Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

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 L’ITALIA ALLO SPECCHIO

IL DNA DEGLI ITALIANI

 

ANNO 2022

L’AMMINISTRAZIONE

QUINTA PARTE

 

 

DI ANTONIO GIANGRANDE

 

 

L’APOTEOSI

DI UN POPOLO DIFETTATO

 

Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2022, consequenziale a quello del 2021. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.

Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.

 

IL GOVERNO

 

UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.

UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.

LA SOLITA ITALIOPOLI.

SOLITA LADRONIA.

SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.

SOLITA APPALTOPOLI.

SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.

ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.

SOLITO SPRECOPOLI.

SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.

 

L’AMMINISTRAZIONE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.

IL COGLIONAVIRUS.

SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.

 

L’ACCOGLIENZA

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA.

SOLITI PROFUGHI E FOIBE.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.

 

GLI STATISTI

 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.

 

I PARTITI

 

SOLITI 5 STELLE… CADENTI.

SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.

SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.

IL SOLITO AMICO TERRORISTA.

1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.

 

LA GIUSTIZIA

 

SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.

LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.

LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.

SOLITO DELITTO DI PERUGIA.

SOLITA ABUSOPOLI.

SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.

SOLITA GIUSTIZIOPOLI.

SOLITA MANETTOPOLI.

SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.

I SOLITI MISTERI ITALIANI.

BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.

 

LA MAFIOSITA’

 

SOLITA MAFIOPOLI.

SOLITE MAFIE IN ITALIA.

SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.

SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.

SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.

LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.

SOLITA CASTOPOLI.

LA SOLITA MASSONERIOPOLI.

CONTRO TUTTE LE MAFIE.

 

LA CULTURA ED I MEDIA

 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI.

SOLITO SANREMO.

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.

 

LA SOCIETA’

 

AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.

I MORTI FAMOSI.

ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.

MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?

 

L’AMBIENTE

 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI.

SOLITO ANIMALOPOLI.

IL SOLITO TERREMOTO E…

IL SOLITO AMBIENTOPOLI.

 

IL TERRITORIO

 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.

SOLITA SIENA.

SOLITA SARDEGNA.

SOLITE MARCHE.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO.

SOLITO ABRUZZO.

SOLITO MOLISE.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.

SOLITA BARI.

SOLITA FOGGIA.

SOLITA TARANTO.

SOLITA BRINDISI.

SOLITA LECCE.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.

 

LE RELIGIONI

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.

 

FEMMINE E LGBTI

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.

 

 

  

 

 

L’AMMINISTRAZIONE

INDICE PRIMA PARTE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI. (Ho scritto un saggio dedicato)

L’Insicurezza.

La Burocrazia.

La malapianta della Spazzacorrotti.

 

INDICE SECONDA PARTE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Il Ponte sull’Italia.

La Sicurezza: Viabilità e Trasporti.

La Strage del Mottarone.

Il Mose.

 

INDICE TERZA PARTE

 

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Disuguaglianza.

I Bonus.

Il Salario Minimo.

Il Reddito di Cittadinanza.

Quelli che…meglio poveri.

Quelli che …dei call-center.

Il Lavoro Occasionale.

Le Pensioni.

L’Assistenza ai non autosufficienti.

Gli affari sulle malattie.

Martiri del Lavoro.

Il Valore di una Vita: il Capitale Umano.

Manovre di primo soccorso: Il vero; il Falso.

L'attività fisica allunga la vita.

La Sindrome di Turner.

Il Sonno.

Attenti a quei farmaci.

Le malattie più temute.

Il Dolore.

I Trapianti.

Il Tumore.

L’Ictus.

Fibromialgia, Endometriosi, Vulvodinia: patologie diffuse ed invisibili.

La Sla, sclerosi laterale amiotrofica.

La Sclerosi Multipla.

Il Cuore.

I Polmoni.

I calcoli renali.

La Prostata.

L'incontinenza urinaria.

La Tiroide.

L’Anemia.

Il Diabete.

Vampate di calore.

Mancanza di Sodio.

L’Asma.

Le Spine.

La Calvizie.

Il Prurito.

Le Occhiaie.

La Vista.

La Lacrimazione.

La Dermatite. 

L’ Herpes.

I Denti.

L’Osteoporosi.

La Lombalgia.

La fascite plantare.

Il Parkinson.

La Senilità.

Depressione ed Esaurimento (Stress).

La Sordità.

L’Acufene.

La Prosopagnosia.

L’Epilessia.

L’Autismo.

L’Afasia.

La disnomia.

Dislessia, disgrafia, disortografia o discalculia.

La Balbuzie.

L’Insonnia.

I Mal di Testa.

La Gastrite.

La Flatulenza.

La Pancetta.

La Dieta.

Il Ritocchino.

L’Anoressia.

L’Alcolismo.

L’Ipotermia.

Malattie sessualmente trasmesse.

Il Parto.

La Cucitura.

 

INDICE QUARTA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

Il Covid ed il Fallimento del Sistema Sanitario Nazionale.

L'Endemia. L’Epidemia. La Pandemia.

Le Epidemie.

Virus, batteri, funghi.

L’Inquinamento atmosferico.

HIV: (il virus che provoca l'Aids).

L’Influenza.

La Sars-CoV-2 e le sue varianti.

Alle origini del Covid-19.

Le Fake News.

Morti per…Morti con…

Il Contagio.

Long Covid.

Da ricordare… 

Protocolli sbagliati.

Io Denuncio…

I Tamponati…

Le Mascherine.

Gli Esperti.

 

INDICE QUINTA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

Vaccini e Cure.

Succede in Svezia.

Succede in Inghilterra.

Succede in Germania.

Succede in Cina.

Succede in Corea del Nord.

Succede in Africa.

Il Green Pass e le Quarantene.

Chi sono i No Vax?

Gli irresponsabili.

Covid e Dad.

Il costo.

Le Speculazioni.

Gli arricchiti del Covid.

Covid: Malattia Professionale.

La Missione Russa.

Il Vaiolo delle scimmie.

Il virus del Nilo occidentale (West Nile virus, in inglese). 

Gli altri Virus.

SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI. (Ho scritto un saggio dedicato)

 

 

 

 

L’AMMINISTRAZIONE

QUINTA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        Vaccini e Cure.

I VACCINI.

Chi fa i conti con il Covid intervista a Borgonovo. Eleonora Ciaffoloni su L’Identità il 10 Dicembre 2022

“L’approccio comunitario sui vaccini è fallito. Giusto rivedere i contratti e avere chiarezza su quanto speso, basta dare fondi alle multinazionali a scatola chiusa”. Il vicedirettore de “La Verità” si allinea alle richieste di Schillaci e auspica a un cambio di passo sulla sanità.

In questa fase endemica della pandemia, il ministro Schillaci chiede una rinegoziazione dei contratti stipulati per i vaccini: una scelta coerente?

“Schillaci ha ragione, ma prima bisogna conoscere questi contratti e capire cosa prevedono. Quando il Parlamento Europeo ha chiesto di sentire sul tema, da Pfizer si sono rifiutati. Non sappiamo nemmeno cosa si siano detti, nei numerosi messaggi che si sono scambiati, Ursula Von der Leyen e il Ceo di Pfizer Albert Bourla che, per l’ennesima volta, non si presenterà in audizione. C’è un intero impianto che va smontato”.

Rivedere i contratti significherebbe iniziare a vedere oltre il Covid?

“Sarebbe cosa buona e giusta. Abbiamo una manovra da 35 miliardi in cui una buona parte viene spesa per l’emergenza energetica e ci si lamenta dei pochi fondi per la sanità. Con il Covid abbiamo trascurato tutto il resto e provocato migliaia di morti, quattromila solo in Lombardia. In Italia dal 2010 al 2020 abbiamo chiuso 110 ospedali e 113 pronto soccorso. Per queste cose si dice che non ci sono soldi, però i soldi a scatola chiusa per le multinazionali del farmaco ci sono. Abbiamo comprato dosi in eccesso e qualcuno ci deve spiegare quanto abbiamo speso, perché sono soldi che vengono tolti ad altre questioni della sanità, che è molto provata”.

L’Italia si è presa carico di una grande spesa con i vaccini: i fondi potevano essere destinati ad altro?

“Ho la sensazione che ci sia un’idea dietro: da un lato applichiamo tagli alla sanità pubblica – che è quello che abbiamo fatto dal 2010 in avanti – e dall’altro investiamo con i privati per lo sviluppo delle tecnologie Rna, cioè per quella che dovrebbe essere una prevenzione. La sensazione è che si voglia sottoporre il cittadino a farmaci teoricamente preventivi, spingendo a farne utilizzo e finanziando i produttori. In caso di inutilizzo e di malattia si perde quella tutela e si paga per le cure e per la terapia intensiva. E così si guadagna due volte”.

Schillaci ha anche proposto di rivedere la compravendita dei vaccini per singolo Stato. Una tutela o un distacco?

“Abbiamo applaudito quando l’Europa ha unito gli stati per comprare i vaccini insieme. Ma l’approccio comunitario è stato una sciagura: non si è avuto controllo e ancora non si conosce la spesa di ciascuno stato. Il timore è che per una prossima influenza ciò possa ripetersi e vedere trattative segrete e senza controllo. Ora tante misure sono legate al Pnrr, che è un prestito su cui decide l’Europa e con cui non puoi fare riforme strutturali. Dobbiamo riappropriarci del potere di spesa su questi farmaci”.

Possiamo dire che l’atteggiamento del governo sta cambiando nei confronti della gestione Covid?

Spero che Schillaci elimini definitivamente lo ‘Speranza’ che a volte è affiorato dalla sua coscienza e diventi il Ministro che la gente si aspettava. Le persone che hanno votato FdI hanno votato un programma chiaro, con posizioni chiare sulla gestione del sistema sanitario: è ora di metterle in pratica. Spero che il Governo mantenga quello che dice oggi Schillaci e non vada a rilento: se riuscissero a tenere il punto sarebbe da applausi”.

Covid, in Italia via libera al vaccino Pfizer per i bambini under 5. Il Tempo il 09 dicembre 2022

Via libera al vaccino Pfizer anche per i bambini sotto i 5 anni, con la «raccomandazione» per l’utilizzo ai bambini che presentino condizioni di fragilità. Lo prevede una nuova circolare del ministero della Salute diffusa durante la giornata. Già il 24 ottobre, ricorda il documento firmato dal direttore generale della Prevenzione Gianni Rezza, «la Commissione Tecnico Scientifica di AIFA, accogliendo il parere espresso dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), ha approvato l’estensione di indicazione di utilizzo del vaccino Comirnaty (BioNTech/Pfizer), nella specifica formulazione da 3 microgrammi/dose, per la fascia di età 6 mesi - 4 anni (compresi). Tenuto conto del parere espresso dal Gruppo di Lavoro Permanente sull’infezione da SARS-CoV-2 del Consiglio Superiore di Sanità in data 16/11/2022, e successive interlocuzioni, si estende la raccomandazione della vaccinazione anti-SARS-CoV2/COVID-19 ai bambini nella fascia di età 6 mesi - 4 anni (compresi) che presentino condizioni di fragilità, tali da esporli allo sviluppo di forme più severe di infezione da SARS-Cov2». 

Inoltre, tenuto conto dell’indicazione di utilizzo autorizzata da EMA e AIFA, «tale vaccino potrà essere reso disponibile anche per la vaccinazione dei bambini, nella fascia di età 6 mesi - 4 anni (compresi), che non presentino tali condizioni, su richiesta del genitore o di chi ne ha la potestà genitoriale». Comirnaty 3 microgrammi/dose viene somministrato per via intramuscolare dopo diluizione come ciclo primario di 3 dosi (da 0,2 mL ciascuna) con la seconda dose a 3 settimane dalla prima dose, e la terza dose almeno 8 settimane dopo la seconda. Se il bambino compie 5 anni tra una dose e l’altra nel corso del ciclo di vaccinazione, dovrà completare il ciclo continuando a ricevere la dose di 3 microgrammi. Si allarga la platea di coloro che possono ricevere il vaccino anti-Covid.

(ANSA l’1 Dicembre 2022) - La Corte Costituzionale "salva" l'obbligo del vaccino anti Covid introdotto dal governo Draghi nel 2021 per alcune categorie professionali e gli over 50. La Corte ha ritenuto inammissibili e non fondate le questioni poste da cinque uffici giudiziari.

La Corte ha in particolare ritenuto inammissibile, per ragioni processuali, la questione relativa alla impossibilità, per gli esercenti le professioni sanitarie che non abbiamo adempiuto all'obbligo vaccinale, di svolgere l'attività lavorativa, quando non implichi contatti interpersonali.

Sono state ritenute invece non irragionevoli, né sproporzionate, le scelte del legislatore adottate in periodo pandemico sull'obbligo vaccinale del personale sanitario. Ugualmente non fondate, infine, sono state ritenute le questioni proposte con riferimento alla previsione che esclude, in caso di inadempimento dell'obbligo vaccinale e per il tempo della sospensione, la corresponsione di un assegno a carico del datore di lavoro per chi sia stato sospeso; e ciò, sia per il personale sanitario, sia per il personale scolastico. È quanto rende noto l'Ufficio comunicazione e stampa della Corte costituzionale, in attesa del deposito delle sentenze.

La Corte Costituzionale ha deciso: l’obbligo vaccinale è legittimo. L'Indipendente l’1 Dicembre 2022.

La Corte Costituzionale si è espressa sulla questione di costituzionalità dell’obbligo vaccinale, sentenziando la sua validità nei confronti della Carta fondamentale. "Sono state ritenute invece non irragionevoli, né sproporzionate, le scelte del legislatore adottate in periodo pandemico sull’obbligo vaccinale del personale sanitario. Ugualmente non fondate, infine, sono state ritenute le questioni proposte con riferimento alla previsione che esclude, in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale e per il tempo della sospensione, la corresponsione di un assegno a carico del datore di lavoro per chi sia stato sospeso; e ciò, sia per il personale sanitario, sia per il personale scolastico". È quanto riportato dallo scarno comunicato stampa appena pubblicato dalla Corte.

Pertanto, sono stati rigettati i ricorsi nei confronti dei decreti dell’ex presidente del Consiglio Mario Draghi che prevedevano l’obbligo del vaccino anche per poter svolgere il proprio lavoro, pena la sospensione. Durante l’ultimo anno e mezzo, a dubitare della legittimità costituzionale delle norme sono stati tribunali di Brescia, con 6 ordinanze, Catania e Padova, il Tar della Lombardia e il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, che sollevavano anche la questione della sicurezza dei vaccini.

Una decisione a favore dell’incostituzionalità dell’obbligo vaccinale da parte de "la Consulta" avrebbe messo in discussione tutta la sovrastruttura istituzionale italiana costruita negli ultimi due anni per affrontare la pandemia da Covid-19, pertanto diversi esperti e gruppi sindacali non si sono detti sorpresi. Tra gli uffici giudiziari che avevano avanzato dubbi sulla costituzionalità dell’obbligo vaccinale, il Tar della Lombardia era stato il più critico, dal momento che aveva chiamato in causa il rispetto di diversi principi costituzionali: la garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo, il diritto al lavoro e alla retribuzione, la tutela della salute, il principio dell’uguaglianza. Nei giorni scorsi, la seconda sezione civile del Tribunale di Firenze, in composizione monocratica e con efficacia cautelare e provvisoria, aveva stabilito che l’obbligo vaccinale Covid violasse non solo la Costituzione, ma anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

Alla luce dell’interpretazione del Tribunale di Firenze vi era stata la constatazione di come prove scientifiche e gli stessi documenti ufficiali delle istituzioni sanitarie ammettessero che il vaccino Covid non previene i contagi e può causare effetti collaterali in alcuni casi gravi. Un quadro giudicato incompatibile con quanto prescritto da una sentenza della corte costituzionale del 1990 secondo cui: "La legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri […] e può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili". La Corte Costituzionale, evidentemente rigettando queste interpretazioni (su basi che saranno valutabili solo dopo il deposito della sentenza), ha invece stabilito la legittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale imposto durante la pandemia.

L'Indipendente non riceve alcun contributo pubblico né ospita alcuna pubblicità, quindi si sostiene esclusivamente grazie agli abbonati e alle donazioni dei lettori. Non abbiamo né vogliamo avere alcun legame con grandi aziende, multinazionali e partiti politici. E sarà sempre così perché questa è l’unica possibilità, secondo noi, per fare giornalismo libero e imparziale. Un’informazione – finalmente – senza padroni.

Marcello Sorgi per "La Stampa" il 2 dicembre 2022.

È una sconfitta per i No vax, che speravano in una riabilitazione e in un riconoscimento del diritto - negato - di vivere, lavorare e frequentare i locali pubblici ai tempi del lockdown, senza piegarsi né al vaccino né al "green pass", la sentenza con cui la Corte costituzionale si è pronunciata ieri, coincidenza proprio nello stesso giorno in cui cominciavano a dover essere pagate le multe per mancato rispetto dell'obbligo di vaccinazione.

E rappresenta anche un segnale al governo contro l'ondata revisionista che Meloni aveva ventilato nel suo discorso di insediamento alla Camera, e avrebbe dovuto portare a un annullamento delle sanzioni e dell'uso delle mascherine anche negli ospedali (provvedimento, quest' ultimo, accennato ma mai concretizzato).

In questo senso si può dire che la sentenza varrà per il futuro più che per il presente, ormai orientato, strutture sanitarie a parte, verso una completa o quasi normalizzazione: nel caso, malaugurato, in cui la pandemia dovesse ricreare allarme, il governo potrà (o dovrà) ricorrere all'obbligo di vaccino e alle altre precauzioni sperimentate nel 2020 e 2021. Con buona pace dei No vax che dal governo si aspettavano la piena rilegittimazione che non è arrivata, malgrado i ricorsi che avevano esattamente quest' obiettivo.

Indirettamente infatti i giudici della Consulta si trovavano a decidere sulla condotta di Draghi. Sempre più rigorosa e sempre più contestata, man mano che le restrizioni andavano avanti, puntando a rendere impossibile, oltre che rischioso, sottrarsi alla campagna vaccinale. A leggere il comunicato della Corte si può dire che l'"imputato ombra" di questo "processo" è uscito pienamente assolto.

Difficile capire, dopo il pronunciamento della Consulta, quale sarà l'orientamento di Meloni. Si sta muovendo con prudenza il ministro Schillaci - pur esplicitamente distante dal suo predecessore Speranza, il responsabile della Sanità per tutto il periodo più difficile dell'emergenza Covid, nei governi Conte 2 e Draghi. La fine dell'obbligo ha segnato un'adesione molto più tiepida alla campagna di vaccinazione in corso. Ma la situazione è sotto controllo. Per i vaccinati il Covid non è diventato proprio un raffreddore, ma il timore di trovarsi di fronte a un virus letale è di sicuro diminuito.

L'insegnante che morì dopo il vaccino, la commissione sanitaria: "Nesso causale tra decesso e AstraZeneca". Marco Lignana su La Repubblica il 29 Novembre 2022

E' il primo passo per ottenere il magro indennizzo previsto dallo Stato. Intanto i genitori della 32enne Francesca Tuscano mettono in mora il colosso farmaceutico che finora dice no ai risarcimenti

A oltre un anno e mezzo dalla morte, la commissione medica dell'Agenzia della Sanità ligure ha detto che sì, esiste un nesso causale fra il vaccino AstraZeneca e il decesso della 32enne genovese Francesca Tuscano.

Un primo passo nell'inferno burocratico in cui sono precipitati i familiari, per ottenere l'irrisorio risarcimento da 77.468 euro destinato "ai parenti aventi diritto che ne fanno domanda, nel caso in cui la morte del danneggiato sia stata determinata dalle vaccinazioni", in base alla legge che ha stanziato un fondo da 150 milioni di euro destinato proprio a chi ha subito danni dalla vaccinazione anti Covid.

Studio sui vaccini Covid ai giovani: 18,5 eventi avversi per ogni ricovero evitato. Raffaele De Luca su L'Indipendente l’8 Dicembre 2022

“La nostra stima mostra che è probabile gli obblighi vaccinali COVID-19 causino danni netti a giovani adulti sani, fattore che non è controbilanciato da un beneficio proporzionale per la salute pubblica”. È quanto sostiene un articolo scientifico pubblicato sul Journal of Medical Ethics. I ricercatori sono durissimi nelle conclusioni, affermando che “il fatto che tali politiche siano state implementate nonostante le controversie tra esperti e senza aggiornare l’unica analisi rischio-beneficio pubblicamente disponibile alle attuali varianti di Omicron né sottoporre i metodi al controllo pubblico suggerisce una profonda mancanza di trasparenza nel processo decisionale scientifico e normativo”, prima di concludere – riferendosi agli obblighi vaccinali imposti ai giovani – che “queste gravi violazioni della libertà individuale e dei diritti umani si sono rivelate eticamente ingiustificabili.

Sulla base dei dati forniti dal CDC (Centers for Disease Control and Prevention), i ricercatori hanno infatti stimato che per prevenire un singolo ricovero ospedaliero legato alla variante Omicron in un periodo di 6 mesi, tra 31.207 e 42.836 individui rientranti nella fascia d’età 18-29 anni avrebbero dovuto ricevere la terza dose di un vaccino ad mRNA nell’autunno 2022. Le stime effettuate mostrano che per evitare un singolo ricovero ci sarebbero stati “almeno 18,5 eventi avversi gravi da vaccini ad mRNA”, inclusi tra 1,5 e 4,6 casi di “miopericardite associata al richiamo nei maschi (che in genere richiedono il ricovero)”. Inoltre, si sarebbero verificati anche tra 1430 e 4626 “casi di reattogenicità di grado maggiore o uguale a 3″, i quali “interferiscono con le attività quotidiane” sebbene “in genere non richiedano il ricovero”.

Non è un caso, quindi, se all’interno del lavoro si legge che “è probabile che gli obblighi vaccinali universitari causino danni netti a giovani adulti sani che non sono controbilanciati da un beneficio proporzionale per la salute pubblica“. Del resto la stima sopracitata, che inevitabilmente pone in cattiva luce il rapporto rischio-beneficio nei giovani adulti, potrebbe propendere in maniera anche maggiore a favore dei rischi: essa, infatti – spiegano i ricercatori – “non tiene conto della protezione conferita da una precedente infezione o di un aggiustamento del rischio per lo stato di comorbilità”, motivo per cui la valutazione effettuata dai ricercatori “dovrebbe essere considerata conservativa ed ottimistica in ottica beneficio”.

La “analisi etica” svolta dagli autori, che contiene diverse affermazioni scientifiche degne di nota. I ricercatori infatti, parlando degli obblighi imposti agli universitari da centinaia di istituti nordamericani, li definiscono “non etici” non solo poiché “non si basano su una valutazione rischio-beneficio stratificata aggiornata alla variante Omicron” e perché possono “provocare un danno netto a giovani adulti sani”, ma anche poiché “i danni attesi non sono compensati dai benefici per la salute pubblica data l’efficacia modesta e transitoria dei vaccini contro la trasmissione”.

All’interno del lavoro, infatti, si legge che “i sostenitori degli obblighi hanno sostenuto che gli attuali vaccini prevengono la trasmissione, il che sosterrebbe una ragione etica standard a favore degli stessi: la protezione degli altri”. Tuttavia, tale ragione non sembra ormai sussistere, essendo “sempre più evidente che i vaccini attuali forniscono, al massimo, una protezione parziale e transitoria contro l’infezione, che diminuisce precipitosamente dopo pochi mesi, con limitati effetti sulla trasmissione secondaria”. Alla luce di quanto descritto, gli studiosi mettono nel mirino l’obbligo vaccinale verso questa fascia di popolazione, sottolineando che “i responsabili politici dovrebbero abrogarlo immediatamente”. [di Raffaele De Luca]

L’Ordine dei medici vuole riformare il codice deontologico in materia di vaccini. Giorgia Audiello su L'Indipendente il 28 novembre 2022.

La Federazione Nazionale dell’Ordine dei medici (Fnomceo) sta preparando una riforma del Codice deontologico che dovrebbe vedere la luce nel 2024. Una delle novità più importanti di quello che sarà il nuovo Codice deontologico che prenderà il posto della versione del 2014 è l’inserimento di appositi articoli che concernono il tema dei vaccini. Il presidente di Fnomceo, Filippo Anelli, nel convegno che si è tenuto a Roma il 24 e 25 novembre scorsi, intitolato “Una nuova deontologia per il nuovo ruolo del medico”, ha spiegato che con la riforma del Codice, «saranno innanzitutto introdotti degli articoli relativi ai vaccini e alle vaccinazioni: i vaccini rappresentano un fondamentale strumento di prevenzione e i medici non potranno disconoscerne il valore scientifico. Conseguentemente, il medico non può sconsigliarne l’utilizzo». Dunque, se la riforma si concretizzerà, i medici italiani che «verranno chiamati a partecipare a campagne vaccinali non potranno non effettuare la somministrazione degli immunizzanti».

Anelli però precisa che ciò non corrisponde ad un obbligo vaccinale, in quanto «questo sarebbe in contraddizione con il dettato costituzionale sulla libertà individuale». Il futuro Codice, quindi, obbligherà i medici a partire dal presupposto della centralità della vaccinazione, senza la previsione di un obbligo che sarebbe considerato anticostituzionale. D’altronde però, quest’ultimo punto evidenzia la contraddizione con i provvedimenti introdotti per i sanitari e altre categorie durante il periodo pandemico, mentre il contenuto dei nuovi articoli anticipato da Anelli non specifica per il momento se il divieto di sconsigliare le immunizzazioni sia passibile di eccezioni o meno: ad esempio, nel caso in cui alcuni pazienti soffrano di patologie che ne rendano incompatibile l’utilizzo. In ogni caso, i contenuti in questione andrebbero a limitare fortemente la libertà del dibattito scientifico e del confronto, elevando la vaccinazione ad un intoccabile dogma sanitario, sancito anche formalmente.

La bozza del nuovo Codice prevede inoltre altri due punti fondamentali: il primo contribuisce a ripensare la figura del medico; il secondo chiarisce i rapporti e le differenze tra le nuove tecnologie e il personale sanitario. L’idea è quella di introdurre «una nuova figura di medico» che non curi solo la malattia, ma l’intera persona, considerando anche l’influenza ambientale», in quanto – spiega Anelli – il concetto di salute «è cambiato», includendo anche le «salute in relazione all’ambiente e al mondo animale. È quella che viene definita l’ottica One Health, che andrà evidenziata anche nel nuovo Codice». Per quanto riguarda la tecnologia, invece, si sottolinea che questa – specialmente la robotica e l’intelligenza artificiale – pur essendo utile, «non può essere sostitutiva del medico». Un chiaro riferimento alla cosiddetta medicina 4.0 – ossia quella nata in seno alla Quarta rivoluzione industriale – che vorrebbe affiancare e ove possibile sostituire il rapporto personale medico-paziente con la telemedicina, vale a dire con visite a distanza ed eventualmente la somministrazione di farmaci e altre sostanze da remoto. [di Giorgia Audiello]

Tribunale di Firenze: obbligo vaccinale è incostituzionale e contro le norme europee. L’Indipendente il 27 novembre 2022.

Una nuova ordinanza mina alla base le politiche pandemiche italiane, in particolare riguardo all’obbligo vaccinale introdotto con il “super green pass” che ha collegato il mantenimento del posto di lavoro all’accettazione dei vaccini anti-Covid. La seconda sezione civile del Tribunale di Firenze, in composizione monocratica e con efficacia cautelare e provvisoria, ha stabilito che l’obbligo vaccinale Covid vìola non solo la Costituzione, ma anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. L’ordinanza conferma il reintegro di una psicologa sospesa perché non vaccinata. Il giudice ha inoltre inviato gli atti alla Procura della Repubblica di Roma, affinché un pubblico ministero apra un’indagine. La decisione finale sul caso spetterà al tribunale in composizione collegiale.

Nell’ordinanza, la giudice Susanna Zanda, in merito alle contraddizioni della normativa italiana rispetto alle leggi europee scrive: “Quanto all’art. 3 e art. 21 della carta di Nizza si rileva che esiste una disciplina unionale in merito proprio alla vaccinazione anti covid 19 in quanto l’Unione Europea ha varato vari provvedimenti normativi che hanno sempre espresso questi principi di non discriminazione e di rispetto del consenso libero e informato; a cominciare dai regolamenti di programmazione della vaccinazione, per passare al regolamento 953/21 in tema di circolazione dei cittadini europei che tutela coloro che non solo non possano ma anche non “vogliano” vaccinarsi. Anche la risoluzione europea n. 2361/21 […] raccomanda agli Stati una corretta campagna di informazione, soprattutto relativa alla non obbligatorietà del vaccino, alla sua sicurezza e ai possibili effetti indesiderati, in modo da assicurare una scelta consapevole e libera, senza alcuna forma di discriminazione o svantaggio per coloro che decideranno di non sottoporsi al vaccino, sottolineando che eventuali certificazioni vaccinali dovrebbero avere solo lo scopo di monitoraggio”.

Nel merito della legittimità dell’obbligo vaccinale rispetto alla Costituzione Italiana l’ordinanza del Tribunale di Firenze sottolinea due discrepanze nette tra i vaccini anti-Covid disponibili e i dettami costituzionali che regolamentano l’obbligo vaccinale. L’ordinanza evidenzia come sia appurato che i vaccini anti-Covid disponibili non evitino il contagio, citando a questo scopo anche i documenti dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Aifa che sottolineano che “i vaccini non impediscono il contagio; dunque vaccinati e non vaccinati sono vettori virali indistintamente” e come vi siano stati casi di reazioni avverse anche mortali in soggetti sani, come appurato anche dall’Agenzia del farmaco italiana (AIFA), che nel rapporto annuale scrive: “si ammette che vi siano stati decessi e reazioni avverse gravi in soggetti sani”. Si tratta di fattori che, secondo la giudice Susanna Zanda, rendono l’obbligatorietà della vaccinazione anti-Covid incompatibile con quanto prescritto da una sentenza della corte costituzionale del 1990 secondo cui: “La legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale. Ma si desume soprattutto che un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili”.

Il testo completo dell’ordinanza emessa dal Tribunale di Firenze è consultabile a questo link.

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Lucca, istituzioni all’attacco dell’ambulatorio che cura gli eventi avversi da vaccino. Valeria Casolaro su L'Indipendente il 14 novembre 2022.

A Lucca è stato aperto uno studio medico per le reazioni avverse ai vaccini contro il Covid, rinominato Lucca Consapevole. Lo scopo è “aiutare, accogliere e sostenere le persone che hanno subito un danno dai vaccini“. L’iniziativa non ha tardato ad attirare le attenzioni della politica: la consigliera di Lucca Valentina Mercanti, insieme alla consigliera Donatella Spadi (entrambe del PD), ha fatto partire un’interrogazione diretta alla giunta del presidente della Regione Eugenio Giani. La vicenda, commentano, è «davvero singolare, grave e forse unica nel panorama nazionale», in quanto pone di fronte a una «modalità d’informazione fortemente antiscientifica». I consiglieri dell’amministrazione lucchese si sono rivolti al sindaco Mario Pardini per chiedere una presa di distanza, dal momento che, trattandosi di un’iniziativa privata, non se ne può disporre la chiusura.

La questione si profila da subito più come una disputa politica che non una propriamente scientifica, dal momento che le reazioni avverse al vaccino sono infatti ampiamente documentate e dal momento che, come specificato dal presidente dell’ordine dei medici di Lucca, anche l’Asl dispone di specifici protocolli per le problematiche che possono insorgere a seguito della vaccinazione contro il Covid-19. La consigliera Mercanti ha poi sottolineato che lo studio è stato aperto da medici che dal 2021 hanno somministrato terapie domiciliari precoci, «persone sprovviste di vaccinazione anti Covid-19», fattore che tuttavia non preclude l’esistenza di suddetti effetti avversi né la necessità di trattarli con terapie adeguate.

Nel frattempo lo studio, che si propone di aiutare i pazienti a titolo “totalmente gratuito”, ha comunicato tramite il proprio sito che “dato l’enorme numero di persone che ci hanno contattato in meno di dieci giorni siamo pieni fino a Pasqua” e che quindi, fino a che la lista d’attesa non sarà esaurita, le prenotazioni verranno interrotte. [di Valeria Casolaro]

Da ansa.it il 6 dicembre 2022.

Il ceo di Pfizer, Albert Bourla, ha rifiutato per la seconda volta di fila di comparire davanti al Parlamento europeo per un'audizione sulle trattative portate avanti con la Commissione Ue per la fornitura di vaccini. Lo riferisce via Twitter la presidente della commissione speciale sul Covid dell'Eurocamera, Kathleen Van Brempt (S&D). 

"Il Parlamento europeo ha il diritto di ottenere piena trasparenza" sui contratti e "il fallimento della Commissione Ue e di Pfizer" nel dare risposte "mostra un disinteresse per il ruolo del Pe e getta un'ombra inutile sul successo della strategia europea sui vaccini", evidenzia l'eurodeputata.

"Rispetto all'audizione di ottobre non abbiamo ulteriori informazioni da condividere quindi declino rispettosamente l'invito". Lo scrive il ceo di Pfizer, Albert Bourla, in una lettera indirizzata alla presidente della commissione speciale sul Covid dell'Europarlamento, Kathleen Van Brempt (S&D), ufficializzando il suo rifiuto ad apparire davanti agli eurodeputati.

"Poche settimane fa, la nostra presidente per i mercati internazionali, Janine Small, ha già testimoniato davanti alla vostra commissione", ha sottolineano Bourla, riferendosi alla sessione di ottobre. In quell'occasione, tuttavia, a differenza di Gilead Sciences, Sanofi, AstraZeneca e Moderna, tutte rappresentate dai rispettivi ceo, Pfizer fu l'unica società a mandare una dirigente

Vaccini, ricercatrice Pfizer: “Abbiamo pilotato l’aereo mentre lo stavamo costruendo”. Michele Manfrin su L'Indipendente il 20 Novembre 2022.

Dopo le affermazioni di Janine Small, presidente della sezione della Pfizer dedicata allo sviluppo dei mercati internazionali, rilasciate in audizione presso l’Europarlamento, è la volta di quelle di Kathrin Jansen, responsabile della ricerca e sviluppo dei vaccini presso Pfizer, e recentemente andata in pensione. Le dichiarazioni di Jensen sono state raccolte in una intervista a lei fatta da parte della rivista Nature e danno, una volta di più, il senso di come la politica emergenziale pandemica sia stata sorretta da una narrazione politico-mediatica non aderente alla realtà dei fatti. «Abbiamo pilotato l’aereo mentre lo stavamo ancora costruendo», sono state alcune delle affermazioni di Jansen.

Kathrin Jansen ha lavorato più di trent’anni per l’industria del farmaco, in particolare nel campo dei vaccini, per industrie come Merk e Pfizer. Mentre lavorava alla Merck ha guidato lo sviluppo del vaccino contro il papillomavirus umano Gardasil, per cui numerose cause sono in corso negli Stati Uniti. Più tardi, in Pfizer, ha abbracciato la tecnologia coniugata proteina-polisaccaride che ha portato ai vaccini polivalenti Prevnar per la malattia da pneumococco, i quali, solo lo scorso anno, hanno generato una vendita per un valore di circa 5,3 miliardi di dollari.

Quando l’emergenza da Sars-Cov2 si è affermata nel 2020, Pfizer stava già collaborando con BioNTech sui vaccini mRNA per l’influenza ma, come dice Jansen nell’intervista a Nature, «il COVID ha cambiato tutto in termini di come affrontare il concetto di ricerca e sviluppo del vaccino end-to-end, guidato dall’enorme urgenza». La ricercatrice ha poi spiegato come, nel marzo 2020, il CEO di Pfizer, Alber Bourla, abbia chiesto che il vaccino fosse pronto entro la fine di quello stesso anno e che la sua reazione è stata quella di dire che ciò fosse «pazzesco». Jansen prosegue però dicendo che «il denaro non era un problema e, quindi, puoi fare cose incredibili in una quantità incredibile di tempo». Infatti, i soldi non erano un problema perché gli Stati hanno lautamente finanziato il processo di ricerca e di produzione da parte delle aziende, salvo poi dover pagare profumatamente anche i vaccini prodotti grazie agli stessi fondi pubblici. Secondo i dati raccoltati dal portale The Knowledge Network on Innovation and Access to Medicines del Global Health Center, fino a marzo 2021, dei 5,9 miliardi di dollari di investimenti in ricerca e sviluppo sui vaccini Covid-19, il 98,1% proveniva da finanziamenti pubblici.

In merito quindi all’urgenza richiesta, sia da parte dell’azienda che da parte degli Stati, Jansen prosegue con delle affermazioni inequivocabili circa la sperimentazione del prodotto e la produzione: «Siamo diventati creativi: non potevamo aspettare i dati, dovevamo fare così tanto a rischio. Abbiamo pilotato l’aereo mentre lo stavamo ancora costruendo». Non solo. Se qualcuno avesse ancora dei dubbi, la ricercatrice continua dicendo: «Tutta la burocrazia è caduta. Stavamo facendo le cose in parallelo, guardando i dati e facendo la produzione. Di solito, la produzione non viene coinvolta fino a distanza di anni in un programma». Ma c’è di più. Proseguendo, Jansen ricorda, oltre le intere e convulse giornate a lavorare, le telefonate con i colleghi di ricerca e produzione in cui diceva: «Abbiamo quattro costrutti diversi, preparateli tutti e quattro»; e continua dicendo che «Col passare del tempo e della produzione, poi più tardi l’abbiamo ristretto. Abbiamo buttato via molto che non funzionava, ma avevamo sempre altre cose già su larga scala da portare avanti». In altre parole, sperimentazione e produzione hanno proceduto sullo stesso binario e senza soluzione di continuità, in continuo aggiornamento mentre milioni e miliardi di dosi di prodotto venivano vendute e inoculate.

Nell’agosto scorso Pfizer e BioNTech hanno chiesto alla Food and Drug Administration (FDA) – l’organo statunitense che regola i prodotti farmaceutici – di autorizzare, nei confronti degli individui dai 12 anni in su, l’uso emergenziale di una dose addizionale di un vaccino anti-Covid bivalente adattato alla variante Omicron BA.4/BA.5. La richiesta all’ente regolatore arrivò però senza alcuno studio clinico ancora effettuato e senza quindi nessun dato in supporto. Mentre nell’ottobre scorso la Procura europea ha aperto un’indagine sugli acquisti di vaccini anti-Covid 19 da parte dell’UE – con tutta la questione annessa dei rapporti tra Ursula von der Leyen e l’amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla – questo mese, a quasi due anni dall’inizio della campagna vaccinale, Pfizer e Moderna hanno annunciato l’avvio di alcuni studi clinici con l’intento di fare luce sugli effetti avversi a lungo termine che potrebbero manifestarsi nei giovani che hanno riscontrato problemi cardiaci in seguito alla somministrazione del vaccino anti-Covid. [di Michele Manfrin]

Pilotare l’aereo del vaccino anti Covid. Michelangelo Coltelli su Butac.it il 25 Novembre 2022.

Ci segnalate svariati siti di "controinformazione" che danno un'interpretazione palesemente sbagliata di alcune frasi di un'intervista sul vaccino anti Covid. Eppure sarebbe bastato leggere l'intervista per rendersi conto facilmente che l'intervistata sosteneva esattamente il contrario

Su alcuni siti di “informazione indipendente” sono apparsi articoli che riprendono una frase detta da una ex dipendente Pfizer da poco andata in pensione. La frase che viene ripresa è questo virgolettato:

Abbiamo pilotato l’aereo mentre lo stavamo costruendo

Siamo sempre al solito punto: quello dove si estrapolano le frasi dai loro contesti, si aggiunge quel tocco di sensazionalismo, un pizzico di allarmismo, ed ecco confezionato l’ennesimo articolo che serve esclusivamente a spaventare il lettore.

Vediamo di capirci, la frase che avete letto è reale, viene detta da Kathrin Jansen in un’intervista rilasciata a Nature e pubblicata l’11 novembre. Il problema è che, secondo chi ha pubblicato gli articoli che stiamo trattando, quella frase fa riferimento al momento in cui i vaccini venivano distribuiti alla popolazione. Riporta ad esempio la testata di Matteo Gracis:

…sperimentazione e produzione hanno proceduto sullo stesso binario e senza soluzione di continuità, in continuo aggiornamento mentre milioni e miliardi di dosi di prodotto venivano vendute e inoculate.

La prima parte della frase è corretta, la seconda è sbagliata.

Jansen, difatti, quando parla dell’aereo pilotato mentre viene costruito fa specifico riferimento non alla fase di inoculazione dei vaccini, bensì a quella precedente di produzione e sperimentazione, spiegando più volte nel corso dell’intervista che le linee di produzione iniziale erano quattro in contemporanea. Infatti, non potendo sapere quali avrebbero dato risultato positivo e avendo la necessità di arrivare in fretta ad avere delle risposte, hanno impostato quattro linee in parallelo, eliminando poi quelle che non davano i risultati sperati.

Tutte cose che risultano evidenti poche righe dopo su Nature:

Ricordo quelle telefonate con i miei colleghi di produzione; Ho detto: “Abbiamo quattro diversi costrutti, preparali tutti e quattro”. Poi più tardi abbiamo ristretto il campo. Abbiamo buttato via molto che non funzionava, ma avevamo sempre altre cose già su larga scala da portare avanti.

Subito dopo Jansen spiega che la sua esperienza – e quella degli altri ricercatori – nel campo della produzione di vaccini era così ampia che sapevano in partenza cosa avrebbe potuto funzionare e cosa no, e che grazie ai finanziamenti che erano arrivati da tutto il mondo erano in grado di fare le cose in un modo mai sperimentato prima: procedendo appunto su più tentativi in contemporanea, e riuscendo in questo modo ad avere risultati che normalmente vengono portati a termine dopo anni. L’intervista su Nature è solo celebrativa, e racconta di un nuovo processo produttivo e del suo successo. Jansen, infatti, spiega come quel lavoro è stato realizzato, senza metterne in dubbio l’efficacia, che è – ormai da tempo – riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale e dal successo del vaccino anti Covid nel mondo reale.

Gli unici rimasti a mettere in dubbio la bontà dei lavori, pur non avendo argomentazioni valide per farlo, sono i tanti siti di “controinformazione” e “giornalismo indipendente” che ci avete segnalato. Infatti, partendo da quel virgolettato, cercano di darvi a intendere che l’affermazione di Jansen sia la dimostrazione di un lavoro malfatto (di cui però starebbero parlando solo loro, nonostante sia stata pubblicata su una delle più prestigiose – e lette – riviste scientifiche del mondo). Basta leggere tutta l’intervista su Nature per rendersi conto che è esattamente il contrario, a dimostrazione di come questo tipo di “giornalismo” debba basarsi sulla malinformazione per continuare ad avere un pubblico. Se avessero delle argomentazioni valide porterebbero quelle, ma se sono costretti a sfruttare frasi decontestualizzate da articoli che dicono esattamente il contrario di quello che vorrebbero dimostrare, evidentemente, non ne hanno.

Lo ribadiamo nel caso che non fosse chiaro: la frase “mentre milioni e miliardi di dosi venivano vendute e inoculate” è sbagliata, senza alcun riscontro con la realtà, perché non è così che si sono svolti i fatti. E bastava leggere l’intervista su Nature per rendersene conto, la prima cosa che un giornalista, dopotutto, avrebbe dovuto fare. L’intervista di Nature, invece, è stata sì letta accuratamente, ma al solo scopo di isolare le frasi che potevano, estrapolate dal loro contesto e incorniciate da uno di segno opposto, confermare il pregiudizio senza la quale l’articolo non avrebbe avuto il senso di esistere. Secondo voi un comportamento del genere può essere messo in pratica in buona fede? È deontologicamente corretto? Mostra impegno nel lavoro e rispetto nei confronti del proprio pubblico? Se le risposte a queste domande sono solo “sì” è giusto che continuiate a seguire questi giornalisti: dopotutto, come diciamo spesso, ognuno ha i follower che si merita.

Credo che le parole che chiudono l’intervista di Jansen meritino di essere riportate anche in italiano, nella speranza che qualcuno abbia voglia prima o poi di tradurre questa lunghissima intervista nella nostra lingua, inquadrandola come si deve, invece che estrapolarne solo piccole parti a conferma di una bugia.

La COVID ha mostrato il potere dei vaccini. È importante trasmettere alla prossima generazione di vaccinologi l’entusiasmo su quanto sia importante questo campo (di lavoro ndmaicolengel), per mostrare loro quanta strada abbiamo già fatto e quanta ancora va fatta!

Butac contro L’Indipendente: quando gli “sbufalatori” dovrebbero cambiare mestiere. L'Indipendente il 9 dicembre 2022.

Nei giorni scorsi Butac, uno dei tanti siti autonominatisi “cacciatori di bufale” presenti sul web, ha pubblicato un contenuto nel quale accusa L’Indipendente di aver diffuso una fakenews. L’articolo in questione è “Vaccini, ricercatrice Pfizer: Abbiamo pilotato l’aereo mentre lo stavamo costruendo” da noi pubblicato il 19 novembre e che Butac ha contrassegnato come articolo “sensazionalista” ed addirittura esempio di “mala-informazione”. Come sempre, visto che da quando siamo nati ci siamo impegnati a mettere al primo posto la verifica delle fonti, abbiamo preso molto sul serio la loro denuncia, pronti a fare una rettifica se effettivamente ci avesse dimostrato di aver sbagliato qualcosa. Ma ancora una volta – e non è la prima – quello che abbiamo trovato è stato un articolo disonesto, scritto male, inesatto e con passaggi al limite della diffamazione. Una questione che avremmo anche lasciato cadere se non fosse che siti come Butac – che pomposamente afferma che la sua missione è quella di “porre davanti a tutto la scienza e la correttezza dell’informazione” – si comunicano come porti sicuri per chi vuole un’informazione affidabile. Ma il proprio mestiere di fatto non lo sanno fare, o più semplicemente non gli interessa farlo per pregiudizio o interessi di bottega. Ma andiamo con ordine in questa vicenda.

In merito alle dichiarazioni di Kathrin Jansen, responsabile della ricerca e sviluppo dei vaccini presso Pfizer, rilasciate durante un’intervista con Nature, il sito Butac ci ha accusato di aver estratto le frasi dal contesto per produrre una interpretazione di comodo di quanto affermato da Jansen. Procedendo per punti, non solo confermiamo quanto riportato nel nostro articolo ma rivolgiamo l’accusa allo stesso sito denominato Butac.

Innanzitutto, notiamo come il sito in questione non riporti il link al nostro articolo presso cui i lettori di Butac avrebbero potuto verificare l’intero contenuto dell’articolo, come noi invece facciamo adesso con il medesimo, e come abbiamo fatto con l’intervista integrale di Jansen su Nature. Ovviamente non abbiamo riportato per intero la trascrizione dell’intervista ma utilizzato le parti che abbiamo ritenuto di maggior interesse pubblico, salvo, come già detto, mettere il link dell’intervista completa con cui i lettori possono, in autonomia, leggerla. Se parliamo di contesto, dunque, Butac nel suo articolo rivolto contro di noi, lo elimina. Non solo. Tutta l’accusa si aggrappa riportando due sole frasi del nostro articolo: un virgolettato di Jansen e un’affermazione dell’autore.

Il virgolettato in questione è: «Abbiamo pilotato l’aereo mentre lo stavamo ancora costruendo». Veniamo accusati di aver estrapolato la frase dal contesto e di averla utilizzata a nostro piacimento. Eppure, ciò di cui veniamo accusati è proprio quanto fatto dall’accusatore stesso. Infatti, il virgolettato di Jansen riportato era parte di uno più esteso che Butac dimentica di riportare ma che vi facciamo leggere di seguito.

«Siamo diventati creativi: non potevamo aspettare i dati, dovevamo fare così tanto a rischio. Abbiamo pilotato l’aereo mentre lo stavamo ancora costruendo […] Tutta la burocrazia è caduta. Stavamo facendo le cose in parallelo, guardando i dati e facendo la produzione. Di solito, la produzione non viene coinvolta fino a distanza di anni in un programma».

Dunque, il contesto c’è, eccome; piuttosto, è proprio Butac che non fornisce il contesto facendo sembrare che avessimo utilizzato solamente quella frase. Forse le altre affermazioni di Jansen che abbiamo riportato non facevano comodo a Butac?

Andiamo avanti. L’altra frase sotto accusa è la parte finale di un intero paragrafo quasi del tutto composto da un virgolettato di Jansen: «In altre parole, sperimentazione e produzione hanno proceduto sullo stesso binario e senza soluzione di continuità, in continuo aggiornamento mentre milioni e miliardi di dosi di prodotto venivano vendute e inoculate». In merito a questo Butac dice: «La prima parte della frase è corretta, la seconda è sbagliata. Jansen, difatti, quando parla dell’aereo pilotato mentre viene costruito fa specifico riferimento non alla fase di inoculazione dei vaccini, bensì a quella precedente di produzione e sperimentazione».

Intanto partiamo da una precisazione che dovrebbe essere ovvia ma evidentemente nella redazione di Butac non lo è. Per ogni prodotto, quale che sia, ci sono fasi distinte: sperimentazione, produzione (in serie), vendita. È chiaro che se una persona acquista un’automobile, questa venga consegnata dopo che è stata sperimentata e prodotta. Per quanto concerne il vaccino, come detto da Jansen, solitamente la fase di produzione avviene molti anni dopo la fase di sperimentazione. Per il vaccino/farmaco per il Covid-19, come ammesso dalla scienziata, la fase di sperimentazione e produzione sono invece procedute in parallelo. Quindi, in sostanza, sperimentazione e produzione sono state parte di un’unica fase, anziché di due ben distinte. In altre parole, la fase di produzione (quella in cui si produce in serie miliardi di dosi destinate al mercato) è avvenuta mentre avveniva la sperimentazione stessa. E che cos’è che viene quindi poi venduto e inoculato? Il prodotto risultato dalla fase di produzione. Quest’ultima però, come detto dalla stessa Jansen (e come Butac dice di essere giusto, bontà loro) è avvenuta in contemporanea con la sperimentazione.

Occorre ricordare a questo punto che il vaccino non era già stato prodotto nelle decine di miliardi di dosi occorrenti, ma è le dosi sono state distribuite e somministrate mano a mano che venivano prodotte. Non vi era quindi uno stock da cui gli Stati hanno attinto una sola volta. Infatti, ricorderete, che coloro che hanno voluto fare l’iniezione non hanno potuto farla quando hanno voluto ma hanno dovuto aspettare il proprio turno: prima i sanitari, poi fragili e anziani, poi per progressive fasce di età. Perché? Perché le dosi non erano ancora state prodotte a sufficienza. Se quindi, come sappiamo, e confermato da Butac, sperimentazione e produzione sono andate di pari passo, mentre l’inoculazione è avvenuta man mano che le due precedenti fasi andavano a braccetto, conseguenza logica, e fattuale, miliardi di dosi sono state inoculate senza soluzione di continuità durante la monofase sperimentazione/produzione. Si tratta di una ovvietà basata su fatti, gli stessi che Butac dice di voler difendere senza saperli (o volerli) leggere.

Vaccini contro il Covid: siamo stati tutti delle cavie nelle sperimentazioni? Cristina Marrone su Il Corriere della Sera il 10 novembre 2022.

I vaccini contro il Covid-19 sono stati realizzati, sperimentati e distribuiti a tempo di record per riuscire stare al passo con pandemia. In molti hanno pensato che per raggiungere questo obiettivo in così poco tempo rispetto agli anni di solito necessari sia stata in realtà realizzata una gigantesca sperimentazione a livello globale. E tutti i cittadini del mondo hanno fatto da cavie. Ma è davvero così?

L’esitazione

«Le motivazioni dell’esitazione al vaccino è grande tema e gli studi sono sempre più numerosi» ha detto Andrea Grignolio, professore di Storia della Medicina, Università Vita e Salute, San Raffaele, Milano, intervenuto al Tempo della Salute . «Interessante vedere che molti rifiutano il vaccino perché pensano di avere il sistema immunitario fragile. Un “determinante” che spicca (cioé un elemento che fa parte dell’esperienza passata per capire le ragioni del rifiuto, del dubbio, delle paure) è proprio l’effetto cavia. Una delle paure più forti, fino al 30% delle persone in fase pandemica è quella di sottoporsi a vaccini non pienamente sperimentati. E questo si spiega con una mancata conoscenza, non c’è un riscontro oggettivo».

L’importanza della fase post marketing

Tutti gli esperti intervenuti all’incontro hanno sottolineato come la fase post marketing, ovvero il controllo sulla sicurezza previsto per ogni farmaco e vaccino, è stato e sarà una verifica ulteriore sul vaccino anti Covid. Rarissime trombosi e miocarditi sono emerse dopo milioni di somministrazioni. Effetti collaterali così rari emergono in genere dopo anni. La fase post marketing con il vaccino anti Covid è stata invece istantanea perché il farmaco è stato assunto da miliardi di persone.

Perché i vaccini sono arrivati in otto mesi: i tre motivi

Ma come siamo riusciti a fare così in fretta? Alla domanda risponde Guido Rasi, professore ordinario di Microbiologia all’Università di Roma Tor Vergata che racconta come nelle fasi più drammatiche della pandemia non si è comunque voluto rinunciare alla fase 3 della sperimentazione. «In genere per un vaccino si arruolano 5-10- massimo ventimila volontari. Per ogni vaccino anti Covid sono state arruolate 40 mila persone di media, molto più del solito e questo è stato possibile perché la malattia era ovunque: in poche settimane sono state arruolate migliaia di persone i tutti gli emisferi. C’è stato insomma un arruolamento massivo, e in questo ci ha aiutati il virus. Inoltre gli Stati Uniti hanno creato un consorzio, finanziando la ricerca con 15 miliardi di dollari: i migliori cervelli si sono uniti mettendo a disposizione le loro conoscenze, con uno sforzo corale mai visto prima quando in genere gli scienziati sono in competizione. La tecnologia a mRNA è conosciuta da venti anni, ma non c’erano mai stati i soldi per svilupparla. Infine anche l’aspetto regolatorio si è accelerato creando quella che è stata chiamata rolling review : invece di attendere il pacchetto di documenti completo delle case farmaceutiche ogni piccolo passo veniva comunicato agli Enti regolatori e analizzato, e se qualcosa non andava venivano chiesti ulteriori approfondimenti. All’Ema c’era una task force di scienziati che ha lavorato 24 ore su 24. La macchina regolatoria è così articolata che non è possibile condizionarla».

L’immunità di gregge fallita: ecco perché

«Il vaccino su una piattaforma innovativa si è reso disponibile in meno di un anno, meglio delle più rosee aspettative» aggiunge Gianni Rezza, direttore generale della Prevenzione Sanitaria presso il Ministero della Salute che racconta le fasi della percezione della malattia: «All’inizio di una pandemia c’è la luna di miele tra essere umano e vaccino. Tutti volevano il vaccino. Il nostro obiettivo era abbattere la mortalità per questo abbiamo scelto di dare la priorità ad anziani, più fragili, e operatori sanitari. Abbiamo parlato di vaccinare il 70% della popolazione per raggiungere l’immunità di gregge. Il calcolo era il risultato di una formula, dando per assunto che il vaccino fosse sterilizzante, cioé proteggesse dall’infezione. All’inizio in effetti era così. Purtroppo poi sono emerse le varianti e il numero di riproduzione di base con Omicron è molto più elevato. I vaccini ci hanno protetti dalla malattia grave ma non troppo dall’infezione anche se in uno studio recente del New England è emerso che il vaccino protegge dall’infezione da Omicron per il 30%: poco, ma meglio di niente. Abbiamo così capito che con il Covid dobbiamo conviverci».

Sovraccarico di informazioni

A essere riluttanti al vaccino sono spesso le persone colte e intelligenti. «C’è stato un sovraccarico di informazioni l’infodemia, senza conoscenza approfondita della materia» conclude Andrea Grignolio. «Non esistono farmaci sicuri al 100 per cento, qualsiasi trattamento, anche l’acqua dopo una maratona può portare a morte. L’appello è fidarsi di più delle conoscenze mediche, va bilanciato sempre il rischio di una malattia e il rischio di un vaccino, che è sempre molto basso. Guardiamo alla poliomielite che grazie al vaccino è stata eradicata e ringraziamo i nostri genitori che ci hanno vaccinati».

I vaccini contro il Covid prodotti da Astrazeneca, Pfizer, Moderna e Johnson&Johnson, sono diversi fra loro: ecco le differenze e l’efficacia. Il Corrierenazionale.net

In Italia sono quattro i vaccini autorizzati: Astrazeneca, Johnson e Johnson, Pfizer e Moderna. Quali sono le differenze? Lo spiega l’agenzia di stampa Dire (dire.it).

Astrazeneca, prodotto in Svezia e Uk, è un vaccino a vettore virale che sfrutta una versione indebolita dell’adenovirus degli scimpanzè per inserire materiale genetico della proteina spike nelle cellule umane per la produzione di anticorpi. Indicato per la fascia d’età over 60, si conserva fra i 2 e gli 8 gradi e ha bisogno di due dosi per raggiungere l’80% di efficacia.

Pfizer, di produzione statunitense e tedesca, usa la tecnica dell’Rna messaggero. Il codice genetico correlato alla produzione della proteina Spike viene portato alla cellula in modo che questa abbia le informazioni per individuare e distruggere il virus. Indicato per la fascia d’età 16 – over 75 anni, deve essere conservato a -70 gradi e ha bisogno di due inoculazioni per raggiungere il 90% di efficacia.

Moderna, di produzione statunitense, ha la stessa tecnologia del vaccino Pfizer con l’Rna messaggero; l’Italia ne sta ricevendo quantitativi ridotti perchè molte delle dosi sono riservate per il mercato Usa. Indicato per gli over 18, va conservato fra i -25 e i -15 gradi, ha bisogno di due dosi intervallate da 4 settimane per raggiungere un’efficacia del 95%.

Johnson e Johnson è un vaccino a vettore virale, la stessa tecnica utilizzata per produrre il vaccino contro l’ebola. Da pochi giorni è stato ritirato dal mercato americano. Indicato per la fascia d’età over 18, si conserva fra i 2 e gli 8 gradi, è l’unico vaccino monodose ed è efficace al 72% nel prevenire tutti i casi di Covid 19 all’86% nel prevenire forme acute della malattia.

Vaccini Covid, Ema: "Mestruazioni abbondanti". Pfizer e Moderna devono avvertire. Il Tempo il 28 ottobre 2022

Fin dall'inizio delle vaccinazioni contro il Covid molte donne hanno lamentato problemi al ciclo mestruale. Adesso interviene l'Ema, l'Agenzia europea per i medicinali che intima a Pfizer e Moderna di aggiungere nelle avvertenze ai vaccini Comirnaty e Spikevax le "mestruazioni abbondanti come effetto collaterale di frequenza sconosciuta".

Lo ha stabilito oggi 28 ottobre il Prac, il Comitato per la farmacovigilanza dell'Ema. L'informazione da aggiungere viene definita "sanguinamento mestruale intenso" ed è legata al fatto che "sono stati segnalati casi di forti emorragie mestruali dopo la prima e la seconda dose e dopo il richiamo con Comirnaty e Spikevax". Dopo aver esaminato i dati, "il comitato ha concluso che esiste almeno una ragionevole possibilità che l’insorgenza di forti sanguinamenti mestruali sia causalmente associata a questi vaccini e ha pertanto raccomandato l’aggiornamento delle informazioni sul prodotto". 

Covid: l’EMA approva i vaccini dai 6 mesi di età, ma non pubblica gli studi. Raffaele De Luca su L'Indipendente  il 21 Ottobre 2022.

Il comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha dato il via libera all’estensione dell’autorizzazione all’uso di Comirnaty e Spikevax – i vaccini anti-Covid Pfizer e Moderna – anche per i bambini di età uguale o superiore a 6 mesi. Si legge nel comunicato ufficiale dell’EMA: “il comitato ha raccomandato di includere l’uso nei bambini di età compresa tra 6 mesi e 4 anni per Comirnaty e l’uso nei bambini di età compresa tra 6 mesi e 5 anni per Spikevax”. La formula di approvazione è quella di rito: “i benefici superano i rischi”. Tuttavia gli studi clinici sui quali si basa l’approvazione non sono consultabili (“verranno presentati a tempo debito”, scrive proprio così l’EMA) e i vaccini pediatrici in questione sono stati testati contro il ceppo originale del SARS-CoV-2, oggi estinto e soppiantato dalla variante Omicron.

In Italia su un totale di oltre 170mila morti per Covid solo 39 rientrano nella fascia d’età 0-9 anni ed il tasso di letalità, ovverosia la percentuale di morti rispetto al totale dei soggetti risultati positivi, sembra alquanto basso per tali individui. Nel 2020, infatti, il tasso di letalità era solo dello 0,011% mentre negli anni successivi esso è diminuito ancora, arrivando ad essere dello 0,002%: il tutto evidentemente in linea con l’emergere delle varianti, come è noto meno pericolose rispetto al ceppo originale. A ciò si aggiunga che le percentuali citate sono relative ad una fascia d’età più ampia rispetto a quella di nostro interesse e che probabilmente i numeri sarebbero ancora più irrisori se si prendessero in considerazione esclusivamente i bambini più piccoli: tali dati però sono difficilmente estrapolabili in Italia, visto che lo stesso Istituto superiore di sanità si rifà solo alla più ampia fascia 0-9 anni. Secondo i dati UNICEF, a livello globale, i bambini appartenenti alla fascia 0-4 anni rappresentano appena lo 0,1 % del totale dei soggetti deceduti in concomitanza alla positività al Covid,

Oltre a tutto questo, bisogna ricordare che il via libera è arrivato sulla base di due studi di cui però si sa poco. “I dati degli studi clinici presentati dalle aziende nelle loro domande per l’estensione dell’indicazione pediatrica saranno pubblicati sul sito Web dei dati clinici dell’Agenzia a tempo debito”, si legge infatti sul sito dell’Agenzia. Quello che si sa con certezza, invece, è non solo il fatto che entrambi i vaccini nelle nuove fasce d’età saranno somministrati con dosi ridotte rispetto a quelle previste per le altre, ma altresì che questi ultimi comportano diversi effetti collaterali anche nei bambini più piccoli, tra cui irritabilità, sonnolenza e perdita di appetito. Secondo l’EMA, però, “per entrambi i vaccini questi effetti erano generalmente lievi o moderati e miglioravano entro pochi giorni dalla vaccinazione”. Inoltre, stando all’Agenzia, i vaccini nonostante le dosi ridotte fornirebbero ai bambini dai 6 mesi in su una risposta immunitaria simile a quella osservata con la dose classica. Si tratta però di un’affermazione alla quale difficilmente si può credere ciecamente, stante le evidenze emerse nel recente passato: l’efficacia del vaccino Pfizer sbandierata per la fascia di età immediatamente successiva a quella di nostro interesse (5-11 anni), è stata infatti affossata da un recente studio che ha rivelato come essa sia molto più bassa di quanto si pensasse.

Alla luce di quanto detto finora, infine, non sembrano casuali le esternazioni di alcuni tele-virologi, che ultimamente si sono espressi con toni tranquillizzanti sulla questione Covid criticando altresì il nuovo via libera dell’EMA. Basterà citare il direttore della Clinica di malattie infettive del policlinico San Martino di Genova, Matteo Bassetti, che non solo ha definito il Covid come un virus «ormai simil-influenzale», ma in merito all’ok dell’Agenzia ha affermato: «Poteva servire nel 2020. Oggi è il vaccino sbagliato (non copre infatti nessuna variante omicron) nel momento sbagliato. Non lo raccomanderei a nessuno». Raffaele De Luca

Da adnkronos.com il 21 settembre 2022.

La Commissione europea ha approvato la combinazione di anticorpi a lunga durata d’azione di AstraZeneca tixagevimab e cilgavimab (Evusheld) per il trattamento di adulti e adolescenti (a partire dai 12 anni di età e con un peso di almeno 40 kg) affetti da Covid-19 che non necessitano di ossigeno supplementare e che sono ad alto rischio di progredire verso una forma grave della malattia. Lo comunica l’azienda in una nota.  

L’approvazione da parte della Commissione europea – si legge – si basa sui risultati dello studio di fase III Tackle sul trattamento del Covid-19, che ha dimostrato che una dose intramuscolare di tixagevimab e cilgavimab ha fornito una protezione clinicamente e statisticamente significativa contro la progressione a una forma grave di Covid o la morte per qualsiasi causa, rispetto al placebo. Il trattamento con tixagevimab e cilgavimab in una fase precoce della malattia ha portato a risultati ancor più favorevoli rispetto a un trattamento tardivo. 

Lo studio è stato condotto su adulti non ospedalizzati con Covid lieve-moderato, sintomatico da 7 giorni o meno. Il 90% dei partecipanti allo studio era ad alto rischio di progressione verso una forma grave di Covid a causa di comorbidità o dell’età. La combinazione di anticorpi di AstraZeneca è stata generalmente ben tollerata durante lo studio.   

“Molte persone, tra cui quelle immunocompromesse, gli adulti più anziani e coloro che hanno comorbidità, sono ad alto rischio di malattia grave, di ospedalizzazione e di morte in caso di infezione – afferma Stefano Vella, professore aggiunto di Global Health all’Università Cattolica di Roma – La combinazione di anticorpi tixagevimab e cilgavimab, somministrata comodamente per via intramuscolare, già disponibile in Italia, ai sensi della legge 648/96, per uso terapeutico emergenziale grazie all’autorizzazione della Commissione tecnico scientifica di Aifa basata sia sui risultati degli studi clinici già pubblicati sia sull’analisi ad interim (su circa 450 pazienti) di uno studio multicentrico in corso in Italia (Mantico-2), è ora una nuova opzione di trattamento del Covid-19, estremamente necessaria per queste popolazioni vulnerabili”.   

Secondo Raffaela Fede, direttore medico di AstraZeneca Italia, “Covid-19 rimane fonte di preoccupazione per la salute degli italiani, soprattutto per coloro che potrebbero non essere adeguatamente protetti contro il virus dalla vaccinazione. Con questa approvazione, tixagevimab e cilgavimab di AstraZeneca è ora l’unica combinazione di anticorpi a lunga durata d’azione disponibile in Europa sia per la prevenzione che per il trattamento del Covid-19, consentendoci di proteggere un numero ancora maggiore di persone da questa malattia devastante”.  

La dose attualmente raccomandata della combinazione di anticorpi per il trattamento in Europa è di 300 mg di tixagevimab e 300 mg di cilgavimab, somministrati in due iniezioni intramuscolo separate e sequenziali. La combinazione – ricorda la nota – ha dimostrato di mantenere la neutralizzazione in vitro di Omicron BA.5, che è attualmente la variante dominante di Sars-CoV-2 in Europa. Le evidenze in real-world prodotte fino a oggi hanno dimostrato tassi significativamente più bassi di Covid-19 sintomatico e/o di ospedalizzazione/morte per i pazienti immunocompromessi che ricevono la combinazione di anticorpi rispetto ai bracci di controllo. Ciò include evidenze in real-world raccolte mentre Omicron BA.5, BA.4, BA.2, BA.1 e BA.1.1 erano in circolazione.

La combinazione di anticorpi aveva già ottenuto all’inizio di quest’anno l’autorizzazione all’immissione in commercio nell’Ue per la profilassi pre-esposizione (prevenzione) del Covid in un’ampia popolazione di adulti e adolescenti immunocompromessi ed è già disponibile nella maggior parte dei Paesi europei.  

(ANSA il 26 agosto 2022) - Moderna fa causa a Pfizer e BioNTech sui vaccini per il Covid. Secondo Moderna, la tecnologia usata nei vaccini Pfizer-BioNtech viola i suoi brevetti depositati fra 2010 e il 2016. "Facciamo causa per proteggere la nostra piattaforma tecnologica innovativa mRNA in cui abbiamo investito miliardi", afferma Moderna. 

Moderna ha depositato l'azione legale alla corte distrettuale del Massachusetts e a un tribunale regionale tedesco. La decisione di Moderna di fare causa rappresenta una escalation nella battaglia per la proprietà intellettuale sui diritti mRNA. Secondo gli esperti la posta in gioco è alta, considerato che Pfizer, BioNTech e Moderna prevedono di generare 52 miliardi di dollari in vendite di vaccini nel 2022.

"Riteniamo che Pfizer e BioNTech abbiano illegalmente copiato le invenzioni di Moderna e abbiano continuato a usarle senza permesso", afferma il responsabile legale di Moderna, Shannon Thyme Klinger. Moderna ritiene che Pfizer e BioNTech abbiano copiato due elementi centrali delle sue tecnologie brevettate. 

"Quando il Covid è emerso né Pfizer né Moderna avevano il livello di esperienza per lo sviluppo" dei vaccini mRNA e, mette in evidenza Moderna, hanno consapevolmente seguito Moderna nello sviluppare i loro vaccini

Vaccino, scoppia la guerra in Big Pharma: Moderna fa causa a Pfizer per violazione dei brevetti. Il Tempo il 26 agosto 2022

Il vaccino porta alla guerra in tribunale tra grandi aziende farmaceutiche. Moderna ha infatti intentato una causa contro Pfizer e BioNTech per violazione dei brevetti sui vaccini per il Covid-19. Lo ha reso noto la stessa azienda in un comunicato, dove afferma che la causa giudiziaria riguarda la violazione di «brevetti fondamentali per la propria piattaforma tecnologica mRNA». «Moderna ritiene che il vaccino Covid-19 di Pfizer e BioNTech, Comirnaty, violi i brevetti che Moderna ha depositato tra il 2010 e il 2016 sulla tecnologia mRNA di base di Moderna. Questa tecnologia rivoluzionaria è stata fondamentale per lo sviluppo del vaccino mRNA Covid-19 di Moderna, Spikevax. Pfizer e BioNTech hanno copiato questa tecnologia, senza il permesso di Moderna, per realizzare Comirnaty», si legge nel comunicato. 

«Stiamo intentando queste cause per proteggere l’innovativa piattaforma tecnologica mRNA che abbiamo sperimentato, su cui abbiamo investito miliardi di dollari e brevettato durante il decennio precedente la pandemia di Cov-19», ha affermato Stéphane Bancel, amministratore delegato di Moderna. «Questa piattaforma fondamentale, che abbiamo iniziato a costruire nel 2010, insieme al nostro lavoro brevettato sui coronavirus nel 2015 e nel 2016, ci ha permesso di produrre un vaccino Covid-19 sicuro e altamente efficace in tempi record dopo lo scoppio della pandemia. Mentre lavoriamo per combattere le sfide sanitarie che vanno avanti, Moderna sta utilizzando la nostra piattaforma tecnologica mRNA per sviluppare medicinali in grado di curare e prevenire malattie infettive come l’influenza e l’Hiv, nonché malattie autoimmuni e cardiovascolari e forme rare di cancro». Si annuncia un’aspra battaglia, soprattutto alla luce degli incassi miliardari delle due aziende grazie alla produzione dei vaccini.

BATTAGLIA TRA COLOSSI FARMACEUTICI. Moderna fa causa a Pfizer e Biontech per aver usato la sua tecnologia mRNA nei vaccini Covid. Il Domani il 26 agosto 2022

L’obiettivo di Moderna non è togliere dal mercato il vaccino di Pfizer-BioNTech, quanto piuttosto difendere i suoi brevetti sulla tecnologia mRNA che in futuro potrà dare vita ad altri vaccini come quello contro l’Hiv 

L’azienda farmaceutica Moderna ha deciso di fare causa a Pfizer e BioNTech per i vaccini anti Covid-19 distribuiti a partire da fine 2020 per far fronte alla pandemia.

Secondo Moderna, Pfizer-BioNtech ha usato parte della sua tecnologia mRNA presente nei suoi brevetti depositati fra 2010 e il 2016 per creare il suo vaccino. «Facciamo causa per proteggere la nostra piattaforma tecnologica innovativa mRNA in cui abbiamo investito miliardi», ha scritto in un comunicato Moderna. L’azione legale è stata depositata alla corte distrettuale del Massachusetts e a un tribunale regionale tedesco. «Riteniamo che Pfizer e BioNTech abbiano copiato illegalmente le invenzioni di Moderna e che abbiano continuato a utilizzarle senza autorizzazione», ha dichiarato in un comunicato stampa Shannon Thyme Klinger, a capo dell’ufficio legale di Moderna.

Già il mese scorso anche CureVac ha intentato una causa contro BioNTech, anche qui accusata di aver violato i loro brevetti. Dopo la notizia, l’azienda tedesca aveva dichiarato che il suo «lavoro è originale e lo difenderemo vigorosamente contro ogni accusa di violazione di brevetto».

COSA ACCADRÀ ADESSO?

L’obiettivo di Moderna non è quello di togliere il vaccino di Pfizer dal mercato, considerato essenziale per contenere il Covid-19, piuttosto quello di avere uno scudo legale per i prossimi vaccini – sempre con la tecnologia mRNA – contro l’Hiv e altre malattie che sono attualmente in studio e promettono buoni risultati.

«Stiamo intentando queste cause per proteggere l'innovativa piattaforma tecnologica a mRNA di cui siamo stati pionieri, per la cui creazione abbiamo investito miliardi di dollari e che abbiamo brevettato nel decennio precedente la pandemia Covid-19», ha detto Stéphane Bancel, amministratore delegato di Moderna, nel comunicato pubblicato dall'azienda.

Pfizer ha annunciato che non ha ancora ricevuto i documenti legali della causa. In ogni caso, questo tipo di processi sono molto lunghi. Ci vorranno dai tre ai cinque anni per risolvere la controversia tra le due aziende che con la pandemia hanno guadagnato miliardi di dollari grazie ai loro vaccini.

Vaccini contro i coronavirus, la sperimentazione sulle varianti non procede: ecco perché. Silvia Turin su Il Corriere della Sera il 31 luglio 2022.

I pan coronavirus e i vaccini intranasali (utili a fermare varianti e contagi) sono al palo: mancano soldi, materiali e volontà politica. Inoltre, il fatto che la gran parte della popolazione sia già entrata in contatto con il Covid rende gli studi difficili da fare. 

Il dibattito sulla quarta dose, ma, soprattutto, su come continuare a convivere con il Covid a partire dal prossimo autunno ferve. La sperimentazione di vaccini migliori che possano valere per tutti i coronavirus e le varianti non procede e anche i vaccini aggiornati non convincono del tutto, tanto che la possibilità di continuare a utilizzare quelli già in uso non è così remota. Ecco perché.

Vaccini aggiornati, ma «vecchi»?

L’efficacia dei vaccini che stanno studiando aggiornamenti in base a Omicron (quelli a RNA) è buona negli studi che vengono pubblicati, ma i candidati sono basati su Omicron 1, attualmente quasi scomparsa (in Italia è allo 0,8%). La domanda che esperti ed enti regolatori si pongono allora è: vale la pena affrontare costi e impiegare risorse per aggiornare un vaccino che rischia di nascere «già vecchio»? E che cosa decidere in merito ai contagi, visto che i vaccini in uso proteggono ancora bene dalla malattia severa, ma poco dalla trasmissione e l’aggiornamento non cambierebbe questa situazione?

Alcuni scienziati spingono per sviluppare vaccini migliori e universali, i cosiddetti pan-coronavirus, validi contro tutti i tipi di coronavirus, e/o quelli nasali, che impedirebbero direttamente il contagio e la continua diffusione nel mondo del Covid.

Un vertice alla Casa Bianca

Per discutere di queste importanti questioni il 26 luglio i funzionari della Casa Bianca hanno riunito scienziati, dirigenti farmaceutici ed esperti di salute pubblica in un vertice, nel tentativo di tracciare un percorso verso la creazione di vaccini migliori. Da più parti si sono espresse le due esigenze sottese ai ragionamenti precedenti: dato che inseguire ogni nuova variante con un nuovo booster non sembra una strategia sostenibile (e salutare), ciò che serve sono vaccini di nuova generazione che inducano una protezione più ampia e più duratura contro le varianti conosciute e le future, i cosiddetti pan coronavirus, ma anche vaccini inalabili di nuova generazione che creino una barriera nasale che blocchi la trasmissione del virus.

Secondo il report dell’incontro fornito su Science a firma Jon Cohen, al vertice non è stata portata, però, alcuna richiesta di finanziamento specifica al Congresso, né alcun piano concreto che potesse in qualche modo configurarsi come quello che ha portato il governo degli Stati Uniti a sviluppare i primi vaccini anti Covid in tempi record nel 2020.

I problemi sul tavolo

I problemi non riguardano solo i finanziamenti in generale: Science denuncia la carenza di materiali necessari per produrre i vaccini, la carenza di primati su cui testare i candidati e la penuria dei gusci lipidici necessari per racchiudere e proteggere l’RNA. Inoltre, c’è una complicazione insolita determinata dalla situazione peculiare dovuta alla pandemia: quando sono stati sperimentati i primi vaccini anti Covid le persone non avevano un’immunità specifica al SARS-CoV-2, come deve essere per valutare l’efficacia del prodotto testato. Oggi la maggior parte di persone al mondo sono state vaccinate, infettate dal virus o entrambe le possibilità. A parte i bambini piccoli. Come condurre le sperimentazioni allora? Come valutare i risultati escludendo questa variabile? Oltre ai finanziamenti e alle difficoltà tecniche c’è anche un certo disinteresse, o meglio, «si è perso il senso di urgenza», afferma Florian Krammer, virologo presso la Icahn School of Medicine del Monte Sinai.

BA.5 in Italia all’86%

Pertanto, oggi ci sono alcune dozzine di tentativi per creare vaccini che proteggano da tutte le varianti e da tutti e quattro i generi della famiglia dei coronavirus, ma solo un candidato, sviluppato dall’esercito americano, è entrato in una sperimentazione clinica di Fase 1. Come riporta Science, negli studi in provetta il vaccino sviluppato da Kayvon Modjarrad e colleghi del Walter Reed Army Institute of Research (WRAIR) ha neutralizzato un’ampia gamma di varianti di SARS-CoV-2. La strada, però, è ancora lunga e nel frattempo il virus continua a mutare e a diffondersi.

In Italia cresce la sottovariante Omicron 5 (responsabile dell’ondata in corso), ormai predominante, e compare anche una singola sequenza di BA.2.75, il sottolignaggio di Omicron 2 ribattezzato dai social «Centaurus», che alcuni pensano potrebbe essere la nuova variante capace di imporsi. È quanto emerge dai dati diffusi dall’Istituto superiore di sanità (Iss) per l’ultima settimana di campionamento disponibile (18-24 luglio). Le percentuali sono: Omicron 100%, di cui BA.5 86%, BA.4 11,6%, BA.2 1,6%, BA.1 0,8%.

Danni da vaccino, risarcimento per un 16enne: "Nesso causale tra la dose e la trombocitemia". Il Tempo il 17 luglio 2022.

Una sentenza destinata a far discutere quella che riguarda un ragazzo di 16 anni, nato di Rieti e residente a Pisa. Il giovane infatti riceverà un risarcimento per danni da vaccino anti-Covid a un anno dalla somministrazione. a cui il ragazzo si era sottoposto un anno fa esatto. A dare notizia della vicenda è Adnkronos che riporta le considerazioni di Codacons, l'associazione con cui la famiglia del ragazzo aveva deciso di intraprendere la causa.

"Riceverà un risarcimento per i danni da vaccinazione anti-Covid, dopo il definitivo accertamento della correlazione tra la somministrazione del vaccino e i gravi danni alla salute riportati dallo stesso", fa saper l'associazione spiegando che Il Dipartimento militare di medicina legale di La Spezia, attraverso una relazione tecnica ha riconosciuto il nesso causale tra la dose e la trombocitemia autoimmune riportata dal ragazzo a distanza di poche settimane dalla somministrazione  del vaccino anti-Covid Moderna.

Per il Dipartimento la grave patologia è "una reazione avversa grave potenzialmente innescata dalla procedura stessa anche se come fattore concausale in soggetto fino ad allora perfettamente sano" e pertanto "il danno è ascrivibile alla ottava categoria della tabella A allegata al Dpr 30 dicembre 1981 n 834" per 'Menomazione permanente dell’integrità psicofisica'.

Il ragazzo era uno storpino e in buona salute. Un mese dopo il vaccino "si manifestavano i primi sintomi, con puntini rossi su braccia e gambe del ragazzo. A settembre la sintomatologia peggiorava, con un ematoma esteso sul braccio destro e sul collo, ’bolle' di sangue sul palato, sulla lingua e nelle guance interne. A questo punto il ragazzo si recava al pronto Soccorso di Pisa, dove veniva immediatamente ricoverato sulla base di un valore piastrinico nel sangue pari a 1000/mm3 (su un valore minimo di 150mila)".

Fino al giorno 18 ottobre, riferisce il Codacons, il giovane sportivo è rimasto ricoverato presso il reparto di Oncoematologia pediatrica dell’Aoup ’Santa Chiarà di Pisa. Dopo aver svolto gli accertamenti del caso, gli è stata diagnosticata una piastrinopenia autoimmune e i medici del reparto hanno segnalato all’Aifa il numero del lotto del vaccino effettuato, sospettando una correlazione tra la vaccinazione e l’insorgenza della patologia. La situazione del ragazzo purtroppo non migliora e, nonostante le cure prestate, i valori sanitari rimangono fuori norma: così, a dicembre 2021 la famiglia si rivolge così al Reparto di Oncoematologia dell’Ospedale Pediatrico ’Gaslini' di Genova, dove vengono effettuate una serie di analisi immunologiche e genetiche che confermano la diagnosi di ’Itp persistente'. Le analisi mediche e la perizia del Dipartimento militare di medicina legale non solo hanno confermato quanto evidenziato dal consulente di parte del Codacons, il professor Carlo Rumi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ma danno il via libera in modo formale al risarcimento in favore del ragazzo -che sarà quantificato in separata sede- per danni da vaccinazione, sulla base delle disposizioni della legge 210/92.

Noi e i virus: il primo incontro non si scorda mai. Ecco che cos'è l'imprinting immunitario. Valentina Arcovio su La Repubblica l'8 Luglio 2022.  

Il nuovo vaccino anti-Covid sfrutterebbe la capacità del nostro sistema immunitario di riconoscere "l'invasore", o il vaccino, quando lo incontra la prima volta. Abrignani: "Un riconoscimento parziale con Omicron, che ci protegge poco dal contagio ma molto dalla malattia grave".

La prima volta non si scorda mai. O almeno è così per il nostro sistema immunitario quando si imbatte in un virus. Da questo primo incontro scatta quello che gli scienziati chiamano "imprinting immunitario": alla prima esposizione al virus, sia tramite infezione che vaccinazione, il sistema immunitario imprime nella sua memoria l'invasore in modo da riconoscerlo eventualmente in futuro, conferendo così un certo livello di protezione.

Imprinting e vaccino anti-Covid

Ora l'imprinting immunitario sarebbe al centro della ricerca del nuovo vaccino anti-Covid, quello "aggiornato" in base alle mutazioni accumulate dal virus Sars-CoV-2 in questi ultimi due anni. Gli immunologi sono infatti convinti che, da quando è esplosa la pandemia, le persone hanno acquisito diversi imprinting immunitari, a seconda del ceppo o della combinazione di ceppi a cui sono state esposte.

Questo, secondo gli studiosi potrebbe portare a grandi differenze nella risposta immunitaria che ciascuno di noi ha contro il virus responsabile di Covid-19. Questo significa che chi ha fatto il vaccino anti-Covid, messo a punto sul virus originario, la variante Wuhan, ha un imprinting immunitario che gli consente solo in parte di rispondere a una variante molto diversa, come quest'ultima Omicron. "E' così che si spiega il calo di protezione registrato sul fronte delle vaccinazioni: se con la variante di Wuhan e quella Delta la protezione dall'infezione era pari al 95%, con la variante Omicron siamo scesi al 50%", spiega Sergio Abrignani, professore ordinario di Patologia generale all'Università degli studi di Milano, già componente del Comitato tecnico-scientifico. "Significa che grazie all'imprintig avuto la prima volta con il virus, il sistema immunitario - continua - riconosce solo alcuni degli amminoacidi presenti nei recettori che il virus utilizza per entrare nella cellula. Un riconoscimento parziale, quindi, che se non protegge dal contagio certamente offre un buon livello di protezione dalla malattia grave".

Tuttavia, Danny Altmann dell'Imperial College London, scienziato che sta studiando il fenomeno dell'imprinting immunitario con il virus Sars-CoV-2, si chiede: se è vero che il primo incontro con il virus, attraverso l'infezione o la vaccinazione, modella la successiva immunità attraverso l'imprinting immunitario, è possibile che questo possa causare una "cattiva" risposta alle nuove versioni del virus? In altre parole, quello che una volta veniva chiamato "peccato antigenico originale", cioè l'imprinting immunitario, può compromettere negativamente la risposta a varianti del virus Sars-CoV-2 molto diverse dalla versione del virus che per primi si è incontrata?

Il dubbio nasce da uno studio condotto da un team di ricercatori dell'Imperial College London su 700 operatori sanitari del Regno Unito. I risultati, pubblicati il mese scorso sulla rivista Science, suggeriscono che l'infezione da Omicron ha avuto scarsi o nessun effetto benefico nel potenziare qualsiasi parte del sistema immunitario - anticorpi, cellule B o cellule T - tra le persone che avevano avuto un imprinting immunitario con precedenti varianti di Sars-Cov-2.

Omicron non è benigna ma abile e furtiva

"Omicron è tutt'altro che un benigno potenziatore naturale dell'immunità vaccinale, come avremmo potuto pensare, ma è un evasore immunitario particolarmente furtivo", ha affermato Altmann. Con questa ipotesi i NoVax sono andati a nozze. Secondo la loro (il)logica, l'imprinting immunitario conseguente alla vaccinazione potrebbe compromettere la risposta alle nuove varianti del virus. Ipotesi, questam subito allontanata dagli immunologi.

Grazie all'imprinting oggi pochi morti

"Non è assolutamente così", sottolinea Abrignani. "E' grazie all'imprinting immunitario conseguente alla vaccinazione se oggi, a fronte di una così ampia ondata di contagi, continuiamo a registrare pochi casi gravi e morti. Anzi, tra i non vaccinati - continua - i casi gravi sono molto più frequenti che tra i non vaccinati". L'imprinting immunitario, infatti, non impedisce al nostro sistema immunitario ad affinare le conoscenze sul virus e le sue varianti.

Vaccini aggiornati a Omicron come booster

L'Organizzazione Mondiale della Sanità, il mese scorso, ha affermato che i vaccini aggiornati su Omicron possono essere utili come booster perché amplierebbero la protezione contro diverse varianti. Booster, non quindi alternativa. Il comitato consultivo della Food and Drug Administration degli Stati Uniti ha invece espresso parere favorevole a incorporare il materiale genetico di Omicron nei nuovi vaccini di richiamo. "Stiamo cercando di utilizzare fino all'ultimo grammo di ciò che possiamo dalla modellazione predittiva e dai dati che stanno emergendo, per cercare di anticipare un virus che è stato molto furbo", ha affermato Peter Marks, direttore del Centro della FDA per la valutazione e la ricerca biologica.

La sfida dei vaccini è ampliare la risposta

Moderna e BioNTech/Pfizer, i principali produttori di vaccini mRNA, hanno presentato dati di laboratorio che mostrano che le loro ultime versioni, mirate a Omicron, producono una potente risposta anticorpale contro le varianti BA.4 e BA.5. "Ora la sfida dei futuri vaccini Covid è quella di ampliare quanto più possibile la risposta immunitaria contro le varianti attuali e future", dice Abrignani. "E questo lo possiamo fare solo perché alle spalle abbiamo una buona parte della popolazione mondiale immunizzata con i vaccini attualmente disponibili", conclude.

Pfizer sotto indagine in Italia: i sospetti su 1,2 miliardi di profitti nascosti al fisco. Redazione Tgcom24 il 26 ottobre 2022.  

Il colosso farmaceutico Pfizer nel mirino delle autorità italiane. La Guardia di Finanza, in collaborazione con l'Agenzia delle Entrate, ha avviato una verifica fiscale che è ancora in corso e il cui esito non è definito. Indiscrezioni riportate dall'agenzia Bloomberg dicono che Pfizer avrebbe trasferito 1,2 miliardi di euro di profitti a divisioni in altri Paesi per evitare di pagare le tasse sugli utili.

Secondo quanto riporta l'agenzia Ansa, non c'è ancora verbale di accertamento e alla parte non è ancora stato notificato nulla. Le verifiche proseguiranno nei prossimi giorni. "Pfizer rispetta le leggi fiscali e i regolamenti italiani" ha dichiarato il portavoce della multinazionale, Pam Eisele, parlando di "accertamenti di routine" sui quali Pfizer si dice pronta a collaborare come sempre con le indagini.

L'indagine, scrive Bloomberg, è relativa agli anni 2017, 2018 e 2019, quindi prima della pandemia del Covid. L'agenzia riporta che Pfizer Italia avrebbe trasferito 1,2 miliardi di euro alle divisioni affiliate a Pfizer Production e Pfizer Manifacturing negli Stati Uniti e in Olanda per evitare le tasse sui profitti.

Pfizer e gli altri colossi che hanno (o hanno avuto) problemi con il fisco per miliardi di euro. Linda Di Benedetto il 28 Ottobre 2022 su Panorama.

L'inchiesta sul colosso del farma, con un presunto illecito sopra il miliardo di euro, riporta alla luce quello che è uno dei grossi problemi dell'evasione: i rapporti tra fisco e le grandi multinazionali  Mentre il Governo Meloni promette una serrata lotta all’evasione fiscale delle multinazionali scoppia il caso Pfizer. Il colosso farmaceutico è sotto la lente della Guardia di Finanza per evasione fiscale. L’indiscrezione partita dall’agenzia Bloomberg si riferisce ad una verifica delle fiamme gialle sulla società che avrebbe nascosto almeno 1,2 miliardi di euro, trasferendo denaro ad affiliate negli Stati Uniti e nei Paesi Bassi per evitare le tasse sugli utili. La filiale italiana della società che si trova alle porte di Roma-scrive Bloomberg-avrebbe inviato il capitale a consociate estere collegate a Pfizer Production LLC e Pfizer Manufacturing LLC con sede nel Delaware.

L’indagine sulla multinazionale con sede a New York è iniziata a febbraio e riguarda gli anni 2017, 2018 e 2019, un fatto quindi antecedente all’emergenza Covid e che ci è stato confermato dalle nostre fonti ma non è stato ancora notificato alla Pfizer perché in fase di verifica. L'azienda farmaceutica Pfizer é la più grande società del mondo operante nel settore della ricerca, della produzione e della commercializzazione di farmaci e con il Covid ha raddoppiato i suoi incassi dichiarando 37 miliardi di dollari di profitti nel 2021 ottenuti dalla vendita dei vaccini contro il Covid19. Ma Pfizer non è l’unica multinazionale ad aver avuto guai con il Fisco. Infatti negli ultimi anni sono numerose le società scoperte a trasferire i loro capitali utilizzando sempre lo schermo di società con sedi in Paesi dell’Unione Europea ma a fiscalità privilegiata come Lussemburgo, Belgio e Olanda e Gran Bretagna. «Le multinazionali per ridurre se non azzerare la tassazione, riescono a spostare i loro profitti in Paesi che garantiscono trattamenti favorevoli, anche se non tecnicamente Paradisi fiscali» commenta Marcello Ascenzi Commercialista e Revisore legale esperto di consulenza tributaria internazionale. In che modo le multinazionali eludono il fisco? «Le indagini della Commissione europea, sezione antitrust, hanno avuto il pregio di pubblicare le strutture attraverso le quali alcune multinazionali hanno risparmiato le imposte. Dalle verifiche della Commissione europea è emerso ad esempio il caso Apple, che attraverso una costruzione di società avrebbe avuto dall’Irlanda vantaggi fiscali per 13 miliardi di euro». Qual è la soluzione? «Il problema non è tanto la legalità o meno delle strutture societarie perché spesso ci troviamo davanti a pianificazioni conformi alle norme, bensì il risultato a cui giungono in termini di tassazione. Infatti alcuni gruppi societari riducono in maniera lecita la tassazione, a volte azzerandola (lo ha dimostrato la Commissione europea). Quindi risolvere il problema di una tassazione equa delle multinazionali non è facile visto l’interpretabilità delle norme vigenti e la facilità con cui grazie all’economia digitale si riesca a spostare facilmente redditi e patrimoni in cerca di risparmi fiscali. Ma oggi la ricerca dei grandi evasori deve essere la priorità al posto della caccia alle partite IVA dei piccoli imprenditori che con 25.000 euro di fatturato devono emettere fattura elettronica, perché considerati a rischio di divenire temibili evasori. Inoltre c’è da aggiungere che gli Stati stanno lavorando a sistemi di tassazione globale ma subentrano comunque interessi in gioco legati alla mercificazione delle imposte. Infatti alcuni Paesi garantiscono trattamenti favorevoli in cambio di posti di lavoro, know how che le multinazionali possono spostare, dando luogo a quella che qualcuno ha definito concorrenza tra Stati». Cosa si sta facendo attualmente per arginare il fenomeno? «La questione non è certo di poco conto e da diversi anni le organizzazioni internazionali tra cui OCSE, G20 e UE cercano di trovare regole comuni per arginare il fenomeno, troppo complesso per essere risolto dal singolo Paese. Nell’Unione europea oltre alle esigenze tributarie legate ad evasioni associate a comportamenti abusivi nella pianificazione fiscale, assume un ruolo centrale la tutela della concorrenza. In tale contesto la Commissione europea ha identificato una serie di tax ruling (accordi tra multinazionali e gli Stati UE), concessi da diversi Paesi dell’Unione astrattamente idonei a mettere in pericolo la concorrenza quindi il mercato e i piccoli operatori. Il problema non è solo il gettito del singolo Paese ma anche gli effetti sulla sua economia e sicuramente una accelerazione verso la soluzione aiuterebbe i bilanci del nostro Stato, nonché renderebbe più equo il mercato dei piccoli contro i giganti». Il report dei grandi evasori dell’Agenzia delle Entrate Apple Alla fine del 2015 la Apple ha pagato al Fisco italiano 318 milioni di euro, l’intera somma contestata dall’Agenzia delle Entrate, a seguito di una complessa indagine condotta, in particolare, dal nucleo antifrode e dall’Ufficio Grandi contribuenti. La società di Cupertino ha, infatti, siglato un accertamento con adesione accettando tutti i rilievi formulati dall’Amministrazione italiana, creando un precedente importante a livello internazionale. La notizia di questo accordo ha fatto il giro del mondo e il successo del Fisco italiano ha trovato spazio anche sulle pagine del Financial Times, del Telegraph e del Guardian, di El Pais, di Le Monde, del Times e del New York Times che scrive “è la prima volta che un singolo Paese europeo si focalizza sulla struttura fiscale complessa della società”.

Nel 2017 l’Agenzia delle Entrate e Google hanno siglato un accertamento con adesione per gli anni di imposta compresi tra i il 2009 e il 2013. In base all’adesione, Google ha accettato di pagare oltre 306 milioni di euro, comprensivi anche degli importi riferibili al biennio 2014 e 2015 e a un vecchio contenzioso relativo al periodo 2002-2006. Gli importi sono complessivamente riferibili sia a Google Italy che a Google Ireland. Amazon A fine 2017, l’Agenzia delle Entrate e Amazon hanno siglato un accertamento con adesione per gli anni di imposta compresi tra il 2011 e il 2015. In questo caso, Amazon ha accettato di pagare 100 milioni di euro. Gli importi sono riferibili sia ad Amazon EU S.ar.l che ad Amazon Italia Services srl. Facebook A novembre 2018 l’Agenzia delle Entrate e Facebook hanno siglato l’accertamento con adesione per chiudere la controversia relativa alle indagini fiscali condotte dalla Guardia di Finanza e coordinate dalla Procura della Repubblica di Milano, relative al periodo tra il 2010 e il 2016.Il percorso di definizione tra Agenzia delle Entrate e Facebook si è basato su una parziale riconfigurazione delle contestazioni iniziali, senza alcuna riduzione degli importi contestati, e ha dato luogo ad un pagamento di oltre 100 milioni di euro complessivamente riferibili a Facebook Italy Srl. Mediolanum A fine 2018 il Gruppo Mediolanum ha siglato con l’Agenzia delle Entrate l’accertamento con adesione relativo a contestazioni che hanno interessato i rapporti con la controllata Mediolanum International Funds Limited. Il percorso di adesione si è basato su una riconfigurazione delle iniziali contestazioni di esterovestizione, definendo la questione sul piano della rideterminazione dei prezzi di trasferimento per le annualità dal 2010 al 2013 e ha dato luogo a un pagamento di 79 milioni da parte del gruppo. Kering Il 9 maggio 2019, il gruppo Kering ha definito con l’Agenzia delle Entrate alcune contestazioni mosse alla propria controllata svizzera Luxury Goods International S.A. (LGI). La definizione, contraddistinta da un approfondito contraddittorio e da spirito collaborativo, ha riconosciuto che parte dei rilievi mossi in sede di verifica riguardano la sussistenza di una stabile organizzazione in Italia nel periodo tra il 2011 e il 2017. La definizione comporterà il pagamento di una maggiore imposta pari a 897 milioni di Euro, oltre a sanzioni e interessi per un totale di oltre 1,2 miliardi di euro. Ubs Nella prima metà del 2019 l’Agenzia delle Entrate ha chiuso l’accertamento con adesione con il gruppo Ubs che ha pagato quasi 102 milioni di euro. La sottoscrizione di atti di adesione da parte dell’istituto di credito elvetico si riferisce al periodo 2012- 2017 e prende le mosse dalla complessa attività di indagine del Settore Contrato illeciti dell’Agenzia delle entrate, di concerto con la Procura della Repubblica di Milano. I rilievi riguardano la mancata dichiarazione di redditi di capitale e redditi di impresa oltre alle sanzioni per la violazione degli obblighi sul monitoraggio fiscale. L’accordo ha permesso, inoltre, di formalizzare la presenza in Italia di UBS per le successive annualità di imposta, con la relativa presentazione della dichiarazione e la garanzia di entrate tributarie costanti nel nostro Paese. Netflix Il 24 marzo 2022, la società Netflix International BV ha sottoscritto due accertamenti con adesione per il mancato versamento delle imposte dovute Ires e Irap nel corso del quinquennio 2015-2019. L’accordo è stato finalizzato in data 29 marzo 2022 con il pagamento da parte di Netflix di 55,8 milioni di euro, in un’unica soluzione. Le indagini condotte dai nuclei di polizia tributaria avevano infatti rilevato l’esistenza sul territorio italiano di una stabile organizzazione che, tuttavia, non era stata formalmente costituita dalla società che eroga servizi streaming in abbonamento in tutto il mondo.

Bufera su Pfizer, indaga la Guardia di finanza: cosa sta succedendo. Le autorità italiane sospettano che la società abbia nascosto circa 1,2 miliardi di profitti nel periodo pre-Covid, trasferendoli dalla sua sede italiana verso altre filiali. Federico Garau il 26 Ottobre 2022 su Il Giornale. 

Pfizer Italia sotto la lente d'ingrandimento delle autorità nostrane. Il colosso farmaceutico oggi conosciuto per aver distribuito uno dei sieri anti-Covid, avrebbe occultato circa 1,2 miliardi di profitti nel periodo pre-pandemia, trasferendoli dalla sua sede italiana. Questi, almeno, i sospetti della Guardia di finanza, che ritiene che parte di questi profitti siano stati spostati negli Stati Uniti e in Olanda.

A riportare la sconcertante notizia, citando persone informate sui fatti, è Bloomberg, multinazionale operativa nel settore dei mass media con sede a New York e filiali in tutto il mondo. L'agenzia di stampa riferisce inoltre che gli accertamenti svolti dalle autorità italiane sarebbero relativi agli anni 2017, 2018 e 2019. A confermare la notizia è anche Ansa.

Tutto è ancora da verificare. Le fiamme gialle, in collaborazione con l'Agenzia delle Entrate, hanno deciso di avviare dei controlli su Pfizer Italia Srl, con sede fuori Roma, per presunti spostamenti di capitale alle filiali estere. Azioni finalizzate ad evitare le tasse sugli utili. Le sedi destinatarie sarebbero Pfizer Production LLC e Pfizer Manufacturing LLC, con sede nel Delaware.

La verifica fiscale è in corso, e al momento non si conosce l'esito. I controlli andranno avanti e vedremo nei prossimi giorni quali saranno i risultati delle indagini e come si muoveranno le autorità italiane.

Interpellata da Bloomberg, la portavoce di Pfizer Pam Eisele ha dichiarato che l'azienda farmaceutica "è in regola con il pagamento delle tasse e conforme ai requisiti richiesti dall'Italia".

"Le autorità fiscali italiane controllano e indagano regolarmente sulle tasse Pfizer e l'azienda collabora con tali controlli e indagini", ha quindi aggiunto la portavoce. "Pfizer rispetta le leggi fiscali e i regolamenti italiani" ha concluso.

La pandemia è stata gestita da organizzazioni globali private. Piccole Note il 18 ottobre 2022 su Il Giornale.  

L’autorevole mensile Politico e Die Welt, attraverso un’inchiesta approfondita di qua e di là dell’Atlantico, hanno scoperto l’acqua calda, cioè che a gestire l’emergenza pandemica a livello globale è stato Bill Gates e i suoi compagni di merende (titolo dell’articolo: “Come Bill Gates e i suoi partner hanno usato il loro potere per controllare la risposta globale al Covid, con scarsa supervisione”).

La pandemia, si legge nel reportage, ha colto il mondo di sorpresa, e “mentre le nazioni più potenti si occupavano di quanto stava accadendo al loro interno, quattro organizzazioni sanitarie globali non governative hanno iniziato a fare piani per una lotta per la vita o la morte contro un virus che non avrebbe conosciuto confini”.

Le quattro sorelle della beneficenza 

“Quello che è seguito è stato un passaggio di potere costante, quasi inesorabile, dai governi sopraffatti a un gruppo di organizzazioni non governative, secondo un’indagine durata sette mesi svolta da giornalisti di POLITICO – pubblicato negli Stati Uniti e in Europa – e del quotidiano tedesco WELT. Armate di esperienza, sostenute da contatti ai più alti livelli delle nazioni occidentali e forti di relazioni ben consolidate con i produttori di farmaci, le quattro organizzazioni hanno spesso assunto ruoli propri dei governi, ma senza avere la responsabilità dei governi”.

“Le quattro organizzazioni avevano lavorato insieme in passato e tre di loro condividevano una storia comune. La più grande e potente era la Bill & Melinda Gates Foundation, una delle più grandi filantropie del mondo. Poi c’era Gavi, l’organizzazione globale per i vaccini che Gates ha contribuito a fondare, nata per vaccinare le persone dei Paesi a basso reddito, e il Wellcome Trust, una fondazione di ricerca britannica con una dotazione multimiliardaria che aveva lavorato con la Gates Foundation negli anni precedenti. Infine, c’era la Coalition for Epidemic Preparedness Innovations, o CEPI, il gruppo internazionale di ricerca e sviluppo di vaccini che Gates e Wellcome hanno contribuito a creare nel 2017”.

Ci sembra più che sufficiente. Chi vuole, può leggere l’inchiesta integrale al link succitato. Citiamo tale articolo non solo perché palesa un particolare non secondario di quanto avvenuto nel passato, le cui criticità sono più che evidenti – anzitutto l’irresponsabilità dei gestori della crisi -, ma anche per un altro recente articolo, la cui lettura ci ha prodotto un effetto inquietante.

Giocare con il fuoco

Riportiamo uno studio prodotto della Boston University pubblicato su Biorxiv, una rivista supportata dalla Chan Zukerberg Initiative, istituzione nata nel 2015 che, come declina il sito ufficiale, ha lo scopo di “eradicare le malattie e migliorare l’istruzione, fino ad affrontare i bisogni delle nostre comunità locali. La nostra missione è costruire un futuro più inclusivo, giusto e sano per tutti”.

Così l’abstract dello studio che ha attirato il nostro interesse: “La variante SARS-CoV-2 Omicron (BA.1) recentemente identificata e predominante a livello globale è molto trasmissibile, anche in persone completamente vaccinate, e provoca una malattia attenuata rispetto alle principali varianti virali finora identificate. La proteina Omicron spike (S), che presenta un numero insolitamente elevato di mutazioni, è considerata il principale driver di questi fenotipi. Abbiamo generato un SARS-CoV-2 ricombinante chimerico che codifica il gene S di Omicron all’interno di un SARS-CoV-2 primitivo e abbiamo confrontato questo virus con la variante di Omicron che sta circolando in natura”.

“Il virus Omicron S sfugge completamente all’immunità indotta dal vaccino, soprattutto a causa delle mutazioni indotte nel recettore” e si replica in cellule che la Omicron non aggredisce. Nei topi modificati per testare più efficacemente gli effetti dei virus sugli uomini, identificati come K18-hACE2, “mentre la Omicron causa un’infezione lieve e non fatale, il virus portatore di Omicron S causa una malattia grave con un tasso di mortalità dell’80%”.

