. Il suo atteggiamento fu molto più settario di quello di Giovanni Gentile, anche se entrambi avessero ben chiaro che la parola “Cultura” apparteneva al mondo delle lettere e delle arti, da cui la divisione dei licei e anche le scuole di puro apprendistato al lavoro. Ma non era una faccenda soltanto italiana, tant’è vero che il caso che tenne banco sulle pagine culturali di tutto il mondo nacque in Inghilterra con il libro Le Due Culture scritto nel 1959 da Charles Snow che era sia un fisico che uno scrittore e che a Cambridge vedeva lo scontro fra i due mondi – scienziati e letterati – fatto di reciproca diffidenza e molti pregiudizi. Su quel libro si scrisse molto, ma in Italia purtroppo l’argomento fu lasciato cadere e anno dopo anno le cose sono andate sempre peggio, malgrado molti eccellenti divulgatori, come Piero Odifreddi per la Matematica a Piero Angela per tutte le scienze biofisiche. A questo pensavo leggendo il bell’articolo di Angela Azzaro su questo giornale su questo tema insieme a quello di Filippo La Porta sulla natura matrigna della Natura, con il quale totalmente concordo, senza scomodare Leopardi che aveva capito tutto. Ma ieri sono rimasto veramente traumatizzato e addolorato da una dichiarazione televisiva di una scrittrice che amo molto, Dacia Maraini, la quale ha espresso con drammatica precisione il pensiero che più mi allarma. Dacia Maraini con la sua bella voce decisa e lo sguardo di fuoco ha detto che la Natura è stata ferita a morte dall’uomo e dalla sua voracità, stuprata – vado a memoria – sfruttata, riscaldata e offesa dal suo persecutore umano, sicché ha reagito. Il virus sembra che sia il castigo che nostra Madre, la Natura ci ha inflitto sia come pena che come monito. Non si sa che era irritata anche ai tempi della Spagnola – Madre Natura – o durante le pestilenze che decimarono l’umanità arrivando sulle picche dei lanzichenecchi. Questa posizione si fonda sull’idea comune a molti nativi, secondo cui è la Natura che deve governare noi e non noi la Natura. Questa è una libera opinione e per quel poco che vale, la mia è totalmente a favore dell’uomo che si ribella alla natura e che, pur commettendo gravissimi errori e applicando continue correzioni, si è ritrovato sulle spalle e nel cervello il compito di vedere, capire, progettare, modificare la Natura e il Cosmo stesso. I miei figli sanno che detesto i tramonti e tutto il chiacchiericcio di stupore per lo spettacolo cromatico dell’ultimo raggio nel mare, perché in quella adorazione magica vedo il desiderio di subalternità, mentre io purtroppo faccio il tifo per il comando dell’uomo sulla Natura, il Pianeta, le energie. Sì, lo so, sto scrivendo parole odiose e imperdonabili che mi porteranno nuovo odio, ma pazienza: ne ho abbastanza di bambini oncologici, malati che soffrono, ortiche, formiche, tsunami, terremoti, virus assassini, istinti di rapina e di stupro (tutti perfettamente naturali). In trecento anni l’uomo occidentale ha prodotto le primissime basi per capire un pochino se stesso e il mondo, mettere in relazione, fallire, ricominciare, scoprire. Ovviamente Angela Azzaro ha diecimila volte ragione a temere non la scienza ma le applicazioni tecnologiche che violano la libertà, si impicciano e tutti i Trojan per cui ognuno di noi sa che il proprio smart phone è una possibile spia in casa anche da spento. Ma per bloccare e regolare questi usi ed abusi occorrerebbe il servizio pubblico della Politica e del Parlamento dei rappresentanti. Un bene di cui non disponiamo più da tempo e chissà se mai ne tornerà uno in grado di governare applicazioni che fra vent’anni sembreranno oggetti per cavernicoli. Diecimila anni fa gli uomini erano fisicamente come noi, ma la civiltà come governo delle garanzie delle singole libertà individuali (uniche e irripetibili come le nostre impronte e il nostro Dna) è cosa di appena pochi secondi fa. Intanto però questo governo – non da solo – ha martellato nella mente dei cittadini l’idea primitiva selvaggia e totemica che esiste una cosa – una sorta di cupola aliena – che si chiama Scienza. E che in quella cupola abitino dei diafani e onniscienti individui. È stato cioè fatto credere che la Scienza sia una e gli scienziati siano dei cloni. Questo è l’effetto di un danno culturale: salvo le matematiche, le algebre fra cui le molte logiche formali e le geometrie, tutte le scienze sono fondate sull’errore e la correzione, sull’ipotesi e la verifica. La più smandrappata fra queste discipline è la medicina, fatta di mille branche diverse che evolvono man mano che si fabbricano nuove macchine, ma tutti sappiamo che se si ammala un figlio o nostra madre, cerchiamo il chirurgo che abbia la casistica di successi più alta ed è su questo punto che in America l’Obama Care ha fallito, perché la gente vuole il medico migliore e non quello della mutua. Devo confessare che quando sento urlare in televisione, è accaduto più volte in questi giorni, che la scienza e gli scienziati sono i nemici della spiritualità perché sconsigliano di andare a pregare nei templi (come in Israele fanno gli ultra ortodossi giustamente strattonati dalla polizia) sono preso da frustrazione e furia. Non si può fare finta di niente. E non solo per chi dice tali bestialità, ma perché nessuno sembra avere il fegato di rispondere con le armi, spirituali, del buon senso. Invece, eccoci qua, davanti allo stesso Corona virus, siamo preventivamente esposti anche al giudizio universale, come arredo epidemiologico.
Il virus siamo noi, ma anche la Natura è matrigna. Filippo La Porta de Il Riformista il 15 Aprile 2020. Va bene, è tutta colpa nostra. Il Covid-19 è conseguenza della urbanizzazione, della deforestazione, del sovraffollamento, degli allevamenti intensivi, della velocità degli spostamenti, della distruzione sistematica dell’ambiente, della civiltà industriale (che tanto piaceva a Marx ed Engels, al netto dell’ingiustizia sociale), del turbocapitalismo. Ce lo meritiamo. E anche se ho letto in Rete che per qualche virologo il salto di specie del virus (lo spillover zoonotico) esiste da sempre, che il coronavirus si è sviluppato da un antenato che potrebbe circolare tra noi da un secolo, etc., è evidente che la globalizzazione non può che alimentare fenomeni del genere. Ora, non ho dubbi sul fatto che noi siamo la prima civiltà apparsa sulla faccia della Terra a non avere elaborato un senso del limite, a coltivare l’idea perversa di crescita illimitata (per l’economia i beni della natura sono gratis e illimitati, come leggo nell’utile libretto Biosfera, l’ambiente che abitiamo, di E. Scandurra, I. Agostini, G. Attini). Però vorrei sommessamente ricordare a chi dice che noi umani costituiamo una minaccia per il pianeta, che dunque non siamo la soluzione ma il problema, etc., che anche il pianeta è da sempre una minaccia per noi, e per tutte le specie che nel tempo si sono estinte! E che, soprattutto, la natura è un ecosistema fondato non solo un equilibrio dinamico ma sulla guerra di tutti gli organismi contro tutti! Il Covid-19 ha pur sempre origini naturali, non nasce da manipolazioni di laboratorio. E la natura, come sappiamo noi italiani che abbiamo studiato a scuola Leopardi, è indifferente agli individui e causa di infelicità per tutti gli esseri; oltre ad avere la sgradevole propensione a eliminare brutalmente i deboli e i meno adatti. Proviamo a rileggere la pagina dello Zibaldone, del 1826, sul giardino ridente, e proprio nella più mite stagione dell’anno: «Voi non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non vi troviate del patimento». Da qui Leopardi passa a un elenco impietoso: «Là quella rosa è offesa dal sole che gli ha dato la vita; si corruga, langue, appassisce. Là quel giglio è succhiato crudelmente da un’ape, nelle sue parti più sensibili, più vitali. Il dolce mele non si fabbrica dalle industriose, pazienti, buone e virtuose api senza indicibili tormenti di quelle fibre delicatissime, senza strage spietata di teneri fiorellini. Quell’albero è infestato da un formicaio, quell’altro da bruchi, da mosche, da lumache, da zanzare; questo è ferito nella scorza e cruciato dall’aria o dal sole che penetra nella piaga; quello è offeso nel tronco, o nelle radici; quell’altro ha più foglie secche; quell’altro è ròso, morsicato nei fiori; quello trafitto, punzecchiato nei frutti. Quella pianta ha troppo caldo, questa troppo fresco; troppa luce, troppa ombra; troppo umido, troppo secco. L’una patisce incomodo e trova ostacolo e ingombro nel crescere, nello stendersi; l’altra…» per concludere che «ogni giardino è quasi un vasto ospitale, luogo ben più deplorabile che un cemeterio» (Zibaldone, 4175). Cui si aggiunge, certo, anche l’intervento della «donzelletta sensibile e gentile», che «va dolcemente sterpando e infrangendo steli». Ecco, un brano del genere, del pessimista-vitalista Leopardi, andrebbe fatto presente a chi si commuove sul canto festoso degli uccellini al mattino e poi durante il giorno si abbandona a violente geremiadi contro la colpevole hybris umana (cioè contro la donzelletta gentile, che in fondo non fa altro che adeguarsi al quadro generale). Ripeto: al mondo può anche far bene fermarsi per un po’, e certo l’economia, ancor prima del capitalismo, non considera tra i suoi costi la distruzione delle risorse naturali (limitate), come sottolinea il libro prima citato (e il fatto che in Italia i Verdi sono al 2% la dice lunga sulla nostra coscienza ecologista). Però meditiamo sulla pagina leopardiana: la natura è un ospedale permanente, fatto di distruzioni, stragi, patimenti, offese, strazi. Ora, per mettere in sicurezza il pianeta, almeno in modo definitivo, occorrerebbe l’estinzione della specie umana (come auspicano i torvi antinatalisti, discendenti degli antichi gnostici). Siamo probabilmente noi il virus principale e più invasivo. Ma, statene pur certi, il pianeta che lasceremmo incontaminato non sarebbe un giardino ridente.
· Epidemia e Terremoto.
Terremoto a Vita e Salemi, 3 scosse consecutive: la più forte di 3.5 gradi. Notizie.it il 14/09/2020. Tra Vita e Salemi si sono registrate tre scosse di terremoto ravvicinate di cui la più intensa con magnitudo pari a 3.5 gradi. Paura nel trapanese e precisamente nei dintorni di Vita e Salemi, dove all’alba di lunedì 14 settembre 2020 l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia ha registrato tre scosse di terremoto consecutive tutte con magnitudo superiore a 3. La più forte ha avuto un’intensità pari a 3.5 gradi. La prima scossa, quella con forza maggiore, ha avuto luogo alle 5:47 ad una profondità di 14 km. L’epicentro è stato localizzato a 2 km sud-ovest di Vita alle seguenti coordinate: latitudine 37.85 e longitudine di 12.8. La seconda si è verificata a pochissimi secondi di distanza, sempre alle 5:47. Ha avuto una magnitudo di 3.1 e si è originata, come la prima, a poca distanza da Salemi ma a 18 km di profondità. La terza e ultima è infine stata registrata un minuto dopo, alle 5:48, con un’intensità di 3.1 gradi e una profondità di 18 km. Questa volta il sommovimento si è originato a 2 km a nord-est di Salemi. In tutti i casi i comuni italiani che si trovano a meno di 20 km di distanza dall’epicentro sono Vita, Salemi, Gibellina, Calatafimi-Segesta, Santa Ninfa, Partanna, Bluseto Palizzolo e Castelvetrano. Le città più vicine con almeno 50 mila abitanti sono invece Mazara del Vallo, Trapani, Marsala, Palermo, Bagheria e Agrigento. Non si hanno notizie di danni a cose o persone ma i cittadini residenti nelle aree limitrofe avrebbero avvertito distintamente lo sciame sismico. I sismologi avevano registrato l’ultima scossa in questa zona mercoledì 9 settembre 2020 sempre all’alba, precisamente a 3 km a nord di Salemi e con magnitudo pari a 3.4.
(ANSA il 27 agosto 2020) Una scossa di terremoto di magnitudo 3.5 è stata registrata a Cerreto d'Esi, nell'Anconetano. Ne dà notizia l'Ingv, Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. L'epicentro del sisma è stato localizzato a 5 km da Cerreto, l'ipocentro è a una profondità di 6 km. Non si hanno notizie di danni a persone o cose.
Terremoti, scossa di magnitudo 3.7 in provincia di Cosenza. Pubblicato martedì, 11 agosto 2020 da La Repubblica.it. Una scossa di terremoto di magnitudo 3.7 è stata registrata alle 3:36 nel Parco nazionale della Sila in Calabria, in provincia di Cosenza. Secondo i rilevamenti dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), il sisma ha avuto ipocentro a 17 km di profondità ed epicentro non lontano dai comuni di Aprigliano e Pietrafitta. Non si hanno al momento segnalazioni di danni a persone o cose, anche se molta gente si è riversata in strada. La scossa è stata seguita due minuti dopo da una replica di magnitudo 3.
Terremoto sul Vesuvio, tremano le pendici del vulcano. Redazione su Il Riformista il 3 Agosto 2020. Attimi di paura ai piedi del Vesuvio. Questa mattina all’alba alle 4.07 nelle zone ai pendici del vulcano è stata registrata una scossa di magnitudo 2.2 ad una profondità di zero chilometri con epicentro e 5.5 chilometri a Sud-Ovest di Ottaviano, come comunicato dalla sala operativa dell’Istituto Nazionale di Geofisica dell’Osservatorio Vesuviano. Non si registrano danni a cose o a persone data l’intensità non di rilievo, anche se essendosi verificato in superficie è stato comunque avvertito dalla popolazione dell’area. L’attività sismica sembrerebbe rientrare nell’attività vulcanica ordinarie che nelle ultime settimane ha fatto registrare altre scosse simili, seppur lievemente minori come intensità. Infatti queste attività sismiche non sono nuove nelle zone ai pendici del vulcano. Dall’inizio di luglio ci sono stati diversi eventi sismici di minore entità son scosse di magnitudo 1.5 e 1.7 alle pendici del Vesuvio, che hanno interessato la popolazione di tutti i comuni limitrofi. L’ultima risale allo scorso 20 luglio la popolazione di Massa di Somma, altro comune ai piedi del Vesuvio, è stata svegliata poco prima delle 8 da un’altra scossa di magnitudo 2.2 sempre ad una profondità di zero chilometri. Anche in quel caso la scossa molto localizzata è stata avvertita indistintamente dalla popolazione dei comuni limitrofi, ma non si sono registrati danni a cose o persone. Non sono mancate però numerose le chiamate ai Vigili del Fuoco.
Alice Mattei per it.businessinsider.com il 25 luglio 2020. Quattro mesi di silenzio, quasi assoluto: è un evento che non si era mai verificato, e che forse non si ripeterà mai più quello degli scorsi mesi di lockdown. Secondo una ricerca pubblicata sulla rivista Science da una serie insolitamente vasta di autori (76 scienziati di 27 paesi, che vanno dalla Norvegia alla Nuova Zelanda) la superficie della Terra è diventata insolitamente calma e silenziosa negli ultimi mesi. “Non ti aspetteresti che una malattia si manifesti su un sismometro”, ha detto la coautrice del rapporto Celeste Labedz, dottoranda in geofisica al California Institute of Technology. Lo studio ha raccolto dati da 268 stazioni di ricerca e ha visto un effetto di spegnimento quasi ovunque. Sono arrivate notizie da Turchia, Cile, Costa Rica, Canada, Australia, Iran e persino dal piccolo Lussemburgo, così come da molte altre nazioni. Alcuni sismometri si trovano in centri urbani affollati e campus universitari; ma altri si trovano in remote aree desertiche o montane. L’effetto è stato più drammatico in Sri Lanka, dove una stazione ha visto una riduzione del 50% del rumore di fondo. Nel Central Park di New York City, il calo notturno è stato del 10 percento. Le posizioni remote non hanno visto un effetto di spegnimento perché non vengono normalmente colpite dall’attività umana.
Terremoto: scossa di magnitudo 4.2 al confine tra Friuli Venezia Giulia e Slovenia. Pubblicato venerdì, 17 luglio 2020 da La Repubblica.it. Una scossa di terremoto di magnitudo 4.2 è stata registrata alle 4:50 in Slovenia, vicino al confine con il Friuli Venezia Giulia. Secondo i rilevamenti dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), il sisma ha avuto ipocentro a 7 km di profondità ed epicentro nella slovena Plezzo e a 17 km dai comuni di Taipana e Pulfero (Udine). La scossa è stata chiaramente avvertita dalla popolazione, anche in Veneto, ma non si hanno al momento segnalazioni di danni a persone o cose.
Terremoto a Bologna: scossa di magnitudo 3.0. Notizie.it il 04/07/2020. Scossa di terremoto a Bologna, a Borgo Tossignano: nella mattinata di sabato 4 luglio sisma di intensità pari a magnitudo 3.0. Risveglio traumatico nel bolognese sabato 4 luglio: un terremoto si è registrato in provincia di Bologna, precisamente a Borgo Tossignano: magnitudo 3.0 nel paesino a circa 50 chilometri dal capoluogo emiliano. Secondo quanto riportato dalla Sala Ingv di Roma: l’ipocentro è stato localizzato a 9 km di profondità. Al momento non si ha notizia di danni a persone o cose. Sempre a Bologna, un altro terremoto è stato registrato il 4 luglio: secondo quanto riportato dalla sala Ingv di Roma, alle ore 06:08 è stata segnalata una scossa di terremoto di magnitudo 3 e profondità 9.3 km a Casalfiumanese (BO). Secondo quanto riportato dalla sala Ingv di Roma, dunque, questi sono i dati del terremoto di Borgo Tossignano in provincia di Bologna: magnitudo 3.0 nel paesino a circa 50 chilometri dal capoluogo emiliano. Secondo quanto riportato dalla Sala Ingv di Roma: l’ipocentro è stato localizzato a 9 km di profondità. Altra scossa di terremoto in Emilia Romagna sempre sabato 4 luglio. A Casola Valsenio (RA), il 4 luglio alle 6:58 terremoto con coordinate geografiche (lat, lon) 44.25, 11.64 ad una profondità di 9 km.
Terremoto, scossa di magnitudo 3.7 al largo di Siracusa. Pubblicato giovedì, 02 luglio 2020 da La Repubblica.it. Il sisma, registrato dalle apparecchiature dell'istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, ha avuto origine a una profondità di 14 chilometri alle 17:28. Dalle prime informazioni sembra che non ci siano stati danni ma molta gente a Siracusa è scesa in strada per la paura.
Da ilmessaggero.it il 29 giugno 2020. Terremoto, grande paura in Molise, nel nord della Puglia e su tutta la costa basso Adriatica. L'istituto nazionale di vulcanologia segnala un sisma di 3.5 alle 18.21 con epicentro Montecilfone (Campobasso) a profondità di soli 18 km. La scossa è stata chiaramente avvertita dalla popolazione in una vasta area, da Campobasso a Foggia, ma anche sul Gargano e debolmente a Pescara come risulta dai commenti sui social network. Non risultano per adesso danni a persone o cose.
Terremoto in Valle d’Aosta: magnitudo tra 3.1 e 3.6. Notizie.it il 23/06/2020. Un terremoto scuote la Valle d'Aosta nella mattinata di martedì 23 giugno: gli aggiornamenti. Un terremoto scuote la Valle d’Aosta nella mattinata di martedì 23 giugno. Secondo quanto rivelato dalla sala Ingv di Roma, alle ore 8:25, si segnala una magnitudo tra 3.1 e 3.6.
Calabria, scossa di terremoto al centro della regione. Nessun danno. Pubblicato domenica, 17 maggio 2020 da La Repubblica.it. Intorno alle 13 di oggi una scossa di terremoto è stata avvertita dalla popolazione della Calabria centrale. Come riporta il sito dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, la scossa è stata di magnitudo 2.7 e con una profondità di 11 chilometri e ha interessato il territorio di Filadelfia esattamente alle 12.58. Nonostante alcune persone siano scese per strada non ci sono state conseguenze né per le persone, né per le cose. Dalla fine di febbraio in Calabria sono state registrate una serie di scosse, la maggiore delle quali, di magnitudo 4,4, a Rende lo scorso 24 febbraio. Anche ieri in tarda serata, alle 22.02, l'Ingv ha registrato un terremoto di magnitudo 2.9 al largo di della costa tirrenica calabrese, alla profondità di 10 chilometri. Anche ieri sera il sisma è stato percepito dalla popolazione di Amantea, Serra D’Aiello, Belmonte Calabro, San Pietro in Amantea, tutti in provincia di Cosenza e Nocera Terinese in provincia di Catanzaro, ma non ci sono stati danni.
Da ILMESSAGGERO.IT l'11 maggio 2020. Una forte scossa di magnitudo 3.3 è stata registrata alle ore 5,03 a 10,5 chilometri di profondità con epicentro a Fonte Nuova, a nord est della Capitale. La scossa, di tipo sussultorio, è stata sentita nettamente a Roma, colpita negli stessi minuti anche da un temporale. Paura ai piani alti dei palazzi, molte persone sono uscite in strada mentre i social venivano inondati di messaggi e segnalazioni. Tanta la paura, perché il terremoto, seppur breve, è stato forte. ma la protezione civile e i vigili del fuoco al momento fanno sapere di non avere notizie di danni a cose o persone.
Terremoto di magnitudo 3,6 nel sud delle Marche. Epicentro nei pressi di Amandola, vicino a Fermo. Scossa avvertita anche ad Ascoli Piceno. La Repubblica il 05 maggio 2020. Una forte scossa di terremoto è stata avvertita intorno alle 4 in varie località delle province meridionali delle Marche. Secondo l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, si è trattato di una scossa di magnitudo 3.6 con epicentro a 11 chilometri di profondità a 4 chilometri a ovest di Amandola (Fermo), una delle località danneggiate dal sisma del 2016. Il movimento sismico è stato nettamente avvertito anche ad Ascoli Piceno.
Terremoti: scossa magnitudo 3 a largo della costa a sud della Calabria. Non si segnalano danni a persone o cose. La Repubblica il 03 maggio 2020. Una scossa di terremoto di magnitudo 3 è stata registrata alle 4:33 al largo della costa meridionale della Calabria. Secondi i dati dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), il sisma ha avuto ipocentro a 58 km di profondità ed epicentro a 11 km dal comune reggino di Palizzi. Non si segnalano danni a persone o cose.
Terremoto a Napoli, scosse in sequenza: paura e gente in strada. Francesco Ferrigno il 26/04/2020 su Notizie.it. L'Ingv ha confermato tre scosse di terremoto vicino a Napoli. Il sisma superficiale ha scatenato il panico nell'area di Pozzuoli. Terremoto in Campania, più scosse in sequenza in provincia di Napoli: tanta paura e gente in strada. Si tratterebbe di un vero e proprio sciame sismico che sta attraversando l’area dei Campi Flegrei. L’epicentro, infatti, è stato individuato nell’area della Solfatara di Pozzuoli. I terremoti sono stati chiaramente avvertiti in Campania nei Comuni dei Campi Flegrei e nella città di Napoli. Decine di segnalazioni sul sisma sono provenuti dai quartieri di Fuorigrotta, Agnano, Pianura e Bagnoli, i più vicini alla zona della Solfatara. Il terremoto in provincia di Napoli è stato registrato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Stando ai primi dati almeno tre scosse hanno fatto tremare la terra, tutte comprese tra i 3 e i 2 gradi di magnitudo. Il fatto che siano state avvertire chiaramente dalla popolazione che è anche scesa in strada in piena emergenza coronavirus, il fatto che le scosse siano state molto superficiali, ad una profondità di 2 chilometri. Un fenomeno in realtà abbastanza consueto per la zona di Pozzuoli ma che ha creato comunque molta preoccupazione tra i cittadini. Tra le 4 e le 5 del mattino del 26 aprile 2020 l’Ingv ha segnalato ben tre terremoti in provincia di Napoli. L’ultima, la terza, è stata la più forte con una magnitudo di 3.1 ed epicentro a 5 chilometri da Pozzuoli. Anche questa scossa, con coordinate geografiche (lat, lon) 40.83, 14.15, è stata rilevata a 2 chilometri di profondità. Sui social network, Twitter in particolare, centinaia le segnalazioni da parte degli utenti. “È stata una botta da paura”, ha scritto qualcuno, “Mi aveva svegliato il cane, che di solito dorme come un sasso. Girava per casa ansimando, pensavo che stesse poco bene” e anche “Ennesima scossa di terremoto che mi ha fatto svegliare di soprassalto. Stanno diventando fin troppo frequenti ed avvengono quasi sempre di notte. Io non ne posso più. Tra coronavirus e Napoli ballerina non so più dove sbattere ma testa”.
Terremoto, scossa di magnitudo 3 registrata a Cosenza. Redazione de Il Riformista il 21 Aprile 2020. Una scossa di terremoto di magnitudo 3 è stata registrata in serata, alle 23.48 di martedì 21 aprile, nelle acque del mar Tirreno che bagnano la provincia di Cosenza. Stando ai rilievi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, la scossa è avvenuta a una profondità di 6 chilometri e non sembra essere stata avvertita dalla popolazione.
Terremoti, scossa di magnitudo 3.7 in provincia di Foggia. E' stata registrata a Poggio Imperiale alle 4.57, non si registrano danni a persone o cose. La Repubblica il 18 aprile 2020. Un terremoto di magnitudo 3.7 è avvenuto questa mattina alle ore 4.57 a Poggio Imperiale, in provincia di Foggia, a una profondità di 24 km. La scossa è stata registrata dall'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. Al momento non si ha notizia di danni a persone o cose.
Da corriere.it il 16 aprile 2020. Un terremoto di magnitudo 4.2, secondo le rilevazioni dell’Ingv, è stato avvertito alle ore 11:42 del 16 aprile in molte zone dell’Italia del Nord. L’epicentro è a Cerignale, in provincia di Piacenza, con una profondità di 3 km. La scossa è stata avvertita anche a Milano e Genova, ed è stata seguita da altre due, sempre nella stessa area (di grado 2.0 e 3.5, secondo le prime stime). La sera del 15 aprile, alle 22.02, era stata registrata una scossa di magnitudo 3.5 nella stessa zona, con epicentro a Ferriere. «Al momento non abbiamo segnalazioni di danni. Stiamo facendo tutte le verifiche», ha dichiarato all’Ansa Rita Nicolini, direttrice dell’agenzia regionale di Protezione civile nell’Emilia-Romagna, aggiungendo che la scossa è stata «breve, ma piuttosto intensa». Sempre all’Ansa il sindaco di Cerignale ha detto: «Da un primo esame non rileviamo danni particolari, né ci risultano persone ferite. Poi faremo una verifica più puntuale». «L’abbiamo percepita come una scossa fortissima, ma che è durata pochi secondi e questo ha impedito danni importanti. Credo che sia una delle più forti in assoluto che ci sia mai stata in questo territorio», ha proseguito. Certo, «è stato uno spavento enorme. Una sensazione bruttissima, e già lo stato d’animo non è dei migliori. Si somma sconforto a sconforto.La scossa ha fatto saltare per un qualche momento tutti i meccanismi. Io sono uscito con i pochi dipendenti, per forza di cose per un momento il virus è passato in secondo piano». In una nota la Protezione civile ha comunicato che «dalle segnalazioni risultano solo alcuni cornicioni caduti ma nessun danno di rilievo e feriti». Secondo quanto rilevato dall’ufficio Viabilità della Provincia di Piacenza, non sono state segnalate situazione di dissesto e disagio lungo la viabilità provinciale.
Scossa di terremoto a Nusco: magnitudo 3.3. L'ipocentro a una profondità di 11 chilometri. Non si hanno notizie di danni a cose o persone al momento. La Repubblica il 15 aprile 2020. Una scossa di terremoto di magnitudo 3,3 è stata registrata nel territorio di Nusco, nell'avellinese dalla sala sismica dell'Ingv di Roma. L'ipocentro è stato localizzato ad una profondità di 11 chilometri. Al momento non si hanno notizie di danni a persone o cose.
Terremoto, scossa di magnitudo 3.3 al largo di Siracusa. La Repubblica l'11 aprile 2020. Una scossa di terremoto di magnitudo 3.3 è stata registrata ieri alle 23:52 davanti la costa sudorientale della Sicilia, al largo di Siracusa. Secondo i rilevamenti dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), il sisma ha avuto ipocentro a 19 km di profondità ed epicentro 80 km a sud del capoluogo siciliano. Non si segnalano danni a persone o cose.
Terremoto a Napoli, forte scossa nella notte avvertita dai cittadini. Redazione de Il Riformista il 8 Aprile 2020. Una scossa di terremoto è stata avvertita a Napoli alle 2.50 di mercoledì 8 aprile. Secondo i rilievi dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, la scossa di magnitudo 2.9, avvenuta a una profondità di appena due chilometri, è stata registrata a Pozzuoli. Numerose le segnalazioni sui social network da parte dei residenti della zona flegrea del capoluogo campano. La scossa ha interessato l’area vulcanica dei Campi Flegrei, in particolare la Solfatara, a Pozzuoli, ed è stata nitidamente avvertita, soprattutto ai piani alti, dai cittadini residenti nei quartieri napoletani di Bagnoli, Fuorigrotta, Pianura, Soccavo, Vomero e Posillipo, e nei vicini comuni di Pozzuoli e Quarto. E’ durata diversi secondi e, stando alle testimonianze dei napoletani, è stata “molto forte” anche perché avvenuta a una profondità molto bassa, appena due chilometri.
Da romafanpage.it il 3 aprile 2020. "Rispetto alla scossa di terremoto delle 2.12 con epicentro la zona tra Marcellina e San Polo dei Cavalieri con magnitudo segnalata di 3 (INGV) non abbiamo riscontrato per ora danni a persone e/o cose. Dopo una nostra ispezione grazie anche all’ausilio dei volontari della protezione civile Royal Wolf Rangers Delegazione di Marcellina, abbiamo comunque immediatamente richiesto un sopralluogo dei vigili del fuoco per verificare la stabilità dei fabbricati , la sicurezza degli impianti e quant’altro necessario per l’incolumità delle persone". Lo ha dichiarato il sindaco di Marcellina Alessandro Lundini in relazione al terremoto delle 2.12 che si è verificato nei comuni a est di Roma. Il primo cittadino ha specificato che "nel corso delle prossime ore si procederà con ulteriori verifiche" e che per qualsiasi segnalazione bisogna rivolgersi al numero dedicato per l’assistenza alla popolazione 3496004611″. La scossa di terremoto di magnitudo 3 si è verificata alle 2.12 di questa notte nei comuni a est di Roma. Nonostante il sisma sia avvenuto in piena notte è stato avvertito da moltissime persone e l'hashtag #terremoto è balzato in trend topic. Nessuna paura – la scossa è stata lieve ed è durata pochi secondi – solo tanto stupore per un evento che nel Lazio si verifica (fortunatamente) poche volte l'anno. Il terremoto è stato avvertito in diversi comuni: Marcellina, Tivoli, Guidonia, Velletri, Pomezia, Aprilia, Fiumicino, Latina, Anzio, Viterbo e Civitavecchia. L'epicentro è stato a un chilometro da Marcellina, alla profondità di 16 chilometri.
Terremoto oggi M 2.4 Crotone. Ingv ultime scosse: sciame sismico in corso in Calabria. Pubblicazione di Davide Giancristofaro Alberti su Sussidiario il 04.04.2020. Terremoto oggi M 2.4 Crotone, Ingv ultime scosse: sono molteplici i movimenti tellurici verificatisi nella notte lungo la costa ionica della Calabria. Sono numerose le scosse di terremoto registrate nella giornata di oggi, 4 aprile 2020. La zona più colpita, come si evince dai dati comunicati dall’Istituto nazionale italiano di geofisica e vulcanologia, risulta essere quella della Calabria, precisamente la costa ionica calabrese. Tre infatti i movimenti tellurici registrati in zona nella notte appena passata, con l’aggiunta di numerose scosse negli scorsi giorni. La più recente è avvenuta alle ore 5:27 con una magnitudo di 2.4 gradi sulla scala Richter. Le coordinate geografiche del sisma sono state 39.09 gradi di latitudine e 17.14 di longitudine, mentre la profondità è stata localizzata dall’Ingv a 10 chilometri sotto il livello del mare. I comuni più vicini al sisma sono stati Crotone, Isola di Capo Rizzuto, Cutro, Scandale, Rocca di Neto e San Mauro Marchesato. A livello di città, oltre a quella crotonese, si segnalano anche Catanzaro, Lamezia Terme e Cosenza, distanti in un raggio compreso fra i 50 e gli 80 chilometri dall’epicentro. Nella stessa zona la terra ha tremato nuovamente alle ore 5:21 di oggi con una magnitudo di 2.2 gradi sulla scala Richter, nonché all’una e zero sette (M 2.4). Sempre in Calabria si è verificata una scossa nel mar Tirreno meridionale, di fronte alla costa cosentina, in marea aperto, alle ore 4:25 della notte passata. In questo caso la magnitudo è stata di 2.3 gradi, con una profondità di 6 chilometri sotto il livello del mare. Il sisma non ha interessato alcun comune, verificandosi in mare aperto, e la città più vicina risulta essere Cosenza, a 84 chilometri di distanza dall’epicentro. Alle ore 23:55 di ieri sera, ha invece tremato la provincia di Potenza, in Basilicata, un sisma di magnitudo 2.4 gradi localizzato nel comune di Rotonda. Tornando ai numerosi sismi registrati sulla scossa ionica calabrese, in totale, dal 2 aprile scorso, sono state 13 le scosse superiori alla magnitudo 2.0 gradi fra cui una di M 4.0 e una di M 3.9. In ogni caso, non si sono verificati danni ne feriti.
Terremoto oggi Parma M 2.5. Ingv ultime scosse, sisma anche a Crotone. Pubblicazione di Davide Giancristofaro Alberti su Sussidiario il 04.04.2020. Terremoto oggi Parma M 2.5, Ingv ultime scosse: ecco tutti i dettagli relativi ad una doppia scossa che si è verificata stamattina in Emilia. Nuovo appuntamento con quotidiano con le scosse di terremoto che si sono verificate quest’oggi in Italia. Partiamo da quella più significativa, avvenuta stamane all’alba in Emilia Romagna, in provincia di Parma. Come comunicato dai professionisti dell’Ingv, l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, l’evento tellurico ha avuto una magnitudo di 2.5 gradi sulla scala Richter, ed è stato registrato alle ore 5:45 di oggi, giovedì 2 aprile 2020. L’epicentro è stato localizzato a due chilometri a sud di Noceto, con coordinate geografiche pari a 44.79 gradi di latitudine, 10.17 di longitudine, e una profondità di 20 chilometri sotto il livello del mare. Il terremoto parmigiano ha interessato numerosi comuni, come ad esempio Medesano, Colecchio, Fontevivo, Sala Baganza, Fontanellato, Felino e Fidenza. Le città più importanti nei pressi del terremoto sono state invece Parma, Reggio Emilia, Cremona e Piacenza, distanti dai 13 ai 47 chilometri dall’epicentro. Un’altra scossa è stata segnalata dall’Ingv nella mattinata di oggi, precisamente alle ore 7:35. La zona del sisma è stata individuata in Calabria, in mare aperto, lungo la costa ionica, quella che si affaccia sull’Africa. Il sisma ha avuto una profondità di 10 chilometri sotto il livello marino, ed ha interessato solamente la città di Crotone e il comune di Isola di Capo Rizzuto. Da segnalare che Catania, Lamezia Terme e Cosenza, distano fra i 58 e gli 87 chilometri dall’epicentro. Alle ore 5:12 un’altra scossa ha interessato la nostra penisola, sempre nel comune di Noceto, in provincia di Parma, con una magnitudo di 2.4 gradi sulla scala Richter e una profondità di 20 chilometri. Infine, segnaliamo un terremoto avvenuto ieri pomeriggio poco dopo le 16:30 nel mar Tirreno meridionale, di magnitudo 2.3. In tutti i casi appena elencati, non si sono verificati danni ne feriti.
Terremoto in Piemonte: la scossa di magnitudo 3,5 avvertita dal Torinese al Cuneese. I dati diramati dall’Ingv. L’epicentro a Coazze. Antonio Giaimo il 29 Marzo 2020 su La Stampa. Una scossa di terremoto di magnitudo 3.5 della scala Richter a 18.4 chilometri di profondità ha risvegliato, questa mattina, dom,enica 29 marzo, mezza provincia di Torino. E’ stato rilevato alle 09:11:34. L’ epicentro è stato a 5.9 km a Sud dal centro di Coazze. Questo, finora, in base ai dati elaborati in automatico dai sistemi di sorveglianza sismica regionale soggetti a revisione e aggiornamenti. Due le fonti: l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e l’Arpa. La scossa è stata avvertita in tutti i paesi più vicini all’epicentro: Cantalupa, Pinasca, Cumiana, Giaveno, Perosa Argentina, Roletto, Frossasco, Pomaretto, San Pietro Val Lemina, Valgioie. Ma anche Torino ha avvertito chiaramente la scossa. C’è chi racconta: «Siamo stati risvegliati bruscamente da una lunga e prolungata scossa», altri: «Stavamo facendo colazione, è stata chiarissima. E’ durata un po’». La scossa è stata avvertita anche nel Cuneese, fino alla pianura di Saluzzo. Non è stata avvertita, invece, a Cuneo città. Questo in base alle prime informazione delle quali disponiamo. La protezione civile, nel frattempo, sta facendo controlli nel centro storico di Pinerolo e nel Comune di Cumiana, paese che non è lontano da Giaveno. Il sindaco di Cumiana, Roberto Costelli commenta così: «Stiamo facendo tutte le verifiche, anche se al momento non mi sono stati segnalati danni». Pochi minuti fa è arrivata una nota anche dell’assessore regionale alla Protezione civile, Marco Gabusi: «La Protezione civile regionale - prosegue l’assessore Gabusi - ha avviato una verifica sul territorio nei paesi interessati dall’evento: Coazze, Giaveno, Valgioie, Cumiana, Cantalupa, Pinasca, Inverso Pinasca, Perosa Argentina, Roletto, Frossasco, Villar Perosa, Pomaretto, San Pietro Val Lemina, che al momento non segnalano danni. In Corso Marche continua l’attività di monitoraggio del territorio per intervenire in caso di necessità».
· Coronavirus e sport.
Running nella Milano del coronavirus: silenzi, respiri e una lezione per il futuro di tutti noi. Torneremo a correre e a gareggiare. E bisognerà davvero portarsela dentro questa storia, la lezione che ti cambia la vita. Servirà una nuova postura davanti all'esistenza. Torneremo a riempire il silenzio di suoni, di parole. Anche di ascolto, se avremo imparato l'insegnamento. Marco Patucchi il 15 marzo 2020 su la Repubblica. In via Brera si sente solo il rumore cadenzato delle scarpe che, come un metronomo, segna il ritmo della corsa. Lo stesso in piazza Duomo, ed è domenica, o nelle vie deserte sotto i grattacieli di Porta Nuova. Via Solferino è un imbuto che scivola via come se non esistesse. In Galleria, invece, il silenzio è “sfregiato” dal cinguettio delle suole sui mosaici lucidi del pavimento. Milano è ancora tramortita, non rialza la testa. Uno splendido pugile, un campione, colpito a sorpresa da un diretto che nessuno si aspettava. Lui meno di tutti. Quando stai vincendo, quando sei abituato a vincere, la caduta è sempre più difficile da sopportare. La senti più ingiusta. Non accetti di doverti rialzare. Attraversando la città correndo (perché correre si può. Si deve. Rispettando distanze, rispettando tutti) è come se milioni di occhi ti guardassero da dietro le finestre. La vita la intuisci oltre le tende, in una cucina con la luce ancora accesa dalla notte, in un bambino che gioca solitario sul balcone mentre il papà fuma. Apparizioni, voci lontane. Qualche nota ovattata. Perché Milano non è deserta. Ci sono tutti, sono tutti qui, ma al riparo nelle case come se la sirena avesse annunciato l’avvicinamento di uno stormo di bombardieri. Eppure nessun rombo incupisce il cielo, nemmeno in lontananza. La traversata continua, random per chi conosce la città ma non l’ha mai vissuta. A viale Lodi qualche persona in più che si aggira a caccia di supermercati. Di nuovo in centro, qualche cane con il padrone, le camionette dell’esercito, le auto di carabinieri e polizia. Alieni in mascherina. Pensi, come ogni runner abituato ad allenarsi all’alba nelle città del mondo, “sono padrone della città”. Ma stavolta non è così, anzi non è mai così. Era solo una nostra illusione, una suggestione. Nessuno è padrone di nulla. Mai. La lezione che, forse, ci porteremo dentro dopo questa “guerra”, è che non possediamo nulla, se non il respiro e il battito del cuore. Lo sa bene chi non ha nemmeno potuto tenere la mano ad un caro che se ne è andato per sempre. Torneremo ad abbracciarci, a baciarci, a soffiare amore nelle nostre bocche. Torneremo a correre e a gareggiare. E bisognerà davvero portarsela dentro questa storia, la lezione che ti cambia la vita. Servirà una nuova postura davanti all’esistenza. Torneremo a riempire il silenzio di suoni, di parole. Anche di ascolto, se avremo imparato l’insegnamento. Running on empty.
«Mio figlio, un atleta. Così questo virus gli ha stravolto la vita». Pubblicato mercoledì, 18 marzo 2020 su Corriere.it da Tiziana Ferrario. L’esperienza della conduttrice Rai: suo figlio ha 29 anni, è in forma, poi la tosse, la polmonite e il test, positivo. Dagli allenamenti in Kenya al ricovero in isolamento.
LA LETTERA. Vi voglio raccontare una storia che mi tormenta da giorni. È la storia di un ragazzo di 29 anni con un fisico perfetto, che ho visto lo scorso 23 febbraio correre i 1.500 metri ai Campionati italiani indoor di atletica ad Ancona. Si era allenato tantissimo per quell’appuntamento. Gli piacciono le sfide e aveva deciso che per questa edizione avrebbe dovuto esserci anche lui, che non è un atleta di professione. Seguito da un nutrizionista aveva cambiato la sua alimentazione e insieme al suo allenatore aveva cambiato la sua preparazione. Ce l’aveva messa tutta e aveva trascorso persino un mese sull’altopiano di Iten, in Kenya, dove si formano i campioni della corsa, per migliorare le sue prestazioni e poter arrivare più preparato alla sfida con i grandi dell’atletica nazionale. Due allenamenti al giorno a 2.400 metri di altezza insieme ad atleti da tutto il mondo: a letto alle 21, in piedi all’alba.
Tra sport e lavoro. Era stata un’esperienza bellissima dalla quale era tornato felice, più forte nel fisico e arricchito umanamente dagli incontri che aveva fatto. Erano state le sue ferie migliori mi aveva raccontato, perché questo giovane oltre a fare l’atleta è anche un lavoratore e tutti i giorni trascorre ore tra ufficio e cantiere prima di poter raggiungere l’amata pista di atletica. Ci teneva che andassi a vederlo ad Ancona e gli ho fatto una sorpresa. Era stato felice di vedermi. Poi io sono tornata a Roma e lui a Milano, ma ci siamo sentiti spesso come al solito. Nelle nostre conversazioni era entrato prepotente un nuovo argomento, il coronavirus che dilagava alle porte della città. Era stata un’esperienza bellissima dalla quale era tornato felice, più forte nel fisico e arricchito umanamente dagli incontri che aveva fatto. Erano state le sue ferie migliori mi aveva raccontato, perché questo giovane oltre a fare l’atleta è anche un lavoratore e tutti i giorni trascorre ore tra ufficio e cantiere prima di poter raggiungere l’amata pista di atletica. «Come vi siete organizzati al lavoro, fai smart working?». «Sì, ma in cantiere ci devo andare, l’impianto deve andare avanti». «Ma ti alleni, ora che gli impianti sono chiusi?». «Sì, per l’agonismo si può». «Mi raccomando stai attento, non usare la metropolitana e prendi la macchina». «Non sempre è possibile, alcuni giorni devo restituire l’auto aziendale e tornare a casa in metro», mi rispondeva un po’ annoiato. Come la gran parte dei giovani è probabile che pensasse di essere invincibile e inattaccabile con un fisico atletico come il suo. Dallo scorso martedì questo giovane ha iniziato ad aver febbre a 38, tosse e mal di gola. Da venerdì, dopo ogni colpo di tosse, anche un po’ di sangue. Ogni volta che ha contattato il medico gli è stato risposto di prendere la Tachipirina e lui lo ha fatto, ma la sua salute non è migliorata ed è andato al pronto soccorso. Una lastra ha individuato un inizio di polmonite, un tampone la positività al coronavirus. Da due giorni è ricoverato, ha iniziato la cura e le sue condizioni per fortuna non si sono aggravate. Non sente più sapori e odori, ma questa strana sensazione era cominciata già mentre stava a casa malato. Spero con forza che grazie a quel fisico possa riprendersi in fretta e tornare a fare la sua vita di sempre piena di interessi e passioni. Ancora si sta chiedendo dove possa avere contratto il virus. I suoi amici stanno tutti bene: nella sua azienda in apparenza nessuno è malato, ma sappiamo che intorno a noi ci sono molti asintomatici. Il Covid-19 è un nemico subdolo e non fa distinzioni. Si insinua in tutti gli organismi, colpisce duro in quelli già segnati da altre malattie, ma non risparmia quelli robusti, come accaduto al giovane di cui vi sto raccontando. Mangiare bene e condurre una vita sana non gli ha impedito di essere attaccato. La sua esistenza è stata stravolta nel giro di pochi giorni. Niente più allenamenti, niente più amici, niente più lavoro, ma solo una stanza isolata con un vetro dove medici e infermieri eroici entrano superprotetti per curarlo. Il loro impegno è esemplare e non va dato per scontato. Sono persone che stanno affrontando questo nemico in prima linea, con turni estenuanti e tanto coraggio, perché dopo aver lottato in corsia e nei reparti, devono tornare a casa dalle loro famiglie con il timore di contagiare un figlio, una compagna, un genitore. Posso immaginare la loro paura di soccombere al virus, ma ogni giorno sono lì al loro posto e non si arrendono. Non finirò mai di ringraziarli per il lavoro che stanno facendo per tutti i malati che affollano i nostri ospedali in questi giorni tristi. E un grazie anche come mamma, perché il ragazzo malato di cui vi ho raccontato è mio figlio e spero che guarisca presto.
Coronavirus e sport. Perché le maratone non avrebbero fatto bene a Mattia. La maratona di Tokyo si è corsa il 1° marzo nonostante l'emergenza coronavirus (reuters). Sforzi molto intensi causano una temporanea depressione del sistema immunitario. Il fenomeno si chiama "open window". Insieme alla vicinanza fra gli atleti in gara o negli spogliatoi, potrebbe spiegare i contagi del 38enne fondista di Codogno e dei calciatori di Siena. Elena Dusi il 02 marzo 2020 su La Repubblica. Mattia, il maratoneta, che lotta in ospedale per respirare. La squadra della Pianese, a Siena, che se la batteva con la giovanile della Juventus in serie C e ora ha 3 calciatori e un tecnico contagiati. Sport e coronavirus sono forse alleati di gioco? In generale no, l’ipotesi è esclusa, concordano i medici. Un livello normale di attività fa solo bene. Ma correre due mezze maratone in otto giorni, come ha fatto Mattia il 2 e il 9 febbraio, può mettere l’organismo in una situazione di stress. La settimana dopo, già con la febbre, il 38enne di Codogno ha poi giocato una partita di calcio a 11.
L'abbassamento temporaneo delle difese. “Un allenamento molto intenso può causare nell’immediato un abbassamento delle difese immunitarie” spiega Attilio Parisi, rettore dell’università dello sport di Roma Foro Italico. “Parliamo di sforzi importanti, di quelli in cui alla fine sei esaurito” spiega. “Non della pratica sportiva normale”. Mattia, che al momento delle gare era forse già stato contagiato, rientrerebbe nella casistica. “Nel giro di pochissimi giorni, il sistema immunitario ritorna perfettamente normale”.
Aumenta il rischio di infezioni. Gli inglesi chiamano questo fenomeno “open window” o “finestra aperta”. Diversi studi hanno misurato l’efficienza delle difese su vari atleti professionisti subito dopo sforzi molto intensi. Hanno notato questa temporanea depressione, alcune ore dopo l’allenamento o la gara, e l’hanno collegata a un rischio leggermente più alto di infezioni alle vie aeree superiori: naso e gola. Proprio i punti in cui esordisce la malattia da coronavirus.
La vicinanza negli spogliatoi. Alla “finestra aperta” si unisce poi il fenomeno della vicinanza da spogliatoio. “La contiguità fra gli atleti, sia alla partenza di una gara di corsa che negli spogliatoi dei calciatori, favorisce sicuramente il contagio” conferma Giovanni Di Perri, che insegna Malattie Infettive all’università di Torino. E questo fattore potrebbe aver fatto lo sgambetto alla Pianese. La squadra di Siena ha 4 giocatori e un addetto agli spogliatoi positivi al coronavirus. Il tecnico e un calciatore sono ricoverati al Policlinico Le Scotte di Siena. Poiché la squadra aveva appena giocato una partita contro l’under 23 della Juventus, anche i giovani bianconeri si sono dovuti fermare. Restano sotto osservazione, ma non hanno contagi. “Anche se l’inverno è stato molto mite – aggiunge Di Perri – sappiamo poi che la brutta stagione favorisce influenze e raffreddori. Nel nostro sistema respiratorio abbiamo delle piccole ciglia che ci aiutano ad eliminare i microbi, ma che con le temperature basse funzionano meno”.
· Il sesso al tempo del coronavirus.
L'amore al tempo del Covid-19. Report Rai PUNTATA DEL 19/10/2020 di Antonella Cignarale collaborazione di Marzia Amico. Ai tempi del Covid-19 il piacere di incontrarsi si può trasformare in disagio, c’è chi si spinge a un abbraccio trattenendo il respiro, il bacio è ormai un miraggio e sulla prevenzione durante i rapporti sessuali non c’è ancora una pubblicità progresso in Italia né due righe sui rischi e come provare a ridurli. Eppure la salute sessuale, da 45 anni riconosciuta dall’Oms come aspetto fondamentale per il nostro benessere psicofisico, oggi è minacciata da Covid-19 che ci pone di fronte un paradosso: la trasmissione avviene più nella prossimità tra i corpi che per via sessuale. Autoerotismo e sesso virtuale sono addirittura le vie più sicure consigliate dalle linee guida internazionali e per fare trionfare l’amore, quello vero, bisogna armarsi di maggiori precauzioni e tanta fantasia.
L’AMORE AL TEMPO DEL COVID-19 Di Antonella Cignarale.
ANTONELLA CIGNARALE Ma secondo voi adesso il bacio così…si può mandare con il Covid? UOMO Bah penso di sì, con la mascherina, queste sono domande un po’ a tranello.
ANTONELLA CIGNARALE FUORICAMPO In teoria sarebbe l’unico bacio che si può donare ai tempi del covid, poiché si dovrebbe stare a più di un metro di distanza.
ANDREA ANTINORI - DIR. IMMUNODEFICIENZE VIRALI INMI SPALLANZANI - ROMA Se noi due stiamo vicini a 30 cm, a 20 cm, a 10 cm e io respiro e io ho il virus nelle mie secrezioni, io quel virus lo trasmetto, poi è chiaro la saliva è un mezzo in più.
ANTONELLA CIGNARALE FUORICAMPO Secondo la Federazione Italiana di Sessuologia il virus ha causato un calo dei baci fino al 20% tra le coppie conviventi. E quanto invece condiziona chi prova l’approccio fisico al primo incontro? LUIGI Questa estate una ragazza mi ha detto: “Perché non mi dai un bacio? “ E io le ho detto: ”Mi dispiace sono in vacanza ci sono i miei genitori con cui pranzo insieme”.
ANTONELLA CIGNARALE FUORICAMPO Molti studi internazionali basati su questionari online hanno registrato un calo dei rapporti sessuali durante il lockdown. In Cina lo ha ammesso il 37% degli intervistati. Nel Regno Unito il 60% non ha proprio avuto rapporti. In Italia l’Università di Tor Vergata ha esplorato l’intimità di 7000 persone, il 57% ha dichiarato di aver interrotto l'attività sessuale.
EMMANUELE JANNINI - PROF. SESSUOLOGIA MEDICA UNIV. TOR VERGATA - ROMA Mentre invece una robusta minoranza che faceva sesso prima del lockdown ha continuato a farlo ed è quella che è stata beneficata da minori livelli di ansia e di depressione.
ANTONELLA CIGNARALE FUORICAMPO Come il Covid -19 sta modificando i nostri comportamenti nelle relazioni e nell’intimità sessuale?
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Senza amore si rischia una ricaduta negativa. Buonasera. Sono 40 anni che l’Organizzazione mondiale della Sanità dice tutelate la salute sessuale perché incide in maniera importante sul benessere psicofisico dell’individuo. E invece, l’amore ai tempi del Covid è un disastro come hanno registrato gli studi di parecchie università nel mondo che hanno registrato un 60% in meno di rapporti sessuali. Ecco, questo è un virus che impone l’isolamento e d’altra parte c’è la paura del contatto. Questo provoca uno stress che incide sul desiderio del rapporto sessuale. Come può convivere il desiderio di un contatto fisico con le normative anticovid? Bisognerebbe ridisegnare la nostra intimità magari attraverso la fantasia. L’exit strategy ce la indica la nostra ac.
ANTONELLA CIGNARALE FUORICAMPO Sperimentare nuovi modi attraverso la sessualità per riconnettersi all’altro è la pratica proposta nei laboratori sex positive.
LABORATORIO VOCE 1 Vorrei strapparti i vestiti di dosso.
LABORATORIO VOCE 2 Sarò il tuo lupo e ti farò ululare alla luna piena, ho voglia di sentire tutta la tua pelle su di me. DIEGO GLIKMAN - LA TANA LIBERA TUTT* - ARTIVISTA SEX POSITIVE La sessualità è un’energia che sta dentro di noi e quindi bisogna riaccenderla in qualche modo non è necessariamente con il contatto.
MARILINA MARINO - LA TANA LIBERA TUTT* - ARTIVISTA SEX POSITIVE E’ un modo per riconnettersi ai proprio sensi, riconnettersi alle proprie fantasie, perché dopo aver vissuto una situazione di lockdown un gioco del genere continua a essere sociale nonostante si mantengano tutti i protocolli di sicurezza.
ANTONELLA CIGNARALE FUORICAMPO E la socialità è una delle vittime del virus, si prova a ricrearla a distanza attraverso i rapporti virtuali, che hanno trovato più spazio anche nell’intimità.
COPPIA DONNE Anche dormire insieme a volte con la videochiamata con i telefoni accesi.
ROBERTA ROSSI – PRESIDENTE ISTITUTO DI SESSUOLOGIA CLINICA C’è stato un incremento di alcune modalità di sessualità che prima venivano viste un po’ come delle alternative un pochino artificiali diciamo così, mentre invece adesso sono entrate per molte persone nella consuetudine.
ANTONELLA CIGNARALE FUORICAMPO Secondo lo studio americano del Kynsey Institute “Meno Sesso ma più diversità sessuale“ durante la quarantena 1 persona su 5 ha introdotto novità nella propria intimità. L’esplorazione di nuovi piaceri è emersa anche negli studi italiani. E’ aumentato l’uso di materiale pornografico, lo scambio con il partner di nuove fantasie sessuali e di foto erotiche. E anche il sesso virtuale, il sexting e l’uso di sextoys. Rispetto al 2019 durante il lockdown a raddoppiare gli acquisti di sextoys sono stati i consumatori tra i 45 e 54 anni. Particolare successo lo hanno avuto i vibratori telecomandati.
SARA SEX SHOP Con l’applicazione io riuscirò ad aumentare l’intensità dei due motori e quindi il piacere della partner che è a distanza.
ANTONELLA CIGNARALE FUORICAMPO Ma a essere condizionati sono anche gli incontri reali, l’uso della mascherina si trasforma in un gioco, e mantenere la distanza nel limite del possibile è la nuova regola.
SEXWORKER Quando il cliente entra già in casa con questa proprio gli indico le cose, lì c’è il disinfettante, lì c’è la mascherina se non ce l’hai, in modo che lui già entra nell’ottica che questa distanza c’è. E poi evitiamo le posizioni che richiedono un faccia a faccia.
ANTONELLA CIGNARALE Adesso con il Covid tu stai lavorando di più o di meno?
SEXWORKER Io sto lavorando di meno perché incontro numerose resistenze rispetto alle regole che io pongo, però allo stesso tempo la richiesta è decisamente aumentata.
ANTONELLA CIGNARALE FUORICAMPO Il bisogno di incontro reale per alcuni supera la paura del contagio, in piena pandemia il 22% è scappato di casa per raggiungere la dolce metà, lo stesso hanno fatto il 10% dei single. ANTONELLA CIGNARALE FUORICAMPO E tra i 5 milioni di single che ci sono in Italia chi invece ha rispettato le restrizioni del lockdown quanto è condizionato oggi nel relazionarsi ad una nuova persona? RAGAZZA Sono venuta qua apposta stasera.
ANDREA Siamo più vogliosi di andare al dunque.
RAGAZZO È completamente fuori da ogni logica rimorchiare, se prima ci si sperava adesso proprio è incredibile. EROS Io sono una persona abbastanza fisica quindi il contatto mi piaceva, adesso lo evito un po’.
ANTONELLA CIGNARALE Il rapporto occasionale la prima sera?
EROS Difficile.
ANTONELLA CIGNARALE Quali conseguenze può portare la mancanza di contatto?
ROBERTA ROSSI - PRESIDENTE ISTITUTO DI SESSUOLOGIA CLINICA Negli uomini ci può essere una difficoltà, una incertezza rispetto la propria erezione, nelle donne una difficoltà rispetto alla propria eccitazione, quindi è bene che le persone abbiano un’informazione corretta sul come muoversi.
ANTONELLA CIGNARALE Che comunque noi in Italia non abbiamo avuto ufficialmente?
ROBERTA ROSSI - PRESIDENTE ISTITUTO DI SESSUOLOGIA CLINICA No, non è stata data una indicazione autorevole ecco dal Ministero. Dovremmo cominciare un po’ a pensare che la sessualità ha delle ricadute sulla salute pubblica più generale.
ANTONELLA CIGNARALE FUORICAMPO A preoccuparsene sono state l’autorità sanitaria olandese, spagnola e Newyorkese. Le linee guida del Dipartimento della Salute di New York sono state tradotte anche in italiano. Tra le prime informazioni leggiamo: TU SEI IL TUO PARTNER SESSUALE Più SICURO IL SECONDO PARTNER Più SICURO È LA PERSONA CON CUI VIVI.
ANDREA ANTINORI - DIR. IMMUNODEFICIENZE VIRALI INMI SPALLANZANI - ROMA Si insiste molto o sull’astinenza dei rapporti e quindi sull’autoerotismo o sul circoscrivere comunque i rapporti a una cerchia di persone di cui sia possibile tracciare abitudini e contatti. Quindi sfavorire e scoraggiare rapporti occasionali, ridurre il numero di partner.
ANTONELLA CIGNARALE FUORICAMPO Precauzione anche nel rapporto orale, oltre che nella saliva e nelle feci il virus è stato trovato nello sperma in 6 pazienti cinesi su 38.
ANDREA ANTINORI - DIR. IMMUNODEFICIENZE VIRALI INMI SPALLANZANI - ROMA Non si può definire una malattia sessualmente trasmissibile. Il problema più grosso è capire se questo virus che si trova sia nel liquido seminale maschile che nell’apparato genitale femminile sia poi un virus realmente infettante.
ANTONELLA CIGNARALE FUORICAMPO Per precauzione viene consigliato sempre l’uso del profilattico e del dental dam.
ROBERTA ROSSI - PRESIDENTE ISTITUTO DI SESSUOLOGIA CLINICA Questo è il dental dam, è un fazzoletto di lattice che viene frapposto tra la bocca e le zone dei genitali e la zona anale. E’ importante utilizzarlo in questo momento per il discorso del Covid, ma è importante usarlo in generale per il discorso delle infezioni sessualmente trasmissibili.
ANTONELLA CIGNARALE Rispetto alle precauzioni per evitare le malattie sessualmente trasmissibili diciamo il Covid di fatto ha creato un altro paradosso?
ANDREA ANTINORI - DIR. IMMUNODEFICIENZE VIRALI INMI SPALLANZANI - ROMA Assolutamente sì, il Covid si trasmette più dalla vicinanza di rapporti che non dal vero e proprio rapporto sessuale.
ANTONELLA CIGNARALE FUORICAMPO Per questo le raccomandazioni sanitarie di New York invitano a usare la fantasia nelle posizioni per ridurre la vicinanza del faccia a faccia, ad evitare l’incontro se si hanno sintomi e ad avere sempre il consenso della partner nell’avere un rapporto.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO E dunque spazio alla fantasia. Ma alla nostra però perché il ministero della Salute non ha scritto una riga su quali sono i comportamenti più corretti per preservare la salute sessuale e anche per ridurre il rischio contagio. E ora passiamo a una coppia che è entrata in crisi non certo per mancanza di rapporti sessuali ma per una mancata di fornitura di camici. Report può cominciare.
Dagospia il 16 ottobre 2020. Da “la Zanzara - Radio 24”. “La gente è spaventata, abbiamo avuto un calo non c’è dubbio. Ma il mio locale è molto grande, dunque ci sono tante possibilità. E gli scambisti hanno cambiato il loro modo di fare sesso: niente effusioni, niente baci, vanno direttamente al dunque. Solo pompini e pecorine, perché c’è già una distanza di un metro e non c’è contatto bocca a bocca”. Lo dice Jessica Rizzo, ex pornostar, titolare del Mondo di Atlantis, locale per scambisti a Roma Nord, a La Zanzara su Radio 24. “Abbiamo fatto delle pareti col plexigas con dei buchi – spiega la Rizzo – dove si può praticare il glory hole. E’ un modo per rimediare a questa situazione. Si predilige fare questo. E tutti indossano la mascherina per fare sesso”. Se la situazione dovesse precipitare come rimediate?: “Abbiamo un drive in con un parcheggio dove fare car sex – dice ancora la Rizzo - , dunque la gente può fare sesso dal finestrino, oppure si può masturbare guardando una coppia. Quello non sarà vietato”. “Con il plexigas – prosegue – una coppia può mettersi a giocare con il pisello di uno sconosciuto, e la parete funziona praticamente da mascherina. E sono sempre di più gli uomini che lo fanno. Cioè il maschio della coppia che prova esperienze bisex. Sono sempre di più i mariti che si mettono a succhiare.
Stefania Piras per "ilmessaggero.it" il 14 settembre 2020. Coronavirus Attività motoria sì, no, ma il sesso? Sì o no? Le coppie che hanno un'intimità e che hanno osservato insieme la quarantena possono lasciarsi andare ma con cautela (standard igienici più alti del normale). Anche quelle che non sono state confinate insieme possono ma con molta più prudenza e con le protezioni che si userebbero se non si conosce il partner, quindi con il preservativo. Niente sesso selvaggio, dice il direttore dell'Istituto andaluso di Sessuologia Francisco Cabello. E non crediate che siano posizioni o pratiche strane. Il sessuologo di Màlaga dice che bisogna limitare i baci francesi, con la lingua, ed evitare il faccia a faccia. Solo baci stampati sulle labbra. Perché il contatto umano deve comunque proteggersi dalle goccioline di saliva che potrebbero essere contagiose. Capito perché il bacio appassionato non si può? Perché nella saliva, e in alcuni casi anche nei liquidi biologici (è stato riscontrato nei testicoli e nei liquidi femminili), potrebbe esserci un'alta concentrazione di virus. Motivo per il quale esclude il sesso orale e quello anale, per esempio. Cabello in un colloquio con il quotidiano La Vanguardia stila un decalogo dei comportamenti che si possono tenere e quelli proibiti. E diciamo che sono molti di più i secondi. E per chi lavora in prima linea negli ospedali, tutto il giorno a contatto con il virus? Come può rilassarsi nell'intimità? La risposta del dottor Cabello è diretta: «Raccontatevi fantasie erotiche, datevi al sesso online oppure all'autoerotismo, se siete vicini mantenete però la distanza». Grandissima attenzione, infine, quando si decide di consumare un rapporto con una persona nuova. «Può essere pericoloso, soprattutto per i giovani che sono più incoscienti da questo punto di vista», ricorda Cabello. «L'ideale sarebbe sapere se quella persona ha già eseguito un test per essere certi», dice Cabello. E anche così la certezza, ricordate, non è mai matematica visto che i test non danno risposte esatte al 100%. Il test può dare esito negativo o positivo ma potremmo essere in presenza di falsi negativi e viceversa. In sintesi: i rischi maggiori sono nella saliva e nelle persone nuove che non si conoscono quando si decide di fare sesso. Dunque, si potrebbe aspettare quindici giorni dopo aver deciso di andare più in là del bacio e vedere se appaiono sintomi. Poi, lasciarsi andare sperando di non essere incappati in un asintomatico. Tempi duri, insomma, per i contatti ravvicinati e il corpo in libertà.
Lettera a Natalia Aspesi – il Venerdì – Repubblica il 14 settembre 2020. Nello "stupidario" collettivo proposto dai tuttologi che mi sono stufato di ascoltare, non ho sentito alcuno fare un cenno qualsiasi sull'Amore ai tempi del Coronavirus. Considero l'amore uno stato d'animo indefinito che ci pervade a volte immotivatamente, cui in mancanza di giustificazioni razionali si attribuisce la generica definizione di "Amore". Poi in realtà esiste e si pratica, mi auguro per tanti interessati: molto. Non ho sentito prescrizioni, letto decreti, suggerimenti o consigli su come dovrebbero comportarsi tanti interessati all' argomento dal punto di vista pratico. In fondo ci hanno detto del metro di distanza da tenere, di lavarsi le mani, di non toccarsi occhi, bocca, viso (le orecchie no, in fondo sono riceventi, non dovrebbero trasmettere nulla, quindi nemmeno il Virus). Ma un seno? Un bel sederino? Si potrebbe carezzare senza correre alcun rischio? Per quanto consigliato un bacio non si potrebbe dare, o forse sì, in fondo sono due bocche diverse quelle in gioco. Le prescrizioni precedenti forse si riferiscono esclusivamente a un "fai-da-te", come una specie di peccatuccio solitario. Anche i luoghi dovrebbero essere importanti. Il divano o il letto dove si mettono in pratica i desideri saranno consentiti? Non mi permetto di citare tavoli, docce, lavatrici ed altri accessori adattati all' uso, ma che richiederebbero una fede provata alla trasgressione e non sono per tutti. I fidanzati e gli irregolari senza dimora praticabile potranno usare i sedili dell' auto? Nessuno ha voluto toccare questi argomenti. Hanno chiuso le Chiese forse in automatico si intenderanno sospesi anche i peccatucci? Magari lei dall' alto delle sue conoscenze potrebbe avere qualche valido argomento per illuminare tanti. Io personalmente non ne ho bisogno, sono stato un praticante a suo tempo, sono rimasto legato solo a piacevoli ricordi. Sono un altruista, immagino che saranno in tanti nelle angosce e nelle ambasce che in mancanza di istruzioni si sacrificheranno. Magari invano. Serafino Costantini – Ascoli Piceno
RISPONDE NATALIA ASPESI. Forse siamo troppo tristi o spaventati, per il virus certo, ma io credo soprattutto perché di colpo la nostra quotidianità, le nostre abitudini, persino i nostri affetti, addirittura i nostri cattivi umori, sono stati messi in "quarantena". Ho ricevuto un certo numero di lettere su quello che è diventato "l'argomento", in televisione anche i più sciocchi, anzi soprattutto i più sciocchi e irresponsabili non si occupano d' altro. Ne ho scelte tre, e spero di non doverne parlare più in questa sede. Gentile Serafino penso che almeno sino ad ora non si sia ancora sfiorato il tema dell'amore nel senso di sesso, perché proprio l' amore per gli altri e per sé stessi obbliga ad amarsi a distanza, serenamente, in attesa di uscire da questa pausa nera della nostra vita, dal vuoto che racchiude ognuno di noi in un nostro spazio che esclude gli altri. Diciamo che il solo amore che dobbiamo augurarci è quello del tutto disinteressato, molto generoso, di chi per professione si prende cura di noi, ci tocca, ci assiste, ci cura, quasi sempre ci guarisce. Questo assedio che ci obbliga a temere gli altri, soprattutto i più cari, ci fa anche capire come tutte le nostre certezze siano fragili; come anche noi facciamo parte dello stesso mondo, l' umanità dolente che respingiamo indifferenti vittima di guerre, carestie, persecuzioni, disastri naturali. La ringrazio comunque della sua lettera, che ci fa sorridere. Niente baci dunque, l' amore ai tempi del coronavirus ritorna casto e forse più eccitante, sguardi, telefonate, mail, immagini su instagram. Ho chiesto ad alcune coppie di amici il loro parere: e tutti mi hanno risposto senza esitare, castità assoluta, anche senza rimpianto. Qualcuno persino con un sospiro di sollievo.
Brunella Bolloli per ''Libero Quotidiano'' il 17 giugno 2020. Archiviata la task force di Colao, eccone subito pronta un'altra: è quella per il sesso sicuro guidata dal professor Massimo Galli, l'infettivologo dell'ospedale Sacco di Milano che ci ha tenuto compagnia in questi lunghi mesi di Coronavirus. Che fosse in camice bianco fuori dal nosocomio ripreso dalle tv di mezzo mondo, o la sera, dal suo studio, con il collegamento Skype che faceva le bizze, nella classifica dei virologi il professore è saldamente in vetta. «Quando parla Galli di Covid bisogna ascoltarlo, è il verbo», si legge sui commenti social dei fan più sfegatatati. Lui però, a differenza di molti colleghi, non possiede profili su Facebook né Twitter né tantomeno Instagram e sarà per questo che, puntuale come il tg delle 20, si materializzava nei vari programmi, sebbene quasi mai con buone notizie. movida selvaggia Diciamolo: Galli è intervenuto per mettere una pezza dopo che qualche medico ha definito il Corona «poco più che una banale influenza» mentre il numero dei morti saliva e il contagio si allargava. Per primo, da lombardo doc, ha paventato il rischio di «una battaglia di Milano» che faceva tremare il cuore pulsante dell'economia italiana. Ha avvertito i concittadini: «Guardate, che non è finita, non possiamo certo escludere una seconda ondata». È stato lui a gelare l'entusiasmo degli amministratori: «Il virus non è mutato», e a bacchettare quegli «irresponsabili della movida selvaggia» che a furia di assembrarsi, senza mascherina, potevano diventare la causa di nuovi focolai. «Non è piacevole fare la parte del censore», ha ammesso il primario quando gli hanno fatto notare che c'era già Brusaferro con quel ruolo lì, «ma non è il momento di fare queste cose. E lo dico senza nessun interesse, perché non ho mai preso una lira per i miei interventi». Quindi la risposta sincera, alla Gruber, se con la fine dell'emergenza si vedranno meno virologi in tv: «Sono infettivologo e non virologo, quindi potrei fare la battuta che per me va benissimo così. Comunque, francamente, non ne posso più di vedere anche me stesso nelle varie trasmissioni televisive». Per lui, che vanta innumerevoli pubblicazioni, c'è chi auspica un riconoscimento dal Quirinale, intanto, però, è arrivato questo nuovo impegno per «promuovere comportamenti responsabili a livello sessuale» e per spingere verso un necessario, quanto fondamentale, cambiamento della non corretta normalità in tema di abitudini "erotiche" cui eravamo abituati. In sintesi, il direttore della terza divisione di Malattie infettive del Sacco, proprio per la sua autorevolezza e il suo modo pacato e chiaro di spiegare questioni delicate che riguardano tutti, è stato scelto da Durex, nota marca di preservativi, quale capo della task force multidisciplinare medico-scientifica che dirà cosa si può fare e cosa no a letto in tempo di pandemia. Un'indagine condotta da Durex su 500 persone, comprese tra i 16 e i 55 anni, ha mostrato che durante la quarantena gli italiani hanno fatto meno sesso: l'83% degli intervistati ha confessato un generale calo del desiderio e della pratica sessuale, solo il 23% ha invece sostenuto di aver mantenuto un livello di attività quasi uguale a prima del lockdown. Ansia, paura di infettarsi, presenza di bimbi in casa, interruzione dei movimenti e obbligo di distanziamento sociale hanno generato una tale flessione. Per i single, poi, è stata una catastrofe, un crollo verticale dei rapporti, perché vatti a fidare di chi non conosci durante il Covid: se bisogna lavarsi e disinfettarsi sempre bene le mani, figurarsi il resto. Ma perfino tra partner non conviventi lo scenario è drammatico: ben il 95% degli intervistati ha infatti dovuto rinunciare al piacere sessuale. Galli da molti anni collabora con Anlaids, prima associazione italiana nata per fermare la diffusione del virus Hiv e dell'Aids: ora è una star anche nel campo del Covid e aiuterà a fare chiarezza sui pericoli del contagio a livello sessuale grazie alla campagna di prevenzione "Safe is the new normal" nata da Durex e Anlaids. Andrà nelle scuole, nei dibattiti, e forse perfino in tv a informare sui rischi di un sesso non protetto. Lo affiancheranno Sonia De Balzo, sessuologa dell'ospedale Cotugno di Napoli, Alberto Venturini, psicologo psicoterapeuta cognitivo comportamentale presso il Galliera di Genova e la dottoressa Alessandra Scarabello, dermatologa dello Spallanzani di Roma. «Tutte le grandi epidemie hanno lasciato profonde tracce nella cultura e nei comportamenti umani», avverte Galli. «Per questo serve un esercizio responsabile della propria sessualità. Specie dopo la pausa imposta dal virus». Insomma, occhio al Covid e... al coito.