Poco da aggiungere se non che a giocare con i virus chimera si rischia di combinare disastri. Forse sarebbe il caso che i paraguru di internet si limitassero a fare il loro mestiere, evitando di cimentarsi, da apprendisti stregoni, alla salute del mondo. Hanno già procurato fin troppi danni.

Francesca De Benedetti per editorialedomani.it il 28 ottobre 2022.

«Ho appreso con una lettera che Heiko von der Leyen ha rinunciato alla nomina», dice a Domani Rosario Rizzuto, ex rettore dell’università di Padova e oggi presidente di uno dei progetti più promettenti tra quelli finanziati coi fondi del Pnrr, il Centro nazionale di ricerca “Sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a Rna”. 

Si tratta di un polo di ricerca e sviluppo che farà da traino a farmaci di nuova generazione. Tra i privati coinvolti nel progetto ci sono anche colossi globali del farmaco come Pfizer, BioNTech, AstraZeneca, Sanofi, e c’è pure –  tuttora – Orgenesis, per la quale lavora il marito della presidente della Commissione europea.

Heiko von der Leyen, che con l’etichetta di “direttore medico” figura nel team di gestione di Orgenesis, aveva attirato le attenzioni della stampa italiana ed estera perché il suo nome figurava nel comitato di sorveglianza del progetto finanziato con il Pnrr. 

Il first gentleman dell’Ue ha quindi espunto il suo nome da quella lista. «Ho saputo che ha rinunciato all’incarico tramite una lettera, nella quale non fornisce una motivazione», racconta Rizzuto.

Quel cognome, von der Leyen, finito dentro un progetto finanziato coi fondi europei, ha suscitato scalpore. 

La presidente della Commissione europea è già nell’occhio del ciclone per aver negoziato con Pfizer a colpi di messaggini e telefonate, il che ha scatenato un’indagine della procura europea. 

Le dimissioni del marito dal comitato di sorveglianza possono essere lette come una scelta di opportunità, ma in termini di sostanza contano poco: non implicano che l’azienda Orgenesis sia fuori dal progetto, né che von der Leyen (Heiko) sia fuori dall’azienda. 

Anzi, visto che ora il comitato di sorveglianza ha 16 membri invece dei 17 previsti, non è da escludere che il nuovo nome non arrivi da Orgenesis stessa. 

L’azienda «biotecnologica globale che opera per sbloccare il potenziale delle terapie cellulari e geniche», come da sua definizione, ha il quartier generale nel Maryland, negli Stati Uniti, ma ha già una presenza italiana.

Risale a fine marzo 2021 l’annuncio di un accordo di collaborazione con l’ospedale Bambino Gesù di Roma per lo sviluppo di un centro per la terapia cellulare e genica. 

Cosa ci fa una «azienda globale» dentro un progetto finanziato col Pnrr? «Il requisito è che le aziende abbiano una sede operativa italiana», risponde Rizzuto; e a quanto pare Orgenesis, come pure Pfizer, ha questo requisito. 

Ed è proprio il gancio con il Bambino Gesù che porta l’azienda per la quale lavora il marito di von der Leyen dentro il contenitore di Padova. 

Per la precisione, Orgenesis è coinvolta nello “spoke 10” delle terapie geniche – lo hub scientifico si sviluppa in varie diramazioni – che ha tra i referenti scientifici competenti Franco Locatelli, direttore del dipartimento di oncoematologia pediatrica del Bambino Gesù, nonché presidente del Consiglio superiore di sanità e membro del Comitato tecnico scientifico.

Resta da spiegare in cosa consiste il progetto e perché ha attirato i colossi farmaceutici oltre che Orgenesis.

Il punto dirimente non sono tanto i finanziamenti pubblici diretti: spiega il presidente che «alle compagnie private vanno solo quattro dei 320 milioni» di fondi pubblici, e a Orgenesis nello specifico «va un millesimo, visto che riceve 380mila euro, e deve peraltro versarne 250mila come contributo per essere parte della fondazione». 

Il vero investimento è stare dentro un processo di ricerca e sviluppo finanziato con fondi pubblici, ma che è proiettato verso i farmaci del futuro. 

Gli “spoke”, le diramazioni del centro, lavorano su malattie genetiche, neurodegenerative (alzheimer, parkinson), metaboliche e cardiovascolari (come il diabete), infiammatorie e infettive (il Covid ha mostrato quanto questo ramo possa essere cruciale).

L’obiettivo del centro per lo sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia rna è «prendere una conoscenza scientifica consolidata e farla diventare un nuovo progetto di farmaco», come dice il presidente stesso. 

I farmaci del futuro saranno sempre più mirati, di conseguenza si rivolgeranno a gruppi di pazienti sempre più piccoli, e perciò il processo diventa più costoso. 

Lo hub che ha il suo perno a Padova inizia i lavori con fondi pubblici e con le eccellenze della ricerca italiana: ci sono 25 enti pubblici del sistema universitario, centinaia di ricercatori; partecipano sette istituti italiani di tecnologia; partecipano anche Humanitas, San Raffaele, Bambino Gesù, fondazione Telethon.

Ma ci sono anche una grande banca, Intesa San Paolo, e sedici aziende. Perché AstraZeneca, BioNTech, Pfizer, Orgenesis oltre che aziende della farmaceutica italiana sono dentro? 

Lo schema, già visto coi vaccini anti covid in sede europea, è stato il finanziamento pubblico – anche dell’Ue – alla ricerca e allo sviluppo, ma poi un acquisto dei farmaci gestito “senza sconti” dal pubblico. Chi blinderà le conquiste del centro, e come?

Il primo novembre lo hub inizia le sue attività eppure questo fronte resta scoperto. Anche se formalmente gli enti pubblici sono la maggioranza sui 49 enti coinvolti, i privati fanno parte sia della fondazione, che del comitato di gestione e di quello di sorveglianza (dal quale si è ora dimesso von der Leyen). 

Attualmente allo hub arrivano 320 milioni di contributo dal ministero dell’università e ricerca (la missione del Pnrr è quella relativa a istruzione e ricerca, appunto) e meno di nove milioni di cofinanziamento privato.

Una volta che si sarà arrivati a due passi dal prototipo di farmaco, fare il passo finale «sarà compito delle spin off che nasceranno o delle licenze che saranno date a chi acquisisce la nuova proprietà intellettuale», spiega Rizzuto. 

E chi la acquisirà? «Sicuramente chi la ha generata, ma quello che dobbiamo ancora disegnare è come il centro che si è costituito ne avrà uno spicchio in modo da poter reinvestire». Insomma, di certo ci sono i fondi pubblici per la ricerca e lo sviluppo; ma sui farmaci del futuro, c’è ancora molto da definire. Perciò Big Pharma guarda a Padova con molta attenzione.

Michela Nicolussi Moro per corrieredelveneto.corriere.it il 18 ottobre 2022.

Mentre la moglie, prima donna presidente della Commissione europea, deve vedersela, tra gli altri mille impegni, con la grana dell’acquisto e della distribuzione dei vaccini anti-Covid, lui partecipa a un progetto di ricerca fondamentale per la salute pubblica, affidato all’Università di Padova. Heiko von der Leyen, appunto consorte di Ursula, medico e direttore scientifico della società biotech statunitense Orgenesis, specializzata in terapie cellulari e geniche e in prima linea proprio nella realizzazione dei vaccini anti-Covid a Rna, siede nella Fondazione creata l’8 giugno scorso dall’Ateneo padovano per gestire il filone di ricerca su terapia genica e farmaci a Rna. 

Un piano finanziato dal Pnrr con 320 milioni di euro corrisposti al ministero dell’Università e coordinato dal professor Rosario Rizzuto. Il 30 settembre si è svolta a Padova, in modalità telematica, l’assemblea ordinaria dei membri della Fondazione «Centro nazionale di ricerca e sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a Rna», che ha appunto eletto i rappresentanti dei suoi organi di governo. 

Collaborazione pubblico-privato

«Le istituzioni pubbliche e private che partecipano al progetto hanno scelto i propri rappresentanti per il Consiglio di sorveglianza e per il Consiglio di gestione della Fondazione e la Orgenesis ci ha indicato Heiko von der Leyen — spiega il professor Rizzuto, ricercatore, docente di Patologia generale e già rettore —. È stato nominato nel Consiglio di sorveglianza, che periodicamente verificherà la condotta e l’operato del Consiglio di gestione, responsabile dell’amministrazione del centro di ricerca e delle scelte operative e da me presieduto». 

E anche per rispondere alle polemiche dei no vax, che puntano il dito sulla presenza di von der Leyen perché esponente di «una delle imprese di Big Pharma a cui viene consentito l’accesso a ingenti risorse del Pnrr», lo scienziato precisa: «Gran parte del finanziamento ottenuto, cioè 316 milioni di euro, va agli enti di ricerca pubblici, gli altri 4 ai privati partecipanti, perché le indicazioni contenute nel bando di concorso prevedono una collaborazione tra pubblico e privato.

L’obiettivo è di costruire una filiera di ricerca e innovazione che permetta all’Italia di essere competitiva nelle tecnologie su cui si basano cure sempre più mirate, sia per le patologie ad alto impatto socio-economico sia per le malattie rare, spesso trascurate dall’ottica del profitto. La ricaduta sarà non solo una crescita economica basata su innovazione e sapere, ma anche una rinnovata capacità del Sistema sanitario nazionale di sviluppare e detenere le tecnologie indispensabili a curare, in modo economicamente sostenibile, tutti i cittadini con farmaci di ultima generazione». 

I partner

Il programma di ricerca viene sviluppato attraverso una struttura formata da un Hub, appunto l’Università di Padova, e da Spoke, 49 soggetti tra cui gli Atenei di Siena, Modena, Roma e Milano, l’Istituto italiano di Tecnologia, l’ospedale Bambin Gesù di Roma, con il professor Franco Locatelli, e tre aziende. La padovana «Stevanato Group», che si occupa di biomedicale, la casa farmaceutica «Sanofi» e la bresciana «Antares Vision spa», operativa nel settore di rilevazione e marcatura prodotti. Von der Leien rappresenta una delle aziende coinvolte nel progetto, che possono essere «fondatori», e allora ricevono 200mila euro di contributi l’anno e hanno i propri rappresentanti in entrambi i consigli, o «sostenitori», senza contributi. La Orgenesis fa parte del primo gruppo. 

Farmaci costosi, meglio «farli in casa»

«Abbiamo nominato anche un Comitato scientifico internazionale, per discutere le applicazioni e l’avanzamento dei progetti di ricerca, già selezionati quest’estate e inviati al Mur, che li ha valutati con un panel di revisori internazionali — illustra Rizzuto —. Sono poi stati scelti i gruppi di ricerca. Il progetto dura tre anni e prevede lo sviluppo di nuovi farmaci a Rna attraverso una rendicontazione attenta al ministero, che valuterà passo passo le spese sostenute. 

Come detto, l’obiettivo è di rendere l’Italia competitiva nella produzione dell’ultima frontiera dei farmaci, in grado di colpire bersagli sempre più mirati a seconda dello stato della malattia nel singolo, quindi indirizzati a sviluppare la medicina personalizzata. Si tratta di prodotti dai costi sempre più elevati, quindi se il nostro Paese non li produrrà da sè, sarà costretto a comprarli, affrontando una spesa altissima per il Sistema sanitario nazionale — avverte il ricercatore —. Con la ricaduta che poi qualche paziente potrebbe essere escluso dalle nuove cure e non è accettabile».

Gli altri centri finanziati con il Pnrr

L’Università di Padova è uno dei cinque centri a cui sono andati i fondi del Pnrr. Gli altri sono il Politecnico di Milano, che si occuperà di Mobilità sostenibile; l’Università Federico II di Napoli per l’Agroalimentare; il Cnr nazionale sul fronte delle Biodiversità; e l’Istituto nazionale di Fisica nucleare per il Computing di alta efficienza.

Emergenza Covid x files. Redazione L'Identità il 15 Ottobre 2022

Se sarà una tempesta in un bicchier d’acqua lo scopriremo solo vivendo, ma la notizia c’è, eccome. Janine Small, alta rappresentante della Pfizer (si occupa dell’area commerciale e delle relative connessioni internazionali) è stata ascoltata nel corso di un’audizione, a porte chiuse, al Parlamento europeo. Era presente in luogo dell’amministratore delegato della grande casa farmaceutica, Albert Bourla, il quale aveva declinato la convocazione. Ebbene, le è stato chiesto di riferire se il noto vaccino a mRNA Comirnaty fosse stato testato, prima dell’immissione in commercio, sulla prevenzione della trasmissione del virus oltre che su quella della malattia.

A precisa domanda di Rob Roos, deputato del partito conservatore Erc (European conservatives and reformists), la signora Small ha testualmente risposto: “Mi chiede se sapevamo se il vaccino interrompesse o no la trasmissione prima di immetterlo sul mercato? Ma no! Sa, dovevamo davvero muoverci alla velocità della scienza”. Al sorprendente responso ha dato ampio risalto, nella giornata di ieri, il quotidiano. E ne discende una domanda altrettanto provocatoria di quella con cui la Small ha replicato a Rob Roos: si è resa conto, la dirigente di Pfizer, delle conseguenze potenzialmente esplosive (anche, se non soprattutto, sul piano giuridico) delle sue affermazioni? Probabilmente no, considerato il tono ilare e stupefatto con cui la nostra ha pronunciato quelle parole.

Eppure, la storia di quanto accaduto negli ultimi due anni avrebbe dovuto farle immaginare lo scalpore successivo. Infatti, tutta la campagna non solo vaccinale ma di plurime misure emergenziali del periodo pandemico (green pass in primis) è stata impostata sulla base di convinzioni opposte rispetto a quanto rivelato in audizione. E cioè sul presupposto che il vaccino anti-Covid fosse idoneo a impedire la catena dei contagi. Solo questo “antecedente” fattuale, scientifico, legale, e financo logico, può costituire una ratio adeguata all’imposizione del green pass a categorie sempre più ampie di lavoratori e a un numero via via crescente di luoghi, situazioni, circostanze. Togliendolo, viene meno la giustificazione dell’impalcatura di comandi, divieti, discriminazioni “legittime” introdotte con le misure emergenziali del biennio scorso. A traballare potrebbe essere persino l’ammissibilità dell’obbligo vaccinale per i sanitari se è vero, come è vero, che il Decreto legge 44/2021 istitutivo del medesimo era finalizzato, testualmente, alla “prevenzione del contagio da Covid-19”. Oppure si pensi al decreto 52 istitutivo del cosiddetto green-pass mirante a “contenere e contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19”.

Ora, spostiamo lo sguardo sul futuro. Più precisamente, verso i prevedibili esiti di tale “spensierata” rivelazione sul piano del diritto e su quello della politica. Sotto il primo aspetto, potrebbe conseguirne un’ondata di azioni giudiziarie, ai più diversi livelli, intentate da tutti coloro i quali hanno patito danni, patrimoniali e non, anche ingenti per effetto delle misure di cui sopra: dalla sospensione dello stipendio alla perdita del lavoro nella sfera professionale, dalla compromissione dei diritti civili fondamentali a più gravi ricadute psicologiche sul piano esistenziale in senso lato. E potrebbe anche discenderne l’innesco di iniziative giudiziarie penali in considerazione dell’importanza dei diritti compromessi e della gravità dei pregiudizi derivati. Ma la dimensione politica di questo vero e proprio “caso” ha profondità persino più vaste e, al momento, insondabili. Quale potrebbe, anzi quale dovrebbe essere l’impatto di tale “confessione” sulle istituzioni che, a vario titolo, hanno promosso o assecondato ogni singola misura dettata dal fallace convincimento mandato in frantumi dalle dichiarazioni della Small? Ovviamente, tutto dipenderà dalla “consapevolezza” dei cosiddetti decision makers: essi erano al corrente di quanto asserito dalla rappresentante di Pfizer? E se sì, da quando? E se no, può applicarsi a tale vicenda il noto principio del “non potevano non sapere” già impiegato in vicende altrettanto gravi del nostro passato? Mille sono le sfumature di grigio tra una condotta innocente e una colposa e altrettante tra una colposa e una dolosa. In questa storia, insomma, ricorrono tutte le premesse per una tempesta. E forse non in un bicchier d’acqua.

Vaccini mai testati sulla trasmissione: l’ammissione di Pfizer sbugiarda media e autorità. Enrica Perucchietti su L'Indipendente il 13 ottobre 2022.

Lunedì, al Parlamento europeo, si è svolta l’audizione di Janine Small, presidente della sezione della Pfizer dedicata allo sviluppo dei mercati internazionali. Al suo posto ci sarebbe dovuto essere Albert Bourla, amministratore delegato della casa farmaceutica, per rispondere a domande scomode riguardo alle modalità di stipulazione dei contratti e per chiarire la questione sui messaggi privati che si era scambiato con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. 

Nonostante la defezione di Bourla e l’irritazione di Kathleen Van Brempt, presidente della Commissione, non è mancato un colpo di scena. Rob Roos, eurodeputato olandese del Gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei, ha rivolto alla Small una domanda secca, prendendola in contropiede. «Il vaccino Pfizer Covid è stato testato per fermare la trasmissione del virus prima che entrasse nel mercato?». Small ha risposto con un sorriso beffardo: «Mi chiede se sapevamo che il vaccino interrompesse o no la trasmissione prima di immetterlo sul mercato? Ma no. Sa, dovevamo davvero muoverci alla velocità della scienza». 

La dichiarazione della dirigente di Pfizer è diventata virale, in verità più sui social che non sui media mainstream, che alla notizia hanno dedicato poca o nulla attenzione, se non con goffi tentativi di debunking come nel caso del giornale Open.

L’ammissione di Small sgretola definitivamente le basi scientifiche sulle quali si poggiavano i Decreti Legge sull’introduzione del green pass e dell’obbligo vaccinale. Ha inoltre dimostrato come fosse infondato il paternalismo con cui si è inculcato nei cittadini un presunto dovere civico a vaccinarsi per non far ammalare le altre persone (Licia Ronzulli: «Chi non si vaccina è un irresponsabile, egoista e opportunista»). 

Ora è definitivamente certificato che la dichiarazione del luglio 2021 fatta da Mario Draghi a supporto dell’introduzione del green pass come «garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose» era una bufala. Ancora il 15 dicembre 2021 a Montecitorio, Draghi ribadiva il concetto, invitando a sottoporsi alla terza dose: «Vaccinarsi è essenziale per proteggere noi stessi, i nostri cari, la nostra comunità. Ed è essenziale per continuare a tenere aperta l’economia, le scuole, i luoghi della socialità, come siamo riusciti a fare fino ad ora». 

Come accennato, inutile il tentativo di debunking di Open, per cui “I vaccini non prevengono il contagio, bensì le forme gravi di Covid”. La narrazione mainstream, volta a convertire l’opinione pubblica sulla strada per gli hub vaccinali, si è per mesi assestata sul mantra che l’efficacia del vaccino fosse quasi totale e che il siero bloccasse la trasmissione del contagio, modificandosi solo alla prova dei fatti nei mesi successivi. 

Nel novembre 2020 era stata proprio Pfizer a dichiarare che i primi dati mostravano che il suo vaccino sperimentale aveva un’efficacia di oltre il 90% nel prevenire il Covid-19. «Questo è un momento storico», aveva commentato detto in un’intervista Kathrin Jansen, vicepresidente senior e capo della ricerca e sviluppo sui vaccini presso Pfizer. Secondo Ugur Sahin, co-fondatore di BioNTech, «il vaccino potrebbe impedire a oltre il 90% delle persone di contrarre il Covid-19». La notizia era stata commentata con entusiasmo da Joe Biden, Anthony Fauci e Rochelle Walensky, direttrice del CDC, secondo cui i vaccini anti-Covid «riducono il rischio di infezione del 91% per le persone completamente vaccinate».  

L’idea che il vaccino bloccasse il contagio è stata promossa dalla politica che su questo falso pilastro ha costruito un sistema di misure draconiane. Su queste false premesse scientifiche si è poi indotta la criminalizzazione dei non vaccinati (Pierpaolo Sileri: «Renderemo difficile la vita ai no vax, sono pericolosi»; Giuliano Cazzola: «Serve Bava Beccaris, vanno sfamati col piombo»; Matteo Bassetti: «Vanno trattati come tali, sono un movimento sovversivo, sono dei terroristi») e la patologizzazione del dissenso (Umberto Galimberti: « I no vax sono pazzi e vanno curati»). Ai renitenti all’inoculazione sono state così addossate tutte le colpe della società e si è auspicato persino di far loro pagare le cure in caso di ricovero ospedaliero.  

I media hanno alimentato questa spirale di violenza (ad esempio il direttore di Domani, Stefano Feltri: «Escludiamo chi non si vaccina dalla vita civile»), invitando a stanare i dissidenti e ancorando nell’opinione pubblica l’idea che un non vaccinato fosse malato e un pericoloso untore. Ora, grazie all’ammissione di Janine Small, questo castello di menzogne sta definitivamente crollando. [di Enrica Perucchietti]

Vaccino, schiaffo di Pfizer all'Europa. Il ceo Bourla si rifiuta di testimoniare sugli sms con von der Leyen. Dario Martini su Il Tempo il 02 ottobre 2022

Il numero uno di Pfizer, Albert Bourla, si rifiuta di comparire in audizione al Parlamento europeo. La belga Kathleen Van Brempt, presidente della commissione speciale che indaga sugli acquisti dei vaccini contro il Covid, non può far altro che esprimere «profondo rammarico». L'amministratore delegato del colosso farmaceutico americano era atteso per il 10 ottobre. Sarebbe stata l'occasione perfetta per scoprire cosa c'era scritto negli sms che a inizio 2021 si scambiò con la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, prima del terzo contratto da 1,8 miliardi di dosi.

Un fatto a dir poco irrituale, in barba alle norme di trasparenza che regolano trattative di questo tipo. Come riporta Politico.eu, il portavoce dell'azienda che produce il siero Comirnaty ha fatto sapere che all'audizione in Commissione, al posto di Bourla, interverrà Janine Small, responsabile del gruppo per lo sviluppo dei mercati internazionali. Non sarà la stessa cosa, dal momento che solo Bourla può fare chiarezza sui messaggi privati ricevuti da von der Leyen. Anche lei si è sempre trincerata dietro il più assoluto silenzio, nonostante che sul caso si sia attivato anche il Mediatore europeo (Ombudsman) Emily ÒReilly, che ha chiesto ripetutamente alla Commissione di produrre quei messaggi.

Lo scorso giugno, quando non era più possibile evadere tale richiesta, la Commissione ha fatto sapere di essere impossibilitata a consegnarli per il semplice fatto che non sono stati conservati. L'Ombudsman si è dovuto accontentare di questa spiegazione: «Quando un documento redatto o ricevuto dalla Commissione non contiene informazioni importanti e/o è effimero e/o non ricade nella sfera istituzionale di responsabilità dell'istituzione, non soddisfa i criteri per la registrazione e, pertanto, non viene registrato. Tali documenti effimeri non vengono conservati e, di conseguenza, non sono nelle disponibilità dell'istituzione». Nei giorni scorsi è intervenuta anche la Corte dei conti Ue, secondo cui la Commissione «non ha rispettato le procedure in uso per i contratti».

Nella sua ultima relazione l'organismo di controllo comunitario ha sollevato il dubbio che siano stati acquisti 1,4 miliardi di vaccini di troppo, costati in media 15 euro l'uno. In tutto la Ue ha comprato 4,6 miliardi di dosi, con contratti di «acquisto anticipato» e un esborso di 71 miliardi di euro. Le dosi consegnate da Pfizer sono 2,4 miliardi, di cui 1,8 sarebbero proprio quelle concordate «privatamente» tra von der Leyen e Bourla, quindi al di fuori delle consuete e regolari procedure. La Lega ha presentato diverse interrogazioni per cercare di arrivare alla verità. Ancora oggi continua nella sua battaglia. Per l'europarlamentare Stefania Zambelli, componente della commissione speciale sul Covid, quello di Bourla è «l'ennesimo episodio di una storia piena di lati oscuri». «Prima il caso dello scambio degli sms, in piena pandemia, per negoziare accordi commerciali: messaggi di testo ancora oggi tenuti nascosti, nonostante le richieste del Mediatore europeo, con un atteggiamento vergognoso e del tutto sprezzante della tanto decantata trasparenza da parte delle istituzioni, biasimato anche dalla Corte dei Conti Ue. Dopo il silenzio di von der Leyen, Bourla aveva l'opportunità di fare chiarezza al Parlamento europeo, ma ha preferito svignarsela. Perché tutti questi segreti? Cos' hanno da nascondere ai cittadini europei?».

Contratti sui vaccini: il presidente di Pfizer rifiuta di comparire al Parlamento europeo. Giorgia Audiello su L'Indipendente il 4 Ottobre 2022.

Il presidente di Pfizer, Albert Bourla, ha fatto sapere che non comparirà all’audizione presso il Parlamento europeo prevista il prossimo 10 ottobre e indetta dalla Commissione speciale europea che sta indagando sulla trasparenza delle procedure contrattuali inerenti ai vaccini anti-Covid 19. Bourla non ha fornito dettagli sulla sua scelta di non presentarsi in audizione: quello che si sa è che avrebbe dovuto rispondere a domande scomode riguardo alle modalità di stipulazione dei contratti. Nella vicenda risulta coinvolta anche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che, insieme al numero uno di Pfizer, sembrerebbe non avere rispettato le procedure negoziali standard adottate per la stipula di altri accordi. Il che ha attirato l’attenzione di due organi di vigilanza che stanno indagando sui fatti: l’Ombudsman europeo, guidato da Emily O’Reilly, e la Corte dei conti Ue.

Il rapporto della Corte dei conti europea ha rilevato, infatti, che la von der Leyen sarebbe stata coinvolta direttamente nei negoziati preliminari per il più grande contratto europeo sui vaccini anti-Covid 19, il quale prevedeva la fornitura di 1,8 miliardi di dosi, mentre la procedura negoziale generalmente seguita prevede colloqui esplorativi condotti da una squadra negoziale congiunta composta da funzionari della Commissione e dei Paesi membri. Oltre a ciò, la Commissione ha rifiutato di fornire le prove delle trattative con Pfizer, tra cui i verbali e, soprattutto, i messaggi di testo scambiati tra la von der Leyen e Bourla in vista del terzo contratto da 1,8 miliardi di dosi. La Commissione ha detto di non poterli consegnare al comitato d’inchiesta, in quanto sarebbero stati cancellati.

La questione degli sms era stata sollevata nell’aprile del 2021, quando il New York Times aveva riferito lo scambio di messaggi tra la von der Leyen e Bourla e la relativa richiesta di renderli pubblici. Quando Bruxelles ha fatto sapere di non poterli rendere accessibili poiché non erano stati conservati, è stata effettuata una denuncia presso il mediatore europeo, giustificata dal fatto che gli sms rientrano nel concetto di “documento”, previsto dal regolamento 104/2001. Nell’audizione prevista il prossimo 10 ottobre, dunque, il presidente di Pfizer avrebbe dovuto chiarire questo e altri aspetti, ma il portavoce dell’azienda farmaceutica ha fatto sapere che al suo posto interverrà Janine Small, responsabile del gruppo per lo sviluppo dei mercati internazionali. Tuttavia, non sarà la stessa cosa, dal momento che solo Bourla può fare chiarezza sui messaggi privati ricevuti da von der Leyen. Anche quest’ultima, del resto, non si è espressa sull’argomento, trincerandosi dietro un sospetto “silenzio stampa”, nonostante il mediatore europeo, Emily ÒReilly, abbia fatto pressione per avere chiarimenti in merito.

Dal canto suo, la belga Kathleen Van Brempt, presidente della commissione speciale che indaga sugli acquisti dei vaccini anti-Covid, ha riferito a Politico di essere «profondamente rammaricata» per la decisione di Bourla di non testimoniare in Parlamento europeo. Ancora una volta, dunque, non ci sarà probabilmente la possibilità di fare luce su una questione della massima importanza che riguarda tutti i cittadini europei e che rischia di trasformarsi in una valanga per gli attori direttamente coinvolti nella vicenda, i quali sembrano voler sfuggire alle loro responsabilità, rendendo così ancora più grave e sospetta la loro posizione.

Ursula Von der Leyen e Pfizer, esplode il caso dei messaggi spariti. Dario Martini (Il Tempo): "Non verranno mai trovati". Il Tempo il 02 luglio 2022

Gli sms della trattativa tra Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, e Alberto Bourla, amministratore delegato di Pfizer, per l’acquisto del vaccino contro il Covid-19 sono spariti nel nulla. Secondo uno scoop del New York Times dell'aprile 2021 gran parte della trattativa per l'acquisto dei sieri per l'Europa era avvenuto attraverso uno scambio di sms (anche Whatsapp) tra la presidente von der Leyen e l'ad della casa farmaceutica Bourla.

Il caso della scomparsa dei messaggi è stato trattato sulle pagine de Il Tempo dal giornalista Dario Martini, che è stato intervistato da Radio Radio nel corso della trasmissione Lavori in Corso: “Secondo me questi messaggi non verranno mai trovati, considerando quello che è successo negli ultimi mesi: se avessero voluto, li avrebbero fatti uscire subito.

All’inizio sembrava che la Commissione europea cadesse dalle nuvole, poi aveva ammesso che la Presidente aveva scambiato dei messaggi con Bourla, senza però tirarli mai fuori. Ora la Commissione stessa dice che sono scomparsi e che non sarebbero mai stati registrati. Basterebbe che chiedessero a Von der Leyen se li ha conservati sul suo telefono, no? Non c’è per niente chiarezza”.

“Bisogna anche pensare - dice ancora Martini - in che periodo eravamo. Era il 2020 e la Commissione europea stava cercando in tutti i modi di preparare le scorte per vaccinare la maggior parte della popolazione. C’erano varie aziende che stavano lavorando a questo, Pfizer era una tra queste, ma c’erano anche Astrazeneca, Johnson & Johnson e Moderna. Erano trattative importanti per assicurare sia il farmaco migliore sia le condizioni economiche più vantaggiose. C’era proprio un tema di concorrenza tra vari colossi farmaceutici per arrivare per primi al traguardo. Come sappiamo, Pfizer è arrivata per prima. Poi c’è stato il caso di Astrazeneca, che in Gran Bretagna è stato usato ampiamente, mentre nell’Unione europea è stato accantonato dopo qualche mese. Astrazeneca che, tra l’altro, costava pochissimo rispetto a Pfizer. Capire come sono state condotte le trattative è fondamentale e il difensore civico europeo voleva proprio capire quello ‘come sono stati stipulati questi contratti?’ Sarebbe bene avere trasparenza su questo”. 

“Che poi, mettiamo che i messaggi siano stati veramente cancellati, in fondo erano privati, almeno la Presidente avrebbe potuto dare spiegazioni, cosa che non ha mai fatto. Questo è - chiosa Martini - un altro segnale che mi fa pensare che non ne sapremo mai il contenuto“.

Vaccino, scomparsi i messaggi tra Ursula von der Leyen e il Ceo Pfizer. Il caso scuote l'Ue. Il Tempo il 29 giugno 2022

La Commissione Europea non ha conservato e quindi non ha fornito i messaggi di testo che si sono scambiati la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e il Ceo di Pfizer Albert Bourla dal primo gennaio 2021 in poi, quando l’Ue lottava per avere i vaccini necessari a immunizzare la popolazione contro la Covid-19 e ci è riuscita solo grazie al colosso farmaceutico Usa. 

A chiederli era stato un giornalista che lavora a Bruxelles, dopo averne letto sul New York Times, facendo una regolare richiesta di accesso agli atti, che gli era stata negata. Insoddisfatto della risposta, il cronista si è rivolto all’Ombudsman europeo, Emily ÒReilly, che ha chiesto alla Commissione di produrre quei messaggi. Ora la Commissione ha risposto all’Ombudsman che «quando un documento redatto o ricevuto dalla Commissione non contiene informazioni importanti e/o è effimero e/o non ricade nella sfera istituzionale di responsabilità dell’istituzione, non soddisfa i criteri per la registrazione e, pertanto, non viene registrato. Tali documenti effimeri non vengono conservati e, di conseguenza, non sono nelle disponibilità dell’istituzione». 

Il mediatore aveva chiesto al gabinetto della presidente della Commissione di identificare solo i documenti che soddisfano i suoi criteri di registrazione. In quanto tale, il gabinetto della presidente della Commissione non era tenuto a identificare alcun messaggio di testo e la Commissione non ha pertanto valutato se tali messaggi dovessero essere divulgati. Il mediatore ritiene che ciò costituisca cattiva amministrazione e che la risposta fornita «non sia soddisfacente». Per far fronte a ciò, ha raccomandato alla Commissione di chiedere al gabinetto di von der Leyen di cercare nuovamente i messaggi pertinenti, chiarendo che la ricerca non dovrebbe essere limitata ai documenti registrati o ai documenti che soddisfano i suoi criteri di registrazione. La decisione finale verrà pubblicata nelle prossime settimane, con un’analisi dettagliata. Ma il caso è destinato ad esplodere già nelle prossime ore.

Ombre su Ursula Von der Leyen e il vaccino: quei messaggi nascosti con l'ad di Pfizer. Il Tempo il 19 settembre 2021

Uno scandalo rischia di minare la posizione di Ursula Von der Leyen e il suo lavoro sull’approvvigionamento di vaccini contro il Covid. L'Ombudsman, il difensore civico dell'Unione europea, Emily O’Reilly ha chiesto di far luce sullo scambio di messaggi tra la presidente della Commissione Europea e Albert Bourla, amministratore delegato di Pfizer, azienda che fornisce il vaccino più utilizzato all’interno del continente che sta cercando di prevalere sul coronavirus. 

Il caso, riferito da Politico, è scaturito dopo la pubblicazione di un articolo del New York Times di aprile scorso in cui veniva riferita la notizia di uno scambiato di telefonate e messaggi tra la Von der Leyen e Bourla. Il problema non è sorto tanto per i contatti, ma quando la Commissione ha ricevuto una richiesta di accesso ai messaggi e, stupendo tutti, ha affermato di non averne traccia. Da Palazzo Berlaymont sostengono che gli sms sono generalmente "di breve durata" e in linea di principio esclusi dall'archiviazione. Ma questo rifiuto della Commissione a mostrare i testi dello scambio ha portato a una denuncia al difensore civico che ha aperto un'indagine. 

In una lettera alla presidente della Commissione, O'Reilly ha scritto che è "necessario" che il suo team di inchiesta incontri i funzionari e ottenga una spiegazione della "politica della Commissione sulla tenuta dei registri dei messaggi di testo e su come questa politica venga attuata". Il difensore insisterà anche sulla possibilità di ottenere i testi dei messaggi richiesti. E non è il primo possibile grattacapo di questo genere per la Von der Leyen: nel 2019 fu criticata dopo che emerse che un cellulare, ritenuto prova chiave in uno scandalo di appalti al ministero della Difesa tedesca che lei guidava, era stato ripulito.      

Vaccino, gli sms segreti tra Ursula von der Leyen e Pfizer. Bufera a Strasburgo, la Lega fa esplodere il caso. Francesco Storace su Il Tempo il 22 febbraio 2022

L’Europa ha acquistato i vaccini dalla Pfizer per mezzo dei messaggini via sms di Ursula Von der Leyen al Ceo dell’azienda americana? Una procedura un po’ inconsueta che sta sotto il tappeto da mesi e che la Lega ha fatto esplodere fragorosamente al Parlamento di Strasburgo. Con un’interrogazione e una richiesta di chiarimento in sede plenaria.

In un comunicato gli europarlamentari Marco Campomenosi (capo delegazione Lega) e Marco Zanni, presidente gruppo Identità e democrazia si esprimono con nettezza: dall’Unione europea “ancora nessuna risposta sulla vicenda dello scambio di sms tra Ursula Von der Leyen e il ceo Pfizer, emersa a seguito di un’inchiesta giornalistica americana e oggetto di critiche anche dallo stesso Mediatore europeo”. 

Si parla di un caso che è trattato da molti media internazionali ed è oggetto di dibattito in Europa, ma nel nostro Paese è stato per lo più ignorato. È una questione di trasparenza che riguarda i vertici delle istituzioni europee, non può essere e non deve essere trascurata: “Per questo come gruppo Id torneremo a chiedere di discutere l’argomento in Aula nella prossima plenaria del Parlamento europeo, al fine di fare massima chiarezza e offrire ai cittadini tutte le informazioni necessarie sulla vicenda”. 

Già nell'aprile 2021, il New York Times aveva pubblicato un articolo nel quale veniva riportato che la trattativa per l'acquisto dei vaccini Pfizer era avvenuta in buona misura tramite uno scambio di messaggi di testo tra la Presidente della Commissione Europea Von der Leyen e l'Amministratore Delegato della casa farmaceutica Albert Bourla. Spiegava il quotidiano americano, che alla richiesta di aver accesso ai messaggi, la Commissione rispondeva rendendo pubblici una mail, una lettera ed un comunicato ma non faceva accenno ai messaggi.

Recentemente è stato il Mediatore Europeo, Emilie O’Reilly – una sorta di difensore civico dell’Unione - a criticare fortemente la Commissione perché questi rientrerebbero, di fatto, sotto l'ambito di applicazione delle regole europee sulla trasparenza. E la domanda principale degli europarlamentari leghisti è se “la Commissione voglia fare massima chiarezza sulla vicenda e sul contenuto di quei messaggi”.  C’è da dire che proprio O'Reilly, il cui compito è quello di responsabilizzare le istituzioni dell'UE, ha affermato che la gestione della richiesta da parte della Commissione è stata di "cattiva amministrazione".

"Il modo ristretto in cui è stata trattata questa richiesta di accesso pubblico significava che non è stato fatto alcun tentativo di identificare se esistessero messaggi di testo", ha affermato in una nota. "Ciò non soddisfa le ragionevoli aspettative di trasparenza e standard amministrativi nella Commissione". Va aggiunto che durante l'indagine del difensore civico, la Commissione ha affermato che "un messaggio di testo o un altro tipo di messaggistica istantanea è per sua natura un documento di breve durata che non contiene in linea di principio informazioni importanti su questioni relative alle politiche, alle attività e alle decisioni della Commissione" e che "la politica di conservazione dei registri della Commissione escluderebbe in linea di principio la messaggistica istantanea".

O'Reilly, tuttavia, ha respinto l'argomentazione della Commissione, rilevando che la legge dell'UE sull'accesso del pubblico ai documenti afferma che la definizione di un documento è "qualsiasi contenuto qualunque sia il suo mezzo ... riguardante una questione relativa alle politiche, attività e decisioni che rientrano nel sfera di responsabilità dell'istituzione”. La stessa Commissione si è impegnata a rispondere al difensore civico europeo entro fine aprile. Ma la Lega pretende maggiore immediatezza: la materia è incandescente.

Lilli Gruber, "il farmaco anti-Covid che nessuno usa". Pesantissimo sospetto. Libero Quotidiano l'01 luglio 2022

"Perché non si sta utilizzando il Paxlovid per curare Omicron?". Lilli Gruber, a Otto e mezzo, pone un interrogativo inquietante al professor Carlo Centemeri, farmacologo e docente all'Università di Milano. "Attenzione, attenzione, attenzione, perché la pandemia di Covid non è finita", ammonisce la Gruber, reduce da 17 giorni di positività e isolamento a casa. Un calvario "burocratico" che per molti altri italiani rischia però di diventare un problema sanitario, alla luce degli allarmati dati dell'ultimo bollettino. I nuovi contagi nelle ultime 24 ore sono stati 83mila, con 60 morti e un tasso di positività schizzato al 28 per cento. Soprattutto, salgono i ricoveri in terapia intensiva e nei reparti ordinari degli ospedali italiani.

E qui la Gruber si chiede: "Esiste un farmaco, il Paxlovid, che aiuta se somministrato entro i primi 5 giorni dalla manifestazione dei sintomi per evitare di avere una reazione grave e finire in ospedale. Mi hanno raccontato che viene prescritto molto poco dai medici. Perché? Pare anche che decine di migliaia di dosi scadranno in autunno, quindi abbiamo buttato un mare di soldi pubblici". 

"Ci sono due modi per curare il Covid - precisa il professor Centemeri -. Il primo sono gli anticorpi monoclonali da poter dare subito, perché li abbiamo e li abbiamo comprati. I pazienti fragili possono essere protetti immediatamente da questi cocktail, a differenza del vaccino che sviluppa i suoi effetti dopo qualche giorno. Non lo sta facendo nessuno, e questo è molto grave". 

"Seconda questione, farmaci anti-virali. Non solo il Paxlovid: ne abbiamo comprati 600mila cicli di questo prodotto, ora invito a fare una rivalutazione dei criteri per cui si può curare un paziente, perché oggi sono così stretti che sono pochissimi i pazienti su cui lo si può utilizzare".

Covid, salvate quasi 20 milioni di vite in un anno con i vaccini. Fabio Di Todaro su La Repubblica il 24 giugno 2022.   

I dati, raccolti da dicembre del 2020 allo stesso mese del 2021, pubblicati su The Lancet Infectious Diseases

Quasi venti milioni di vite salvate in un solo anno: da dicembre del 2020 allo stesso mese dello scorso anno. I vaccini hanno impresso una spallata decisiva alla pandemia, riducendo in primo grado i casi gravi di Covid-19. L'evidenza, già portata alla luce da diversi studi condotti su base nazionale, trova conferma in un lavoro pubblicato sulla rivista The Lancet Infectious Diseases.

Over dosi. Report Rai PUNTATA DEL 20/06/2022 di Manuele Bonaccorsi e Lorenzo Vendemiale.
Con il calo dei contagi e l’avvicinarsi dell’estate, la campagna vaccinale è entrata in una fase di stallo. 
Quasi l’85% della popolazione, del resto, ha già ricevuto la terza dose, mentre la quarta è riservata al momento solo alle categorie più deboli. L’Italia, però, continua a comprare vaccini. Report ha scoperto il numero esatto di dosi acquistate dal nostro Paese: è una cifra enorme, che rischia di superare di molto il fabbisogno effettivo, e andare sprecata. Ma non è un problema solo italiano, tutto il continente si ritrova nella stessa situazione. Infatti, in Europa sta per scoppiare il caso dei vaccini anti-Covid, con una fronda di Paesi critici guidati dalla Polonia che punta a rompere i contratti miliardari con le case farmaceutiche.

OVER DOSI di Manuele Bonaccorsi e Lorenzo Vendemiale immagini Chiara d’ambros e Fabio Martinelli montaggio Maurizio Alfonso grafiche Giorgio Vallati

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Pratica di Mare, alle porte di Roma, è una delle più grandi basi militari d’Europa. Con i suoi 830 ettari di hangar, piste di atterraggio, magazzini, caserme, è il centro nevralgico della logistica per le forze armate italiane.

MANUELE BONACCORSI Questi container sono frigoriferi?

DANIELE PORELLI – AERONAUTICA MILITARE Sì, sono tutti frigoriferi. I Pfizer sono tutti qui al centro, hanno tutti -80 gradi. All'interno di questo container abbiamo i Novavax. E qua moderna e praticamente tutti moderna.

MANUELE BONACCORSI Posso? Brr, il freddo! Che temperatura è lì?

DANIELE PORELLI – AERONAUTICA MILITARE Questo qua è -21

MANUELE BONACCORSI Ah, -21

LORENZO VENDEMIALE Però d’estate si sta bene qua dentro

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Qui le case farmaceutiche spediscono le dosi, che vengono poi impacchettate in speciali scatole refrigerate e inviate secondo le necessità alle regioni. Nel culmine dell’emergenza c’erano spedizioni giornaliere. Invece adesso…

DANIELE PORELLI – AERONAUTICA MILITARE Adesso, invece, per il fatto che comunque le vaccinazioni sono diminuite, parliamo di magari di una spedizione più o meno ogni due settimane.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Le consegne da parte delle case farmaceutiche però non si fermano. E il magazzino continua a riempirsi.

DANIELE PORELLI – AERONAUTICA MILITARE Più o meno una volta a settimana ci sono degli arrivi

MANUELE BONACCORSI E quante ce ne sono qua dentro?

DANIELE PORELLI – AERONAUTICA MILITARE Per il 50% al momento della capacità.

MANUELE BONACCORSI Quindi qui ci sono 15 milioni di dosi di vaccino.

DANIELE PORELLI – AERONAUTICA MILITARE Eh circa sì, al momento sì

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Ma per quale motivo non si fermano le consegne?

VINCENZO SMALDORE - OPENPOLIS Non si è tenuti a monitorare l'esito o l'andamento di quel contratto. Quindi non sappiamo le forniture a che punto sono, Non sappiamo il consegnato

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Tramite un accesso agli atti, Report è riuscito a scoprire il numero esatto di dosi acquistate dal nostro Paese: come risulta da questo documento firmato dal generale Tommaso Petroni, che ha raccolto l’incarico dall’ex commissario Figliuolo, per il solo anno 2022 l’Italia ha comprato 138 milioni di dosi, che si sommano ai 180 milioni dell’anno scorso. Una cifra enorme, sufficiente a rivaccinare per altre due volte l’intera popolazione. Ma nel nostro Paese attualmente le somministrazioni sono crollate intorno alle 50mila a settimana, e nei centri vaccinali, un tempo teatro di file chilometriche, oggi c’è il deserto.

ANZIANO Io sono venuto qui per vedere se fanno la quarta dose del vaccino Pfizer

ANZIANA Io uguale. Se lo fanno eh.

ANZIANO La signora uguale

MARIAROSARIA NAPPI – RESPONSABILE HUB SANTA MARIA DELLA PIETÀ (ROMA) Accomodatevi che c'è il sole. MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO L’83% della popolazione italiana ha già ricevuto la terza dose. Quanto alla quarta, ad oggi la raccomandazione dell’Ema è di somministrarla solo alle categorie a rischio

ANDREA CRISANTI – PROFESSORE MICROBIOLOGIA UNIVERSITÀ PADOVA Considerando l'andamento della diffusione del virus adesso probabilmente arriveremo a settembre ottobre, che la maggior parte della popolazione italiana, si è infettata e guarita. E quindi non credo che si andrà incontro a una vaccinazione di massa con la quarta dose

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Che farsene allora dei 138 milioni di dosi comprate dall’Italia? Restano mesi nei frigoriferi, non solo nell’hub di Pratica di mare, ma anche in quelli regionali. Qui siamo in uno dei depositi della regione Lazio.

SILVIA CALDARINI – DIRETTORE FARMACIA TERRITORIALE ASL ROMA1 Questo è il Nuvaxovid tanto atteso ma poco utilizzato.

MANUELE BONACCORSI In che senso poco utilizzato?

SILVIA CALDARINI – DIRETTORE FARMACIA TERRITORIALE ASL ROMA1 È un vaccino che deve essere utilizzato per le prime e seconde dosi. Quando è stato disponibile in commercio, il 93% della popolazione aveva già fatto prima e seconda dose

MANUELE BONACCORSI Voi quante dosi ne avete?

SILVIA CALDARINI – DIRETTORE FARMACIA TERRITORIALE ASL ROMA1 In questo momento abbiamo 10.000 dosi più o meno

MANUELE BONACCORSI E quante ne somministrate giornalmente più o meno?

SILVIA CALDARINI – DIRETTORE FARMACIA TERRITORIALE ASL ROMA1 Di queste, una decina

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO A questo ritmo per svuotare il frigo non basteranno 3 anni. Insomma, abbiamo comprato sei milioni di dosi di un vaccino che, bugiardino alla mano, praticamente non sappiamo a chi dare, perché si può utilizzare solo come prima o seconda dose. E nella lista ci sono anche 11 milioni di fiale di due vaccini, Sanofi e Valneva, che ancora non sono stati approvati. Ma il problema riguarda tutti i vaccini. Le dosi restano nei frigoriferi mentre si avvicina pericolosamente la data di scadenza.

SILVIA CALDARINI – DIRETTORE FARMACIA TERRITORIALE ASL ROMA1 Il lavoro è certosino per evitare di avere vaccini scaduti. Ne capiamo il valore etico

MANUELE BONACCORSI qui la scadenza… posso? Queste 11.05.2022.

SILVIA CALDARINI – DIRETTORE FARMACIA TERRITORIALE ASL ROMA1 No, sulla scatola non è aggiornata

MANUELE BONACCORSI In che senso non è aggiornata?

SILVIA CALDARINI – DIRETTORE FARMACIA TERRITORIALE ASL ROMA1 I vaccini hanno avuto una riclassificazione delle scadenze MANUELE BONACCORSI Chiaro, quindi questi, che sarebbero scaduti l'11 maggio, scadranno in realtà all'11 luglio. Perfetto. E quindi questi sono i primi che bisogna fare

SILVIA CALDARINI – DIRETTORE FARMACIA TERRITORIALE ASL ROMA1 Sì, certo, sono i primi che sono fatti

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO La scadenza dei vaccini Pfizer è stata prolungata in tutta Europa da 6 a 9 mesi, con l’approvazione degli enti regolatori, ma anche questo potrebbe non bastare ad evitare che scadano nei frigoriferi. Pure il governo sembra essersene reso conto. In questa lettera inviata alle Regioni lo scorso 1° marzo, l’ex commissario Figliuolo spiegava che buona parte delle dosi in surplus sarebbe stata donata, per supportare i paesi in difficoltà.

SARA ALBIANI – RESPONSABILE SALUTE OXFAM ITALIA A livello europeo stiamo donando vaccini con scadenze molto ravvicinate. Secondo i dati alcuni dati dell'Unicef, nell'ultimo mese del 2021 circa 100 milioni di dosi donate non sono state somministrate proprio perché erano con delle scadenze troppo basse

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Gli Stati, infatti, non sono liberi di donare i vaccini di troppo, devono prima chiedere prima il permesso alle case farmaceutiche, col rischio di allungare i tempi. Lo scorso 1° agosto, a Tunisi, arriva un carico di circa un milione e mezzo di vaccini donati dall’Italia. Le autorità locali preparano anche una piccola cerimonia di ringraziamento. Ma un’inchiesta del progetto giornalistico “Follow the doses” ha svelato che sarebbero scadute dopo appena due mesi. Stessa storia anche in Nigeria, dove a dicembre il governo locale è stato costretto a gettare in discarica oltre un milione di dosi appena donate e già inutilizzabili.

MANUELE BONACCORSI Noi abbiamo comprato più dosi di quelle che ci servono e invece che buttarle noi le facciamo buttare in Africa.

SARA ALBIANI – RESPONSABILE SALUTE OXFAM ITALIA Esatto, così facciamo un'operazione di maquillage.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Insomma, abbiamo affrontato la pandemia con una certa dose di egoismo. I Paesi più ricchi hanno pensato ad accaparrarsi più dosi possibili, e da un certo punto di vista hanno contribuito a far alzare il prezzo, questo da una parte, dall’altra hanno aumentato la dipendenza da parte dei Paesi poveri da quelli ricchi. Hanno generato il cosiddetto “apartheid vaccinale”, così lo definisce le Nazioni Unite. Noi in Italia abbiamo comprato oltre 321 milioni di dosi. Dentro ci sono finiti anche 6 milioni di dosi del vaccino Novavax, che però possono essere iniettate solo per la prima e la seconda dose, siccome noi abbiamo vaccinato oltre il 90% della popolazione, a chi lo diamo? E poi ci sono anche 11 milioni di dosi di due vaccini che non sono ancora stati approvati. Cosa ne faremo? Probabilmente le doneremo in Africa, dove solo un quinto della popolazione fino adesso ha compiuto il doppio ciclo della vaccinazione. Però non ci riesce neanche bene questo atto di generosità. Abbiamo già donato Astrazeneca che non volevamo perché aveva delle reazioni avverse. Poi stiamo donando questi vaccini che però hanno la scadenza molto vicina. Questo cosa comporta. Che in Tunisia li hanno buttati, in Nigeria pure, oltre un milione di dosi. Però poi bisogna anche capire cosa accadrà nella campagna di vaccinazione autunnale. Intanto, bisognerà fare la quarta dose a tutti? Bisogna anche capire se arriveranno dei vaccini nuovi, aggiornati, più efficaci contro le varianti. In questi giorni Ema sta valutando Pfizer e Moderna che stanno per presentare un vaccino che dovrebbe essere più efficace contro Omicron. Poi c’è anche chi in Europa non vuole più pagare vaccini che per contratto ha già comprato. Insomma, questo perché sono intervenute cause di forza maggiore

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Non è un problema solo italiano. La stessa situazione si verifica in tutta Europa. Tanto che la Commissione Ue ha provato a metterci una toppa, stringendo un accordo con Pfizer e Moderna

STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE SALUTE COMMISSIONE UE Siamo consapevoli dello squilibrio, per questo le spedizioni previste per l’estate sono rimandate all’autunno, quando potrebbe esserci più bisogno di scorte. E magari saranno pronti anche dei vaccini aggiornati.

LORENZO VENDEMIALE Ok, però, prima o dopo, quelle dosi dovremo pagarle

STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE SALUTE COMMISSIONE UE Dovremo rispettare il contratto che abbiamo firmato

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO C’è chi però non la pensa così. A Varsavia, con appena 200 casi e solo 5 morti al giorno, il Covid sembra un lontano ricordo. Le dosi si accumulano e il governo non si accontenta di rinviare le spedizioni. Le vuole proprio interrompere

ADAM NIEDZIELSKI – MINISTRO DELLA SALUTE - POLONIA Non abbiamo più bisogno di tutte queste dosi

LORENZO VENDEMIALE E quindi che cosa avete intenzione di fare?

ADAM NIEDZIELSKI – MINISTRO DELLA SALUTE - POLONIA Semplice, da marzo abbiamo smesso di pagare.

LORENZO VENDEMIALE E davvero potete farlo?

ADAM NIEDZIELSKI – MINISTRO DELLA SALUTE - POLONIA Stiamo utilizzando la causa di forza maggiore, che è presente nel contratto, e per noi è legata all’attuale situazione in Ucraina. Stiamo ricevendo un enorme afflusso di profughi, che non era immaginabile al momento della pandemia

LORENZO VENDEMIALE Non è che state sfruttando la guerra in Ucraina per non pagare?

ADAM NIEDZIELSKI – MINISTRO DELLA SALUTE - POLONIA Non è una scusa, la guerra ha un grosso impatto sulla nostra economia.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO La Polonia gioca la sua partita politica: e intorno alla strategia vaccinale, si sta ricreando l’asse di Visegrad, come ci spiega il ministro Niedzielski

ADAM NIEDZIELSKI – MINISTRO DELLA SALUTE - POLONIA Ho riunito una coalizione di almeno 10 Paesi, che vuole cambiare quei contratti. Ci sono Romania, Estonia, Lituania, Ungheria…

LORENZO VENDEMIALE L’Italia?

ADAM NIEDZIELSKI – MINISTRO DELLA SALUTE - POLONIA No, l’Italia no. Abbiamo scritto a tutti i Paesi, ma da voi non abbiamo avuto risposta. Chiediamo più flessibilità. Spalmare i contratti sui prossimi 10 anni, e poter ricevere medicinali al posto di vaccini, se non ci serviranno più.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Queste dosi di troppo oggi rischiano di diventare un vero e proprio caso europeo. Il peccato originale sono i contratti firmati dall’UE, ancora oggi segreti.

MARC BOTENGA – EUROPARLAMENTARE GRUPPO DELLA SINISTRA questi contratti vengono mostrati in una camera segretata e non possiamo condividere le informazioni che leggiamo in questi contratti

MANUELE BONACCORSI Cioè lei non ne ha una copia?

MARC BOTENGA – EUROPARLAMENTARE GRUPPO DELLA SINISTRA No

ADAM NIEDZIELSKI – MINISTRO DELLA SALUTE - POLONIA È assurdo che non ci sia alcuna relazione fra la curva epidemiologica e le consegne. Oggi i casi sono zero e siamo costretti a ricevere lo stesso numero di dosi del momento peggiore dell’epidemia. Io penso che quei contratti, soprattutto quello con Pfizer, non siano equi.

LORENZO VENDEMIALE Però voi l’avete firmato quel contratto

ADAM NIEDZIELSKI – MINISTRO DELLA SALUTE - POLONIA È vero, ma solo perché non avevamo scelta. Eravamo disperati in quel momento, avremmo accettato qualsiasi condizione imposta dai produttori

STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE SALUTE COMMISSIONE UE io penso che la strategia vaccinale dell’Europa sia stata un enorme successo

LORENZO VENDEMIALE Addirittura un enorme successo?

STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE SALUTE COMMISSIONE UE Dovete pensare alla situazione in cui ci trovavamo quando abbiamo negoziato i contratti. Non sapevamo quale vaccino avrebbe funzionato, quante dosi ci sarebbero volute, quanto sarebbe durata l’epidemia. Il nostro obiettivo era dare il vaccino a qualsiasi cittadino europeo che volesse vaccinarsi. Ci siamo riusciti

MARC BOTENGA – EUROPARLAMENTARE GRUPPO DELLA SINISTRA Abbiamo scelto come Unione Europea di lasciare libero il mercato e quindi le aziende di decidere a che prezzo vendere, quanti dosi vendere e produrre.

MANUELE BONACCORSI Non avremmo potuto come Unione Europea, rinegoziare il contratto con le case farmaceutiche riducendo le consegne previste e l'acquisto in generale fatto con quel contratto

MARC BOTENGA – EUROPARLAMENTARE GRUPPO DELLA SINISTRA Ma tutto questo, la domanda è: siamo pronti sì o no, come Unione Europea, come Commissione, a fare il braccio di ferro con le case farmaceutiche? Quindi possiamo, sì. Vogliamo, chiaramente no.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Non sempre volere è potere. Gli Stati si sono sobbarcati il costo della ricerca, hanno acquistato in anticipo le dosi di vaccino, soprattutto non hanno legato l’acquisto delle dosi all’andamento della pandemia, ora si ritrovano milioni di fiale che sono inutilizzate. La Polonia che cosa dice: è intervenuta una guerra, che ci sta minando dal punto di vista economico, quindi è una causa di forza maggiore, non pago più le dosi di vaccino che ho già comprato. Sotto sotto probabilmente prova a raschiare qualcosa di più nella trattativa con l’Europa per aver ospitato i profughi ucraini, però vuole coinvolgere anche altri governi, e ha scritto anche al nostro Ministero della Salute. Che cosa ha intenzione di fare il nostro Ministero però non lo sappiamo, noi glielo abbiamo chiesto però non ci ha risposto. Come non ha risposto al fatto di quanti numeri, quante fiale di vaccino ha acquistato, quanto ci sono costate, che fine faranno quelle che non verranno utilizzate. Abbiamo fatto un po’ i conti della serva, a spanne, 20 euro a dose solo nel 2022 i vaccini ci sono costati oltre due miliardi e mezzo di euro. Non siamo delle verginelle, sappiamo benissimo che chi offre la possibilità di salvare vite umane nella trattativa ha il coltello dalla parte del manico. Però in una trattativa la Comunità europea dovrebbe essere ben più forte di un’azienda farmaceutica.

Un vaccino sotto embargo. Report Rai PUNTATA DEL 23/05/2022 di Manuele Bonaccorsi, Alessia Marzi 

Cuba, il piccolo Paese caraibico, sottoposta a 60 anni di durissimo embargo, è riuscita a fronteggiare il covid tutto da sola.

Grazie a tre vaccini pensati e sviluppati dall’industria biotecnologica nazionale. Un'industria integralmente pubblica, eppure capace di importanti innovazioni scientifiche. Oggi Cuba è il secondo Paese del mondo per tasso di vaccinazione (dopo gli Emirati Arabi, che hanno un reddito  8 volte superiore) e soprattutto l’unico che ha vaccinato anche la popolazione infantile, dai 2 anni in su. Merito di Soberana, prodotto dall’Istituto Finlay de L’Avana, e sviluppato a partire proprio dalla piattaforma di un vaccino pediatrico, con effetti collaterali vicini allo zero. Risultato? Oggi Cuba ha un tasso di contagi bassissimo, e anche l’ondata di Omicron nell’isola caraibica è passata senza far danni. Ora Soberana potrebbe essere importato anche in Europa, per completare la vaccinazione dei più piccoli, rimasta finora al palo. Ma gli ostacoli dei regolamenti di Bruxelles potrebbero essere insormontabili. Anche a causa dell’embargo, infatti, Cuba non può rispettare le buone pratiche di fabbricazione imposte in Europa. E perfino l’ipotesi di fabbricarlo in Italia, in un’azienda all’avanguardia, potrebbe non essere sufficiente per superare questo ostacolo. Un muro che impedisce ai Paesi in via di sviluppo, molti dei quali capaci di importanti innovazioni scientifiche, di accedere al ricco mercato farmaceutico del primo mondo.

UN VACCINO SOTTO EMBARGO di Manuele Bonaccorsi e Alessia Marzi immagini di Alessandro Spinnato e Dario D’India, montaggio Marcelo Lippi

HUMBERTO PÉREZ DE LA CONCEPCIÓN, - DIRETTORE IMPIANTO PRODOTTI PARENTERALI CENTRO BIOCEN In questo impianto stiamo producendo i tre vaccini Soberana: 01, 02 e Soberana plus. Stiamo parlando di 12 milioni di dosi. In quest’area arrivano le fiale al termine della fase di riempimento, e le dividiamo in lotti. Abbiamo due linee produttive acquistate da poco, sono qui, ci sono due macchinari europei

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Ma improvvisamente ci viene chiesto di non riprendere i macchinari. Per evitare guai a causa dell’embargo.

ISMARY NÚÑEZ BROÑO - DIRETTRICE COMUNICAZIONE GRUPPO BIOCUBAFARMA Se però potete proteggerci evitando di riprendere il nome dei macchinari

HUMBERTO PÉREZ DE LA CONCEPCIÓN, - DIRETTORE IMPIANTO PRODOTTI PARENTERALI CENTRO BIOCEN Il nome del produttore. Si i nomi…

HUMBERTO PÉREZ DE LA CONCEPCIÓN, - DIRETTORE IMPIANTO PRODOTTI PARENTERALI CENTRO BIOCEN Ci sono fornitori che improvvisamente, da un giorno all’altro, ci avvisano che interromperanno le consegne perché la scusa che viene usata è: il blocco commerciale mi impedisce di trattare con Cuba.

TANYA CROMBET RAMOS - DIRETTRICE RICERCA CLINICA CENTRO IMMUNOLOGIA MOLECOLARE A Cuba è complicatissimo importare reagenti di laboratorio, materie prime, medicinali. Parliamo di prodotti che in qualsiasi altro paese del mondo si possono ordinare in 24 ore. Una ricerca scientifica qui può tardare mesi.

ROLANDO PÉREZ RODRÍGUEZ - DIRETTORE INNOVAZIONE E PRODUZIONE BIOCUBAFARMA L’embargo si è addirittura inasprito, nonostante la pandemia. Eppure, perfino in una guerra, se c’è un’emergenza sanitaria, si fanno delle tregue.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Cuba non ce l’ha. Ora, è giusto continuare ad esercitare un embargo, dopo 60 anni, che incide ancora su medicinali e macchinari sanitari, quando è in corso una pandemia? Sono 60 anni che a Cuba è sotto embargo, imposto dagli Stati Uniti da quando era cominciata la rivoluzione castrista. Ora, ogni anno dal 1992 l’Onu vota una risoluzione, l’Onu che giudica inumano questo embargo: 184 paesi membri su 189 hanno votato no all’embargo. Gli unici paesi favorevoli sono Stati Uniti e Israele. Sotto l’amministrazione Trump è aumentato il peso dell’embargo che ha aggiunto 240 sanzioni. Sono state poi ammorbidite da Biden, però tornare alla normalità non se ne parla. Questo embargo ha messo sabbia negli ingranaggi che hanno portato poi alla realizzazione del vaccino, tuttavia i cubani ce l’hanno fatta. E questo vaccino potrebbe essere una risorsa per i paesi poveri, ma anche per quelli ricchi, perché è efficace. Però prima bisogna risolvere qualche problema. I nostri Manuele Bonaccorsi e Alessia Marzi

CITTADINO Questa fila che vedi è per l’embargo che abbiamo a Cuba, capito? Adesso compriamo il pane

CITTADINO 2 Questi sono il mio nome e quello di mio figlio, io mi chiamo Armando Diaz. Riso, zucchero, fagioli…

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO A Cuba per fare la spesa serve la tessera annonaria. Difficile trovare pane e sapone, il latte è razionato. A meno di non avere nel portafoglio euro o dollari, le uniche monete che permettono di accedere a beni importati. Il Covid ha messo in grande difficoltà il paese della Revoluciòn, fermando il turismo, una delle principali voci di entrata.

MECCANICO Lavoro, lavoro e non vedo risultati…questa è la pura verità

BARBIERE Qui come puoi vedere lavoriamo con attrezzi che non sono di ultima generazione, non ci sono negozi che ti vendono certe cose: le devi chiedere a qualcuno che esce dal paese e che te le possa portare. E costa parecchio

RADAMES CASTILLO - ALLENATORE DI BOXE Avrei bisogno di almeno quattro paia di guantoni per insegnare le basi della boxe ai miei ragazzi: come parare, come colpire: perché siano dei campioni, meglio di me. Ma è difficile recuperarli. Siamo un paese del terzo mondo sì, ma nonostante tutti i problemi che ci sono, ci siamo messi alle spalle una malattia contro cui lotta tutto il mondo: è grazie a questi vaccini che siamo ancora in piedi

MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Il Covid a Cuba è sotto controllo. Anche l’ondata di Omicron, che qui è arrivata a febbraio, non ha fatto gravi danni. Poche centinaia di contagi quotidiani, vittime quasi azzerate. Cuba è infatti il secondo paese più vaccinato al mondo dopo gli Emirati Arabi, che però hanno un reddito otto volte superiore. E ha fatto tutto da sola. Senza società farmaceutiche private: a Cuba tutto il settore biotecnologico è controllato da un’unica azienda, di proprietà statale: Biocubafarma.

ROLANDO PÉREZ RODRÍGUEZ - DIRETTORE INNOVAZIONE E PRODUZIONE BIOCUBAFARMA All’inizio della pandemia il Presidente della Repubblica ci ha convocato e ci ha detto: il paese non sarà in condizioni economiche per comprare vaccini per tutti in poco tempo, dovevamo fare da soli. Davanti a tutta questa incertezza, se scommetti su una sola ricerca, la probabilità di tirare fuori un vaccino è bassissima. E per questo abbiamo deciso di fare ricerca su almeno 20 progetti diversi.

MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Dei venti progetti, a fine corsa arrivano 5 candidati vaccino. Tre dei quali sono stati somministrati alla popolazione. Il più diffuso si chiama Abdala, ed è prodotto dal Centro di ingegneria genetica e biotecnologica.

MARTA AYALA AVILA - DIRETTRICE CENTRO INGEGNERIA GENETICA E BIOTECNOLOGICA Con Abdala abbiamo vaccinato tra i 7 e gli 8 milioni di cubani sopra i 19 anni. La vaccinazione di massa ci ha consentito di verificare l’efficacia del vaccino nella realtà. Quando circolava la variante Delta, l’effettività di Abdala nel prevenire casi di covid sintomatico si è attestata intorno al 94, 95 per cento.

MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Al Centro di ingegneria genetica e biotecnologica non si accontentano. Stanno sperimentando anche un vaccino intranasale, una tecnologia che permetterebbe di fermare non solo la malattia, ma anche il contagio.

MARTA ELENA GÓMEZ VÁSQUEZ - RESPONSABILE TRIAL MAMBISA - PINAR DEL RÍO Si chiama Mambisa, ed è in fase 2 dello studio clinico. È uno spray, una volta introdotto nelle narici dovrebbe coprire tutta la zona nella mucosa nasale, la porta di entrata del virus. E quindi potrebbe fermare l’infezione, non agire solo sui sintomi. Fino ad ora tutti i pazienti su cui lo abbiamo sperimentato in questo policlinico non hanno avuto nessun tipo di reazione avversa.

MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Se tutto andrà per il verso giusto, Mambisa, potrebbe essere il primo vaccino proteico intranasale approvato al mondo.E potrebbe essere usato come dose di richiamo. Ma i cubani possono già vantare un record. Il vaccino Soberana, prodotto dall’Istituto Finlay, è l’unico al mondo somministrato alla popolazione tra i due e i 5 anni.

VICENTE VÉREZ BENCOMO - DIRETTORE GENERALE ISTITUTO DI VACCINI FINLAY Abbiamo vaccinato tutta la popolazione pediatrica cubana a novembre. Siamo stati l'unico paese del mondo ad avere tutti i bambini vaccinati prima dell’arrivo di omicron.

MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO A Cuba il 96% della popolazione pediatrica è vaccinata. La conseguenza? Genitori e alunni fin dall’anno scorso hanno detto addio alla didattica a distanza e alle classi aperte a singhiozzo.

MIRTHA FRIOL BARRIO - PRESIDE SCUOLA PRIMARIA VO THI TANG - L’AVANA Anche noi come tutti abbiamo dovuto sospendere le attività in presenza, ma a partire dal 15 novembre abbiamo riaperto la scuola. Da allora c’è stato solo un caso, ma niente di che, un semplice raffreddore

MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Sono state le stesse scuole, insieme ai presìdi di cura primaria, a farsi carico della campagna vaccinale. A Cuba la medicina territoriale è molto sviluppata e c’è un medico ogni 157 persone. È quello che qui chiamano “l’esercito dei camici bianchi”. Soberana è stato somministrato finora a 1,8 milioni di bambini. Il rischio di contagio si è ridotto 18 volte. E gli eventi collaterali sono stati solo 340, lo 0,01% .

MARIA EUGENIA TOLEDO ROMANÍ - RICERCATRICE ISTITUTO DI MEDICINA TROPICALE PEDRO KOURÍ Le reazioni principali che abbiamo riscontrato sono locali, dolore nell’area della puntura.

MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO L’Istituto Finlay è da molti anni un punto di riferimento internazionale per i vaccini pediatrici. Il suo farmaco più diffuso è quello per il meningococco b, somministrato da più di 30 anni, anche ai neonati.

DAGMAR GARCÍA RIVERA - DIRETTRICE RICERCA ISTITUTO DI VACCINI FINLAY I tre soberana sono vaccini a subunità proteica: attraverso la chimica leghiamo la proteina spike del virus con un’altra proteina. Stiamo parlando di una tecnica, quella dei vaccini coniugati, nata per ovviare a eventuali problematiche nella risposta immunitaria proprio dei neonati.

MANUELE BONACCORSI Perche non avete chiesto un'autorizzazione all'agenzia europea del farmaco per introdurre questo vaccino in Europa?

VICENTE VÉREZ BENCOMO - DIRETTORE GENERALE ISTITUTO DI VACCINI FINLAY Stiamo valutando. Questa è la prima volta che viene prodotto un vaccino in un paese del terzo mondo, capace di risolvere un problema di salute per tutti, che non sia accaparrato da una multinazionale per farne profitto nei paesi ricchi

MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Anche la multinazionale francese Sanofi, in collaborazione con l’inglese GSK, ha provato a realizzare un vaccino proteico. Non è andata esattamente bene

FABIEN MALLET- SINDACALISTA CGT - SANOFI Sanofi è sempre stato il primo produttore di vaccini in Europa. Il problema è che negli ultimi 15 anni siamo stati gestiti da operatori di finanza che hanno distrutto il comparto ricerca e sviluppo: siamo passati da 6mila a 3mila ricercatori. Abbiamo smesso di lavorare a un vaccino a MNRA quando siamo stati doppiati da Pzifer e Moderna, che tra parentesi si sono presi i ricercatori che abbiamo licenziato, e abbiamo ripiegato su un vaccino a subunità proteica: ma poi Sanofi ha deciso di esternalizzare una parte della produzione

NATHALIE COUTINET- PROFESSORESSA DI ECONOMIA UNIVERSITÀ SORBONNE PARIS NORD In questo momento c’è stato un importante errore di dosaggio che ha portato ad ulteriori ritardi. Sanofi era in ritardo, ed è stata ridicolizzata dai concorrenti che l’hanno superata.

MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Secondo il contratto firmato tra Ue e Sanofi nel 2021, Bruxelles si impegnava ad acquistare 300 milioni di dosi, pagando in anticipo una parte dell’ordine. In caso di mancata approvazione del vaccino la multinazionale avrebbe comunque incassato una parte dei soldi, per “condividere il rischio”.

ROZENN LE SAINT - GIORNALISTA MEDIAPART Secondo le informazioni di Mediapart, per quello che riguarda Sanofi parliamo di almeno 300 milioni di euro, versati in anticipo nell’ottobre del 2020.

ALESSIA MARZI Quanto è finanza e quanto è salute pubblica?

NATHALIE COUTINET- PROFESSORESSA DI ECONOMIA UNIVERSITÀ SORBONNE PARIS NORD Oggi è la finanza a guidare le strategie, gli stati hanno accettato che l’industria farmaceutica diventasse un settore su cui fare speculazione finanziaria come qualsiasi altro settore. I principali azionisti di Pfizer o Sanofi sono società di investimento americane, Blackrock, Vanguard. Il loro interesse è fare profitti. Sta agli stati porre dei limiti

MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Ha invece superato l’approvazione dell’Ema il vaccino proteico di Novavax, recentemente introdotto anche in Italia. Costa 20,9 dollari a dose, anche perché per produrlo serve una sostanza presente solo nella Quillaja saponaria, un albero molto raro che si trova solo in Cile, in alta montagna. 1 grammo di questo prodotto oggi costa oltre 100mila dollari. L’uso come audivante di questa sostanza è stato brevettato da Novavax.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Però non è stato ancora approvato come terza dose, né per usarlo sui minorenni. Questo perché mancano dei dati sufficienti. Tuttavia ne abbiamo comprati circa 6 milioni di dosi alla cifra di 21 dollari a dose, contro i circa 6 dollari di Soberana, il vaccino cubano. Di Novavax ne abbiamo somministrate a oggi 41mila dosi, il resto rimane in frigorifero. Mentre l’altro vaccino della Sanofi, quello proteico, è in via di approvazione. Finlay, l’istituto cubano che si occupa del vaccino, ha preparato un dossier per presentarlo all’OMS per una prequalificazione. Questo gli consentirebbe di aprirgli le porte al commercio attraverso il circuito Covax, nei paesi del sud del mondo. Nel frattempo è stata autorizzata in emergenza la somministrazione di Soberana in Iran, Nicaragua, Venezuela, Vietnam, mentre in Messico e in Argentina è in via di autorizzazione. Però quello cubano potrebbe essere una risorsa oltre che per i paesi poveri anche per quelli più ricchi. Cosa mancherebbe?

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Bentornati. Stavamo parlando del vaccino cubano, che potrebbe essere una risorsa perché ha costi bassi, è efficace, ed è l’unico al mondo che può essere somministrato ai bambini tra i due e i cinque anni, anche con una buona efficacia. Ora però bisogna tenere in conto una cosa: che per utilizzarlo in Occidente, in Europa, bisogna tenere presente che lo standard dei laboratori e dei macchinari cubani non sono certo all’altezza di quelli di una multinazionale farmaceutica come Pfizer. Anche perché Cuba non ha i soldi di Pfizer. È stata strangolata da 60 anni di embargo e perché oggi l’attenzione non è al cento per cento sul prodotto, ma anche sulla fabbrica.

MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, la percentuale dei bambini infettati sul totale è passata dall’1% al 19%. Per chi ancora lavora nei reparti covid pediatrici come quelli dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma, è un dato non è da sottovalutare

ANDREA CAMPANA - RESPONSABILE COVID OSPEDALE BAMBINO GESÙ - PALIDORO (RM) A gennaio in particolare di quest'anno abbiamo avuto un incremento elevatissimo rispetto agli anni precedenti, abbiamo avuto quattro volte più bambini che arrivavano in pronto soccorso, di questi bambini uno su sei solo vengono ricoverati, gli altri vengono gestiti a casa. Di questi ricoverati, qui nella nostra struttura circa uno su 25, uno su 30 poi possono andare in rianimazione.

ALESSIA MARZI La fascia d'età più interessata qual è?

ANDREA CAMPANA - RESPONSABILE COVID OSPEDALE BAMBINO GESÙ - PALIDORO (RM) Progressivamente si è abbassata l'età. Tutti i bambini che non erano vaccinati. Qualsiasi prodotto che si dimostri efficace e ovviamente sicuro quindi questo deve richiedere l'autorizzazione delle autorità competenti per noi medici è fondamentale quindi ben venga il lavoro che hanno fatto i colleghi a Cuba.

MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Parigi, aeroporto Charles De Gaulle. Una delegazione dell’Istituto cubano Finlay è appena atterrata. Direzione? Italia, per presentare le ultime evidenze scientifiche. Quando a gennaio l’Italia viaggiava sugli oltre 3mila contagi per milione di abitanti, a Cuba ce ne erano 278, il 92% in meno. La differenza, secondo gli scienziati dell’Havana, è determinata principalmente dall’elevata vaccinazione pediatrica di Cuba.

VICENTE VÉREZ BENCOMO - DIRETTORE GENERALE INSTITUTO DI VACCINI FINLAY Dinanzi all’onda di Omicron abbiamo differenze abnormi rispetto ai numerosi casi di qualsiasi altro paese. Credo che tutti dovrebbero fare come noi per aggiungere quello che viene definito end game della pandemia

MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO La prima tappa è Torino. Non è un caso. L’ospedale piemontese Amedeo di Savoia ha realizzato uno studio su Soberana. Ha analizzato la risposta immunologica di un gruppo di 30 italiani a cui è stata somministrata come booster una dose di Soberana Plus, uno dei tre vaccini anticovid di casa Finlay

GIOVANNI DI PERRI - DIRETTORE MALATTIE INFETTIVE - OSPEDALE AMEDEO DI SAVOIA TORINO Ci siamo messi d'accordo nel fare gli studi di neutralizzazione in vitro cioè cimentare il virus in coltura libero. Con che cosa? con il plasma, il siero di soggetti vaccinati con i loro prodotti e abbiamo visto anche che in una prima fase era il Delta e funzionava alla pari quantitativamente rispetto a quello che vedevamo con gli altri vaccini di corrente uso e anche con la omicron dà dei segnali piuttosto buoni

MANUELE BONACCORSI Meglio di Pfizer e Moderna?

GIOVANNI DI PERRI - DIRETTORE MALATTIE INFETTIVE - OSPEDALE AMEDEO DI SAVOIA TORINO In termini di anticorpi neutralizzanti in vitro sì.

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Nel 2021 Cuba comincia a interloquire con anche col ministero della Salute italiano. Obiettivo: organizzare un trial clinico ufficiale anche nel nostro paese

MICHELE CURTO - PRESIDENTE AGENZIA INTERSCAMBIO CULTURALEECONOMICO CON CUBA La sorpresa, la convinzione era talmente alta che qualcuno, una figura di altissimo spicco si fece scappare il commento “ma potessi anch'io mi vaccinerei con quel vaccino”

ALESSIA MARZI Da chi ti viene detta questa cosa?

MICHELE CURTO - PRESIDENTE AGENZIA INTERSCAMBIO CULTURALEECONOMICO CON CUBA Posso dire che era uno una delle figure importanti con cui ci confrontavamo

MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Non se ne farà nulla. Il problema è che l’autorizzazione alla commercializzazione rilasciata a Cuba non vale in tutto il mondo. L’autorità regolatoria locale si chiama CECMED, ha ha sede in uno delle strutture più moderne de La Havana ed è uno dei punti di riferimento per tutta l’America Latina

OLGA LIDIA JACOBO CASANUEVA - DIRETTRICE CECMED AGENZIA CUBANA DEL FARMACO CECMED A partire dagli anni 2000, gli esperti dell’Oms svolgono ispezioni e valutazioni sui nostri farmaci e vaccini e abbiamo sempre superato le ispezioni in modo soddisfacente. La nostra priorità è ovviamente garantire sicurezza e di qualità dei farmaci per la nostra popolazione, ma è chiaro che c’è anche un interesse a poterli esportare MANUELE BONACCORSI Lei pensa che il livello di qualità, di accuratezza, delle analisi che fa la sua agenzia sia paragonabile a quella svolta da un'agenzia come l'Ema?

OLGA LIDIA JACOBO CASANUEVA - DIRETTRICE CECMED AGENZIA CUBANA DEL FARMACO Oserei dire di sì perchè nostri regolamenti sono tanto esigenti quanto i regolamenti dell'Unione europea.

MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Durante il loro viaggio in Italia gli scienziati del Finlay hanno incontrato gli esponenti delle autorità politiche e scientifiche italiane, proprio per capire se il farmaco potrebbe essere riconosciuto anche in Europa. L’incontro più delicato è stato quello con l’Aifa, l’agenzia regolatoria italiana, diretta da Nicola Magrini.

MANUELE BONACCORSI Professore, buongiorno sono Bonaccorsi di Report mi permette un istante.

NICOLA MAGRINI - DIRETTORE GENERALE AIFA No.

MANUELE BONACCORSI Dopo?

NICOLA MAGRINI - DIRETTORE GENERALE AIFA Dopo forse

MANUELE BONACCORSI Cosa gliene pare di questo vaccino?

NICOLA MAGRINI - DIRETTORE GENERALE AIFA I dati sono molto interessanti, sono molto positivi quelli che hanno presentati, vanno, andrebbero esplorati in un dossier completo e l'ostacolo maggiore oltre l'approvazione europea è la qualità della produzione che noi sì siamo tenuti a garantire in GMP e probabilmente su questo Cuba potrebbe avere dei problemi.

MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO GMP vuol dire good manufacturing practices, buone pratiche di produzione: sono gli standard minimi che ogni paese un produttore di medicinali deve soddisfare nei propri impianti, per garantire sicurezza e qualità dei farmaci. Gli standard però non sono uguali per tutto il mondo. Ogni Paese impone i propri.

ROSELYN MARTÍNEZ RIVERA - VICEDIRETTRICE ISTITUTO DI VACCINI FINLAY I requisiti dell’Unione Europea in questo senso sono molto rigidi

MANUELE BONACCORSI Ma per quale motivo secondo lei lo standard è più alto del necessario?

ROSELYN MARTÍNEZ RIVERA - VICEDIRETTRICE ISTITUTO DI VACCINI FINLAY Secondo me gli standard occidentali si trasformano in una barriera alla commercializzazione. A volte ci sono dei requisiti che non servono a dimostrare la qualità

MANUELE BONACCORSI Ci può fare un esempio pratico

ROSELYN MARTÍNEZ RIVERA - VICEDIRETTRICE ISTITUTO DI VACCINI FINLAY Per esempio: l’acqua negli impianti di produzione non può avere patogeni, questo è un requisito comune a tutti: ma si può permettere ad esempio un livello di carbone organico. Gli standard europei, su questo sono 5 o 6 volte superiori al nostro. Per soddisfarli dovremmo dotarci di sistemi di approvvigionamento dell’acqua più moderni, che non sono alla nostra portata. Ma in realtà questo ammodernamento non è veramente necessario

MANUELE BONACCORSI Qualora fosse prodotto in Italia il problema delle GMP si potrebbe risolvere secondo lei? NICOLA MAGRINI - DIRETTORE GENERALE AIFA Se prodotto in Italia si potrebbe risolvere, l’approvazione dovrebbe comunque essere europea.

MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO La soluzione potrebbe essere a portata di mano. L’azienda farmaceutica Adienne ha firmato un protocollo di intenti con l'istituto Finlay per produrre il vaccino Soberana in Italia. Questo è lo stabilimento di Caponago, nell’hinterland di Milano. Grazie a un investimento di 45 milioni, è stato costruito nel più rigoroso rispetto delle regole GMP. Ma anche questo potrebbe non bastare.

FABRIZIO CHIODO - RICERCATORE ASSOCIATO CNR - ISTITUTO DI VACCINI FINLAY Molto probabilmente l'entità regolatoria europea potrebbe venire a chiedere pur producendo il tuo prodotto in Italia di ispezionare gli impianti produttivi dove tu hai prodotto i lotti con cui fatti tuoi studi clinici

MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Il rischio, cioè, è che le autorità europee impongano comunque di svolgere nuovamente il trial.

VICENTE VÉREZ BENCOMO - DIRETTORE GENERALE INSTITUTO DI VACCINI FINLAY É chiaro che questa strada non è fattibile, non saremmo pronti neanche per la prossima pandemia. Certo non pensiamo di poter arrivare da EMA con un prodotto interamente realizzato a Cuba. Sappiamo che se non altro per la percezione che si ha, fare un’operazione del genere sarebbe impossibile anche se avessimo gli standard qualitativi più alti del mondo

FABRIZIO CHIODO - RICERCATORE ASSOCIATO CNR - COLLABORATORE ISTITUTO DI VACCINI FINLAY Le entità regolatorie penso almeno quelle nazionali potrebbero ragionare in maniera più basate sul prodotto e non basate sull'impianto in cui l'hai fatto

MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Per superare le differenze nei requisiti posti dai diversi Paesi, esisterebbe la ICH, una conferenza internazionale nata su input di Europa, Giappone, e Stati Uniti d'America. Ma anche qui il terreno è scivoloso.

GERMAN VELASQUEZ - CONSULENTE POLITICHE DI SALUTE PUBBLICA SOUTH CENTER É una conferenza le cui riunioni sono promosse e finanziante dal settore privato. Questo è il conflitto di interesse che ho riscontrato, lavorando in OMS, a partire dagli anni novanta. Siamo tutt’ora davanti a due standard di produzione: quello ICH, che difende anche interessi commerciali e finanziari dell’industria, e quelli OMS, basati sulle esigenze di salute di tutto il mondo. Ad esempio: domani esce sul mercato un nuovo materiale per impacchettare le compresse, diverso dal classico foglio di alluminio. Al livello sanitario non servirebbe cambiare materiale, ma l’ICH potrebbe dire “i paesi membri della conferenza devono adottare il nuovo materiale”: la produzione diventerebbe più costosa e i paesi più poveri che producevano i farmaci imballati nell’alluminio sarebbero obbligati ad adeguare le loro infrastrutture o semplicemente a smettere di produrre perché non possono permetterselo

ROLANDO PÉREZ RODRÍGUEZ - DIR. INNOVAZIONE E PRODUZIONE GRUPPO BIOCUBAFARMA Immaginate la curva di un grafico: è una specie di campana: se le regole per produrre un farmaco sono allentate sarà basso anche l’accesso dei farmaci ai cittadini, un farmaco non sicuro non risolve nessun problema di salute. Se la regolazione ha standard qualitativi troppo alti non serve lo stesso, perché i farmaci arriveranno solo a chi può pagare. Bisognerebbe trovare un equilibrio tra queste due variabili. Ma alla fine qual è il vero mercato delle bigphama? I paesi ricchi.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Il Finlay non ha ancora presentato il dossier per l’autorizzazione da parte dell’Ema, che è una procedura molto complessa e costosa, insomma inutile rischiare se si è certi della bocciatura. Perché la sfida è quella di dimostrare che il vaccino cubano è identico ed è sicuro quanto quello realizzato negli impianti GMP, cioè delle pratiche di buona produzione. Ora, premesso che le pratiche di buona produzione sono essenziali, soprattutto per come sono state stabilite dagli enti regolatori nazionali, dall’Oms, perché se non le applichi e non le osservi rischi di creare danni ai pazienti. Premesso questo, bisognerebbe però evitare il retropensiero del vorrei ma non posso, approvare un vaccino che è stato realizzato da uno Stato, questa volta fatto inedito, e non da una multinazionale farmaceutica come Pfizer. Insomma, la domanda è: ma questo vaccino funziona? È efficace? È sicuro quanto quelli prodotti negli impianti standard GMP? Se si prendiamolo in considerazione, facciamolo produrre in impianti standardizzati, perché anche questa appartiene alle buone pratiche: quelle del buon senso.

Obbligo Vaccinale, depositati quattro interventi e tre pareri. Rec News - Articolo del 19 Maggio 2022 di Roberto Martina.

Avvocati Liberi unitamente al prof. Avv. Augusto Sinagra ha deposita Costituzionale quattro interventi e tre opiniones in qualità di amici curiae a sostegno dell’accoglimento della illegittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale per i sanitari di cui all’art. 4 D.L. 44-2021 sollevata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa della regione Sicilia. Nei prossimi giorni pubblicheremo degli atti affinché possano essere conosciuti da tutti.

Iniziamo con l’opinione di carattere scientifico che Avvocati Liberi ha depositato in nome e per conto del Dr. Sandro Sanvenero, presidente dell’Albo degli Odontoiatri presso l’Or Medici Chirurghi ed Odontoiatri di La Spezia, che ha documentato lo svilupparsi in una cosiddetta efficacia negativa dei farmaci vaccinali.

L’opinione è stata redatta da un collegio illustre di sanitari di altissimo profilo (pro Frajese; Dr. Sandro Sanvenero; Dr. Alberto Donzelli; Dr. Eugenio Serravalle; Dr.ssa Gentilini) che ne hanno autorizzato la pubblicazione per fini scientifici e di condivisione.

L’efficacia negativa, al crescere della distanza temporale dall’ultima dose vaccinale supportata da prove sempre più forti e demolisce la finalità della norma: se il fine vaccinazione dei sanitari è quello di proteggere i pazienti ed i soggetti fragili con cui entrano in contatto, allora per questi soggetti è più pericoloso essere assistiti da sanitari da oltre 6-8 mesi, perché tendono a diventare più suscettibili all’infezione dei sanitari non vaccinati.

Una possibilità è che i farmaci vaccinali impattino negativamente sul sistema immunitario, somministrato che, dopo alcuni mesi dalla vaccinazione, aumenta la probabilità contrarre l’infezione rispetto ad un soggetto non vaccinato e, conseguentemente aumenta il rischio di contagio del prossimo.

La possibile efficacia negativa, però, è solo una parte del problema, perché i comuni farmaci vaccinali non sono sicuri: il trattamento obbligatorio non è idoneo a raggiungere lo scopo (i vaccini non sono complessivamente efficaci per tutelare gli altri) ed espone la persone a rischio di eventi avversi potenzialmente gravi e persistenti (i vaccini non sono sicuri).

Non è possibile ragionare in termini quantitativi, accettando l’idea che ci possa essere una fascia percentuale di cittadini sacrificabili, perché la vita umana è sacra, inviolabile, e nessuno può stabilire che una persona debba assumere obbligatoriamente un farmaco che possa condurre a morte o ad una forma invalidante della propria integrità psico-fisica senza cadere in una gravissima violazione del diritto naturale, della libertà personale costituzionali e dell’habeas corpus.

Il rispetto della persona umana è un limite invalicabile anche per la legge: “nessuno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri”. (Corte Cost. sentenza n. 118/1996 in tema di vaccinazione antipolio).

Genova, morì a 32 anni dopo il vaccino AstraZeneca: la sua vita per lo Stato vale 70mila euro. Marco Lignana su La Repubblica il 15 maggio 2022.  

I genitori di Francesca Tuscano, che devono ancora ricevere l’indennizzo stabilito dalla legge, valutano la causa civile. Per i consulenti del pm: “Il decesso è ragionevolmente da riferirsi a effetti avversi da somministrazione di vaccino anti Covid.

Sulla sua morte c’è una consulenza tecnica che non lascia spazio a dubbi. E se l’indagine penale sul decesso della 32enne Francesca Tuscano in seguito al vaccino AstraZeneca è comunque destinata all’archiviazione, gli indennizzi previsti dal Governo nemmeno si avvicinano lontanamente alla dimensione del dramma vissuto dai genitori dell’insegnante genovese deceduta nell’aprile del 2021 per colpa di una trombosi cerebrale.

Morta dopo Astrazeneca, arriva il risarcimento. Ecco la cifra. Rosa Scognamiglio il 15 Maggio 2022 su Il Giornale.

Il referto medico legale ha stabilito che la vittima, un'insegnante di 32 anni, è morta per "effetti avversi da somministrazione di vaccino anti Covid-19".

Ammonta a 77.468,53 euro l'indennizzo destinato ai familiari di Francesca Tuscano, insegnante di 32 anni, morta dopo la somministrazione del vaccino Astrazeneca. La consulenza medico legale e dell'ematologo ha stabilito che "il decesso della paziente è ragionevolmente da riferirsi a effetti avversi da somministrazione di vaccino anti Covid- 19". Secondo quanto riporta Repubblica.it i legali e i familiari della vittima starebbero ragionando su una lettera di messa in mora nei confronti dell'Avvocatura dello Stato.

Il decesso

Francesca Tuscano, insegnante genovese, è morta il 4 aprile 2021 all'ospedale San Martino di Genova. Circa 48 ore prima del decesso, il 2 aprile, aveva ricevuto una dose di vaccino Astrazeneca presso l'hub allestito all'Albergo dei Poveri durante la pandemia nel capoluogo ligure. A poche ore dall'inoculazione, la 32enne aveva avvertito un forte mal di testa. La mattina successiva i genitori l'avevano ritrovata in stato di inconscienza. Da allora non si risvegliò più.

La consulenza medico legale

Gli accertamenti post mortem hanno attribuito le cause del decesso a "effetti avversi da somministrazione anti Covid-19". Lo si apprende dal referto stilato dal medico legale Luca Tajana e dall'ematologo Franco Piovella. Secondo quanto stabilisce la documentazione medica, Francesca Tuscano è morta per una trombosi cerebrale "rarissima" associata a piastrine basse e scatenata dai vaccini basati su adenovirus. Nel contesto della medesima consulenza i due periti escludono ogni eventuale responsabilità dei medici coinvolti nella vaccinazione: "I contenuti, le modalità di predisposizione, compilazione e valutazione del questionario anamnestico appaiono completi sotto ogni loro aspetto. Analogamente, l’attività informativa attraverso la quale Tuscano Francesca espresse il suo consenso alla pratica vaccinale appare completa ed esaustiva".

L'indennizzo

I familiari dell'insegnante saranno risarciti di 77.468,53 euro. Si tratta della cifra destinata "ai parenti aventi diritto che ne fanno domanda, nel caso in cui la morte del danneggiato sia stata determinata dalle vaccinazioni", in base alla legge che ha stanziato un fondo da 150 milioni di euro destinato proprio a chi ha subito danni dalla vaccinazione anti Covid. La famiglia Tuscano si è affidata agli avvocati Federico Bertorello e Tatiana Massara per capire come muoversi. Al momento gli avvocati si stanno occupando delle pratiche burocratiche per accedere agli indennizzi previsti ma non escludono la causa civile. 

Vaccino, 100 milioni di dosi regalate per evitare i magistrati: lo scandalo travolge il governo italiano. Lorenzo Mottola su Libero Quotidiano il 15 maggio 2022

C'è stato un momento nella storia della pandemia, prima dell'avvento delle polemiche No-vax, in cui in Italia il problema non era convincere i diffidenti a farsi il vaccino, ma reperire più dosi possibile in modo da uscire dall'incubo del lockdown. In quel periodo le nostre autorità, con Mario Draghi in testa, avevano garantito che non ci sarebbe stato alcun problema, che avremmo colmato i ritardi rispetto a Israele, Regno Unito e Stati Uniti. E in effetti bisogna dire che la missione è riuscita. Il problema, però, ora è l'abbondanza: ovvero capire cosa fare con i farmaci ordinati in esubero. E anche come giustificare di fronte alla magistratura contabile le spese effettuate. I numeri sono questi: finora lo Stato ha distribuito alle Regioni 141 milioni di dosi, di cui 137 sono state già somministrate. Come noto, è stata l'Unione Europea a stipulare per gli stati membri contratti con le case produttrici. All'Italia - carte alla mano - spetterebbero entro l'agosto di quest'anno ben 240 milioni di fiale. Qualche milione verrà impiegato per le quarte dosi degli anziani, ma parliamo di cifre trascurabili. Gli over-80 (cui è riservato il doppio booster) sono 4,5 milioni e appena il 10% di loro per ora ha fatto l'ultimo richiamo. Di conseguenza, ci sono circa 100 milioni di vaccini di troppo.

I PREZZI - Bisogna anche considerare la spesa sostenuta: i prezzi nei mesi sono costantemente cresciuti. L'osservatorio per i conti pubblici della Cattolica stima un costo tra 14,37 e 22,82 euro a dose per contratti conclusi tra fine 2020 e aprile 2021, che riguardano soprattutto i prodotti Pfizer e Moderna (Astrazeneca chiedeva molto meno, ma per valide ragioni abbiamo smesso di acquistarne). Anche tenendoci su stime prudenziali, quindi, si può concludere che siamo ben oltre il miliardo di euro di esborso per vaccini che non saranno mai utilizzati. Come dicevamo, il problema non è soltanto politico, anche perché in fin dei conti la spiegazione è semplice: eravamo in stato di emergenza. Un po' come successo per le mascherine, è normale che il primo pensiero del governo fosse rastrellare la maggior quantità possibile di farmaci. Ora però si apre una questione legale. Quelle spese vanno giustificate. La voce che gira è questa: la magistratura contabile si starebbe già muovendo. O meglio, sarebbe costretta a muoversi, perché per legge non potrebbe sottrarsi al dovere di dar seguito a degli esposti, che in effetti sarebbero già partiti e che comunque è praticamente garantito che arriveranno, vista la quantità di polemiche che questi temi hanno suscitato. Palazzo Chigi, tuttavia, ha già pensato a delle contromisure, anche lavorando sui contratti con l'Unione Europea. Proprio ieri è stato rag giunto un accordo tra Pfizer e Bruxelles, che prevede che le consegne di vaccini previste a giugno vengano ferma te. Quei medicinali, insomma, non arriveranno mai in Italia. Anche se ci toccherà pagare comunque. E ovviamente la produzione nel frattempo non si fermerà. Semplicemente i vaccini finiranno altrove. L'Italia si è già impegnata a donare 69,7 milioni di fialette ai paesi del terzo mondo tramite il programma Covax. E nei giorni scorsi il premier ha annunciato che altre 31 milioni verranno regalate. In questo modo, dal punto di vista legale, la posizione del governo sarà tutelata. D'altra parte non c'erano alternative.

LE ALTERNATIVE - Tenere in magazzino i vaccini per eventuali future ondate avrebbe costi elevatissimi, in particolare quelli della Pfizer, che vanno conservati in celle frigorifere a -80 gradi (il che con il caro-energia è diventato ancor più dispendioso). E comunque conservare questi medicinali per il futuro non avrebbe senso per un'altra ragione. Presto saranno "vecchi". Si parla spesso della possibilità di dover imporre - o almeno consigliare - un'altra dose di richiamo ai cittadini il prossimo autunno. Attualmente, però, le case farmaceutiche stanno adattando i farmaci alle nuove "versioni" del virus. Sempre secondo l'accordo Ue-Pfizer di ieri, in autunno le consegne ripartiranno, con delle versioni aggiornate dei farmaci.

(ANSA il 6 maggio 2022) - La Fda americana ha annunciato che limiterà l'uso del vaccino contro il Covid Johnson & Johnson per il rischio di "rare ma gravi trombosi".

Per lo stesso motivo la Cdc, da dicembre il Centro americano per il controllo delle malattie, raccomanda di utilizzare Pfizer e Moderna, invece di Johnson & Johnson. Il vaccino prodotto dalla Janssen potrà d'ora in avanti essere utilizzato solo per gli adulti che rifiutano Pfizer o Moderna "per motivi personali" o che non li possono ricevere. Su circa 19 milioni di dosi di Johnson & Johnson somministrate negli Usa sono stati rilevati 60 casi di trombosi, di cui 9 letali.

Covid: l'Oms "raccomanda fortemente" l'antivirale Pfizer. La Repubblica il 22 aprile 2022.  

Ma come per i vaccini, l'Organizzazione Mondiale della Sanità è "molto preoccupata" che i Paesi meno ricchi avranno ancora una volta difficoltà ad accedere al farmaco.

L'OMS ha fortemente raccomandato il farmaco antivirale Paxlovid della società farmaceutica statunitense Pfizer per i pazienti con forme meno gravi di Covid-19 e "più alto rischio di ospedalizzazione". Ma come per i vaccini Covid, l'Organizzazione Mondiale della Sanità è "molto preoccupata" che i Paesi meno ricchi avranno ancora una volta difficoltà ad accedere al farmaco. 

Per gli esperti dell'OMS, la combinazione di Nirmatrelvir e Ritonavir "è il farmaco d'elezione" per i pazienti non vaccinati, anziani o immunocompromessi, secondo un articolo del British Journal of Medicine. Per lo stesso tipo di pazienti e sintomi, l'OMS ha anche emesso una "debole raccomandazione" per il Remdesivir del laboratorio americano Gilead, che aveva precedentemente sconsigliato.

Il Paxlovid dovrebbe essere preferito al Molnupiravir o al Remdesivir della Merck, così come agli anticorpi monoclonali, ha detto l'organizzazione, anche se continua a sostenere la vaccinazione. "E' fondamentale evitare che la gente sviluppi una forma grave della malattia, che muoia. E la vaccinazione è un intervento chiave per la prevenzione", ha insistito la dottoressa Janet Diaz, capo del team di risposta clinica per il Covid-19, in un briefing con la stampa a Ginevra. 

Il Paxlovid "riduce l'ospedalizzazione più delle alternative, ha meno rischi potenziali rispetto all'antivirale molnupiravir ed è più facile da amministrare rispetto alle opzioni endovenose come il remdesivir e le terapie anticorpali. Gli studi hanno mostrato 84 ricoveri ospedalieri in meno per 1.000

pazienti, nessuna "differenza significativa nella mortalità" e "poco o nessun rischio di complicazioni che portano all'interruzione del trattamento", afferma l'OMS. Questa raccomandazione non si applica alle donne incinte e che allattano. Inoltre non si applica ai pazienti con un basso rischio di complicazioni perchè gli effetti positivi sono minimi. Gli esperti hanno anche rifiutato di dare un parere per i pazienti con una forma grave della malattia a causa della mancanza di dati.

Massimo Sanvito per “Libero quotidiano” il 22 aprile 2022.

Paxlovid è arrivato in farmacia. La pillola anti-Covid è sugli scaffali pronta a essere acquistata da chi si sente il virus in corpo senza costi a carico e senza aggravi per il sistema sanitario nazionale. Mal di gola, raffreddore, qualche linea di febbre: per fare effetto, va presa entro cinque giorni dal primo sintomo. 

Il primo step, però, è la prescrizione del medico di base, che prima di compilare la ricetta elettronica dovrà escludere eventuali controindicazioni con altri farmaci assunti dal paziente. A occuparsi della distribuzione sono direttamente i farmacisti e i grossisti grazie al protocollo d'intesa tra ministero della Salute, Agenzia italiana del farmaco, rete delle farmacie (Federfarma, Assofarm e FarmacieUnite) e distributori farmaceutici (Federfarma Servizi e Adf).

Ma cos' è Paxlovid? Un farmaco anti-virale, sviluppato da Pfizer, che secondo i risultati preliminari ottenuti alla fine dello scorso anno è in grado di ridurre i rischi di ospedalizzazione e morte rispetto al placebo. Sempre che sia somministrato per tempo. 

«Paxlovid è indicato per il trattamento di pazienti adulti che non necessitanodi ossigenoterapia supplementare e che sono a elevato rischio di malattia grave, come per esempio i soggetti affetti da patologie oncologiche, malattie cardiovascolari, diabete mellito non compensato, broncopneumopatia cronica e obesità grave», ha spiegato l'Aifa. Oltre che dai medici di medicina generale le prescrizioni potranno essere messe nero su bianco anche da tutti i centri specialistici Covid-19 individuati dalle Regioni e monitorate dal registro dell'agenzia del farmaco.

Molto soddisfatto il presidente nazionale Federfarma, Marco Cossolo: «Le farmacie dimostrano, ancora una volta, di operare con grande senso di responsabilità nei confronti della collettività e hanno sempre risposto puntualmente ai nuovi bisogni di salute emersi nelle varie fasi della pandemia. 

Ora sono pronte a garantire gratuitamente la dispensazione del Paxlovid, per assicurare la tempestività del trattamento con gli antivirali orali, rivelatasi fondamentale per il buon esito della cura». Non proprio dello stesso avviso il direttore della clinica di malattia infettive del Policlinico San Martino di Genova, Matteo Bassetti: «Secondo me alla fine, paradossalmente, ci saranno meno prescrizioni dell'antivirale Paxlovid dal medico di famiglia. 

Questo perché prima dell'ok dell'Aifa si era fatta squadra in alcune sedi tra medici di famiglia e ospedali. Ora evidentemente, sapendo che questi potranno prescrivere l'antivirale, verrà meno questa squadra. Una delle tante cose fatte male in Italia, purtroppo».

Tra i medici di base, infatti, serpeggiano diverse perplessità. Perché le ricette dedicate a Paxlovid temono possano rallentare ancora di più la macchina operativa. Burocrazia, maledetta burocrazia. La sfilza di informazioni che dovranno compilare riguardo al piano terapeutico, infatti, è abbastanza lunga.

Prima se ne occupavano i colleghi che lavorano negli ospedali, ora ricadrà tutto sui medici di famiglia che ancora una volta dovranno trasformarsi in passacarte. Qualche dubbio Bassetti lo ha anche sull'utilità della pillola. «Mi auguro che questi farmaci saranno prescritti con appropriatezza. Ad oggi non sono stati usati molto perché i casi dove usarli sono veramente pochi».

E quali sono? Le linee guida dell'Organizzazione mondiale della sanità sono chiare e raccomandano "fortemente" l'uso di Paxlovid per casi non gravi ma a più alto rischio di ricovero come gli anziani, gli immunosoppressi e i non vaccinati. Assolutamente sconsigliato invece per i casi a basso rischio e per chi ha preso il covid con un'alta carica virale perché, al momento, non ci sono dati sperimentali a riguardo. Sul British Medical Journal, i dati di due studi che hanno coinvolto 3.100 pazienti hanno evidenziato la "certezza moderata" che nirmatrelvir-ritonavir, i principi attivi della pillola anti-Covid, abbiano ridotto i ricoveri ospedalieri: 84 in meno ogni mille pazienti.

Paolo Russo per "La Stampa" il 4 maggio 2022.

Se ne era semplificato l'accesso consentendo anche ai medici di famiglia di prescriverli e ai cittadini di acquistarli in farmacia. Dove però non si trova. Parliamo della pillola riservata ai più fragili, che riduce dell'85% il rischio che il Covid generi forme gravi di malattia. Ma per colpa della burocrazia il Paxlovid della Pfizer nelle farmacie ancora non si trova, così a 73 giorni dal suo sbarco in Italia è stato somministrato a nemmeno 10 mila contagiati fragili rispetto alla platea dei 600 mila per i quali se ne sono acquistate le dosi. E come denuncia Guido Rasi, ex numero uno dell'Ema, «sarebbe utile capire quale quota degli oltre mille morti che ancora contiamo ogni settimana si sarebbe potuta giovare di questo antivirale. Credo che ci troveremmo davanti a numeri abbastanza alti».

La spiegazione del flop la fornisce Annarosa Racca, presidente di Federfarma Lombardia. «Noi eravamo pronti ma fino ad ora non sono disponibili le confezioni con il foglietto illustrativo in italiano, in questo caso particolarmente importanti visto che il farmaco interagisce con diverse altre terapie». La Regione Piemonte si è data da fare anticipando ai farmacisti mille confezioni dalle proprie scorte destinate agli ospedali, ma la fornitura da Roma arriverà solo a fine maggio. E così è un po' in tutta Italia. Con i medici di famiglia che, pur potendo prescrivere l'antivirale, si trovano a fronteggiare le proteste dei loro assistiti che non vogliono fare poi la trafila in ospedale per ritirarlo. Magari perché i malanni scatenati dal virus non consentono loro di alzarsi dal letto.

Paxlovid è attualmente autorizzato per chi ha compiuto 18 anni, non ha ancora sintomi gravi e presenta un alto rischio di sviluppare una forma grave di malattia. Persone affette da patologie come tumore «in fase attiva», insufficienza renale cronica, broncopneumopatia severa, immunodeficienza primaria o acquisita, obesità, scompenso cardiaco, malattia coronarica, cardiomiopatia e diabete mellito non compensato. Ma Rasi propone di ampliarne la prescrivibilità agli anziani in genere. «Dobbiamo capire come trarre massimo vantaggio da questa terapia in vista dell'autunno, ma anche in questa fase di lenta discesa dal plateau. Per questo credo che sia opportuno consentirne la prescrizione agli over 70, anche se non hanno patologie importanti».

Stessa strategia a suo avviso andrebbe adottata per il cocktail di monoclonali firmato da AstraZeneca, l'unico a poter essere utilizzato dagli immunodepressi a scopo preventivo, dunque prima di correre seri rischi infettandosi. «Il trattamento ha mostrato di saper ridurre di oltre l'80% il rischio di sviluppare la patologia a sei mesi dalla sua somministrazione, evitando così non pochi decessi». Il problema in questo caso è che l'Aifa lo ha autorizzato solo per circa 90 mila ultrafragili. Più che con sistema immunitario compromesso, sarebbe corretto dire azzerato. 

Il dg dell'agenzia italiana del farmaco, Nicola Magrini, qualche settimana fa aveva aperto ad un allargamento della platea dei potenziali beneficiari del trattamento dopo l'autorizzazione definitiva e non più emergenziale da parte dell'europea Ema, ma al momento non se ne è fatto ancora nulla. Nel frattempo ieri si sono contati altri 153 morti, 29 in più di lunedì. Ma i casi sembrano iniziare a scendere più rapidamente. Sempre ieri erano 62.071, in netto rialzo rispetto al solito dato minimo post weekend, ma ben 25 mila in meno di quelli rilevati una settimana prima.

E anche i ricoveri hanno ripreso a calare: due in meno nelle terapie intensive, 99 nei reparti di medicina. Però, per effetto anche dell'abrogazione del Green Pass, calano i tamponi. Nettamente al Sud, dove di test in una settimana se ne sono fatti circa un terzo in meno. Il che potrebbe favorire una circolazione sotterranea del virus. Con questo quadro, oggi parti sociali e governo si incontreranno per aggiornare i protocolli di sicurezza sul lavoro. Dopo Confindustra e Confesercenti anche Confcommercio chiede di lasciare per i lavoratori l'uso della mascherina «almeno fino al 15 giugno». Da vedere è però come i protocolli possano imporne l'obbligo quando questo non è più previsto da alcuna legge.

Matteo Bassetti, "di quel vaccino facciano ciò che vogliono": attacco a Big Pharma, siero inutile? Libero Quotidiano il 20 aprile 2022.

"In autunno è ragionevole pensare che tutti dovremo fare una dose di richiamo, almeno chi ha ricevuto la terza dose da più di sei mesi": l'infettivologo Matteo Bassetti, primario della clinica Malattie Infettive del San Martino di Genova, ha parlato della quarta dose contro il Covid in collegamento con L'Aria che tira su La7. L'esperto, però, ha sottolineato che il secondo booster non può assolutamente essere fatto con i vaccini usati per le prime tre dosi. 

"Io credo che non dobbiamo rivaccinarci con lo stesso vaccino con cui ci siamo vaccinati per tre volte ma dobbiamo chiedere tutti forte e in maniera univoca che le aziende farmaceutiche producano un vaccino orientato nei confronti delle varianti", ha proseguito Bassetti, facendo riferimento così alle mutazioni del virus, ormai sempre più diffuse, come Omicron e Omicron 2.

"A me non interessa se le case farmaceutiche hanno oltre un miliardo di dosi da utilizzare, ne faranno quello che vogliono, li regaleranno ai paesi in cui non ci si è ancora vaccinati - ha spiegato l'infettivologo -. Non è possibile che a ottobre ci ripresentino il medesimo vaccino. La comunità scientifica ne deve chiedere uno nuovo a gran voce già da ora".

Il vaccino italiano anti Covid di ReiThera è ancora in corsa? Margherita De Bac su Il Corriere della Sera il 19 aprile 2022.

Molti Paesi dell’Ue hanno il loro vaccino, noi no. Cosa è successo dopo lo stop della Corte dei Conti ai finanziamenti per l’azienda di Castel Romano 

Quali Paesi dell’Unione europea hanno sviluppato vaccini anti Covid?

La Gran Bretagna ha dato i natali a Vaxzevria, sviluppato dall’istituto Jenner di Oxford con la partecipazione dell’Istituto italiano IRBM (ricerche biomediche, sede a Pomezia) e prodotto da AstraZeneca. La Francia sta per uscire con i vaccini della Sanofi (che sta lavorando in tandem con l’anglo americana GSK) e Valneva, con sede nel Nord ovest del Paese che sta preparando l’unico composto a base di virus intero inattivato. In Germania ha sede Biontech che con Pfizer ha dato vita al vaccino Comirnaty, basato sulla tecnologia dell’RNA messaggero (la campagna vaccinale in Italia, partita il 27 dicembre del 2020, ha utilizzato queste dosi). Anche la Spagna è in corsa grazie all’industria biotech Hipra che ha sottoposto all’Ema il dossier sun una dose booster per adulti (vaccino proteico) (leggi qui l’intervista al virologo Palù)

E l’Italia?

Il vaccino studiato dall’azienda italiana ReiThera, con sede a Castel Romano, (tra gli azionisti c’è anche Invitalia, amministratore delegato Domenico Arcuri che fino a febbraio 2021 è stato commissario della struttura commissariale per l’emergenza pandemica, entrata nel capitale col 27%), presentato con grande enfasi a gennaio 2021 da diverse autorità sanitarie, ha subito un arresto durante la sperimentazione clinica per mancanza di finanziamenti necessari allo svolgimento dell’ultima fase di sperimentazione . A maggio 2021 la Corte dei Conti ha rilevato infatti irregolarità contabili nel decreto del ministero dello Sviluppo che avrebbe dato il via ai finanziamenti: 81 milioni di Invitalia per completare la fase 3 di sperimentazione. La prima fase dello studio clinico, terminato con risultati definiti «promettenti» è stata finanziata da ReiThera con 6 milioni, che le sono stati in parte rimborsati dallo Spallanzani (5 milioni) . I costi della fase 2 sono stati sostenuti ancora da ReiThera.

Cosa è successo dopo?

L’azienda ha completato la fase 2 di sperimentazione con finanziamenti propri. Sono stati arruolati circa 900 volontari sani, in queste settimane stanno per essere ultimate levisite di controllo (follow up) ai volontari. Il vaccino, basato sull’impiego dell’adenovirus del gorilla come navicella per il trasporto dell’informazione per produrre la proteina Spike del coronavirus nell’organismo (la stessa proteina utilizzata come bersaglio dagli altri preparati), sarebbe risultato «sicuro e immunogenico». I dati sono stati valutati da un Comitato di esperti internazionali per accelerare il passaggio alla fase 3 su 10mila volontari. ReiThera ha anche potenziato la sua officina di produzione con l’acquisto di due bioreattori che consentirebbero la produzione delle dosi su larga scala.

Paolo Russo per “la Stampa” il 12 aprile 2022.  

La svolta per proteggere i fragili che nemmeno con il vaccino sono al riparo dai pericoli del Covid arriverà oggi, quando la Cts dell'Aifa darà il via libera alla prescrizione degli antivirali da parte dei medici di famiglia e alla possibilità di acquistarli poi direttamente in farmacia. Un percorso in discesa rispetto alla corsa a ostacoli che ha di fatto limitato - e di molto - l'accesso alle pillole anti-Covid. Nonostante basti un bicchier d'acqua a mandarle giù, fino ad ora la terapia è stata dispensata solo dagli ospedali.

E nonostante gli antivirali vadano assunti al massimo entro 5 giorni dalla comparsa dei primi sintomi, il meccanismo burocratico ha fatto andare molti fuori tempo. Come denuncia il virologo Francesco Broccolo dell'Università di Milano, «ci vogliono circa due giorni prima che il paziente abbia la risposta dal tampone molecolare, dopodiché deve rivolgersi al medico di base e questi a sua volta deve mettersi in contatto con il reparto di malattie infettive dell'ospedale, dove il farmaco può essere prescritto e somministrato». Il rischio, osserva il professore, è «perdere tempo e non riuscire a somministrare la terapia. Ed è anche un sistema discriminatorio, se pensiamo alle periferie e a tutti i centri delocalizzati che non possono accedere in tempi rapidi a un reparto ospedaliero di malattie infettive».

Questo ha di fatto impedito di utilizzare quest'arma terapeutica in più rispetto al vaccino a larga parte di coloro che ne hanno diritto, ossia i contagiati a rischio di evoluzione grave della malattia.

Che sono poi, in base a quanto già stabilito dall'Aifa, persone affette da tumore «in fase attiva», insufficienza renale cronica, broncopneumopatia severa, immunodeficienza primaria o acquisita, obesità, scompenso cardiaco, malattia coronarica, cardiomiopatia e diabete mellito non compensato.

Condizione valida per tutti: aver compito 18 anni e non accusare sintomi gravi della malattia. Per questo i farmaci vanno utilizzati entro tre, massimo 5 giorni dall'insorgenza dei sintomi. Ma per i più così non è stato. E a dirlo sono i numeri. Lasciando da parte il Remdesivir della Gilead, che va somministrato endovena e che per questo richiederà di recarsi ancora in ospedale, i due antivirali via bocca sono il Lagevrio della Merck e il Paxlovid della Pfizer.

Ma mentre il primo con Omicron ha visto calare al 30% la sua efficacia nel ridurre il rischio di ricovero e di morte, il secondo ha dimostrato di continuare a proteggere dagli esiti peggiori nell'88% dei casi. Peccato però che dei 600 mila trattamenti acquistati dall'Italia fino al 5 aprile, ossia a circa due mesi dalla sua approvazione, ne siano stati somministrati appena 6.822, l'1,14% delle scatole a disposizione. Delle 50 mila confezioni targate Merck ne sono stato invece dispensate 16.732, ma il farmaco è stato approvato prima di quello Pfizer.

«Che i farmaci antivirali siano sottoutilizzati è indubitabile», ha ammesso in tv Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità e gran consigliere di Draghi. «È il meccanismo di prescrizione che deve essere reso più agile, e Aifa - ha in qualche misura anticipato - sta sviluppando una strategia per renderli prescrivibili anche dai medici di medicina generale, semmai attivando dei controlli sull'appropriatezza a posteriori».

«Credo che, tenendo conto del rischio di morte di un ultraottantenne che si infetta, se facessi il medico di medicina generale considererei questi soggetti per le terapie, ovviamente valutando le interazioni farmacologiche che non vanno sottovalutate», ha aggiunto il professore, facendo così capire che l'uso degli antivirali potrebbe essere esteso anche ai più anziani a prescindere dai loro malanni. Certo, i costi di un ciclo terapeutico (2 pillole 2 volte al giorno per 5 giorni per il Paxlovid e 4 per 5 nel caso di Lagevrio) vanno dai 610 euro del trattamento della Merck ai 650 di quello Pfizer.

Ma c'è da dire che un giorno di ricovero in reparto ne costa mille, in terapia intensiva tremila. E minimo in ospedale ci si trascorre una settimana. Anche per questo si è deciso di rompere gli indugi aprendo alla prescrizione da parte dei medici di famiglia e all'acquisto diretto in farmacia. Attenzione però alle controindicazioni. Entrambe le pillole non vanno assunte in caso di hiv e di compromissione renale ed epatica severe.

Vaccini: dosi scadute o mai spedite. Lo scandalo delle donazioni è un regalo a Big Pharma. LUDOVICA JONA su Il Domani il 29 marzo 2022

«I produttori dettano agli stati membri condizioni che rendono impossibile una risposta rapida di fronte alla richiesta di aiuto». Lo scrive il segretario di stato tedesco alla Salute Thomas Steffen a Sandra Gallina, caponegoziatrice Ue per l'acquisto dei vaccini.

Si legge in una lettera visionata in questa inchiesta, che fa parte del progetto europeo “Follow The Doses”. La ricostruzione dei documenti e delle donazioni mette in luce le responsabilità di Big Pharma dietro alle donazioni mai avvenute o tardive.

Le conseguenze riguardano anche l’Italia. Circa 350 milioni di dosi donate ai paesi poveri non sono state iniettate, molte finiscono in discarica. LUDOVICA JONA

Paolo Russo per “La Stampa” il 24 marzo 2022.

Doveva essere il vaccino «che piace ai No Vax», ma - a un mese esatto dal suo sbarco in Italia - Novavax è un flop totale. Appena atterrato nel nostro Paese, il generale Figliuolo ne ha distribuite un milione e 23 mila dosi, ma ad oggi ne sono state somministrate poco più di 16 mila, un misero 1,6% del totale. Il «Nuvaxovid», questo il nome commerciale del vaccino, è stato autorizzato dall'Ema per chi ha più di 18 anni.

E la nostra Aifa ha specificato che le fiale vanno utilizzate esclusivamente per chi di punture non ne ha fatta nemmeno una. Condizione nella quale si trovano in questo momento 4 milioni e 39 mila over 18, che hanno girato le spalle anche all'ultimo arrivato della Novavax, società di biotecnologie americana, che ha venduto all'Italia una prima trance di un milione di dosi, per una spesa intorno ai 20 milioni.

Soldi finiti al macero, vista l'accoglienza che gli irriducibili tra i No Vax hanno riservato al vaccino che si sperava avrebbe convinto chi, non si sa sulla base di quali conoscenze scientifiche, aveva detto a chiare lettere di non fidarsi dei prodotti a mRna, temendo chissà quali mutazioni genetiche, considerate fantascienza dai ricercatori più accreditati.

«Nuvaxovid» è infatti un vaccino a base di proteine, ingegnerizzato dalla sequenza del ceppo originale di Wuhan del Sars-Cov-2. Creato grazie alla tecnologia delle nanoparticelle ricombinanti, genera l'antigene derivato dalla proteina spike ed è formulato con l'adiuvante Matrix-M, brevettato da Novavax per migliorare la risposta immunitaria e stimolare alti livelli di anticorpi neutralizzanti.

Dopo l'inoculazione, il sistema immunitario identifica la proteina e inizia a produrre difese naturali come anticorpi e cellule T, quelle che alzano un muro difensivo davanti all'attacco del virus anche quando gli anticorpi non ci sono più. I risultati della sperimentazione di fase 3, quella allargata sull'uomo, hanno dato risultati comparabili a quelli dei vaccini di Pfizer e Moderna a base di mRna, mostrando un'efficacia complessiva dell'82,7%, che sfiora il 100% contro le forme gravi di malattia.

Risultati che avrebbero dovuto far porgere il braccio a dubbiosi e campioni della «genetica fai da te», ma così non è stato. Ma che si tratti di Novavax o Pfizer o Moderna, oramai a fare la prima dose non si presenta più nessuno. Martedì sono stati appena 989. Il giorno prima era andata un po' meglio: 2.037. 

Ma con questi ritmi è come pretendere di svuotare l'oceano con un bicchiere, visto che senza alcuna protezione dai 5 anni in su sono ancora in 6 milioni e 961 mila. Ma anche con le terze dosi si procede a passo di lumaca. Martedì se ne sono fatte 39.200, il giorno prima poche centinaia di più.

Briciole rispetto al mezzo milione e passa che ogni giorno si facevano avanti a metà gennaio. Compresi quelli poco convinti, ma che obtorto collo finivano per mostrare il braccio sapendo che senza puntura avrebbero dovuto rinunciare anche al Super Green Pass. Ovvero a ristoranti, bar e svago in generale. 

O allo stipendio, nel caso dei lavoratori over 50. Tutti divieti che il nuovo decreto approvato la scorsa settimana manda in soffitta a partire dal 1° aprile. E anche questo sta contribuendo non poco a tenere alla larga dagli hub vaccinali chi ci si era avvicinato più per necessità che per convinzione.

Non a caso all'appello mancano circa tre milioni di italiani, che passati più di 4 mesi dalla seconda dose, potrebbero ora fare la terza ma scelgono di non presentarsi. Male per loro, visto che dopo 120 giorni con Omicron la protezione dal contagio con due sole dosi scende sotto il 40%, mentre il rischio di morte sale di cinque volte rispetto a chi il booster lo ha fatto. 

Male però anche per chi, pur vaccinato, rischia per negligenza altrui di ammalarsi comunque seriamente, per via di un sistema immunitario malconcio che male risponde alle stimolazioni degli stessi vaccini. Persone da proteggere facendo circolare meno virus possibile. Se i No Vax lo capissero. 

Covid, "quanti no-vax si sarebbero salvati": cifre da incubo, il Cts spinge per la proroga dell'obbligo vaccinale. Libero Quotidiano il 15 marzo 2022.

Sergio Abrignani, membro del Cts, ha spiegato in un’intervista rilasciata a Repubblica perché l’obbligo vaccinale per gli over 50 non va tolto. “Dico che dal primo gennaio al 28 febbraio di quest’anno sono morte 17mila persone per il Covid - ha esordito l’immunologo - di queste, circa il 55% non aveva fatto il vaccino. Vuol dire più di 9mila cittadini. Se teniamo conto che il vaccino protegge al 90% dalla malattia grave, ricaviamo che in circa 8mila potevano salvarsi se si fossero vaccinati”.

Abrignani ha fatto un paragone ad effetto per far comprendere bene quanto sia ancora letale il virus nella popolazione più esposta: “Si stima che in Ucraina fino ad ora ci sono stati 2mila morti civili, cioè in proiezione 6mila in due mesi. Ecco, da noi nello stesso lasso di tempo il virus ha ucciso di più”. Il maggior numero di vittime del Covid è legato a chi ha scelto di non vaccinarsi, nonostante l’obbligo: “I non vaccinati che muoiono hanno prevalentemente più di 50 anni, e a gennaio e febbraio sono circa 130 al giorno. Cioè o come se quotidianamente fosse caduto un aereo”. 

Quindi secondo Abrignani l’obbligo andrebbe esteso: “La decisione è politica, non spetta a noi esperti dirlo. Facciamo però notare quante persone non sarebbero morte se si fossero vaccinate e quindi non ha senso toglierlo. Adesso i casi si sono più che dimezzati rispetto ai primi due mesi di quest’anno ma i decessi tra i non vaccinati sono comunque 2mila al mese. Cioè tanti”.

L'incarico da aprile. Chi è Tommaso Petroni, successore di Figliuolo per la campagna vaccinale: Draghi punta al generale esperto di logistica. Carmine Di Niro su Il Riformista il 30 Marzo 2022. 

Un generale dell’esercito esperto in logistica per completare il percorso della campagna vaccinale. È Tommaso Petroni l’uomo scelto dal presidente del Consiglio Mario Draghi come Direttore dell’Unità per il completamento della campagna vaccinale e per l’adozione di altre misure di contrasto alla pandemia.

A decorrere dal 1° aprile Petroni prenderà il posto di Francesco Paolo Figliuolo. Il 31 marzo infatti con la fine dello stato di emergenza verrà ‘smobilitata’ anche la struttura commissariale che quest’ultimo ha guidato durante la campagna vaccinale, prendendo il posto dell’amministratore delegato di Invitalia Domenico Arcuri.

Una nomina all’insegna della continuità: Il maggior generale Petroni era da circa un anno capo dell’area logistico-operativa della struttura commissariale diretta finora da Figliuolo.

Sessanta anni, originario di Canosa di Puglia, si è arruolato nell’Esercito nel 1981. Ha ricoperto vari incarichi di comando ed ha prestato servizio in missioni in Kurdistan, Somalia e Kosovo oltre che al quartier generale della Nato a Valencia.

Dall’ ottobre 2018 ad aprile 2021, il maggior generale Petroni a Roma ha svolto gli incarichi di capo reparto Trasporti e capo reparto Materiali occupandosi della gestione di tutti i trasporti nazionali ed internazionali a supporto di Enti e Reparti dell’Esercito italiano.

Vice di Petroni, indicato dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini, sarà Giovanni Leonardi, dirigente del ministero della Salute. L’Unità che Petroni guiderà a partire dal primo parile sarà composta da una parte del personale della struttura di supporto alle attività del commissario e da personale in servizio al ministero della Salute.

Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia

Da ansa.it il 14 marzo 2022.  

"Io il 31 comunque voglio passare la mano perché ho un incarico importante come comandante del Covi e mi voglio dedicare a quello. 

Penso di aver fatto la mia parte, ho visto cose belle e cose meno belle ma basta così.

Sono un tecnico e voglio rimanere un tecnico". Lo ha detto il commissario straordinario all'emergenza coronavirus e comandante del Covi, Francesco Paolo Figliuolo, nel corso della presentazione del libro scritto con Beppe Severgnini “Un italiano”, edito da Rizzoli, a 'Libri Come', all'Auditorium Parco della Musica di Roma. 

"Perché ho scritto questo libro? Per lasciare traccia di quello che sono", ha aggiunto Figliuolo, durante la presentazione del suo libro "Un italiano", scritto con Beppe Severgnini, alla rassegna 'Libri Come' all'Auditorium di Roma. "Poi metà del libro parla di questa incredibile avventura che mi è capitata di fare, come commissario straordinario per l'emergenza Covid - ha aggiunto Figliuolo -. Così, se avrò dei nipotini, magari un giorno leggeranno cosa ha fatto il nonno".

Da ansa.it il 14 marzo 2022.  

Per gentile concessione della casa editrice Rizzoli pubblichiamo un estratto da “Un italiano” (pp 304, euro 19.00) di Francesco Paolo Figliuolo. Conversazione con Beppe Severgnini, in libreria dall'8 marzo, che saranno a Libri Come sabato 12 marzo.

Ecco il brano dedicato allo spirito degli alpini: "Se dovesse spiegare a qualcuno che conosce poco l'Italia chi è un alpino, cosa direbbe? Be', per cominciare l'alpino ha un cappello buffo. Adesso guai a chi me lo tocca, il cappello con la penna, ma all'inizio pensavo: «Cos'è?». Poi ho capito che questo cappello ha una storia. Chi lo porta è una persona seria. Come disse e scrisse Egisto Corradi, non è un furbo, nel senso italico del termine. 

Questo è un anno importante, per voi.

Sì, il 2022 segna una tappa significativa nella storia degli alpini, che festeggiano i centocinquant'anni di fondazione del corpo. Il 15 ottobre 1872, a Napoli, Vittorio Emanuele II firmava il decreto che sanciva la nascita delle prime compagnie montanare del Regio Esercito, destinate a difendere le vallate sui confini d'Italia. 

Per celebrare la ricorrenza, l'Associazione Nazionale Alpini e il Comando Truppe Alpine dell'Esercito hanno promosso una serie di eventi e attività che accompagneranno le penne nere in servizio e in congedo in un percorso che si concluderà il 15 ottobre, giorno dell'anniversario, con una manifestazione nazionale proprio a Napoli. La aspettiamo!

- Lei ha citato l'alpino Egisto Corradi, classe 1914. Quando sono tornato da Londra nel 1988, Indro Montanelli mi ha messo in stanza con lui, al «Giornale» in via Negri. A Egisto piaceva insegnare ai giovani, fingendo di chiederci aiuto. 

    Non l'ho mai conosciuto di persona, purtroppo. Ma ho letto La ritirata di Russia, gran libro. L'eroismo spiegato con parole semplici.

    - Un ricordo del primo campo? Un passo falso. Primo giorno, ora di pranzo, mi lancio verso la mensa. Il capitano: «Che stai facendo?». Rispondo: «Non si va in mensa?». E lui: «Ma tu sei un ufficiale». E io: «Appunto!». 

    Allora mi spiega: «L'ufficiale mangia per ultimo». Pensai: vabbe', che strana consuetudine. Poi ho capito. Mangio per ultimo perché vuol dire che i soldati sicuramente hanno mangiato. Quando si va in montagna, ci si deve nutrire per avere le energie. 

Poi ho imparato il controllo: per comandare non bisogna solo dare ordini, bisogna verificare che gli ordini siano eseguibili. Ho capito l'importanza dell'esempio. Chi esegue gli ordini - in combattimento potrebbero comportare la perdita della vita - deve essere sicuro che chi li ha impartiti abbia preso la migliore decisione possibile, valutando tutte le informazioni a disposizione.

    - La vita di un alpino, vista da fuori, appare faticosa.

    Le racconto un altro episodio di quel primo campo. Marcia con pernottamento in quota. Saliamo, carichi come muli. Oltre allo zaino, portiamo una tenda biposto con i carichi divisi tra due alpini. Ufficiali compresi, ovviamente. Nel pomeriggio, dopo aver scarpinato nella neve per ore, arriviamo nei pressi di alcune malghe disabitate. Era già buio. Il capitano ordina di preparare l'accampamento.

Poi mangiamo il cibo scaldato con la cucina someggiabile. Prima di andare in tenda a riposare - ormai si era fatto tardi - domando al capitano l'ora della sveglia per il giorno dopo. Risponde: «Sveglia all'una e trenta, poi andiamo in cima». 

Stupito, chiedo: «Non è tardi partire dopo mezzogiorno?». Ahimè, la sveglia era all'una e trenta del mattino. In pratica, mancavano poche ore. Bella la montagna quando sei in cima, ma per arrivarci...

    - Degli alpini, per chi alpino non è, colpisce lo spirito di corpo, che resiste nel tempo. Non è il posto giusto per gli individualisti. Corretto?

Gli alpini si confrontano con un ambiente oggettivamente difficile, che è la montagna. Non bisogna lasciare mai indietro nessuno, occorre lavorare assieme, tutti portano lo zaino, anche i comandanti, gli ufficiali. Normalmente il passo si cadenza sul più lento, non sul più forte e veloce. Questo significa voler arrivare tutti, vuol dire sacrificio, solidarietà, senso di responsabilità. Ecco perché i reparti alpini sono molto coesi.

    Lo spirito di corpo viene alimentato anche dall'Associazione Nazionale Alpini, in Italia non c'è niente del genere, come numeri e come entusiasmo. Io mi sono spesso chiesto perché. La risposta: chi s'impegna lì dentro vuole fare, non cerca una carica o un rango..."

Estratto dell’articolo di Vincenzo Bisbiglia per “il Fatto quotidiano” l'11 marzo 2022.

Il 3º reggimento Alpini inviato nel 2019 in missione Nato in sostituzione di un altro, il 9º, "già approntato e pronto a partire" verso la Lettonia. Tutto ciò, secondo chi denuncia, potenzialmente per dare lustro, indennità e agevolare la carriera di un comandante in particolare, l'allora capitano Federico Figliuolo, a capo della 34º compagnia del 3º reggimento Alpini e figlio dell'attuale commissario dell'emergenza Covid-19, il generale Francesco Paolo Figliuolo, in quel momento ancora in testa al Comando Logistico dell'Esercito. In cambio, alle Truppe alpine sarebbe stato promesso l'arrivo di "materiali speciali, forse motoslitte".

È l'episodio raccontato da un testimone anonimo e contenuto in un esposto depositato alla Procura di Bolzano il 10 novembre 2021 dal presidente nazionale di Assomilitari, il maresciallo dell'Esercito Carlo Chiariglione. Denuncia che ha portato i pm altoatesini ad aprire un'inchiesta: né Figliuolo, né il figlio, né tutti gli altri che citiamo sono indagati. 

[…] Le circostanze di cui si parla nell'esposto, secondo il denunciante, sarebbero state raccontate dall'allora comandante generale delle Truppe alpine, il generale di Corpo d'Armata, Claudio Berto (oggi in pensione), il 19 febbraio 2019 in un bar […] alla presenza di diverse persone, tra cui due generali, un colonnello e un maggiore suoi sottoposti.

Il 9º reggimento Alpini era rientrato a dicembre 2018 dalla Operazione "Baltic Guardian", sostituito dal 7º bersaglieri. A dicembre 2019, secondo quanto esposto ai pm, i soldati di stanza all'Aquila sarebbero dovuti ripartire verso la base di Adazi. "Il generale Berto - si legge nella denuncia - in tale situazione ha iniziato a raccontare ai presenti che il generale Figliuolo poco prima gli aveva richiesto di poter modificare il piano impiego estero dei reparti Alpini già formalmente definito".

La richiesta, prosegue il denunciante, "era quella di togliere dalla pianificazione operativa per l'impiego all'estero il 9º Reggimento Alpini (L'Aquila) () e di conseguenza impiegare il 3º Reggimento Alpini (Pinerolo), in teoria non ancora approntato, al solo fine di poter far partire la 34º compagnia comandata dal Capitano Figliuolo". 

Continua l'esposto: "Tale richiesta, per quanto dichiarato in quel contesto dal Gen. Berto, non fu per fattori riferiti all'efficacia ed efficienza istituzionale e operativa, bensì esclusivamente per far partire il figlio del Gen. Figliuolo. Il Gen. Berto aggiunse anche che il Gen. Figliuolo, già ricoprente l'incarico di Comandante del Comando Logistico dell'Esercito, per convincerlo di tale favore personale, gli promise di destinare al Comando Truppe Alpine dei materiali speciali, forse motoslitte". 

Quella di Berto poteva essere solo una "chiacchiera da bar"? Magari un racconto ingigantito in un contesto conviviale? "Tale affermazione - si legge nella denuncia - il Gen. Berto l'ha ripetuta, anche in altre situazioni e sedi ad altri soggetti" […]

Generale Figliuolo, "quando è stato deciso il favore per il figlio". Nuovi velenosi dettagli. Libero Quotidiano il 12 marzo 2022.

Nonostante il generale Francesco Figliuolo non sia indagato, Marco Travaglio torna a dedicare al commissario per l'emergenza Covid un'intera pagina. Il caso ormai è noto: un anonimo ha informato la procura di Bolzano su presunti favori chiesti da Figliuolo per il figlio Federico. Ora, scrive Il Fatto Quotidiano, "non c'è solo la denuncia di Assomilitari a raccontare del cambio di programma per spedire in Lettonia il reggimento Alpini del figlio del commissario straordinario per il Covid-19 Francesco Paolo Figliuolo. Ora arriva anche un'altra conferma, quella dell'allora vice comandante degli Alpini, il generale di divisione, Marcello Bellacicco".

Secondo quanto riportato dal Fatto l'accordo sarebbe stato sancito nel febbraio del 2019 durante i Campionati sciistici delle Truppe alpine (Casta). Il cambio di programma con l'invio in missione Nato in Lettonia del 3º reggimento Alpini e non del 9º, secondo chi denuncia, sarebbe stato orchestrato per agevolare la carriera dell'allora capitano Federico Figliuolo, a capo della 34ª compagnia del 3º reggimento Alpini e figlio del generale Figliuolo.

Un'ipotesi - prosegue il quotidiano "suffragata" dalle parole di Bellacicco. "Ricordo che eravamo ai campionati sciistici delle Truppe alpine in Val Pusteria e quel giorno c'erano le gare di fondo () Durante una pausa dalle competizioni, intorno alle 11 () ci ritrovammo al bar del complesso sportivo il generale Claudio Berto, il sottoscritto, il generale di brigata Luca Bombonato, vice comandante delle Infrastrutture, e il maggiore Marcello Marzani, l'aiutante di campo del generale Berto". Quest'ultimo, prosegue, "disse che aveva parlato con il generale Francesco Figliuolo, il quale gli aveva chiesto di mandare in Lettonia, in una missione Nato, il 3º reggimento Alpini invece del 9º reggimento Alpini, come era previsto sino a quel momento. In cambio, disse, Figliuolo avrebbe potuto assegnare una motoslitta alle Truppe alpine". 

Generale Figliuolo, Filippo Facci smaschera Travaglio: "Perché il Fatto lo ha messo alla gogna". Filippo Facci su Libero Quotidiano il 12 marzo 2022.

Il generale Francesco Paolo Figliuolo non è indagato, non è iscritto nel registro degli indagati, non è iscritto nel registro dei reati: è stato soltanto denunciato da un anonimo alla procura di Bolzano dopodiché un pubblico ministero ha preso la denuncia e l'ha relegata a modello 45, che tecnicamente corrisponde al «registro degli atti non costituenti notizie di reato» che è quello dove spesso finiscono le denunce dei pazzi o dei finti perseguitati e dintorni. Morale: ieri Il Fatto Quotidiano ha sbattuto in prima pagina la notizia (che non c'è) perché è così che funziona, in Italia in particolare. Già fatichereste a immaginare quante ne arrivano, di denunce che finiscono direttamente a modello 45: ma fatichereste di meno a immaginare quante possa ritrovarsene, d'un tratto, chiunque sia divenuto noto o famoso o comunque al centro delle cronache. Perché è così che funziona, sì. Se tra giornalisti si dice «se non ti querelano non sei nessuno (cacchiata, perché allora il direttore di Libero e anche del Fatto dovrebbero essere più celebri dei Beatles), in Italia è molto più vero che chiunque si affacci alla ribalta politica faccia partire un conto alla rovescia, e la scommessa divenga: quanto impiegheranno a indagarlo? Entro quanto finirà arrostito dal cretinismo mediatico e bipolare? Le scommesse per il generale Figliuolo sono ancora aperte, visto che circolano quotidiani che riescono a rimpiangere persino i tempi di Giuseppe Conte e Domenico Arcuri.

AVVERTENZA TECNICA

Dunque, ora, raccontiamo per bene questa immane ca***ta: la denuncia contro Figliuolo; divertiamoci un po' coi nostri amici del Fatto. Avvertenza tecnica: non provino neanche, certi "imparati" di cose giudiziarie, a rifilarci che il modello 45 sia solo un nascondiglio usato dai pm per prendere tempo: quei tempi sono finiti. C'è una circolare del ministero della Giustizia (21 aprile 2011) che è stata confermata due volte dalla Cassazione a Sezione Unite e che spiega che il giochino non si può più fare. No, perché il Fatto Quotidiano ha titolato così: «"Il gen. Figliuolo chiese favori per il figlio". Indaga Bolzano». Che non è il cognome di un pm: è la città. C'è un'intera città che indaga, 104mila bolzanesi sulle tracce del generale. Il Fatto scrive che la denuncia «ha portato i pm altoatesini ad aprire un'inchiesta», anche se ammettono che il generale non è indagato: ma detta così è una bugia e basta. Per mettere la denuncia a modello 45 (registro separato da quello generale) bisogna comunque denominarlo in qualche modo, scriverci un numero: nel caso è il 2305/21, ma non significa che hanno «aperto un'inchiesta», come scrive Il Fatto, ma viceversa che non l'hanno aperta, perché quel registro è l'anticamera dell'archiviazione. Se un pm volesse «aprire un'inchiesta», il pm dovrebbe fare una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato (che è un altro registro) e il passaggio dovrebbe essere annotato. Non è avvenuto. Quindi non c'è un'indagine. Non c'è un'indagato. Per ora, almeno. Ora la dinamica. Il caporalmaggiore Carlo Chiariglione, presidente di Assomilitari (un'associazione di categoria il cui presidente onorario è Giampiero Scanu, ex senatore passato dal Ppi al Pd, ora pensionato) il 10 novembre scorso ha depositato un esposto alla Procura di Bolzano. In questo esposto c'era una denuncia anonima, ma questa denuncia è stata confermata dalla registrazione che Assomilitari ha fatto del racconto di un ex vice comandante degli Alpini ora in pensione, Marcello Bellacicco.

LA RICOSTRUZIONE

L'anonimo racconta (cioè è scritto nell'esposto) che l'ex comandante degli Alpini Claudio Berto, pure lui in pensione, il 19 febbraio 2019 era in un bar dello Stadio del ghiaccio di Dobbiaco (Bolzano) e con lui c'erano anche altri militari. Tre mesi prima, a dicembre 2018, il Nono reggimento alpini era rientrato da un'operazione in Lettonia ed era stato sostituito dal Settimo reggimento dei bersaglieri, e nel dicembre 2019 il Nono sarebbe dovuto ripartire per la Lettonia. Ma ecco: «Il generale Berto in tale situazione ha iniziato a raccontare ai presenti che il generale Figliuolo poco prima gli aveva richiesto di poter modificare il piano impiego estero dei reparti Alpini gia formalmente definito», e cioè «togliere dalla pianificazione operativa per l'impiego all'estero il Nono Reggimento Alpini e impiegare il Terzo Reggimento Alpini». E perché l'avrebbe fatto? «Al solo fine di poter far partire la compagnia comandata dal Capitano Figliuolo», inteso come Federico Figliuolo, a capo del Terzo Alpini. Non solo: il generale Figliuolo, secondo il racconto da bar dell'ex comandante Berto, «per convincerlo di tale favore personale, gli promise di destinare al Comando Truppe Alpine dei materiali speciali, forse motoslitte». Addirittura. Motoslitte per gli Alpini: sono tutti materiali speciali che in effetti ai Lagunari San Marco e all'Arma di Cavalleria non hanno mai destinato. Poi, forse nella consapevolezza che i tratti comuni di ogni testimonianza sono 1) degli Alpini; 2) un bar: 3) dei pensionati, l'esposto anonimo precisava che il generale Berto «tale affermazione l'ha ripetuta ad altri soggetti anche in altre situazioni e sedi». In quali bar, pardon sedi? 

SEGUGI IN AZIONE

Da qui sono ripartiti i segugi del Fatto. Hanno cercato di contattare il generale Berto, ma l'alpino gli ha fatto rispondere - tramite l'ufficio stampa - che non vuole incontrarli né rispondere alle loro domande. Inquietante. In seguito l'avvocato di Assomilitari ha chiesto all'Esercito copia della «disposizione di variazione della pianificazione operativa nell'avvicendamento», e però non gliel'hanno data, spiegando che l'Esercito, su richiesta, non fornisce documenti militari interni. Inquietante. Allora i segugi del Fatto hanno scritto «via whatsapp» al generale Figliuolo che non ha risposto (inquietante) e hanno chiesto spiegazioni all'ufficio stampa della struttura commissariale per l'emergenza Covid, «anche in questo caso senza ottenere risposte». Sempre più inquietante. In vari passaggi, i segugi del Fatto sono rimasti «senza risposte», e se la sono rivenduta come se avessero ogni volta impattato contro muri d'omertà. È giusto avvertirli: se si ostineranno a chiedere informazioni sulla «disposizione di variazione della pianificazione operativa nell'avvicendamento» degli Alpini in Lettonia, chissà, persino il loro portinaio potrebbe lasciarli «senza risposte».

Mariolina Iossa per il corriere.it il 12 marzo 2022.

Il Commissario all’emergenza Coronavirus Francesco Paolo Figliuolo in qualità di comandante del Covi (Comando Operativo di Vertice Interforze) è adesso attivissimo su due fronti, perché oltre alla campagna vaccinale che ormai si sta esaurendo sta seguendo la crisi Russia-Ucraina e l’impatto sull’Europa e l’Italia. Ora dice apertamente di considerare chiusa la sua esperienza come Commissario straordinario per la pandemia e la campagna vaccinale. 

«Io il 31 marzo voglio comunque passare la mano perché ho un incarico importante come comandante del Covi e mi voglio dedicare a quello - ha detto il generale a «Libri Come», all’Auditorium Parco della Musica di Roma, durante la presentazione del libro scritto con Beppe Severgnini «Un italiano». 

«Penso di aver fatto la mia parte, ho visto cose belle e cose meno belle ma basta così. Sono un tecnico e voglio rimanere un tecnico», ha poi aggiunto Figliuolo. La campagna vaccinale da lui guidata ha consentito all’Italia di attraversare la tempesta dell’ondata Omicron in maniera meno drammatica di quel che sarebbe potuto accadere se la popolazione vaccinata fosse stata largamente inferiore.

«Perché ho scritto questo libro? Per lasciare traccia di quello che sono», ha detto Figliuolo. «Metà del libro parla di questa incredibile avventura che mi è capitata di fare come commissario straordinario - ha aggiunto il comandante - Così, se avrò dei nipotini, magari un giorno leggeranno cosa ha fatto il nonno». 

Adesso per il generale c’è un’altra crisi da seguire, la guerra in atto ai confini dell’Europa. E nel nostro Paese occorrerà prevedere nuove figure che continuino nel lavoro di monitoraggio e spinta alla vaccinazione, per tenere sotto controllo una situazione sanitaria che è sì meno preoccupante ma non è definitivamente chiusa.

La lettera di Figliuolo: "Adesso dovrete farcela da soli". Alessandro Ferro il 3 Marzo 2022 su Il Giornale.

Il Commissario per l'emergenza Covid, Figliuolo, ha scritto una lettera di raccomandazioni al ministero della Salute e alle Regioni in vista della scadenza del suo mandato. "Inaccettabile non farsi trovare pronti".

Un anno dopo essere stato nominato Commissario straordinario per l'emergenza Covid-19, il generale Francesco Paolo Figliuolo ha deciso di scrivere di suo pugno una sorta di "lettera d'addio" alle Regioni con tutte le raccomandazioni più importanti da portare avanti anche in sua assenza. Tra 28 giorni (il 31 marzo), infatti, scadrà il suo mandato come quello dei componenti del Comitato tecnico-scientifico. Nel testo sono contenuti i suggerimenti su come portare avanti la campagna vaccinale, sugli errori da evitare e come essere "lungimiranti e cauti".

Il testo con i consigli

Dal 1° aprile, infatti, sarà tutto in mano a Regioni e ministero della Salute che dovranno gestire al meglio quanto organizzato dal generale nel suo anno di operatività quando fu chiamato al posto di Arcuri. Come scrive Repubblica, una parte del testo contiene consigli sul materiale in arrivo (dalle mascherine al gel igienizzante) valutando la possibilità di riceverlo e stoccarlo "nella disponibilità della struttura commissariale". Alle amministrazioni locali, invece, Figliuolo scrive di tenersi pronte "a una eventuale recrudescenza della pandemia" mentre, sui vaccini, ricorda che aver saputo gestire le scorte è stato fondamentale per far fronte alle varie criticità. Il suggerimento viene ribadito per farsi trovare pronti qualora ci fossero nuove criticità, soprattutto in autunno.

La "frecciatina" al ministero

Sul futuro, il generale mette in guardia il ministero della Salute che, dopo la fine dello stato di emergenza, "abbia piena consapevolezza di alcune iniziative assunte, orientate a consentire una pronta risposta alle esigenze emergenti e che richiederanno attenzione anche per il futuro in quanto il rischio di non essere pronti all'eventualità non sarebbe accettabile". Interessante soprattutto quest'ultima parte, quel "non accettabile" che suona come una sentenza: anche senza di me dovrete farcela, il senso è più o meno questo.

Inevitabilmente, si parla poi del nodo sulla quarta dose, al momento avviata soltanto per i pazienti oncologici e immunocompromessi "ma la situazione sarà oggetto di monitoraggio per valutare l'eventuale allargamento di tale platea", sottolinea il generale. E vista la complessità della tematica legata alla pianificazione dell'afflusso, dello stoccaggio e della distribuzione dei vaccini rispetto all'evoluzione della pandemia, la struttura commissariale ha fornito alle Regioni e alle province autonome un quantitativo di dosi tali, da permettere insieme con quelle mantenute "a livello centrale una prima risposta a un eventuale allargamento della platea della quarta dose". L'ultima indicazione contenuta nella lettera è istituzionale, come è giusto che sia. "L'esperienza maturata dal sistema Paese testimonia l'importanza di essere lungimiranti e fedeli ai principi di massima precauzione, ponendo l'accento sulla concreta e immediata disponibilità di risorse", conclude.

"Figliuolo ha lavorato bene"

"Con allenatore il generale Figliuolo, tra i grandi Paesi siamo i primi anche nel campionato europeo delle vaccinazioni", ha affermato il virologo Roberto Burioni commentando su Twitter un grafico elaborato dall'Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) in base ai dati disponibili sulle percentuali di popolazione totale con ciclo vaccinale completo nei Paesi Ue. L'Italia risulta al terzo posto con l'83,28%, preceduta solo da Portogallo e Malta. "E come terza dose ci giochiamo i Mondiali con la Corea del Sud", ha aggiunto il virologo, commentando con la metafora del calcio un grafico del portale Our World In Data.

"Il commissario ha lavorato bene, ha dato sicurezza e assistenza alle Regioni in momenti drammatici", ha affermato Raffaele Donini, assessore alla Salute dell'Emilia-Romagna che coordina tutti gli altri nella Conferenza delle Regioni. Il piano delle vaccinazioni ha funzionato e funziona bene perché le Regioni hanno lavorato con il suo coordinamento", aggiungendo che se la gestione passerà alle Regioni, ci sono tutte le esperienze "per approvvigionare, stoccare e realizzare i piani operativi di prevenzione, che stiamo già costruendo".

Claudia Osmetti per “Libero quotidiano” il 9 marzo 2022.

Penna bianca, penna tagliente. Il generale Francesco Figliuolo, il commissario straordinario per l'emergenza coronavirus, è uno che non le manda a dire. Neanche quando scrive. È uscito oggi il suo libro Un italiano, quello che la vita mi ha insegnato per affrontare la sfida più grande (edito Rizzoli, 304 pagine, 19 euro), redatto a quattro mani con il giornalista Beppe Severgnini, e già non si parla d'altro.

Ma quale bollettino (parentesi: sono settimane che, fortunatamente, la conta dei contagi è finita nelle brevi dei quotidiani), quali statistiche sulle vaccinazioni, via pure la diatriba con i no-vax, i no-pass, i no-mask. È che, però, Figliuolo ne incasella una dietro l'altra. Mica tace (giustamente) e se c'è da fare un mea culpa non si tira indietro. 

Per esempio: sulla terza dose «col senno di poi si poteva partire un po' prima. Ma appena si è capito che era necessaria ci siamo mossi in fretta e bene». D'altronde è un alpino e, per citarlo ancora, «il vero alpino è tutto d'un pezzo, segue le regole, porta lo zaino, porta anche due zaini se qualcuno non ce la fa. Però è anche portato a riflettere». E allora ci riflette, il generale, poi, tra le pagine del lungo volume-intervista, lancia la prima stoccata.

Destinatari, i virologi e i medici che, da due anni a questa parte, riempiono le tivù. «Ho pensato», dice, «che certe scene potevamo e dovevamo risparmiarcele. Non hanno aiutato la gente a capire». Galli, Burioni, Capua: nel calderone di Figliuolo pare ci rientrino quasi tutti e allora lui precisa: «Ho un sospetto. I virologi, molti dei quali sono bravissimi, in ambito scientifico sono stati un po' negletti. Non perché la virologia sia una disciplina minore. Però, diciamo la verità, il grande pubblico un virologo manco sapeva chi era. La fama ha fatto emergere nel mondo scientifico contrasti umani e naturali».

DOTTORI INFURIATI Apriti cielo. Neppure il tempo di vendere la prima copia in libreria, che mezzo mondo salta sulla sedia dello studio (quello televisivo o quello del reparto). Prendi Maria Rita Gismondo, la direttrice del laboratorio di Microbiologia dell'ospedale Sacco di Milano, che bolla quelle parole come una «considerazione non giustificata e un commento evitabile». O l'epidemiologo Pierluigi Lopalco, docente di Igiene all'università del Salento, che puntualizza: sì «i contrasti personali messi in mostra hanno certamente offerto uno spettacolo non molto edificante», però alcuni colleghi «hanno finalmente trovato il modo per fare sentire la propria opinione e c'è stato spazio per le idee».

O ancora Matteo Bassetti, il direttore della clinica Malattie infettive del policlinico San Martino di Genova, che è un altro abituato a dire le cose pane al pane: «Mi dispiace che si passi a criticare i medici sul campo», sbotta, «quelli che si sono fatti un mazzo così. E invece non si sia mai in grado di guardare agli errori commessi dalla politica, dalla struttura commissariale e dal Cts». E’ vero, ma solo a metà. Perché il generale Figliuolo, con le sue stilettate, non risparmia nessuno.

Ce l'ha col presidente della regione Campania, il dem Vincenzo De Luca, che «ha sempre parlato con me come di un avversario o addirittura di una persona inutile. Questo è inaccettabile. Anzi, peggio: è deludente». Difende il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese che ha «lavorato in maniera egregia. Probabilmente Salvini ha un'idea più politica del ruolo». Ce l'ha con «alcuni estremisti» dell'anti-vaccino che «si paragonavano agli ebrei nei cambi di sterminio e sono rimasto nauseato».

ORGOGLIO DIVISA Ce l'ha con Michela Murgia che, qualche tempo fa, aveva espresso dubbi nel vederlo andare in giro in divisa: «In quelle parole ho trovato un pregiudizio, posso dirlo? Non si giudica la gente dal saio». E sembra togliersi qualche sassolino dalle scarpe (pardon, dagli scarponi) anche con il suo predecessore, quel Domenico Arcuri che aveva guidato l'emergenza durante il governo Conte-bis: «Il mio è stato un approccio più dinamico», spiega, «che viene fuori da esperienze di tipo diverso. La struttura precedente era basata su Invitalia, una grande stazione appaltante. C'è gente che ha lavorato tantissimo, ma senza l'esperienza e l'organizzazione per gestire quel tipo di attività. Tuttavia ritengo che abbiano fatto il massimo in quelle condizioni». Però, a essere onesti fino in fondo, il vero merito di Figliuolo è un altro: le anticipazioni del suo libro, ieri, sono uscite praticamente ovunque. E, per il momento, nessuno si è sognato di ritiralo dagli scaffali.

Figliuolo si sfoga: "Ha sempre parlato di me come una persona inutile..." Valentina Dardari il 6 Marzo 2022 su Il Giornale.

Il generale è rimasto deluso dal comportamento del governatore della Campania che ha sempre parlato di lui come di un avversario.

Dal primo marzo 2021 il generale Francesco Paolo Figliuolo è Commissario straordinario per l'attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell'emergenza epidemiologica Covid-19, ruolo che ricoprirà fino al 31 marzo 2022, data in cui terminerà lo stato di emergenza. Il suo sogno fin da ragazzo era quello di diventare un alpino. E lo ha realizzato. In una intervista al Corriere Figliuolo, parlando di Covid, ha spiegato che inizialmente è stata dura perché non si sapeva cosa dover fare, e poi perché si credeva di averlo fatto. Non è certo stato facile per il generale scegliere le persone giuste da mettere in campo e contribuire a vaccinare un popolo. “Nel 2021 il virus era aggressivo, mi sembrava che un treno mi corresse incontro. Nel 2022 sento in me e intorno a me la frustrazione: ma come, con tutti gli sforzi che abbiamo fatto, ancora non ne siamo fuori?”, ha confessato.

Chi lo ha deluso

Essere alpino, come lui stesso ha tenuto a sottolineare, è una scelta identitaria, e non una professione. Sono persone che sanno che la fatica e il duro lavoro fanno parte del mestiere. Quella contro il Covid è stata una lunga marcia in salita, come l’ha definita Figliuolo. Nel parlare delle persone che più lo hanno sostenuto in questa dura battaglia ha però anche ricordato chi non lo ha appoggiato, e anzi lo ha sempre attaccato. Dalla sua parte la famiglia, la moglie, anche lei generale, e i suoi figli. E poi tutta la squadra commissariale, il premier Draghi, i ministri Lorenzo Guerini e Roberto Speranza, il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, e alcuni presidenti di Regione. Già, alcuni, perché c’è stato anche chi non l’ha mai appoggiato, come Vincenzo De Luca, il presidente della Regione Campania: “Ha sempre parlato di me come di un avversario, o addirittura come di una persona inutile. Questo è inaccettabile. Anzi, peggio: deludente. Nessuno dei suoi colleghi, di ogni colore politico, si è comportato così”.

Figliuolo ammette di arrabbiarsi facilmente ma anche di farsi passare altrettanto velocemente l’arrabbiatura, tranne quando qualcuno si comporta in modo sleale nei suoi confronti: in quel caso non dimentica. Secondo il diretto interessato la sua miglior virtù è quella di saper fare gruppo e non lasciare indietro nessuno. Mentre ha confidato di essere un po’ iracondo e di reagire d’impulso. Ma una cosa importante l’ha tenuta a sottolineare: quando è arrabbiato non prende mai decisioni. Nonostante abbia una certa considerazione di se stesso non ha mai posto l’ambizione davanti agli altri valori. Mediamente permaloso, poco invidioso, è contento se vede i suoi allievi superare il maestro.

Perché ha scritto un libro

Forse un po’ egocentrico e vanitoso lo è, ma del resto si sente giustamente gratificato per la stima e l’ammirazione nei suoi confronti per il lavoro svolto. Crede di essere generoso, abbastanza severo ma mai crudele. “L'alpino, quello vero, è tutto di un pezzo, segue le regole, porta lo zaino, porta anche due zaini se qualcuno non ce la fa. Però è anche portato a riflettere, a pensare e solo dopo a esprimere giudizi. Ecco, questo non tutti lo capiscono”. Il motivo per cui il generale ha voluto scrivere un libro è stato quello di far capire cosa è avvenuto e cosa abbiamo rischiato. E spiegare che “questo alpino ce l'ha messa tutta. Con i suoi difetti, con i suoi limiti, con la sua impazienza, con molte arrabbiature. Ma ce l'ha messa tutta”. Un libro dedicato alla nostra Italia.

Il generale Figliuolo: «Sono impulsivo, poi mi passa. Ecco chi mi ha deluso». Beppe Severgnini e Francesco Paolo Figliuolo su Il Corriere della Sera il 6 Marzo 2022.

Il generale e a lotta al virus: «All’inizio mi sembrava un treno che mi corresse incontro. Non tutti capiscono che gli alpini sono portati a riflettere, e solo dopo a esprimere giudizi».

Il liceo classico a Potenza, l’Accademia militare a Modena, le missioni in Kosovo e in Afghanistan, fino alla nomina a Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 con l’incarico di coordinare la campagna vaccinale per far uscire l’Italia dalla pandemia. Il generale Francesco Paolo Figliuolo si racconta in «Un italiano. Quello che la vita mi ha insegnato per affrontare la sfida più grande», una conversazione di 304 pagine con Beppe Severgnini, editorialista del Corriere della Sera. Il libro, edito da Rizzoli, è in uscita nelle librerie da martedì 8 marzo. Qui ne pubblichiamo un estratto, il dialogo introduttivo.

Un marziano scende a Roma e le chiede: «Scusi, lei chi è?». Cosa risponde?

«Sono un ragazzo meridionale di periferia che sognava di diventare un alpino. E ce l’ha fatta».

Il marziano si accontenterebbe della risposta?

«Forse no. Ma sarebbe troppo occupato a capire perché porto quattro stelle sulla spalla e una penna sul cappello. Eviterebbe di farmi altre domande».

Il suo incarico — Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica Covid-19 — è iniziato il 1° marzo 2021 e termina il 31 marzo 2022. I periodi più duri?

«Il primo e quest’ultimo. Perché all’inizio non sapevamo cosa fare, alla fine perché pensavamo di averlo fatto».

Provi a riassumere il suo compito.

«Ho cercato di mettere insieme molte brave persone e tante cose buone durante un’emergenza, e ho contribuito a vaccinare una grande democrazia. Non è stato facile. Nel 2021 il virus era aggressivo, mi sembrava che un treno mi corresse incontro. Nel 2022 sento in me e intorno a me la frustrazione: ma come, con tutti gli sforzi che abbiamo fatto, ancora non ne siamo fuori?».

Lei è un alpino, porta in giro la sua penna come una bandiera. La rassicura?

«Molto. Essere alpino è una scelta identitaria, non una professione. Gli alpini amano appassionatamente la propria terra e la propria gente, sono seri ma non seriosi, si aiutano a vicenda, sanno che la fatica fa parte del mestiere. E quella contro il Covid è stata una lunga marcia in salita».

Sono un allievo di Indro Montanelli, che adorava scrivere epitaffi per gli amici viventi. Quello di Longanesi: «Qui giace per la pace di tutti Leo Longanesi, uomo imparziale. Odiò il prossimo suo come se stesso». Scriva il suo.

«Non sono capace, mi aiuta?»

«Qui non riposa Francesco Paolo Figliuolo. Neanche adesso riesce a stare fermo».

«Fantastico, lo prenoto. Non subito, però».

Le persone che l’hanno sostenuta di più?

«La mia famiglia: la generalessa Enza, i miei figli Salvatore e Federico. La squadra alla struttura commissariale: sono stati eroici, mi creda. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi: è un uomo prudente, ma ho avuto l’impressione che si sia sempre fidato di me. I ministri Lorenzo Guerini e Roberto Speranza. Il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio. Alcuni presidenti di Regione».

Non Vincenzo De Luca.

«Direi di no. Ha sempre parlato di me come di un avversario, o addirittura come di una persona inutile. Questo è inaccettabile. Anzi, peggio: deludente. Nessuno dei suoi colleghi, di ogni colore politico, si è comportato così».

Lei si arrabbia facilmente?

«Purtroppo sì. Ma mi passa. A meno che qualcuno si sia dimostrato sleale: allora non dimentico». (...)

La sua miglior virtù e il suo peggior difetto?

«La miglior virtù è saper fare gruppo e non lasciare indietro nessuno. Il peggior difetto? Sono un po’ iracondo, lo ammetto. Ma mi passa in fretta, come dicevo».

Iracondo o impulsivo?

«Tendo a reagire d’impulso, magari mi arrabbio, tiro un urlo. Poi rifletto. E — cosa importante — non prendo mai decisioni quando sono arrabbiato».

È ambizioso?

«Diciamo che ho una certa considerazione di me stesso. Ma non sono uno che antepone l’ambizione a ogni altro valore. Un militare può essere un ottimo professionista anche senza diventare generale. Chi antepone la carriera a ogni cosa sbaglia, e di solito non fa molta strada. In ogni campo, credo».

Permaloso?

«Mediamente. Sono permaloso per geni atavici meridionali. Però lo nascondo bene».

Invidioso?

«Poco, davvero poco».

Tratto caratteriale o educazione?

«L’uno e l’altra».

Geloso? Dei suoi allievi, dei suoi collaboratori?

«Francamente mi fa piacere vedere i miei allievi crescere e, magari, superare il maestro. Se uno non ha questa maturità, non è un maestro. È solo un istruttore».

Egocentrico?

«Secondo lei?».

Sì, abbastanza. Vanitoso?

«Un po’ sì».

Un po’...?

«Ok, sono vanitoso. La stima e l’ammirazione per il lavoro ben fatto mi gratificano. È sbagliato?».

No, per niente. È generoso?

«Credo di sì, ma deve chiederlo a chi lavora con me».

È severo?

«Abbastanza. Crudele, mai. Il militare sadico è una roba da barzellette. Ne conosco pochissimi, e nessuno ha combinato granché».

(...) Mi dicono che lei, ogni tanto, chiude le discussioni dicendo: «Sono un alpino. Ma non sono stupido».

«Vero».

È quel «ma» che sorprende. Unica lettura possibile: «Voi, là fuori, pensate che gli alpini siano ingenui, magari un po’ stupidi. Ma vi sbagliate di grosso».

«Lettura corretta. L’alpino, quello vero, è tutto di un pezzo, segue le regole, porta lo zaino, porta anche due zaini se qualcuno non ce la fa. Però è anche portato a riflettere, a pensare e solo dopo a esprimere giudizi. Ecco, questo non tutti lo capiscono».

Perché vuole scrivere questo libro? Risposta sintetica, dobbiamo iniziare.

«Perché qualcuno capisca cos’è successo e cosa abbiamo rischiato. E sappia che questo alpino ce l’ha messa tutta. Con i suoi difetti, con i suoi limiti, con la sua impazienza, con molte arrabbiature. Ma ce l’ha messa tutta».

Durante il periodo del suo incarico ha sentito un po’ di sufficienza verso i militari in genere, e gli alpini in particolare?

«Sì, devo dire. Qualche volta intuisco che l’interlocutore pensa: “Vabbe’, questo è venuto dalle montagne, o comunque è un militare squadrato...”. Ma non me ne preoccupo, sono stereotipi. Una volta un noto conduttore televisivo, durante una intervista, mi disse: “Tutti si aspettavano un manager e poi è stato nominato un generale”. Mah! È come se un bravo generale non potesse essere anche un bravo manager».

A chi lo dedichiamo il libro?

«Che domande. Alla nostra Italia, naturalmente». 

L'Italia ordina troppi vaccini, ora li regaliamo. Figliuolo: daremo le dosi Pfizer e Moderna ai Paesi in difficoltà. Dario Martini su Il Tempo il 04 marzo 2022

Dopo la notizia di due nuovi vaccini già acquistati dall’Italia ma non ancora autorizzati dall’Ema, come ha scritto Il Tempo nei giorni scorsi, arriva l’ammissione del commissario all’emergenza Francesco Paolo Figliuolo: le dosi sono troppe, quindi verranno donate all’estero. Il nostro Paese si è spinto molto avanti e adesso ha i magazzini pieni di vaccini contro il Covid. La campagna, infatti, ha subito una brusca frenata. Ormai è stato raggiunto il 90% di persone con più di 12 anni che hanno completato il ciclo primario, mentre l’83% ha fatto anche la dose booster. Allo stesso tempo, però, non è previsto un rallentamento delle consegne.

Così, il primo marzo, il generale Figliuolo ha preso carta e penna e ha scritto alle Regioni: «Buona parte delle dosi di vaccino mRna (Pfizer e Moderna, ndr) in afflusso nella seconda metà di marzo e nel mese di aprile è stata resa disponibile alle donazioni, sia per supportare paesi in difficoltà sia per non generare surplus di vaccino superiore alle esigenze previsionali».

Eppure, la struttura commissariale ha continuato ad acquistare altri vaccini ancora in attesa del via libera da parte delle autorità regolatorie. Sono i sieri prodotti da Sanofi/Gsk e da Valneva. Non utilizzano la tecnologia a mRna, come Pfizer e Moderna, ma sono considerati «tradizionali». Dovrebbero servire per convincere gli ultimi italiani non ancora vaccinati. Di Sanofi/Gsk abbiamo già ordinato 10 milioni di dosi, per una spesa di 40 milioni di euro, di cui 10 milioni già liquidati. Per Valneva, invece, è stato fatto un accordo per un milione di dosi al costo di 16 milioni di euro. Sarà molto difficile che vengano utilizzate tutte. Anche perché da inizio marzo sono iniziate le somministrazioni di un altro vaccino: il Novavax. E le adesioni non sono alte. Ora, in questo quadro, scopriamo che anche le nuove forniture di Pfizer e Moderna resteranno in gran parte inutilizzate nei frigoriferi. Per non buttarle non resta che regalarle all’estero. Figliuolo consiglia alle Regioni di fare bene i conti. «Le donazioni richiedono un congruo periodo di pianificazione - scrive il generale - non inferiore a un mese di anticipo rispetto alle forniture previste». Quindi, «laddove dovesse emergere la necessità di riorientare le consegne verso esigenze nazionali e contingenti, sarà necessario operare la scelta con un mese di anticipo».

Il commissario ha scritto questa lettera in previsione della cessazione del suo incarico, in coincidenza della fine dello stato d’emergenza a fine mese. È un passaggio di consegne. Se da un lato Figliuolo ammette che i vaccini sono troppi per essere utilizzati sono all’interno dei confini nazionali, dall’altro esorta le Regioni a «ricevere e stoccare materiale nella disponibilità della struttura commissariale (mascherine, tute di protezione, gel) al fine di predisporre le misure necessarie a fronteggiare un eventuale nuova recrudescenza della pandemia». Visto che le dosi di siero disponibili sono in surplus, il generale ricorda anche che le Regioni hanno un quantitativo tale «da permettere una prima risposta ad un eventuale allargamento della platea della quarta dose». Infine, a livello centrale, sarà potenziato l’hub di Pratica di Mare per lo stoccaggio dei vaccini ad una temperatura di -80 C°.

Un altro vaccino "virtuale" a peso d'oro. Il contratto di Figliuolo con Valneva da 16 milioni, ma manca l'ok dell'Ema. Dario Martini e Carlantonio Solimene su Il Tempo il 03 marzo 2022.

Non c’è solo Sanofi/Gsk nel «paniere» dei vaccini anti-Covid acquistati dal governo italiano in assenza dell’ok dell’Ema. Nel resoconto dei contratti siglati dalla struttura commissariale guidata dal Francesco Paolo Figliuolo compare infatti anche l’accordo per l’acquisizione di un milione di dosi di VLA2001, prodotto dalla francese Valneva negli stabilimenti di Vienna, sempre nell’ambito delle intese sottoscritte dalla Ue in accordo con gli Stati membri.

Il siero in questione è «l’unico vaccino Covid-19 "inattivato" in fase di sviluppo clinico in Europa e questo ci avvicina al nostro obiettivo di offrire un’opzione differenziata alla popolazione e ai medici», fa sapere il Ceo di Valneva, Thomas Lingelbach. Che, nei giorni scorsi, ha comunicato una serie di scambi con l’Agenzia europea del farmaco dicendosi fiducioso di ricevere «alla fine del primo trimestre 2022» una raccomandazione positiva del Comitato per i medicinali a uso umano all’approvazione condizionata di VLA2001 per l’immunizzazione primaria negli adulti tra 18 e 55 anni.

Il prezzo che l’Italia salderà per il milione di dosi prenotate è di sedici milioni di euro. Una cifra elevata - 16 euro a dose - più vicina al costo dei vaccini a mRna rispetto a quello dei sieri «tradizionali». Anche se, a differenza di quanto accaduto con Sanofi/Gsk, non risultano ancora somme già liquidate dal governo italiano. E, considerata la massima segretezza che vige intorno ai contratti con le case farmaceutiche, è impossibile conoscere l’esistenza di eventuali clausole che condizionino il pagamento all’effettivo via libera alla somministrazione da parte dell’Ema.

Resta, come per Sanofi, il dubbio sull’effettiva utilità dell’ennesimo vaccino acquistato in un momento in cui la campagna di immunizzazione ha decisamente rallentato la sua corsa e il neo arrivato Novavax non ha fatto registrare alcuna impennata di prenotazioni. Nella settimana dal 21 al 28 febbraio, infatti, sono state somministrate solo 817.389 dosi. E di queste appena 272.745 relative al ciclo «primario», l’unico per il quale al momento Valneva ha chiesto l’autorizzazione, peraltro ulteriormente limitata alla fascia tra i 18 e i 55 anni. Mentre, in Italia, il target minormente vaccinato è quello tra i 5 e gli 11 anni. 

Da questo punto di vista va annotato che l’azienda ha fatto sapere di avere in corso «ulteriori studi clinici con l’obiettivo di espandere gradualmente le indicazioni di VLA2001 ad altri gruppi di età», nonché «per un potenziale utilizzo» del prodotto «come vaccino booster nel corso del 2022». Si vedrà.

Se Valneva dovesse avere tempi medio lunghi di conservazione, potrebbe tornare utile dal prossimo autunno, quando la campagna vaccinale tornerà nel vivo, per lo meno per alcune categorie. Il contratto sottoscritto dal governo italiano scade in effetti a fine 2023. A quella data Valneva dovrebbe aver distribuito circa 60 milioni di dosi all’Unione europea. Delle quali, se i criteri di redistribuzione resteranno gli stessi, all’Italia spetterebbe il 13%.

Covid-19, il mondo corre verso i vaccini open source. Ma l’Occidente preferisce far ricca Pfizer. Farmaci approvati in Africa non coperti da brevetti, il caso di successo di Cuba, l’antidoto ideato anche da un’italiana in Texas che rinuncia a ogni compenso. Tutti medicinali che potrebbero immunizzare il mondo con costi irrisori. Ostacolati da chi sta incassando miliardi. Gloria Riva su L'Espresso il 22 febbraio 2022.

«L’Africa ha creato il suo primo vaccino mRna», annuncia Petro Terblanche, direttrice di Afrigen Biologics, laboratorio all’avanguardia di Città del Capo che da mesi lavora a un antidoto contro il Covid-19 per immunizzare il continente.

Il team di Terblanche è partito sfruttando le informazioni pubblicate dalla casa farmaceutica Moderna sul proprio vaccino a mRna: «Ma non l’abbiamo copiato», puntualizza la dottoressa.

Ursula von der Leyen, i messaggi segreti sul vaccino Pfizer: "Perché li hanno tenuti nascosti". Libero Quotidiano il 22 febbraio 2022.

Il caso degli sms scambiati da Ursula von der Leyen con Albert Bourla per l’acquisto da parte dell’Europa dei vaccini Pfizer è diventato un caso bollente anche al Parlamento di Strasburgo. La Lega ha infatti presentato un’interrogazione e una richiesta di chiarimento in sede plenaria su una procedura ritenuta “inconsueta” e nascosta sotto al tappeto per mesi.

“Ancora nessuna risposta sulla vicenda dello scambio di sms tra Ursula von der Leyen e il ceo di Pfizer, emersa a seguito di un’inchiesta giornalistica americana e oggetto di critiche anche dallo stesso Mediatore europeo”, si legge nel comunicato a firma degli europarlamentari Marco Campomenosi e Marco Zanni. Lo scorso aprile il New York Times è stato il primo a riportare la notizia della trattativa per l’acquisto dei vaccini Pfizer, condotta dalla presidente della Commissione europea soprattutto tramite uno scambio di messaggi con il ceo di Pfizer.

Poi si è aggiunta l’indagine del difensore civico, a cui la Commissione risponderà entro fine aprile. Nel frattempo si è limitata ad affermare che “un messaggio di testo o un altro tipo di messaggistica istantanea è per sua natura un documento di breve durata che non contiene in linea di principio informazioni importanti su questioni relative alle politiche, alle attività e alle decisioni della Commissione” e che “la politica di conservazione dei registri della Commissione escluderebbe in linea di principio la messaggistica istantanea”.

La battaglia della Lega al Parlamento europeo: troppi buchi neri sugli sms tra Ursula Von der Leyen e il ceo Pfizer. Il Tempo il 21 febbraio 2022.

La Lega chiede di far chiarezza sulla storia riguardante Ursula Von der Leyen e Alberto Bourla, numero uno di Pfizer, l’azienda produttrice del vaccino anti-Covid più utilizzato in Europa. Gli europarlamentari del Carroccio Marco Campomenosi (capo delegazione Lega) e Marco Zanni, presidente gruppo Id, hanno annunciato battaglia: “Dall’Ue ancora nessuna risposta sulla vicenda dello scambio di sms tra Ursula Von der Leyen e il ceo Pfizer, emersa a seguito di un’inchiesta giornalistica americana e oggetto di critiche anche dallo stesso Mediatore europeo. Il caso trova ampio spazio sui media internazionali ed è oggetto di dibattito in Europa, ma nel nostro Paese è stato per lo più ignorato. È una questione di trasparenza che riguarda i vertici delle istituzioni europee, non può essere e non deve essere trascurata: per questo come gruppo Id torneremo a chiedere di discutere l’argomento in Aula nella prossima plenaria del Parlamento europeo, al fine di fare massima chiarezza e offrire ai cittadini tutte le informazioni necessarie sulla vicenda”.

La scorsa settimana era stato Mario Furore, europarlamentare del Movimento 5 Stelle, in un intervento in plenaria a sollevare il caso: “La piena trasparenza in tutte le fasi del processo legislativo dell’UE è essenziale per promuovere i diritti democratici dei cittadini, così come è necessaria per prevenire conflitti d’interesse e corruzione. Purtroppo invece le Istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione non rispettano in modo pieno e uniforme le raccomandazioni della Mediatrice europea, in particolare quelle sulla trasparenza. È inaccettabile che ancora oggi il prezzo di acquisto dei vaccini e delle pillole anti-Covid sia segreto. I cittadini europei devono sapere quanto l’Unione europea abbia pagato e quindi come abbia negoziato con Big Pharma: ne va della nostra credibilità. Per questo - concludeva l’esponente grillino - vorrei che la Commissione europea ascolti i moniti della Mediatrice e renda pubblici i messaggi tra il suo Presidente, Ursula von der Leyen e il CEO della Pfizer”.

Vaccino, gli sms segreti tra Ursula von der Leyen e Pfizer. Bufera a Strasburgo, la Lega fa esplodere il caso. Francesco Storace su Il Tempo il 22 febbraio 2022.

L’Europa ha acquistato i vaccini dalla Pfizer per mezzo dei messaggini via sms di Ursula Von der Leyen al Ceo dell’azienda americana? Una procedura un po’ inconsueta che sta sotto il tappeto da mesi e che la Lega ha fatto esplodere fragorosamente al Parlamento di Strasburgo. Con un’interrogazione e una richiesta di chiarimento in sede plenaria.

In un comunicato gli europarlamentari Marco Campomenosi (capo delegazione Lega) e Marco Zanni, presidente gruppo Identità e democrazia si esprimono con nettezza: dall’Unione europea “ancora nessuna risposta sulla vicenda dello scambio di sms tra Ursula Von der Leyen e il ceo Pfizer, emersa a seguito di un’inchiesta giornalistica americana e oggetto di critiche anche dallo stesso Mediatore europeo”. 

Si parla di un caso che è trattato da molti media internazionali ed è oggetto di dibattito in Europa, ma nel nostro Paese è stato per lo più ignorato. È una questione di trasparenza che riguarda i vertici delle istituzioni europee, non può essere e non deve essere trascurata: “Per questo come gruppo Id torneremo a chiedere di discutere l’argomento in Aula nella prossima plenaria del Parlamento europeo, al fine di fare massima chiarezza e offrire ai cittadini tutte le informazioni necessarie sulla vicenda”. 

Già nell'aprile 2021, il New York Times aveva pubblicato un articolo nel quale veniva riportato che la trattativa per l'acquisto dei vaccini Pfizer era avvenuta in buona misura tramite uno scambio di messaggi di testo tra la Presidente della Commissione Europea Von der Leyen e l'Amministratore Delegato della casa farmaceutica Albert Bourla. Spiegava il quotidiano americano, che alla richiesta di aver accesso ai messaggi, la Commissione rispondeva rendendo pubblici una mail, una lettera ed un comunicato ma non faceva accenno ai messaggi.

Recentemente è stato il Mediatore Europeo, Emilie O’Reilly – una sorta di difensore civico dell’Unione - a criticare fortemente la Commissione perché questi rientrerebbero, di fatto, sotto l'ambito di applicazione delle regole europee sulla trasparenza. E la domanda principale degli europarlamentari leghisti è se “la Commissione voglia fare massima chiarezza sulla vicenda e sul contenuto di quei messaggi”.  C’è da dire che proprio O'Reilly, il cui compito è quello di responsabilizzare le istituzioni dell'UE, ha affermato che la gestione della richiesta da parte della Commissione è stata di "cattiva amministrazione".

"Il modo ristretto in cui è stata trattata questa richiesta di accesso pubblico significava che non è stato fatto alcun tentativo di identificare se esistessero messaggi di testo", ha affermato in una nota. "Ciò non soddisfa le ragionevoli aspettative di trasparenza e standard amministrativi nella Commissione". Va aggiunto che durante l'indagine del difensore civico, la Commissione ha affermato che "un messaggio di testo o un altro tipo di messaggistica istantanea è per sua natura un documento di breve durata che non contiene in linea di principio informazioni importanti su questioni relative alle politiche, alle attività e alle decisioni della Commissione" e che "la politica di conservazione dei registri della Commissione escluderebbe in linea di principio la messaggistica istantanea".

O'Reilly, tuttavia, ha respinto l'argomentazione della Commissione, rilevando che la legge dell'UE sull'accesso del pubblico ai documenti afferma che la definizione di un documento è "qualsiasi contenuto qualunque sia il suo mezzo ... riguardante una questione relativa alle politiche, attività e decisioni che rientrano nel sfera di responsabilità dell'istituzione”. La stessa Commissione si è impegnata a rispondere al difensore civico europeo entro fine aprile. Ma la Lega pretende maggiore immediatezza: la materia è incandescente.

Vaccini contro il Covid: le fabbriche mai nate del farmaco italiano. “Noi lasciati senza fondi”. Elena Dusi su La Repubblica il 17 febbraio 2022.

Un anno fa la promessa del governo: “Entro il 2021 diventeremo autonomi”. Reithera e Takis si sono arenati, resta solo l’infialamento di Pfizer.

La Spagna ha annunciato un accordo decennale con Moderna: lo stabilimento Rovi di Madrid continuerà anche in futuro a produrre il vaccino contro il Covid, e gli altri vaccini a Rna che verranno. Il Sudafrica intanto ha creato la sua prima fiala. Si è ispirato a Moderna, che ha rinunciato al brevetto, ma lo definisce con orgoglio “il vaccino africano”. La presentazione avverrà venerdì a Città del Capo, sede del laboratorio di Afrigen, con il presidente francese Macron e quello dell’Oms Ghebreyesus. 

Anche Pfizer rinuncerà al brevetto e invierà in Africa container attrezzati per produrre il suo vaccino sul continente. La Germania e la Gran Bretagna possono dire di aver messo a punto i due vaccini più usati al mondo (a eccezione di quelli cinesi): AstraZeneca e Pfzer-BioNTech. In Europa occidentale infine non esiste nazione che non abbia fabbriche impegnate nella produzione delle preziose fiale.

Unica eccezione è l’Italia, che si occupa dell’infialamento del prodotto finito di Pfizer alla Catalent di Anagni e alla Thermo Fisher di Monza. La piattaforma dell’Rna, che nel 2021 ha incassato 46 miliardi di dollari e che secondo le stime di mercato arriverà a 100 miliardi nel 2026, da noi non è pervenuta. Anzi Pfizer, che dalle sue dosi nel 2021 ha ricavato 37 miliardi di dollari, si prepara a licenziare 130 dipendenti nella sede di Catania. Lo stabilimento non c’entra con il Covid, produce penicillina, ma la sua crisi fa capire che l’industria farmaceutica italiana, a differenza degli altri paesi, difficilmente uscirà migliorata dalla pandemia.

Le promesse della politica erano state diverse. Era marzo 2021 quando il Ministero per lo sviluppo economico (Mise) annunciava vaccini prodotti in Italia entro l’autunno. A settembre il ministro della Salute Roberto Speranza aveva rilanciato: “Lavoriamo per un’Italia autonoma entro l’anno”. Poi il 2021 è finito, ogni tanto viene ventilata l’ipotesi di portare Moderna anche da noi, ma di concreto ancora nulla.

Anche le promesse della ricerca sono finite su un binario morto, e non per colpa loro. ReiThera, l’azienda del “vaccino italiano” non ha i fondi (che pure Invitalia un anno fa gli aveva promesso) per portare avanti l’ultima fase delle sperimentazioni. Ora si trova seriamente esposta, dopo essere passata da 90 a 120 dipendenti, aver ampliato la sede e acquistato un bioreattore da un milione di euro adatto anche a produrre vaccini a Rna. Toscana Life Sciences Sviluppo, la società che sotto la guida di Rino Rappuoli ha messo a punto degli anticorpi monoclonali contro il Covid, il 27 gennaio ha annunciato la fine delle sperimentazioni. Aveva arruolato 335 volontari su 400. Era a un passo dal traguardo, ma Omicron ha inficiato l’efficacia del suo farmaco. 

L’industria farmaceutica italiana insomma si prepara a uscire (speriamo) dalla pandemia con un pugno di mosche. La tesi non trova d’accordo Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria: “Nessun paese riesce a fare da solo un vaccino a Rna, un prodotto molto complesso. L’Italia partecipa alla fase dell’infialamento e della validazione, che non sono trascurabili. Esistono poi aziende innovative, come la Biomedica Foscama, che hanno investito per produrre siringhe già riempite con il vaccino”.

Il Mise poi ha messo sul tavolo Enea Tech e Biomedical, una sua vigilata munita di circa 500 milioni per sostenere tra l’altro i nuovi vaccini. Nata a maggio 2021, la fondazione ha ottenuto il suo statuto definitivo e il suo presidente (l’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria) solo il 6 gennaio di quest’anno. “Siamo in fase di riorganizzazione” si limitano a dire i suoi rappresentanti. Nessuna indicazione sui progetti futuri.

Cosa è andato storto? Lo spiega Luigi Aurisicchio, fondatore e direttore di Takis, la biotech che ha messo a punto un secondo vaccino italiano a Dna, anche lui ora arenato. “Abbiamo concluso la sperimentazione di fase uno, ma semplicemente non abbiamo i fondi per la fase due”.

Gli Stati Uniti hanno finanziato Moderna con oltre un miliardo, la Germania ha dato a BioNTech 300 milioni. L’Italia ha speso quasi due miliardi per il cashback, ma non è riuscita a sostenere le sue biotech. “Spesso dal pubblico ci arrivano proposte di cofinanziamento” spiega Aurisicchio. “Ma su progetti da 50-60 milioni, noi piccole aziende non possiamo permetterci neanche quello”.

Quello che abbiamo perso non riguarda solo la pandemia, ma anche il futuro. L’Rna, secondo la rivista Nature, dominerà il mercato dei vaccini “nei prossimi 15 anni grazie ai suoi vantaggi e alle alte probabilità di successo”. Già sono allo studio nuovi vaccini contro l’influenza, perfino il cancro e l’Aids. “Nelle riunioni dell’Oms – spiega Aurisicchio – si dà molta enfasi alla messa a punto un giorno di un vaccino contro tutti i coronavirus oppure sotto forma di spray nasale”. Ma l’Italia, se queste sono le premesse, non è detto che quel giorno sarà sulla mappa.

LA PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE UE. Von der Leyen spalleggia Big Pharma e sacrifica l’accesso ai vaccini in Africa. FRANCESCA DE BENEDETTI su Il Domani il 16 febbraio 2022.

I rapporti tra la presidente della Commissione europea e Big Pharma sono sempre più imbarazzanti. Mentre ha declinato l’invito all’Europarlamento per discutere di stato di diritto, Ursula von der Leyen partecipa con un video a un evento sulla «vaccine equity for Africa» organizzato da BioNTech e dalla fondazione Kenup, che lavora per l’azienda tedesca.

Kenup, che oltre a lavorare per BioNTech ha ricevuto il supporto anche di banche e istituzioni europee, ha attivamente operato per impedire che il progetto di una produzione autonoma di vaccini in Africa, supportata dall’Oms, andasse in porto.

Mentre si svolgeva questa opera di boicottaggio, Kenup promuoveva incontri con von der Leyen. Eppure nel registro di trasparenza delle istituzioni europee Kenup non segnala nessun incontro con la presidente, né von der Leyen ha registrato quegli incontri nella sua agenda.

FRANCESCA DE BENEDETTI. Europea per vocazione. Ha lavorato a Repubblica e a La7, ha scritto (The Independent, MicroMega), ha fatto reportage (Brexit). Ora pensa al Domani.

Fabio Savelli per il "Corriere della Sera" l'11 febbraio 2022.

Aprile 2021, dieci mesi fa: con gli occhi di adesso un'era geologica. Lo abbiamo forse rimosso come riflesso condizionato (e collettivo). Però i dati, guardandoli in controluce, spiegano come lo scudo vaccinale abbia consentito di frenare l'impatto della pandemia, anche in presenza della variante Omicron molto più trasmissibile. Scampato il pericolo conviene però ricordare che cosa abbiamo vissuto proprio mentre la campagna di somministrazioni cominciava a prendere forma seppur con profonde differenze regionali.

Un alto numero di fragili e over 60 era ancora privo di copertura tanto da costringere il commissario Francesco Figliuolo, il 15 aprile scorso, a strigliare le Regioni con una circolare che le indicava come categorie prioritarie da vaccinare in fretta. L'11 aprile dell'anno scorso avevamo poi il coprifuoco alle 24 in tutto il Paese, i locali chiudevano alle 18 consentendo solo l'asporto, tavolate (e feste) erano vietate, la gran parte delle regioni presentava un allarmante (anche se in lieve miglioramento) quadro epidemiologico con una mobilità ridotta negli spostamenti. Eravamo soprattutto impotenti di fronte al «sovraccarico del sistema sanitario», messo nero su bianco dal ministero della Salute.

Perché il picco di quella ondata, la terza, era stato sì appena superato ma le terapie intensive erano affollate costringendo gli ospedali a riprogrammare gli interventi. Il monitoraggio dell'Istituto superiore di sanità di quella settimana, tra il 5 e l'11 aprile, restituiva una cartolina che ora ci sembra in bianco e nero, ma parliamo di appena 300 giorni fa. I ricoverati erano quasi 30 mila: il 6 aprile 29.337, ieri 17.354, poco più della metà. Ma sono i numeri relativi alle forme gravi a darci la differenza più evidente: nelle terapie intensive lo stesso giorno i posti occupati erano 3.743, ieri poco più di un terzo, 1.322. I dati assumono maggiore valore se consideriamo il rapporto col numero di casi.

Ad aprile si stava affacciando la variante Delta, che è poi diventata prevalente a luglio col suo indice di trasmissibilità superiore del 60% rispetto alla precedente. Ora l'impatto di Omicron ha fatto sparigliare qualunque confronto per la sua contagiosità. L'11 aprile scorso i nuovi positivi furono 15.746, ieri 75.861: dunque 5 volte tanto. Ma l'incidenza non si trasferisce sulle ospedalizzazioni e neanche sui decessi, che vanno necessariamente parametrati a questo numero di casi.

Le vittime per Covid, conteggiate dalle Regioni, furono l'11 aprile 331, ieri 325. Quasi in linea per due motivi. Primo, perché siamo probabilmente al picco di decessi della quarta ondata: la dinamica dei morti ha un andamento ritardato di due settimane rispetto ai contagi che a fine gennaio hanno oscillato tra 100 e 200 mila al giorno e ora si stanno riducendo.

Secondo, perché Omicron ha una trasmissibilità superiore di 5,4 volte alla precedente, secondo uno studio dell'Imperial College, e senza la barriera dei vaccini (e a parità di quelle misure restrittive) il conto dei decessi sarebbe nettamente più pesante. Gli studi sul tasso d'incidenza settimanale di casi Covid con forma severa, contenuti nell'ultimo monitoraggio Iss, spiegano quello che sta accadendo. Tra i 60 e i 79 anni i non vaccinati sviluppano una forma grave della malattia per 150 casi ogni 100 mila abitanti.

Per chi ha ricevuto la dose booster questo rapporto scende del 94%. Per gli over 80 il confronto è ancora più schiacciante: i non vaccinati sviluppano una forma severa secondo un rapporto di oltre 400 casi per 100 mila abitanti, per chi ha avuto tre dosi l'incidenza scende sotto 50. Merito di una campagna che ha ormai raggiunto oltre 49,3 milioni con una dose, 47,85 milioni con due, a cui aggiungere l'immunità da guarigione che riguarda ora 1,27 milioni di persone. Totale: 50,58 milioni, il 93,65% degli over 12. Quelli non coperti sono ormai una sparuta minoranza.

Novavax Lombardia, si può prenotare? Quali sono le differenze rispetto a Pfizer e Moderna? Le risposte. Sara Bettoni su Il Corriere della Sera l'1 marzo 2022.

Debutto soft del nuovo vaccino anti-Covid: 276 somministrazioni in Lombardia, 79 a Milano. Sulla pagina Facebook di Regione i dubbi e le domande degli indecisi.

Un debutto tiepido per Novavax, ma tante domande da parte dei cittadini. Segno che il nuovo vaccino anti-Covid incuriosisce gli scettici. E potrebbe addirittura convincerne qualcuno a immunizzarsi. Più che i numeri delle somministrazioni di lunedì allora — 276 in tutta la Lombardia, 79 al Palazzo delle Scintille a Milano — è utile guardare i commenti lasciati nelle pagine social di Regione Lombardia.

Le richieste di chiarimenti

C’è chi ammette di aver atteso il nuovo farmaco. «Ma perché non si può scegliere, come invece avviene da altre parti?» domanda Elisa, mentre Eugenio si informa sulla possibilità di prenotazione. Gli fa eco Sofia, che scrive: «Dove fanno questo vaccino? Perché io, dovendomi organizzare perché ho i figli piccoli, non posso rischiare di andare al centro vaccinale e non trovarlo. Gli altri non li farei comunque...». L’assessorato alla Sanità non dà ai pazienti la possibilità di scelta. Ha deciso invece di riservare Novavax ai maggiorenni che devono ricevere la prima dose e l’ha distribuito in 16 hub. Chi si reca in questi poli, quindi, dovrebbe trovarlo. Non è stato così per Silvia. Ha provato a contattare la Maugeri di Pavia, ma le è stato risposto che le fiale non erano state consegnate.

No all’uso per la terza dose

Per Sara ormai è troppo tardi. «Mi sarei vaccinata con Novavax “se ci fosse stato”, adesso che senso ha? Il virus non è più virulento», afferma. Un’altra signora chiede se è possibile riceverlo come terza dose. La risposta è no, almeno per ora: il prodotto è autorizzato solo per il ciclo primario, quindi prima e seconda iniezione. Altri immaginano che le scorte appena consegnate alla Lombardia non avranno successo e suggeriscono di inviarle alle popolazioni in difficoltà.

La differenza rispetto a Pfizer e Moderna

Ancora, Giuseppe domanda: «Con questo nuovo vaccino per avere il green pass rafforzato sono sufficienti due dosi?». Sì, visto che il super certificato si ottiene con qualsiasi vaccinazione. Veruska si interroga sulla differenza rispetto ai prodotti delle aziende Pfizer e Moderna. Eccola: i primi due farmaci sono a mRna, quello di Novavax invece è stato creato attraverso la tecnica delle proteine ricombinanti, sperimentata fin dagli anni ‘80. Ed è su questa caratteristica che la Regione intende far leva per aumentare la quota di immunizzati.

Una formula «classica»

Al momento il 9% dei lombardi dai 5 anni in su non ha neppure prenotato l’appuntamento per ricevere la dose. Escludendo i bambini e gli adolescenti, le fasce d’età più scoperte sono quelle dei 30enni (con il 7% di non aderenti alla campagna), dei 40enni (11%) e dei 50enni (5%). Un vaccino dalla formula «classica» potrebbe finalmente strappare un sì a chi nei mesi scorsi ha rifiutato i farmaci disponibili, considerandoli «troppo innovativi».

Margherita De Bac per il "Corriere della Sera" il 23 febbraio 2022.

1 Il primo milione di dosi di Novavax arriva in Italia. Da oggi Regioni come Piemonte e Marche danno il via alle prenotazioni, domani il Lazio. È un vaccino a base di proteine ricombinanti, che cosa sta a indicare?

Significa che la risposta immunitaria viene stimolata da alcuni frammenti di una proteina, in questo caso la Spike - necessaria al Sars-CoV-2 per agganciarsi e penetrare nelle cellule -, che è copiata in laboratorio. Con tecniche di ingegneria genetica i frammenti vengono purificati e riprodotti in laboratorio. Le particelle proteiche, una volta iniettate nell'organismo umano, stimoleranno la produzione di anticorpi anti Spike, già pronti a combattere il virus in caso di infezione.

2 Contiene altre sostanze?

Nel vaccino, oltre alla proteina ricombinante, c'è un adiuvante, cioè una sostanza che aiuta il sistema immunitario a innescare una buona risposta. L'adiuvante è a base di saponina, estratta dalla corteccia di un albero, la quillaja saponaria. 

3 Che differenza c'è con i vaccini a Rna messaggero?

I vaccini a Rna messaggero contengono le istruzioni per rendere capace l'organismo di fabbricare in proprio la proteina Spike con l'obiettivo di produrre gli anticorpi. Una volta «consegnate» alla cellula le istruzioni che le servono, il frammento di Rna si disintegra. L'approccio di Novavax è maggiormente conosciuto ed è stato già utilizzato per vaccini contro altre malattie, ad esempio l'anti meningococco e l'anti epatite B.

4 Quanto è efficace?

In base a quanto verificato dall'Agenzia europea per i medicinali (Ema), e poi riesaminato dalla nostra agenzia Aifa, il vaccino è risultato efficace al 90% nel prevenire la malattia sintomatica. Il risultato è emerso da due studi clinici che hanno coinvolto circa 50 mila partecipanti (30 mila persone hanno ricevuto l'iniezione con il preparato, 20 mila il placebo). Il primo, condotto tra Stati Uniti e Messico, ha registrato un'efficacia del 90,4%. Il secondo studio, realizzato prevalentemente in Inghilterra, una protezionedell'89,7%. Quindi si tratta di una copertura alta ma pur sempre inferiore a quella garantita dai vaccini già utilizzati (Pfizer e Moderna) che arrivano al 95% circa.

5 Quante dosi servono?

Per arrivare a questa soglia di efficacia sono previste due dosi somministrabili a tre settimane di distanza. È in attesa di pubblicazione uno studio sul contributo di una terza dose al rafforzamento dell'immunità contro il coronavirus. Per il momento il vaccino è stato autorizzato solo per il ciclo primario, ovvero due dosi. 

6 Agisce anche contro la variante Omicron?

Gli studi dell'azienda sono stati eseguiti quando Omicron non era ancora in circolazione e il ceppo prevalente era il Beta. Però, sempre l'articolo uscito in pre print , sembrerebbe dimostrare che gli anticorpi stimolati da questo vaccino inibiscono anche Omicron. 

7 Qual è il valore aggiunto di Novavax?

Si conta sul fatto che possa avvicinare alla vaccinazione i cosiddetti esitanti, la cui ritrosia si basa sull'ingiustificata paura che i composti a mRna possano modificare il genoma o causare effetti nocivi sulla fertilità. In futuro il nuovo arrivato potrebbe essere inserito negli schemi di vaccinazione eterologa (ad esempio, due dosi di Pfizer, la terza con Novavax). Pur mancando ancora i dati sul prodotto specifico, questa strategia si è dimostrata sicura e in grado di indurre una risposta immunitaria più solida. 

8 A chi è raccomandato?

A tutti, a partire dai 18 anni d'età. Si è visto che l'efficacia si mantiene costante anche nei soggetti di età superiore ai 64 anni. 

9 È sicuro questo tipo di vaccino?

Il profilo di sicurezza è apparso soddisfacente, sono state osservate durante gli studi clinici reazioni avverse di lievissima entità, prevalentemente locali (arrossamento o gonfiore in prossimità della puntura). Ovviamente dati più completi sulla sicurezza si otterranno solo con un costante monitoraggio della vaccinazione «sul campo», attraverso il sistema di farmacovigilanza. 

10 Come si conserva?

In frigorifero, a temperature normali. Novavax non richiede il rispetto della catena del freddo come i vaccini a Rna messaggero. 11 Da chi è prodotto? Dall'azienda americana Novavax, nome commerciale Nuvaxovid. È il quinto vaccino autorizzato dagli enti di regolatori in Europa dopo quelli di Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Janssen. 

Mauro Evangelista per "Il Messaggero" il 9 febbraio 2022.

A inizio 2022 tutto era pronto per l'utilizzo di un quarto vaccino, Novavax. Si era detto: è di tipo proteico, potrebbe convincere i più scettici, coloro che sono diffidenti (in modo irrazionale) nei confronti dei farmaci a mRna come Pfizer-BioNTech e Moderna. Scriveva ad esempio l'AdnKronos: «Nei primi giorni di febbraio e non oltre il 10, è previsto l'arrivo, in Italia dei primi 3,6 milioni di dosi di Novavax, il vaccino anti Covid che sfrutta la tecnica delle proteine ricombinanti, in uso da tempo contro malattie come pertosse, epatite, meningite, herpes zoster e altre infezioni di carattere virale».

Anche le Regioni scaldavano i motori, ad esempio Alessio D'Amato, assessore alla Salute del Lazio, diceva in gennaio: «Noi siamo pronti, abbiamo allestito delle linee di vaccinazione riservate a Novavax, speriamo così di ridurre, a partire da inizio febbraio, il numero dei non vaccinati perché contiamo che una parte degli scettici sarà convinta da questo nuovo prodotto». Febbraio è arrivato, la prima decade si sta concludendo, ma di Novavax non ci sono tracce. «Per me è un mistero» ripete in queste ore l'assessore D'Amato. In Veneto anche il governatore Luca Zaia non si spiega il ritardo: «Incrociamo le dita per il vaccino Novavax. Ho parlato con il generale Figliuolo, spero che sia questione di settimane».

CONFERME Dalla struttura commissariale però precisano che non è mai stata fornita una data ufficiale di consegna. Allora bisogna affidarsi alla frase pronunciata dal generale Francesco Figliuolo tre giorni fa: «Il vaccino di Novavax arriverà da fine febbraio. È indicato per il ciclo primario, non per i richiami, dai 18 anni. Speriamo dia un'ulteriore spinta alla vaccinazione degli esitanti».

Dunque, bisognerà attendere altre tre settimane, anche se dalla struttura commissariale si precisa che questa data di consegna è comunque legata alla conferma della casa farmaceutica che, pare di capire, ancora non c'è stata. In Francia stessa musica. Il 19 gennaio il Ministero della Salute ha spiegato: «Ci sono dei ritardi, le prime consegne sono ora attese dall'ultima settimana di febbraio, ma non si conosce ancora la data esatta».

Il problema è che più i giorni passano, più l'utilità di questo vaccino si ridimensiona, anche perché Ema e Aifa lo hanno autorizzato solo per il primo ciclo vaccinale, non per le dosi di rinforzo. In totale il nostro Paese attende da Novavax, per il 2022, 27 milioni di dosi. L'autorizzazione di Aifa risale al 22 dicembre. Il nome commerciale del prodotto è Nuvaxovid e, spiegava l'Adnkronos, alla vigilia dell'approvazione dell'agenzia del farmaco: «Il sistema immunitario identifica la proteina come estranea e produce difese naturali - anticorpi e cellule T - contro di essa. Se in seguito la persona vaccinata entra in contatto con il coronavirus, il sistema immunitario riconoscerà la proteina Spike sul virus e sarà pronto ad attaccarla.

Gli anticorpi e le cellule immunitarie possono proteggere da Covid lavorando insieme per uccidere il virus, impedire il suo ingresso nelle cellule e distruggere le cellule infette». Il colosso di biotecnologie Novavax ha sede negli Stati Uniti, nel Maryland, ma ha anche un centro di produzione a Uppsala, in Svezia. L'Unione europea ha acquistato 100 milioni di dosi, con una opzione per altre 100. Come gli altri vaccini, è stato sviluppato partendo dal virus iniziale di Wuhan.

Cristina Marrone per corriere.it il 30 gennaio 2022.

Dopo due anni di pandemia i primi vaccini anti Covid entrati in commercio, in particolare quelli a mRNA di Pfizer e Moderna, hanno funzionato molto bene per evitare nella maggior parte dei casi la malattia grave o il decesso, scongiurando grandi sofferenze. Tuttavia prima con l’arrivo della variante Delta, ma soprattutto con Omiron, l’efficacia del vaccino è sensibilmente diminuita, tanto che è stato necessario introdurre un booster. 

I vaccini sono progettati infatti per riconoscere parti della proteina Spike del virus Sars-CoV-2 originale ma le varianti che presentano più mutazioni nella Spike, come Omicron, riescono a eludere meglio la protezione, pur mantenendo un’alta efficacia contro decessi e forme gravi di malattia.

Pfizer e Moderna hanno avviato sperimentazioni cliniche sul vaccino specifico anti Omicron ma il virus muta molto rapidamente: molti scienziati temono che quando sarà distribuito avrà già fatto capolino un altro ceppo. 

È ormai chiaro che il virus continuerà ad evolversi come ha fatto finora per questo molti ricercatori nel mondo stanno lavorando per sviluppare un vaccino universale anti Covid-19, se non addirittura di un vaccino universale anti coronavirus, il vaccino «pan coronavirus» in grado di offrire protezione oltre che su Sars CoV-2 anche su tutti i coronavirus umani conosciuti (tra i quali anche i quattro che causano raffreddori comuni).

L’obiettivo è ambizioso, ma potrebbe essere risolutivo perché il grande vantaggio di questi vaccini è che permetterebbero di gestire non solo nuove varianti, ma anche nuovi coronavirus che potrebbero emergere con altri salti di specie. 

«Ci vorranno anni affinché questi vaccini vengano sviluppati, ma sono necessari approcci innovativi per indurre una protezione ampia e duratura contro i coronavirus noti e quelli ancora sconosciuti» ha avvertito Anthony Fauci, immunologo, direttore dell’Istituto nazionale di allergie e malattie infettive negli Stati Uniti e consigliere alla Casa Bianca per la pandemia.

In generale i gruppi di lavoro che si dedicano al pan vaccino devono prendere in considerazione regioni del virus poco inclini alle mutazioni e che rimangono piuttosto stabili in tutti i coronavirus. 

Pamela Björkman, biologa strutturale al California Institute of Technology sta sviluppando un vaccino universale per alcuni virus simili alla Sars. Un vaccino composto da più parti del virus testato su topi stimolerebbe la formazione di anticorpi bloccando infezioni causate da diversi virus simili alla Sars, compresi ceppi che non sono stati utilizzati per creare il vaccino.

I ricercatori sono convinti che il sistema immunitario delle cavie abbia imparato a riconoscere le caratteristiche comuni dei coronavirus e a breve inizieranno i test sull’uomo. 

La nanoparticella a forma di pallone di calcio

Recentemente l’esercito degli Stati Uniti ha comunicato risultati promettenti di un candidato vaccino chiamato Spik Ferritin Nanoparticle (SpFN) sviluppato dai ricercatori del Walter Reed Army Institute of Research.

Gli attuali vaccini presentano una sola versione della Spike ma come è stato visto il rischio è che il virus muti e non venga più riconosciuto. Questo vaccino invece di basa su una tecnologia sviluppata per produrre vaccini antinfluenzali universali ed è composto da una nanoparticella, Ferritin Nanoparticle (SpFN), a forma di pallone da calcio con 24 facce decorate con più copie della proteina spike del SARS-CoV-2 originale. 

Il sistema immunitario stimolato da questo tipo di vaccino sviluppa anticorpi neutralizzanti in grado di contrastare le diverse varianti e quelle che potranno nascere in futuro per questo gli scienziati credono che potrà conferire una protezione più ampia rispetto ai vaccini attuali.

«La presenza di molteplici proteine spike di coronavirus su una nanoparticella multisfaccettata può stimolare l’immunità in modo tale da creare una protezione molto più ampia», ha affermato in una conferenza stampa del dicembre scorso Kayvon Modjarrad, uno dei ricercatori che sta lavorando al progetto 

I test in vitro e i test sugli animali in fase pre clinica (pubblicati su Science Translation Medicine) hanno ottenuto ottimi risultati. Il preparato a nanoparticelle SpFN basato su una piattaforma di ferritina induce infetti risposte anticorpali altamente potenti e ampiamente neutralizzanti contro le principali varianti di SARS-CoV-2 di preoccupazione, compreso il virus SARS-CoV-1 emerso nel 2002 (non è però ancora stato testato su Omicron).