Dagospia il 26 maggio 2020. Da “la Zanzara – Radio24”. “In questa fase sessualmente bisogna prendere delle precauzioni. Ci sono delle cose sconsigliate. Per persone che vivono sotto lo stesso tetto le restrizioni sono minori, perché si presume siano stati esposti allo stesso ambiente. Ecco, invece i rapporti occasionali…”. Lo dice a La Zanzara su Radio 24 la sessuologa Rosamaria Spina. “Sconsigliare il sesso e la sessualità anche nella sua forma di relazioni occasionali – dice la sessuologa - non sarebbe giusto. Tecnicamente sarebbe da sconsigliare. Ma se si decide di farlo bisogna adottare alcune precauzioni.
Primo. Preservativo sempre e comunque, in questo periodo ancor di più, perché in realtà una ricerca cinese pubblicata su una rivista scientifica ha dimostrato che anche nel liquido seminale ci sono tracce del Covid19. E poi i rapporti orali sono sconsigliati perché la saliva è un mezzo di trasmissione. E’ assolutamente sconsigliato. Diciamo che in questo caso il rapporto classico, quello con penetrazione vaginale, molto probabilmente sempre col preservativo è quello più sicuro che abbiamo a disposizione”. “Faccio un esempio pratico – continua – se due utilizzano una app di incontri sono sconsigliati i rapporti orali. Da entrambe le parti. Altro rapporto sconsigliato è il rapporto oro-anale. Evitare ciò contatti tra la bocca e l’ano”. Cioè, è sconsigliato il cunnilingus anale?: “Esatto. Noi questo rapporto tra bocca e ano lo classifichiamo così, oro-anale. Il motivo è doppio. Non solo per la saliva che, come già detto, è veicolo di trasmissione, ma in realtà tracce di Covid sono state in realtà ritrovate anche nelle feci. Quindi non essendo sempre la parte anale nelle giuste condizioni, anche questo in realtà può creare una doppia fonte di contagio”. “Andare a prostitute – dice ancora la Spina – è come incontrare uno sconosciuto. In generale la promiscuità sessuale è sconsigliata, in questo periodo un po’ di più visto che ci sono dei rischi per la salute dei quali ancora non conosciamo la portata”.
Coronavirus, il sesso più sicuro? "E' la masturbazione". Le Iene News il 22 marzo 2020. Il dipartimento della salute di New York pubblica le linee guida per fare sesso ai tempi del coronavirus. Il sesso più sicuro? "E' la masturbazione", ma anche lì occorre sempre "lavarsi le mani". Il dipartimento della salute di New York pubblica le linee guida su "sesso e coronavirus", per continuare a "godere del sesso evitando la diffusione del COVID-19". Dopo l'invito all'isolamento, che vale anche per i newyorchesi, la domanda è: "si può fare sesso?". Prima di tutto occorre sapere come si diffonde il coronavirus, che si può prendere da una persona che ce l'ha". Il virus infatti si diffonde "a chi è entro una distanza di 1,8 metri da una persona che ha il COVID-19, quando quella persona tossisce o starnutisce". Inoltre il virus si diffonde "con il contatto diretto con la saliva o il muco" di un infetto. Ma arriviamo alla parte legata a coronavirus e sesso. Su questo "abbiamo ancora molto da imparare". Il COVID-19 infatti, secondo il dipartimento di New York, "è stato trovato nelle feci delle persone infette dal virus". Non è stato ancora trovato, però, "nello sperma o nel fluido vaginale". Quello che sembra confortante è che sappiamo che "altri coronavirus non si trasmettono efficientemente attraverso il sesso". Quindi quali sono i consigli che arrivano da New York per poter fare sesso al tempo del coronavirus? "Fai sesso con persone vicino a te". E chi è la persona più vicina a noi, se non noi stessi? "Tu sei il tuo partner più sicuro. La masturbazione non diffonderà il COVID-19, soprattutto se ti lavi le mani (e qualunque sex toy) con il sapone e l'acqua per almeno 20 secondi prima e dopo che hai fatto sesso". Ma per chi non si accontentasse della masturbazione? "L'altro partner più sicuro dopo te stesso è qualcuno con cui vivi. Avere contatti stretti - sesso incluso - con solo una piccola cerchia di persone aiuterà a prevenire la diffusione del COVID-19". Per questo bisognerebbe "evitare di avere contatti ravvicinati - sesso incluso - con chiunque sia al di fuori della propria abitazione". E se proprio non si riuscisse a evitare di fare sesso con altri? In quel caso è consigliato fare sesso "con meno partner possibili e occorre evitare sesso di gruppo". E per chi è abituato a conoscere i propri partner online o si prostituisce, è consigliabile "prendere una pausa dagli incontri fisici. Gli appuntamenti in video, il sexting o le chat room potrebbero essere un'opzione" per queste categorie. Però occorre "disinfettare le tastiere o i touch screen in condivisione con altri (per le video chat, guardare film porno o qualunque altra cosa)". E ci sono delle precauzioni in più da prendere mentre si fa sesso. Perché ai tempi del coronavirus anche baciarsi può essere pericoloso. "I baci possono facilmente trasmettere il COVID-19. Evita di baciarti con chiunque non faccia parte della tua cerchia ristretta di contatti". E il "rimming (la bocca sull'ano)", e cioè l'anilingus, "potrebbe diffondere il COVID-19. Perché "il virus presente nelle feci potrebbe entrare nella tua bocca. I preservativi possono ridurre il contatto con la saliva o con le feci, specialmente durante il sesso orale o anale". E "lavarsi prima e dopo aver fatto sesso è più importante che mai". Il dipartimento della salute di New York, comunque, si riserva di "cambiare le raccomandazioni con l'evolversi della situazione".
Da "105.net" il 19 febbraio 2020. Con la stagione fredda arrivano anche i malanni. Tosse, raffreddore, febbre: sono moltissimi gli italiani che cadono nella morsa dell'influenza. Prima di ricorrere alla chimica per alleviare i sintomi, ci sono tanti rimedi naturali che possono aiutarci a superare questi momenti di malattia. Una bella spremuta di arance può essere utile per avere un maggiore apporto di vitamina C e guarire più in fretta. Ma non solo, la scienza ci indica un altro rimedio molto piacevole... ma molto, molto piacevole. Secondo uno studio di Manfred Schedlowski, condotto in Svizzera, fare l'amore sarebbe il metodo naturale perfetto per superare l'influenza. Esatto: una bella giornata passata sotto le lenzuola con il proprio partner e addio raffreddore. Il ricercatore ha eseguito dei test su alcune coppie malate e ha visto che il sesso li aiuterebbe a guarire in una percentuale pari al 60%. Fare se facciamo l'amore durante gli stati febbrili, aumenta la produzione di linfociti T, utili per "aggredire e curare" le cellule affette dai virus. Insomma, l'amore è la risposta a tutto... anche all'influenza!
Dagospia il 6 marzo 2020. Da “la Zanzara - Radio 24”. Il sesso al tempo del coronavirus. Na parla a La Zanzara su Radio 24 l’andrologo e sessuologo Nicola Mondaini, professore all’Università di Firenze: “In questo periodo fare sesso è consigliato. Ma non sesso occasionale. Dobbiamo fare sesso a casa, e posso dire che fare l’amore aumenta le difese immunitarie, c’è una produzione di endorfine”. Dunque trombare aiuta a combattere il coronavirus?: “L’attività sessuale innalza il sistema immunitario. Può essere una buona protezione. Naturalmente in questo momento rimarchiamo che è consigliato stare in casa e l’attività sessuale deve essere un’attività sessuale sicura, quindi assolutamente fatta con il partner”. Anche baciare una sconosciuta non va bene?: “Esatto. In questo momento il bacio, gli affetti, tutto quello che fa parte della sessualità purtroppo è pericoloso. Perché sappiamo benissimo come si propaga il coronavirus”. Se incontri una sconosciuta, o uno sconosciuto quali sono le posizioni da evitare?: “Io direi che in questo momento bisognerebbe evitarlo. Ma la vita va avanti, non è che si può fermare. Possiamo fare una battuta. In questo momento è da evitare la posizione da missionario, preferendo una posizione dove la donna è prona e l’uomo sta dietro. Questo è preferibile, ma in questo momento la cosa migliore però è stare a casa, tranquilli e buoni. Chi ha moglie o compagna ha questo vantaggio. Chi non ce l’ha, faccia da solo”. C’è qualche possibilità di trasmissione col sesso orale, pompino o cunnilingus?: “Per quello che riguarda il mondo della prostituzione questo è un momento di estremo pericolo non solo per chi lo frequenta, ma per la stessa prostituta. In questo momento è consigliabile tirare i remi in barca. La cosa migliore sarebbe stare in casa. Capisco che una prostituta debba lavorare, ma in questo momento ci sono dei rischi altissimi, perché nella giornata di una prostituta incontrare 10-15 persone è un fattore di rischio notevole”. A prescindere dalla prostituzione, il rapporto orale crea dei problemi?: “Sul coronavirus tecnicamente i dati non ci sono, però è pericoloso. Perché il coronavirus si trasmette con i baci. Quindi se tu baci due labbra in un senso o nell’altro senso, certo… E’ un virus respiratorio, ma certamente anche il contatto, il sesso orale può essere pericoloso”.
· L’epidemia e l’Immigrazione.
La Ue è preoccupata dalle conseguenze del Covid: “Rom e Lgbt sono stati molto penalizzati”. Penelope Corrado martedì 27 Ottobre 2020 su Il Secolo d'Italia. Le categorie particolarmente penalizzate dal Covid-19? “Rom e Lgbt”. È quanto stabilito oggi, a Strasburgo, al parlamento europeo dalla commissione per le Libertà civili. La notizia è stata data dal eurodeputato di Fratelli d’Italia Nicola Procaccini. L’esponente sovranista aveva tentato invano di dare priorità a piccoli imprenditori, liberi professionisti e artigiani.
La denuncia di Nicola Procaccini. «La Commissione Libe – scrive Procaccini in una nota – ha approvato oggi una risoluzione sull’Impatto delle misure restrittive Covid-19. In essa si propone di tutelare rom ed LGBT. Identificate quali categorie particolarmente colpite dagli effetti della pandemia, non si capisce perché. Mentre ha respinto il mio emendamento alla risoluzione con il quale si impegnavano gli Stati a compensare velocemente ed adeguatamente le perdite subite dalle attività economiche più colpite dalle misure restrittive”. È quanto afferma l’europarlamentare del gruppo ECR – Fratelli d’Italia, Nicola Procaccini, componente della Commissione LIBE (Libertà civili, giustizia e affari interni).
Rom, lgbt prima di partite Iva e artigiani. «È evidente che il Parlamento europeo continua ad affrontare l’emergenza con i paraocchi della ideologia. Non tiene conto, infatti, del reale impatto dell’epidemia su cittadini e imprese. La risoluzione, inoltre, ignorando ogni misura di sicurezza, esprime rammarico per la chiusura dei porti del Mediterraneo agli sbarchi di immigrati, ma non considera invece che anche la difesa delle aziende e del sistema economico, e la capacità dei cittadini e degli Stati di autodeterminarsi, sono diritti fondamentali. Né la Ue né tantomeno il governo italiano sembrano tenere in alcuna considerazione questi aspetti, continuando ad affrontare l’emergenza in maniera ideologica, come se il Covid-19 fosse un avversario politico».
Coronavirus, l'accusa di Filippo Facci: "Hotel chiusi ai malati di Covid ma aperti per gli immigrati". Filippo Facci su Libero Quotidiano il 27 ottobre 2020. Ah già, gli alberghi per isolare i positivi. Che fine hanno fatto? I dati sul Covid sono la classifica quotidiana delle notizie in cui nessuno crede, quindi tanto varrebbe introdurre classifiche nuove, tipo quella sui ritardi del governo da gennaio a oggi. Ecco l'esempio: gli alberghi per isolare i positivi. Il problema, nel tempo, non è stato risolto, non è stato superato: è stato solo dimenticato, questo nonostante fosse attualissimo a marzo e torni attualissimo oggi. Pro-memoria: parliamo del problema di isolare i positivi a cui è inapplicabile il distanziamento a casa, perché la casa è piccola, l'appartamento ha un solo bagno, o c'è un anziano che convive; si parlò di neo case (alberghi, residence) che avrebbero dovuto accogliere anche i dimessi dagli ospedali ancora contagiosi, benché non più bisognosi di assistenza: non è una faccenda secondaria, considerando che all'epoca la maggior parte dei focolai (77 per cento) si verificava proprio nelle abitazioni. Se torniamo a marzo, vediamo che una prima frettolosa organizzazione di queste strutture fu fatta in poche settimane: poi tutto si perse in un casino generale; nei pochi alberghi o residence non ci andava nessuno, o soltanto qualche dimesso dagli ospedali, non si capiva neppure chi dovesse decidere. La questione scivolò nell'oblio. Detto questo, oggi? Non è cambiato niente. I dati del ministero spiegano che la maggior parte dei focolai resta nelle case (77,6 per cento) e, già che ci siamo, spiegano che calano costantemente i focolai nelle attività ricreative (4,1 per cento) e nelle scuole (2,5). Ma gli alberghi per isolare i positivi continuano a procedere a passo di gambero. Qualche Regione ha fatto qualcosa, altre sono immobili, e, spiace dirlo, tra queste c'è la Lombardia. Risulta che alle strutture individuate sia garantito un corrispettivo attorno ai 70 euro al giorno per una camera con alcuni benefits (biancheria, pasti, talvolta assistenza medica) ma non si capisce come il servizio in pratica non decolli come è avvenuto da tempo in altri paesi occidentali. Gli alberghi in sostanza non ci sono. Per dirla meglio: non si capisce perché in Italia non sia scattato quel meccanismo che in periodo di crisi economica (frattanto peggiorata) ha trasformato hotel, alberghetti, discoteche-dormitorio, ristoranti, centri-vacanze e strutture varie in centri di accoglienza per immigrati, e che potrebbe egualmente riconvertite altre realtà per accogliere i contagiati post-ospedalieri, dando peraltro una robusta mani ai gestori di alberghi eccetera. Dovremmo credere che tutti gli alberghi sono occupati dagli immigrati? Eppure per trasformarsi in casa di accoglienza basta un'autocertificazione o, per una coop, tre persone davanti a un notaio. Per gestire dei contagiati (o meglio: gestire i loro parenti, isolando a casa il contagiato) forse servirebbe qualcosa di più, ma per altri aspetti anche di meno. In fondo si tratterebbe di trattenere, per un breve periodo di quarantena, una persona che poi tornerebbe alla vita di sempre; nel caso dei migranti economici, invece, è tutta gente che dopo un paio d'anni è ancora lì prima di vedersi recapitare un foglio di via regolarmente disatteso. Nessuno o quasi affronta di petto il problema. Dapprima, qualche struttura era stata gestita dai comuni e dalla Protezione Civile (grazie al decreto rilancio) ma poi la palla è passata alle Regioni che a loro volta l'hanno passata alle ex Asl. E buonanotte. Non essendoci linee guida nazionali, non è che ognuno ha fatto come gli pareva: ognuno ha fatto poco o niente. Solo l'Emilia Romagna ha approntato una quantità di strutture certificabili. Altre Regioni non sono in grado di fornire dati. La Lombardia risulta che abbia allestito solo una palazzina vicino all'aeroporto di Linate, parzialmente vuota. L'Ats di Milano, la città messa paggio dalla seconda ondata dell'epidemia, non ha ancora chiuso i bandi autunnali per individuare le strutture. Non c'è fretta. Non si potrà fare come a Wuhan, dove in due mesi approntarono ventimila posti in palazzetti dello sport e centri congressi, lunghe e squallide file di letti: alla cinese, insomma. Forse neanche come negli Stati Uniti, dove pagano l'albergo alla tua famiglia. In Italia? Una risposta tornerà utile quando ci sarà il problema di alleggerire gli ospedali e di trasferire i contagiosi (ma guariti) senza fargli occupare letti inutilmente. A ben pensarci, è un problema che c'è già.
700 clandestini in 30 ore, ma Lamorgese bacchetta bar e ristoranti. "Adesso è il momento della responsabilità da parte di tutti. Tavolini troppo ravvicinati: controlli da parte della polizia ma stiano attenti anche i titolari": questa la preoccupazione del ministro dell'Interno. Federico Garau, Domenica 11/10/2020 su Il Giornale. Dopo aver silurato i decreti sicurezza e spalancato di fatto le frontiere nazionali alle navi delle Ong ed al loro carico, Luciana Lamorgese minimizza sulla questione immigrazione, sovraffollamento degli hotspot di Lampedusa e pericolo di diffusione del Coronavirus ad esso connessa, preferendo rivolgere la propria attenzione allo scarso distanziamento dei tavolini in bar e ristoranti. Ebbene si, 728 clandestini, per la maggior parte di nazionalità tunisina, sbarcati in appena 30 ore sull'isola, ma il ministro dell'Interno liquida la questione in modo molto rapido durante l'intervista concessa a "Il caffè della domenica", trasmissione in onda sulle frequenza di Radio 24. A Maria Latella, conduttrice del programma, infatti, Luciana Lamorgese ha espresso invece le sue preoccupazioni per quanto riguarda la scarsa attenzione posta sul distanziamento tra tavolini in locali, ristoranti e bar. "Adesso è il momento della responsabilità da parte di tutti, perché non può esserci un appartenente alle forze di polizia dietro ognuno di noi, siamo noi che dobbiamo essere responsabili", ha spiegato il titolare del Viminale durante l'intervista, come riportato da AdnKronos. "Quando parliamo degli esercenti, dei commercianti e dei gestori dei bar, anche da parte loro ci vuole senso di responsabilità", ha aggiunto il ministro dell'Interno evidentemente molto allarmato almeno da questa situazione."Io penso anche al distanziamento tra tavolini, per esempio ieri ho visto nei bar all’aperto tavolini molto ravvicinati, anche questo sarà oggetto non solo dei controlli delle forze di polizia ma anche di attenzione da parte dei titolari degli esercizi pubblici".
Demoliti i decreti Sicurezza? Riprendono gli arrivi. Le modalità di controllo delle nostre abitudini che, stando alle notizie fino ad ora filtrate circa il contenuto del nuovo Dpcm, potrebbero minare addirittura la libertà anche tra le mura delle abitazioni private, arrivano pertanto ad investire in primis proprio i proprietari di locali pubblici. "Questa è una battaglia che dobbiamo vincere tutti insieme", conclude sul tema Lamorgese. Per quanto riguarda le verifiche del rispetto delle norme anti-Covid sul territorio, il ministro si è detto particolarmente soddisfatto, con controlli capillari che potranno vedere anche il coinvolgimento dei militari di Strade sicure e che hanno comunque già portato a staccare numerose sanzioni amministrative nei confronti dei trasgressori. "Il momento è difficile, le forze di polizia hanno dimostrato nei mesi trascorsi una grande capacità di controllo e grande umanità. Da marzo fino a giugno abbiamo fatto 24 milioni di controlli sulle persone e 470mila sanzioni". Infine la questione "migranti", che non agita particolarmente il sonno di Lamorgese: "Abbiamo mandato i militari in Sicilia non per il Covid ma per i tanti arrivi e il conseguente bisogno di controlli. Nelle strutture di prima accoglienza ci sono 56 mila persone, e sono positivi 1.238, poco più del 2% degli arrivi", spiega il titolare del Viminale, che si dice talmente sicura del fatto suo da concludere: "I numeri non sono preoccupanti rispetto a quelli che vediamo sul territorio. Non è che il Covid lo portano i migranti".
Covid, Lamorgese: «Non sono i migranti a portarlo». Il Dubbio l'11 ottobre 2020. Il ministro degli Interni parla dati alla mano: « In prima accoglienza su 56 mila persone i positivi sono il 2,17%: 1.238 circa». Poi redarguisce i commercianti: «Ho visto tavolini troppo vicini». «Se vogliamo dirla tutta i numeri non sono preoccupanti in relazione a quelli sul territorio: non è che il Covid lo portano i migranti». Lo ha affermato il ministro degli Interni, Luciana Lamorgese, intervenendo a Radio 24 a «Il caffè della domenica». In Sicilia «abbiamo mandato i militari non per il Covid ma perché gli arrivi erano tanti, per i controlli necessari. Vorrei dire che vedo un dato preciso, che è quello delle strutture di prima accoglienza: su 56 mila persone i positivi sono il 2,17%: 1.238 circa». «È il momento della responsabilità di tutti. Non può esserci un appartenente alle forze polizia dietro ognuno di noi. Anche da parte degli esercenti ci vuole senso di responsabilità. Questa è una battaglia che dobbiamo vincere tutti insieme», ha proseguito il ministro. «Le forze di polizia hanno dimostrato una grande capacità di controllo, con professionalità e umanità», ha aggiunto visto che durante l’emergenza Coronavirus, «sono stati presenti con 24 milioni i controlli fino a giugno». A proposito degli esercenti, ha proseguito, «penso anche al distanziamento tra tavolini, per esempio ieri ho visto nei bar all’aperto tavolini molto ravvicinati, anche questo sarà oggetto non solo dei controlli delle forze di polizia ma anche di attenzione da parte dei titolari degli esercizi pubblici». A proposito di migranti e nuove disposizioni, in un’intervista al quotidiano Avvenire, Lamorgese ha spiegato: «Il mio obiettivo è arrivare, appena sarà possibile, a una ripresa dei flussi regolari, anche perché questo è il modo più efficace per sottrarre tanti migranti allo sfruttamento dei trafficanti di esseri umani». «Abbiamo cercato di non perdere mai di vista due parametri di riferimento fondamentali in tema immigrazione: la dignità delle persone che vengono accolte e la sicurezza delle comunità che accolgono», ha detto la responsabile del Viminale al giornale della Cei. «Abbiamo ridisegnato un sistema di accoglienza e integrazione (Sai) capillare, diffuso in piccoli centri presenti in tutte le regioni, in cui gli immigrati hanno un nome, i documenti, un domicilio certo e magari anche la possibilità di essere impiegati regolarmente o di essere reclutati per lavori socialmente utili». Spiega ancora Lamorgese: «I precedenti decreti avevano stressato il sistema di accoglienza al punto di renderlo inefficace perché, di fatto, sono stati esclusi dai centri moltissimi immigrati finiti in una terra di nessuno in condizioni di precarietà e clandestinità». Nell’intervista la ministra dell’Interno ha parlato anche delle Ong e delle associazioni umanitarie impegnate nel soccorso in mare ai migranti. «Chiunque si trovi ad operare salvataggi in mare comprese le Ong, deve agire in un quadro normativo di riferimento e rispettare le regole», ha detto. «Stabilire un perimetro per le operazioni Search and Rescue non significa criminalizzare: tant’è che, nel nuovo decreto, il provvedimento di divieto o di limitazione del transito e della sosta per le navi nel mare territoriale, per ragioni di ordine e sicurezza pubblica o di violazione delle norme sul traffico dei migranti, non si applica alle operazioni comunicate ai competenti centri di coordinamento e allo Stato di bandiera ed effettuate nel rispetto delle prescrizioni impartite dagli organi interessati», ha aggiunto.
Immigrazione, Giorgia Meloni chiama in causa il Cts e Luciana Lamorgese: "Ci spieghino questa presunta immunità dal Covid dei clandestini". "Mascherine, vittime della confusione del governo": l'affondo di Giorgia Meloni. "Perché devi soltanto applaudire". Chiamatela "regina": Vittorio Feltri incorona Giorgia Meloni, parole pesantissime. Libero Quotidiano l'11 ottobre 2020. L'emergenza coronavirus continua a crescere così come gli sbarchi. Eppure per i giallorossi tutto è sotto controllo. Lo dice nero su bianco Giorgia Meloni che, con un cinguettio, chiama in causa tutto il governo: "Per il Ministro Luciana Lamorgese non c’è alcun pericolo Covid legato all’arrivo di immigrati illegali. Ci prendono in giro? - si chiede al vetriolo -. O il racconto “che scappano dalla guerra e vengono richiusi nei lager” è una menzogna, oppure lo è il fatto che non sono soggetti a elevato rischio contagio". Non solo, perché la leader di Fratelli d'Italia lancia una frecciatina anche a quei giornali e tg che difendono sempre e comunque l'operato dell'esecutivo. "Gli italiani non ne possono più di info distorte e surreali diffuse dal Governo e amplificate dai media di regime. Chiedo a Governo e CTS di spiegare su basi medico-scientifiche questa presunta immunità dal Covid che avrebbero i clandestini che sbarcano sulle nostre coste".
Trovati 60 positivi nel centro d'accoglienza: esplode la rivolta dei migranti. Sono 60 su 72 i migranti positivi di un centro del sassarese, dove in queste ore è scoppiata una rivolta con lancio di oggetti in strada. Francesca Galici, Martedì 13/10/2020 su Il Giornale. La Sardegna è una bomba a orologeria a causa dei migranti dei centri di accoglienza ormai al collasso. L'isola, che deve necessariamente affrontare i nuovi casi di coronavirus in autonomia, visto il suo totale isolamento dal resto del Paese, si ritrova con ben 60 positivi nel centro migranti di Predda Niedda alle porte della città di Sassari. Sono 72 in tutto gli ospiti della struttura, l'hotel Pagi della zona industriale della Sardegna nord-occidentale, che nelle scorse ore si sono ribellati alle misure di isolamento, chiedendo di essere sottoposti a nuovi controlli per essere liberati. La situazione è rovente a Sassari, dove i migranti hanno dato vita a una vera e propria rivolta e nelle loro rimostranze violente hanno scagliato in strada qualunque cosa capitasse loro tra le mani. Dall'olio alla vernice, i migranti si sono ribellati costringendo la polizia a intervenire in tenuta antisommossa. Gli agenti sono stati chiamati a sedare gli animi e tutt'ora si trovano all'interno del centro per cercare di riportare la calma, ma gli animi sono ormai surriscaldati e la rivolta con il lancio di oggetti non è altro che l'ultimo atto di un escalation di intolleranza che non possono essere gestite con serenità. Da diverse ore, infatti, la Polizia di Stato era impegnata all'hotel Pagi di Predda Niedda per respingere il tentativo dei migranti di scappare dal centro. Gli ospiti, tutti uomini e giorvani, in più riprese hanno cercato di scavalcare le barriere di recinzione dell'hotel. Alcuni di loro hanno anche provato a scappare dai cancelli e tra questi c'erano anche migranti senza mascherine, nonostante il dpcm imponga l'uso all'esterno a qualunque ora e in qualunque condizione. Molti dei migranti che alloggiano all'hotel Pagi lavorano nelle aziende della zona e per questa ragione chiedono che vengano effettuate nuove rotazioni i tamponi per verificare le positività. Tuttavia, i protocolli sanitari sono unici nel Paese e per il momento non sussistono le condizioni per effettuare nuovi tamponi. Per il momento, da Predda Niedda non sono comunque giunte notizie di scontri violenti tra poliziotti e migranti, nell'attesa che la situazione torni alla normalità, anche se l'hotel Pagi è una polveriera pronta a esplodere per i numerosi casi di Covid.
Su 57 migranti sbarcati a Roccella Jonica, 21 sono positivi. La Lamorgese smentita dai fatti. Fabio Marinangeli lunedì 12 Ottobre 2020 su Il Secolo D'Italia. La Lamorgese con le spalle al muro. Fra i 57 migranti sbarcati nella notte fra sabato e domenica a Roccella Jonica (Rc), 21 sono risultati positivi al Covid 19. Fra di loro, anche qualche minore. I 57 migranti, di nazionalità irachena e iraniana, erano stati rimorchiati fino al porto di Roccella da un’unità della Guardia Costiera.
La tesi della Lamorgese sui migranti. I fatti smentiscono, dopo poche ore, le teorie della Lamorgese, secondo cui i migranti non portano il coronavirus. «Abbiamo mandato i militari in Sicilia non per il Covid. Ma perché gli arrivi erano tanti», aveva detto. «Nelle strutture di prima accoglienza, dove sono presenti oggi 56mila persone, i casi positivi sono pari al 2,17%. Se vogliamo dirla tutta, questi numeri non sono preoccupanti, non è che il Covid lo portano i migranti».
La replica di Giorgia Meloni. Alle frasi della Lamorgese aveva risposto Giorgia Meloni. «Chiedo formalmente al Governo e al Comitato tecnico scientifico di spiegare su basi mediche e scientifiche questa presunta immunità generalizzata dal Covid che avrebbero i clandestini che sbarcano illegalmente sulle nostre coste».
«La narrazione beffa del governo». Sulla sua pagina facebook la leader di FdI aveva preso una posizione netta. Le parole della Lamorgese non potevano passare sotto silenzio. La Meloni è partita dalla «narrazione che ci fanno sull’immigrazione». E cioè che migliaia di persone arrivano dalle zone più povere e disastrate del mondo. Prima «viaggiano ammassate con mezzi di fortuna». Non solo. «Sostano giorni e mesi in luogo “inumani” in Libia e Nord Africa». Poi «attraversano il Mediterraneo in barconi stracolmi». Però, nonostante tutto ciò (sempre secondo quanto dicono al governo) «non corrono il rischio di essere contagiate».
La Lamorgese l’ha sparata grossa. «Ci prendono in giro?», incalza la Meloni. «Capiamoci, o il loro racconto dei migranti “che scappano dalla guerra e dalla disperazione e vengono richiusi nei lager” è una menzogna. Oppure lo è il fatto che i clandestini non sono soggetti ad elevato rischio di contagio. Gli italiani non ne possono più delle informazioni distorte e surreali diffuse dal governo e amplificate in modo acritico dai media di regime».
Bari, focolaio Covid sulla nave dei migranti: altri 24 positivi ai test oltre i 50 contagiati. Dubbi sulla gente sbarcata: «Erano negativi». Nella nottata di domenica i primi esiti su metà dei 350 tamponi. Rischio di contatti tra infetti e sani. Le scelte affidate al Viminale. Servirà una nuova quarantena. Nicola Pepe su La Gazzetta del Mezzogiorno il 12 Ottobre 2020. Cresce il numero dei contagiati a bordo della Rhapsody, la nave con 805 migranti giunta giovedì scorso dalla Sicilia nel porto di Bari. Oltre ai 50 rilevati fino a sabato, l'esito delle prime analisi su metà dei circa 350 tamponi eseguiti domenica mattina a bordo del traghetto dai tecnici del Dipartimento di prevenzione della Asl ha confermato in tarda serata la presenza di altri 24 positivi. Un dato che lascerebbe spazio a pochi dubbi sulla presenza del focolaio a bordo dopo i 50 contagiati divenuti tali a fronte di un numero iniziale pari a meno della metà e poi lievitato nei giorni successivi. La nave Rhapsody, partita da Palermo martedì scorso, è stata noleggiata dal Viminale per essere impiegata come nave quarantena. In questo caso, la missione era fare uno scalo tecnico a Bari per consentire la dislocazione dei migranti a bordo presso vari centri del diverso territorio nazionale.
DUBBI SUGLI SBARCATI: 122 LIBERI, ALTRI 18 IN FUGA. Sinora ne sono sbarcati 408, di cui 122 sono rimasti in circolazione - dopo essere stati accompagnati alla stazione ferroviaria di Bari dove sono scesi da alcuni bus - «accompagnati» da un provvedimento di respingimento del Questore che è una intimazione a lasciare il territorio nazionale autonomamente entro sette giorni. A questi si aggiungono i 18 fuggiti dal Cara di Restinco (oltre i due che hanno tentato la fuga gettandosi in acqua). Gli altri sono andati nei vari centri (come da info sotto) e comunque tutti erano in possesso di una certificazione che attestava lo stato di salute. Ma i tamponi positivi sulla restante parte dei passeggeri a bordo sarebbero dunque il termometro di una situazione che sembrerebbe sfuggita al controllo visto che il virus circola ormai sul traghetto. A ciò si aggiungano le legittime preoccupazioni sulle persone sinora sbarcate: se i positivi a bordo erano ben isolati, come è stato sempre detto, non è dato sapere come mai si siano verificati altri contagi che hanno interessato la parte fino a ieri ritenta sana. A ciò si aggiungano i 18 minorenni fuggiti dal Cara di Restinco.
LA PROTESTA E LE FUGHE. Le notizie di queste ore potrebbero cambiare le sorti della nave e dei migranti a bordo che sabato, vedendosi ancora confinati a bordo, hanno inscenato una manifestazione di protesta lanciando oggetti dal ponte.. Al di là dei risultati definitivi dei nuovi tamponi eseguiti, è indubbio che i migranti a bordo dovranno necessariamente trascorrere un nuovo periodo di quarantena: appare difficile, infatti, ricostruire la catena di contatti a bordo di un traghetto in cui chi c'è circola liberamente nella aree «comuni» sia pure - secondo quanto è stato detto - separate dai positivi il cui numero è lievitato nel corso dei primi tre giorni.
LA POSSIBILE PARTENZA DEL TRAGHETTO. La decisione finale, a questo punto, spetta al Viminale che tiene i contatti con la società armatrice e il comandante della nave. A bordo il servizio sanitario è gestito dalla Croce Rossa, a terra dai sanitari dell'Usmaf (e dall'Asl che interviene in supporto) mentre la Prefettura si occupa della fase di trasferimento solo ed esclusivamente di quelle persone munite di certificato che attesti lo stato di salute e quindi autorizzate a sbarcare. Non è escluso che la Rhapsody levi gli ormeggi e stia in rada di qualche porto come sta avvenendo per le aatre navi quarantena giunte in Sicilia per alleggerire la pressione sui centri di accoglienza.
Tampone farsa sui migranti, la verità sui test del ministero. In Abruzzo sono 5 i migranti trovati positivi al coronavirus tra i 42 trasferiti nei giorni scorsi da Lampedusa: dal ministero dell'Interno erano giunte rassicurazioni sulla loro salute, l'ira del presidente della giunta regionale abruzzese e di Giorgia Meloni. Mauro Indelicato, Martedì 08/09/2020 su Il Giornale. Esplode la polemica in Abruzzo dopo la notizia relativa a 5 migranti trovati positivi a Vasto, in provincia di Chieti. Qui all'interno dell'hotel Continental erano stati trasferiti alcuni degli ultimi sbarcati a Lampedusa nei giorni scorsi. Secondo quanto fatto sapere dalla Regione Abruzzo nelle scorse ore, dal Viminale era arrivata rassicurazione che tutti i migranti fossero negativi al coronavirus. I controlli infatti erano stati fatti a Lampedusa, così come da protocollo. Nonostante la comunicazione da parte del ministero dell'Interno, le autorità abruzzesi hanno comunque voluto effettuare un nuovo tampone su ognuno dei migranti, in tutto 42, che sono stati mandati in provincia di Chieti. Ed è in questo frangente che è uscita fuori la poco gradita sorpresa: cinque tamponi hanno dato un esito diverso rispetto a quello comunicato alle autorità sanitarie della Regione Abruzzo. “La nostra attenzione massima dedicata alla tutela della salute – ha commentato a caldo il presidente della giunta regionale abruzzese, Marco Marsilio – ha portato a effettuare i tamponi ai 42 migranti arrivati da Lampedusa e ospitati all'hotel Continental di Vasto. Il risultato emerso ha evidenziato che 5 migranti sono positivi e un tampone dovrà invece essere effettuato nuovamente perché dubbio”. Da qui il dito puntato da parte di Marsilio nei confronti di chi doveva vigilare e non l'ha fatto: “Rimane lo sconcerto – ha infatti dichiarato il presidente dell'Abruzzo, con riferimento all'opera del Viminale – per la leggerezza con cui queste persone vengono fatte viaggiare attraverso le regioni italiane dopo controlli che non sempre sono veritieri”.
I precedenti. Del resto, dopo quanto accaduto a luglio in altri episodi simili molte regioni del sud e del centro Italia che ricevono migranti trasferiti da Lampedusa applicano una certa prudenza prima di considerare realmente negative le persone ricevute. Il 21 luglio scorso ad esempio, in Basilicata sono stati scoperti 36 migranti positivi tra coloro che erano sbarcati pochi giorni prima a Lampedusa. E anche in quel caso c'erano state rassicurazioni sul fatto che non c'erano rischi relativi a possibili contagi da coronavirus.
Più volte gli amministratori locali hanno evidenziato la necessità di effettuare controlli più accurati prima di procedere con i trasferimenti dalla Sicilia. Appelli rivolti in primis al ministero dell'Interno. I controlli sanitari e i tamponi vengono sì fatti dalle autorità sanitarie siciliane, ma la decisione di trasferire i migranti da una località a un'altra è presa esclusivamente dal Viminale. E a volte è già capitato che, dopo un primo tampone risultato negativo a Lampedusa, successivamente quando già i migranti sono risaliti lungo lo stivale a un secondo controllo l'esito è contrario. Questo perché non sempre i controlli possono risultare affidabili oppure perché, molto più semplicemente, il virus è possibile che si sviluppi soltanto alcuni giorni dopo un primo tampone. Le affermazioni di Marsilio vanno dunque in questa direzione, nel chiedere cioè maggiore cautela da parte del ministero dell'Interno ed evitare situazioni come quella scoperta nelle scorse ore a Vasto. Intanto le autorità abruzzesi hanno specificato che tutti i migranti positivi sono stati isolati, nel rispetto del protocollo di sicurezza.
La reazione di Giorgia Meloni. Sulla questione emersa in Abruzzo si registra anche un intervento della leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni: “Sconcertante la denuncia del governatore dell’Abruzzo, Marco Marsilio, di Fratelli d'Italia – si legge sul profilo social della deputata – il Ministero dell’Interno aveva assicurato che sui 42 immigrati sbarcati a Lampedusa e mandati in un albergo di Vasto erano stati fatti i tamponi e che erano risultati negativi al Covid-19. Falso: dopo un secondo tampone, 5 immigrati sono risultati positivi”.
“La sinistra insegue gli italiani con i droni – ha concluso Giorgia Meloni – impone regole severissime anti-contagio agli italiani e poi lascia girare indisturbata per l’Italia gente venuta da chissà dove e senza assicurarsi che non rappresentino un rischio per la salute. Un governo di irresponsabili: i veri negazionisti del virus”.
Una flotta intera per contagiati. L'esercito dei migranti positivi. La sesta nave quarantena è arrivo per ospitare i migranti e trasbordarli dagli hotspot alle imbarcazioni e sono già oltre 500 i casi di positività a bordo nei traghetti già dispiegati nei porti siciliani. Francesca Galici, Martedì 08/09/2020 su Il Giornale. L'hotspot di Lampedusa è quasi vuoto e l'emergenza sull'isola sembra sia passata. Stanotte nella struttura di accoglienza c'erano circa 170 migranti, rispetto ai più di mille che erano lì ospitati fino a pochi giorni fa in condizioni disumane. Sono stati tutti imbarcati a bordo delle navi quarantena, i cinque traghetti che da ormai diverse settimane navigano lungo le coste siciliane per portare a bordo gli stranieri sbarcati in autonomia, o con le ong, lungo le coste e nei porti della Sicilia. E pare che sia in arrivo una sesta nave nei prossimi giorni per affrontare nuove emergenze.
Le navi quarantena non bastano, migranti ammassati nell'hotspot. A lanciare la bomba è Quarta Repubblica, il programma di Rete4 condotto da Nicola Porro, durante un collegamento da Lampedusa per aggiornare sulle condizioni dell'isola, anche alla luce delle proteste che nei giorni scorsi hanno animato i lampedusani, ormai stanchi di subire una moderna invasione. A preoccupare maggiormente i cittadini è l'emergenza sanitaria in corso, il rischio dell'esplosione di grandi focolai e di una propagazione dei contagi in un'isola così piccola. "La situazione è quasi risolta. Qui rimangono 172 persone. Le condizioni del mare hanno un po' rallentato le procedure dell'imbarco sulle due navi quarantena. Il timore è che l'hotspot possa riempirsi di nuovo e tornare nelle condizioni che abbiamo visto nelle scorse settimane. L'indiscrezione che abbiamo raccolto qui da una fonte autorevole del Viminale è che arriverà una ulteriore nave a Lampedusa, oltre alle cinque già impiegate, proprio per affrontare i futuri sbarchi", riferisce la giornalista in collegamento. Le navi quarantena costano allo Stato circa 50mila euro al giorno ciascuna, quindi più o meno 1,5/2 milioni di euro al mese ognuna: uno sproposito rispetto a quanto costerebbe gestire i migranti nei centri sul territorio. Questo, però, pare sia il costo necessario da affrontare per garantire la sicurezza del Paese in emergenza sanitaria, viste le continue fughe dei migranti dagli hotospot, non solo di quelli in quarantena preventiva ma anche di quelli positivi al Covid. Questa è stata la spiegazione del ministro Luciana Lamorgese, che proprio in riferimento all'esorbitante spesa di gestione ha dichiarato che "ci saranno dei costi ovviamente, costi che ci sarebbero stati egualmente, anche se in misura minore, se la quarantena fosse stata sul territorio, ma certamente con una garanzia maggiore e con maggiore sicurezza". Il quotidiano La Verità è voluto andare a fondo nella questione sicurezza e riferisce che "sulle 5 navi usate dallo Stato italiano per tali compiti sono già stipati 537 migranti positivi, che si trovano fatalmente a stretto contatto con altri non infetti". Entrando nello specifico, ci sarebbero 63 migranti positivi su 338 imbarcati a bordo dell'Aurelia a Trapani. 157 su 770 sono, invece, i contagiati della nave Azzurra, attualmente in rada ad Augusta. A bordo della Allegra, che si trova a Palermo, sono presenti 798 stranieri e di questi i positivi sono 264. A Lampedusa è arrivata la Rhapsody e sono stati imbarcati 113 migranti, di cui sono positivi quasi la metà, ovvero 53, per un totale complessivo di 814 ospiti che ora faranno rotta per Palermo. 500 migranti di Lampedusa sono stati, poi, trasferiti sulla Snav Adriatico e attualmente non sono stati resi noti i dettagli sulle positività a bordo. La gestione dei migranti di Lampedusa pare che avverrà adesso in maniera diversa: gli sranieri che sbarcheranno sull'isola saranno accompagnati all'hotspot solo per i controlli sanitari, per venire poi imbarcati sulle due navi che stazioneranno nell'isola. Tutto questo al costo di circa 9milioni di euro.
Migranti positivi, ecco il "trucco" che nasconde i veri numeri. C’è un "trucco" nella conta dei migranti positivi. E così la percentuale dei contagiati sbarcati in Italia viene sottostimata. Alberto Giorgi, Martedì 25/08/2020 su Il Giornale. Quella siciliana è un’estate caldissima. Clima a parte, l’isola più a sud d’Italia è in ginocchio, travolta dall’immigrazione senza controllo, che va ad acuire le problematiche sanitarie dovute alla pandemia di Sars-Cov-2. Nelle ultime settimana sulle coste siciliane sono continuati a sbarcare centinaia di migranti, molti dei quali, peraltro, positivi al coronavirus. Diamo due numeri. Solamente nella giornata di ieri in Sicilia si sono registrati sessantacinque nuovi casi. Ecco, cinquantotto dei sessantacinque nuovi positivi sono immigrati arrivati a Lampedusa. Insomma, il 90% dei nuovi contagiati è rappresentato da migranti da poco sbarcati sul territorio italiano. La cosa ulteriormente grave è un’altra: assai probabilmente, i migranti positivi al Covid-19 sono ancora di più, dal momento che si sono verificati (e continuano a esserci) diversi sbarchi "fantasma" di decine di persone che riescono così a sfuggire a qualsiasi controllo, facendo perdere immediatamente le proprie tracce. Non solo. Le nostre istituzioni, impegnate ad aggiornare quotidianamente la conta dei contagi nel Belpaese – ieri i positivi sono arrivati a quota 953 –, classificano tra i casi positivi dovuti agli sbarchi solamente quelle persone che effettuano l’esame del tampone appena sbarcati. Come detto, un buon numero di immigrati riesce a sviare ai controlli e quindi, anche se positivi al coronavirus, sparisce nel nulla e, ovviamente, non va ad aggiungersi al numero (già) alto dei contagi. Insomma, la percentuale dei positivi da sbarco viene decisamente sottostimata. E lo è anche per un’altra ragione spiegata da La Verità, che è la seguente: se un immigrato, appena messo piede sul territorio italiano, viene trovato positivo al Sars-Cov-2, non viene classificato come "positivo da sbarco", bensì come "straniero residente o arrivato recentemente". E così, come per magia, sparisce dalla percentuale dei positivi da sbarco. Ecco spiegato il "trucchetto" delle nostre autorità che va a nascondere i veri numeri. Siamo dunque al paradosso: un migrante appena sbarcato in un porto della Sicilia, se risulta positivo, non viene fatto rientrare nella percentuale dei contagi da sbarco, ma come "straniero residente o in transito". E pensare che appena una manciata di giorni fa il presidente del Consiglio superiore di sanità – nonché membro del Comitato tecnico scientifico che da mesi sta coadiuvando il governo nella gestione della crisi sanitaria – assicurava una realtà ben diversa. Franco Locatelli, infatti, sosteneva: "A seconda delle Regioni, il 25-40% dei casi sono stati importati da nostri concittadini tornati dalle vacanze o da stranieri residenti in Italia. Il contributo dei migranti, intesi come disperati che fuggono, è minimale, non oltre il 3-5% è positivo e una parte si infetta nei centri di accoglienza dove è più difficile mantenere le misure sanitarie adeguate". Il contributo alla conta dei contagi dei migranti, in realtà, così "minimale" non è.
Migranti, governo impugnerà l'ordinanza di Musumeci. Il governatore diffida i prefetti: "Applicatela". Il governatore aveva disposto lo sgombero di hotspot e centri di accoglienza dei migranti dell'isola: "Sia data rapida esecuzione al provvedimento". La Repubblica il 25 agosto 2020. Il governo impugnerà in tempi rapidi l'ordinanza con la quale il presidente della Sicilia, Nello Musumeci, aveva disposto lo sgombero di hotspot e centri di accoglienza dei migranti dell'isola. E' quanto si apprende da fonti dell'esecutivo. La decisione e" stata presa dopo un attento esame di tutti gli atti e le norme dell'ordinamento. Ma il governatore siciliano non si arrende e ha inviatoin serata una nota di diffida alle autorità competenti (le Prefetture) per l'esecuzione della propria ordinanza emanata lo scorso 22 agosto su hotspot e centri di accoglienza per migranti. Nel documento, il governatore richiede, tra le altre misure, di illustrare il crono-programma del progressivo svuotamento degli hotspot per le gravi ragioni di promiscuità e assembramento in cui sono costretti gli ospiti. "Qualora ciò non fosse stato già predisposto (come avvenuto stamane per il trasferimento dei migranti risultati positivi al Coronavirus, contagiatisi tra loro, nella struttura di Pozzallo), nella piena vigenza della ordinanza", il presidente Musumeci ha chiesto "di dare rapida esecuzione al provvedimento, tenuto conto altresì dell'enorme numero di migranti attualmente presenti senza alcun distanziamento e pregiudizio della loro salute, nell'hotspot di Lampedusa".
Il governo si affida al Tar per fermare Musumeci. Ma il giurista: ha ragione. L'esperto: ordinanza valida. Lamorgese: "Via 800 migranti dagli hotspot siciliani". Giuseppe Marino, Giovedì 27/08/2020 su Il Giornale. C'è lo scontro verbale, con il ministro Lamorgese che replica a Salvini («ha superato ogni limite») c'è quello a colpi di cavilli che da ieri è ufficiale. E c'è il dramma della situazione sul campo, che per gli hotspot siciliani è pessima. La nave quarantena «Azzurra» ieri è attraccata a Lampedusa per far salire a bordo 200 migranti, tra cui i 70 contagiati e Lamorgese parla di 800 trasferimenti in tutto in vista, mentre era trapelata la notizia di una gara per nuove navi quarantena. Ma nell'isola di frontiera per ora restano altri mille migranti. E dei 33 nuovi contagiati scoperti ieri in Sicilia, tre sono nell'hotspot lampedusano. E sempre ieri è arrivata la denuncia dell'Usip: «Il personale dell'XI Reparto Mobile di Palermo, ha registrato il primo caso di positività tra gli operatori provenienti da Lampedusa». È la conferma della difficoltà di gestire un centro con un numero di ospiti quadruplo della capienza massima. E l'accelerazione dei trasferimenti conferma quantomeno la valenza politica dello strappo del governatore siciliano con l'ordinanza che ordina di svuotare gli hotspot. Ieri è arrivato anche il ricorso del Viminale Tar della Sicilia contro l'ordinanza per l'invasione di competenza e «perché avrebbe effetti su altre regioni».Passo indispensabile per impedire che la mossa di Musumeci dispieghi i suoi effetti. Perché, nonostante il ministero avesse liquidato come «nulla» l'ordinanza, la questione giuridica è ben più complessa. Ne è convinto Claudio Zucchelli, attuale presidente dell'equivalente siciliano del Consiglio di Stato ed ex direttore per dieci anni del Dagl, il dipartimento affari giuridici e legislativi di Palazzo Chigi. Il giurista ha messo on line un parere che liquida l'argomento della «nullità» dell'ordinanza: «È errato, oltre che scorretto, - scrive Zucchelli - sostenere che non ha alcun valore, essa ha forza e valore di provvedimento amministrativo». Se ne desume che «fino a quando il giudice amministrativo non lo annulli o sospenda gli effetti, è esecutivo ed esecutorio». Ed ecco perché il Viminale, che pure aveva subito tentato il dialogo, è stato costretto al ricorso. «Che -dice Musumeci- non ci fermerà». Secondo Zucchelli del resto, l'ordinanza non solo è legittima perché su materia sanitaria, ma il governatore ha anche il potere di farla applicare, in forza dell'articolo 31 dello Statuto della Sicilia (regione autonoma), secondo cui «al mantenimento dell'ordine pubblico provvede il Presidente della Regione a mezzo della polizia di Stato, la quale nella Regione dipende disciplinarmente, per l'impiego e l'utilizzazione, dal governo regionale». E infatti sono in grave imbarazzo i prefetti dell'isola che si trovano a operare nel pieno di un conflitto tra poteri. Ieri i presidenti dei sindacati dei prefetti, Sinpref e Associazione prefettizi, hanno diramato una nota per esprimere «stupore» per la minaccia di Musumeci di denunciare chi non adempirà all'ordinanza. I prefetti, dicono i presidenti Antonio Giannelli e Antonio Corona, «nonostante le tante carenze in termini di risorse umane», continuano a operare, ma chiedono «che si definisca con chiarezza chi deve fare cosa». Un conflitto istituzionale in piena regola. Di fronte al quale il premier Conte continua a lasciare sola il ministro Luciana Lamorgese. Un silenzio talmente assordante da far sospettare addirittura una delegittimazione politica, visto che la poltrona di Lamorgese fa gola a molti. Anche nel Pd.
Migranti in Sicilia, il governo ha impugnato l'ordinanza di Musumeci. Pubblicato mercoledì, 26 agosto 2020 da La Repubblica.it. Il Governo ha impugnato l'ordinanza del presidente della Sicilia Nello Musumeci che prevede la chiusura degli hotspot e dei centri di accoglienza per migranti presenti sull'isola. Il ricorso sarebbe già stato notificato alla controparte e ne è in corso il deposito presso il Tar della Sicilia. Alla base dell'impugnazione la considerazione che la gestione del fenomeno migratorio è competenza dello Stato, non delle Regioni. Ma il presidente Musumeci difende il suo provvedimento. "Il Governo centrale vuole riaffermare la sua competenza sui migranti. Mi verrebbe da dire: bene, la eserciti pure e intervenga come non ha fatto in questi mesi - dice il governatore - La Sicilia difenderà la propria decisione davanti al giudice amministrativo. Ma nessuno pensi che un ricorso possa fermare la nostra doverosa azione di tutela sanitaria. Compete a noi e non ad altri. E su questa strada proseguiremo". In precedenza erano stati prefetti a criticare l'iniziativa del governatore siciliano: "Suscita stupore l'iniziativa del Presidente della Regione Sicilia, stando a notizie di stampa, di sollecitare le prefetture di quel territorio - pena il possibile deferimento alla Autorità giudiziaria - a dare tempestiva esecuzione alla ordinanza con la quale ha disposto la chiusura di hot-spot e centri di accoglienza migranti". Lo scrivono in una nota i sindacati dei prefetti, Sinpref e Ap, i quali, "senza entrare minimamente nel merito della questione", ricordano che "tali strutture sono operative per l'accoglienza di persone su specifiche disposizioni del Viminale, con il quale solamente vanno pertanto affrontati e risolti possibili motivi di confronto". "Quanto sta accadendo in queste ore - prosegue la nota - con ordinanze, di Presidenti di Regione e Sindaci, contrastanti con direttive e circolari ministeriali, sta ancor maggiormente agitando un quadro normativo complesso in tema di gestione dell'accoglienza degli immigrati, resa oltremodo difficile dalle altrettanto delicate procedure per prevenire la diffusione del Covid. Da sempre i prefetti, come ampiamente dimostrato lavorando in silenzio e sul campo anche in occasione dell'emergenza prodotta dell'epidemia in atto, garantiscono l'unità della Repubblica, raccordando la rete istituzionale a livello territoriale. Per questo, nello spirito di servizio che ne connota ruolo e stile operativo, essi continueranno ad assicurare l'operatività necessaria a superare il delicato momento che il Paese sta vivendo, nonostante le tante carenze in termini di risorse umane che restano da colmare con urgenza". "In questo contesto - conclude il comunicato dei sindacati dei prefetti - attendono che si definisca con chiarezza chi deve fare cosa, così da evitare, ora e come anche nel recente passato, di 'pagare' con avvisi di garanzia o con inviti a dedurre del Giudice contabile, l'operare per trovare, direttamente sul campo, soluzioni concrete a situazioni emergenziali o di non prevedibile sopravvenienza. Quest'estate i migranti trasferiti dalla Sicilia in altre regioni sono già più di 4 mila. E' quanto si apprende da fonti del Viminale, secondo cui tra oggi e domani saranno 850 i migranti imbarcati a Lampedusa sulle due navi quarantena "Aurelia" e "Azzurra". Nel frattempo è in corso di predisposizione il bando per il noleggio di altre navi.
ANTONIO FRASCHILLA per palermo.repubblica.it il 27 agosto 2020. Il Tar di Palermo accoglie la richiesta di sospensione dell'ordinanza del governatore siciliano Nello Musumeci in tema di immigrazione. Richiesta del governo Conte che ha fatto ricorso contro l'atto firmato dal governatore siciliano che prevedeva la chiusura immediata degli hotspot e dei porti dell'Isola per un presunto rischio sanitario legato all'emergenza Covid e alla presenza dei migranti. Il Tar entra subito nel merito, anche nella sospensiva, bocciando l'ordinanza del presidente della Regione nelle sue fondamenta. Scrive il Tar nel decreto di sospensione: "Le misure adottate con l’impugnato provvedimento sembrano esorbitare dall'ambito dei poteri attribuiti alle regioni, laddove, sebbene disposte con la dichiarata finalità di tutela della salute in conseguenza del dilagare dell’epidemia da Covid-19 sul territorio regionale, involvono e impattano in modo decisivo sull’organizzazione e la gestione del fenomeno migratorio nel territorio italiano, che rientra pacificamente nell’ambito della competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, co. 2, lett. b), della Cost, e, peraltro, sono certamente idonee a produrre effetti rilevanti anche nelle altre regioni e, quindi, sull’intero territorio nazionale, nel quale dovrebbero essere trasferiti, nell’arco delle 48 ore decorrenti dalla pubblicazione dell’ordinanza, i migranti allo stato ospitati negli hotspot e nei centri di accoglienza insistenti sul territorio regionale, Inoltre la disposta chiusura dei porti all’accesso dei natanti di qualsiasi natura trasportanti migranti sembra esorbitare parimenti dalla competenza regionale". La presidente del Tar Sicilia Maria Cristina Quiligotti, che firma il decreto di sospensione, interviene anche sulla chiusura dei porti ai migranti disposta da Musumeci con il suo atto: "La disposta chiusura dei porti all’accesso dei natanti di qualsiasi natura trasportanti migranti sembra esorbitare parimenti dalla competenza regionale". Secondo il Tar Musumeci nella sua ordinanza non dà alcuna sostanza alla presunta emergenza sanitaria: "In definitiva, l'esistenza di un concreto aggravamento del rischio sanitario legato alla diffusione del Covid-19 tra la popolazione locale, quale conseguenza del fenomeno migratorio, che, con il provvedimento impugnato, tra l’altro, si intende regolare, appare meramente enunciata, senza che risulti essere sorretta da un’adeguata e rigorosa istruttoria, emergente dalla motivazione del provvedimento stesso e altrettanto sembra potersi affermare anche in relazione alla diffusione del contagio all’interno delle strutture interessate; considerato che, pertanto, per le valutazioni tutte sopra esposte, sussistono i presupposti per l’adozione del richiesto decreto cautelare monocratico con conseguente sospensione dell’esecutività degli effetti dell’impugnato provvedimento fino alla prossima udienza del 17.9.2020, che si fissa fin da ora, ai fini della trattazione collegiale della predetta istanza cautelare". Musumeci contesta la decisione del Tar: "Quella adottata dal magistrato del Tar di Palermo è una decisione cautelare che non condividiamo e che è stata assunta senza neppure ascoltare la Regione, come può essere concesso a richiesta della parte e come noi abbiamo formalmente chiesto, non avendo potuto depositare le nostre difese - dice - tuttavia se in pochi giorni sono stati trasferiti oltre 800 migranti è la dimostrazione che serve denunciare il problema ad alta voce. Sulla nostra competenza in materia sanitaria non faremo un solo passo indietro".
Primo round per Musumeci: i migranti lasciano Lampedusa. Guerra sui migranti, Musumeci ancora all’attacco. 850 migranti salperanno da Lampedusa attraverso due navi quarantena. Svuotato anche l'hotspot di Messina. Maurizio Zoppi, Giovedì 27/08/2020 su Il Giornale. Il pugno duro del governatore Nello Musumeci all'esecutivo romano inizia a dare i suoi frutti. L'emergenza di Lampedusa in merito agli oltre mille migranti presenti nell'hotspot in Cotrada Imbriacola si riduce nettamente. In giornata lasceranno 850 nord africani l'isola siciliana. I migranti saranno imbarcati sulle navi Azzurra e Aurelia, dotate di apposite zone rosse per isolare quelli positivi al covid. Dall'inizio dell'estate i migranti arrivati in Sicilia sono più di settemila. La seconda nave disposta dal ministro dell'Interno per la quarantena dei migranti è arrivata a Lampedusa questa mattina. Dopo giorni di maestrale la Azzurra ha già attraccato al porto di Lampedusa per operare il trasbordo di circa 700 migranti.
È già conclusa invece l'operazione di trasbordo dal centro migranti di circa 273 persone a bordo della nave Aurelia. Con questi due interventi si ridurrà sensibilmente la presenza dei migranti nell'isola e il rischio della diffusione del covid-19 a causa di numerosi positivi tra i clandestini. Nel frattempo è stato depositato nella serata di ieri (26 agosto ndr) al Tribunale amministrativo regionale della Sicilia il ricorso del governo nazionale contro l’ordinanza del presidente della Regione Nello Musumeci che prevede la chiusura degli hotspot e dei centri di accoglienza per migranti presenti sull’isola. II governo, giocando di astuzia, ha scelto non la strada dell’impugnativa Costituzionale ma quella del ricorso amministrativo. Una ‘genialata’ giuridica che permette all’esecutivo di non convocare il Consiglio dei Ministri e procedere con la firma congiunta del premier Giuseppe Conte e del Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese. Ma la Sicilia resisterà contro il ricorso e lo farà sostenendo che lo Stato sbaglia nell’imputazione di competenza. “In queste ore tantissimi intellettuali e giuristi di ogni area mi stanno esprimendo il loro sostegno. E si fa strada – scrive Musumeci – sempre più la consapevolezza che il diritto alla salute e la dignità della persona non possono essere negoziabili”. Musumeci ha puntato il dito all'esecutivo romano anche sul fronte sociale e politico “Irazzisti veri sono quelli che fanno finta di nulla davanti a tragedie, quelli del business dell’immigrazione e dell’accoglienza. Noi abbiamo sempre detto NO ai mercanti di uomini che solo una politica seria può bloccare. Mi conforta, tra tante inutili polemiche, il sentimento di condivisione del popolo siciliano e di tanti da ogni parte d’Italia. La nostra è una battaglia di civiltà. Che non si fermerà”. ha concluso il governatore Musumeci. Anche il sindaco Cateno De Luca ha vinto la sua battaglia cittadina in merito al centro migranti della caserma Gasparro di Bisconte. Stando alle parole del primo cittadino il Cas dello Stretto oggi chiuderà battenti a seguito del trasporto in altre località dei migranti. De Luca più volte a manifestato attraverso i social, oppure interviste giornalistiche il suo consenso ad uno scontro istituzionale con Roma. “Quando si è davanti ad una struttura colabrodo cos’altro deve fare un sindaco per dare anche un segnale forte alla sua comunità? Continuare a prendere schiaffi, continuare a subire questa logica del pisciatoio siciliano? È ovvio che in queste situazioni, quando viene meno l’impegno istituzionale attraverso i Prefetti allo è scontro. E scontro sia. Non ordinanze manifesto che servono solo a prendere qualche like su facebook”. Ha affermato il primo cittadino.
Dove andranno i migranti? Numerosi sono i politici del centrodestra che vorrebbero sapere con assoluta certezza dove verranno trasferiti i migranti che salperanno dai centri migranti siciliani alla volta di altre destinazioni. Uno di questi è il segretario della Lega Lombarda Paolo Grimoldi che attraverso una nota afferma: "Una semplice domanda al ministro Lamorgese: gli 850 clandestini che oggi lasciano Lampedusa dove andranno a finire? Andrebbero rimpatriati in Tunisia e smistati tra i Paesi UE ma dato che non accadrà supponiamo che verranno ripartiti tra le Regioni con i soliti criteri basati sul numero di abitanti, è così? Per cui in Lombardia ne toccherebbero il 14% ovvero circa 150? Pretendiamo trasparenza dal governo e un’assunzione di responsabilità pubblica: se intendono inviare altre centinaia di clandestini in Lombardia devono dirlo in modo che i cittadini lo sappiano".
Roberto Calderoli e il cavillo con cui Nello Musumeci può vincere su Conte e Lamorgese: "Ora c'è l'articolo 31". Libero Quotidiano il 28 agosto 2020. Roberto Calderoli ha un'arma segreta. La mente eccelsa della Lega non si demoralizza dopo la sospensione da parte del Tar dell'ordinanza di Nello Musumeci sulla chiusura degli hotspot e dei centri di accoglienza. "A mio avviso - spiega in un post su Facebook - resta la validità amministrativa del provvedimento che riguarda la tutela della salute dei cittadini siciliani, e dei turisti in transito in Sicilia, e non le politiche migratorie". Ma non è tutto, perché il senatore del Carroccio verga un consiglio preziosissimo al governatore della Regione Sicilia: "A questo punto - prosegue - se io fossi in lui utilizzerei l’articolo 31 dello statuto della Regione Siciliana che prevede testualmente che: ‘Al mantenimento dell'ordine pubblico provvede il Presidente della Regione a mezzo della polizia dello Stato, la quale nella Regione dipende disciplinarmente, per l'impiego e l'utilizzazione, dal Governo regionale. Il Presidente della Regione può chiedere l'impiego delle forze armate dello Stato'". Insomma, statuto alla mano il responsabile dell’ordine pubblico in Sicilia è il presidente regionale, "che può delegare questa competenza al Governo centrale (testualmente: Il Governo dello Stato potrà assumere la direzione dei servizi di pubblica sicurezza, a richiesta del Governo regionale): una possibilità, non un obbligo". Un vero e proprio schiaffo a Luciana Lamorgese e Giuseppe Conte che, fin da subito, si sono dichiarati contrari alla decisione. E a questo punto, nel braccio di ferro tra Stato e Regione, che vinca il migliore.
Immigrazione, la denuncia della Lega dalla Sardegna: "Algerini sbarcano tra i turisti" per poi dileguarsi nel nulla. Libero Quotidiano il 28 agosto 2020. Altro video-denuncia della Lega. Nella pagina Twitter del Carroccio si vede nuovamente un filmato a dir poco sconcertante che mostra quanto l'Italia sia ormai allo sbando. Il motivo? Anche nella giornata di giovedì 27 agosto un gruppo di algerini è sbarcato come nulla fosse tra i turisti. È accaduto in Sardegna, nella spiaggia di Tuerredda. Qui un gruppetto di clandestini lascia a bordo della piccola imbarcazione qualche vestito per poi dileguarsi nel nulla. Un rischio che ora come ora il Paese non può permettersi, quello degli sbarchi incontrollati, visto e considerata l'emergenza coronavirus. Eppure al governo poco importa e lo ha dimostrato con il "no" all'ordinanza del governatore della Sicilia, Nello Musumeci, sulla chiusura degli hotspot e dei centri di accoglienza al collasso.
Il bollettino shock della Sicilia: "65 nuovi casi, 58 migranti". I dati sul Covid parlano chiaro: il 90% dei nuovi contagiati si conta tra i migranti. Musumeci attacca: "Avanti con ordinanza". Ignazio Stagno, Lunedì 24/08/2020 su Il Giornale. In Sicilia la situazione sul fronte della gestione dell'immigrazione è sempre più fuori controllo. I casi di contagio tra i migranti aumentano e l'isola deve fare i conti con una bomba Covid da non sottovalutare. E a preoccupare (e non poco) l'amministrazione regionale è il bollettino di oggi. I numeri parlano chiaro: su 65 nuovi casi, 58 sono migranti. Un dato che arriva proprio nella giornata in cui si è acceso ancora di più lo scontro tra la stessa Regione e il Viminale. Sul campo infatti resta l'ordinanza del governatore, Nello Musumeci, che prevede lo sgombero degli hotspot a partire dalla mezzanotte. L'ordinanza è stata liquidata dal Viminale come una atto dal poco valore giuridico. Ma su questo fronte lo stesso Musumeci ha annunciato battaglia: "Nelle sedi opportune e davanti la magistratura ognuno farà valere le proprie ragioni. Se la mia ordinanza entro mezzanotte non verrà rispettata ci troveremo di fronte un atto grave di omissioni contro cui andrò a procedere. Il mio unico compito è quello di gestire l’emergenza Covid. Sul piano politico ho già parlato con la ministra Lamorgese diverse volte, ho chiesto di intervenire, ho chiesto la nave in rada per i positivi, ho chiesto un ponte aereo, lo stato d’emergenza per Lampedusa; non si può pensare che la nostra sia una terra in cui gestire un fenomeno che viene gestito male. Si faccia quel che si deve fare, si chiudano questo obbrobriosi centri, si dia dignità a questi migranti". Parole che lasciano intuire come possa essere duro lo scontro che si profila all'orizzonte tra la Regione e il governo. Uno scontro che va avanti ormai da giorni. La regione Sicilia intanto ha già fatto un passo avanti. Con una circolare l'assessorato alla Sanità ha chiesto alle Aziende sanitarie provinciali e alla prefetture "una celere ricognizione e puntuale indicazione del numero dei soggetti migranti, attualmente ospitati all'interno dei centri di accoglienza/hotspot insistenti sulla provincia di pertinenza, o altro genere di strutture eventualmente interessate dalle disposizioni dell’ordinanza regionale". Insomma la Sicilia si prepara a dar seguito nei fatti all'atto varato dal governatore. E proprio su questo fronte, lo stesso Musumeci ha rincarato la dose a Stasera Italia su Rete 4: "A mezzanotte scade il termine della mia ordinanza, cosa accadrà? Se lo Stato dovesse dirmi 48 ore non bastano e chiede una settimana va benissimo. Ma io non posso far finta di niente. Dopo la mezzanotte ci penseranno le prefetture ad eseguire la mia ordinanza, come hanno fatto con le due precedenti ordinanze, ci penseranno le prefetture attivando le forze dell’ordine - ha spiegato Musumeci - se ricevessero una telefonatina da Roma per dire: non eseguire l’ordinanza di Musumeci, saremo difronte a una vera e propria omissione d’atti d’ufficio. E non resterebbe che rivolgermi alla magistratura, a meno chè entro mezzanotte il Governo non voglia impugnare la mia ordinanza e a quel punto andremo davanti alla magistratura amministrativa e ognuno farà valere le proprie ragioni. Io credo di stare solo compiendo il mio dovere come soggetto attuatore per l’emergenza Covid 19, niente di più, anzi mi scandalizza che nessuno lo abbia sottolineato prima". Il dato del bollettino di oggi però alza ancora di più l'asticella della tensione. E questa volta il Viminale non potrà ignorare la realtà cruda dei numeri.