La fase 1, partita lo scorso aprile ha arruolato 72 adulti tra i 18 e i 55 anni e anche in questo caso i risultati sono stati definiti promettenti. A breve dovrebbero iniziare i trial di fase 2-3 che coinvolgono un maggior numero di partecipanti per confermare sicurezza ed efficacia. 

Il vaccino a nanoparticelle SpFN è testato con doppia dose a distanza di 28 giorni e un richiamo a distanza di sei mesi. A differenza dei vaccini a mRNA il vaccino SpFN può essere conservato in frigorifero a temperature comprese tra i 2° e gli 8° per sei mesi e a temperatura ambiente per un massimo di sei mesi. 

A caccia del «tallone d’Achille»

Nell’aprile del 2021 anche i ricercatori della Duke University hanno annunciato che il loro vaccino contro il coronavirus era efficace al 100% nei test sui primati. Cinque mesi dopo, Duke e altre due istituzioni accademiche - l’Università del Wisconsin e il Brigham and Women’s Hospital di Boston - hanno ricevuto circa 36,3 milioni di dollari per finanziare il continuo sviluppo di vaccini contro il pan-coronavirus. 

«Quello che cerchiamo di fare è prendere di mira una parte specifica del virus, il suo “tallone d’Achille”» ha detto Kevin Saunders, direttore della ricerca presso il Duke Human Vaccine Institute. Affinché un vaccino funzioni su diversi tipi di coronavirus, quel “tallone d’Achille” dovrebbe essere una parte del virus che rimane uniforme tra le varianti e nel tempo, quindi quando i virus mutano, la parte che il vaccino prende di mira è quella che non muta, o cambia poco.

A inizio pandemia i ricercatori hanno iniziato a cercare anticorpi che disattivassero i virus simili alla Sars e hanno esaminato gli anticorpi presenti nelle cellule congelate di un paziente guarito dall’infezione Sars-Cov del 2003 e di un altro paziente guarito da Covid-19. 

I ricercatori hanno identificato un potente anticorpo denominato DH1047, presente nelle cellule di entrambi i pazienti. «Quando abbiamo vaccinato i primati non umani con il nostro vaccino hanno generato questi anticorpi che assomigliano a DH1047» ha detto Saunders. Il vaccino iniettato nelle scimmie ha dimostrato di essere capace di proteggere non solo dal Sars-CoV-2, ma anche dall’infezione di diversi altri coronavirus. 

I vaccini nasali

Un altro approccio promettente è rappresentato da una nuova generazione di vaccini anti Covid, quelli a spray, che possono indurre l’immunità nelle mucose dell’apparato respiratorio, bloccando sul nascere l’infezione nella sua porta di ingresso, impedendo così che il virus inizi il suo viaggio verso i polmoni, contribuendo forse alla cosidetta immunità sterilizzante, ovvero la condizione in cui il soggetto vaccinato non si contagia e non contagia gli altri.

Un gruppo di lavoro dell’Università di Yale ha pubblicato nel dicembre scorso sulla rivista Science Immunology i risultati del suo vaccino anti Covid in forma di spray nasale che sembrerebbe essere in grado di contrastare le varianti del virus. 

«La migliore difesa immunitaria avviene nelle vie d’ingresso del virus», ha detto l’immunologa Akiko Iwasaki, che coordina la ricerca. «Il bello di questo vaccino è che non solo fornisce un’importante protezione, ma l’immunità è di lunga durata e cellule T e B rimangono sulla superficie della mucosa» ha sottolineato. Finora il farmaco è stato sperimentato sui topi e si attende l’avvio dei test sull’uomo.

Altimmune, biofarmaceutica statunitense, sta sviluppando un vaccino Covid-19 che viene somministrato come spray nasale, ma sembra che la risposta immunitaria scatenata al termine del trial umano sia decisamente inferiore a quanto sperato dopo i risultati incoraggianti ottenuti con gli animali. Anche la Meissa Vaccines, azienda californiana, ha appena iniziato trial di fase 1 dopo buoni risultati con la sperimentazione animale. 

Vaccini a quota dieci miliardi, ma la guerra al Covid non è finita. Elena Dusi su la Repubblica il 30 gennaio 2022.

Le dosi hanno mantenuto la promessa di salvare milioni di vite, ma non quella di debellare la pandemia. Le ombre della campagna: Paesi poveri dimenticati e il 40% della popolazione mondiale ancora senza copertura. 

Da zero a 10 miliardi in un anno. È la corsa dei vaccini contro il Covid nel pianeta. Eppure oggi, allo scattare dell’iniezione seguita da dieci zeri, il mondo si ritrova ancora in piena tempesta Omicron. La frase più ripetuta all’arrivo delle prime fiale a fine dicembre 2020 — «finalmente la luce in fondo al tunnel» — dopo la terza dose e nell’incertezza sulla quarta ci fa alzare le sopracciglia. Se si aggiunge l’ingiustizia di un misero 10% di copertura in Africa contro il 77% dei paesi ricchi, la campagna vaccinale sembra una storia piena di ombre, altro che luce.

Poi però arrivano le stime più che rigorose dell’Associazione italiana di epidemiologia: 27.034 vite salvate dai vaccini nel nostro Paese, con 1,7 milioni di contagi e 130 mila ricoveri evitati, di cui 15 mila in terapia intensiva. Il calcolo di Roberto Buzzetti è pubblicato sulla rivista Epidemiologia e Prevenzione. A livello europeo, l’Ecdc (European centre for disease control), stima in 470 mila le vite salvate tra le persone con più di 60 anni. Per gli Usa la cifra è di 1,1 milioni.

Guido Forni, immunologo dell’Accademia dei Lincei, dà ai vaccini contro il Covid un bel 7,5. «Con la pandemia l’umanità si è scoperta improvvisamente fragile. Poi è arrivata questa soluzione, ottenuta in tempi fantasticamente rapidi e di ottima qualità». Che pure ci ha regalato solo «un’immunità imperfetta» ammette Forni. «Speravamo in molto di più, soprattutto in una protezione più duratura. Ma se la pandemia oggi è meno grave, gran parte del merito spetta a un mondo che guadagna sempre più immunità».

Un altro buon 7 è il voto di Stefania Salmaso dell’Associazione italiana di epidemiologia. «Siamo abituati ai vaccini dell’infanzia, che cancellano il problema per il resto della vita. Ma non tutti i microrganismi si comportano allo stesso modo. Con il coronavirus si crea un’immunità di durata piuttosto breve, come avviene per i raffreddori. Forse sul fronte della comunicazione bisognava ingenerare meno illusioni e spiegare che i comportamenti prudenti andavano mantenuti anche fra gli immunizzati».

Ma gli italiani, ancor più dei vaccini, ricevono dagli esperti un voto alto. «Hanno capito — dice Salmaso — che il gioco era serio e hanno seguito le raccomandazioni. I No Vax sono una minoranza». Di cui Forni non si stupisce nemmeno. «Cosa ci aspettavamo in un paese che demonizza gli ogm e all’improvviso viene messo di fronte a nuovi vaccini a Rna e vettore virale».

E se l’Africa resta il simbolo dell’iniquità — «con l’arroganza di Pfizer e Moderna che non hanno voluto ridiscutere il prezzo per lei» lamenta Forni — non è solo da lì che il coronavirus potrebbe sferrare il prossimo colpo. «È sorprendente che la Cina voglia tenere il punto e seguire la politica dei contagi zero» commenta Salmaso. «Con un vaccino piuttosto debole e la popolazione poco toccata dai contagi, ha un enorme serbatoio di popolazione suscettibile».

Forni associa Pechino al suo rivale: «Gli Usa in alcuni stati hanno una copertura davvero bassa, attorno al 50%. Lì il problema dei No Vax non deriva tanto dal timore dei nuovi vaccini. La campagna vaccinale è finita nella battaglia politica fra democratici e repubblicani».

E il futuro? Resta un’incognita. «Dopo Omicron aspettiamo la prossima mossa del virus» dice Forni. Le aziende sono pronte a raddoppiare la produzione di vaccini, portandola dagli 11 miliardi di dosi del 2021, di cui 1,5 solo a dicembre, a oltre 20 nel 2022, quando contano di ricavare 75 miliardi di dollari, secondo Airfinity, gruppo specializzato in studi di mercato. Anche qui le disparità sono enormi: si va dagli oltre 20 euro a dose di Pfizer e Moderna ai 4 di AstraZeneca, che nonostante la cattiva fama è il vaccino più usato al mondo insieme al cinese Coronavac, con oltre 2 miliardi di dosi ciascuno.

«Ma, ancora una volta, non possiamo ripetere l’errore di pensare che i vaccini risolvano tutto» avverte Salmaso. «La nuova fase della pandemia va affrontata anche riorganizzando gli ospedali, raccogliendo i dati in modo più efficiente, rendendo le scelte più trasparenti. Ad esempio pubblicando i verbali del Comitato tecnico scientifico e i contratti con le aziende che producono i vaccini».

Dosi, soldi e certificati falsi: prende forma il traffico di vaccini contraffatti. Federico Giuliani su Inside Over il 29 gennaio 2022.

L’allarme rosso è scattato pochi giorni fa in Germania ma il suo eco ha già fatto il giro del mondo. La polizia tedesca sta indagando su oltre 12mila casi di sospetti vaccini anti Covid contraffatti. O meglio: nel caso tedesco, ad essere falsificate non sono solo le singole dosi, ma anche le certificazioni rilasciate ai vaccinati. Facciamo un passo indietro per ricostruire il contesto. Da quando, lo scorso dicembre, Berlino ha introdotto restrizioni più severe nel tentativo di arginare la diffusione della variante Omicron, il numero di falsi vaccinati è schizzato alle stelle. Lo ha riportato l’agenzia stampa tedesca Dpa, e il motivo è semplice: per accedere alla maggior parte dei luoghi pubblici, i cittadini devono mostrare di essere vaccinati (con due o tre dosi) o guariti, mentre per usufruire dei mezzi di trasporto pubblici valgono le stesse norme, in aggiunta alla possibilità di risultare negativi a un test anti Covid.

Chi non ha intenzione di vaccinarsi – e anche in Germania, a differenza di quanto si possa pensare, questa categoria sembrerebbe essere piuttosto numerosa – si tuffa nel mondo dei pass vaccinali fasulli. Le forze dell’ordine hanno sottolineato come la domanda di certificazioni false sia aumentata a dismisura di pari passo con l’inasprimento delle regole, toccando quote elevate in alcune aree, come lo stato meridionale della Baviera, dove sarebbero attivi 4000 casi, e lo stato occidentale del Nord Reno-Westfalia, dove la polizia sta indagando su oltre 3500 casi.

Il più delle volte, il rilascio di un documento fake comporta la somministrazione di vaccini, intese come dosi, altrettanto false. La stampa tedesca, ad esempio, ha raccontato la storia di un medico in Baviera che iniettava vaccini placebo – ovvero formati da una soluzione salina – ai suoi pazienti. I no vax, o più semplicemente gli scettici, desiderosi di bypassare le regole imposte dal governo senza ricevere il vaccino, erano soliti effettuare pellegrinaggi presso lo studio dell’esperto, adesso sospeso dalle autorità sanitarie e in attesa di un’indagine penale. I pazienti, quindi, ricevevano dosi false, accompagnate da un pass vaccinale fasullo utilizzabile come se niente fosse.

L’ombra del fake

In mezzo a una pandemia globale, non mancano insomma le persone tentate di acquistare e utilizzare prodotti alquanto discutibili; gli stessi che, venduti in canali “sommersi”, sostengono di curare, diagnosticare e persino prevenire l’insorgere del Covid-19. Partiamo subito col dire che i soli prodotti utilizzabili senza incorrere in alcun rischio sono quelli espressamente autorizzati dai vari enti governativi che si occupano della regolamentazione di farmaci e affini. Negli Stati Uniti, ad esempio, questo ruolo viene svolto dalla Food and Drug Administration (FDA), che collabora con produttori, sviluppatori e ricercatori di vaccini e farmaci per aiutare a facilitare lo sviluppo e la disponibilità di prodotti medici – come appunto vaccini, anticorpi e medicinali aggiuntivi – per prevenire o curare il Covid-19 e altre malattie.

Attenzione però, perché nel frattempo alcune persone e aziende hanno iniziato, in maniera subdola, a trarre profitto da questa emergenza sanitaria vendendo e commercializzando prodotti non autorizzati. Questi, a differenza di come vengono presentati dai venditori, anziché essere utili alla causa sono nella maggior parte dei casi pericolosi per chi ne usufruisce e per gli altri. I suddetti prodotti, infatti, possono indurre le persone a ritardare o addirittura interrompere un trattamento medico appropriato che – quello sì – sarebbe in grado di agire sul Covid-19. Come se non bastasse, gli ingredienti in essi contenuti potrebbero causare effetti avversi e interferire con i farmaci per il trattamento di molte condizioni mediche sottostanti.

Un mercato in crescita

Nel 2017, e cioè ben prima dell’avvento di Sars-CoV-2, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stimava che circa un prodotto medico su 10 che circolava nei Paesi a basso e medio reddito risultasse scadente o falsificato. Adesso il rapporto potrebbe essersi ulteriormente ampliato. I prodotti falsi legati al Covid-19, non a caso, possono essere disponibili in molte varietà, inclusi integratori alimentari e altri alimenti, nonché test, farmaci, dispositivi medici e ovviamente vaccini. Il loro impatto sulla società è disastroso non solo perché non sono capaci di curare alcun disturbo e possono portare a un decorso peggiore o addirittura alla morte, ma anche perché, non funzionando, facilitano la nascita di nuovi focolai infettivi.

Per quanto riguarda i vaccini, lo scorso agosto a Mumbai, in India, le autorità stavano perseguendo una dozzina di persone per un presunto coinvolgimento in un giro di dosi false di Covishield, la versione indiana di AstraZeneca. La Cina, dal canto suo, ha represso duramente versioni contraffatte dei suoi vaccini. Lo scorso marzo, l’Interpol ha rilevato il primo caso ufficiale di falsi vaccini anti Covid trafficati attraverso i continenti proprio nella Repubblica Popolare Cinese, dove un gruppo organizzato riempiva le fiale di soluzioni saline prima di contrabbandarle in Sudafrica, dove il tutto sarebbe stato venduto come vaccino anti Covid. Più di 80 persone sono state arrestate, per lo più proprio oltre la Muraglia, per aver partecipato a quel programma, che prevedeva di sviluppare almeno 2.400 dosi di vaccino falso. Polonia e Messico hanno segnalato alcuni casi in cui vaccini Pfizer contraffatti sono stati somministrati ai pazienti per un costo di mille dollari a dose. I funzionari doganali messicani hanno inoltre sequestrato fiale di falso vaccino Sputnik V destinato all’Honduras. E non è finita qui, perché il business dei vaccini falsi riguarda ogni continente, Africa compresa. Qui, tra luglio e agosto scorsi, un’operazione dell’Interpol ha portato all’identificazione di 179 sospetti e al congelamento di beni per un valore di 3,5 milioni dollari; tra questi beni erano inclusi vaccini e falsi certificati di test Covid-19.

A margine di uno scenario simile, destinato ad aumentare con l’implementazione di nuovi divieti, sono emblematiche le dichiarazioni rilasciate al Time da Jurgen Stock, segretario generale dell’Interpool: “Non ho mai visto una situazione così dinamica prima d’ora. L’oro liquido nel 2021 è il vaccino, e già stiamo vedendo che le catene di approvvigionamento dei vaccini sono sempre più prese di mira dai falsari”. Per capire quanto è cresciuto questo business basta leggere i dati. Un rapporto del 2017 di PwC stimava che il mercato dei medicinali contraffatti valesse 200 miliardi di dollari (giusto per fare un confronto, pare che il “vero” mercato dei vaccini anti Covid valga 150 miliardi di dollari) e che crescesse del 20% all’anno; ebbene, nell’ultimo anno il mercato nero dei medicinali sarebbe cresciuto di oltre il 400%. Ad alimentare il sistema troviamo le molteplici informazioni confuse sul Covid – che, soprattutto nella prima fase dell’emergenza, hanno contribuito ad alimentare il panico generale – e l’iniquità del vaccino, con molti Paesi letteralmente ricchi di dosi e altri pressoché a secco. Tutto ciò ha creato l’humus perfetto per svariate attività criminali.

Come nasce un vaccino falso

Ma come nasce un farmaco contraffatto? E chi si nasconde dietro a questo giro di soldi? La globalizzazione dell’industria farmaceutica ha portato innumerevoli vantaggi, ma con essi ha diffuso in tutto il mondo anche prodotti contraffatti e scadenti. I principi attivi dei farmaci fake possono provenire dalla Cina, mentre il prodotto in sé può essere fabbricato in India per poi essere confezionato in un Paese terzo, prima di essere spedito attraverso Dubai o altri hub strategici a seconda del guadagno derivante dai tassi di cambio.

Tra le pratiche più diffuse, troviamo quella di procurarsi fiale vuote e riempirle con soluzione salina o prodotti scadenti, oppure quella di imitare i farmaci originali affidandosi però a concentrazioni di principi farmaceutici attivi inferiori rispetto al normale. Secondo la società di sicurezza informatica israeliana CheckPoint, la pubblicità sul dark web per i vaccini anti Covid, tra cui AstraZeneca, Johnson & Johnson, Sinopharm e Sputnik V, venduti a 500-1000 dollari per dose, nella primavera 2021 è aumentata di oltre il 300%. A guidare le reti oscure, anonime aziende affamate di profitto, criminalità organizzata e gruppi di malintenzionati. Tutti pronti a lucrare sulla pandemia più grave degli ultimi decenni. Qual è il crocevia del mondo di domani?

RAPPORTI PRIVILEGIATI. Lo scandalo degli sms con Big Pharma travolge Ursula von der Leyen. FRANCESCA DE BENEDETTI su Il Domani il 28 gennaio 2022.

Ursula von der Leyen ha smessaggiato per settimane con l’amministratore delegato di Pfizer, anche quando un nuovo contratto per i vaccini veniva negoziato, ma rifiuta di render pubblici quei documenti. I messaggini sono «effimeri», secondo la Commissione. Ma la stroncatura arriva dalla mediatrice Ue, che valuta l’opacità di Bruxelles come «malgoverno».

La mancanza di trasparenza di Bruxelles riguarda il dossier dei contratti dei vaccini nel complesso. E non è la prima volta che von der Leyen cancella messaggi: due anni fa lo ha fatto anche ai tempi di un’inchiesta relativa a quando era ministra della Difesa in Germania.

La eurodeputata liberale Sophie in’t Veld, che si è battuta per avere trasparenza sui messaggi con Big Pharma, solleva una questione di democrazia, perché «non si tratta di un singolo caso», e di fiducia, perché «quella dell’Europarlamento alla Commissione non va data per scontata». 

FRANCESCA DE BENEDETTI. Europea per vocazione. Ha lavorato a Repubblica e a La7, ha scritto (The Independent, MicroMega), ha fatto reportage (Brexit). Ora pensa al Domani.

Von der Leyen-Bourla, gli sms rimangono segreti. Redazione il 29 Gennaio 2022 su Il Giornale.

No alla diffusione delle comunicazioni col Ceo di Pfizer. L'accusa: "Cattiva amministrazione".

Critiche alla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen per come ha gestito la trattativa per l'acquisto dei vaccini Pfizer. Sotto accusa gli sms che la von der Leyen ha scambiato con il numero uno della casa farmaceutica Albert Bourla.

È la mediatrice europea Emily ÒReilly a puntare il dito contro il modo in cui la Commissione ha risposto ad una richiesta di accesso del pubblico ai messaggi di testo tra la presidente e l'amministratore delegato di Pfizer avanzata lo scorso inverno da un giornalista. Era stato il New York Times a parlare nell'aprile del 2021 della trattativa per l'approvvigionamento dei vaccini portata avanti tra chiamate e sms. Ma la Commissione non aveva dato seguito alla richiesta di accesso presentata dal giornalista di Netzpolitik Alexander Fanta, rispondendo che non era stata tenuta alcuna registrazione dei messaggi relativi all'acquisto delle dosi. Dall'inchiesta della mediatrice Ue è emerso che la Commissione «non ha chiesto esplicitamente all'ufficio personale della presidente di cercare messaggi di testo», ma al suo gabinetto di cercare «documenti che soddisfano i criteri interni della Commissione per la registrazione» e «i messaggi di testo non sono attualmente considerati conformi a questi criteri». «Un caso di cattiva amministrazione», per la O'Reilly. «Il modo ristretto in cui è stata trattata questa richiesta di accesso pubblico - spiega la mediatrice Ue - significa che non è stato fatto alcun tentativo di identificare se esistessero messaggi di testo. Ciò non soddisfa le ragionevoli aspettative di trasparenza e standard amministrativi nella Commissione». «Non tutti i messaggi di testo devono essere registrati - continua - ma rientrano nella legge sulla trasparenza della Ue e quindi quelli pertinenti dovrebbero essere registrati. Non è credibile affermare il contrario. Quando si tratta del diritto di accesso ai documenti Ue, è il contenuto che conta e non il dispositivo o il modulo. Se i messaggi di testo riguardano le politiche e le decisioni della Ue, dovrebbero essere trattati come documenti della Ue». Ora la ÒReilly ha chiesto alla Commissione di chiedere all'ufficio personale della presidente di cercare nuovamente i messaggi di testo pertinenti. Se vengono identificati la Commissione deve valutare se soddisfano i criteri per essere rilasciati.

Carabiniere morto dopo il vaccino AstraZeneca: «Dose fatale, ma evento imprevedibile». Udine, Emanuele Calligaris (46 anni) era deceduto dopo la somministrazione per un’emorragia cerebrale. Gli esami scagionano però i dottori: «La trombosi non era ipotizzabile». Andrea Pistore su Il Corriere della Sera il 31 gennaio 2022.

A uccidere il maresciallo maggiore dei carabinieri Emanuele Calligaris (46 anni) è stato il processo che si è innescato dopo la somministrazione, a marzo del 2021, della dose di vaccino AstraZeneca. È questa la conclusione della consulenza tecnica e dell’autopsia a cui è stato sottoposto il corpo del militare friulano, deceduto a marzo dello scorso anno all’ospedale di Udine. A stabilirlo il neurochirurgo Felice Esposito insieme ad Antonello Cirelli, specialista veneziano in medicina legale, a cui era stata affidata la perizia dal pm Lucia Terzariol. I due professori hanno comunque evidenziato come non possa essere imputata alcuna colpa ai medici che hanno seguito il maresciallo.

Il malore e il ricovero

L’indagine era partita a seguito di due esposti presentati dalla moglie di Calligaris: l’uomo, dopo essersi sottoposto al vaccino, ha avuto un grave malore, morendo undici giorni dopo l’inoculazione e a 24 ore dal ricovero. Le condizioni del carabiniere erano precipitate la notte tra l’11 e il 12 marzo 2021, quando ha accusato nausea, vertigini e forte mal di testa oltre a febbre a 39. Un quadro clinico che da lì a poche ore sarebbe ulteriormente peggiorato: gli esami hanno dimostrato che era in corso un’emorragia celebrale che ha portato al decesso.

Soggetto a rischio trombosi

L’autopsia e le successive perizie hanno concluso che Calligaris, senza saperlo, era uno di quei soggetti a rischio trombosi. Rientrava quindi in quei rarissimi casi di «reazione avversa» che poteva scatenarsi dopo la somministrazione del vaccino di AstraZeneca. All’epoca del decesso non erano ancora lampanti le controindicazioni sul siero, che emersero solo in seguito quando le autorità sanitarie hanno proibito la somministrazione di quel siero agli under 60. La relazione dei due professori scagiona comunque il medico di base e chi ha inoculato la dose a Calligaris: «L’evento emorragico che ha portato al decesso - si legge nelle conclusioni della consulenza- va ricondotto al novero degli eventi imprevedibili. Nessun profilo di colpa commissiva od omissiva, penalmente rivelante, risulta individuabile nel caso di specie».

Prima perizia

In sostanza dopo aver ricevuto la dose di Astrazeneca nel corpo di Calligaris si sarebbe sviluppata la trombosi, provocata da uno stato di ipercoagulabilità del sangue, non individuabile in precedenza. Sarebbe stato insomma impossibile per i medici anche ipotizzare ai primi sintomi che il processo fosse in atto. Per il Nordest è la prima perizia che accerta l’esistenza della correlazione tra la somministrazione del vaccino AstraZeneneca e un decesso per emorragia cerebrale. I dati successivi hanno fatto emergere come l’evento sia davvero rarissimo, nell’ordine dei 7 casi per un milione nelle persone vaccinate tra i 18 e i 49 anni.

Camilla Canepa morta dopo Astrazeneca: i medici che la soccorsero sapevano del vaccino. Il Corriere della Sera il 27 Gennaio 2022.

E’ un dettaglio cruciale: in quei giorni erano già state pubblicate le linee guida sulle reazioni avverse al farmaco. Ma sulla cartella clinica il particolare non è riportato.

Il personale sanitario dell’ospedale di Lavagna sapeva che Camilla Canepa, la 18enne morta dopo la vaccinazione, aveva fatto una dose di Astrazeneca. È quanto emerso dalle audizioni dei medici fatte dai pubblici ministeri Francesca Rombolà e Stefano Puppo insieme al procuratore Francesco Pinto, che indagano sulla morte della studentessa avvenuta il 10 giugno scorso per una trombosi. La giovane era stata vaccinata durante un open day. I pm avevano convocato i sanitari per verificare come mai nella documentazione clinica del primo ricovero non fosse stato indicato che la giovane aveva ricevuto il vaccino anglo-svedese.

Secondo i genitori della ragazza al momento del primo accesso era stato detto. Inoltre, dalle indagini era emerso che Camilla mandò un messaggio sul cellulare a un conoscente dicendo che la stavano trattenendo in ospedale «per il vaccino». Resta però il giallo sul perché non sia stato scritto nella cartella clinica. Un dettaglio cruciale, quello della mancata indicazione della vaccinazione: al momento del malore della ragazza, infatti esistevano già le linee guida per diagnosticare la Vitt, vale a dire quel tipo di reazione avversa al vaccino. I magistrati invieranno ai consulenti quanto emerso dalle sommarie informazioni dei medici.

Camilla era stata vaccinata il 25 maggio e il 3 giugno era andata all’ospedale di Lavagna per una fortissima cefalea e fotosensibilità’. La giovane era stata dimessa l’indomani, dopo una tac senza contrasto, nonostante le piastrine fossero in forte discesa. Era ritornata allo stesso ospedale il 5 giugno in condizioni disperate per una trombosi. Trasferita al policlinico San Martino di Genova era stata operata alla testa, morendo però il 10 giugno. Nel secondo accesso all’ospedale di Lavagna la vaccinazione era stata indicata. Le prime linee guida per diagnosticare la Vitt prevedevano di procedere con una tac con liquido di contrasto tra gli accertamenti.

Andrea Crisanti è stufo: “Basta stato di emergenza”. Poi il siluro alle case farmaceutiche sulla quarta dose. Il Tempo il 26 gennaio 2022.

Per l’Oms il 2022 potrebbe decretare la fine della fase emergenziale della pandemia. E il virologo Andrea Crisanti la pensa più o meno allo stesso modo, al netto di varianti impazzite. «Come dovrà affrontare l’Italia quella che si prospetta come una nuova fase di Covid-19? Credo sia tempo di adattarsi - spiega all’Adnkronos il direttore del Dipartimento di medicina molecolare dell’università di Padova -. Lo stato di emergenza scade a marzo, e sarebbe pure ora che finisse. Perché anche il prolungamento dello stato di emergenza è una manifestazione del fatto che non ci si è adattati all’emergenza».  

«Siamo sul plateau della curva di Omicron in Italia? Insomma. Ieri ci sono stati dei segni di aumento dei casi, ma comunque penso di sì». Sarà questa, dice il virologo Crisanti, la settimana decisiva per capire se l’ultima maxi ondata di Covid-19, sostenuta dal nuovo mutante di Sars-CoV-2, ha preso la direzione sperata, quella che porta alla fine. «Penso che questa settimana sicuramente sapremo se abbiamo scavallato il picco o se abbiamo probabilmente una piccola ripresa legata alle scuole», cioè alla ripresa delle lezioni dopo le feste natalizie, che è stata peraltro accompagnata anche da un’intensa attività di testing. 

Sulla quarta dose del vaccino anti-Covid per Crisanti «siamo nella totale confusione e la colpa è delle ditte che non rilasciano i dati. Ad oggi non si sa se servirà o meno. Brancoliamo nel buio». Mentre in Israele, paese più avanti con le valutazioni sul secondo booster, gli esperti già la raccomandano per tutti gli over 18, altrove il dibattito è tutt’altro che chiuso. «Non so pronunciarmi su questo tema senza dati», dice il direttore del Dipartimento di medicina molecolare dell’università di Padova. Anche se sia controproducente la strategia di troppi richiami ripetuti e ravvicinati (l’Agenzia europea del farmaco Ema ha per esempio prospettato il rischio che si riduca il livello di anticorpi che vengono prodotti ad ogni somministrazione) «non lo sa nessuno. Brancoliamo nel buio in questo momento», ribadisce Crisanti.

"Ci usano come cavie, ecco come" Barbara Palombelli, il terribile sospetto su vaccini ed effetti avversi. Il Tempo il 16 aprile 2021.

Mentre le autorità continuano a ribadire che il rapporto costi-benefici del vaccino è fortemente in favore dei secondi anche con la scoperta della correlazione tra gravi trombosi, in vero molto rare, e i sieri AstraZeneca e Johnson & Johnson, arriva la pesante accusa di Barbara Palombelli.

Mentre diversi Paesi stoppano i vaccini in questione e si discute di somministrazione consentita solo a determinate fasce d'età "noi siamo delle cavie, siamo un’immensa clinica e sul nostro corpo si sta sperimentando un vaccino che sarebbe stato pronto tra tre anni", è il ragionamento della giornalista e conduttrice di Stasera Italia su Rete 4 ospite di Massimo Giletti su Rtl 102.5. 

 "Credo nella scienza e nei vaccini, detto questo stiamo a vedere", dice la Palombelli, ma non ci sta che i cittadini vengano usati come "cavie". per gli effetti avversi del farmaco anti-Covid. "Ciò che innanzitutto non ha funzionato di questa situazione è stata l’euforia del giugno-luglio scorso, quando ci dicevano che ci sarebbe stata la seconda ondata, preparavano gli ospedali e ci mettevano in guardia e gli stessi poi venivano ridicolizzati. Qualcuno dovrà pagare per quella situazione, perché era chiarissimo che non era finita, perché tutto il mondo continuava ad infettarsi, quindi il virus sarebbe tornato anche da noi e nessuno lo voleva ammettere", è l'accusa della giornalista che non nomina mai il ministro della Salute Roberto Speranza ma il riferimento appare piuttosto chiaro. 

Anche perché il governo di Mario Draghi è "andato in Europa e non ha chiesto dei vaccini extra come ha fatto la Germania ed altri paesi, la signora Gallina (la funzionaria che ha contrattato le scorte dei vaccini Pfizer, Moderna e AstraZeneca per l'Unione europea, ndr), che ha testimoniato giorni fa in Parlamento, ha detto candidamente ‘ma l’Italia non me li ha chiesti…’, quei contratti non sono trasparenti".

Come è andata a finire con il vaccino cubano (e perché non è stato ancora autorizzato nel resto del mondo). Elena Tebano su Il Corriere della Sera il 19 Gennaio 2022.

Potrebbero aiutare molti Paesi a basso reddito nella prevenzione del Covid, ma i preparati cubani non sono ancora stati autorizzati dall’Oms: non per una mancanza di fiducia nella loro efficacia, ma per un problema «industriale».  

Il vaccino cubano sembra funzionare e Cuba ha uno dei più alti tassi di vaccinazione al mondo. Non solo, secondo gli esperti i preparati cubani potrebbero aiutare molti Paesi a basso reddito nella prevenzione del Covid. Ma non sono ancora stati autorizzati dall’Organizzazione mondiale della sanità, non per una mancanza di fiducia nella loro efficacia, ma per un problema «industriale»: gli standard che l’Oms richiede per gli impianti in cui devono essere prodotti (standard che i cubani criticano come iniqui).

I dati sull’efficacia. I vaccini, sviluppati dall’Istituto Finlay per i vaccini in collaborazione altri centri biotecnologici statali di Cuba, hanno dato risultati incoraggianti. Secondo uno studio preliminare (non è ancora stato sottoposto a revisione tra pari) firmato dal direttore del Finlay Vicente Vérez Bencomo e pubblicato il 6 novembre sul sito specializzato medRxiv1, il vaccino Soberana 02 ha una efficacia maggiore del 90% nel proteggere contro l’infezione sintomatica dalla variante Delta del Covid quando viene somministrato in combinazione con un vaccino correlato, una tecnologia particolare sviluppata dai centri di ricerca cubani. Come spiega Nature, due dosi di Soberana o2 vengono combinate con una di Soberana Plus, un vaccino che si basa solo sulla proteina Rbd, dando una protezione del 92,4% contro la variante Delta (non sono ancora noti i dati per Omicron). Anche Abdala, un altro vaccino in tre dosi sviluppato a Cuba, avrebbe secondo i ricercatori cubani, un’efficacia superiore al 90% su Delta.

La campagna di vaccinazione. Cuba ha un altissimo tasso di vaccinazione: oggi, secondo i dati di Our World in Data, è il terzo Paese per percentuale di popolazione immunizzata dopo Emirati Arabi Uniti e Portogallo. Il 93% dei cubani a partire dai due anni di età ha ricevuto almeno una dose di vaccino, mentre l’86% ha completato il ciclo vaccinale (in Italia siamo rispettivamente all’82% e al 75%). Cuba è l’unico Paese a basso reddito ad essere riuscito a vaccinare quasi tutta la popolazione. In Paesi come Turchia, India e Messico, che hanno un reddito pro capite simile, meno del 70% della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino. Cuba è anche l’unico Paese in America Latina e nei Caraibi ad aver sviluppato un proprio preparato. «È un’impresa incredibile» ha detto alla testata statunitense Cnbc Helen Yaffe, un’esperta di Cuba e docente di storia economica e sociale all’Università di Glasgow, in Scozia. «È il risultato di una consapevole politica governativa di investimento statale nel settore, sia nella salute pubblica che nella scienza medica» ha aggiunto. Tutto questo in un Paese dove la popolazione generale fa fatica ad approvvigionarsi di cibo e i manifestanti che questa estate hanno protestato contro la dittatura comunista urlando «libertà» e «abbiamo fame» nei giorni scorsi sono finiti a processo. Rischiano pene fino a 30 anni di detenzione.

La tecnologia a basso costo. Tutti e cinque vaccini sviluppati da Cuba (tra cui Abdala, Soberana 02 e Soberana Plus) sono vaccini a subunità proteica, cioè usano «composti proteici» del coronavirus. Un altro vaccino di questo tipo è lo statunitense Novavax, già approvato dall’Agenzia europea del farmaco. I vaccini a subunità proteica cubani, spiega ancora Cnbc, «sono economici da produrre, possono essere fabbricati su vasta scala e non richiedono il congelamento profondo. Ciò ha spinto i funzionari della sanità internazionale a parlare di questi vaccini come di una potenziale fonte di speranza per il “Sud globale”, dove persistono bassi tassi di vaccinazione. Per esempio, mentre circa il 70% delle persone nell’Unione europea sono state completamente vaccinate, meno del 10% della popolazione africana è stata completamente vaccinata». Distribuire e somministrare un vaccino che non richiede basse temperature è più facile rispetto a uno che deve essere conservato a -25° e può stare a temperature tra 2° e 30° solo per sei ore (è il caso del Pfizer). Cuba ha già iniziato a esportare Abdala in Vietnam. Nel secondo trimestre del 2022 dovrebbe essere esportato anche in Messico.

I ritardi nell’approvazione. I vaccini a subunità proteica richiedono più tempo per essere fabbricati rispetto a quelli a Rna messaggero. Inoltre sono stati testati in meno Paesi, visto l’isolamento politico (e l’embargo americano) di cui soffre Cuba. Anche per questo la sperimentazione medica ha richiesto più tempo. L’Istituto Finlay ha dichiarato che presenterà tutti i dati e i documenti necessari all’approvazione dell’Organizzazione mondiale della sanità entro aprile. Gli epidemiologi cubani, riporta Reuters, hanno intanto accusato l’Oms, che a dicembre stava valutando gli impianti farmaceutici cubani, di ritardare il processo di approvazione richiedendo standard industriali «da primo mondo», inarrivabili per un Paese a basso reddito. Il vaccino Abdala è stato per ora autorizzato dal Messico.

Sputnik è l'unico vaccino che resiste a Omicron: due volte più efficace di Pfizer. Antonio Sbraga su Il Tempo il 21 gennaio 2022.

Uno «scudo spaziale» contro la variante Omicron c'è, ed è lo Sputnik V, anche se il vaccino russo è stato finora lasciato in orbita, non ancora autorizzato dalle agenzie europea ed italiana del farmaco Ema ed Aifa. Ma ora, mentre «tutti i vaccini attualmente autorizzati perdono parte dell'efficacia nei confronti di Omicron - sottolinea il team tecnico scientifico Covid 19 dell'Istituto Spallanzani - i risultati degli esperimenti di laboratorio, condotti in collaborazione tra Istituto Spallanzani e Istituto Gamaleya, hanno documentato che oltre il 70% delle persone vaccinate con Sputnik V mantengono un'attività neutralizzante contro Omicron, e tale attività si mantiene in buona parte anche a distanza di 3-6 mesi dalla vaccinazione. Questi risultati, appena usciti in preprint, risultano estremamente incoraggianti e utili per definire nuove strategie vaccinali in rapporto alla evoluzione delle varianti di SARS-CoV-2», sottolinea l'Istituto nazionale per le malattie infettive.

Una possibile svolta quella certificata dal team congiunto di ricercatori dei due istituti (il Gamaleya è quello che ha creato lo Sputnik V). Perché, stando alle prime spiegazioni, la capacità di rispondere alla variante Omicron da parte del vaccino russo sarebbe maggiore a quella registrata da quello americano: «Più di 2 volte superiori rispetto a 2 dosi di vaccino Pfizer (2.1 volte superiori in totale e 2.6 volte superiori 3 mesi dopo la vaccinazione)». Con un risultato finale che certificherebbe una riduzione «significativamente minore (2.6 volte) dell'attività di neutralizzazione del virus contro Omicron in confronto alla variante Wuhan di riferimento rispetto al vaccino Pfizer (riduzione di 8.1 volte per Sputnik V rispetto a 21.4 volte per il vaccino Pfizer)». Un confronto destinato a riaccendere le polemiche attorno alla mancata autorizzazione di quello che fu il primo vaccino ad essere annunciato, nel lontano 10 agosto 2020, chiamato come il primo satellite artificiale terrestre lanciato dai sovietici, «Sputnik» appunto. Anche se nel resto del mondo generò la stessa diffidenza che, nel 1957, accompagnò la missione spaziale di Mosca. «Stamattina è stato registrato il vaccino contro il coronavirus per la prima volta al mondo - annunciò il presidente russo, Vladimir Putin - So che il vaccino funziona in modo abbastanza efficace, garantisce un'immunità stabile e, ripeto, ha superato tutti i controlli». Al punto da farlo somministrare anche a una delle due figlie del nuovo Zar. 

Nell'aprile scorso però anche l'«Istituto per la Sicurezza Sociale» della Repubblica di San Marino ha espresso «piena fiducia sulla sicurezza ed efficacia del vaccino russo Sputnik V», in special modo contro la prima variante più pericolosa: la Delta. «I dati della campagna vaccinale in corso - ha scritto 9 mesi fa l'Istituto della Repubblica del Titano - dove in circa il 90% dei casi è stato utilizzato il vaccino realizzato e prodotto dal Centro nazionale di ricerca epidemiologica e microbiologica "N. F. Gamaleja" di Mosca, mostrano un repentino calo dei contagi in territorio a distanza di un mese dall'inizio della somministrazione del vaccino, avvenuta il 1° marzo e nonostante già da metà febbraio fosse stata confermata una elevata presenza della cosiddetta "variante inglese" del virus in Repubblica».

Clamoroso: contro Omicron più protetti a San Marino che nel resto d'Italia. Il vaccino di Putin funziona meglio. Il Tempo il 20 gennaio 2022.

Clamoroso: contro Omicron sono più protetti gli abitanti di San Marino che quelli del resto di italia. Meglio il vaccino di Putin che quelli di Biden. A sostenerlo è una fonte autorevole. La più autorevole in Italia, dal momento che è l'Istituto Nazionale di Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani di Roma. In un comunicato diffuso oggi 20 gennaio, infatti, viene spiegato che "tutti i vaccini attualmente autorizzati perdono parte dell’efficacia nei confronti di Omicron. I risultati degli esperimenti di laboratorio, condotti in collaborazione tra Istituto Spallanzani e Istituto Gamaleya, hanno documentato che oltre il 70% delle persone vaccinate con Sputnik V (il vaccino russo usato a San Marino, ndr) mantengono un'attività neutralizzante contro Omicron, e tale attività si mantiene in buona parte anche a distanza di 3-6 mesi dalla vaccinazione. Questi risultati, appena usciti in preprint, risultano estremamente incoraggianti e utili per definire nuove strategie vaccinali in rapporto alla evoluzione delle varianti di SARS-CoV-2".

Con i vaccini attualmente in uso in Italia, invece, quelli prodotti dalle americane Pfizer e Moderna, i risultati sono diversi e a fornirli è l'Istituto superiore di sanità nel consueto bollettino di sorveglianza settimanale. Nell'ultimo report del 12 gennaio si legge che "l'efficacia del vaccino (riduzione del rischio rispetto ai non vaccinati) nel prevenire la diagnosi di infezione SARS-CoV-2 è pari a 71% entro 90 giorni dal completamento del ciclo vaccinale, 57% tra i 91 e 120 giorni, e 34% oltre 120 giorni dal completamento del ciclo vaccinale".

LE CURE.

Scienze della vita: l’Italia al primo posto per pubblicazioni scientifiche in Europa. Beatrice Foresti La Repubblica il 5 Dicembre 2022.

L’industria delle scienze della vita nel 2021 conferma un ottimo stato di salute, nonostante gli strascichi della pandemia e una congiuntura economica difficile. Il rapporto della Community Life Sciences di The European House - Ambrosetti

Quello delle scienze della vita è un settore oggi particolarmente dinamico che vede il profilarsi di opportunità di crescita e sviluppo per i prossimi anni, anche grazie all’implementazione del Pnrr. Guardando all’Italia, gli ultimi dati confermano il settore come una delle punte di diamante dell’industria del Paese: è al primo posto nell’Ue per pubblicazioni scientifiche in ambito farmacologico, cardiologico e oncologico, al secondo per le ricerche sul cancro e sulle pubblicazioni di genetica clinica, mentre si classifica quarta a livello mondiale per le 7595 pubblicazioni scientifiche sul Covid-19. Lo evidenzia il rapporto “Il ruolo dell’Ecosistema dell’Innovazione nelle Scienze della Vita per la crescita e la competitività dell’Italia” della Community Life Sciences di The European House - Ambrosetti, presentato durante l’ottava edizione del Technology Forum Life Sciences, contenente le analisi riguardo all’andamento dell’ecosistema nazionale della ricerca e dell’innovazione nelle scienze della vita, insieme agli approfondimenti tematici e alle priorità di azione per la valorizzazione del settore.

Grazie alle risorse di Next Generation Eu, l’Italia ha iniziato a muovere i primi passi nell’implementazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza che, con un quarto dei fondi complessivi, pari a 46,5 miliardi di euro, allocati a istruzione e ricerca (30,9 miliardi) e salute (15,6 miliardi), ha ridisegnato la governance attraverso la creazione di 5 centri nazionali per la ricerca in filiera e 11 ecosistemi dell’innovazione a livello territoriale, accompagnati da investimenti sulle infrastrutture di ricerca e su quelle tecnologiche. Tale modello, a cui sono stati assegnati 4,3 miliardi di euro, intende costruire un ecosistema integrato di università, imprese ed enti di ricerca pubblici e privati secondo un sistema di tipo Hub & Spoke, con l’obiettivo di valorizzare sia il ruolo primario di coordinamento e gestione dei Centri sia la collaborazione con le strutture di ricerca coinvolte. La nuova governance della ricerca dispiegherà i propri effetti anche nelle scienze della vita: uno dei Centri realizzati dagli investimenti del piano nazionale sarà? infatti dedicato allo “Sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a Rna”, con il coinvolgimento di 49 enti partecipanti coordinati dall’Università di Padova. A tal proposito, il ruolo della community sarà quello di osservare gli sviluppi della strategia, favorendo il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Tra questi il superamento della frammentarietà nella governance, la definizione di un piano strategico nazionale, la valorizzazione delle eccellenze territoriali, l’attrazione di investimenti in ricerca e innovazione e il supporto alle attività di trasferimento tecnologico.

Oltre alla ricerca, il lavoro della community si è concentrato anche sul mondo industriale, attraverso un’analisi degli indicatori economici relativi ai 3 settori che compongono la filiera: farmaceutico, biotecnologico e dispositivi medici. L’industria delle scienze della vita nel 2021 conferma un ottimo stato di salute, nonostante gli strascichi della pandemia e una congiuntura economica difficile. Continua intanto a crescere il numero di imprese: a oggi sono 5.621 quelle attive, con una grande frammentazione nel settore dei dispositivi medici (4.546) e una maggior concentrazione sia nella farmaceutica (285) sia nelle biotecnologie (790). In aumento anche il valore di produzione, che raggiunge i 50,64 miliardi, con un nuovo record nel settore farmaceutico, pari a 34,4 miliardi. La filiera si conferma inoltre altamente innovativa: gli investimenti in ricerca e sviluppo crescono del +2,4%, per un ammontare pari a 4,19 miliardi. Il settore farmaceutico è il primo settore industriale in Italia per open innovation e accordi di innovazione con università e centri pubblici di ricerca, mentre le imprese biotecnologiche che investono almeno il 75% del proprio budget nelle attività di R&S sono oltre la metà (53,4%).

Curare la Covid: meglio l'indometacina o il paracetamolo? Sorprendenti i risultati di uno studio su pazienti ospedalizzati per Covid: l'antinfiammatorio risolve i sintomi più velocemente rispetto all'antipiretico e riduce il rischio di desaturazione. Gioia Locati l’8 Novembre 2022 su Il Giornale.

Tabella dei contenuti

 Quale antinfiammatorio?

 Lo studio

 Il calo di prescrizioni di paracetamolo

Già dopo i primi mesi di esordio del virus Sars-Cov-2 diversi medici avevano evidenziato l’importanza di trattate i sintomi della Covid con anti infiammatori non steroidei (FANS). Poiché la malattia si manifesta con una fase virale (nei primi 3 giorni) e una infiammatoria successiva, che porta l'organismo a produrre citochine, molecole pro infiammatorie. Si è osservato che sono proprio queste ultime, quando in eccesso, a provocare sofferenza ai vari organi vitali oltre alla desaturazione polmonare. Da qui la raccomandazione di utilizzare i FANS al posto del semplice anti febbrile (paracetamolo) che porta con sè lo spiacevole effetto di ridurre le scorte organiche di glutatione, il prezioso antiossidante prodotto dal fegato che andrebbe, invece, potenziato durante ogni forma influenzale.

Quale antinfiammatorio?

Antinfiammatori, dunque. Quale è il più indicato contro il Covid? Durante i primi mesi di Covid i FANS venivano proposti indifferentemente, dall’acido acetilsalicilico all’ibuprofene. Di recente è stato pubblicato uno studio che ha osservato l’andamento della Covid in pazienti ospedalizzati: un gruppo è stato trattato con indometacina e l’altro con paracetamolo. L’indometacina è un antinfiammatorio approvato nel 1965.

Lo studio

Sono stati coinvolti 210 pazienti, ricoverati con positività al Sars-Cov-2 e con sintomi della Covid. Sono stati tutti trattati con più farmaci, citati nello studio, in aggiunta ai quali a 103 è stata data indometacina, a 107 paracetamolo.

Nel gruppo indometacina nessuno ha sviluppato desaturazione. D'altra parte, 20 dei 107 pazienti nel braccio paracetamolo hanno sviluppato desaturazione.

I pazienti che hanno ricevuto indometacina hanno anche sperimentato un sollievo sintomatico più rapido rispetto a quelli trattati con paracetamolo, con la maggior parte dei sintomi che sono scomparsi nella metà del tempo. Inoltre, 56 su 107 nel gruppo paracetamolo avevano febbre al settimo giorno, mentre nessun paziente nel gruppo indometacina aveva la febbre. Nessuno dei due gruppi ha riportato alcun evento avverso.

Il 40,3% dei pazienti trattati con indometacina è diventato negativo al virus al settimo giorno rispetto al 28,3% nel gruppo con paracetamolo.

L'obiettivo principale dello studio era comprendere l'efficacia dell'indometacina nel prevenire la desaturazione rispetto al paracetamolo. L'obiettivo secondario era valutare il sollievo sintomatico nei pazienti con indometacina rispetto ai pazienti con paracetamolo.

Il calo di prescrizioni di paracetamolo

C’è da precisare però che alcune Società scientifiche - oltre all’Aifa e all’OMS, raccomandano sempre di usare paracetamolo ai primi sintomi di Covid.

Un’indagine condotta da Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (SIMG), in collaborazione con il Dipartimento di Biotecnologie Biomediche e Medicina Traslazionale di Milano, ha valutato quanto il paracetamolo sia stato prescritto durante la Covid rispetto agli anni precedenti in cui imperversavano altre sindromi respiratorie.

Gli autori sono ricorsi a un database Health Search, che ha selezionato 747 medici di base, per un totale di quasi 1,2 milioni di pazienti, distribuiti in modo omogeneo sul territorio nazionale. Complessivamente, sono stati identificati 46.522 possibili casi di COVID-19 nel 2020 e 32.797 pazienti con sindromi respiratorie nel 2019.

I risultati hanno mostrato un calo di prescrizioni di paracetamolo per la cura dei sintomi da COVID-19 rispetto a quelle raccomandate in epoca pre-pandemica per il trattamento di altre sindromi respiratorie simili (33,4 ogni 1000 e 78,3 ogni 1000, rispettivamente).

Covid, uno studio conferma i benefici della vitamina D. Raffaele De Luca su L'Indipendente il 6 Dicembre 2022

La vitamina D può ridurre il rischio di contrarre il Covid-19 nonché di morire a causa del virus: è quanto si desume da uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Scientific Reports, con cui è stata appunto valutata l’associazione tra l’integrazione della vitamina ed i rischi appena citati. Utilizzando come popolazione di riferimento quella dei veterani statunitensi, i ricercatori hanno infatti dimostrato che l’utilizzo della vitamina D2 e D3 era legato ad una riduzione dell’infezione così come della quantità di individui morti nei 30 giorni successivi alla contrazione del virus. Una scoperta di non poco conto visto che, come ricordato all’interno del lavoro scientifico, “diversi studi hanno dimostrato che la carenza di vitamina D è associata ad un aumento del rischio di infezione da Covid-19”, tuttavia fino ad ora non si sapeva se effettivamente il “trattamento con la vitamina D” potesse “ridurre il rischio associato di infezione da Covid-19”. Non a caso, dunque, lo studio si è concentrato primariamente sull’impatto della vitamina D nei confronti delle infezioni, pur non tralasciando, però, il menzionato tema della riduzione dei morti.

Nello specifico, utilizzando un gruppo di pazienti che avevano integrato la vitamina D2 e la vitamina D3 prima della pandemia (1 gennaio 2019 – 31 dicembre 2020) e durante la stessa (1 marzo 2020 – 31 dicembre 2020), e confrontandoli con un gruppo di individui non sottopostisi a tale trattamento, è emerso che i pazienti che avevano assunto la vitamina D2 e D3 avevano avuto una riduzione rispettivamente del 28% e del 20% del rischio di infezione da Covid-19 rispetto agli altri. Venendo invece alla mortalità entro 30 giorni dall’infezione, mentre i risultati ottenuti con la vitamina D2 (-25%) erano “statisticamente insignificanti” quelli relativi alla vitamina D3 non lo erano, con la mortalità che era “inferiore del 33%” grazie all’integrazione della stessa. Certo, si tratta di dati da non considerare definitivi essendo lo studio caratterizzato da alcuni limiti, tuttavia ci sono buone ragioni per credere che le evidenze emerse non siano infondate. Nel lavoro, infatti, viene ricordato che la mortalità da Covid-19 è stata “definita come qualsiasi decesso nei 30 giorni successivi all’infezione”, visto che “i dati dei certificati di morte non erano disponibili”: ad ogni modo, però, non si tratta di certo di risultati campati in aria, essendo “probabile che la mortalità registrata poco dopo l’infezione sia fortemente correlata all’effettiva mortalità da Covid-19”.

Tra i limiti della ricerca, poi, c’è il fatto che dettagli rilevanti in ottica infezione e mortalità, come “lo stato socioeconomico e il peso/obesità”, non sono stati considerati. Tuttavia, le ragionevoli preoccupazioni a ciò connesse non possono che venire “attenuate dalle significative associazioni tra bassi livelli sierici di vitamina D e dosaggi medi e cumulativi più elevati che hanno dato risultati migliori”, il che a quanto pare costituirebbe un punto a favore dell’efficacia della vitamina D. Infatti, “i veterani che hanno ricevuto dosaggi più elevati di vitamina D hanno ottenuto maggiori benefici dall’integrazione rispetto ai veterani che hanno ricevuto dosaggi più bassi” e la maggiore diminuzione dell’infezione in seguito all’integrazione si è verificata proprio nei “veterani con livelli ematici di vitamina D compresi tra 0 e 19 ng/ml” (nanogrammi per millilitro), ovverosia i livelli più bassi presi in considerazione. In pratica, dunque, i pazienti in cui la carenza di vitamina D è maggiore ed a cui viene poi somministrata la stessa, godono più degli altri dei suoi benefici, con un miglioramento che a quanto pare mostra in maniera tangibile gli effetti positivi dell’integrazione.

Non è un caso, dunque, se nello studio si legge che “come trattamento sicuro, ampiamente disponibile e conveniente, la vitamina D può aiutare a ridurre la gravità della pandemia di Covid-19″. Del resto, secondo le stime degli studiosi, nel 2020 negli Stati Uniti si sarebbero potuti verificare “circa 4 milioni di casi in meno di Covid-19 e si sarebbero potute evitare 116.000 morti”. Numeri, questi ultimi, che inevitabilmente fanno pensare alle politiche attuate durante il periodo emergenziale, in cui non ci si è concentrati sugli effetti preventivi della vitamina D, che al pari di altre cure è stata sminuita da media ed istituzioni italiane. Queste ultime, infatti, si sono grossomodo limitate a consigliare l’utilizzo di paracetamolo – o in alternativa Fans (farmaci antinfiammatori non steroidei) – e la cosiddetta “vigile attesa” per la gestione domiciliare del virus, la quale non può ad oggi non generare dubbi e perplessità. [di Raffaele De Luca]

Flavia Amabile per “La Stampa” il 29 agosto 2022.  

Dopo due anni e mezzo di pandemia la comunità scientifica concorda su un punto: a uccidere i malati è l'infiammazione (o flogosi), non il virus. Attraverso una tempestiva terapia a base di antinfiammatori (in particolare non steroidei, i Fans), avviata all'inizio dei sintomi, si riduce il rischio di ospedalizzazione per Covid dell'85-90 per cento. 

Per il mondo scientifico non è una novità e non lo è nemmeno per l'Italia, dove da tempo i malati di Covid vengono curati sempre di più con antinfiammatori. Diventa però immediatamente una notizia da cavalcare da parte di chi è contrario ai vaccini e di chi sostiene che Roberto Speranza e i governi in cui ha operato abbiano gestito male la lotta al Covid. I social si riempiono di insulti, di minacce. Speranza viene definito da più parti «assassino» e c'è chi tra le forze di estrema destra prova a portare gli antinfiammatori anche nella campagna elettorale.

Il lavoro, infatti, capovolge le ipotesi emerse durante la prima fase della pandemia che attribuivano agli antinfiammatori non steroidei (e in particolare l'ibuprofene) la possibilità di aumentare la suscettibilità all'infezione da Sars-CoV-2 e aggravare i sintomi del Covid-19. Ma conferma dati e ricerche emersi in seguito, che hanno formato la letteratura a cui hanno attinto i medici nel curare i malati di Covid ricorrendo sempre meno ai ricoveri in ospedale. 

In questi anni ci sono stati diversi studi sulla possibilità di intervenire sull'infezione attraverso medicinali prima che l'infiammazione avanzasse.

Questi studi realizzati in diverse parti del mondo sono stati riuniti in un ampio lavoro pubblicato su «Lancet infectious diseases» con il titolo «La casa come nuova frontiera per il trattamento di Covid-19: il caso degli antinfiammatori». 

Il lavoro è stato condotto dall'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e dall'Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Gli autori - Giuseppe Remuzzi, Fredy Suter, Norberto Perico e Monica Cortinovis - hanno preso in esame tutti gli studi pubblicati su riviste scientifiche di valore, condotti tra il 2020 e il 2021 (inclusi due lavori dello stesso Istituto Mario Negri), su un totale di cinquemila pazienti, tra gruppi di studio e di controllo.

Secondo quanto riportato dalla rivista, per forme lievi e moderate di Covid i risultati sono di grande interesse rispetto all'efficacia dei Fans: accessi al pronto soccorso e ospedalizzazioni scendono dell'80% (dato accorpato), le sole ospedalizzazioni dell'85-90%, il tempo di risoluzione dei sintomi si accorcia dell'80% e la necessità di supplementazione di ossigeno del 100%. 

Se i contagi dovessero tornare a salire - prevede lo studio - la terapia precoce con antinfiammatori è importante che sia gestita dai medici di famiglia, per i possibili effetti collaterali. E le interazioni con altri farmaci potrebbero scongiurare la pressione eccessiva sugli ospedali.

Eugenia Tognotti per “La Stampa” il 29 agosto 2022.

L'immediata messa in stato d'accusa del ministro della Salute e del Comitato tecnico scientifico. L'arresto e la prigione a vita per tutti. Un processo come quello di Norimberga contro i nazisti celebrato nel 1945-46. 

È solo una piccolissima rassegna delle pene invocate nei social per tutti i responsabili - definiti «assassini» - della gestione della Covid-19 e, naturalmente, di tutti i 173mila morti provocati dalla pandemia. 

All'origine della cascata di violentissime reazioni - in alcuni ambienti della destra e nella galassia dei No Vax - la diffusione, pochi giorni fa, dei contenuti della review di un gruppo di studio dall'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e dall'Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo.

Pubblicata da "Lancet Infectious Diseases" col suggestivo titolo «La casa come nuova frontiera per la cura del Covid-19 : il caso degli antiinfiammatori» ha suscitato un enorme clamore mediatico, anche per lo scenario che evoca. Sulla base di diversi studi di qualità, apparsi in autorevoli riviste scientifiche tra il 2020 e il 2021, su un totale di cinquemila pazienti, tra gruppi di studio e di controllo, gli autori - Giuseppe Remuzzi, Fredy Suter, Norberto Perico e Monica Cortinovis - hanno offerto una panoramica di ciò che si sa al momento.

A voler banalizzare, e riassumere all'osso i contenuti della review paper (il cui scopo è quello di analizzare criticamente la letteratura precedente su un determinato argomento), il messaggio è questo: la terapia a base di antinfiammatori, Fans, avviata all'esordio dei sintomi, può evitare l'aggravarsi degli stessi e ridurre il rischio di ospedalizzazione dell'85-90 per cento. Un dato richiamato, forse con un eccesso di trionfalismo, nei titoli dei giornali. In sostanza, la comunità scientifica, dopo due anni e mezzo di pandemia e innumerevoli studi, concorda su un punto: a uccidere i malati è l'infiammazione (o flogosi), non il virus.

Per forme leggere e moderate di Covid, i risultati sono davvero promettenti. E fanno ben sperare per l'autunno. Se, malauguratamente, i contagi dovessero tornare a rappresentare una minaccia e a salire - la terapia precoce con antinfiammatori, gestita dai medici di famiglia, rappresenterà una risorsa preziosa per evitare la pressione eccessiva sugli ospedali. 

Difficile dire se il clima di questa torrida campagna elettorale, breve e anomala, abbia influito nel provocare la raffica avvelenata di polemiche e attacchi sulla gestione della pandemia da parte dei responsabili della Sanità, dei rappresentanti istituzionali, professionali e del mondo scientifico, spingendo una narrazione forviante di quanto è accaduto: bastava un Brufen, si è ironizzato nei social, ma non solo.

Un'alternativa c'era - è la tesi di una vasta area critica, in cui confluiscono i No Vax , alle scelte attuate in questi due anni e più di traversata nel deserto: la terapia antinfiammatoria per la gestione domiciliare dei malati di Covid. Peccato che sia stato necessario del tempo e innumerevoli indagini e ricerche per arrivare a sfatare la teoria di un'associazione tra terapia con Fans e aumento o peggioramento degli esiti nei pazienti con Covid. La scienza progredisce a singhiozzo - si sa - con tanti vicoli ciechi e numerose ipotesi e teorie contrastanti. Nel tempo informazioni e dati convincenti prevalgono, ma il processo è necessariamente lungo e pieno di incognite prima di raggiungere conclusioni certe. Ma di certo non è questo il momento migliore per tenerlo a mente. 

Flavia Amabile per “La Stampa” il 29 agosto 2022.

L'Italia? Il Paese che per primo ha inserito gli antinfiammatori nelle raccomandazioni di cura contro il Covid, accusare il ministro della Salute Roberto Speranza è deplorevole, secondo Giuseppe Remuzzi , direttore dell'Istituto Mario Negri e uno degli autori del lavoro pubblicato su Lancet che conferma il ruolo degli antinfiammatori nel prevenire i ricoveri in ospedale. 

Il lavoro dà ragione a chi da tempo sostiene l'efficacia delle cure da casa. Non ci si poteva arrivare prima?

«La pubblicazione apparsa su Lancet è una revisione della letteratura prodotta nel mondo in questi anni di Covid su questo argomento. Tutte le ricerche hanno portato allo stesso risultato, un calo considerevole della durata dei sintomi e delle ospedalizzazioni. Questi studi sono diventati letteratura, i medici l'hanno usata per curare, dove era possibile, i malati di Covid con gli antinfiammatori». 

Sui social è partito un attacco massiccio contro il ministro Speranza. Lo accusano di non aver preso in considerazione terapie alternative come gli antinfiammatori, di aver causato centinaia di migliaia di morti.

«La cosa peggiore che può capitare ai dati della letteratura scientifica è di essere strumentalizzati durante una campagna elettorale, non importa da quale schieramento.

Mettere sotto accusa il ministro Speranza è deplorevole. 

Gli antinfiammatori possono aiutare contro il Covid però i nostri studi presi in considerazione nella review, tra gli altri, sono robusti ma non ancora definitivi. Non si può pensare che le autorità li usino per dare regole valide in maniera assoluta.

In Italia l'atteggiamento del ministero e dell'Aifa è sempre stato impeccabile. Non c'era evidenza che qualcos'altro funzionasse quando sono stati pubblicati i primi risultati sugli antinfiammatori. Quando invece sono apparse le prime evidenze, l'Italia è stato il primo Paese al mondo a introdurre gli antinfiammatori nella cura contro il Covid». 

Come vanno usati ?

«Se non ci sono sintomi non bisogna fare nulla. Se ci sono sintomi, gli antinfiammatori rappresentano un'alternativa che può evitare che la malattia abbia un decorso grave, ma vanno somministrati subito altrimenti l'infiammazione va avanti. E vanno usati a certe condizioni, questo lo decide il medico in base alla storia clinica del paziente per evitare effetti collaterali». 

Se bastano gli antinfiammatori perché vaccinarsi? È un'altra domanda che sta facendo il giro dei social.

«Il vaccino permette di prevenire la malattia grave indipendentemente dalle varianti del virus che si sono create nel corso del tempo. È il più grande miracolo che la medicina moderna ha messo a disposizione della popolazione. Fare il vaccino non vuol dire non ammalarsi. Però, se ci si ammala, si ha a disposizione la scelta tra antivirali, anticorpi monoclonali o antiinfiammatori. Dipende dalla disponibilità di questi strumenti e dalla storia clinica delle persone. È importante però intervenire subito per evitare che l'infiammazione avanzi». 

Che cosa accadrà a settembre? Dobbiamo prepararci a una nuova ondata?

 «Si parla molto dell'ultima variante, Centaurus. Nessuno ha certezze, la mia impressione è che non produrrà disastri, è una sottovariante di omicron B2 con la differenza che la gran parte delle persone ormai è immunizzata o per il vaccino oppure per aver già avuto il Covid. Questo non vuol dire che non ci si possa ammalare, ma che non ci si ammala in modo grave». 

Sarà necessario fare la quarta dose? Non è preferibile aspettare i nuovi vaccini?

«In base agli studi pubblicati, la quarta dose va fatta a tutte le persone che hanno più di 50 anni. E il vaccino migliore è quello che si trova disponibile. I nuovi arriveranno, ma non hanno un grado di copertura poi così diverso da quello dei vaccini tradizionali».

Covid, gli antinfiammatori riducono le ospedalizzazioni del 90%. Laura Cuppini su Il Corriere della Sera il 26 Agosto 2022

Se i contagi dovessero tornare a salire, la terapia precoce potrebbe scongiurare la pressione eccessiva sugli ospedali e gli elevati costi dei trattamenti, tra gli aspetti più drammatici della pandemia

Il meccanismo con cui l’infezione da Sars-CoV-2 determina uno stato infiammatorio potenzialmente letale è complesso e ancora non del tutto chiaro. Ma dopo due anni e mezzo di pandemia la comunità scientifica concorda su un punto: a uccidere i malati è l’infiammazione (o flogosi), non il virus. L’ipotesi di intervenire precocemente per spegnerla è stata oggetto di diversi studi e un ampio lavoro pubblicato oggi su Lancet Infectious Diseases, condotto dall’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e dall’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo, mette un punto fermo sulla questione: la terapia a base di antinfiammatori (in particolare non steroidei, i Fans), avviata all’inizio dei sintomi, riduce il rischio di ospedalizzazione dell’85-90%. Gli autori — Giuseppe Remuzzi, Fredy Suter, Norberto Perico e Monica Cortinovis — hanno preso in esame tutti gli studi pubblicati su riviste scientifiche di valore, condotti tra il 2020 e il 2021 (inclusi due lavori dello stesso Istituto Mario Negri), su un totale di cinquemila pazienti, tra gruppi di studio e di controllo.

Forme lievi e moderate

I risultati sono di grande interesse rispetto all’efficacia dei Fans nel trattamento delle forme lievi e moderate di Covid che non richiedono il ricovero: accessi al pronto soccorso e ospedalizzazioni scendono dell’80% (dato accorpato), le sole ospedalizzazioni dell’85-90%, il tempo di risoluzione dei sintomi si accorcia dell’80% e la necessità di supplementazione di ossigeno del 100%. Se i contagi dovessero tornare a salire, la terapia precoce con antinfiammatori — è importante che sia gestita dai medici di famiglia, per i possibili effetti collaterali e le interazioni con altri farmaci — potrebbe scongiurare la pressione eccessiva sugli ospedali (e i costi altissimi dei trattamenti, soprattutto in terapia intensiva), uno degli aspetti più drammatici della pandemia. Non solo. I Fans, tra i farmaci più comunemente utilizzati in tutto il mondo, possono rappresentare un’opzione realistica per la cura di Covid nei Paesi a basso reddito, dove le coperture vaccinali sono spesso basse e c’è scarsa disponibilità di altri farmaci più costosi per i sistemi sanitari (antivirali, anticorpi monoclonali).

L’effetto dei farmaci

Gli autori del lavoro, dal titolo suggestivo «La casa come nuova frontiera per il trattamento di Covid-19: il caso degli antinfiammatori», hanno preso in esame in particolare i farmaci inibitori relativamente selettivi della Cox-2 (ciclossigenasi), un enzima coinvolto in diversi processi fisiologici e patologici. Celecoxib e Nimesulide sono risultati particolarmente efficaci contro la malattia causata da Sars-CoV-2; valide alternative sono ibuprofene e aspirina. I Fans inibiscono, oltre alla Cox-2, anche un altro enzima, simile ma non identico, la Cox-1, meno implicata nell’infiammazione e collegata invece al rischio di effetti collaterali a livello gastrointestinale, che si verificano in particolare se gli antinfiammatori vengono assunti in alte dosi per più di 3-4 giorni.

Risposta infiammatoria

La flogosi, che in alcuni pazienti raggiunge livelli parossistici determinando una cascata di eventi che può condurre alla morte, è associata a diversi fattori: il rilascio di citochine e radicali liberi, l’induzione di interferone gamma e l’attivazione di particolari leucociti. È stato inoltre ipotizzato che l’aggravamento possa dipendere da un eccesso di angiotensina-II, proteina che stimola i processi infiammatori. «L’insieme delle prove disponibili — scrivono gli autori — evidenzia il ruolo cruciale della «disregolazione» della risposta immunitaria e della risposta iper infiammatoria nell’avvio e nell’esacerbazione di Covid». I risultati dello studio condotto dagli scienziati del Mario Negri e del Papa Giovanni XXIII ribaltano definitivamente un’ipotesi che era stata avanzata nei primi tempi della pandemia, secondo cui gli antinfiammatori non steroidei (e in particolare l’ibuprofene) potrebbero aumentare la suscettibilità all’infezione da Sars-CoV-2 e aggravare i sintomi di Covid. Diverse indagini condotte negli ultimi due anni hanno contribuito a smontare questa teoria: non è stata rilevata alcuna associazione tra la terapia con Fans e un aumento o peggioramento degli esiti clinici (per esempio ricovero in terapia intensiva, ventilazione meccanica, somministrazione di ossigeno) nei pazienti con Covid, nemmeno in coloro che assumevano farmaci antinfiammatori già prima dell’infezione, per esempio per curare una malattia reumatica. 

Milena Gabanelli su Il Corriere della Sera il 28 Febbraio 2022.  I nuovi antivirali per la cura del Covid, approvati dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e ora in commercio, sono due: il Lagevrio (Molnupiravir) di Merck & Co. e il Paxlovid (Nirmatrelvir/Ritonavir) di Pfizer. Entrambi sono da assumere a casa su indicazione del medico di famiglia, ma dietro prescrizione degli specialisti ospedalieri, entro 5 giorni dall’insorgenza del virus, ed indicati solo per chi rischia di aggravarsi in modo severo.

Autorizzazione, risultati e utilizzo

Il Molnupiravir, prodotto dalla Merck, non è ancora stato autorizzato all’immissione in commercio da parte dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema), che però il 19 novembre 2021 ha dato parere positivo agli Stati Ue sull’uso in via emergenziale. La riduzione dei casi di ricovero in ospedale stimata è del 30%. I risultati della sperimentazione mostrano che su 385 pazienti che hanno assunto il Molnupiravir ne sono stati ricoverati 28 e nessun decesso, mentre dei 377 trattati con placebo ci sono stati 53 ricoveri e 8 decessi (qui il documento). Su questa base il Ministero della Salute concede un via libera temporaneo alla distribuzione e il 28 dicembre Aifa definisce come utilizzarlo (qui il documento): 4 compresse da assumere ogni 12 ore per 5 giorni. In Italia la distribuzione è iniziata il 4 gennaio. Per il Paxlovid, prodotto da Pfizer, invece il 27 gennaio 2022 arriva il sì di Ema alla commercializzazione (qui il documento). La riduzione del tasso di ospedalizzazione è dell’88%: su 1.039 pazienti trattati con Paxlovid ne sono stati ricoverati 8 contro i 66 su 1.046 trattati con placebo. Nessun decesso nel gruppo Paxlovid, contro 12 (qui il documento Ema). Il 31 gennaio Aifa stabilisce come assumerlo: due compresse di Nirmatrelvir e una di Ritonavir ogni 12 ore, per 5 giorni. In Italia la distribuzione inizia il 4 febbraio 2022. 

Il prezzo di vendita e i costi di produzione

Al contrario dei vaccini stavolta l’Ue non viene delegata a negoziare per tutti, ma ciascun Paese decide di andare per conto proprio. Spiega a Dataroom il dg Santé Pierre Delsaux: «La Commissione non è stata coinvolta in discussioni bilaterali tra gli Stati membri e i produttori. Noi ignoriamo i prezzi dei contratti». In Italia la trattativa con le case farmaceutiche è di competenza dell’Aifa, ma in questo caso il Ministero della Salute ha dato mandato alla struttura del commissario Francesco Figliuolo. Vediamo i contratti per il 2022. Per il Molnupiravir è prevista una fornitura di 51.840 trattamenti a un costo di 610 euro a ciclo. Negli Usa il costo è di 700 dollari (618 euro). Per il Paxlovid 600 mila trattamenti a un costo di 666 euro a ciclo. Negli Usa il Paxlovid viene venduto dalla Pfizer a 530 dollari (468 euro), certo loro hanno ordinato un numero di trattamenti ben più alto, però 120 milioni di euro in più non sono pochi. Abbiamo speso tanti soldi, ma salviamo vite. Purtroppo non è così: per non rischiare che lo assuma qualcuno che potrebbe farne a meno, la burocrazia rallenta l’accesso a tutti. E questa è la trafila: il medico di famiglia si prende 48 ore per fare l’anamnesi, poi deve compilare i moduli per la richiesta da inviare ai centri abilitati, una volta ottenuta l’autorizzazione vai a ritirare il farmaco nella farmacia ospedaliera. Il tutto entro 5 giorni. Uno su dieci ce la fa. 

Ma quanto costa produrre questi farmaci?

Il costo di produzione per il Molnupiravir è stimato intorno ai 14,6 dollari (12,9 euro). Il calcolo è di Melissa Barber del Dipartimento per la salute globale dell’Università di Harvard che, insieme a un gruppo di altri ricercatori, su incarico dell’Oms ha sviluppato un algoritmo per quantificare i costi di produzione dei farmaci. Obiettivo è quello di consentire alle autorità sanitarie di negoziare prezzi più convenienti per i Paesi in via di sviluppo, ma anche per i Paesi ad alto reddito sempre più costretti a razionare i medicinali per il cancro, l’epatite C e le malattie rare (qui il documento). Il costo finale prende in considerazione il prezzo della materia prima, i costi del lavoro, delle apparecchiature, delle utenze, un margine di profitto del 10%, le imposte del 26,6% sugli utili. Il ricarico della Merck è, dunque, di 47 volte. Per il Paxlovid non ci sono ancora calcoli precisi, ma è verosimile che il costo di produzione abbia una scala di grandezza simile. 

Il peso della ricerca e della sperimentazione

Ma vanno aggiunti i costi di ricerca e sperimentazione, che però l’industria farmaceutica non riporta mai in modo trasparente. E non vengono resi accessibili neppure i finanziamenti pubblici ricevuti per lo sviluppo di un farmaco: su questo fronte, in particolare negli Usa, le agenzie governative come il National Institutes of Health (Nih) e la Biomedical Advanced Research and Development Authority (Barda) impegnano miliardi di dollari dei contribuenti (qui il documento). Sul Molnupiravir sappiamo che è inventato alla Emory University tra il 2013 e il 2020, per cercare di combattere l’encefalite equina venezuelana, capendo poi durante gli studi che può inibire anche la sindrome respiratoria mediorientale conosciuta come Mers-Cov. Sullo studio di questo farmaco il governo Usa ci ha messo 35 milioni di dollari (qui il documento). Il Paxlovid, invece, è composto da due principi attivi: il Ritonavir, sviluppato alla fine degli anni ‘80 per il trattamento dell’Hiv (i cui brevetti sono scaduti), e il Nirmatrelvir. Si tratta di una nuova molecola messa a punto durante il Covid-19, ma le basi per il suo sviluppo risalgono al 2003, quando Pfizer stava sviluppando un antivirale contro la Sars, in seguito interrotto a causa del contenimento dell’epidemia (qui il documento). 

I guadagni delle case farmaceutiche

Nel 2022 la Merck, i cui utili sono passati da 9,8 miliardi di dollari del 2019 a 13 del 2021, stima di ricavare dalle vendite di Molnupiravir fra i 5 e 6 miliardi di dollari (da dividere equamente con la Ridgeback). La Pfizer, che nel 2021 ha avuto utili per 22 miliardi contro i 16,3 del 2019, dichiara che dal Paxlovid ricaverà 22 miliardi di dollari. Le aziende farmaceutiche esplodono di salute proprio strozzando i sistemi sanitari perché ti dicono: il costo di un ricovero per Covid costerebbe dai 9 ai 22 mila euro, te la cavi con 600, che vuoi di più? (qui il documento)

Insomma, la salute non ha prezzo, soprattutto se a gestirla sono i privati e l’interlocutore pubblico è debole. Quando è più forte la storia diventa un’altra.

Lo dimostra il caso dell’antivirale Sofosbuvir del colosso Gilead, più noto come farmaco contro l’epatite C. 

Il caso del farmaco contro l’epatite C

Approvato dalla Fda a fine 2013 e dall’Ema a inizio 2014, il Sofosbuvir viene introdotto negli Usa a circa 84 mila dollari per 12 settimane di trattamento. Costo di produzione stimato, sempre dall’Università di Harvard, 47,46 dollari per ciclo. Quando l’Aifa si siede al tavolo delle trattative la richiesta dell’azienda farmaceutica è di 58 mila euro a trattamento, una cifra pari al prezzo spuntato in Francia. La nostra Agenzia del farmaco lo considera improponibile sia sotto il profilo etico che finanziario, e avvia un approccio negoziale rigoroso e basato su avanzate procedure di accordo progressivo. Gilead ritorna al tavolo con una proposta di 42 mila euro, Aifa negozia un accordo riservato prezzo/volume che parte da 37 mila euro per i primi 5 mila pazienti e poi scende a 4 mila per l’ultimo scaglione di pazienti (dai 40 mila ai 50 mila). Alla fine il prezzo medio pagato in Italia è di 11 mila euro a trattamento, il più basso di qualunque altro Paese del G8. Il risparmio di questa negoziazione per il sistema sanitario italiano complessivamente è stato in un anno di oltre 1 miliardo di euro. 

Certo, per condurre queste trattative bisogna conoscere come funziona il sistema, e l’allora direttore generale di Aifa Luca Pani lo sapeva. La Gilead da parte sua non è andata in sofferenza: nel primo anno di lancio il ricavo dalle vendite del Sofosbuvir è stato di 11,3 miliardi di dollari.

Paolo Russo per "La stampa" il 12 febbraio 2022.

Saremo anche ai titoli di coda ma di Covid si muore ancora e tanto. In 12 mila non ce l'hanno fatta da Natale a oggi e il 70% delle vittime era vaccinata. Solo che, a causa dell'età avanzata o di malattie che comunque minano il sistema immunitario, il virus è riuscito comunque ad avere la meglio. Sono i quattro milioni di super fragili che potrebbero essere protetti con i nuovi antivirali e i monoclonali. Peccato però che per accedervi, denunciano i medici, sia una corsa a ostacoli.

«Si è messo su un sistema troppo complesso e burocratico per terapie che vanno somministrate al massimo entro 5 giorni dalla comparsa dei sintomi e sempre che la malattia non evolva verso forme più severe, perché anche in questo caso diventano inutili», spiega Filippo Anelli, presidente dell'Ordine nazionale dei medici. 

Protezione in più per i fragili Prendiamo i monoclonali, che sono particolarmente indicati per i soggetti immunodepressi. Da novembre al 2 febbraio, ultimo dato reso disponibile da Aifa, ne sono stati prescritti soltanto 44.232. E in modo molto difforme, perché se il Veneto ha fatto il 17,5% delle infusioni e il Lazio il 14,8%, la più popolosa Lombardia non è andata oltre il 7,5% e la Sicilia si è fermata al 4,9%.

Parliamo di una terapia che viene somministrata per flebo negli ospedali ai pazienti di età superiore a 12 anni, non ospedalizzati, con sintomi lievi o moderati e in presenza di almeno un fattore di rischio di sviluppare forme gravi di malattia o di morte. «Molti anziani non autosufficienti, più esposti al rischio Covid, non hanno avuto la possibilità di accedere a queste terapie che si potrebbero fare a domicilio se gli ospedali non fossero stati oberati di così tanto lavoro», spiega Anelli.

Ma secondo il direttore dello Spallanzani di Roma, Francesco Vaia, con i monoclonali si può fare di più. «Possono essere utilizzati in profilassi, ossia per prevenire forme severe di malattia nelle persone immunodepresse, alle quali andrebbero somministrati prima che diventino positive. Qui lo abbiano fatto con ottimi risultati». 

Ma nella stragrande maggioranza dei casi dai monoclonali sono rimasti tagliati fuori anche i contagiati con profilo di rischio alto, perché Omicron ha fatto selezione e a oggi un solo monoclonale funziona contro la variante arrivata oramai al 99% in Italia e le dosi disponibili sono poche di fronte alla domanda.

«Siano disponibili in farmacia» La storia rischia ora di ripetersi con i nuovi antivirali. Che come i monoclonali costano tanto, mille euro i primi e 700 i secondi, se non fosse che una sola giornata di ricovero evitata vale mille euro, tremila se in terapia intensiva. Il Paxlovid in particolare, la nuova pillola della Pfizer, promette di prevenire nel 90% dei casi il ricovero. 

Questa volta di trattamenti l'Italia ne ha acquistati un bel po'. Sono 600 mila le confezioni che con 2 pillole al giorno per 5 giorni garantiscono anche qui nella gran parte dei casi di non finire in ospedale o di morire. Per ora il Commissario ne ha distribuite 11.899, ma a stretto giro arriveranno le altre. Nonostante basti un bicchiere d'acqua per mandarle giù, bisogna però passare anche in questo caso per l'ospedale.

Cinque giorni di tempo E qui comincia una nuova corsa a ostacoli. Anche gli antivirali sono efficaci se assunti entro 5 giorni dalla comparsa dei sintomi da pazienti «non trattati con ossigenoterapia». «Per questo dovrebbero essere prescritti rapidamente e questa rapidità la garantiscono solo il medico di famiglia e la farmacia, mentre in Italia il primo non può prescriverli e le seconde non li hanno proprio», denuncia il virologo Francesco Broccolo, dell'Università Bicocca di Milano.

Passando obbligatoriamente per l'ospedale i tempi si allungano. «Ci vogliono circa due giorni prima che il paziente abbia la risposta dal tampone, dopodiché deve rivolgersi al medico di base e questo a sua volta deve mettersi in contatto con il reparto di malattie infettive dell'ospedale, dove il farmaco può essere prescritto e somministrato». 

Il rischio, osserva il professore, è «perdere tempo e non riuscire a somministrare la terapia. Ed è anche un sistema discriminatorio, se pensiamo alle periferie e a tutti i centri delocalizzati che non possono accedere in tempi rapidi a un reparto ospedaliero di malattie infettive».

«Avevamo già segnalato all'Aifa la necessità di autorizzare la vendita in farmacia e la prescrizione da parte dei medici di famiglia», sottolinea a sua volta Anelli. Richiesta rilanciata ieri da Vaia e dal presidente dell'Aifa Giorgio Palù in un seminario di esperti allo Spallanzani. Dove pazienti trattati con la nuova pillola hanno vista abbattersi la carica virale da 90 a 1,5. 

Dagotraduzione dal Daily Mail l'8 febbraio 2022.

Per anni, i medici hanno considerato il paracetamolo un'alternativa più sicura ad altri antidolorifici come l'ibuprofene, che può aumentare la pressione sanguigna. Ma ora gli scienziati dell'Università di Edimburgo hanno ribaltato questa convinzione dopo aver scoperto che il paracetamolo ha un effetto negativo simile. 

Uno studio unico nel suo genere ha rilevato che solo quattro giorni di assunzione di paracetamolo provocano un aumento clinicamente significativo della pressione sanguigna. Da ciò gli scienziati hanno calcolato che l'uso regolare di paracetamolo - circa 4 g al giorno o otto compresse standard - potrebbe aumentare il rischio di malattie cardiache o ictus di circa il 20%.

Ma i ricercatori hanno insistito sul fatto che l'assunzione occasionale di paracetamolo per affrontare il mal di testa o la febbre è sicuro. Il loro studio, basato su soli 110 partecipanti, ha esaminato solo coloro che già soffrivano di pressione alta. 

I medici dovrebbero rivedere le dosi di prescrizione dei pazienti a cui è stato prescritto paracetamolo per lunghi periodi di tempo, secondo il team. E questo è particolarmente importante per le persone ad alto rischio di malattie cardiache. 

Il paracetamolo è uno dei farmaci più comuni assunti in tutto il mondo ed è un ingrediente chiave nei farmaci da banco. L'ipertensione, che può portare a infarti e ictus, uccide circa 75.000 britannici e 500.000 persone negli Stati Uniti ogni anno.

L'autore principale, il dottor Iain MacIntyre, un farmacologo del NHS Lothian, ha dichiarato: «Non parliamo di un uso a breve termine del paracetamolo per mal di testa o febbre, il che ovviamente va bene. Ma indica un rischio scoperto di recente per le persone che lo assumono regolarmente a lungo termine, di solito per il dolore cronico». 

Il professor James Dear, un altro farmacologo coinvolto nello studio, ha dichiarato: «Questo studio mostra chiaramente che il paracetamolo, il farmaco più utilizzato al mondo, aumenta la pressione sanguigna, uno dei fattori di rischio più importanti per infarti e ictus. Medici e pazienti dovrebbero considerare insieme i rischi rispetto ai benefici della prescrizione a lungo termine, specialmente nei pazienti a rischio di malattie cardiovascolari». Hanno affermato che i medici dovrebbero raccomandare ai pazienti di assumere le dosi più basse possibili per i periodi di tempo più brevi. 

Lo studio di due settimane, pubblicato sulla rivista Circulation, ha coinvolto 110 pazienti con pressione alta.

(LaPresse il 27 gennaio 2022) - Il comitato per i medicinali per uso umano dell'Ema ha raccomandato di concedere un'autorizzazione all'immissione in commercio condizionale alla pillola anti-Covid Paxlovid di Pfizer. 

Il comitato - scrive l'agenzia europea per i medicinali in una nota - ha raccomandato di autorizzare Paxlovid per il trattamento del Covid-19 negli adulti che non necessitano di ossigeno supplementare e che sono ad aumentato rischio che la malattia diventi grave.

Paxlovid è il primo medicinale antivirale da somministrare per via orale raccomandato nell'Ue per il trattamento del Covid-19. Contiene due principi attivi, PF-07321332 e ritonavir, in due compresse diverse. PF-07321332 agisce riducendo la capacità del virus di moltiplicarsi nell'organismo mentre ritonavir prolunga l'azione di PF-07321332 consentendogli di rimanere più a lungo nell'organismo a livelli che influenzano la moltiplicazione del virus.

Pillola Pfizer, attenzione agli eventi avversi: l'interminabile lista dei farmaci incompatibili. Dario Martini su Il Tempo il 27 gennaio 2022.

L'Ema, l'agenzia europea per i farmaci, ha dato il via libera alla nuova pillola contro il Covid di Pfizer. Ma, allo stesso tempo, ha messo in guardia i pazienti che ricorreranno a questa nuova arma contro il coronavirus. Per prima cosa non sarà rivolta a tutti, ma solo "agli adulti che non richiedono ossigeno supplementare e che sono ad alto rischio di progressione a COVID-19 grave". Ma non finisce qui. L'Ema avverte anche dei rischi a cui vanno incontro le persone che prendono altri farmaci considerati incompatibili con Plaxovid (così si chiama la pillola di Pfizer).

La lunga lista dei farmaci considerati controindicati se assunti in concomitanza con la pillola anti-Covid viene ricordata anche dalla stessa azienda farmaceutica americana. E' il seguente: "Antagonista dei recettori alfa1-adrenergici; alfuzosina; analgesici: petidina, piroxicam, propossifene; antianginoso: ranolazina; farmaci antitumorali: neratinib, venetoclax; antiaritmici: amiodarone, bepridil, dronedarone, encainide, flecainide, propafenone, chinidina; antibiotici: acido fusidico, rifampicina; anticonvulsivanti: carbamazepina, fenobarbital, fenitoina; anti-gotta: colchicina; antistaminici: astemizolo, terfenadina; antipsicotici/neurolettici: lurasidone, pimozide, clozapina, quetiapina; derivati ​​dell'ergot: diidroergotamina, ergonovina, ergotamina, metilergonovina; agenti per la motilità gastrointestinale: cisapride; prodotti erboristici: Erba di San Giovanni (Hypericum perforatum); agenti modificatori dei lipidi: o Inibitori della HMG Co-A reduttasi: lovastatina, simvastatina o Inibitore della proteina di trasferimento dei trigliceridi microsomiali (MTTP): lomitapide; inibitore della PDE5: avanafil, sildenafil, vardenafil; sedativi/ipnotici: clorazepato, diazepam, estazolam, flurazepam, midazolam orale e triazolam.

Inoltre, si legge nelle avvertenze di Pfizer, che "l'uso di Paxlovid in pazienti con grave insufficienza renale in deterioramento potrebbe portare a una sovraesposizione con potenziale tossicità". E ancora: "Paxlovid non deve essere utilizzato in pazienti con grave insufficienza epatica". Insomma, è evidente che la pillola anti-Covid non è un'aspirina e andrà presa solo su precisa prescrizione medica.

Alessandro Mondo per "la Stampa" il 20 gennaio 2022.

Da tre anticorpi monoclonali a uno. L'impatto di Omicron è anche questo: la brusca riduzione dell'arsenale farmacologico disponibile per curare in fase precoce, ovvero nei primi giorni di insorgenza dei sintomi, i pazienti positivi più a rischio. Se poi il Sotrovimab, il solo monoclonale oggi veramente efficace contro la variante in questione, arriva con il contagocce, si comprendono le difficoltà in cui versano anche gli ospedali torinesi, dove monoclonali e antivirali vengono somministrati in base al profilo di rischio dei malati. 

«Usiamo molte risorse per i non vaccinati, completamente esposti al virus - conferma il dottor Sergio Livigni, coordinatore area sanitaria ospedaliera del Dirmei e direttore del dipartimento Dea Asl Città di Torino -: monoclonali, antivirali, antinfiammatori. Va da sé che dobbiamo trattare tutti, senza eccezioni». 

 Già, ma quanto costa il ricovero in rianimazione di un non immunizzato? «Circa 4 mila euro al giorno». Cifra variabile in base a una sommatoria di fattori: «Se si tratta di intubarlo, o di ricorrere alla Ecmo, la circolazione extracorporea, i costi lievitano in misura sensibile». E per i vaccinati? «Il decorso è più breve e benigno, rari i ricoveri in terapia intensiva». 

Dei 142 ricoverati nelle terapie intensive piemontesi oltre il 70%, dunque più di 100 - è senza vaccino. E dunque il loro costo si aggira intorno ai 450 mila euro al giorno. Il ricorso agli antivirali Un virus, due problemi, tra i molti: una variante ipercontagiosa e sfuggente, che mette alle corde gli attuali vaccini e svicola tra i farmaci; il rapporto dei ricoveri tra vaccinati e non vaccinati, fortemente sbilanciato sui secondi. 

Qualche numero, per rendere l'idea: dei 60 pazienti attualmente ricoverati all'Amedeo di Savoia, 40 non sono vaccinati; al Giovanni Bosco, altro grande ospedale di Torino, i non immunizzati cubano il 50% dei ricoveri nei reparti ordinari e l'80% in rianimazione. Da qui i problemi, quotidiani, con cui si scontrano i medici. 

«Il Sotrovimab ha grossi limiti quantitativi - spiega il professor Giovanni Di Perri, primario malattie infettive all'Amedeo di Savoia -. In questi giorni dovrebbero arrivare 150 fiale». Per l'Amedeo? «Macché, per tutto il Piemonte. Finora ne avevamo ricevute 29, sempre a livello regionale, sono andate via con il pane». E gli altri monoclonali già disponibili? «Casirimuvab e Imdevimab si usano ancora ma proteggono prevalentemente contro la Delta e le varianti che l'hanno preceduta». 

Come se ne esce? Ricorrendo agli antivirali, che alla pari dei monoclonali non hanno valore preventivo e vanno somministrati entro pochi giorni dall'insorgenza dei sintomi in pazienti a rischio di evoluzione grave della malattia: il Remdesivir, efficace all'80% nell'evitare le ospedalizzazioni, cioè i ricoveri, mentre il Molnupiravir si ferma al 30-50%.  

«La prima indicazione è sempre il Sotrovimab, le seconda è il Remdesivir, per i profili a basso-medio rischio prescriviamo il Molnupiravir», precisa Di Perri. Va da sé che i non vaccinati rientrano nella casistica ad alto rischio. Dopodiché: «Noi dobbiamo curare tutti. Un altro conto è sensibilizzare sull'importanza di vaccinarsi».  

Al riguardo, i medici non hanno dubbi. «La vera discriminazione è legata alla riduzione delle prestazioni sanitarie, causa l'aumento dei ricoveri Covid, per i pazienti puliti, cioè No Covid - commenta Livigni -. È la cosa che mi irrita maggiormente, per questo sono favorevole all'obbligo vaccinale, senza distinzioni di età».  

Quanto ai monoclonali, spiazzati dal dilagare di Omicron, dopo molte incertezze e qualche resistenza - favorite da un protocollo farraginoso, che poi la Regione Piemonte ha semplificato - cominciano a decollare: 750 le terapie somministrate all'Amedeo da marzo fino al 1° dicembre scorso, 1.700 dal 1° dicembre al 13 gennaio. 

«Da ultimo, si lavora a un anticorpo monoclonale con impiego preventivo, alla pari dei vaccini, che aprirebbe nuove prospettive», riflette Di Perri. Un altro contributo importante arriverà dal vaccino aggiornato che Pfizer ha messo a punto contro Omicron: «In tutti i casi, nel prossimo futuro si tratterà di capire in chi e come questa variante può fare danni. Sarà l'elemento condizionante». Per i non vaccinati, anche di più.

Covid, ospedali a secco di farmaci anti virus: “Vanno ai non vaccinati”. Elena Dusi su La Repubblica il 19 Gennaio 2022.  

Su tre monoclonali solo uno fronteggia Omicron. Ed è esaurito. "Serve per i malati di leucemia". Decisivi i farmaci contro il Covid non sono mai stati. Ma in questo frangente la situazione è particolarmente difficile. Dei tre anticorpi monoclonali in uso in Italia, solo uno resta efficace contro Omicron. Ed è esaurito. Ritornerà in settimana, ma è tutto il mondo che si sta contendendo il Sotrovimab. Per gli antivirali in pillola che dovevano imprimere una svolta alle cure serve ancora tempo.

Da open.online.it il 13 gennaio 2022. 

Uno tra i farmaci più importanti usati per curare a casa i sintomi alle vie respiratorie è andato esaurito in tutta Roma. Inutile ordinarlo per dottori e farmacisti della Capitale: Zitromax continua a non essere disponibile da diversi giorni e le difficoltà della cura domestica del Covid e di altri malanni di stagione si moltiplicano esponenzialmente. Con la forte impennata dei contagi, ogni scatola di farmaco è terminata e non esistono al momento versioni generiche o formule di preparati equivalenti.

Si tratta, come noto, di un antibiotico a base di azitromicina, commercializzato dalla nota azienda farmaceutica Pfizer, che combatte le infezioni che attaccano le vie respiratorie. Viene nella gran parte dei casi prescritto dai dottori in combinazione con la più famosa Tachipirina. E in questa quarta ondata di Coronavirus si rivela fondamentale per combattere la malattia a casa, da parte di decine di migliaia di positivi con sintomi Covid costretti in quarantena su tutto il territorio nazionale.

Tra le preoccupazioni maggiori a proposito della carenza del farmaco in città c’è quella legata all’assunzione dello sciroppo per uso pediatrico. Il farmaco non viene dunque prescritto solo in caso di Covid, ma anche per il trattamento della bronchiolite, specie nei bambini. E visti i malanni stagionali, le riserve di Zitromax sugli scaffali delle farmacie di ogni quartiere della Capitale sono andati esauriti. 

I canali social sono ricchi di appelli di genitori disperati che chiedono consigli sui modi in cui è possibile reperire il farmaco. Stando alle parole del titolare della farmacia di piazza Vittorio, il dottor Giuseppe Longo, raccolte da Repubblica Roma, il timore maggiore è che il medicinale sia stato «tolto dal mercato italiano per venderlo all’estero a prezzo più alto».

«Da cinque giorni l’azitromicina è scomparsa – ha raccontato al quotidiano -. Sto sentendo tutti i grossisti possibili, i più grandi d’Italia, ma la risposta è sempre la stessa: non c’è. E nessuno sa dare una risposta se e quando tornerà ad essere disponibile».

Valentina Arcovio per "il Messaggero" il 14 gennaio 2022.

Prescrizioni inappropriate, acquisti senza ricetta e assunzioni «fai da te». Sono probabilmente tutte queste le cause all'origine della carenza dell'antibiotico Zitromax e del generico azitromicina. L'ipotesi è che con l'aumento dei contagi si sia verificata una crescita esponenziale degli acquisti dell'antibiotico, erroneamente considerato un trattamento contro Covid-19. Sui social infatti circolano in maniera incontrollata fake news che indicano chiaramente che l'azitromicina sia il farmaco d'elezione per il trattamento dell'infezione Covid-19, un'informazione confutata già da diverso tempo dall'Agenzia italiana del farmaco (Aifa).

Così, positivi e non, hanno dato il via a quella che si può considerare una vera e propria corsa all'acquisto dell'azitromicina. Non stupisce quindi che in moltissime farmacie italiane il farmaco è praticamente esaurito o quasi. «L'Italia è l'unico paese in Europa in cui lo Zitromax è introvabile», conferma il segretario nazionale di Federfarma, Roberto Tobia, a Sanità Informazione, che riferisce di aver fatto una «segnalazione all'Agenzia Italiana del Farmaco per capire quali sono le possibili soluzioni da prospettare alla cittadinanza».

VIE RESPIRATORIE L'azitromicina è un antibiotico indicato per il trattamento delle infezioni acute delle vie respiratorie causate da batteri. «È importante sottolineare che, come qualsiasi antibiotico, la sua efficacia è solo contro i batteri e non contro i virus, come quello dell'influenza o Sars-CoV-2», dice Claudio Cricelli, presidente della Società italiana di medicina generale. La carenza del farmaco riguarda tutta l'Italia, ma alcune regioni e città più di altre. «Abbiamo riscontrato situazioni diverse, a macchia di leopardo. Ci sono regioni in cui la carenza è meno preoccupante, altre in cui è più evidente», sottolinea Tobia. Come nel Lazio e in particolare Roma. «Lo Zitromax, sia compresse adulti che sciroppo bambini è mancante e carente», conferma Andrea Cicconetti, presidente di Federfarma Roma.

«Non c'è. Questo perché - continua - è l'antibiotico primario che viene scelto nei casi di positività per la profilassi da bronchiti e complicanze respiratorie per chi ha Covid. Il bello è che sono mancanti anche i generici equivalenti. Ogni tanto arriva qualcosina ma sono carenti e non abbiamo avuto note di ripristino di regolari forniture. Quindi chi trova qualche pezzo in giro è fortunato». Più a Sud, in Campania, si soffre la carenza dello Zitromax ma non del generico.

«C'è ancora qualche difficoltà nel reperire lo Zitromax, ma l'azitromicina, vale a dire la molecola che ne costituisce il principio attivo, si trova senza difficoltà», spiega Riccardo Maria Iorio, presidente di Federfarma Napoli. Nessuna carenza di Zitromax, invece, in Lombardia. Per la presidente di Federfarma Lombardia, Annarosa Racca, «il problema non sussiste». E specifica: «C'è stato forse un giorno in cui abbiamo registrato una carenza, ma abbiamo sopperito con il generico». Il problema non è solo di disponibilità per chi ne ha bisogno. Ma riguarda anche gli effetti collaterali che questo antibiotico può avere se usato non appropriatamente.

I RISCHI «Come tutti gli antibiotici può avere effetti collaterali, come disturbi gastrointestinali, ovvero la diarrea; cefalea; sensazione di stanchezza; può scatenare reazioni allergiche alla pelle; e può danneggiare il fegato», dice Cricelli. «Quando si prescrivono, infatti, si fa una valutazione costi-benefici: se sono utili per sconfiggere un batterio, gli effetti collaterali possono essere considerati accettabili; se non servono a nulla si crea un danno e basta». Ma certamente quello che possiamo considerare come il macro-problema dell'utilizzo improprio degli antibiotici, compresa l'azitromicina, è lo sviluppo della resistenza batterica.

«In pratica, l'assunzione inappropriata può favorire l'insorgenza e la diffusione di batteri che hanno imparato a difendersi dagli antibiotici. Quindi si rischia di perdere inutilmente un'arma che può invece rivelarsi indispensabile contro i batteri», conclude Cricelli. Del resto le linee guida dicono chiaramente no alla prescrizione di antibiotici contro Covid-19». «Ai pazienti raccomando di non assumere nulla senza il consiglio del medico, anche se nell'armadietto dei farmaci dovessero ritrovare una scatola di azitromicina acquistata in passato e mai usata», dice Cricelli.

«Così come i cortisonici, gli antibiotici non sono un trattamento fai da te. Oltre a essere inutili contro Covid-19, possono rivelarsi dannosi per la salute», aggiunge. Gli unici farmaci che possiamo assumere a casa contro i sintomi di Covid-19 sono gli antipiretici per controllare la febbre alta e antidolorifici per i dolori articolari.

Matteo Bassetti, "quel farmaco non serve a nulla". Covid, l'ultima pericolosa menzogna: un caso inquietante. Libero Quotidiano il 13 gennaio 2022.

Uno dei casi del giorno, o presunti tali, è quello della sparizione del Zitromax, un antibiotico che, si è diffusa questa voce a tempo record, servirebbe come terapia contro il Covid. Insomma, irreperibile in farmacia. E da lì, il tam-tam impazzito. Peccato perché che il farmaco in questione, contro il coronavirus, non serva a nulla.

Tra gli altri, lo spiega per filo e per segno Matteo Bassetti, che mette subito a tacere l'ultimo delirio pandemico: "L'azitromicina è un antibiotico antibatterico che serve nella terapia di alcune infezioni batteriche, ma non serve a niente nella cura del Covid", taglia corto sui social.

E ancora, il direttore del reparto Malattie infettive del San Martino di Genova, aggiunge: "La domanda è: serve la azitromicina nella cura del Covid? C'è un dato o uno studio che dica che serve a qualcosa? Che fa guarire prima? Che riduce gli accessi in ospedale? Che riduce la mortalità? Nulla di tutto questo".

E ancora, aggiunge: "Sapete a cosa serve? A produrre batteri resistenti, di cui l’Italia è piena più di ogni altro Paese europeo. Nelle infezioni virali come il Covid gli antibiotici non devono essere utilizzati, salvo in alcuni casi molto selezionati. Molto selezionati, meno del 2% del totale. Basta usare l’azitromicina e gli altri antibiotici nel covid. Non servono. Creano resistenze e poi mancano per chi ne ha veramente bisogno", conclude Matteo Bassetti.

Dagotraduzione dal Daily Mailil 3 gennaio 2021. In Inghilterra, un’infermiera affetta dal Covid che ha trascorso 28 giorni in coma si è salvato dopo che i medici l’hanno sottoposta a un trattamento sperimentale con il Viagra.

Monica Almeida, 37 anni, mamma di due bambini, asmatica, era vaccinata ma nonostante la doppia dose è stata ricoverata in ospedale il 9 novembre dopo essere risultata positiva al coronavirus il 31 ottobre. Una settimana dopo è stata trasferita in terapia intensiva, e poi dal 16 novembre i medici le hanno indotto il coma.

I medici avevano deciso di aspettare ancora tre giorni prima di spegnere il ventilatore. Per fortuna, prima di entrare in coma, aveva accettato di essere sottoposta a un trattamento sperimentale. Così i medici le hanno somministrato una grande dose di viagra, che consente un maggiore afflusso sanguigno a tutte le aree del corpo, e dopo una sola settimana le condizioni della donna sono migliorate.

Anche se l'efficacia, dai trials, è scesa al 30%. Pillola anti Covid distribuita oggi alle Regioni: chi la può prendere, controindicazioni e quanto costa. Riccardo Annibali su Il Riformista il 4 Gennaio 2022. È la prima pillola anti Covid per pazienti non gravi, si prende (anche a casa) per bocca, il trattamento dura 5 giorni e serve a prevenire l’intasamento degli ospedali ma non si sostituisce al vaccino. Ecco come funziona il molnupiravir prodotto dall’azienda americana Merck Sharp & Dohme (Msd).

Disponibile in Italia da oggi, martedì 4 gennaio 2022, il primo antivirale specifico contro SARS-CoV-2, la pillola di Merck chiamata molnupiravir che avrà come nome commerciale ‘Lagevrio’. Dopo il via libera della Commissione tecnico scientifica dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) nella seduta del 22 dicembre, il farmaco viene distribuito da oggi dalla Struttura Commissariale alle Regioni e per la sua prescrizione è previsto l’utilizzo di un Registro di monitoraggio che sarà presto accessibile online sul sito della stessa Aifa.

CHI LA PUÒ PRENDERE – Serve per il “trattamento dei pazienti Covid-19 non ricoverati con recente insorgenza di malattia da lieve a moderata e con condizioni cliniche sottostanti che possono rappresentare fattori di rischio specifici per lo sviluppo di Covid-19 grave”. Il Molnupiravir quindi è un antivirale orale che deve essere assunto in caso di positività al Covid entro cinque giorni dall’insorgenza dei sintomi. Il trattamento dura cinque giorni e consiste in 4 capsule da 800 mg totali (200 mg l’una) da prendersi due volte al giorno. Il suo utilizzo non è raccomandato in gravidanza e l’allattamento al seno “deve essere interrotto durante il trattamento e per quattro giorni dopo il trattamento”.

CHI LA PRODUCE – Merck & Co. è una azienda farmaceutica statunitense tra le più grandi al mondo. Fondata nel 1891, ha sede nel New Jersey. Durante gli ultimi due anni, l’azienda è stata conosciuta anche dal grande pubblico per le numerose sperimentazioni nella lotta al Covid 19.

COME FUNZIONA – Modifica il materiale genetico (Rna) del virus durante la replicazione in modo da renderlo incapace di moltiplicarsi. Non colpisce la proteina spike del Covid per questo la sua efficacia sarebbe garantita a prescindere dalle varianti presenti e future.

Sembrerebbe la soluzione perfetta anche se ci sono due ostacoli, il primo dei quali è l’efficacia nel prevenire le ospedalizzazioni: È bassa, ed è scesa nel tempo da quando i dati della Fase 3 della sperimentazione davano un 50% di riduzione dei decessi e ricoveri fino ad arrivare all’attuale 30% (percentuale ricavata da tutti i partecipanti iscritti nel trial, 1.433 pazienti). Tanto che alcuni Stati hanno deciso di rivedere gli ordini di acquisto del medicinale. Il secondo ostacolo è rappresentato dalla capacità di somministrare il farmaco in tempo: deve essere infatti assunto entro cinque giorni dall’insorgenza dei sintomi, ma arrivare a intercettare la malattia così rapidamente non è scontato. Non è detto che un paziente all’esordio dei sintomi (comuni a molte altre malattie virali) venga subito sottoposto a tampone, specie in un momento come questo dove i tamponi processati continuano ad aumentare.

EFFETTI COLLATERALI – Quelli più comuni sono stati: diarrea, nausea, vertigini e cefalea, tutti di entità lieve o moderata. È previsto l’utilizzo di un registro di monitoraggio delle segnalazioni che sarà presto accessibile online sul sito dell’Aifa.

PERCHÉ NON SOSTITUISCE IL VACCINO – Non solo per la sua bassa efficacia, ma anche perché, come gli altri farmaci, ha una durata d’azione limitata: la concentrazione dei principi attivi si abbassa e, dopo un paio di giorni, il medicinale sarà scomparso dall’organismo. Il vaccino, invece, agisce sul sistema immunitario, che, dopo essere stato istruito, è in grado di combattere per mesi contro il virus. In caso si faccia parte di alcune categorie di persone che non rispondono bene all’immunizzazione e che quindi, sebbene in maniera inferiore rispetto ai non vaccinati, possono correre il rischio di aggravarsi con il Covid, il molnupiravir può risultare molto utile.

QUANTO COSTA – Il costo di un ciclo – almeno sul mercato americano – è di circa 700 dollari (equivalenti a poco più di 615 euro). In Italia saranno le Regioni a decidere come distribuirlo. Probabilmente all’inizio il farmaco sarà disponibile solo nelle farmacie degli ospedali e solo successivamente nelle farmacie autorizzate. Al paziente non dovrebbe costare nulla. Ci potranno essere alcune Regioni che richiederanno accertamenti preliminari (come tampone ed eventuale dimostrazione di fragilità). Tutti i pazienti che lo assumono saranno iscritti in un apposito registro di monitoraggio per verificarne gli effetti a breve e a lungo termine.

LA SECONDA PILLOLA ANTI COVID – Forse già a marzo dovrebbe prendere  il via la distribuzione del secondo antivirale autorizzato dall’Agenzia Europea del Farmaco (Ema), il Paxlovid brevettato da Pfizer, che agisce e si assume in modo del tutto simile alla pillola Merck ma, secondo i test più recenti effettuati dall’azienda, ha un’efficacia superiore, vicina all’89%.

·        Succede in Svezia.

La strategia della Svezia contro il Covid è stata un fallimento, ora ci sono le prove: morfina invece di ossigeno, bimbi usati per diffondere il virus e manipolazioni. Elena Tebano su Il Corriere della Sera il 12 aprile 2022.

Disamina impietosa sull’Agenzia di Salute Pubblica: «Non ha basato i consigli su prove scientifiche, il popolo svedese è stato tenuto all’oscuro di fatti fondamentali, agli anziani morfina anziché ossigeno, i bambini usati per diffondere il virus». Nel documento la prova della scelta fatta tra chi curare e chi no. 

L’approccio svedese all’epidemia di Covid è stato un fallimento. È quanto emerge dal primo studio scientifico sistematico sulla strategia della Svezia nella gestione della pandemia realizzato a due anni dai primi contagi, pubblicato su Humanities & Social Sciences Communications tramite Nature.com. 

Come è noto l’approccio della Svezia era orientato a evitare una chiusura della società per limitare il più possibile i danni economici, cercando un’immunità di gregge «naturale» e senza imporre mai lockdown, né limitazioni alla libertà di commercio e movimento dei cittadini, ma facendo affidamento sulla responsabilità individuale (ristoranti e scuole per i bambini sotto i 16 anni, per esempio, sono rimasti aperti e in presenza per tutta la pandemia). «Questa strategia svedese del laissez-faire ha avuto un grande costo umano per la società svedese» e «diversi studi hanno dimostrato che i costi umani sarebbero stati significativamente inferiori in Svezia se fossero state attuate misure più severe, senza impatti più dannosi sull’economia» scrivono gli autori dello studio, scienziati di università del Belgio, della Svezia e della Norvegia, un «gruppo multidisciplinare con un background in epidemiologia, medicina, studi religiosi, storia, scienze politiche e diritti umani», che è stato «consigliato da diversi esperti indipendenti nazionali e internazionali», ha esaminato tutti «gli articoli scientifici rilevanti, sottoposti a revisione tra pari, pubblicati sulla gestione della pandemia in Svezia e negli altri Paesi nordici» e ha «cercato di raccogliere tutte le conversazioni via e-mail, gli ordini del giorno delle riunioni, gli appunti delle riunioni e i comunicati stampa delle parti interessate coinvolte nel processo decisionale a livello nazionale» appellandosi alle «leggi sulla libertà d’informazione». 

Il governo svedese ha delegato la gestione della pandemia all’Agenzia di Salute Pubblica, che però dal 2014 aveva licenziato o trasferito tutti i suoi più autorevoli consulenti scientifici all’Istituto Karolinska. «Con questa configurazione, l’autorità mancava di competenza e poteva ignorare i fatti scientifici» spiega il rapporto. «L’Agenzia della Salute Pubblica non ha basato i suoi consigli su prove scientifiche ma su preconcetti sulle pandemie influenzali e sull’immunità di gregge, affidandosi principalmente a un piccolo gruppo consultivo con un focus disciplinare ristretto e una competenza troppo limitata», è stata «sistematicamente scorretta nelle sue valutazioni del rischio, e ha ignorato le prove scientifiche sulle strategie di soppressione, la trasmissione per via aerea». Inoltre ha «etichettato i consigli degli scienziati nazionali e delle autorità internazionali come posizioni estreme, facendo sì che i media e gli organi politici accettassero invece la propria politica.

Il popolo svedese è stato tenuto all’oscuro di fatti fondamentali come la trasmissione aerea del Sars-Cov-2, che gli individui asintomatici possono essere contagiosi e che le maschere facciali proteggono sia il portatore che gli altri» si legge ancora nel rapporto. Le conseguenze pratiche di questa scelta sono state deleterie. 

Ecco come le descrive il rapporto pubblicato da Nature.com: 

• «A molti anziani è stata somministrata morfina invece di ossigeno, nonostante le scorte disponibili, ponendo fine di fatto alla loro vita». 

• «La decisione di fornire cure palliative a molti adulti anziani è molto discutibile; pochissimi anziani sono stati ricoverati per il Covid 19. Un trattamento appropriato (potenzialmente salvavita) è stato negato senza esame medico, e senza informare il paziente o la sua famiglia o chiedere il permesso. Molti funzionari hanno continuato a negare ogni responsabilità, e c’è stata solo una limitata protesta pubblica in Svezia quando questo è venuto fuori, la narrazione comune è che quelli nelle case di cura sono destinati a morire presto comunque». 

• «Durante la primavera del 2020, molti individui non sono stati ricoverati negli ospedali e non hanno nemmeno ricevuto un esame sanitario poiché non erano considerati a rischio, con il risultato che gli individui sono morti a casa nonostante avessero cercato aiuto. Inoltre, c’erano istruzioni di triage disponibili nella regione di Stoccolma, che mostravano che gli individui con comorbidità, indice di massa corporea superiore a 40 kg/m2, età avanzata (80+) non dovevano essere ammessi in unità di terapia intensiva, poiché “era improbabile che si riprendessero”». 

• «Nonostante i segnali preoccupanti di diversi ospedali che hanno superato i loro limiti, l’Agenzia per la salute pubblica e il governo hanno continuato a sostenere che c’erano ancora letti di terapia intensiva disponibili in Svezia, e che la loro strategia non è fallita poiché sono stati in grado di mantenere il contagio a livelli che il sistema sanitario poteva gestire. Tuttavia, la Svezia ha ottenuto il punteggio più basso sull’accessibilità dei letti di terapia intensiva in base a uno studio di 14 Paesi europei che ha esaminato l’impatto sul tasso di mortalità da Covid 19». 

• «L’Agenzia della Salute Pubblica ha negato o declassato il fatto che i bambini potessero essere infettivi, sviluppare malattie gravi, o guidare la diffusione dell’infezione nella popolazione; mentre le loro e-mail interne indicano il loro obiettivo di usare i bambini per diffondere l’infezione nella società». 

• «Ci sono stati anche rapporti su disuguaglianze e ingiustizia sociale come conseguenza della risposta della Svezia, in particolare con gli anziani, le persone nelle case di cura, gli individui con un background migratorio e i gruppi socio-economicamente meno avvantaggiati (anche di giovane età) colpiti dall’eccesso di mortalità. Questa narrazione della disuguaglianza è stata apertamente comunicata dai funzionari, compresa l’Agenzia della Salute Pubblica, sostenendo che “l’infezione da coronavirus nelle case di cura può essere stata diffusa dal personale con scarsa padronanza della lingua svedese”, “abbiamo una maggiore diffusione a causa della maggiore popolazione immigrata”, “solo gli stranieri si ammalano”, “solo le persone che sembrano turisti indossano maschere facciali in pubblico”. Non sono stati fatti sforzi significativi per diminuire queste disparità». 

Oltre alle decisioni sanitarie discutibili, lo studio mette in evidenza la mancanza di trasparenza delle autorità svedesi, e parla addirittura di «segretezza, insabbiamento e manipolazione dei dati». «Per esempio, anche se molte delle persone coinvolte hanno dichiarato pubblicamente che le maschere facciali non erano necessarie, o addirittura “pericolose” o controproducenti hanno poi affermato di essere sempre state a favore del loro uso. L’Autorità svedese per l’ambiente di lavoro e l’Epidemiologo di Stato hanno persino iniziato a cancellare le e-mail in proposito richieste dai giornalisti. Anche se questo è illegale, la pratica di trattenere le informazioni e cancellare le e-mail è diventata diffusa tra le agenzie ufficiali durante la pandemia portando a una cosiddetta “gestione ombra”, poiché apparentemente il rischio di sanzioni legali è molto basso per i detentori del potere» si legge nel rapporto. 

Le conclusioni sono una condanna senza appello della politica della Svezia che getta ombre inquietanti anche sulla sua democrazia. «Questa pandemia ha rivelato diversi problemi strutturali nella società svedese, a livello politico e giudiziario, nella sanità, nei media ufficiali e nella burocrazia, con il decentramento, la mancanza di responsabilità e indipendenza, e il rifiuto di informazioni accurate e complete al pubblico come problemi ricorrenti a diversi livelli». Ancora: «La messa in discussione critica, anche da parte di scienziati ed esperti di fama internazionale, divenne rischiosa, persino pericolosa, in un Paese dove il conformismo era incoraggiato dai media nazionali». Secondo gli autori dello studio c’è stato un «problema di responsabilità evasiva, governance autocratica, insabbiamento e segretezza» simile alla «sovietizzazione» politica. «Ci si aspettava da tutta la popolazione una fiducia a senso unico nelle “autorità”» spiegano. «Proteggere l’“immagine svedese” a livello nazionale e internazionale è sembrato essere più importante che proteggere la vita degli abitanti della Svezia, compresi gli operatori sanitari, gli anziani, gli individui con fattori di rischio (ad esempio, le comorbidità), i gruppi minoritari e le persone socio-economicamente meno avvantaggiate. Ciò è evidenziato dall’alto eccesso di mortalità in questi gruppi, dalla mancanza di adeguati dispositivi di protezione personale e dalla negazione dell’assistenza sanitaria. Rimane una mancanza di coscienza etica e l’abilità di includere il ragionamento etico nei processi decisionali; e la mancanza di compassione per le vittime della pandemia». 

Il rapporto non lo nomina mai esplicitamente, ma come è noto l’architetto della strategia anti Covid svedese è l’ex epidemiologo di Stato Anders Tegnell, 65 anni. «Ex» perché si è dimesso il 9 marzo scorso, poco prima dell’uscita dello studio sul fallimento della sua strategia. All’epoca l’Agenzia di Salute Pubblica svedese aveva dichiarato che Tegnell si era dimesso per andare a lavorare come «esperto senior dell’Organizzazione mondiale della sanità» per coordinare la vaccinazione anti Covid nei Paesi poveri. Poi, dopo la pubblicazione del rapporto su Nature, si è dovuta correggere e ha spiegato che la comunicazione della nomina era stata prematura: «Pensavamo che il processo fosse concluso, ma ora abbiamo capito che è stato un errore da parte nostra», ha detto il portavoce Christer Janson all’agenzia Bloomberg. «L’Oms ha chiesto alla Svezia un supporto tecnico per questo partenariato appena fondato, e dal momento che abbiamo nominato Tegnell in coordinamento con il governo svedese abbiamo pensato che tutto fosse sistemato».

Alessandro Ferro per ilgiornale.it il 13 aprile 2022.

Il tanto decantato approccio che la Svezia ha avuto nei confronti della pandemia Covid-19 non solo è stato un fallimento, ma soprattutto è costato numerose vite umane ed errori macroscopici da parte dell'Agenzia di Salute Pubblica, oggi duramente sotto accusa. Un rapporto molto dettagliato reso pubblico sulla rivista Nature rivela come la popolazione svedese sia stata tenuta all'oscuro anche delle norme più basilari e di come sono stati curati alcuni pazienti senza chiedere permessi né ai diretti interessati e neanche alle loro famiglie. Si è consumata un'anarchia medica inimmaginabile per una nazione civile come quella che ha per capitale Stoccolma.

"Enorme costo umano per la società"

Gli autori dello studio hanno ricordato come l'approccio della Svezia sia stato, da sempre, quello di lasciare aperte attività, uffici e qualsiasi cosa per non bloccare l'economia e non limitare il commercio e la libertà dei cittadini. "Questa strategia svedese del laissez-faire ha avuto un grande costo umano per la società svedese e diversi studi hanno dimostrato che i costi umani sarebbero stati significativamente inferiori in Svezia se fossero state attuate misure più severe, senza impatti più dannosi sull’economia" spiegano gli scienziati delle Università di Belgio, Svezia e Norvegia.

La gestione della pandemia era stato affidato all’Agenzia di Salute Pubblica, che non ha basato i suoi consigli su prove scientifiche ma "su preconcetti sulle pandemie influenzali e sull’immunità di gregge, affidandosi principalmente a un piccolo gruppo consultivo con un focus disciplinare ristretto e una competenza troppo limitata", si legge sul rapporto. 

Morfina al posto dell'ossigeno

Sembra incredibile, ma questa Agenzia di Salute non ha mai informato i cittadini svedesi su come si trasmette il Covid, sul fatto che gli asintomatici fossero comunque contagiosi e sull'importanza delle mascherine e il loro uso. Nulla di nulla. I più attivi si saranno informati sui media internazionali e vedendo cosa accadesse in altre parti d'Europa ma non può essere una spiegazione normale. E poi, ancora peggio, è stata la gestione dei pazienti positivi al Covid, soprattutto quelli più gravi. "A molti anziani è stata somministrata morfina invece di ossigeno, nonostante le scorte disponibili, ponendo fine di fatto alla loro vita", si legge su Nature.

Le cure palliative hanno fallito, non sono stati eseguiti veri esami medici e la maggior parte dei pazienti è rimasto in cura in casa. Inoltre, le famiglie non sono state informate sulla tipologia di cura. "Molti funzionari hanno continuato a negare ogni responsabilità, e c’è stata solo una limitata protesta pubblica in Svezia quando questo è venuto fuori, la narrazione comune è che quelli nelle case di cura sono destinati a morire presto comunque", raccontano gli scienziati.

La folle strategia sui bambini

La Svezia si è classificata all'ultimo posto tra 14 Paesi europei per accessibilità alla terapia intensiva, e un motivo ci sarà. Tra gli orrori macroscopici, poi, la negazione che i bambini potessero infettare o sviluppare malattie gravi: in realtà, come affermano gli scienziati, le mail interne dell'Agenzia di Salute Pubblica indicavano "il loro obiettivo di usare i bambini per diffondere l’infezione nella società". Sapevano, quindi, ma hanno preferito far circolare il virus per immunizzare la gente facendo morire, così, i più fragili ma anche la parte più sana.

Senza criterio, poi, alcune informazioni sostenute dalla stessa Agenzia secondo le quali "l’infezione da coronavirus nelle case di cura può essere stata diffusa dal personale con scarsa padronanza della lingua svedese”, “abbiamo una maggiore diffusione a causa della maggiore popolazione immigrata”, “solo gli stranieri si ammalano”, “solo le persone che sembrano turisti indossano maschere facciali in pubblico”, si legge sul Corriere.

La "gestione ombra"

Questo studio ha messo in evidenza la totale mancanza di trasparenza delle autorità svedesi: si parla addirittura di "segretezza, insabbiamento e manipolazione dei dati". L’Autorità svedese per l’ambiente di lavoro e l’Epidemiologia di Stato hanno addirittura cancellato le mail richieste dai giornalisti per eliminare, illegalmente, le prove delle malefatte.

La condanna, dopo queste prove, è senza appello per la politica che la Svezia ha adottato nei due anni di pandemia, che ha messo in luce "diversi problemi strutturali nella società svedese, a livello politico e giudiziario, nella sanità, nei media ufficiali e nella burocrazia, con il decentramento, la mancanza di responsabilità e indipendenza, e il rifiuto di informazioni accurate e complete al pubblico come problemi ricorrenti a diversi livelli", conclude il rapporto. 

Lo schiaffo dell’Oms a Speranza: la Svezia senza lockdown ha gestito la pandemia meglio dell’Italia. Valter Delle Donne sabato 7 Maggio 2022 su Il Secolo d'Italia.

Avvertite il ministro Speranza, Andrea Scanzi, il professor Galli e i teorici delle chiusure draconiane. La Svezia ha registrato uno dei più bassi tassi di mortalità per pandemia in Europa, nonostante il suo rifiuto di imporre lockdown, green pass e controlli polizieschi sui cittadini. I numeri arrivano da una fonte al di sopra di ogni sospetto: l’Organizzazione Mondiale della Sanità. 

Dei 194 paesi esaminati dall’agenzia sanitaria dell’Onu, il tasso di morte per pandemia della Svezia è al centounesimo posto con 56 decessi per 100.000. Un dato nettamente al di sotto della media di 90. Pone anche la Svezia al di sotto della maggior parte delle altre grandi nazioni europee che hanno chiuso più volte, come l’Italia (133 morti ogni centomila persone), la Germania (116), la Spagna (111), la Gran Bretagna (109), il Portogallo (100), i Paesi Bassi (85), il Belgio (77) e la Francia (63).

Come ricorderanno i lettori, la scelta aveva attirato l’ira di molti “esperti”: nel 2020 le autorità sanitarie svedesi avevano scelto di non imporre i lockdown, affidandosi invece al buon senso dei propri cittadini. Non era stata imposta neanche la mascherina obbligatoria. Erano rimaste aperti anche scuole, bar e ristoranti. Ovviamente a nessuno è venuto in mente di imporre green pass o altri sistemi poliezieschi. Come aveva testimoniato al Secolo.it un’italiana residente a Stoccolma, anche i media nazionali avevano scelto un approccio mediatico più sobrio, meno terroristico nella diffusione dei contagi.

Quando Scanzi sulla Svezia senza lockdown diceva: “Moriranno come mosche…”

Qualche altro esempio? La stessa Greta Thunberg, la ragazzina svedese più famosa del mondo, andava in giro per centri commerciali e negozi senza indossare alcuna mascherina. Eppure, c’erano giornalisti italiani come Andrea Scanzi che riportavano notizie catastrofiche tipo: “Gli svedesi stanno morendo come mosche”. Alcuni media dipingevano Anders Tegnell, il responsabile della gestione della pandemia in Svezia, come una specie di scienziato pazzo. Eppure il 9 marzo scorso, nel silenzio dei media italiani, è stato chiamato dall’Oms a Ginevra.

Tegnell, il responsabile svedese della gestione della pandemia promosso dall’Oms a Ginevra

Tegnell, che ha 65 anni, coordinerà il lavoro dell’OMS con l’Unicef e l’organizzazione di vaccini Gavi, per mettere a disposizione dei preparati anti-Covid ai Paesi che non sono stati in grado di acquistarne. Niente male per uno “scienziato pazzo”.

Leggendo i dati di oggi, i paragoni con l’Italia balzano agli occhi: la Svezia non si è mai fermata completamente. Ha consigliato alle persone sopra i 70 anni e ai gruppi a rischio di evitare i contatti sociali. Ha inoltre raccomandato a chi poteva di lavorare da casa, di lavarsi le mani regolarmente. Di attuare un distanziamento fisico di due metri e di evitare viaggi non indispensabili. Scuole e asili sono rimasti sempre aperti, così come i negozi e molte aziende, compresi ristoranti e bar. Oggi arrivano i dati ufficiali dell’Oms, che devono far riflettere. Qualcuno avverta il ministro Speranza e i suoi consiglieri.

Svezia catastrofica sul Covid? “Italia peggio con i lockdown di Speranza”, accusa il virologo Silvestri. Lucio Meo mercoledì 13 Aprile 2022 su Il Secolo d'Italia.

“La strategia della Svezia contro il Covid è stata un “fallimento”. Ad affermarlo uno studio scientifico realizzato a due anni dai primi contagi e pubblicato sulla rivista ‘Humanities & Social Sciences Communications‘ tramite Nature.com. Secondo il rapporto – realizzato da un team di scienziati, giornalisti e medici – la Svezia era ben attrezzata per evitare che la pandemia di Covid-19 diventasse grave. Durante il 2020, tuttavia, il Paese ha registrato tassi di mortalità per virus Sars-CoV-2 dieci volte più elevati rispetto alla vicina Norvegia. Non solo: sarebbe stato accertato che a molte persone anziane è stata somministrata morfina al posto dell’ossigeno, che i bambini sono stati usati per diffondere il virus e che la popolazione svedese è stata tenuta all’oscuro anche delle norme anti contagio più basilari.

La Svezia e i presunti errori dei suoi politici

“Sosteniamo che una metodologia scientifica non sia stata seguita dalle principali autorità in carica – e dai politici responsabili – con narrazioni alternative considerate valide, con conseguenti decisioni politiche arbitrarie”, si legge nello studio, che tra i motivi del fallimento evidenzia il fatto che “nel 2014, l’Agenzia di sanità pubblica è stata fusa con l’Istituto per il controllo delle malattie infettive e la prima decisione rilevante assunta dal nuovo capo, Johan Carlson, è stata quella di licenziare e trasferire i sei professori dell’autorità al Karolinska Institutet, svuotando di fatto l’Agenzia delle necessarie capacità ed esperienza” per affrontare un’emergenza sanitaria come quella del Covid.

“La strategia pandemica svedese sembrava mirata a raggiungere un’immunità di gregge naturale e a evitare una chiusura della società. L’Agenzia per la salute pubblica ha etichettato i consigli degli scienziati nazionali e delle autorità internazionali come posizioni estreme, con il risultato che i media e gli organi politici hanno accettato la loro politica”.

Quindi le accuse più pesanti: “Il popolo svedese è stato tenuto all’oscuro di fatti di basilari come la possibilità di trasmissione aerea di SARS-CoV-2, che gli individui asintomatici possono essere contagiosi e che le mascherine proteggono sia chi le indossa che gli altri”. Inoltre “a molte persone anziane è stata somministrata morfina invece dell’ossigeno nonostante le scorte disponibili, ponendo fine alla loro vita”.

“Se la Svezia vuole fare meglio nelle future pandemie – si legge nell’abstract della pubblicazione – il metodo scientifico deve essere ristabilito, anche all’interno dell’Agenzia di sanità pubblica. Probabilmente farebbe una grande differenza se venisse ricreato un Istituto separato e indipendente per il controllo delle malattie infettive. Raccomandiamo che la Svezia avvii un processo autocritico sulla sua cultura politica e sulla mancanza di responsabilità dei decisori per evitare futuri fallimenti, come è accaduto con la pandemia di COVID-19″

Ma Silvestri smaschera lo studio: “Italia molto peggio e con più lockdown

“L’articolo non lo dice: in Svezia 1.809 morti per 1 milione di abitanti, senza mai un lockdown, contro i 2.670 dell’Italia dei super-lockdown, delle scuole chiuse per mesi, dei coprifuoco e delle mascherine all’aperto”. Lo sottolinea Guido Silvestri, virologo dell’Emory University e presiedente del board internazionale di esperti dell’Inmi Spallanzani di Roma, commentando su Facebook lo studio di ‘Nature’ che ha esaminato, bocciandolo, il modello svedese di lotta al Covid.

“Giratela come vi pare, ma con questi numeri sarà dura anche per i più incalliti chiusuristi far passare la narrazione (di comodo) – rimarca – per cui in Svezia c’è stata una catastrofe mentre l’Italia l’ha scampata grazie alla ‘prudenza speranziana'”. 

Svezia senza lockdown con meno morti di noi e l’economia salva. Ma i media che contano dicono il contrario. Valter Delle Donne venerdì 13 Novembre 2020 su Il Secolo d'Italia.

La foto che state vedendo in copertina ritrae una via del centro di Stoccolma. Gente che fa lo shopping, gli addobbi del Natale già allestiti. È datata martedì 10 novembre 2020. Tenetelo presente mentre leggerete questo articolo. Ecco come si vive in Svezia senza lockdown. Nonostante la pandemia.

La Svezia, come ormai tutti sanno, è l’unica nazione europea a non aver mai effettuato il lockdown. Ha raccomandato agli over 70 di restare in casa (e loro lo hanno fatto). E ha dato le raccomandazioni sull’igiene e il distanziamento, che tutti ormai sappiamo a memoria.

In questo modo, ha evitato il crollo dell’economia che ha riguardato tutti gli altri Paesi. Il Pil è calato solo del 8,6%. Rispetto all’Italia una media da champagne. Non a caso il Ceo della prima banca svedese ha parlato di una situazione incoraggiante. Una media migliore di tutta l’Eurozona. Per non parlare della nostra economia: nel secondo trimestre l’Istat ha infatti certificato un drammatico -12, 4%.

In questi giorni, però, sui media italiani si stanno infittendo le notizie apocalittiche relativamente alla Svezia. Tenetevi forte: sono quasi tutte fake news.

In Svezia fanno morire gli anziani? Una bufala sparata anche da Burioni

La principale, sparata persino dal virologo Roberto Burioni, circola da sette mesi. La Svezia lascerebbe morire gli anziani malati di Covid. Lo riportava l’altro giorno persino la newsletter della Federazione dei medici. In realtà, un quotidiano svedese, ad aprile ha scritto di una circolare interna relativa a un singolo ospedale (uno solo) il Karolinska di Stoccolma. I pazienti con un’età “biologica” superiore agli ottant’anni verrebbero dopo rispetto ad altri pazienti. Il documento si riferiva al caso estremo di “posti esauriti” in terapia intensiva. Eventualità che non si è mai verificata finora, in Svezia, in nessun ospedale. Il documento, sintetizzato brutalmente, suggeriva di privilegiare chi avesse superiori aspettative di vita. Insomma, chi scegliere in caso di opzione estrema, tra più malati da soccorrere? Tra un bambino e un ottuagenario chi salvare? Tra una ragazza incinta e una novantenne con patologie chi salvereste? Un criterio che adottano tutti i medici. In tutti gli ospedali del pianeta. Ma nonostante questo, in Svezia, si è accesa una polemica feroce. 

Il quotidiano svedese ha pubblicato la notizia il 9 aprile 2020, il 12 aprile è arrivata la smentita ufficiale dell’ospedale Karolinska di Stoccolma. Inoltre, per essere chiari, il 18 aprile, le autorità ispettive del ministero della Salute svedese hanno avviato una indagine per verificare se la circolare fosse autentica. Insomma, è stata una “bufala” bella e buona. Tuttavia, sette mesi dopo, quella bufala viene data come verità accertata. Molti media hanno fatto un triste copia e incolla. Chiaramente la notizia per noi italiani era troppo ghiotta: “Visto la Svezia? Non fa il lockdown e poi fa morire gli anziani di Covid”.

Chi è Tegnell, omologo di Brusaferro in Svezia, contrario al lockdown

Ma nella narrazione nostrana la Svezia si riporta solo ad intermittenza. Ad esempio, quando l’epidemiologo svedese Andres Tegnell (stimatissimo a livello internazionale anche dall’americano Anthony Fauci) cita l’Italia come modello negativo, tutti tacciono. Nessuno fa più il copia e incolla. Lo avete saputo dai nostri tg? No, erano troppo impegnati con le dirette di Conte e gli appelli terroristici del ministro Speranza. Eppure, il parallelo implicito e impietoso degli scienziati svedesi (che si presume abbiano studiato come i nostri scienziati) è stato questo. Se l’Italia, che ha imposto un lockdown assoluto, sta peggio di noi, allora lasciateci provare una strategia diversa.

Chi sta peggio tra Italia e Svezia?

Avete letto bene. L’Italia, purtroppo, sta peggio della Svezia. Questo non lo scrive il Secolo, ma uno studio della prestigiosa rivista Nature. Anche questo report del 14 ottobre scorso, stranamente, in Italia non è stato ripreso da nessuno. Andate a leggere: a livello dell’Italia, come tasso di mortalità, solo Belgio, Spagna e Scozia. La Svezia, invece, nonostante il mancato lockdown è solo in seconda fascia. 

Meglio l’ospedale di Stoccolma o il Cardarelli di Napoli?

Eppure, la narrazione dominante è questa, ribadita da Andrea Scanzi, il giornalista italiano più influente sui Social. “In Svezia muoiono come mosche”. Se l’ha detto lui, come osate voi scienziati svedesi contraddirlo? Un ultimo dato. L’ospedale Karolinska che “fa morire i vecchi”, secondo Newsweek è al decimo posto nella classifica dei migliori ospedali del mondo. Tenete presente che, in questa classifica, per trovare un nostro ospedale bisogna scendere al 47mo posto (Niguarda di Milano). Non so Burioni o Scanzi, ma se fossi un anziano malato, preferirei farmi curare lì che al Cardarelli di Napoli.

·        Succede in Inghilterra.

Johnson archivia il Covid. "Fine delle restrizioni". Andrea Cuomo il 22 Febbraio 2022 su Il Giornale.

BoJo: da giovedì niente isolamento dei positivi. In Inghilterra numeri migliori che in Europa. Niente Covid, siamo inglesi. Boris Johnson l'ha avuta vinta. Ha convinto i suoi ministri più riottosi, come il titolare della Sanità Sajid Javid, e si è presentato dapprima alla Camera dei Comuni e quindi si è presentato davanti ai giornalisti per annunciare la fine di ogni restrizione dal prossimo 24 febbraio. Per qualcuno l'ennesima mossa avventata di un primo ministro che ha gestito l'emergenza pandemica con una spavalderia che per qualcuno è tracimata nell'incoscienza. Per altri invece semplicemente l'avanguardia dell'Europa, che presto si troverà a imitarlo.

Staremo a vedere. Intanto Johnson ha annunciato ai suoi concittadini, compresa la più celebre dei contagiati, la regina Elisabetta, non che il Covid sia terminato, quello no, ma che «ora dobbiamo imparare a convivere con il virus» e quindi non ha più senso comprimere in alcuno modo la loro vita per evitare il diffondersi di un virus che ormai non fa più paura. Niente più vincoli, quindi, fine dell'obbligo dell'isolamento per le persone contagiate, che da giovedì saranno incoraggiati a far uso del senso di responsabilità personale in caso di infezione, come avviene attualmente quando si è soggetti a «un'influenza». È stata annunciata anche la graduale revoca della distribuzione gratuita a pioggia dei test antigenici. «Abbiamo superato il picco di Omicron», ha tagliato corto BoJo.

Johnson appare particolarmente orgoglioso di questa scelta, ne fa un vanto patriottico, ben sapendo quanto i sudditi della regina (positiva) siano sensibili all'argomento. Si vanta del successo delle vaccinazioni e del primato in Europa nei booster: «Siamo in una posizione di forza per prendere in considerazione la revoca delle restanti restrizioni legali, ora che l'81 per cento degli adulti ha già ricevuto una dose di richiamo in Inghilterra e i casi continuano a diminuire», si legge in una nota di Downing Street.

Certo, il confronto tra quanto accade a Londra e quanto accade a Roma (ma anche a Madrid e a Parigi) colpisce. L'avventurismo di BoJo e assai più distante dalla prudenza continentale rispetto allo spread delle cifre delle vaccinazioni e dei contagi. Per dire, negli ultimi sette giorni in Italia si sono conteggiati in media 51.311 contagi al giorno, mentre nel Regno Unito, che ha una popolazione di sette milioni superiore alla nostra, il dato è poco più basso: 44.180. Nel Regno Unito ci sono più attuali positivi (1.745.244 da loro e 1.321.971 da noi) e 11.223 pazienti Covid ricoverati (da noi 13.375) e 335 in terapia intensiva (contro i nostri 928) e anche il loro numero di morti è più basso (la media mobile degli ultimi sette giorni è da loro di 125 decessi e da noi di 271). La vera differenza sta nel fatto che nei vari momenti dell'emergenza sanitaria le misure di contenimento del Covid Oltremanica sono state in genere molto più lievi rispetto alle nostre, forse c'è da riflettere. Anche se non sono mancate le gaffe, gli errori e i disastri anche in Downing Street.

Ma torniamo all'oggi. Johnson ha promesso di adottare un «approccio prudente» e di conservare nel cassetto misure di emergenza in caso di nuove e imprevedibili varianti. L'intenzione del governo conservatore è di ridurre notevolmente il numero di test per concentrarli sulla popolazione più vulnerabile. E in primavera ecco la quarta dose del vaccino per tutti gli over 75 e le persone vulnerabili dai 12 anni in su, mentre l'idea è quella di estendere in autunno l'offerta della quarta dose booster ad altre fasce di età. E Johnson dovrà anche occuparsi della positività regale di Elisabetta II, che si trova in isolamento al castello di Windsor: i due si sono sentiti in un'udienza virtuale, che verrà ripetuta in caso di necessità. Elisabetta, a quasi 96 anni, continuerà per tutta la settimana a lavorare in modalità virtuale. Andrea Cuomo

Bye Bye restrizioni: Boris Johnson cancella il green pass. IL PREMIER INGLESE ANNUNCIA: BASTA GREEN PASS (GIÀ AI MINIMI) E NIENTE MASCHERINE. Redazione Nicolaporro.it il 19 Gennaio 2022.

“Here we are”, direbbero gli inglesi. “Ci siamo”. Il tanto criticato Boris Johnson si appresta a ridurre le restrizioni anticovid. L’annuncio è chiaro: in Inghilterra non solo non sarà più obbligatorio esibire il lasciapassare alias green pass, ma si potrà addirittura smettere di indossare la mascherina e tornare finalmente a respirare. La notizia era nell’aria già da diversi giorni ma stamattina è stato proprio il primo ministro a spiegarlo alla camera dei Comuni.

La variante Omicron del nuovo coronavirus “è in ritirata”, ha spiegato il ministro della Salute Sajid Javid: il tasso di mortalità infatti è “in forte calo” e i ricoveri in terapia intensiva sono “tornati agli stessi livelli dello scorso luglio”. E così, come è normale che fosse in un Paese in cui il concetto di libertà è saldamente radicato nel cuore e nella testa delle persone, il green pass ha avuto una vita davvero breve. Lasciapassare che – è doveroso ricordarlo – non aveva nulla a che vedere con il pass sanitario italiano, ma doveva essere esibito solamente in alcuni casi specifici, come ad esempio i grandi eventi pubblici.

Mentre noi italiani dovremo mostrare il QR code personale anche per andare dal tabaccaio e nel tragitto saremo costretti a respirare l’aria stantia nella nostra fantastica Ffp2 colorata, sarà bello pensare che, oltre Manica, ci sono persone che non devono più sopportare le nostre pene.

“Rip it out”, aveva titolato recentemente un noto giornale conservatore. “Stracciatelo”. E così è stato. Il green pass sarà solo un ricordo. Così come le mascherine che non serviranno più nemmeno al chiuso. Il folle obbligo di portarle all’aperto da quelle parti non vigeva, ça va sans dire. Novità anche per lo smart working, a quanto pare, per cui viene meno la raccomandazione alle aziende di incentivarlo.

In Inghilterra, si torna alla normalità, dunque. E – ahinoi – non è l’unico paese ad andare in questa direzione. Solo l’Italia rimane così saldamente arroccata sulle sue posizioni liberticide, tra restrizioni di ogni genere e stati di emergenza infiniti. Ai rigoristi allora non resta, come al solito, che gufare la povera Inghilterra nella speranza che il governo torni presto sui suoi passi e prenda esempio da noi. Dal paese che – siamo ironici – ha “gestito al meglio la pandemia”. Perché – come disse Mattarella rivolgendosi a Johnson che aveva osato criticarci – “noi abbiamo a cuore la libertà ma anche la serietà”.

Da open.online il 19 gennaio 2022.

Da mercoledì 26 gennaio nel Regno Unito non saranno più in vigore tutte le misure anti Covid che erano state introdotto per contrastare la variante Omicron. Nel pieno della bufera per le polemiche sul partygate, il premier Boris Johnson ha annunciato la decisione ai parlamentare della Camera dei Comuni questa mattina 19 gennaio. 

Il piano B introdotto a dicembre secondo il premier britannico si sarebbe ormai esaurito. Dalla prossima settimana, quindi, non sarà più obbligatorio indossare la mascherina sui mezzi pubblici e nei negozi. Viene meno anche la raccomandazione alle aziende di incentivare lo smart working, mentre non sarà più necessario il Green pass rafforzato, quello che anche nel Regno Unito certifica l’avvenuta vaccinazione.

Come aveva anticipato il Times, Johnson sta predisponendo un piano di ridimensionamento della rete di centri di test, dopo che il Tesoro ha chiesto di risparmiare 10 miliardi di sterline. I centri dovrebbero essere chiusi in primavera. BoJo dovrebbe tenere una riunione del governo dopo la promessa di una riduzione sostanziale arrivata ieri dal suo ministro della Salute Sajid Javid. 

Secondo una portavoce del governo «gli ultimi dati sono incoraggianti, i casi iniziano a diminuire anche se la pandemia non è finita». Ieri la Gran Bretagna ha registrato 94.432 casi, scendendo sotto i 100.000 contagi giornalieri per la prima volta dal 23 dicembre. E sempre ieri il professor Robert Dingwall, già membro della Commissione governativa inglese per le vaccinazioni e le immunizzazioni (Jcvi) e tra i maggiori esperti di sociologia medica e politiche sanitarie, ha spiegato che «il piano è quello di rimuovere tutte le restrizioni, compresi i pass vaccinali, salvo due eccezioni. Potrebbe comunque rimanere il tampone negativo per alcuni casi particolari, così come l’uso delle mascherine: una raccomandazione, non obbligo. Inoltre, è in corso un dibattito sull’obbligo vaccinale imposto agli operatori sanitari».

Luigi Ippolito per il “Corriere della Sera” il 19 gennaio 2022.  

La Gran Bretagna potrebbe essere avviata verso la fine della pandemia: lo sostiene anche l'Organizzazione mondiale della sanità, alla luce degli ultimi dati che vedono i contagi scendere in picchiata. «Guardando dal punto di vista del Regno Unito - ha detto David Nabarro, responsabile per il Covid all'Oms - sembra che ci sia la luce alla fine del tunnel». Dunque «è possibile immaginare che la fine della pandemia non sia troppo lontana», ha aggiunto Nabarro, anche se ha messo in guardia che sarà ancora un percorso «accidentato».

È un ottimismo sostenuto in primo luogo dal governo britannico: «Ci sono segnali incoraggianti che i contagi stiano scendendo in tutto il Paese», ha detto il portavoce di Downing Street, aggiungendo che pure i ricoveri e le presenze in ospedale stanno calando o quanto meno si sono stabilizzati. I nuovi casi di Covid sono crollati di oltre il 40 per cento in una settimana: ieri sono stati 94 mila, rispetto a un picco di 190 mila a Capodanno. 

Anche i ricoveri giornalieri sono scesi del 6 per cento rispetto all'inizio dell'anno e ormai ci sono solo 623 persone in terapia intensiva per Covid in tutta la Gran Bretagna. I decessi sono tuttavia in aumento (ieri sono stati 434), probabilmente una coda del picco di contagi appena trascorso: e comunque molto lontani dai 1200 al giorno registrati nel gennaio del 2021. È per questo che già in settimana Boris Johnson potrebbe annunciare la fine delle restrizioni introdotte con l'arrivo della variante Omicron alla fine dell'anno scorso. 

In particolare, verrebbe abolito il green pass (che qui vale solo per discoteche e grandi eventi) e sospesa la raccomandazione a lavorare da casa. Come unica misura, rimarrebbero le mascherine nei negozi e sui mezzi pubblici: ma già adesso diversi esponenti del partito conservatore reclamano che anche quest' ultima limitazione sia soppressa, in modo da tornare a fine gennaio alla piena normalità. 

A marzo sarebbero revocate anche le disposizioni sulla quarantena. Gli scienziati inglesi ritengono che nel corso di quest' anno il Covid potrà essere trattato come un'influenza: «Presto sarà solo una delle cause del raffreddore comune - ha detto il professor Paul Hunter dell'università dell'East Anglia -. Avremo bisogno di richiami di vaccino per i più vulnerabili, ma non vedo la necessità di un uso generalizzato delle mascherine o dei tamponi. Alla fine, vivremo in una società in cui questo virus circola ampiamente, ma non uccide più le persone». 

È l'effetto della campagna di vaccinazione, che qui ha visto oltre il 60 per cento degli ultra-dodicenni ricevere già la terza dose, ma anche della scelta di far circolare il virus nella società, in modo da raggiungere in breve tempo un certo livello di immunità di gregge: si stima che oggi il 95 per cento della popolazione britannica abbia anticorpi al Covid. Una strategia che non si è tradotta in un bilancio drammatico di morti: dall'inizio della pandemia, la Gran Bretagna ha registrato meno decessi dell'Italia in rapporto alla popolazione.

Paolo Russo per "la Stampa" il 19 gennaio 2022.

Intravedere segnali di speranza quando da noi si registra il record di contagi da inizio pandemia e si devono contare 434 morti sembra quasi voler fare un esercizio di ottimismo. Ma gettare uno sguardo a quello che sta avvenendo nel resto del mondo occidentale può aiutarci a non cadere troppo in depressione. Eccezioni Germania e Israele Ieri l'Oms ha voluto rassicurare i sudditi di sua Maestà britannica affermando per bocca del suo «emissario speciale», David Navarro, che oltremanica «sembra ci sia luce in fondo al tunnel». 

Dopo essere stato travolto per primo da Omicron, nel Regno Unito i contagi hanno iniziato a scendere: meno 42% l'ultima settimana. Anche se ieri di morti se ne contavano 438, ma sul dato pesano i ricalcoli del weekend. Se Londra vede la luce altrettanto si può dire di New York, dove la media settimanale dei casi è scesa da 40 mila a 28 mila, ma in tutti gli Usa le cose vanno meglio, con un calo del 12% dei nuovi positivi. 

In Francia, con più 10% dei casi negli ultimi sette giorni e in Spagna, più 22%, la curva ancora sale, ma la crescita si è sensibilmente raffreddata. In controtendenza sono Germania e Israele, dove nel primo caso i contagi sono risaliti del 42% e nel secondo del 57%. Eppure i tedeschi erano stati i primi ad essere travolti dalla quarta ondata e Israele la prima a vaccinare tutti con la terza dose. Ora persino con la quarta, destinata a sanitari e iperfragili. 

Numeri inattesi, che hanno però una spiegazione. A fornircela è Walter Ricciardi, presidente della Federazione mondiale delle società di sanità pubblica e consulente del ministro Speranza: «In Germania l'onda è arrivata prima, quando prevalentemente circolava ancora la Delta, per cui dopo le chiusure i contagi sono scesi, ma ora risalgono per l'impatto ritardato di Omicron. Israele è sì il Paese che per primo ha somministrato il booster, ma pochi ricordano che ha anche quasi il 40% di popolazione che non si vaccina, soprattutto tra gli ultraortodossi». 

Una spiegazione che dovrebbe rassicurarci circa il pericolo di nuovi ritorni di fiamma del virus, passata questa tempesta. Ma Ricciardi la fine del tunnel la vede anche da noi. «Entro fine gennaio in Italia toccheremo il picco e la discesa sarà più rapida di quanto si è visto con le vecchie varanti, perché se Alfa impiegava due mesi a tornare sui livelli di partenza, a Omicron ne basta meno di uno. Poi si potrà ragionare di convivenza con il virus». Resta l'anomalia italiana dei morti, che ci vede in testa nella triste classifica tra i Paesi occidentali. 

«Questo per quattro motivi», continua Ricciardi. «Abbiamo la popolazione più anziana del mondo dopo il Giappone; i nostri anziani vivono più a lungo ma in peggiori condizioni di salute; abbiamo una potenza di fuoco sanitaria nettamente inferiore a Paesi come la Germania, che ha 53 mila infermieri più di noi e il doppio dei posti in terapia intensiva; altri Paesi non conteggiano come decessi Covid quelli dei positivi morti per altre cause». 

Vede la luce anche l'epidemiologo Pierluigi Lopalco. «L'Italia ha una popolazione ampiamente vaccinata, in più quattro ondate epidemiche hanno immunizzato con la malattia un'altra fetta importante del Paese. E anche se Omicron è in grado di reinfettare, una protezione rispetto alle forme gravi di malattia resta». 

«Per questo - è la conclusione ottimistica di Lopalco - anche noi ne usciremo presto ed entro febbraio potremo iniziare a convivere con il virus, perché con i livelli di immunizzazione acquisita una nuova ondata non sarà mai né come le precedenti ma nemmeno come questa».  

Resta l'incognita delle nuove varianti. Perché la teoria che il virus si modifichi via via sempre in meglio, non è che per virologi e immunologi abbia poi basi scientifiche così solide. E nel mondo di sotto, sempre a corto di vaccini, il Covid sta tornando a far male. In Brasile i contagi sono aumentati del 107% in una settimana, in India del 90%, in entrambi i casi con una dolorosa scia di morti e ricoveri. 

E con questi livelli di circolazione del virus, avverte l'Oms, potremmo tornare alla casella di partenza per colpa di qualche nuova variante. Un pericolo che il mondo di sopra potrebbe scongiurare pensando un po' meno alle quarte dosi e un po' più a una ridistribuzione più equa dei vaccini.

·        Succede in Germania.

Due anni di pandemia Covid-19, ecco come Italia e Germania hanno gestito l’emergenza. I due Paesi fanno scelte simili in diversi settori, dalla necessità della scuola in presenza, al modello 2G (vaccinati o guariti) per accedere a diverse attività. Ma è il dibattito sull’obbligo vaccinale a delineare le maggiori differenze. Erika Antonelli su L'Espresso il 21 gennaio 2022.

La variante Omicron, estremamente contagiosa, spinge in alto i contagi e mette alla prova le misure introdotte per contenere la pandemia. Il 19 gennaio l’Italia ha registrato oltre 228 mila nuovi casi, 434 morti e 1.715 ricoveri in terapia intensiva. In Germania sono più bassi i casi giornalieri (più di 133 mila) e i decessi (234), ma le persone in terapia intensiva sono 2.571. E mentre gli esperti si chiedono se il picco sia stato raggiunto e quando il virus potrà considerarsi endemico, alla stregua di una normale influenza, i governi dei due Paesi continuano a limare i provvedimenti per garantire qualche scampolo di normalità.

Il primo punto fermo, per entrambi, è la scuola in presenza. Italia e Germania ritengono la dad uno strumento da usare solo in caso di necessità. Rispetto al nostro Paese, in cui il governo centrale ha deciso le linee guida sul rientro a scuola, in Germania di fatto ogni Land può scegliere come comportarsi. Ma l’indicazione generale, data dalla Kultusministerkonferenz – l’assemblea dei ministri dell’educazione – è chiara: «Anche se il virus si propaga con nuove varianti non dobbiamo perdere di vista le necessità degli studenti. Ciò significa chiudere solo se non ci sono altre possibilità». Questo ha prodotto anche un alleggerimento delle regole sulla quarantena, criticato da insegnanti e sindacati. Dal sette gennaio infatti gli alunni possono terminarla già dopo cinque giorni e presentando il risultato negativo di un test rapido o antigenico. Le contestazioni arrivano dal presidente dell’associazione tedesca degli insegnanti, Heinz-Peter Meidinger, per cui «se questo ammorbidimento delle regole porterà a più persone infette che girano per le scuole, ci si ritorcerà contro». E da Gew, il sindacato del settore istruzione: «Avere indicazioni poco restrittive significa giocare con la sicurezza di studenti, insegnanti e genitori».

Se sulla scuola in presenza i due Paesi hanno vedute simili, differiscono sulle procedure da adottare per la quarantena. In Italia chi è vaccinato con booster e ha avuto un contatto diretto con un positivo è tenuto a indossare la mascherina Ffp2 per dieci giorni. Che diventano cinque, ma con obbligo di isolamento, nel caso di persone con due dosi effettuate da più di tre mesi. Chi non è vaccinato deve invece osservare 10 giorni di quarantena, che termina con l’esito negativo di un tampone. In Germania al contrario non è prevista alcuna misura di isolamento per i contatti diretti di un positivo che abbiano già il booster, siano guariti o vaccinati con due dosi da meno di tre mesi. Per tutti gli altri la quarantena dura invece dieci giorni e termina senza l’obbligo di eseguire un tampone, a meno che non si voglia accorciare il periodo di isolamento a una settimana.

Per tornare alla normalità, l’Italia impone regole più severe per l’uso di mezzi pubblici e l’accesso al posto di lavoro. Da noi serve il super green pass per andare al ristorante, nei cinema e a teatro; per salire sui mezzi pubblici e, nel caso di lavoratori over 50 del settore pubblico e privato, per accedere al luogo di lavoro. È esteso l’obbligo di green pass base (tampone negativo, guarigione, vaccinazione) per recarsi da estetisti, parrucchieri e barbieri. In caso di mancato rispetto delle norme si rischiano multe dai 400 ai mille euro. E, dal primo febbraio, la forma base del certificato vaccinale sarà necessaria anche per accedere a uffici pubblici, servizi postali e bancari. Nel Paese guidato da Olaf Scholz è pressoché uguale tranne che per salire sui mezzi pubblici e recarsi sul posto di lavoro. In entrambi i casi vale infatti la regola del 3G (la nostra certificazione base, con vaccino, guarigione o tampone negativo eseguito nelle 48 ore precedenti). Il governo tedesco si è inoltre impegnato nella promozione dello smart working per tutte le attività in cui è possibile usufruirne e il datore di lavoro deve offrire ai suoi dipendenti la possibilità di eseguire almeno due tamponi gratuiti a settimana.

Ma è sull’obbligo vaccinale che si riscontrano le differenze maggiori. Da noi è stata introdotta, dall’8 gennaio 2022, una sorta di misura ibrida, riservata ai soli over 50. E l’obbligo vaccinale oltre che al personale scolastico è esteso a quello universitario, senza fasce di età. In Germania invece il dibattito è ancora acceso e lontano da una soluzione comune. A dicembre, la coalizione di governo formata da socialdemocratici, verdi e liberali ha redatto una legge che prevede la vaccinazione obbligatoria per il personale sanitario entro il 15 marzo. Ed è qui che, al momento, si è fermata la discussione. «Abbiamo un alto tasso di vaccinazione, ma non è abbastanza per combattere omicron», ha detto all'emittente pubblica Ard il Cancelliere Olaf Scholz, favorevole all’obbligo. Ma finora nessuno dei partiti al governo si è mosso in questa direzione, neppure il ministro della Salute Karl Lauterbach. E la posizione di Christian Drosten, l’esperto di Covid-19 più in vista del Paese, riflette l’immobilismo della Germania: «Gli obblighi sono strumenti politici», ha detto in un’intervista. Il dibattito prosegue con fatica tra l’ostilità del partito populista di destra Afd, contrario, e il poco entusiasmo della popolazione. Secondo un sondaggio condotto su oltre 5mila persone dal settimanale Der Spiegel, infatti, il 64% è sì favorevole alla misura, ma il dato registra nove punti in meno rispetto al mese precedente.

La questione dell’obbligo vaccinale è spinosa perché costringe il governo a bilanciare un eventuale provvedimento tra due norme contrapposte. Da una parte quanto scritto nella Costituzione tedesca, che impone di proteggere la salute e la sicurezza delle persone e vieta però al governo di interferire con il diritto del singolo di scegliere cosa fare del proprio corpo. Dall’altra l’Infektionsschutzgesetz, la legge sulla protezione dalle infezioni che consente di decidere l'immunizzazione per le fasce di popolazione esposte al rischio di una «malattia contagiosa che presenta esiti clinicamente gravi».

Uno dei principali ostacoli all’introduzione dell’obbligo vaccinale, scrive Zdf, è il rischio di radicalizzazione delle manifestazioni no-vax. Sebbene il numero di tedeschi che negano l'esistenza del Covid-19 sia inferiore al 10 per cento, le proteste contro le restrizioni non accennano a diminuire. Sono diversi i poliziotti attaccati e feriti durante i cortei, che diventano sempre più organizzati per eludere i controlli. È quanto accade sistematicamente a Friburgo, in Sassonia (uno dei Land con la percentuale più bassa di vaccinazioni), in cui ogni lunedì vengono organizzate manifestazioni. Che, secondo la legge tedesca, devono essere preventivamente registrate presso le autorità e possono essere soggette a restrizioni, se rappresentano una minaccia per la sicurezza pubblica. In Sassonia inoltre, per via dell’alto numero di contagi, non dovrebbero riunirsi più di dieci persone. Per aggirare il divieto, riporta Deutsche Welle, i manifestanti si smembrano in piccoli gruppi e iniziano a muoversi, in modo congiunto, solo al suono di un fischietto. Si incontrano e si disperdono non appena arriva la polizia, inscenando una sorta di nascondino. Chi organizza le proteste le definisce dimostrazioni pacifiche, ma poi nelle piazze è facile notare persone vestite da hooligan e con simboli nazisti. Tanto che le manifestazioni contro le misure per contrastare Omicron sono state definite dagli organizzatori “passeggiate”, un termine che ricorda il modo in cui, nel 2014, il movimento estremista Pegida aveva soprannominato le proteste contro i migranti avvenute proprio in Sassonia.

Friburgo sembra quasi il modello in scala della Germania tutta, divisa tra chi sostiene le misure per contrastare la pandemia e chi quella pandemia la nega con tutte le sue forze. La discussione sull’obbligo vaccinale dovrebbe iniziare il prossimo mese, dopo l’apertura di Scholz sulla questione. E, forse, dirà molto su da che parte la Germania vuole stare.

·        Succede in Cina.

Cina, sale l'onda del Covid: «File di bare nei crematori». E gli Usa: «Così il virus può mutare ancora».  Guido Santevecchi su Il Corriere della Sera il 20 Dicembre 2022.

La Cina è passata in pochi giorni dalla certezza della politica Zero Covid a quella che sembra una assenza di piani. I contagi aumentano, il sistema sanitario è in emergenza, aumentano le terapie intensive e diminuiscono le scorte nelle banche del sangue. E dagli Stati Uniti arriva un altro allarme: per l'economia e per le mutazioni di Sars-CoV-2

Dalla politica Covid Zero le autorità cinesi si sono ritirate precipitosamente, ma in questa fase sembra avere zero piani per uscire dalla nuova emergenza.

Di fronte all’esplosione dei contagi, solo la stampa di Partito sembra sapere quello che c’è da fare: dare notizie ottimiste per sostenere psicologicamente la gente disorientata. Così oggi sui giornali di Pechino si legge: «Esperti prevedono il ritorno alla normalità in primavera»; «I virologi dicono che la variante Omicron presenta un rischio minore di causare una malattia grave».

La linea ufficiale è questa: il 7 dicembre le misure per inseguire il Covid Zero sono state cancellate «a seguito dell’accertamento che la patogenicità del coronavirus si era indebolita», ha scritto l’agenzia Xinhua. Però, questa scoperta le autorità l’hanno fatta improvvisamente, dopo la fiammata di proteste in decine di città a fine novembre, con gli slogan urlati a Shanghai contro Xi Jinping.

Il sistema sanitario ha bisogno di aiuto: lo provano gli annunci delle amministrazioni di varie città sulla corsa a rafforzare con nuovi letti le terapie intensive e l’apertura di nuove «cliniche della febbre», che sono centri per la cura dei primi sintomi e servono a diminuire la pressione sugli ospedali. Un altro indicatore di crisi è quello sulla diminuzione delle scorte nelle banche del sangue di almeno sette province: il livello è sceso al 16% rispetto all’anno scorso. I donatori potenziali o sono positivi al Covid-19 o temono di uscire.

Dopo i due di ieri, la municipalità di Pechino ha registrato cinque morti oggi: il numero sembra sempre implausibile a fronte della diffusione dei contagi, che secondo dati non ufficiali avrebbe raggiunto il 40% dei 22 milioni di abitanti della capitale.

La stampa internazionale usa come termometro la situazione nei crematori: in alcuni sono state viste file di carri funebri e raccolte testimonianze di parenti di persone decedute per Covid-19.

Le autorità hanno reagito facendo piantonare dalla polizia le strade di accesso ai due crematori dove ieri i cronisti di Reuters e Bloomberg avevano segnalato le lunghe code di auto nere con corone a lutto e visto personale in tuta protettiva bianca scaricare le bare. Questa mattina l’Agenzia France Presse ha parlato per telefono con un funzionario di un crematorio a Chongqing, megalopoli da 30 milioni di abitanti: «Non abbiamo più spazio per i corpi in lista d’attesa», ha detto ma non ha precisato se la situazione sia stata causata dalle morti per Covid.

Proiezioni con modelli matematici elaborate da istituti internazionali sostengono che nei prossimi mesi il 60% dei cinesi potrebbe essere contagiato. Il portavoce del Dipartimento di Stato americano dice che «considerate le dimensioni del Pil della Cina e quelle della sua economia» c’è da attendersi un impatto sul mondo globalizzato. E aggiunge che bisogna vigilare perché in questa situazione c’è la possibilità che il coronavirus muti ancora mentre si diffonde in Cina e rappresenti una nuova «minaccia per la popolazione mondiale».

Nei giorni scorsi il portavoce del Ministero egli Esteri cinese aveva assicurato che «la Cina ha un vantaggio istituzionale sul resto del mondo». Queste frasi ci ricordano che il virus del sospetto e della rivalità continua a circolare.

Guido Santevecchi per il “Corriere della Sera” il 16 dicembre 2022.

«La vittoria alla fine premierà l'eroismo del cinesi», assicura il Quotidiano del Popolo. Il tg aggiunge che il picco dei contagi è previsto a gennaio e «siamo sulla strada» della fine della crisi sanitaria. Ma le strade di Pechino sono semideserte, nonostante siano state abolite le restrizioni: l'ondata di Covid-19 sta montando nella capitale e la gente si è chiusa in casa. 

Giungono notizie analoghe da altre metropoli. Gli studi scientifici temono centinaia di migliaia di decessi nei prossimi mesi in tutta la Cina. Dopo il ritiro improvviso e drammatico dalla trincea del Covid Zero, il 7 dicembre, le autorità hanno rinunciato a contare i contagi: «Inutile senza tamponi obbligatori», dicono. La gente sembra disorientata. A chi ha sintomi lievi è stato detto di autoisolarsi in casa, per non intasare gli ospedali che sono già sotto pressione.

Ci sono testimonianze di medici e infermieri che devono restare in corsia per far fronte all'emergenza anche quando sono contagiati, se non stanno troppo male. La promessa ora è di correre ai ripari con i vaccini. La Commissione sanitaria centrale non ha segnalato decessi: il numero dei morti in questi tre anni di pandemia in Cina è fermo a 5.235. 

Inutile discutere sull'attendibilità del dato. La scorsa primavera l'Università Fudan di Shanghai aveva ammonito che riaprire la Cina avrebbe potuto causare fino a 1,6 milioni di morti in sei mesi: il monito serviva a sostenere il rigore dei lockdown, delle quarantene preventive e dei tamponi obbligatori. Comunque il governo si è improvvisamente ritirato dalla trincea Covid Zero dopo le proteste popolari di fine novembre.

Le proiezioni elaborate ora da istituti scientifici cinesi o internazionali indicano che i decessi dell'ondata che sta montando potrebbero arrivare a 600 mila nello «scenario migliore», a 2,1 milioni se i vaccini non arriveranno subito. L'Organizzazione mondiale della sanità, da Ginevra, dice che non è stato l'abbandono del Covid Zero a causare questa situazione: «In realtà i contagi si stavano già diffondendo intensamente perché le misure non fermavano più la malattia», ha affermato il dottor Mike Ryan direttore dell’emergenze all'Oms.

Gli epidemiologi osservano che la scarsa circolazione del coronavirus in Cina nei tre anni di pandemia rende ancora più pericolosa questa fase di riapertura: la maggioranza dei cinesi non è stata esposta al Covid-19 e alle sue molte varianti e ora è più fragile. Il tasso di mortalità più elevato è previsto nella fascia degli ultraottantenni, dei quali il 60% non ha ricevuto più di una dose di vaccino. Uno studio commissionato da Pechino agli scienziati della University of Hong Kong prevede che la Cina soffrirà tra i 448 e i 530 decessi per milione di abitanti. Su una popolazione di 1,4 miliardi questo scenario implicherebbe tra i 627.000 e i 742.000 morti.

Gennaio e inizio marzo fu aggredita da Omicron e contò 9.000 morti tra i suoi 7,2 milioni di cittadini. Pechino promette di spingere al massimo della velocità la vaccinazione, portando la diffusione della quarta dose almeno all'85% e facendo subito ricorso ai farmaci antivirali. All'industria statale è stato ordinato di accelerarne la produzione. Il ministero degli Esteri di Pechino sostiene che «la Cina ha un vantaggio istituzionale» sul resto del mondo. Il problema è che il Covid-19 sfugge alle logiche della politica, a Pechino come nel resto del mondo.

Da Covid Zero a mortalità (quasi) zero: così Xi pensa di cambiare la strategia della Cina sulla pandemia.  Guido Santevecchi su Il Corriere della Sera il 3 Dicembre 2022.

Dopo le proteste, Xi Jinping inizia ad allentare le restrizioni legate alla pandemia: si è convinto che la variante Omicron sia meno pericolosa

Immagini e affermazioni nuove sull’allentamento della linea Covid Zero arrivano dalla Cina e corrono sui social.

Si vedono cabine per i tamponi ritirate dalle strade di Pechino, aeroporti che tolgono i cartelloni con l’ordine di test negativo per entrare; addirittura vigilanti in tuta bianca che si sono scritti sulla schiena, a pennarello: «Fine».

Il fatto più significativo è che Xi Jinping si è convinto che Omicron è meno pericolosa e che gli studenti cinesi hanno protestato perché sono frustrati per i tre anni di vita sospesa, prigioniera nella gabbia delle restrizioni sanitarie. Si potrebbe anche ipotizzare che al momento Xi ritenga più pericoloso il virus delle proteste nelle università rispetto al coronavirus.

Non ha parlato in pubblico Xi Jinping, maha riferito le sue considerazioni a Charles Michel , il presidente del Consiglio europeo che gli ha fatto visita giovedì a Pechino.

Funzionari di Bruxelles riferiscono che il leader cinese ha detto proprio questo: «La variante Omicron è risultata meno letale e dunque permette maggior flessibilità nelle restrizioni sanitarie». E poi avrebbe osservato che le proteste scoppiate lo scorso fine settimana a Shanghai, Pechino, in altre decine di città e campus universitari sono il segno che «la gente è frustrata» dopo tre anni di pandemia, «soprattutto i giovani».

Debbono aver causato un forte allarme tra i compagni del Politburo comunista le immagini delle manifestazioni (e i rapporti della sicurezza statale sul sentimento della gente). C’è stata una virata, se non proprio un’inversione di rotta.

La stampa statale e la vicepremier Sun Chunlan, finora inflessibile zarina del Covid Zero hanno preparato il terreno annunciando «la scoperta degli scienziati cinesi sulla patogenicità di Omicron geometricamente calata». La Cina può entrare in «una fase nuova» , ha detto Sun.

Le autorità di diverse metropoli hanno cominciato a comunicare misure per l’allentamento della pressione: a Pechino nel distretto centrale di Chaoyang, abitato dalla classe media, i positivi asintomatici e i loro contatti stretti potranno fare la quarantena a casa (non più in centri di controllo simili a lazzaretti); da lunedì ritirato l’obbligo di tampone negativo nelle 48 ore precedenti per prendere i mezzi pubblici ed entrare in centri commerciali e parchi pubblici.

Disposizioni simili a Tianjin, Guangzhou, dove martedì scorso c’era stata guerriglia urbana; a Chengdu, a Shenzhen.

Non c’è da credere che Xi dichiari pubblicamente la fine del tentativo di azzerare il coronavirus dal territorio nazionale: sarebbe ammettere di aver sbagliato i calcoli e la politica sanitaria e sociale. Ma le parole apparentemente pronunciate da Xi nel colloquio con Michel e quelle dette in pubblico dalla vicepremier Sun fanno pensare che il Partito sia pronto finalmente a ritirarsi dalla trincea insostenibile del Covid Zero per attestarsi su quella della «mortalità zero».

Impossibile anche questa, come sappiamo (in Italia ci sono ancora 500 morti a settimana). Ma le autorità cinesi si sarebbero convinte che una forte ripresa della campagna di vaccinazione possa limitare il costo umano dell’operazione. E sta preparando l'opinione pubblica a sopportare un certo numero di morti, nella fascia più anziana della popolazione: la settimana scorsa Pechino ha dichiarato tre decessi di pazienti tra gli 87 e i 91 anni, aggiungendo che soffrivano di patologie pregresse e che il Covid ha dato solo il colpo di grazia.

La Commissione sanitaria centrale ha comunicato che nelle ultime 24 ore sono stati rilevati 33.018 casi di positività, dei quali 29.085 asintomatici (più o meno lo stesso numero dell’Italia, ma su 1,4 miliardi di cittadini, non meno di 60 milioni come da noi). Il dato fa pensare che il picco di contagi in Cina sia vicino, dicono le autorità.

«Scoperto» che con i vaccini si può evitare nella stragrande maggiorana dei casi la malattia grave e il ricovero, la Cina forse è pronta a convivere con gli strascichi della pandemia.

Il dubbio più grave riguarda l’esperienza dei Paesi che già da molti mesi hanno scelto la «strategia di uscita» dall’emergenza permanente: a Taiwan, ci sono stati 11 mila decessi in sei mesi e l’isola ha un sistema sanitario migliore di quello cinese e una diffusione della vaccinazione più alta. Se si fa la proporzione tra quel dato e la popolazione della Cina si arriva a 620 mila morti. Ma ci sono studi che portano il numero dei morti nella nuova fase a due milioni.

L’Organizzazione mondiale della sanità, da Ginevra si dice «compiaciuta» nel vedere l’allentamento di alcune restrizioni in Cina. «È davvero importante che i governi ascoltino le loro popolazioni quando esprimono sofferenza», ha detto il dottor Michael Ryan che dirige il Dipartimento Emergenze dell’Oms. Il direttore dell’Organizzazione, il dottor Tedros Adhanom Ghebreyesus, però avverte che una nuova variante capace di causare «mortalità significativa» è sempre possibile. La Cina è in stato confusionale, ma anche il governo sanitario del pianeta è sempre ostaggio dei dubbi.

(ANSA il 30 novembre 2022)  Nuovi scontri sono scoppiati la notte scorsa a Guangzhou, il capoluogo del Guangdong, contro le misure anti-Covid che da settimane stanno interessando la città nell'ambito degli sforzi per contenere i focolai di infezione. In base ai video postati sui social in mandarino, il personale di sicurezza in tuta bianca anti-pandemica ha formato una barriera spalla a spalla, riparandosi sotto gli scudi antisommossa, per proteggersi dal lancio di oggetti e farsi strada nel distretto di Haizhu, con 1,8 milioni di residenti e molti lavoratori migranti. Una decina di persone è stata portata via dalla polizia con le mani legate con fascette.

Si tratta dell'ultimo episodio di insofferenza verso le misure draconiane di contenimento che vengono applicate in Cina dall'inizio della pandemia. Nel weekend si sono avute inedite proteste a Shanghai, a Pechino e in altre grandi città, in quella che è apparsa come la principale ondata di disobbedienza civile in Cina da quando il presidente Xi Jinping ha preso il potere a fine 2012 e dagli eventi sanguinosi di Piazza Tienanmen del 1989.

Lorenzo Lamperti per "la Stampa" il 30 novembre 2022.

Bastone e bavaglio da una parte, un po' di carota dall'altra. Il governo cinese prova a ristabilire l'ordine stringendo ulteriormente le già fitte maglie del controllo fisico e virtuale, mentre inizia a far intravedere la luce in fondo al tunnel delle restrizioni anti-Covid, motivo scatenante (ma non unico) delle proteste.

La commissione centrale per gli affari politici e legali del Partito comunista ha scelto la linea dura disponendo di «reprimere con decisione gli atti illegali e criminali che turbano l'ordine sociale e mantenere efficacemente la stabilità». Sono state rafforzate le misure di sicurezza per prevenire le manifestazioni e la polizia si è attivata in maniera proattiva per controllare il territorio (a partire dalle università) e individuare chi supporta le proteste. Diversi video girati sui social mostrano agenti controllare foto e video sugli smartphone dei cittadini.

Nel mirino anche le app e le vpn utilizzate per aggirare la grande muraglia digitale. La Tsinghua University di Pechino ha chiesto agli studenti di non parlare coi giornalisti stranieri la cui identità non può essere verificata. In tanti segnalano di aver ricevuto telefonate della polizia con la richiesta di smettere di condividere materiale sulle proteste nelle chat. C'è chi racconta che sono stati «avvertiti» anche i propri genitori.

L'obiettivo è duplice: bloccare la diffusione di informazioni giudicate pericolose per la sicurezza nazionale e disconnettere i cittadini scoraggiando nuove azioni di gruppo. Il risultato è che si diffonde un senso di paranoia nel quale diventa difficile fidarsi degli interlocutori, reali o virtuali. Con la paura diffusa di finire nel mirino delle autorità. Il tutto mentre si prova a spingere la retorica delle interferenze esterne. In un video girato durante una delle proteste, si vede un giovane prendere il megafono e chiedere di fare attenzione perché «siamo circondati da forze estere anti-cinesi».

Qualcuno ha replicato: «Intendi Marx ed Engels? Qui siamo tutti patrioti».

Allo stesso tempo, si prova a mostrare di voler aggiustare almeno parzialmente le politiche anti Covid. La commissione nazione per la sanità ha chiesto ieri di revocare «in maniera tempestiva» le misure di controllo qualora possibile e promette di «gestire» le misure considerate «eccessive».

I cittadini sperano non sia solo una promessa fatta per calmare gli animi. Già in passato avevano sperato in allentamenti mai davvero avvenuti. In ogni caso non si parla di una riapertura, ma un'applicazione meno estensiva delle regole da parte delle autorità locali. «Alcune aree hanno ampliato arbitrariamente la portata delle zone e delle persone poste sotto controllo, mentre altre hanno attuato restrizioni per periodi eccessivamente lunghi», ha dichiarato Chenq Youquan del centro di prevenzione e controllo in una conferenza stampa, annunciando la creazione di task force speciali per «rettificare le restrizioni superflue».

Un modo anche per spostare l'attenzione sui funzionari provinciali. Intanto si cerca di dare impulso alla campagna vaccinale dei più anziani. Solo il 65,8 per cento degli over 80 ha ricevuto almeno due dosi. Qualche segnale dai media. Il Beijing News ha pubblicato delle interviste con dei pazienti guariti: interessante shift narrativo per ridurre preoccupazioni e stigma sociale. Ma sull'agenzia di stampa statale Xinhua resta la rivendicazione dell'efficacia della strategia generale, promossa d'altronde da Xi Jinping in persona, e la richiesta di continuare a combattere la «guerra» contro il virus: «La tenacia è vittoria». Tanti cinesi sanno però di non essere inclusi nella lista dei vincitori.

Federico Rampini per il "Corriere della Sera" il 30 novembre 2022.

Le proteste che agitano la Cina, scatenate dalle tremende restrizioni per la pandemia, in Occidente evocano il ricordo della grande rivolta di piazza Tienanmen nel 1989. I paragoni per adesso sono esagerati. L'occupazione di piazza Tienanmen da parte degli studenti che chiedevano libertà e democrazia, fu preceduta da mesi di manifestazioni con milioni di persone in piazza in tutte le città.

Era una Cina povera, dove le aspirazioni sui diritti si mescolavano a privazioni gravi: una forte inflazione aveva decurtato il potere d'acquisto. I vertici del Partito comunista erano spaccati fra correnti. Il patriarca Deng Xiaoping dovette uscire dal suo semi-pensionamento e orchestrare un golpe militare, per esautorare un premier riformista che cercava il dialogo con gli studenti.

La Cina di Xi Jinping è una superpotenza con una ricchezza economica e un livello tecnologico più vicini agli Stati Uniti. La sua popolazione gode di un benessere che nessuno immaginava 33 anni fa.

Questo progresso spettacolare è un successo dell'intera nazione, dagli operai agli imprenditori, protagonisti di un decollo economico senza precedenti nella storia umana (in queste dimensioni). Il regime si assume il merito di aver governato questo miracolo. Lo ha consentito in tanti modi, per esempio garantendo sicurezza e stabilità.

In nome di queste, ha costruito un formidabile apparato poliziesco: per decenni Pechino ha dedicato alla sicurezza interna perfino più risorse di quante ne dedicasse al riarmo dell'esercito. Le tecnologie del Grande Fratello cinese sono impressionanti. Altrettanto prezioso è il vecchio apparato dei comitati di quartiere, una rete capillare di volontari controllati dal Partito comunista.

Marxista-leninista, confuciano, tecnocratico, ma anche «partito d'ordine». Su questo tema Xi Jinping giustificò il pugno duro contro i manifestanti di Hong Kong: descrivendo quei ragazzi come teppisti anarcoidi al servizio di potenze straniere. È la narrazione revisionista che il regime ha calato sui fatti di Tienanmen: ex post, il massacro compiuto dall'esercito nel 1989 fu legittimato con il rischio che la Cina ricadesse in un disordine sanguinoso simile a quello della Rivoluzione culturale maoista.

Oggi al vertice del partito non sono visibili delle correnti in lotta. Xi ha eliminato i rivali; i fautori di linee politiche alternative sono quasi tutti in carcere, con il pretesto della lotta alla corruzione. Solo al comando, almeno per adesso, è contro se stesso che Xi deve combattere se vuole correggere gli errori che ha accumulato. Il Covid è la sfida più tremenda nell'immediato. Per una nemesi storica, il regime che ha mentito al mondo intero sulle origini della pandemia, ha mentito anche a se stesso. Xi ha descritto la politica «zero Covid» come un trionfo in contrasto con la débâcle dell'Occidente.

Si è infilato in un vicolo cieco perché «zero Covid» implica la paralisi, ripetuta e prolungata, a colpi di lockdown. Se dovesse rilassare quella strategia, in cambio della ritrovata libertà di movimento cosa si può aspettare? Il Covid ha fatto un milione di morti negli Stati Uniti (in linea con la media occidentale), per proporzione demografica dovrebbe farne quattro milioni in Cina. Ma le proporzioni non reggono perché la Cina ha ospedali più arretrati e vaccini meno efficaci.

Pechino dovrebbe replicare una «liberalizzazione controllata» sul modello dei vicini coreani, giapponesi e taiwanesi, campioni del mondo per il basso numero di vittime del Covid. Ma a Tokyo, Seul e Taipei la disciplina sociale, il rispetto delle regole e l'igiene preventiva si accompagnano a sistemi sanitari ben più evoluti. Xi ha promesso al suo Paese qualcosa che forse è impossibile, è prigioniero della sua stessa propaganda.

Gli errori si cumulano. In economia il ritorno allo statalismo coincide con un rallentamento della crescita e l'aumento della disoccupazione giovanile. In politica estera l'appoggio a Putin in Ucraina inasprisce la guerra fredda con gli Stati Uniti e accelera una crisi della globalizzazione che penalizza l'economia cinese. Parlare di un'altra Tienanmen per il momento non ha senso, però qualcuno al vertice del partito comincerà a preoccuparsi per i segnali di esasperazione nel ceto medio e tra gli studenti universitari: due constituency finora fedeli al regime.

Articolo di "The Economist" – dalla rassegna stampa estera di "Epr comunicazione" il 30 novembre 2022.

Ma mantenerla assicura una prospettiva economica negativa per il 2023 – scrive The Economist

Non tutte le aziende hanno lottato nell'era del Covid zero in Cina. Andon Health, una società quotata a Shenzhen che produce test e dispositivi medici per il Covid, ad esempio, ha registrato un aumento del 32.000% dei profitti netti nel terzo trimestre dell'anno, rispetto allo stesso periodo del 2021, grazie alla produzione di dispositivi di analisi per la Cina e l'America.

Le 35 maggiori aziende produttrici di test per il covid-19 hanno registrato un fatturato di circa 150 miliardi di yuan (21 miliardi di dollari) nella prima metà del 2022, dando vita a una nuova generazione di magnati della pandemia.

Ma al di fuori del complesso industriale cinese del covid, l'economia sta soffrendo. Le serrate e le onerose restrizioni alla circolazione hanno bloccato la fiducia dei consumatori e la crescita economica. Negli ultimi quindici giorni hanno ispirato proteste in tutto il Paese, con un'escalation di tensioni nel fine settimana. Il 27 novembre, nelle strade di Shanghai, i giovani hanno respinto la prospettiva di test e chiusure infinite, scandendo: "Non vogliamo i covid test, vogliamo la libertà".

Gli effetti economici del tentativo della Cina di liberarsi del virus non sono mai stati così chiari. La circolazione delle persone è stata severamente limitata. Nella settimana del 14 novembre, con l'aumento dei casi di covid, il numero di voli nazionali è diminuito del 45% rispetto all'anno precedente.

Le tre maggiori compagnie aeree cinesi hanno perso complessivamente 74 miliardi di yuan nei primi nove mesi del 2022. Secondo la banca d'affari australiana Macquarie, il traffico della metropolitana nelle dieci maggiori città cinesi è diminuito del 32% rispetto all'anno precedente. Gli incassi al botteghino, un indicatore della disponibilità delle persone a uscire, sono crollati del 64%. Solo il 42% dei cinema cinesi era aperto il 27 novembre. Alcuni dei cinema più grandi hanno chiuso del tutto.

Le chiusure sono ora in atto in città che rappresentano circa un quarto del PIL cinese, superando il precedente picco di circa un quinto a metà aprile, quando Shanghai fu chiusa, secondo un indice compilato da Nomura, una banca d'investimento giapponese. Il tasso di disoccupazione giovanile in Cina ha raggiunto un livello record a luglio (19,9%). Nella settimana del 25 novembre, il volume di merci trasportate su strada è stato inferiore del 33% rispetto all'anno precedente.

Con le infezioni da Covid che hanno raggiunto livelli mai visti prima, i responsabili delle politiche economiche stanno cercando di stimolare l'economia. La banca centrale ha annunciato una riduzione dei coefficienti di riserva obbligatoria degli istituti di credito. I tecnocrati hanno cercato di ridare vita e fiducia al mercato immobiliare cinese, le cui vendite sono crollate nell'ultimo anno.

Le misure di alleggerimento annunciate a metà novembre hanno cercato di aiutare i costruttori in difficoltà ad accedere al credito, in modo da poter continuare a costruire. Si prevede che il sentimento migliorerà un po' col tempo. Ma le continue chiusure e la scarsa fiducia dei consumatori probabilmente impediranno ai potenziali acquirenti di fare acquisti. E le prospettive per l'economia nel suo complesso nel 2023 appaiono sempre più cupe.

Tenere fuori il Covid una volta sembrava un buon piano. Mentre il resto del mondo soffriva per la diffusione apparentemente inarrestabile delle nuove varianti nel 2021, la Cina sembrava essere tornata in gran parte alla vita normale. I suoi decessi legati al virus sono una minuscola frazione dei decessi legati al virus nel resto del mondo.

Ma anche se altri luoghi hanno imparato a convivere con il virus nel 2022, la politica cinese in materia di Covid, a partire dalla chiusura di Shanghai, il principale centro commerciale del Paese, è apparsa del tutto disorganizzata e repressiva. I cittadini sono stati sottoposti a test infiniti. Le aziende e le aree residenziali possono essere chiuse senza preavviso. Gli spostamenti tra città e province sono diventati gravosi, con ogni governo locale che applica la propria versione di restrizioni coercitive.

Le voci di riapertura si sono rincorse per settimane, mandando in tilt i titoli cinesi. L'11 novembre il governo centrale ha emanato un elenco di 20 misure volte ad allentare le restrizioni relative al covid, come l'eliminazione della necessità di quarantena per i contatti secondari e la riduzione della quarantena per i viaggiatori in entrata da sette a cinque giorni. Le misure sono state accolte dai mercati azionari come un segno che la Cina stava pianificando l'eliminazione graduale del virus zero-covid. Ma la leadership cinese non intendeva inviare un simile segnale.

L'allentamento è stato invece solo una messa a punto della politica, volta probabilmente a renderla più sopportabile per un periodo più lungo. E anche in questo caso, gli allentamenti sono stati attuati in modo disordinato. Con l'aumento del numero di casi in molte città, i funzionari locali sono tornati ad applicare misure di blocco ampie e arbitrarie.

Con la pressione che cresce su molti fronti, i leader di Pechino devono fare i conti con l'idea che alla fine perderanno il controllo sia del virus sia della pazienza del pubblico. Il percorso da seguire è oscuro. Pochi analisti ritengono che la Cina si stia preparando a una riapertura imminente. Al contrario, molti vedono un periodo di confusione e di dolorosi errori politici immediatamente a venire. Per almeno i prossimi quattro mesi, o fino a dopo un'importante riunione politica a marzo, i leader di Pechino dovrebbero sostenere il metodo zero-covid, cercando al contempo di perfezionare i propri metodi. Questa situazione potrebbe protrarsi per gran parte del 2023 se le autorità del governo centrale non riusciranno a elaborare una strategia di uscita.

In queste condizioni, le prospettive per l'economia sono pessime. È probabile che le chiusure di aziende, aree residenziali e persino interi quartieri continuino, anche se potrebbero essere evitate le chiusure totali della città. I funzionari locali potrebbero anche farlo senza annunciare formalmente le chiusure, nel tentativo di sembrare in linea con le nuove misure di allentamento. Questo non farà che aumentare la confusione. Molti degli attuali problemi che affliggono le compagnie aeree e cinematografiche probabilmente continueranno e si estenderanno ad altre attività rivolte ai consumatori.

Le multinazionali possono aspettarsi continue perturbazioni. E anche i consumatori americani che acquistano un nuovo telefono avranno un assaggio di zero-covid. La recente chiusura di uno stabilimento cinese che assembla gli iPhone ha causato gravi disagi ad Apple. La fabbrica, che impiega 200.000 persone ed è di proprietà della Foxconn, un'azienda taiwanese, è stata colpita da un'epidemia in ottobre che ha costretto a una chiusura parziale. Il cibo scarseggiava. I rifiuti si sono accumulati. All'inizio di novembre molti dipendenti si sono dati alla fuga, saltando sui muri e percorrendo le autostrade nel tentativo di tornare a casa.

Con la pressione che cresce su molti fronti, i leader di Pechino devono fare i conti con l'idea che alla fine perderanno il controllo sia del virus sia della pazienza del pubblico. Il percorso da seguire è oscuro. Pochi analisti ritengono che la Cina si stia preparando a una riapertura imminente. Al contrario, molti vedono un periodo di confusione e di dolorosi errori politici immediatamente a venire. Per almeno i prossimi quattro mesi, o fino a dopo un'importante riunione politica a marzo, i leader di Pechino dovrebbero sostenere il metodo zero-covid, cercando al contempo di perfezionare i propri metodi. Questa situazione potrebbe protrarsi per gran parte del 2023 se le autorità del governo centrale non riusciranno a elaborare una strategia di uscita.

C'è anche la possibilità di un 2023 ancora più disordinato, in cui i casi si scatenano e le autorità sono costrette ad abbandonare lo "zero-covid". Molti osservatori cinesi sono stati allettati dalle prospettive di una fine - pianificata o forzata - di questa politica. Alcuni hanno immaginato che il Paese passerà dall'attuale stato sclerotico al business as usual, con interruzioni minime tra le due fasi. Questa prospettiva rosea non tiene conto di quello che potrebbe diventare uno dei più grandi sconvolgimenti della sanità pubblica a memoria d'uomo: una vasta recrudescenza di casi in una popolazione quasi del tutto nuova al virus.

Questo periodo potrebbe includere un rallentamento pervasivo delle attività commerciali. Sia i negozianti che gli acquirenti potrebbero scegliere di rifugiarsi a casa. Le fabbriche potrebbero smettere temporaneamente di funzionare quando le infezioni si diffondono nei reparti di produzione. La confusione politica e le incongruenze tra contee, città e province potrebbero bloccare le catene di approvvigionamento per settimane.

Alcuni funzionari locali, che negli ultimi tre anni sono stati addestrati a evitare a tutti i costi i casi di covid, probabilmente si affiderebbero a chiusure furtive per limitare la diffusione. Queste condizioni, se la trasmissione del virus avviene abbastanza rapidamente, potrebbero durare almeno un trimestre. Secondo Ting Lu di Nomura, le regioni interessate dalle chiusure in questa fase potrebbero rappresentare fino al 40% del PIL, con un calo della produzione nell'arco di uno o due trimestri.

Anche se la Cina dovesse porre fine immediatamente al regime di zero-covid, gli effetti economici positivi non si farebbero sentire prima del 2024, sostengono gli analisti della società di consulenza Capital Economics. Il periodo intermedio sarebbe caratterizzato da turbolenze e instabilità. La crescita sarebbe bassa e, a seconda di come le autorità locali attuano le restrizioni sul covid, le proteste potrebbero continuare.

Lockdown: ora Trudeau e Bassetti difendono le proteste in Cina (sconfessandosi da soli). Enrica Perucchietti su L'Indipendente il 30 novembre 2022.

«Tutti in Cina dovrebbero essere autorizzati a protestare. Continueremo ad assicurarci che la Cina sappia che sosterremo i diritti umani e le persone che si esprimono». Così il Primo Ministro canadese Justin Trudeau ha appoggiato martedì i manifestanti in Cina, difendendo il loro diritto di protestare contro la politica di "tolleranza zero" al Covid, che ha visto il susseguirsi di lockdown molto rigidi e i test Pcr quasi quotidiani della popolazione. Trudeau ha aggiunto che è importante che le autorità cinesi rispettino il diritto dei giornalisti a informare, «a fare il loro lavoro». 

Dietro l’apparente anelito per la libertà a supporto della libera informazione e delle proteste in Cina, c’è lo stesso leader politico che, pochi mesi fa, ha adottato misure repressive e liberticide contro il Freedom Convoy. Il premier canadese, che ora si appella alla libertà di protesta e di espressione, è lo stesso che tra fine gennaio e febbraio ha schiacciato con la violenza le rivendicazioni dei camionisti contro l’abolizione dell’obbligo vaccinale per i lavoratori transfrontalieri voluto dal governo. Quando la protesta si è diffusa a macchia d’olio oltreoceano ad altri Paesi, Trudeau si è visto costretto a scappare e a invocare l’Emergencies Act, un provvedimento che ha autorizzato il Governo ad adottare "misure temporanee speciali". La polizia ha inoltre represso con la violenza le proteste usando spray urticanti e granate stordenti, arrestando i manifestanti e rimorchiando i veicoli. Come se non bastasse, il governo canadese ha congelato i conti bancari di alcune persone ritenute coinvolte nelle proteste, dimostrando che l’allarme lanciato da ricercatori e attivisti negli ultimi anni era tutt’altro che una paranoia cospirazionista: con l’identità e la moneta digitali si rischia di reprimere il dissenso cancellando con un click la liquidità di coloro che dovessero manifestare contro il Sistema. 

Se tali grottesche contorsioni mentali fanno breccia su coloro che hanno la memoria corta e si sono già dimenticati le misure liberticide adottate dal governo canadese che, è bene ricordarlo, sono state tra le più radicali al mondo, a essere vittima di una simile forma di bipensiero orwelliano è, nel nostro Paese, Matteo Bassetti. 

A cinguettare un post a sostegno delle proteste cinesi e a parlare di "scintilla di libertà" è lo stesso infettivologo che, non solo non ha mai speso una sola parola a sostegno delle proteste contro il Green Pass nel nostro Paese, ma a dicembre del 2021 invocava l’obbligo vaccinale e auspicava l’intervento dei carabinieri per i No vax: «Per queste persone ci vorrebbe l’obbligo vaccinale, ma quello serio: ti mando i carabinieri a casa a prenderti». 

Lo stesso Bassetti, che ora paragona le proteste in Cina a quelle di Piazza Tienanmen del 1989 e su Facebook critica la politica cinese zero Covid, giudicandola «assolutamente sbagliata, antiscientifica, assurda e autoreferenziale», è lo stesso che nell’agosto 2021 equiparava gli scettici del siero a "terroristi": «Vanno trattati come tali, sono un movimento sovversivo, sono dei terroristi». Bassetti, che è stato complice nel processo di criminalizzazione del dissenso, ora, paradossalmente, saluta i manifestanti in Cina come eroi rivoluzionari. 

Il popolo del web si è scatenato contro Trudeau e Bassetti, rinfacciando loro, chi con rabbia e chi con ironia, la falsità mostrata e ricordando quanto da questi sostenuto fino a pochi mesi fa.

La schizofrenia delle dichiarazioni di leader ed esperti che si sconfessano da soli, sta manifestando il cortocircuito delle politiche adottate per il contrasto della pandemia, ora che sempre più studi scientifici ne stanno avvalorando non solo l’inconsistenza ma anche gli errori macroscopici che hanno portato alla costituzione di nuove forme di autoritarismo tecno-sanitario fatto di compressione delle libertà, vessazioni e discriminazioni, creando un pericoloso precedente per le democrazie occidentali.

Se cambiare opinione è assolutamente lecito, piegare la verità alle proprie esigenze, falsare il passato, ingannare l’opinione pubblica appare semplicemente un espediente retorico, una tattica propagandistica, una forma di convenienza per ricucirsi un’aura di credibilità e riciclarsi quando il castello di carte inizia a sgretolarsi perché il vento cambia. [di Enrica Perucchietti]

Guido Santevecchi per il “Corriere della Sera” il 29 novembre 2022. 

Il Partito-Stato non sta crollando in Cina. Eppure Xi Jinping e compagni tecnocrati sono finiti nel guado di una crisi economica e sociale che si sono inflitti da soli, inseguendo il sogno irrealizzabile di eliminare il Covid-19 dal territorio nazionale, per dimostrare la superiorità del modello autoritario e repressivo al «caos occidentale». 

La disobbedienza civile della gente scesa in strada a Shanghai, Pechino, Guangzhou, Wuhan e la mobilitazione simultanea degli studenti in decine di campus universitari durante il fine settimana rappresentano una sfida alle restrizioni sanitarie, che sono una scelta politica di Xi.

Non si può più dire che siano «manifestazioni senza precedenti per la Cina», perché già in primavera Shanghai era stata segnata da proteste e tafferugli, con la gente esasperata per due mesi consecutivi di lockdown, per gli ingressi dei palazzi circondati da gabbie e la difficoltà di ricevere rifornimenti alimentari, per decine di migliaia di cittadini spediti a forza nei lazzaretti. Mentre il resto del mondo si era già riaperto e aveva deciso di «convivere» con gli strascichi della pandemia, soprattutto grazie ai vaccini.

L'altra notte però, a Shanghai centinaia di persone hanno cominciato a scandire «Abbasso il Partito comunista», «Xi Jinping dimissioni», «Basta tamponi, vogliamo lavoro e diritti».

Sono le stesse parole che erano state scritte in due striscioni appesi a un ponte di Pechino nel distretto di Haidian a ottobre, pochi giorni prima del Congresso del Partito che ha consegnato a Xi il terzo mandato da segretario generale: quel giorno era stato un contestatore solitario a sfidare la polizia, lo avevano arrestato dopo pochi minuti ed è scomparso in una cella, ma le foto della sua protesta erano state diffuse sul web.

Prima dell'intervento massiccio della censura, sui social mandarini era circolato l'hashtag #HaidianPiccolaScintilla , un riferimento a una frase rivoluzionaria attribuita a Mao: «Una piccola scintilla può incendiare la prateria». Quelle parole sono rimaste nella memoria dei cinesi che domenica notte sono scesi in strada. E quando si muovono i giovani universitari per invocare libertà, il fuoco può correre. 

Se a Shanghai e Pechino i dimostranti erano poche centinaia, la settimana scorsa si era ribellata un'intera città operaia: la famosa e famigerata iPhone City di Zhengzhou dove 200 mila lavoratori assemblano gli apparecchi della Apple, confinati da settimane negli impianti per evitare la diffusione dei contagi all'esterno.

Xi Jinping ha ripreso a viaggiare, il 14 novembre è sbarcato al G20 di Bali con la moglie al fianco, senza mascherina dopo l'autoisolamento (sanitario e politico) che si era autoimposto dal gennaio del 2020. L'11 novembre il suo Politburo aveva annunciato un ammorbidimento delle restrizioni per i cinesi, per «ottimizzare l'impatto sull'economia e la vita della gente».

Ma di fronte a una ripresa della circolazione del coronavirus sono subito tornati i lockdown. La classe media è delusa, frustrata e sconcertata. Prima della pandemia 150 milioni di cinesi andavano all'estero in vacanza ogni anno: ora possono al massimo sperare di visitare parchi e musei nazionali, se non sono chiusi per precauzione. Le attività industriali e commerciali, i servizi soffrono: gli economisti prevedono che il Covid Zero porti solo crescita zero nel quarto trimestre di questo 2022. 

Sicuramente Xi sta riflettendo sulle proteste simultanee in città e università. Non può illudersi che la censura spazzi via dal web tutte le immagini e le critiche. Le forme di contestazione si rinnovano giorno dopo giorno, con la creatività degli studenti che ora sui social mettono post vuoti o con poche parole di scherno e sfida: «Tutto bene, inutile spiegare, tanto tutti sanno».

E poi ci sono quei fogli bianchi sventolati davanti a funzionari di Partito e poliziotti, per dire che anche cancellare la verità non cambia la realtà. La linea Covid Zero non funziona più, la gente è tanto esasperata da scendere in strada (e ci vuole molto coraggio a Pechino). I tecnocrati comunisti sembrano in stato confusionale, forse non avevano detto a Xi tutta la verità: è questo il rischio principale di un potere piramidale con un uomo solo al comando per molti anni. 

Inseguendo l'azzeramento dei contagi, impossibile con tutte le varianti del coronavirus che si sono succedute, la Cina ha sprecato fondi enormi per costituire un sistema di sorveglianza sanitaria che è diventato repressione: obbligo di tampone quotidiano per potersi muovere, lockdown a intermittenza, costruzione di lazzaretti, centinaia di migliaia di vigilanti in tuta bianca. Una formula che all'inizio della pandemia ha evitato molti contagi e morti ma che è insostenibile, un incubo. 

È anche probabile che Xi sia nel guado perché gli sono stati riferiti i risultati delle proiezioni degli epidemiologi cinesi e internazionali. Pechino ha perso troppo tempo e troppe risorse senza costruire una strategia di uscita dalla gabbia delle restrizioni sanitarie. Al momento i contagi sono limitati a circa 40 mila al giorno.

Ma se la Cina riaprisse ora, con i suoi vaccini meno efficaci e meno diffusi di quelli occidentali, con i suoi ospedali meno preparati, nei prossimi sei mesi si registrerebbero 363 milioni di contagi e 620 mila morti. Dopo tre anni di sofferenze per i lockdown neanche Xi potrebbe spiegare ai cinesi la gravità del fallimento, ammettendo che il Partito-Stato funziona peggio delle democrazie occidentali.

Estratto dell’articolo di Lo. Lam. per “la Stampa” il 29 novembre 2022.

[…] almeno 16 città cinesi coinvolte in proteste senza precedenti per vastità e contenuti negli ultimi decenni, una battuta d'arresto. I giovani che intonavano l'Internazionale e l'inno cinese, ma anche slogan in cui chiedevano libertà d'espressione e la fine delle restrizioni anti Covid, hanno lasciato posto alle macchine della polizia. […] La censura si è impossessata anche del web: contenuti e parole chiave sono stati bloccati, mentre i social sono stati invasi di messaggi promozionali (spesso a luci rosse) rendendo difficile la navigazione. Altri segnalano come la regia della tv cinese eviti ora di mostrare gli spalti degli stadi dei mondiali di calcio. Non mancano i cinesi che raccontano che vedendo i tifosi senza mascherine si sono sentiti «su un altro pianeta».

[…] Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, ha collegato le proteste a «forze con secondi fini». E un post su Weibo della moglie del diplomatico fa riferimento esplicito a «interferenze straniere». Altri account ultranazionalisti ripescano la teoria del complotto delle armi biologiche americane. […] nella popolazione (soprattutto urbana) si è diffuso un sentimento di sfiducia che non sarà facile dissipare. Anche perché in aiuto non arrivano i dati economici. Apple, nel frattempo, conta i danni: a causa delle proteste nello stabilimento della Foxconn a Zhengzhou, si prevede un calo di produzione di quasi 6 milioni di esemplari di iPhone Pro.

(ANSA-AFP il 28 Novembre 2022) - La polizia ha arrestato due persone oggi a Shanghai, dove i manifestanti si sono riuniti durante il fine settimana per protestare contro le restrizioni sanitarie legate al Covid e chiedere più libertà. 

Interrogato dai giornalisti sul motivo dell'arresto, un agente di polizia ha dichiarato che una delle due persone "non aveva obbedito alle nostre disposizioni", rimandando alle autorità locali per maggiori dettagli.

Gli agenti hanno anche rimosso altre persone presenti sulla scena e ordinato loro di cancellare immagini dai loro telefoni. I manifestanti si sono riuniti ieri a Shanghai per protestare contro la rigida politica 'zero Covid' applicata in Cina da quasi tre anni, ma anche per chiedere maggiori libertà politiche. 

Sono scoppiati scontri con la polizia e molte persone sono state arrestate. La polizia di Shanghai, interrogata più volte, non ha ancora risposto sul numero di fermi durante il fine settimana. 

(ANSA-AFP il 28 Novembre 2022) - L'emittente britannica Bbc ha dichiarato che uno dei suoi giornalisti in Cina, che stava seguendo le proteste a Shanghai contro la politica draconiana del regime 'zero Covid', è stato arrestato e "picchiato dalla polizia". "La Bbc è molto preoccupata per il trattamento del nostro giornalista Ed Lawrence, che è stato arrestato e ammanettato mentre copriva le proteste a Shanghai", ha detto un portavoce del gruppo in una dichiarazione. 

Il reporter ha affermato di essere "stato picchiato e colpito dalla polizia" mentre lavorava come giornalista accreditato nel Paese. Centinaia di persone hanno manifestato questo fine settimana in Cina in diverse grandi città, tra cui Shanghai e Pechino, per protestare contro i confinamenti e le restrizioni imposte dalle autorità per combattere l'epidemia di coronavirus.

Il portavoce ha spiegato che la Bbc non ha avuto "nessuna spiegazione ufficiale o scuse da parte delle autorità cinesi, al di là di un'affermazione da parte di funzionari, che successivamente lo hanno rilasciato, che lo avevano arrestato per il suo bene nel caso avesse preso il Covid tra la folla".

Gaia Cesare il 28 Novembre 2022 su Il Giornale.  

Da Shanghai a Nanchino, da Pechino a Wuhan. La Cina si ribella alla politica «zero-Covid» del regime, che da tre anni, quasi senza interruzioni, impone durissime restrizioni per contrastare i contagi.

I cittadini scendono in strada contro la linea del governo comunista, in proporzioni che non si erano mai viste nei dieci anni di potere del presidente Xi Jinping. Era successo sabato, si è bissato ieri, con conseguenti tensioni, arresti e disordini con la polizia, tanto che a Shanghai un giornalista della Bbc, Edward Lawrence, è stato bloccato con la forza da diversi agenti mentre stava facendo riprese video e poi arrestato. 

«La libertà prevarrà», «Partito comunista dimettiti» e «Xi dimettiti» sono alcuni degli slogan urlati da migliaia di cinesi nelle proteste in diverse città. Parole pesantissime in un Paese che non conosce diritti e libertà civili e in cui si rischia l'arresto per la semplice manifestazione del proprio dissenso contro il Partito comunista e i suoi vertici. 

Per evitare di alimentare la rabbia della popolazione, l'emittente di Stato cinese ha deciso nel suo stile, attraverso la censura, di tagliare le immagini dei Mondiali di calcio in Qatar in cui si vedono spettatori senza mascherina. Un sogno per i cinesi, che dal 2019 vivono in perenne stato di emergenza, costretti alla reclusione al minimo contagio, una condizione che ha fatto crescere insofferenza e depressione, nonostante i numeri ufficiali siano bassi: 39.791 casi rilevati dalla Commissione sanitaria nazionale, di cui ben 36.082 sono asintomatici. 

A fare la differenza rispetto al resto del mondo è stato l'approccio del regime, che non ha mai cambiato strategia dall'esplosione della pandemia e intende proseguire sullo stesso sentiero, quarantene e lockdown, come ha confermato il presidente Xi all'ultimo Congresso del Pcc. Il malcontento esplode dopo tre anni di insofferenza per le misure draconiane imposte da Pechino, che ancora oggi costringono milioni di cinesi a isolamento, quarantene e chiusure totali, mentre nel resto del mondo si è tornati alla normalità. 

Sia nella capitale sia a Shanghai, la città più popolata della Cina e suo principale centro finanziario, si sono svolte veglie in ricordo delle vittime dell'incendio di Urumqi, nella regione dello Xinjiang, costato la vita a 10 persone. La tragedia, secondo molti, si sarebbe potuta evitare se i residenti avessero potuto scappare attraverso parti dell'edificio che erano invece state chiuse a causa delle norme anti Covid.

Le autorità negano che la tragedia sia dovuta alle restrizioni, eppure a Urumqi i funzionari si sono scusati, dopo le proteste e i video che hanno mostrato molte persone bloccate in casa per i controlli anti Covid, e hanno allentato le misure e promesso di punire chi non ha fatto il proprio dovere. Nello Xinjiang 4 milioni di residenti hanno subìto chiusure totali e isolamento per 100 giorni, uno degli stop più lunghi. 