Esplode il coronavirus tra i migranti accolti. L'isola in ginocchio tra lager e navi-lazzaretto. Trasferiti 62 positivi da Pozzallo a bordo della Azzurra al largo di Trapani. Chiara Giannini, Mercoledì 26/08/2020 su Il Giornale. Il presidente della Regione Siciliana ha già attivato le procedure per mettere in atto l'ordinanza che svuoterà la sua regione dai migranti. Tanto che ieri nei centri siciliani hanno iniziato ad arrivare le task force volte a verificare le condizioni di salute degli ospiti. «Da stamattina - ha scritto ieri il governatore sui social - , a quanto apprendo, si è iniziato a svuotare l'hotspot di Pozzallo, dove alle 11 arriverà il nostro team per esaminare l'idoneità dei locali. I ricorsi notificati a mezzo stampa non producono effetti. Ma alzare la voce, a tutela della salute pubblica, evidentemente sì. Vedremo se in qualche giorno si ristabilirà la legalità. Vi tengo aggiornati!». Il fatto è che quella di Musumeci è una corsa contro il tempo, anche perché il Covid si sta diffondendo a macchia d'olio tra i migranti. Ieri su 162 ospiti dell'hotspot di Pozzallo 62 sono risultati positivi al Covid. Un pullman della Croce Rossa Italiana li ha quindi caricati per trasportarli a Trapani, dove sono stati imbarcati sulla «Azzurra», la nave quarantena messa a disposizione del governo insieme alla «Aurelia», inizialmente per far trascorrere i 14 giorni di vigilanza sanitaria agli immigrati, ma adesso con funzioni simili a quelle avute anche dalla Moby Zazà, ovvero di vera e propria «nave di contenimento» del contagio da Covid-19. Una sorta di lazzaretto. Il sindaco di Pozzallo, Roberto Ammatuna ha chiarito: «È il frutto di una collaborazione quotidiana, continua e riservata con il ministero dell'Interno e con la prefettura di Ragusa che testimonia come soltanto la sinergia istituzionale può portare a risultati celeri». Anziché fare un plauso a Musumeci, che usa il pugno duro per liberare la sua terra dai malati di Covid, Ammatuna ringrazia «il ministero dell'Interno, la prefettura di Ragusa e quanti si sono spesi per raggiungere» il risultato. «Purtuttavia - prosegue -, tutto ciò non significa che non esistano problemi nella gestione dei flussi migratori e ribadisco la necessità che il presidente Conte dia la massima priorità alla questione, coinvolgendo il governo nella sua interezza». E stranamente una presa di posizione c'è anche dal parte del sindaco di Lampedusa Totò Martello, che fino a pochi giorni fa sembrava aver scelto la via dell'accoglienza, simboleggiata sulla sua isola dalla «porta d'Europa». «L'ordinanza di Musumeci - ha detto - vuole svegliare un governo assente. Però se noi chiudiamo l'hotspot, quando ci saranno gli arrivi spontanei dove andranno i migranti? Salvini, che è entrato in un hotspot senza mascherina e quindi dovrebbe fare un po' di quarantena, ha detto una falsità dicendo che i migranti infetti girano nell'isola, non è vero assolutamente. Questo racconto, falso, ha dato il colpo di grazia al turismo». Peccato che Martello neghi la realtà in maniera plateale, visto che dei migranti che fuggono dall'hotspot e girano sull'isola c'è ampia documentazione giornalistica.
Da liberoquotidiano.it il 24 agosto 2020. Per criticare Nello Musumeci, l'ineffabile Gad Lerner non trova di meglio che dargli del fascista. Il tema è l'emergenza migranti e il braccio di ferro tra il governatore di centrodestra della Sicilia, che ha imposto lo sgombero degli hotspot e dei centri accoglienza per motivi sanitari, visto che stanno letteralmente esplodendo, e il Viminale che invece avoca a sé la decisione se trasferire o meno i migranti, e così facendo di fatto congela la situazione. "Una volta, se non altro, Nello Musumeci aveva il coraggio di proclamarsi fascista - scrive Lerner su Twitter, da qualche mese migrato da Repubblica al Fatto quotidiano -, Ora invece pubblica ordinanza fasulla per addossare ai migranti il contagio Covid19 e chiedere al governo di respingerli in mezzo al mare. Cioè di agire da fascista quale lui continua a essere". Risposta a stretto giro di posta di Musumeci: "Ecco l’opinione di Gad Lerner. Che fa l’intellettuale facendo finta di non capire. È razzista, caro Lerner, chi pensa di ammassare migliaia di persone in condizioni disumane. È razzista chi non muove un dito contro una invasione che ha portato oltre diecimila persone sulle nostre coste in meno di due mesi. Se ne faccia una ragione ed eviti di buttarla in caciare, restando vittima dei suoi pregiudizi ideologici. Logori pregiudizi. Io vado avanti a tutelare la salute di chiunque stia sul suolo siciliano. Faccio il mio dovere di presidente. E mi aspetto che il governo centrale faccia la sua parte".
"Sei fascista", "Sai cosa penso?". È "rissa" tra Lerner e Musumeci. Polemiche sulla decisione di sgomberare gli hotspot e i centri di accoglienza della Sicilia. Per il giornalista il governatore si conferma "fascista". Musumeci ricorda che è da razzisti "pensare di ammassare migliaia di persone in condizioni disumane". Gabriele Laganà, Lunedì 24/08/2020 su Il Giornale. La decisione di Nello Musumeci di sgomberare gli hotspot e i centri accoglienza della Sicilia per motivi sanitari non è piaciuta alla sinistra, ai radicalchic, ai cattolci progressisti e ai fautori dell’accoglienza senza se e senza ma. Una pioggia di critiche, infatti, è caduta addosso al governatore che, in queste difficili giornate, sta lavorando per tutelare la salute degli stessi migranti ma anche quella dei cittadini siciliani. Il Viminale, invece, avoca a sé la decisione se trasferire o meno i clandestini: così facendo, però, ha di fatto congelato ogni azione del governatore. La polemica è divampata grazie ai maestri dell’accoglienza che, a parte le solite frasi condite da retorica, non indicano come gestire un’emergenza di proporzioni bibliche. Del resto quando si tratta di parlare tutti sono bravi. Ma come dimostra il sindaco di Lampedusa, Totò Martello, le posizioni cambiano quando si tocca con mano l'emergenza. Eppure c’è chi proprio non accetta che ci sia qualcuno impegnato a porre un freno al flusso di clandestini nel nostro Paese. Tra questi vi è Gad Lerner. Il giornalista de Il fatto Quotidiano non ha trovato di meglio che dare del fascista al governatore. "Una volta, se non altro, Nello Musumeci aveva il coraggio di proclamarsi fascista – ha scritto Lerner su Twitter-. Ora invece pubblica ordinanza fasulla per addossare ai migranti il contagio Covid19 e chiedere al governo di respingerli in mezzo al mare. Cioè di agire da fascista quale lui continua a essere". Il messaggio è stato accompagnato da una foto che ritrae un giovane Musumeci in compagnia di Giorgio Almirante. Un fatto, questo, che evidentemente il giornalista deve considerare come un motivo di vergogna. Ma Musumeci non è un tipo che si lascia intimorire dagli attacchi dei suoi nemici. Il governatore, poco dopo aver saputo dell’affondo di Lerner, su Facebook ha risposto: "Ecco l’opinione di Gad Lerner. Che fa l’intellettuale facendo finta di non capire. È razzista, caro Lerner, chi pensa di ammassare migliaia di persone in condizioni disumane. È razzista chi non muove un dito contro una invasione che ha portato oltre diecimila persone sulle nostre coste in meno di due mesi". "Se ne faccia una ragione ed eviti di buttarla in caciare, restando vittima dei suoi pregiudizi ideologici- ha dichiarato ancora Musumeci-. Logori pregiudizi. Io vado avanti a tutelare la salute di chiunque stia sul suolo siciliano. Faccio il mio dovere di presidente. E mi aspetto che il governo centrale faccia la sua parte".
Matteo Salvini e Nello Musumeci denunciati: "Tre accuse gravissime", il gioco sporco della sinistra sui migranti. Libero Quotidiano il 25 agosto 2020. “Non mi bastavano i processi per sequestro di persona: la sinistra mi ha denunciato, insieme al governatore Nello Musumeci, per procurato allarme, abuso d’ufficio e diffamazione”. Matteo Salvini prende le tre denunce e se le mette al petto come se fossero medaglie: il capogruppo di Italia Viva al Senato lo ha denunciato insieme al presidente della Regione Sicilia. “Noi abbiamo detto basta agli sbarchi - ha dichiarato il segretario della Lega - con il traffico degli esseri umani e con il virus che arriva dall’altra parte del mondo. E cosa succede? Un’altra denuncia. Renzi sta bene? Conte e Lamorgese dove sono? Invece Di Maio non va disturbato perché domani ospita in pompa magna il ministro degli Esteri cinese, chissà che non porti qualche monopattino elettrico per Toninelli e qualche banco a rotelle per la Azzolina”. Salvini dovrà già andare a processo a Catania il 3 ottobre per sequestro di persona: “Adesso grazie a questo governo raccolto altre tre denunce. Io ho semplicemente difeso i confini, la sicurezza, la salute, le leggi e l’orgoglio del mio paese. E continuerò a farlo”. Non mi bastavano i processi per “sequestro di persona”: la sinistra (nella persona del signor Faraone) mi ha denunciato, insieme al governatore della Sicilia Musumeci, per “procurato allarme”, “abuso d’ufficio” e “diffamazione”...!
Andrea Priante per il ''Corriere della Sera'' l'8 agosto 2020. In principio fu il «paziente 0»: un operatore pakistano addetto alla raccolta dei rifiuti, che a giugno rientrò da un viaggio in patria e finì nel reparto Malattie infettive dell' ospedale. Prima del ricovero ebbe il tempo di contagiare un migrante ospite della struttura in cui lavorava, la «Serena» di Treviso. È un' ex caserma trasformata in centro di accoglienza per richiedenti asilo. Oggi lì vivono trecento profughi. E di questi - a meno di due mesi da quel primo caso - 246 hanno contratto il Covid-19 assieme a undici operatori. Tutti asintomatici. Attualmente è il più grande focolaio di coronavirus in Italia. Che la situazione rischiasse di degenerare lo si era capito già il 30 luglio, quando un primo giro di tamponi aveva consentito di scoprire 137 migranti infetti. Ma in una decina di giorni il bilancio si è drasticamente aggravato e ora il sindaco di Treviso, Mario Conte, vuole sapere di chi è la responsabilità di quella «bomba sanitaria», il segretario della Lega Matteo Salvini punta il dito sul governo «che spalanca i porti e mette in pericolo l' Italia» e, dal fronte opposto, il candidato del centrosinistra alle regionali Arturo Lorenzoni evidenzia «carenze nel monitoraggio sanitario» parlando di una situazione che è «una vergogna nazionale». Su come sia stato possibile lasciar crescere l' emergenza fino a questo punto, ci sono teorie diverse. Gianlorenzo Marinese, il presidente di Nova Facility - la società che gestisce il centro - ricorda che dopo il primo allarme di giugno i 300 ospiti rimasero in isolamento per otto giorni e poi furono lasciati liberi di muoversi «senza neppure essere sottoposti a un nuovo tampone». Dall' Usl dicono che «il protocollo non prevedeva un nuovo giro di test e comunque all' interno della struttura non ci sono le condizioni di sicurezza», considerato che a giugno i medici erano stati aggrediti e sequestrati in guardiola da un gruppo di ospiti. Ma anche ipotizzando che il focolaio di oggi non sia conseguenza diretta di quello di due mesi fa, com' è stato possibile che i 137 malati di fine luglio siano stati lasciati nelle condizioni di infettare altrettanti ospiti sani? E qui la risposta ha del sorprendente: positivi e negativi al tampone non sono mai stati separati. Si era deciso di creare, all' interno della «Serena», una palazzina dove isolare gli infetti ma in realtà non è mai stato fatto: da giugno a oggi, i profughi hanno continuato a condividere camere e spazi comuni. Marinese dice che i soliti facinorosi hanno rifiutato il trasferimento al grido «il Covid non esiste» e lui non ha «l' autorità per costringerli a fare le valigie né a indossare le mascherine o a usare il disinfettante». Il prefetto Maria Rosaria Laganà conferma che non è stato possibile obbligare i contagiati a trasferirsi nella palazzina accanto: «Non ci sono i presupposti di legge. La norma impone di stare in quarantena, non di chiudere le persone in un recinto o in una stanza». Le fa eco il direttore generale dell' Usl Francesco Benazzi: «Ciò che è accaduto dipende dal mancato rispetto delle norme di distanziamento. Il campanello d' allarme doveva darlo la coop, garantendo l' isolamento nella palazzina e l' uso delle mascherine». Il risultato è che a Treviso migranti sani e malati sono rimasti insieme, lasciando campo libero al virus. In un caso simile sempre in Veneto, a Jesolo, si era agito diversamente: alla scoperta di un focolaio nel centro gestito dalla Croce Rossa, era subito scattato il trasferimento dei positivi in un' altra struttura. In questo modo, almeno lì, la situazione non era peggiorata.
Silvia Madiotto per corriere.it il 7 agosto 2020. Contrariamente all’ottimismo dimostrato dal direttore dell’Usl 2 il giorno in cui venivano effettuati i tamponi, l’aumento esponenziale dei casi positivi fra i profughi dell’ex caserma Serena di Treviso è qualcosa di molto simile a un disastro. Erano 137 una settimana fa: dopo il maxi screening di controllo, al termine di una settimana di quarantena obbligatoria, i positivi sono diventati 246 su 281 ospiti a cui si aggiungono anche 11 operatori (su 25), che prima invece non avevano evidenziato contatti con il virus. Ci sono solamente 49 persone “sane” lì dentro. Ad alleggerire la tensione non basta che, su circa 130 colleghi di lavoro delle aziende in cui sono impiegati i migranti, le positività siano state soltanto due. Quello che sta capitando all’interno della Serena, dove le linee guida evidentemente non hanno sortito effetto sul contenimento del contagio, diventa un grosso problema e un allarme sanitario. «Qui ci sono delle gravi responsabilità e altrettanto gravi silenzi del Governo - taglia corto il sindaco di Treviso Mario Conte -. Da lì non deve uscire nessuno finché non saranno tutti negativi, dobbiamo tutelare la salute della nostra comunità. I danni al territorio sono incalcolabili, qualcuno dovrà renderne conto».
Il sindaco. Quasi otto su dieci fra i rifugiati e i dipendenti di Nova Facility sono positivi al Covid. Conte sta preparando una richiesta a Nova Facility: vuole sapere cosa sia accaduto alla caserma. «E come mai ci siano così pochi operatori a monitorare la situazione – dice Conte -. Bar, ristoranti, negozi e fabbriche applicano rigorosamente le linee guida per ridurre il contagio. Non è che allora alla Serena possa succedere di tutto. Penso ai ragazzi lì accolti, a chi ha altre patologie. Ma se non ci sono regole, tutti mangiano insieme, dormono dove dormivano prima, non usano le mascherine e non rispettano l’isolamento negli edifici preposti, ci sono delle carenze evidenti». Ovviamente, l’isolamento della struttura continua, la Serena è blindata e monitorata a vista dalle forze dell’ordine, e ci sono molti dubbi sul fatto che possa riaprire i cancelli al termine delle due settimane di prassi. «Abbiamo chiesto all’azienda un resoconto di quanto sta accadendo - annuncia il prefetto Maria Rosaria Laganà -. Dovranno farci sapere il motivo per cui il contagio si è esteso, cosa hanno fatto per rispettare le prescrizioni dell’Usl, quanto personale aggiuntivo è stato inserito, se ci sono state delle carenze».
Il prefetto. Già prima dell’esito drammatico del terzo round di tamponi il prefetto evidenziava criticità, anche sui disordini e violenze che si verificano all’interno della struttura. «Prima dell’emergenza non c’erano segnalazioni, si comportavano tutti bene, altrimenti saremmo intervenuti. Cos’è cambiato? Non sappiamo di chi fra gli ospiti siano le responsabilità, attendiamo le indagini dell’autorità giudiziaria. Valutare la gestione dell’azienda in questo momento è complicato, ci sono 290 ospiti chiusi, alcuni malmostosi, e non possiamo chiedere a Nova Facility azioni di forza, ma abbiamo chiesto che sia aumentata la presenza all’interno e di rafforzare la vigilanza».
I migranti, la bomba sanitaria e i negazionisti della sinistra. Per dem e renziani il problema non sono i migranti positivi ma gli italiani. E al boom di sbarchi rispondono cancellando i dl Sicurezza e riproponendo lo ius soli. Così portano al collasso il Paese. Andrea Indini, Domenica 02/08/2020 su Il Giornale. La sinistra sta mettendo in atto l'ennesimo gioco al massacro: negare cioé che in Italia ci sia un'emergenza sanitaria legata all'immigrazione clandestina. Farlo non solo è pericoloso perché non procrastina qualsiasi intervento volto a risolvere una situazione ormai esplosiva, ma è anche dannoso per tutti quei cittadini che fino a oggi hanno rispettato tutte le regole imposte dal governo per arginare i contagi, minando così l'intero sistemo economico del Paese. Molti nuovi focolai sono "d'importazione", vengono da fuori. Eppure la maggioranza non lo accetta: anziché sventolare bandiera bianca, ammettendo di non essere in grado (ideologicamente parlando) di fermare gli sbarchi dei clandestini, di far rispettare la quarantena ai migranti, di effettuare i dovuti controlli alle frontiere, preferisce riversare (ancora una volta) sugli italiani le proprie attenzioni vessandoli e mettendoli in difficoltà. La prima a ribaltare la realtà sulla portata dell'emergenza sanitaria legata ai continui sbarchi è stata Maria Elena Boschi. Nei giorni scorsi, in un'intervista al Corriere della Sera, ci teneva a precisare che "tecnicamente il coronavirus è stato esportato dagli italiani in Africa con gli aerei e non da loro con i barconi". Oggi, dalle colonne dello stesso giornale, è toccato al ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, rincarare la dose rivendicando che "il 75% dei positivi sono italiani, contagiati da altri italiani". "I positivi stranieri salvati in mare vengono tutti sottoposti a test e tamponi e molti di loro ripartono immediatamente. Non mi pare il tema". L'esponente dem invita piuttosto a prendersela con "le feste senza regole" o con "l’imprenditore irresponsabile che, tornato dall'estero, è andato in giro con i sintomi". Certo, si tratta di atteggiamenti da condannare senza se e senza ma. Ma si tratta anche di girare la testa da tutt'altra parte perché la pressione a cui sono sottoposti i porti italiani nelle ultime settimane (solo nel mese di luglio gli sbarchi sono aumentati di oltre il 400 per cento) e la situazione imbarazzante in cui versano i centri di prima accoglienza dovrebbero suggerire al governo Conte che la misura è colma e che rimandarne la situazione significa esporre l'intero Paese a rischi inutili. I campanelli d'allarme sono numerosi: i focolai all'interno della comunità bengalese di Roma, i ritorni "fantasma" dall'Est Europa con i pullman che evitano i controlli all'arrivo, gli sbarchi sulle coste del Sud Italia e le fughe dei migranti sulle spiagge, le strutture colabrodo a cui vengono destinati gli stranieri che dovrebbero stare in quarantena. Tutti questi casi messi insieme danno l'immagine di un governo incapace di far rispettare le regole e fanno temere che la situazione sia del tutto sfuggita di mano. Nei giorni scorsi, durante un evento di Forza Italia, Silvio Berlusconi aveva apertamente invitato il premier Giuseppe Conte a "vigilare sul rischio di una nuova ondata di coronavirus di importazione, che passa per gli immigrati che arrivano clandestinamente in Italia". "Mai come oggi - aveva avvertito - è necessario un controllo rigoroso delle frontiere". La risposta della maggioranza, al netto delle litigiosità interne, è stata diametralmente opposta: c'è chi sogna lo smantellamento dei decreti Sicurezza e, di conseguenza, la riapertura dei porti, e chi torna a cianciare di ius soli. L'esatto opposto di quello di cui avremmo bisogno. E, mentre il ministro degli Esteri Luigi Di Maio perde tempo nel proporre rimpatri veloci, che mai avverranno, e interventi contro le imbarcazioni dei trafficanti, al Viminale tutto tace e a nessuno della Difesa viene in mente di far blindare dall'esercito i centri migranti o le strutture per l'accoglienza per evitare altre fughe. "Si può sapere che cosa sta facendo il governo per arginare questo gravissimo fenomeno?", si chiede Giorgia Meloni. Il rischio, come detto, è che i giallorossi, in nome di quella che la leader di Fratelli d'Italia definisce una "spregiudicata politica immigrazionista", vanifichino tutti i sacrifici fatti sino a oggi dagli italiani. "Davvero in Italia chi arriva illegalmente è al di sopra della legge e può fare quello che vuole, anche mettere a rischio la salute e la vita dei cittadini? Basta: la misura è colma". Il punto è che il Paese non può permettersi una seconda onda. Non può permetterselo sia dal punto di vista sociale sia economico. Per questo bisogna fare tutto quello che è necessario per fermare tutte le possibilità di nuovi contagi. Non solo. Al netto dell'emergenza legata alla diffusione del Covid-19, è importante anche riprendere in mano il dossier immigrazione. Per cinque anni, durante i governi Letta, Renzi e Gentiloni, trafficanti e Ong hanno avuto il "lasciapassare" per le nostre coste. Dopo la (breve) parentesi del pugno duro di Matteo Salvini, si è ritornati al vecchio malcostume e il business dell'accoglienza ha ripreso a galoppare senza sosta. Per il Nicola Zingaretti e i suoi non è ancora abbastanza: chiedono di allargare ulteriormente le maglie. Il loro sogno, con il beneplacito dell'Unione europea, è di trasformare il Paese in un gigantesco porto di approdo per tutti i disperati del terzo mondo. I risultati di questa politica scellerata sono sotto i nostri occhi e li abbiamo pagati a caro prezzo già negli anni scorsi.
Ecco in quali Regioni il governo ha inviato migranti positivi al Covid. Toscana, Piemonte, Basilicata, Molise, Lazio: il governo giallorosso ha deciso di smistare i migranti positivi al coronavirus in giro per l'Italia. Federico Giuliani, Domenica 02/08/2020 su Il Giornale. Dal Lazio alla Toscana, dal Lazio al Piemonte, passando per Basilicata e Molise. Il governo giallorosso ha deciso di smistare i migranti in varie regioni italiane, così da alleggerire la pressione sull'hotspot di Lampedusa, ormai al collasso. Al di là della logica alla base dell'accoglienza, c'è un altro problema da considerare al tempo del coronavirus. Ossia la possibilità che i nuovi arrivati possano essere infettati dal Covid. Il contesto sanitario aggrava dunque una situazione già di per sé molto complessa. Già, perché basta un solo migrante positivo all'interno di una struttura per creare un vero e proprio focolaio. Come accaduto, d'altronde, all'ex Caserma Serena di Treviso, in cui sono state trovate 134 persone infette durante lo screening che ha coinvolto i 293 ospiti e i 22 operatori impegnati nell'edificio. Un ulteriore problema è rappresentato dalla scelta dell'esecutivo giallorosso di voler spostare gli stessi migranti in giro per l'Italia. Il rischio, in questo caso, è quello di portare il coronavirus in regioni in cui l'R0, cioè il parametro usato per valutare l'andamento di un'epidemia provocata da una malattia infettiva, era sotto controllo. Detto altrimenti, dal momento che in Sicilia la situazione è critica, i giallorossi stanno distribuendo i nuovi arrivati, molti dei quali positivi al coronavirus, nel resto del Paese. Poco importa se la mossa di Giuseppe Conte ha scontentato tanto la destra quanto la sinistra. Piaccia o non piaccia, la strada è stata tracciata.
Le regioni a rischio. Ma in quali regioni sono stati inviati i migranti infetti? Secondo quanto riferisce il quotidiano Libero, 19 immigrati positivi al Covid sono stati inviati da Lampedusa al Centro temporaneo di permanenza di Torino. Il trasferimento, tra l'altro, ha creato disordini e un carabiniere è rimasto ferito. In Toscana, a Livorno, cinque immigrati restano ricoverati nel reparto Covid dell'ospedale. Ricordiamo che i pazienti, per sfuggire ai controlli, si erano tuffati nelle acque del porto da una nave traghetto proveniente da Malta. In Sicilia, a Lampedusa, si sono verificati ben otto sbarchi, compreso il soccorso di un barchino; calcolatrice alla mano, nell'isola sono giunte ben 250 persone. L'hotspot ne contiene 950. Un numero enorme, che ha spinto il sindaco locale, Totò Martello, a chiedere il loro trasferimento. La Prefettura di Agrigento ha quindi informato che 170 di loro finiranno a Porto Empedocle, ad Agrigento. Nel frattempo, a Palermo, al San Paolo Hotel, alcuni tunisini, in quarantena, hanno lasciato le loro camere creando non pochi scompigli. Attenzione però anche alla Basilicata, dove ci sono da segnalare i 37 bengalesi positivi al Covid e un clima molto teso. Nel Lazio lo scenario è stato descritto dalle parole dell'assessore alla Sanità Alessio D'Amato: "Registriamo 18 casi e zero decessi. Di questi 4 provengono da altre Regioni e 5 sono casi di importazione: un caso del Bangladesh, uno da Albania, uno dalla Moldavia, uno dal Pakistan e uno dalla Polonia". In tutto sono quasi 400 i migranti trasferiti in loco dalla Sicilia. In Molise troviamo invece 171 immigrati provenienti da Lampedusa; due di loro sarebbero risultati positivi al coronavirus.
Coronavirus, dramma a Lampedusa: sbarcano altri 26 immigrati positivi. Libero Quotidiano il 25 luglio 2020. Sbarchi senza sosta a Lampedusa, mentre il governo osserva imbelle l'invasione e mentre il sindaco, Totò Martello, minaccia di proclamare autonomamente lo Stato d'emergenza. E nelle ultime ore, oggi, sabato 25 luglio, a preoccupare ancora una volta sono i clandestini positivi al coronavirus. Gli operatori dell'hotspot faticano a gestirli, mentre il segretario generale Mp, Antonio Allotta, ha reso noto che i test sierologici condotti sulle ultime persone sbarcate "hanno dato risultato positivo per altre 25 persone". Insomma, altri 25 immigrati infetti arrivati in Italia. La situazione ci preoccupa, perché tutti i nuovi sbarcati sono stati sul molo per ore, i positivi sono rimasti a lungo divisi dagli altri da una corda rossa, e tutti gli altri, che evidentemente devono essere sottoposti alla quarantena, sono stati pure in attesa sul posto - dice Allotta - Adesso i positivi sono stati portati in una piccola struttura chiusa, e saranno sottoposti a ulteriori esami, mentre gli altri sono stati divisi in gruppi e sono ancora in attesa. E non ci risulta che si sappia neppure dove devono essere spostati". Insomma, il caos è totale. E in questo caos, giorno dopo giorno, arrivano sempre più immigrati positivi al coronavirus.
Adesso i sindaci sono sul piede di guerra per l'arrivo di migranti contagiati. Aumenta il numero di migranti contagiati rintracciati in Italia, così come appare sempre meno gestibile la situazione relativa alle fughe dai centri di accoglienza: da nord a sud, molti sindaci adesso lanciano l'allarme. Mauro Indelicato, Venerdì 24/07/2020 su Il Giornale. Era aprile, l’Italia era si trovava nel pieno della fase più dura delle chiusure anti covid, e già dalla Sicilia si iniziava ad intuire che la sovrapposizione dell’emergenza sanitaria e quella migratoria avrebbe creato una miscela potenzialmente esplosiva. Nel giorno di Pasqua ad esempio, 32 sindaci dell’agrigentino avevano scritto una lettera al presidente del consiglio Giuseppe Conte per lamentare problemi importanti relativi all’accoglienza. Pochi giorni prima il sindaco di Lampedusa, Totò Martello, aveva chiesto per la prima volta una nave dell’accoglienza in cui far trascorrere le quarantene a chi sbarcava. E questo perché, nonostante il coronavirus, in Sicilia si continuava ad arrivare ed a Pozzallo la scoperta del primo migrante positivo al covid ha destabilizzato il sistema dell’accoglienza. Strutture riaperte, comuni già alle prese con la grave crisi dettata dalle chiusure si sono ritrovati a ricevere decine di migranti all’interno di alcuni edifici. Oggi il problema è di livello nazionale: il grido giunto in pieno lockdown dalla Sicilia è rimasto inascoltato ed ora sono molti sindaci, da nord a sud, a chiedere al governo di intervenire. Il motivo è presto detto: garantire misure di distanziamento sociale nelle strutture di accoglienza è difficile, trovare nuove strutture quasi impossibile e nelle ultime settimane sono aumentati i casi di migranti i cui tamponi hanno dato esito positivo. Un caso emblematico è arrivato questa settimana da Potenza: qui sono stati portati 26 bengalesi sbarcati qualche giorno prima a Lampedusa che, dopo alcuni controlli, sono risultati positivi al coronavirus. Persone quindi contagiate, le quali sono riuscite ad uscire senza problemi dall’isola in cui erano sbarcati e ad attraversare il meridione fino a giungere in un centro di accoglienza del capoluogo lucano. “Non accada più – ha tuonato sull’Huffington post il sindaco Mario Guarente – sono arrivati da Lampedusa con certificati che dicevano che erano negativi, questo è un fatto gravissimo, che ha messo a repentaglio la salute degli operatori delle cooperative e della comunità e che non deve ripetersi”. Una rabbia, quella del primo cittadino di Potenza, condivisa con il suo collega di Brindisi: qui almeno 30 tunisini degli 80 giunti da Lampedusa sono scappati mentre erano in quarantena in una struttura poco lontana dal centro. Ed il sindaco Riccardo Rossi ha chiesto all’esecutivo provvedimenti urgenti: “Abbiamo chiesto al Governo – si legge in una sua recente dichiarazione – che questo sia l’ultimo arrivo perché quella struttura, che fino a qualche giorno prima che ci inviassero i migranti da tenere in quarantena era un Cara, non è adeguata né dal punto di vista logistico né del personale a gestire una situazione come questa, prettamente sanitaria”. Guarente e Rossi politicamente parlando sono in apparenza agli antipodi: leghista il primo, rappresentante di una coalizione di centro – sinistra il secondo. Eppure hanno lanciato medesimi appelli ed hanno messo in evidenza la stessa rabbia, che è poi quella dei cittadini. In tanti, dalla Sicilia alla Calabria, così come in Campania, nelle ultime settimane hanno manifestato contro l’apertura di centri di accoglienza, da dove spesso si è riusciti a fuggire, in cui sono stati aggrediti poliziotti, come ad esempio accaduto al Villa Sikania di Siculiana, e dove le condizioni non sembrerebbe garantire il distanziamento sociale richiesto invece a tutto il Paese. Fughe dalle strutture di accoglienza sono state registrate in provincia di Pesaro, così come in Umbria, situazioni critiche riscontrate anche all’interno dell’hotspot di Taranto. I migranti stanno continuando ad arrivare, il numero di coloro che vengono trovati positivi è cresciuto nelle ultime settimane e, contestualmente, la macchina dell’accoglienza non sembra reggere l’onda d’urto di due crisi contemporanee, quella sanitaria appunto e quella migratoria. E adesso? Forse, in vista dei mesi tradizionalmente più delicati sul fronte degli sbarchi, potrebbe essere troppo tardi: prefetture, enti e forze dell’ordine dovranno fronteggiare numeri che aumentano con lo stesso ritmo dell’insofferenza di sindaci e cittadini. Con la prospettiva che, viste anche le condizioni delle curve dei contagi in alcuni dei Paesi da cui si parte maggiormente verso l’Italia, a partire da Libia e Bangladesh, sempre più migranti contagiati potrebbero arrivare lungo le nostre coste.
"Ci ha portato migranti positivi" La Lamorgese rischia denuncia. In Basilicata ora si teme un focolaio dopo il trasferimento degli stranieri prima ospiti a Lampedusa, il sindaco di Potenza è pronto a denunciare il ministro Lamorgese: "Si è assunta la responsabilità di mandare in giro per l'Italia gente infetta". Federico Garau, Venerdì 24/07/2020 su Il Giornale. Continua a salire la preoccupazione in Basilicata dopo l'esito dei tamponi faringei che ha riscontrato la positività al Coronavirus di 26 migranti trasferiti dalla Sicilia a Potenza. Si tratta di un fatto molto grave, soprattutto perché, come rivela il quotidiano "Repubblica", i soggetti in esame avevano con loro un certificato di negatività al virus, rilasciato dai medici di Lampedusa e firmato in data 13 luglio. In Basilicata, una delle regioni più risparmiate dal Covid-19, si teme l'origine di un focolaio. Un vero e proprio dramma, che potrebbe mettere in discussione anche la posizione del ministro dell'Interno Luciana Lamorgese. Mario Guarente, sindaco di Potenza e rappresentante della Lega, è sul piede di guerra ed intende denunciare la titolare del Viminale."Queste persone sono arrivate con un certificato di negatività al test sierologico che io ho avuto modo di leggere, test evidentemente inattendibili", ha dichiarato ieri, come riportato da "Repubblica". "Stiamo valutando denunce non solo nei confronti di chi lo ha materialmente effettuato, ma anche della ministra Lamorgese che si è assunta la responsabilità di mandare in giro per l'Italia gente infetta". Sono 50, infatti, i miganti spostati da Lampedusa a Potenza, e più della metà si sono rivelati essere infetti. Una gestione dell'emergenza sbarchi eseguita forse troppo in fretta, con lo scopo di svuotare velocemente l'hotspot di Lampedusa, così da placare le ire dei cittadini, sempre più provati dalla situazione. Ed ora la Basilicata deve occuparsi dei contagiati. Eppure, in occasione della sua recente visita a Lampedusa, la Lamorgese aveva assicurato "la massima attenzione del governo", aggiungendo che "i migranti sbarcati vengono sottoposti a test sierologici". Gli sbarchi, tuttavia, continuano numerosi, specialmente quelli autonomi e la situazione è al collasso. Soltanto da pochi giorni, fra l'altro, sarebbe arrivato a Lampedusa il macchinario per effettuare i tamponi faringei ai nuovi arrivati. "Da ieri finalmente possiamo fare i tamponi. Prima a fare i test sierologici all'interno dell'hotspot era il medico della ditta che ha in gestione il centro, anche se quando ci sono tanti arrivi ci diamo tutti una mano, Asp e Croce Rossa", ha spiegato a "Repubblica" Francesco Cascio, direttore dell'ambulatorio. "Test sierologici sbagliati? Può capitare che ci siano falsi positivi o falsi negativi", ha ammesso. "Io a tutti coloro che accusano dico: venite qui a vedere come lavoriamo e capirete". La tensione a Potenza, ed in Basilicata, continua però a restare altissima. I cittadini non intendono accettare l'arrivo di altri positivi, lo stesso sindaco ha promesso addirittura "barriere umane". "Nel caso in cui il ministero degli Interni volesse destinarci ulteriori arrivi di migranti extracomunitari, e laddove non si effettuassero tutti i protocolli sanitari previsti, mi vedrei costretto nei modi e nelle forme di legge a impedire ulteriori accessi o presenze in Basilicata", ha affermato il presidente della Regione Vito Bardi, come riportato da "La Gazzetta del Mezzogiorno".
Tunisini in fuga dal Centro Pre Covid di Brindisi. Il Corriere del Giorno il 24 Luglio 2020. Marti (Lega): “Ora basta, Governo ed Emiliano mettono a rischio sicurezza e salute dei pugliesi”. “Il trio Conte – Lamorgese – Emiliano sta mettendo in pericolo la Puglia. La notizia della fuga nella notte di 20 tunisini dal Cara di Restinco (Brindisi), trasformato d’imperio dal Governo PD-cinquestelle in Centro Pre Covid, è un fatto preoccupante per una Regione che ha pagato un prezzo alto al Coronavirus. Assurdo e vergognoso” dichiara Roberto Marti senatore pugliese della Lega . “Come Lega abbiamo stigmatizzato da subito questa decisione, avvenuta tra le comprensibili proteste del territorio e il silenzio di Michele Emiliano, che quando si tratta di difendere i pugliesi dalle scelte scellerate e pericolose di questo governo fa orecchie da mercante, impegnato com’è a corteggiare Conte e i 5stelle per salvarsi la poltrona” aggiunge Marti. “Quanto sta accadendo, dalla Sicilia, alla Basilicata, alla Puglia è uno schiaffo in pieno volto agli italiani, che in questo lockdown hanno dato grande prova di sacrificio e rispetto delle regole, compostezza di fronte al dolore e forza d’animo nel resistere alla difficile congiuntura economica. Permettere che tutto ciò sia vanificato da una politica dell’accoglienza dissennata dei governi di centrosinistra e cinquestelle è inaccettabile! La Lega è al fianco dei territori e dei suoi concittadini. La loro sicurezza, tanto più in questo momento storico, è bene prioritario. Chiediamo che sia subito fatta chiarezza sulle responsabilità degli avvenimenti di questa notte e pretendiamo provvedimenti immediati di Emiliano, Conte e Lamorgese nei confronti di quella struttura, o saranno barricate” conclude il Sen. Marti.
Restinco, 20 migranti tunisini scappano dal Cara dove erano in quarantena. Tra loro non c'è l'uomo risultato positivo al Coronavirus e isolato. La Gazzetta del Mezzogiorno il 24 Luglio 2020. Venti migranti tunisini sono fuggiti alle prime ore dell'alba dal Cara di Restinco (Br), dove stavano trascorrendo la quarantena dopo essere approdati sulle coste italiane. Tra i fuggitivi, tuttavia, non c'è l'uomo risultato positivo al Coronavirus e isolato rispetto al gruppo. Inizialmente in 30 hanno provato a scappare, ma alcuni sono stati rintracciati nel giro di pochi minuti. Qualcuno provando a saltare dal muro di cinta ha riportato fratture.
Giovanni Camirri e Michele Milletti per ''Il Messaggero'' il 20 luglio 2020. Come in Fuga per la vittoria, ma questo non è un film. Una partita di pallone di sabato pomeriggio, apparentemente per divertirsi ma in realtà per scappare: così hanno fatto perdere le proprie tracce 23 dei 25 migranti tunisini accolti in un ex agriturismo gestito da una cooperativa sociale nella zona di Gualdo Cattaneo, comune di seimila abitanti a quindici chilometri da Foligno. L'allarme è scattato nella serata di sabato. Più o meno alla stessa ora in cui, a Taranto, altri 31 migranti arrivati da Lampedusa sono fuggiti da un Hotspot che si trova nella zona portuale: secondo quanto si apprende, undici sarebbero stati rintracciati. I migranti giunti a Gualdo Cattaneo, tutti uomini e richiedenti asilo, erano arrivati giovedì scorso da Agrigento, e sistemati dalla prefettura di Perugia nella struttura ricettiva per le due settimane di quarantena. Nessuno di loro è risultato positivo al covid. È subito stata organizzata una task force per le ricerche: una pattuglia della squadra volante di Foligno, ieri mattina, ne ha rintracciati due a Bevagna. Assieme agli altri due che non sono scappati, saranno immediatamente ricollocati in altre strutture. Al momento, rischiano una sanzione per aver violato la quarantena. La ricerca degli altri 21 connazionali è andata avanti per tutta la giornata di ieri e continuerà nelle prossime ore. Il sindaco di Gualdo Cattaneo, Enrico Valentini, ha detto al Messaggero: «Le autorità mi hanno comunicato che dei 25 immigrati arrivati giovedì pomeriggio a Gualdo Cattaneo, 23 risultano irreperibili dal tardo pomeriggio di sabato. Sono in corso le indagini e le ricerche da parte delle autorità con le quali sono in costante contatto. Siamo stati informati del loro arrivo dal Ministero dell'Interno con una mail. La gestione delle migrazioni va condivisa con le comunità locali soprattutto quando ad essere interessate sono realtà piccole, e con strutture altrettanto piccole, come Gualdo Cattaneo. Ora il mio compito è quello di rassicurare i cittadini e di garantire la calma sociale». Dell'allontanamento dei 23 migrati aveva dato notizia l'onorevole e segretario regionale della Lega Virginio Caparvi attraverso un post su facebook. Caparvi sostiene anche che il centro di accoglienza verrà chiuso. La prefettura di Perugia ha reso noto come, oltre al fatto che i controlli ad Agrigento avevano segnalato negatività al covid, «nella struttura di Gualdo Cattaneo gli stranieri erano stati monitorati, non presentando sintomi di malattia. Peraltro, uno di loro, recatosi al pronto soccorso a Foligno per una puntura d'insetto, è stato sottoposto nuovamente ad un test che ha avuto ancora esito negativo». La vicenda è destinata a finire sul tavolo del ministro dell'Inter Luciana Lamorgese. È quanto intende fare la senatrice di Forza Italia Fiammetta Modena con una interrogazione urgente. «Ci dovrà dire dove sono finiti i 23 migranti scomparsi». «Quanto accaduto è l'ennesima riprova della assoluta incapacità di gestire i flussi migratori da parte di questo Governo» hanno commentato i senatori della Lega Luca Briziarelli e Stefano Candiani. «Caro Speranza, sarebbe utile anche non far entrare liberamente in Italia migliaia di clandestini, e poi consentire loro di violare pure la quarantena, come accaduto a Gualdo Cattaneo» ha scritto su facebook il presidente di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, rispondendo al ministro della Salute Roberto Speranza, che ha parlato di contagi Covid e dei «comportamenti corretti» da seguire.
Giuseppe De Lorenzo per ilgiornale.it il 20 luglio 2020. Ventuno di loro sono ancora “irreperibili”. Gli altri quattro saranno presto trasferiti altrove. Il day after di Gualdo Cattaneo, piccolo centro da 5mila anime nella verde Umbria, è ancora caratterizzato dall’incertezza. I migranti fuggiti sabato dal centro di accoglienza dove avrebbero dovuto passare la quarantena anti-Covid non sono ancora stati ritrovati. In paese si vocifera su errori, testimonianze, possibilità. Un cittadino sostiene di aver visto alcuni tunisini salire su un furgoncino per poi sparire chissà dove. E così prende piedi l’ipotesi che "sia stata una fuga organizzata e non estemporanea". Tutto inizia mercoledì sera quando le autorità competenti inviano una mail al sindaco di Gualdo Cattaneo per informarlo che il giorno dopo avrebbero inviato al centro “Il Rotolone” 25 immigrati provenienti dalla prefettura di Agrigento. Sbarcati poche ore prima. Il sindaco legge il messaggio solo giovedì, dopo i canonici passaggi al protocolli, e scopre così che da lì a cinque ore si troverà in paese, unica zona rossa di tutta l’Umbria nel periodo più nero della pandemia, un gruppo di persone potenzialmente infette. La prefettura di Perugia assicura che ai test sierologici sono risultati tutti negativi, ma si sa che solo il tampone può dare certezze. "Il test del sangue non è attendibile - dice al Giornale.it il sindaco Enrico Valentini - non è riconosciuto neppure dall’Iss né dall’Oms". Sul momento il primo cittadino si infastidisce per la mancata condivisione delle informazioni ("sono io l’autorità sanitaria locale"), scrive subito a prefetto e ministero dell’Interno, ma non riceve risposte. "Si sono presentate 15 persone sotto il Comune a chiedere spiegazioni ed è stato avvilente non sapere cosa rispondere loro". La situazione precipita quando sabato sera i responsabili dell’Arci solidarietà “Ora d’aria” si ritrovano a cena solo due ospiti su 25. Gli altri 23 sono scomparsi, nonostante l’obbligo della quarantena. Immediate scattano le indagini e le ricerche: due vengono trovati, degli altri 21 nessuna notizia. Secondo il Messaggero i tunisini avrebbero organizzato una partita di pallone per poi darsela a gambe, ma Alessandro Becchetti - che conosce bene la zona - assicura che nelle vicinanze non ci sono campi da calcio. Inoltre un cittadino, come spiega il sindaco, sostiene di aver visto un gruppo di persone camminare lungo la strada e improvvisamente salire su un furgoncino. Qualcuno li ha aiutati? Li conoscevano? L’informazione è arrivata a chi indaga. E potrebbe spiegare il motivo per cui dopo giorni di ricerche ne siano stati trovati solo due. Gualdo Cattaneo è arroccata tra le campagne: se fossero fuggiti a piedi, forse sarebbero ancora in zona. “A quest’ora potrebbero già essere fuori regione”, dice il deputato leghista Virginio Caparvi. “Se mi trasferissero in una campagna tedesca, non avrei nessuno disponibile a venirmi a prendere. Forse queste persone avevano contatti già in Umbria, il che fa pensare a una organizzazione più ampia e non ad una fuga estemporanea”. C’è una questione, infatti, su cui il sindaco Valentini vorrebbe fare un "ragionamento approfondito". E cioè la scelta di inviare in Umbria proprio 25 tunisini. Non è questione razziale, ma di opportunità. "La Tunisia ha una buona colonia qui in Umbria e molti di loro non vivono in maniera non regolare. Sono canali non proprio legali...". Droga? “Anche”. In effetti un anno fa la relazione della Direzione investigativa antimafia su Perugia riferiva che, nella piramide della criminalità, i tunisini si sono ormai ritagliati lo spazio dello “spaccio al dettaglio”. E non bisogna andare neppure troppo indietro, era il 2014, per ricordare l’operazione Show Must Go On con cui la squadra mobile del capoluogo umbro arrestò il braccio destro del boss della mafia tunisina intenta a gestire il traffico di droga in città. Sulla fuga restano ovviamente da chiarire numerosi aspetti. Innanzitutto bisognerà rispondere a una domanda: a chi toccava vigilare sul rispetto della quarantena? “Non è stato posto in essere alcun controllo - dice Emanuele Prisco, deputato FdI - Il ministero non può buttare dei migranti lì in mezzo ai monti. Andava strutturata meglio: per i 14 giorni di quarantena bisognava assicurare che non uscissero”. Quel che è certo è che ora i quattro migranti rimasti verranno spostati altrove. E la struttura verrà chiusa “a tempo indeterminato”. Nella speranza di ritrovare i fuggitivi. E di sottoporli a tampone.
OLTRE 20 MIGRANTI FUGGONO DALL'HOTSPOT DI TARANTO. (ANSA il 20 luglio 2020) - Oltre 20 migranti giunti nei giorni scorsi da Lampedusa sono fuggiti ieri sera dall'Hotspot di Taranto, dove erano in attesa di essere inviati in altri centri dopo l'identificazione. Lo confermano fonti della Questura di Taranto. Altri ospiti sono stati invece bloccati dalla Polizia nonostante il tentativo di allontanarsi dalla struttura, che si trova nella zona portuale. Le ricerche dei migranti fuggiti finora hanno dato esito negativo. Nei giorni scorsi sono stati trasferiti a Taranto da Lampedusa un centinaio di migranti. Nel corso delle operazioni di identificazione, gli agenti dell'Ufficio Immigrazione della Squadra Mobile e della Digos della Questura ionica avevano arrestato un tunisino di 31 anni, rientrato in Italia nonostante fosse destinatario di provvedimento di respingimento emesso dal Questore di Palermo nel settembre 2019. Recentemente l'associazione Pannella aveva denunciato un presunto utilizzo improprio dell'Hotspot "per funzioni in violazione alla legge che ne regolamenta l'istituzione. Queste strutture - aveva evidenziato l'associazione - sono destinate solo all'identificazione dei migranti, e non alla loro ospitalità, mancando i requisiti minimi per l'accoglienza. E invece ancora in questi giorni vengono trasferite a Taranto persone già identificate a Lampedusa".
(ANSA il 20 luglio 2020) - "Da settimane denunciamo l'insostenibilità di un'accoglienza ideologica, aggravata dal fatto che molti di quanti arrivano sono affetti da Covid. Nonostante il grande lavoro delle Forze dell'Ordine e degli operatori, la situazione sta sfuggendo di mano per colpa di un governo ostinato sulle porte aperte". Lo afferma la deputata di Fratelli d'Italia Ylenja Lucaselli in merito alla notizia della fuga dall'hotspot di Taranto, avvenuta ieri sera, di oltre una ventina di migranti giunti nei giorni scorsi da Lampedusa. "Peraltro, alcune iniziative politiche - aggiunge - messe in campo dalla maggioranza rischiano di essere un palese incentivo agli arrivi. Lo dimostra la volontà di modificare i decreti sicurezza, smontando i pochi elementi di deterrenza al traffico di esseri umani". "Agli italiani, per contenere il contagio, è stato imposto - conclude Lucaselli - un lockdown con gravi ripercussioni economiche. Ora, quello stesso contagio rischia di essere diffuso da arrivi di irregolari e dalle loro fughe dagli hotspot. Una gravissima colpa in capo ad un governo di irresponsabili".
Coronavirus, migranti contagiati in Calabria. Il Pd: "Niente bollettino, alimenta il razzismo". Libero Quotidiano il 16 luglio 2020. Al cittadino non far sapere quanti clandestini e aspiranti profughi ci portano il Covid 19. Lo scandalo denunciato dai deputati del Pd consiste nel fatto che «la Regione Calabria a guida Santelli decide di emanare un bollettino sull'andamento del Covid evidenziando il contagio dei migranti», mentre «la situazione imporrebbe alle istituzioni di non alimentare razzismo» e «le preoccupazioni delle persone non si usano politicamente!» Così il diritto di informare e di essere informati e perfino la salute pubblica passano in secondo piano rispetto all'esigenza di accogliere chiunque arrivi sulle coste italiane. A caro prezzo, fra l'altro, viste le imponenti misure di sicurezza e il dispiegamento di personale e di risorse necessario a far fronte ai continui sbarchi di persone malate. E con un alto costo anche per l'economia turistica della Calabria.
Migranti, il nuovo "business" è un'altra nave-quarantena. Proseguono senza sosta gli sbarchi a Lampedusa. A centinaia sono arrivati negli ultimi giorni portando di fatto al collasso l'hotspot dell'isola che ospita una media di 800 migranti su una capienza di 80. Il Governo, intanto, pensa ad una nuova nave quarantena. Roberto Chifari, Domenica 26/07/2020 su Il Giornale. In Sicilia è emergenza sbarchi di migranti. La denuncia arriva direttamente dallo stesso governatore siciliano, Nello Musumeci, che parla di business dell'accoglienza. La responsabile del Viminale, Luciana Lamorgese, ha deciso di portare in Sicilia un'altra nave quarantena per l'accoglienza dei migranti, una soluzione tampone per decongestionare l'hotspot di Lampedusa, ormai al collasso da settimane. Un business però, che lo stesso Musumeci ha indicato come il nuovo affare che ha spostato gli interessi dagli sbarchi alle navi quarantena che sostano al largo della coste siciliane. "Vorrei fosse chiaro che non si tratta solo di una emergenza sanitaria, per la quale la Regione sta facendo di tutto per assicurare la sicurezza dei cittadini siciliani e di chiunque arriva nell’Isola - dice il presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci -. C’è una emergenza politica senza precedenti: perché a parità di condizioni climatiche rispetto allo scorso anno gli arrivi aumentano in modo così sensibile? Io voglio dare atto degli sforzi di queste ultime ore. Ma adesso si tratta di gestire una emergenza e servono fatti". Preoccupano le condizioni igieniche al molo Favarolo con i resti delle traversate abbandonati sul molo, ma soprattutto in molti hanno notato che sull'isola arrivano barchini con piccoli motori da 10, 15 o al massimo 30 cavalli. Barchini che non possono fare una traversata e che con tutta evidenza sono portati quasi sulle coste da navi madre a poche miglia dalle acque italiane. Intanto nella struttura di contrada Imbriacola ci sono oltre un migliaio di ospiti a fronte di una capienza di un centinaio di persone. Tanto che lo stesso Musumeci ha chiesto un summit con il governo per fare il punto sugli sbarchi. "Nei mesi scorsi - prosegue il governatore - si sarebbe dovuto attivare un’azione politica i cui mancati effetti oggi li paga la Sicilia". L'accusa è rivolta all'Europa definita dallo stesso Musumeci zitta e silente. "Lo ribadirò mercoledì alla commissione Schengen che mi audirà con i colleghi Santelli e Solinas - prosegue Musumeci -. E ribadirò che intravedo occhi sgargianti in chi si sfrega le mani per gestire un nuovo business dell’accoglienza, che magari diventerà il business della quarantena. Così non si va lontano. Forse è il caso che un vertice in Sicilia lo convochi direttamente il premier Conte. Lo aspettiamo. Intanto oggi hotspot pieno a Lampedusa e migranti in arrivo a Pozzallo. A flotte e senza tregua". Sulla situazione a Lampedusa ad essere preoccupato è soprattutto il sindaco, Totò Martello, che ha denunciato la situazione dell'hotspot con oltre mille persone ospitate nella struttura di contrada Imbriacola. Nei giorni scorsi il primo cittadino si è scontrato proprio con Matteo Salvini accusandolo di non essere mai venuto a Lampedusa quando era in carica al Viminale. Un'accusa che lo stesso Salvini ha rimandato al mittente. Martello però, riprende proprio il pensiero di Salvini che chiede da tempo di bloccare gli sbarchi. "Non possiamo più far entrare nessuno all'interno del centro. Non si può andare avanti così - dice Martello -. C'è interlocuzione con il governo, ma i provvedimenti devono essere presi celermente. Qui si vive alla giornata. Non è che possiamo continuare ad aspettare: se lo svuotiamo bene, se non lo svuotiamo siamo in emergenza", conclude il primo cittadino.
Navi quarantena a peso d'oro. Per ogni migrante 4800 euro al mese. Il bando da oltre 4 milioni di euro. Le navi ospiteranno gli immigrati portati dalle Ong o sbarcati in autonomia. Giuseppe De Lorenzo, Mercoledì 15/07/2020 su Il Giornale. Oltre quattro milioni di euro (più Iva) per 285 posti letto. Circa 40 mila euro al dì per i 101 giorni di contratto previsti dal bando. Cioè circa 160 euro al giorno a migrante, spicciolo più spicciolo meno, ovvero circa 4.800 euro di spesa mensile per ogni ospite a bordo. È il costo previsto dal governo per l’affitto di nuove navi per l’accoglienza dei migranti “soccorsi in mare o giunti sul territorio nazionale a seguito di sbarchi autonomi nell’ambito dell’emergenza” coronavirus. Il bando, pubblicato ieri dalla Protezione Civile, si concretizzerà in un contratto in pochi giorni. La procedura è di quelle abbreviate, tipica del periodo emergenziale. Poi entro 24 ore dalla stipula del noleggio l’armatore dovrà far arrivare le navi sulla costa meridionale della Sicilia, pronte ad ospitare i migranti appena sbarcati. I mezzi, in base all'allegato tecnico, tra le altre cose dovranno essere in grado di effettuare trasbordi, avere cabine sufficienti a ospitare 250 migranti (possibilmente a uso singolo), un'area controllata di confinamento per almeno dieci migranti con sintomi da Covid-19 e la disponibilità di dieci cabine singole (con bagno indipendente) per i 35 operatori responsabili dell’assistenza sanitaria. La scadenza del contratto è prevista per il 31 ottobre, salvo proroghe o cessazione anticipata dello stato di emergenza. Costo totale dell'operazione per 101 giorni: euro 4.037.475,00 oltre Iva. Di cui 3 milioni per il noleggio e 1 milione da versare in "in funzione del numero di migranti effettivamente ospitati". L’approdo di immigrati positivi è la nuova frontiera della lotta al virus. Nei giorni scorsi diversi casi sono stati registrati sia in Calabria che in Sicilia. I rispettivi governatori temono che il contagio di importazione possa vanificare gli sforzi fatti fino ad ora per debellare il morbo. Ma se i poliziotti chiedono a gran voce di “bloccare gli sbarchi” (a Siderno mezzo commissariato è in quarantena dopo essere stato a contatto con persone infette), per ora il governo si preoccupa di trovare una sistemazione a chi è già arrivato e chi presto arriverà. I centri dislocati sul territorio hanno evidenziato non pochi problemi, tra cui le diverse fughe di stranieri sottoposti a quarantena obbligatoria. Da qui l’idea di utilizzare le grosse imbarcazioni. La Moby Zaza da due mesi è ferma a Porto Empedocle, ha già svolto questo compito, ma tra pochi giorni - quando l’ultimo migrante finirà la quarantena - verrà riconsegnata all’armatore, che ha deciso di non prorogare il contratto con lo Stato. A rimpiazzarla saranno appunto le nuove navi da 4 milioni di euro in tre mesi. “I cittadini italiani, molti dei quali senza reddito, senza forme di sostegno, con le loro tasse sono costretti a spendere, per soli 250 immigrati, 40mila euro al giorno”, attacca l'on. Paolo Grimoldi, segretario della Lega Lombarda. “Ricordiamo che questi clandestini spacciati per profughi provengono principalmente da Tunisia e Bangladesh dove da oltre mezzo secolo non si combattono guerre: sono migranti economici che non hanno alcun requisito per ottenere una forma di protezione". Duro anche il commento di Matteo Salvini: “Da una parte, il governo abbassa le multe per le Ong che trasportano clandestini in Italia (rendendole meno salate di una sanzione in autostrada) - dice il leader - dall’altra mette 4 milioni più Iva per noleggiare navi per l’accoglienza. Anziché cancellare i Decreti sicurezza, Pd e 5Stelle dovrebbero applicarli per difendere i confini”. I dati intanto dicono che dall’inizio dell’anno sono approdate 9.706 persone, contro i 3.186 dello stesso periodo di un anno fa. “Per ora parliamo di 250 immigrati - conclude Grimoldi - ma ne sono arrivati quasi 10mila e da qui alla fine dell’estate questa cifra sarà destinata a quintuplicarsi a stare bassi. Provate a calcolare 160 euro al giorno per 70 o 80mila immigrati...”.
I migranti arrivano col veliero. E 28 hanno pure il Covid-19. A Roccella Jonica sono sbarcati altri 70 pachistani. Adesso è allerta massima. I cittadini calabresi hanno paura. Salvatore Di Stefano, Sabato 11/07/2020 su Il Giornale. Un nuovo sbarco di migranti si è registrato la venerdì notte nel nostro Paese: un veliero con circa settanta migranti, tutti di nazionalità pakistana, è stato avvistato da una motovedetta della Capitaneria di Porto al largo di Caulonia (Reggio Calabria), proveniente con tutta probabilità da est. I nostri uomini in divisa hanno così provveduto a far attraccare in tutta sicurezza l'imbarcazione, per poi trasferire gli immigrati al porto di Madonna delle Grazie di Roccella Jonica, dove sono stati sottoposti alle prime cure. Subito hanno fatto il tampone. Secondo quanto riportato dal quotidiano locale Telemia, i risultati degli esami parlano chiaro: ben 28 dei 70 immigrati sono risultati positivi al coronavirus, seppur dichiarati asintomatici e in buone condizioni di salute. Gli stranieri sono stati quindi affidati alle cure della croce rossa e degli operatori dell'Azienda Sanitaria Provinciale di Reggio Calabria, la quale ha il compito istituzionale di assicurare i livelli essenziali di assistenza definiti dal Piano sanitario regionale. Seguendo scrupolosamente le disposizioni esistenti in casi come questo, nelle prossime ore verranno sottoposti a tampone tutti coloro i quali sono entrati in contatto coi positivi, questo naturalmente per scongiurare ed eventualmente circoscrivere possibili nuovi piccoli focolai d'infezione. I soggetti minorenni (circa una ventina) sono stati accolti a Roccella Jonica, mentre tutti gli adulti sono stati smistati fra Bova ed Amantea. Comprensibili i timori della popolazione locale a questa notizia, timori però che il primo cittadino di Roccella Jonica, Vittorio Zito, ha provato a placare. Dieci giorni fa si erano verificati altri sbarchi in questa zona della Calabria e anche in quei casi si erano registrate delle positività al Covid-19, seppur con numeri decisamente più contenuti rispetto a quelli di quest'ultimo episodio. Non va meglio la situazione in Sicilia, a Lampedusa in particolare, dove nelle ultime 24 ore sono sbarcate qualcosa come 18 imbarcazioni, per un totale di 618 migranti. L'hotspot dell'isola come si può facilmente intuire è al collasso, anche perché adottando tutte le misure atte a contenere l'eventuale diffondersi della pandemia gli spazi diventano inevitabilmente ancora più risicati.
Ocean Viking, stato di emergenza a bordo: sei tentativi di suicidio. Notizie.it il 05/07/2020. Persiste lo stato di emergenza a bordo della nave Ocean Viking, bloccata a 16 miglia dalle coste della Sicilia in attesa della decisione del Viminale. Continua a essere critica la situazione a bordo della nave Ocean Viking, attualmente ferma a 16 miglia nautiche dalle coste sudorientali della Sicilia in attesa che il Ministero dell’Interno decida se e quando far sbarcare i 180 migranti presenti sull’imbarcazione. Il gruppo di medici giunto sulla nave nella serata del 4 luglio, al fine di verificare lo stato di salute dei migranti, ha inoltre affermato come non vi siano attualmente le condizioni psicologiche per garantire la sicurezza a bordo, considerando anche i sei tentativi di suicidio avvenuti negli ultimi giorni. Dopo aver visitato i migranti presenti a bordo, lo psicologo della Asp ha immediatamente informato la capitaneria di porto di Pozzallo, chiedendo lo sbarco immediato per i migranti ormai allo stremo delle forze sia fisiche che psicologiche. Nelle giornate precedenti infatti diversi immigranti avevano minacciato di suicidarsi gettandosi in mare mentre il 3 luglio l’Ong Sos Mediterraneé, a cui fa capo la Ocean Viking, aveva dichiarato lo stato d emergenza anche a seguito degli scontri avvenuti tra i migranti e l’equipaggio. L’eventuale sbarco dei migranti in Sicilia risulterebbe tuttavia particolarmente difficoltoso a causa delle misure anti coronavirus che dovrebbero essere seguite. L’ipotesi ventilata nelle ultime ore sembra pertanto essere quella di condurre presso l’hotspot di Pozzallo soltanto i migranti in condizioni di salute gravi, per poi indirizzare i restanti verso altre regioni d’Italia. Tra i comunicati rilanciati nelle ultime ore, Sos Mediterranée esorta gli stati europei a prendersi le proprie responsabilità di fronte all’ennesima tragedia del Mediterraneo: “Dobbiamo aspettare che qualcuno muoia prima di poter sbarcare? Ocean Viking esorta gli Stati europei a mobilitarsi per lo sbarco immediato di 180 sopravvissuti”.
Ocean Viking in stato d’emergenza con 180 migranti: da lunedì trasferimento su nave-quarantena. Redazione su Il Riformista il 4 Luglio 2020. La nave Ocean Viking, imbarcazione della Ong Sos Mediteranée attualmente in in acque internazionali con 180 migranti a bordo, è in stato di emergenza. Da tre giorni infatti la Ong chiede un porto sicuro in Italia mentre nelle ultime 24 ore sono stati registrati sei tentativi di suicidio. Giovedì due migranti si erano buttati in mare venendo recuperati ancora in vita dalle squadre di soccorso, altri tre erano stati bloccati da compagni ed equipaggio nel tentativo di farlo, mentre venerdì un uomo aveva provato ad impiccarsi, salvato dai volontari a bordo. Sulla nave nel pomeriggio odierno è salito un team medico italiano per assistere i migranti, con l’equipaggio che attende istruzioni dalle autorità competenti, in questo caso il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, per lo sbarco dei 180 naufraghi. A bordo vi sono 44 persone in condizioni particolarmente critiche, ha denunciato Sos Mediteranée: per loro l’equipaggio e il capitano della nave, che ha proclama lo stato di allarme, avevano chiesto un’evacuazione medica nel pomeriggio di venerdì, richiesta però negata.
LA DECISIONE DEL VIMINALE – Dopo giorni di stallo, e a seguito dell’ispezione medica a bordo della nave, il Viminale ha deciso di provvedere ai tamponi sulla Ocean Viking alla ricerca di eventuali positivi e di trasferire i migranti lunedì a della Moby Zaza per la quarantena.
180 persone lasciate in mare, dove è l’umanità di sinistra? Gioacchino Criaco su Il Riformista il 3 Luglio 2020. I thalasse, dove “i” stava per “la” e lo Jonio diventava la mare. Era femmina il velluto di smeraldo che si stendeva sotto il sud dell’Italia, quando i corpi erano animati da sangue greco, tutti erano xeno, l’altro, e non avrebbero potuto rifiutare loro stessi, la filoxenia era l’unica prospettiva possibile. Si apriva la porta a sé stessi. La gloria di cui ancora si orna il sud sta tutta in quell’epoca di mondo grande, con porte aperte, finestre spalancate e sangue che si mischiava al sangue intrecciando melodie di parole diverse, e comprensibili. Sulla Ocean Viking ci sono profughi che scappano da tredici diverse nazioni, si comprendono perché la lingua della paura, della disperazione, della diaspora, ha termini universali. La nave della Ong Sos mèditerranèe ne ha raccolti 180, in quattro distinte operazioni di salvataggio. Si capiscono perché durante le notti delle traversate hanno messo in fila i loro corpi, unito i fiati, per riscaldarsi. Sotto il sole del mezzogiorno si sono fatti ombra a vicenda per dare meno superficie alle ustioni. Si sono spartiti l’acqua, il pane e le parole più incoraggianti che possedevano, che chi scappa deve avere con sé, più delle gambe, dei soldi. I thalasse, la mare, madre antica che ha partorito figli per terre che un tempo avevano per nome rifugio, una madre che a volte diventa crudele e, beffarda, apre all’improvviso abissi dove prima ci stava il conforto della seta, e i figli invece di partorirli li divora, illividisce i corpi più scuri, li gonfia e i resti li porta sulla sabbia, ultimo fiore di una agave solitaria. Prospera e civile, benigna, è l’immagine che dà di sé l’Europa, e fra la gente più brava della brava gente del continente, quella di gente brava per antonomasia è la gente italiana. Eppure da Sos meditèrranèe si susseguono gli appelli all’Italia che, beffarda, non risponde e quando lo fa rifiuta un porto alla nave, nega rifugio a 180 disperati, che forse sono tentati di ributtarsi in acqua da soli. In Italia il sangue dei greci non circola più da tempo, soprattutto nella politica, l’accoglienza è una finzione, una bandiera strumentale. Sventolava forte nel Pd, quando al Viminale ci stava Salvini l’inospitale, poi, quando le insegne giallo verdi sono state ammainate, issate quelle giallo rosse, l’umanità di sinistra è diventata un animale mitologico, che appare e scompare all’occorrenza. Così l’esistenza di 180 fortunati, sfuggiti alle fauci di una matrigna di sale, vaga, riponendo speranza nella contingenza, in un evento che renda utile alle insegne rosse occuparsi dell’umanità, che al momento appare celata dietro qualche foschia necessaria, buona per gli eletti e anche per gli elettori.
De Luca: "Stagionali in Piemonte come a Mondragone ma in tv sembra paradiso". Regione Campania 3 luglio 2020. "Ho ascoltato delle notizie relative a una cittadina del Piemonte, credo Saluzzo. Hanno scoperto che i lavoratori stagionali che raccolgono la frutta dormono nei parchi pubblici. Ho visto immagini paradisiache, e non di guerra come accaduto per Mondragone, hanno descritto quella realtà come un pic-nic su prati fioriti - ha detto De Luca - Rilevo qualche diversità nel modo di rappresentare il problema, in qualche misura sovrapponibile. Ma la Campania - ha aggiunto il presidente della Regione - appartiene come è risaputo alla categoria degli afflitti". De Luca ha voluto quindi rivolgere un "ringraziamento ai cittadini di Mondragone, dove saremo per una bella iniziativa capace di rilanciare l'economia. Quel territorio non va danneggiato ma aiutato".
Mauro Evangelisti per “il Messaggero” il 30 giugno 2020. Tra Roma e Cesena, sull'asse dell'E45, sono già una ventina i cittadini del Bangladesh positivi al coronavirus. Una dozzina quelli arrivati da Dacca che poi hanno contagiato dei connazionali. Tre di loro, nella Capitale, sono ricoverati con la polmonite allo Spallanzani, all'Umberto I e al Vannini. In Romagna il virus sta circolando nella comunità di immigrati asiatici, tanto che è stato proprio un commerciante del Bangladesh a segnalare al sindaco di Cesena, Enzo Lattuca, che alcuni connazionali erano tornati da Dacca ma non rispettavano la quarantena. «Questo negoziante - racconta al Messaggero il sindaco di Cesena - ha perso il fratello per Covid-19, morto in Bangladesh. Per cui è molto sensibile su questo tema. Quando ha visto che alcuni connazionali erano tornati a Cesena, dopo essere atterrati a Fiumicino, ma non rispettavano la quarantena, ci ha subito chiamato. Ci ha aiutato anche a recuperare una lista di persone che erano su un volo. Sono già sei i positivi originari di questo paese, perché poi il virus circola all'interno delle famiglie. Quando al laboratorio dell'Ausl di Cesena hanno esaminato il primo tampone, mi hanno subito avvertito: la carica virale era altissima, in Italia non è più così, era evidente che arrivasse dall'estero. Però qualcosa non sta funzionando nei controlli. Dopo che questi cittadini entrano in Italia, nessuno avverte le autorità locali, per cui non è possibile fare con efficacia i controlli sul rispetto della quarantena». Tornando a Roma, l'assessore regionale del Lazio, Alessio D'Amato, ieri lo ha detto chiaramente, dopo che il ritorno di alcuni immigrati dal Bangladesh ha causato anche il mini focolaio dei due ristoranti di Fiumicino (in città, non in aeroporto), tanto che sono stati necessari 1.700 tamponi per circoscrivere il cluster e trovare i positivi (sono una dozzina, tra di loro colleghi del paziente 1 e anche un cliente). «Questa storia di chi torna dal Bangladesh ed è positivo sta diventando un problema serio - attacca D'Amato - alla fine i controlli non ci sono, ne parlerò con il ministro della Salute, Roberto Speranza. La quarantena va fatta, anche in strutture dedicate come hotel. Altrimenti, queste persone, comprensibilmente, tornano nella loro comunità e poi contagiano amici e parenti. Sono molto arrabbiato». Sia il sindaco di Cesena, sia l'assessore regionale del Lazio ovviamente non intendono prendersela con la comunità di immigrati del Bangladesh, tra l'altro molto apprezzata e inserita nel mondo del lavoro (bar, ristoranti e negozi). Anzi, sono le stesse associazioni di immigrati del Bangladesh a chiedere controlli più severi, perché nel loro paese la situazione del coronavirus è drammatica: chi torna, può rappresentare un pericolo. Ha spiegato all'AdnKronos Mohamed Taifur Rahman Shah, presidente dell'Associazione Italbangla: «In Bangladesh c'è il far west. Siamo a favore di controlli più rigidi sugli arrivi. Condanniamo l'irresponsabilità del governo del nostro Paese che non riesce a gestire la situazione. I primi contagi in Bangladesh si sono verificati a marzo per via di nostri connazionali che rientravano dall'Italia. Oggi siamo arrivati a circa 140mila casi: il Bangladesh è tra i primi stati al mondo per numero di contagi. Chi cerca di arrivare dal Bangladesh in Italia oggi lo fa per due motivi. Il primo è per tornare sul luogo di lavoro. Il secondo è più preoccupante ed è collegato alla diffusione del coronavirus nel nostro Paese». L'incognita dei casi di importazione preoccupa anche il Veneto: ieri il governatore Luca Zaia ha parlato del focolaio sviluppatosi a causa di una badante tornata dalla Moldavia. «In forma gratuita - ha detto Zaia - faremo il tampone a tutte le badanti in Veneto». Intanto, l'Unione europea, per oggi, dovrebbe ufficializzare la lista dei Paesi extra Ue da cui si potrà arrivare dal primo luglio senza la quarantena (esclusi Brasile e Usa). Ma ieri il ministro Speranza ha ribadito: «In giro per il mondo la situazione è molto complessa. Oggi chi arriva da paesi extra europei ed extra Schengen deve fare la quarantena. Questa norma è già prevista nel nostro Dpcm ed è vigente, credo che vada conservata». Ma qualcuno deve verificare se la quarantena è rispettata, altrimenti è inutile.