Ma la rabbia attraversa l'intera Cina. All'università Tsinghua, uno dei più prestigiosi atenei di Pechino, 300 studenti hanno protestato dopo aver affisso un foglio bianco, il nuovo simbolo delle proteste anti lockdown. Anche a Wuhan, città simbolo da cui si è diffusa la pandemia, centinaia di manifestanti sono scesi in strada.

Sono numerosi i casi che hanno scosso l'opinione pubblica. Il padre di una bimba di 4 mesi è convinto che la figlia non sarebbe morta se avesse ricevuto cure mediche senza un ritardo di 12 ore, motivato da un test «negativo», a causa del quale la piccola è stata giudicata «non urgente». Anche ai familiari di un bimbo di 4 anni, avvelenato da monossido di carbonio, è stato impedito di recarsi in ospedale in tempo, a causa delle restrizioni.

In Cina quella contro le restrizioni sta diventando una vera rivolta. Iris Paganessi su L'Indipendente il 24 Novembre 2022

Questa volta la censura cinese non è riuscita a bloccare i video di Zhengzhou e le immagini, ormai virali, hanno dell’incredibile per un Paese come la Cina, dove proteste di questa portata sono a dir poco inusuali.

Il maxi-stabilimento Foxconn, dove viene assemblato il 70% degli smartphone Apple, è tornato sotto i riflettori a causa dei forti scontri tra i migliaia di dipendenti della fabbrica e il personale di sicurezza. La rabbia degli operai sarebbe stata scatenata dalla frustrazione per le severe restrizioni anti-Covid e dalla richiesta di lavoro extra per il pagamento dei bonus promessi. I disordini poi si sono spostati in strada dove le telecamere hanno ripreso camionette ribaltate, cabine dei test anti-covid distrutte e residenti armati di pali colpire gli agenti che tentavano di proteggersi con gli scudi.

Nelle scorse settimane il colosso cinese, che nel suo complesso di Zhengzhou conta oltre 200.000 dipendenti, era già stato teatro di dissensi quando, in seguito ad una serie di casi Covid nel campus della filiale, centinaia di lavoratori erano scappati dallo stabilimento nonostante le restrizioni imposte dal governo lo vietassero.

Ieri, in seguito alla nuova ondata di proteste, Foxconn si è scusata con i suoi dipendenti e ha dichiarato che il mancato bonus e le nuove assunzioni sarebbero dovute ad un "errore tecnico". Dopo gli ultimi avvenimenti, infatti, il maxi stabilimento starebbe cercando di rimediare alla fuga dei suoi ex lavoratori, ingaggiando nuova forza lavoro.

Rimane incerto il numero dei partecipanti alla protesta, chi l’abbia fatta iniziare, la durata della manifestazione e come si sia conclusa. Alcuni video, tuttavia, hanno mostrato un trasferimento massiccio di forze dell’ordine a Zhengzhou, presumibilmente chiamate per reprimere con forza le manifestazioni.

Nel frattempo Pechino continua a perseguire la politica "Zero Covid" e nuovi lockdown si diffondono in tutto il Paese. Ai residenti dei quartieri interessati è stato imposto di rimanere a casa per cinque giorni a partire da ieri. L’uscita è consentita solo per l’acquisto di cibo, cure mediche e per i test di massa anti-Covid. Il governo ha parlato di "guerra di annientamento" contro il virus, ma le immagini parlano chiaro: la Cina è stanca e la politica "Zero Covid" non è più tollerata. [di Iris Paganessi]

DAGONEWS il 16 novembre 2022.

Caos nella città cinese di Guangzhou dove migliaia di persone sono scese in strada per protestare per le restrizioni e contro la fallimentare strategia Covid zero del governo.

In un filmato si vedono anche alcuni manifestanti che ribaltano l’auto della polizia e buttano a terra le barriere covid. 

Guangzhou, che ospita quasi 19 milioni di persone, è al centro di  alcuni focolai di Covid:  il numero di casi è in aumento negli ultimi giorni e i contagi giornalieri in città hanno superato per la prima volta i 5.000 casi, facendo pensare che potessero essere in arrivo nuove restrizioni. 

Dopo le restrizioni, la tensione è aumentata nel distretto di Haizhu, sede di dozzine di mercati tessili all'ingrosso e di migliaia di piccole imprese che danno lavoro a decine di migliaia di lavoratori migranti provenienti da altre parti della Cina.

Le restrizioni sono scattate quando i lavoratori si sono affrettati a raggiungere le fabbriche per garantire le forniture per il festival dello shopping online l'11 novembre.

Prima che la rabbia dell'opinione pubblica ribollisse lunedì notte, residenti e imprenditori avevano aggirato i cordoli del governo avventurandosi fuori dai loro distretti in lockdown e contrabbandando i loro beni, secondo un funzionario della commissione sanitaria di Guangzhou all'inizio di questo mese, che ha denunciato le attività illegali. 

Radio Free Asia ha riferito che i lavoratori scontenti hanno protestato anche in diversi centri industriali vicini, tra cui Kangle, sempre nel distretto di Haizhu, e Tangxia, nel distretto di Tianhe.

Diversi post su Weibo hanno denunciato i manifestanti, principalmente lavoratori migranti dalla provincia di Hubei, per la "rivolta", ma un utente ha sottolineato come il lockdown e il divieto ai lavoratori migranti di tornare a casa per le restrizioni protratte per quasi tre anni stavano "facendo impazzire le persone. Alcuni lavoratori si sono suicidati”.

Seicentomila cinesi in trappola nella città-prigione degli iphone. La fabbrica di Zhengzhou isolata per le politiche di “covid-zero”. Gli operai tentano la fuga. Alessandro Fioroni su Il Dubbio il 3 novembre 2022.

Foxconn è la multinazionale di Taiwan che produce circa il 70% degli iPhone del mondo, la maggior parte dei quali nello stabilimento di Zhengzhou, in Cina, dove impiega circa 200mila persone. Un colosso enorme che in questo momento sta scontando una gravissima crisi a causa dei casi di Covid 19 che sono stati registrati nella città.

Le misure del governo cinese sono note, Covid zero e lockdown rigidissimo e generalizzato. Un modo per mostrare quanto il partito comunista cinese sia in grado di assicurare la sicurezza dei cittadini ma che blocca praticamente tutte le attività economiche e provoca vere e proprie tragedie come quella che si sta verificando in uno dei più grandi stabilimenti del pianeta. Qui i lavoratori non appena si è diffusa la notizia dei primi casi hanno tentato di scappare dalla fabbrica che si stava trasformando in una prigione. Ma l’esodo si e rivelato una fuga disperata che ha visto migliaia di lavoratori sfondare i blocchi con scene di panico, in molti sono rimasti feriti mentre cresceva il timore di un intervento dell’esercito. Il timore che i lavoratori in fuga potessero diffondere il virus ha infatti portato le autorità a chiudere le principali strade e la via del ritorno e diventato un inferno. In migliaia ammassati all’aperto senza cibo e acqua, praticamente dei clandestini.

Ancora adesso la Cina centrale è percorsa da uomini e donne che viaggiano a piedi e la rabbia contro la quarantena sta aumentando. Dunque nonostante l’approccio inflessibile contro il Covid la paura, e l’ignoranza (il terrore è stato più forte dei vaccini) stanno mettendo alla corda il combinato disposto Stato e impresa. Il governo dovrà quindi assumersi la responsabilità di ciò che sta succedendo così come la Foxconn, che ha eseguito pedissequamente le disposizioni di legge. I lavoratori pensano di perdere l’impiego oppure semplicemente di non recuperare gli effetti personali abbandonati nei dormitori. In molti si aspettano di aver perso i bonus di presenza che aumentano la retribuzione dopo aver fatto un certo numero di giorni di lavoro di fila. La Foxconn ha annunciato, suo malgrado e solo dopo questa tragedia, che coloro che vogliono andare potranno partire su autobus sicuri organizzati in coordinamento con altre città, anche se e stato promesso di quadruplicare i benefit in caso di permanenza nell’impianto.

Ma la vicenda ha anche scoperchiato il lato oscuro della compagnia. La fabbrica di Zhengzhou, è finita sotto la lente d’ingrandimento dell’organizzazione no-profit China Labour Watch che sta portando alla luce, grazie anche alle testimonianze delle persone fuggite, le drammatiche condizioni di lavoro. I salari sono infatti a livelli insufficienti per vivere a Zhengzhou, e alle basse retribuzioni si aggiunge lo sfruttamento di studenti lavoratori per soddisfare gli ordini nei periodi di picco della domanda. Orari massacranti e vessazioni dei capi per una fabbrica che lavora a circuito chiuso senza mai fermarsi. E dove ci sono stati numerosi suicidi. I primi casi nel 2007, ma il picco si è registrato in due mesi, tra marzo e maggio del 2010, con dieci morti. Addirittura l’azienda ha fatto installare enormi reti all’esterno degli edifici per impedire di gettarsi nel vuoto. Nonostante l’ammissione si facevano firmare ai dipendenti carte nelle quali la multinazionale si sollevava dalla responsabilità un possibile suicidio in modo da evitare il risarcimento alle famiglie.

Scene dalla Cina, il Paese dei lockdown senza fine. Iris Paganessi su L'Indipendente il 2 Novembre 2022

Due anni dopo lo scoppio della pandemia da Coronavirus, la Cina continua a rincorrere la folle politica “Zero Covid”, nonostante il malcontento della popolazione. Gli ultimi malcapitati ad aver subito la rigidità di questa politica sono stati i visitatori del resort Disney di Shanghai, i dipendenti della fabbrica Foxconn di Zhengzhou e i clienti di Ikea a Shanghai.

Il blocco del resort Disney di Shanghai

Durante lo scorso fine settimana le immagini, diventate virali sui social, hanno ripreso il panico dei visitatori del resort Disney di Shanghai che – per la seconda volta in dodici mesi – sono rimasti intrappolati all’interno del parco. I video mostravano gli ospiti che si precipitavano ai cancelli chiusi del resort, nel tentativo di sfuggire al blocco annunciato poco dopo le 11:30 dagli operatori, nel rispetto delle normative Covid. Nel frattempo, il governo di Shanghai su WeChat annunciava il divieto di entrata o uscita dal parco a tutte le persone, con quelle ancora all’interno che avrebbero dovuto essere testate (tre volte in tre giorni) e dimostrare di essere negative prima di poter uscire.

Il parco era stato chiuso per due giorni anche lo scorso novembre con oltre 30.000 visitatori bloccati all’interno, dopo l’ordine delle autorità che imponeva che tutti fossero testati.

La fuga dei lavoratori dalla fabbrica Foxconn di Zhengzhou, Henan

A queste scene hanno seguito quelle di una fuga di massa dei dipendenti della fabbrica Foxconn di Zhengzhou, chiusa in seguito ad una serie di casi accertati nel campus della filiale.

I video condivisi sui social mostravano centinaia di persone che scavalcano le recinzioni dello stabilimento, trasportando i loro effetti personali, dopo l’annuncio di un focolaio e della conseguente quarantena per una parte della forza lavoro.

La Foxconn, che nel suo complesso di Zhengzhou conta circa 200.000 dipendenti, non ha rivelato il numero dei lavoratori positivi, né quello di coloro che se ne sono andati ed ha dichiarato che non avrebbe impedito loro di lasciare l’azienda. La fuga dei dipendenti è avvenuta tra le esortazioni delle città vicine a presentarsi alle autorità locali prima di tornare a casa ed il sostegno dei residenti delle stesse che, lungo le strade hanno lasciato loro acqua, provviste e cartelli. “Per i lavoratori Foxconn che tornano a casa”. A dimostrazione del crescente malcontento del popolo cinese nei confronti della politica “Zero Covid”.

Un contatto diretto di un caso Covid scatena il panico all’Ikea di Shangai

Si parla ancora di Shangai, questa volta in un negozio Ikea. Nel weekend la notizia di un “contatto diretto” registrato all’interno del centro commerciale ha scatenato la fuga di centinaia di clienti, che non volevano ricascare nei meccanismi di quarantena forzata che da mesi paralizzano la città cinese. I video, diventati virali sui social, hanno ripreso le urla e le spinte delle persone che, prese dal panico, hanno tentato di uscire dall’edifico prima che le porte venissero chiuse.

Tutti coloro che si trovavano all’interno si sono dovuti sottoporre a due giorni di quarantena e cinque giorni di sorveglianza sanitaria.

Il crescente malcontento cinese

I vari blocchi, che da mesi terrorizzano e paralizzano i cittadini cinesi, sono dovuti alla rigida politica “Zero Covid” che il governo ha imposto. La strategia cinese si basa su test di massa, quarantene infinite e persino il confinamento di interi quartieri o città. Il tutto per realizzare l’irraggiungibile obiettivo del governo: eliminare la totale presenza del covid-19 sul territorio cinese.

A causa di questa politica, all’inizio di quest’anno, Shangai è rimasta bloccata per due mesi e le condizioni di vita che i cittadini si sono trovati ad affrontare hanno provocato un sentimento molto diffuso di rabbia e malcontento. In quel periodo, infatti, oltre ad essere segregati in casa o nei centri adibiti alla quarantena di massa, gli abitanti di Shangai facevano fatica a procurarsi persino cibo, acqua (che a Shangai non è potabile) e medicine.

Molti residenti si aspettavano che con il congresso del Partito Comunista della scorsa settimana la politica “Zero Covid” potesse essere allentata, ma le dichiarazioni di Xi Jinping, il segretario generale, hanno distrutto qualsiasi speranza. Il leader cinese, infatti, ha ribadito il proprio impegno nella risposta alla pandemia per un futuro indefinito; nonostante la politica “Zero Covid” abbia danneggiato l’economia e il tessuto sociale del Paese.

In questi mesi sui social se ne sono viste di tutti i colori. I post raffiguravano clienti, turisti e lavoratori in fuga da edifici di ogni tipo, che schiacciavano la sicurezza per scappare prima di essere rinchiusi, molto spesso per una manciata di contagi. Nonostante questo però il presidente cinese ha esaltato la controversa politica “Zero Covid” che, a suo dire, è stata un grande successo, in quanto ha «privilegiato la vita umana», evitando molti morti. [di Iris Paganessi]

Estratto dell’articolo di Erminia Voccia per “il Messaggero” l'1 novembre 2022.

Le rigidissime restrizioni anti Covid in Cina continuano a mettere sotto pressione cittadini e lavoratori, mentre il resto del mondo sta imparando a convivere con il virus. Lunedì mattina, intorno alle 11:30, il Disney Resort di Shanghai è stato chiuso all'improvviso, come misura precauzionale, lasciando i visitatori intrappolati all'interno dei cancelli.

Il parco aveva appena riaperto dopo quasi 3 mesi di chiusura al pubblico a seguito del severo lockdown iniziato la scorsa primavera. Nessuno poteva entrare o uscire. È stato stabilito che per lasciare il parco divertimenti sarebbe stato necessario mostrare il referto di un test negativo. Dopo l'annuncio, è cominciata la fuga forsennata verso le uscite, le persone hanno abbandonato immediatamente le attrazioni e i negozi delle vie dello shopping ma hanno trovato tutti i gate già bloccati.

Inoltre, chi ha visitato il Disney Resort a partire dal 27 ottobre è tenuto a sottoporsi a 3 test per 3 giorni consecutivi. […] Sabato scorso, a Shanghai, erano stati accertati 10 contagi trasmessi localmente. Tanto è bastato per imprigionare di nuovo i visitatori. Sempre al Disney Resort di Shanghai, un anno fa, a inizio novembre, in 34mila erano stati bloccati fino a notte fonda.

Invece, a Zhengzhou, nello stabilimento della Foxconn, azienda taiwanese dove vengono prodotti gli iPhones per conto di Apple, per quasi 200mila dipendenti è stato deciso il confinamento all'interno della struttura. Così, in tantissimi, lavoratori migranti, hanno scavalcato le recinsioni in ferro per poter tornare a casa nelle città vicine. […] Ad agosto, sempre a Shanghai, dipendenti e clienti del negozio Ikea avevano tentato di scappare dopo l'imposizione di un lockdown immediato dell'edificio. La scorsa settimana, a Zhengzhou, capitale della provincia di Henan, i contagi erano stati 167, 97 in più rispetto a 7 giorni prima. Così, la metropoli da quasi 10 milioni di abitanti è finita in un confinamento parziale.

[…] Foxconn ha fatto sapere che non avrebbe ostacolato queste fughe ma l'azienda si è già messa al lavoro per permettere un rientro ordinato del personale. Un rientro quanto mai necessario perché le stime relative allo stabilimento, dove vengono prodotti anche gli ultimi modelli di iPhone 14, riferiscono di un calo della produzione pari ad almeno il 30% previsto per il mese di novembre. […]

Da leggo.it il 6 settembre 2022.

C'è il terremoto, ma uscire è vietato per il lockdown legato alla pandemia di Covid: e i residenti vanno nel panico, con scene di disperazione immortalate sui social. Ha dell'incredibile quanto sta avvenendo in Cina nella città di Chengdu, capoluogo della provincia sudoccidentale di Sichuan, colpita ieri da una scossa di terremoto di magnitudo 6.6 che ha ucciso almeno 65 persone.

Ad alcuni residenti è stato impedito di fuggire dalle loro abitazioni a causa del lockdown deciso per contenere il Covid: le autorità cinesi hanno imposto il blocco nella città fin dalla scorsa settimana in nome della politica 'Zero Covid', provvedimento che nemmeno il sisma è riuscito ad allentare, suscitando rabbia e incredulità nei cittadini. Alcuni residenti a Chengdu, che ospita 21 milioni di abitanti, affermano che ieri è stato detto loro di rimanere all'interno delle proprie abitazioni - riferisce la Bbc - e quando hanno provato a uscire hanno trovato le porte chiuse.

Secondo quanto previsto dalla politica 'Zero Covid', i condomini in cui almeno una persona è risultata positiva vengono designati come «aree sigillate» e ai residenti è vietato mettere piede fuori dalle proprie case, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno il virus. I video condivisi su Douyin, la piattaforma cinese TikTok, mostrano residenti in preda al panico dietro cancelli incatenati, che gridano per uscire. 

In uno di questi un uomo urla alle guardie di sicurezza, facendo tintinnare quelli che sembrano essere i cancelli del suo appartamento e cercando di aprirlo: «Sbrigati, apri la porta, è un terremoto!». In risposta, le guardie dicono: «È finita, il terremoto è già passato».

Da rainews.it il 10 maggio 2022.

“Non pensiamo che sia sostenibile” la politica zero-Covid della Cina, "considerando il comportamento del virus". Lo ha detto oggi in una conferenza stampa il direttore dell'Organizzazione mondiale della sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus. Parlando dopo Tedros, il direttore dell'Oms per le emergenze Mike Ryan ha affermato che anche l'impatto  delle politiche di contrasto della pandemia sui diritti umani deve essere preso in considerazione, oltre a quello sull'economia 

La Cina è sempre rimasta fedele alla strategia intrapresa a inizio 2020, mentre pressoché qualsiasi altro paese al mondo ha scelto la convivenza con il virus per riaprire le proprie economie e ripristinare le libertà personali. Ogni volta che si scatena un focolaio di coronavirus, anche piccolo, le autorità mettono in lockdown aree anche ampie. Shanghai, una città di 25 milioni di persone, è chiusa da quasi sei settimane.

Uno studio pubblicato oggi su Nature Medicine indica che il rischio di salute pubblica conseguente all'abbandono dello “zero-Covid” potrebbe essere notevolmente mitigato concentrandosi su altri interventi come la vaccinazione degli anziani: "Il livello di immunità indotto dalla campagna di vaccinazione del marzo 2022 è insufficiente per prevenire un'ondata Omicron": solo il 50% circa degli ultraottantenni in Cina è vaccinato, avvertono i ricercatori provenienti dalla Università Fudan di Shanghai e dal National Institutes of Health degli Stati Uniti. 

"La disponibilità di vaccini e farmaci antivirali offre l'opportunità di abbandonare lo zero-Covid. Non capisco cosa stiano aspettando", ha affermato Ben Cowling, un epidemiologo dell'Università di Hong Kong. Di contro, in una lettera sull'ultimo numero di The Lancet, un team di medici di Shanghai prospetta “conseguenze inconcepibilmente gravi” se il virus fosse lasciato circolare. 

Lo scontro tra Oms e Pechino sulla strategia zero Covid. Federico Giuliani su Inside Over il 13 maggio 2022.

Il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus, è stato chiaro: la politica zero Covid perseguita dalla Cina “non è sostenibile”. Pronta la risposta di Pechino che dopo poche ore, per bocca del portavoce del ministero degli Esteri, Zhao Lijian, ha bollato queste critiche “irresponsabili”.

Sembra passata un’eternità dalla visita di Ghebreyesus oltre la Muraglia, avvenuta nel gennaio 2020, quando il mondo intero doveva ancora scoprire gli effetti della pandemia di Sars-CoV-2. In un surreale faccia a faccia con Xi Jinping, un leader abituato ad avere sempre in pugno il controllo degli eventi, il direttore dell’Oms osservò da vicino un capo di Stato preoccupato ma determinato a vincere la battaglia contro il virus. “Il virus è il diavolo. Non gli permetteremo di nascondersi. L’Oms e la comunità internazionale forniranno un’attenta valutazione. La Cina è fiduciosa di poter vincere la battaglia contro il virus”, dichiarò Xi.

Nei mesi successivi la Cina ha sempre agito di concerto con l’Oms, al punto che l’agenzia sanitaria dell’Onu è finita più volte nell’occhio del ciclone, accusata perfino di connivenza con il governo cinese. Oggi i tempi sembrano decisamente cambiati.

Le critiche di Ghebreyesus

“Quando si parla di strategia zero Covid, non pensiamo che sia sostenibile, considerando il comportamento del virus in questo momento e quello che ci aspettiamo in futuro. È molto importante passare a una strategia diversa”, ha detto il direttore dell’Oms durante una conferenza stampa dell’Organizzazione mondiale della sanità a Ginevra.

Per un certo periodo questa strategia – che consiste, come dice il suo nome, nel registrare zero casi di Covid – ha consentito alla Cina di rilevare un numero molto ridotto di morti rispetto alla sua popolazione. Eppure, ha aggiunto Michael Ryan, direttore per le Emergenze Oms, “tutte queste azioni, come abbiamo ripetuto dall’inizio, devono essere intraprese nel rispetto delle persone e dei diritti umani”.

Chiaro il riferimento al pugno durissimo recentemente adottato dalla Cina per stroncare sul nascere la diffusione del virus a Shanghai e Pechino. Ryan ha chiesto “politiche dinamiche, adattabili e flessibili”, perché la mancanza di adattabilità ha dimostrato durante questa pandemia che può causare “molti danni”.

La replica della Cina

Dicevamo della risposta cinese. Le annotazioni fatte dall’Oms non sono affatto piaciute a Pechino. La Cina – questo il riassunto della posizione cinese – auspica che la comunità mondiale possa guardare al suo modello di prevenzione e controllo delle epidemie in modo “obiettivo e razionale”, astenendosi dal formulare “osservazioni irresponsabili”, ha affermato il portavoce Zhao Lijian, secondo cui le misure cinesi derivano da calcoli razionali e scientifici.

Durante un incontro con la stampa, Ghebreyesus ha affermato, tra le altre cose, di aver affrontato la questione anche con gli esperti cinesi, evidenziando l’importanza di procedere ad un aggiornamento del protocollo sanitario. Le dichiarazioni di Tedros Adhanom Ghebreyesus sono state rilanciate oggi anche dalle Nazioni Unite tramite un post sul social Weibo, oscurato dalla Repubblica popolare.

E pensare, come detto, che il direttore dell’Oms è stato ripetutamente accusato dagli Stati Uniti, in particolare durante la presidenza di Donald Trump, di essere molto vicino a Pechino e di aver ostacolato le indagini sull’origine del coronavirus. Il punto è che le parole del capo dell’Oms risultano essere in contrasto con la linea Covid zero confermata la scorsa settimana dai membri del Comitato Permanente del Politburo cinese, tra cui Xi Jinping. La promessa della leadership cinese è chiara, così come l’obiettivo: vincere la battaglia di Shanghai contro il virus adottando il modello cinese.

(ANSA l'11 aprile 2022) - Il Dipartimento di Stato americano ha ordinato a tutto il personale non essenziale di lasciare la città di Shanghai a cause dell'emergenza Covid-19. Lo si legge in una nota sul sito del dipartimento. 

Tre giorni fa aveva soltanto autorizzato lo staff non essenziale del consolato e le loro famiglie a partire e sconsigliato ai cittadini americani di recarsi nella metropoli dove da cica due settimane è in vigore un rigidissimo lockdown. 

Gli Stati Uniti hanno ordinato a tutti i dipendenti non essenziali del consolato americano a Shanghai di lasciare la metropoli a causa di un picco di casi di Covid, si legge nella nota. I diplomatici statunitensi hanno sollevato "preoccupazioni per la sicurezza e il benessere dei cittadini americani con i funzionari cinesi", ha detto il portavoce del dipartimento di Stato, Ned Price.

Guido Santevecchi per corriere.it il 23 aprile 2022.

Risalgono i casi di Covid-19 a Shanghai (23.370 oggi) e la fine del lockdown si allontana di nuovo. Dal punto di vista biologico la sottovariante Omicron BA.2 che ha aggredito Shanghai e l’ha spinta in lockdown non è differente da quella che circola nel resto del mondo. 

Nelle nostre città, come nella megalopoli cinese, prevalgono i casi asintomatici. Simile anche l’andamento dell’ondata: una impennata dei contagi, poi una stabilizzazione dei numeri e infine una discesa senza curva. Però, se si guardano i numeri, Shanghai e la Cina stanno affrontando una pandemia diversa da quella che il resto del mondo ha deciso di gestire senza più blocchi e chiusure. L’ondata a Shanghai è cominciata l’1 marzo e fino al 17 aprile, quando i contagi avevano superato quota 350 mila, le autorità non avevano riscontrato alcun decesso, solo una decina di pazienti in condizioni critiche.

Da giorni, però, sui social media circolavano voci su decine di morti causate dal Covid-19 in ospedali geriatrici: testimonianze dettagliate sono state raccolte dal Wall Street Journal e dalla Bbc. Ma i funzionari politici tacevano. Pochi contagi sintomatici, nessun morto. Xi Jinping che chiedeva di ridurre al minimo l’impatto del Covid-19 sulla ripresa dell’economia. Eppure, dopo aver escluso la possibilità di fermare Shanghai, cuore finanziario e commerciale della Cina, il 28 marzo le autorità hanno deciso il lockdown. 

Il lockdown di Shanghai sarebbe dovuto durare otto giorni in tutto, ma prosegue a oltranza da quasi un mese. La mancanza di decessi e l’altissima percentuale di asintomatici hanno alimentato i dubbi degli shanghaiesi su una strategia sanitaria estrema: 26 milioni di cittadini chiusi in casa, carenze nell’approvvigionamento di generi di prima necessità, condizioni da lazzaretto nei centri di quarantena. Sui social network sono stati fatti circolare video di contestazioni senza precedenti per Shanghai.

Forse per convincere la gente della pericolosità della situazione virale, il 18 aprile la Commissione sanitaria di Shanghai ha comunicato i primi decessi: tre malati tra gli 89 e i 91 anni che soffrivano di gravi patologie pregresse. Dal 18 aprile il conto dei decessi è arrivato a 48, sempre descritti come pazienti tra i 65 e i 101 anni e con malattie croniche sulle quali si sarebbe innestato il Covid-19. Quindi, dall’1 marzo quando furono registrati i primi contagi di questa ondata (32) a oggi, quando il totale dei positivi individuati è salito a 466.000, i morti sono solo 48. Per fare un paragone, ieri in Lombardia sono stati contati 9.195 casi e 36 morti.

I numeri della pandemia in Cina sono controversi: per i primi due anni le autorità hanno censito solo i casi sintomatici. In questa nuova ondata hanno deciso di comunicare anche quelli asintomatici, che sono circa il 95% del totale. Per quanto riguarda i morti, dal 2020 a inizio 2022 la Cina ne aveva contato 4.600: 3 morti per milione di abitanti; gli Stati Uniti 970 mila morti: 2.900 per milione di cittadini. 

Per mesi, il governo di Pechino ha propagandato la superiorità del modello di controllo «Tolleranza Zero» rispetto al «caos occidentale». Dopo il disastro di Wuhan (dove tra gennaio e fine marzo del 2020 sono stati registrati quasi tutti i 4.600 morti cinesi), solo Hong Kong è stata aggredita da un’ondata letale di questa pandemia. È stata probabilmente l’enorme impressione creata dall’esempio di Hong Kong a spingere il governo centrale della Cina a imporre il primo lockdown a Shanghai il 28 marzo e a mantenerlo a tempo indeterminato. Tra i 7,2 milioni di abitanti di Hong Kong l’ondata di febbraio-marzo ha causato circa 1,2 milioni di contagi e 9.000 morti, il sistema ospedaliero è stato sopraffatto.

Shanghai è la città più ricca della Cina continentale, vanta uno sviluppo e un tenore di vita paragonabile a quello di Hong Kong; anche la percentuale di anziani e quella dei vaccinati in tutte le fasce di età sono simili tra le due metropoli, sono uguali i tipi di vaccino somministrati (quelli sviluppati dall’industria farmaceutica di Pechino, che offrono una protezione di alcuni punti percentuali al di sotto di quelli occidentali).

Possibile una differenza così pronunciata nella curva di letalità del Covid-19? A Hong Kong 9.000 morti; a Shanghai che ha oltre il triplo degli abitanti solo 48. Uno studio appena pubblicato dalla rivista scientifica “The Lancet” ha rilevato che dal gennaio 2020 e fino allo scorso novembre nel mondo sono state registrate in media 195 morti da SARS-CoV-2 per 100.000 unità di popolazione (298 negli Stati Uniti; 376 in Russia; 188 in Germania; 168 in Gran Bretagna; 375 in Italia; 315 in Spagna; 76 in Giappone). Ci sono differenze nel conteggio dei decessi, com’è noto si discute su «morti per Covid» e «morti per i quali il Covid sia stato un fattore aggiuntivo». Ma comunque si conti, il dato cinese risulta sorprendente: 1 morto su 100.000.

Covid, quaranta persone in lockdown su un autobus a Shanghai. Virale il video della donna che chiede cibo e acqua. Il Tempo l'11 aprile 2022.

Più di quaranta persone sono rimaste bloccate in un autobus a Pudong nella zona di Shanghai. Il veicolo sarebbe stato bloccato a causa del lockdown per il Covid. Il video di una donna che ha dato in escandescenze è diventato virale. La cinese si è messa a gridare dicendo che i passeggeri sono bloccati dalla scorsa notte, senza cibo e senza niente da bere. 

La rabbia dei residenti di Shanghai sottoposti a lockdown dal 28 marzo scorso sta crescendo ogni giorno di più. Scene di caos e tensioni tra i cittadini e il personale sanitario e di sicurezza della metropoli dove vivono 26 milioni di persone. I video circolanti sui social media hanno ripreso scene di saccheggio dei residenti di alcune aree, mentre in altri casi i cittadini si sono recati direttamente davanti alla sede di una stazione di polizia, violando quindi l’isolamento domiciliare: davanti al personale in tuta bianca e ai funzionari in divisa, hanno urlato la loro rabbia per le condizioni a cui sono sottoposti da settimane, e per l’assenza di consegne di generi alimentari e di prima necessità, uno dei maggiori problemi con cui le autorità della metropoli cinese hanno avuto a che fare in questi giorni. 

L’ondata di contagi a Shanghai ha mandato in tilt i gruppi di delivery, oberati dalle richieste, e neppure l’intervento delle autorità locali è riuscito a soddisfare la domanda di beni essenziali di milioni di persone che non possono uscire di casa per la quarantena sanitaria anti-Covid. La protesta si è fatta sentire anche dalle finestre dei compound della città. Un video mostra i condomini di un complesso residenziale che urlano il proprio incoraggiamento agli altri residenti, con scene che ricordano quelle viste a Wuhan all’inizio del 2020, quando il virus del Covid-19 si è manifestato per la prima volta.

Dagotraduzione dal New York Post l'11 aprile 2022.

Da oltre due settimane la capitale finanziaria della Cina, Shanghai, è chiusa a chiave. Circa 26 milioni di persone languiscono nei loro appartamenti, fissando i loro frigoriferi ormai vuoti, incapaci di mettere piede fuori per cercare cibo per paura di essere arrestati e incarcerati. 

Gli stranieri sono nella stessa situazione, come si è lamentato su Twitter questo utente: «Oggi è il giorno 16 del nostro blocco COVID a Shanghai e il cibo è la cosa fondamentale nella mente delle persone. Non ci è permesso uscire di casa, quindi la consegna è l'unico modo. Ieri mi sono alzato alle 6 del mattino per cercare di prenotare un qualsiasi tipo di consegna ma niente è stato disponibile tutto il giorno. Stessi risultati oggi».

E quelli che sono chiusi in casa sono fortunati. 

Gli sfortunati sono quelli che ogni giorno risultano positivi al COVID, come i 17.077 contagiati individuati venerdì. Sintomatici o meno - e nove su 10 non mostrano segni di malattia - vengono trascinati in campi di quarantena frettolosamente eretti. 

Il blocco di Shanghai, il più grande dal primo blocco di Wuhan due anni fa, è l'ultimo tentativo della Cina di raggiungere il COVID Zero. Un esercito di operatori sanitari, circa 38.000 in tutto, è stato inviato a Shanghai, con le istruzioni per eliminare completamente il coronavirus all'interno della città. Stanno freneticamente testando e ritestando tutti.

Incapaci di protestare in altri modi, le persone hanno iniziato a sfogare la loro rabbia urlandola dalle finestre del loro appartamento. La maggior parte delle loro lamentele hanno a che fare con il cibo. «Non abbiamo cibo da mangiare», urlano. «Non mangiamo da molto tempo. Stiamo morendo di fame». 

Un prigioniero affamato ha trovato un modo più tranquillo per protestare contro il suo stomaco ringhiante. Ha portato il frigorifero sul balcone e ha lasciato le porte aperte. L'interno è completamente vuoto.

Altre proteste hanno assunto forme più tragiche. Come a Wuhan due anni fa, le persone si buttano giù dai grattacieli. Un video che circola in Cina mostra una coppia mentre si lancia. Si dice che lui fosse sconvolto perché il lockdown gli era costato gli affari. 

Coloro che sono così disperati da avventurarsi fuori alla ricerca di cibo vengono braccati dai "Big White" - membri delle forze di sicurezza che devono il loro soprannome alle tute bianche ignifughe che indossano. Pattugliando le strade giorno e notte, i "Big White" arrestano e imprigionano chiunque sia stato sorpreso a rompere la quarantena.

Quelli inviati ai campi di quarantena di massa per essere risultati positivi al COVID non hanno una vita migliore. In queste strutture improvvisate spesso mancano delle necessità di base. Un video dal campo di Nanhui a Shanghai mostra persone che litigano per le limitate scorte di coperte, acqua e cibo. 

Nessuno, nemmeno i bambini piccoli, è esentato dalla regola della quarantena. Centinaia di neonati e bambini piccoli sono stati separati dai genitori dopo essere risultati positivi. Sui social media una madre si è lamentata: «Sono così sconvolta... Questo è disumano».

Come i precedenti sforzi della Cina per contenere la variante altamente contagiosa dell'Omicron, anche questo è destinato a fallire, ma ad un costo enorme. Le dimensioni della sofferenza umana si manifestano in alcuni dei video postati dai residenti sofferenti. 

Come suggeriscono queste storie, la Cina ha scatenato un altro COVID Horror Show sulla sua popolazione. Ma perché? 

Praticamente ogni persona sul pianeta ora riconosce che d'ora in poi dovrà semplicemente convivere con il coronavirus, nello stesso modo in cui abbiamo imparato a convivere con l'influenza stagionale. Anche i paesi che si sono aggrappati al modello di contenimento di massa della Cina fino al 2021, come Australia, Nuova Zelanda e Germania, lo stanno abbandonando.

Eppure il Partito Comunista Cinese continua a perseguire il sogno impossibile di COVID Zero. 

Ora, si potrebbe dire che a nessuna organizzazione politica piace ammettere di aver sbagliato. Infatti, quando di recente è stato chiesto alla Cina il motivo per cui si rifiuta di riconoscere che il COVID è ormai endemico, un alto funzionario della Commissione sanitaria nazionale ha semplicemente detto: «Se fermiamo tutte le misure di contenimento ora, significa che tutti gli sforzi precedenti sono stati inutili». 

Ma a un livello ancora più profondo, l'insistenza del Partito Comunista Cinese sui blocchi potrebbe essere espressione della sua spinta al controllo totale.

Mi viene in mente il funzionario del PCC che, nel 1980, proprio all'inizio della politica del figlio unico, proclamò con sicurezza: «Siamo un paese socialista. Possiamo controllare la riproduzione nello stesso modo in cui controlliamo la produzione: secondo un piano statale». 

Ora l'atteggiamento di Xi Jinping sembra essere: «Siamo un Paese socialista. Possiamo controllare la replicazione di un virus nello stesso modo in cui controlliamo la produzione: secondo un piano statale».

Dagotraduzione da India Today l'11 aprile 2022.

Il governo cinese non mostra segni di allentamento del rigoroso blocco che ha imposto Shangai, città di 26 milioni di abitanti. Secondo quanto riferito, le persone nel centro finanziario stanno finendo il cibo, l'acqua e altri beni di prima necessità, e molti sono sull'orlo della fame. 

I video stanno facendo il giro dei social media, mostrando la gente di Shanghai che si lamenta della mancanza di cibo e di cure mediche. Costretti a restare nelle loro case, si sono messi sui balconi per urlare, cantare e dare voce alla loro rabbia, alle loro paure e alle loro sofferenze.

Mentre i residenti di Shanghai urlano le loro frustrazioni dai loro balconi e dalle finestre, il governo ha risposto alla protesta schierando droni per avvisare la popolazione: «Controlla il desiderio di libertà dell'anima e non aprire la finestra per cantare. Questo comportamento rischia di diffondere l'epidemia». 

La frase «controllare il desiderio di libertà dell'anima» è un riferimento a un'osservazione controversa fatta da un legislatore cinese durante la prima ondata di pandemia nel 2020, quando il governo ha imposto rigorose misure di blocco a Wuhan, il punto zero dell'epidemia di coronavirus.

In alcune zone di Shanghai, la situazione di tensione è andata fuori controllo e sono scoppiate rivolte. I video mostrano un folto gruppo di persone che sollevano slogan e mettono all'angolo funzionari che indossavano tute ignifughe, prima di saccheggiare un supermercato. 

I video formano un raro montaggio di rabbia pubblica e respingimento contro le ferree misure anti-Covid del governo totalitario. 

Tutta Shanghai è stata bloccata dal 1 aprile. Il terzo orientale della città è rimasto chiuso ancora più a lungo, dal 28 marzo. Il governo nazionale ha inviato 2.000 medici militari e 10.000 operatori sanitari di altre province per aiutare a combattere l'ondata di Covid alimentata dalla variante Omicron.

La pressione dei test e del trattamento sta mettendo a dura prova anche gli operatori sanitari. Un video condiviso su Twitter mostra un medico che viene portato d'urgenza fuori da una struttura di isolamento, trasportato dai pazienti, dopo che è crollato mentre svolgeva le sue funzioni. 

Shanghai ha riportato 25.000 infezioni da Covid-19 domenica, un altro picco giornaliero nella peggiore epidemia di Covid in Cina in due anni. Per fermare la diffusione della malattia, la città è stata posta sotto la rigida strategia Covid «zero dinamico».

Dal “Financial Times” - dalla rassegna estera di “Epr comunicazione” l'11 aprile 2022.

Lunedì il produttore di auto elettriche Nio ha guidato i mercati cinesi verso il ribasso, mentre i commercianti sono alle prese con gravi interruzioni della catena di approvvigionamento in Cina causate dalle autorità che hanno isolato Shanghai dal resto del paese. Lo scrive il Financial Times. 

Nio è crollato fino al 14,4 per cento nel commercio mattutino a Hong Kong dopo aver annunciato nel fine settimana che i fornitori a Shanghai, la vicina provincia di Jiangsu e Jilin avevano sospeso la produzione "uno dopo l'altro" e che avrebbe rinviato le consegne. 

L'indice Hang Seng China Enterprises degli stock della Cina continentale è sceso del 3,6 per cento e l'indice di riferimento cinese CSI 300 delle azioni quotate a Shanghai e Shenzhen ha perso il 2,8 per cento.

Il più ampio indice Hang Seng è sceso fino al 3 per cento e l'Hang Seng Tech è calato fino al 5 per cento. 

I crolli del mercato segnalano il crescente impatto finanziario ed economico di un'ondata di blocchi in tutta la Cina e specialmente a Shanghai, il centro della peggiore epidemia di coronavirus del paese in due anni che è diventata un test della politica zero-Covid di Pechino. 

Le interruzioni delle catene di approvvigionamento cinesi si sono intensificate in seguito al blocco completo del centro finanziario dal 1° aprile, esacerbando le tensioni sui trasporti e la logistica, poiché le misure rigorose hanno portato l'attività nel più grande hub finanziario onshore della Cina e nella città più grande ad una brusca frenata.

«Shanghai è economicamente importante sia per l'economia interna cinese che per il commercio con il resto del mondo», ha detto Johanna Chua, capo economista asiatico di Citigroup. Ha aggiunto che i tempi di attesa per le consegne di semiconduttori sono già aumentati e che «con i significativi legami commerciali di Shanghai con l'Asia orientale, questo potrebbe avere impatti di ricaduta sulle catene di approvvigionamento regionali», in particolare in Corea del Sud, Taiwan e Vietnam. 

La Cina ha riportato più di 27.000 nuovi casi giornalieri, con la stragrande maggioranza a Shanghai, secondo i dati ufficiali. Le autorità nel fine settimana hanno indicato che alcune comunità della città sarebbero state riaperte se non fossero stati segnalati casi per 14 giorni, ma la maggior parte della metropoli di 25 milioni di persone rimane sotto stretta sorveglianza che ha provocato lamentele sull'accesso al cibo e alle medicine.

La città meridionale di Guangzhou ha detto durante il fine settimana che avrebbe anche iniziato a testare in massa i suoi 18 milioni di residenti dopo che sono stati segnalati nuovi casi. 

Zhenro Properties Group, che è diventato l'ultimo sviluppatore immobiliare cinese ad essere inadempiente durante il fine settimana, ha incolpato i suoi mancati pagamenti delle obbligazioni a causa della «portata e durata imprevista del blocco a Shanghai», che ha detto di aver fermato alcune operazioni e ritardato sia le vendite che le cessioni di beni.

I dati sull'inflazione rilasciati lunedì hanno mostrato che i prezzi al consumo sono aumentati di quasi l'1% rispetto a un anno fa, guidati principalmente da un salto nei costi del carburante e nei prezzi degli alimenti.

Dagotraduzione dal Guardian il 15 aprile 2022.

Mentre a Shanghai prosegue il lockdown che sta stremando la città, i residenti iniziano a far sentire la loro voce. Ieri sui social sono diventati virali i video ripresi per la strada in cui si vedono cittadini a cui è stato chiesto di lasciare i loro appartamenti ai pazienti Covid litigare con la polizia. Gli agenti, completamente bardati con tutte ignifughe e mascherine, hanno risposto effettuando numerosi arresti.

Shanghai, una città di 25 milioni di abitanti e cuore dell’economia della Cina, è diventata il cuore del più grande focolaio del Paese dal picco della prima ondata di virus a Wuhan oltre due anni fa. I residenti bloccati dall'inizio di aprile si sono lamentati della carenza di cibo e di funzionari troppo zelanti che li hanno costretti alla quarantena statale, mentre le autorità si affrettano a costruire decine di migliaia di letti per ospitare i pazienti Covid-19 con infezioni giornaliere che superano i 20.000 casi. 

Verso la fine di giovedì, sui social media sono circolati video che mostravano i residenti all'esterno di un complesso mentre urlavano contro schiere di funzionari in possesso di scudi, etichettati come "polizia", che cercavano di sfondare la loro linea. In una clip, la polizia sembra effettuare diversi arresti dopo che i residenti li hanno accusati di «colpire le persone».

L'incidente si è innescato dopo che le autorità hanno ordinato a 39 famiglie di trasferirsi dal complesso «per soddisfare le esigenze di prevenzione e controllo delle epidemie» e di ospitare i pazienti affetti da virus nei loro appartamenti, secondo Zhangjiang Group, lo sviluppatore del complesso residenziale. 

I video girati hanno fornito una rara finestra sulla rabbia pubblica in Cina, un paese in cui le autorità comuniste tollerano poco dissenso e la censura cancella regolarmente le informazioni relative alle proteste da Internet alla stessa velocità con cui vengono caricate. 

In un video trasmesso in live streaming, si può sentire una donna piangere e chiedere «perché portano via una persona anziana?» quando i funzionari sembravano mettere qualcuno in un'auto.

Il gruppo Zhangjiang ha affermato di aver risarcito gli inquilini e di averli trasferiti in altre unità nello stesso complesso. In un altro video, che è stato trasmesso in live streaming, si sente una donna gridare «Il gruppo di Zhangjiang sta cercando di trasformare il nostro complesso in un luogo di quarantena e consentire alle persone positive al Covid di vivere nel nostro complesso». 

Il gruppo ha commentato i video del complesso che erano «apparsi su Internet» giovedì e ha affermato che «la situazione si era ora stabilizzata» dopo che «alcuni inquilini hanno ostacolato la costruzione» di una recinzione di quarantena.

La censura cinese è intervenuta rapidamente per cancellare le prove dello scontro dai siti di social media cinesi - come hanno fatto con molti altri video apparsi nelle ultime settimane – e i risultati di ricerca per il nome del complesso di appartamenti sono scomparsi da Weibo. 

I residenti di Shanghai hanno sfogato la loro rabbia sui social media per la carenza di cibo e i controlli pesanti. Le autorità hanno promesso che la città «non si rilasserà minimamente», e sta preparando più di 100 nuove strutture di quarantena per accogliere ogni persona che risulta positiva, indipendentemente dal fatto che mostri o meno sintomi.

Erminia Voccia per “Il Messaggero” il 16 aprile 2022.

Grida disumane, scontri con la polizia, trasferimenti forzati nei centri per la quarantena, cani e gatti abbattuti per timore del contagio. Shanghai, il centro della finanza, la finestra della Cina sul mondo, è un totale disastro. La mega città da 25 milioni di abitanti è alla terza settimana di lockdown, imposto ai residenti a seguito delle prime restrizioni introdotte a inizio marzo. Misure estreme ma necessarie, secondo le autorità, a frenare la nuova ondata di Covid dovuta a una mutazione della già più contagiosa variante Omicron.

Le infezioni giornaliere in città sono più di 20mila. Un pericolo troppo grande per la Cina non adeguatamente coperta dai vaccini prodotti in loco. A inizio aprile, le infezioni nella Repubblica Popolare hanno raggiunto livelli che non si vedevano dal 2020, quando la correzione apportata al sistema di conteggio aveva determinato il superamento della soglia dei 15mila casi giornalieri, stando alle cifre dichiarate allora dai funzionari cinesi, la maggior parte dei quali riscontrati a Wuhan. A Shanghai in queste ore i cittadini sono stremati e protestano perché da giorni sono costretti in casa, non riescono a procurarsi il cibo e vengono trasferiti di forza nei centri di quarantena se risultano positivi al virus. Qualcuno cerca di procurarsi il necessario grazie al baratto e agli scambi di informazioni via chat.

LA CENSURA Nella capitale cinese i supermercati sono presi d'assalto. Nonostante la censura di Pechino, sui social si moltiplicano i messaggi critici verso il governo e la brutale gestione della pandemia da parte dei funzionari, chiamati in teoria a proteggere la salute e il bene pubblici. Le immagini e i video postati più che riportare alla mente quanto visto a Wuhan più di due anni fa, ricordano la violenza delle proteste pro democrazia di Hong Kong del 2019.

In entrambi i casi una lotta per la libertà. In un video, un poliziotto con addosso schermo facciale e tuta protettiva sembra eseguire diversi arresti mentre le persone intorno a lui lo accusano di aver picchiato degli innocenti. Sullo sfondo, la gente si dispera. Degli anziani vengono trascinati via. Alcuni a poca distanza filmano tutto con i cellulari. C'è chi scrive sui social che ci sarebbero stati dei suicidi per le condizioni troppo difficili da sopportare, chi si affaccia al balcone e implora aiuto, chi si ribella alla polizia. 

I SOCIAL La decisione di requisire per l'isolamento degli infetti alcune case nel complesso residenziale di Zhangjiang Nashi ha causato un'onda di proteste.

Tuttavia, internet sembra l'unico luogo dove esprimere la propria voce.

Ancora sui social, è tornata la canzone Do You Hear the People Sing?, tratta dal musical Les Misérables e presa di mira dalla censura cinese proprio durante le manifestazioni di Hong Kong. Nei centri per la quarantena, di solito sale congressi o palestre riconvertite, non va certo meglio: mancherebbero i letti e le docce e le condizioni igieniche lascerebbero molto a desiderare.

La luce è accesa giorno e notte. Ha fatto discutere nei giorni scorsi il trattamento inumano riservato ai bambini positivi al virus, spesso molto piccoli, probabilmente lasciati soli a piangere dopo essere stati strappati ai genitori risultati negativi. Le autorità cinesi avevano difeso la misura. Ma diversi diplomatici europei di stanza a Shanghai avevano inviato una lettera al governo locale lo scorso 31 marzo per richiedere l'annullamento di varie disposizioni, in particolare che i bambini non fossero allontanati dai genitori, in nessun caso. Risultato: i funzionari pare si siano ammorbiditi.

Diodato Pirone per “il Messaggero” il 21 aprile 2022.

Cinquecento navi in fila per entrare in un porto non si sono mai viste. Un ingorgo pantagruelico che sta facendo diminuire la produzione di farmaci in India (maggior produttore di medicine al mondo) e calare il numero di vetture sfornate dalle linee di montaggio americane e europee. 

Come se non bastasse la guerra in Ucraina, lo spettacolare collo di bottiglia che si è formato davanti allo scalo di Shanghai, il principale porto cinese e del mondo dove ogni anno transitano ben quattro milioni di tonnellate di merce, sta scatenando una sorta di tempesta perfetta sulle filiere produttive di mezzo mondo. La causa? Il Covid-19, cos' altro?

Il virus in Cina continua a imperversare anche perché le autorità di Pechino mantengono una linea anti-Covid durissima, articolata su un lockdown micidiale che ha bloccato nelle loro case 25 milioni di persone a Shangai (12 in realtà possono muoversi solo nel loro quartiere), nonostante una mortalità ridottissima di appena 7 morti da Omicron. 

EFFETTO DOMINO Risultato? La Cina sta facendo tremare le principali filiere produttive mondiali. Fra le 477 navi mercantili contate l'11 aprile davanti alla costa di Shanghai, a decine sono cariche di metalli raffinati e altre sono in attesa di caricare materiali pronti per la distribuzione commerciale: il blocco dello scarico e del carico sta innescando un gigantesco domino. I ritardi nelle consegne cominciano ad essere imprevedibili e stanno impedendo alle imprese di rispettare i termini di consegna dei beni lavorati o dei componenti e ai negozi di avere alcune merci in vetrina.

L'intera logistica mondiale ne soffre, con treni che partono dai porti degli altri continenti mezzo vuoti, e prezzi dei containers e dei trasporti che salgono e scendono non più secondo la classica legge della domanda e dell'offerta ma in base a logiche imprevedibili legate alla loro semplice disponibilità. Per avere un'idea della fase di follia che affligge la logistica basta dire che affittare un container da 40 piedi da Shanghai a Rotterdam fino all'estate scorsa costava non più di 2.000 dollari, poi nell'autunno le tariffe sono schizzate fino a 13.000 dollari e oggi oscillano su cifre analoghe.

E così trovare componenti per i farmaci sta cominciando ad essere un grosso grattacapo perché la Cina gestisce il 70% della produzione mondiale di molecole (il principio attivo di ogni medicina). Non solo. Il dramma della mancanza di semiconduttori per le auto sta toccando livelli impensabili.

Non c'è stabilimento automobilistico in tutto il mondo, ma in particolare in Usa e in Europa, che non abbia dovuto sospendere la produzione per qualche settimana. Anche in Italia Stellantis ha dovuto fermare la produzione della mega-fabbrica di Melfi che produce le Jeep Compass e Renegade e la 500X, per mancanza di componenti elettronici.

La scarsezza di merci sta lentamente plasmando quella che gli economisti chiamano crisi da offerta. In pratica i beni prodotti dall'industria sono molto meno di quelli richiesti e questo fenomeno alimenta l'inflazione. Oltre all'aumento dei prezzi delle materie prime, stanno lievitando ad esempio i listini delle automobili perché la domanda resta forte ma nessun costruttore riesce a produrre di più e così la pressione della concorrenza sui prezzi si è dissolta, mentre gli utili delle aziende automobilistiche non sono mai stati così pingui.

Un po' ovunque nelle fabbriche di mezzo mondo sta spuntando la scritta chiuso per virus. Il che è ancora più paradossale se si pensa che sia l'Europa che gli Stati Uniti stanno rapidamente abbandonando la fase dell'emergenza Covid.

I DUE MOTIVI Già, ma perché la Cina continua a tenere la linea dei lockdown pesanti che in Occidente è stata abbandonata da tempo? Gli osservatori forniscono due spiegazioni. La prima è tecnica: il vaccino cinese, il Sinovac, anche se somministrato a larga parte della popolazione, è molto meno efficace degli analoghi prodotti occidentali. La seconda spiegazione è legata all'imminente rielezione di Xi Jinping alla guida del Paese. Un passaggio che nella mentalità cinese è sinonimo di stabilità. 

Dunque cambiare linea sulla gestione dei contagi non è ammesso perché sinonimo di instabilità: la popolazione potrebbe convincersi che la linea dura tenuta fin dall'inizio del contagio non era corretta. Con conseguenze imprevedibili in un Paese che sostiene la superiorità del proprio solido sistema politico rispetto alle continue oscillazioni delle democrazie occidentali. La globalizzazione, che tanto ha aiutato la Cina, per ora è stata messa in stand by. Per ora.

QUANTI SONO DAVVERO I MORTI? I misteri dell’epidemia di Covid a Shanghai. ANDREA CASADIO su Il Domani il 22 aprile 2022.

Lunedì 18 aprile, le autorità cinesi hanno annunciato che tre persone erano di morte di Covid a Shanghai, le prime vittime ufficiali dal 27 marzo, giorno in cui la megalopoli da 26 milioni di abitanti, cuore finanziario del paese, è entrata in lockdown.

Eppure Shanghai da fine marzo è tormentata da una brutale ondata di Covid che provoca decine di migliaia di contagi al giorno, tanto che le autorità sanitarie hanno costretto al lockdown l’intera popolazione di 26 milioni di abitanti.

Qual è la verità? Non la sapremo mai. Ma è probabile che ora a Shanghai i morti da Covid siano migliaia, perché altrimenti non si spiegherebbero le strettissime misure imposte dal governo. Il governo cinese non potrebbe mai ammettere pubblicamente i suoi errori. La sua cosiddetta strategia Zero Covid – solo lockdown e pochi vaccini – ha fallito.

Cosa sta succedendo in Cina? Lunedì 18 aprile, le autorità cinesi hanno annunciato che tre persone erano di morte di Covid a Shanghai, le prime vittime ufficiali dal 27 marzo, giorno in cui la megalopoli da 26 milioni di abitanti, cuore finanziario del paese, è entrata in lockdown. Anzi, sono stati i primi decessi da Covid riconosciuti dalle autorità nell’intera Cina dal marzo 2020.

La Commissione Sanitaria di Shanghai ha precisato che le vittime avevano un’età tra gli 89 ed i 91 anni, ed erano tutte non vaccinate. A Shanghai, solo il 38 per cento dei cittadini sopra i sessant’anni è vaccinato. Martedì 19 aprile, la Commissione ha annunciato altri nove decessi da Covid, che portano il conto totale a 12.

Ma a questi dati non crede nessuno. E’ impossibile che in una città di 26 milioni di abitanti colpita da una feroce epidemia provocata dalla nuova variante Omicron, che è arrivata ad infettare - secondo i dati ufficiali del governo - 20.000 persone al giorno per quasi due mesi, fino all’altro ieri non ci sia stato neanche un morto per Covid.

Qualcosa non torna. «So per certo che almeno diverse decine di anziani malati di Covid, tutti ricoverati in uno degli ospedali di Shanghai, sono morti nelle ultime settimane dopo aver contratto il Covid – scrive Robin Brant, corrispondente da Shanghai della Bbc – Però non sono stati registrati dalle autorità come decessi ufficiali da Covid. Apparentemente, sono morti per patologie preesistenti».

Perché lunedì scorso finalmente le autorità hanno deciso di rendere pubblica la notizia che tre anziani erano morti per il Covid? In Cina nessuna notizia viene divulgata se prima non viene approvata dalle autorità, e se una notizia viene divulgata c’è sempre un motivo.

Fino ad ora le autorità di Shanghai avevano avvertito la cittadinanza che la nuova ondata provocata da Omicron poteva decimare la popolazione, e per questo da fine marzo hanno messo in lockdown l’intera città. Tutti i ventisei milioni di cittadini hanno dovuto obbligatoriamente sottoporsi a un tampone, e chi risultava positivo veniva messo in isolamento forzato in centri di quarantena allestiti nelle scuole o in sale di esposizione.

Ospedali di emergenza sono stati ricavati da altri edifici pubblici. Nessuno può uscire di casa, l’esercito consegna cibo e altri mezzi di sostentamento di porta in porta. In breve tempo i cittadini sono stati presi dall’ansia, dalla rabbia e dalla disperazione. E tuttavia secondo le autorità ufficiali il Covid fino a lunedì non aveva ucciso nessuno. Possibile? Ovviamente no.

Poi lunedì scorso improvvisamente la Commissione Sanitaria di Shanghai ha annunciato che il giorno prima “tre persone ricoverate in ospedale sono decedute per il Covid” nonostante i sanitari abbiano fatto “tutti gli sforzi possibili per rianimarli”, e ha aggiunto che le tre vittime soffrivano di altre patologie preesistenti e, significativamente, che nessuna di loro era vaccinata.

Perché il governo cinese ha fatto trapelare questa notizia, seguita dall’annuncio che altre nove persone erano morte il giorno seguente? Forse perché adesso vuole mettere in guardia la popolazione contro il pericolo Covid, e spingere a vaccinarsi chi non lo ha ancora fatto? Probabile.

Finora, il governo cinese ha adottato una strategia “Zero Covid”, basata sull’introduzione di severi lockdown, il tracciamento capillare della popolazione e l’isolamento dei contagiati, per soffocare i focolai epidemici sul nascere: in questo modo, secondo le statistiche ufficiali, da inizio pandemia il Covid ha fatto registrare meno di 5.000 vittime, che sono pochissime per una nazione di un miliardo e 400 milioni di persone.

Però, non ha mai avviato una seria campagna di vaccinazione di massa perché non la riteneva necessaria - in Cina è vaccinato solo il 59 per cento della popolazione totale, e meno del 50 per cento delle persone sopra i sessant’anni. Oltretutto, i vaccini sviluppati dalle aziende di stato - come il Sinopharm ed il Sinovac - sono molto meno efficaci dei moderni vaccini a RNA sviluppati in Occidente.

Così ora il coronavirus in Cina si trova di fronte una immensa popolazione che non è immunizzata – perché non ha mai contratto il virus a causa dei lockdown ripetuti- e che se è vaccinata non è protetta a sufficienza: una catastrofe. Come quella che probabilmente sta accadendo a Shanghai.

«Ho potuto visionare documenti ufficiali che dimostrano che nella scorsa settimana almeno 27 pazienti, tutti non vaccinati, ricoverati in un singolo ospedale, qui a Shanghai, sono morti per quelle che sono stati definite “patologie concomitanti” – mi confessa Robert Brant –Un’infermiera e un manager sanitario della Casa di Ricovero per Anziani Donghai mi hanno raccontato che nelle ultime settimane hanno lottato come disperati per tenere in vita decine e decine di anziani ricoverati nel loro ospedale, molti dei quali sono morti. Sui social media molti cittadini hanno scritto che in almeno altri dodici ospedali di Shanghai centinaia di pazienti erano stati contagiati dal virus, così ho provato a contattarli, ma nessuno mi ha risposto», dice.

«Una parente di un anziano ricoverato in un'altra casa di riposo mi ha confidato che i dottori e gli infermieri le avevano confessato che gli oltre 300 anziani degenti erano risultati tutti positivi al coronavirus. Un manager dell’ospedale di Donghai al telefono mi ha detto sconsolato: “Mi chiede se abbiamo avuto molti decessi per il Covid? Ovviamente sì. A Shanghai la situazione è questa. Come fa a pensare che non ci siano morti a causa del Covid?”. I parenti di uno degli anziani deceduti all’ospedale Donghai hanno ricevuto una lettera firmata dai dirigenti della struttura nella quale si scusavano per la perdita del loro caro, ammettevano “la nostra mancanza di professionalità», ed esprimevano alla famiglia «il loro più profondo senso di colpa».

Per adesso, le autorità cinesi fanno di tutto per nascondere la realtà. Per esempio, i casi – e i decessi – da Covid possono essere confermati solo sulla base di criteri strettissimi stabiliti dal governo: è malato di Covid solo chi risulta positivo al test e mostra una polmonite bilaterale confermata da una Tac; in caso di decesso, prima di attribuire ufficialmente la morte al Covid bisogna scartare le altre patologie preesistenti. «Un uomo la cui sorella settantaduenne è deceduta all’ospedale di Donghai il 3 aprile ha cercato invano di ottenere spiegazioni sulle cause della sua morte», mi spiega Brant.

«Una settimana prima era risultata negativa, ma poi cinque dei sei pazienti suoi compagni di stanza sono morti in pochi giorni. Quell’uomo mi ha detto: “L’epidemia in quell’ospedale era terribile. Ufficialmente mia sorella è morta negativa al Covid, ma cosa l’abbia uccisa realmente non lo so». Un’altra donna di 99 anni ricoverata nello stesso ospedale è morta il primo aprile, dopo essere risultata positiva al Covid. «Ho richiesto più volte spiegazioni ufficiali dall’ospedale di Donghai ma nessuno mi hai mai risposto», mi racconta Brant.

I media controllati dal governo di Pechino hanno riferito che il presidente Xi Jimping ha affermato: «La prevenzione e il lavoro di controllo non può subire rilassamento». Qualche giorno fa sulla prima pagina dell’organo ufficiale del partito comunista cinese, il quotidiano Il Giornale del Popolo, troneggiava questo titolo: «La persistenza è vittoria».

Qual è la verità? Non la sapremo mai. Ma è probabile che ora a Shanghai i morti da Covid siano migliaia, perché altrimenti non si spiegherebbe come le strettissime misure di lockdown imposte dal governo continuano tuttora. Il governo cinese non potrebbe mai ammettere pubblicamente i suoi errori. La sua cosiddetta strategia Zero Covid- solo lockdown e pochi vaccini- ha fallito. E questa è una ulteriore conferma del fatto che solo vaccinando l’intera popolazione – dagli anziani ai bambini – il coronavirus verrà debellato per sempre. ANDREA CASADIO

Morti e contagi, tutto quello che non torna a Shanghai. Alessandro Ferro il 23 Aprile 2022 su Il Giornale.

La metropoli cinese di Shanghai vive il lockdown più rigido di sempre ma i numeri dei positivi e dei decessi sono in contrasto con quanto succede realmente: ecco le verità nascoste.  

I conti non tornano. A Shanghai, da ormai alcune settimane, la situazione legata alla variante Omicron del Covid-19 è sfuggita di mano alle autorità cinesi. Se l'ultimo bollettino recita dodici morti e 2.988 nuovi contagi in una metropoli composta da 26 milioni di abitanti, qualcosa nel conteggio non funziona. Perché mai ci sarebbe un lockdown così rigido per numeri, con tutto il rispetto per ogni singola vita umana e ogni singolo contagio, così bassi? È impossibile che sia questa la verità, specialmente in una popolazione poco vaccinata come quella cinese che aveva schivato la fase dura delle precedenti ondate con chiusure sistematiche, continuative e a tappeto e che ha sponsorizzato molto poco la campagna di vaccinazione.

Qual è la verità di Shanghai

Che la Cina non ci racconta tutto lo sappiamo ormai da Wuhan, non è certo una novità. Tra l'altro, i dati ufficiali del governo di Shanghai stanno anche abbassando i numeri dei casi giornalieri che, se fino a pochi giorni fa erano circa 20mila al giorno, adesso sarebbero di poche migliaia e sempre con pochissimi morti, tutti di età compresa tra 89 e 91 anni non vaccinati. Nella metropoli, soltanto il 38% degli abitanti over 60 è vaccinato, un numero esiguo. Tra l'altro, questi decessi stanno iniziando a spuntare soltanto adesso perché, fino ad alcuni giorni fa, si parlava soltanto di contagi. "So per certo che almeno diverse decine di anziani malati di Covid, tutti ricoverati in uno degli ospedali di Shanghai, sono morti nelle ultime settimane dopo aver contratto il Covid", ha affermato Robin Brant, corrispondente da Shanghai della Bbc. "Però non sono stati registrati dalle autorità come decessi ufficiali da Covid. Apparentemente, sono morti per patologie preesistenti", riporta il Domani.

Il fallimento della politica "zero Covid"

Il regime cinese è ferreo: nessuna notizia viene divulgata se non approvata in precedenza dalle autorità: se viene divulgata, però, c'è sempre un motivo. Quanto succede a Shanghai da fine marzo è incredibile: lockdown durissimo e il più restrittivo da quando esiste il Covid, popolazione forzata a rimanere in casa, tampone obbligatorio per 26 milioni di cittadini, isolamento forzato in centri quarantena allestiti in fretta e furia, droni e cani robot che passano per le strade intimando alla gente di non lasciare le proprie abitazioni. Una situazione paradossale se questo virus non facesse morti e solo qualche migliaio di contagi al giorno.

Cosa sta cambiando in Cina

Per la prima volta da quando c'è Sars-CoV-2, probabilmente (finalmente), il governo cinese sta provando a dire alla popolazione di vaccinarsi, suggerimento mai dato in maniera esplicita da quando esistono i vaccini. La strategia "zero Covid" non ha portato da nessuna parte visto che il Paese è in ginocchio come e peggio di due anni fa con la differenza che il virus attuale è senz'altro meno mortale ma è più contagioso e trova terreno fertile per la mancanza di difese immunitarie adeguate dal momento che solo il 59% della popolazione ha ricevuto il vaccino, meno del 50% tra gli over 60 che è la categoria maggiormente a rischio. A proposito di vaccini, Sinopharm e Sinovac sono senz'altro meno efficaci dei vari Pfizer e Moderna a Rna messaggero: lo dicono gli esperti mondiali del settore. Se facciamo la somma di tutte queste cose non ci stupiamo di cosa stia accadendo.

"Decine di morti Covid"

Il giornalista della Bbc spiega che, tra i documenti ufficiali degli ospedali, tantissimi decessi vengono considerati per "patologie concomitanti" e non per Covid. "Un'infermiera e un manager sanitario della casa di ricovero per anziani Donghai, mi hanno raccontato che nelle ultime settimane hanno lottato come disperati per tenere in vita decine e decine di anziani ricoverati nel loro ospedale, molti dei quali sono morti". In una casa di riposo, poi, circa 300 anziani erano risultati tutti positivi al Covid. "Mi chiede se abbiamo avuto molti decessi per il Covid? Ovviamente sì", risponde un medico a Robin Brant. Insomma, la situazione cinese è assolutamente diversa da come viene raccontata.

Quali sono i criteri del governo

Le autorità cinesi hanno deciso di considerare decessi Covid soltanto "chi risulta positivo al test e mostra una polmonite bilaterale confermata da una Tac; in caso di decesso, prima di attribuire ufficialmente la morte al Covid bisogna scartare le altre patologie preesistenti". "Un uomo la cui sorella settantaduenne è deceduta all'ospedale di Donghai il 3 aprile ha cercato invano di ottenere spiegazioni sulle cause della sua morte", afferma Brant, che raccoglie la testimonianza di chi ha perso un familiare. "L'epidemia in quell'ospedale era terribile. Ufficialmente mia sorella è morta negativa al Covid, ma cosa l'abbia uccisa realmente non lo so". Sappiamo tutti che il virus colpisce più aree del corpo umano e non diventa necessariamente polmonite ma può causare, e causa, numerose altre complicazioni nei non vaccinati. Il governo cinese tutto questo lo sa ma preferisce raccontare una realtà assolutamente distorta dei fatti.

Covid, le 2 balle che ci rifilano sfruttando Shanghai. L’ipocrisia dei chiusuristi di casa nostra di fronte agli orrori della dittatura comunista cinese. Max Del Papa su Nicolaporro.it il 21 Aprile 2022.

Shangai, oltre che un massacro, è un lavacro: nel Gange della virtù pelosa s’immergono le coscienze lebbrose di chi non conosce vergogna. Cosa stia succedendo nella metropoli cinese, polo avanzato di tecnologia e glamour, ventisei milioni, praticamente la metà dell’Italia tutta, è noto (anche se i media di regime cercano di ovattare): la dittatura cinese si è scatenata, l’obiettivo del Covid zero viene applicato alla lettera fino a coincidere con la popolazione zero: se li fai fuori tutti, il virus sparisce. Così ragionano le tirannie, e non c’è globalizzazione, non c’è modernizzazione che tenga: alla prima occasione, la voglia di tabula rasa torna fuori, tra il balzo culturale di Mao e il Covid zero di Xi non c’è soluzione di continuità. Neanche da noi c’è soluzione di continuità nell’ipocrisia e nella stupidità.

Covid, gli orrori del regime comunista

Inorridiscono, ma per pura posa, davanti ai macelli di Shangai, ai bambini sequestrata, alla gente presa e fatta sparire, o impacchettata, o imprigionata nelle case o nei laogai, alla strage di animali domestici, alla carestia di ritorno, alla polizia che spara e picchia, alla follia di una ideologia inestirpabile e inetta; ostentano brividi umanitari e dicono, i paraculi sbiancati, che così non si fa, che il Covid zero è un obiettivo feroce e irraggiungibile, che loro mai, per carità, mai si sono sognati di inseguirlo. E invece non hanno fatto altro. Ministri allucinati, consigliori di Seta, viroclown, scienziati della mutua, puttane di regime, propagandisti a tariffa, succhiatori d’involtini riconvertiti: eccoli tutti lì, a sposare il delirio italiano di ispirazione pechinese, anche noi, anche noi, avete visto la Cina, così si fa, così si procede.

Immunità di gregge, un fallimento

“La libertà non è più un dogma”, dicevano. “Prima la salute pubblica”, scandivano. “Un altro lockdown totale, di qualche settimana, sul modello cinese, e tutto sparisce”: questo lo diceva Ricciardi, lo diceva la cosca del Cts, lo ripetevano gli influencer del vaccino. Basta una ricerca lampo su Google. Il 60 percento di vaccinati? Meglio il 70, col 70 avremo l’immunità totale. No, meglio l’80, così avremo l’immunità di massa. No, arriviamo a 90, così raggiungiamo il Covid zero. Sono tutti lì, le loro ricette miserabili, le loro profezie portasfiga, i loro auspici di nuove stragi restano, aleggiano. E a 90 ci siamo arrivati, nel senso dei gradi, ma non è bastato e non è servito: “Ci vuole il 100%” e poi ricominciare con la quarta, la quinta dose, con la dose annuale, con la dose a vita. Effetti collaterali? Efficacia ridotta? Oh, quante storie, volete i condizionatori o il contagio zero?

Scienziati da operetta

Sono tutti lì e ancora continuano, basta scorrere un giornale, sintonizzarsi su un canale. Non vogliono tornare nei ranghi questi scienziati da operetta, che fuori dai confini davvero nessuno sospetta, e che prima di due anni fa neanche qui sapevamo esistessero: adesso sono drogati duri di vanità e se passa l’ondata benefica della pandemia mediatica, restano completamente privi di sovvenzioni. Invece vogliono fare i ministri, i parlamentari, i capiparanza dei partiti, gli influencer da prima serata. E il Covid zero deve essere perennemente inseguito, dietro garanzia che non si acchiapperà mai.

L’altra cialtronata dura, invereconda, sta nel minimizzare gli effetti devastanti qui da noi: ah, avete visto cosa è davvero il regime sanitario, provate un po’ a stare a Shangai. Come a dire: qui nessuno ha toccato niente, qui il governo ha salvaguardato la salute e la libertà di tutti per quanto possibile. Allora perché si scavalcavano, come scarafaggi immondi, nel predicare che la libertà non era più necessaria? A Shangai una dittatura comunista usa i cani robot, rinchiosi e spietati, deporta e distrugge – e lo stesso i cittadini insorgono, si ribellano, perché non ne possono più, non hanno più niente da perdere e lo sanno; e dunque? Per quale logica dovremmo concludere che qui tutto ha funzionato e sta funzionando nel più legittimo dei modi? È forse il bilancino quantitativo quello che si usa per testare la democrazia?

Economia a pezzi

Davvero non rilevano due anni di coprifuoco a intermittenza, l’ossessione mediatica, il terrorismo sanitario, le feste deserte, le estati uccise, i Natali deportati, l’alienazione, la divisione nel segno dell’odio, la depressione che ha portato milioni al tabagismo e alla bottiglia, la violenza di ritorno dei giovani, l’insanità condivisa nelle scuole, un green pass che è stato la miseria del mondo, il più pervasivo, il più carogna, il più prolungato sotto gli occhi di una opinione pubblica internazionale che non ci crede? Non contano le seicentomila attività chiuse, il degrado dei centri storici, la resa dei borghi e dei villaggi, la scomparsa di intere filiere produttive? Come nel distretto calzaturiero Fermano, tremila microaziende, ventimila addetti, che significa altrettante famiglie, all’incirca ottantamila persone che bene o male di manifattura vivono, uno su due considerato che il Fermano conta centocinquantamila abitanti.

E adesso le sanzioni rischiano di distruggerlo, dopo sei anni dal terremoto e due di pandemia, perché il mercato russo-ucraino, che fattura 100 milioni l’anno, era il più redditizio, un polmone per una economia monosettoriale in crisi endemica.

Accanimento continuo

Ma Draghi non se ne cura, lui punta alla presidenza della Nato, così scappa dai disastri fatti in casa. Intanto già infuria la propaganda per una quarta dose che gli italiani non vogliono e per questo si ritrovano demonizzati dai telegiornali come nella migliore tradizione delle dittature orientali; le mascherine “forse” restano e il green pass “forse” viene sospeso ma mantenuto, “così se succede ancora siamo pronti” sibila il nostro presidente del Consiglio per dire: non vedo l’ora che arrivi un’altra pandemia per rifare tutto da capo, però questa volta duro sul serio.

Molti fingono di provare orrore per Shangai, ma, sotto sotto, godono oscenamente e vorrebbero lo stesso anche qui. Per questo dicono che in Italia il regime sanitario non c’è. Perché non gli pare mai abbastanza, perché la libertà li offende come sempre offende i malati di un virus chiamato ideologia. Shangai è un massacro, un lavacro, un simulacro. Max Del Papa, 21 aprile 2022

La follia della dittatura cinese. Shanghai, il “modello cinese” delle prigioni quarantena. Vigilanza capillare e lockdown senza cibo per 26 milioni di abitanti. Matteo Milanesi su Nicolaporro.it il 15 Aprile 2022.

Mentre George Orwell scriveva la sua celebre opera “1984”, non avrebbe potuto pensare che, settant’anni più tardi, quella realtà fosse così vicina alla sua fantascienza. I caratteri totalitari, che il grande scrittore britannico descriveva, raccontava e criticava con la sua penna distopica, paiono più che mai attuali nella Shanghai cinese del 2022. La macchina del Grande Fratello di Xi Jinping è costituita da cani-robot, droni, case sigillate con lucchetti, bimbi strappati dalle proprie famiglie perché positivi, magari anche asintomatici. L’intera struttura organizzativa permette la capillare vigilanza di 26 milioni di abitanti rinchiusi, segregati, privati della loro vita sociale.

Shanghai peggio di Wuhan

I contagiati non possono rimanere in quarantena nelle loro case. Per ordini del governo centrale, devono essere trasferiti in strutture apposite, presumibilmente adibite alla circoscrizione del contagio. Il blocco del settore logistico sta causando notevoli difficoltà nel ricercare acqua e cibo nei supermercati online; i medicinali scarseggiano; in alcune zone della città, sono iniziate le prime rivolte. Shanghai 2022 rappresenta uno spettro ancora più inquietante di Wuhan 2020. Non solo perché, a distanza di più di due anni, stiamo ancora raccontando nuovi casi di quarantene, restrizioni e smanie da “Covid zero”; ma, soprattutto, perché le nuove misure adottate dal regime di Xi manifestano più che mai i tratti di un confinamento. Se cerchiamo sul dizionario il vero significato della parola “confinamento”, non denotiamo una semplice – seppur sempre preoccupante – “limitazione”. Piuttosto, si parla di relegazione, segregazione, reclusione. Insomma, si tratta di una formula con una carica emotiva ben più intensa, nonché ben più liberticida e autoritaria.

“Condizioni igieniche pessime”

Ecco, le misure che la Cina comunista sta applicando, calzano a pennello. Gran parte dei media nazionali italiani hanno riportato il racconto di Alessandro Pavanello, produttore musicale di 31 anni, chiuso da alcuni giorni in un centro espositivo a Shanghai, dopo essere risultato positivo al Covid. Egli parla di “condizioni igieniche pessime”, dove “non ci sono docce, ciascuno ha un catino per lavarsi, tutti tossiscono e sputano in un grande secchio”. Un lettore qualsiasi potrebbe presumere che queste scene avvengano nelle trincee o nelle zone assediate dell’Ucraina. E invece no: è la vita di uno dei più grandi fulcri economici mondiali, di un Paese che molti politici, osservatori ed analisti elogiavano sotto l’eloquente formula “modello cinese”.

In nome della vita, si è limitata la vita. In nome della libertà, si sta limitando la libertà. Propter vitam vivendi perdere causas ricordava il grande poeta romano Giovenale. Per salvare la vita, gli esseri umani perdono le cause che rendono quella vita degna di essere vissuta. Lo scrittore Marcello Veneziani, inoltre, evidenziava come l’esperienza che abbiamo vissuto con il Covid, e che i cinesi stanno tutt’ora vivendo alle estreme forme, non dovrebbe neanche essere definita “vita”; piuttosto, la parola adatta sarebbe “biologia”: la disciplina che si occupa delle semplici regole che disciplinano l’esistenza dei viventi, senza alcun rischio calcolato.

Dittatura comunista

Le misure restrittive apocalittiche vengono attuate in una città in cui i positivi sono poco più di 26 mila, di cui circa 25 mila asintomatici. I morti registrati ieri sono solo 7. La possibilità di convivere con un virus che, grazie ai vaccini ed alle continue mutazioni, diventa sempre meno letale, pare essere l’opinione proibita in Cina, nonché la più politicamente scorretta in Occidente, almeno fino a poche settimane fa. Nel frattempo, la polizia governativa cinese intima i cittadini a “combattere la pandemia con un cuore solo”. Per tutti coloro che dovessero violare le disposizioni, le autorità garantiscono un trattamento “in conformità alla legge da parte degli organi di pubblica sicurezza. Se costituisce reato, saranno indagati a norma di legge”, si legge in una nota.

A Shanghai, la Cina ha presentato il vero lato di una dittatura comunista. Il volto dell’unanimismo, del totalitarismo, della disperazione; troppe volte mascherato da un’economia vibrante, in continuo sviluppo, e da una classe dirigente occidentale che strizza l’occhio ad un sistema intrinsecamente comunista. Il Dragone ha posto le basi affinché le misure anti-Covid diventino un nuovo credito sociale, odierne forme di controllo decisamente più repressive ed invasive della sfera personale. Chissà se qualcuno avrà ancora il coraggio di plaudire a quel modello… Matteo Milanesi, 15 aprile 2022

Luigi Lupo per true-news.it il 20 aprile 2022.

Robot che intimano i cittadini a tornare a casa, cani picchiati perché si pensa possano aver contratto il Covid-19, positivi prelevati di casa e portati in hangar in attesa che si negativizzano. E ancora proteste per i bimbi allontanati dai genitori negativi. 

A Shanghai è in corso un lockdown durissimo, la testimonianza di un italiano

Quarantena preventiva per tutti nonostante il numero di positivi sia ridicolo: meno di 200mila su una popolazione di 26 milioni di abitanti. Ma il Governo teme soprattutto per la popolazione di anziani non vaccinati e costringe l’intera città a una vita da reclusi.

Carlo Dragonetti, 28 anni, pugliese con un passato a Milano, vive nella città cinese da 8 anni. Anche lui, nonostante sia negativo, è chiuso in casa da 24 giorni, come racconta a true-news.it collegato dalla sua cameretta: “Non si può uscire di casa. Il Governo ha centralizzato tutte le risorse alimentari: ogni due giorni ci arrivano robe da mangiare. Il sapone, l’olio, la carta igienica ci vengono consegnati da funzionari del governo”. Se è vero che il numero di morti è ridotto, le libertà personali sono assolutamente limitate. 

“Il lockdown ci manda fuori di testa”

“Non è più la vita che si faceva prima: Shanghai è una città super all’avanguardia, dove si vive bene, tecnologicamente avanzata. Questo lockdown ci sta mandando fuori di testa”. E cozza con quanto accade in Occidente: “Il cinese medio che guarda la Champions League o vede i Maneskin al Coachella, dove il pubblico sta gomito a gomito, si fa due domande”. 

La strategia elettorale di Xi Jinping

Il lockdown stringente della città cinese si lega, secondo Carlo, a motivi politici:” Tra sei mesi, secondo voci corridoi, dovrebbe esserci la terza rielezione consecutiva del presidente Xi Jinping che vuole continuare a portare avanti la strategia Zero Covid. Il governo vuole dimostrare che questo modello sia vincente rispetto a quello adottato dall’Occidente che ha registrato milioni di morti”. “La pandemia globale è ancora grave quindi non possiamo allentare i controlli ora”, ha detto Xi durante una visita alla provincia meridionale di Hainan.

La Cina, ormai una superpotenza mondiale, vive una forte contraddizione: da un lato innovazione e tecnologie corrono verso il futuro, e Shangai è uno degli snodi fondamentali della finanza mondiale, dall’altro le strutture sanitarie delle città rurali, di quarta e quinta fascia, non possono reggere una grande ondata di positivi. Da qui i timori del Governo che, però, sembra più puntare a una strategia propagandistica. 

“Saltato il patto sociale tra Stato e cittadini”

Il patto sociale su cui si basa la vita politica dei cinesi prevede che lo Stato si occupi della crescita del welfare mentre i cittadini debbano sottostare alle decisioni che arrivano dall’alto. Senza proteste. 

“Ma questa promessa – spiega Carlo – non è mantenuta. Il problema principale dello shanghainese medio era dove andare in vacanza in una città europea e spendere i soldi guadagnati durante l’anno”. Adesso l’esigenza è un’altra: “Il problema principale ora è trovare un’applicazione da cui comprare cibo che non sia la cipolla che ci manda lo Stato”. I cittadini di Shangai stanno organizzando “spese di condominio”, “in modo che ci sia solo un ordinazione collettiva da parte di un condominio per limitare il numero dei rider in giro”, spiega ancora Dragonetti. 

“Accadono cose assurde”

Per i positivi, lo Stato ha previsto un hangar dove vengono raccolti sintomatici e asintomatici. Li tengono lì e, tra medicina cinese, acqua calda e altre medicine che non si conoscono, sperano e aspettano che diventino negativi”. 

“Accadono cose assurde, che hanno poco senso – continua Carlo: ci sono quelli che hanno ammazzato i cani perché, fino a prova contraria, si crede che gli animali possano contrarre il virus. Diversamente da quanto sappiamo in Occidente. Ci sono video di gente che va a fare il covid-test alle galline. C’è un alto livello di disinformazione scientifico”.

Giada Messetti per “La Stampa” il 27 aprile 2022.

Angoscia, rabbia, delusione sono i sentimenti che si avvertono quando si parla con chi vive a Shanghai, metropoli che fino a poco più di un mese fa era percepita come un centro economico e finanziario all'avanguardia, che non aveva nulla da invidiare a città americane come New York e San Francisco. Da fine marzo è costretta al lockdown più severo e caotico che la Cina abbia mai sperimentato. Che cosa non ha funzionato?

Dall'inizio della pandemia la Cina ha scelto di sigillare i confini e adottare la politica «zero covid». Mentre il resto del mondo era alle prese con il protrarsi di lunghe chiusure, i cittadini cinesi hanno vissuto come se il covid non esistesse, se si escludono alcuni focolai presto circoscritti. Il Celeste Impero non ha accettato di convivere con un virus da noi nel frattempo divenuto endemico, ha scelto di annientarlo e ha difeso le sue scelte, anche a livello propagandistico, nella convinzione che rappresentassero un modello più efficace rispetto a quello occidentale.

L'apice della celebrazione della strategia di Pechino è stato raggiunto durante le Olimpiadi Invernali, andate in scena con gli impianti pieni grazie al sistema delle «bolle». Il duro approccio del gigante asiatico ha potuto far leva sul senso di collettività caratteristico del confucianesimo e il Partito comunista ha giocato la carta della «mobilitazione» del popolo: ogni cinese ha fatto la sua parte, accogliendo direttive per noi inaccettabili. In ballo c'erano la vita delle persone, la tutela del bene collettivo e la conservazione dello status di potenza raggiunto dalla nazione.

L'arrivo della variante Omicron, troppo contagiosa per essere debellata, ha però fatto saltare il banco. In una metropoli come Shanghai, la situazione è sfuggita di mano.

Chi è chiuso in casa appare oggi sempre più rassegnato. I compound residenziali, in cui spesso coabitano migliaia di individui, hanno cominciato ad organizzare unità di distribuzione di cibo autonome o mini mercati di frutta e verdura nei cortili, perché ormai è svanita la speranza che la normalità possa tornare presto.

Gli shanghaiesi si sentono traditi dal governo che aveva promesso un lockdown di pochi giorni e adesso non sa indicare una data precisa in cui quella che è a tutti gli effetti una reclusione potrà finire. La parola d'ordine è diventata incertezza, un concetto che non trova spazio nel patto non scritto - molto difficile da accettare nella nostra fetta di mondo - in vigore tra opinione pubblica e partito unico: la garanzia del benessere economico in cambio della rinuncia ad alcune libertà personali.

Il PCC fonda la sua legittimità sul controllo della società, ma anche, che ci piaccia o no, sul credito acquisito negli ultimi decenni. In soli quarant'anni ha trasformato un paese povero e rurale nella seconda potenza del pianeta, sollevando dalla soglia di povertà seicento milioni di persone e migliorando giorno per giorno la vita dei suoi cittadini. La maggior parte dei cinesi tende a essere pragmatica quando si tratta di rapportarsi con il potere. Il benessere materiale, il progresso nelle condizioni di vita, la stabilità, il rispetto guadagnato dalla nazione compensano la censura di Internet, la durezza contro chi dissente, il divieto di affrontare in pubblico determinati temi politici.

A Shanghai questo meccanismo sembra essersi inceppato: dopo decenni di sviluppo, si è sperimentata nuovamente la fame (i cinesi di una certa età ricordano le carestie durante le quali ci si cibava delle cortecce degli alberi per non morire di stenti) e si è toccato con mano il peso dell'autoritarismo del Partito. Il malcontento è palpabile, la tensione è evidente, eppure, il governo non dà segno di voler abbandonare la politica «zero covid», anzi. I media e gli esperti la rilanciano in continuazione e le voci dissonanti vengono silenziate, proprio nelle ore in cui Omicron bussa alle porte di Pechino.

Perché la Cina non si lascia alle spalle questa modalità di gestione della pandemia? La risposta è tutta politica. Shanghai da sempre è la città di riferimento della fazione del PCC vicina all'ex presidente Jiang Zemin. La cosiddetta «gang di Shanghai» si contrappone alla corrente dello Zhejiang, guidata dall'attuale presidente Xi Jinping.

Durante i suoi dieci anni al potere, il leader cinese ha fatto piazza pulita dei suoi avversari e si è circondato di fedelissimi. In autunno, si svolgerà a Pechino il XX Congresso nazionale del PCC, che dovrebbe confermare Xi alla guida del paese per il terzo mandato: dichiarare la sconfitta della strategia attuata fino ad ora e passare alla convivenza con il virus, arrendendosi all'uso dei vaccini stranieri, costituirebbe un suo personale fallimento. Inammissibile in una fase delicata come questa, segnata anche da fragilità economiche e dagli effetti della guerra in Ucraina, che gli avversari potrebbero sfruttare per recuperare posizioni nella sfida per il potere.

Diventa quindi fondamentale osservare se Pechino andrà incontro allo stesso destino di Shanghai. Le speculazioni - questo possiamo permetterci ora - sostengono che la capitale non sarà ridotta nelle condizioni della metropoli portuale proprio per scaricare il fallimento della gestione di Omicron sugli errori e sull'incapacità organizzativa delle autorità locali, salvando così l'approccio zero covid e di conseguenza la leadership di Xi Jinping.

IL RACCONTO DI UN’ITALIANA IN CINA. «Il governo nasconde il nostro lockdown infinito a Shanghai». SELVAGGIA LUCARELLI su Il Domani 09 aprile 2022

Duecento milioni di cinesi in lockdown, bambini positivi al Covid separati dai genitori, animali domestici soppressi, mancanza di comunicazione da parte del governo, difficoltà nel procurarsi il cibo mentre si è chiusi in casa.

la Cina è alle prese con una guerra interna non meno folle di quella contro l’Ucraina: la guerra al Covid nella sua variante Omicron, con l’ambizione del solito traguardo cinese “contagi zero”.

Lucia, un’italiana che lavora nel settore manifatturiero e vive a Shanghai da sette anni, mi racconta la situazione che sta vivendo.

Duecento milioni di cinesi in lockdown, bambini positivi al Covid separati dai genitori, animali domestici soppressi, mancanza di comunicazione da parte del governo, difficoltà nel procurarsi il cibo mentre si è chiusi in casa. Mentre l’amica Russia è impantanata in una guerra dagli esiti imprevedibili, la Cina è alle prese con una guerra interna non meno folle di quella contro l’Ucraina: la guerra al Covid nella sua variante Omicron, con l’ambizione del solito traguardo cinese “contagi zero”. Un’ambizione insensata, tenendo conto dell’altissima contagiosità di Omicron, della scarsa efficacia del vaccino cinese, della bassa diffusione del virus nel paese durante le precedenti ondate e, soprattutto, della limitata copertura vaccinale (in Cina il vaccino non è obbligatorio).

Il disastro della vicina Hong Kong poi, sta terrorizzando il paese, soprattutto dopo i 20mila contagi registrati a Shanghai pochi giorni fa. Ed è proprio Shanghai, assieme ad un’altra ventina di città, a pagare il prezzo più alto. Lucia, un’italiana che lavora nel settore manifatturiero e vive a Shanghai da sette anni, mi racconta la situazione che sta vivendo.

«Qui la situazione è allucinante, da uscire di testa. Hanno iniziato con un lockdown a macchia di leopardo più o meno un mese fa, palazzi e compound chiusi per un numero di giorni diverso a seconda della situazione».

Cioè?

Dipendeva dal grado di separazione con un positivo. Io per esempio ero già in lockdown assieme a tutto il mio palazzo quando si è deciso per il lockdown in tutta la città perché nel mio condominio era stato trovato un positivo. Bastava questo per ritrovarsi chiusi in casa pure se non lo avevi mai incontrato nemmeno in ascensore.

È vero che sopprimono gli animali domestici di chi risulta positivo e viene portato in strutture apposite?  

Sta succedendo. L’altro giorno sui social di qui, Weibo e WeChat, girava ovunque il video di un addetto sanitario del governo in tuta bianca che picchiava a sangue un cane corgi per strada (secondo una delle ricostruzioni più attendibili il proprietario, prelevato dal suo appartamento perché positivo, lo aveva liberato in strada confidando nel fatto che qualcuno dei vicini si sarebbe occupato di lui in sua assenza, ndr.).

Quanti lockdown hai fatto fino ad oggi?

La prima ondata qui a Shanghai si è sentita poco, siamo stati chiusi per un po’ ma poi rispetto al resto del mondo abbiamo passato un anno tranquillo. A novembre del 2021 ho fatto il vaccino cinese e per la prima volta sono uscita dalla Cina per andare trovare i miei cari. Avevo una forte ansia perché sapevo che se mi fossi ammalata il rientro sarebbe stato difficile, considera che per rientrare in Cina si fanno test molecolari, analisi del sangue e anche una lastra al torace in alcuni casi.

Sei rientrata tranquillamente?

No, mi hanno respinta. Ho buttato 4000 euro di volo, prezzi folli ormai. Avevo gli anticorpi troppo alti a causa del vaccino Pfizer che avevo fatto fuori dalla Cina. Quindi sono andata a Hong Kong dove ho passato tre settimane di quarantena in hotel per poi farne altre tre arrivata a Shanghai, e siamo già a gennaio di quest’anno.

Quindi stai passando la vita in quarantena.

Ero già stremata, poi a marzo imi arrivano notizie allarmanti dal mio team di lavoro, ho iniziato a capire che la strategia della città di Shanghai non funzionava. Qui c’è un governo centrale, quello di Pechino, e un governo locale, che prende alcune decisioni. Questo aiuta lo storytelling di Xi Jinping perché se le cose vanno male può dire che Shanghai l’ha gestito male…

Cosa succede a marzo?

Quando si registrava un positivo in un palazzo, vedi il mio caso, si veniva rinchiusi in casa e testati. Poi ognuno aveva l’obbligo di quarantena per un numero variabile di giorni, io per esempio 14.

Finché non inizia il lockdown per tutta la città.

La dividono in due blocchi. Il lockdown nella parte est è iniziato il 28 marzo e doveva durare fino al primo aprile. Considera che si avevano 4/6 ore al massimo per organizzarsi perché nessuno ci aveva avvisati. Dunque la città era divisa dal fiume, 10 milioni da una parte e 11 milioni a ovest dall’altra che invece aveva il lockdown dal primo aprile al 5 . Alla fine non hanno più riaperto né a est né a ovest.

Immagino quanti problemi…

Ci testano continuamente, alcuni sono testati tutti i giorni. Ci hanno distribuito i test rapidi, e questo accade per la prima volta in Cina. Ognuno ha una app con un qr code assegnato che contiene tutti i dati sanitari. I problemi sono enormi, i medici per altre patologie lavorano in remoto, i pediatri sono indisponibili. Non c’è cibo a sufficienza, le persone si svegliano alle 5 del mattino sperando di potersi accaparrare qualcosa tramite app. Il procurarsi cibo e acqua è diventato un lavoro giornaliero. 

Come fate?

Su Wechat ci si mette d’accordo magari col palazzo per organizzare acquisti collettivi, io oggi stavo gestendo l’acqua per il palazzo cercando di non aver contatti fisici con nessuno. Per il cibo il governo ha fatto consegne a quasi tutte le unità familiari, io ho ricevuto pacco vegano, ma non è sufficiente. Sono in una chat con 400 italiani a Shanghai, ci siamo arresi. Gioiamo per un baratto tra una zucchina e un cetriolo nel palazzo.

Cosa provoca questa mancanza di comunicazione del governo?

Che siamo in balia di pettegolezzi, girano voci di tutti i tipi. Nessuno vuole essere portato negli hangar, siamo terrorizzati dalla politica zero contagi, non dal Covid. Ci ritroviamo senza dignità, non abbiamo accesso al cibo e all’acqua e ignoriamo il futuro. Non capiamo la politica intrapresa, se non ci sono morti come sembra è tutto ridicolo. Se ci sono morti vogliamo saperlo.

Dovresti aver imparato come funziona in Cina la comunicazione..

Certo. A novembre ci sarà il congresso del partito comunista, probabilmente Xi Jinping sarà rieletto per il terzo mandato e la situazione gli sta sfuggendo di mano.  Qui per la prima volta ci sono rivolte, io non avevo mai visto i cinesi reagire da quando sono qui.

Pensi di rimanere a Shanghai in futuro?

Da Hong Kong pare siano scappate 70.000 persone nell’ultimo periodo, e lì hanno Pfizer. Qui Pfizer non c’è, abbiamo un vaccino di dubbia efficacia, quindi non so che futuro ci aspetta. Tra l’altro si parla tanto di Shanghai perché è internazionale, ha il porto, la borsa... ma ci sono vari disastri col Covid anche in tante città popolose nel nord della Cina. Ora lasciare il paese è impossibile, tra palazzi in quarantena e test da superare in aeroporto, ma capisci che succedono cose al di là dell’umana ragione?

Cioè?

Questa cosa dei figli separati dai genitori e portati in hangar ammucchiati con altri bambini, in condizioni sanitarie oscene è terribile. Pare che ora i genitori negativi li possano accompagnare, ma si sono dovuti muovere i media internazionali.

È anche difficile far trapelare informazioni.

Noi nella chat degli italiani ci mandiamo video che vengono censurati subito dal sistema, un nostro amico ci ha mandato un video delle rivolte ed è sparito non appena ha premuto invio.

Ti dispiace l’ipotesi di non lavorare più in Cina, di lasciarla?

So solo che è una situazione troppo snervante ormai. Qui di stranieri siamo rimasti in pochissimi, hanno fatto di tutto per mandarci via. Questa politica di controlli soffocanti è iniziata tre anni fa, prima del Covid, con assurdi rastrellamenti nei ristoranti e nei locali dove ti chiudevano all’improvviso e ti costringevano a fare pipì per indagare su droga e altro. In alcuni casi ti tenevano 10 giorni in galera prima di espellerti. Ormai restavo 15 minuti in un bar e uscivo per la paura di venire rinchiusa.

Poi sono arrivati i controlli per il Covid.

Si è saputo poco ma qui quando è scoppiata l’epidemia alcune persone sono rimaste per settimane chiuse in ristoranti o uffici se trovate positive. Quando sono uscita dalla quarantena io avevo paura di entrare ovunque. So di gente rimasta chiusa dentro la sede Adidas, c’era un piano intero di persone adibito a dormitorio o di altri costretti a dormire nei parcheggi dei centri commerciali, o per 48 ore all’ikea. Dopo tutto questo e mentre accade tutto questo è difficile immaginare un futuro qui, credo capirai.

SELVAGGIA LUCARELLI. Selvaggia Lucarelli è una giornalista, speaker radiofonica e scrittrice. Ha pubblicato cinque libri con Rizzoli, tra cui l’ultimo intitolato “Crepacuore”. Nel 2021 è uscito “Proprio a me", il suo podcast sulle dipendenze affettive, scaricato da un milione di persone. Ogni tanto va anche in tv.

Alessandra Ziniti per “la Repubblica” il 12 aprile 2022.

Ventisette casi di Covid (9 dei quali asintomatici) in una città di 18 milioni di abitanti. E un'altra metropoli cinese torna a "chiudere". Dopo Shanghai tocca a Guangzhou, grande distretto manifatturiero della Cina meridionale, il più grosso aeroporto a nord ovest di Hong Kong, dove, secondo le autorità sanitarie, si sta espandendo la nuova ondata di Omicron che Pechino intende affrontare con misure rigidissime nonostante il numero dei positivi (26.000, la maggior parte dei quali asintomatici a Shanghai), se parametrato con quelli che si registrano ormai da mesi in Occidente, sia assolutamente modesto.

Degli appena 1.184 casi nelle ultime 24 ore registrati dalla Commissione sanitaria, i 27 di Guangzhou hanno aperto un nuovo fronte nella politica della "tolleranza zero" con cui da sempre le autorità cinesi hanno affrontato il coronavirus. E l'attuale ondata di Omicron sta comunque facendo registrare nelle regioni orientali del Paese un numero record di infezioni che non si vedeva dalla prima metà del 2020. 

I 27 casi di Covid sono stati sufficienti a chiudere (intanto per una settimana) tutte le scuole primarie e secondarie di Guangzhou dove le autorità hanno subito ordinato test di massa per i 18 milioni di abitanti. Vietato entrare e uscire dalla Regione senza un tampone negativo fatto nelle 48 ore precedenti. Eventi pubblici sospesi e un centro espositivo immediatamente trasformato in ospedale per far fronte alla nuova "emergenza".

In lockdown restano i 17 milioni di abitanti della vicina Shevchenko e i 26 milioni di Shanghai, dove su 26.100 casi solo 914 presentano dei sintomi. Rigoroso isolamento (con centinaia di migliaia di persone costrette nelle strutture dedicate alla quarantena) e test di massa sono gli strumenti sui quali le autorità sanitarie cinesi non transigono nonostante le proteste a Shanghai per carenza di cibo e servizi medici anche se le autorità cittadine affermano di avere assicurato forniture giornaliere. Visto l'isolamento, molti condomini hanno deciso di fare una sorta di spesa collettiva per rifornire interi edifici dai quali è vietato uscire.

La rigida linea di contenimento del virus ha innescato una nuova polemica tra Cina e Stati Uniti. L'Ambasciata statunitense in Cina ha emesso un avviso in cui chiede ai propri connazionali di "riconsiderare" eventuali viaggi in Cina, a causa dell'ondata di contagi e delle restrizioni in atto e dell'applicazione "arbitraria" delle leggi locali. La Cina, con il portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian, ha ritenuto «infondate» le accuse sulla politica sanitaria.

Ma anche la Camera di commercio dell'Unione europea in Cina ha fatto le sue rimostranze per le misure che stanno costringendo molte aziende a sospendere la produzione o a ritardare le consegne per le restrizioni in atto e la difficoltà negli spostamenti. 

·        Succede in Corea del Nord.

Kim Jong Un dice di aver liberato la Corea del Nord dal Covid. DANIELE ERLER su Il Domani l'11 agosto 2022

Da più di dieci giorni non ci sarebbero nuovi casi nel paese, ma è impossibile verificare la notizia in maniera indipendente. Anche la pandemia diventa uno strumento di propaganda, partendo dalla teoria fantasiosa che il virus sia stato portato con i palloncini lanciati dal sud. Per la sorella del dittatore il lancio di palloncini «è un crimine contro l’umanità»

Il leader nordcoreano Kim Jong Un ha dichiarato solennemente la vittoria sul Covid-19. Lo riporta Yonhap, importante agenzia di stampa sudcoreana citando a sua volta media ufficiali nordcoreani. Kim ha fatto l'annuncio durante un incontro sulle misure antiepidemiche che ha presieduto.

Ha «dichiarato solennemente la vittoria nella campagna antiepidemica di massima emergenza per l’annientamento del nuovo coronavirus che aveva fatto breccia nel nostro territorio e per proteggere la vita e la salute delle persone», si legge. La notizia non può essere verificata in maniera indipendente. Come non poteva essere verificato il dato che voleva la Corea del Nord libera dal Covid-19 per oltre due anni, fino allo scorso 12 maggio, quando è stato annunciato il primo caso.

ISOLATI

L’isolamento del paese può essere letto in due modi diversi. Quello fisico fa pensare che effettivamente il contagio possa essere stato ritardato o almeno limitato. Ma c’è poi il totale isolamento dal resto del mondo, con un controllo totale sulle notizie che vengono fatte filtrare. La lotta al Covid-19 per Kim Jong Un è semplicemente un altro strumento di propaganda. Probabilmente fra i più efficaci.

Anche perché nelle scorse settimane la situazione non sembrava così rosea. Dopo aver ammesso i primi casi, in una settimana gli infettati avevano ufficialmente raggiunto la cifra dei due milioni, su una popolazione di 25 milioni e 700 mila abitanti. Entro fine luglio i casi sono precipitati a zero. Anche questo dato è difficile da verificare, anche considerando che la Corea del Nord non ha importato né test né vaccini contro il Covid.

LA TEORIA DEI PALLONCINI

Nel frattempo il leader supremo ha diffuso una curiosa teoria su come il Covid-19 sia arrivato. Sarebbe stato trasportato, dice, con alcuni palloncini lanciati dalla Corea del Sud. In effetti i palloncini vengono utilizzati per distribuire volantini di propaganda contro la Corea del Nord. La teoria che possano essere stati utilizzati per diffondere il Covid-19 invece è decisamente fantasiosa.

Ma fa capire come anche un virus – e ora la sua sconfitta – possa diventare lo strumento per polarizzare la popolazione, dividendo il mondo in due: noi e gli altri. Così Kim Yo Jong, sorella di Jong Un, ha minacciato la Corea del Sud sostenendo che l’invio di palloncini è un «crimine contro l’umanità» (sic). «È molto preoccupante che la Corea del Sud invii volantini, denaro, opuscoli e oggetti sporchi nella nostra regione», ha detto.

Guido Santevecchi per corriere.it l’1 luglio 2022.