Da rainews.it il 25 giugno 2020. Sono 49 i casi di persone positive al Covid nel focolaio scoppiato nel complesso residenziale noto come Palazzi ex Cirio, a Mondragone, comune sul litorale di Caserta. Si tratta in massima parte di cittadini bulgari che vivono in quattro dei cinque palazzoni diventati zona rossa da lunedì 22 giugno, dopo che è entrata in vigore l'ordinanza della Regione. Vanno inoltre avanti, anche se a rilento, le operazioni di trasferimento delle persone positive, peraltro tutte asintomatiche, al Covid Hospital di Maddaloni, dove sono diciannove quelli attualmente ricoverati; ieri sono stati trasferiti sei contagiati, ne mancano all'appello altri tredici, cui si aggiungono i nuovi positivi. Qualcuno tra i positivi, però, non si riesce a rintracciare; molti inquilini, specie tra gli stranieri, non sono censiti, e si ipotizza che abbiano fatto perdere le tracce, per paura di perdere il lavoro. Molti sono braccianti e lavorano nei campi dove vengono sfruttati da caporali di nazionalità bulgara. Caporali che vivono proprio negli ex Palazzi Cirio. Nonostante il cordone sanitario che vieta l'ingresso e l'uscita dall'area del comprensorio di edifici, stamane decine di persone, per lo più appartenenti alla comunità bulgara che vive in quei palazzoni, hanno violato la zona rossa e sono scesi in strada chiedendo di poter tornare a lavorare. La maggior parte svolge lavori nei campi come braccianti agricoli. Ci sono stati momenti di tensione, ma le forze dell'ordine che presidiano i varchi, sono riuscite a far rientrare gli stranieri nelle loro abitazioni. In strada sono scesi anche i cittadini di Mondragone che accusano i cittadini bulgari di uscire di notte dalla zona rossa per raggiungere le campagne al fine di proseguire il lavoro nei campi. Il sindaco, insubordinazione, si agisca. "Ho assistito personalmente ad un inaccettabile atto di insubordinazione di oltre 50 cittadini, stranieri e non, i quali uscendo dalle rispettive abitazioni e violando di fatto il cordone sanitario, hanno creato paura nella cittadinanza, che ha dovuto assistere all'impotenza delle poche forze dell'ordine presenti. Al prefetto chiedo di adottare ogni misura al fine di ripristinare la legalità". Così il sindaco di Mondragone, Virgilio Pacifico. De Luca, in arrivo contingente Esercito "Questa mattina ho avuto un colloquio con il Ministro dell'Interno Luciana Lamorgese in relazione alla zona rossa istituita negli ex palazzi Cirio di Mondragone. Ho chiesto l'invio urgente di un centinaio di uomini delle forze dell'ordine per garantire il controllo rigoroso del territorio. Il Ministro ha annunciato l'arrivo di un contingente dell'Esercito". Lo dice il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca.
Dagonews il 26 giugno 2020. L'infettivologo Matteo Bassetti ieri sera ha criticato la gestione del focolaio di Mondragone a ''Effetto Notte'' su Radio24: ''Non si può agire così con le informazioni sanitarie di ciascuno, soprattutto in caso di malattie infettive. Non si può rivelare a tutta l'Italia indirizzo e abitazione di chi è malato di Covid. Stiamo calpestando decenni di lotte per la legge sulla privacy. Immaginate cosa succederebbe se facessi scrivere sulla porta di un mio paziente ''malato di tubercolosi'' o ''positivo all'Hiv''. Cosa farebbero i vicini? Così si sviluppa una guerra contro gli untori, esattamente come è successo nel paese in provincia di Caserta. Bisogna trovare un modo per tutelare la privacy di chi si trova in un focolaio, trattarli come portatori di morte è assurdo, soprattutto ora che il virus non manda più così tante persone in ospedale. Del focolaio campano, infatti, quanti sono stati ricoverati? A quanto so, nessuno. Sono persone asintomatiche o con pochi sintomi che hanno ricevuto tamponi a tappeto e dunque sono risultate positive''. Bassetti, con Alberto Zangrillo e altri colleghi medici, ha firmato un documento per esortare i media, i suoi colleghi e le autorità, a non terrorizzare più la popolazione sul tema virus. ''bisogna mantenere distanze e mascherine quando non si può, ma ora il virus non è più quello di tre mesi fa. Ci sono meno di 100 persone in terapia intensiva in tutto il paese, erano più di 4mila''.
Mary Liguori per “il Messaggero” il 26 giugno 2020. Gli insulti razzisti, il lancio di sedie dai balconi, i furgoni catapultati e le targhe delle auto degli stranieri esibite come trofei. Mondragone brucia di rabbia e, per la prima volta nella sua lunghissima storia di città di mare con l'accoglienza nel dna, rischia di implodere sotto il peso delle tante, troppe assurdità sociali. Per dieci anni, i bulgari dei Palazzi Cirio sono stati un esercito di invisibili a buon mercato. Valgono, sui campi di pomodori, gli uomini tre euro l'ora, le donne uno e mezzo. Pagano, a testa, anche cento euro ciascuno per vivere nei palazzi che dovevano essere il trampolino del boom turistico e invece sono diventati un ghetto senza regole che, quando le regole se l'è viste imporre col coprifuoco e la zona rossa per gli oltre cinquanta contagi registrati, ha finito per scoppiare. La lunga giornata di Mondragone è iniziata con la protesta dei bulgari che, ieri mattina, violando il nastro biancorosso e i New Jersey che sono bastati, altrove, a contenere interi paesi in quarantena, si sono riversati in viale Margherita a chiedere viveri e medicinali. Il corteo è rientrato grazie alla mediazione della Digos. Ma l'azione degli stranieri è stata letta da un gruppo di italiani come una sfida e si è rivelato essere solo il primo grado di una tensione che nel pomeriggio è esplosa in tutta la sua violenza. L'«evasione» dei bulgari non è piaciuta ai mondragonesi che prima hanno assediato il Municipio, poi i Palazzi Cirio. Nelle stesse ore in cui il ministro Lamorgese annunciava rinforzi in arrivo e il governatore De Luca incontrava i vertici sanitari e delle forze dell'ordine nella locale caserma dei carabinieri. La miccia Covid innesca la polveriera Litorale e rompe un equilibrio tanto precario quanto conveniente. Alle 16 va in scena la guerriglia urbana ai Palazzi Cirio. Due ore prima, via whatsapp e sui social, qualcuno fa circolare un messaggio che suona come una chiamata alle armi. Scrivono di «un corteo pacifico», gli organizzatori, ma è chiaro sin da subito che la situazione è destinata a degenerare. E infatti due ore dopo sono già oltre centocinquanta le persone che prendono d'assedio i Palazzi Cirio. I bulgari, dopo le fughe e le «catture», sono stati rintracciati e messi in quarantena. I quattro positivi fuggiti due giorni fa, sono ormai rassegnati alla clausura e osservano i manifestanti dai balconi. Ben presto partono i cori si sfida «Uscite, uscite adesso», gridano gli italiani dalla strada, condendo gli sfottò con pesanti epiteti razzisti. È un attimo: dai piani più alti dei palazzi volano un paio di sedie. Qualcuno ne raccoglie i pezzi e ne ricava un punteruolo. Un altro gruppo di persone si avventa sui mezzi dei bulgari parcheggiati in strada. Cercano di catapultare un furgone, sfondano i finestrini, strappano le targhe delle auto degli stranieri e le esibiscono come trofei. Dal portone di uno dei cinque palazzi sgattaiola fuori un ragazzino: gli agenti in tenuta antisommossa fanno in tempo a bloccarlo prima che finisca preda della folla e vittima di un inevitabile linciaggio. Quando la situazione è già quella di una guerriglia urbana, arrivano le rassicurazioni ministeriali: cinquanta militari dell'Esercito arriveranno a Mondragone entro oggi. La richiesta del governatore De Luca e del sindaco Pacifico ha avuto una risposta immediata sul piano comunicativo, meno tempestiva su quello pratico. Per lunghe ore le esigue risorse del posto, tra carabinieri, polizia e guardia di finanza, sono riuscite a tener testa alla rivolta non senza difficoltà. Un poliziotto è rimasto ferito alla testa in maniera non grave durante uno dei tentativi di sfondamento da parte dei manifestanti. Dal punto di vista sanitario, ieri il numero di contagiati è salito a 43 su un totale di 727 tamponi eseguiti. Rintracciati nella piana del Sele 19 bulgari fuggiti per non sottoporsi ai tamponi (poi risultati negativi) e anche i quattro contagiati fuggiti dalla zona rossa due giorni fa. Dal punto di vista epidemiologico, la situazione è tutt'altro che rassicurante. Il presidente De Luca ha tenuto un vertice presso la compagnia dei carabinieri e ha annunciato che da oggi a Mondragone ci saranno i camper dell'Asl presso i quali chiunque potrà farsi sottoporre a screening. I risultati saranno determinanti per stabilire se la zona rossa va estesa a tutta la città. «Inaccettabile quanto accaduto a Mondragone, giusta la decisione del presidente De Luca di indire la zona rossa, bene anche l'invio dell'Esercito disposto dal ministro Lamorgese: le regole vanno rispettate, soprattutto in questa fase», ha commentato il viceministro dell'Interno, Matteo Mauri. La decisione di disporre l'isolamento per l'intera città finora non è stata presa per diversi motivi. La conformazione dei Palazzi Cirio, dove è concentrato il focolaio, avrebbe dovuto consentire l'isolamento senza particolari difficoltà e poi si è inteso evitare di compromettere la recente riapertura delle attività commerciali e degli stabilimenti balneari che stanno cercando di rialzarsi dopo il lockdown. È chiaro che anche gli assembramenti che si sono registrati ieri potrebbero innescare decisioni impopolari ma necessarie per tutelare la salute pubblica.
Maria Rosa Tomasello per “la Stampa” il 27 giugno 2020. È sempre una faccenda di scelte sbagliate, la storia di un fallimento politico che sul litorale domiziano si intreccia con vecchie speculazioni edilizie e malaffari. A Mondragone, che voleva essere la Versilia della Campania, il fuoco della rabbia - per il futuro che non è stato e per il lavoro che non c'è -, cova sotto la cenere. In una terra dove gli abusi hanno reso invisibili la spiaggia e l'acqua cristallina, così come la bellezza del territorio, il simbolo di questi errori è la zona rossa dei palazzi Cirio, un ghetto a poche centinaia di metri dal municipio dove 700 persone vivono in isolamento dal 22 giugno: è qui che giovedì si è sfiorato lo scontro violento tra la comunità bulgara che contestava la quarantena e i cittadini infuriati per le fughe dall'area sottoposta a lockdown. Il giorno dopo il cordone steso dall'esercito - 80 militari del Raggruppamento Campania assegnati all'emergenza Covid e finora dislocati tra Napoli e Salerno - ha fatto calare la tensione. Ma la calma è solo apparente. Nella notte tra giovedì e venerdì il furgoncino di un cittadino bulgaro è stato dato alle fiamme con una bottiglia incendiaria. La città è scossa, la fragile economia basata sull'agricoltura che in questo periodo si aggrappa al turismo, vacilla. «Molti imprenditori agricoli hanno tranciato il raccolto di ieri e dell'altro ieri perché non hanno manodopera per raccogliere la frutta e i prodotti orticoli: molti dei loro braccianti sono chiusi qui dentro», racconta Mino Di Lorenzo, oggi produttore di Falerno, amministratore negli anni Ottanta nelle file dei Repubblicani. Negli alberghi della costa domiziana la metà delle prenotazioni viene disdetta perché i turisti hanno paura: della vicinanza con il focolaio del virus, ma anche della rabbia che hanno visto montare. «Mi hanno chiamato da Firenze per un soggiorno previsto in agosto, volevano sapere se sarà possibile venire», racconta la receptionist dell'International Resort, uno dei pochi alberghi aperti. «Io credo che anche ai miei concittadini questa storia è sfuggita di mano». A metà pomeriggio, un ragazzo magro di nome Antonio in sella alla sua bicicletta, si avvicina alle transenne che recintano l'area off limits. Militari e poliziotti si avvicinano. «Non sono mai uscito durante i mesi scorsi, e se io sono rimasto a casa devono rimanere dentro anche loro». Si arrabbia e guarda chi esce dai palazzi per farsi consegnare la spesa portata da amici e parenti. Via Facebook, intanto, è partito un tam tam per aizzare nuove proteste in piazza ma la presenza massiccia di militari e forze dell'ordine scoraggia ogni iniziativa e i pochi che si presentano si allontanano in fretta. «Qui vivono cittadini bulgari di etnia rom che lavorano come braccianti e sono sfruttati dai caporali, in una situazione di abbandono sociale in cui non riusciamo nemmeno a sapere quanti bambini ci sono e quanto è alto l'abbandono scolastico - dice Marco Pagliaro, esponente dell'associazione Resistenza democratica - noi pur prendendo atto della situazione, perché questa è una bomba sociale, ci dissociamo dalla manifestazione di ieri. Non ci siamo mai ribellati in trent' anni di camorra». «Non nominate la camorra: se qui ci fosse stata la camorra questi qui non ci sarebbero - attacca il ragazzo della bici - a me la camorra mi ha fatto sempre stare bbuono». Dentro i palazzoni tirati su negli anni Settanta da Corrado Ferlaino nelle vicinanze di una fabbrica Cirio che impiegava 500 persone, un complesso dove gli ultimi piani e in intero edificio sono abusivi, la tensione resta alta. Costruiti per essere gli appartamenti al mare dei napoletani benestanti, negli anni sono stati prima assegnati ai terremotati dell'Irpinia, quindi, mentre si degradavano progressivamente, sono stati acquistati per pochi soldi e affittati agli immigrati. All'interno non sono solo i cittadini bulgari a scalpitare, perché vogliono tornare nei campi a lavorare per guadagnarsi la giornata, ma anche gli altri residenti, italiani compresi. Racconta Maria: «Mio marito lavora in un allevamento, le mucche devono essere munte ogni giorno, non so quanto il proprietario gli lascerà il lavoro. E anche i miei tre figli, che si arrangiano lavorando nei lidi o con il giardinaggio, hanno perso quegli impieghi precari. Ma l'altra sera abbiamo avuto paura, abbiamo visto la parte peggiore di Mondragone, da una parte e dell'altra». Nessuno dei residenti ieri ha bussato alla porta del camper "Capitan Uncino", collocato sotto ai palazzi per effettuare i test sierologici: «Non è venuto nessuno e abbiamo spostato il personale in questa postazione: domani dovremo andare porta a porta, casa per casa», spiega Vincenzo Grella, coordinatore del Covid Team di Grazzanise. Nella piazza davanti al Comune, dove è stata collocata una delle due postazioni per la raccolta dei tamponi, per tutto il giorno si forma la coda. In un giorno, vengono effettuati complessivamente circa 1400 test. Dopo la scoperta del focolaio e della fuga di alcuni cittadini bulgari dall'area rossa, tutti sono preoccupati e arrabbiati. Racconta la signora Margherita Masciotti, in coda con la figlia: «In questi tre mesi noi stavamo chiusi in casa, e loro andavano in giro, li vedevamo in piazza a bere». Un clima sociale incandescente. E lunedì è previsto l'arrivo del segretario della Lega Matteo Salvini.
ANSA il 24 giugno 2020. Sono 28 i migranti, salvati in acque internazionali dalla nave Sea Watch e imbarcati sulla nave-quarantena Moby Zazà che è in rada a Porto Empedocle (Agrigento), che sono risultati positivi al Covid-19. I tamponi rino-faringei sui 209 extracomunitari presenti sulla Moby Zazà erano stati effettuati nella mattinata di ieri. E in meno di 24 ore è arrivato l'esito. Appena ieri sera era stato reso noto che uno dei migranti sbarcati dalla Sea Watch era stato ricoverato a Malattie infettive dell'ospedale "Sant'Elia" di Caltanissetta. Inizialmente era un caso di sospetta tubercolosi. Poi l'esito del tampone aveva fatto chiarezza. "Le procedure adottate per i migranti sbarcati dalla nave Sea Watch e accolti per la quarantena obbligatoria a bordo del traghetto Moby Zaza, ancorato nella rada di Porto Empedocle, garantiscono la piena tutela della sicurezza sanitaria del Paese". Così fonti del Viminale, precisando che "tutti i migranti sono stati sottoposti fin dal loro arrivo alle procedure previste dalle linee guida sul sistema di isolamento protetto elaborate dalla direzione generale della prevenzione sanitaria del ministero della Salute". "Ventotto migranti positivi sono sulla nave in rada a Porto Empedocle, soluzione che con caparbietà abbiamo preteso il 12 aprile scorso dal governo centrale per evitare che si sviluppassero focolai sul territorio dell'isola, senza poterli circoscrivere e controllare". Lo afferma in un post su Facebook il Governatore della Sicilia Nella Musumeci commentando l'esito dei tamponi effettuati sulle persone a bordo della nave quarantena Moby Zaza. "Oggi si capisce meglio - aggiunge Musumeci - quella nostra richiesta. E chi ha vaneggiato accusandoci quasi di razzismo, oggi si renderà conto che avevamo ragione. Nelle prossime ore andranno adottati provvedimenti sanitari importanti al principio della precauzione. Voglio sperare che a nessuno venga in mente di non coinvolgere la Regione nelle scelte che dovranno essere assunte".
(ANSA il 24 giugno 2020) - "L'allerta è partita dopo che un caso asintomatico è stato segnalato dal personale medico di bordo alle autorità prima dello sbarco. Pur non avendo ancora ricevuto alcuna comunicazione ufficiale dalle autorità sanitarie, oggi abbiamo richiesto un secondo tampone per il nostro equipaggio, che già si era sottoposto al test prima della partenza, con esito negativo". Lo rendono noto dalla Sea Watch. "Il nostro personale medico ha messo in atto il protocollo di monitoraggio dell'insorgere di potenziale sintomatologia nelle persone presenti a bordo, con relativa trasmissione dei dati alle autorità competenti - spiegano dalla ong tedesca - . Il provvedimento di quarantena ci è stato notificato ieri. Inizialmente ci siamo chiesti il motivo dell'imposizione della misura di quarantena, e non di isolamento precauzionale, in attesa di avere ulteriori informazioni sullo stato di salute dei naufraghi, dal momento che il nostro equipaggio, come previsto dal protocollo di sicurezza interno sul contenimento del rischio contagio, non sarebbe comunque sceso dalla nave. Sea-Watch - evidenziano - ha osservato con rigore un protocollo medico di prevenzione Covid19 a bordo, prima, durante e dopo i soccorsi". "Le persone soccorse hanno trascorso ore, talvolta giorni, ammassate in imbarcazioni fatiscenti. Quasi tutte provengono da periodi di confinamento o detenzione in massa in condizioni disumane in Libia, dove, secondo un comunicato diffuso da International Rescue Committee, i contagi di Covid19 sono raddoppiati nelle ultime due settimane" ha detto Giorgia Linardi, portavoce di Sea Watch, il cui equipaggio - a bordo della nave - resta in rada davanti Porto Empedocle (Agrigento). "Siamo coscienti di operare in un contesto pandemico e ci siamo preparati per mesi per sviluppare e adattare le relative procedure sanitarie, non possiamo però sottrarci al dovere, che dovrebbe essere dei governi europei e non della società civile, di soccorrere queste persone e portarle in salvo", ha aggiunto Linardi. "Il soccorso attraverso navi organizzate con personale medico e procedure idonee al passaggio di consegne alle autorità costituisce una garanzia di sicurezza rispetto agli arrivi incontrollati. Questa situazione - ha concluso - è stata finora gestita con la massima cautela e collaborazione da parte dell'equipaggio e delle autorità". Sea-Watch ha informato le autorità dello stato di bandiera rispetto alla situazione. L'organizzazione chiede il supporto del governo tedesco in solidarietà con l'Italia.
AdnKronos il 24 giugno 2020. “Mentre il governo pensa di smontare i Decreti sicurezza e spalanca i porti, le ong portano in Italia immigrati positivi al Covid-19, come quello sbarcato dalla Sea Watch e ora ricoverato in Malattie infettive, e ci sono altri casi sospetti. Altro che scandalizzarsi per qualche selfie con la mascherina: questo governo mette in pericolo l’Italia e gli italiani”. Lo dice il leader della Lega Matteo Salvini commentando le ultime notizie sugli immigrati sbarcati in Sicilia.
Quel paesino di 84 abitanti dove il governo vuole mandare 100 immigrati. Ira dei cittadini: "Perché vogliono distruggere e sostituire la nostra comunità?". Salvini va all'attacco: "Pd e 5 Stelle sono veloci a mandare a casa i boss e a spalancare i porti ai clandestini". Luca Sablone, Sabato 09/05/2020 su Il Giornale. Sembra una notizia assurda, impossibile, incredibile e fantascientifica ma rappresenta una cruda realtà: un Comune italiano rischia di essere quasi completamente "sostituito" dall'arrivo di 100 immigrati. Stiamo parlando di Carapelle Calvisio, un paesino della provincia de L'Aquila di appena 84 abitanti. I migranti starebbero per essere ospitati in una struttura messa a disposizione dalla "Caritas dell'Arcidiocesi di Pescara-Penne Onlus" per il periodo di sorveglianza sanitaria. Arroccato su una delle propaggini meridionali del Gran Sasso d'Italia, il borgo è stato gravemente danneggiato dal terremoto de L'Aquila del 2009, con una significativa percentuale delle abitazioni crollate o dichiarate inagibili dopo i sopralluoghi del caso condotti dalla protezione civile, rientrando così nel cosiddetto "cratere sismico". ll sisma del 6 aprile non lo ha risparmiato: il 40% delle case è andato distrutto, ma gli abitanti si sono rimboccati subito le maniche e hanno provato a risollevarsi da una drastica situazione. La denuncia è arrivata da Matteo Salvini: "Il governo non manda aiuti e risposte ai cittadini, ma in compenso è pronto a spedire un centinaio di immigrati in un paese di circa 80 anime come Carapelle Calvisio, in provincia de L'Aquila". Il leader della Lega la giudica una vera e propria follia e perciò ha rivolto un duro attacco nei confronti del governo giallorosso: "Conte, Pd, 5 Stelle sono veloci a mandare a casa i boss e a spalancare i porti ai clandestini". Un primo esperimento italiano di "eliminazione identitaria": l'ha definito così Luigi D'Eramo. Nel paesino oggi vivono appena 84 abitanti, con un'età media di circa 60 anni, ovvero una categoria per definizione debole: "Il piccolo Comune oggi ha i fondi sufficienti appena per garantire i servizi essenziali, mentre non ha risorse per garantire i servizi di sicurezza urbana visto che ha in organico appena un dipendente e un ragioniere che appartiene a un altro Comune". Addirittura non ha a disposizione neanche un'unità di polizia municipale. Si verrebbe a creare un aumento di popolazione di oltre il 110%: "Un caso unico a livello italiano che determinerebbe una situazione insostenibile sotto ogni punto di vista".
"Vogliono distruggerci". Il deputato aquilano del Carroccio ha evidenziato i rischi di tale assurdità: non solo si cancellerebbe l'identità di un'intera comunità, ma da una parte si rischierebbe di stravolgere "una quotidianità secolare" e dall'altra si minerebbero tranquillità e sicurezza "con possibili, quasi certe, gravi ripercussioni". La vicenda conferma la linea politica dell'esecutivo giallorosso, che ha contribuito all'aumento degli sbarchi ad aprile e che sta inseguendo il folle progetto di regolarizzazione di 600mila immigrati. "Uno dei più piccoli e tranquilli comuni d’Italia sta per essere letteralmente invaso dall’arrivo di migranti, peraltro in piena emergenza Covid-19. È una circostanza intollerabile che la Lega combatterà con tutte le sue forze, in ogni sede", ha concluso D'Eramo. Ma come l'avranno presa i cittadini? Non proprio bene. Una abitante si è sfogata a ilGiornale.it e ha espresso tutta la sua rabbia dopo aver ricevuto la notizia: "Ma perché vogliono distruggere un paesino di vecchietti? E poi quelli che arriveranno dove dormiranno? Lavoreranno? Dove mangeranno? Carapelle Calvisio non è cambiata in tantissimi anni. Tutto va bene e quando le cose vanno bene non si cambia nulla". Ma anche chi è nativo del posto e al momento si trova in Canada si definisce deluso e sconcertato per l'arrivo dei migranti: "L'anno prossimo mi metterò in viaggio e tornerò. Avevo intenzione di tornare il 15 aprile ma l'emergenza Coronavirus non me l'ha permesso. Spero che per quando tornerò il governo si sarà dato una svegliata".
"Un paesino sostituito dagli immigrati". Ecco tutto quello che c'è dietro. Ora spuntano le carte. Cittadini furiosi: "È una cosa vergognosa". La Lega promette battaglia e attacca: "Le azioni politiche del Pd sono false e dannose". Luca Sablone, Domenica 10/05/2020 su Il Giornale. Accuse incrociate, chiarimenti, caos, dubbi e proteste: il possibile arrivo di 100 immigrati a Carapelle Calvisio ha movimentato in maniera notevole la politica abruzzese e nazionale. Ieri vi abbiamo parlato del paesino in provincia de L'Aquila che conta circa 84 abitanti e che rischia di essere "sostituito" dai migranti che starebbero per essere ospitati in una struttura messa a disposizione dalla "Caritas dell'Arcidiocesi di Pescara-Penne Onlus" per il periodo di sorveglianza sanitaria. L'accusa della Lega nei confronti del governo è stata tanto chiara quanto dura: "Sono veloci a mandare a casa i boss e a spalancare i porti ai clandestini. Non permetteremo questa sostituzione identitaria". Ma nelle scorse ore è arrivata la presa di posizione del Partito democratico, che ha puntato il dito contro la Regione Abruzzo: "La struttura di Carapelle Calvisio è stata individuata dal Dipartimento Lavoro e Sociale della Regione Abruzzo, che fa capo all’assessore della Lega Piero Fioretti". Ma è proprio così? Il leghista, contattato in esclusiva da ilGiornale.it, ha provato a fare chiarezza su quanto sta accadendo. Tutto è partito da mercoledì 22 aprile, quando la Prefettura de L'Aquila - su richiesta del soggetto attuatore nominato dal Capo Dipartimento nazionale di protezione civile - ha diramato una nota per sollecitare ad adoperarsi per trovare idonei alloggi volti all'accoglienza nel corso dell'epidemia. E poi sono iniziati a sorgere diversi interrogativi. "La Prefettura ha scritto alla presidenza e alla sola Asl de L'Aquila. Mi sembra strano perché se chiami in causa la presidenza della Regione per un'azione di livello regionale devi coinvolgere tutte e 4 le Asl", fa notare Fioretti. Effettivamente ci sono anche l'Asl 2 Lanciano-Vasto-Chieti, l'Asl 3 Pescara e l'Asl 4 Teramo.
Quella risposta della Caritas. Vi era già stata qualche azione di interlocuzione con qualche ente o associazione che aveva strutture sull'aquilano? "Guarda caso è uscita fuori l'unica che ha risposto a quell'informativa", fa notare l'assessore del Carroccio. Si tratta di un'associazione che ha sede a Pescara e che ha messo a disposizione la struttura su L'Aquila: "Pochi giorni dopo un funzionario, un dirigente della Caritas ha risposto mettendo per conoscenza anche il direttore della Caritas diocesana Pescara-Penne, don Marco Pagniello". Nella risposta infatti si legge che viene comunicata l'intenzione da parte della Fondazione Caritas dell'Arcidiocesi di Pescara-Penne Onlus di rendere disponibile una struttura di accoglienza di proprietà sita nel Comune di Carapelle Calvisio. "La struttura è provvista di camere con bagno e spazi interni ed esterni. Per capire meglio l'idoneità degli alloggi a garantire le previste misure di sorveglianza in considerazione della particolare tipologia di accoglienza chiediamo di poter conoscere le condizioni dell'accoglienza", viene specificato. Infine è stato richiesto anche di conoscere le condizioni economiche previste. Fioretti punta il dito contro il governo giallorosso, facendo sempre riferimento al fatto che il Capo Dipartimento della protezione civile ("che risponde sia al presidente del Consiglio Giuseppe Conte sia al Ministero dell'Interno") ha nominato un soggetto attuatore. Nella nota della Prefettura viene menzionato il decreto n. 1287 in data 12 aprile 2020, chiedendo di individuare - per gli immigrati che giungono sul territorio nazionale in modo autonomo - aree o strutture da adibire ad alloggi per il periodo di sorveglianza sanitaria previsto dalle vigenti disposizioni.
L'ira dei cittadini. Lo stesso Fioretti ha risposto alle accuse ricevute dal Pd abruzzese: "Il teatrino mediatico messo in campo da questi fantomatici rappresentanti politici ormai non stupisce, anzi rende più agevole smascherare la palese falsità e dannosità delle azioni politiche del Partito democratico". Il sindaco Domenico Di Cesare non ci sta e va all'attacco: "Sono deluso, nessuno mi aveva informato di una simile eventualità: in un periodo delicato come quello che stiamo vivendo, in piena emergenza sanitaria, quando si dovrebbe bandire ogni forma di contatto, a Carapelle potrebbero arrivare 100 migranti". Il primo cittadino si è detto soddisfatto dal comportamento tenuto fino ad ora dai suoi cittadini, che hanno rispettato le rigide norme previste dal governo, ma allo stesso tempo è preoccupato: "Ora, però, potremo presto ritrovarci con molte persone in quarantena. Chi ci assicura che queste persone saranno controllate? Chi mi dà la garanzia che gli abitanti di Carapelle non andranno incontro a maggiori rischi in questo modo? Chi li controllerà? Chi vigilerà sul loro rispetto delle regole?". Anche i cittadini hanno espresso la loro rabbia per la notizia. "È una cosa vergognosa. Qui passiamo la vita in pace, ci conosciamo tutti e nonostante questo portiamo la mascherina come norma anche se sappiamo che qui non c'è nulla. Se arrivano sicuramente porteranno il Covid-19. Un numero che raddoppia il numero di abitanti è impossibile che non contenga contagi", ci confessa un abitante. Il malcontento è notevole: "Perché vogliono sostituirci con questi immigrati?". In molti sperano che l'arrivo venga scongiurato, ma l'ira nei confronti del governo è chiara: "Incoscienti, va impedito assolutamente, c'è a rischio la nostra vita. È un'idea criminale".
Altro disastro della Bellanova Buco del Fisco sulla sanatoria. La regolarizzazione degli stranieri tanto voluta dal ministro è un fallimento: in nero un milione di collaboratori domestici. Alberto Giorgi, Giovedì 27/08/2020 su Il Giornale. La maxi-sanatoria dei lavoratori irregolari firmata Teresa Bellanova è un flop. A quattro mesi di distanza dal provvedimento che puntava a regolarizzare – nel settore agricolo e non solo – i lavoratori in nero, di risultati e benefici per il Fisco ne sono arrivati ben pochi, per non dire pochissimi. Oltre al buco nell’acqua tra i braccianti agricoli vittima del caporalato, il provvedimento fortissimamente voluto dalla ministra renziana dell’Agricoltura (minacciò persino le dimissioni qualora la maggioranza giallorossa non avesse approvato la sanatoria) ha raccolto le briciole anche tra i collaboratori domestici. Secondo le stime di Bellanova e dell’esecutivo, la regolarizzazione avrebbe dovuto portare nelle casse dell’erario oltre tre miliardi di euro l’anno. La realtà è ben altra e l’introito molto più bassi di circa due miliardi. Questo perché – secondo i dati raccolti ed elaboratori dall’Osservatorio nazionale Domina nel suo rapporto annuale sul lavoro domestico – oltre un milione, tra colf e badanti, continuano a lavorare in nero. E così dalla regolarizzazione di queste figure il Fisco non ne ricava più di 300 milioni l’anno. Come sottolineato da La Verità, che riporta i numeri del report di Domina, le domande di regolarizzazione sono state appena un terzo di quelle stimate dal governo; dal primo giugno a Ferragosto, infatti, le domande sono state 207.542, contro le 600.000 preventivate dalle rosee aspettative del Conte-bis. Per la maggior parte, peraltro, hanno interessato proprio le colf e le badanti, rispettivamente 122.247 e 54.601. Solamente 29.500 le richieste di regolarizzazione arrivate dal mondo dell’agricoltura. E pensare che nelle intenzioni della titolare dell’Agricoltura la (sua) sanatoria avrebbe dovuto giovare, in primis, ai braccianti agricoli. Anche in questo caso la realtà delle cose racconta che solo un bracciante su cinque è stato effettivamente regolarizzato. Insomma, i numeri parlano chiaro. La sanatoria di Bellanova e dei giallorossi non ha portato a casa i risultati annunciati: all’appello, infatti, mancano due miliardi di euro. "Si tratta di importi economici importanti che non solo porterebbero benefici al nostro sistema fiscale, ma che consentirebbero anche alle famiglie datori di lavoro domestico ed ai lavoratori stessi di vivere il rapporto di lavoro con maggiori tutele e garanzie", spiega Lorenzo Gasparrini, segretario generale Domina, a commento dei dati raccolti dalla relazione. Tra le ragioni del fallimento, assai probabilmente, i costi per la procedura di regolarizzazione, a carico del datore di lavoro: per ogni lavoratore messo in regola il costo a carico del datore di lavoro è di 500 euro. Una cifra che in molti casi ha scoraggiato di intraprendere l’iter di regolarizzazione.
Bellanova: “Senza le regolarizzazioni, rifletto sulle mie dimissioni”. Lisa Pendezza il 06/05/2020 su Notizie.it. Senza il via libera alle regolarizzazioni, la ministra Bellanova potrebbe rassegnare le dimissioni: "Non sono qui a fare tappezzeria". Quello della regolarizzazione dei migranti irregolari, per far fronte all’emergenza sanitaria e alla crisi economica in atto, è uno dei tanti nodi ancora da sciogliere all’interno della maggioranza per la stesura del decreto maggio e la ripartenza del Paese. A farsene portavoce è, in modo particolare, la ministra delle Politiche agricole Teresa Bellanova, la quale ha ribadito che non si tratta di una “battaglia strumentale per il consenso” quanto, piuttosto, una necessità da cui dipende la sua stessa permanenza al governo: in caso di nulla di fatto, non esclude la possibilità di presentare al presidente del Consiglio le proprie dimissioni.
Bellanova minaccia le dimissioni. Ai microfoni di Radio Anch’io, la ministra Bellanova ha ribadito che la regolarizzazione non ha a che fare con il gioco politico, dal momento che i lavoratori interessati dalla manovra non possono accedere alle urne: “In questo Paese, anche in questa fase di crisi, tanti guardano al consenso, a fare misure per dire "ti ho dato, ora votatemi". Noi stiamo facendo una battaglia per quelli che non voteranno o che almeno non voteranno nei prossimi anni”. “Se la misura non passa, questo, per me, è motivo di riflessione sulla mia permanenza nel governo” ha continuato la ministra. “Non sono qui per fare tappezzeria. Ci sono delle questioni che non si sono volute affrontare o che sono state affrontate in maniera sbagliata”. L’obiettivo è “concedere un permesso di soggiorno temporaneo per sei mesi, rinnovabile per altri sei, per le aziende e le famiglie che vogliono regolarizzare. Ci sarà anche un contributo per lo Stato, anche se non bisogna esagerare: si tratta di persone sfruttate per 3 euro l’ora facendo concorrenza sleale alle imprese che rispettano le regole”. A sostegno delle misure chieste dalla ministra dell’Agricoltura interviene Luciana Lamorgese, che parla di una “condivisione di fondo. Ieri abbiamo avuto degli incontri. Riguarderà anche tanti italiani oltre che gli stranieri. C’è la necessità di far emergere questi lavoratori non solo per garantire i diritti delle persone, ma anche per esigenze di sicurezza sanitaria che in questo momento sono necessarie. Stiamo lavorando e spero che nelle prossime ore si riesca ad arrivare ad un testo definito”.
Regolarizzazione migranti, Teresa Bellanova si commuove durante la conferenza stampa. “Voglio sottolineare un punto per me fondamentale, l’emersione dei rapporti di lavoro. Da oggi gli invisibili saranno meno invisibili”. Lo dice la ministra per le Politiche Agricole Teresa Bellanova in conferenza stampa a Palazzo Chigi. “Da oggi possiamo dire che lo Stato è più forte del caporalato”, aggiunge. Redazione de Il Riformista il 13 Maggio 2020.
Da adnkronos.com il 14 maggio 2020. "Voglio sottolineare un punto per me fondamentale, l'emersione dei rapporti di lavoro. Da oggi gli invisibili saranno meno invisibili". E' con voce rotta dalla commozione che la ministra delle Politiche Agricole Teresa Bellanova alla fine del suo intervento in conferenza stampa si sofferma su "un punto per me fondamentale, l'emersione dei rapporti di lavoro" prevista dal dl rilancio. "Da oggi possiamo dire che lo Stato è più forte del caporalato", scandisce. "Quelli che sono stati sfruttati nelle campagne o nelle false cooperative non saranno invisibili, potranno accedere ad un permesso di soggiorno per lavoro e noi le aiuteremo ad essere persone che riconquistano la loro identità e la loro dignità. Abbiamo fatto una scelta chiara, possiamo dire che da oggi vince lo stato, perché è più forte della criminalità e del caporalato", dice. Con il dl Rilancio "il settore agroalimentare ha una dotazione specifica: abbiamo destinato 1 miliardo e 150 milioni di euro per sostenere la filiera agricola", spiega Bellanova. "Gli interventi saranno finalizzati ai settori che hanno più sofferto, il florovivaismo, gli agriturismi, la filiera del vino".
Bellanova in lacrime: “Lo Stato è più forte del caporalato”. Debora Faravelli il 13/05/2020 su Notizie.it. Lacrime per il ministro Bellanova durante la conferenza stampa istituita per illustrare il Decreto Rilancio. Durante la conferenza stampa per la presentazione del Decreto Rilancio il ministro Bellanova è scoppiata in lacrime mentre stava illustrando uno dei provvedimenti a lei competenti. Si tratta dell’articolo 110 bis relativo all’emersione dei rapporti di lavoro, un tema che per la sua storia le sta particolarmente a cuore.
Bellanova in lacrime in conferenza stampa. Dopo essere intervenuta sulle misure riguardanti il mondo dell’Agricoltura e poco prima di chiudere la sua presentazione, l’esponente di Italia Viva ha voluto concentrarsi su quelli che ha chiamato “invisibili“. Senza riuscire a trattenere la commozione, che l’ha costretta a fermarsi prima di continuare il discorso, si è infatti detta orgogliosa di quanto stabilito dal governo per “quelli che sono stati brutalmente sfruttati nei campi o nelle false cooperative dove le persone venivano date in prestito per lavorare come badanti e colf”. Secondo quanto contenuto nel Decreto queste categorie potranno infatti accedere ad un permesso di soggiorno per lavoro in modo da riacquistare la loro dignità. E infine una frase che riassume il senso di quanto affermato: “Lo Stato è più forte della criminalità e del caporalato“. Anche il Premier Conte, che ha preso la parola subito dopo, non ha potuto fare a meno che ringraziare la titolare del dicastero dell’Agricoltura per la passione e il coinvolgimento con cui ha illustrato il provvedimento. A tal proposito anch’egli ha definito le regolarizzazioni un risultato importante e una battaglia di civiltà.
Le reazioni. Immediate le reazioni della politica su Twitter alla commozione del ministro. Prima fra tutte quella del suo leader Matteo Renzi che si è complimentato con lei esprimendosi “fiero e orgoglioso delle battaglie di Teresa Bellanova”. Anche Matteo Salvini non ha mancato di commentare le sue lacrime in chiosa alla sua opinione, nettamente negativa, delle misure economiche varate dal governo. “Le lacrime del ministro Bellanova (Fornero 2) per i poveri immigrati, con tanti saluti ai milioni di italiani disoccupati, non commuovono nessuno“. Anche Giorgia Meloni è intervenuta sull’argomento dicendosi basita della commozione di un ministro per la regolarizzazione degli immigranti quando “migliaia di italiani hanno pianto schiacciati dalla disperazione di aver perso tutto. Aspettando un aiuto che non è arrivato mai“. Dello stesso tenore anche le parole di Mariastella Gelmini, preoccupata delle lacrime degli italiani.
Il paragone con Elsa Fornero. C’è stato poi chi ha paragonato il ministro ad Elsa Fornero, anch’essa scoppiata in lacrime durante la presentazione della manovra finanziaria del 2011. L’allora ministro si era commossa non riuscendo a pronunciare la parola “sacrifici” riferendosi a quanto chiesto ai cittadini a causa dello stop all’adeguamento annuale delle pensioni in base all’inflazione.
Teresa Bellanova in lacrime, Giorgia Meloni "basita": "Lei piange per i migranti, gli italiani per un aiuto mai arrivato". Libero Quotidiano il 13 maggio 2020. "Sono basita". Giorgia Meloni commenta così, laconica, le lacrime di Teresa Bellanova per l'accordo raggiunto nel governo sulla sanatoria per i migranti irregolari che lavorano nei campi. "Centinaia, forse migliaia di italiani in queste settimane hanno pianto, magari di notte, di nascosto dai loro figli, schiacciati dalla disperazione per aver perso tutto, o per timore di perdere tutto - le ricorda la leader di Fratelli d'Italia alla ministra dell'Agricoltura renziana -. Aspettando un aiuto che non è arrivato mai. Stasera il Ministro Bellanova si è commossa. Ma per la regolarizzazione degli immigrati. Io sinceramente sono basita", conclude su Facebook la Meloni.
Teresa Bellanova su Facebook il 14 maggio 2020. È vero. Ho pianto. Ho faticato, ho combattuto, e alla fine ho pianto. Hanno accostato le mie lacrime ad altre lacrime: le hanno riportate ad un genere, quello femminile. Io invece ho avuto la forza di piangere - sì, la forza - perché ho fatto una battaglia per qualcosa in cui credevo sin dall’inizio, perché ho chiuso il cerchio di una vita che non è soltanto la mia, ma è quella di tantissime donne e uomini che come me hanno lavorato nei campi. Però una cosa la voglio dire, a chi sta con me e a chi sta contro di me: le lacrime non le giudicate perché appartengono non a me sola, ma a chi ha ogni giorno il coraggio di sfidare per cambiare, sapendo che si può perdere o vincere. Sono cose che hanno a che fare con la vita, con l’impeto e la forza delle idee. Le lacrime sono il segno costitutivo, generativo della nostra specie. Chi le teme, o chi non ne comprende il senso e la forza, ha perso di vista il carattere più importante dell’umano: la coscienza delle cose, quant’è prezioso mostrarsi vulnerabili. Se abbiamo perso di vista questo, se non sappiamo più riconoscere cosa significa il pianto di chi crede in quello che fa, è preoccupante. Più di ogni battaglia, vinta o persa che sia. La forza delle donne, ed anche di molti uomini, è proprio saper piangere: non esiste un “pianto di genere“, perché l’unico genere capace di pianto è quello umano. Le donne qui non c’entrano nulla: c’entrano coloro che ogni giorno portano avanti le battaglie in cui credono, magari impopolari ma giuste. Quelli che avanzano il cuore senza bisogno di calcolare le distanze. Spostano la notte più in là. E credono nella politica che guarda in faccia i problemi che attendono risposte.
Dagospia il 14 maggio 2020. Da “24Mattino – Radio 24”. Il confronto con le lacrime della Fornero, "Mi avrebbe imbarazzato molto di più un paragone con Salvini che non con una professoressa come la Fornero". Così la ministra per le Politiche Agricole Teresa Bellanova a 24Mattino di Simone Spetia e Maria Latella su Radio 24. "Se mi avessero confrontato a Salvini, questo mi avrebbe fatto molto male. La professoressa Fornero è persona di grande competenza e professionalità che io rispetto anche se su alcune cose la pensiamo in modo differente". A proposito delle sua commozione specifica "ci sono dei momenti in cui i sentimenti non si riesce a governarli noi siamo il frutto della nostra vita e della nostra storia, chi non sente questo evidentemente le cose che fa le fa da mestierante". "Io ho avuto la fortuna, nella mia vita, di avere momenti difficili, complicati - ha spiegato a Radio 24 - ma di fare le cose che ho voluto fare con grande passione e ieri tutto questo mi si è palesato in un momento in cui ero nella condizione di poter dire che si migliorava la vita degli altri" ha concluso commuovendosi ancora. "Noi andiamo incontro alle grandi campagne di raccolta dove c’è bisogno di manodopera, io stessa ho detto rendiamo compatibile il Reddito di Cittadinanza con il lavoro stagionale per un certo numero di giornate, è un lavoro che si sta facendo. Agli italiani non è mai stato impedito di andare a lavorare in agricoltura ma non possiamo obbligare le persone a fare un lavoro o un altro quindi dobbiamo agire su tutti gli strumenti e dare alle persone il diritto di fare questo lavoro in modo legale” Così la ministra per le Politiche Agricole Teresa Bellanova a 24Mattino di Simone Spetia e Maria Latella su Radio 24. "Come hanno fatto Regno Unito e Germania si può fare e ho rivendicato in più occasioni con la commissione la possibilità di avere i corridoi per le persone. Ma in Germania i viaggi sono stati organizzati dalle stesse imprese e in un numero non alto di persone. I corridoi verdi ci sono però bisogna avere le persone disponibili a salire su quei voli, bisogna sapere che queste persone vengono da zone rosse e devono fare la quarantena per 15 giorni. Non dico che non è possibile ma questo strumento da solo non è esaustivo". Così la ministra per le Politiche Agricole Teresa Bellanova a 24Mattino di Simone Spetia e Maria Latella su Radio 24. "Da mesi sto combattendo per dire che il caporalato non è frutto delle imprese e di non tutte le imprese. Ci sono delle imprese che si rivolgono al caporale perché vogliono competere nell'irregolarità, e ci sono delle imprese che sono costrette perché non trovano persone con permessi di soggiorno regolari per fare fronte al bisogno di raccolta". Così la ministra per le Politiche Agricole Teresa Bellanova a 24Mattino di Simone Spetia e Maria Latella su Radio 24. Nel governo “c’è stato molto confronto e io avrei voluto dare misure più dirette come sostegno alle imprese ma mi rendo conto che in un momento in cui fai la scelta di bloccare i licenziamenti, devi investire parte delle risorse per sostenere i lavoratori e garantire la cassa integrazione. Dobbiamo permettere alle imprese di competere e garantire la sicurezza ai lavoratori". Così la ministra per le Politiche Agricole Teresa Bellanova a 24Mattino di Simone Spetia e Maria Latella su Radio 24. "Il governo va avanti se risolve i problemi". Così la ministra per le Politiche Agricole Teresa Bellanova a 24Mattino di Simone Spetia e Maria Latella su Radio 24.
Ritratto di Teresa Bellanova, la ministra che ha reso visibili gli invisibili. Aldo Torchiaro su Il Riformista il 15 Maggio 2020. Lacrime della forza, quelle versate da Teresa Bellanova in diretta, parlando della regolarizzazione dei migranti. Lacrime di gioia e di dolore per una battaglia – “rendere visibili gli invisibili”, che ha segnato la vita del Ministro delle Politiche agricole. Segno prorotto e prorompente della soddisfazione politica e umana di chi ha vinto la sua battaglia dentro e fuori il governo, dentro e fuori la politica. «Se noi facciamo emergere questo lavoro di regolarizzazione dei permessi di soggiorno non saranno costi per l’Italia, saranno entrate: perché i rapporti di lavoro irregolare privano lo Stato anche della contribuzione, oltre che togliere alle persone i loro diritti e la loro dignità. Quindi io non mi spaventerei dei numeri: se saranno 500-600 mila saranno i benvenuti, perché saranno persone che noi avremo tirato fuori dai ghetti e li avremo portati a vivere nella condizione della legalità e del riconoscimento della loro identità», dice a coronamento del decreto. E a chi la prende in giro perché ha pianto, risponde a muso duro: «È vero. Ho pianto. Ho faticato, ho combattuto, e alla fine ho pianto. Hanno accostato le mie lacrime ad altre lacrime: le hanno riportate ad un genere, quello femminile. Io invece ho avuto la forza di piangere – sì, la forza – perché ho fatto una battaglia per qualcosa in cui credevo sin dall’inizio, perché ho chiuso il cerchio di una vita che non è soltanto la mia, ma è quella di tantissime donne e uomini che come me hanno lavorato nei campi…». Bellanova quei ghetti di campagna, in cui il caporalato dà vita al nuovo schiavismo dei braccianti, lo conosce molto da vicino: a 14 anni usciva di casa all’alba per andare a raccogliere l’uva nelle campagne del brindisino. Dall’incassettamento dell’uva da tavola alle prime riunioni sindacali, il passo è stato breve. Già adolescente divorava tutti i libri e i giornali che le capitavano a tiro. Le sue coetanee si innamoravano delle celebrities di Hollywood, lei guardava a Giuseppe Di Vittorio. Va a scuola fino alla terza media. “Non ne sono orgogliosa”, dirà alla Gruber. La disciplina l’ha imparata prima nei campi, dove la fatica per le donne raddoppia, poi alla Camera del Lavoro di Brindisi. Lì trovava sempre una copia de L’Unità, che a fine riunione portava a casa. Un modo per imparare a leggere non solo il testo ma il contesto. A trent’anni diventa segretaria provinciale della Federazione Lavoratori Agroindustria (Cgil) di Brindisi. Prima donna, per giunta giovane, a capo di un sindacato tutto al maschile, nel Mezzogiorno. Oggi si presenta alle porte del Ministero alle 7.30 del mattino, spesso prima che siano arrivati gli uscieri. La sveglia a casa suona alle 5.30, la colazione si riduce a un caffè. E si immerge nelle rassegne stampa, poi nella lettura avida, assetata dei quotidiani. «Ne legge almeno dieci ogni mattino», ci racconta la sua Capo segreteria, Alessia Fragassi, che la accompagna da anni. Mette un’energia assoluta in tutto quel che fa, credendoci tanto da coinvolgere chi la circonda. «Non si rimanda mai a domani quello che si può fare oggi», ripete sempre. È una stakanovista. Al Ministero non erano preparati ai suoi ritmi. Negli ultimi giorni sono rimasti tutti convocati fino alle due di notte. Raramente si torna a casa prima delle 23. Un foglio bianco, pronto a essere firmato con le dimissioni, è rimasto sulla sua scrivania tutta l’ultima settimana. Al suo staff ha detto «Siamo in una partita esiziale, vinciamo o andiamo a casa». Fa sempre sul serio. Come quando ha deciso di lasciare il Pd – lei che colleziona tutte le sue vecchie tessere Pci – per seguire Matteo Renzi. Un incontro di affinità incredibile tra due anime dalla storia molto diversa. Mai avuto un ripensamento. «Ascolta Renzi, ma decide da sola e non cambia idea», dicono di lei. L’uomo con cui si confida è un altro. Si chiama Abdellah El Motassime, marocchino di Casablanca. È stato il suo interprete durante un viaggio nel 1988 con la Flai Cgil in tema agroalimentare, ed è stato subito colpo di fulmine. Convolati a nozze nel marzo ’89 e da allora profondamente uniti. «Vivono in connessione profonda», dice chi li conosce più da vicino. «È un punto di forza: lei sa di essere sostenuta in qualsiasi momento da un uomo umanamente esemplare, che ha una cura e un accudimento fortissimo nei suoi confronti». Il loro unico figlio, Alessandro, studia medicina e non vuole saperne di fare politica: «È un modo diverso per dedicarsi agli altri». Era lui ad accompagnarla al Quirinale per il giuramento da ministro, quello con l’abito blu costato indecenti polemiche. «Che non la feriscono», ci raccontano i suoi. «Ne ha viste e sentite tante, nella vita. Sa come rispondere a tono». E a proposito di risposte, ne ha per tutti. Il cerimoniale del Ministero le ha contestato i biglietti da visita. «Ministro, lei non può far stampare il suo numero di cellulare personale, altrimenti la chiamerà chiunque», le hanno fatto notare. Lei non ha fatto una piega. «Chi vuole chiamarmi, mi chiami». E ha messo il suo numero, senza schermi. Eletta deputata, trasferitasi da Lecce a Roma, si è trovata una casa vicino alla fermata del tram. E per andare a Montecitorio lo ha preso tutti i giorni. Sale sul tram con la mazzetta dei giornali e qualche libro. Ha finito da poco di leggere la trilogia di Elena Ferrante. Storie di miseria e di riscatto, di ragazze del Sud. Storie che le ricordano le cicatrici che ha addosso. Con il tram che prende passa accanto al Nuovo Sacher di Nanni Moretti, di cui conosce i film a memoria, come quelli di Ken Loach. L’altra sera è tornata a casa, dopo la conferenza stampa di Palazzo Chigi, senza festeggiamenti. Ha abbracciato il figlio e il marito. Lo staff che ha lavorato dietro le quinte conosce la cifra della sobrietà: «Ci ha detto di riposare per tornare l’indomani pronti, il lavoro non è ancora finito». I Cinque Stelle masticano amaro e sembra che Di Maio sia pronto, a partire dagli Stati Generali, a sfidare lo stesso Conte pur di rovesciare l’intesa sulla regolarizzazione. Ma ieri il cellulare di Teresa Bellanova non ha mai smesso di squillare. L’hanno chiamata in tanti, per congratularsi, da Beppe Sala alla ministra Lamorgese, con cui questo successo è condiviso. E Emma Bonino l’ha voluta con sé per una diretta Facebook, entrambe emozionate. Una marea di messaggi le è arrivata dai vertici del Pd: «Brava, non hai mollato». Quello che le ha detto anche Giuseppe Conte, come lei pugliese, nato a mezz’ora di strada dalla Cerignola di Giuseppe Di Vittorio. Nel suo segno, è nata una nuova leader.
Regolarizzazione no!! ecco perchè…Antonio Angelini detto Antonello l'8 maggio 2020 su Il Giornale. Ospito anche oggi il mio anonimo amico. Uno che ha lavorato per lo Stato sull’ immigrazione e sui reati commessi da immigrati. Procediamo con i nostri ragionamenti, basati solo su fatti e non su analisi svolte o dati elaborati da altri, per cercare di dare al cittadino comune un metodo per poter districarsi nella molteplicità di informazioni, anche spesso provenienti da fonti autorevoli, ma che esprimono in ogni caso opinioni molto differenti tra loro. Sulla base di eventi storici abbiamo dedotto, con un semplice ragionamento logico, che gli “italiani” non sono un popolo razzista, certamente non lo sono più della media di tutti gli altri popoli. Se questa è la conclusione delle nostre considerazioni logiche, il cittadino comune non può fare a meno di domandarsi come mai allora, ogni volta che si affrontano argomenti sociali di un certo tipo, il pericolo del razzismo venga continuamente tirato fuori con il fine di indirizzare l’opinione pubblica (ovvero appunto il comune cittadino) verso scelte specifiche. Come detto il concetto di “razzismo” nel nostro paese sta indirizzando scelte politiche e sociali di rilevanza storica, non solo in termini di immigrazione ed appartenenza alla Unione Europea, ma anche in ambiti scientifici e sanitari ed economici. Pertanto l’argomento “razzismo” è un argomento decisamente attuale anche per come è stata affrontata, ad esempio, l’emergenza pandemia. Su quest’ultimo argomento, la pandemia, ne parleremo nei prossimi incontri, per una questione appunto di conseguenze logiche nei ragionamenti. Procedendo per passi logici, affrontiamo il problema dell’immigrazione “globale”, ovvero la possibilità per chiunque di poter decidere di spostarsi e vivere in qualunque posto del nostro pianeta. Partiamo proprio da questo principio, ovvero il diritto per chiunque di poter decidere dove vivere ed anche di come vivere. Un principio certamente astrattamente valido. Per aiutare nel ragionamento logico partiamo da presupposti ideali, ovvero, immaginiamo effettivamente il pianeta come un unico sistema politico e sociale in cui ciascun essere umano ha il sacrosanto diritto di poter vivere la propria vita nel modo che egli ritenga il più dignitoso possibile. Di fronte a questo principio e a questa prospettiva ideale, nessuno ritengo potrebbe mai opporre una valida risposta contraria. Questo diritto è sacrosanto. Restiamo nel mondo ideale, ovvero unica società globale uniformata in tutto, regole, leggi, economie etc. Appare immediatamente evidente che, tolte alcune fluttuazioni statistiche, potendo scegliere, la stragrande maggioranza della popolazione del pianeta preferirebbe vivere in luoghi del pianeta dove il clima sia più mite, dove le città siano più belle, certo nessuno preferirebbe vivere in zone aride, desertiche, oppure impervie (tolte come detto alcune fluttuazioni di popolazione). Diciamo che su 7 miliardi dell’intera popolazione mondiale, attuale, più della metà sceglierebbe gli stessi luoghi, le stesse aree del pianeta. In parte è già cosi, ma dobbiamo immaginare una distribuzione senza limiti di distanza, costi di viaggio, infrastrutture etc. Supponiamo che le risorse locali, ambientali, economiche e nutrizionali in quei luoghi siano in grado di soddisfare questa distribuzione non uniforme della popolazione mondiale. L’incremento della popolazione stessa (perché anche il diritto alla nascita è inalienabile, pertanto non si può pensare, in questo contesto ideale, di limitare le nascite e l’aumento della popolazione mondiale) determinerebbe ad un certo punto una perdita di equilibrio tra le scelte di ciascuno e l’effettiva sostenibilità ambientale, economica, sociale. Questi sono ragionamenti semplici, che valgono in effetti a prescindere da quale sia la distribuzione delle scelte della popolazione globale su dove vivere. Esisterà sempre un limite, qualunque esso sia, oltre il quale non si potrà andare. Quindi in un mondo ideale, considerando solo uno dei due parametri di scelta, il “dove” vivere, concettualmente si arriva facilmente ad un paradosso, logico, ovvero: non è possibile che “tutti” possano vivere in uno stesso posto. A questo dobbiamo aggiungere l’altro parametro di scelta, ovvero “come” vivere. Diciamo che in un mondo ideale deve certamente restare un principio indissolubile, ovvero quello che la libertà personale è limitata dalle libertà altrui, ovvero qualunque sia la scelta di un singolo essere umano, essa non potrà mai prevaricare i diritti di un altro essere umano. Quindi il “come” vivere deve essere comunque limitato al concetto semplice, purché non leda i diritti altrui, quindi ovviamente non vivere svolgendo attività illegali ad esempio. Se si presuppone che in un mondo idealmente globalizzato, ognuno possa svolgere una attività lavorativa legale e dignitosa utile alla società, anche in questo caso, escluse le attività illegali, arriviamo ad un paradosso in cui non tutti possono fare quello che realmente vorrebbero ma devono potersi adeguare alle esigenze del sistema società. Allora ecco che assumendo per sacrosanto un diritto ideale in cui ogni essere umano possa scegliere dove vivere e come vivere, anche in un mondo ideale, raggiungeremmo dei paradossi in cui questo non sarebbe effettivamente possibile. A questo punto potremmo iniziare a porre le infinità di paletti dovute alle regole di mercato, alla sicurezza, alla sostenibilità economica di ciascun paese (Nazione), alle differenti leggi dove quegli stessi principii ideali, che perdono di coerenza anche in un mondo ideale, ancor di più vengono messi in discussione. Ma restiamo al nostro paese e proviamo ad abbracciare le ragioni di chi ritiene sia giusto aprire a chiunque l’accesso al nostro sistema, senza fare alcuna considerazioni sulle modalità di arrivo, ne tantomeno alcun tipo di selezione sulle persone che decidessero di voler venire a vivere nel nostro territorio. Perciò idealmente accettiamo l’idea di una immigrazione libera verso il nostro Stato. Chiediamo, a chi perora questa causa, quale è il limite di persone che ritenga di poter accettare in ingresso, in quanto, come detto, non è pensabile che 7 miliardi di persone possano venire a vivere tutte in Italia. Ovviamente questo è un estremo ragionamento ma che, senza arrivare al numero dell’intera popolazione mondiale, effettivamente crea un limite, qualunque esso sia; ovvero, domani si dichiara che chiunque voglia venire nel nostro paese lo possa fare, garantendogli il viaggio ed una vita dignitosa. Esisterà comunque un limite oltre il quale non si potrà andare e, raggiunto quel limite, questo principio perde di validità perché a quel punto anche chi oggi si dichiara per l’apertura totale dovrà dire “adesso basta”. Se si è stabilito che il nostro paese possa ospitare dignitosamente, ad esempio, dieci milioni di persone, arrivati a dieci milioni più “uno” quell’uno in eccesso vedrà irrimediabilmente limitato il suo diritto.
Senza aver preso alcun dato, senza aver fatto alcun ragionamento politico o sociale, ma semplicemente ragionando su dei concetti molto semplici, ecco che comunque si osservi la questione dell’immigrazione, dei “limiti” ci saranno e ci dovranno essere. Il punto è “quali limiti”? Allora viene immediato chiedersi perché nelle due posizioni attuali pro e contro immigrazione (in realtà un “certo” tipo di immigrazione) chi si pone nella posizione del “contro” viene immediatamente tacciato di razzismo? Proprio in un paese in cui, con ragionamenti precedenti abbiamo stabilito che il popolo italiano non è storicamente più razzista di qualunque altro popolo sulla terra? In un paese in cui l’immigrazione c’è da decenni senza che ciò abbia comportato, fino a pochi anni fa, qualche forte squilibrio sociale? Il comune cittadino ha, o dovrebbe avere, a questo punto tutti gli strumenti per iniziare una analisi più approfondita e comprendere che chi perora la causa dell’immigrazione libera, o non ha chiaro il problema, oppure nasconde un fine diverso. Nello specifico, quel che accade da alcuni anni è un ingresso di persone attraverso vie non legalmente riconosciute e che determina un rischio della vita per quelle stesse persone, per poter raggiungere il continente europeo. Anche qui volendo abbracciare il pensiero di chi pone, giustamente, la salvaguardia della vita di queste persone sopra ogni altra considerazione, non possiamo non porci il problema, concettuale, che questo traffico se mantenuto, se incentivato, non avrà fine, o potrebbe non avere una fine nei limiti che in ogni caso si potrebbe decidere di stabilire; tanto per intenderci i 600 mila, attualmente considerati indispensabili per motivi umanitari ed economici, da regolarizzare sul nostro territorio. Supponiamo di dare ragione al Ministro che ha fatto questa proposta, cosa accadrà con i prossimi 600 mila? E con i 600 mila dopo? Si arriverà ad un punto, come detto, in cui delle misure dovrebbero necessariamente essere prese anche da chi “oggi” perora questa causa, perché è una conseguenza naturale. Allora perché parlare di “razzismo” quando questa locuzione non ha assolutamente nulla a che vedere con ciò che sta avvenendo? In questo incontro volutamente non si è fatto riferimento a dati, anche ufficiali, sulla criminalità da parte di cittadini stranieri, sul degrado, sullo spaccio, sulle mafie straniere, sullo sfruttamento da parte di chi organizza i viaggi illegali, sulle mancanze di controlli, di selezione, sull’impatto sociale di migliaia di persone senza alcuna tutela, o con tutele non eque, sul nostro territorio, sull’effettivo aiuto a certe popolazioni, sul terrorismo islamico e soprattutto al senso morale di aiutare solo chi riesce a raggiungere certe “reti” illegali e non altri, ne si propongono politiche sociali o soluzioni. Come detto questi incontri hanno lo scopo di fornire al comune cittadino dei mezzi di logica deduzione, per potersi poi successivamente fare una idea propria della situazione. Di certo quel che si può affermare è che oggi il problema dell’immigrazione nel nostro paese nulla ha a che vedere con il razzismo, ma ben altre sono le ragioni che muovono le parti sociali.
Antonio Angelini detto Antonello. Sono nato nel 1968, segno Toro . Euroscettico della prima ora non avrei potuto essere sposato che con una meravigliosa donna inglese. Laureato in Economia e Commercio nel 92 alla Università “La Sapienza” di Roma, iscritto all’ albo degli Agenti di Assicurazione, a quello dei Promotori Finanziari e all’ Albo dei Giornalisti Pubblicisti di Roma. Appassionato da giovane di Diritto Pubblico , ho fatto volontariato nel movimento fondato da Mario Segni per i referendum sul maggioritario ed elezione diretta dei sindaci. Ho lavorato in banca un anno , poi un anno e mezzo (93-94) in Forza Italia. Dal '95 mi sono dedicato alle Assicurazioni ed altro. Ho sempre scritto di calcio, divertentissima arma di distrazione personale ma anche di massa. Data la situazione del mio Paese , sento di dover fare informazione su altro. Mi considero un vero Patriota . Guai a parlar male dell’ Italia in mia presenza. Inizi anni 90 incontrai un anziano signore inglese, membro della House of Lord ed euroscettico. Mi raccontò con 10 anni di anticipo tutte le pecche della nostra UE, monetarie e non. Da allora sono stato un Euroscettico di fondo ma senza motivazioni scientifiche. Molti anni dopo incontrai Alberto Bagnai e le motivazioni iniziarono ad poggiare su basi scientifiche.
PANDEMIA E AGRICOLTURA. Ieri i braccianti immigrati erano “gli invisibili”. Adesso tutti li cercano disperatamente. Gli stagionali dall’Africa non arrivano più. Quelli rimasti in Italia sono costretti nei ghetti. Tonnellate di frutta e ortaggi potrebbero marcire. Ma il governo ha paura di fare una sanatoria. E chiede aiuto all’Est Europa. Alessia Candito il 09 aprile 2020 su L'Espresso. Frutta, verdura e ortaggi grazie alle loro braccia sono sempre arrivati nei mercati e sugli scaffali, ma loro per decenni sono stati invisibili. Nell’Italia spaventata dall’epidemia di Covid, per decreto sono diventati sulla carta i “lavoratori essenziali” di quei settori che non si possono fermare. Ma senza contratti né diritti, l’esercito dei braccianti migranti è rimasto bloccato nei ghetti e nelle tendopoli e il motore della filiera agroalimentare si è fermato. È bastato imporre uno straccio di lavoro regolare per giustificare gli spostamenti e un’intera filiera è andata in crisi. Prodotti bandiera del made in Italy marciscono sugli alberi, nei campi, nelle serre. Piccoli e grandi produttori gridano al disastro, Il governo studia soluzioni. Chi con la sua fatica ha sempre trainato il settore, oggi rischia la fame. «Il nostro sudore è uno degli ingredienti della vostra dieta giornaliera. Siamo degli esseri umani, con uno stomaco quasi sempre vuoto e non solo braccia da sfruttare», recita il testo che accompagna la raccolta fondi promossa da alcuni dei braccianti di Foggia sulla piattaforma GoFundMe, rilanciata a livello nazionale da Aboubakar Soumahoro. Il ricavato verrà diviso fra i vari coordinamenti territoriali e usato per comprare cibo. Perché la fame non conosce confini. E in ghetti, tendopoli e casolari oggi si convive con la paura di non potersi difendere dalla pandemia. Mani rotte dal lavoro nei campi, Mbaye ha occhi più anziani dei suoi 26 anni. Il lockdown lo ha sorpreso in Calabria, alla tendopoli di San Ferdinando, da anni istituzionale “soluzione temporanea” all’ormai stabile presenza di migliaia di braccianti stranieri che arrivano per la stagione degli agrumi. Oggi, una potenziale bomba sanitaria. Un solo caso di Covid trasformerebbe quella massa di tende blu in un focolaio. Associazioni come Medici per i Diritti Umani, Mediterranean Hope, SOS Rosarno, Sanità di Frontiera, Csc Nuvola Rossa, Co.S.Mi. da settimane dicono che l’unica soluzione è svuotare tendopoli e ghetti. I loro appelli sono rimasti inascoltati, piani e programmi presentati a Regione e prefettura per risolvere in fretta la situazione, ignorati. Chi vive in un recinto con altre 500 persone è cosciente del rischio. E sa che a poco servono quel pugno di mascherine e l’igienizzante che il comune di San Ferdinando ha distribuito. Costretti a vivere anche in otto sotto stracci di plastica blu e a dividere tutti non più di una decina di bagni, i braccianti migranti della Piana sono bloccati in un assembramento di fatto. Pochissimi hanno contratti fissi e in regola, pochissimi riescono a lavorare. Chi ha sempre contato solo su impieghi a giornata, adesso deve stare fermo. «Ma se non lavoriamo, non mangiamo. Qui nella Piana di Gioia Tauro la stagione delle arance sta finendo, ma non posso spostarmi per cercare lavoro», dice Mbaye. Da quando ha lasciato il suo Gambia, ha sempre o quasi fatto il bracciante. Ha imparato a muoversi in Italia secondo il ciclo dei raccolti, seguendo il passaparola dei connazionali, la rete di chi diventa famiglia a schiena curva nei campi. Aveva una protezione umanitaria, cancellata dal decreto Salvini, ma convertirla in permesso di lavoro non è stato semplice. È uno dei fortunati, qualche contratto lo ha strappato, sebbene le ore lavorate su carta siano assai meno di quelle effettive. Forse basteranno, gli hanno detto al sindacato. Il problema potrebbe essere la casa. La legge prevede che il lavoratore presenti anche un regolare contratto di affitto, nonostante la maggior parte dei braccianti si sposti per tutta l’Italia secondo il ciclo dei raccolti. La pratica era in itinere quando tutto è stato congelato fino a giugno, in attesa o nella speranza che l’epidemia passi. «In Basilicata mi aspettano per pomodori e zucchine», freme Mbaye , «lì un lavoro lo avrei». Ma senza un contratto è impossibile spostarsi. Anche i vicini Comuni del vibonese che vivono delle coltivazioni di cipolle e fragole sono una meta irraggiungibile. Ci lavorava spesso Mamahdou, arrivato in Italia ragazzino e cresciuto sperimentando tutti i gironi infernali della burocrazia dell’accoglienza. Mente sveglia, un talento per le lingue, allo Sprar che lo ha accolto hanno fatto di tutto per convincerlo a studiare da mediatore. Ma a casa, in Mali, avevano bisogno di soldi e il lavoro nei campi era il modo più rapido per aiutarli. La sua vita è diventata un periplo. Dalla Calabria a Foggia, fino in Spagna, dove un contratto da magazziniere gli ha assicurato per anni una vita decente. Poi è arrivato il decreto sicurezza, la sua protezione umanitaria è divenuta carta straccia ed è stato costretto a buttare tutto all’aria per tornare in Italia e convertire il permesso. È finito a lavorare in nero, a ore, a giornata o a cassetta e a vivere nel ghetto di Contrada Russo, non luogo nascosto nelle campagne fra Rosarno e Taurianova, dove la corrente è quella fornita da un vecchio generatore e per lavarsi tocca andare al pozzo distante quasi un chilometro. Anche Mamahdou aspetta. Che arrivi un contratto vero o che la commissione territoriale consideri la regione dilaniata dai conflitti da cui proviene, meritevole di protezione internazionale. Ma prima la pandemia deve passare e gli uffici devono riaprire. Nel frattempo a scandire il tempo è la fame, i piccoli lavoretti informali rimediati schivando i controlli, l’arrivo al ghetto delle associazioni che forniscono assistenza legale, medica, sindacale e oggi portano cibo, mascherine, igienizzante, informazioni. «In questi anni sono stati creati dei veri e propri percorsi a ostacoli nella regolarizzazione per costringere i braccianti ad accettare qualsiasi condizione di lavoro», spiega Ruggero Marra dello sportello Soumaila Sacko. «Più è complicato avere documenti in regola, più i lavoratori saranno disponibili a piegarsi ad ogni sorta di ricatto». E nella Piana e non solo, di Mbaye e Mamahdou ce ne sono dieci, cento, mille, un esercito costretto a rimanere immobile. Solo pochi di loro possono contare sui sussidi congegnati dal governo per i lavoratori agricoli. I sindacalisti di Cgil e Usb da giorni battono ghetti e campi, fanno i conti con ore e giornate lavorate, compilano moduli, inoltrano richieste. Ma sanno che quegli aiuti sono un’arma monca, che i potenziali beneficiari sono pochi e i cosiddetti “insediamenti informali” rimangono una bomba sanitaria a orologeria. «La cosa più semplice e immediata sarebbe una sanatoria. E converrebbe a tutti», spiega Peppe Marra, dirigente sindacale dell’Usb calabrese, «perché permetterebbe di svuotare i ghetti dunque risolvere un problema sanitario che in tempi di pandemia è di tutti, non solo dei migranti. In più, darebbe a questi braccianti la possibilità di lavorare e vivere in condizioni dignitose, senza obbligarli ad essere irregolari o a vivere in situazioni di marginalità». Al momento, sono stati solo congelati i termini per i permessi fino al 15 giugno. «Ma è l’ennesima soluzione d’emergenza ad un problema strutturale», fa notare Marra », e la crisi della filiera agricola dimostra quanto il lavoro dei braccianti migranti sia essenziale per il settore». Che adesso è in crisi. La prima a lanciare l’allarme è stata Coldiretti: «Con il blocco delle frontiere, nei campi mancano 370 mila lavoratori». Anche il governo Conte da settimane studia come affrontare il problema, forse con lena maggiore da quando a Palermo c’è stato il primo assalto ai supermercati. È meccanismo economico banale. A scarsità di prodotti equivale un rincaro dei prezzi, che eroderebbe rapidamente qualsiasi sussidio economico. «Nessun governo oggi può permettersi di far pagare una lattuga dieci euro», commenta un esponente politico di lungo corso. Al ministero dell’Agricoltura il dossier è aperto. La sua titolare Teresa Bellanova sta tentando un accordo la Romania per far arrivare braccianti dall’Est. Anche la Germania sta studiando una soluzione simile con tanto di voli charter dedicati, c’è chi in Europa pensa ad un “treno verde” che permetta ai braccianti di muoversi. Solo comunitari per non avere grane di permessi, sebbene in Italia, dicono i dati ufficiali forniti dalle associazioni di categoria, la maggior parte degli stagionali regolari arrivi da Marocco (35.013), India (34.043), Albania (32.264), Senegal (14.165), Tunisia (13.106), Bulgaria (11.261), Macedonia (10.428) e Pakistan (10.272). In ogni caso l’idea di far venire decine di migliaia di persone dall’Est Europa è complicata da gestire. Non è chiaro ad esempio chi si farebbe carico del loro sostentamento nei 15 giorni di quarantena obbligatoria all’ingresso in Italia. Fra i diversi paesi dell’Europa “ricca” che hanno bisogno di braccia poi, le disparità salariali sono notevoli e l’Italia è una meta poco competitiva, con le sue retribuzioni più basse. Senza dire che nel nostro Paese le strutture abitative per mantenere il distanziamento sociale quando il lavoro finisce sono per lo più inesistenti. Fattore che relega al rango di propaganda la proposta di mandare nei campi i percettori di reddito di cittadinanza o sussidi di disoccupazione. Ma in realtà, braccianti in Italia già ci sono. La ministra Bellanova lo sa, nella Piana di Gioia Tauro ci è stata mesi fa, ma solo ora sembra ricordare chi è obbligato al lavoro nero e confinato in quei ghetti «dove sta montando la rabbia e la disperazione. Il rischio», afferma, «è che tra poco ne escano e non certo con un sorriso. Bisogna mettere anche loro in condizioni di lavorare in modo regolare». Una timida apertura a una regolarizzazione? C’è chi ci crede, chi no. Ma a Roma sembrano aver preso coscienza anche di un altro aspetto fondamentale della partita. «Se certi processi non li governa lo Stato», dice Bellanova , «ci pensa la mafia». Che da tempo ha investito sull’agroalimentare e in tempi di crisi si troverebbe in mano l’ennesima arma.
Non siamo solo braccia da usare e gettare. Ma anche anima e mente, con dignità di persona. Il dibattito sulla regolarizzazione per l'agricoltura ha fatto riemergere una cultura coloniale, strumentale e mercantile nel rapporto tra l'Italia e gli africani. E una feroce resistenza al cambiamento culturale. Leila El Houssi e Igiaba Scego l'8 maggio 2020 su L'Espresso. Leila El Houssi è docente di Storia del Medio Oriente presso l'Università di Firenze; Igiaba Scego è scrittrice di saggi e romanzi, ultimo dei quali "La linea del colore", Bompiani, 2020. In questi giorni in cui infuria la polemica sulle regolarizzazioni, noi, due donne afroitaliane, siamo invase da una grande frustrazione. Quello che però ci crea dolore è proprio il dibattito che si è formato intorno alla possibilità di regolarizzare i migranti. Abbiamo subito avuto la sensazione di vivere un déja vu, qualcosa che ha già attraversato il nostro corpo considerato, a torto, alieno. Ormai è dagli anni '70 che migranti e figli di migranti, padri, madri, figli, si sentono considerati corpi alieni, estranei alla nazione. E se il corpo dell'alieno entra nel dibattito deve, per il mainstream nazionale, avere qualcosa di utile da portare in cambio. E questo, ahi noi, si è visto molto bene nel discorso sulle regolarizzazioni. Si è parlato di migranti come braccia per l'agricoltura, utili per raccogliere pomodori e zucchine. Abbiamo visto anche gente che stimiamo scrivere tweet con questo tono “se non regolarizzi il migrante ora, te ne accorgerai al banco del mercato questo giugno, vedendo quanto costano gli ortaggi”. Migrante braccia, migrante ridotto ad essere bestia da soma. Ma, il corpo migrante è corpo umano, dotato di anima, sentimento, cervello, sogni. Il migrante è persona, è mente, intelletto, ragione ed è terribile vedere quanto invece viene considerato alla stregua di un automa visto in mera funzione mercantile, quindi legato al bisogno “carnale” della nazione. Siamo consapevoli che la regolarizzazione non deve essere portata avanti per settore, ma si deve cogliere il vento della storia e accettare finalmente di essere una società transculturale, in cui convivono individui di ogni colore, appartenenza, religione. Ma tutto questo, con nostro profondo rammarico, non sta emergendo. Il discorso sulle regolarizzazioni ha solo mostrato quello che abbiamo sempre visto, ovvero l'uso strumentale del corpo migrante e/o di origine migrante. Un déja vudove i partiti politici si schierano da una parte all'altra della barricata, e dove anche tra i “buoni” si nascondono ancora troppe insidie. Abbiamo visto tutto ciò con la mancata legge sulla cittadinanza italiana (anche lì a ben pensarci una regolarizzazione, rendere italiano chi già lo era di fatto) che dopo tante parole e promesse non è arrivata mai. Questo atteggiamento nasconde di fatto un discorso profondo di cittadinanza negata a tutti i livelli sia legale sia culturale. L'Italia si è costruita, fin dal suo sorgere come nazione, in opposizione a un diverso. Non è un caso che l'Italia postunitaria abbia abbracciato repentinamente la cosiddetta “avventura” coloniale. E nonostante le cocenti sconfitte militari ottocentesche (Dogali, Adua) non si è fermata in questo folle disegno di superiorità verso l'altro che poi sappiamo aver portato al fascismo, agli eccidi in Etiopia e alle leggi razziali che hanno colpito colonizzati e cittadini italiani di religione ebraica. E quel sentirsi superiori all'altro, quella percezione insita di dominatore che ci ha condotto allo stato attuale delle cose. Il migrante, come prima il colonizzato o i cittadini italiani di religione ebraica, viene visto come qualcosa che la nazione deve usare e poi gettare. Corpo senza dignità, da descrivere solo con stereotipi negativi e discriminare senza pietà. E se il razzismo conclamato è una delle manifestazioni di questo disprezzo, va detto che ci sono anche modi sottili per non far partecipare al banchetto della nazione i corpi considerati non a norma. Infatti, in Italia è raro vedere un guidatore di bus afrodiscendente, una docente nelle scuole e nelle università di origine araba, o un giornalista di altra origine all’interno delle redazioni delle testate. Chi riesce a ritagliarsi un piccolo spazio, spesso, non riceve riconoscimenti e la visibilità è strappata con le unghie e con i denti. I luoghi della cultura e della formazione spesso sono interdetti, perché il corpo altro e la mente altra sono accettati solo come corpo e mente subalterni. Al corpo altro e alla mente altra non è concesso che abbiano pretese di parità. Noi stesse, noi donne afrodiscendenti, lo viviamo sulla nostra pelle. Ed è questo che ci ha rattristato nuovamente nel dibattito in corso. É l'ennesima volta che siamo messi davanti al fatto che non siamo corpi graditi. Non siamo menti volute. Siamo considerati (a torto!) un’eccentricità. E, di fatto, così si nega l'essenza di quello che è diventata l'Italia nel 2020. La crisi del Covid 19 avrebbe dovuto riavvicinarci. Il Covid 19 non ci guarda in faccia, noi siamo per lui semplicemente entità da attaccare e annientare. Siamo esseri umani, al virus non importa se siamo bianchi o neri, se siamo cristiani, ebrei, musulmani. Al virus interessano i nostri polmoni, i nostri vasi sanguigni. Ma anziché unirci in un abbraccio collettivo, anche se a distanza, parte della società ha deciso di tracciare i confini di sempre, quelli tra noi e loro, tra corpi utili e corpi di scarto, corpi che raccolgono pomodori e corpi che non li raccolgono. E le parole sono sempre quelle già sentite (purtroppo!) troppe volte. Chi, oggi si oppone alle regolarizzazioni, ieri si opponeva alla cittadinanza. Le parole sono le stesse: “è troppo presto”, “non è una priorità”! Ma, noi che amiamo e viviamo in questo paese, ci chiediamo: quando diventeremo la priorità? In un momento drammatico come quello che stiamo vivendo in cui si è palesata la vulnerabilità sociale, in cui mai come adesso abbiamo sotto gli occhi che il benessere di tutti tutela il benessere del singolo, dove regolarizzare significa anche dotare l'intero paese di una tutela sanitaria, non regolarizzare la posizione dei migranti è anacronistico e in un certo senso inumano. Regolarizzare la posizione dei migranti caduti in stato di illegalità (spesso a causa dei meccanismi di una legge ingiusta come la Bossi-Fini) significa portare avanti lo stato di diritto. È una tutela per la persona che viene regolarizzata, ma una tutela maggiore per tutta la cittadinanza, perché i diritti del prossimo salvaguardano anche tutti noi. Dobbiamo ricordarci che un cittadino, straniero e non, ha bisogno prima di tutto di essere riconosciuto nella sua dignità di persona. L'Italia deve accettare di essere cambiata. La sua trasformazione è emersa già da decenni e non da adesso. L’Italia e soprattutto le istituzioni italiane non devono temere e soprattutto non possono continuare a resistere al cambiamento. Diceva Hanif Kureishi, scrittore anglo-pakistano, parlando della sua Inghilterra che essere inglesi oggi è molto diverso dall'esserlo stati cinquanta anni prima. Anche l'Italia, come la Gran Bretagna, è cambiata in questi ultimi cinquant'anni. Ora ci siamo anche noi in questa nazione, noi a torto considerati alieni dalle istituzioni. La nostra continua ad essere una cittadinanza negata.
Michelangelo Borrillo per il ''Corriere della Sera'' il 10 maggio 2020. Giovanni, a un certo punto, ha dovuto scegliere. Tra le fragole e i legumi, ha preferito le prime. Perché sono un prodotto simbolo della Basilicata e, in particolare, della zona di Policoro, in provincia di Matera, dove ha sede «Fruttazero», la sua azienda. Che sul mercato non poteva presentarsi senza fragole. Come Giovanni, tanti altri agricoltori, negli ultimi due mesi, hanno dovuto scegliere cosa raccogliere: per mancanza di manodopera c' è ci ha lasciato il basilico nei campi in Sicilia, le fave in Basilicata, la rucola nel Lazio. E nei prossimi mesi potrebbe essere costretto a fare scelte simili per pesche e albicocche, peperoni e zucchine, susine e uva. Giovanni, di cognome, fa Lippo. E a causa del coronavirus - che non ha permesso ai braccianti stagionali stranieri di venire in Italia a causa del blocco della circolazione - si è ritrovato con la manodopera dimezzata. «L' anno scorso, ad aprile, potevo contare su 15 operai. Quest' anno, senza il rientro dei rumeni, eravamo in 7. Per questo ho dovuto scegliere tra fragole e legumi, e ho scelto le prime perché sono di maggior pregio. Ma fra qualche settimana potrei trovarmi a doverle sacrificare per pesche e albicocche: la coda della raccolta delle fragole si accavallerà, infatti, con quelle primizie». A determinare la scelta sarà l' andamento del mercato: la richiesta dei prodotti e i prezzi. Giovanni, comunque, si ritiene fortunato: «Almeno il clima ci ha aiutato: senza particolari picchi di caldo, la produzione delle fragole è stata "a scalare" e così le abbiamo potute raccogliere tutte. Altrimenti, con i legumi le avremmo dovuto lasciare in parte nei campi». Se a Giovanni sono mancati i rumeni, Luca e la sua azienda «I ragazzi della verdura» hanno sofferto per la mancanza di indiani. Che lo aiutavano a raccogliere ortaggi a Sant' Angelo Romano, in provincia di Roma. «Ci siamo ritrovati, da una stagione all' altra - spiega Luca, che di cognome fa Fiorentino - da 12 a 5. E così addio a insalate, spinaci e rucola». Sulla scia di questa esperienza, Luca ha deciso di ridurre i prossimi raccolti: «Per zucchine, melanzane e peperoni abbiamo seminato di meno, così la produzione sarà inferiore del 30% e dovremmo farcela a raccoglierla. Certo, risparmio in manodopera, ma i costi fissi restano gli stessi. E così quando verrà il supermercato a chiedermi uno sconto, non sarò in grado di concederlo». Questi problemi andranno avanti anche nei prossimi mesi e in ogni parte d' Italia, se non sarà trovata una soluzione - come hanno più volte chiesto al governo Cia, Coldiretti e Confagricoltura - alla mancanza di manodopera (a marzo sono state perse 500 mila giornate di lavoro in agricoltura rispetto a marzo 2019, pari al 10% del totale). Nel ciclo delle raccolte, infatti, siamo ancora all' inizio, sebbene sia questa la fase più delicata perché si programmano anche le grandi produzioni estive, dai pomodori al grano, e si preparano le vigne e le potature degli ulivi, che in autunno daranno olio e vino. Per fortuna, però, gran parte della raccolta di grano e pomodori è meccanizzata, per cui i problemi saranno superabili. Lo conferma Gianmarco Laviola, amministratore delegato di Princes Industrie Alimentari di Foggia, la più grande azienda di trasformazione dei pomodori nel Mezzogiorno: «Ma sebbene oggi la necessità di forza lavoro per la raccolta dei pomodori sia minore grazie alla raccolta ormai meccanizzata al 100%, da sempre Princes ha preteso dai propri partner agricoli il pieno rispetto dei diritti dei lavoratori». Perché il caporalato, quando si parla di campi, è sempre dietro l' angolo.
Luciano Ferraro per cucina.corriere.it il 20 maggio 2020. Martin Foradori Hofstätter, vignaiolo alla guida di una delle più importanti cantine dell’Alto Adige, ha cercato per settimane di far arrivare in Italia le sue storiche lavoratrici stagionali rumene, specializzate nella potatura nelle vigne. Otto donne capaci di tagliare in modo impeccabile le piante, senza danneggiarle e garantendo così la qualità dell’uva (e del vino). Quando ha capito che la burocrazia avrebbe impedito l’ingaggio delle otto lavoratrici, ha noleggiato un jet privato che è atterrato nei giorni scorsi a Bolzano. Per Foradori Hofstätter questa è una storia di straordinaria burocrazia: «Ho visto tanta ignoranza, ma mai come durante questa pandemia», commenta. La storia inizia al confine con l’Ungheria. L’Unione europea aveva dato il via libera ai corridoi verdi per far arrivare manodopera dall’Est. Viticoltori tedeschi e austriaci ne avevano già usufruito, iniziando subito a far lavorare gli esperti potatori. Ma nel caso del produttore di Tramin-Termeno, al confine ungherese le otto donne sono state fermate. «Abbiamo cercato di risolvere il problema in ogni modo - racconta -. Così dopo due settimane di telefonate, contatti con politici locali, di Roma e dell’Unione Europea, rappresentanti delle ambasciate, nonché intensi confronti con responsabili di associazioni di categoria, ci siamo visti costretti ad organizzare, in extremis, un jet privato dall’aeroporto di Bolzano a Cluj per portarle in Italia. Per questo periodo economico una spesa non indifferente e forse anche folle ma senza questo il futuro delle mie vigne sarebbe stato segnato. Non avevo alternative. Devo dire, tuttavia, che visti i prezzi, oserei dire da strozzini, dei pulmini a noleggio in questo periodo, il costo dell’aeromobile ha inciso poco di più sul trasporto». Non c’era manodopera italiana disponibile? «Qualcuno potrebbe obiettare che mi sarei potuto rivolgere ai numerosi disoccupati presenti nel territorio — risponde il vignaiolo — ma non è così. Ci abbiamo anche provato ma chi abbiamo ingaggiato per fare una prova dopo due ore se ne è andato “perché il lavoro era troppo faticoso”!». Per il produttore «l’assenza di queste professioniste, che da oltre dieci anni lavorano per l’azienda, si sarebbe tradotta in un danno rilevante: come se in un concerto alla Scala mancassero i violini». L’imprenditore ha anche un’azienda in Germania, nella Mosella. «All’estero — spiega — le associazioni di categoria sono riuscite ad attivare un ponte aereo senza tante chiacchere, ai collaboratori stagionali è stata concessa anche la possibilità di attuare la cosiddetta “quarantena attiva” lavorando in piccoli gruppi in vigna, isolati da altri collaboratori locali, nel rispetto delle misure di sicurezza. In Germania le procedure sono molto più chiare e snelle. In Italia non siamo stati capaci nemmeno di copiare le misure intelligenti messe in atto da altri Paesi della Comunità Europea».
Francesca Ronchin per termometropolitico.it il 13 maggio 2020. Uno dei motivi che ispirano la sanatoria dei migranti, è l’emersione del lavoro nero. Per capire però quanto sia davvero efficace, può essere utile dare un’occhiata agli effetti dell’ultima sanatoria. Era il 2012 ma la congiuntura economica piuttosto simile. Allora c’era la crisi dei subprime, con l’Italia nella top ten dei paesi UE più colpiti, oggi abbiamo la recessione alle porte e una disoccupazione destinata a salire oltre l’11,8%. Il Governo Monti allora la intese come un necessario “ravvedimento operoso” che a fronte di un pagamento di 1000 euro permetteva ai datori di lavoro più indisciplinati di mettersi in regola. Anche oggi il meccanismo sul tavolo è lo stesso. E non è una buona cosa.
Sanatoria migranti: nel 2012, 100mila dipendenti sfuggono al Fondo Inps. Con la sanatoria del 2012 vengono regolarizzati 134.747 migranti extra UE, finalmente hanno permesso di soggiorno e regolare contratto di lavoro subordinato. La cosa strana però è che per le casse dell’INPS l’entusiasmo dura poco, il tempo necessario a finalizzare l’istruttoria presso gli sportelli immigrazione delle Prefetture e il pagamento della prima rata contributiva con cui avviare la regolarizzazione dei dipendenti. Se infatti andiamo a guardare i dati dell’Osservatorio sui Lavori Domestici dell’INPS, dopo un iniziale boom di nuovi lavoratori regolari che fa salire il totale di colf e badanti da 897.558 a 1.008.540, nel giro di un anno il numero scende a 956.043 e poi a 906.643. In pratica ci sono quasi 100.000 nuovi iscritti che dopo un anno spariscono insieme alle rate di pagamento dei contributi arretrati che confluiscono dritti dritti nei crediti inesigibili dell’INPS con buona pace dello Stato e dei contribuenti destinati a ripianare il danno.
Dove sono finiti i lavoratori domestici appena regolarizzati? Che l’impatto della sanatoria sul lavoro dipendente sia praticamente nullo lo confermano anche i dati complessivi sui lavoratori dipendenti. Tra il 2012 e il 2014 non si nota nessun aumento, anzi, scartabellando i rapporti del Ministero del Lavoro, il numero addirittura diminuisce passando da 1.772.493 a 1.743.499.
Potrebbero essersi trasformati in lavoratori autonomi? Ora, l’eventualità che un lavoratore finalmente regolarizzato diventi imprenditore da un giorno all’altro, appare piuttosto remota a meno che non lo fosse già prima e in tal caso si dovrebbe dedurre che non era un vero lavoratore sfruttato. Poiché però in quegli anni il numero dei lavoratori autonomi (299.706 nel 2012) aumenta di 20 mila unità nel 2013 e di altre 20.000 nel 2014, ammettiamo per assurdo che 4 su 10 abbiano cambiato abito.
Ma gli altri 60.000, dove sono andati? Un’altra possibilità ma anche questa piuttosto difficile è che una volta regolarizzati i migranti si siano improvvisamente resi contro che il lavoro subordinato non faceva per loro e siano emigrati all’estero. Anche qui però i numeri sembrano confermare la scarsa veridicità dell’ipotesi: nel 2013 gli emigrati dall’Italia sono 126mila ma 2 su 3 sono italiani e gli extra comunitari solo 24.696 (Quinto Rapporto Annuale. I migranti nel mercato del Lavoro, 2015). In quegli anni la popolazione straniera è in continua espansione e con un tasso medio del 7,8% in soli 8 anni, tra il 2007 e il 2014 cresce di ben 2 milioni di unità. Nello stesso periodo aumenta anche la disoccupazione che raggiunge un tasso del 14% nel 2012 e del 17% due anni dopo. In questo scenario, si potrebbe immaginare che i dipendenti nuovi di zecca abbiano perso il lavoro. Oppure c’è un’ultima possibilità che forse è anche quella drammaticamente più realistica. I lavoratori dipendenti si sono di nuovo immersi tra quelle file del nero da cui erano finalmente riemersi e hanno utilizzato la sanatoria unicamente al fine di portare a casa il permesso di soggiorno. Com’era peraltro già successo nel 2009, si scopre che il 32% dei presunti datori di lavoro non erano italiani, ma extracomunitari della nazionalità dei lavoratori. Non solo, dietro all’offerta di permessi di soggiorno si attiva un mercato di compravendite i cui oneri di intermediazione e di regolarizzazione vengono posti a carico degli immigrati richiedenti costretti a pagare dai 3 agli 8mila euro e finiti poi a vivere chissà come.
In campagna solo il 10% sono migranti irregolari. Anche a fronte delle migliori intenzioni, il permesso di soggiorno non è di per sé garanzia di un contratto regolare tantomeno in campagna visto che il 90% dei lavoratori detiene già un permesso di soggiorno. Lo raccontano i dati dell’Ispettorato del Lavoro. Nel 2019, su 5340 lavoratori oggetto di violazioni e lavoro nero, i migranti senza documenti sono solo il 4%. Ammettiamo pure, com’è del tutto realistico immaginare, che il doppio o anche il triplo sia scappato a fronte dei controlli. In ogni caso non si arriva di certo ad un’inversione delle percentuali. Nessuno sa esattamente quanti siano i migranti irregolari “clandestini” che gravitano attorno alle campagne ma anche chi conosce il territorio come l’Osservatorio Migranti Basilicata li quantifica in un 10% sul totale dei migranti. In ghetti come quello di Boreano il mercato è saturo e il grosso dei braccianti non lavora nei campi per più di 10 giorni al mese e gli irregolari che lavorano nei campi sono pochi. I più si arrangiano come possono con lavori di fortuna, dalla pulizia delle strade ad attività di supporto alla spesa degli anziani.
Il lavoro dei migranti “utile” perché sfruttato. Oggi la sanatoria viene riproposta citando “la tutela della salute individuale e collettiva” nonché “l’emersione di rapporti di lavoro irregolari”. Molti fautori del provvedimento fanno leva anche sulle esigenze del mercato del lavoro spiegando che imprese e famiglie non riescono a trovare italiani disponibili a fare certi lavori che la nostra filiera alimentare proprio in questo periodo di pandemia “si è retto grazie al lavoro costante e continuo delle categorie più svantaggiate e sottopagate”. Se ci sono intere categorie di lavoratori sfruttati e sottopagati non è certo perché manca il permesso di soggiorno altrimenti non ci sarebbero due stranieri regolari su tre poveri e di questi 1 milione e mezzo in condizioni di povertà assoluta. L’offerta di manodopera regolare, soprattutto per i lavori meno qualificati, non manca. In questi anni, anche per effetto dei ricongiungimenti familiari che ormai rappresentano il 40% degli ingressi, l’incremento della popolazione straniera è stato costante e soprattutto per le persone in età di lavoro. In parallelo all’aumento dell’offerta di manodopera però, negli ultimi 10 anni abbiamo assistito anche ad una contrazione dei salari reali calati addirittura del 4,3%. Con 399 mila stranieri regolari disoccupati e 1milione e mezzo di inattivi, il problema sembra essere piuttosto la sempre maggiore difficoltà di trovare salari sufficienti a vivere. Ne sanno qualcosa forse anche i 2,5 milioni di italiani in cerca di lavoro già in tempi pre crisi, e forse anche quei 2,1 milioni di under 29 che né studiano né lavorano, specialmente al Sud che danno all’Italia il primato europeo di Neet. È peraltro curioso notare che alcuni flebili segni di inversione delle tendenze negative sul reddito e sulla povertà degli immigrati, così come sulla disoccupazione di stranieri e italiani, si stavano registrando proprio in concomitanza dello stop del decreto flussi nel 2012 poi consolidato dal 2015. Forse una coincidenza ma è sicuramente un fatto conosciuto anche dagli esperti del settore che le quote previste per i lavoratori stagionali abbiano importato negli anni centinaia di migliaia di migranti che a fine stagione sono poi rimasti irregolarmente sul territorio italiano, senza lavoro e in diretta concorrenza con la popolazione straniera regolarmente presente.
In che modo, di fronte alle attuali condizioni economiche, con una disoccupazione destinata ad aumentare nel 2020, un’ulteriore offerta di manodopera non finirà per rappresentare un’eccedenza che penalizza ulteriormente i salari? In che modo, un aumento dell’offerta di nuovi lavoratori regolari potrebbe mai combattere il lavoro nero? Non potrebbe piuttosto offrire ulteriore carburante al lavoro sommerso precarizzando ancora di più i migranti regolari che si trovano già costretti a convivere con lavori a breve termine proprio in quei in settori dove il lavoro sommerso è molto elevato? Contratti di 3 mesi in agricoltura se va bene, 25 ore settimanali nei lavori domestici dove è piuttosto irrealistico che una badante venga assunta per assistere un anziano solo 3 ore al giorno. Se il nero è legato all’insostenibilità dei costi da parte delle famiglie o degli agricoltori a loro volta vessati dall’industria di trasformazione, la risposta non è certo la sanatoria. Il sindacato, FLAI CGIL in testa, si dice a favore della regolarizzazione. Ma se oggi mettiamo in regola 600mila migranti, siamo sicuri che domani saranno ancora visibili all’INPS? Il caso del 2012, con 100mila dipendenti confluiti nel giro di un anno tra le fila di disoccupati e/o lavoratori in nero, suggerisce dire di no. Sicuramente i migranti irregolari meritano risposte ma non facciamo finta di credere che questo tipo di sanatorie non finisca per avvalorare una realtà che, per gli stranieri in primis, continua ad essere di precarietà e sfruttamento. Ma forse è proprio così che lo vogliamo il lavoro dei migranti, altrimenti non servirebbe.
Permessi di soggiorno temporanei per salvare l'agricoltura? Ecco i braccianti di Borgo Mezzanone. Le Iene News il 19 maggio 2020. Una città di tende e baracche dove vivono oltre 2mila braccianti che in queste settimane di lockdown non ha mai smesso di lavorare per pochi euro all’ora. Gaetano Pecoraro ci porta a Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia, a scoprire questo ghetto. “Se noi siamo puliti è meglio anche per voi. E se siamo puliti, anche voi mangiate cose pulite, se noi siamo sporchi anche voi mangiate cose sporche”. Lo dice Alaj, uno dei 2mila braccianti di Borgomezzanone, in provincia di Foggia. Gaetano Pecoraro ci porta lungo una vecchia pista aeroportuale, dove è sorta una vera e propria città di baracche, tende e container. Un ghetto dove vivono più di 2mila braccianti che alla mattina si alzano per andare nei campi e raccolgono la frutta e la verdura che troviamo nei nostri supermercati. Lui vive qui da 11 anni, inizia a lavorare alle 6 di mattina e finisce 12 ore dopo attorno alle 18, questo per più di 300 giorni all’anno. Viene pagato appena 3 euro e 50 all’ora. “Nei campi non ci sono italiani, non lo vogliono più fare questo lavoro. E se noi non andiamo più a lavorare, voi non potete più mangiare”.
Ecco l'effetto della sanatoria: assembramenti al consolato Senegal. Il consolato senegalese di viale Certosa è stato preso d’assalto: centinaia di persone ammassate sul marciapiede per il permesso di soggiorno e di lavoro. Alberto Giorgi, Venerdì 29/05/2020 su Il Giornale. Altro che divieto di assembramenti. Per due giorni, a Milano, il consolato della Repubblica del Senegal alese di viale Certosa è stato preso d’assalto da decine e decine di persone, che si sono accalcate sul marciapiede per fare la fila. Nel nome del caos e senza rispettare la distanza minima di sicurezza intrapersonale di almeno un metro. Forse anche in centinaia hanno raggiunto in massa il consolato per sbrigare pratiche congelate nel lockdow oppure per avviare le pratiche di regolarizzazione, in seguito alla sanatoria degli immigrati e dei lavoratori irregolari varata dal governo giallorosso e fortissimamente voluta dalla ministra renziana dell’Agricoltura Teresa Bellanova. Una sanatoria che di fatto regolarizza i clandestini per un periodo di tempo pari a sei mesi, permettendo loro di ottenere appunto il permesso di soggiorno e di lavoro, per andare a lavorare come braccianti regolari nei campi agricoli della Penisola, dove c’è bisogno di manodopera. Si poteva immaginare che come conseguenza della sanatoria i consolati di molti Paesi stranieri potesse essere chiamati agli straordinari, ma quello che è successo alla periferia nord-ovest di Milano non va certo bene in ottica di sicurezza anti-covid: il marciapiede si è trasformato in fiumana e anche la strada non è stata risparmiata. Ovvie e tante le segnalazioni dei residenti, dal momento che tra i senegalesi in coda (dalle foto però indossano le mascherine), non era rispettata la distanza, anzi. Non a caso, su segnalazione degli abitanti, sono intervenute le forze dell’ordine meneghine, che hanno cercato di disperdere la folla, invitando al rispetto della distanza di sicurezza. Per qualche minuto, dunque, le cose sono state sistemate e la fila di senegalesi è stata allungata per creare spazio. Ecco, peccato però che il giorno seguente fuori dal consolato senegalese ci fosse ancor più gente e nessun poliziotto o "ghisa" a monitorare l’afflusso. E senza controlli sul marciapiede e su una fetta di strada di viale Certosa 187 si è creato, per ore (o meglio giorni), un vero e proprio assembramento. "Non credevo ai miei occhi, c’era il caos, in barba alle regole anti contagio", il commento-denuncia di una residente riportato da Il Giorno. Ma quel caos, purtroppo, non si è registrato solamente in via Certosa davanti al consolato del Senegal: scene simili, infatti, si sono viste anche in via Martignoni, in zona Melchiorre Gioia, davanti alla sede del consolato del Marocco.
Da lavoratore stagionale a bracciante: “Ecco perché noi italiani non vogliamo fare questo lavoro". Le Iene News il 28 maggio 2020. “Il problema non sono solo gli orari massacranti e le paghe misere, ma anche lo stigma sociale che in altri Paesi non c’è”. Noi di Iene.it abbiamo parlato con una ragazza che si è trovata costretta dalla situazione ad accettare un lavoro nei campi, e ci racconta la sua opinione sul perché gli italiani non vogliono fare i braccianti. Il coronavirus purtroppo non ha portato solo un’emergenza sanitaria a cui abbiamo pagato un salatissimo conto in vite umane, ma anche una crisi economica profonda e fulminea. Alla fine di quest’anno l’Italia rischia di perdere oltre il 10% del proprio prodotto interno lordo, una contrazione che non si vedeva dai tempi della seconda guerra mondiale. E non solo: secondo l’Istat a fine maggio saranno quasi 400mila le persone che avranno perso il lavoro. Tra i più colpiti da questa crisi ci sono i lavoratori stagionali, che a causa del lockdown prima e delle nuove regole poi, rischiano di saltare un intero anno di lavoro. Alcuni si sono rivolti a un settore dove frequentemente trovano impiego le persone arrivate da poco in Italia: il lavoro nei campi. Un lavoro che, si sente spesso dire, “gli italiani non vogliono fare”. Noi di Iene.it abbiamo parlato con Giulia (il nome è di fantasia), una ragazza italiana che è diventata bracciante per necessità e che ci spiega quali sono i motivi per cui gli italiani - almeno quelli che possono permetterselo - si guardano bene da quel tipo di impiego. “Durante la quarantena stavo cercando lavoro”, ci racconta Giulia. “Ho trovato un annuncio online per raccogliere la frutta nei campi. È un impiego che ho già svolto in altri Paesi del mondo, quindi mi sono detta: perché no?”. Giulia quindi accetta le condizioni proposte: “Un contratto da 39 ore, 5 euro e mezzo netti all’ora. Mi hanno detto che avrebbero potuto esserci ore extra. Poco prima di cominciare però mi dicono che sarebbero state 9 ore al giorno, sette giorni su sette. In pratica 55 ore alla settimana”. Per coprire le ore in esubero “prolungano il contratto oltre la scadenza reale, così non ci pagano gli straordinari”. Insomma, non esattamente un lavoro da sogno. “Era un escamotage per pagarci di meno”, ci dice Giulia. “È un lavoro molto pesante, nove ore al giorno sotto il sole per quei soldi”, racconta. “In queste settimane ho conosciuto altri italiani che si sono trovati a far questo lavoro perché gli impieghi stagionali sono o saltati o comunque rimandati”. A Giulia, che tra poco dovrebbe finire, è stato proposto di continuare: “Ma io non me la sento di arrivare a fine stagione, preferisco fermarmi ora e cercare altro. Spero di trovare un impiego stagionale adesso”. Ma com’è stato in questo periodo il lavoro di bracciante? “Passi tanto tempo da solo. Fisicamente è molto duro, il corpo dopo un po’ si abitua alla fatica ma a volte fa proprio male”. Sono queste le ragioni che allontanano gli italiani dal lavoro di bracciante? “Prima di tutto c’è la paga: io sono anche disposta a lavorare in condizioni fisiche dure, non mi dispiace nemmeno come impiego. Con un orario decente e una paga decente lo farei anche volentieri”, ci dice Giulia. “Però dopo pensi che lavori tutte quelle ore al giorno, sette giorni su sette, per al massimo 1.100 euro al mese…”. C’è anche un’altra cosa però che, secondo Giulia, frena gli italiani dal diventare braccianti: “Io ho fatto questo lavoro anche all’estero, in Australia per esempio ti danno più di venti dollari all’ora. Qui però faccio quasi fatica a dire che lavoro faccio, mentre fuori non l’ho mai avuto: c’è un po’ di stigma sociale sui braccianti. All’estero sono molto più tranquilli, non accadrebbe mai”. Insomma, non solo la paga misera e la fatica: ci sarebbe anche della vergogna sociale per chi si trova a fare questo lavoro in assenza di alternative: “Delle persone che lavorano con me, quasi nessuna vuole rimanere. Se fosse un anno normale, senza la pandemia, forse nessuno di noi si sarebbe messo a fare questo lavoro”. “Se le condizioni fossero un pochino più dignitose, forse avrei potuto continuare il lavoro fino a fine estate”, ci confessa Giulia. “Tra poco me ne andrò, non sono il tipo di persona che lascia un lavoro a metà ma così è un po’ troppo”.
Braccianti e lavoro in nero: i permessi di soggiorno salveranno l'agricoltura? Le Iene News il 19 maggio 2020. Gaetano Pecoraro ci mostra che cosa c’è dietro parte dell’agricoltura partendo da Borgo Mezzanone, un ghetto di duemila braccianti in provincia di Foggia. Non solo lavoratori stranieri sfruttati, ma anche italiani e aziende. Il consumo di frutta e verdura nel periodo di lockdown è aumentato quasi del 10%, ma anche i loro prezzi. Tanto che l’Antitrust ha avviato un’indagine per fare luce sulle scelte di alcune catene di supermercati. Perché, vi chiederete, aumentano i prezzi dell’ortofrutta? Per alcune speculazioni dei distributori, ma anche perché migliaia di braccianti stranieri non sono potuti arrivare in Italia per la raccolta a causa della chiusura delle frontiere. Frutta e verdura rimangono a marcire nei campi e i prezzi salgono (come ci ha raccontato Gaetano Pecoraro nel suo primo servizio: clicca qui per vederlo). E allora chi ci pensa a fare il “lavoro sporco”? “Lavoriamo ogni giorno tutti i giorni. Abbiamo la stagione del pomodoro, dei broccoletti, delle olive… Durante il coronavirus abbiamo lavorato duro per far mangiare l’Italia perché durante il lockdown erano tutti chiusi in casa e comunque dovevano mangiare”, ci racconta un bracciante. “Noi abbiamo lavorato per aiutare l’Italia”. Lui ha fatto richiesta per avere il permesso di soggiorno e ci spiega che cosa comporta non averlo: “Un sacco di braccianti dormono fuori dalle baracche: senza documenti come puoi affittare una stanza?”. Il governo ha appena deciso di concedere un permesso di soggiorno temporaneo a migliaia di lavoratori irregolari. “Da 18 anni sono in Italia, prendo 4 euro all’ora, in totale 30 al giorno”, ci dice un altro bracciante. “Lavoriamo come schiavi. Noi siamo venuti qua per migliorare la vita, ma è peggio”. Gaetano Pecoraro ci porta nella provincia di Foggia. Qui, in un casolare abbandonato, vive Philip. All’interno non c’è luce, le finestre cadono a pezzi e il bagno non c’è. Se si fermano questi schiavi moderni, niente arriverà più sulle nostre tavole. “Se noi siamo puliti è meglio anche per voi. E se siamo puliti, anche voi mangiate cose pulite, se noi siamo sporchi anche voi mangiate cose sporche”, dice Alaj, uno dei duemila braccianti di Borgomezzanone, una vera e propria città di baracche, tende e container. Un ghetto dove vivono più di duemila braccianti che alla mattina si alzano per andare nei campi e raccolgono la frutta e la verdura che troviamo nei nostri supermercati. Lui vive qui da 11 anni, inizia a lavorare alle 6 di mattina e finisce 12 ore dopo, attorno alle 18, questo per più di 300 giorni all’anno. Viene pagato 3 euro e 50 all’ora: “Nei campi non ci sono italiani, non lo vogliono più fare questo lavoro. E se noi non andiamo più a lavorare, voi non potete più mangiare”. Un altro bracciante ci racconta che cosa ha vissuto: “Quando è iniziata questa emergenza ho avuto paura. Ho dovuto rischiare, altrimenti come avrei potuto sopravvivere? Ci dicono di stare a casa, ma se non metti niente nello stomaco?!”. John, un ragazzo della Sierra Leone, dopo anni di sfruttamento ha avuto il coraggio di dire basta. “Quando ho verificato all’Inps che, su un anno e sei mesi che ho lavorato, risultavano solo 69 giorni”. Lui non era irregolare, aveva un contratto agricolo: “Io lo chiamo lavoro nero. Sono andato alla Polizia e ho raccontato tutto. Adesso sto aspettando il processo, voglio essere uno straniero per bene”. In questo sistema a essere sfruttati non sono solo i lavoratori stranieri, ma anche quelli italiani. “Ho lavorato da gennaio a dicembre, ma per l’Inps ho lavorato solo 79 giornate. Invece erano più del doppio”, dice Giovanni. In questa situazione il datore di lavoro truffa l’Inps e lo Stato dichiarando la metà dei giorni lavorativi, quindi versando la metà dei contributi. Ma c’è anche un altro problema. Ci sarebbero aziende che verserebbero contributi a persone che non hanno mai lavorato. “Gli versano quelle giornate giuste per coprire l’anno e percepire la disoccupazione”, sostiene Giovanni. “Lo fanno a persone che hanno più bambini perché si può prendere anche 10mila euro all’anno senza mai aver fatto una giornata di lavoro. Così percepiscono disoccupazione e maternità. C’è chi combatte questo modo opaco di lavorare. Come Francesco, un imprenditore che produce da 20 anni pomodori. Ci parla anche delle aste a doppio ribasso, dove si abbassano i prezzi per non farli alzare. Si fanno una volta all’anno per volumi grandissimi e chi la vince vende i suoi prodotti alle principali catene della grande distribuzione. “Dopo un esposto nel 2017, c’è una legge che è passata alla Camera ma è ferma in Senato con cui si vieta questa pratica che va a fare pressione sull’industria che poi deve fare pressione sul produttore agricolo che scarica tutto sul bracciante”, spiega Francesco. Per questo abbiamo chiesto un impegno concreto alla ministra delle politiche agricole Teresa Bellanova: “Siamo favorevoli ad approvare questa norma. Ho chiesto alla grande distribuzione di non assecondare queste campagne di sconti continui”.
Migranti, non è vero che lavorano solo loro nei campi: quanti italiani fanno la fila per un posto da bracciante. Claudia Osmetti su Libero Quotidiano il 19 maggio 2020. Con le mani nella terra. Senza paura di sporcarsi. Anzi, con il timore di non farne abbastanza. A raccoglier pomodori, asparagi, zucchine. Inizia a far caldo, le campagne si riempiono. È il momento dei braccianti, lavoratori stagionali mai precari come quest'anno. Si fa la fila davanti a quasi tutte le aziende agricole del Paese. A quelle che hanno riaperto, almeno. E però, al contrario di quel che molti pensano, sono gli italiani, oggi, che vanno a zappare. Per disperazione, per bisogno. Perché altrimenti è peggio: chiusi lì, tra gli scampoli della quarantena e la ripartenza che va a sbuffi. Un po' ovunque. Meglio rimboccarsi le maniche. Tanto che i portali on-line (anche l'agricoltura vive di internet) delle principali associazioni di categoria faticano a star dietro a tutte le domande. Coldiretti, Cia (Confederazione italiana degli agricoltori), Confagricoltura: sono sulla stessa barca. Ricevono email su email di richieste che suonano come preghiere. Per favore, fateci lavorare. «Non è così semplice trovare spazio per tutti», ammette Antenore Cervi, della Cia di Reggio Emilia. «Negli ultimi decenni l'agricoltura si è molto meccanizzata. Spesso, oggi, c'è bisogno di manodopera un minimo specializzata». Come a dire, non ci si improvvisa braccianti. Neanche dopo l'onda d'urto del coronavirus. E poi c'è il mercato. Saturo. «In media, per ogni offerta di lavoro di un'azienda ci sono circa dieci domande». Capito l'antifona? Appena sotto il Po va in scena la corsa alla vanga. C'è Paola (racconta l'edizione locale de Il Resto del Carlino) che lascia l'ufficio per l'aria aperta. Ma c'è anche Marco, ex barman. O Gianni, ex impiegato. O Adriana, ex guida turistica. L'impiego della fatica e delle mani callose. Lo scelgono in tanti. In (almeno) 24mila: e solo a contare gli italiani. Le liste messe assieme sul web fanno impressione. Agrijob (il sito di Confagricoltura) ne conta 12mila. Jobbing Country (Coldiretti) 9.500. Altri 2mila la Cia. Humus Jobs arriva a 700, la metà netta dei suoi. Sarà la crisi nera, sarà la pandemia, sarà (in alcuni casi) la voglia di mettersi in gioco e sarà anche che c'è gente che il lavoro l'ha perso prima del patatrac sanitario: ma erano decenni che gli italiani non rispondevano così alla chiamata delle campagne. Intendiamoci, la stragrande maggioranza dei braccianti stipati nei nostri campi è composta da immigrati. Rumeni, marocchini, indiani, senegalesi. La loro quota sfiora le 370mila persone, un numero molto maggiore rispetto a quello tricolore. Però, alla fine, chi l'avrebbe mai detto. Ché il cameriere si reinventava contadino e il designer pure. Una cooperativa che della frutta, a Cuneo, sostiene di aver vagliato diverse richieste di ragazzi liguri tra i 30 e i 40 anni, tutti (o quasi) con un impiego saltato nel turismo. E c'è la difficoltà a reperire manodopera oltre confine, visto che i confini sono sigillati. In Emilia Romagna ci sono aziende agricole che dicono d'esser state contattate solo ed esclusivamente da (aspiranti) lavoratori italiani. La regolarizzazione voluta dal ministro Bellanova ha aperto una breccia sugli extra-Ue (parentesi: i sindacati non son comunque contenti, la sigla Usb Lavoro Agricolo proclama sciopero per giovedì prossimo). Gli italiani, intanto, si candidano a colpi di click. «Ci hanno scritto studenti e laureati. Molti vengono dalla ristorazione o dal settore alberghiero e sono disposti a spostarsi», preannunciava un mesetto fa Romani Magrini, responsabile Lavoro di Coldiretti. Si torna alle origini. Gli italiani, adesso, vogliono fare quei lavori che gli italiani non volevano più fare prima di Covid-19. Gioco di parole a parte, è la realtà. Imprese ridimensionate e serre strapiene di personale. Nella campagna piemontese, una decina di giorni fa, per settanta posti come braccianti si sono presentati in mille. Di questi, appena il 15% era straniero: tutti gli altri avevano un curriculum con su scritto "disoccupato" o "cassaintegrato" o "assegnatario di reddito di cittadinanza". Per dire.
Simona Pletto per ''Libero Quotidiano'' il 10 maggio 2020. «Gli italiani non vogliono lavorare nei campi e gli stranieri invece sì? Questo è un mito da sfatare perché non è più vero. Io ho raccolto 400 richieste nel giro di un paio di giorni e l' 80% di questi curricula appartengono a italiani». Michele Ponso, titolare di un' azienda agricola a Lagnasco, nel Saluzzese, è ancora incredulo. Sul tavolo del suo ufficio amministrativo sono stampate decine e decine di richieste di lavoro, spedite anche di notte via mail. «Fino a l' altro giorno cercavo braccianti invano», spiega l' imprenditore. «Poi mi hanno fatto un servizio alla trasmissione televisiva Le Iene, dove lamentavo la difficoltà a reperire manovalanza straniera da mandare nei frutteti dopo il coronavirus, e apriti cielo! Sono stato letteralmente sommerso dalle domande». «Anche adesso - aggiunge l' agricoltore - che è sabato, ricevo una mail di richiesta ogni cinque minuti. La cosa che addolora, è che molte di queste persone fino a ieri avevano una occupazione e ora sono disperate perché non hanno più un lavoro né soldi. Alcuni di loro li conosco personalmente, sa com' è, viviamo in un paese di appena 1500 abitanti. C' è un tabaccaio che ha chiuso per esempio, una parrucchiera. Ma anche molti universitari, gente che lavorava negli alberghi e che è rimasto disoccupato».
LA RACCOMANDAZIONE. Tra le richieste arrivate da tutta Italia nell' azienda del signor Ponso, c' è una coppia che si è fatta "raccomandare" dal parroco del paese perché rimasta senza lavoro e con figli piccoli da sfamare, c' è un tecnico del suono, camerieri, due ragazze giovanissime che abitano al Sud e che pur di lavorare nei campi per l' azienda di Lagnasco hanno cercato di sistemarsi nel più vicino camping. Un' altra coppia, marito e moglie, addirittura si è attrezzata col camper. «Sono pronti a tutto, anche se vivono a distanza, pur di non perdere questa occasione», rimarca Ponso. «Sinceramente una cosa così non me l' aspettavo. Sa qual è la cosa che più colpisce? È che nessuno di questi, dico nessuno, ha chiesto quante ore si lavora, se sono impegnati anche il fine settimana o a Ferragosto. Nulla. La frase che ricorre in ogni curricula è "disponibilità totale". Mai successo prima». La tariffa oraria per questi mesi caldi di raccolta frutta (ora mirtilli, poi lamponi, pesche nettarine, susine e kiwi), è di sei euro. «Non è tanto, lo capisco, ma con queste annate cattive il settore non prospera e i guadagni sono sempre meno», ammette l' agricoltore.
IL CONFRONTO. E sottolinea: «L' anno scorso avevamo l' 80% di manovalanza straniera. Poi a causa del virus sono tornati nella loro terra alcuni nostri operai, tra cui cinesi, africani, polacchi. Ci siamo ritrovati senza personale. Ora ne abbiamo già selezionati e assunti 17, quasi tutti italiani. Ne servirebbero 25 ma abbiamo deciso di tenere il posto ai nostri stranieri perché dovrebbero riuscire a tornare nel nostro Paese per fare la stagione da noi». Potrebbero esserci problemi al rientro, ma anche sull' aspetto sanitario evidenzia l' agricoltore siamo pronti a fare la nostra parte. «Faranno la loro quarantena ovviamente. Intanto però, la nostra azienda non ha più problemi nel reperire risorse umane. Una cosa è certa: se si continua a dire che gli italiani non vogliono lavorare nei campi anche in tempi di coronavirus, è solo perché c' è un evidente problema di comunicazione. Se la gente viene informata, io ne sono un esempio, alza la mano e corre».
Michelangelo Borrillo per il “Corriere della Sera” l'11 maggio 2020. C' è chi lavorava al bar. Che non ha riaperto. Chi studiava. Ma adesso è senza lezioni. Chi, semplicemente, era già disoccupato prima del Covid-19. Hanno saputo che, volendo lavorare, nei campi c' è spazio, perché quest' anno mancano 200 mila braccianti, in gran parte stranieri, impossibilitati a tornare in Italia a causa delle restrizioni nella mobilità dovute al coronavirus. E così più di 20 mila italiani, braccia più braccia meno, si sono registrati sulle banche dati delle principali organizzazioni agricole. Che proprio per fronteggiare la carenza di manodopera, ad aprile hanno creato delle piattaforme per incrociare l' offerta di lavoro delle aziende e la domanda degli aspiranti operai agricoli. La prima, il 7 aprile, è stata Confagricoltura: in poco più di un mese alla piattaforma Agrijob sono arrivate 17 mila domande, 12 mila circa di italiani. Il 18 aprile anche Coldiretti ha lanciato la sua banca dati: a Jobincountry si sono iscritti in 10 mila circa, quasi 9 mila italiani. Il 24 aprile è partita anche la Cia con la piattaforma Lavora con agricoltori italiani (inteso come aziende agricole): in due settimane sono arrivate 2.500 domande, 2 mila circa di italiani. In poco più di un mese, quindi, oltre 20 mila italiani (un terzo donne), hanno provato ad avvicinarsi ai campi. Qualcuno aspetta risposte, altri dopo due giorni hanno cambiato idea, ma in tanti ora raccolgono frutta e verdura. Tra i neofiti delle pratiche agricole ci sono anche cinque camerieri, salentini, dell' agriturismo Tenuta Monacelli, alle porte di Lecce: «Fino a tre anni fa - spiega il titolare Giuseppe Piccinni - l' attività agricola, con i nostri 340 ettari, era prevalente. Poi con il boom del turismo c' è stato il sorpasso. Adesso stiamo tornando alle origini: fino a luglio, almeno, staremo fermi sul fronte turistico e allora ho chiesto ai miei collaboratori più stabili di preparare i terreni per impiantare nuovi ulivi al posto di quelli colpiti dalla Xylella: hanno accettato, ben felici di poter lavorare». Dal Sud al Nord la situazione non cambia. «Ci arrivano diverse richieste dalla costa ligure - spiega Domenico Paschetta, della cooperativa cuneese Agrifrutta - da 30-40enni che lavoravano nel turismo. Abbiamo bisogno, tra raccolta e confezionamento, di 500 persone. Negli scorsi anni erano al 90% stranieri. Ma adesso, con la difficoltà a muoversi da Albania, Romania e Polonia, stiamo cercando gente locale senza problemi di alloggio: in passato i Comuni si erano organizzati con strutture di accoglienza, quest' anno con il distanziamento sarà più difficile». Gli italiani che cercano lavoro nei campi, quindi, non mancano. E considerata la carenza di manodopera, anche il governo si sta organizzando per utilizzare la piattaforma dell' Anpal, l' Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, in sinergia con quelle delle organizzazioni agricole. L' agriturismo sarà, almeno nei prossimi mesi, più agri che turismo.
Coronavirus, Brusaferro (Iss): "Curva decresce, RT minore di 1 in tutta Italia. Stessa tendenza tra immigrati e italiani". La Repubblica il 30 aprile 2020. La curva cala, il tasso di contagio è inferiore a 1, si riducono le zone rosse. Sono tutti fattori positivi quelli elencati il presidente dell'Istituto Superiore di Sanità (Iss), Silvio Brusaferro, nella conferenza stampa organizzata dall'istituto sull'andamento dell'epidemia da SarCov2. Brusaferro ha specificato inoltre, anche in risposta alle fake news circolate nei primi giorni dell'epidemia sul fatto che gli immigrati non venissero contagiati, che la curva dell'epidemia di Covid-19 è analoga negli italiani e negli individui di nazionalità straniera, tra i quali sono stati rilevati 6.395 casi. "Ma i casi sono partiti con uno sfalzamento di 2-3 settimane", ha detto Brusaferro.
"Ecco perché gli stranieri vengono risparmiati", secondo Galli. Il direttore del reparto malattie infettive del “Sacco” di Milano avanza un’ipotesi sulla diffusione della malattia: la popolazione immigrata in Italia è mediamente più giovane e sana, ma il loro organismo sembra anche più difeso del nostro. Agi 25 marzo 2020. E gli immigrati? Quanti sono i contagiati e quanti i ricoverati, ad esempio al Dipartimento di Malattie Infettive dell’Ospedale Sacco di Milano? “Nessuno mi pare”, risponde in un’intervista a Libero Quotidiano il professor Massimo Galli che del Sacco di Milano è il primario. E il direttore sanitario osserva anche che “in ogni caso la percentuale è praticamente nulla”. Quanto alla spiegazione, il medico dice che “l’ipotesi, ma è ancora tutta da dimostrare anche se è verosimile, è che in alcune etnie di discendenza africana ci siano diverse caratteristiche e disponibilità per il virus”. Ovvero, uscendo dai tecnicismi, Galli dice che ciò significa che “queste persone potrebbero avere un fattore protettivo maggiore”, cioè è possibile “che abbiano le porte chiuse, o meglio, semichiuse nei confronti del Covid-19” mentre “le porte degli italiani sono invece spalancate”. Anche per il fatto che come italiani “siamo una popolazione molto vecchia, e questo ci espone più facilmente alle malattie” mentre “gli immigrati che risiedono in Italia sono per lo più giovani e in forze” e pertanto “hanno molti meno problemi di salute rispetto a noi”. “Il fattore anagrafico e la sana costituzione – osserva Galli – spiegherebbero anche il motivo per cui gli adolescenti e i bambini reagiscono molto meglio al Covid-19”.
Migranti: 400 sbarcano in spiaggia nell'Agrigentino. Pubblicato domenica, 24 maggio 2020 da La Repubblica.it. PALMA DI MONTECHIARO - Circa 400 migranti sono sbarcati sulla battigia di Palma di Montechiaro, nell'Agrigentino. Una nave madre li avrebbe lasciati a pochi metri dall'arenile, prima di riprendere il largo. Polizia e carabinieri stanno rastrellando l'area e un elicottero si è levato in volo. Ieri tre imbarcazioni con 27 migranti sono state intercettate al largo delle coste Trapanesi. Le operazioni sono state eseguite ieri dal reparto operativo aeronavale della Finanza di Palermo e del comando operativo di Pratica di Mare, intervenuti mentre i tre natanti erano in precarie condizioni di navigabilità. Il primo intervento è avvenuto in mattinata, con il Pattugliatore P02 Monte Cimone del Gruppo Aeronavale di Messina, precedentemente schierato in zona a supporto del dispositivo regionale, che aveva individuato, al limite delle acque territoriali, un primo gommone con sette migranti diretto inequivocabilmente verso le coste di Mazara del Vallo. Dopo aver imbarcato i migranti, l'unità si era diretta verso il porto di Trapani.
La "nave madre" dei migranti: ecco cosa c'è dietro gli sbarchi. Sono circa 400 i tunisini arrivati nelle coste agrigentine attraverso una nave madre. Altri migranti sono giunti a Lampedusa e Linosa. Adesso l'allerta sbarchi è alta. Sofia Dinolfo e Mauro Indelicato, Domenica 24/05/2020 su Il Giornale. Ad Agrigento è invasione migranti. Sarebbero secondo alcuni testimoni ben 400 gli extra comunitari di origine tunisina giunti nella spiaggia di Palma di Montechiaro nel primo pomeriggio di oggi. Nel corso della giornata però dalla questura hanno specificato che forse le persone sbarcate non sono più di 70. Un vero e proprio caos che ha fatto scattare l’allarme in men che non si dica. Uno sbarco imponente che lascia spazio a tutti i presupposti di un arrivo con una “nave madre”. Infatti, a pochi metri dalla battigia è stato ritrovato un barcone di circa 10 metri che, in base alle testimonianze, corrisponderebbe a quello usato per lo sbarco dei migranti. Della seconda imbarcazione, avvistata dai testimoni, nessuna traccia. Sul posto immediatamente le forze dell’ordine per fermare ed identificare gli arrivati nel rispetto di tutte le misure di sicurezza.
In mare le motovedette della Capitaneria di Licata e di Porto Empedocle e anche il pattugliatore della guardia di finanza. Nei cieli invece l’elicottero della polizia per rintracciare la seconda imbarcazione e anche i migranti che sono riusciti a scappare una volta approdati sulla terra ferma. Un vero e proprio caos che sta tenendo impegnati gli uomini in divisa ma che sta anche generando allerta nella Città del Gattopardo e nel territorio provinciale. Infatti sono stati già segnalati diversi extracomunitari sulla strada statale che porta ad Agrigento. Uno sbarco di questa entità non lo si vedeva dal 2017, anno caratterizzato dall’arrivo imponente di sbarchi fantasma nelle coste dell’agrigentino. È un fine settimana bollente per la Sicilia se si considera che quella di Palma di Montechiaro non è l’unica costa ad essere stata interessata dagli sbarchi. Sempre questo pomeriggio infatti è arrivato a Linosa un altro barcone con a bordo 52 migranti, un altro mezzo è stato intercettato al largo di Lampedusa e altri arrivi sono stati registrati a Trapani. In quest’ultimo caso si parla di tre barchini. Ma anche ieri sera sono stati registrati nuovi arrivi sull’isola di Lampedusa con due barche diverse. La prima, con a bordo cinque tunisini, è arrivata direttamente sul molo Favarolo. La seconda, con a bordo altri 40 tunisini, è stata intercettata a largo dalla guardia di finanza e scortata fino al molo. Si tratta di una vera e propria invasione che sta generando allarme tra le popolazioni interessate ma anche tra gli amministratori locali. Una situazione ai limiti della gestibilità visto e considerato sia il numero eccessivo di migranti sia l’emergenza sanitaria che richiede il distanziamento sociale e il rispetto della quarantena. Dove verranno trasferiti adesso i nuovi arrivati? La nave quarantena situata in rada, a Porto Empedocle, non basta più e adesso il problema relativo alla gestione degli arrivi è diventato realtà. Ed in merito a questa nuova e massiccia ondata di arrivi sono intervenuti i parlamentari della Lega Stefano Candiani e Nicola Molteni, sottosegretari all'Interno col ministro Salvini attribuendo al governo la responsabilità di quanto è accaduto. " Record di sbarchi in una giornata, con più di 400 arrivi. Colpa del Governo e della scellerata maxi sanatoria della Bellanova e dei 5Stelle-si legge in una nota dei leghisti che prosegue- L’Italia torna a essere il campo profughi d’Europa: nel 2020 si contano 4.445 sbarchi dal primo gennaio al 22 maggio, contro i 1.361 dello stesso periodo del 2019. Porti e porte aperte ai clandestini da chi vuole smantellare i decreti Sicurezza”. Il maxi sbarco verificatosi a Palma di Montechiaro, ha rilanciato ancora una volta la questione relativa al possibile uso di navi madri da parte dei trafficanti di esseri umani. Una tecnica quest’ultima che, nel corso degli anni, è stata spesso al centro dei riflettori da parte soprattutto degli inquirenti. Ma in cosa consiste la nave madre? Si tratta un’imbarcazione alla quale solitamente sono attaccati altri mezzi di dimensioni minori, i quali vengono poi sganciati e dirottati verso le coste siciliane ed i vari punti di approdo. Si tratta il più delle volte di pescherecci che, partendo dall’altra parte del Mediterraneo, percorrono poi buona parte del tragitto assieme ai gommoni ed ai barchini con a bordo i migranti. Una volta poi fatte partire le piccole imbarcazioni sganciate, gli scafisti a bordo della nave madre fanno retromarcia e tornano verso la Tunisia o la Libia. Da quando all’inizio degli anni 2000 il fenomeno migratorio si è fatto più intenso, si è sempre avuto il forte sospetto dell’uso delle navi madri da parte delle organizzazioni criminali. Ma è soltanto dopo l’anno nero del 2017, quello cioè dove in estate in provincia di Agrigento si contavano almeno due sbarchi al giorno, che su questa modalità usata dai trafficanti di esseri umani si sono accesi i riflettori. Una prova lampante dell’impiego di navi madri, si è avuta ad esempio nel novembre del 2018. In quell’occasione, un aereo della missione Frontex ha avvistato un peschereccio sospetto non lontano da Lampedusa. Sembrava un’imbarcazione come tante, a bordo infatti non si avvistano assembramenti di migranti. Tuttavia, una fune legava questa imbarcazione con un barchino, anch’esso apparentemente vuoto. Il mezzo di Frontex ha quindi notato che, proprio in prossimità di Lampedusa, il peschereccio ha lasciato alla deriva il barchino ad esso attaccato. Scattati i controlli, si è scoperto che all’interno di quel piccolo mezzo lasciato alla deriva c’erano 68 persone. Erano tutte stipate nella stiva, per questo dall’alto nessuno aveva avvistato la loro presenza. Il peschereccio, che fungeva quindi da nave madre, è invece scappato verso la Tunisia. Ne è nato un inseguimento che il 22 novembre 2018 ha coinvolto anche mezzi della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza. Alla fine, i sei scafisti a bordo di quel peschereccio sono stati arrestati a poche miglia dalle acque tunisine. La Procura di Agrigento, che ha coordinato quelle indagini, ha parlato delle prime vere prove tangibili dell’uso di una nave madre da parte dei criminali che lucrano con i viaggi della speranza. Nel mese di giugno del 2019, sempre da Agrigento è partita un’altra analoga operazione: anche in quel caso, una nave madre è stata avvistata non lontana dalle acque italiane e gli scafisti a bordo sono stati arrestati. L’uso di navi madri da parte delle organizzazioni criminali è quindi oramai un dato consolidato. E soprattutto, appare una tecnica sempre più in voga tra i trafficanti. Del resto, i vantaggi per questi ultimi sono notevoli. In primis, gli scafisti hanno la possibilità di trovare più facilmente una via di fuga nelle acque internazionali, tornando quindi quasi subito nel porto di partenza in Libia od in Tunisia. In secondo luogo, la nave madre diventa un mezzo utilizzabile anche per più traversate: in questa maniera, le varie associazioni criminali possono sacrificare soltanto piccole imbarcazioni di legno. Altro aspetto importante riguarda il fatto che gli scafisti, grazie all’uso di una nave madre, evitano di scendere assieme ai migranti e di essere quindi poi in un secondo momento identificati. Ecco quindi perché c’è da scommettere su un uso, da parte dei trafficanti, sempre più importante di navi madri per far giungere i migranti sulle nostre coste. Il miglioramento delle condizioni meteo, l’avvicinamento ai mesi estivi e l’uso di imbarcazioni più grandi da cui far partire i barchini diretti verso la Sicilia, sono tutti elementi che fanno temere settimane roventi sul fronte migratorio.
Lampedusa, un barcone con oltre 60 migranti approda nell'isola. Pubblicato sabato, 16 maggio 2020 su La Repubblica.it da Giorgio Ruta. "Che senso ha la nave quarantena se è lontana dall'isola?". È la domanda che pone, dopo l'ultimo sbarco di migranti, il sindaco di Lampedusa Salvatore Martello. Oggi pomeriggio, intorno alle 15, un'imbarcazione con una sessantina di migranti è arrivata direttamente sugli scogli di Cala Madonna. "Come era prevedibile - dice il sindaco Totò Martello - le buone condizioni del mare favoriscono gli sbarchi. È indispensabile che la nave Moby Zazà destinata alla quarantena dei migranti, che attualmente è ancora a Porto Empedocle in attesa di alcune verifiche tecniche, venga al più presto fatta arrivare a Lampedusa". I migranti, adesso, sono al molo Favaloro, in attesa di un trasferimento. "Chiedo al governo - aggiunge il primo cittadino - un intervento urgente e determinato in questo senso altrimenti non si comprende, anche gli occhi dell'opinione pubblica, a cosa serve aver fatto un bando per una nave per la quarantena se poi viene lasciata a Porto Empedocle e non a Lampedusa, dove i migranti arrivano". Chi sbarca adesso sull'isola fa tanti passaggi prima di arrivare sulla nave quarantena. Prendiamo i 53 arrivati tra martedì e mercoledì: sono stati al molo, prima di andare in una struttura messa a disposizione della chiesa. Da lì con i mezzi della guardia costiera fino a Porto Empedocle, poi un breve passaggio in pullman per arrivare, finalmente, sulla nave. "L'utilità della Moby Zazà - aggiunge Martello - dovrebbe essere quella di far trascorrere la quarantena dei migranti a bordo evitando spostamenti verso altre località su motovedette della Guardia Costiera o sulla nave di linea, dal momento che a Lampedusa il Centro di accoglienza è pieno. Ma se la nave è lontana dall'isola, i migranti continueranno a sostare sul Molo Favaloro in attesa del trasferimento, e in pratica non avremmo risolto nulla. Bisogna predisporre il dislocamento della Moby Zazà di fronte l'isola, e bisogna farlo al più presto".
Da repubblica.it il 28 aprile 2020. La nave-quarantena promessa non è mai arrivata ma a Lampedusa gli sbarchi autonomi continuano e il sindaco Martello non sa come mettere in sicurezza i migranti e la sua popolazione visto che l'hotspot è già pieno di altre persone ancora in isolamento. L'ultimo sbarco questa mattina e anche consistente. Un'imbarcazione con 80 persone giunta fin dentro il porto dell'isola di fronte alla sede della Capitaneria di porto. "Gli sbarchi continuano - dice il sindaco di Lampedusa - e in questo caso oltretutto c'è un pericoloso rimpallo di responsabilità: nessun mezzo militare infatti fino ad ora è disposto ad accompagnare i migranti dalla banchina fino al molo Favaloro da dove dovranno essere trasferiti dal momento che l'hotspot è già pieno e non può ospitare altri migranti per la necessaria quarantena sanitaria". Martello si rivolge al ministro dell'Interno, della Difesa, al presidente della Regione: "Da sindaco non ho potere di intervento diretto. Cosa dobbiamo fare? Ho chiesto di trainare l'imbarcazione fino al molo ma non è possibile andare avanti così. Siamo in piena emergenza coronavirus, i cittadini dell'isola hanno il diritto di vedere tutelata la loro salute e comprendo anche che le stesse esigenze valgano per gli uomini delle forze dell'ordine. Ma questa situazione è inaccettabile. Le istituzioni che hanno il dovere di intervenire non possono scaricare il peso dell'accoglienza interamente sulle nostre spalle".
Ogni migrante sulla nave-quarantena ci costerà oltre 4mila euro al mese. Costi ritenuti eccessivi per la nave destinata ad ospitare i migranti in quarantena, la Lega alza gli scudi sul caso della Moby Zaza. Sofia Dinolfo e Mauro Indelicato, Martedì 12/05/2020 su Il Giornale. Da sabato notte la nave Moby Zaza si trova ormeggiata nella banchina di Porto Empedocle in attesa di essere funzionante. Obiettivo? Consentire ai migranti di svolgervi al suo interno la quarantena. La nave è arrivata dopo un mese di appelli incessanti da parte del sindaco di Lampedusa, Salvatore Martello e dei colleghi di Pozzallo e Porto Empedocle, nei confronti del governo. Al loro appello si è unito anche quello dei sindaci di tutta la provincia di Agrigento e del governatore della Regione siciliana. Il mese di aprile e la prima decade di maggio sono stati caratterizzati da diverse centinaia di sbarchi tanto da mettere in difficoltà gli amministratori locali che si sono trovati a dover far fronte a situazioni difficili da gestire. Da una parte il problema su dove ospitare i migranti e dall’altra la difficoltà su come metterli in condizione di rispettare la quarantena in angusti spazi in piena emergenza sanitaria dovuta al coronavirus. La Moby Zaza, con i suoi circa 250 posti, ospiterà i migranti che approderanno nelle coste di Lampedusa e in quelle agrigentine in generale. Al suo interno vi sarà anche un’area per il confinamento di migranti con sintomi da Covid-19, mentre 35 posti saranno destinati al personale sanitario. Prima di essere utilizzata, la nave verrà sottoposta ad una verifica da parte della commissione di visita ex art. 25 della legge 616/62. Se tutto si concluderà positivamente, la Moby Zaza si posizionerà nella rada di Porto Empedocle a circa 2/3 miglia fuori, in area Bravo. Prima però occorrerà aspettare la verifica di un’apposita commissione, la quale potrebbe impiegare, come segnalato da fonti della Capitaneria di porto di Porto Empedocle, diversi giorni. Forse la Moby Zaza potrà realmente espletare la sua funzione a partire da lunedì prossimo. Ed intanto non mancano le polemiche. Il costo di quest’operazione nei giorni scorsi è apparso eccessivo ad esempio al vice capogruppo della Lega alla Camera, Alessandro Pagano: “Per il noleggio della nave traghetto 'Moby Zaza', messa stavolta a disposizione per la quarantena di questi immigrati irregolari provenienti da Libia e Tunisia e per il loro successivo approdo sulle nostre coste – ha sottolineato il deputato – la compagnia Moby Line riceverà tra i 900mila e 1 milione e 200mila euro: la bellezza di 4.210 euro al mese per clandestino imbarcato”. Costi ritenuti eccessivi dall’esponente della Lega, il quale nei prossimi giorni dovrebbe presentare anche un’interrogazione: “Non parliamo di un gommone di terza mano, ma – ha proseguito Pagano – di una nave dotata di ristorante self-service, pizzeria, gelateria, admiral pub con speciale assortimento vini, area giochi e sala video, cabine doppie o quadruple con servizi e perfino suite di lusso. Tutto questo mentre famiglie e imprese italiane sono in ginocchio per la gravissima crisi economica causata dalla pandemia da Covid-19”. “Il gruppo Onorato, proprietario dell'imbarcazione – ha concluso Pagano – si dice che abbia un contenzioso debitorio di 180 milioni di euro nei confronti del Mit. Com’è possibile che abbia potuto partecipare, e soprattutto vincere, questa gara pubblica indetta dallo stesso Ministero?” Nel frattempo, dalla maggioranza si difende la scelta. Alcuni deputati locali del Movimento Cinque Stelle, plaudono all’arrivo della nave: “Quello che abbiamo raggiunto è un risultato fondamentale per la salvaguardia del nostro territorio e di tutta la costa sud orientale siciliana in un momento particolare e delicato – ha dichiarato Rosalba Cimino, deputata grillina – un obiettivo raggiunto con determinazione insieme ai colleghi siciliani, dopo varie interlocuzioni e confronti con amministratori locali”. Da parte sua, anche il sindaco di Porto Empedocle, Ida Carmina, si è detta soddisfatta per l’arrivo della nave. Ma tra ritardi, costi su cui verranno presentate interrogazioni e varie altre polemiche, la vicenda relativa alla gestione del fenomeno migratorio in piena emergenza Covid sembra essere solo all’inizio. Nel frattempo la nave, come detto in precedenza, è ancora in porto: in caso di nuovi sbarchi, per il momento, il mezzo non sarebbe utilizzabile.