«Oggetti alieni» (vale a dire venuti dall’esterno) hanno portato in Nord Corea la pandemia. È la nuova versione del regime, che a maggio ha dovuto ammettere la diffusione del Covid-19, con numeri terribili sul fronte dei contagi (oltre 4 milioni) e incredibilmente bassi per mortalità: solo 71 decessi. Kim Jong-un se l’è presa con l’incapacità dei gerarchi della sanità e della sicurezza. Ora la nuova versione: il Covid-19 è arrivato con oggetti spediti dalla Sud Corea, scavalcando il 38esimo Parallelo. 

Scrive il Rodong Sinmun, quotidiano del regime nordista, che l’inchiesta ha determinato come il contagio a Pyongyang sia stato portato da alcuni abitanti di Ipho-ri, località sul confine tra le due Coree. Questa gente avrebbe prima toccato o raccolto gli «oggetti alieni», contenuti in palloni spediti per motivi propagandistici da attivisti nel Sud.

Quella dei palloni aerostatici lanciati verso il Nord è una vecchia storia: contengono volantini contro la Dinastia Kim, chiavette Usb per guardare programmi occidentali, anche qualche genere di conforto. E secondo Pyongyang gli ultimi carichi avrebbero contenuto anche il terribile coronavirus che dà il Covid-19. Scientificamente sembra praticamente impossibile che il contagio abbia viaggiato in pallone. Gli esperti ritengono più probabile che i contagi siano passati lungo la frontiera con la Cina, dove c’è un continuo flusso di contrabbando. Ma a Kim piace di più la versione «aliena sudista», perché dà la colpa dell’untore al governo di Seul e ai fuoriusciti che organizzano i lanci di palloni.

Focolaio in Corea del Nord, 18 mila casi confermati. Seul offre vaccini e attrezzature a Pyongyang. Il Corriere della Sera il 13 maggio 2022.

Ore 08:42 - Il rischio incubo per la Corea del Nord: 18 mila casi confermati

Oltre 18.000 casi di Covid-19 sono stati confermati in Corea del Nord, secondo quanto riferito dall’agenzia nordcoreana Yonhap citando l’organo di stampa ufficiale KCNA di Pyongyang. Secondo un rapporto, sarebbero 6 i morti a causa del virus. Ieri il Paese ha rilevato il suo primo caso della variante BA.2 Omicron, nota anche come stealth Omicron. Il leader nordcoreano Kim Jong-un ha convocato una riunione dell’Ufficio Politico del Comitato Centrale del Partito dei Lavoratori al potere e ha ordinato un lockdown a livello nazionale: è scattato il sistema di massima prevenzione dell’emergenza epidemica in Corea del Nord. Insieme all’Eritrea, la Corea del Nord è uno degli unici due paesi che non hanno avviato una campagna di vaccinazione contro il COVID-19, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Il programma globale COVAX di condivisione del vaccino contro il COVID-19 ha ridotto il numero di dosi assegnate al Paese, sotto sanzioni per il suo programma nucleare, e Pyongyang ha anche rifiutato le offerte di vaccini dalla Cina. Il leader Kim Jong Un sarebbe stato vaccinato nel luglio 2021, ma non ci sono conferme. E su gli stessi casi testati (350 mila) non tornano i conti rispetto alla capacità di tamponi manifestata dal Paese. Alla fine di marzo, solo 64.207 dei 25 milioni di persone erano state testate per COVID e tutti i risultati erano negativi, mostrano gli ultimi dati dell’OMS. Non è nemmeno chiaro se la Corea del Nord abbia imposto la mascherina dall’inizio della pandemia: sono stati visti cittadini indossarle, ma anche partecipare a eventi politici importanti, che hanno mobilitato decine di migliaia di persone, senza alcuna protezione.

Ore 08:28 - Seul offre a Nord Corea vaccini e attrezzature mediche

Il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol ha offerto l’invio in Corea del Nord di vaccini contro il Covid-19 all’indomani dell’annuncio del primo focolaio nel Paese in oltre due anni di pandemia. «Il presidente Yoon Suk-yeol ha in programma di fornire vaccini e altre forniture mediche», ha riferito il portavoce Kang In-sun in una nota, assicurando che saranno «tenuti a tal proposito discussioni con la parte nordcoreana sui dettagli». Pyongyang ha invece detto oggi che sei persone sono morte (di cui per la variante Omicron) dopo che una febbre si è diffusa nel Paese «in modo esplosivo», colpendo 350.000 persone da fine aprile.

Erminia Voccia per "Il Messaggero" il 14 maggio 2022.

Dopo più di due anni il virus ha raggiunto anche l'impenetrabile Corea del Nord. La Repubblica democratica popolare di Corea, insieme al Turkmenistan, era uno dei 2 soli Paesi al mondo a non aver ancora dichiarato alcun caso ufficiale di contagio da Covid. Giovedì scorso, per la prima volta, il regime nordcoreano ha ammesso pubblicamente il primo caso di positività alla mutazione BA.2 di Omicron, senza specificare però quante persone si siano realmente infettate.

L'EMERGENZA Il dittatore Kim Jong Un ha previsto «misure di massima emergenza» per provare a frenare la corsa del virus che da fine aprile, secondo l'agenzia di Stato Kcna, si sarebbe diffuso «in maniera esplosiva in tutto il territorio nazionale». Più di 187mila persone sarebbero in isolamento e starebbero ricevendo delle cure a causa di una febbre sospetta, 350mila avrebbero sintomi simili, su una popolazione di quasi 25 milioni relativamente giovane ma molto probabilmente fragile perché denutrita.

Almeno 6 persone con sintomi simili a quelli causati dalla malattia di Covid sarebbero morte, ma un solo caso di decesso sarebbe riconducibile con certezza alla variante Omicron. Sono numeri fittizi che non possono riflettere la condizione reale del Paese, sia per l'incapacità logistica e tecnica di effettuare test di massa sia per la nota scarsa trasparenza del regime nordcoreano. La Kcna ha definito la situazione come «la più grave emergenza del Paese». Ma nessuno più credeva alla favola che la Corea del Nord fosse riuscita ad evitare gli effetti della pandemia, ipotesi ancora meno probabile con la variante Omicron ormai così diffusa in Cina. Nella capitale Pyongyang il lockdown sarebbe scattato già l'11 maggio, prima dell'annuncio ufficiale.

L'EPIDEMIA Kim aveva adottato misure estreme per bloccare l'epidemia sin da subito, proprio per evitare che si realizzasse l'incubo. Il poroso confine con la Cina era stato sigillato a inizio 2020, fermando di fatto il traffico di beni necessari alla sopravvivenza dei nordcoreani, sia legali che illegali. Le conseguenze di questa scelta sull'economia sono state terribili, ancor più per l'agricoltura. Kim era persino arrivato a chiedere scusa ai nordcoreani e a mostrarsi in lacrime per aver fallito tutti gli obiettivi economici, qualcosa di impensabile fino a quel momento.

La decisione di riaprire il confine cinese a gennaio 2022 era stata una misura necessaria e disperata e proprio questa avrebbe causato la diffusione senza controllo della malattia. La città cinese di Dandong, situata lungo il confine nordcoreano, alla fine del mese scorso era andata in lockdown e Pechino aveva così congelato di nuovo tutti i collegamenti con il Paese vicino. Inoltre, la Corea del Nord, rispetto alla Cina, è molto più impreparata a gestire gli effetti della pandemia. Se Omicron si è rivelata un disastro nella Repubblica popolare, in Corea del Nord potrebbe tradursi in una tragedia. Il sistema sanitario nazionale è arretrato e non ci sono sistemi di tracciamento neanche lontanamente paragonabili a quelli cinesi.

Sebbene fino almeno al 2010 Pyongyang abbia investito nella prevenzione delle malattie infettive, altrettanti fondi non sarebbero stati stanziati nel periodo compreso tra il 2015 e il 2020, come riferisce il think tank 38North. Kim ha rifiutato i vaccini offerti dal programma Covax, sia quelli occidentali che cinesi, respingendo l'idea di avere un problema nel Paese e mettendo a serio rischio la popolazione. L'ammissione potrebbe essere il segnale di un cambio di strategia: cominciare a convivere con la malattia e accettare l'aiuto esterno.

Covid in Nord Corea, boom della pandemia: il virus portato dai contrabbandieri. Paolo Salom su Il Corriere della Sera il 16 Maggio 2022.

Ci sarebbero un milione di casi: niente test né vaccini. Il regime, che aveva sempre negato i contagi, se la prende con i medici. Le infezioni legate ai traffici con la Cina. 

Virus fuori controllo in Corea del Nord , dove ci sarebbero già «un milione di casi» (su 25 milioni di abitanti) di una non meglio specificata «febbre». Il Giovane Maresciallo Kim Jong-un ha duramente criticato i funzionari delegati alla sanità, per non aver immediatamente messo a disposizione della popolazione «farmaci e assistenza medica, ordinando l’apertura delle farmacie e degli ambulatori 24 ore su 24, sette giorni su sette». Perciò il leader ha ordinato alle «potenti forze armate» di attivarsi per consegnare tutto il necessario ai cittadini nella capitale Pyongyang.

Niente vaccini

C’è da chiedersi cosa potranno mai distribuire i soldati, considerato che in Corea del Nord manca praticamente tutto. Inoltre il virus — le vittime sarebbero già 50 — non può essere tracciato, visto che non esistono nel Paese i mezzi per effettuare i test e gli aiuti offerti dalla comunità internazionale (vaccini, soprattutto, ma anche gli strumenti per identificare la malattia) sono stati rifiutati all’inizio della pandemia con la giustificazione che il Regno Rosso era ormai al sicuro (gennaio 2020) grazie alla «chiusura ermetica di tutte le frontiere».

Attraverso il confine

Evidentemente, nella ristretta cerchia del potere, intorno a Kim Jong-un, poco conta che in provincia le condizioni di vita siano quasi primitive, e senza i traffici attraverso il fiume Yalu, confine naturale con la Cina, sarebbe difficile mettere in tavola un pranzo. Insomma: da quelle parti il contrabbando equivale alla sopravvivenza, perciò si rischia la vita trasportando merci sotto gli occhi (e i fucili) dei soldati di pattuglia. Il punto è che, oltre ai beni indispensabili, i contrabbandieri hanno con buona probabilità portato anche il virus. Che ha potuto diffondersi silenziosamente proprio per la carenza di controlli sanitari. Risultato: mentre nel «corrotto Occidente» il Covid-19 sta lentamente trasformandosi in un’influenza endemica, la Corea del Nord si trova esposta alla malattia senza praticamente alcuna difesa. Peraltro, la vicina Repubblica popolare cinese, per via della politica «zero contagi» imposta dal regime, continua a privarsi della costruzione delle naturali difese immunitarie: e il ciclo riparte a ogni mutazione.

Covid, come la Corea del Nord combatte la pandemia: tè allo zenzero e gargarismi con il sale. Cristina Marrone su Il Corriere della Sera il 20 Maggio 2022.

La popolazione non è vaccinata, non ci sono medicine ed è stato rifiutato l’aiuto dall’estero. E il regime tranquillizza suggerendo rimedi naturali alternativi.  

Gargarismi con acqua salata e tè allo zenzero. Il regime di Pyongyang suggerisce alla popolazione di combattere il Covid con la medicina tradizionale. In una fase in cui la Corea del Nord è alle prese con un’elevata diffusione del virus i consigli diffusi dai media per combattere quella che viene definita «febbre» sono una palese presa in giro nei confronti della popolazione che periodicamente riceve l’ordine di rinchiudersi in casa.

Il regime ha chiuso ermeticamente le frontiere all’inizio del 2020 e non ha accettato vaccini dall’estero, neanche quelli offerti da Pechino (la Cina aveva offerto tre milioni di dosi). Nessuno dunque è vaccinato e la Nord Corea, insieme con l’Eritrea, è l’unico Paese al mondo a non aver avviato una campagna di vaccinazione. L’entità dell’epidemia non è nota. I casi «di febbre» hanno ormai superato i due milioni (2,24 milioni) e i morti sono 65. Ma i casi di Covid confermati da Pyongyang sono soltanto 168, un solo decesso.

La Bbc, monitorando i media statali, è riuscita a ricostruire come viene curato il Covid. Per coloro che non sono gravemente malati il giornale del partito del governo ha raccomandato i classici rimedi della nonna: tè allo zenzero o al caprifoglio e una bevanda a base di foglie di salice. Le bevande calde potrebbero lenire alcuni sintomi del Covid come il mal di gola o la tosse e aiutare i pazienti quando perdono più liquidi del normale. Lo zenzero e la foglia di salice potrebbero eventualmente ridurre il dolore, ma nessuno di questi intrugli è un trattamento contro il coronavirus.

Ogni mattina i media di Stato trasmettono una sorta di bollettino dei casi di febbre letto da Ryu Yong-chol, che la Reuters ha battezzato il dottor Fauci nordcoreano. Ed è lui che dispensa consigli per come affrontare il virus

I media statali hanno mandato in onda l’intervista a una coppia che raccontava di fare gargarismi con acqua salata mattina e sera e, secondo l’agenzia di stampa statale, migliaia di tonnellate di sale sono state inviate a Pyongyang per creare una «soluzione antisettica».

Il Covid si trasmette principalmente inalando goccioline disperse nell’aria attraverso naso e bocca, ma una volta che è entrato si diffonde negli organi e si replica e nessun gargarismo potrà raggiungerlo

La televisione ha suggerito di utilizzare ibuprofene, amoxicillina e altri antibiotici. In effetti ibuprofene e paracetamolo possono abbassare la temperatura ed alleviare sintomi come mal di testa, mal di gola, ma non possono eliminare il virus ed impedirne lo sviluppo. E gli antibiotici sono utili contro le infezioni batteriche, non virali e anzi l’abuso può sviluppare resistenza. Finora nel mondo occidentale sono stati approvati tre antivirali destinati a chi è più debole, per evitare il ricovero in ospedale: paxlovid, molnupiravir e remdesivir.

L’entità dell’epidemia non al momento chiara, ma gli analisti paventano che sia più grave di quanto annunciato e si ipotizza che possa avere serissime conseguenze per il Paese dato lo stato carente del sistema sanitario nazionale, la diffusa malnutrizione e il fatto che i 26 milioni di abitanti sostanzialmente non siano vaccinati. La Corea del Nord ha da sempre adottato la politica «zero-Covid» della Cina e di altri Paesi asiatici, politica bollata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) come «insostenibile». «Mentre il primo coronavirus poteva essere contenuto con i lockdown, la variante Omicron non può essere fermata né cancellata , come dimostra l’esperienza del resto del mondo», aveva spiegato l’Oms riferendosi alla formidabile contagiosità di BA.2 e rivolgendosi alle autorità cinesi che applicano la politica «zero Covid». Se la variante Omicron sembra essere meno letale di molti precedenti ceppi del virus, questa apparenza si fonda sostanzialmente sugli alti livelli di immunità raggiunti dalla popolazione di molti Paesi occidentali e sulla protezione offerta dai vaccini ampiamente diffusi in quelle zone. Tutte cose inesistenti in Corea del Nord , dove la popolazione è ancora «vergine» al virus e altamente suscettibile: qui il virus potrebbe fare una strage, in barba alle tisane calde e ai gargarismi con il sale.

·        Succede in Africa.

L'Africa rifiuta i vaccini in scadenza e chiede anche frigoriferi e siringhe. Matteo Fraschini Koffi, Dakar (Senegal) il 15 Gennaio 2022 su  Avvenire.  

Sono milioni le dosi di vaccini rifiutate o distrutte dagli Stati africani, da metà dicembre, per contrastare la pandemia di coronavirus. C’è chi ha usato le ruspe o organizzato dei falò per dimostrare l’impossibilità di utilizzare vaccini troppo vicini alla data di scadenza.

Si tratta però anche di un chiaro messaggio di disapprovazione da parte dell’Africa verso i Paesi più ricchi. «Abbiamo deciso di non ricevere più vaccini che hanno solo alcune settimane di vita – ha detto Faisal Shuaib, capo in Nigeria dell’Agenzia per lo sviluppo della salute nazionale di base (Nphcda) –. L’organizzazione per distribuirli in tutta fretta ha ulteriormente stremato le nostre strutture sanitarie».

Secondo i dati dell’Unicef, circa «100 milioni di dosi sono state rifiutate nell’ultimo mese dai Paesi più poveri», gran parte dei quali si trova in Africa. I vaccini sono stati inviati nel continente nero soprattutto attraverso il programma Covax promosso dall’organizzazione Gavi, a cui partecipa anche la fondazione Bill & Melinda Gates. «Su oltre 200 milioni di nigeriani, solo il 2% è stato vaccinato – riferisce il ministero della Salute nigeriano –. Abbiamo ancora 30 milioni di dosi da distribuire». La stampa nigeriana aveva filmato la discarica dove le ruspe avevano sotterrato circa un milione di vaccini. Il Malawi ha invece deciso di bruciare 20mila dosi mentre il Sud Sudan ne ha distrutte 60mila e ne ha rispedite indietro 72mila. In seguito, la Repubblica democratica del Congo (Rdc) ha iniziato a rifiutare l’offerta dei vaccini prima ancora che atterrassero nel Paese.

«D’ora in avanti faremo più attenzione ai dati relativi alla scadenza e alla conservazione dei vaccini anti-covid – hanno commentato diversi funzionari africani –. Le dosi dovranno avere oltre due mesi e mezzo di efficacia e i governi dovranno essere avvisati almeno un mese prima della spedizione». Inoltre sarà necessario che i vaccini vengano spediti insieme con altro materiale medico come siringhe e frigoriferi. Il Senegal, dove nelle ultime due settimane da neanche un caso di Covid se ne sono raggiunti oltre 500 al giorno, ha infatti appena ricevuto dal Giappone, attraverso la collaborazione dell’Unicef, 270 frigoriferi.

Sono comunque ancora pochi i cittadini africani che accettano di farsi vaccinare. Nei casi più estremi c’è chi fugge dal Paese per evitare la vaccinazione. «Abbiamo ricevuto almeno 120 persone dal vicino Ruanda – ha confermato questa settimana alla stampa Idée Bakalu, leader tradizionale nell’area di Bukavu, cittadina nel nord-est della Rdc –. Dicono che stanno fuggendo perché in Ruanda è obbligatorio vaccinarsi». Ci sono anche occidentali che non tornano in alcuni Stati africani dove per entrare è necessaria la vaccinazione, come in Togo che, insieme al Gambia, è stato l’unico Paese africano ad aver usato tutte le dosi in tempo.

L’attuale quadro complessivo della pandemia in Africa resta comunque complicato. «322 milioni di vaccini sono stati somministrati nel continente africano – afferma Statista, una società tedesca di statistica –. Egitto e Marocco sono i Paesi dove le campagne di vaccinazioni hanno avuto più successo». La nuova variante Omicron sta inoltre causando un aumento dei contagi, per questo le autorità sanitarie africane, pur evitando il panico, sanno di non poter abbassare ancora la guardia. La situazione peggiore è in Sudafrica con 3,5 milioni di casi e 92mila decessi dall’inizio della pandemia. «Con la quarta ondata di Covid-19 alimentata da nuove varianti a novembre – ha commentato il Cdc-Africa –, il Paese è comunque riuscito a gestire molto meglio quest’ultima fase della crisi».

Covid, sorpresa in Africa: la strage non è mai avvenuta. Federico Rampini su Il Corriere della Sera il 6 gennaio 2022.

I dati parlano chiaro: mortalità ridotta nonostante la scarsa diffusione dei vaccini. La protezione offerta dalla giovane età media è una certezza, forse ha contribuito l’esposizione la malaria.

In mezzo a tante ragioni d’inquietudine la pandemia regala una sorpresa positiva. L’ecatombe da Covid nell’Africa subsahariana, annunciata regolarmente da quasi due anni, non è mai cominciata e forse non accadrà mai. Di Covid si muore di più in Italia che nei Paesi più poveri del pianeta, benché il loro accesso ai vaccini sia scandalosamente basso. 

La spiegazione scientifica è limpida: la giovanissima età media li protegge, quasi quanto il vaccino. 

È una buona notizia che non andrebbe nascosta. E non valgono sotterfugi per minimizzarla. Fanno testo le statistiche raccolte nella banca dati Our World in Data. In Italia — che purtroppo si colloca nella fascia alta della media occidentale — la pandemia ha provocato 229 morti ogni centomila abitanti, in Uganda sette decessi su centomila persone, in Nigeria due. La rassegna dei Paesi africani riserva la stessa piacevole scoperta, la mortalità varia dai 15 decessi su centomila abitanti in Gambia e Gabon, ai due del Burkina Faso. In mezzo a questi elenchi si celano molte tra le nazioni più povere del pianeta. Alle quali siamo soliti rivolgere un’attenzione tanto compassionevole quanto ideologica, distratta e stereotipata.

L’Africa, lo abbiamo deciso da tempo, deve fare notizia solo per le sue tragedie. Ci interessa in quanto epicentro della miseria e sofferenza umana, continente devastato da conflitti armati e guerre civili, nuova frontiera del jihadismo, terra di conquista per il neo-colonialismo occidentale o più di recente cinese, bacino di migranti disperati, con l’aggiunta delle prossime ondate migratorie legate alle catastrofi climatiche. 

In questo scenario cupo e desolato, quando è iniziata la pandemia abbiamo «deciso» che, ovviamente, avrebbe inflitto danni assai maggiori al continente nero. È scattato il riflesso pavloviano di noi occidentali, l’automatismo umanitario del senso di colpa. Poiché i vaccini — almeno quelli che funzionano — sono prodotti in Occidente e soprattutto in America, la nuova ecatombe africana sarebbe stata l’ennesima macchia sulle nostre coscienze. Una strage provocata dall’egoismo dei ricchi. Perché non è andata così?

La disparità di accesso ai vaccini esiste; è innegabile e imperdonabile. I dati elaborati da Banca mondiale e Oxford University, riassunti in un’analisi del settimanale The Economist, dicono che nei Paesi dal reddito medio o medio-alto, cioè sopra i 4.000 dollari annui di Pil pro capite, sono già stati somministrati 160 vaccini ogni cento abitanti, cioè più di una dose e mezza a testa. Questa media include ovviamente bambini piccoli non soggetti all’inoculazione, altre persone non vaccinabili, e l’area no vax. Nei Paesi più poveri del pianeta, quelli sotto i mille dollari di Pil pro capite, i vaccini inoculati sono solo dodici ogni cento persone. Cioè meno di un decimo. 

Questo conferma l’insuccesso di Covax, l’iniziativa promossa dall’Onu e dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) per distribuire ovunque le immunizzazioni. Per la verità il fiasco non è solo una conseguenza dell’egoismo dei ricchi. Un ostacolo serio riguarda la distribuzione e la logistica. I vaccini più efficaci made in Usa spesso richiedono una conservazione a bassissime temperature, che è problematica in aree subsahariane dove la corrente elettrica scarseggia. Per ogni dollaro di costo del vaccino, tocca spendere altri cinque dollari nel trasporto e conservazione fino al destinatario finale. Bisogna infine fare i conti con un’area no vax che è perfino più estesa nei Paesi poveri. Nell’Africa occidentale solo il 39% della popolazione è disposta a farsi inoculare: intervengono antichi pregiudizi e diffidenze verso la medicina occidentale, o verso i governi locali che la sponsorizzano.

Ma lo scarso accesso ai vaccini non è stato così letale come si temeva. Di fronte ai dati sulla bassa mortalità, molti occidentali storcono il naso: poiché la realtà non coincide con i nostri pregiudizi, allora le statistiche devono essere false. È plausibile che i Paesi più arretrati siano meno efficienti di noi nel censire i decessi da Covid. C’è però un sistema collaudato per aggirare questa lacuna, è la misurazione delle «morti in eccesso» a cui ricorre The Economist. Lo scarto dalla media dei decessi annui, tra il 2020-2021 e l’era pre-Covid, ci dà indicazioni attendibili e sicure. Questa misurazione ineccepibile conferma che la strage africana non è mai avvenuta, anzi la pandemia è stata più benigna a Sud del Sahara. La spiegazione sta nell’età media di quelle popolazioni: è di 20 anni, contro i 43 dell’Unione europea. La prorompente vitalità demografica, che abbiamo spesso considerato come una delle piaghe africane, in questo caso rivela un rovescio positivo. 

Alcuni scienziati aggiungono una spiegazione complementare: i Paesi più esposti alla malaria potrebbero aver sviluppato anche altre forme di parziale immunità contro il Covid. Quest’ultima rimane un’ipotesi da dimostrare; mentre la protezione offerta dalla giovane età è una certezza. Anche perché del Covid muoiono più spesso persone affette da altre patologie come obesità e diabete, più diffuse in età avanzata. La giovinezza è servita da scudo, supplendo ad altre carenze africane.

In questo quadro anche l’egoismo sanitario dei Paesi ricchi è più razionale di quanto appaia: i vaccini sono andati in priorità alle zone fragili, che stavolta coincidono con le aree ricche del pianeta. Opulenza e vulnerabilità vanno di pari passo, di fronte al Covid. Anche se rimane l’eccezione meravigliosa di un Giappone ancora più vecchio di noi e tuttavia capace di mantenere una mortalità «africana» (è un complimento).

Questo non deve esimerci da nuovi sforzi per una diffusa distribuzione planetaria dei vaccini. Qualche scrutinio supplementare andrebbe esercitato su quelle burocrazie internazionali come l’Oms a cui deleghiamo la missione. Ma la sorpresa positiva dall’Africa racchiude una lezione per noi. Gli automatismi umanitari che ci hanno fatto velo sono, in fondo, l’ultimo retaggio neocoloniale. Per assuefazione, per pigrizia mentale, siamo allenati a pensare che tutto ciò che accade nel mondo dipende da noi. Ci consideriamo l’ombelico dell’universo e il motore della storia, anche se da tempo non lo siamo. In questo caso il «mea culpa» delle coscienze occidentali è scattato a prescindere dai fatti, e ci siamo fustigati per una tragedia mai avvenuta.

·        Il Green Pass e le Quarantene.

Scompare anche il Green pass per entrare nelle strutture sanitarie. Covid, cambiano le regole sulla quarantena: tampone non più obbligatorio per uscire dall’isolamento. Elena Del Mastro su Il Riformista il 14 Dicembre 2022

Per chi ha contratto il Covid l’isolamento si concluderà senza bisogno di fare il tampone. È questa la nuova regola introdotta nel decreto Rave approvato ieri in Senato e che dovrà passare anche alla Camera, dove la votazione è prevista subito dopo Natale, tra 27 e 28 dicembre. Il neoministro Orazio Schillaci sin da subito aveva promesso di cambiare le regole sull’isolamento dei positivi. Resta l’obbligo di isolamento dopo essere risultati positivi al Covid, ma cade l’obbligo di tampone per uscire di casa. Per ora bisogna fare il test dopo 5 giorni se non si hanno sintomi.

In realtà nella norma approvata in Senato non viene specificato cosa succede se ci sono ancora sintomi dopo 5 giorni. Una circolare del Ministero dovrà precisare la questione. Schillaci aveva ventilato l’ipotesi di mantenere l’obbligo di tampone per alcune categorie, in particolare per il personale sanitario. Dopo il passaggio per la Camera il decreto deve essere convertito entro due mesi pena la decadenza. Poi dalla pubblicazione in Gazzetta scatteranno le nuove regole.

Il decreto prevede anche la sospensione delle sanzioni da 100 euro per gli over 50 che il 15 giugno scorso non erano in regola con le vaccinazioni. Abolito anche l’obbligo di green pass per entrare nelle strutture residenziali, socio-assistenziali, sociosanitarie e hospice nonché nei reparti di degenza delle strutture ospedaliere. Niente più green pass nemmeno per stare nelle sale di aspetto dei pronto soccorso. Scende, inoltre, a 5 giorni il periodo di autosorveglianza per chi ha avuto contatti con positivi al covid. La regola, poco rispettata, prevedeva che per i 10 giorni successivi al contatto la persona sarebbe potuta uscire di casa ma indossando la mascherina. Infine nel decreto c’è la proroga fino al primo luglio dell’anno prossimo all’Unità di contrasto alla pandemia guidata dal generale Tommaso Petroni.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Come funziona la nuova quarantena per il Covid. Il Domani l'01 settembre 2022 • 07:42

L’isolamento passa da 7 a 5 giorni in caso di tampone negativo, mentre dopo 14 giorni di quarantena si potrà uscire di casa anche senza aver fatto un test

Il periodo di quarantena obbligatoria dopo un test positivo scende da 7 a 5 giorni, mentre dopo 14 giorni dal primo tampone positivo si potrà uscire di casa anche senza aver fatto un tampone con esito negativo. Sono le nuove regole per la quarantena Covid-19 decise dal ministero della Salute e comunicate ieri con una circolare.

Come largamente anticipato, il ministero ha quindi deciso di ridurre ulteriormente i tempi di isolamento in seguito alla positività al Covid, ma senza cancellarli del tutto, come chiedevano alcuni.

Già il 30 marzo scorso era stata decisa l’eliminazione di qualsiasi forma di isolamento per i contatti stretti dei positivi, che devono invece limitarsi a un periodo di “autosorveglianza” di dieci giorni.

Cosa cambia dal 1 maggio e dal 15 giugno per le mascherine FFP2 e Green pass. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 29 Aprile 2022.  

Sono due le ordinanze firmate dal ministro della salute Speranza. Dal 1 maggio stop alle mascherine al chiuso, ma saranno ancora obbligatorie fino al 15 giugno le Ffp2 sui treni e al cinema. Non sarà più necessario compilare il Plf, il «Passenger locator form» per chi arriva dall’estero

Dal 1° maggio l’Italia torna libera dalle restrizioni per combattere il Covid-19. Servirà ancora la mascherina FFP2, per viaggiare, salire sui mezzi pubblici e andare al cinema o a teatro, mentre  in tutti gli altri luoghi sarà soltanto “raccomandata“. Anche per andare in ufficio non ci sarà più l’obbligo di proteggere naso e bocca, aziende e lavoratori dovranno però concordare nuovi protocolli. Non bisognerà più esibire il green pass (ad eccezione delle strutture sanitarie) e non sarà più necessario il modulo Plf (il «Passenger locator form») per chi arriva nel nostro Paese dall’estero, come sollecitato dal ministro del Turismo, Massimo Garavaglia.

L’alto numero di contagi e di vittime convince il governo a conservare ancora «un elemento di precauzione e cautela», che il ministro Speranza ritiene «necessario al punto da raccomandare ai cittadini di usare la mascherina «in tutte le occasioni in cui ci possono essere rischi di contagio». Ma le due ordinanze firmate dallo stesso Speranza confermano le riaperture in «coerenza con la responsabilità dimostrata dagli italiani».

La proroga al 15 giugno

Il provvedimento di Speranza proroga fino al 15 giugno l’obbligo di mascherina in alcuni luoghi chiusi ritenuti maggiormente a rischio. La firma è arrivata dopo l’approvazione da parte della commissione Affari sociali della Camera dell’emendamento al decreto Covid del 24 marzo che prolunga ancora per qualche settimana l’uso dei dispositivi di protezione.

Mezzi di trasporto

Fino al 15 giugno bisognerà indossare la mascherina su «aeromobili adibiti a servizi commerciali di trasporto di persone, navi e traghetti adibiti a servizi di trasporto interregionale, treni interregionali, Intercity, Intercity Notte e Alta Velocità, pullman, autobus adibiti a servizi di noleggio con conducente, scuolabus, autobus, tram, metropolitane». 

Rsa e ospedali

«Fino al 15 giugno 2022, hanno l’obbligo di indossare dispositivi di protezione delle vie respiratorie i lavoratori, gli utenti e i visitatori delle strutture sanitarie, socio-sanitarie e socio-assistenziali, ivi incluse le strutture di ospitalità e lungodegenza, le residenze sanitarie assistite (Rsa), gli hospice, le strutture riabilitative, le strutture residenziali per anziani, anche non autosufficienti, e comunque le strutture residenziali».

Cinema e stadi

«Fino al 15 giugno 2022 per gli spettacoli aperti al pubblico che si svolgono al chiuso in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche, locali di intrattenimento e musica dal vivo e in altri locali assimilati, nonché per gli eventi sportivi e le competizioni che si svolgono al chiuso» la mascherina rimane obbligatoria. 

Le discoteche

Non saranno invece più obbligatorie le mascherine in discoteca.

La scuola

Resta fuori dall’emendamento del governo e quindi dall’ordinanza, la scuola. Il decreto in vigore all’esame del Parlamento prevede infatti che i ragazzi utilizzino la mascherina fino alla fine dell’anno scolastico e questa norma non è stata modificata. 

Il lavoro

Per il settore privato sono in vigore i protocolli firmati con i sindacati e con Confindustria. Il ministro Renato Brunetta sta preparando una circolare per il settore pubblico con cui chiederà alle amministrazioni pubbliche di «usare il buon senso» e applicare le regole di prevenzione sanitaria sulla base del rischio di contagio e delle condizioni ambientali. Vale a dire che dove si possono tenere le finestre aperte e rispettare le distanze la mascherina potrà non essere obbligatoria, mentre potrebbe essere richiesta per gli impiegati a contatto con il pubblico. Dunque si raccomanderà «la necessità di proteggere naso e bocca», ma non ci sarà obbligo a meno che non sia stabilito da un accordo aziendale. Redazione CdG 1947

Cosa cambia dal 1 aprile per green pass, mascherine e scuola: le nuove regole Covid. Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini su Il Corriere della Sera il 31 Marzo 2022.

Stop quarantena per i contatti stretti: test quotidiani solo per i sanitari. Il generale Petroni successore di Figliuolo 

Da domani si applicano le nuove regole per il contenimento del Covid 19. In molti luoghi si potrà entrare senza green pass, in altri servirà solo quello base. Non cambiano le regole per l’isolamento di chi è positivo: 7 giorni se si è vaccinati, 10 se non si è immunizzati o se l’ultima dose è stata fatta da più di 120 giorni. Cambia invece la quarantena per chi ha avuto contatti stretti con contagiati: l’autosorveglianza, «con l’obbligo di indossare Ffp2, al chiuso o in presenza di assembramenti, fino al decimo giorno successivo alla data dell’ultimo contatto stretto» vale per chi è vaccinato e per chi non lo è. Gli operatori sanitari devono eseguire un test antigenico o molecolare per 5 giorni dall’ultimo contatto con un positivo. Il generale Tommaso Petroni è stato nominato dal premier Mario Draghi successore di Francesco Paolo Figliuolo per dirigere il completamento della campagna vaccinale.

Il super green pass resta per ospedali e cinema

Dal 1° al 30 aprile il green pass rafforzato — che si ottiene se si è vaccinati da meno di 120 giorni oppure guariti — sarà obbligatorio per:

- piscine, centri natatori, palestre, sport di squadra e di contatto, centri benessere (anche all’interno di strutture ricettive) al chiuso

- spogliatoi e docce

- convegni e congressi

- centri culturali, centri sociali e ricreativi al chiuso

- feste, comprese quelle dopo le cerimonie

- sale gioco, sale scommesse, sale bingo e casinò

- sale da ballo e discoteche

- cinema, teatri, palazzetti dello sport

- strutture sanitarie

Dal 1° maggio non servirà più la certificazione verde.

Il green pass base richiesto per aerei e stadi

Dal 1° al 30 aprile il green pass base, che si ottiene con certificato di vaccinazione, di guarigione, oppure con tampone antigenico (valido 48 ore) o molecolare (valido 72 ore) sarà obbligatorio per accedere a:

- bar e ristoranti al chiuso

- concorsi pubblici, corsi di formazione pubblici e privati

- colloqui in carcere

- spettacoli all’aperto

- stadi

- aerei

- treni

- navi e traghetti (esclusi i collegamenti nello Stretto di Messina e con le Isole Tremiti)

- pullman turistici oppure che effettuano i collegamenti tra regioni.

Dal 1° maggio non servirà più la certificazione verde per nessuno di questi luoghi.

Mascherine: quando usare le chirurgiche o le Ffp2

In tutti i luoghi al chiuso dal 1° al 30 aprile è obbligatoria la mascherina chirurgica.

In discot eca la mascherina può essere tolta al momento del ballo.

Nei bar e ristoranti deve essere indossata quando non si è al tavolo.

Nei seguenti luoghi è invece obbligatorio indossare la Ffp2:

- aerei

- navi e traghetti adibiti a servizi di trasporto interregionale

- treni

- pullman turistici oppure per il collegamento di regioni diverse

- autobus, metropolitane, tram, scuolabus

- funivie, cabinovie e seggiovie con cupola paravento

- cinema, teatri, sale da concerto, competizioni sportive all’interno dei palazzetti dello sport.

Scuola, in Dad solo i positivi, autosorveglianza per gli altri studenti

Se nelle classi ci sono quattro casi «le attività proseguono in presenza e docenti, educatori e bambini che abbiano superato i sei anni utilizzano le mascherine Ffp2 per dieci giorni dall’ultimo contatto con un soggetto positivo. In caso di comparsa di sintomi e, se ancora sintomatici, al quinto giorno successivo all’ultimo contatto, va effettuato un test».

Gli alunni «in isolamento per infezione da Covid, possono seguire l’attività scolastica nella modalità di didattica digitale integrata accompagnata da specifica certificazione medica che attesti le condizioni di salute dell’alunno».

Si può tornare in classe «dimostrando di aver effettuato un test antigenico rapido o molecolare con esito negativo».

Lavoro: basta un tampone anche per gli over 50. Eccezione per i sanitari

Fino al 15 giugno 2022 rimane l’obbligo vaccinale per alcune categorie professionali — personale scolastico e forze dell’ordine — e per gli over 50 ma per andare al lavoro sarà sufficiente esibire il green pass base, che si ottiene con il tampone. E quindi non è più prevista la sospensione da funzioni e stipendio per chi non è vaccinato.

Per gli over 50 che non sono vaccinati rimane la sanzione da 100 euro che sarà erogata dall’Agenzia delle Entrate.

Per il personale sanitario e i dipendenti delle Rsa l’obbligo vaccinale rimane fino al 31 dicembre 2022.

Chi non è in regola deve essere sospeso da funzioni e stipendio fino a quando non risulta in regola con le vaccinazioni.

Turismo, se clienti degli hotel accesso libero a ristoranti e piscine

Dal 1° aprile sarà possibile soggiornare negli alberghi e nelle altre strutture senza avere il green pass.

I clienti che alloggiano negli alberghi e nelle strutture possono accedere ai bar e ai ristoranti, alle palestre e alle piscine, ai centri benessere senza il green pass base.

Chi non alloggia negli alberghi e delle strutture deve invece esibire il green pass base per tutti i servizi che si trovano all’interno.

Sarà libero anche l’accesso a:

- negozi

- uffici pubblici

-uffici postali

-banche

In tutti questi luoghi bisognerà però indossare la mascherina ed evitare gli assembramenti.

Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini per corriere.it il 26 marzo 2022.

Il decreto che introduce nuove regole per il contenimento da Covid 19 alleggerisce le regole per favorire il turismo. Il provvedimento pubblicato oggi in Gazzetta Ufficiale che entra in vigore l’1 aprile ha regole mirate per alberghi, ristoranti e bar che allentano i divieti in vista delle festività Pasquali soprattutto per gli stranieri. Ecco che cosa cambia a partire da venerdì 1 aprile.

Ci sono disposizioni diverse soprattutto per green pass rafforzato ( che si ottiene con t re dosi di vaccino, oppure a sei mesi dall’ultima inoculazione per chi ha la seconda dose, oppure il certificato di guarigione ) e green pass base che si ottiene con un tampone antigenico (valido 48 ore) oppure molecolare (valido 72 ore) . Dal 1 maggio non sarà più obbligatorio esibire il green pass nè all’aperto, nè al chiuso.

Ecco tutte le nuove regole. 

Nei ristoranti regole diverse per italiani e turisti

Dal 1° aprile al 30 aprile si entra senza green pass in ristoranti e bar all’aperto, feste all’aperto, cerimonie, alberghi e strutture ricettive. 

Dal 1° al 15 aprile si entra con il green pass rafforzato (che vale 6 mesi per chi ha meno di tre dosi e ha scadenza illimitata per chi ha tre dosi) nei ristoranti e nei bar al chiuso per il servizio al tavolo e al bancone. 

I turisti stranieri entrano con il green pass base. Dal 15 anche gli italiani entrano con il base. Non serve il green pass per i clienti degli alberghi che vanno nei ristoranti e bar interni. Dal 1° maggio non ci sarà alcun obbligo. 

Gli alberghi senza obbligo

Dall’1 aprile l’ingresso negli hotel e nelle strutture ricettive è senza alcuna limitazione.

Nei ristoranti interni i clienti che alloggiano nella struttura non devono esibire il green pass. 

Per mezzi pubblici obbligatoria la Ffp2

Dal 1° al 30 aprile per salire su autobus, metropolitane, tram e tutti gli altri mezzi del trasporto pubblico locale non servirà più il green pass. Bisognerà però indossare la mascherina Ffp2. Dal 1° maggio non ci saranno più obblighi. 

Aerei, treni, navi

Dal 1° al 30 aprile per prendere aerei, treni e navi bisognerà mostrare almeno il green pass base (che si ottiene con un test antigenico valido 48 ore oppure molecolare valido 72 ore). Bisognerà indossare la mascherina Ffp2. 

Dal 1° maggio non ci saranno più obblighi.

Cinema, teatri, sale da concerto

Fino al 30 aprile serve il green pass rafforzato, dal primo maggio il certificato non è più richiesto e cade l’obbligo di indossare la mascherina Ffp2.

Il danno e la beffa, Draghi è tutto un grazie: e i disastri di Speranza e del Green pass diventano “successi”. Hoara Borselli domenica 20 Marzo 2022 su Il Secolo d'Italia.   

La Conferenza di Draghi nell’annunciare le riaperture è sembrata il “Giorno del ringraziamento”. Mai tanti grazie in una volta sola e tutti insieme. Grazie al Cts per il supporto psicologico. Grazie al Ministro Speranza, presente fin dall’inizio, anche lui grande supporto psicologico. Grazie a governo precedente. Grazie agli italiani per senso civico e per aver risposto in massa alla vaccinazione. Grazie al generale Figliuolo, e qui si compiace, che ha rappresentato il punto di svolta della pandemia. Grazie ai vaccini e alla scienza che hanno scongiurato ulteriori vittime evitate 80.000 vittime. Grazie al Green pass che è stato un successo. Una sequela inesauribile di ringraziamenti. Fin troppo generosi…

Draghi ringrazia tutti: Speranza, Cts e persino il governo precedente…

Quale sia stato il supporto psicologico da riconoscere al Cts non è dato saperlo. In compenso, gli riconosciamo il merito di essere stato teatro di numerose gaffes, ripensamenti, proposte finite nel nulla e palesi contraddizioni. Parole di elogio verso Speranza, il Ministro che ha ottenuto il suo massimo momento di gloria quando è stato annunciato il definitivo ritiro dagli scaffali delle librerie “Perché guariremo”. Mai avuto tanti titoli sui giornali quanti quelli raccolti nell’autunno del 2020, quando si annunciava che la sua fatica letteraria non avrebbe visto la luce. L’uscita dell’opera sarebbe coincisa con il rialzo della curva pandemica. Meglio evitare questa clamorosa gaffe.

Ma di cosa? Delle primule di Arcuri a dei banchi a rotelle della Azzolina?

Gli va però riconosciuto il lodevole sforzo che deve aver fatto nel trovare il tempo, durante la catastrofica prima ondata, di scrivere un libro. I virologi sono stati più scaltri ed hanno fatto trascorrere almeno un anno di ordinanza prima di piazzare le loro copertine sugli scaffali. Quel “grazie” al governo precedente è difficile da comprendere. Veramente Draghi ha sentito la necessità di riservare un plauso agli infiniti DPCM di Conte? Alle mascherine e alle primule di Arcuri? Ai banchi a rotelle della Azzolina? Grazie di cosa? Probabilmente di aver guadagnato l’uscita. Sennò non si spiega. Anche perché la loro dipartita ha segnato l’arrivo del Generale Figliuolo, senza il quale, oggi, probabilmente, saremmo ancora in coda per la prima dose di vaccino.

Per non parlare del green pass definito un “successo”…

Il colpo di grazia c’è stato in quel Green pass che Draghi ha definito un successo. Come si può definire un successo, un lasciapassare che ha tenuto a casa 500mila padri e madri di famiglia? Privati della possibilità di lavorare… La parola giusta sarebbe stata “fallimento”. Un evidente fallimento della democrazia e della Costituzione. Quel  lasciapassare che ha diviso gli italiani tra buoni e cattivi, giusti e sbagliati, meritevoli di stare in società e reietti esclusi. Guelfi e ghibellini.

Solo fumo negli occhi

Le misure annunciate da Draghi, vendute come un ritorno alla normalità, sono solo fumo negli occhi. Rispetto a ciò che hanno fatto molti grandi Paesi europei – tra cui la Francia – i quali hanno da tempo cancellato in un’unica soluzione tutte le restrizioni, il nostro governo dei migliori si è riservato di tornare sui suoi passi nel caso la curva epidemica, ossia il solito spauracchio dei contagi, dovesse risalire. Avete presente il guinzaglio allungato che si mette al collo dei fidati amici a quattro zampe? Gli permette di correre regalando l’illusione di essersi guadagnati la libertà, ma basta schiacciare un bottone per farlo tornare al punto di partenza. Basta un Dpcm e tutto può tornare come prima…

Green pass, obbligo vaccinale, Cts: cade (quasi) tutto! Le date della liberazione. Il Tempo il 17 marzo 2022.

Stop al super green pass - e quindi all’obbligo vaccinale - per gli over 50 sul posto di lavoro, quarantene solo per i positivi, addio al Cts e all’Italia "a colori". Sono queste alcune delle novità contenute nel Dl riaperture, approvato all’unanimità dal Consiglio dei ministri. Il governo lo aveva promesso: dopo la fine dello stato di emergenza, il 31 marzo, ci sarà una rimodulazione delle restrizioni finora adottate contro il Covid, per un «ritorno alla normalità», tenendo però sempre sott’occhio «la curva epidemiologica», come ribadito dal presidente del Consiglio Mario Draghi nella conferenza di presentazione del decreto, insieme al ministro della Salute. Aperture rese possibili anche dal fatto che la campagna vaccini italiana «è una delle più significative del mondo», sottolinea Roberto Speranza.

GREEN PASS - Da aprile gli over 50 non dovranno più avere il green pass rafforzato: sarà sufficiente quello base. Per loro «non ci sarà più la sospensione dal lavoro», assicura il ministro. Fino al 30 aprile sarà necessario quello rafforzato per accedere ai servizi al chiuso di ristorazione, «svolti al banco al tavolo, al chiuso». E anche in «piscine, palestre» e «centri benessere». Fino a quella data, necessario il super green pass anche per convegni e congressi, centri culturali, sociali e ricreativi. Attività che abbiano luogo in sale da ballo e discoteche, nonché agli eventi e alle competizioni sportive che si svolgono al chiuso. Tutto questo, sottolinea Speranza, «ci porterà al primo maggio al superamento del green pass». Dal primo aprile stop al super green pass anche per i turisti stranieri per poter consumare nei ristoranti al chiuso. Una modifica per agevolare il settore durante le vacanze di Pasqua chiesta dal ministro del Turismo Massimo Garavaglia (che però ha anche annunciato di voler chiedere i danni al ministero della Salute per le perdite del comparto).

VACCINI - Niente più sospensione dal lavoro per i non vaccinati. Resterà - precisa Speranza - solo per il personale sanitario, i lavoratori delle strutture ospedaliere e i lavoratori delle Rsa che hanno a che fare con le fragilità. In questo caso c’è un prolungamento dell’obbligo fino al 31 dicembre e le norme restano quelle che sono oggi«.

QUARANTENE E DAD - Decadono le quarantene da contatto e l’isolamento sarà previsto solo per positivi al Covid. Una misura che varrà anche nelle scuole prevedendo la Dad per i soli alunni contagiati.

MASCHERINE - Fino al 30 aprile confermato l’obbligo di mascherine al chiuso. Dopo quella data il governo verificherà la curva e »valuterà scelte ulteriori«.

CTS E SISTEMA A COLORI - Con la fine dello Stato di emergenza, dal primo aprile decadono tutte le strutture emergenziali tra cui il Cts e la figura del commissario per l’emergenza Covid.

Nuovo decreto green pass e Covid, le riaperture dal 1 aprile. E dal 1 maggio la certificazione non serve più. Fiorenza Sarzanini su Il Corriere della Sera il 18 Marzo 2022. 

Smart working prorogato fino al 30 giugno, capienza degli stadi al 100%, Dad solo per i positivi in classe e over 50 al lavoro anche senza vaccino: ecco le novità nel nuovo decreto del 17 marzo sulle regole Covid approvato dal Consiglio dei ministri. 

L’Italia riapre e dal 1° aprile torna tutta in bianco. Non ci saranno più divisioni delle Regioni per colori, anche se rimarrà il bollettino quotidiano, non si riunirà più il Cts. Fino al 30 aprile in alcuni luoghi al chiuso rimane il green pass, ma dal 1° maggio la certificazione verde non servirà più.

Smart working prorogato fino alla fine di giugno

Dal 1° aprile anche gli over 50 potranno tornare al lavoro senza rispettare l’obbligo di vaccinarsi previsto fino al 15 giugno. Dovranno però avere un tampone negativo antigenico (valido 48 ore) oppure molecolare (valido 72 ore). Rischieranno la sanzione da 100 euro, ma non la sospensione dal lavoro. Fino al 31 dicembre rimane l’obbligo vaccinale per il personale sanitario e per chi lavora nelle Rsa. Chi non lo rispetta è sospeso da funzioni e stipendio. La possibilità di effettuare lo smart working senza accordo individuale rimane fino al 30 giugno 2022.

Nei ristoranti regole diverse per italiani e turisti

Dal 1° aprile al 30 aprile si entra senza green pass in ristoranti e bar all’aperto, feste all’aperto, cerimonie, alberghi e strutture ricettive. Dal 1° al 15 aprile si entra con il green pass rafforzato (che vale 6 mesi per chi ha meno di tre dosi e ha scadenza illimitata per chi ha tre dosi) nei ristoranti e nei bar al chiuso per il servizio al tavolo e al bancone. I turisti stranieri entrano con il green pass base. Dal 15 anche gli italiani entrano con il base. Non serve il green pass per i clienti degli alberghi che vanno nei ristoranti e bar interni. Dal 1° maggio non ci sarà alcun obbligo.

Per mezzi pubblici e aerei resta obbligatoria la Ffp2

Dal 1° al 30 aprile per salire su autobus, metropolitane, tram e tutti gli altri mezzi del trasporto pubblico locale non servirà più il green pass. Bisognerà però indossare la mascherina Ffp2. Dal 1° maggio non ci saranno più obblighi. Dal 1° al 30 aprile per prendere aerei, treni e navi bisognerà mostrare almeno il green pass base (che si ottiene con un test antigenico valido 48 ore oppure molecolare valido 72 ore). Bisognerà indossare la mascherina Ffp2. Dal 1° maggio non ci saranno più obblighi.

Stadi e discoteche, la capienza torna al 100%

Dal 1° aprile per gli stadi all’aperto e al chiuso e per le discoteche si torna alla capienza del 100%. Dal 1° al 30 aprile per gli stadi all’aperto, i musei e le mostre, gli spettacoli all’aperto non serve il green pass. Dal 1° al 30 aprile servirà il green pass rafforzato (valido sei mesi per chi è vaccinato con due dosi e con scadenza illimitata per chi è vaccinato con tre dosi) per cinema, teatri e feste al chiuso. Dal 1° maggio non ci sarà alcuna restri zione.

Accesso libero ai negozi, in piscina con il certificato

Dal 1° al 30 aprile niente green pass per negozi, parrucchieri, barbieri, estetisti, uffici pubblici, banche, sport all’aperto anche nei circoli, centri termali, sagre e fiere, centri educativi per l’infanzia. Dal 1° al 30 aprile servirà il green pass rafforzato per entrare in:

- palestre, piscine al chiuso, per praticare sport di squadra e di contatto, entrare negli spogliatoi.

- entrare in sale gioco, bingo e casinò.

Dal 1° maggio non ci sarà più alcun obbligo.

Contatti con i contagiati, niente più quarantena

Nelle scuole dell’infanzia con quattro casi positivi le lezioni sono in presenza, ma docenti, educatori e bambini che abbiano più di 6 anni devono indossare la mascherina Ffp2 per dieci giorni dall’ultimo contatto.

Nelle scuole primaria, secondaria di primo grado, secondaria di secondo grado e sistema di istruzione e formazione professionale con quattro casi di positività le lezioni proseguono in presenza ma chi ha più di 6 anni deve indossare le mascherine Ffp2 per dieci giorni dall’ultimo contatto. I positivi seguono l’attività scolastica in Dad e possono rientrare in classe con un test antigenico rapido o molecolare con esito negativo.

La mascherina al chiuso Dove non basta chirurgica

All’aperto si continua a stare senza mascherina a meno che non ci siano situazioni di particolare affollamento. Fino al 30 aprile si dovrà invece indossare la mascherina in tutti i luoghi al chiuso. La mascherina deve essere di tipo chirurgico ma fino al 30 aprile in alcuni luoghi rimane l’obbligo di indossare la Ffp2: - concerti e stadi - palazzetti sportivi - cinema e teatri - mezzi di trasporto locali e a lunga percorrenza - funivie negli impianti di risalita.

Paolo Russo per “la Stampa” il 9 marzo 2022.  

A un mese e otto giorni dall'entrata in vigore dell'obbligo vaccinale per gli over 50, le multe comminate ai No Vax irriducibili sono pari a zero. Colpa di sistemi informatici che non si parlano, delle lungaggini burocratiche e del percorso a ostacoli disegnato dal decreto del 7 gennaio, che quell'obbligo ha introdotto. Senza in verità dare l'impressione di voler fare troppo sul serio fin dall'inizio, visto che la sanzione prevista è di soli 100 euro. Per di più una tantum.

Ma la macchina si è inceppata da subito. La procedura messa in piedi dal decreto prevede infatti che i nominativi degli inadempienti vengano rilevati dal Sistema Tessera Sanitaria gestito dalla società informatica del ministero del Tesoro, la Sogei. Che a sua volta avrebbe dovuto incrociarli con quelli della banca dati dell'anagrafe vaccinale nazionale, alimentata dalle Regioni. In più sulla tessera sanitaria si sarebbero dovuti registrare i certificati di avvenuta guarigione dal Covid, trasmessi da medici di famiglia e Asl. 

Un incrocio di dati che deve aver mandato in tilt la nostra sanità ancora poco alfabetizzata da un punto di vista digitale, tanto che ad oggi nessun nominativo di over 50 inadempienti è stato trasmesso ad Equitalia. «Noi in tutta questa procedura abbiamo solo il ruolo di postini», tengono a far sapere quelli dell'Agenzia riscossione, che le multe le avrebbero dovute inviare.

E così ora ci si avvicina alla beffa, perché il 15 giugno scade l'obbligo vaccinale per gli over 50 e probabilmente nemmeno per quella data sarà possibile sanzionare i No Vax. Il contorto iter amministrativo prevede infatti che, una volta ricevuto l'elenco degli inadempienti, Equitalia trasmetta via mail o per mezzo della Pec la cartella esattoriale da 100 euro. A quel punto, se per errore non si è tenuto conto dell'avvenuta guarigione dal Covid da non più di sei mesi o se il multato ha un'esenzione sanitaria attestata da un certificato medico, questi ha 10 giorni di tempo per inviare la relativa documentazione alla Asl. 

La quale dovrà trasmettere il tutto all'Agenzia di riscossione. Se non lo farà sarà la stessa Agenzia ad emettere entro altri 180 giorni un nuovo avviso di addebito. Che a quel punto arriverebbe a giochi oramai conclusi. Anche se - fanno sapere da Equitalia, «il pagamento sarebbe comunque dovuto anche nel caso non venisse ulteriormente prorogato l'obbligo vaccinale». Al momento gli over 50 a non aver ricevuto nemmeno una dose di vaccino sono un milione e 860 mila.

Ma tolti i guariti da non più di sei mesi e aggiunti coloro che hanno saltato il richiamo o il booster comunque passibili di multa, il numero si riduce a circa un milione e mezzo di No Vax che se la rideranno sotto i baffi. Poteva andare peggio per i lavoratori ultracinquantenni non immunizzati, che dal 15 febbraio dovevano essere messi a casa in aspettativa non retribuita e che sono passibili di una multa da 400 a mille euro se scoperti al lavoro senza Super Green Pass. In età lavorativa parliamo di 700 mila non vaccinati. Ma anche qui, tolti i guariti e i disoccupati, si scende a meno di 400 mila. In larga parte impiegati nel privato. Solo che i datori di lavoro, dovendo conservare il posto al No Vax ricorrendo a sostituzioni di 10 giorni in 10 giorni, hanno preferito quasi ovunque soprassedere e lasciare in smart working i dipendenti refrattari alla puntura, anche se la legge non consentirebbe di aggirare in questo modo l'obbligo vaccinale.

Così sono però andate le cose. E c'è da scommettere che qualcuno se la riderà ancora più forte se l'obbligo vaccinale dovesse essere prorogato oltre il 15 giugno ma il Super Green Pass no, lasciando così i No Vax senza multe e liberi di viaggiare in treno e bus, sedersi al ristorante o andare a tifare allo stadio.

L'annuncio accolto da un lungo applauso. Fine stato di emergenza, Draghi: “Stop il 31 marzo, riapriremo tutto e limiteremo super green pass”. Redazione su Il Riformista il 23 Febbraio 2022. 

“Voglio annunciare che è intenzione del Governo non prorogare lo stato d’emergenza oltre il 31 marzo“. Parole quelle del premier Mario Draghi accolte con un lungo applauso dalla platea di sindaci e amministratori locali presenti al teatro del Maggio musicale fiorentino. A due anni dall’inizio della pandemia, come era ampiamente prevedibile, il premier ha già avviato una road map per eliminare nelle prossime settimane le restrizioni in vigore per l’emergenza Covid-19. Con la curva dei contagi in netta discesa, per Draghi vi è un’altra emergenza “di carattere economico. L’Italia è in ripresa, ma il Governo intende continuare ad aiutare chi è in difficoltà”. Con la fine dello stato di emergenza, sarà abolito anche il sistema delle zone colorate.

“Lo abbiamo fatto per il settore del turismo, colpito duramente dalla pandemia. Nel più recente decreto ristori stanziamo altri 100 milioni per il Fondo Unico Nazionale del Turismo, che si aggiungono ai 120 milioni stanziati con la Legge di Bilancio. Sempre nello stesso decreto, aiutiamo gli operatori del settore con la decontribuzione per i lavoratori stagionali e un credito d’imposta per gli affitti di immobili”, ha aggiunto.

“Il Governo è consapevole del fatto che la solidità della ripresa dipende prima di tutto dalla capacità di superare le emergenze del momento. La situazione epidemiologica è in forte miglioramento – ha sottolineato Draghi –  grazie al successo della campagna vaccinale, e ci offre margini per rimuovere le restrizioni residue alla vita di cittadini e imprese”.

“Da allora – ha proseguito il premier – non sarà più in vigore il sistema delle zone colorate. Le scuole resteranno sempre aperte per tutti: saranno infatti eliminate le quarantene da contatto. Cesserà ovunque l’obbligo delle mascherine all’aperto, e quello delle mascherine FFP2 in classe. Metteremo gradualmente fine all’obbligo di utilizzo del certificato verde rafforzato, a partire dalle attività all’aperto – tra cui fiere, sport, feste e spettacoli“. “Continueremo a monitorare con attenzione la situazione pandemica, pronti a intervenire in caso di recrudescenze. Ma il nostro obiettivo è riaprire del tutto, al più presto”, ha concluso Draghi.

Green Pass, FdI era tra i promotori ma ora si scansa. E si intesta la battaglia per la rimozione.

Rec News dir. Zaira Bartucca il 19 febbraio G Green Pass, FdI era tra i promotori ma ora si scansa. E si intesta la battaglia per la rimozione Non vuole il lasciapassare sanitario ma ricandida il governatore che per primo lo impose negli uffici pubblici. Quando la sindrome del moscerino della frutta (che rinuncia alla memoria per sopravvivere) colpisce i partiti.

Giusto un anno fa Salvatore Deidda – deputato di Fratelli d’Italia – ricordava come il suo partito fosse stato “il primo” a proporre in Sardegna il passaporto vaccinale, che allora si chiamava covid pass. Era febbraio del 2021 e noi immortalavamo il momento – sicuri della fugacità di certe dichiarazioni – con questo articolo. La politica ha la memoria corta, e nel fiume di dichiarazioni deve essere facile dimenticarsi quello che si è promosso, cosa si è votato e – soprattutto – quanto si è stati in silenzio e compiacenti nel corso degli ultimi due anni. La sindrome – o strategia – del moscerino della frutta sembra non lasci immune nemmeno Giorgia Meloni. L’avvicinarsi del 2023 e delle elezioni politiche l’hanno trasformata, a sorpresa, nella paladina dei diritti umani che detesta il Green Pass, proprio a ridosso della sua abolizione. Che si tratti di uno strumento in grado di provocare “discriminazioni”, lo ha scoperto nelle ultime due settimane. E il suo partito, del resto, assieme agli altri di ogni schieramento continua a tergiversare in attesa della scadenza dello stato di emergenza al 31 marzo, quando tutto dovrebbe finalmente finire già da sé, senza farse a cielo aperto. Intanto c’è più di un mese di vessazioni all’orizzonte, e nessuno che chieda la cosa più naturale, cioè l’abolizione immediata di tutta la struttura di controllo, forti dei dati confortanti.

La ricandidatura del governatore che per primo in Italia impose il Green Pass negli uffici pubblici.

Non solo non si fa, ma sempre dalle fila di Fratelli d’Italia è arrivata negli scorsi giorni la conferma della ricandidatura di Nello Musumeci a capo della Regione Sicilia. Il governatore è stato il promotore dell’utilizzo del Green Pass per attraversare lo Stretto di Messina – misura che ha arrecato danni anche a chi doveva subire operazioni chirurgiche ed è dovuto rimanere isolato perché sprovvisto di lasciapassare – e perfino l’alfiere dell’utilizzo del certificato verde negli uffici pubblici siciliani, sei mesi prima che il governo lo estendesse per decreto a tutto il territorio nazionale. Ebbene, FdI “considera naturale”, ha fatto sapere il partito, la ricandidatura di Musumeci alla presidenza della Regione, nella convinzione che “la prossima sfida elettorale non può non vedere riconfermata in Sicilia la fiducia al buon governo di questi anni”. Alla faccia della coerenza.

Sono solo parole? La lavagnetta anti green pass e il divieto di fare critiche (anche sbagliate). Istituto Bruno Leoni su L'Inkiesta il 15 Febbraio 2022.

Quando un bar di Urbino ha dichiarato che avrebbe disapplicato le normative anti-contagio, le forze dell’ordine sono subito intervenute per chiedere di rimuovere la scritta. Un eccesso di solerzia pericoloso perché mette a repentaglio la possibilità di esprimere le proprie posizioni, per quanto discutibili. L’editoriale dell’Istituto Bruno Leoni su Linkiesta 

La notizia avrebbe avuto, in tempi migliori, dell’incredibile. I gestori di un bar di Urbino hanno esposto una lavagna con scritto, su un lato, «Raccomandiamo alla gentile clientela di non smettere di vivere per paura di morire» e, sull’altro, «In questo esercizio si disapplica qualsiasi normativa relativa all’utilizzo o alla richiesta di green pass».

Poco dopo averlo fatto, hanno ricevuto un’intimazione a rimuoverla, mossa loro da una pattuglia della polizia prima e di una dei carabinieri poi. Alle ovvie resistenze dei gestori, e a fronte della richiesta di individuazione dell’illecito loro contestato, le forze dell’ordine avrebbero reiterato la pretesa di rimozione e infine fotografato la lavagna, quasi si trattasse di un corpo di reato.

Non è difficile supporre che ad attirare l’attenzione delle forze dell’ordine sia stata in particolare la seconda delle due scritte, ma è altrettanto evidente che ciò non giustifica in alcun modo il loro operato. La scritta in parola sarà pure sembrata alle forze dell’ordine provocatoria: ma ciò non toglie che la libertà di espressione è un principio e un valore fondamentale che non può essere coartato ogni qualvolta la società – e men che meno i suoi tutori in divisa – si sentano in qualche modo offesi.

Un conto sarebbe stato verificare eventuali infrazioni collegate all’effettiva “disapplicazione” della normativa relativa al green pass da parte dei gestori del locale, altro è invece pensare di intervenire contro un messaggio sgradito. Quest’ultimo non può nemmeno essere considerato un tentativo di riverniciare con una patina di legalità un sopruso vero e proprio. Nel codice penale esiste una norma, in verità di dubbia legittimità costituzionale in quanto residuo dell’epoca fascista, che in modo straordinario si spinge a criminalizzare solo chi pubblicamente istiga alla disobbedienza di leggi «di ordine pubblico», qualifica che non può certo attribuirsi a quelle sul green pass.

In questi anni, abbiamo purtroppo assistito a una serie di interventi da parte di polizia e carabinieri gravemente offensivi delle libertà individuali costituzionalmente garantite. Negli ultimi mesi – proprio in contemporanea al crescere del malcontento nei confronti del green pass – soprattutto abbiamo visto tutta una serie di attività (dalla schedatura all’infiltrazione nei cortei) volte a scoraggiare, se non a reprimere, l’espressione del dissenso.

Ciò è inaccettabile. È illegittimo e pericoloso che lo Stato si arroghi il potere di imporre un modello di condotta politica, sottraendo se stesso a ogni forma di critica, anche caustica e divisiva. È illegittimo e pericoloso equiparare le parole alle azioni, così da anticipare la soglia di tutela a un momento in cui si formula e si esprime un pensiero.

Sia chiaro. Non è necessario sposare le ragioni del dissenso per denunciare l’odioso tentativo di sopprimerlo. È necessario difendere qualsiasi manifestazione di pensiero, non violenta o attualmente pericolosa, per il solo fatto di voler continuare a vivere in una società libera. Che deve essere anzitutto libera di ascoltare voci diverse, senza che nessuno (né il governo né le forze dell’ordine né i custodi di qualsiasi ortodossia) possa distinguere fra quelle gradite e quelle sgradite.

Disparità di trattamento sul Green pass tra residenti e turisti. Nuove norme anti Covid: altro che chiarezza, è una giungla. Giovanni Guzzetta, Mario Carta su Il Riformista l'8 Febbraio 2022. 

“Gli Stati membri dovrebbero fornire (…) informazioni chiare, complete e tempestive riguardanti qualunque misura che vada ad incidere sul diritto di libera circolazione”. Così si esprime la Raccomandazione “su un approccio coordinato per agevolare la libera circolazione in sicurezza durante la pandemia di Covid-19” adottata dal Consiglio dell’Ue qualche giorno fa. A leggere le regole italiane, recentemente modificate in due successivi decreti-legge del 24 dicembre 2021 e 4 febbraio 2022, non sembra che il nostro Governo abbia centrato pienamente l’obiettivo della “chiarezza”.

La questione riguarda la durata di validità del green pass in Italia e, dunque, la durata dei vantaggi ad esso connessi. Nel primo decreto si è previsto che la durata di tutti i green pass (dopo il primo ciclo, dopo la guarigione o dopo il booster) fosse ridotta da nove a sei mesi. Questa soluzione ha fatto sorgere perplessità. Soprattutto perché la Commissione europea, pochi giorni prima che il governo italiano intervenisse, aveva adottato un Regolamento contenente una disciplina più “generosa”. In particolare, avvalendosi delle indicazioni tecnico-sanitarie del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (l’agenzia dell’Unione che funge un po’ da Cts europeo), la Commissione aveva stabilito: a) che “i certificati comprovanti il completamento del ciclo di vaccinazione primario sono accettati solo se non sono trascorsi più di 270 giorni (9 mesi) dalla data dell’ultima dose di tale ciclo” e b) che per coloro che si fossero sottoposti al booster non fosse nemmeno opportuno stabilire un termine di durata.

La soluzione europea di spingere per uniformare i regimi di durata della certificazione, è stata motivata da un preciso obiettivo, sempre ispirato all’esigenza di certezza per i cittadini. In Europa si è infatti preoccupati che “l’adozione di misure unilaterali in questo settore (da parte dei singoli stati ndr) possa causare gravi perturbazioni ponendo le imprese e i cittadini dell’Unione di fronte a un’ampia gamma di misure divergenti”. Una incertezza che, oltre ad avere effetti sulla fragile situazione economica, potrebbe comportare anche “il rischio di minare la fiducia nel certificato digitale Covid dell’UE e di compromettere il rispetto delle necessarie misure di sanità pubblica”. Alla luce di tale situazione appariva evidente il disallineamento tra disciplina europea e disciplina interna.

Con il d.-l. del 4 febbraio il governo ha modificato il precedente intervento. Innanzitutto ha eliminato le discrepanze quanto alla durata del certificato nel caso di vaccinazione con booster o di guarigione per chi si fosse comunque sottoposto al primo ciclo di vaccinazione. Cosicché, anche in Italia, ora non ci sono più termini di validità per il green pass emesso a seguito di tali circostanze. A dire il vero, anche per questa parte, non sono eliminate tutte le ambiguità. La disciplina è retroattiva o meno? Cioè può applicarsi ai “supervaccinati” e ai guariti prima di febbraio e che a oggi hanno ancora una certificazione che prevede il limite di sei mesi? Il punto non è chiaro. Il governo è, poi, intervenuto sulla certificazione per chi abbia fatto il primo ciclo. In questo caso però, anziché eliminare ogni differenza, ha deciso di stabilire una disciplina speciale per i soli stranieri. Intanto non è chiaro se con “stranieri” si faccia ai cittadini extra-Ue o anche a quelli dell’Unione il dubbio è più che fondato perché, ormai, nella legislazione si usano espressioni molto chiare proprio per distinguere se ci si riferisce a paesi dell’Unione o a stati terzi.

Comunque, ammettiamo pure che la disciplina si applichi a tutti gli stranieri, compresi i cittadini UE. È sufficiente la soluzione governativa a rimediare alle incongruenze di cui si diceva all’inizio? Purtroppo no. Il governo ha infatti previsto che per gli “stranieri” valga la durata del certificato anche superiore ai sei mesi. Costoro, sono tenuti solo a fare un tampone se vogliano svolgere attività che per gli italiani richiedono invece il super green pass. Insomma se una famiglia “straniera” viene da noi per dieci giorni di vacanze, non sarà obbligata ad avere il green pass di validità “italiana”, qualora abbia una certificazione valida oltre i sei mesi nel paese d’origine, ma, per entrare in un museo, dormire in albergo o andare a cena, dovrà farsi almeno un tampone antigenico ogni due giorni (o molecolare ogni quattro). La disparità di trattamento dunque rimane: super green pass per gli italiani (e residenti) tampone per gli “stranieri”. Al lettore giudicare se l’obiettivo della chiarezza sia stato centrato. A noi non sembra, così come non convincono altre cose.

La prima: per quale motivo lo stesso vaccino, che l’Ecdc ritiene adeguato a dare una copertura di nove mesi, da noi viene considerato efficace solo per sei? Ma non c’era una quasi totale unanimità nella comunità scientifica sulla profilassi anti-covid? Inoltre, anche ad ammettere che la divergenza della disciplina interna si giustifichi per speciali ragioni di interesse pubblico, tanto da creare una discriminazione a rovescio a danno dei cittadini italiani e residenti nazionali non sarebbe stato il caso di esplicitare tali “speciali” ragioni? Specificazione tanto più opportuna in quanto anche situazioni meramente interne agli Stati possono produrre delle discriminazioni (“a rovescio”, appunto) a carico dei cittadini residenti in uno Stato membro, in questo caso italiano, rispetto al trattamento più favorevole riservato dalla normativa europea agli altri cittadini dell’Unione. Un principio di parità di trattamento che, dal diritto dell’Unione europea, è ormai transitato nella legislazione italiana, e riconosciuto dalla Corte costituzionale (sent. 443/97).

Tutto ciò, si aggiunga, in un momento in cui i dati sulla pandemia indicano un miglioramento del quadro sanitario nazionale, e dunque spingono verso la necessità di un graduale ritorno alla normalità. Rispetto alla situazione, dunque, un termine così breve di durata del green pass si pone, evidentemente, in controtendenza. Infine, siamo sicuri che la scelta di richiedere comunque un tampone agli “stranieri” che abbiano un certificato valido nel loro paese, ma non in Italia, sia sufficiente a favorire nel nostro paese la ripresa del turismo, di cui abbiamo bisogno come il pane? Come abbiamo scritto più volte, la certezza del diritto e la ragionevolezza delle soluzioni non è solo una questione di semplificazione della vita dei cittadini o di legittimità delle misure, ma anche, come ha scritto la Commissione, un modo per evitare “il rischio di minare la fiducia nelle misure di sanità pubblica” e, più in generale, nella credibilità dei governanti. Giovanni Guzzetta, Mario Carta

Fabrizio Caccia per il “Corriere della Sera” il 7 febbraio 2022.

Se siamo all'alba di una fase nuova, con il ritorno a una specie di normalità, lo scopriremo già oggi, misurando gli effetti concreti delle nuove regole (retroattive) per la quarantena e la dad varate dal governo la settimana scorsa: sulla carta oltre 600 mila studenti, che fino a ieri erano in didattica a distanza, sono attesi in classe. Ma non solo.

Da oggi la scadenza del green pass rilasciato dopo la terza dose diventa illimitata. Attenzione: sarà illimitata la durata del certificato anche per chi, dopo il completamento del ciclo primario della vaccinazione, ha contratto il Covid ed è guarito. Varrà sei mesi, invece, il green pass rilasciato a chi ha avuto prima il virus e in seguito ha fatto due dosi. Per ottenere la validità illimitata, insomma, bisogna sottoporsi alla terza dose.

Sarà davvero una settimana cruciale: i contagi continuano a scendere (ieri 77.029 nuovi casi, sabato erano stati 93.157), e finalmente flettono i decessi (ieri 229, 375 due giorni fa). Così da venerdì 11 febbraio riapriranno pure le discoteche. Vi si potrà entrare, però, solo con il super green pass e se il locale è al chiuso sarà obbligatoria la mascherina. Ma sempre da venerdì, in zona bianca, all'aperto, la mascherina non servirà più.

«In una settimana i casi sono scesi del 30 per cento. Stiamo riuscendo a piegare la curva senza restrizioni invasive per la vita delle persone - dice il ministro della Salute, Roberto Speranza, a Sky Tg24 -. Di sicuro si sta aprendo una fase nuova, ma i numeri sono ancora alti, serve cautela. Le mascherine saranno ancora le nostre compagne di viaggio, in caso di assembramenti...». 

La campagna vaccinale intanto va fortissimo: oltre 130 milioni di inoculazioni effettuate. Così, anche la crescita economica e la prospettiva di un Pil sopra il 6 per cento - osserva il ministro - «è prima di tutto merito della campagna di vaccinazione e del nostro Servizio sanitario nazionale». Ma torniamo agli studenti.

«La scuola in presenza è un valore da tutelare - scandisce Speranza in tv -. Perciò dico che i ragazzi vaccinati, nella fascia 12-18 anni, fascia in cui il tasso di vaccinazione è intorno all'80 per cento, non andranno più in dad». Sono parole importanti. «Ma c'è un aggrovigliarsi di norme - avverte Mario Rusconi, leader dei presidi romani -. Manca una cabina di regia». Vediamo allora le nuove regole.

Dalle elementari alle superiori, da oggi, gli alunni vaccinati e guariti (qualunque sia il numero dei positivi in classe) diranno addio alla dad (per la permanenza in aula è sufficiente la certificazione verde, controllata tramite App mobile). Per loro, come anche per i bambini esentati per motivi di salute, è sempre prevista la presenza in aula (con mascherina Ffp2). Solo i non vaccinati, nella scuola secondaria, andranno in dad a partire dal secondo caso di contagio in classe. Ma non solo. 

Per tutti i non vaccinati da oggi scatta una novità fondamentale: si vedranno, infatti, dimezzata la quarantena in caso di contatto stretto con un positivo. Da 10 a 5 giorni. Perciò, per esempio, chi di loro si trovi in casa in dad da almeno 5 giorni, per effetto della retroattività delle nuove norme, già oggi potrà tornare a scuola (dopo un tampone negativo). 

E cambiano le cose anche nella scuola d'infanzia: per far scattare la quarantena, infatti, il numero di bimbi positivi in classe passa da 1 a 5. Il che vuol dire che i piccoli che ora si trovano a casa perché hanno due o tre compagni positivi, oggi potranno tornare in presenza. Sono calcoli complicati. Così, molti istituti scolastici, tempestati dalle richieste di chiarimento dei genitori, sarebbero orientati a non riammettere da subito gli studenti e ad aspettare prima la revoca ufficiale della quarantena da parte delle Asl.

"Troppa ideologia". Bassetti bacchetta i politici: "Cosa dovevano fare". Libero Quotidiano il 29 novembre 2021.

Matteo Bassetti, direttore della clinica malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova, si è espresso sulla variante Omicron: “Bisogna vedere su cosa basino il richiamo dai 3 mesi, io dati su una caduta drastica dopo quel tempo non ne ho visti. Eviterei di scimmiottare ciò che fanno gli inglesi: ragioniamo con la nostra testa e non rincorriamo gli altri”, ha ricordato in merito all'ultima emergenza pandemica. Ospite di Stasera Italia, in onda su Retequattro e condotto da Barbara Palombelli, ha parlato anche della gestione politica dell'emergenza pandemica.     Tornando sulla Omicron ha spiegati che, "abbiamo preso una decisione sempre un tantino esagerata. Quella di bloccare i voli. Siamo con il dito sempre sul grilletto. Io sono nemico di questo modo di agire, non c'è cosa peggiore di un ministro insicuro”. Per poi allargare la sua visuale critica alla gestione dell'emergenza fin dal primo lockdown.   "Purtroppo c'è stata una pesante influenza della politica nella gestione del Covid. In alcuni momenti c'è stata molta ideologia delle chiusure, delle riaperture. In quel momento la politica avrebbe dovuto ascoltare la scienza e non l'ideologia politica. Non dimentichiamoci dove siamo passati. Siamo stati uno dei Paesi più chiuso al mondo, abbiamo chiuso le scuole più di ogni altro Paese. Forse c'è stata troppa politica e troppo ideologia nella gestione della pandemia e non viceversa", ha concluso Bassetti rispondendo alle critiche della sovraesposizione mediatica dei virologi.    

Green pass e vaccino, il sospetto-choc di Andrea Crisanti: "Arma politica, ecco il vero obiettivo". Libero Quotidiano il 02 febbraio 2022

Un Andrea Crisanti controcorrente quello che critica l'obbligo vaccinale. Il professore ordinario di microbiologia all'Università di Padova non usa mezzi termini per definire l'imposizione "un'arma politica". "In una situazione come quella di prima l'obbligo è corretto - premette intervistato dal Fatto Quotidiano -. Ma se hai superato il 90 per cento hai raggiunto l'obiettivo". Per Crisanti non è detto che valga la pena arrivare al 95 per cento, visto che si rischia di radicalizzare lo scontro nella società. E a quel punto subentra "un problema politico, non epidemiologico", che nulla ha a che fare con la scienza. 

"Io sarei rimasto al criterio epidemiologico. L'azione politica deve avere un obiettivo di sanità pubblica. È inutile che mi accanisco contro l'altro 10 per cento se i dati dicono che il 90 per cento basta. Bisogna valutare la risposta della società, c'è sempre il singolo che non si vuole vaccinare per le più diverse ragioni". 

Non meno schietto sul Green pass, il cui destino è strettamente legato allo stato di emergenza. "Se non lo prolungano, come si sente dire, oltre il 31 marzo - prosegue - non so se possano mantenere il green pass con le relative restrizioni". Dubbi anche sulla quarta dose, che Crisanti si augura non verrà somministrata. "Se non emergessero altre varianti e il livello di immunità si mantenesse elevato non servirebbe". Da qui la lezione a Roberto Speranza. Per l’immunologo, infatti, l'unica soluzione sarebbe un'indagine sierologica come quella inglese che permetterebbe di capire quante persone sono allo state realmente protette e quante invece possono essere ancora a rischio di fronte al Covid.

Senza il green pass salta la visita ginecologica e scatta la denuncia. Ma la direzione del distretto smentisce: bastava avere il tampone negativo. La Voce di Manduria giovedì 27 gennaio 2022.

Rifiutata dalla struttura sanitaria dove si era presentata per una visita di controllo perché priva il green pass rafforzato, una paziente oncologica manduriana di 57 anni, A.Q., si è recata dai carabinieri per presentare una querela. L’episodio è avvenuto il 12 gennaio al distretto socio sanitario di Manduria dove la protagonista aveva da tempo prenotato un controllo ginecologico per valutare gli esiti di un tumore di cui è affetta. All’ingresso però non l’avrebbero fatta entrare perché non è vaccinata. Secondo la signora nessuno le avrebbe chiesto un tampone negativo ma la direzione del distretto smentisce.

La 57enne ha insistito rivendicando i suoi diritti, ha spiegato la sua patologia ed ha preteso di leggere la norma che le impediva le cure. La circolare firmata dalla dirigente del distretto, Gloria Saracino, che si rifaceva ad un’altra direttiva della direzione della Asl e a sua volta da una disposizione della Regione Puglia, dispone che ai pazienti privi di green pass rafforzato è premesso l’ingresso dopo la compilazione di una scheda di screening che spieghi il proprio stato di salute nei 14 giorni precedenti l’appuntamento e la dimostrazione di aver effettuato un tampone con sito negativo anche rapido nelle ultime 48 ore. Ma la signora che era all’oscuro di tutto, non aveva fatto nessun tampone e, secondo quanto ha riferito ai suoi avvocati, pare che nessuno glielo avesse chiesto né proposto di farselo fare. E comunque per lei l’appuntamento urgente era proprio per quel giorno, in quei minuti. Rassegnata, ha dovuto poi annullare telefonicamente la visita per non pagare la sanzione prevista quando non ti presenti all’appuntamento.  

Da qui la rabbia e lo sfogo dai carabinieri. Appellandosi prima ai diritti costituzionali che la circolare Asl avrebbe violato, nella querela la 57enne sottolinea il suo stato di paziente oncologica facendo presente che l’impossibilità o anche il ritardo nell’eseguire esami, potrebbe comportare gravi rischi per la salute. La donna ha poi ricordato una comunicazione della federazione nazionale degli ordini dei medici in cui si chiede di non creare, all’interno delle strutture sanitarie di cura, nessuna discriminazione o disparità tra soggetti vaccinati e non vaccinati.  

Dalla direzione del distretto sanitario chiamato in causa si dicono estranei a tali comportamenti. «Chiunque può entrare - afferma la direttrice Gloria Saracino -, purchè abbia almeno un tampone negativo ed è inverosimile che nessuno abbia chiesto alla signora di procurarselo, mentre nel frattempo avremmo riprogrammato la visita entro le 24 ore successive». 

Green pass, sta facendo la chemio? Allora niente certificato: vergogna di Stato contro una malata di tumore. Gianluca Veneziani su Libero Quotidiano il 13 gennaio 2022.

Possiamo definirli gli esodati del Green Pass: persone che dovrebbero ottenerlo ma ne restano prive per intoppi tecnico-burocratici, esenzioni di cui non godono nonostante il precario stato di salute, o incongruenze tra l'obbligo della prima dose o del richiamo e i tempi necessari a ricevere il certificato verde. Così ti ritrovi casi come quello di Guido Crosetto, imprenditore e fondatore di Fratelli d'Italia, che ieri su Twitter denunciava lo strano caso in cui si è ritrovato: ha il Green Pass a norma ma non gli funziona. «Siccome il Green Pass non funzionava per motivi non spiegati né (dicono) risolvibili a breve, sono stato obbligato a fare la terza dose», rendeva noto. «Non avrei dovuto farla prima di fine febbraio, sesto mese dopo il contagio. Ma sono stato obbligato per recuperare i miei diritti costituzionali». Ai nostri taccuini aggiungeva: «I medici mi sconsigliavano di fare la terza dose perché è passato troppo poco tempo da quando ho contratto la variante Delta, ma ho dovuto farla perché sennò non potevo viaggiare o lavorare».

E sulle ragioni del disguido dice, allibito: «Non mi è stato mandato il Green Pass nuovo, tarato sulla mia malattia da Covid, ma quello precedente, collegato alla seconda vaccinazione e non più funzionante. Siamo all'inferno burocratico!». Commentando la vicenda raccontata da Crosetto, la conduttrice e ballerina Rossella Brescia riferiva un'altra e ancor più sconcertante storia di Green Pass negato a una malata oncologica, con tanti saluti sia alla pietas umana che al buon senso. «Sta facendo la chemio», scriveva, «con tempi lenti perché debilitata. Non è riuscita a fare la seconda dose e non le danno il Green Pass! Non può nemmeno prendersi un caffè al bar con la figlia! Ha chiesto aiuto! Niente da fare! Incapaci!». È vero che non esiste un'esenzione a prescindere per i malati oncologici e che in alcuni casi anzi la vaccinazione è necessaria.

Però bisognerebbe considerare le circostanze particolari e, a fronte di un'oggettiva impossibilità di fare il vaccino a causa di un ciclo debilitante di chemio, grazie all'intervento di un medico curante o dell'Asl queste persone dovrebbero essere ritenute esenti dal vaccino. E godere comunque del Green Pass. Ci sono poi casi di mancata congruenza tra i tempi necessari a rendere attivo il certificato verde (14 o 15 giorni post-vaccinazione) e il termine a partire dal quale (il 10 gennaio) è scattato l'obbligo del Super Green Pass per poter prendere mezzi di trasporto, mangiare in luoghi all'aperto, andare in luoghi di svago, fare sport ecc. Come racconta un utente su Twitter, «mio figlio compie 12 anni il 19 gennaio. Il sistema non consente di prenotare il vaccino prima di quella data. Nel Lazio mancano le dosi per gli under 18. Il Green Pass arriva 14 giorni dopo la prima dose. Quanto tempo resterà senza sport, autobus, cinema?». Analoga è una storia che ci racconta Crosetto: «A un mio conoscente scade il 20 gennaio il Green Pass da malattia. Siccome ha fatto ieri la prima vaccinazione, ci vorranno 15 giorni prima che il Green Pass da vaccinazione diventi attivo, e quindi si troverà sette giorni fuori dal mondo, senza avere colpe».  

CITTÀ OLBIA-TEMPIO. Ha un tumore, ma senza super green pass non può andare in ospedale: salta l'operazione. La donna avrebbe dovuto operarsi a Roma, ma ad Olbia le è stato negato l'imbarco. Il racconto del marito: "Ha fatto tutto il viaggio di ritorno in lacrime". Today il 27 gennaio 2022.

Ha un tumore, ma è costretta a rimandare l'intervento perché senza super green pass non può raggiungere l'ospedale. È la vicenda di cui è (suo malgrado) protagonista una donna di Cagliari che nei giorni scorsi he tentato insieme al marito di salire su una nave diretta da Olbia a Civitavecchia. La donna avrebbe dovuto operarsi al Gemelli di Roma lo scorso 12 gennaio, ma ai due è stato impedito di salire a bordo. A raccontare la vicenda è l'agenzia Adnkronos che ha intervistato il marito della donna, Giuseppe. "Mia moglie doveva subire un intervento urgente" perché "affetta da tumore", racconta l'uomo ripercorrendo la vicenda dall'inizio. La donna avrebbe effettuato la prima dose di vaccino solo tre giorni prima di partire. I due, rassicurati anche dal medico di base, erano convinti di potersi imbarcare ma a quanto pare così non è stato. 

Deve operarsi, ma le negano l'imbarco a Olbia: il racconto del marito

"Avendo noi fatto il vaccino il 7 gennaio, e non essendo dunque ancora trascorsi i 15 giorni per l'arrivo della certificazione verde, abbiamo ottenuto dal nostro medico un certificato che attestava come io e lei, io come accompagnatore perché lei è invalida al 100%, potessimo partire". Il giorno della partenza, il 10 gennaio, le cose non hanno preso la piega che i due speravano. "Siamo andati al porto convinti di poter partire. Prima di andare, per sicurezza avevamo fatto anche il tampone". I due passano un primo controllo, ma al momento dell'imbarco vengono fermati. Dal 10 gennaio per poter viaggiare su treni, navi o aerei è infatti necessario il green pass rafforzato che si ottiene solo dopo la vaccinazione. 

A quanto pare chi era chiamato a far rispettare le regole non ha fatto sconti. "Sotto la nave ci hanno chiesto il green pass" dice infatti Giuseppe, "sostenendo che tutto quello che avevamo non bastava. Alla fine dopo una serie di tentativi, alle 22 di sera la coppia è tornata a casa. "Mia moglie ha fatto tutto il viaggio in lacrime" dice Giuseppe. La seconda dose è ora programmata per il 4 febbraio. Per fortuna l'ospedale Gemelli "si è reso disponibile ad attendere, ma questa storia è una vergogna, e noi vogliamo che sia fatta chiarezza". Insomma, non tutto è perduto, ma la rabbia è tanta per chi, senza un green pass in tasca, si sente imprigionato. "Siamo segregati, ai domiciliari. Da Roma a Milano posso andare in macchina, ma da Cagliari? Dalla Sardegna? Questa è discriminazione, siamo in un apartheid". 

Da Videoandria.com il 28/01/22, 10:26. BAT: “a me malato di tumore senza Green Pass negato l’accesso in ospedale”. La Asl replica: “indagini interne ma abbiamo sempre garantito l’accesso a tutti” – Fa discutere il caso di un uomo di 63 anni al quale – stando al racconto della moglie – sarebbe stato bloccando all’ingresso dell’ospedale di Barletta con la moglie nonostante abbiano spiegato di non potersi vaccinare per questioni di salute. Sul delicato episodio, è intervenuto il Commissario Straordinario della Asl Bt: “Le disposizioni sono chiare a tutti e anche da tempo. Abbiamo garantito da sempre e a tutti accesso alle cure anche a chi, per ragione diverse, non ha potuto 27 Gennaio 2022 ottenere il green pass” – dice Alessandro Delle Donne, Commissario straordinario della Asl Bt – “la notizia del mancato accesso di un paziente nel presidio ospedaliero di Barletta non ci consente di conoscere il dettaglio di quanto accaduto. Nomineremo immediatamente una commissione interna per capire cosa sia successo perché è apparentemente contrario rispetto a quanto disposto sia a livello regionale che aziendale” – ha detto il Commissario Straordinario della Asl Bt che ha poi aggiunto: “Quando accade che i pazienti non sono in possesso di green pass procediamo con il tampone internamente. Questo per assicurare la massima sicurezza a pazienti e operatori. E questo è accaduto più volte anche per pazienti afferenti alla unità operativa di Oncologia. In questo caso stiamo cercando di capire quanto accaduto perché è davvero lontano dalla prassi. L’attenzione della unità operativa di Oncologia è massima e lo è stata anche nei periodi di più elevata difficoltà operativa. L’attività non si è mai fermata” – ha concluso Delle Donne. In considerazione della sanità pubblica vista come diritto costituzionale, sarebbe opportuno verificare anche che nello stesso territorio non si siano verificati episodi simili e che il costo dei tamponi, qualora necessario, non ricada sui pazienti.

Da liberoquotidiano.it il 26 gennaio 2022.

Green pass illimitato dopo la terza dose. Il governo ha ufficialmente deciso, abolendo il termine del certificato verde per tutti coloro che ricevono la terza dose del vaccino contro il Covid. Questo almeno fino a quando non ci saranno ulteriori indicazioni sulla quarta dose da parte delle agenzie regolatorie Ema e Aifa. Il decreto attualmente in vigore prevedeva che dal 1° febbraio il green pass rafforzato - rilasciato ai vaccinati e ai guariti – avesse validità sei mesi.

Per molte certificazioni verdi, però, subentrava il problema delle scadenze, visto che la terza dose era stata autorizzata a metà settembre. Sul tavolo del governo anche l'ipotesi di riconoscere il Green pass ai turisti stranieri che vogliono trascorrere un periodo di vacanza sulle Alpi. Una proposta avanzata dal presidente della Regione autonoma del Trentino-Alto Adige, Maurizio Fugatti.

Ma non è tutto. In questi concitati giorni a causa della partita per il Quirinale, l'esecutivo guidato da Mario Draghi dovrà ragionare anche sulle richieste arrivate dalle Regioni. In particolare quelle che riguardano la scuola. La richiesta è sempre la stessa: lasciare in classe gli studenti positivi vaccinati e asintomatici. Al momento l'idea di alcuni governatori sembra destinata a essere bocciata. Al governo non va giù la contraddizione di alcuni presidenti di Regione che volevano tenere le scuole chiuse per tutto gennaio a causa dei tanti casi tra bambini e ragazzi e ora chiedono di allentare le regole sulle quarantene.

Certificato booster. Green Pass con durata illimitata per chi ha fatto la terza dose. L'Inkiesta il 27 Gennaio 2022.

Ema e Aifa non hanno autorizzato la quarta dose e dunque chi ha già completato il ciclo vaccinale rimarrebbe senza certificazione. Per chi ha una o due dosi, rimane la scadenza di sei mesi. Speranza ha firmato anche l’ordinanza che consente a chi arriva in Italia dai Paesi dell’Ue di entrare senza il tampone ma soltanto esibendo il pass

(La Presse)

Il Green Pass rilasciato a guariti e vaccinati con tre dosi non avrà scadenza. Secondo quanto riporta il Corriere, il governo avrebbe scelto. E nei prossimi giorni – dopo il parere del Comitato tecnico scientifico – si modificherà il decreto in vigore che prevedeva dal 1 febbraio una validità di sei mesi del certificato.

Il problema è che le agenzie regolatorie europea e italiana, Ema e Aifa, non hanno autorizzato la quarta dose e dunque chi ha già completato il ciclo vaccinale rimarrebbe senza certificazione. Per questo si è deciso di sospendere la scadenza e renderlo illimitato fino a che non sarà stabilito se sia necessario fare un ulteriore richiamo.

Per chi ha una o due dosi, rimane dunque la scadenza di sei mesi, per gli altri non sarà previsto un limite, visto che la terza dose era stata autorizzata a metà settembre e già da metà marzo non ci sarebbe copertura. Il Cts dovrà comunque esprimersi per indirizzare le decisioni del governo, soprattutto per quanto riguarda i guariti che hanno già ricevuto due dosi, oppure chi aveva fatto il vaccino monodose.

Inoltre, il ministro della Salute Roberto Speranza ha deciso di accogliere le sollecitazioni dei presidenti di Regione e ha firmato l’ordinanza che consente a chi arriva in Italia dai Paesi dell’Unione europea di entrare senza il tampone ma soltanto esibendo la certificazione verde.

La regola di imporre un test antigenico (valido 48 ore) oppure molecolare (valido 72 ore) associato al Green Pass per chi arrivava dall’estero, compresa la Ue, era stata introdotta prima delle vacanze di Natale, quando la morsa del Covid-19 aveva fatto esplodere i contagi. Una scelta che aveva provocato uno scontro con Bruxelles, ma il presidente del Consiglio Mario Draghi l’aveva difesa sostenendo come fosse «necessaria una precauzione in più per salvaguardare la situazione epidemiologica, decisamente migliore rispetto a quella di tanti altri Paesi vicini».

Attualmente si può andare per turismo con Green Pass e tampone molecolare (corridoio Covid free) nei seguenti Stati: Aruba, Maldive, Mauritius, Seychelles, Repubblica Dominicana, Egitto (limitatamente alle zone turistiche di Sharm El Sheikh e Marsa Alam). Con un’ordinanza che entra in vigore dal 1 febbraio, la lista è stata ampliata a Cuba, Singapore, Turchia, Thailandia (limitatamente all’isola di Phuket), Oman e Polinesia francese.

Sembra destinata invece alla bocciatura la richiesta di lasciare in classe gli studenti positivi vaccinati e asintomatici.

Green pass illimitato per i guariti e i vaccinati con tre dosi dal 1° febbraio. Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini su Il Corriere della Sera il 27 gennaio 2022.

Niente tamponi per chi arriva dall’estero. Il governo modificherà le regole in vigore dal 1° febbraio. No all’ingresso dei positivi in classe.  

Il green pass rilasciato a guariti e vaccinati con tre dosi non avrà scadenza. La scelta del governo è fatta, nei prossimi giorni — dopo il parere del Comitato tecnico scientifico — si modificherà il decreto in vigore che prevedeva dal 1° febbraio una validità di sei mesi. 

La curva epidemiologica non appare ancora in discesa, il bollettino registra 167.206 nuovi casi, 426 morti e un tasso di positività al 15,2 ma il ministro della Salute Roberto Speranza ha deciso di accogliere le sollecitazioni dei presidenti di Regione e ha firmato l’ordinanza che consente a chi arriva in Italia dai Paesi dell’Unione Europea di entrare senza il tampone ma soltanto esibendo la certificazione verde. Si allarga anche la lista degli Stati dove sarà possibile andare per turismo con il «corridoio Covid free».

Il green pass

Dal 1° febbraio il green pass avrà validità sei mesi dall’ultima somministrazione. Le agenzie regolatorie Ema e Aifa non hanno però autorizzato la quarta dose e dunque chi ha già completato il ciclo vaccinale rimane senza certificazione. Per questo si è deciso di sospendere la scadenza e renderlo illimitato fino a che non sarà stabilito se sia necessario fare un ulteriore richiamo.

Per chi ha una o due dosi rimane dunque la scadenza di sei mesi, per gli altri non sarà previsto un limite, visto che la terza dose era stata autorizzata a metà settembre e già da metà marzo non ci sarebbe copertura. Il Cts dovrà comunque esprimersi per indirizzare le decisioni del governo soprattutto per quanto riguarda i guariti che hanno già ricevuto due dosi, oppure chi aveva fatto il vaccino monodose.

I Paesi Ue

Il ministro Speranza ha firmato l’ordinanza che dal 1 febbraio al 15 marzo consente a chi arriva da uno Stato dell’Unione Europea di non effettuare il tampone. La regola di imporre un test antigenico (valido 48 ore) oppure molecolare (valido 72 ore) associato al green pass per chi arrivava dall’estero — compresa la Ue — era stata introdotta prima delle vacanze di Natale, quando la morsa del Covid-19 aveva fatto esplodere i contagi. Una scelta che aveva provocato uno scontro con Bruxelles ma il presidente del Consiglio Mario Draghi l’aveva difesa sostenendo come fosse «necessaria una precauzione in più per salvaguardare la situazione epidemiologica, decisamente migliore rispetto a quella di tanti altri Paesi vicini».

I corridoi «free»

Attualmente si può andare per turismo con green pass e tampone molecolare (corridoio Covid free) nei seguenti Stati: Aruba, Maldive, Mauritius, Seychelles, Repubblica Dominicana, Egitto (limitatamente alle zone turistiche di Sharm El Sheikh e Marsa Alam). Con un’ordinanza che entra in vigore il 1 febbraio, il ministro della Salute ha ampliato la lista a Cuba, Singapore, Turchia, Thailandia (limitatamente all’isola di Phuket), Oman e Polinesia francese.

Quarantene e scuola

Con la battaglia tra i partiti sulla nomina del nuovo capo dello Stato appare difficile la convocazione di un Consiglio dei ministri che possa modificare le regole di contenimento dei contagi da Covid-19. Palazzo Chigi e il ministero della Salute stanno però lavorando per esaminare le istanze delle Regioni. Sembra destinata alla bocciatura la richiesta di lasciare in classe gli studenti positivi vaccinati e asintomatici. Nel governo si sottolinea infatti la contraddizione di quei governatori che volevano tenere le scuole chiuse per tutto gennaio a causa dei tanti casi tra bambini e ragazzi e ora chiedono di allentare le regole sulle quarantene, lasciando in classe gli alunni contagiati dal Covid.

Da striscialanotizia.mediaset.it il 26 gennaio 2022.

Questa sera a Striscia la notizia (Canale 5, ore 20.35) prosegue l’inchiesta di Moreno Morello sui green pass validi e di persone reali che circolano in rete.

Dopo l’assurdo caso che ha coinvolto Amazon, con il gigante dell’e-commerce costretto a rimuovere un prodotto in cui compariva una certificazione valida e scansionabile, l’inviato di Striscia documenta come anche su decine di siti di giornali e di amministrazioni comunali appaiano foto di green pass che – una volta inquadrati e scaricati – risulterebbero in piena regola.

Una circostanza pericolosa, dal momento che chiunque – stampandosi la schermata del sito o facendo un semplice screen shot – potrebbe dotarsi di una certificazione efficace per superare ogni controllo.

Striscia la Notizia, il Green pass e la truffa: "Facilissimo, ecco come aggirare la legge". Libero Quotidiano il 26 gennaio 2022.

Questa sera, mercoledì 26 gennaio, a Striscia la notizia, in onda su Canale 5, prosegue l’inchiesta di Moreno Morello sui green pass validi e di persone reali che circolano in rete. Dopo l’assurdo caso che ha coinvolto Amazon con il gigante dell’e-commerce costretto a rimuovere un prodotto in cui compariva una certificazione valida e scansionabile, l’inviato di Striscia documenta come anche su decine di siti di giornali e di amministrazioni comunali appaiano foto di green pass che – una volta inquadrati e scaricati – risulterebbero in piena regola.

Una circostanza pericolosa, dal momento che chiunque – stampandosi la schermata del sito o facendo un semplice screen shot – potrebbe dotarsi di una certificazione efficace per superare ogni controllo. Continua così l'inchiesta di Morello sulle criticità attorno al certificato verde.

Da blitzquotidiano.it il 25 gennaio 2022.

A morto da solo, a 23 anni, all’ospedale San Giovanni di Dio di Firenze. E’ morto da solo perché i sanitari, a causa del Covid, sono stati costretti a negare l’accesso ai familiari. A raccontare la storia è stato il programma di Rai 3 Agorà. 

Il racconto dei familiari

Il 23enne, secondo il racconto, si è sentito male a casa ed è stato portato all’ospedale San Giovanni di Dio.

“Un pomeriggio – ha raccontato la madre – mio figlio mi ha chiamata dicendo che non riusciva a respirare e che aveva l’ossigeno. Ho telefonato in reparto perché non mi avevano nemmeno chiamato per dirmi che gli mettevano l’ossigeno e mi dicono che la situazione è grave, allora gli ho detto di farmi entrare. E mi hanno detto: ‘Signora non la possiamo far entrare per il Covid, può portare qualche focolaio”. 

Poi durante la notte la famiglia è stata avvertita della morte del ragazzo.

“Ci hanno fatto entrare in tre quando era morto – ha riferito il nonno – ma non hanno fatto entrare una persona quando era vivo, per fargli avere un conforto dalla mamma”.

La precisazione dall’ospedale 

Il direttore di medicina interna dell’ospedale San Giovanni di Dio, sentito dalla trasmissione, ha spiegato che “ci sono cose che non hanno delle regole precise e vanno interpretate sul momento e forse non sempre si interpretano nella maniera corretta. Io stesso se potessi tornare indietro e fare qualcosa lo avrei sicuramente fatto e di questo ne prenderemo atto. Anche nelle esperienze peggiori bisogna trarre qualche seme per fare meglio nelle prossime situazioni”. 

Covid, masse di analfabeti e influencer della "scienza": così per difendere la salute l'abbiamo fatta a pezzi. Iuri Maria Prado su Libero Quotidiano il 25 gennaio 2022.

Ora qualcuno comincia ad accorgersi di quanto sono amari i frutti dell'inseminazione pan-salutista con cui s' è preteso di preparare il terreno della battaglia contro il virus. L'idea sbagliatissima si fondava sul fraintendimento micidiale per cui le energie dell'azione politica dovessero essere impegnate sul fronte medico-sanitario. E il problema non era solo che in nome di quel fraintendimento era possibile sacrificare tutto, libertà essenziali, attività economiche, istruzione e perfino la messa: il problema era anche che il canone "prima la salute" avrebbe finito per far pagare un prezzo incalcolato proprio in termini di salute pubblica, salvo credere che suicidi, depressione, sbando sociale, scientifica produzione di masse di analfabeti, ineducazione al lavoro, prolungata inibitoria delle relazioni sociali, non attentino in modo anche più grave al bene che quella politica vorrebbe proteggere.

Lo osservammo, dall'inizio di quella vera e propria follia, per spiegare che il problema politico in tempo di guerra non è dar armi ai generali, ma mantenere la vita nelle città sotto i bombardamenti. E vale anche per la comunicazione che in tempo di guerra non è appaltata ai colonnelli come qui, invece, è stata affidata agli influencer della "scienza".

È benvenuto chi (vedi Veltroni, sul Corriere) spiega oggi che occorre "accelerare verso la normalità". Ma la normalità si raggiunge in sicurezza solo riconoscendo che è stata abbandonata spericolatamente. 