Tra barchini e carrette del mare: l'invasione di sbarchi fantasma. In base agli ultimi dati degli sbarchi autonomi da parte dei migranti, per l'estate si preannunciano numeri allarmanti. A destare maggiori preoccupazioni gli arrivi "fantasma" nell'agrigentino e nel trapanese. Sofia Dinolfo e Mauro Indelicato, Venerdì, 15/05/2020 su Il Giornale. È stato un mese di aprile intenso quello che hanno vissuto Lampedusa e la Sicilia in genere se si analizza il contesto degli sbarchi autonomi da parte dei migranti. Questi ultimi infatti sono arrivati in diverse centinaia. Non da meno il mese di maggio, seppur ancora nel pieno dello scorrere dei suoi giorni. Se poi si entra nei dettagli, da marzo ad ora, sono circa mille gli extracomunitari giunti sulle coste dell’isola maggiore delle Pelagie cui si sono aggiunti anche gli oltre 50, arrivati nell’agrigentino, attraverso lo sbarco fantasma a Torre Salsa. In base a quanto registrato nelle ultime settimane, quella che si preannuncia potrebbe essere un’estate molto calda e questo non solo per le alte temperature ma anche con riferimento al flusso degli sbarchi. Da qui al breve periodo, i numeri potrebbero essere allarmanti. A destare maggiore preoccupazione sono soprattutto quegli arrivi che, almeno in un primo momento, sfuggono dal controllo delle forze dell’ordine. Stiamo parlando proprio degli sbarchi fantasma. Si tratta di quei fenomeni attraverso i quali gli stranieri arrivano attraverso dei barconi e, una volta approdati in spiaggia, abbandonano il mezzo per scappare tra le campagne e le zone più vicine sottraendosi alla caccia all’uomo attuato dalle forze dell’ordine. Da qui, alcuni riescono a farla franca rimanendo come fantasmi nel vero senso del termine, altri invece intercettati ed identificati. Dalle verifiche effettuate nei confronti delle persone identificate è emerso sempre un elemento comune: tutti sono partiti dalla Tunisia, nello specifico da Biserta, Sfax e Sousse. L’ultimo fenomeno di “massa” di questo tipo è avvenuto non poco tempo fa, ovvero nell’estate del 2017, con numeri preoccupanti. Da Cattolica Eraclea a Siculiana, fino a Realmonte, le coste dell’agrigentino in quel periodo sono state le protagoniste di numerosi arrivi fantasma che hanno creato problemi e anche preoccupazioni fra la cittadinanza. Sono stati in molti gli agrigentini che si sono trovati ad assistere a questi eventi durante momenti di relax al mare o direttamente dalle loro abitazioni di campagna lanciando l’allarme. Gli stessi fenomeni si sono verificati anche nei territori di Palma di Montechiaro e Licata, sempre nell’agrigentino. Dopo la fuga tra le zone di campagna, il “piano 2” dei migranti è stato quello dell’attraversamento, durante la notte, della SS 115, ovvero l’arteria che unisce tutte le città della provincia. Proprio in questa fase molti di loro sono stati intercettati dai carabinieri, dalla polizia o dalla guardia di finanza e sottoposti poi all’identificazione. Sempre in quel periodo è accaduto anche un fatto che ha destato non poche perplessità su questo tipo di fenomeno. In una foto scattata nella spiaggia ricadente nel territorio di Siculiana è stata notata una maglietta con la scritta “Haters Paris”. Quella frase avrebbe potuto significare tutto ma anche niente. O un indumento indossato casualmente prima di affrontare il viaggio verso la Sicilia o la presenza dei terroristi tra i barconi di quegli sbarchi. Per far chiarezza sulla situazione che lasciava pensare a delle infiltrazioni jihadiste, il procuratore di Agrigento ha aperto subito dopo un’inchiesta. Nel trapanese la situazione spesso in passato è apparsa anche più pericolosa. Qui infatti ad approdare non sono i barchini ed i gommoni spesso notati tra Lampedusa e l’agrigentino, bensì vere e propri mezzi di lusso. Degli yacht in grado di coprire in poche ore la distanza tra la provincia tunisina di Biserta e le coste trapanesi. Mazara Del Vallo e Marsala i territori in cui, anche nel recente passato, è stata notata la più elevata concentrazione di questa tipologia di sbarchi. Ed è chiaro che in un contesto del genere, ad emergere è soprattutto il rischio di infiltrazioni terroristiche. Chi affronta le traversate con gommoni veloci e con mezzi più costosi, spende molto di più rispetto ai migranti che invece arrivano in Sicilia con mezzi di fortuna. Il sospetto, mai del tutto domato in seno a molte procure siciliane, è che a pagare questi viaggi potrebbero essere anche le organizzazioni criminali e terroristiche. Lo si è potuto vedere ad esempio nell’operazione Abiad, condotta dai Carabinieri del Ros di Palermo, Trapani, Caltanissetta e Brescia il 9 gennaio 2019. In quest’occasione sono state arrestate 15 persone: per loro l’accusa è stata anche quella di aver condotto irregolarmente in Italia decine di persone ma, ad inquietare maggiormente, tra le altre cose, è stato anche il ruolo di un soggetto tunisino che sui social inneggiava alla Jihad. E non è un caso che, come si legge tra le carte di quell’operazione, il blitz in Sicilia è scattato grazie alle rivelazioni di un “pentito” precedentemente vicino all’organizzazione criminale smantellata: “Vi sto raccontando quello che so perché voglio evitare che vi troviate un esercito di kamikaze in Italia”, ha dichiarato agli inquirenti il collaboratore. Ed infatti, i pm allora hanno ben evidenziato i pericoli per la sicurezza nazionale: “Sussistono significativi ed univoci elementi – si legge tra le carte dell’operazione – per ritenere che l'organizzazione in esame costituisca un'attuale e concreta minaccia alla sicurezza nazionale poiché in grado di fornire a diversi clandestini un passaggio marittimo occulto, sicuro e celere che, proprio per queste caratteristiche, risulta particolarmente appetibile anche per quei soggetti ricercati dalle forze di sicurezza tunisine, in quanto gravati da precedenti penali o di polizia ovvero sospettati di connessioni con formazioni terroristiche di matrice confessionale”. Pochi giorni dopo, sempre con i riflettori puntati sul trapanese, è scattata l’operazione Barbanera. Il nome del blitz lo si è dovuto in quel caso al soprannome del principale indiziato: Moncer Fadhel, di origine tunisina, veniva chiamato così per via del suo aspetto e della sua lunga e folta barba nera. Era lui, secondo gli inquirenti, a gestire il traffico di esseri umani nel trapanese: i migranti, hanno spiegato all’epoca i militari della Guardia di Finanza impegnati nell’operazione, venivano portati in spiagge predefinite dove l’organizzazione criminale guidata da Barbanera riusciva poi a smistarli nel territorio facendo perdere le loro tracce. Ciò che ha maggiormente stupito nelle due operazioni del gennaio del 2019, è stata la ramificazione territoriale delle organizzazioni che gestiscono il traffico di migranti. Fadhel ad esempio, a Mazara Del Vallo era proprietario di tre attività commerciali, tra cui un ristorante. Era riuscito a farsi strada all’interno del mondo criminale locale, contrassegnato storicamente da alcuni dei clan più importanti di cosa nostra. E la mafia siciliana con la criminalità impegnata negli affari derivanti dall’arrivo di migranti sembra convivere pacificamente. Anche perché a bordo dei gommoni e dei mezzi che arrivano nel trapanese, non ci sono soltanto extracomunitari: gli inquirenti più volte hanno rintracciato la presenza di ingenti dosi di sostanze stupefacenti ed anche di sigarette. Tutta merce che poi, una volta fatta arrivare in Sicilia, viene in seguito smistata nelle piazze di spaccio e contrabbando dell’isola. Le operazioni Abiad e Barbanera sono state, sotto questo profilo, le più importanti capaci di portare a galla il fenomeno degli sbarchi fantasma che contraddistingue il trapanese. Ma non le uniche: sempre tra Trapani ed Agrigento, nel marzo del 2018 un blitz dal nome evocativo di “Caronte”, ha smantellato un’altra organizzazione dedita a far arrivare in Sicilia migranti con gli sbarchi fantasma. Un fenomeno quest’ultimo che fa gola alla criminalità presente in entrambe le sponde del Mediterraneo, che negli anni ha creato non poco allarme sociale, soprattutto nell’agrigentino, e che potrebbe rappresentare un pericolo per le possibili infiltrazioni terroristiche. Da qui il timore di una possibile nuova ondata di sbarchi in questa estate 2020. Anche perché, come raccontato nei giorni scorsi su IlGiornale.it, dalla Tunisia e dalla Libia scafisti e criminali sono pronti a mettere in navigazione decine di barchini. E l’aumento del numero degli sbarchi riscontrato in questa prima decade di maggio appare significativo. Per la Sicilia e per l’Italia dunque, la bella stagione alle porte potrebbe rappresentare un ritorno alle fasi più calde dell’emergenza migratoria.
Ecco l'invasione dei migranti: "Trieste peggio di Lampedusa". Altri 160 migranti provenienti dalla rotta balcanica fermati al confine italo-sloveno. Il vice-sindaco di Trieste, Paolo Polidori, lancia l'allarme: "Gli arrivi non si fermano e i centri sono al collasso, qui è peggio che a Lampedusa". Alessandra Benignetti, Mercoledì 13/05/2020 su Il Giornale. "Qui è peggio che a Lampedusa, siamo al collasso". Il vice sindaco di Trieste, Paolo Polidori, non usa mezzi termini per descrivere la situazione che sta vivendo il capoluogo del Friuli-Venezia Giulia nelle ultime ore. Gli ingressi dei migranti dalla rotta balcanica, qui, non si sono mai fermati. Anzi, con l’arrivo della primavera sempre più richiedenti asilo hanno scelto di attraversare la frontiera con la Slovenia per rifugiarsi in Italia. Non li spaventa l’emergenza sanitaria e neppure i militari dell’esercito schierati a guardia dei valichi. In 160 oggi sono stati intercettati sul Carso triestino. Quasi tutti afghani e pakistani individuati alla periferia della città e nei pressi di Basovizza mentre camminavano in gruppo in direzione del centro. Si aggiungono ai 250 arrivati la scorsa settimana. Si parla di almeno mille persone giunte qui dall’inizio dell’anno. Numeri che hanno spinto il presidente della Regione, Massimiliano Fedriga, a chiedere aiuto a Roma. "Qui lo Stato però non si è visto, questo governo è inesistente", denuncia Polidori, che è anche assessore alla Polizia Locale, Sicurezza e Protezione civile nel capoluogo del Friuli-Venezia Giulia. "Il comune di Trieste – ci dice al telefono - non ha più la possibilità di accogliere nessuno". Il punto, sottolinea il numero due di Roberto Dipiazza, è che "gli arrivi continueranno mentre qui non ci sono più posti disponibili nei centri di accoglienza". "So per certo che in Bosnia si stanno muovendo molte persone, la rotta balcanica ormai viene privilegiata anche rispetto a quella del Mediterraneo centrale, perché è più sicura", continua Polidori. La prova, secondo l’assessore, è che tra i migranti "molti sono di nazionalità tunisina e algerina". "I minori non accompagnati, prevalentemente kosovari o albanesi, dobbiamo tenerli qui per legge, ma non abbiamo più posti dove sistemarli per fare osservare loro il periodo di quarantena obbligatorio", ci spiega. Tra le soluzioni al vaglio della giunta c’è quello di sistemare delle tende per ospitarli. Ma il costo di un’operazione del genere, denuncia Polidori, sarebbe insostenibile in questo momento per le casse del Comune. "I militari inviati da Roma si limitano ad intercettare i migranti, ma non possono respingerli alle frontiere – incalza – il governo dovrebbe almeno farsi carico di chi arriva nel nostro Paese e non lasciare tutto sulle spalle dei sindaci". "Se gli ingressi continuano a questo ritmo potremmo non essere più in grado di gestire la situazione con le nostre risorse", avverte Polidori. Il rischio, secondo l’assessore, è che tra qualche settimana decine di profughi possano trovarsi a "girare per la città senza nessun controllo, mettendo a repentaglio gli sforzi fatti nei mesi scorsi per contenere il virus, visto che transitano da Paesi in cui si sta diffondendo l’epidemia". L’allarme arriva anche dai principali sindacati di polizia. Ieri il Sap denunciava un organico "fortemente inadeguato alla situazione attuale". "Così non si può reggere a lungo", mette in guardia Domenico Pianese, segretario del Coisp, che denuncia la mancanza di "veicoli dedicati al trasporto dei migranti" e di "strutture idonee in cui collocarli". Da settimane gli agenti sono chiamati ad "un continuo contatto con persone provenienti da altre nazioni, per le quali sarebbero previste due settimane di quarantena". Senza contare la "difficoltà di reperimento di mascherine FFP2/FFP3 e di occhiali protettivi" per i poliziotti impegnati nel contrasto all'immigrazione illegale. "Se non verranno adottate delle misure di contrasto urgenti ed efficaci, in termini di uomini e mezzi, a Triste la stagione migratoria sarà lunga, faticosa e non priva di rischi", prevede il segretario dell’organizzazione.
Guai grossi a Verona: 100 immigrati su 140 positivi. Ma il governo ne vuol far entrare ancora. Giovanni Trotta mercoledì 15 aprile 2020 su Il Secolo d'Italia. Era ovvio che il business dell’accoglienza agli immigrati avrebbe finito col creare dei guai. Adesso la bomba sanitaria è scoppiata anche a Verona. Come riferisce la rivista Il Primato nazionale, i centri di accoglienza e similari sono delle vere e proprie bombe a orologeria per lo svilupparsi del contagio da coronavirus, ma anche da altre malattie di cui i clandestini sono portatori. Non bastavano i casi di Milano, di Gorizia, del Selam Palce e di Torre Maura di Roma, adesso scoppia un caso anche a Verona. Solo che questo è di dimensioni colossali.
Gli immigrati non vogliono rispettare la quarantena. E’ successo al centro d’accoglienza per richiedenti protezione internazionale e minori in Zai a Verona, situato nell’edificio dell’hotel Monaco, in via Torricelli. A quanto si apprende, sono 100 su 140 “ospiti” gli stranieri positivi al coronavirus. La prefettura ha ordinato il presidio permanente della struttura a opera della Polizia. All’inizio del mese un pakistano era stato portato all’ospedale con forte febbre. Al tampone era risultato positivo, seguito subito dopo da tutti gli altri. Tra l’altro, come succede in tutti questi centri di accoglienza, gli immigrati vogliono uscire e rientrare liberamente, non capendo che esistono delle leggi e delle disposizioni. A quanto si apprende, non solo il personale della struttura, ma anche tutti gli immigrati sono stati dotati di dispositivi di protezione, mascherine, guanti, etc. Il problema principale sembra ancora una volta essere quello di convincere gli immigrati, che sono tutti giovani, a non uscire e a rispettare le disposizioni, ma non ne vogliono sapere. Ora si sta valutando di spostare i negativi, ossia i sani, in un’altra struttura, prima che si contagino. Ma rimpatriarli tutti?
Ma il governo continua a voler “salvare” tutti…La responsabilità di quella che potrebbe essere una catastrofe sanitaria ricade ancora una volta sul governo, che continua a voler accogliere a tutti costi clandestini che arrivano le navi delle ong. Gli immigrati infatti in queste strutture, siano alberghi, ostelli o cantainer, vivono e dormono a ridosso l’uno dell’altro, e il contagio è inevitabile. Come si è visto. Queste strutture di accoglienza non hanno mai badato troppo a igiene e sicurezza, preoccupate come sono di stipare più gente possibile. Più ospiti, più contributi. Insomma, un brodo di coltura ideale per il Covid-19. Diciamo anche che molti di questi immigrati fanno i rider, ossia consegnano merce a domicilio…
Antonio Massari per il “Fatto quotidiano” il 14 aprile 2020. L'Italia controlla la sua zona di ricerca e soccorso. Malta fa altrettanto. Il tutto sul presupposto che la pseudo guardia costiera libica stia controllando la sua. Nell' ultima settimana dalle coste libiche sarebbero partite un migliaio di persone. Una cifra impossibile da verificare. Di certo, invece, c' è che almeno quattro barconi sono finiti in avaria nelle ultime 72 ore. E che da 5 giorni l' Italia non è più un porto sicuro, a causa della pandemia, e quindi è vietato lo sbarco di qualsiasi Ong che non sia coordinato dalle autorità italiane. E' il caso della Alan Kurdi, del quale ci occuperemo più avanti. Restiamo ai barconi in avaria. Due sono sbarcati nelle ultime 48 ore in Sicilia: 101 migranti a Pozzallo e 77 a Portopalo. Il terzo (47 persone a bordo) è stato soccorso dalla nave Aita Mari che ieri ha avuto l' ok allo sbarco da Malta. All' appello manca il quarto, con 55 persone, che mentre scriviamo potrebbe essere in acque Sar maltesi. Potrebbe. Nessuno sa dirlo. Ogni stato pattuglia il suo cortile e, come nel caso di Portopalo e Pozzallo, accade che i barconi approdino da soli, se ci riescono, altrimenti affondano senza che nessuno li abbia individuati e soccorsi prima. Una vera e propria roulette. Va precisato che per i barconi sono previste regole diverse da quelle che operano in questo momento per le navi delle Ong. Se Guardia Costiera o Guardia di Finanza li intercettano nelle nostre acque, devono soccorrerle e far sbarcare i migranti, i quali saranno poi sottoposti alla quarantena e alle procedure previste per la salute pubblica. Che approdino da soli, o vengano soccorsi, sotto questo aspetto non cambia nulla. L' unica vera differenza è che se nessuno li intercetta rischiano di morire in mare. Ed è il rischio segnalato dalla Ong Alarm Phone nelle ultime 48 ore: ieri ha dichiarato di aver perso il contatto con uno dei barconi in avaria. Scongiurato invece il naufragio segnalato dalla ong Sea Watch. Secondo la Guardia Costiera italiana e l' agenzia internazionale Frontex, il barcone rovesciato, individuato dalla Sea Watch, era il relitto di un salvataggio andato a buon fine nei giorni scorsi. Resta quindi il dramma di un gommone tuttora alla deriva nel Mediterraneo. I pattugliamenti delle autorità italiane non l' hanno individuato nella nostra area Sar. In teoria potrebbe essere ovunque. "Il tempo sta peggiorando, abbiamo chiamato ancora una volta Malta ma non abbiamo ricevuto risposte. Restiamo in attesa di istruzioni": è uno degli ultimi messaggi lanciati dalla nave che chiedeva anche supporto medico. Ecco un atro messaggio raccolto da Alarm Phone: "Aiutateci, per favore, stiamo affondando - dice disperatamente una donna -. Sono incinta e non sto bene. Mia figlia di 7 anni è molto malata. Non abbiamo cibo né acqua, non abbiamo nulla". Sembra invece a una svolta lo stallo della Alan Kurdi, la nave della Ong tedesca Sea Eye, ferma da sei giorni, con 156 persone a bordo, in acque internazionali a poche miglia da quelle italiane. Il viceministro dell' Interno, Matteo Mauri, ieri ha spiegato: "La possibilità di prevedere la quarantena a bordo di navi attrezzate e con supporto medico per chi arriva garantisce il pieno rispetto dei diritti umani, così come permette di gestire in maniera adeguata l' emergenza sanitaria nell' interesse di tutti". Il capo della Protezione Civile Angelo Borelli ha già firmato il provvedimento di quarantena in mare, su richiesta della ministra delle infrastrutture Paola De Micheli. E mentre scriviamo sembra ormai accertato che i 156 migranti a bordo saranno trasferiti sulla nave "Azzurra" della compagnia Gnv individuata dal governatore siciliano Nello Musumeci. Sul fronte della polemica politica non perde l' attimo Matteo Salvini: "Appello urgente di sinistra e 5 Stelle per porti aperti: foto ricordo" scrive su Facebook, postando un collage con le foto di esponenti del Pd, LeU e M5S . "Capisci che Salvini è in difficoltà - commenta Erasmo Palazzotto (LeU) - quando, dopo mesi di propaganda fallimentare sul coronavirus, torna con la solita lagna sui migranti. E non perché preoccupato per le loro sorti, no. Ma perché deve raccattare consenso sulla loro pelle".
La rabbia di Casarini: “Con i porti chiusi piangeremo nuovi morti in mare”. Angela Stella de il Riformista l'11 Aprile 2020. Mentre scriviamo la nave Alan Kurdi, della Ong tedesca Sea-Eye, è bloccata nel Mediterraneo con 150 persone a bordo salvate in diverse operazioni. I governi italiano e maltese hanno negato l’autorizzazione allo sbarco. I porti italiani, infatti, fino alla fine dell’emergenza Covid-19 non hanno più il requisito di Place of Safety (Luogo sicuro), necessario per lo sbarco dei migranti soccorsi. Lo ha stabilito, ricordiamo, un decreto del 7 aprile scorso dei ministeri Infrastrutture e Affari Esteri, di concerto con i dicasteri Sanità e Interno. Per commentare quanto disposto abbiamo raccolto il parere di Luca Casarini, Capo Missione di Mediterranea Saving Humans».
L’emergenza sanitaria giustifica questo decreto?
«Se da un lato, nella premessa, c’è una grande prolusione di motivazioni che richiamano le convenzioni internazionali sul soccorso in mare, dall’altro lato poi vengono smentite da quello che è stato deciso nel solo articolo 1. Ciò rappresenta un primo punto di fragilità giuridica del decreto: nessuna emergenza può limitare alcuni principi delle convenzioni internazionali sottoscritte peraltro dall’Italia perché hanno valore costituzionale. È come dire che l’emergenza sanitaria sta giustificando la non applicazione della Costituzione. Per non essere così ci vorrebbe una decisione presa in Parlamento e non un decreto».
Proprio l’articolo 1 prevede che i nostri porti non sono luoghi sicuri “per i casi di soccorso effettuati da unità navali battenti bandiera straniera”. Può spiegare?
«Chiedo retoricamente: siamo un Place of Safety a intermittenza? Qual è la discriminante? L’emergenza sanitaria o è la bandiera che batte la nave? È evidente che è la seconda! Ciò è illegale, illegittimo, incostituzionale; è come se dicessimo che una ambulanza targata Milano non può entrare in ospedale, quella targata Torino sì. Io credo che quando si salvano le persone non si guarda a chi le ha salvate».
Quindi è una decisione più politica che dettata dalla contingenza.
«Sì, si usa la pandemia per scoraggiare il salvataggio in mare. Stiamo poi parlando di numeri assolutamente gestibili, non di un esodo biblico. Sono poche centinaia che riescono con il mare buono a scappare dai lager della Libia. Sull’Alan Kurdi ci sono moltissimi bambini: spero che la nave venga verso le nostre coste perché esiste uno stato di necessità che richiede lo sbarco. Perciò questo decreto è un atto politicamente e culturalmente gravissimo. Nessuno si è ad ora spinto tra gli Stati costieri a dire che a causa del Covid-19 chiudeva i porti a chi veniva salvato. E a breve ci sarà effetto domino: gli altri Paesi faranno come l’Italia. Si tratta di un decreto Minniti 2».
In che senso?
«Lui ha aperto la strada a una egemonia politica e culturale della destra con un accordo stipulato con i trafficanti e le tribù libiche, come comprovato dalla Nazione Unite, dall’Unhcr, da tutte le agenzie internazionali. Noi abbiamo riempito di soldi quei criminali perché tenessero nei loro lager i migranti».
Esattamente due giorni fa anche la Libia ha dichiarato che i suoi porti non sicuri per lo sbarco dei migranti a causa dei bombardamenti e ha rifiutato persino una sua motovedetta con all’interno stipati molti migranti.
«E allora adesso mi chiedo e lo chiedo al Governo: quale sarà il destino delle persone salvate? Devono suicidarsi? A queste persone i civilissimi governi europei stanno dicendo “dovete sparire”».
Quale sarebbe stata una maniera alternativa per gestire la situazione?
«Prevedere la quarantena in tende da campo, per esempio, o a bordo con la dovuta assistenza. Non è possibile pensare che una emergenza finisca perché ce n’è una più grande. Mi rivolgo soprattutto all’opinione pubblica cristiana, visto che siamo alla vigilia di Pasqua: se adesso 200 persone muoiono affogate in mezzo al mare tutti piangeranno, pure i Ministri che hanno firmato il decreto. Ma un Paese che vuole mettere in campo la più grande precauzione, accanto ad un decreto di questo tipo, ne fa un altro in cui prevede che le nostre navi militari vadano fuori per impedire che le persone muoiano in mare».
Francesco Borgonovo per ''la Verità'' il 12 aprile 2020. Pensavamo di cavarcela con poco, ma ci siamo sbagliati. Sapevamo di doverci aspettare, pur in periodo di pandemia, uno spottone pasquale a favore dell' accoglienza. Ma credevamo che l' intervento del cardinale Konrad Krajewski e la sua donazione di 20.000 euro al centro migranti di Vicofaro gestito da don Massimo Biancalani avessero (almeno per un po') risolto il problema. Invece il meglio doveva ancora arrivare. E questa volta si è mosso addirittura papa Francesco in persona. Il pontefice venerdì ha spedito una letterina scritta di suo pugno a un signore che di nome fa Luca Casarini. Sì, l' ex leader delle tute bianche al G8 di Genova, un professionista della protesta che da una ventina d' anni tenta in ogni modo di riciclarsi per non uscire dal cono d' ombra. Da qualche tempo, il nostro rivoluzionario riveste la qualifica di capomissione della nave Mare Jonio, gestita da Mediterranea Saving Humans. Si tratta della Ong fondata da alcuni esponenti di Sinistra italiana (tra cui Nicola Fratoianni ed Erasmo Palazzotto) e inizialmente finanziata grazie a un prestito da 400.000 euro ricevuto da Banca Etica. Tra gli sponsor ci sono personalità come Nichi Vendola, Luigi De Magistris e Leoluca Orlando, associazioni come l' Arci, poi la Cgil e varie altre realtà più o meno antagoniste. In effetti, Mediterranea ha ottimi rapporti con le gerarchie ecclesiastiche, e non da oggi. Sulla Mare Jonio c' è pure un cappellano, il pretino don Mattia Ferrari, che ha ottenuto l' incarico grazie al benestare di due vescovi (quello di Modena Erio Castellucci e quello di Palermo, Corrado Lorefice). Ferrari, già in grande confidenza con gli esponenti di Ya Basta (area centri sociali bolognesi), nei mesi scorsi ha ottenuto grande pubblicità, e ha pure scritto un libro in cui sembrava fare un po' di confusione tra Gesù Cristo e Carola Rackete. A ben guardare, anche il resto dell' equipaggio della Mare Jonio non ha le idee chiarissime sulla questione. Luca Casarini, qualche giorno fa, ha scritto una lettera a papa Francesco in cui spiegava: «Stiamo soffrendo pensando ai nostri fratelli e sorelle che si mettono in mare dalla Libia, anche in questi giorni [...]. Altri 150 sono a bordo di una piccola nave cui i governi d' Europa stanno negando un porto d' approdo. In questa situazione noi vogliamo tornare in mare il prima possibile, perché il nostro Gesù ha bisogno di aiuto». Certo, è Cristo ad aver bisogno dell' aiuto di Casarini, e non - semmai - viceversa. Per altro, quelli di Mediterranea avrebbero potuto prima scrivere al governo, visto che il loro partito di riferimento (Sinistra italiana) lo sostiene e ne fa parte. Comunque sia, Francesco ha deciso di rispondere alla lettera degli attivisti con un biglietto manoscritto: «Luca, caro fratello, grazie tante per la tua lettera», dice il Pontefice. «Grazie per la pietà umana che hai davanti a tanti dolori. Grazie per la tua testimonianza, che a me fa tanto bene. Sono vicino a te a ai tuoi compagni. Grazie per tutto quello che fate. Vorrei dirvi che sono a disposizione per dare una mano sempre. Contate su di me». Così, dopo don Biancalani ci tocca pure Casarini, già indagato nel 2019 per favoreggiamento dell' immigrazione clandestina poi prosciolto. Ci chiediamo chi sarà il prossimo, ma abbiamo un po' di timore di scoprirlo. Che Bergoglio nutrisse simpatia verso Mediterranea era noto. Non molto tempo fa ha esposto in Vaticano una croce trasparente con un giubbotto di salvataggio donatagli proprio dalla Ong («Quella Croce è del nostro Gesù, quello che viene con noi in ogni missione in mare, quello che ha paura con noi quando il mare è grosso, quello che scruta l' orizzonte cercando chi è solo », ha scritto Casarini). Il punto è che la letterina del Papa ai taxisti del mare ha anche un peso politico, e non secondario. Come noto, da alcuni giorni la nave Alan Kurdi con 150 persone a bordo è bloccata in mare. Il ministro dell' Interno, Luciana Lamorgese, e alcuni suoi colleghi hanno firmato un decreto che «chiude i porti» (e vedremo se saranno indagati per questo). Ma la pressione del Papa di certo non rende agevole proseguire sulla linea dura. E l' idea che, sull' onda dell' emozione, l' Ong ritorni a solcare il Mediterraneo è inquietante. Di caos, dalle nostre parti ce n' è già fin troppo. Gli sbarchi clandestini continuano, Lampedusa e Porto Empedocle sono in enorme difficoltà. A Pozzallo è arrivato un primo migrante infetto. Nei centri di accoglienza, specie al Nord, sono stati individuati altri contagiati. A Roma, nel Selam Palace che ospita circa 600 occupanti irregolari, sono stati trovati 16 positivi, e ieri due bimbi sono stati trasferiti con le madri al Covid Center dell' ospedale Bambin Gesù. Insomma, considerato il quadro, l' idea di far entrare altri stranieri non è esattamente elettrizzante. Diciamo che - se le gerarchie ecclesiastiche avessero chiesto di far ripartire le messe con la stessa convinzione con cui chiedono di accogliere i migranti - a Luca Casarini, per trovare «il suo Gesù», basterebbe andare in Chiesa, invece che in mezzo al mare. Ma forse ai sacerdoti che confondono Carola con Cristo la messa interessa poco.
Lampedusa è al collasso, fermate due ong. Allarme del sindaco per gli sbarchi continui. La Guardia Costiera: irregolari Alan Kurdi e Aita Mari. Fausto Biloslavo, Giovedì 07/05/2020 su Il Giornale. Nuovi sbarchi a Lampedusa e nell'agrigentino, che portano i migranti arrivati dal primo maggio a 604. Oramai sono 4.069 dall'inizio dell'anno rispetto agli 842 dello stesso periodo nel 2019. Ed i costi aumentano a causa della quarantena a bordo di navi ad hoc pagate dallo stato quasi 1 milione e 200mila euro al mese. A Lampedusa sono sbarcati nella notte fra martedì e mercoledì altri 156 migranti. Il sindaco Salvatore Martello ammette che «siamo costretti a lasciarli sul molo Favaloro perché non abbiamo una struttura libera. Ho chiesto di piazzare una nave di fronte al porto». Non sarebbe il caso che una volta al largo vengano trasferiti direttamente sulla terraferma?. Martello spiega che «l'isola è in ginocchio. Come si fa a parlare di ripartenza?». Uno sbarco fantasma è avvenuto ieri sulla spiaggia di Torre Salsa in provincia di Agrigento. Circa cinquanta migranti si sono dileguati e le forze dell'ordine ne hanno intercettati una trentina. Una nuova per la quarantena arriverà di fonte a Pozzallo. La seconda dopo il traghetto Rubattino che ha ospitato 182 clandestini raccolti in mare dalle Ong in aprile. Per i primi 15 giorni sarebbe costata un milione di euro, oltre 350 euro al giorno a persona. Il senatore di Fratelli d'Italia, Patrizio La Pietra, ha presentato un'interrogazione al governo sulle spese. Il bando che scadeva il 24 aprile prevedeva un «importo complessivo stimato pari ad euro 1 milione 199mila 250 euro oltre Iva» stabilendo «una durata di trenta giorni dalla data di avvio dell'esecuzione del contratto, salvo proroghe». E fra i vari servizi erano richiesti «cabine singole con bagno, pasti etnici, connessione wi-fi, regolamenti tradotti in almeno dieci lingue». Al largo di Lampedusa è sempre in attesa il mercantile Marina con 78 migranti a bordo. L'Ong tedesca Sea Watch coinvolge pure noi con la solita tattica pietista: «L'armatore ci racconta che le persone soccorse dormono sul ponte, il cibo scarseggia e l'equipaggio è allo stremo. Malta, porto di destinazione, e Italia, più vicina, continuano a non cooperare, negando l'approdo». E da ieri un altro natante è alla deriva con 46 migranti partiti dalla Libia comprese donne in gravidanza e tre bambini. Alarm phone, il centralino dei migranti, intima il soccorso. Un aereo della missione europea di Frontex ha sorvolato i naufraghi e ieri sera era in zona una motovedetta maltese. Nella speranza di tamponare l'ondata di arrivi per l'estate, la Guardia costiera ha sottoposto a «fermo amministrativo» l'Alan Kurdi, che aveva portato in Italia 149 migranti poi trasbordati sul traghetto Rubattino per la costosa quarantena. «L'ispezione ha evidenziato diverse irregolarità di natura tecnica e operativa tali da compromettere non solo la sicurezza degli equipaggi ma anche delle persone che sono state e che potrebbero essere recuperate a bordo», ovvero i migranti, si legge in una nota della Guardia costiera. Un'altra ispezione, con conseguente «fermo amministrativo», ha riguardato l'Aita Mari della Ong basca «Salvamento Maritimo Umanitario», che in aprile ci aveva portato altri migranti. Insomma, tutte le navi delle Ong verranno ispezionate e i talebani dell'accoglienza protestano, come ha fatto Sea Eye, per le «molestie» e gli «abusi di autorità» messi in atto dalla Guardia costiera italiana su input del governo di Roma. Ma, sempre i talebani dell'accoglienza, stanno rafforzando la flotta. I tedeschi di Sea Watch hanno raccolto 1 milione mezzo di euro. A Burriana, in Spagna, stanno ultimando i lavori di Poseidon, ribattezzata Sea Watch 4 e definita «la nave più attrezzata del Mediterraneo». La nuova ammiraglia dei «talebani» potrebbe salpare a breve.
Nuovo sbarco di migranti in Sicilia, in 100 sono approdati a Pozzallo. Al momento appare molto difficile capire dove poter mandare i migranti, visto che il locale hotspot è stato chiuso dopo il primo caso di positività riscontrato nei giorni scorsi. Mauro Indelicato, Domenica 12/04/2020 su Il Giornale. Sono 100 i migranti sbarcati in questo giorno di Pasqua a Pozzallo, nel ragusano. Si tratta di un ennesimo approdo autonomo avvenuto in Sicilia negli ultimi giorni, che ha messo ulteriormente in allarme cittadini ed autorità. Il mare calmo sta favorendo una ripresa dei flussi migratori, con numeri che, seppur ancora modesti, ad ogni modo non possono non preoccupare in relazione all’attuale emergenza coronavirus. Infatti, anche un singolo sbarco rischia di mettere in seria difficoltà, sotto il profilo logistico e della sicurezza, forze dell’ordine e soccorritori. I migranti sarebbero arrivati in modo autonomo a Pozzallo, anche se alcune fonti locali non hanno escluso la presenza di una nave madre da cui il barcone con 100 persone a bordo si è poi staccato. Inizialmente si era diffusa la notizia che i migranti fossero una quarantina, in realtà poi è stato confermato che all’interno del piccolo mezzo navale erano presenti almeno 100 persone. Nessuno è stato al momento fatto sbarcare. Questo perché proprio a Pozzallo nei giorni scorsi si è verificato il primo caso di migrante trovato positivo al Covid-19. Si trattava di un egiziano arrivato a Lampedusa nei giorni precedenti e, in seguito, portato nell’hotspost cittadina ragusana. A seguito di questo episodio, la struttura è stata chiusa e dunque attualmente non si sa dove poter traferire i cento appena arrivati. Una situazione che sta creando non pochi grattacapi, anche perché andare ad individuare strutture idonee in Sicilia appare molto difficile visto che tutte devono poter far mantenere il distanziamento sociale. Il nuovo sbarco di Pozzallo dunque, sta ponendo drammaticamente in primo piano ancora una volta l’emergenza relativa all’immigrazione, che potrebbe creare ulteriori problemi alla più grave emergenza sanitaria in atto in Sicilia, così come in tutto il nostro territorio nazionale. Soltanto nelle prossime ore sarà possibile sapere quale soluzione verrà trovata per i cento appena sbarcati, ma più in generale adesso l’allarme potrebbe riguardare anche quanto accadrà nelle prossime settimane. Intanto sull’ultimo episodio registrato in Sicilia, si è registrato l’intervento anche del leader della Lega, Matteo Salvini: “Italiani chiusi in casa, immigrati già arrivati in Sicilia col virus – ha dichiarato l’ex ministro dell’interno – e, anche oggi, clandestini liberi di sbarcare. Basta!”. Le parole del segretario del carroccio sono state pronunciate sui social a margine proprio delle notizie arrivate, in questa mattinata della domenica di Pasqua, da Pozzallo. Quando avvenuto nel ragusano non mancherà di accendere ancora una volta dibattiti e polemiche sull’immigrazione.
Il virus ora corre negli hotspot. E in Sicilia si teme l'invasione. Cresce la preoccupazione sui possibili contagi dopo il caso del migrante positivo al Covid-19 nell'hotspot di Pozzallo. La Procura di Ragusa nel frattempo ha aperto un'inchiesta contro ignoti, mentre il governatore siciliano Nello Musumeci ha chiesto al governo centrale una nave ormeggiata in rada per la quarantena dei migranti. In isolamento fiduciario diversi poliziotti venuti in contatto con i migranti durante le operazioni di identificazione. Mauro Indelicato e Sofia Dinolfo, Domenica 12/04/2020 su Il Giornale. Diviene sempre più imminente il rischio di contagi da coronavirus in Sicilia a causa dell’arrivo dei migranti provenienti dalle coste Nord africane. È stata Pozzallo venerdì mattina la prima città a trovarsi di fronte a questo incubo. Un migrante egiziano di 15 anni, arrivato ieri dentro la struttura dell’hotspot è risultato positivo al Covid-19. Durante i controlli sanitari è emerso che il giovane aveva la febbre a 38, motivo per il quale il personale sanitario operante dentro il centro di accoglienza ha chiesto che venisse sottoposto al tampone. Stamane è arrivata la notizia che annunciava la positività al virus. Inutile a dirsi non sono mancate le preoccupazioni di fronte al primo caso di emergenza sanitaria all’interno di un hotspot. Una situazione molto delicata e allo stesso tempo complicata da gestire per garantire la sicurezza e l’incolumità di tutti. I migranti sono stati tutti assieme durante questi giorni e, nel frattempo, il rischio che il giovane possa aver contagiato gli altri, rimane abbastanza elevato. Il gruppo di migranti di cui fa parte il 15enne sarebbe arrivato tre giorni fa a Lampedusa, poi mercoledì sera, il trasferimento a Porto Empedocle, nell’agrigentino, ed infine a Pozzallo. Dunque sono tre i porti che in queste ore si sono trovati a gestire l’accoglienza degli extra comunitari. Questo vuol dire che il virus avrebbe viaggiato assieme al ragazzo in queste tre tappe con il rischio di contagio non solo nei confronti degli altri migranti, ma anche nei confronti delle forze dell’ordine e del personale sanitario che in queste fasi hanno assistito ed identificato ogni arrivato (in totale cinquanta persone). Da Lampedusa, prima di arrivare a Pozzallo, i migranti sono stati identificati dalle forze dell’ordine a Porto Empedocle. Dunque l’esito positivo al test sul coronavirus, arrivato nelle prime ore di questa mattina, ha gelato tutti gli operatori di polizia che mercoledì sera hanno lavorato per l’identificazione e il trasferimento di questi soggetti nell’hotspot ragusano. Gli agenti di polizia, secondo alcune fonti, sono al momento in isolamento domiciliare fiduciario in attesa di sapere quando verranno sottoposti al test. Fra loro l’apprensione è tanta dal momento che in molti vivono in casa con la propria famiglia. Nel frattempo il primo cittadino di Pozzallo non si è sottratto dal reclamare le attenzioni che un caso del genere necessita, allo scopo di garantire l’incolumità alla propria cittadinanza ma anche a tutte le persone che si trovano coinvolte in questa situazione. Stamattina il sindaco Ammatuna aveva annunciato che avrebbe chiesto una relazione sanitaria da parte dei responsabili dal centro di provenienza del migrante, senza escludere un eventuale esposto alla procura della Repubblica per accertare possibili responsabilità. Ora è arrivata la notizia che la procura di Ragusa ha aperto un’inchiesta contro ignoti. Le ipotesi di reato sono quelle di epidemia colposa e omissione di atti d’ufficio. A seguire le indagini i carabinieri della stazione di Pozzallo. L’episodio di Pozzallo sta ancora una volta ricordando alla Sicilia cosa vuol dire essere al centro del Mediterraneo. Alcune volte è un vanto, altre volte una vera e propria sciagura. L’isola si è riscoperta vulnerabile quando è esplosa l’epidemia di coronavirus nel nostro Paese, i suoi cittadini hanno iniziato a temere l’esodo delle persone provenienti dalle regioni settentrionali. Ed ora che il Covid-19 appare meno pericoloso che altrove ed i collegamenti con il nord fortemente ridimensionati, i siciliani potrebbero guardarsi da sud. Un paradosso che il caso di positività all’interno dell’hotspot di Pozzallo ha fatto ben emergere in tutta la sua drammaticità. E lo ha sottolineato lo stesso presidente della Regione, Nello Musumeci: “C'è il fondato timore che nelle prossime settimane, favoriti dal bel tempo, possano registrarsi sulle coste siciliane consistenti sbarchi autonomi di migranti – ha dichiarato nelle scorse ore il capo della giunta regionale – Chiedo perciò al governo nazionale di intervenire con tempestività per evitare che la incontrollata gestione del triste fenomeno possa determinare tra la popolazione dell'Isola l'acuirsi di un clima di tensione già abbastanza alto”. A Lampedusa nei giorni scorsi la popolazione ha manifestato tutta la sua insofferenza dopo lo sbarco dei migranti avvenuto martedì: diversi cittadini sono scesi in strada, chiedendo interventi urgenti dopo che alcuni ospiti del locali hotspot sono stati notati in giro per il centro urbano. Una situazione che ha rischiato di animare ulteriormente gli animi: “Noi siamo in quarantena e i migranti passeggiano”, hanno sottolineato diversi cittadini esasperati. Ed il pensiero dei lampedusani, potrebbe essere presto anche quello di molti siciliani se gli sbarchi dovessero nuovamente intensificarsi. La sensazione latente è quella di essere prossimi ad una vera e propria beffa: dopo aver bloccato gli arrivi dal nord ed in alcuni casi anche denunciato persone scese in Sicilia dal nord Italia, adesso il virus potrebbe entrare sull’isola tramite chi viene dalle sponde opposte del Mediterraneo. I sindaci hanno iniziato a levare la voce: lo ha fatto ad esempio Totò Martello, primo cittadino di Lampedusa, che ha chiesto una nave dell’accoglienza all’interno del porto. Questo pomeriggio invece il sindaco di Porto Empedocle, Ida Carmina, ha firmato un’ordinanza con la quale ha sancito il divieto di sbarco e di transito ai migranti, per tutta la durata dell'emergenza sanitaria Covid-19 nel territorio. L’ordinanza è stata trasmessa al ministro dell'Interno, al prefetto e al questore di Agrigento, al governatore siciliano e alle forze dell'ordine. "Per l'intero periodo di durata dell'emergenza sanitaria nazionale derivante dalla diffusione del virus Covid-19- si legge nel documento-il porto di questa Città di Porto Empedocle non assicura i necessari requisiti per la classificazione e definizione di Place of Safety (luogo sicuro), in virtù di quanto previsto dalla Convenzione di Amburgo, sulla ricerca e il salvataggio marittimo, per i casi di soccorso effettuati da parte di unità navali battenti bandiera straniera al di fuori dell'area Sar italiana". E' vietato pertanto-prosegue l’ordinanza- lo sbarco ed il transito di qualsivoglia migrante, attesa l'impossibilità di individuare la possibile insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili, con particolare riferimento al Covid-19". E lo stesso Musumeci, ha chiesto un rapido intervento al governo nazionale: “Gli hotspot di Lampedusa e Pozzallo e la struttura di Porto Empedocle appaiono chiaramente insufficienti ad assorbire la nuova ondata di arrivi – ha scritto il presidente della Regione in una lettera inviata a Giuseppe Conte – dando vita, peraltro, ad una promiscuità,sul piano sanitario, assai pericolosa per gli stessi ospiti e per gli operatori”. Ed anche Musumeci, come il sindaco di Lampedusa, ha auspicato una nave ormeggiata in rada “in cui trattenere i migranti per la necessaria quarantena, prima di essere ricollocati nei Paesi membri dell'Ue”. C’è poi un altro aspetto del paradosso siciliano di queste ore, che rispecchia forse quella che è la paura maggiore non solo sull’isola ma anche nelle altre regioni per quanto riguarda l’immigrazione. Ossia il forte timore di dover disperdere forze ed energie da impiegare nel contrasto al coronavirus per concentrarsi sugli sbarchi. Ogni singolo approdo, implica l’uso di forze di soccorso e di sicurezza da distrarre all’emergenza Covid. Con il rischio per giunta di rimanere infetti o di entrare a contatto con migranti contagiati. È questo uno dei motivi che ha spinto nei giorni scorsi il governo a dichiarare “non sicuri” i porti italiani, chiudendo di fatto all’accoglienza di navi con a bordo migranti. Ma se in questa maniera si sono blindati i porti soprattutto alle Ong, il problema relativo agli sbarchi autonomi non appare affatto risolto. Ed anzi, barconi e gommoni sono continuati ad arrivare negli ultimi giorni, con tutti i rischi sanitari e logistici connessi. Una pessima notizia per una Sicilia ed un’Italia ancora ben lontane dalla vittoria definitiva contro il coronavirus.
Coronavirus, positivo uno dei migranti arrivati con uno sbarco autonomo a Lampedusa. Aperta inchiesta per epidemia colposa. Il ragazzo, quindicenne, nel frattempo è stato trasferito nell'hotspot di Pozzallo insieme ad altre 50 persone. Il governatore Musumeci a Conte: "Subito una nave per la quarantena davanti l'isola". Alessandro Ziniti il 10 aprile 2020 su La Repubblica. E' risultato positivo uno dei 50 migranti arrivati tre giorni fa a Lampedusa con uno sbarco autonomo e poi trasferito, prima in nave e poi in autobus, nell'hotspot di Pozzallo. E' un ragazzo di 15 anni egiziano. E ora l'allarme è alto. Con i sindaci di Lampedusa e Pozzallo e adesso anche il presidente della Regione Musumeci che chiedono al governo di approntare immediatamente una nave per la quarantena che stazioni davanti Lampedusa per ospitare gli eventuali migranti che dovessero arrivare in autonomia, senza farli scendere. Cosa abbastanza plausibile visto il bel tempo previsto e la ripresa delle partenze testimoniata anche dai due salvataggi operati dalla nave Alan Kurdi della ong tedesca Sea eye che vaga ancora chiedendo un porto di sbarco che nè l'Italia ( che ha dichiarato i suoi porti non sicuri per l'epidemia) nè Malta intendono concedere. "Nella notte - dice il sindaco di Pozzallo Roberto Ammatuna - sono stato informato che uno dei 50 migranti presenti nell'hotspot è risultato positivo al coronavirus. Il tampone era stato eseguito prontamente dal medico responsabile dell'hotspot perchè ai controlli sanitari si evidenziava una temperatura di 38 gradi circa. Ho chiesto un incontro in prefettura per stabilire il da farsi". Il sindaco di Pozzallo chiede urgentemente una relazione sanitaria e non esclude un eventuale esposto in procura "per accertare eventuali responsabilità". Ammatuna chiede anche una ispezione da parte dell'assessorato regionale alla salute. "Bisogna capire bene se il migrante in questione sia stato visitato in modo approfondito prima della partenza - dice il primo cittadino -. È questa una vicenda oscura che richiede una precisa ed inevitabile chiarezza. La comunità pozzallese, che da sempre ha svolto un compito umanitario che è riconosciuto da tutti, non può essere tradita in questo modo. Difenderemo gli interessi della città in tutte le sedi e con tutti gli strumenti che la legge ci consente. In ogni caso, l'hotspot deve essere completamente blindato e isolato e nessun rapporto deve esserci con la città". E la Procura non ha atteso l'esposto del sindaco e ha già aperto un fascicolo di inchiesta contro ignoti delegando le indagini ai carabinieri della stazione di Pozzallo. Oggetto dell'inchiesta è ricostruire la vicenda che riguarda le operazioni di trasferimento del giovane che sarebbe arrivato a Lampedusa tre giorni fa con uno sbarco autonomo e che ieri mattina sarebbe stato trasferito assieme ad una cinquantina di altri migranti, all'hotspot di Pozzallo con un pullman da Porto Empedocle. Le ipotesi di reato contemplate sono quelle di epidemia colposa e omissione d'atti d'ufficio.
Fabio Albanese per ''la Stampa'' l'11 aprile 2020. Alle 8 di ieri mattina, il timore di tanti sindaci siciliani in prima linea nell' accoglienza ai migranti è diventato realtà: un profugo egiziano di 15 anni, arrivato nella notte tra mercoledì e giovedì nell' hotspot di Pozzallo assieme ad altre 49 persone, è risultato positivo al Covid-19. Già al suo arrivo nella struttura, il ragazzo era stato isolato e alloggiato in ambienti separati. Ieri però è scattato l' allarme in tutto l' hotspot, ma anche a Porto Empedocle e a Lampedusa, e pure sul traghetto che collega la principale isola delle Egadi con la Sicilia, e sono partite inchieste, sanificazioni, quarantene. Perché, prima di entrare nella struttura di Pozzallo, il giovane migrante e i suoi compagni hanno viaggiato per ore. Il quindicenne faceva parte di un gruppo di 67 migranti arrivato con una barca autonomamente a Lampedusa martedì sera. Non si poteva trasferirli nell' hotspot di contrada Imbriacola dove c' erano già da un paio di giorni 37 migranti in quarantena. Così, finiti i controlli sanitari, sono rimasti sul molo Favaloro fino all' indomani quando in cinquanta, e tra loro il ragazzo, sono stati imbarcati sul traghetto per Porto Empedocle. Allo sbarco ci sarebbe stato un secondo controllo sanitario prima che i cinquanta, divisi in due gruppi da 25, salissero su due pullman con destinazione Pozzallo, nel Ragusano. Sarebbe stato lungo quel tragitto che il ragazzo ha accusato alcuni sintomi tipici del Covid-19: febbre alta e una forte congiuntivite. Per questo, al suo arrivo è stato subito isolato, una stanza e un bagno in una zona separata, e gli è stato fatto il tampone. Tutti sono stati posti in quarantena, un' ordinanza del Comune ha isolato l' hotspot. Il sindaco di Pozzallo, Roberto Ammatuna, che è anche un medico, è però perplesso: «Questo tipo di patologia non si sviluppa certo in tre ore, quante ce ne vogliono per fare il tragitto da Porto Empedocle», osserva. E, per questo, ha scritto subito alle procure di Ragusa e Agrigento e anche all' assessore regionale alla Salute: «È un problema sanitario, però, non di burocrazia». Un altro sindaco, quello di Lampedusa Totò Martello, è invece convinto che sulla sua isola il giovane egiziano non avesse alcun sintomo, come affermato anche dal medico del poliambulatorio che ha diretto i controlli al molo Favaloro: «Qui quel ragazzo è stato si e no 12 ore - precisa Martello - non ha avuto contatti con nessuno, se non con i suoi compagni di viaggio e con coloro che li hanno accompagnati, peraltro ben protetti». Mercoledì scorso sotto le finestre del Comune si erano presentate alcune decine di lampedusani arrabbiati perché in paese erano stati notati tre migranti di un precedente sbarco che invece avrebbero dovuto trovarsi in quarantena nell' hotspot. Sull' isola non ci sono casi di contagio e la paura, sommata alla forte preoccupazione per il futuro economico fosco in un' isola che vive di turismo, ha esacerbato gli animi. Martello vorrebbe che davanti a Lampedusa venisse ancorata una nave su cui far fare la quarantena ai migranti in arrivo che, si teme, viste le avvisaglie aumenteranno nelle prossime settimane. Proposta sposata anche dal governatore della Sicilia Musumeci che ha scritto al premier Conte. Per ora, c' è l' inchiesta contro ignoti aperta dalla procura di Ragusa per verificare eventuali omissioni o errori nelle procedure, e quella amministrativa della prefettura di Agrigento per identificare tutti coloro che sono potuti entrare in contatto con il ragazzo e metterli in isolamento fiduciario: poliziotti, sanitari, volontari, autista del pullman e chissà chi altro.
Ora è rischio focolaio nel palazzo "bomba" dei migranti: sedici positivi al coronavirus. Il palazzo occupato alla periferia Est della Capitale, dove vivono circa 600 migranti, è presidiato da Esercito e Protezione civile. Salgono a sedici i casi di positività al coronavirus tra gli stranieri che vivono all'interno dell'edificio. Cristina Verdi, Giovedì 09/04/2020 su Il Giornale. La più grande occupazione romana di richiedenti asilo da giorni è presidiata dall’Esercito. Davanti al palazzo di via Attilio Cavaglieri, alla Romanina, che ospita oltre 600 richiedenti asilo ieri la Protezione civile ha montato una tenda per il triage dove fino a qualche giorno fa erano ammassate montagne di rifiuti. L’ex sede della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Tor Vergata, occupata dal 2006, da due giorni è sorvegliata speciale dopo che una coppia di sudanesi, poi risultati entrambi negativi, aveva mostrato i sintomi del coronavirus. Sugli occupanti sono stati fatti tamponi a tappeto. E poco fa la Regione Lazio ha comunicato che sedici persone sono risultate positive ai test. I contagiati sono stati allontanati dal plesso e sono stati posti in regime di isolamento in strutture dedicate. L’obiettivo delle autorità è quello di evitare che la cittadella dei migranti, dove vivono anche decine di bambini ed anziani, si trasformi in un pericoloso focolaio. Ma ora il rischio si fa davvero concreto, considerando il sovraffollamento della struttura e i servizi igienici in comune, che vengono utilizzati da decine di persone. Osservare le regole di distanziamento sociale che servono a contenere il contagio, insomma, è praticamente impossibile.
Il Selam palace isolato dall'esercito: screening a tappeto sui migranti. La zona è stata prontamente isolata, con il blocco degli accessi e delle uscite. Una misura che sembra essere stata accolta di buon grado, finora, dagli stessi occupanti. Ad assicurare la sicurezza ci sono i militari, mentre la Regione e la Asl competente si stanno occupando di indagare per capire come abbia fatto il virus ad entrare nel palazzo dei "dublinanti". Per ora, secondo il Corriere della Sera, sembra che gli spostamenti dei migranti siano stati limitati. Nella zona della Romanina, infatti, non si registrano altri casi, oltre quelli circoscritti nell’occupazione. Il Comune di Roma ieri ha consegnato oltre 150 pacchi alimentari alle persone in isolamento. A consegnare i pasti ci sono anche i volontari di diverse associazioni. La scorsa settimana anche l’elemosiniere del Papa, il cardinale Konrad Krajewsky, aveva visitato il palazzo occupato per distribuire disinfettanti, guanti, mascherine, gel igienizzanti, candeggina, saponi e asciugamani agli ospiti. A garantire assistenza ora c’è anche un presidio h24 degli uomini della protezione civile e i volontari dell'associazione Cittadini del Mondo, anche se le condizioni igieniche all’interno della struttura restano preoccupanti. Al momento, però, nessuno vuole sentir parlare di sgombero. Un’opzione, questa, che viene presa in considerazione soltanto come estrema ratio, nel caso in cui il numero di contagiati e dei ricoverati dovesse aumentare nelle prossime ore, man mano che arriveranno i risultati dei test. L’eventualità di liberare l’edificio, che già figurava nella lista di quelli che dovevano essere sgomberati a partire da questa primavera, per ora non è contemplata, quindi, per "motivi di sicurezza sanitaria".
Chiara Giannini per “il Giornale” il 9 aprile 2020. Il governo non farà più sbarcare migranti, almeno sulla carta, visto che i ministri Paola De Micheli (Infrastrutture e trasporti), Luigi Di Maio (Esteri) e Luciana Lamorgese (Interno) hanno firmato un decreto che non rende più l' Italia un porto sicuro per la durata dell' emergenza Covid-19. Ma è un controsenso, visto che i barconi continuano a sbarcare a Lampedusa, dove sale la protesta dei cittadini, esasperati perché così si potrebbero mettere a rischio le loro vite. Nel documento firmato dai tre ministri si legge che «i porti italiani non assicurano» più «i necessari requisiti per la dichiarazione e definizione di place of safety». Ecco perché le «attività assistenziali possono essere assicurate dal Paese di cui le unità navali battono bandiera laddove abbiano condotto le operazioni al di fuori dell' area Sar italiana». È il caso della tedesca Alan Kurdi, della Ong Sea Eye, che ha chiesto nelle scorse ore sia al nostro Paese che a Malta un porto di sbarco. Ma le autorità nazionali hanno intimato alla Germania di accollarsi la responsabilità. Nonostante i divieti, però, a Lampedusa gli sbarchi autonomi non si fermano. In due giorni sono arrivati quasi 200 immigrati, di cui 124 nelle ultime 24 ore. Di questi 150 ieri sono stati portati ad Agrigento, ma l' isola non riesce più a contenere l' emergenza. Già altri tre barconi sono stati segnalati alla Guardia di finanza, che sta monitorando il loro tragitto. Ma Medici senza Frontiere e le Ong Sea Watch, Open arms e Mediterranea contestano la chiusura dei porti: «Il decreto di fatto strumentalizza l' emergenza sanitaria» per bloccare gli sbarchi. Il sindaco di Lampedusa e Linosa, Totò Martello, ha chiarito: «Serve una nave dell' accoglienza ormeggiata di fronte al porto dell' isola: in questo momento credo sia l' unica soluzione possibile per evitare che altri migranti stazionino sull' isola dove non c' è più spazio per la loro permanenza». Per lui «non è possibile ospitare altri migranti poiché sull' isola non ci sono strutture adeguate, ma non è neppure possibile pensare di lasciare questa gente a tempo indeterminato sul molo Favaloro in attesa del trasferimento. Se ci fosse una nave qui di fronte - aggiunge - i migranti potrebbero essere intercettati già prima di arrivare sull' isola». Ieri i cittadini di Lampedusa si sono riuniti di fronte al Municipio per protestare. Alcuni degli sbarcati erano infatti in giro per l' isola. Il sindaco ha però assicurato che non usciranno dal «molo Favaloro» e che le persone sono state assistite «e visitate dai medici». Alcune fonti riferiscono, invece, che a Lampedusa non ci sarebbero associazioni di volontariato che controllano i migranti. Sulla questione è intervenuta anche la leader di Fratelli d' Italia Giorgia Meloni: «Mentre all' Eurogruppo la Germania cerca di mettere il cappio al collo all' Italia con il Mes, la nave Alan Kurdi, con a bordo una organizzazione non governativa tedesca, la Sea Eye, continua a pretendere di sbarcare immigrati clandestini a casa nostra. Li va a prendere in acque territoriali libiche e punta verso Lampedusa - ha scritto -, dove la situazione è critica perché non c' è più spazio per tenere in quarantena gli immigrati che sbarcano sul territorio nazionale. Per cui in piena emergenza coronavirus, mentre noi teniamo segregati in casa gli italiani, qualcuno pretende che apriamo le porte a gente che arriva da territori nei quali non c' è alcun tipo di controllo. La misura della nostra pazienza è colma: caro governo tedesco ridacci i soldi che abbiamo messo nel fondo salva-Stati con i quali pretendi di salvare le banche tedesche e riprenditi gli immigrati clandestini che le tue organizzazioni non governative pretendono di sbarcare».
Il 40 per cento dei buoni pasto finirà in tasca agli immigrati. Antonella Aldrighetti, Mercoledì 01/04/2020 su Il Giornale. La solidarietà del governo giallorosso ancora una volta strizza l'occhio ai cittadini extracomunitari iscritti nelle anagrafi comunali. Infatti stando agli ultimi dati diffusi dai Caf (Centri di assistenza fiscale) la popolazione più in linea con i requisiti per incassare il voucher per la spesa alimentare è proprio quella straniera, che secondo stime prudenti è tra il 30 e il 40% di tutti gli aventi diritto, scremando chi percepisce reddito o pensione di cittadinanza senza essere italiano. Per semplificare le procedure per richiedere il voucher le grandi città (Milano, Bologna, Torino, Roma, Bari, Napoli, e Reggio Calabria), si sono affidate a uno strumento tanto semplice quanto facile da usare in modo fraudolento: l'autocertificazione. Ciascun iscritto all'anagrafe, compresi i richiedenti asilo, potrà compilare a partire da questa mattina un modulo e inviarlo via posta elettronica o fax, specificare le proprie credenziali al numero di telefono dedicato e precisare se vorrà ricevere il voucher su un conto corrente bancario o postale riportando l'Iban oppure la stessa cifra in buoni spesa indirizzati al proprio domicilio. Ogni Comune che accetterà l'autocertificazione ha promesso controlli a campione. Ma per coloro che sceglieranno i buoni spesa sarà facile aggirare eventuali controlli: chi vorrà barare sui requisiti sociali e incassare il bonus non rischierà prelievi forzosi sul conto bancario. Quanto ai controlli a campione, saranno possibili solo se l'Inps consentirà verifiche veloci e capillari su tutti i percettori di voucher. Lunedì il sindaco di Palermo Leoluca Orlando ha voluto anticipare di un giorno la procedura per richiedere i buoni spesa. E il sito del Comune è stato preso d'assalto: 11 mila le richieste di aiuto, pari a 4 al minuto. E per uscire dall'impasse è stato deciso di bloccare le iscrizioni fino a lunedì 6 aprile. In questi giorni che restano si avvierà la verifica. «Evitiamo che qualche sciacallo provi a intrufolarsi» la chiosa di Orlando. E tra le strade possibili per l'erogazione dei soldi: buoni pasto, carta prepagata, convenzione con catene di supermercati. Già perché in ultima istanza se i primi voucher saranno erogati a metà aprile ce ne potrebbe essere un'altra ondata alla fine del prossimo mese e di uguale entità.
I Rom i più esposti al Covid: lasciati soli e senza informazioni. Damiano Aliprandi su Il Dubbio l'1 aprile 2020. In nessuna baraccopoli rom è stata segnalata la presenza di operatori sanitari disponibili a distribuire dispositivi di prevenzione. Sei giorni fa è morto il primo rom per Coronavirus allo Spallanzani di Roma. Si chiamava Stanije Jovanovic e aveva 33 anni. Viveva in una casa popolare con la moglie e quattro figli, inoltre aveva una famiglia numerosa nel campo di via Salviati e ogni giorno andava a trovarli. Eppure, dopo la sua morte – come ha denunciato l’associazione “Cittadinanza e minoranze” – non ci sono stati tamponi per loro o nel campo, ma solo l’obbligo di quarantena. Ma si sa, nei campi rom, alla quarantena, ci sono già abituati. Sorge infatti il problema dei campi dove le condizioni sanitarie sono da tempo sottovalutate. Ma c’è anche il problema della loro sopravvivenza. Come sottolinea sempre l’associazione “Cittadinanza e minoranze” ( se si va sul suo sito c’è una raccolta donazioni), i rom vivono di piccoli commerci, della raccolta di materiali, di elemosina: ora, ovviamente, con le restrizioni non lo possono più fare. In quasi tutti gli insediamenti sono stati segnalati casi di fami. L’associazione romana “21 Luglio” denuncia l’altro grande problema dei campi rom ai tempi del coronavirus. In nessuna baraccopoli è stata segnalata la presenza di operatori sanitari disponibili a distribuire dispositivi di prevenzione o ad illustrare le misure atte a prevenire il contagio. Restano quindi le azioni raccomandate attraverso la tv e che sono praticabili, però, laddove le condizioni igieniche lo permettono o dove almeno c’è disponibilità di acqua corrente ( scarseggia nel campo rom di via di Salone e utilizzata solo con autobotte a Castel Romano). Nelle interviste fatte dall’associazione “21 Luglio” emerge scarsa consapevolezza da parte degli abitanti delle baraccopoli dell’impatto che le misure attualmente imposte dal decreto potrebbero avere sull’infanzia. La sospensione dell’attività scolastica e l’impossibilità di utilizzare strumenti tecnologici indispensabili a seguire un’eventuale didattica a distanza pone i minori in età scolare in uno stato di grave isolamento in rapporto ai coetanei e agli insegnanti. Senza dimenticare il discorso della promiscuità nella baraccopoli, con un evidente sovraffollamento interno ed esterno alle abitazioni: se venisse riscontrata una positività, le baraccopoli sono tali da poter isolare solo il paziente e la sua famiglia? L’associazione “21 Luglio” ha lanciato l’allarme e ci si augura che venga raccolto il prima possibile. Bisogna, prima di tutto, predisporre per tempo, in caso di riscontro di una o più positività al Covid- 19 all’interno degli insediamenti formali, un adeguato e tempestivo piano di intervento sanitario, al fine di evitare che la capitale arrivi impreparata a tale evento.
Regolarizzare gli immigrati contro virus e caporalato. Teresa Bellanova su Il Riformista il 1 Aprile 2020. Avviare immediatamente la mappatura dei fabbisogni di lavoro agricolo. È l’azione, già contemplata nel Piano triennale di prevenzione e contrasto al caporalato condiviso con Luciana Lamorgese e Nunzia Catalfo, che dobbiamo mettere in campo per due irrinunciabili priorità: fronteggiare l’assenza di manodopera che rischia di mandare in enorme sofferenza le nostre aziende agricole, incrociando in modo trasparente e legale domanda e offerta di lavoro; prevenire l’emergenza umanitaria che può determinarsi negli insediamenti informali affollati di persone che in questo momento non lavorano o lo fanno nella più totale invisibilità, sono a rischio fame, abbandonati a sé stessi e in balia della minaccia da virus. Oggi possiamo dire: non si contano vittime nella trentina di alloggi distrutti a Borgo Mezzanone venerdì notte per un incendio di forti dimensioni. Ma dobbiamo essere consapevoli: la prossima volta potrebbe non andare così; nel nostro Paese non sono più tollerabili ghetti o baraccopoli. Lo scrivo a chiare lettere e per tre ordini di ragioni. Una legata proprio a Borgo Mezzanone e alle baraccopoli. In quell’insediamento, dove al momento le cronache contano circa millecinquecento persone, non è andata così né il 4 febbraio scorso, quando una donna è morta gravemente ustionata in un rogo, né nell’aprile dello scorso anno, quando un incendio aveva provocato la morte di un ventiseienne gambiano. A ciò si aggiunge, e lo sottolineo, che in Italia non esistono filiere sporche: la nostra agricoltura è fatta di migliaia di aziende sane. Quelle che agiscono nell’illegalità vanno perseguite e noi ci siamo dotati di una legge contro il caporalato considerata tra le migliori a livello internazionale. Inoltre, l’agricoltura italiana è per un terzo caratterizzata dalla presenza di lavoratrici e lavoratori stranieri. A dirlo non sono io ma i numeri. I lavoratori stranieri occupati nei nostri campi sono circa 370 mila; se l’agricoltura incide sull’occupazione totale nel nostro Paese per una media del 4%, il dato sale oltre il 6% tra gli stranieri. L’agricoltura è un grande laboratorio di integrazione a cielo aperto. E questo a dispetto di chi considera “l’altro”, il “migrante” sempre e solo un nemico sociale su cui scaricare rabbia e rancore, e che sulla paura degli immigrati ha fatto vivere a questo paese 18 mesi di campagna elettorale permanente. C’è qualcosa di molto importante, anche sul piano simbolico, che va pienamente raccolto nella richiesta pressante di aziende e associazioni agricole. Che paradossalmente travalica sia il fabbisogno di manodopera stagionale che il rischio di raccolti lasciati a marcire nelle campagne, il che non può assolutamente accadere. È il bisogno di legalità che le aziende esprimono. Di piattaforme dove in modo trasparente e legale si incrocino domanda e offerta di lavoro. Lasciarlo inevaso sarebbe imperdonabile. Regolarizzare, sia pure temporaneamente, i lavoratori migranti degli insediamenti informali o meno è una risposta praticabile e dovuta. Per molte ragioni, umanità e giustizia soprattutto, tra cui il dato che quei lavoratori sono già nel nostro Paese, forse già nelle nostre campagne o ci potrebbero essere tra poco. Sono necessari uno sforzo e un coraggio all’altezza della sfida. Per impedire che negli insediamenti, è la spinta su cui si è mosso il Portogallo, si determini una gravissima emergenza sanitaria. Per fare i conti con l’assenza di manodopera nei campi, tema che nelle prossime settimane assumerà dimensioni ancora maggiori, quando molti prodotti ortofrutticoli andranno a maturazione. Per mantenere vivo, sicuro, stabile, il tessuto delle nostre filiere. Quelle che stanno garantendo in queste settimane il bene cibo al Paese, e non possiamo assolutamente permettere che vadano in sofferenza. C’è infine, ma non ultima, una ragione che detta tutte le altre: sconfiggere il caporalato. Per me, che l’ho conosciuto e sofferto sulla mia pelle e su quella delle mie amiche e compagne di lavoro, è quasi una ragione di vita. La norma contro il caporalato corre lungo due binari, non a caso, fortemente intrecciati: repressione e prevenzione. La repressione ha finora funzionato. La prevenzione è l’obiettivo che orienta e fonda il Piano triennale, definito di concerto con tutti gli attori istituzionali, economici, sociali coinvolti. Per la prima volta, con questo Piano, lo Stato si è dato un metodo preciso per la prevenzione e il contrasto del fenomeno. È un punto di svolta fondamentale. Nei giorni scorsi mi è stato chiesto se temessi che, a causa del coronavirus, la clandestinità sarebbe aumentata. Io non voglio temerlo, voglio evitarlo. Per me significa sottrarre in tutti i modi terreno alla criminalità e a quella zona grigia dove le mafie si insinuano offrendo servizi che invece deve essere lo Stato, il pubblico, a garantire dettandone le condizioni. Per questo vanno assolutamente smantellati gli insediamenti illegali, portando quei cittadini, quei lavoratori, nella legalità e nel lavoro regolare, offrendo loro i servizi adeguati e integrati, dai trasporti agli alloggi. Si può e si deve fare. Sconfiggere il caporalato. Impedire che negli insediamenti informali si determinino emergenze sanitarie o bisogno assoluto di cibo. Garantire alle imprese manodopera sottraendole, soprattutto quelle piccole e piccolissime, al giogo ricattatorio e micidiale dei caporali e della criminalità. È il terreno su cui ci misuriamo. Alla qualità delle risposte, al nostro saper essere adeguati, si lega, adesso più che mai, anche il futuro del Paese.
La sinistra ora sfrutta il virus: vuole regolarizzare i migranti. L'appello del ministro Bellanova e del sindago di Bergamo Gori. La Lega non ci sta: "Pensino agli italiani". Claudio Cartaldo, Martedì 31/03/2020 su Il Giornale. Prima Teresa Bellanova, poi Giorgio Gori. Si fa strada a sinistra l'idea di sfruttare l'emergenza coronavirus per approvare un decreto flussi e regolarizzare centinaia di migliaia di immigrati irregolari. "Ci vuole un provvedimento urgente", ha detto quattro giorni fa il ministro dell'Agricoltura. "Servono almeno 200 mila lavoratori extracomunitari", le fa eco Giorgio Gori. Scatenando l'ira della Lega. "A tutti questi nostri amministratori vorrei far presente che siamo di fronte a una tragedia umanitaria le cui dimensioni ancora non sono note, anche in termini di durata, che tutta Italia è chiusa in casa, che il nostro sistema produttivo è paralizzato, che stiamo per affrontare una crisi economica di dimensioni mai viste, che molte azionde non riapriranno e che questi sono i presupposti di una fortissima impennata degli indici di disoccupazione a livello nazionale", attacca il senatore della Lega Roberto Calderoli. Per il vice presidente del Senato il motto "prima gli italiani" deve valere soprattutto in tempi di Covid-19. "Nei campi ci mandiamo i disoccupati italiani - dice - che verranno regolarmente pagati per questo lavoro oppure ci mandiamo quei cittadini italiani che percepiscono il reddito di cittadinanza e in questo caso li mandiamo gratis per non fare cumulo". Che la chiusura delle attività e le restrizioni all'ingresso possano diventare un problema per le imprese agricole è cosa nota. A segnalare un possibile calo dei lavoratori è anche Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura, in una intervista al Corriere della Sera. "Nell'agricoltura italiana lavorano 400 mila lavoratori stranieri regolari, il 36% del totale, la maggior parte dei quali rumeni. Quest'anno non arriveranno. Chi raccoglierà gli ortaggi e la frutta?", si chiede Gori. L'idea di regolarizzare i migranti, peraltro, era stata abbozzata ieri anche da Roberto Saviano nel suo lungo (e noioso) articolo da New York. "Se il resto d'Europa - scriveva l'autore di Gomorra - seguendo l'esempio del Portogallo, regolarizzerà la posizione di tutti gli immigrati in attesa di permesso di soggiorno consentendo alle fasce più disagiate di avere accesso al welfare, potremo dire che la società avrà usato la tragedia per migliorarsi. Se questo non accadrà, quando tutto ci sembrerà finito avremo giusto un'ora d' aria prima che arrivi la prossima catastrofe". A lanciare l'allarme sociale per migranti e rifugiati è stato anche padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli: "Emergono difficoltà concrete - ha detto all'Adnkronos - la ricerca di alloggio e di lavoro per chi ha terminato il periodo di accoglienza, la possibilità di mantenere uno stipendio per chi fa lavori ora sospesi, come i tanti migranti impegnati nel settore alberghiero o della ristorazione, gli affitti da pagare senza uno stipendio regolare". Problemi reali, ma sulla possibilità di aprire le porte ai migranti si è subito sollevato un coro di polemiche. "Per Gori la priorità in questo momento è aprire le porte a 200mila extracomunitari per fronteggiare l'arrivo dei raccolti in agricoltura - attacca il deputato bergamasco della Lega Alberto Ribolla - Chiedo a Gori: non ci sono italiani in difficoltà? E tutti i nostri concittadini senza lavoro, quelli ad esempio che percepiscono il reddito di cittadinanza? Non vorrei che Gori scelga di far arrivare 200mila extracomunitari perché pagare 2/3 euro l'ora gli stranieri è più conveniente". Intanto la nave Alan Kurdi della ong Sea Eye ha lasciato il porto di Burriana, in Spagna, e dopo settimane di riparazioni tecniche punterà diritta alla zona Sar libica. "La nostra nave ha lasciato il porto spagnolo. Ci stiamo dirigendo verso il Mediterraneo Centrale - ha scritto in un tweet l'Ong - Salvare vite umane e tutelare i diritti umani è una priorità senza tempo". Si tratta al momento dell'unica nave presente nel Mediterraneo in zona sar libica. "Nonostante tutte le difficoltà, siamo pronti all'azione. D'altronde come potremmo rimanere fermi in porto quando al momento non è presente una sola nave in mare?", ha detto all'Adnkronos il capitano di Bärbel Beuse. Molti si chiedono cosa accadrà nel caso in cui riescano a recuperare centinaia di migranti. Ai naufraghi, come per le navi da crociera, verrà imposta la quarantena? Intanto, la Sea Eye fa sapere che ha preso tutte le misure di sicurezza e sostiene di aver messo a punto un "piano di gestione" in caso di epidemia a bordo. Resta da capire verso quali porto si dirigeranno, una volta soccorsi i migranti. Verso l'Italia martoriata da Covid-19?
Teresa Bellanova, l'effetto sanatoria: i migranti dalla Francia all'Italia per il permesso di soggiorno. Carlo Nicolato su Libero Quotidiano il 14 giugno 2020. Sarà contenta la ministra Teresa Bellanova, la sua sanatoria ha sortito ben pochi effetti in Italia tanto che al momento solo 9.500 immigrati irregolari sui 220mila preventivati hanno chiesto la regolarizzazione, ma in compenso sta sortendo un effetto inaspettato, quasi miracoloso, ovvero far tornare dalla Francia, o attraverso la Francia, quegli immigrati che da noi erano scappati presumibilmente per mancanza di prospettive. Ora le prospettive ci sono, e sono quelle di ottenere in qualche modo un permesso di soggiorno dimostrando di far parte di quella schiera di irregolari per i quali la Bellanova ha versato le sue lacrime. Il risultato è che i nostri clandestini sono perlopiù rimasti tali mentre dalla Francia ne sono in arrivo altri il cui scopo è quello di ottenere un foglio di carta e darsi alla macchia, non certo quello di lavorare regolarmente per aiutare tra le altre cose anche la nostra agricoltura. Gli immigrati leggono, si informano e sono perfettamente al corrente delle questioni politiche europee che li riguardano, Paese per Paese. Qualche giorno fa alcuni siti di informazione francesi in lingua araba, come yabiladi.com ad esempio, hanno dato la notizia che in Italia hanno iniziato a regolarizzare con una certa facilità gli irregolari, specie quelli reclutati in nero e pagati pochi euro come raccoglitori nei campi. La notizia si è diffusa rapidamente e altrettanto rapidamente il flusso si è invertito. La notte tra martedì e mercoledì nei pressi della galleria del Frejus sono stati bloccati alcuni stranieri che tentavano di attraversare il confine dalla Francia all'Italia camminando lungo i binari della linea Tgv. Solo uno di loro è stato preso, un marocchino, ed è stato rispedito in Francia. Gli altri sono riusciti a scappare. Sempre martedì un gruppo di 22 immigrati senza permesso di soggiorno è stato intercettato sul treno Parigi-Lione diretto nel nostro Paese. Ma gli arrivi erano già iniziati da qualche giorno tanto che lunedì scorso le autorità italiane e quelle francesi si sono incontrate a Modane per fare il punto della situazione.
Provvedimento inutile - La correlazione tra sanatoria firmata Bellanova e gli improvvisi arrivi dalla Francia in controtendenza storica è evidente. Il deputato leghista Eugenio Zoffili, presidente del Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen, Europol e Immigrazione, ha commentato che di questa sanatoria si vede solo «il pull factor, che ha incentivato le partenze attraverso un effetto calamita sull'immigrazione clandestina, generando una vera e propria invasione». La sanatoria dunque non è solo un fallimento ma anche un danno, e se la ministra può comunque vantarsi di aver strappato «anche solo una persona all'invisibilità e alle condizioni di lavoro oscene», dal punto di vista dell'agricoltura non è servita assolutamente nulla. Lo conferma anche Romano Magrini di Coldiretti che ha dichiarato che «a livello nazionale i numeri sull'agricoltura sono veramente esigui. Parliamo di un centinaio di domande o poco più in tutta Italia». Il problema dei nostri campi dunque non lo potranno risolvere né i pochi braccianti regolarizzati, né tantomeno gli speranzosi che arrivano clandestinamente dalla Francia. E allora alla stessa Coldiretti non rimane che risolverli andandosi a prendere i braccianti, specie quelli specializzati. È quello che ha fatto recentemente la Coldiretti Abruzzo ad esempio, che ha organizzato e pagato di tasca propria un volo charter per 124 cittadini marocchini, operai stagionali qualificati ed esperti impegnati da anni sul territorio nazionale. La Coldiretti sostiene che tali lavoratori, insieme ai romeni, per capacità ed esperienza sono diventati insostituibili.
Francesco Borgonovo per “la Verità” il 31 marzo 2020. Due settimane fa i primi casi: nel centro milanese di via Fantoli e in un' altra struttura in provincia di Monza e Brianza. Ora il nuovo focolaio: otto ospiti del centro di accoglienza di via Aquila, a Milano, sono stati contagiati dal coronavirus assieme al direttore della struttura, che è organizzata dalla multinazionale francese Gepsa (un colosso che si occupa di carceri e gestione dei migranti anche Oltralpe). Come riporta Il Giorno, su otto migranti infettati «quattro sono stati posti in regime di sorveglianza sanitaria, mentre altri quattro sono stati spostati in un' altra struttura per la quarantena». I locali sono stati sanificati, e altre 17 persone sono state spostate in centri diversi, al fine di ridurre la concentrazione all' interno dei locali di via Aquila (che possono ospitare fino a 270 stranieri). Il punto, d' altra parte, è proprio questo: nei centri di accoglienza sparsi per la penisola sono presenti spesso centinaia di persone, far rispettare le distanze e le norme di sicurezza è estremamente difficile, e se i contagi dovessero diffondersi ulteriormente si tratterebbe di un disastro annunciato. Il ministro dell' Interno, Luciana Lamorgese, in un' intervista a Sky si è mostrata molto sicura di sé stessa. Giorni fa aveva annunciato, a Repubblica, una sorta di piano nazionale sull' immigrazione, ma a quanto pare ha cambiato idea. Per ora tutto rimane così com' è, nel senso che di iniziative particolari da parte del Viminale non ce ne sono, né sugli sbarchi né sull' organizzazione dell' accoglienza. «Tutti i pochi migranti, circa 240, arrivati a marzo sono stati posti in quarantena per 14 giorni», ha detto la Lamorgese. Il punto è che, per ora, gli approdi sulle coste italiane si sono ridotti, ma non è affatto detto che la situazione rimanga placida, anzi. La stessa Lamorgese, giustamente, nota che «oggi i numeri sono ridottissimi ma dobbiamo preoccuparci per i periodi futuri. L' accordo di Malta, che aveva avuto un grande effetto, in questo momento è ovviamente fermo come sono fermi gli arrivi ma dobbiamo pensare anche al futuro e su quello dobbiamo lavorare in modo da avere sempre davanti il principio di solidarietà europea». È la seconda parte del discorso a preoccupare. L' accordo di Malta (di fatto inesistente) non ha funzionato affatto nei mesi passati, e sulle nostre coste gli sbarchi sono aumentati di circa il 700%. Aspettarsi una «solidarietà europea» nei prossimi mesi è per lo meno ingenuo. Ma non sembra che il governo abbia grandi idee sull' argomento, nonostante gli appelli di Luigi Di Maio per la chiusura dei porti. Ad oggi, però, la principale preoccupazione riguarda la gestione dei migranti che sono già presenti sul nostro territorio. Secondo la Lamorgese «vengono fatti controlli regolari nei Cara in cui c' è la larga parte dei migranti in accoglienza e abbiamo dato istruzioni agli enti gestori di osservare le regole stabilite dal ministero della Salute». Ma, nella realtà, sembra proprio che il quadro sia decisamente più complicato. Qualche giorno fa, nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Gradisca d' Isonzo è stato trovato un positivo al Covid-19 (un nigeriano trasferito da Cremona). Il sindaco di Gradisca, Linda Tomasinsig, ha espresso forti preoccupazioni: «I Centri per i rimpatri sono frequentati quotidianamente da persone che vivono all' esterno come personale delle forze di polizia, degli enti gestori, mediatori, giudici e avvocati», ha scritto su Facebook. «Da qui il conseguente pericolo per loro e i loro familiari di diffusione del contagio. Prendo atto delle rassicurazioni del prefetto in merito alle precauzioni adottate, all' isolamento del detenuto fin dal suo arrivo nel Cpr di Gradisca, ma non ho potuto che esprimergli tutta la mia preoccupazione per la situazione che si è venuta a creare, per i pericoli nei confronti dei detenuti e dei lavoratori». Secondo Il Piccolo, le presenze all' interno del Cpr di Gradisca sono aumentate di un terzo nelle ultime settimane e gli operatori del centro sono «in stato di agitazione». Il 26 marzo, il Viminale ha diramato una circolare intitolata «Interventi di prevenzione della diffusione del virus Covid-19 nell' ambito dei centri di permanenza per il rimpatrio». Leggendola si capisce che i migranti ospitati dai centri potranno continuare a incontrare persone provenienti dall' esterno, anche se a distanza di due metri. La circolare, inoltre, fornisce una preziosa informazione: «Ai maggiori oneri dovuti all' incremento dell' erogazione dei servizi di accoglienza si potrà provvedere con la stipula di appositi atti aggiuntivi alle convenzioni attualmente in corso». Tradotto significa che non esiste un piano nazionale per la sicurezza dei centri di accoglienza, se si escludono indicazioni sommarie che è comunque molto difficile (se non impossibile) far rispettare. Il rischio di contagio è alto sia per i migranti sia per gli esterni che frequentano i centri. Infine, i costi dell' accoglienza aumenteranno, anche perché in alcuni casi si dovranno utilizzare nuove strutture al fine di decongestionare i centri troppo pieni. Da tutta Italia gli operatori delle strutture che accolgono gli stranieri continuano a lanciare allarmi: mancano mascherine, è impossibile mantenere le distanze, non ci sono presidi di sicurezza adeguati. Poi, ovviamente, ci sono le situazioni di totale illegalità, come la baraccopoli abusiva di Borgo Mezzanone, sorta accanto al Cara della provincia di Foggia. Nella notte tra sabato e domenica sono andate a fuoco 30 baracche. Insomma, il caos totale è dietro l' angolo. Ma finora il Viminale ha pensato soltanto a rinnovare di un mese la durata dei permessi di soggiorno e a far sapere che i costi aggiuntivi dell' accoglienza saranno coperti da nuovi accordi. Più che alla «solidarietà europea», sembra che tocchi affidarsi alla sorte, e sperare che Dio ce la mandi buona.
Coronavirus, il materiale sulla pandemia tradotto in 34 lingue per aiutare migranti e richiedenti asilo. Pubblicato domenica, 22 marzo 2020 su Corriere.it da Andrea Federica De Cesco. Immaginate di trovarvi, durante una situazione di emergenza (che sia una guerra, un terremoto o una pandemia), in un Paese straniero dove nessuno parla o capisce la vostra lingua e senza la possibilità di informarvi. Cosa provereste? Preoccupazione, ansia, persino terrore, probabilmente. Ecco, adesso potete provare a mettervi nei panni delle migliaia di immigrati e richiedenti asilo presenti in Italia che a un certo punto si sono resi conto del pericolo rappresentato dalla circolazione di un virus letale tra la popolazione. «Alcuni erano nel panico. Vedevano in giro persone con le mascherine e non capivano cosa stesse succedendo». A parlare è Pier Cesare Notaro, formatore e insegnante di italiano per stranieri, attivista per i diritti delle minoranze sessuali, etniche e culturali e presidente dell'associazione Lgbt interculturale Il Grande Colibrì. «Alcuni dei nostri utenti hanno cominciato a contattarci in modo allarmato. Sui loro gruppi WhatsApp giravano informazioni storpiate ed estremizzate e audio con notizie false». E così dal 23 febbraio, quando sono emersi i primi casi di coronavirus nel nostro Paese, l’associazione ha iniziato a realizzare e pubblicare materiale informativo sia in formato scritto sia in formato video in diverse lingue, con lo scopo di raggiungere individui analfabeti o poco scolarizzati, che avendo scarsa dimestichezza con il linguaggio burocratico necessitavano di testi semplificati. «Quando siamo partiti anche nei centri di accoglienza erano disponibili soltanto testi in italiano, inglese e cinese, ma comunque inaccessibili a chi non sa leggere e scrivere e spesso troppo complessi per chi ha una scolarizzazione molto bassa», prosegue Notaro. «Finora abbiamo prodotto materiale in 34 lingue, con testi chiari ma semplici, scritti in maiuscolo. Per ogni lingua ci sono da uno a tre video e da uno a cinque pdf: dipende dalla disponibilità dei volontari che si occupano delle traduzioni». Il progetto, a cui partecipano anche l’associazione Naga di Milano, Les Cultures di Lecco e Certi Diritti di Roma, è infatti reso possibile dallo spirito di solidarietà di decine di persone. «Le traduzioni sono state realizzate da membri de Il Grande Colibrì, composta per la metà da persone immigrate o rifugiate, e da quelli di altre associazioni. Per il resto ci siamo affidati ad appelli su Facebook e al passaparola. Perfetti sconosciuti ci hanno scritto per offrirci una mano, sia dall’Italia sia dall’estero. Siamo stati contattati anche da volontari che lavorano nei campi profughi in Giordania». Come spiega Notaro il materiale si divide in tre categorie: norme igieniche e disposizioni generali (per esempio, informazioni riguardo alla chiusura dei negozi, al divieto di assembramenti e alle raccomandazioni sul lavarsi le mani); informazioni sulle restrizioni relative agli spostamenti (con riferimenti alle deroghe per fare la spesa e andare al lavoro e alla necessità di avere con sé l’autocertificazione); e materiale specifico per i richiedenti asilo, con spiegazioni sulle modifiche apportate alla normativa dopo la chiusura di questure e commissioni territoriali e indicazioni sulla possibilità di posticipare il ricorso in caso di diniego della richiesta di asilo. «Non pensavamo di poter fare una cosa così ampia. Il nostro lavoro è esploso, oltre qualsiasi aspettativa. Ci hanno chiesto di riutilizzarlo all’estero, per i profughi sulle isole greche e per i migranti negli Stati Uniti», aggiunge il fondatore de Il Grande Colibrì, associazione che normalmente segue progetti sul territorio riguardanti l’accoglienza, la formazione e l’accompagnamento di persone perseguitate in patria per il loro orientamento sessuale e per la loro identità di genere. «Il materiale sta girando davvero parecchio, evidentemente ce n’era bisogno. Lo abbiamo pubblicato sul nostro sito e sui nostri social e i diretti interessati lo diffondono via WhatsApp nelle loro reti di conoscenza. Al momento rimandano alla nostra pagina l’Istituto Superiore di Sanità, il Portale Integrazione Migranti del Governo, il sito della Commissione Europea sull’integrazione, diversi siti di Regioni e Comuni e quelli di numerose scuole e biblioteche». Da anni le varie organizzazioni che si occupano di migranti e richiedenti asilo mettono in guardia dai pericoli derivanti da una precarizzazione delle condizioni di salute di questi ultimi. «È importante tenere presente che lo stato di salute dei migranti ha ripercussioni su quello del resto della popolazione», osserva Notaro. «Proviamo a immaginarci cosa potrebbe succedere se si ammalasse uno degli individui ospiti dei centri di accoglienza, dove le persone in genere vivono ammassate. Il rischio di una rapida propagazione del virus sarebbe altissimo». È proprio l’informazione, in casi del genere, a fare la differenza.
Coronavirus, le Ong fermano le missioni di salvataggio in mare. Migranti senza più soccorsi. Mediterranea: " La pandemia ci impone di congelare l'attività operativa. Scelta obbligata anche se le partenze sono ricominciate". Bloccate in porto anche Ocean Viking, Sea watch e Open Arms. Alessandra Ziniti il 18 marzo 2020 su La Repubblica. Le partenze dei migranti dalle coste africane sono riprese ma il Mediterraneo è destinato a rimanere senza soccorsi per chissà quanto tempo. Il coronavirus ferma anche le navi umanitarie e, una dietro l'altra, le Ong comunicano a malincuore la sospensione delle missioni. "Una comunicazione inevitabile e difficile - dice Mediterranea, che pure nelle scorse settimane si era vista finalmente restituire le due navi, Mare Jonio e Alex, sequestrate per mesi dal decreto sicurezza - Eravamo pronti a ripartire con la tenacia e la determinazione di sempre: pronte le navi, pronti gli equipaggi. Ma lo svilupparsi della pandemia e le sacrosante misure adottate per tentare il contenimento del contagio e per tentare di salvare le persone più fragili ed esposte, ci impone oggi di congelare l'attività operativa in mare. Gli effetti di questa scelta obbligata ci fanno soffrire perchè in mare c'è chi rischia la morte ogni giorno". Mediterranea confida nella disponibilità, per i soccorsi in mare delle navi civili che continuano ad operare. " Daremo loro ogni supporto possibile". Restano al momento in porto anche le navi della Sea Watch e di Sos Mediterranée e Medici senza frontiere che hanno finito il periodo di quarantena dopo gli ultimi due sbarchi di migranti a Pozzallo e a Messina. E ferma è anche da una ventina di giorni per riparazione, la spagnola Open Arms. "Stiamo cercando di capire in che modo poter tornare in mare in sicurezza per tutti. Purtroppo in mare c'è bisogno di noi nonostante il coronavirus", dice la portavoce Veronica Alfonsi. Le partenze dall'Africa comunque non si fermano. Il centralino Alarm phone negli ultimi giorni ha segnalato diverse imbarcazioni in difficoltà in zona Sar libica e maltese. E preoccupano gli sbarchi autonomi sull'isola di Lampedusa dove nell'ultima settimana sono arrivate 150 persone. Il sindaco Salvatore Martello ne ha disposto subito la messa in quarantena nell'hot spot ma ha chiesto al ministro dell'Interno Lamorgese un protocollo per il loro immediato trasferimento sulla terraferma per la mancanza delle necessarie misure a salvaguardia della popolazione. Anche in Africa ormai sono centinaia i casi di coronavirus registrati nei Paesi di origine dei migranti e anche la Libia ha dichiarato lo stato di emergenza per l'epidemia. Al momento le Ong che hanno volontari impiegati nei servizi di assistenza medica e paramedica nelle aree più colpite dal territorio sono Medici senza frontiere, la cui presidente Claudia Lodesani da giorni sta lavorando a Codogno. Ma anche la piattaforma di terra di Mediterranea ha messo a disposizione le sue forze.
Coronavirus, i radicali chiedono più posti per accogliere i migranti. L'appello indirizzato al governo italiano è stato fatto da Iervolino e Crivellini, rispettivamente segretario e tesoriera dei radicali che, all’indomani del primo caso di contagio registrato in un centro di accoglienza di Milano, chiedono che la salute degli stranieri sia garantita. Salvatore Di Stefano, Mercoledì 18/03/2020 su Il Giornale. "Più posti per accogliere i migranti". Questo, in estrema sintesi, il pensiero dei Radicali italiani, i quali all'indomani del primo caso di contagio da coronavirus registrato in un centro d'accoglienza di Milano fanno appello al governo guidato dal premier Giuseppe Conte. La richiesta, pubblicata sul sito ufficiale del partito, porta le firme di Massimiliano Iervolino e Giulia Crivellini, rispettivamente responsabile politico e tesoriera del movimento. Nella nota gli onorevoli Iervolino e Crivellini sostengono convintamente che "La salute di rifugiati e migranti e operatori deve essere garantita, le loro strutture non sono preparate per la gestione di un’emergenza sanitaria". I radicali attirano anche l'attenzione della ministra dell'Interno, l'onorevole Luciana Lamorgese, affinchè il ministero da lei presieduto "si attivi, attraverso le Prefetture, per non fare uscire dai centri quanti hanno concluso il loro progetto di accoglienza e acceleri il trasferimento nelle strutture per quanti ne hanno diritto e sono in attesa di accedervi". Dulcis in fundo la richiesta di avere più posti per accogliere i migranti: "sarebbe opportuno, d’intesa con i Comuni, ricavare ulteriori posti nei circuiti di accoglienza per quei titolari di protezione internazionale o umanitaria che, avendone già beneficiato in passato ne sono ora usciti e si trovano a fronteggiare una temporanea situazione di emergenza abitativa”. Appena una manciata di giorni fa la senatrice Emma Bonino era letteralmente finita nell'occhio del ciclone per via di alcune sue dichiarazioni nelle quali invitava ancora la ministra dell'Interno a tutelare la salute dei migranti. L'attuale esponente di + Europa, sulla propria pagina Facebook chiedeva a gran voce all'onorevole Lamorgese "se fossero state prese misure adeguate a garantire la salute dei richiedenti asilo ospitati nei centri di accoglienza e delle persone trattenute all'interno dei centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) in tutta Italia. In particolare ho chiesto al ministro se vi fossero nei Cpr - da cui non è permesso allontanarsi - presidi idonei ad affrontare la situazione con la stessa cura con cui si dovrebbe agire nell'ambito carcerario, dove ancora troppo poco si sta facendo, non escludendo l'ipotesi di non procedere a nuovi ingressi nelle prossime settimane". Mentre i Radicali italiani si concentrano sui migranti situati nei vari centri d'accoglienza il nostro Paese, diventato già da diversi giorni zona protetta, potrebbe prolungare oltre la data del 3 aprile prossimo la chiusura delle scuole e tutti i divieti per le attività non essenziali.
Francesco Borgonovo per “la Verità” il 17 marzo 2020. Non c'è davvero alcuna soddisfazione nel rimarcare che lo avevamo previsto, perché la situazione è già drammatica senza bisogno di aggiungere ulteriori elementi di preoccupazione. Eppure sapevamo che era soltanto questione di giorni: la bomba immigrazione, alla fine, sta esplodendo. A Milano è stato ufficializzato il primo caso di contagio da coronavirus in un centro di accoglienza, per la precisione quello situato in via Fantoli, in zona Mecenate. Per suo fortuna, il giovane straniero non ha avuto bisogno di essere ricoverato, ma immediatamente la struttura è stata sanificata e i compagni di stanza del ragazzo sono stati messi in quarantena. Il centro di via Fantoli conta circa 160 ospiti, e per una parte di costoro è stato previsto il trasferimento in una palazzina nelle vicinanze. Un altro caso di contagio è stato certificato nel centro di accoglienza straordinaria (Cas) del Comune di Camparada, provincia di Monza e Brianza. In questo caso il migrante è stato ricoverato in ospedale e 12 persone (9 esterne e 3 interne al centro) sono state messe in quarantena. Il Cas ospita in tutto 120 persone e l' aria si è subito surriscaldata. Il sindaco Mariangela Beretta ha fatto sapere che fra gli ospiti si è scatenata pure una rissa. Il punto è che i vari centri di accoglienza sparsi per l' Italia non sono assolutamente in grado di fronteggiare l' emergenza sanitaria. Pochi giorni fa - come riportato dal nostro giornale - sono stati gli stessi rappresentanti degli stranieri a lanciare l' allarme. In particolare il Coordinamento migranti bolognese ha descritto una situazione spaventosa: «Molti di noi», hanno scritto i portavoce dei richiedenti asilo in una lettera, «lavorano uno accanto all' altro, notte e giorno, all' Interporto, dove in alcuni magazzini il lavoro è raddoppiato per star dietro alla grande richiesta di merci causata dal panico dell' epidemia. Quando dobbiamo riposare ritorniamo all' affollamento dei centri di accoglienza. In via Mattei viviamo in più di 200 e dormiamo in camerate che ospitano cinque o più persone, spesso anche dieci, con letti vicini, uno sopra l' altro. Molte di queste stanze non hanno nemmeno le finestre per cambiare l' aria. Alcuni dormono in container, anch'essi sovraffollati, anch'essi senza finestre. La situazione non è molto diversa in altri centri della città, come lo Zaccarelli e Villa Aldini». Questa era la situazione di Bologna, ma pare di capire che anche nel resto d' Italia il quadro non sia molto diverso: edifici sovraffollati, difficoltà a far rispettare le norme igieniche necessarie a combattere l' infezione, tensione alle stelle. A Vicofaro, nella struttura gestita da don Biancalani, due giorni fa c' è stata una rissa. Alla residenza Fersina di Trento un tunisino di vent' anni ha accoltellato un nigeriano di 22. Altre aggressioni sono avvenute in Sicilia. È evidente che far rispettare il divieto di circolazione in situazioni del genere è pressoché impossibile, e gli operatori dell' accoglienza se ne sono resi conto da tempo. Dalle due baraccopoli pugliesi di Borgo Mezzanone e Torretta Antonacci sono giunti allarmi del tutto identici a quelli lanciati a Bologna. «Il nostro timore», ha detto di recente a Repubblica Alessandro Verona, referente medico dell' unità migrazione di Intersos, «è che il contagio possa arrivare anche fra queste persone più fragili e vulnerabili». Analoghe preoccupazioni sorgono fra chi si occupa dei senza tetto. In vari dormitori milanesi sono stati riscontrati casi di positività e la fondazione Progetto Arca (responsabile della gestione di molte strutture) non usa mezzi termini: «Rischiamo di non farcela». Dunque il contagio è arrivato. E adesso bisogna correre ai ripari, anche se ovviamente non è facile. A Milano, l' europarlamentare ed ex assessore del Pd Piefrancesco Majorino suggerisce di usare il grande centro di via Corelli come «luogo di gestione dei casi positivi provenienti da situazioni di accoglienza». Ed è lo stesso Majorino - non certo un pericoloso sovranista, anzi - a sollecitare un piano nazionale di intervento. «Attenzione a non sottovalutare la cosa, è indispensabile controllare al massimo», ha detto. Majorino conferma un' altra preoccupazione: «Molti migranti fanno i rider. Si deve intervenire subito con serietà». Già: è stato proprio il nostro giornale, mesi fa, a raccontare come tanti stranieri che lavorano nel servizio di consegna alla sera tornino a dormire nei centri di accoglienza milanesi (e così funziona anche in altre città). Basta alzare gli occhi per rendersi conto che tantissimi rider, in questi giorni, hanno continuato a circolare e a lavorare anche senza le necessarie precauzioni: niente mascherine, niente guanti... E per chi sta tutta la giornata a bordo di una bicicletta lavarsi frequentemente le mani non è certo semplicissimo. A questo punto è inutile farsi prendere dalla rabbia verso chi ha consentito l' ingresso di così tanti migranti negli anni passati. È necessario però che il governo prenda immediati provvedimenti almeno per quanto riguarda i nuovi ingressi. Gli ultimi arrivi a Lampedusa hanno già messo in crisi l' isola. Se altre persone dovessero entrare nelle prossime ore si arriverebbe al collasso. Gli allarmi arrivano da destra, da sinistra e persino dagli stessi migranti: forse è ora che qualcuno li stia a sentire.
La Rai "predica" i porti aperti: un altro film pro immigrazione. Pronto un altro film che sposa la causa pro migranti del centro - sinistra: il 10 marzo su Raiuno andrà in onda il lungometraggio dedicato ad Agnese Ciulla, ex assessore della giunta di Leoluca Orlando a Palermo. Mauro Indelicato, Domenica 08/03/2020 su Il Giornale. Soprattutto nell’ultimo anno sono spesso piombate, da più parti sia del mondo della politica che di quello della cultura, molte accuse di “sovranismo” alla Rai per via della scelta della programmazione. Per fare un esempio, come riportato da Francesco Borgonovo su La Verità, nei giorni scorsi l’autorità delle telecomunicazioni ha richiamato il Tg2 per un servizio sugli Stati Uniti. Ed il motivo appare quanto meno surreale, per non dire bizzarro: nel telegiornale diretto da Gennaro Sangiuliano, era stato definito “abile” Donald Trump. Un semplice aggettivo che ha espresso un giudizio del giornalista in questione, che però secondo l’authority avrebbe forse minato l’imparzialità del servizio. E tanto è bastato a far nuovamente gridare al presunto sovranismo presente in Rai, rea di pendere dalla parte destra del quadro politico da quando i vertici sono stati rinnovati dal precedente governo. E dunque da quell’esecutivo a trazione gialloverde, dove le nomine sono state fatte da una maggioranza composta da Lega e Movimento Cinque Stelle. Ma la situazione appare un po’ diversa. A farlo notare è stato proprio Francesco Borgonovo, il quale ha preso in esame la programmazione delle ultime fiction andate in onda nell’azienda del servizio pubblico. Ad esempio il prossimo 10 marzo su Raiuno andrà in scena il lungometraggio “Tutto il giorno davanti”: si tratta di uno sceneggiato di Luciano Manuzzi e prodotto da Rai Fiction in collaborazione con Regione Siciliana, Sicilia Film Commission e Comune di Palermo. Il lungometraggio parlerà di immigrazione e focalizzerà l’attenzione su Agnese Ciulla, ex assessore della giunta di Leoluca Orlando nel comune di Palermo. Nella scheda di presentazione, si legge che il film ha come oggetto “la storia di Agnese Ciulla, ex assessore alle attività sociali del comune di Palermo [...] che nel maggio 2016 diventò "la grande madre dei migranti", raggiungendo la ribalta mediatica nazionale per la tutela di tutti i bambini che arrivavano in città senza i genitori o un parente, i cosiddetti minori stranieri non accompagnati”. In poche parole, si tratta dell’ultima pellicola dove si parla di migranti e dove ad essere vista in chiave positiva è la visione politica di persone legate al centro – sinistra. Come sottolineato dallo stesso Borgonovo, sembra quasi che il lungometraggio su Agnese Ciulla sia stato ideato dopo lo stop alla fiction su Mimmo Lucano, il sindaco di Riace finito poi in alcuni guai giudiziari che doveva essere interpretato da Beppe Fiorello. Lucano, come ben si sa, è una delle bandiere della linea dell’accoglienza, il film che andrà in onda il 10 marzo potrebbe far assurgere a questo ruolo anche l’ex assessore Agnese Ciulla. Il lungometraggio previsto poi, fa il paio con la fiction Lampedusa, dove il protagonista era interpretato da Claudio Amendola e dove il principale argomento era quello dell’immigrazione, così come con il film Nour, prodotto da Rai Fiction, in cui Sergio Castellitto ha interpretato Pietro Bartolo, ex medico di Lampedusa ed oggi europarlamentare del Partito Democratico. Già solo sul tema immigrazione dunque, certamente la Rai non sembra aver sposato la causa della parte sovranista. Al contrario, la prospettiva con la quale viene trattato questo argomento appare decisamente più in linea con le prese di posizione dell’ambiente politico e culturale di centro – sinistra. E quelle accuse di “sovranismo” appaiono tanto infondate quanto a volte intimidatorie: quasi come ad avvertire che, se per davvero un giorno dovesse essere dato spazio ad una prospettiva vicina ad altre parti politiche, allora non mancheranno levate di scudi e pesanti prese di posizione.
Fabio Fazio: "Il coronavirus? Mi insegna che i porti devono essere sempre aperti, per tutti". Libero Quotidiano il 16 marzo 2020. "Sono giorni durissimi in cui abbiamo tutti modo di riflettere sul significato delle parole e su tutti quei gesti quotidiani piccoli e preziosi che ci mancano", esordisce Fabio Fazio in un commento pubblicato su Repubblica di lunedì 16 marzo, dal titolo "le cose che sto imparando". Ovviamente, mister Che tempo che fa si riferisce alle cose che sta imparando nei giorni dell'emergenza coronavirus. Dunque una serie di punti, di belle parole, tipo: "Devo rimettere in ordine la mia scala di valori; "Mi sono persuaso che il significato delle parole è sacro"; "Ho imparato il valore di una stretta di mano" e "ho imparato la necessità di tendere la mano". Ed eccoci poi arrivare alla conclusione, alle ultime due cose che Fabio Fazio ha imparato. Punto 14: "Mi sono reso conto che i confini non esistono e che siamo tutti sulla stessa barca". Segue il punto 15, quello conclusivo: "E dal momento che siamo tutti sulla stessa barca, è meglio che i porti, tutti i porti, siano sempre aperti. Per tutti". No, Fabio Fazio non cambierà mai. Una sola domanda: quando dice "sempre aperti", intende anche nei giorni del coronavirus?
Gustavo Bialetti per “la Verità” il 17 marzo 2020. «La condizione umana è piena di oscena spaventosa sofferenza umana e si può sopravvivere a quasi tutto». David Foster Wallace (Brevi interviste con uomini schifosi, Einaudi) però non sopravvisse a sé stesso e s' impiccò nel 2008, a soli 46 anni. Lui l'avrebbe raccontata benissimo, la reclusione ai tempi di Covid-19, come ha fatto per le crociere, i concorsi canori, le sagre delle armi e altre calamità autoprodotte. Ma lo scrittore dell' Illinois almeno si è risparmiato di dover leggere certi compitini che rendono questo isolamento casalingo una meravigliosa occasione persa. Per esempio, sulla prima pagina di Repubblica ti imbatti in «Tutte le cose che sto imparando dall' isolamento», scritto da Fabio Fazio. Confessiamo di averlo letto con qualche speranza, perché a volte stare a casa fa bene a questi personaggi televisivi, abituati all' autopromozione costante, che tengono buone relazioni con qualunque tipo di potente. Nati, cresciuti e «fatturati» servendo una sola religione, quella della maggioranza. Ma a Fazio, i domiciliari non hanno ancora regalato l' occasione di una lettura ruvida come Petrolio di Pier Paolo Pasolini, o Ex captivitate salus di Carl Schmitt, e invece lo hanno sprofondato in una marea di ovvietà glassate dalla quale non lo salverebbe vedersi a nastro tutti i Griffin e tutti i Simpson. Così il presentatore di Savona ci comunica quello che ha imparato: la cosa che più conta è «stare vicino alle persone cui vogliamo bene», a cominciare dai figli, che «vanno abbracciati». Poi dobbiamo «riconnetterci con la Terra», che se no poi quella si vendica, e giù giù pontificando fino al fatto che «i confini non esistono» ed «è meglio che tutti i porti siano sempre aperti per tutti». Peccato, poteva riscoprire Dio, Marx o Confucio. Invece si è arenato su Carola Rakete.
Papa Francesco elogia Fabio Fazio: "Ha ragione quando dice che i nostri comportamenti influiscono sugli altri". Libero Quotidiano il 18 marzo 2020. Papa Francesco elogia Fabio Fazio. "Ringrazio chi si spende in questo modo per gli altri. Sono un esempio di questa concretezza. E chiedo che tutti siano vicini a coloro che hanno perso i propri cari, cercando di accompagnarli in tutti i modi possibili. La consolazione - esordisce in un'intervista a Repubblica - adesso deve essere impegno di tutti. In questo senso mi ha molto colpito l'articolo scritto su Repubblica da Fabio Fazio sulle cose che sta imparando da questi giorni". Il Pontefice afferma di essersi soffermato su tante cose di quel commento, "ma in generale il fatto che i nostri comportamenti influiscono sempre sulla vita degli altri. Ha ragione ad esempio quando dice: "È diventato evidente che chi non paga le tasse non commette solo un reato ma un delitto: se mancano posti letto e respiratori è anche colpa sua". Questa cosa mi ha molto colpito". Una dichiarazione però che in molti hanno fatto, ancor prima del conduttore di Che Tempo Che Fa. Dopo la camminata fino a Santa Maria Maggiore per le strade di una Roma deserta, Bergoglio si rivolge ai cittadini affinché si riscopra quello che per lungo tempo si è perso. "Dobbiamo ritrovare la concretezza delle piccole cose, delle piccole attenzioni da avere verso chi ci sta vicino, famigliari, amici. Capire che nelle piccole cose c'è il nostro tesoro". La direttiva del governo impone agli italiani di rimanere in casa, un modo per il Papa per riscoprire "i gesti minimi, che a volte si perdono nell'anonimato della quotidianità".
Dagospia il 18 marzo 2020. TWEET DI FABIO FAZIO: Sono travolto dall’emozione. Dovrò cercare di meritarmi questo onore e questa responsabilità. Al di là delle parole che mi riguardano, Papa Francesco ha invitato tutti noi a non sprecare questo tempo difficile ma ad adoperarlo per guardare in noi stessi e rinnovarci.
Da adnkronos.com il 18 marzo 2020. "Ho chiesto al Signore di fermare l’epidemia: Signore, fermala con la tua mano. Ho pregato per questo". Lo afferma, in un'intervista a 'la Repubblica', Papa Francesco riferendosi a quando, due giorni fa, è andato a Santa Maria Maggiore e nella chiesa di San Marcello al Corso per pregare. Rispondendo a una domanda su come chi non crede può avere speranza di fronte a questi giorni, il Pontefice sottolinea: "Tutti sono figli di Dio e sono guardati da Lui. Anche chi non ha ancora incontrato Dio, chi non ha il dono della fede, può trovare lì la strada, nelle cose buone in cui crede: può trovare la forza nell’amore per i propri figli, per la famiglia, per i fratelli. Uno può dire: "Non posso pregare perché non credo". Ma nello stesso tempo, tuttavia, può credere nell’amore delle persone che ha intorno e lì trovare speranza". "Mi ha molto colpito l’articolo scritto su Repubblica da Fabio Fazio sulle cose che sta imparando da questi giorni. Tanti passaggi, ma in generale il fatto che i nostri comportamenti influiscono sempre sulla vita degli altri", aggiunge. Ha ragione ad esempio quando dice: "È diventato evidente che chi non paga le tasse non commette solo un reato ma un delitto: se mancano posti letto e respiratori è anche colpa sua" - spiega il Pontefice - Questa cosa mi ha molto colpito".
Da cavevisioni.it – il blog di Maurizio Caverzan il 18 marzo 2020. Apro il Tg1 delle 13.30 e trovo come prima notizia l’intervista di Francesco a Repubblica. In bella evidenza copia del quotidiano e il sorprendente endorsement papale di Fabio Fazio. In fondo, è pur sempre un conduttore di Mamma Rai. Cambio canale, perplesso. Ma il tg di La7, di proprietà di Urbano Cairo, editore del Corriere della Sera, la ignora. Sarà mica che Bergoglio è finito dentro il gioco dei media e dei poteri forti? Un Papa nonno non me l’aspettavo. Soprattutto, mi aspettavo di più da un Papa. Da papa Francesco. Lo dico con dolore. Con rammarico e delusione, purtroppo. In mezzo a tanti guru da quarantena che imperversano ovunque, sui giornaloni, sui social e in tv, da Bergoglio mi aspettavo parole ultime. Parole che vanno all’essenziale. Siamo messi faccia a faccia con la morte. Con il destino. Non alla rinuncia all’apericena sui Navigli. Siamo a confronto con il pericolo massimo che si fa prossimo, in modo imprendibile come raramente capitato dalla fine della Seconda guerra mondiale. C’è una pandemia, uno scenario dai risvolti drammatici che coinvolge l’intero pianeta. Ci era andato vicino domenica scorsa Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera, scrivendo che «torna la voglia di parole vere». E, non a caso, aveva citato proprio Bergoglio che, sempre domenica, con un gesto commovente era andato a piedi a pregare nella chiesa di Santa Maria Maggiore davanti all’icona della Vergine «Salus populi romani». Un pellegrinaggio, meglio di tante parole. Per questo, in mezzo alla selva di consigli, decaloghi e omelie di tanti telepredicatori, da Francesco ci aspettavamo qualcosa più di un paterno buffetto sulla guancia. «Dobbiamo ritrovare la concretezza delle piccole cose, delle piccole attenzioni da avere verso chi ci sta vicino, famigliari, amici. Capire che nelle piccole cose c’è il nostro tesoro». Fin dalle prime righe sembrava di sentir parlare Fabio Fazio. Lui. Possibile? Ma di fronte a questa situazione un Papa non dovrebbe parlarci del Salvatore? Di un Tizio che è morto in croce per riscattarci dalla fragilità, dalla provvisorietà? Antonio Scurati agli albori dell’epidemia ha scritto che dobbiamo ricostruire «una coscienza collettiva della nostra finitudine». Se non è questo il cristianesimo che cosa lo è? Se non lo dice la massima autorità mondiale, il Vicario di Cristo, chi lo fa? Avete presente, qui ci vorrebbe l’emoticon con il faccino interrogativo e il pollice e l’indice attorno al mento. Immerso nelle perplessità ho proseguito la lettura fino all’epifania. «Mi ha molto colpito l’articolo scritto su Repubblica da Fabio Fazio…». Ma dai? «Che cosa in particolare?» gli ha chiesto il giornalista. «Tanti passaggi, ma in generale il fatto che i nostri comportamenti influiscono sempre sulla vita degli altri». E poi, «quando dice: “È diventato evidente che chi non paga le tasse non commette solo un reato ma un delitto: se mancano posti letto e respiratori è anche colpa sua”. Questo passaggio mi ha molto colpito». Papale. Ora questa faccenda si presta ad alcune considerazioni. La prima è una domanda. Davvero Francesco aveva letto Fabio Fazio del giorno prima? O qualcuno gliel’ha segnalato? E davvero il Papa ha confessato questa impressione senza che magari il suo confidente abituale a Repubblica incoraggiasse, diciamo così, la conversazione di ieri? E se così fosse, a che situazione saremmo di fronte? Sono solo domande, eh. Il secondo quesito è nel merito. Stiamo sempre parlando del custode della cristianità o di un ministro del Tesoro italiano che stigmatizza le conseguenze, pur nefaste, dei comportamenti degli evasori? La terza è una considerazione. Gli psichiatri e gli intellettuali laici in questo momento tanto drammatico citano Le confessioni di Sant’Agostino, per dire, e il pontefice eleva Fazio a nouveau philosophe. ’Namo bene, direbbero a Roma.
Mario Giordano per “la Verità” il 19 marzo 2020. In nome del Padre, del Figlio e dello spirito Fazio. Dopo l’Angelus in streaming, il Papa sperimenta una nuova frontiera della fede: la preghiera al profeta Fabio, Santo Conduttore di Rai 2 e Patrono della Beata Melassa. Nel pieno dell' apocalisse coronavirus, con il mondo atterrito dall' epidemia, il popolo disorientato e angosciato, con la maggior parte delle persone che si pongono di fronte alle domande essenziali dell' esistenza, Francesco decide di scendere in campo con tutta la forza millenaria della Chiesa. E di lanciare finalmente un messaggio profondo: convertitevi e seguite il Vangelo. Di Dio? No, di Fabio Fazio. E poi ricordatevi di rispettare i precetti. Della fede? No dell' Agenzia delle entrate. Dai profeti ai televip, dai Martiri della Chiesa al martire della Littizzetto, dalla speranza di vita eterna alla speranza di gettito tributario: il nuovo credo di Francesco è tutto qui. Nemmeno l' ombra del paradiso, a parte quello fiscale. Nemmeno una citazione per Gesù Cristo. Il quale, evidentemente, in questi momenti bui conta meno dell' ex conduttore del Rischiatutto. L' intervista è comparsa ovviamente su Repubblica, che ormai è l' organo ufficiale del Vaticano bergoglizzato. A firmarla non è nemmeno il fondatore, Eugenio Scalfari, cui Francesco si era già concesso con una certa generosità, in colloqui alla pari, da Papa a Papa. E nemmeno il direttore, Carlo Verdelli. E nemmeno uno dei vicedirettori. Macché: l' intervista è realizzata dal vaticanista ordinario, Paolo Rodari, come fosse una questione di routine. Immagino le riunioni di redazioni: tu chi intervisti? Un virologo. Tu? Il capogruppo del Pd. E tu? Io il Papa. A va beh, attento però che non sbrodoli troppo. Infatti ne viene fuori un papellino smoscio, allungato su due pagine per dovere, con più sommari che testo. Il cui senso è tutto nell' occhiello che giganteggia in testa pagina: «Quanto ha scritto Fabio Fazio su Repubblica è vero. I nostri comportamenti influiscono sempre sulla vita degli altri». Parola del signore (di Rai 2). Ora: a parte il fatto che non siamo proprio sicuri che il concetto «i nostri comportamenti influiscono sempre sulla vita degli altri» sia proprio un' esclusiva del santo Fazio da Savona (può essere anche, non vorremmo sbagliarci, che una frase simile l' abbia già detta qualcun altro); e a parte il fatto che, in ogni caso, anche fosse autenticamente sua e solo sua, come rivelazione non ci sembra un granché (il Santo Padre dovrebbe essere a conoscenza di qualcosa di meglio, in materia di rivelazioni); a parte tutto questo, io dico: ma come? Sei il Papa. No, dico: il Papa. Già il fatto che parli con un' intervista a un quotidiano e non con un messaggio apostolico, in un momento così, ci suona un po' strano; già il fatto che quest' intervista sia sempre a Repubblica che da sempre sostiene i valori più contrari alla cristianità (dall' aborto all' eutanasia) è ancora più strano; ma poi, se tutto questo deve proprio accadere, volete per lo meno fare un' intervista vera? Con domande e risposte profonde? Meditate? Ragionate? Citando, che ne so?, Sant' Agostino o San Tommaso, oltre che Fabietto Fazio, sempre che i due Padri della Chiesa siano considerati all' altezza di Che Tempo Che Fa? Può il Papa liquidare la più grande tragedia del mondo contemporaneo con un' intervistina volante di poche battute, affogate nel tritacarne mediatico, così come se fosse un Fabrizio Pregliasco o una Maria Rita Gismondo qualunque? Tutto nasce dall' intervento di Fabio Fazio su Repubblica, due giorni fa. Aveva scritto un articolo in pieno stile fazista sulle «cose che sto imparando dall' isolamento». Roba tipo: «rimettere in ordine la mia scala di valori», «attenersi alla scala di valori», «riconnettersi con l' ecosistema» (e te pareva), «non accettare il cinismo», «il valore della stretta di mano», «la necessità del tenere la mano», «bisogna aprire i porti» (e te pareva) e «siamo tutti sulla stessa barca». Ovviamente siamo tutti sulla stessa barca finché la barca va. Ci mancavano «chi fa da sé fa per tre» e «chi fa la spia non è figlio di Maria» e poi l' elenco fazista avrebbe fatto l' en plein. Roba da risollevare i dubbi sul passaggio del conduttore su Rai 2: che ci fa lui sul secondo? È evidente che lui è da primo banale. A Repubblica, però, il compitino è piaciuto molto e così hanno deciso di dargli un seguito. L' altro giorno, per commentarlo, sono intervenuti Rosario Fiorello e lo scrittore Stefano Massini, noto per le sue apparizioni a Piazza Pulita. Dopo di che in redazione probabilmente si sono chiesti come andare avanti. Chi commenta dopo Fiorello? Carlo Verdone? Fiorella Mannoia? Michela Murgia? No, il Papa. Sì, è vero, nelle sue riflessioni è un po' meno filosofico di Fiorello, ma è pur sempre il Papa. E così l' intervistina è andata in pagina con tutti gli onori. Il contenuto? Semplice. Nel vero significato della parola. Francesco cita frettolosamente il Signore (ma mai Gesù Cristo), dice in due parole che ha pregato, e poi si dilunga sulla buona novella secondo Fazio: bisogna «ritrovare la concretezza delle piccole cose», come la «carezza ai nonni» (ne siamo sicuri?), il «bacio ai bimbi» (ma non erano sconsigliati baci e abbracci»?), il piatto caldo, la telefonata, e insomma queste cose. «Se viviamo così questi non saranno giorni sprecati», dice il Papa, che più che la svelare la verità cristiana sembra svelare le ricette di frate Indovino. O di Fabio Fazio, che poi tutto sommato non sono così diversi. Anche la descrizione che il Papa fa delle famiglie è piuttosto affrettata. Sono giorni di panico, angoscia, di relazioni che cambiano, che vengono rivoluzionate. Francesco invece descrive l' interno casa come quello di sempre con l' incapacità di ascolto, i «genitori che guardano la tv» (che strano eh) e i figli «sul telefonino» (ma toh). Pensa un po': queste famiglie di oggi. Le rinchiudi in casa e loro si attaccano ai social e guardano la tv, screanzati. «Siamo tanti monaci isolati uno dall' altro», dice il Papa. In realtà non siamo mai stati così vicini. E così angosciati. E così bisognosi di consolazione di fronte a morti assurde, a familiari che non possono nemmeno abbracciare e seppellire i loro cari, ai bagliori dell' apocalisse. Infatti l' intervistatore cita proprio questa parola «consolazione». E allora il Santo Padre che fa? Tira fuori i Padri della Chiesa? I Profeti? Gli Apostoli? Nostro Signore Gesù Cristo? La Pasqua di Resurrezione? L' eucaristia? La Vergine Madre? No: si aggrappa al decalogo di Fabio Fazio. E alla necessità di pagare le tasse, che in effetti è salvifica. Ma solo per l' erario. Così finirà che a messa ci andranno soltanto gli agenti del fisco. Credo nell' Irpef, dio onnipotente, creatore del cielo e della terra.
Coronavirus, il Papa: "Non dimenticare poveri e migranti". Nel corso dell'omelia mattutina, Papa Francesco ha invitato i fedeli a non dimenticare migranti e poveri. Anche ai tempi del Covid-19. Francesco Boezi, Giovedì 12/03/2020 su Il Giornale. Il coronavirus, con tutto quello che ne consegue in termini di dinamiche emergenziali, non può e non deve coadiuvare la "globalizzazione dell'indifferenza", che coinvolge tanto i poveri quanto i migranti. Papa Francesco ne è sicuro. Il pontefice argentino, per via delle misure restrittive imposte anche in Vaticano, deve rinunciare agli appuntamenti pubblici. Sono saltate pure le udienze. Jorge Mario Bergoglio sta continuando a celebrare una Messa presso Santa Marta. Una celebrazione mattutina che viene trasmessa in diretta a partire dalle 07.00. Le esigenze pastorali dei fedeli vengono così soddisfatte, mentre l'Italia ed il resto del mondo stanno affrontando quella che l'Organizzazione mondiale della sanità ieri ha considerato formalmente alla stregua di una pandemia. La pastorale del Santo Padre, però, presenta delle specifiche irrinunciabili. Tra queste, come abbiamo imparato in questi quasi otto anni di pontificato, c'è la prossimità alle periferie economico-esistenziali, che non vanno dimenticate. Anche ai tempi del Covid-19. Del resto attraverso l'omelia pronunciata ieri il Papa aveva già posto un accento sulle condizioni dei profughi siriani. Il Vaticano è stato chiuso ai turisti, ma la voce del Papa continuerà a risuonare. La tecnologia fornisce ausilio alla Santa Sede in questa fase, che è di sicuro sperimentale. Un Papa in streaming non si era ancora visto. Ma non ci sono molte alternative. La riflessione odierna interessa l'estensione globale di un atteggiamento che Bergoglio usa criticare: ""Quando per la prima volta sono andato a Lampedusa, mi è venuta questa parola: la globalizzazione dell'indifferenza", ha detto durante l'omelia il vescovo di Roma, così come riportato pure dall'Adnkronos. Poi arriva la disamina sullo stato delle cose odierno: "Forse noi oggi qui, a Roma, siamo preoccupati perché 'sembra che i negozi siano chiusi, io devo andare a comprare quello; sembra che non posso fare la passeggiata tutti i giorni; sembra questo...". Il direttore della Sala Stampa Matteo Bruni, due giorni fa, ha annunciato come la Santa Sede abbia predisposto tutta una serie di misure restrittive, che impongono più di qualche serrata all'interno delle mura leonine. Tra gli esercizi rimasti aperti, ma con "ingresso contingentato", la farmacia e il supermercato. Non si possono non prendere contromisure. Ora bisogna stroncare i contagi. Ma guardare a quello che è stato chiuso può essere limitante. L'ex arcivescovo di Buenos Aires, tenendo in considerazione le novità apportate dai decreti di questi giorni, ha posto l'accento su tutt'altro aspetto: "Preoccupati per le nostre cose, dimentichiamo i bambini affamati, dimentichiamo quella povera gente che ai confini dei Paesi cerca la libertà, questi migranti forzati che fuggono dalla fame e dalla guerra e trovano soltanto un muro: un muro fatto di ferro, un muro di filo spinato, un muro che non li lascia passare". Il coronavirus, insomma, non può essere una scusante per alimentare quello che Francesco in altre circostanze ha chiamato "egoismo". E i migranti, e le loro esigenze, non possono finire in un dimenticatoio. Altrimenti si rischia di finire nell' "abisso dell'indifferenza". Un ruolo decisivo lo gioca l'informazione, che dovrebbe essere capace di "scendere al cuore". Il Santo Padre ha rimarcato questo concetto. Bergoglio, concludendo la sua predica, ha invitato i fedeli a domandare una grazia circoscritta. Quella che serve per evitare il baratro dell'indifferenza.
Bonino sollecita Lamorgese: "Garantire salute migranti". La senatrice della Repubblica Italiana ha rivelato di aver attenzionato il ministro dell'Interno sul problema salute degli stranieri ospitati nei centri d'accoglienza e nei Cpr: le rassicurazioni della Lamorgese non soddisfano tuttavia la Bonino, che chiede uno "sforzo ulteriore". Federico Garau, Domenica 08/03/2020 su Il Giornale. Mentre il Paese è sempre più in ginocchio per le pesanti ripercussioni sanitarie ed economiche seguite alla diffusione del Coronavirus, un nuovo appello arriva sulla presumibilmente già affollata scrivania del ministro dell'Interno Luciana Lamorgese. Vale a dire l'accorato appello della senatrice di + Europa Emma Bonino, allarmata dalle eventuali conseguenze che potrebbero esservi per gli extracomunitari ospitati presso centri d'accoglienza o centri di permanenza e rimpatrio, nonchè per il personale impiegato all'interno di suddette strutture. È lo stesso ex ministro della politiche Europee (ai tempi del governo Prodi) a riferire in prima persona sulla sua pagina personale Facebook di aver attenzionato l'onorevole Lamorgese sul problema Coronavirus e salute per gli stranieri presenti all'interno dei numerosi centri di accoglienza e rimpatrio, diffusi in modo capillare su tutto il territorio nazionale. "In seguito agli interventi previsti dal governo nei giorni scorsi per l'emergenza coronavirus, ho ritenuto necessario rivolgermi al ministro Luciana Lamorgese per chiederle se fossero state prese misure adeguate a garantire la salute dei richiedenti asilo ospitati nei centri di accoglienza e delle persone trattenute all'interno dei centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) in tutta Italia. In particolare ho chiesto al ministro se vi fossero nei Cpr - da cui non è permesso allontanarsi - presidi idonei ad affrontare la situazione con la stessa cura con cui si dovrebbe agire nell'ambito carcerario, dove ancora troppo poco si sta facendo, non escludendo l'ipotesi di non procedere a nuovi ingressi nelle prossime settimane", si legge nella prima parte del comunicato. Una raccomandazione, tuttavia, che ha trovato le rassicurazioni della Lamorgese stessa, evidentemente non sufficienti, però, a far dormire sonni tranquilli alla senatrice della Repubblica Italiana, che chiede passi in avanti in più in tal senso. "Il ministro ha confermato di aver predisposto e comunicato agli uffici territoriali una serie di interventi sull'intero sistema di accoglienza di sua competenza. Ma sono certa che uno sforzo ulteriore di comunicazione e prevenzione vada fatto per proteggere la salute degli operatori e dei rifugiati. Sono convinta che occorra in questo momento la massima attenzione verso le condizioni di vita all'interno dei centri presenti nel nostro Paese, affinché venga fornito a chi vi è ospitato e a chi vi opera tutto il sostegno necessario ad affrontare le prossime settimane". Come non è mancata la rapida replica della Lamorgese sull'emergenza Coronavirus, così non sono mancati neppure i messaggi in risposta al post dell'ex rappresentante del partito Radicale. "Ringrazio tutti quelli come Lei che dicono apertamente ciò che pensano, in questo modo sono rispettati i diritti costituzionali di tutti. Compresi quelli di chi, andando a votare, saprà quali simboli evitare come la peste. Grazie per essere così chiara. Siete razzisti nei confronti degli Italiani. Ce ne ricorderemo quando avremo la matita in mano. Non pensate di riuscire a tenerci lontano da quella matita ancora a lungo. O la matita o le piazze. Virus o non virus. Non ne uscirete, stavolta. Faremo a pezzi questa Europa con una matita. Con tante matite" , attacca una internauta. "Ah, quindi riuscite a controllare gli ingressi? Ma non sono disperati che fuggono da guerre e pestilenze senza controllo? Con che autorità vi permettete di "disciplinare" gli ingressi?", replica un altro utente. "Ma vergognati . Pensa all’Italia che ti ha mantenuto una vita senza che tu abbia mai lavorato. Pensa ai tuoi connazionali non ai richiedenti asilo", attacca un altro.
PIÙ DI SALVINI POTÉ IL VIRUS. Francesco Grignetti per “la Stampa” il 12 marzo 2020. Il virus che dilaga in Italia fa molta paura anche dall' altra sponda del Mediterraneo. E così, dati alla mano, da due settimane si sono azzerate le partenze di migranti clandestini in partenza da Libia, Tunisia e Algeria. Zero. Non prendono più il mare gli scafisti libici, che notoriamente si tengono molto informati di quel che accade da noi e dosano sapientemente quanto cinicamente il rubinetto delle partenze. Sono scomparsi anche i barchini veloci che portano gente sulle coste della Sicilia o della Sardegna. Al ministero dell' Interno, dove in questi giorni hanno ben altre preoccupazioni, non è sfuggita la tregua del mare. L' ultimo sbarco ingente è del 27 febbraio scorso, quando fu concesso l' arrivo a Messina di 194 persone, tra cui 19 donne e 31 minori. Erano a bordo della nave umanitaria «Sea Watch 3». Si era già in emergenza da coronavirus, tant' è che il governatore siciliano Nello Musumeci protestò vivamente. E per misura di profilassi fu decisa a livello di governo, con scambio di lettere tra Roberto Speranza (Salute) e Luciana Lamorgese (Interno), la quarantena per tutti: i naufraghi in una caserma, l' equipaggio a bordo della nave. Precedentemente, il 23 febbraio, ventiquattro ore dopo che era stata annunciata la zona rossa attorno a Codogno e agli altri comuni del Lodigiano, c' era stato un altro maxi-sbarco: 276 persone a bordo della «Ocean Viking», fatti sbarcare a Pozzallo, e in quel caso si era applicato un protocollo già più rigido, con il controllo della temperatura. Finirono in quarantena anche questi. Da allora, con il moltiplicarsi delle cattive notizie di contagi, ricoveri e morti in Italia, il flusso di clandestini è magicamente cessato. Le navi umanitarie stesse hanno preso a girare al largo dall' Italia. Comprensibile che non faccia piacere la decisione della ministra Luciana Lamorgese, che ha ordinato una quarantena di 14 giorni con i volontari confinati in porto. Nell' occasione, la presidente della Ong «Mediterranea Saving Human», Alessandra Sciurba, protestò che imporre la quarantena soltanto alle navi delle Ong e non a quelle commerciali era «una discriminazione, solo un pregiudizio che si fa prassi approfittando di un momento di shock collettivo». Eppure è chiaro il ragionamento del Viminale: tirando a bordo persone che sono state esposte a un possibile contagio, perché certo non si può presumere che in Libia o in Tunisia gli scafisti adottino misure igienico-sanitarie per il povero carico di merce umana su cui speculano, il rischio si estende automaticamente anche agli equipaggi che hanno uno stretto contatto con i naufraghi. Sono a rischio tutti. Di qui la necessità della quarantena prima di entrare in contatto con altre persone in Italia. La cautela serve a proteggere innanzitutto chi lavora e vive nei centri di accoglienza, dove i nuovi arrivati finiscono con la richiesta di asilo internazionale. Giusto ieri i radicali hanno chiesto a Lamorgese per quanto riguarda i Centri di accoglienza straordinaria e i Siproimi (ex Sprar) «di garantire presidi adeguati a tutela di chi vive e di chi lavora in quelle strutture, a cominciare dalla fornitura di guanti, mascherine e quanto possa servire nella gestione quotidiana».
In Italia c’è il coronavirus, migranti “razzisti”: zero sbarchi a marzo. Le Ong incredule…Leo Malaspina mercoledì 11 marzo 2020 su Il Secolo d'Italia. Zero sbarchi a marzo. Incredibile ma vero. Il coronavirus ha ottenuto risultati migliori perfino del più feroce dei ministri degli Interni, al punto da sollevare una domanda ironica. I migranti, quelli che scappavano dalla guerra per disperazione, sono diventati “razzisti”? Temono gli italiani contagiati? Ci emarginano, non si lasciano più accogliere? “Altro che paura del Coronavirus che frena gli sbarchi, nel Mediterraneo centrale in queste ore non c’è nessuna nave Ong, nessuno che possa testimoniare e raccontare cosa succede lì”. E’ questa la motivazione che espone all’Adnkronos Riccardo Gatti, capo missione della ong spagnola Proactiva Open Arms e direttore di Open Arms Italia sul fatto che sono stati registrati, secondo i dati del Viminale, zero sbarchi sulle nostre coste da inizio marzo. Open Arms insieme alle navi Sea Watch 4 (ex Poseidon) e Alan Kurdi sono attualmente ferme a Burriana (Valencia) per lavori; mentre dopo l’ultimo sbarco la Ocean Viking (la quarantena per il personale di bordo è terminata domenica scorsa) è ancora al porto di Pozzallo per questioni tecniche (cambio di equipaggio ed altro) ma “ripartirà il primo possibile”, conferma la Ong. La Sea Watch 3 è ferma a largo di Messina per ultimare la quarantena, non senza proteste. “Creare o credere nell’ipotesi che le persone non fuggono dalla Libia per paura del Coronavirus è tanto irreale quanto ridicolo“, sottolinea Gatti. “Ormai è documentato da diverse fonti accreditate: stupri, violenze, torture, è questo quanto subiscono le persone che cercano una via di scampo attraversando il mare. Lasciano la Libia per motivi ben più gravi del Coronavirus”. Al di là “della variabile tempo, che potrebbe essere un fattore deterrente, se sono partiti e intercettati dalla guardia costiera libica, i migranti sono stati riportati indietro. Noi non lo sappiamo, perché in assenza di Ong, non c’è testimonianza. Ecco anche spiegata la criminalizzazione contro le organizzazioni che salvano vite umane”, continua Gatti. “Per interessi politici dietro, si continua a portare avanti una falsa rappresentazione della realtà che spinge anche ipotesi assurde come quella della paura del coronavirus che blocca gli sbarchi in Italia. Ripeto senza Ong non ci sono soccorsi. Il resto sono solo solo respingimenti”, evidenzia Gatti. Coronavirus, il virologo Pregliasco: “Tasso di mortalità oltre il 4% è sovrastimato perché i casi identificati sono meno di quelli reali”
Franco Bechis per iltempo.it l'11 marzo 2020. Nel bollettino tragico di queste ore, con il numero di contagiati e di morti di coronavirus che sta salendo in modo esponenziale mettendo alla corda la capacità del sistema sanitario di ogni Regione, c'è un contatore numerico che sembra portare una buona notizia: da undici giorni non sbarca sulle coste italiane nemmeno un migrante. Dal 28 febbraio in poi ogni giorno il conteggio registrato dall'Unhcr è zero migranti arrivati in Italia, e un arco di tempo così largo senza sbarchi non si era mai avuto nell'ultimo anno. Ne partono di meno in genere dalle coste africane, però in quegli stessi dieci giorni ne sono arrivati 858 sulle coste spagnole e 788 su quelle greche, e qualche spicciolata anche a Malta dove ne arrivano pochi, ma comunque in media una quindicina ogni giorno. Perché nessuno viene in Italia visto che partono dall'altra sponda del Mediterraneo? La risposta è semplice: hanno paura del coronavirus. Probabilmente i diretti trasportati, ma sicuramente i trasportatori che proprio sulle coste italiane sembrano non volere mettere piede. Se anche c'è qualche nave di Ong in attesa evidentemente prende altre rotte da quando in Italia sono esplosi i contagi. E' una prova in più che quel traffico è organizzato, ed è fatto da persone magari anche spregevoli ma che certamente sanno ragionare, e indirizzano i barconi dove pensano sia più opportuno. Adesso evidentemente non siamo più la terra promessa e anzi siamo diventati la meta da fuggire. Si è ben capito ieri quando hanno chiuso i voli da e per l'Italia anche quegli albanesi che ben ricordiamo come primi protagonisti di un esodo quasi biblico verso le nostre coste. Lo zero sbarchi di questi giorni -con una durata record rispetto perfino all'anno di Matteo Salvini ministro dell'Interno- indica una volta di più che nulla di davvero spontaneo è mai accaduto nel Mediterraneo, e che qualcuno ha certamente la regia di ogni viaggio. E punta i barconi verso le coste che potrebbero essere meno respingenti per vari motivi. L'altro anno la meta principale di quei viaggi è stata la Spagna, poi il governo lì ha iniziato a fare la faccia feroce e i barconi hanno iniziato a puntare sulle coste dell'Egeo. Da inizio anno la tendenza è quella: 8.432 sbarchi in Grecia, quasi la metà in Spagna, 2.553 in Italia e un migliaio a Malta. Da quando è esploso in Italia a fin e febbraio dunque il coronavirus ha azzerato le partenze in queste direzione, e forse è la sola notizia non negativa che arriva dal tragico bollettino quotidiano di questa emergenza unica. Meglio in questo momento non dovere occupare energie, risorse e soprattutto anche spezzoni del sistema sanitario nazionale nell'accoglienza dei migranti. Basta e avanza la nuova peste per cui stiamo chiudendo l'intero paese in una morsa che si fa sempre più stretta (e terribilmente necessaria a salvare la pelle).
· Epidemia e Volontariato.
La campagna "Una goccia nell'Oceano". Gli angeli della pandemia, le storie dei volontari che hanno aiutato 25mila famiglie del Sud. Amedeo Junod su Il Riformista il 2 Luglio 2020. Sono numerosi gli uomini e le donne che durante la pandemia hanno deciso di scendere in campo per aiutare gli altri. Lo hanno fatto in maniera del tutto disinteressata armati solo di sorrisi e tanta buona volontà. Per questo motivo, con una cerimonia segnata da un forte spirito di comunità e non priva di momenti di autentica commozione, la Fondazione Banco di Napoli ha deciso di premiare i volontari, rappresentanti delle associazioni e imprenditori che hanno contribuito fattivamente alla campagna di sensibilizzazione "Una goccia nell’oceano -#pocomatanto” lanciata dalla Fondazione sin dall’inizio dell’emergenza Covid-19. Si tratta di un riconoscimento a coloro che si sono impegnati in prima linea in Campania, ma anche nelle altre regioni meridionali, per sostenere le fasce più deboli in una fase così delicata in cui la fame si è fatta sentire e molte famiglie non riuscivano nemmeno a portare il piatto in tavola. Il successo della campagna, fortemente voluta dalla presidente Rossella Paliotto, si è concretizzato, nei mesi di picco dell’epidemia, con la distribuzione nelle regioni meridionali di pacchi alimentari per ben 25000 famiglie in difficoltà, nella donazione di 17mila mascherine ai medici di base, nell’acquisto di un cardiografo destinato all’ospedale Cotugno e nell’apertura dello sportello “Ripartire con avvocati, commercialisti e psicologi”. Alla presenza di Gianluigi Traettino (presidente di Confindustria Caserta), Vincenzo di Baldassarre (vicepresidente Fondazione Banconapoli) e della presidente Paliotto, sono state conferite ai volontari le medaglie con lo stemma araldico della fondazione, storicamente legata alla solidarietà e alla beneficenza per i soggetti disagiati e meno abbienti. Numerose le personalità insignite di questo riconoscimento per la solidarietà e l’impegno, tra esponenti della società civile, comunità di recupero e di assistenza, forze dell’ordine e professionisti. Tra questi ricordiamo: il presidente del Comitato di Napoli della Croce Rossa Italiana Paolo Monorchio, Stefania Picardi della Comunità di S.Egidio, i responsabili della protezione civile di Pescara, Suor Cecilia della Scuola Cardinale Ursi e Francesco Agliata dell’Associazione nazionale Carabinieri.
Dagospia il 22 marzo 2020. Trascrizione del video di Bruno Vespa (da Facebook). Ricordate medici senza frontiere? Quando dovevano soccorrere i migranti – e facevano bene – lo facevano con le loro navi e la scritta “Medici senza frontiere” era molto ben visibile sulle loro tute, adesso sono scomparsi. Forse sono nascosti nelle corsie di Bergamo, di Brescia, di Cremona e forse non vogliono far sapere che sono lì e stanno lavorando alacramente. Ma se per caso non ci fossero. Se per caso davvero se ne fossero dimenticati, forse è il caso di ricordarglielo. C’è bisogno di loro stavolta, anche se non c’è politica anche se non c’è propaganda, anche se non ci sono le televisioni internazionali a propagandarne il lavoro. Che corrano, che corrano e tornino davvero a bordo. A bordo dell’emergenza.
Dagospia il 22 marzo 2020. Messaggio: Ma Bruno Vespa perché da bravo giornalista non è andato a controllare sui siti di Emergency e Medici Senza frontiere? Entrambe le due organizzazioni stanno lavorando a testa bassa sull'epidemia. Medici senza frontiere a Lodi e Codogno, Emergency a Brescia e a Milano. E anche voi di Dagospia verificare mi sembra il minimo.
Da liberoquotidiano.it il 26 marzo 2020. Bruno Vespa fa ancora discutere. Nei suoi confronti è partito "un doppio esposto, al Comitato per il Codice etico della Rai e al Consiglio di disciplina dell'Ordine dei Giornalisti del Lazio" presentato dal consigliere di amministrazione della Rai, Riccardo Laganà, e dal segretario dell'Usigrai, Vittorio Di Trapani. "La richiesta - spiegano in una nota - è quella di valutare, ciascuno per le proprie competenze, profili disciplinari e deontologici rispetto alle accuse rivolte da Vespa nei confronti della ong Medici Senza Frontiere, seccamente smentite dai diretti interessati. Questo fatto - sottolineano - ha esposto la Rai a rischi di immagine da parte di un proprio collaboratore. Inoltre, nei giorni precedenti, Vespa ha rivolto gravi accuse nei confronti del proprio datore di lavoro, accusandolo di aver sospeso la sua trasmissione (Porta a Porta ndr) "senza un motivo ragionevole" ipotizzando una decisione dal "sapore politico"". Una scelta che ha immediatamente visto la replica del diretto interessato che, durissimo, ha ribadito: "Il consigliere Laganà e il segretario dell'Usigrai Di Trapani stanno programmando un sistema di censura sovietico, ma non ce la faranno" ha chiosato più definitivo che mai.
Andrea Sparaciari per "it.businessinsider.com" il 23 marzo 2020. Ci sono voluti quasi 20 giorni – un’eternità in tempo di contagio globale –, ma ora sembra che Emergency abbia ottenuto il via libera anche da Regione Lombardia per intervenire nella regione con le sue equipe specializzate in epidemie. La Ong di Gino Strada, già da tempo impegnata a Milano città in base a un protocollo siglato col Comune per l’assistenza dei senzatetto, inizierà a breve ad operare con 10 medici e sanitari nell’ospedale da campo di Bergamo – la zona più flagellata dal Covid-19 – e a fornire supporto didattico/logistico ai medici dell’ospedale di Brescia con altre 4 unità, al lavoro già da oggi. Non solo, il Pirellone ha anche chiesto uno studio di fattibilità per la creazione un altro centro di emergenza, un ospedale da campo nella stessa zona. Infine, l’accordo prevede che i medici specializzati di Emergency “insegnino” ai colleghi le tecniche di contenimento del contagio maturate durante le epidemie in Sierra Leone nel 2014 e durante l’epidemia di Ebola del 2015. Il perché organizzazioni come Medici Senza Frontiere ed Emergency possano adeguatamente assolvere a tali compiti, lo spiega il consigliere regionale di +Europa – e medico chirurgo – Michele Usuelli: « Le strutture sanitarie, salvo lodevoli eccezioni, non sono attrezzate per il controllo ed il contenimento delle malattie infettive in ambito ospedaliero, così come non sono preparati i medici, i quali da generazioni non hanno visto un’epidemia come l’attuale. Una delle ragioni per l’iniziale esplosione di COVID-19 in Lombardia ed in altre regioni è stato il contagio comunitario, in particolare negli ospedali. In quelle condizioni, la velocità di raddoppio del virus cresce fortemente. All’interno degli ospedali si mantiene una rapida cinetica di infezione ad alta carica virale che coinvolge e decima il personale sanitario ed i pazienti già ricoverati, aggravando la crisi epidemica. Ad oggi in Lombardia su 100 positivi, 12 sono personale sanitario. Per questo vi è un urgente bisogno di un cambio di mentalità, che coinvolga e tuteli principalmente il personale sanitario e le strutture ospedaliere». In parole povere, le equipe di Emergency – che durante Ebola ha avuto solo due medici contagiati, un numero esiguo rispetto a quelli chiamati ad operare – dovranno diffondere il dogma della “compartimentazione” delle strutture ospedaliere. Ogni reparto, cioè, dovrà essere pensato e gestito come una struttura a sé, totalmente indipendente dagli altri, con proprie entrate e uscite, spazi delimitati per i medici e il personale, senza alcun contatto con il resto dell’ospedale. Una rigida divisione che gli ospedali italiani non hanno adottato – anche perché non prevista se non in casi di emergenza – e che ha aumentato il numero dei contagi, tra i sanitari e i loro familiari. Non a caso il protocollo preparto con la Ong mira a imporre «l’autocontenimento del personale sanitario, cui è necessario fornire strutture ricettive specifiche per ritirarsi dopo il lavoro, evitando così il fai da te domestico ed aiutandolo a non contagiare le famiglie», continua Usuelli. Personale formato da Emergency poi provvederà alla gestione della vestizione/svestizione del personale, al corretto lavaggio disinfettante, al monitoraggio degli accessi dei sanitari nelle strutture. Insomma, imporrà una gestione da fronte di guerra, com’è del resto la Lombardia in questo momento. In attesa dell’ok definitivo della Regione, Emergency da giorni sta organizzando il rientro in Italia delle sue squadre disperse per il mondo. Ma non è facile, visto l’azzeramento del traffico aereo. La prima ad arrivare sarà quella basata in Uganda, dove si sarebbe dovuto inaugurare il nuovo ospedale disegnato da Renzo Piano. «Naturalmente in Lombardia saranno impiegati solo medici e infermieri di provata esperienza», fa sapere l’ong, «non interverranno i nostri volontari». La logica è quella della trasmissione dell’esperienza, esattamente ciò che sta già accadendo a Codogno dove il personale di Medici senza frontiere opera da giorni. «Il team composto da medici, infermieri ed esperti di igiene, lavora ogni giorno con le équipe della struttura, dal personale sanitario allo staff dedicato alle pulizie, al fine di condividere la propria esperienza nella gestione di un’epidemia», fa sapere la ong. «Quando abbiamo registrato il primo caso, il virus era già in circolazione. Adesso per noi è importante gestire questa epidemia ed evitare nuovi contagi. L’affiancamento di MSF è molto importante, stiamo già imparando molto», ha dichiarato il direttore dell’ospedale di Codogno, Andrea Filippin. Ma come mai c’è voluto tanto tempo perché la Ong più esperta di epidemie venisse cooptata? Per tempi burocratici e resistenze politiche. I primi contatti tra Emergency e Pirellone risalgono infatti alla prima settimana di marzo, quando Emergency “offre” il proprio aiuto alla regione. Lo scrive la stessa Ong in un comunicato stampa datato 6 marzo 2020: “Abbiamo sentito questa mattina i vertici della Regione Lombardia e abbiamo offerto la nostra disponibilità a collaborare nella gestione dell’epidemia di Covid-19. Possiamo mettere a disposizione delle autorità sanitarie le competenze di gestione dei malati in caso di epidemie, maturate in Sierra Leone nel 2014 e 2015 durante l’epidemia di Ebola”. Da allora passano i giorni senza che nulla succeda. Secondo fonti del Pirellone, in quel primo incontro la Ong aveva offerto solo una consulenza, mentre la Regione era alla ricerca di un aiuto più sostanzioso. D’altra parte, bisogna considerare che per una regione a guida leghista ricevere aiuto proprio da quella Ong accusata in passato di essere “tassista del mare” è un boccone amaro da digerire. A sbloccare la situazione è lo stesso presidente Attilio Fontana – e di ciò gli va dato atto – che venerdì 20 marzo riunisce attorno a un tavolo i responsabili di Emergency, l’assessore Gallera e il suo braccio destro Salmoiraghi. È lui che forza la mano, vincendo le resistenze e cooptata le truppe di Strada. Come conferma Regione Lombardia: « Il presidente ha saputo che Emergency era disponibile a collaborare e li ha quindi prontamente fatti contattare».
Annalisa Chirico attacca le Ong: "Perché non aiutate l'Italia? Avete visto Fontana e Bertolaso?" Libero Quotidiano il 23 marzo 2020. C'è chi fa e chi non fa. C'è chi agisce nel silenzio e chi, da sempre, predica bene e in questo caso razzola male. Il ragionamento è quello proposto da Annalisa Chirico su Twitter, che mette a confronto quanto portato a casa da Attilio Fontana e da Guido Bertolaso in Lombardia con l'azione delle Ong. Ovviamente si parla dell'emergenza coronavirus. E la firma de Il Foglio cinguetta: "A giorni Fontana e Bretolaso aprono il primo reparto dell'ospedale alla Fiera di Milano, e soluzioni simili si replicano in altre parti d'Italia - premette -. Servono medici e infermieri: perché quelli delle Ong, i medici senza frontiere eccetera, non vengono in Italia ad aiutarci?". Domanda, quella della Chirico, tutt'altro che peregrina.
Dal Fattoquotidiano - Ma a commentare il post video è proprio l’associazione Medici Senza Frontiere: l’organizzazione internazionale chiarisce di essere attiva sul territorio nazionale e soprattutto nel Nord Italia: “Gentile Bruno Vespa, siamo in azione da più di una settimana sul territorio italiano per supportare la risposta del governo, in particolare nel lodigiano. Oltre l’Italia i nostri team stanno intervenendo anche in Francia, Spagna, Belgio, Grecia Cina e Hong Kong e siamo in contatto con le autorità sanitarie in altri paesi. Tutti gli aggiornamenti sono disponibili sul nostro sito msf.it/covid19 e sui nostri canali social media”. E da una settimana Medici Senza Frontiere sta offrendo supporto all’ospedale di Codogno, dove è stato effettuato il primo tampone positivo di un caso di Covid-19 in Italia e dove la metà dei 100 posti letto è ancora occupata da pazienti colpiti dal coronavirus. Il team di Msf, composto da medici, infermieri ed esperti di igiene, lavora ogni giorno con le équipe della struttura, dal personale sanitario allo staff dedicato alle pulizie, per condividere la propria esperienza nella gestione di un’epidemia. “Quando abbiamo registrato il primo caso, il virus era già in circolazione. Adesso per noi è importante gestire questa epidemia ed evitare nuovi contagi. L’affiancamento di Msf è molto importante, stiamo già imparando molto” dice Andrea Filippin, direttore medico del Presidio ospedaliero di Codogno. Per il team di Msf, è essenziale incontrare il maggior numero di operatori sanitari in tutti i reparti dell’ospedale, in collaborazione con il servizio igiene ospedaliera, per rinforzare le loro competenze su come proteggersi dal virus, garantendo così anche la protezione dei pazienti. Un virus nuovo e poco noto, l’afflusso straordinario di pazienti e i ritmi frenetici, la carenza generalizzata in tutta Italia di dispositivi di protezione individuale, sono tutti fattori che espongono gli operatori sanitari in prima linea ad alti rischi. Sono oltre 2.800 i sanitari positivi oggi in Italia, la loro protezione è più che mai necessaria perché rappresentano la prima linea collettiva contro il virus.
Luca Bottura per “la Repubblica” il 22 marzo 2020. "E dov' è Emergency adesso?". Se lo chiedeva un tizio cattivista, ieri sera, in una di quei flame sui social che normalmente attaccano i "buonisti". Subito sotto, la solita raffica di commenti melmosi. È l' Italia che manco adesso, come certi giornalacci fasciopopulisti, non riesce a non cercare il colpevole in chi arriva da lontano. Quelli che campano di domande retoriche cui rispondere con un rutto: e le sardine? E i cinesi? E i comunisti? Pronti: i medici di Emergency sono al lavoro in Lombardia, per supportare la sanità pubblica contro il Covid. A Milano sono già sbarcati altri medici: cubani, cinesi. Le sardine non possono essere in piazza ma ne conosco personalmente (come il sardone Roberto Morgantini, a Bologna, con le sue Cucine popolari) che cibano chi non può #stareacasa perché la casa non ce l' ha. Ecco dove sono, tutti. A dimostrarvi che almeno in questi giorni dovreste girare verso il muro la gigantografia di Mario Giordano, difendere altri italiani come voi, magari solo più generosi. E magari prendervela con il ministro ceco che ci ha rubato un cargo di mascherine e respiratori: guardacaso, è sovranista.
Emergency, Mediterranea, Msf: tutte le Ong sul fronte del virus. Sono passate dal mare alla terra. In aiuto di medici, infermieri, senzatetto, malati psichiatrici, persone spaventate o che hanno già vissuto lutti. Sempre senza chiedere passaporti. Marta Bellingreri il 07 aprile 2020 su L'Espresso. Dal mare alla terra. Dall’Africa al Nord Italia. Dalle epidemie di Ebola e colera a una nuova malattia, sconosciuta per tutti. Gennaro Giudetti non ci ha pensato due volte a partire. O meglio, questa volta, a restare. A febbraio si trovava sulla nave dell’ong Sea Watch: un salvataggio di migranti in mare, lo sbarco a Messina, una quarantena di 14 giorni al porto, un passaggio a casa, a Taranto. E poi via, ma questa volta, qui. In Italia, al Nord. «Non avrei mai pensato che per una volta sarei andato ad aiutare al Nord anziché al Sud. Ho lavorato in Congo per l’epidemia Ebola. Il nostro Sistema Sanitario è uno dei più avanzati al mondo, eppure c’era bisogno di un supporto: lo stiamo dando». Gennaro lavora con Medici Senza Frontiere (MSF) ed è il tecnico per prevenzione e controllo dell'infezione. Il loro ruolo è di creare zone di filtro e di decontaminazione per tutto il personale che passa dai reparti contaminati. Ci prendiamo cura dei curanti e, per una volta, non direttamente dei pazienti, come facciamo in tutto il mondo» racconta Chiara Lepora, medico e coordinatrice del progetto MSF tra Lodi, Codogno e Sant’Angelo, le zone più colpite fin dall’esordio dell’emergenza Covid-19 in Italia. «Il lavoro di prevenzione e controllo sull’infezione serve a far sì che medici, operatori sanitari, chi lavora in ospedale e nelle case di riposo possano tornare a casa sereni, senza aver paura di contaminare familiari a causa del lavoro che svolgono. Insomma, possano stare bene e continuare a dare il loro contributo». Msf inoltre lavora a fianco dell’Azienda Sanitaria locale per supportare telefonicamente i pazienti positivi a casa che necessitano di essere seguiti, un servizio chiamato Telecovid; porta avanti inoltre campagne di sensibilizzazione per centri Caritas e centri di accoglienza per migranti per provare in tutti i modi a limitare il contagio. «Non ci sono differenze né frontiere tra qui e il resto del mondo: lavoriamo sempre dove c’è più bisogno» conclude Gennaro, orgoglioso di poter dare una mano. Anche Mediterranea era pronta a partire: l’ong nata per soccorrere i migranti in mare preparava il team per la missione di marzo. Ma a fronte della nuova emergenza i suoi volontari sono rimasti a terra. «Mare o terra non cambia nulla. I nostri medici e infermieri stanno lavorando tutti nell’emergenza Covid», afferma Stefano Caselli, anche lui infermiere, che insieme ai suoi compagni di equipaggio si è subito interrogato sul da farsi. «Abbiamo creato un servizio per il supporto psicologico telefonico per chi trova i numeri nazionali sempre occupati». E così, sono partiti: Mediterranea questa volta è salpata al telefono. «In quattro settimane si è evoluto il tipo di richieste: i primi dieci giorni le persone chiedevano consigli di carattere medico per proteggersi. Troppe informazioni ansiogene hanno creato bisogno di chiarezza», spiega Francesco Caputo, psicologo di Mediterranea che coopera con i volontari del Laboratorio di Salute Popolare a Bologna. «In seguito, molte persone private dell’accompagnamento dei centri di salute mentale a causa dell’emergenza, hanno chiesto aiuto. Infine, nell’ultima settimana, chiamano solo persone che hanno vissuto lutti. Coniugi che hanno perso la compagna dopo cinquant’anni di vita insieme. Figli che chiedono come supportare i genitori. Dolore che ha bisogno di un cuore che li ascolti». I loro numeri sono stati diffusi in tutti i canali: anche la rapper Myss Keta li ha condivisi su Instagram. Il servizio è attivo anche per il personale sanitario che ha bisogno di raccontare, condividere, essere ascoltato. Intanto Emergency ha trasformato la sua sede a Milano in una piccola unità di crisi. «Abbiamo fatto tesoro delle nostre esperienze precedenti nel mondo, mai ci saremmo aspettati di intervenire in Italia per un’epidemia» afferma Rossella Miccio, presidentessa dell’ong fondata da Gino Strada. A Bergamo, la città più colpita, hanno da poco inaugurato un ospedale da campo interamente dedicato a pazienti Covid, dove il team di Emergency si occuperà di terapia intensiva. L’altra parte dello staff invece in collaborazione con il Comune di Milano supporta anziani soli, senzatetto, minori stranieri non accompagnati, richiedenti asilo, con progetti sociali e di monitoraggio. «Il nostro messaggio è che siamo tutti uguali nei diritti e quindi per superare insieme questa crisi dobbiamo prenderci cura dei più vulnerabili». E come nei contesti emergenziali nel mondo, anche in Italia non mancano i momenti di sollievo e speranza. Lo racconta Chiara di MSF: «Un medico di Lodi, tra i primi a essere contagiato, è tornato al lavoro dopo un mese. Non era abituato alla nuova paura: quella di toccarsi. Allora, approfittando della sua temporanea immunità, ha cominciato ad abbracciare colleghi. Una pacca sulla spalla a cui nessuno era più abituato». Insomma, per una volta, il contagio è stato solo di gioia.
· Il Virus Femminista.
Da "ilmessaggero.it" il 3 aprile 2020. Truccatevi, non trascurate il vostro aspetto fisico ma soprattutto evitate di dare fastidio a vostro marito. Le singolari "raccomandazioni" fanno parte di una campagna rivolta alle donne dal governo della Malesia a seguito della quarantena istituita per coronavirus. La Malesia è uno dei paesi più colpiti del Sud-Est asiatico: il lockdown parziale è stato avviato il 18 marzo. In quarantena, parlando di coppie, ci sono anche il re e la regina in seguito al contagio tra i membri del loro staff, sette dei quali sono risultati positivi. E in questo clima il ministero per le Donne, la Famiglia e lo Sviluppo delle comunità ha prodotto una campagna diffusa sui social con l'hashtag #WomenpreventCovid19 che spiega a suon di linee guida e illustrazioni ciò che le donne devono fare e non fare per evitare di rendere la quarantena più pesante ai loro coniugi. Tra i "consigli" suggerimenti del calibro di «non rispondere con sarcasmo» in caso i mariti chiedano aiuto con le faccende ed «evitare di indossare abiti da casa»: meglio vestirsi con più cura e truccarsi come se si dovesse uscire. Le "perle" non sono però piaciute ai social, che sono insorti al grido di disuguaglianza sociale e malcelato sessismo. Tanto che il ministero ha dovuto fare marcia indietro e la campagna è stata di fatto ritirata, malgrado gli screenshot continuino a rimbalzare su Twitter.
Il coronavirus e le donne (di nuovo) fuori dalla Storia. L'emergenza Covid 19 evidenzia, ancora una volta, come in Italia comandano solo gli uomini. Da Palazzo Chigi alle Regioni, dai comitati scientifici alle task force, lo spread tra i generi è impressionante. Emiliano Fittipaldi il 14 aprile 2020 su L'Espresso. L'ultimo maschio arruolato dalla truppa al comando è stato Vittorio Colao, il nuovo capo della task force per la ricostruzione. Un manager bravo, sostengono tutti. L'ha scelto Giuseppe Conte. Poteva preferirgli una donna? Impossibile. Perché in Italia l'emergenza coronavirus – come sui campi di battaglia – pare debba essere combattuta esclusivamente da generali uomini. Anche stavolta la Storia la vogliono fare loro. Possibilmente da soli. Nell'evento epocale che stiamo vivendo non c'è nessuna dama a decidere alcunché. In politica, nei dicasteri, nelle stanze dei bottoni, chi comanda indossa cravatta o grisaglia. Riguardando le immagini già «iconiche», le trasmissioni già «storiche», i discorsi più o meno memorabili da Palazzo Chigi, dal Quirinale o Piazza San Pietro, è chiaro che rischiano di finire negli annali della solo maschi. Il comandante della crisi è l'avvocato Conte, naturalmente. La sua comunicazione, piacca o meno, la dirige Rocco Casalino. I “decreti Covid” che decidono le nostre vite e il nostro futuro li imposta Ermanno De Francisco. Leggi su cui mettono bocca pochi uomini: Roberto Gualtieri, il ministro che ci rappresenta anche sui tavoli economici in Europa, il titolare della Salute Roberto Speranza, quello del Mise Stefano Patuanelli. Oltre a loro, naturalmente, suggeriscono anche Di Maio e Franceschini. E Mattarella insieme al suo staff, fatto da soli uomini. Per un accidente della Cronaca, maschio è lo storico Paziente 1. Maschio pure il primo politico positivo, Nicola Zingaretti. Talk show, conferenze stampa e interviste a raffica raccontano incontrovertibilmente chi gestisce l'emergenza nei territori: in Lombardia la crisi è cosa di Attilio Fontana (che ha ridato i galloni all'esperto Guido Bertolaso) e dell'assessore ormai star tv Giulio Gallera. Scorrendo i nomi dei politici e dei dirigenti sanitari, sono uomini tutti i protagonisti del disastrato “modello lombardo”. Contrapposto a quello virtuoso del Veneto, guidato da Luca Zaia, «il leghista bravo». Che deve le sue fortune al virologo Andrea Crisanti, capo dell'Unità di Microbiologia a Padova, e ai capaci (così dicono) dirigenti sanitari regionali. Tutti maschi, ca va san dire. Ma non è stata scelta neanche una donna tra i capi delle task force scelte dal governo. Sono quelli che dovrebbero risolver problemi: di Colao abbiamo detto, mentre Angelo Borrelli guida la Protezione civile, e Domenico Arcuri è nuovo commissario all'Emergenza. Incredibilmente, tutti (proprio tutti) gli scienziati che suggeriscono contromosse e che si alternano alla conferenza delle 18 appartengono al sesso forte: da Walter Ricciardi a Giovanni Rezza, da Silvio Brusaferro a Ranieri Guerra. Uomini pure i leader dello Spallanzani, del Sacco, del Pascale, del Cotugno, le cui facce ormai familiari verranno ricordate nei documentari. Se le voci inconfondibili di Franco Locatelli e di Massimo Galli fanno ormai parte della narrazione della Tragedia, c'è il rischio concreto che nemmeno un volto femminile finirà nell'immaginario collettivo della Grande Epidemia. A parte, forse, quello di Susanna Di Pietro, l'interprete della lingua dei segni. Nulla di nuovo, si dirà: in Italia lo spread tra generi all'interno della classe dirigente, nel mondo della politica e delle università è fenomeno atavico, e la sovrabbondanza di testosterone nella crisi Covid 19 è solo sintomo di una condizione storica. Ma visto come gli uomini stanno gestendo la catastrofe, e leggendo ogni giorno delle donne che a migliaia combattono il virus in prima linea, forse è il caso di cambiare strategia. E chiamare subito al comando qualche signora competente. Persino capace, chissà, di cambiare la Storia. In meglio.
Dagospia il 22 aprile 2020. Riceviamo e pubblichiamo: Caro Dago, puntuale come il mal di testa, non poteva mancare sul “Corriere della Sera” la lagna editoriale della vicedirettrice sulle donne discriminate anche in occasione del Coronavirus, perché ci sono più virologi maschi che femmine in tv. Vorrei sommessamente ricordare che a negare i Coronabond all’Italia è la donna più potente d’Europa, Angela Merkel, per la quale l’Italia è una mera espressione per le vacanze. La n.1 in Europa è tale Ursula von der Leyen, che si è opposta agli Eurobond e invitato a non prenotare per le vacanze (anche questa dichiarazione è stata utilissima per la ripresa economica italiana). Il banchiere/a più importante d’Europa si chiama Christine Lagarde il cui famoso e molto utile “non siamo qui per ridurre lo spread” le era stato suggerito pure da una sua assistente donna, Isabel Schnabel. Lo stesso atteggiamento della Merkel verso l’Italia l’aveva anche quella che lei stessa scelse come sostituta, Annegret Kramp Karrenbauer…Una invocazione al dr. Urbano Cairo: la prego, la faccia direttrice la vicedirettrice così, forse, smetterà di ammorbare i lettori del “Corriere” (lettrici non ce ne sono) con queste decennali prefiche. Un lettore del “Corriere”
Barbara Stefanelli per corriere.it il 22 aprile 2020. Ci spaventa una vecchia tentazione: quella di chiedere alle donne di fare un passo indietro mentre si tracciano le nuove mappe, si collaudano le macchine, si stabilisce chi guida e chi sta dietro. Come sempre: non è solo una questione di giustizia, che pure dovrebbe bastare. C’è di più: l’equità — nel riconoscimento delle capacità, delle esperienze, della ricchezza nella diversità — rappresenta la migliore delle strategie ricostruttive. Anzi, l’unica che abbia senso. «È stata pubblicata, nella normativa della Sezione Coronavirus del sito del Dipartimento, l’Ordinanza n.663 del 18 aprile 2020 con la quale è stata ridefinita la composizione del Comitato tecnico scientifico costituito da esperti e qualificati rappresentanti degli Enti e delle Amministrazioni dello Stato che supportano il Capo della Protezione Civile nelle attività finalizzate al superamento dell’emergenza epidemiologica da Covid-19». Comincia così l’annuncio dell’ultima integrazione del board istituito il 5 febbraio: integrazione giustamente motivata «nella prospettiva della fase di ripresa graduale delle attività sociali, economiche e produttive». Tutto bene, tempo di ricostruzione, bisogna allargare. Peccato che a seguire siano 20 nomi tutti al maschile: 13 di base più 7 esperti a coadiuvare (qui il testo). Ma è possibile che non ci fosse una donna — o anche dieci, magari — con attitudini e titoli all’altezza? Possibile che l’Italia — dalle commissioni ai comitati fino alle conferenze stampa quotidiane — ci proponga e riproponga una maggioranza schiacciante (se non un en plein) di voci di uomini? Tutto questo avviene mentre due considerazioni, tra tante, si impongono. La prima è la preoccupazione di molte madri lavoratrici di fronte alla riapertura di uffici, fabbriche, negozi non accompagnata da una ripartenza dell’anno scolastico (e non affrontiamo questa asimmetria trasformando lo smart-working in un altro strumento di conciliazione pensato al femminile, diventerebbe una trappola tecnologica).
La seconda è raccolta in tre dati: in Europa due terzi degli operatori sanitari sono donne; l’83% del personale alla cassa è femminile; circa il 90% dell’assistenza domestica è affidato alle donne. In questi mesi di pandemia, dunque, le donne non sono state nelle retrovie. Al contrario. Questa volta non possiamo sbagliare.
Lilli Gruber a Otto e mezzo: "Le donne al potere in questo momento hanno una gestione dell'emergenza più efficace". Libero Quotidiano il 22 aprile 2020. "Le donne al potere hanno una gestione dell'emergenza più efficace, questo è provato". Lilli Gruber, padrona di casa di Otto e mezzo, si lascia andare a uno spassionato commento in diretta, un inno al femminismo politico che, d'altronde, non deve cogliere di sorpresa visto che Lilli la Rossa, sul tema, ci ha scritto anche il suo ultimo libro (che in questi mesi non ha perso occasione, giustamente, di promuovere in ogni sede e ogni momento opportuno). Quello che sorprende, semmai, è che la Gruber faccia riferimento proprio al contesto peggiore, quello dell'Europa e dell'emergenza coronavirus. Le donne al potere, spiega, riescono a "rassicuranre la loro opinione pubblica". Sicura sicura, Lilli? Stava pensando ad Angela Merkel, cancelliera tedesca ferocemente contestata in Patria per l'ottuso no agli eurobond, che mette a rischio la tenuta dell'Unione europea? Oppure alla commissaria Ue Ursula Von der Leyen, talmente disastrosa ed evanescente dall'inizio della crisi da aver dovuto chiedere scusa all'Italia per il mancato sostegno nelle prime settimane di epidemia? O magari alludeva a Christine Lagarde funambolico neo-capo della Bce in grado di scatenare la tempesta dello spread con imrpovvide dichiarazioni sul default degli Stati che non riguarderebbe in alcun modo Francoforte? C'è l'imbarazzo della scelta, o forse solo l'imbarazzo.
Otto e Mezzo, Lilli Gruber e la mascherina anti-virus "femminista". Libero Quotidiano il 2 aprile 2020. Toh, Lilli Gruber di "femminista" ha anche la mascherina. Siamo a Otto e Mezzo, la puntata è quella andata in onda su La7 mercoledì 1 aprile. E nelle battute finali della puntata, dedicata al coronavirus e al prolungarsi della chiusura totale fino a Pasquetta, la conduttrice sfodera una mascherina rosa. "Probabilmente dovremmo portarla già tutti adesso", ha spiegato la Gruber. Per poi aggiungere: "Possono anche essere azzurre". Lei ovviamente opta per il rosa, il nome del girl-power cavalcato alla grandissima anche nella sua ultima fatica letteraria, Basta! Il potere delle donne contro la politica del testosterone. Lilli Gruber fedele alla linea, come sempre.
Virus, la priorità della Boldrini: "Non c'è femminile sul modulo". La deputata dem si lamenta in radio che le autocertificazioni per il coronavirus sono declinate solamente al maschile: "Le donne si sentiranno escluse". Michele Di Lollo, Mercoledì 01/04/2020 su Il Giornale. Laura Boldrini fa polemica a modo suo. È una donna a ruota libera, quella andata in onda su Radio1 oggi pomeriggio. Nel pieno dell’emergenza da coronavirus, la parlamentare dem, si lascia andare a uno sfogo che lascia letteralmente esterrefatti. Invece di pensare alle decine di migliaia di vittime, alle mascherine che non arrivano, a un’economia che arranca e a quel personale medico lasciato solo in prima linea con le armi spuntate, la "nostra" Laura nazionale pensa ai nomi al femminile declinati sulle autocertificazioni. O meglio, al fatto che il ministero dell’Interno, quando ha scritto l’ultima versione del documento, il quinto, si sia dimenticato di inserire una lettera "a" vicino al nome del dichiarante. "In questi giorni è stata proposta una autocertificazione inclusiva che non sia declinata solo al maschile come quella attualmente vigente. Lei cosa ne pensa?", chiedono i conduttori del programma radiofonico "Un giorno da pecora". La riposta è netta. Boldrini non aspettava di meglio. Replica così: "Ancora non scatta questo automatismo, c’è il genere maschile e quello femminile, ma io sono ottimista: ci si arriverà. Non costa nulla inserire una cosa come o/a, così da non far sentire nessuno escluso. Ma si fa ancora molta fatica a recepire questo semplice concetto". Insomma, la Boldrini, con una "a" in bella vista nell’articolo determinativo, maschile, singolare che precede il sostantivo, perde una clamorosa occasione per rimanere in silenzio. Proprio lei, paladina dei diritti civili, che nel caos epidemiologico potrebbe contribuire meglio alla causa, piuttosto che sparlare su quel poco fatto dal governo di cui, tra l’altro, il suo partito fa parte. Poi l’intervista va avanti. "La mia proposta di spostare il Parlamento all’Eur durante questa emergenza coronavirus?" "Hanno detto che sarebbe troppo complicato, ma lo è ogni situazione. È complicato anche il voto a distanza e quello a ranghi ridotti. Non c’è una soluzione che non presenti dei problemi". La stessa Boldrini solo poche ore fa parlava dei buoni risultati di questo strampalato esecutivo. "Con il voto di ieri la Camera ha approvato il decreto che riduce le tasse sugli stipendi a 16 milioni di lavoratori e lavoratrici. Dal mese di luglio riceveranno più soldi in busta paga. Un provvedimento, il taglio del cuneo fiscale, di cui beneficeranno pure tante persone che in queste settimane difficili continuano a lavorare. L’avevamo deciso nella legge di Bilancio. Anche nei momenti di crisi le promesse vanno mantenute", dichiarava la deputata Pd. E sempre nelle scorse ore, la paladina dei diritti delle donne, tuonava così contro Victor Orban e il suo "colpo di Stato". Il premier ungherese, sappiamo che non se ne curerà, si era preso una bella strigliata. "Orban col pretesto dell’emergenza sanitaria assume i pieni poteri e inizia a trasformare l’Ungheria in una dittatura. Misure di enorme gravità su cui l’Unione europea deve subito prendere seri provvedimenti. In questo momento si dovrebbe combattere contro il coronavirus non contro la democrazia". Già. Proprio lei che oggi tuona il suo ennesimo sermone femminista. Qualcosa che in nome della guerra in corso poteva evitare. Qualcosa che inutilmente divide e rattrista, almeno i più. La voce al femminile sulle autocertificazioni? Certo che sì. Magari quando rientrerà l’emergenza. Magari quando non avremo nulla di meglio da fare che sperare in una rivolta di genere. Le donne capiranno, soprattutto quei medici (o mediche?) e quelle infermiere al fronte, che hanno almeno un motivo in più per ignorare una benedetta vocale su un pezzo di carta.
· Il Virus Comunista.
Coronavirus, la solita sinistra: vuole assumere medici immigrati, la proposta di Erasmo Palazzotto di Leu. Libero Quotidiano il 13 novembre 2020. In Italia c'è un problema di carenza di personale sanitario. Se ne è accorta anche la sinistra, che adesso vuole risolvere il problema. Come? A modo suo, naturalmente. Cioè rivolgendosi agli immigrati. «Il Covid-19», scrive in una nota Erasmo Palazzotto di LeU, «ha messo in luce un'evidenza: mancano medici e mancano infermieri. Circa 9000 nelle sole terapie intensive. Non possiamo non pensare ai drammatici errori del passato: dai sanguinosi tagli alla sanità, alla religione del numero chiuso nelle università; dalla chiusura dei presidi territoriali, fino alla sbandierata "quota 100" che ha pensionato 7.225 dipendenti del Sistema Sanitario Nazionale nel 2019. Senza rimpiazzarli». Dove vuole arrivare Palazzotto lo si capisce subito dopo: «Intanto in Italia circa 77.500 persone aventi cittadinanza straniera hanno qualifiche sanitarie: tra cui 22mila medici, 38mila infermieri. Secondo Asmi (Associazione medici stranieri in Italia) solo il 10% riesce ad accedere a posti di lavoro nella sanità pubblica, tutti gli altri lavorano in strutture private. Perché? Perché gli enti li escludono dai bandi, contravvenendo alle disposizioni del Decreto "Cura Italia" che determina il possesso del permesso di soggiorno come requisito sufficiente. Avviene in Lombardia, Piemonte, Lazio, Basilicata, Molise, Sicilia, Calabria. Nei mesi del lockdown abbiamo accolto come eroi medici albanesi e cubani arrivati in Italia per aiutarci. È ora di accogliere nel Sistema Sanitario Nazionale medici e infermieri che vivono in Italia da anni».
La Ue è preoccupata dalle conseguenze del Covid: “Rom e Lgbt sono stati molto penalizzati”. Penelope Corrado martedì 27 Ottobre 2020 su Il Secolo d'Italia. Le categorie particolarmente penalizzate dal Covid-19? “Rom e Lgbt”. È quanto stabilito oggi, a Strasburgo, al parlamento europeo dalla commissione per le Libertà civili. La notizia è stata data dal eurodeputato di Fratelli d’Italia Nicola Procaccini. L’esponente sovranista aveva tentato invano di dare priorità a piccoli imprenditori, liberi professionisti e artigiani.
La denuncia di Nicola Procaccini. «La Commissione Libe – scrive Procaccini in una nota – ha approvato oggi una risoluzione sull’Impatto delle misure restrittive Covid-19. In essa si propone di tutelare rom ed LGBT. Identificate quali categorie particolarmente colpite dagli effetti della pandemia, non si capisce perché. Mentre ha respinto il mio emendamento alla risoluzione con il quale si impegnavano gli Stati a compensare velocemente ed adeguatamente le perdite subite dalle attività economiche più colpite dalle misure restrittive”. È quanto afferma l’europarlamentare del gruppo ECR – Fratelli d’Italia, Nicola Procaccini, componente della Commissione LIBE (Libertà civili, giustizia e affari interni).
Rom, lgbt prima di partite Iva e artigiani. «È evidente che il Parlamento europeo continua ad affrontare l’emergenza con i paraocchi della ideologia. Non tiene conto, infatti, del reale impatto dell’epidemia su cittadini e imprese. La risoluzione, inoltre, ignorando ogni misura di sicurezza, esprime rammarico per la chiusura dei porti del Mediterraneo agli sbarchi di immigrati, ma non considera invece che anche la difesa delle aziende e del sistema economico, e la capacità dei cittadini e degli Stati di autodeterminarsi, sono diritti fondamentali. Né la Ue né tantomeno il governo italiano sembrano tenere in alcuna considerazione questi aspetti, continuando ad affrontare l’emergenza in maniera ideologica, come se il Covid-19 fosse un avversario politico».
Esultano per legge sui trans mentre blindano l'Italia. Passa la legge Zan, l'omofobia sarà reato penale. L'opposizione: "Così si indottrinano i bambini". Felice Manti, Giovedì 05/11/2020 su Il Giornale. Mentre il Paese muore di lockdown la sinistra esulta per l'ok della Camera al ddl Zan, il testo che introduce il reato penale di «omotransfobia». Tra i 265 favorevoli alla Camera (193 contrari e una astensione) anche diversi esponenti del centrodestra. Una legge pericolosa, dicono Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia, soprattutto perché spalanca le porte alle teorie gender nelle scuole (come già succede a Torino grazie ai grillini). Secondo le opposizioni - che prima del via libera hanno protestato in aula con fazzoletti a mo' di bavagli e grida libertà, libertà, poi richiamati dal presidente Roberto Fico - il provvedimento rischia di portare anche a una pericolosa deriva liberticida rispetto a temi etici come identità sessuale, utero in affitto e identità sessuale. Chi li critica rischia l'istigazione finalizzata alla discriminazione. Il testo prevede anche la Giornata nazionale contro l'omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia, fissata per il 17 maggio per «promuovere la cultura del rispetto e dell'inclusione, nonché di contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall'orientamento sessuale e dall'identità di genere». «L'Italia vive una grande emergenza ma le forze di maggioranza se ne fregano», è il commento del senatore Maurizio Gasparri, «e pensano soltanto a stravolgere la realtà. È una legge liberticida che vuole negare la famiglia naturale, fondata sull'incontro tra uomo e donna e vuole imporre letture ideologiche e fuorvianti della realtà fin dalle scuole elementari». «Mentre la scuola è nel caos, mancano i professori e i docenti di sostegno, gli spazi sono insufficienti, la didattica a distanza è un disastro, cosa fa la maggioranza nel Palazzo? Parla di temi surreali e oggi con il ddl Zan istituisce addirittura la Giornata dell'indottrinamento gender, anche alle elementari. La furia ideologica del Pd e del M5S non ha limiti», twitta furibonda la leader Fdi Giorgia Meloni. Esulta il segretario Pd Nicola Zingaretti («Quando c'è da fermare violenza e odio il Pd combatte, sempre») e tutti i parlamentari vicini al mondo omosessuale, dalla dem Monica Cirinnà («Primo passo per un Paese più inclusivo») allo stesso relatore Alessandro Zan («Colmato un ritardo che si protrae da decenni»). A festeggiare ci sono tutte le associazioni Lgbt e personaggi del mondo dello spettacolo come Alessandro Cecchi Paone («Grande prova di civiltà») e l'ex parlamentare di Rifondazione Vladimir Luxuria: «C'è chi ha tentato di strumentalizzare la pandemia sostenendo che questa legge fosse liberticida e che non era il tempo giusto per l'approvazione. Ma è una legge che in realtà aspettiamo da trent'anni». Anche l'esecutivo plaude all'approvazione: «La politica non è gestione dell'esistente ma costante opera di miglioramento delle condizioni di vita e garanzia dei diritti fondamentali. La legge Zan che tutela la dignità contro l'odio è un passo verso questo traguardo», scrive su Twitter il ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano. Di tutt'altro avviso il presidente di Pro Vita e Famiglia onlus, Antonio Brandi, che parla di «mostruosità giuridica, etica e psicologica» e di «una follia incostituzionale», puntando il dito sul rischio di indottrinamento dei bambini: «Mentre la crisi morde e i lavoratori muoiono di fame in prima elementare ci saranno lezioni di omosessualità, bisessualità e transgenderismo». Lezioni che saranno tenute dalle associazioni Lgbt «che riceveranno 4 milioni di euro per indottrinare i nostri figli. È vergognoso», ha aggiunto il numero due di Pro Vita e famiglia Jacopo Coghe.
Paese a picco? Si fa la legge sui trans. Il decreto sull'omofobia va avanti alla Camera: sì ai primi 5 articoli. Pier Francesco Borgia, Giovedì 29/10/2020 su Il Giornale. Nel pieno dell'emergenza Covid il Parlamento riesce persino a inserire nel nostro ordinamento giudiziario sanzioni per gli atti violenti e discriminatori fondati sull'orientamento sessuale. Insomma il cosiddetto disegno di legge Zan (dal deputato piddino Alessandro Zan relatore del testo di legge) oggi dovrebbe vedere il traguardo dell'approvazione definitiva almeno a Montecitorio. Ieri sono stati approvati i primi cinque articoli, a partire dal primo che costituisce il cuore del provvedimento. In favore 249 deputati della maggioranza, contrari 181 del centrodestra. Con un emendamento della maggioranza anche i disabili vengono tutelati dagli atti di discriminazione e violenza. L'articolo interviene sulla legge Mancino che punisce con il carcere i reati di violenza e istigazione alla violenza per motivi razziali. Il testo aggiunge tra i reati punibili con la detenzione gli atti di violenza o incitamento alla violenza e alla discriminazione «fondati sul sesso, sul genere, sull'orientamento sessuale, sull'identità di genere o sulla disabilità». L'articolo 2 del provvedimento modifica invece l'articolo 604 ter del Codice penale, relativo alle circostanze aggravanti, aggiungendo anche l'identità di genere e la disabilità tra i reati la cui pena è aumentata fino alla metà. L'aula di Montecitorio si è preoccupata anche di votare il terzo articolo emendato grazie a una correzione proposta sempre dalla maggioranza che cerca di distinguere l'aggressione verbale omofoba dalla libertà di pensiero ed espressione. Con l'ok di un'assemblea parlamentare falcidiata dal Covid ora il nuovo testo dell'articolo 3 recita: «Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». L'articolo 4 dispone che la sospensione condizionale della pena può essere subordinata alla prestazione di un'attività non retribuita a favore della collettività. Oggi verrà concluso l'iter. Estremamente negativo il giudizio della Lega sul provvedimento. Non per il merito del ddl ma per il momento in cui il Parlamento decide di esaminarlo. «Vergognoso che pur di far passare il Ddl Zan, la maggioranza si presti a discuterne in una Camera decimata tra deputati positivi al Covid o in autoisolamento - tuona la eurodeputata Simona Baldassarre - Questo ddl non è altro che una mossa della sinistra per incatenare gli italiani al pensiero unico, introdurre il gender nelle scuole». La replica arriva via Twitter dall'ex presidente della Camera Laura Boldrini. «Ora alimentare lo scontro fra persone e fra diritti è insopportabile. Vero Salvini e Meloni?»
Fausto Carioti per “Libero quotidiano” il 29 ottobre 2020. A modo suo, la Camera dei deputati ha fatto qualcosa di storico. La maggioranza giallorossa ha stabilito ufficialmente, per la prima volta, cosa sono il sesso e i suoi derivati. Attenzione alle definizioni, perché chi sgarra discrimina e chi discrimina può essere intercettato dalle procure e finire in carcere: sino a tre anni, se si limita a diffondere certe idee; sino a quattro, se il comportamento è ritenuto un incitamento alla violenza; sino a sei, qualora il colpevole sia giudicato promotore di un gruppo dedito alla discriminazione del prossimo. La prima definizione è facile: «Per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico». E dunque non si può discriminare un individuo in base al sesso cui appartiene. Un tempo la questione si sarebbe chiusa qui, invece è solo l' inizio. Perché il sesso è diverso dal «genere». E il genere è questa roba qua: «Qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso». Non ci avete capito nulla? Vi chiedete cosa c' entri una definizione giuridica, che dovrebbe essere chiara e oggettiva, con un concetto tanto fumoso? Aspettate, c' è di peggio. Perché il sesso e il genere sessuale, hanno appena stabilito i nostri legislatori, sono diversi dalla «identità di genere», che sta a indicare «l' identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall' aver concluso un percorso di transizione». Da dove parta questa transizione, e verso dove vada, non ce lo dicono: pare di capire da un sesso all' altro, oppure da un genere a uno diverso. Forse non è nemmeno importante, giacché l' unica cosa che conta, alla fine, è l' idea che uno ha di sé: anche chi ha organi maschili, e dunque non ha concluso la propria «transizione», o magari non l' ha nemmeno iniziata, ha diritto a essere trattato come una donna, se si «identifica» come tale. Ecco: è su queste sabbie mobili che poggia la legge Zan-Boldrini-Scalfarotto per «prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi legati al sesso, al genere, all' orientamento sessuale e all' identità di genere». Le definizioni le ha scritte Lucia Annibali, capogruppo dei renziani a Montecitorio, e inserite in un emendamento che è stato approvato dalla maggioranza, alla quale si è aggiunta la deputata forzista Giusi Bartolozzi. L' intervento è stato necessario perché la commissione Affari Costituzionali e il Comitato per la legislazione avevano chiesto di specificare il significato di tutti quei termini, «al fine di evitare incertezze in sede applicativa». Col risultato che si è visto. Per il giudice di Cassazione Alfredo Mantovano e gli altri giuristi del centro studi Livatino siamo dinanzi a un obbrobrio legislativo: «Meritano di entrare nella storia del diritto i deputati che hanno proposto e votato una norma nella quale l' applicazione di sanzioni penali fino a sei anni di reclusione, con la possibile attivazione durante le indagini di intercettazioni e misure cautelari, dipende dall' interpretazione che pm e giudici daranno a espressioni come "aspettative sociali connesse al sesso" o "identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere"». Norme scritte così aprono infatti il terreno alla incertezza del diritto e all' arbitrio dei magistrati. Può essere indagato e condannato chi tratta come un uomo, ad esempio vietandogli lo spogliatoio o il bagno delle ragazze, un individuo di sesso maschile che sostiene di avere una «identità di genere» femminile? Basta dichiarare di percepire se stesso come una donna per avere il diritto di essere trattato come tale, ad esempio sfruttando le quote rosa o partecipando alle gare sportive femminili? Per come è fatta la legge, pare di sì. Oppure sarà il caos a comandare, con pronunciamenti diversi tra un tribunale e l' altro, alla faccia della legge uguale per tutti. Lo capiremo appena il provvedimento di Zan e compagni sarà stato approvato. Ieri alla Camera sono stati votati i primi cinque articoli su un totale di dieci, oggi si prosegue e poi toccherà al Senato. Il parlamento sarà pure decimato dal Covid, ma per le leggi care alla maggioranza si bruciano le tappe.
Il Bianco e il Nero, Adinolfi: "I giallorossi pensano solo alla lobby gay". Ceccanti: "È tempo di un dl sull'omofobia". Mentre il governo è alle prese con la dura lotta contro la seconda ondata di coronavirus, il Parlamento sta discutendo il ddl Zan sull'omotransfobia. Qui l'opinione del senatore del Pd, Stefano Ceccanti e di Mario Adinolfi, leader del Popolo della Famiglia. Francesco Curridori e Domenico Ferrara, Giovedì 29/10/2020 su Il Giornale. Mentre il governo è alle prese con la dura lotta contro la seconda ondata di coronavirus, il Parlamento sta discutendo il ddl Zan sull'omotransfobia. Sul tema, per la rubrica il Bianco e il Nero abbiamo chiesto l'opinione del senatore del Pd, Stefano Ceccanti e di Mario Adinolfi, leader del Popolo della Famiglia.
Le sembra questo il momento più opportuno per discutere un Ddl sull'omofobia?
Adinolfi: “Con una pandemia in atto e mezzo Paese in ginocchio, con le rivolte per le strade e i contagi moltiplicati, con le strutture sanitarie in affanno e le famiglie sempre più in crisi a me pare davvero un oltraggio che la Camera passi la settimana a discutere di un ddl scritto per porre rimedio a un’emergenza che non c’è. Oltre che inopportuno e ingiusto, questo modo di costruire scale di priorità spiega anche i tic antidemocratici tipici di questa maggioranza, che tende a immaginare come necessario per il Paese solo ciò che è necessario per sé e per le proprie lobby di riferimento”.
Ceccanti: “Capisco che per chi è contrario a un testo non c'è mai un momento per discuterlo. Per chi è favorevole, invece, è ovvio che sia sempre il tempo, anche perché il Parlamento fa molte cose contemporaneamente. Se comunque i gruppi di opposizione pensano che il tempo sia troppo basta che riducano i loro 700 emendamenti, visto che la maggioranza ne ha solo 7”.
Lo reputa un provvedimento giusto o sbagliato? E perché?
Adinolfi: “Si tratta di un provvedimento sbagliatissimo. Per la prima volta dal 1925 viene introdotta una legge ricalcata sul modello delle leggi fascistissime che sotto il regime mussoliniano tesero a reprimere le opinioni sgradite alla cosca dominante, incarcerando i dissenzienti. Lo stesso proponente parla di carcerabilità per i latori di “opinioni istigatrici all’odio omotransfobico”. Rivolgo a Alessandro Zan una semplice domanda: dopo l’approvazione della sua legge chi deciderà se una mia opinione è o meno “istigatrice all’odio”? Se io affermo che una coppia gay ha compiuto un abominio criminale acquistando un bambino tramite la pratica dell’utero in affitto, sto esercitando il mio diritto alla libera espressione delle opinioni garantito dalla Costituzione o sto istigando all’odio contro quella coppia gay? Come è chiaro lo strumento liberticida sarà posto nelle mani dei magistrati. E sappiamo bene l’uso che settori della magistratura fanno di leggi chiarissime, figuriamoci l’uso che faranno di norme come quelle del ddl Zan, coniate per manganellare gli avversari politici della lobby Lgbt cui il proponente appartiene”.
Ceccanti: “Il provvedimento è giusto perché soprattutto i social media negli ultimi anni legittimano con una grave forza d'urto comportamenti discriminatori e violenti, c'è un'emergenza nuova che va affrontata sia sul lato preventivo-educativo sia su quello repressivo”.
Pensa che le ultime correzioni apportate proteggano davvero la libertà di pensiero?
Adinolfi: “Gli ultimi emendamenti inseriti chiariscono in tutta evidenza l’intenzione liberticida dell’impianto del ddl. Se si arriva a ribadire l’ovvietà della libera espressione delle opinioni, vuol dire che sanno bene che l’utilizzo del ddl immaginato ab origine è la repressione dell’opinione dissenziente. Excusatio non petita, accusatio manifesta”.
Ceccanti: “Sì, perché come richiesto soprattutto dalla Commissione Affari Costituzionali si è introdotta la nozione di "concreto pericolo" di atti discriminatori e violenti che mette chiaramente al riparo qualsiasi opinione che non ricada in tale grave fattispecie. Il giudice Oliver Wendell Holmes, nella sentenza Schenck versus Stati Uniti nel lontano 1919 aveva giustamente scritto che la protezione più rigorosa della libertà di parola non proteggerebbe un uomo che gridasse falsamente al fuoco in un teatro causando un panico. È stato un importante contributo maturato anche nel dialogo con alcuni parlamentari di Forza Italia”.
Nel Dl Zan si è aggiunta anche la difesa dei disabili. Perché?
Adinolfi: “Il Popolo della Famiglia ha molti dirigenti disabili tra le proprie fila, si sono immediatamente sentiti usati. L’ennesimo tentativo di copertura delle reali intenzioni di una legge nata per gli interessi di una precisa lobby, che ora prova a mascherarli anche con le strumentalizzazioni più indegne, perché abbiamo scoperto il loro gioco”.
Ceccanti: “Perché nella normativa vigente anche le discriminazioni verso i portatori di handicap non erano sin qui coperte da una specifica normativa”.
Da cattolico cosa pensa delle recenti parole del Papa sulle leggi sulle unioni civili?
Adinolfi: “Il Papa è stato vittima di una orrenda manipolazione figlia di segmenti della citata lobby esterni ma anche interni al Vaticano. Mi faccia però chiedere ai cattolici tanto attenti alle parole del Papa di essere anche esigenti con i comportamenti dei loro rappresentanti in Parlamento. Sulle pregiudiziali di costituzionalità del ddl Zan 72 deputati di centrodestra tra cui Giorgia Meloni e Lorenzo Fontana non erano presenti al voto. L’incostituzionalità della legge non è passata per appena 53 voti. Fossero stati tutti presenti il ddl Zan sarebbe morto in aula a Montecitorio prima di nascere. Questa è una battaglia. Il Popolo della Famiglia chiede a tutti di stare ai posti di combattimento”.
Ceccanti: “Penso che siano parole importanti soprattutto nei Paesi del cosiddetto terzo mondo e nell'Est europeo dove esistono ancora resistenze grave a difendere i diritti di persone omosessuali che passano attraverso un riconoscimento dei loro legami. Nei contesti occidentali, Italia compresa, il riconoscimento delle unioni è ormai un dato condiviso e irreversibile, sia tra le principali forze democratiche di destra e di sinistra, sia tra i cattolici. Non mi risulta in Italia nessuna iniziativa né parlamentare nè referendaria per rimettere in discussione la legge del 2016”.
Odio rosso. Altro che unità nazionale, Bersani delira in tv: "Con la destra al potere non sarebbero bastati i cimiteri". Alessandro Sallusti, Venerdì 05/06/2020 su Il Giornale. Con il centrodestra al governo non sarebbero bastati i cimiteri», ha detto l'altra sera in tv ospite dalla Berlinguer Pier Luigi Bersani, ex segretario del Pd e oggi leader di Leu, fallimentare partitino di sinistra al governo per grazia ricevuta. Alla faccia della concordia nazionale invocata da Mattarella e auspicata dalla sinistra: comunisti si nasce e comunisti si resta, per quanto lo si provi a camuffare per vergogna della propria storia. Non so se in vino veritas, ma Bersani ha gettato la maschera del moderato di buon senso che ama indossare nelle sue apparizioni televisive e lo ha detto con chiarezza: per lui chi non è di sinistra è un assassino, quantomeno un incapace. Si può trattare, collaborare o mediare con gente così? E dire che noi - assassini quantomeno di riflesso - la volta che Pier Luigi Bersani allora potente leader e duro avversario di Silvio Berlusconi ebbe un serio problema di salute tanto da essere ricoverato in rianimazione, titolammo a tutta pagina, con lo stupore dei nostri lettori, «Forza Bersani», che non è esattamente uno slogan criminale. Non sappiamo se il medico che gli salvò la vita fosse di sinistra o di destra, sappiamo che i medici si dividono in bravi e non bravi - come i politici e i giornalisti in onesti e disonesti - e che solo da queste percentuali dipende l'affollamento dei cimiteri e la verità. E poi, egregio onorevole Bersani, è noto che i cimiteri del mondo sono zeppi di vittime dovute alla ferocia e alle incapacità dei regimi di sinistra, che in quanto a numeri (triste classifica) superano di gran lunga le orribili stragi compiute da analoghi boia di destra. Comunque grazie onorevole, grazie di averci dimostrato con poche e chiare parole quanto sia falsa e strumentale la richiesta di collaborazione che la sinistra in queste ore sta rivolgendo al centrodestra, che nei suoi anni di governo - detto per inciso - non ha mai ucciso nessuno, né riempito i cimiteri per gravi incapacità. Insultare i governatori di centrodestra del Nord che hanno combattuto (e vinto, nonostante l'assenza dello Stato) un'eroica guerra, mettere in dubbio che fuori dalla sinistra non ci sia una classe dirigente capace, sono sintomi di becera faziosità. Con gente così è impossibile qualsiasi dialogo, se ne stiano con i grillini che è proprio vero il detto: Dio li fa e poi li accoppia.
Antonio Socci, la replica a Pier Luigi Bersani: "Anche i morti di coronavirus sono vittime del comunismo". Libero Quotidiano il 07 giugno 2020. Venendo da una storia comunista, Pier Luigi Bersani, ex segretario del Pd, ha sempre la propensione alla demonizzazione dell'avversario tipica della casa. Lo si è visto nei giorni scorsi, quando, in un programma tv, si è lanciato a testa bassa contro il centrodestra: «Il messaggio che in Parlamento e fuori sta dando il centrodestra è una coltellata al Paese Questa gente qua mi viene il dubbio che se avessero governato loro non sarebbero bastati i cimiteri». È chiaro che non è facile difendere l'operato del governo Conte, ma cercare di farlo rovesciando la frittata così è davvero un modo sgangherato di far politica. Oltretutto dopo che il presidente Mattarella aveva invitato tutti all'unità morale e alla collaborazione. È la vecchia demonizzazione dell'avversario. A cui però Bersani aggiunge una sua personale tendenza all'autogol. Il primo dei quali è proprio l'evocazione di chi riempie i cimiteri.
LA LISTA SI ALLUNGA. A riempire veramente i cimiteri infatti è stata la Cina comunista, da dove è dilagata nel mondo la pandemia. Non a caso Trump chiama il Covid-19 "il virus di Wuhan". Bersani dovrebbe sapere che a Wuhan non comandano né Salvini, né la Meloni, né Tajani: comanda il Partito comunista cinese. Bisognerebbe chiedersi dunque se i 33mila morti italiani e i quasi 400mila morti complessivi nel mondo, a causa del Covid, non si aggiungano alla lunghissima lista delle vittime del comunismo, che si contano a milioni. Proprio questo ha affermato a chiare lettere, giorni fa, il cardinale Charles Bo, arcivescovo di Yangon, nel Myanmar. Già il titolo della sua dichiarazione è eloquente: «Il regime cinese e la sua colpevolezza morale sul contagio globale». Il prelato ha ricordato la ricerca dell'Università di Southampton, in Gran Bretagna, secondo la quale, se la Cina fosse stata corretta, cioè se - invece di imbavagliare e reprimere chi aveva scoperto l'epidemia - avesse agito tre settimane prima rispetto al 23 gennaio, il numero di casi totali di Covid 19 si sarebbe potuto ridurre del 95 per cento. E anche agendo una settimana prima, la pandemia sarebbe stata ridotta del 66 per cento. Anche la recente inchiesta dell'Associated Press sui rapporti intercorsi fra regime cinese e Organizzazione mondiale della sanità, nelle prime settimane dell'epidemia, conferma i problemi. A causa di questi ritardi del regime, che per giorni scelse il negazionismo e addirittura organizzò manifestazioni di massa a Wuhan, si è «scatenato un contagio globale che ha ucciso migliaia di persone», ha affermato il porporato. Dunque, ha proseguito, per «il danno arrecato a tante vite umane nel mondo intero c'è un governo che ha la responsabilità primaria ed è il regime del Partito comunista cinese di Pechino». Ovviamente «non il popolo cinese. I cinesi sono stati le prime vittime di questo virus e sono state a lungo le principali vittime del loro regime repressivo. Ma sono la repressione e le bugie del PCC a essere responsabili».
GESTIONE DISUMANA. Il cardinale citava coloro che avevano capito per tempo e sono stati messi a tacere, dal dottor Li Wenliang dell'ospedale centrale di Wuhan a due giovani giornalisti della città. E ricordava i comportamenti del regime «dopo che la verità era diventata di dominio pubblico» («il Centro americano per il controllo e la prevenzione delle malattie è stato ignorato da Pechino per oltre un mese»). Di fatto «bugie e propaganda hanno messo in pericolo milioni di vite in tutto il mondo». E ciò è accaduto, afferma il cardinale, perché in Cina sono abituali «la repressione della libertà di espressione» e la violazione dei diritti umani. La conclusione del cardinale Bo è durissima: «Con la sua gestione disumana e irresponsabile del coronavirus, il PCC ha dimostrato ciò che molti pensavano in precedenza: che è una minaccia per il mondo questo regime è responsabile, attraverso la sua negligenza e repressione, della pandemia che oggi dilaga nelle nostre strade». Che ne pensa Bersani? Non sarebbe il caso di parlare di questo? A dire il vero il suo compagno di partito Massimo D'Alema, nel libro che ha appena pubblicato, "Grande è la confusione sotto il cielo", arriva addirittura a elogiare la Cina e perfino per come ha gestito il dramma del coronavirus («ha saputo fronteggiare questa prova in modo più efficace rispetto a noi», in quanto «ha fatto la differenza un grado minore di individualismo, una maggior coesione sociale e l'esistenza di reti comunitarie»). In una recente conferenza poi D'Alema si è addirittura scagliato contro quello che ha chiamato «il partito anti-cinese» che - a suo dire - «è già all'opera anche in Europa in un clima di nuova guerra fredda». Quindi guai ad attaccare la Cina. Nelle prossime settimane però potrebbe perfino aggravarsi la responsabilità del regime di Pechino, visto quello che un personaggio di rilievo come sir Richard Dearlove, ex capo dei servizi segreti inglesi, ha dichiarato al "Telegraph": citando una ricerca di prossima pubblicazione, Dearlove ha spiegato che il virus sarebbe stato creato in laboratorio e ne sarebbe uscito per un incidente dando il via alla pandemia. Sarà interessante sentire cosa diranno Bersani e D'Alema. Nel frattempo va detto che un altro autogol è stato fatto dallo stesso Bersani quando ha cercato di mettere una toppa alla sua incredibile dichiarazione. Ha infatti spiegato di aver usato «un'iperbole» e ha aggiunto che ce l'aveva con Salvini che, alla manifestazione del 2 giugno, non avrebbe tenuto sempre la mascherina e non avrebbe osservato il distanziamento. Sembra un altro autogol perché proprio un esponente di Leu, il suo partito, occupa quel ministero della Salute che - come informazione sanitaria - a febbraio spiegava che «non è necessario indossare la mascherina per la popolazione generale in assenza di sintomi di malattie respiratorie». È lo stesso ministero che mandava in onda il famoso spot in cui si affermava che «non è affatto facile il contagio». Con tutto questo Bersani punta il dito sugli altri.
Vittorio Feltri per ''Libero Quotidiano'' il 6 giugno 2020. Pier Luigi Bersani, esponente del Pd, non è certo uno sciocco, ma ciò non gli impedisce talvolta di pronunciare sciocchezze, che dalla sua bocca escono bene, perfino spiritose. Note e divertenti sono alcune sue battute dall' antico sapore rurale. Ne rammento una esemplificativa: «Non siamo mica qui a pettinare le bambole». Che poi significa: non perdiamo tempo a fare cose inutili. L' uomo ha dimostrato in passato di essere un politico avveduto, benché di sinistra. Quando fece il ministro si distinse per aver approvato vari provvedimenti d' impronta liberale, lui che in fondo, e anche in cima, era ed è rimasto un comunista, nonostante sia intelligente. Al di là di tutto questo, che comunque andava ricordato, l' altro giorno il politico piacentino (nato a Bettola, un nome un destino) ha fatto la pipì fuori dal pitale. Riferendosi alla dolorosa vicenda del virus, se ne è venuto fuori con una boutade scentrata. Eccola: «Con la destra al governo non sarebbero bastati i cimiteri». Come se i morti di Covid, in ogni caso assai numerosi, fossero una specialità della Lega e partiti affini. Bersani ha commesso un errore grave sul piano statistico. In effetti il record dei decessi è detenuto da Milano, una metropoli ad alta densità abitativa e al centro dei traffici commerciali provenienti dal nord Europa e diretti in gran parte al sud del continente. Ma Pier Luigi si è dimenticato di dichiarare, per distrazione colpevole, che il sindaco del capoluogo lombardo è un signore di sinistra, Beppe Sala, che capeggia una giunta coerente con i programmi progressisti. Ne deriva che il principe dei becchini non è un nordista, Matteo Salvini, bensì un compagno. Non è finita. Altra cazzata di Bersani. Il quale è scivolato rovinosamente scordandosi che Bergamo, dove le persone crepavano come mosche, ha pure un primo cittadino, peraltro bravo (e aggiungo, mio amico), eletto con i voti della coalizione di sinistra, mi riferisco a Giorgio Gori, già stretto collaboratore di Matteo Renzi. Specifico che anche Brescia, altra città decimata dalla devastante infezione, è di sinistra. Da ciò si evince che il primato dei defunti non va ascritto alla parte politica avversaria dell' ex ministro emiliano, semmai alla sua. Eppure io sono più generoso di Pier Luigi e sono indotto a credere che la catasta di salme orobiche e bresciane, portate via dalla loro terra per essere cremate altrove, siano state costrette a emigrare per cause non di tipo ideologico. Purtroppo i cimiteri locali erano talmente pieni zeppi di "ospiti" da rendere necessaria la trasferta degli ultimi pervenuti. I camion militari carichi di trapassati che partivano da Bergamo e da Brescia per meritare l' eterno riposo dipendevano - si fa per dire - da sindaci rossi. Se proprio occorre individuare dei responsabili del superaffollamento dei campi santi non bisogna quindi svoltare a destra, piuttosto a sinistra. D' altronde i comunisti, ora diventati ex tali, hanno una fulgida tradizione in campo mortuario. Indro Montanelli sulla propria scrivania al Giornale teneva un bellissimo bronzo di Stalin, e allorché gli chiesi come mai il feroce dittatore sovietico fosse sul suo tavolo di lavoro, rispose: «Lo ammiro poiché nessuno quanto lui ha ucciso tanti comunisti». Cosa vera. Pertanto Bersani non attribuisca ad altri le stragi di cui i suoi compagni sono maestri eccelsi. Gli assassini si annoverano dappertutto, in qualsiasi gruppo politico. Tuttavia, voi di sinistra, nel settore siete campioni del mondo.
Il patriottismo dei mascalzoni. Marcello Veneziani su La Verità 4 giugno 2020. Su, finitela con questa mascherata. Da quando, il 1° giugno, Sergio Mattarella ha invocato l’unità del paese allo scopo di delegittimare la manifestazione dell’opposizione del giorno dopo, la Cupola italiana – quell’intreccio di poteri che occupa istituzioni, governo, scena politica, media di stato e giornaloni, poteri giudiziari e sanitari – ripete ogni giorno il mantra di restare uniti contro il virus, la destra e la piazza, che poi ai loro occhi coincidono. La chiamano unità ma intendono uniformità. La chiamano comunità ma intendono conformità. Ho speso una vita a difendere l’unità d’Italia e a cercare, al di là delle ragioni di parte, quell’essenza nazionale e comunitaria che ci porta bene o male, a sentirci uniti in uno stesso destino di popolo. Erano idee forti, fino a qualche tempo fa, la comunità come destino, l’unità del popolo; e chi le usava – come me – veniva guardato con sospetto di fascioreazionario e nazionalpopulista: oggi vengono usate, anzi sbandierate, per salvare il governo Conte, il regime sanitario in vigore e gli assetti di potere vigenti. Quelle parole del gergo identitario le usa perfino il presidente Mattarella e i suoi organi di stampa e di riproduzione (della sua voce) le ripetono a pappagallo. Gli stessi che per la difficoltà del momento ci prescrivono di non guardare in faccia ai colori e alla faccia di chi governa, al grado di simpatia o di antipatia per chi è al potere; gli stessi, dicevo, nelle stesse ore, di fronte a un altro Paese squassato come il nostro dalla pandemia e dalle violenze incendiarie di piazza sorte ovunque per l’uccisione di un manifestante nero da parte di un poliziotto, adottano in questo caso il criterio opposto: e sostengono le manifestazioni di piazza, perfino quelle più violente degli antifa, auspicano la spaccatura del paese e chiedono in piena pandemia cinese e in piena lacerazione del paese, di cacciare il governo in carica e il suo presidente, eletto democraticamente dal suo popolo. Sto parlando degli Stati Uniti e di Donald Trump, di cui vi ho detto molte volte di non nutrire affatto simpatia. Perché il principio di unirsi davanti alle calamità vale in Italia e non vale negli Usa? Perché qui c’è va difeso comunque il governo grillocomunista, là va cacciato comunque il presidente in carica. Un popolo viene schiacciato da un regime totalitario a Hong Kong, ma attori, cantanti e pagliacci vari, inclusi i nostrani, insorgono contro la “dittatura” di Trump che chiede di ripristinare l’ordine democratico e la sicurezza delle città. In Italia, invece, la situazione disastrosa, gli aiuti che non arrivano nonostante il diluvio di parole, la caricatura grottesca di commissioni speciali, task force, ministri inadeguati, faide tra magistrati indecenti, e potrei a lungo continuare, non autorizza l’opposizione a fare neanche il primo e più elementare dei suoi doveri: fare l’opposizione, contestare in modo civile il governo in carica, rappresentare il disagio e il disgusto degli italiani nel giorno della repubblica. Magari evitando che quella rabbia diffusa diventi livida più che arancione, e sfoci in vera e propria insurrezione. E invece, per la Cupola mediatico-governativa, il compito dell’opposizione è di stare dalla parte del governo, di stringersi a Conte nel nome dell’Italia e accettare ogni errore, sopruso, demenza, malgoverno, incapacità, sciampismo di governo, per carità di patria. La stessa carità naturalmente non valeva ai tempi dei governi di centro-destra, o ai tempi più recenti di Salvini al Viminale… E la stessa patria è stracciata dai medesimi “patrioti” a Bruxelles, a Pechino, sulle nostre coste, ai nostri confini. Non ho molta fiducia nell’opposizione e l’ho scritto tante volte, ma poi senti che persino i finti perbenini – cerchiobottisti di una volta e oggi più grillosinistri dei sinistri – reputano scomposta, per definizione, ogni forma di opposizione al governo in carica. E poi vedi che in mancanza di atti e linguaggi cruenti e volgari dell’opposizione i suddetti si attaccano al mancato distanziamento o alle mascherine, pur di disprezzarla e negarle il diritto di manifestare. Allora non puoi restare indifferente, reagisci. E insorgi con una rabbia in più, quella di chi è costretto a mettere da parte analisi e riflessioni, per difendere l’opposizione che fa il suo mestiere, e andare, a tuo modo, all’assalto del governo (auto)reggente. E in tutto questo, sento dire da chi disprezza l’Italia da una vita, ha sempre scelto gli interessi