Da corriere.it il 24 gennaio 2022.

Il caso Sara Cunial continua a tenere banco. La deputata ex M5S, dichiaratamente no vax e no green pass (il certificato verde è necessario per entrare a Montecitorio), chiede di poter votare nella postazione esterna riservata ai grandi elettori positivi o in quarantena. La parlamentare non ha intenzione di spostarsi. 

«Sono sana e chiedo di poter votare il Presidente come è mio diritto costituzionale fare, non vedo perché non possa votare come i malati di Covid sia vaccinati che non». E ancora: «Non far votare un cittadino prima ed un parlamentare poi perché sano è un affronto alla democrazia, alla legge e alle istituzioni».

Il contagio del diritto. Attenti, a colpi di Dpcm ci stiamo infilando in una pandemia burocratica. Istituto Bruno Leoni su L'Inkiesta il 25 Gennaio 2022.

Le ultime strette e limitazioni hanno messo a nudo tutti i rischi della decretazione d’urgenza. In barba a qualsiasi gerarchia delle fonti, parte dell’ultimo provvedimento è stato ribaltato nelle FAQ sul sito del ministero. Il rischio è insomma che il Covid danneggi anche l’ordine giuridico. L’editoriale dell’Istituto Bruno Leoni su Linkiesta.

Mentre diversi paesi in Europa e nel mondo muovono verso le riaperture, l’Italia è sempre più incastrata in quella che la giornalista liberal Bari Weiss ha efficacemente definito «a pandemic of bureaucracy». 

Nell’ultimo dei DPCM emanati, il governo ha realizzato una stretta sui luoghi e sulle attività cui è possibile accedere senza Green Pass (base). Tra questi, l’art. 1 del DPCM include quelli relativi alle esigenze alimentari e di prima necessità, e l’allegato al DPCM chiarisce che sono da intendersi tali quelli di commercio al dettaglio di prodotti alimentari, bevande e surgelati. Insomma, a intendere la piana lettera dell’atto, chi si trova sprovvisto di Green Pass potrà sì accedere ai supermercati, ma solo per l’acquisito di beni “essenziali”.

L’idea che una pubblica autorità possa intestarsi il potere di distinguere tra beni “essenziali” e beni “non essenziali” è già di per sé assurda, ma appare ancora più critica là dove si pensi che, se applicata, consentirebbe a un soggetto sprovvisto di Green Pass di entrare in un supermercato per poter comprare però solo alcune cose e non altre – magari collocate nello stesso scaffale delle prime.

Delle due, l’una: se il fine di prevenzione del contagio è fondato, è perseguito con mezzi sproporzionati e irragionevoli; se esso invece manca, il DPCM serve piuttosto a sanzionare indirettamente chi non si sia vaccinato. In entrambi i casi, la soluzione è da censurare: nell’un caso, perché in diritto il fine non giustifica i mezzi, nell’altro caso, perché non si può fare dell’«emmerder» un legittimo principio di politica pubblica.

La notizia dell’approvazione del DPCM è stata ricevuta con giustificato clamore e diffusa indignazione. Il governo è dunque corso ai ripari pubblicando delle FAQ in cui si legge che l’accesso agli esercizi commerciali «consente l’acquisto di qualsiasi tipo di merce, anche se non legata al soddisfacimento delle esigenze essenziali e primarie individuate dal DPCM».

La situazione è ai limiti dell’incredibile. Non è la prima volta che il cittadino viene obbligato ad attendere le FAQ per avere una sorta di interpretazione “autentica” di divieti e obblighi nebulosi contenuti nei DPCM; ma un conto è attribuire alle FAQ una funzione di interpretazione, un altro è fare delle FAQ addirittura uno strumento di deroga di atti aventi carattere normativo.

Sia chiaro, anche la prima ipotesi è grave – ma la seconda stravolge la gerarchia delle fonti in un modo che lascia francamente allibiti. Se il governo si è reso conto dell’errore, lo corregga, non si affidi a delle formulette pubblicate su un sito internet, prive di qualsiasi peso e rilievo giuridico.

Valga il monito che viene da un paio di recenti sentenze della Corte suprema degli Stati Uniti: non si può lasciare che il Covid contagi anche il diritto, perché da una pandemia burocratica, al contrario di una sanitaria, potrebbe non uscirsi più.

Egoismo sanitario. Il degrado morale dell’uomo chiuso in casa. Iuri Maria Prado su L'Inkiesta il 20 Gennaio 2022.

La vita-non-vita di chi, per paura di contrarre il morbo, ha rinunciato a tutte le abitudini che lo mettono al di sopra delle bestie, è l’ultima spiaggia di una civiltà che ha ridotto l’esistenza alla mera sopravvivenza, in una spirale continua di abbruttimento che dura da due anni.

Il plurivaccinato, mascherato, guantato, che non va al bar, non entra in un ristorante, non prende un treno, un aereo, un autobus, ed esce di casa solo se vi è costretto dalla necessità alimentare o medicinale e anche in tal caso lo fa guardingo, furtivo, tremebondo, per tornarsene veloce e incurvo verso l’intimità del suo cazzo di appartamento, raggomitolandovisi come lo scimmione nella caverna di “2001 – Odissea nello spazio” languiva terrorizzato dall’incombere del leopardo, dimostra in modo perfetto quanto nei suoi tratti primari l’uomo sia dopotutto e ancora una bestia, un essere governato da prepotenza bestiale proprio quando al contrario sarebbe giusto attendersi che non vi si abbandonasse, proprio quando sarebbe giusto pretendere che fosse capace di soverchiare con ragione, con criterio, con civiltà, quella propensione animalesca.

Il fatto che in una temperie di avversità controllata, sorvegliata, presidiata, quest’uomo risponda esclusivamente al comando biologico del ratto, della blatta, e si attacchi in quel modo forsennato a una vita perlopiù miserabile, facendo le mostre di pendere dalle labbra di un’esistenza fatta di nulla, di vie intestinali che funzionano e di respiro regolare, di temperature rassicuranti: come un parassita, appunto, con la differenza che questo almeno non si accorge di quant’è conchiuso il suo mondo di sopravvivenza, ecco, è un fatto che non si dice incredibile solo perché se ne ha riprova quotidianamente ormai da due anni.

Già se si trattasse della paura di morire perché, morendo, si rinuncerebbe a qualcosa di serio, un brasato, la pagina di un libro, il poker, un bel culo, il calcetto, insomma qualsiasi cosa “piaccia”, già se si trattasse di questo sarebbe irritante quel premunirsi, quel proteggersi, quella profilassi claustrale, quella riduzione disinfettata a una sicurezza da degente. Ma non si tratta pressoché mai di questo: e se gli dici che il peggio che può succedere è di morire, tu vedi che a terrorizzarlo non è l’idea di rinunciare alle cose che gli piacciono, che probabilmente non ci sono veramente, ma la prospettiva di non menare ulteriormente una vaga routine di funzioni biologiche: non quel brasato, ma il fatto di poter ingurgitare e poi defecare qualcosa. E a me infine mi puzza che quello è uno che se la nave affonda, non divide il salvagente.

Da ANSA il 17 gennaio 2022.  

Cateno De Luca, stamattina con una lettera indirizzata al segretario generale e al presidente del Consiglio Comunale ha rassegnato le proprie dimissioni dalla carica di Sindaco della Città di Messina. "Le motivazioni saranno rese note prima non oltre il prossimo 6 febbraio", si legge nel documento. De Luca ha firmato la nota di dimissioni alla rada San Francesco, dove prosegue la sua protesta, per manifestare il proprio dissenso contro la norma che prevede l'obbligo del green pass rafforzato per l'attraversamento dello Stretto. Nei giorni scorsi De Luca ha annunciato di volersi candidare alla presidenza della Regione siciliana.

Da "il Giornale" il 17 gennaio 2022.  

In aereo è possibile volare in qualsiasi parte del mondo, ma per spostarsi di pochi chilometri col traghetto per raggiungere la terraferma è invece necessario il Green pass. È la situazione paradossale denunciata il vulcanico sindaco di Messina, Cateno De Luca 5che da ieri - coerentemente al suo nome - si è «incatenato» al molo per rendere pubblico il disagio dei suoi concittadini.

«Sono qui ha spiegato De Luca, omonimo dell'altrettanto pirotecnico governatore della Campania - per fare una protesta, non mi muoverò fino a quando non ci sarà una risposta da parte dello Stato che deve modificare questa norma ingiusta perché non garantisce la continuità territoriale. Mi farò portare una tenda finché non arriverà il prefetto o qualcun altro ad dirmi quale intervento intendono attuare. Ho cercato di farmi sentire per le vie istituzionali ma non ho avuto risposte. Ci sono arrivate decine di telefonate di persone che per motivi di lavoro e salute dovrebbero passare ma non possono. Mi sento abbandonato dallo Stato, ma non voglio essere strumentalizzato da chi è contro il vaccino».

E poi: «Non blocco nessun traghetto. La mia occupazione è permanente. Mi metto in un angolo, chiederò un sacco a pelo e non andrò via in attesa dei rappresentanti dello Stato». Per De Luca «doveva essere il presidente della Regione, Nello Musumeci, a occuparsi di questa delicata vicenda, che costringe ancora una volta i siciliani ad essere relegati allo status di isolati dal mondo ma attualmente il governatore è impegnato ad affrontare la difesa del diritto di lesa maestà per le votazioni».

«Personalmente - prosegue - al posto di Musumeci avrei proposto di non eleggere i nostri parlamentari per le elezioni al Quirinale. Che Repubblica delle banane è questa? A cosa serve un presidente della Regione se lo stesso non utilizza il suo ruolo in un momento così delicato?». «Sono per la vaccinazione ma non secondo queste strategie subdole - sostiene -. Perché nel momento in cui è stato messo in circolazione il vaccino lo Stato non ha rassicurato i cittadini. Il ragionamento è semplice, se il vaccino è sicuro perché non stabilire l'obbligatorietà? Perché non è stata fatta una legge?».

Graziella Melina per “Il Messaggero” il 17 gennaio 2022.

Non ci sono solo i turisti che villeggiano in località paradisiache che non possono rientrare a casa perché positivi al Covid. Sono infatti molteplici e meno romanzati i casi delle persone contagiate ma lontane dalla famiglia per lavoro, per studio o anche solo perché stanno accompagnando un paziente fragile che ha bisogno di un controllo in un ospedale fuori regione. 

Per tutti, il rientro a casa, finora farraginoso e non sempre possibile, sarà ora più semplice da gestire da parte delle aziende sanitarie locali e degli uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera.

Secondo le indicazioni del ministero della Salute, elencate nella circolare firmata dal direttore generale della Prevenzione Giovanni Rezza, il trasferimento delle persone contagiate è sempre possibile ma solo se autorizzato dalle Asl, sia quella del comune di provenienza sia quella di destinazione.

Ci si può mettere in viaggio soltanto se non si hanno sintomi gravi; in quest'ultimo caso, infatti, è consentito soltanto il trasposto sanitario. La situazione diventa più semplice per i casi lievi e per gli spostamenti tra regioni vicine, sempre però con alcune limitazioni. Se si ha la possibilità di utilizzare un mezzo di trasporto privato, il trasferimento verrà consentito entro i 300 km e solo se la durata prevista del viaggio è inferiore alle 4 ore. 

Attenzione poi al numero delle persone che utilizzano lo stesso mezzo di trasporto privato. È possibile infatti viaggiare insieme ad altri positivi. Se invece un genitore o un caregiver negativo al test accompagna un minorenne positivo o una persona che necessita di assistenza, il ministero raccomanda di escludere dal viaggio ulteriori persone infette.

E, comunque, durante il trasferimento di più persone con un singolo veicolo, occorre «assicurare la corretta ventilazione dell'abitacolo, il distanziamento fisico e l'uso costante per tutti di idonei dispositivi di protezione individuale». 

Non è poi consentito alle persone occupanti l'abitacolo di «sostare in luoghi pubblici - eccetto piazzole all'aperto in assenza di altre persone - o recarsi presso le aree di rifornimento carburante».

Gli stessi accorgimenti valgono per chi si sposta con un aereo privato, oppure via mare su una imbarcazione privata; in entrambi i casi, devono essere comunque garantite le condizioni di sicurezza. 

Nessun caso positivo è invece autorizzato a trasferirsi, durante il periodo di quarantena, utilizzando un mezzo pubblico. Per evitare la diffusione del contagio, non si può infatti salire su un volo di linea, prendere un taxi, un bus, un treno, spostarsi con la metropolitana, oppure ricorrere a un mezzo in public sharing.

Interdetto ovviamente anche l'uso delle navi o dei traghetti per il trasporto pubblico urbano e per le isole maggiori per tutti i casi positivi al Covid e sottoposti alla misura di isolamento. Per chi si sposta con l'auto privata, è invece possibile viaggiare sul traghetto ma solo se è presente un'area apposita. In ogni caso, i passeggeri dovranno rimanere nell'abitacolo.

Da quotidiano.net il 16 gennaio 2021.

In tempi di Covid e Green pass, rafforzato o meno, una storia paradossale arriva dalla Sicilia. Protagonista un ragazzino che ha compiuto 12 anni il 9 gennaio e il giorno dopo è rimasto bloccato sull'isola perché, non vaccinato e quindi sprovvisto di Super Green pass, non poteva imbarcarsi sull'aereo per Milano, dove doveva ricongiungersi alla madre. 

A denunciare l'accaduto il padre, un 46enne di Noto, nel Siracusano. "Sono vittima di una ignoranza che dilaga, e della mancanza di elasticità da parte di alcuni", racconta Marcello che le ha provate tutte, ma che alla fine ha dovuto desistere: ha vinto il Dpcm che stabilisce le nuove regole per il Green pass entrate in vigore dal 10 gennaio. 

L'uomo e la moglie sono separati, lei vive a Milano. I due hanno un figlio, che vive con la donna ma è in affido condiviso. I periodi di vacanza sono stati fissati dal giudice, la coppia li rispetta per il bene del bambino. "Dal 3 al 9 gennaio mio figlio è stato in Sicilia con me - spiega il padre -. Proprio il giorno 9 ha compiuto 12 anni ed il giorno dopo era previsto il volo di rientro a Milano. Quando il 10 gennaio siamo arrivati in aeroporto ho mostrato i documenti ed il risultato negativo del tampone molecolare ma l'addetto della Sac (la società di gestione dell'aeroporto ndr) mi ha detto che non poteva imbarcarsi".

Il motivo è presto detto: "Il dpcm, che era entrato in vigore proprio quel giorno, autorizza l'imbarco solo a dodicenni vaccinati. Ho fatto presente che il tampone era negativo, che il bambino doveva rientrare a scuola ma soprattutto che c'è una sentenza del giudice che stabilisce i giorni in cui mio figlio può stare con me e che io non posso violare per non avere conseguenze penali". 

Niente da fare, il bambino per ora non si muove. Subito vaccinato, deve attendere 15 giorni per ottenere la certificazione verde che gli consentirà finalmente di partire per Milano. Nell'attesa, rimane in Sicilia. "Anche se è contento di stare con me e con i nonni sta perdendo giorni di scuola per colpa dell'ignoranza". Fra l'altro, dal 10 gennaio il Super Green pass è obbligatorio anche per imbarcarsi sui traghetti interregionali, quindi anche per attraversare lo Stretto. Una misura che ha scatenato l'ira del sindaco di Messina, Catello De Luca, che ha minacciato di bloccare il porto della città qualora il provvedimento non venisse modificato.

Francesco Malfetano per "il Messaggero" il 14 gennaio 2022.

C'è già chi li ha soprannominati i prigionieri del Green pass. Sono gli italiani rimasti incastrati nella burocrazia dei tamponi. Intrappolati in casa dall'esito negativo di un test antigenico mai registrato. Ovvero un automatismo, in vigore dal 6 gennaio (e valido solo per le positività registrate a partire da quella data), mai veramente diventato effettivo.  

Cittadini che dopo essersi giustamente isolati a causa del contagio, e quindi dopo aver visto il proprio Qr code bloccarsi, non lo hanno poi mai visto tornare attivo nonostante siano guariti a tutti gli effetti. E poi, oltre al danno la beffa. Dopo il tampone negativo che gli consente di rompere l'isolamento e, in teoria, di ricevere un Green pass per guarigione, in migliaia ricevono sì un nuovo certificato, ma quello legato al test stesso. Della durata di 48 ore. 

I CORTOCIRCUITI 

Come se non bastasse, per gli stessi cortocircuiti amministrativi, stavolta dettati soprattutto dall'impennata delle positività, capita sempre più spesso che i risultati positivi dei tamponi antigenici - considerati validi per porre in isolamento un paziente - non vengano comunicati, e quindi un soggetto infetto può potenzialmente andarsene in giro senza problemi. A meno di non incappare in un controllo tanto solerte da non accontentarsi del Green pass stesso. 

Un delirio informatico che, come ha denunciato ad esempio per la Campania il Mattino, porta oggi circa 50mila positivi a non essere di fatto costretti alla quarantena. Secondo il sindacato regionale dei medici di famiglia, la Fimmg, circa l'80% dei positivi non riceve alcun provvedimento. Il problema però è tutt' altro che solo campano. Prendendo per buone le stime dei medici ed estendendole ai circa 2,2 milioni di attualmente positivi secondo i dati ufficiali, la faccenda potrebbe coinvolgere più di un milione e mezzo di cittadini.  

Del resto, ormai da giorni, Twitter e i social sono pieni di testimonianze di utenti che segnalano il problema sconcertati. Lo ha denunciato ad esempio l'ex sindaco di Roma Gianni Alemanno. «E niente...dopo essere risultato positivo al tampone del 03/01/2022 con referto caricato sul sito della Regione Lazio, il mio Super Green Pass continua ad essere valido - ha scritto su Facebook Alemanno - L'Assessore D'Amato dice che non è colpa della Regione Lazio ma del Ministero della Salute, sembra tutta una follia...Giovedì farò il nuovo tampone, se risulterò negativo, non potendo fare la dose booster' per quattro mesi, rischio di rimanere senza Green Pass».  

IL NODO 

Sì perché il vero problema non è solo che un positivo incosciente può andarsene in giro, ma anche che un cittadino postosi ugualmente in isolamento - pur senza che il Pass fosse bloccato - rischia di finire in un vortice di date di validazione che non gli consentiranno di fare la terza dose, e quindi alla fine restare senza Green pass. Il certificato infatti, così facendo non tiene conto della positività. 

Per cui, alla guarigione, non scatta una nuova durata come normalmente dovrebbe essere. Il tutto, appunto, mentre altri cittadini risultati negativi restano fuori dalle attività per cui è richiesto il Green pass. Impossibile dire chi stia messo peggio. La situazione però è nota al ministero della Salute. Tant' è che mercoledì il ministro Roberto Speranza, rispondendo al question time alla Camera, ha spiegato che il problema è in via di risoluzione: «Abbiamo dovuto lavorare per costruire una modalità nostra, nazionale, di sospensione diversa del Green pass perché all'inizio la modalità europea prevedeva solo la sospensione in caso di falsificazione. 

Dopo alcune sollecitazioni, anche di natura parlamentare, con l'ultimo Dpcm del 17 dicembre abbiamo introdotto un meccanismo che, a regime, porterà a un doppio automatismo: di sospensione della validità del Green pass di fronte ad un caso di positività e al tempo stesso però ad uno stop di questa sospensione e riattivazione del certificato in caso di tampone negativo dopo la positività». Ma si tratta di «una procedura in corso. E penso che dobbiamo lavorare perché questi problemi che ancora ci sono stati possano essere risolti» ha concluso il ministro.

E allora come deve comportarsi intanto un cittadino che si ritrova con il Green pass bloccato nonostante l'esito negativo di un tampone, o con il pass non aggiornato a seguito della guarigione? In attesa che il ministero riesca a far comunicare tra loro le diverse piattaforme e renda il tutto automatico come dovrebbe essere, si può provare a bypassare l'automatismo rivolgendosi al proprio medico di base. Questo infatti, visionato l'esito del tampone può emettere il certificato di guarigione e caricarlo manualmente sulla piattaforma, permettendo di sbloccare la situazione. 

Massimo Gramellini per il "Corriere della Sera" il 14 gennaio 2022.

Una signora incinta si presenta al pronto soccorso di Sassari lamentando perdite e dolori alla pancia. Le viene chiesto l'esito di un tampone molecolare. La donna non ne ha nessuno con sé e l'ostetrica va ad avvertire il medico, di cui poi riferisce il responso: «Non la possiamo visitare, motivi di sicurezza, torni con il tampone o se la situazione dovesse peggiorare». 

La situazione peggiora subito, al parcheggio dell'ospedale: aborto spontaneo. Alla quinta settimana può succedere, è stata la stessa donna a riconoscerlo. Ma quello che non dovrebbe mai succedere è il modo. Una paziente incinta che si presenta in un pronto soccorso dicendo che sta male va visitata, punto. E, se serve un tampone, glielo si fa lì: dove, sennò? I medici sono talmente sotto pressione che qualunque critica nei confronti di uno di loro può sembrare ingiusta.

Però questa storia racconta che cosa siamo diventati: l'emergenza perenne ci sta mangiando la testa e il cuore. Sono due anni che la paura del contagio domina ogni nostro pensiero, cancellando tutto il resto, e tutto il resto si chiama vita. Dal 2016 quella donna cercava di avere un bambino. 

Chiedeva solo che qualcuno la ascoltasse, la capisse, la aiutasse a gestire l'ansia di una situazione che purtroppo volgeva già al peggio. Invece si è sentita trattare come un numero e una potenziale untrice. Va bene il distanziamento fisico, ma nessun decreto prevede il distanziamento emotivo. Ci si può guardare negli occhi anche indossando una mascherina.

Da iltempo.it l'11 gennaio 2022.

Disavventura per Nicola Porro, costretto a condurre la puntata del 10 gennaio di Quarta Repubblica da casa. Il giornalista non è presente negli studi televisivi di Rete4 per problematiche dovute al Covid e ha spiegato tutta la questione con un messaggio sui social: “Questa sera conduco Quarta Repubblica da casa. Condizione particolare: il conduttore in collegamento, gli ospiti in studio. Il motivo? È presto detto: come milioni di italiani in questi giorni, anche io sono in una sorta di ‘isolamento fiduciario’. Cioè non posso recarmi negli studi di Mediaset a Roma”. 

“Niente di grave, per carità. Sto bene, ho fatto - sottolinea Porro - tutti i miei tre vaccini, ho un tampone negativo. Però ci sono delle regole in Italia che 7,7 milioni di italiani conoscono bene: regole che sostanzialmente ci costringono ad un lockdown burocratico. Non stiamo parlando solo di non vaccinati, che ormai tra green pass base, obblighi vaccinali e super green pass non possono fare praticamente nulla. 

Parliamo anche chi due dosi di Pfizer&co se l’è fatte, ma non è ancora riuscito a sottoporsi al booster. Se hai la sfortuna di essere il ‘contatto stretto’ di un positivo, anche se asintomatico e con tampone negativo, finisci col doverti fare 5 o 10 giorni di quarantena oppure sei costretto a girare (e lavorare, come nel mio caso) per tutto il giorno con la mascherina Ffp2. Un ‘lockdown burocratico’ di fatto che - conclude la sua spiegazione il giornalista - con Omicron e la sua diffusione obbliga me a condurre da casa. Ma soprattutto rischia di paralizzare il Paese”.

Cronache dalla quarantena: tra regole e paradossi sperando nel tampone. E se si rompe lo scaldabagno...Uno o più positivi al Covid, la famiglia si tappa in casa: prima del caffè c’è il rito del test per grandi e bambini. In ufficio rimane solo chi non ha figli. Arturo Buzzolan,  Federica Cravero,  Mariachiara Giacosa,  Ottavia Giustetti,  Sarah Martinenghi su La Repubblica il 9 Gennaio 2022.  

A questo punto, caro Covid, diamoci pure del "tu". Erano due anni che ci terrorizzavi, stravolgevi puntualmente i nostri piani, ci spaventavi a morte e ci chiudevi in casa per mesi. Monopolizzavi ore di conversazioni e immagini nella testa, i sogni. Impedivi partenze e abbracci. Scombinavi feste. Eppure, per la maggior parte di noi (i più fortunati) restavi ancora un'entità astratta, qualcosa perlopiù distante, da scrivere con fiumi di inchiostro, da osservare attraverso la lente dei bollettini dei contagi e delle letture degli esperti. 

Invece adesso qualcosa è cambiato: sei stato il regalo di Natale che nessuno voleva, il pacchetto sotto l'albero di una festa che abbiamo ribattezzato quarantena. Ci consola il fatto che mentre venivi a far visita a quasi tutti i giornalisti di questa redazione, l'emergenza sanitaria si alleviava per la maggior parte, e assumeva piuttosto le fattezze di uno sfortunato incidente di massa. Tanto che oggi, da cronisti di storie spesso lontane, molti di noi (tutti vaccinati) possono trasformarsi in testimoni diretti di una pandemia, quella meno grave, che non cancella affatto i morti e i ricoveri nelle terapie intensive, ma ci permette di raccontare un altro pezzo di questa storia. A tratti anche paradossale. 

Un tampone al giorno

La mattina di Capodanno mamma, papà e tre bambini si attrezzano con giubbotti caldi, sciarpe e cappelli e si dirigono in farmacia, come se dovessero certificare lo stato di famiglia. Due su tre hanno tosse, raffreddore e mal di testa da giorni, ma ben otto tamponi in sequenza hanno decretato: sono negativi. La famiglia non si arrende e quello che sta meglio di tutti, il papà. fatalmente, in farmacia, è l'unico a risultare contagiato. Il dubbio che i tamponi non ci vedano sempre bene cresce come un blob nei loropensieri. Dipende da chi li fa e da come li fa? Ci sono produttori più o meno sensibili? Il sospetto che qualcosa non funzioni rimane. Perciò si fa un investimento in test domestici e si torna a casa. Prima del caffè e del latte del mattino uno dopo l'altro si infilano il bastonicno nel naso, fino a quando non raggiungono l'en plein di cinque su cinque. Tutti positivi. 

Gli effetti sul lavoro

I luoghi di lavoro si sono divisi, come fosse passato Mosé a spartirli, tra chi ha figli e chi no. I primi sono a manciate in quarantena e gli altri restano immunizzati sia dall'avere pargoli o teenager per casa, che dal coronavirus. Effetto anticoncezionale di secondo livello? 

Le chat impazzite

Una volta sulle chat tra amici erano meme e messaggi di auguri. Quest'anno sono diventati virali gli indirizzi mail dei referenti Covid, gli indirizzi della farmacie fornite di tamponi, dei copia e incolla di cosa ha detto il mio medico, cosa ha risposto il tuo pediatra, a te l'Asl ha mai chiamato, che numero hai fatto, tu come calcoli i giorni di quarantena... 

Chi combatte con l'isolamento

Alla terza quarantena in meno di un mese, la prima con un tampone a doppia riga, e di fronte a un numero esponenziale di contagi, di cui è impossibile ricostruire la storia, anche i più volenterosi si scoraggiano. Se deve, e se è in grado, il Covid si prenda pure tutta la famiglia: abbiamo 8 dosi di vaccino in quattro (tre entrambi i genitori e una a testa i piccoli) e confidiamo di resistergli, almeno senza troppe ammaccature. Vista da dentro, questa nuova puntata del diario di una reclusione, fa sbattere la testa contro i muri. Se due anni fa bastava una linea di febbre per mandare nel panico l'intera famiglia, oggi quel panico si riversa sull'organizzazione domestica, sul calendario, sul conto dei giorni che possono passare dal tampone positivo a quello negativo, si spera prima possibile. 

Vecchie e nuove regole

Negatività accertata il 31 dicembre. Liberi? Nemmeno per sogno. Incastrati nel limbo tra le vecchie e le nuove regole con tutte le precauzioni dovute i tre neo- guariti avrebbero potuto uscire di casa. Invece manca la revoca dell'ordinanza mandata a polizia, carabinieri e persino alla guardia forestale. Siamo in Val d'Aosta. E per la revoca, il Comune deve accertare che sul portale siano caricati i risultati dei tamponi negativi. Una cosa normale, forse banale, ma non nei giorni del massimo contagio, in cui tutto è in tilt. inutili le chiamate disperate dopo la lunga reclusione di tre bambini (maschi). Alla fine tornano liberi praticamente tutti insieme. 

E se hai bisogno di un artigiano?

I giorni passano, la preoccupazione è moderata perché per fortuna nessuno sta male. Ovvio che la quarantena come la si concepiva un anno fa, con i contagiati in una stanza e i sani in un'altra, non regge neppure per un minuto: i bambini si abbracciano, fanno la lotta, ci abbracciano e baciano, si tolgono le mascherine. È una battaglia impossibile e persa in partenza, ma nessuno contagia nessuno. A un certo punto si presenta un problema grave: lo scaldabagno fa le bizze. Beh, capita: basta chiamare il tecnico. Eh no, attenzione: se ci sono due contagiati in casa è giusto precisarlo. E infatti la prevedibile risposta, al centralino del pronto intervento, è: " Con il coronavirus non possiamo venire, risentiamoci la prossima settimana" . Per fortuna il riscaldamento funziona.

(ANSA l'8 gennaio 2022) - Sanzione di 100 euro per gli over 50 che, alla data del prossimo 1 febbraio, non hanno iniziato il ciclo vaccinale primario; che, a decorrere dall'1 febbraio, non hanno completato il "ciclo vaccinale primario"; o che, a partire sempre dall'1 febbraio, non hanno fatto "la dose di richiamo successiva al ciclo vaccinale primario entro i termini di validità delle certificazioni verdi". Lo indica il decreto legge pubblicato nella notte in Gazzetta Ufficiale che stabilisce anche come i destinatari dell'avviso di avvio del provvedimento sanzionatorio abbiano 10 giorni di tempo dalla ricezione per comunicare alla Asl "l'eventuale certificazione relativa al differimento o all'esenzione dall'obbligo vaccinale, ovvero altra ragione di assoluta e oggettiva impossibilità".

Fabio Savelli per il “Corriere della Sera” l'8 gennaio 2022. Avvisi bonari o cartelle fiscali, non è ancora noto. Cento euro, però, una tantum , per tutti gli over 50 che non saranno in regola con la vaccinazione dal primo febbraio. Ma fino a 1.500 euro anche per chi, in questa fascia d'età, non esibirà il green pass rafforzato al lavoro (ottenibile anche con la guarigione) dal 15 febbraio. E multe raddoppiate in caso di reiterata violazione. Una sanzione, quella solo per l'obbligo, che però innesca un ginepraio di polemiche. Che apre anche qualche interrogativo sulla privacy che dovrà essere risolto dal Garante. Perché a predisporre la multa sarà l'Agenzia delle entrate e Riscossione. Che ha tutti i dati fiscali (ed anagrafici) del contribuente.

Ma non quelli sanitari. Li estrapolerà dall'Anagrafe vaccinale, contenitore alimentato dalle regioni e gestito dal ministero della Salute, e li incrocerà con i suoi. La sanzione dovrebbe essere contenuta nel cassetto fiscale del contribuente. Sollecitato tramite Pec o raccomandata a dover effettuare il pagamento entro una scadenza determinata. È prevedibile però, in caso di avvisi bonari, una pioggia di ricorsi. Oppure un atteggiamento attendista per chi riterrà di far correre gli interessi presupponendo un decreto «rottamazione» saldo e stralcio sempre possibile.

L'entità dell'importo poi scontenta molti. Palazzo Chigi ha diramato una nota in cui sottolinea che la sanzione di 100 euro «non è l'unica prevista» se consideriamo la multa destinata a chi è privo di super green pass oltre alle ammende fino a 1.000 euro per chi non ha il Certificato verde necessario per una serie di servizi. Una buona parte del mondo scientifico però la ritiene troppo esigua. 

«Una sanzione inadeguata», dice Walter Ricciardi, consulente del ministro della Salute Roberto Speranza. La boccia il virologo Roberto Burioni, che la definisce «una grottesca buffonata, più o meno due divieti di sosta». Tesi condivisa da Filippo Anelli, presidente degli Ordini dei medici: «Se dobbiamo attenderci una risposta in ragione di questa sanzione, credo che non andiamo da nessuna parte».

Dura Renata Colombi, capo del Pronto soccorso dell'ospedale Giovanni XXIII di Bergamo, la struttura in trincea contro il virus dal primo giorno dell'epidemia: «Questa multa mi fa ridere. Qui ci sono tantissimi no vax in rianimazione». Il sovraccarico sul sistema ospedaliero, ormai diventato realtà, trova un simbolo inatteso in Martina Benedetti, l'infermiera che nel marzo 2020 pubblicò su Instagram l'immagine del suo volto segnato dalla mascherina dopo ore di lavoro: «100 euro, il prezzo della nostra salute. Per l'ennesima volta saremo noi a pulire il fango derivante dall'assenza di decisioni forti», scrive su Facebook.

Obbligo vaccinale per gli over 50: il nuovo decreto Covid. Tutte le misure. Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini su Il Corriere della Sera il 6 Gennaio 2022. Il nuovo decreto Covid del governo: per chi scatta l’obbligo di vaccino, dove serve il green pass, le multe per chi non rispetta le norme. L’obiettivo del nuovo decreto per contenere la corsa del Covid e di Omicron è «rallentare» la crescita dei contagi e proteggere le categorie più esposte, che per gli scienziati hanno un rischio maggiore di sviluppare malattia grave e finire in ospedale. Il provvedimento introduce fino al 15 giugno l’obbligo vaccinale per tutti gli italiani — e gli stranieri residenti in Italia — che hanno compiuto i 50 anni. Chi ha un lavoro, a partire dal 15 febbraio dovrà mostrare il green pass rafforzato. L’obbligo scatta anche per il personale universitario, indipendentemente dall’età.

Obbligo vaccinale: per chi, e quando scatta

È previsto l’obbligo vaccinale per tutti i cittadini, anche per gli stranieri che sono residenti in Italia, che hanno dai 50 anni in su. Palazzo Chigi ha chiarito che l’obbligo decorre subito e se non ci si vaccina entro il 1° febbraio scatta la sanzione. I lavoratori con un’età superiore ai 50 anni sono tenuti a immunizzarsi e devono avere il green pass rafforzato — che viene rilasciato sia ai vaccinati sia ai guariti — dal 15 febbraio. La data è stata stabilita partendo dal presupposto che devono trascorrere 15 giorni dal momento in cui è stata somministrata la prima dose. Il governo ha introdotto l’obbligo vaccinale per il personale universitario, una misura che si aggiunge a quella che era già stata prevista ed è già in vigore per il personale scolastico, per gli operatori sanitari, per gli uomini delle forze dell’ordine e per i lavoratori esterni che entrano nelle residenze per anziani.

Per quali negozi diventa obbligatorio il green pass?

L’obbligo di avere il green pass base (che si può ottenere con la prima dose, con un tampone antigenico valido 48 ore o con un tampone molecolare valido 72 ore) già in vigore per tutti i lavoratori, viene esteso anche ai clienti dei seguenti esercizi: 

Dal 20 gennaio per accedere in tutti i negozi che svolgono servizi alla persona:

- parrucchieri

- barbieri

- estetisti.

Dal 1° febbraio:

- pubblici uffici

- servizi postali, bancari e finanziari

- attività commerciali, fatte salve eccezioni che saranno individuate con atto secondario per assicurare il soddisfacimento di esigenze essenziali e primarie della persona.

Saranno esclusi gli alimentari e le farmacie.

Quali multe prende chi non ha il pass o non si vaccina?

Chi ha più di 50 anni e viene sorpreso senza green pass rafforzato rischia 100 euro di multa. I lavoratori che non hanno il green pass base oppure rafforzato hanno cinque giorni di assenza giustificata e dopo scatta la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio. Chi viene sorpreso al lavoro senza green pass rischia una multa da 600 a 1.500 euro. Stessa sanzione anche per i lavoratori con più di 50 anni. Chi deve controllare i dipendenti e non ottempera a questa funzione rischia una multa da 400 a 1.000 euro. La stessa sanzione scatta anche per i clienti di esercizi commerciali, bar e ristoranti, ma anche di luoghi dello spettacolo sorpresi senza green pass. Per i locali pubblici che non controllano la certificazione rafforzata dopo tre sanzioni può scattare anche la chiusura fino a dieci giorni.

La terza dose per i 12-15enni

Dopo il via libera dell’Aifa, l’Agenzia del farmaco, partono le prenotazioni per la terza dose ai ragazzi tra i 12 e i 15 anni. Saranno le Regioni a dover programmare la somministrazione che è già prevista per la fascia d’età 16-17 anni. Dovrebbe essere possibile accedere al sito a partire dal 10 gennaio. Sarà somministrato il vaccino Pfizer-BioNTech. Nel verbale approvato ieri in via d’urgenza su richiesta del ministero della Salute è scritto: «Per quanto riguarda l’intervallo tra il ciclo vaccinale primario e la somministrazione della dose booster, in assenza di dati specifici per questa fascia di età, il Cts ritiene ragionevole mantenere gli stessi criteri adottati negli adulti. Come in ogni altro caso, i dati di efficacia e sicurezza relativi a quest’ulteriore ampliamento saranno oggetto di costante monitoraggio».

Le nuove modalità per riavere il green pass quando si guarisce

Da oggi scatta lo sblocco automatico del green pass per i guariti dal Covid. L’esito del tampone negativo sarà inserito dalla struttura o dalla farmacia sulla piattaforma e non servirà più il certificato del medico . Ecco le regole per la quarantena dei positivi:

- Per asintomatici da 3 giorni, con tre dosi o due dosi da meno di 120 giorni, l’isolamento è di 7 giorni. Si esce con test antigenico o molecolare.

- Per i sintomatici l’isolamento è 10 giorni. Si esce con test antigenico o molecolare.

I contatti stretti di un positivo non fanno la quarantena se hanno due o tre dosi da meno di 120 giorni, ma devono indossare la FfP2 per 10 giorni. Da più di 120 giorni devono stare in quarantena 5 giorni e uscire con tampone negativo. I non vaccinati fanno 10 giorni e si esce con test antigenico o molecolare.

Aerei, piscine e hotel: le regole fino al 31 marzo

Dal 10 gennaio 2022 fino alla cessazione dello stato di emergenza che è stato fissato al 31 marzo, si amplia l’uso del green pass rafforzato alle seguenti attività:

- alberghi e strutture ricettive;

- feste conseguenti alle cerimonie civili o religiose;

- sagre e fiere;

- centri congressi;

- servizi di ristorazione all’aperto;

- impianti di risalita con finalità turistico-commerciale anche se ubicati in comprensori sciistici;

- palestre, piscine, centri natatori, sport di squadra e i centri benessere ora anche all’aperto;

- centri culturali, centri sociali e ricreativi per le attività all’aperto;

- Aerei, treni e navi;

- Trasporto pubblico locale.

Green pass, obbligo vaccinale, mascherine: regole e divieti fino al 15 giugno. Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini su Il Corriere della Sera il 6 gennaio 2022.

Le misure già in vigore e quelle che scattano da oggi per sport, negozi, lavoro, ristoranti. 

Ci sono scadenze diverse per l’entrata in vigore delle misure varate dal governo con i decreti approvati a dicembre e gennaio. Nuove regole che per gli obblighi vaccinali tengono conto dell’intervallo necessario tra prima e seconda dose. Una sequela di date a partire da oggi, quando il provvedimento discusso e varato il 5 gennaio sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Norme già in vigore

 1. Obbligo di mascherina all’aperto in tutta Italia. 

2. Obbligo di indossare la mascherina FfP2 sui mezzi di trasporto a lunga percorrenza e sul trasporto pubblico locale. 

3. Green pass base (rilasciato con un tampone antigenico valido 48 ore oppure molecolare valido 72 ore) per tutti i lavoratori del settore pubblico e privato. 

4. Obbligo vaccinale per personale sanitario, scolastico, forze dell’ordine e lavoratori esterni delle Rsa. 

5. Green pass rafforzato per:

- bar e ristoranti al chiuso anche per consumare al bancone

- luoghi dello spettacolo

- palestre e piscine al chiuso. 

6. Le feste sono vietate fino al 31 gennaio 2022. 

7. La capienza massima degli stadi all’aperto è al 50% dei posti disponibili, al chiuso scende al 35%. 

8. Green pass sbloccato automaticamente per i guariti dal Covid. 

9. I positivi asintomatici da 3 giorni, con tre dosi o due dosi da meno di 120 giorni, devono stare in isolamento per 7 giorni e uscire con il test antigenico o molecolare.

Per i positivi asintomatici l’isolamento è 10 giorni e uscire con test antigenico o molecolare. 

10. I contatti stretti di un positivo non fanno la quarantena se hanno due o tre dosi da meno di 120 giorni, ma devono indossare la FfP2 per 10 giorni. Da più di 120 giorni devono stare in quarantena 5 giorni e uscire con tampone negativo. I non vaccinati fanno 10 giorni e si esce con test antigenico o molecolare. 

11. Se la regione di residenza va in zona arancione chi non ha il green pass rafforzato ha le seguenti restrizioni: 

- non può uscire dal proprio comune di residenza se non per motivi di «lavoro, necessità, salute o per servizi non sospesi ma non disponibili nel proprio comune»;

- non può accedere agli impianti di risalita delle piste da sci;

- non può accedere ai centri commerciali nei giorni festivi e prefestivi;

- non può partecipare ai corsi di formazione in presenza;

- non può praticare gli sport di contatto.

8 gennaio 2022 

1. Scatta l’obbligo vaccinale per tutti coloro che hanno compiuto i 50 anni. Se non ci si vaccina entro il 1 febbraio scatta la sanzione di 100 euro. 

2. L’obbligo vaccinale è esteso al personale universitario equiparato a quello scolastico.

10 gennaio 2022 

1. Fino alla cessazione dello stato di emergenza fissato al 31 marzo è obbligatorio il green pass rafforzato per: 

- alberghi e strutture ricettive

- feste conseguenti alle cerimonie civili o religiose

- sagre e fiere

- centri congressi

- servizi di ristorazione all’aperto

- impianti di risalita con finalità turistico-commerciale anche se ubicati in comprensori sciistici

- palestre, piscine, centri natatori, sport di squadra e i centri benessere anche all’aperto

- centri culturali, centri sociali e ricreativi per le attività all’aperto

- Aerei, treni e navi

- Trasporto pubblico locale 

2. Si aprono le prenotazioni per i ragazzi tra i 12 e i 15 per la somministrazione della terza dose di vaccino.

20 gennaio 2022

Scatta l’obbligo di green pass base per i clienti di parrucchieri, barbieri, centri estetici

1 febbraio 2022 

1. I lavoratori pubblici e privati con 50 anni di età dovranno fare almeno la prima dose perché dal 15 febbraio 2022 sarà obbligatorio il green pass rafforzato per l’accesso ai luoghi di lavoro fino al 15 giugno 2022. 

2. Il green pass base (rilasciato con tampone antigenico valido 48 ore oppure molecolare valido 72 ore) è esteso ai clienti di: 

- pubblici uffici, servizi postali, bancari e finanziari

- attività commerciali, ma saranno esclusi i negozi che vendono alimentari, le farmacie e quelli che «soddisfano le esigenze essenziali e primarie della persona».

31 marzo 2022 

Fine dello stato di emergenza.

Monica Guerzoni per corriere.it il 7 gennaio 2022. Il nuovo decreto che introduce l’obbligo vaccinale per i cittadini over 50 prevede sanzioni per chi non lo rispetta e conferma le altre sanzioni già previste dai precedenti provvedimenti.

Obbligo over 50

100 euro: è la sanzione che rischia chi non rispetta l’obbligo. Se non ci si vaccina entro il 1 febbraio scatta la sanzione. È possibile che vengano effettuati controlli attraverso i medici di base e verifiche sull’anagrafe vaccinale. 

Lavoratori

Tutti i lavoratori devono avere il green pass base (rilascia chi ha tampone antigenico valido 48 ore oppure molecolare valido 72 ore). L’obbligo vaccinale è previsto per personale sanitario, personale scolastico, personale universitario, forze dell’ordine, lavoratori dei servizi esterni delle Rsa.

L’obbligo vaccinale è previsto per tutti i lavoratori pubblici e privati di tutte le categorie che hanno più di 50 anni. Per tutti coloro che non rispettano la normativa dopo cinque giorni di assenza scatta la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio ma non sono previste conseguenze disciplinari. Chi viene trovato senza green pass rischia la multa da 600 euro a 1500 euro. 

Controllori

All’interno delle aziende pubbliche e private chi non fa rispettare l’obbligo di green pass rischia la multa da 400 a 1000 euro. 

Uffici, negozi, trasporti

I cittadini che non esibiscono il green pass base o rafforzato e i negozianti che non lo richiedono rischiano la multa da 400 a 1000 euro. 

Ristoranti e locali pubblici

I clienti che non esibiscono il green pass base o rafforzato rischiano la multa da 400 a 1000 euro. I gestori dei locali pubblici che non chiedono il green pass dopo tre sanzioni in tre giorni diversi rischiano la chiusura del locale per dieci giorni.

 Gianna Fregonara per corriere.it il 6 gennaio 2022.  

Asili nido e scuole dell’infanzia

Nel decreto approvato nel consiglio dei ministri non cambiano le norme che garantiscono la sicurezza per i bambini più piccoli che frequentano gli asili nido e le scuole dell’infanzia. La gestione dei contagi resta rigorosa, come già previsto dal protocollo di novembre: in presenza di un caso positivo nella sezione o nel gruppo classe, l’attività viene interrotta per dieci giorni. Tutti a casa perché i bambini non sono vaccinati e, a scuola, non devono portare né mascherina né altri dispositivi di protezione che potrebbero fare da barriera alla diffusione del virus. Per garantire la sicurezza dei loro insegnanti, sono previste mascherine Ffp2 per tutto il personale che è a contatto con i bambini più piccoli: da lunedì le distribuirà alle strutture scolastiche direttamente il servizio del commissario Figliuolo.

Scuola primaria

Per quanto riguarda gli alunni delle scuole primarie nel caso di un positivo in classe si applica la sorveglianza con un test antigenico rapido o molecolare da svolgere subito e da ripetere dopo 5 giorni, secondo la tempistica già prevista attualmente dal protocollo di novembre. In presenza di due casi o più la classe va in Dad per dieci giorni. Si è deciso di non intervenire alleggerendo il protocollo nelle scuole elementari - anche se si prevede la possibilità di test rapido e non solo molecolare - perché la percentuale di vaccinati è ancora troppo bassa. Iniziate a metà dicembre, le somministrazioni dai 5 agli 11 anni, hanno interessato per ora intorno al 10 per cento dei bambini, una quota troppo bassa che rende questa parte della popolazione ancora particolarmente vulnerabile dal contagio del Covid nella sua variante Omicron. 

Scuole medie e superiori

Per gli studenti di medie e superiori si alleggerisce il protocollo. Con circa l’80 per cento di vaccinati in questa fascia, la quarantena e la Dad sono previste al secondo caso di positività per i compagni non vaccinati o i vaccinati e i guariti da più di 120 giorni, mentre per gli altri (compreso chi ha ricevuto il booster) la Dad per dieci giorni scatta soltanto al terzo caso di positività in classe, quando cioè si è in presenza in quello che si considera un focolaio. Con un caso la classe è in autosorveglianza, con obbligo di mascherina Ffp2. Fino al 28 febbraio gli studenti di medie e superiori potranno fare il test di tracciamento gratuitamente presso le farmacie presentando la ricetta del medico di base (o del pediatra), senza appesantire le Asl. Per questo il governo ha stanziato 92 milioni di euro che serviranno a finanziare il tracciamento con i test.

Alberto Zangrillo sull'obbligo vaccinale fa i nomi: "Perdono tutti tranne loro", chi ci guadagna. Libero Quotidiano il 06 gennaio 2022.

“Quando una misura di profilassi, supportata da solide evidenze scientifiche, viene prescritta dalla politica, perdono tutti tranne i conduttori di talk show e i figuranti della sanità televisiva”. Alberto Zangrillo è intervenuto così sui social dopo che il governo presieduto da Mario Draghi ha votato all’unanimità l’introduzione dell’obbligo vaccinale per tutti gli over 50 residenti in Italia.

Tale provvedimento è considerato una sconfitta dal primario dell’unità operativa di anestesia e rianimazione generale del San Raffaele di Milano. Secondo il professore si doveva continuare a seguire il programma di vaccinazione, in un Paese che tra l’altro ha una delle coperture vaccinali più estese d’Europa, senza introdurre un obbligo che sarà in vigore fino a 15 giugno 2022. Se siamo arrivati a questo punto, interpretando il messaggio di Zangrillo si può pensare che la colpa sia anche dei media e di quelli che lui chiama “i figuranti della sanità televisiva” e quindi i vari Matteo Bassetti, Massimo Galli e via discorrendo.

Soltanto qualche giorno fa Zangrillo aveva rilasciato un’intervista a Pietro Senaldi, condirettore di Libero: “Il picco? Non posso saperlo e non mi interessa, i contagi reali sono da sempre smisuratamente superiori a quanto quotidianamente riferito. Chi vive in ospedale non guarda ai contagi ma la numero di ricoverati. Suggerisco di tornare a ragionare con lucido senso di responsabilità, seguire il programma di vaccino profilassi e stare a casa se non si sta bene”.

Dagospia il 6 gennaio 2022. Vittorio Sgarbi critica duramente le nuove restrizioni introdotte dal Governo sul «Green Pass». «Non si capisce – attacca il deputato alla Camera - quale perversione induca il Governo italiano a scelte illiberali, che nulla hanno a che fare con l’evidenza scientifica, per imporre non l’obbligo vaccinale (che, seppur discutibile, senza la comprovata certezza della sua efficacia, potrebbe corrispondere a un tentativo di contenere la diffusione del virus) ma il “super green pass” invece del semplice tampone nei luoghi di lavoro. La cosa piace a Brunetta e ad alcuni altri ministri, ma appare davvero incomprensibile. Il calcolo delle probabilità avvantaggia i vaccinati, ma l’ossessione dei contagi non corrisponde a un pericolo reale procurato dai “no vax”. Come è evidente anche a un cretino, e basta la logica per comprenderlo, i “no vax” sono un rischio per se stessi, non per i vaccinati. Bisogna proteggere loro, non noi. E li proteggi identificandoli, non costringendoli a esibire certificati falsificabili. Il Governo, non avendo soluzioni certe, ne inventa di inutilmente severe che non sono a vantaggio di nessuno, e ,in una società in cui il vaccino  non è obbligatorio, determinano inutili discriminazioni da Stato totalitario. Fanno pena. E anche schifo»

Grazia Longo per "la Stampa" il 7 gennaio 2022. Tra gli over 50 non potranno esserci i "furbetti del vaccino". Il decreto, infatti, prevede, per tutti coloro (lavoratori e non) che non saranno in regola con l'obbligo vaccinale a partire dal primo febbraio 2022, una sanzione di 100 euro una tantum. 

E non si potrà sfuggire dai controlli perché la sanzione sarà irrogata dall'Agenzia delle entrate, attraverso l'incrocio dei dati della popolazione residente con quelli risultanti nelle anagrafi vaccinali regionali o provinciali.

 Per i lavoratori pubblici e privati e i liberi professionisti non vaccinati, soggetti all'obbligo di possedere un Green Pass rafforzato dal 15 febbraio 2022, è inoltre prevista una sanzione da 600 a 1.500 euro nel caso di accesso ai luoghi di lavoro in violazione dell'obbligo. 

Come già avviene per i lavoratori sprovvisti di Green Pass, anche i lavoratori ultra-cinquantenni che dal 15 febbraio 2022 saranno sprovvisti di Green Pass rafforzato al momento dell'accesso al luogo di lavoro saranno considerati assenti ingiustificati, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro ma senza diritto alla retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati.

Per le persone che accedono senza Green Pass ai servizi e alle attività in cui è obbligatorio averlo, invece, è prevista una sanzione da 400 a 1.000 euro. La stessa sanzione si applica al soggetto tenuto a controllare il possesso del Green Pass se omette il controllo. Per le attività come parrucchieri, barbieri o estetisti, la richiesta del Green Pass base entrerà in vigore dal 20 gennaio. Novità anche per lo smart working: i ministri Brunetta e Orlando hanno firmato una circolare per invitare le aziende pubbliche e private a utilizzare tutti gli strumenti a disposizione.

Obbligo vaccino per over 50, servizi e negozi: cambia tutto. Alessandro Ferro il 5 Gennaio 2022 su Il Giornale. Obbligo vaccinale over 50 fino al 15 giugno: è quanto stato deciso e approvato in Consiglio dei ministri. Super green pass per i lavoratori, per servizi e negozi basterà il green pass base. Come era stato paventato in cabina di regia, obbligo di vaccino per gli over 50 disoccupati, per chi ha un lavoro è necessario il super green pass: le nuove misure saranno in vigore fino al 15 giugno 2022: è quanto è stato deciso e approvato all'unanimità in Consiglio dei ministri, durato due ore e trenta minuti.

"Vogliamo frenare la crescita della curva dei contagi e spingere gli italiani che ancora non si sono vaccinati a farlo", ha affermato Mario Draghi nella sua introduzione al Cdm sulle nuove misure di contenimento del Covid. "I provvedimenti di oggi vogliono preservare il buon funzionamento delle strutture ospedaliere e, allo stesso tempo, mantenere aperte le scuole e le attività economiche", sottolineando che gli interventi presti vanno a favore delle "classi di età che sono più a rischio di ospedalizzazione per ridurre la pressione sugli ospedali e salvare vite".

Cosa dice la bozza del Dl

Per tutelare la salute pubblica e "mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza, l'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2, di cui all'articolo 3-ter, si applica ai cittobbliadini italiani e di altri Stati membri dell'Unione europea residenti nel territorio dello Stato, nonché ai cittadini stranieri, che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età", si legge nella bozza del Decreto legge discussa e approvata durante il Cdm. Non saranno obbligati alla vaccinazione quelle persone che hanno "specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale o dal medico vaccinatore, nel rispetto delle circolari del Ministero della salute in materia di esenzione dalla vaccinazione anti SARS-CoV-2".

Durata e super green pass

Nei casi sopra descritti, la vaccinazione può essere omessa o spostata così come per l'avvenuta immunizzazione a seguito di malattia naturale. L'obbligo vaccinale è valido fino al 15 giugno 2022. Per quanto riguarda il super green pass, ai lavoratori over 50 sarà richiesto "a decorrere dal 15 febbraio 2022". I lavoratori over 50 che violeranno le regole sul super green pass avranno una sanzione amministrativa compresa tra 600 e 1.500 euro "e restano ferme le conseguenze disciplinari secondo i rispettivi ordinamenti di settore", si legge nella bozza del nuovo decreto legge sulle misure anti-Covid. I lavoratori over 50 senza super green pass "sono considerati assenti ingiustificati, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro, fino alla presentazione delle predette certificazioni, e comunque non oltre il 15 giugno 2022". Per quanto riguarda i giorni di assenza ingiustificata, "non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati".

Dietrofront su servizi e negozi

Per l'accesso ai servizi alla persona, ai negozi, alle banche e gli uffici pubblici basterà il Green pass base, quello che si ottiene anche con il tampone, oltre che per vaccino o guarigione. È il compromesso che è stato raggiunto in Consiglio dei ministri dopo l'opposizione della Lega all'introduzione del Super Green pass riservato solo a vaccinati o guariti. L'originaria bozza del decreto prevedeva l'accesso a questi servizi soltanto con il Super pass ma il partito di Matteo Salvini aveva fatto sapere che se la misura non fosse stata attenuata, sarebbe scattato il voto negativo in Consiglio dei ministri.

Cosa succede alla scuola

Se in classe ci saranno almeno due casi di positività, si applicherà "la didattica digitale integrata per la durata di dieci giorni". Inoltre, se invece il positivo fosse uno, "si applica alla medesima classe la sorveglianza con test antigenico rapido o molecolare da svolgersi al momento di presa di conoscenza del caso di positività e da ripetersi dopo cinque giorni". Invece, con tre casi di positività in classe, chi non avrà concluso il ciclo vaccinale primario da meno di centoventi giorni, che non siano guariti da meno di centoventi giorni e ai quali non sia stata somministrata la dose di richiamo, "si applica la didattica digitale integrata per la durata di dieci giorni". Tutti quelli che invece daranno dimostrazione di aver effettuato il ciclo vaccinale o essere, si applicherà l'autosorveglianza con l'utilizzo di mascherine Ffp2.

"Positiva la mediazione raggiunta in Cdm. Ha prevalso il buon senso, scegliendo di dare un'altra spinta alla campagna vaccinale. Ora abbiamo alcune armi in più contro la variante Omicron, per tutelare salute ed economia. Grazie alle misure varate oggi, eviteremo altre chiusure". È quanto ha scritto sui social il sottosegretario all'Interno, Carlo Sibilia, dopo la fine del Cdm.

Alessandro Ferro. Catanese classe '82, vivo tra Catania e Roma dove esercito la mia professione di giornalista dal 2012. Tifoso del Milan dalla nascita, la mia più grande passione è la meteorologia. Rimarranno indimenticabili gli anni in cui fui autore televisivo dell’unico canale italiano mai dedicato, Skymeteo24. Scrivo per ilGiornale.it dal mese di novembre del 2019 occupandomi soprattutto di cronaca, economia e numerosi approfondimenti riguardanti il Covid (purtroppo). Amo fare sport, organizzare eventi e stare in compagnia delle persone più care. Avviso ai naviganti: l’arancino è sempre maschio, diffidate da chi sostiene il contrario.

Nuove regole quarantena per positivi e contatti stretti: la guida. Alessandro Vinci su Il Corriere della Sera il 4 Gennaio 2022. Quanto dura l’isolamento per chi ha contratto il Covid? Come riottenere il green pass dopo la guarigione? In quali casi si applica l’auto-sorveglianza? Le risposte a questi e ad altri quesiti dopo le ultime decisioni del governo 

Con il nuovo decreto in vigore dal 31 dicembre il governo ha ridefinito le regole dell’isolamento per i positivi al Covid e della quarantena per i loro contatti stretti. 

Dopodiché, a fronte delle difficoltà riscontrate nell’inserimento dei dati nella piattaforma nazionale che registra i dati relativi ai vaccini e ai tamponi, ha anche deciso di semplificare la procedura da seguire per ottenere la riattivazione del green pass. Di seguito il punto della situazione. 

Cos’è la quarantena, e cos’è l’isolamento

Come spiegato dal governo qui, i termini quarantena e isolamento - spesso usati, impropriamente, come sinonimi - indicano in realtà due misure diverse, pur se entrambe messe in atto per evitare l’insorgenza di ulteriori casi legati a contagio da Sars-CoV-2. 

Cos’è la quarantena? È una misura che si attua ad una persona sana — un «contatto stretto», quindi, di una persona positiva al coronavirus. L’obiettivo della quarantena è quello di monitorare i sintomi e identificare subito nuovi casi. 

Cos’è l’isolamento? È una misura che si attua a una persona affetta da Covid, che viene separata da quelle sane per impedire la diffusione dell’infezione «durante il periodo di trasmissibilità». 

C’è poi un’ulteriore misura importante, quella della «sorveglianza attiva»: si tratta di una misura durante la quale un operatore di sanità pubblica contatta ogni giorno la persona in sorveglianza per avere notizie sulle sue condizioni di salute.

Che cosa succede a chi è positivo?

Per chi è positivo al coronavirus ed è sintomatico, l’isolamento dura minimo 10 giorni dalla comparsa dei sintomi, al termine dei quali è necessario effettuare un test antigenico o molecolare dopo almeno tre giorni senza sintomi (non considerando le alterazioni dell’olfatto e del gusto). In caso di esito negativo, si può tornare alla vita di tutti i giorni. 

Per chi è positivo ma è sempre stato asintomatico, i casi sono due: 

Per chi non ha ricevuto la terza dose o completato il ciclo vaccinale primario (due dosi) da 120 giorni o meno valgono gli stessi 10 giorni di isolamento previsti per i sintomatici (sempre con test antigenico o molecolare negativo «in uscita»), ma a partire dalla data in cui ci si è sottoposti al tampone con esito positivo.

Per chi ha ricevuto la terza dose o completato il ciclo vaccinale primario (due dosi) da 120 giorni o meno la durata dell’isolamento è stata portata da 10 a 7 giorni dal tampone positivo (anche in questo caso con obbligo di effettuare un test antigenico o molecolare negativo finale). 

In tutti i casi se il tampone finale continua a risultare positivo si può comunque uscire dall’isolamento dopo 21 giorni, ma solo a patto che nell’ultima settimana non si siano verificati sintomi.

Cosa succede per i contatti stretti di un positivo?

Per i contatti stretti di un positivo che hanno ricevuto la terza dose, completato il ciclo vaccinale primario da 120 giorni o meno o che sono guariti dal Covid da 120 giorni o meno non è prevista la quarantena. 

A tali categorie, come riportano le Faq ufficiali, «si applica una auto-sorveglianza, con obbligo di indossare le mascherine Ffp2 fino al decimo giorno successivo all’ultima esposizione al soggetto positivo al Covid-19 (quindi l’undicesimo giorno dall’ultimo contatto)». In altri termini, chi fosse entrato in contatto con un positivo può uscire di casa, ma a patto di indossare una Ffp2 (e chiaramente di sottoporsi a un tampone di tipo antigenico o molecolare all’eventuale comparsa dei primi sintomi). 

Ai contatti stretti che abbiano completato il ciclo vaccinale primario da più di 120 giorni o che siano comunque in possesso di un green pass rafforzato valido (per esempio ottenuto tramite guarigione) «si applica una quarantena con una durata di 5 giorni con obbligo di un test molecolare o antigenico negativo al quinto giorno». 

Per quanto riguarda invece chi non è vaccinato, non ha completato il ciclo vaccinale primario o lo ha completato da meno di 14 giorni, a prescindere dal possesso del green pass rafforzato (che si ottiene già a partire dal 15esimo giorno successivo alla prima dose) «continua a vigere la quarantena di 10 giorni dall’ultima esposizione, con obbligo di un test molecolare o antigenico negativo al decimo giorno».

Come si riottiene il green pass quando si torna negativi?

Come accennato, le modalità di riattivazione della certificazione verde a seguito della positività verranno snellite. 

Ad oggi è necessario che il medico di base, una volta emesso il certificato di guarigione, provveda manualmente allo sblocco sulla piattaforma nazionale. 

A breve sarà però sufficiente l’esito negativo di un test molecolare o antigenico. Si tratta, nello specifico, del principio del «doppio automatismo»: visto che il tampone positivo sospende green pass, il tampone negativo lo deve riattivare. 

I tecnici stanno modificando gli algoritmi in modo che sulla piattaforma nazionale e sulla app Io il cambio di condizione del cittadino venga registrato in tempo reale, prevenendo così spiacevoli ritardi nel (nuovo) rilascio del documento.

·        Chi sono i No Vax?

"Più morti senza vaccini? Non c'è la controprova". Ed è bufera sul governo. Il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato in tv: "Italia prima per decessi". La sinistra: "Si dimetta". Patricia Tagliaferri il 16 Novembre 2022 su Il Giornale.

Non è la prima volta che prende di mira i vaccini, ma ieri le sue parole hanno scatenato un putiferio con la condanna di gran parte della politica e della comunità scientifica. «Non c'è la prova che senza vaccini il Covid sarebbe andato peggio», dice in Tv il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, scatenando una polemica che tiene banco tutto il pomeriggio e culmina con una richiesta di dimissioni da parte dell'opposizione per l'esponente di Fratelli d'Italia, da sempre critico nei confronti delle decisioni «politiche e non scientifiche» del governo precedente.

La miccia esplode lunedì sera a ReStart, su Rai 2, quando parlando della pandemia il sottosegretario fa notare che «l'Italia è stata prima per mortalità e terza per letalità». «Quindi questi grandi risultati non li vedo raggiunti», puntualizza. Quando il vicedirettore del Corriere della Sera, Aldo Cazzullo, gli fa notare che «senza sarebbe stato magari peggio», Gemmato rimanda l'osservazione al mittente: «Questo lo dice lei, non abbiamo l'onere della prova inversa. Ma io non cado nella trappola di schierarmi a favore o contro i vaccini». Parole comunque pesanti, che rimbalzano al G20 di Bali, dove nelle stesse ore la premier Giorgia Meloni riconosce che è anche grazie ai vaccini che «la vita è tornata progressivamente alla normalità», sottolineando però l'esigenza di «non cedere mai alla facile tentazione di sacrificare la libertà dei cittadini in nome della tutela della loro salute».

Quando arriva la rettifica di Gemmato («I vaccini sono armi preziose, le mie parole sono state decontestualizzate»), il danno è fatto. «Un sottosegretario alla Salute che nega i vaccini non può rimanere in carica», twitta il segretario del Pd, Enrico Letta. Seguito da Matteo Orfini, che sollecita le dimissioni dell'esponente di FdI: «Un governo normale lo farebbe dimettere in cinque secondi per manifesta ignoranza». «Un sottosegretario negazionista non può occuparsi di salute», rincara la dose la presidente dei senatori del Pd, Simona Malpezzi. Per il leader del Terzo Polo, Carlo Calenda, un sottosegretario alla Salute che «non prende le distanze dai non vax è decisamente nel posto sbagliato». «Il ministro Orazio Schillaci e il suo sottosegretario hanno idee opposte sull'utilità dei vaccini: uno dei due è di troppo», dichiara Osvaldo Napoli, della segreteria nazionale di Azione.

Fratelli d'Italia prova ad arginare le polemiche con una nota di Marco Osnato: «Gemmato non ha messo in dubbio l'efficacia scientifica dei vaccini, ma ha espresso la necessità di approfondire la gestione della pandemia. Evidentemente la reazione del Pd nasconde la paura di far scoprire episodi di imperizia». Per i deputati della maggioranza si tratta solo di una «strumentalizzazione»: «Polemica che non esiste», per il capogruppo di FdI al Senato, Lucio Malan; «Fake news pur di attaccare il governo Meloni», per Luciano Ciocchetti, vicepresidente FdI della commissione Affari sociali della Camera.

Le parole del sottosegretario fanno insorgere la comunità scientifica. A partire dai medici, che per bocca del presidente della Federazione nazionale degli Ordini, Filippo Anelli, ricordano come la campagna vaccinale in Italia abbia evitato 150mila morti. «Ma come si fa a dire che non c'è prova che i vaccini sono serviti a salvare la vita a milioni di persone? Basterebbe saper leggere la letteratura scientifica. Un bel tacer non fu mai scritto», twitta Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova. L'epidemiologo Pierluigi Lopalco parla di «record di disinformazione». Per Walter Ricciardi, professore di Igiene alla Cattolica ed ex consulente di Roberto Speranza, non ci sono dubbi che i vaccini abbiano salvato milioni di vite.

L’onere della prosa. «Questo lo dice lei» e altri lapsus grillini del governo Meloni, prima vittima dei suoi complottismi. Francesco Cundari su L’Inkiesta il 16 Novembre 2022

L’esecutivo appena insediato sembra letteralmente perseguitato dagli equivoci. L’impressione è che le manovre maggiormente sconsiderate siano nate più dall’imperizia che da un disegno preciso. Quanto tutto questo sia preoccupante o al contrario rassicurante è però difficile dire

Quello che ha detto in tv il sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato a proposito dei vaccini è gravissimo, tanto più perché a dirlo è un esponente del governo, ma come lo ha detto è illuminante. Soprattutto, verrebbe da osservare, è sintomatico.

Il sottosegretario, responsabile sanità di Fratelli d’Italia, era deciso a ripetere che il nostro paese ha avuto più morti di Covid di quasi tutti gli altri paesi del mondo (tesi più che fondata se riferita ai tempi del governo Conte, meno se riferita ai tempi del governo Draghi e del generale Figliuolo, sempre sia lodato, ma sono dettagli: il punto, ovviamente, è che lo ha detto Giorgia Meloni nel discorso di insediamento). Curiosamente, però, Gemmato è rimasto spiazzato dall’ovvia obiezione di Aldo Cazzullo secondo cui senza i vaccini le cose sarebbero andate ancora peggio. E ha replicato: «Questo lo dice lei».

L’implicita e certo involontaria citazione dell’ex viceministra all’Economia Laura Castelli, che così rispose in tv a un esterrefatto Pier Carlo Padoan intento a spiegarle alcune elementari nozioni di economia, è stata come un raggio di luce nel buio. Finalmente è apparsa chiara a tutti la profonda comunione non solo politica, ma anche culturale e psicologica, che lega i populisti italiani, ovunque si collochino.

Non bisogna lasciarsi ingannare dal fatto che Giuseppe Conte abbia attaccato il sottosegretario, come hanno fatto, giustamente, tutti i partiti di opposizione. I primi a introdurre la propaganda no vax nella politica italiana sono stati proprio i cinquestelle, da cui hanno copiato prima Lega e poi Fratelli d’Italia. Il fatto che gli uni o gli altri possano cambiare posizione nel modo più improvviso e radicale – sui vaccini, sull’euro, su Putin – fa parte del gioco, ed è anzi un’altra delle tante caratteristiche che li accomuna. Non è un caso se si esprimono allo stesso modo. Usano le stesse parole – il mainstream, la casta, l’élite – perché hanno le stesse idee.

Non meno significativo, al riguardo, è quel che Gemmato ha aggiunto subito dopo il castelliano «questo lo dice lei», e cioè: «Non abbiamo l’onere della prova inversa». Un’espressione che sembra rubata all’Avvocato del popolo.

Forse, immaginandosi sul banco degli imputati, il sottosegretario intendeva dire che non stava a lui dimostrarsi innocente (presumibilmente, della colpa di avere detto una fesseria). O forse, più verosimilmente, intendeva dire soltanto che non abbiamo la controprova, ma vuoi mettere dire «l’onere della prova inversa»? È da questi particolari che si riconosce lo stile populista. Uno stile che, contrariamente a un’opinione diffusa, trova il suo habitat naturale non tra gli ignoranti (il Movimento 5 stelle è sempre andato fortissimo tra i laureati) quanto, semmai, tra gli pseudo-colti (cioè, in molti casi, coloro dei quali si può dire che i libri su cui hanno studiato per laurearsi sono anche gli ultimi che hanno letto).

Un ignorante, invece di controprova, avrebbe detto magari che non abbiamo l’antiprova, il contrappasso o la contraerea, e sarebbe finita lì. Qui siamo di fronte a qualcosa di completamente diverso. Qui si tratta di qualcuno che dei libri li ha letti, o perlomeno deve averli sentiti nominare (personalmente, scommetterei sull’«Onere della prova» di Scott Turow) e vuole disperatamente farcelo sapere, come confermano al di là di ogni ragionevole dubbio le successive dichiarazioni sul fatto che «idee no vax non albergano nel nostro pensiero», che definirlo no vax sarebbe un «ossimoro scientifico» perché il vaccino lo ha fatto, essendo obbligato («sono un sanitario»), ma lo avrebbe fatto comunque perché «l’ho ritenuto giusto in quel momento storico». Argomento in sé inoppugnabile: in effetti anch’io, in un altro momento storico – che so: nel Medioevo – forse non l’avrei fatto.

Alle inevitabili polemiche, com’era prevedibile, Gemmato ha replicato che le sue parole sono state «decontestualizzate» e «oggetto di facili strumentalizzazioni». Cose capitano, è l’onere della prosa. Tra le altre cose aveva detto: «Io non cado nella trappola di schierarmi a favore o contro i vaccini». Trappola che in verità nessuno gli aveva teso, ma in cui ha avuto l’abilità di cadere lo stesso. L’idea che il resto del mondo sia continuamente impegnato nel tender loro trabocchetti come giustificazione di tutte le fesserie che dicono e fanno, com’è noto, è un’altra tipica caratteristica di tutti i populisti.

A conferma della tesi, è notevole il numero di trappole, qui pro quo e strumentalizzazioni in cui il governo Meloni, appena insediato, è già caduto. Si direbbe anzi che l’esecutivo sia letteralmente perseguitato dagli equivoci, e non solo in Italia. Il caso più clamoroso riguarda ovviamente la crisi diplomatica con la Francia, cioè il paese con cui Giorgia Meloni intendeva fare asse in Europa su delicatissime questioni come il tetto al prezzo del gas, la riforma del patto di stabilità e il Pnrr (e che per la cronaca era anche il paese che più ci era venuto incontro, fino a ieri, proprio sulla questione degli sbarchi e dei ricollocamenti). Un pasticcio culminato nella scena surreale di una presidente del Consiglio che in conferenza stampa giustifica la scelta di fare uscire un comunicato su una questione così delicata con il fatto che indiscrezioni di stampa riguardo alle scelte di un altro governo, dopo otto ore, non erano ancora state smentite. Come un redattore pigro che non abbia voglia di telefonare a un portavoce per verificare una notizia.

L’impressione è che le manovre maggiormente sconsiderate compiute finora dal governo siano nate più dall’imperizia che da un disegno preciso. Quanto tutto questo sia preoccupante o al contrario rassicurante è però difficile dire.

Gemmato: “Non sono No Vax e se serve faccio ammenda Ma sui dati ho le mie fonti”. Michele Bocci su La Repubblica il 16 Novembre 2022.

Parla il sottosegretario alla salute. "Volevo solo spostare il discorso su quello che non ha funzionato nella sanità durante la pandemia: non penso sia blasfemo"

Sottosegretario alla Salute Marcello Gemmato, pensa di avere esagerato?

"Allora, facciamo una ricognizione di quello che è successo. Mi trovavo a un dibattito televisivo, parlavo di carenze nell’assistenza sanitaria che hanno portato il nostro Paese a essere per una parte della pandemia primo come mortalità e terzo per morbilità…".

Non è vero. L’Italia è stata terza per mortalità

Gemmato, il farmacista scelto come sottosegretario alla Salute: «Sul Covid frase poco felice, lo ammetto. Se lo chiede Giorgia lascio». Fabrizio Roncone su Il Corriere della Sera il 16 Novembre 2022.

Il deputato barese: io mi sono vaccinato, non mi si accusi di essere No vax. Il mio era un artificio retorico, in ogni caso: chi sa quanti sarebbero stati i morti senza i vaccini?

Va bene: cerchiamo il cellulare di questo sottosegretario alla Salute, il farmacista barese Marcello Gemmato di Fratelli d’Italia — «Sempre stato di destra», raccontò orgoglioso al Giornale — generazione Atreju in purezza, 49 anni, un certo talento situazionista che poi scopriremo meglio e che — a Striscia la notizia sanno tutto — può riservare strepitose sorprese.

Intanto: metà mattina, con il web inondato dalle dichiarazioni della premier Giorgia Meloni rimbalzate da Bali, G20, dove ha detto, senza indugi: «Il Covid superato grazie ai vaccini». Ma nei siti il titolo della Meloni sta sotto, e lui, Gemmato, sopra: il nostro sottosegretario — come ha spiegato su Rai2 a ReStart, la trasmissione condotta da Annalisa Bruchi — non vuole infatti «cadere nella trappola di schierarsi a favore o contro i vaccini»; immagini televisive inequivocabili: Gemmato con l’aria di uno pieno d’efferate certezze, potenziale personaggione di questo governo.

Telefonargli. Parlarci ancora. Capire cosa sa sui vaccini che sfugge all’intera comunità scientifica mondiale. E comunque: si è già dimesso? Ha sentito la premier?

(Adesso però vediamo se questo numero di cellulare è buono: tre squilli, e una voce che risponde) .

Buongiorno, sottosegretario.

«No: io sono Ettore, un collaboratore».

Vorrei parlare con il sottosegretario.

«Su qualche argomento?».

Coraggio, Ettore.

«Il sottosegretario mi ha lasciato il telefono: è dovuto scendere dal ministro, c’è una faccenda ben più importante di quella a cui si riferisce lei. A proposito: ha visto la trasmissione? Che opinione ha? No, perché io penso che...».

Ettore, la prego.

«Va bene, va bene... Riferirò la sua chiamata».

(Mezz’ora dopo, da un altro numero di cellulare).

«Sono Ettore. Ho una buona notizia: tra poco la chiamerà il sottosegretario».

(Dieci minuti: ed ecco Gemmato. Modi estremamente cortesi, mai scontati quando si parla con un esponente di qualsiasi esecutivo) .

Ho letto il suo comunicato di precisazione: si è pentito.

«No, guardi: in tivù, o mi sono espresso male, o mi hanno frainteso. Io cercavo solo di sottolineare la totale inefficacia dell’azione dei precedenti governi durante la pandemia...».

Ha detto, parlando di lotta al Covid: «Questi grandi risultati non li vedo raggiunti». Aldo Cazzullo, che era in studio, le ha risposto che, senza i vaccini, magari sarebbe andata peggio. La sua replica, testuale, è stata: «Questo lo dice lei, non abbiamo l’onere della prova inversa».

«Eh... Era un artifizio retorico. Io volevo ancorare la discussione al comportamento solo ideologico tenuto dai precedenti governi nel corso dell’emergenza provocata dal Coronavirus. E poi, in ogni caso, mi scusi: lei lo sa quanti sarebbero stati i morti senza vaccini?».

La comunità scientifica del pianeta è certa che sarebbero stati molti, ma molti di più.

«Perfetto. Però io non volevo parlare di questo, in quel programma televisivo».

Giuro, non la seguo.

«Senta: capisco e ammetto di essere stato poco felice nella mia espressione».

Ha pure aggiunto: «Non cado nella trappola di schierarmi a favore o contro i vaccini».

«Ma io sono vaccinato! Prima Johnson & Johnson e poi Pfizer: non scherziamo, non mi accusi di essere No vax».

Ha parlato da No vax.

«E per trarne quale vantaggio?».

Per attirare consenso, forse.

«Mah. Le sembra che i risultati ottenuti da Paragone alle ultime elezioni suggeriscano simili strategie? Comunque: se volete crocefiggermi, fate pure».

Ha sentito Giorgia Meloni?

«No. Penso sia a Bali».

È sicuro che sta a Bali. E lì ha detto l’esatto contrario di quello che sostiene lei.

«Appunto».

E niente: fatico a seguirla. Ha intenzione di dimettersi?

«Solo se me lo chiede Giorgia».

(Qui la voce gli si è incrinata parecchio).

Del resto, non si augura al peggior nemico un chiarimento con la Meloni che, dopo aver parlato con il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e un incontro bilaterale con il presidente della Turchia, Erdogan, e poi tutto il resto che possiamo solo supporre, ad un certo punto deve mettersi al telefono per sapere cosa ti passi per la testa. Enrico Mentana, su Facebook, una mezza idea ce l’ha. E la scrive: «Non possiamo lasciare al ministero della Salute gente che straparla come davanti a un camparino al bar». Dall’archivio del Corriere spediscono materiale interessante: Gemmato si avvicina alla politica per tradizione familiare; padre «almirantiano» di ferro, il fratello Nicola che poi diventa pure sindaco di Terlizzi, e lui, Marcello, che fa tutta la classica trafila: Fuan e Azione universitaria, con tanto di blitz in mutande — esatto: in mutande — davanti all’ateneo di Bari, per denunciare a Striscia gli sprechi sulle spese telefoniche dei baroni.

Scommette su FdI, quando è ancora un partito al 4%. Dicendo: «Giorgia è coerente, umana, preparata, carismatica, leader vera: è brava, bravissima, prima ancora di essere donna» (tipo il ragionier Ugo Fantozzi con la contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare).

Basterà per ottenerne il perdono?

Caso Gemmato, i finti liberali a caccia dell’eretico vaccinale.  Claudio Romiti su Nicolaporro.it il 16 Novembre 2022.

Da osservatore laico e liberale, debbo riconoscere che esiste da sempre una forte tendenza alle strumentalizzazioni politiche in ogni partito ed in ogni schieramento.  Tuttavia, ciò che sta accadendo sul caso del sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, supera ogni limite della decenza, sconfinando in una vera e propria caccia all’eretico inscenata all’unisono dall’opposizione di sinistra. 

“Reo” di aver espresso alcuni legittimi dubbi sull’efficacia dei vaccini anti-Covid, dubbi che personalmente condivido da tempo, pur essendo in via generale favorevole a questo tipo di profilassi, i principali esponenti della stessa opposizione hanno chiesto la testa politica dell’ “eretico”. 

Questa il passaggio incriminato di Gemmato, espresso nel corso di un dibattito televisivo su Rai2: “Registro che per larga parte della pandemia l’Italia è stata prima per mortalità e terza per letalità, quindi questi grandi risultati non li vedo raggiunti – aggiungendo all’obiezione di Aldo Cazzullo, secondo cui senza vaccini le cose sarebbero andate peggio – Questo lo dice lei. Non abbiamo l’onere della prova. Ma io non cado nella trappola di schierarmi a favore o contro i vaccini.”

A quel punto si è scatenato un putiferio. Gli ayatollah del dogma sanitario, secondo cui rappresenta un peccato mortale solo l’espressione di un minimo dubbio in merito al dogma granitico che ci viene ancora propinato, hanno immediatamente scomunicato l’infedele sanitario. Ha iniziato Enrico Letta, segretario di Partito democratico che si ricorda di onorare i principi della nostra Costituzione, tra cui la libertà di espressione, solo il 25 aprile, scrivendo in un tweet :“Un sottosegretario alla Salute che nega i vaccini non può rimanere in carica.” Ha rincarato la dose, per così dire, il suo compagno di partito, Matteo Orfini, il quale ha sostenuto che “abbiamo anche un sottosegretario alla Salute che dice che non abbiamo prove che i vaccini funzionino. Un governo normale lo farebbe dimettere in 5 secondi per manifesta ignoranza.”

Dello stesso tono le durissime reazioni di Azione. Il suo leader Carlo Calenda, che si spaccia da sempre per un liberale e un moderato,  senza mezze misure ha sentenziato che “Gemmato si deve dimettere. Un sottosegretario alla Salute che non prende le distanze dai no vax è nel posto sbagliato.” Ancora più perentoria la presa di posizione di Mariastella Gelmini, molto presunta liberale e attuale portavoce di Azione: “ Le dichiarazioni del sottosegretario alla salute Marcello Gemmato sono gravi, visto il ruolo che ricopre. La campagna vaccinale e la straordinaria adesione degli italiani non sono tema su cui chi ricopre un ruolo così importante può affermare che non si schiera a favore o contro i vaccini. Anche perché i vaccini sono ancora necessari per le quarte dosi per anziani e fragili: il revisionismo del governo su questo tema è irrispettoso, inaccettabile e perfino pericoloso. “ Parole che fanno accapponare la pelle e ci fanno capire, se ce ne fosse ancora bisogno, cosa sarebbe accaduto se la sinistra avesse vinto le elezioni. 

Parole inaccettabili in una democrazia liberale che confermano appieno che attraverso una pandemia a relativa bassa letalità, che ha sempre colpito seriamente le persone assai fragili sul piano immunitario, si è strutturato una sorta di nefasto regime sanitario, basato sull’affermazione di un dogma che ha ben poco a che vedere con la scienza medica e molto con la religione. 

Pertanto, in questa visione estremamente totalitaria della stessa pandemia – i cui punti fermi sono stati di volta in volta modificati dagli stessi assertori del dogma, così come accade nel sinistro miniver (ministero della verità) di orwelliana memoria – chiunque esprima dubbi viene trattato alla stregua di una quinta colonna del virus demoniaco. Eppure, tornando a bomba, i numeri di quasi tre anni di follia virale sembrano confermare le perplessità di Gemmato e di tanti altri suoi concittadini che non si sono bevuti le pozioni tossiche dei citati ayatollah del terrore. 

A meno che il nostro virus sia differente in quanto a letalità,  l’Italia, pur avendo vaccinato come se non ci fosse un domani e imposto le restrizioni più dure e prolungate, presenta i dati peggiori nel mondo Occidentale.  Non sarà anche questo colpa degli infedeli sanitari? Claudio Romiti, 16 novembre 2022

La Toscana isola di nuovo i sanitari non vaccinati, senza alcuna ragione scientifica. Iris Paganessi su L'Indipendente l’11 novembre 2022.

Nonostante non esista alcun fondamento scientifico a sostegno della decisione, la Regione Toscana ha scelto di continuare a discriminare gli operatori sanitari non vaccinati contro il Covid-19, ora reintegrati per effetto delle scelte del Governo nazionale, tenendoli preventivamente lontani dai pazienti fragili. Ad affermarlo, una circolare inviata dalla direzione dell’assessorato alla sanità ai direttori generali delle aziende ed enti del servizio sanitario regionale, dopo il confronto dell’8 ottobre tra i servizi di prevenzione e protezione aziendali, i rappresentanti dei medici competenti e le direzioni sanitarie.

In particolare, la circolare sottolinea di evitare che i sanitari riammessi al lavoro siano collocati in reparti in cui vi siano pazienti prevalentemente affetti da patologie che riducano in maniera significativa le difese immunitarie (trapiantati di organo solido o di midollo, malattie oncoematologiche o malattie in trattamento immunosoppressivo).

Va ricordato, tuttavia, che di fatto non esiste alcun fondamento scientifico a sostegno della decisione presa dalla Regione Toscana. È stata la stessa Pfizer Inc., infatti, ad ammettere che non è mai stata studiata l’efficacia del vaccino nel bloccare i contagi. Inoltre, i dati scientifici pubblicati sino ad ora, non giustificano l’allontanamento dei sanitari non vaccinati dai pazienti fragili. Nessuna prova porta a pensare che una misura di questo tipo sia efficace a livello sanitario. Tutt’al più il funzionamento di tale decisione può risiedere nella volontà di suddividere i sanitari in due tipologie: la classe A, riservata ai vaccinati, e la classe B, quella di coloro che non si sono vaccinati; proseguendo così, quel logoramento psicologico – di isolamento e discriminazione – che ha caratterizzato le vite di questi ultimi durante gli anni appena trascorsi.

Basti pensare che nell’ultimo aggiornamento (2 novembre 2022) del bollettino di sorveglianza dell’Istituto Superiore di Sanità, la tabella 5 a pagina 26 – riguardante il tasso di incidenza di diagnosi di infezione, di ospedalizzazione, di ricovero in terapia intensiva e di decesso da SARS-CoV-2 per 100.000 persone suddivise per stato vaccinale e fascia di età – riporta come nel periodo tra il 30 settembre e il 30 ottobre 2022, il tasso di diagnosi tra i non vaccinati è di 1911,9 persone ogni 100.000 abitanti, mentre tra i vaccinati con ciclo completo più dose booster è di 2.030,6. Inoltre, nella parte successiva della stessa tabella, viene riportato che il rischio relativo di contagio dei non vaccinati rispetto ai vaccinati con ciclo completo più dose booster è di 0.9, per cui negativo. In poche parole, per ogni contagiato completamente vaccinato ce ne sono stati 0.9 non vaccinati (meno di 1).

Dagli ultimi dati, quindi, non c’è nessuna evidenza scientifica che possa andare a giustificare la decisione della Regione Toscana. Anzi, l’anomalia starebbe proprio tra i vaccinati a ciclo completo più dose booster che, negli ultimi mesi, hanno registrato più positivi rispetto ai non vaccinati. [di Iris Paganessi]

Medici No Vax, rientro nel caos. Sono pagati ma non lavorano. Molti sono in attesa della visita dopo i mesi di assenza. Il nodo dell'isolamento. I direttori: "Dove li mettiamo?" Maria Sorbi il 13 Novembre 2022 su Il Giornale.

Far rientrare i medici no vax in corsia non è come dirlo. La decisione politica, arrivata a inizio novembre - a cavallo di un ponte di feste - non è così semplice da mettere in pratica in pochi giorni e sta inciampando in una lunga serie di intoppi. Perchè il pasticcio si risolva ci vorrà ancora un po'.

Innanzitutto le visite: quando l'assenza dal lavoro è di oltre 60 giorni, per poter rientrare il medico si deve sottoporre a una visita medica e l'unica figura autorizzata a rilasciare il certificato di buona salute in questo caso è il medico del lavoro. Che però, nella sua programmazione dell'agenda di novembre, non aveva tenuto conto dei medici no vax. D'accordo che non sono tantissimi ma comunque pesano sulle liste di attesa. Risultato: alcuni no vax non possono tornare operativi prima del controllo e dovranno aspettare ancora (almeno) una settimana.

Con il paradosso (che fa infuriare i colleghi vaccinati) che ricevono lo stesso lo stipendio in quanto «reintegrati per legge». Cioè, sulla carta sono tornati, nella pratica no. In sostanza, la decisione del premier Giorgia Meloni e del ministro della Salute Orazio Schillaci di reintegrare i 2mila no vax ospedalieri in anticipo di un mese per mettere una pezza alla carenza di personale di fatto fa guadagnare solo un paio di settimane rispetto alla scadenza ufficiale del decreto Speranza a fine dicembre.

Punto numero due: dove collocarli? Le Asl sono irremovibili: hanno contattato le strutture ospedaliere per dire di isolare i medici non vaccinati, o almeno di non lasciarli a contatto con i pazienti più fragili. Cosa accade quindi se un medico no vax lavora nel reparto di oncologia, infettivologia o è chirurgo in sala operatoria? «In questi giorni stiamo rilevando che è molto difficile spostare il personale sanitario specializzato - spiega Anton Giulio Costantino, studio legale Costantino & partners - e ricollocarlo in altre aree dell'ospedale meno pericolose. Ci sono ripercussioni interne. La cosa migliore è trovare una collocazione temporanea. Altrimenti il medico non vaccinato continua a essere considerato non idoneo».

Ça sans dire che il tema degli spostamenti potrebbe aprire una sequela di cause per mobbing nel momento in cui il cambio di reparto sappia di demansionamento, ma questo è un capitolo che verrà scritto più avanti.

La confusione è parecchia e soprattutto la situazione non è uniforme in tutta Italia. Alcune Regioni (Emilia, Lazio, Puglia, Campania) hanno intimato ai direttori delle aziende sanitarie non integrare i non vaccinati o di confinarli dove non rappresentino un pericolo.

Il nodo dei rientri è reso ancora più caotico da ferie, ricorsi e richieste di pensionamenti. Molti di quelli richiamati al lavoro si sono messi in ferie, altri hanno preso appuntamento dal loro avvocato per capire come anticipare il pensionamento ormai prossimo.

Per di più, essendo scaduti i termini, i no vax non devono nemmeno fare il tampone per entrare in ospedale. «Stiamo vivendo una situazione paradossale - spiega Costantino - per cui al momento siamo più sicuri dello stato di salute di un parente che va a visitare un paziente anzichè di un medico no vax».

"Medici No Vax? Si ammalano. E non migliorano gli organici". Gli ordini critici sul rientro in corsia. Per ora solo mille reintegrati, tra le critiche e molti cambi di incarico. Maria Sorbi l’8 Novembre 2022 su Il Giornale.

In alcuni ospedali (pochi) sono stati abbracciati dai colleghi. Ma in tanti reparti hanno trovato rancore e polemiche. Il primo giorno di lavoro dei medici No Vax (per ora un migliaio quelli effettivamente in servizio) è stato piuttosto teso. «Non so se verrò riassegnato in qualche altro reparto» ammette un infermiere di Como, medicina interna, in attesa che sia il suo direttore a stabilirlo. La decisione per il loro rientro è politica «e non scientifica» tengono a precisare i direttori sanitari. Detto questo, si parla di numeri molto bassi.

Al 31 ottobre i medici e odontoiatri sospesi erano 4.004, vale a dire lo 0,85% dei 473.592 iscritti. Di questi, i medici sono 3.543 (lo 0,82% su 434.577), gli odontoiatri 461 e i doppi iscritti, che per la stragrande maggioranza esercitano come odontoiatri, solo 325. Il dato più interessante riguarda però l'età dei medici No Vax: poco meno della metà, il 47% dei 3.543 medici sospesi per non essersi voluti sottoporre alla profilassi vaccinale ha più di 68 anni. Ciò significa che questi 1.665 medici sono già fuori dal Servizio Sanitario Nazionale e non rientreranno quindi potenzialmente in servizio in strutture pubbliche. Tecnicamente il numero dei reintegri non cambierà di molto la situazione negli ospedali: non sono tanti e quindi non rappresentano né un rischio eccessivo in questa fare dell'epidemia né una soluzione al problema delle carenze di personale.

Quello che non va giù a chi non ha mai lasciato la corsia è che ci siano colleghi che non credono nella medicina e nei vaccini. E che rappresentano un rischio per i pazienti. Per di più, secondo l'Omceomi, «chi non è vaccinato contagia di più, si ammala di più e con questo, oltre a rappresentare un pericolo, toglie forza lavoro alle strutture e al territorio, quindi ai pazienti, costringendo i colleghi a turni maggiori». «Noi Ordini abbiamo avuto pochissimo tempo per adeguarci» al provvedimento sul reintegro. «Il decreto è stato immediatamente esecutivo, mentre avrebbe fatto comodo se ci fosse stata più possibilità di programmare - ammette Roberto Carlo Rossi, presidente dell'Ordine dei Medici di Milano - I tempi tecnici ci devono essere. A Milano sono circa 280 i medici che erano ancora sospesi e vengono ora reintegrati, da una prima stima. È ovvio che quando c'è carenza di personale anche un'unità in più fa comodo. Ma non sono numeri così grandi da pensare che con quello si risolverà il problema». «Ma andavano reintegrati. Non sono stati mica radiati dai loro rispettivi ordini professionali» fa notare il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia. In Veneto quelli che dovevano essere reintegrati il primo gennaio e che, adesso, rimetteranno il camice prima sono solo 12 su 605 operatori sanitari sospesi.

«Il ministro Schillaci è un medico, un accademico, sa bene quello che fa» sostiene Francesco Paolo Figliuolo, commissario straordinario Covid nella fase più critica della pandemia.

«Io avrei preso decisioni diverse - commenta l'assessore lombardo alla Sanità, Guido Bertolaso - ma in ogni caso stanno facendo una tempesta in un bicchier d'acqua». In Lombardia il rientro ha riguardato 19 medici non vaccinati e circa 200 infermieri per un totale di 700 persone se si tiene conto anche del personale sanitario.

Il condono ai No Vax. Meloni e il condono ai no vax, la sua indole antiscientifica è di matrice fascista. Paolo Guzzanti su Il Riformista il 4 Novembre 2022

“O tu me dai le evidenze, o sennò io non sacrifico la libbertà degli italiani per un mucchio de chiacchiere senza prove. Nun se può limità ‘a libbertà dei cittadini solo per far contente le case farmaceutiche e i dittatori della scienza che pretendono da dirci come se dovemo comportà”. Questo è un estratto di fantasia ma non troppo del Meloni-pensiero a proposito del Covid, della fine delle mascherine, del chissenefrega di chi muore oggi ieri e domani a centinaia di unità sacrificabili e alla riammissione in corsia di una banda di lazzaroni insorti e ribelli, molto peggio di quegli altri lazzaroncini che vanno per rave tra le forre e le macchie, che hanno sfidato le leggi della Repubblica rifiutando il vaccino obbligatorio per tutti i sanitari.

E che adesso – marameo, marameo, pernacchie e tricchetracche – tornano in corsia con camici che speriamo bolliti e beato chi intercetta i loro aliti arricchiti di Rna messaggero. Messaggero di una beffa. Ah, sì, davvero? Questo è un governo di destra che fa la faccia feroce con l’ergastolano ma strizza l’occhio agli amici degli amici che ci sono stati d’aiuto? È vero che sulle opinioni del governo influiscono farmacisti iscritti al partito e per indole refrattari al vaccino? Perché se è così, siamo davvero messi bene. Ma parliamo un po’ d’ideologia e lo facciamo a vantaggio di Giorgia Meloni che è comunque un Giovanna d’Arco che tende a mettere gli altri sul rogo, dicendo che è per legittima difesa. È cara, simpatica, autodidatta, ben addestrata da Guido Crosetto, è una donna che ha il dono di saper imparare e di fare tesoro degli errori propri e altrui. Per questo le dedichiamo questo pezzo che non è di sfottimento, non è di ira o sdegno me è un didattico.

Giorgia, i fascisti, ma anche tutti i seguaci di Hegel di destra (specialmente) e di sinistra fin dai tempi di Marx e Feuerbach non hanno capito un accidente della scienza, della netta separazione tra scienze nate nel cervello umano come le matematiche, e le scienze nate nella natura che evolve e sorprende e non si raggiunge mai, come nella nota storia di Achille e la tartaruga, perché il virus ne sa sempre una nuova e cambia variante, il buco nero si deforma, le stelle nove collassano, le specie animali e vegetali prendono strade misteriose e tuttavia grazie al procedimento cauto, immaginoso, degli scienziati che lavorano con un metodo fatto di tentativi, errori, correzioni, nuovi tentativi e nuovi errori, raggiungono i risultati che hanno permesso finora a tutta l’umanità dei Paesi sviluppati di raddoppiare la durata e la qualità della vita.

I fascisti, ma diciamo meglio gli idealisti compreso quel bel campioncino di prepotente antiscientismo che fu il troppo celebrato Benedetto Croce.

Della scienza capivano soltanto lo scoop dei successi. Marconi inventava la radio diventando lo scienziato più noto al mondo? E il fascismo ci inzuppava pane e biscotti portandolo in giro come la meraviglia italiana. Era il principio secondo cui i geni si esibivano come i mostri dei circhi da strada: la donna cannone, l’uomo peloso, la capra con due teste. “È del poeta il fin la meraviglia”, diceva il Marino, ma anche di tutti i regimi. Tu dirai (ti do del tu per sfuggire a “il Presidente” contro le direttive dell’Accademia della Crusca e perché ci conosciamo. Le cose che tu chiedi chiamandole “evidenze” – anglicismo per “evidente” che però non sono le prove (“proof”) nella scienza empirica biologica e fisica- non esistono se non dopo che un esperimento conferma una legge che si possa ripetere nelle stesse condizioni come fece Galileo con il pendolo.

Sta robba qui, te la sogni. Non c’è. I bravissimi medici delle stramaledette multinazionali americane – dirai tu: che li possin’ammazzalli – hanno battuto tutti i medici del mondo grazie agli investimenti, alle macchine e certo, grazie alla prospettiva di immani e dovuti profitti, col risultato che per ora sono vive milioni di persone che, essendo state vaccinate, si sono prese la forma lieve, sopportabile oppure nulla. Chi può portare le evidenze? Nessuno. Però sono evidenti lo stesso. E il dovere di vaccinarsi per rallentare la corsa del virus limita le libertà individuali? Certo che le limita, come tutte le regole della convivenza civile. Soltanto i libertari americani, su una sedia a dondolo, il cappello sugli occhi e il fucile carico se per disgrazia un federale venisse a limitare la loro libertà.

Ma il fascismo idealista, sia quello di Giovanni Gentile che di Benedetto Croce, cui si sono attenuti fascisti e non fascisti, era e resta una ideologia velenosa, un concentrato di ignoranza e pregiudizi contro le persone che praticano la scienza. Tu sentirai sempre dire: io non capisco la matematica, sono fatto soltanto per le belle lettere, mentre chi sa far di conto veniva chiamato da Croce fascista e antifascista secondo i suoi momenti storici e che godé della più totale libertà durante il regime – “un idraulico”. Così per esempio Giuseppe Peano, uno dei massimi matematici italiani in corrispondenza con Bertrand Russell, Gottlob Frege e Ludwig Wittgenstein, si vide tagliata la carriera accademica perché si era permesso di dire la sua in logica, materia di cui Croce non capiva niente ma che considerava un possedimento provato.

Il più coerente Giovanni Gentile, autore della celebre riforma che portava il suo nome di ideologo della scuola fascista, separava le classi superiori da quelle leggermente inferiori attraverso l’istituzione di un liceo classico per improbabili poeti diplomatici legulei, giornalisti e madri di famiglia, dal liceo scientifico in cui si sacrificavano latino e greco per far posto alle odiose equazioni e alle scienze narrali.

La cultura italiana è sempre stata spaccata da questa maledizione del nove biforcuto della cultura scientifica e di quella classica. Poco importa se in genere medici e fisici e matematici sono poi fra le persone più culturalmente informate in fatto di musica, letteratura e arti, l’importante era stabilire una barriera sprezzante nei confronti degli scienziati, sottomettendone i risultati e i progressi al giudizio di chi può dire loro “mi piace” o “non mi piace”.

Quella sottomissione umiliata della cultura scientifica, che dovrebbe essere meno intellettualmente corruttibile per le materie che affronta, viene per prima cosa calpestata. I vaccini non servono e chi se ne frega, i no-vax in camice sono comunque medici o infermieri e dunque buttiamoli in corsia con due mesi d’anticipo, tanto poi se ci sono o non ci sono “evidenze” lo decido io. E siccome io non ci capsico niente e mi fido di scienziati o almeno farmacisti iscritti al partito, dichiaro chiuso il Covid, dichiaro chiusa la legge, dichiaro rottamata la decenza e poi mettiamoci anche quattro giri di vite a chi sta già in galera e che vive – quali che siano i suoi crimini, un inferno in compatibile con i principi dei diritti dell’uomo.

Queste sono le ultime “evidenze” che evidenziano soltanto che la politica seguita a non capire niente di scienza, di ricerca, di relazione biunivoca fra libertà di ricerca e leggi dello Stato estruse – ovvero emesse per pressione dall’interno – in nome delle libertà personali che in una vera democrazia liberale sono e devono essere invece ridottissime, perché tante devono essere le regole da rispettare, cosa che del resto la prima ministra sa benissimo tant’è vero che per cacciare qualche migliaio di sfigati armati di chitarra, sacco letto, chitarra, erba, strisce e libido autunnale, sono state costruite castelli di regole, norme, sanzioni, intimidazioni, non tutte sacrosante. Giorgia Meloni, una presidente che impara alla svelta, stàcce: hai toppato su virus, vaccini e no vax. Autocorreggiti o passata la luna di miele ti metteranno in menopausa, politicamente parlando, e onestamente non lo meriti.

Paolo Guzzanti. Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.

Il metodo e il virus. Ecco quale è il problema della Meloni: un mix di ignoranza e ideologia. Paolo Guzzanti su Il Riformista il 2 Novembre 2022 

Chi temeva il regime, può rilassarsi. Le crepe abbondano e tutti i servizi dietro le quinte dicono che Silvio Berlusconi è scocciatissimo del comportamento del Presidente del Consiglio. Salvini non è felice e la grande conferenza stampa di lunedì è stata un flop: Giorgia, con rispetto delle istituzioni, è stata verbosa e nervosa e anche per lei il fattore umano conta.

Quando fece quel numero megalomane e fuori dalla grazia di dio in Spagna per comunicare ai franchisti spagnoli che lei era Giorgia, che era madre, era italiana e il numero della carta di identità, fu raggiunta da un giornalista del New York Times che le chiese se non le sembrasse di avere esagerato: “Yeah…” rispose Giorgia . E tacque. Poi aggiunse con lodevole candore: “Il fatto è che ero stanca morta. E quando sono stremata mi piglia una botta d’isteria. Sono fatta così”. L’ammissione fu onesta e la sua risposta servì a tappare un buco perché è ben consapevole di avere i fari puntati addosso.

Ma adesso è nei guai con la Sanità. Per la storia della reintegrazione immediata dei medici no vax e per il cumulo di sciocchezze che ha detto sulla scienza e sul metodo. E con molto garbo, ma fin da subito, medici e scienziati l’hanno cortesemente bocciata. Di tutte le accuse o sospetti o timori o indizi di neo-post-ex fascismo, quella per ora più corroborata è l’accusa di ignoranza strutturale: i fondamentali comuni non soltanto all’estrema destra, ma specialmente all’estrema destra. Aneddoto familiare: quando Adolf Hitler venne a Roma per “La giornata particolare” (poi ricostruita dal film di Ettore Scola) mio padre era un ingegnere delle Ferrovie dello Stato. E un caporione fascista gli disse che era autorizzato a visitare il treno del Führer, il top della tecnologia tedesca, per riprodurlo tale e quale per il Duce.

Mio padre entrò nel treno, esaminò tutti i dettagli tecnici e quando scese disse che non era possibile: l’alimentazione trifase e altre diavolerie che non ricordo, rendevano impossibile copiare il treno tedesco per il Duce. Appena pronunciò queste parole, il caporione fascista e altri due o tre sgherri in lana d’orbace si avventarono su mio padre, persona mitissima che detestava ogni forma di violenza e lo presero a schiaffi, calci e pugni gridandogli: “Disfattista, imbecille e traditore”. Il fascismo speculò quanto fu possibile sulla genialità di Guglielmo Marconi inventore della radio e la buttava sempre in cagnara quando era possibile costruire un grande scenario di propaganda come le traversate atlantiche.

Ma di scienza sapevano soltanto dire parole vuote e altisonanti. Il vero punto debole personale della Meloni è stato linguistico, ma non tanto per l’uso costante della parola “nazione” quando “paese” andrebbe benissimo, ma nell’aver fatto un pasticcio mentale di estrema destra ideologica, proprio mentre affermava il contrario: di volersi sottrarre all’ideologia. Stiamo parlando della questione Covid, che nel Consiglio dei ministri è stata trattato come se fosse una montatura. Sappiamo bene che non è stata soltanto l’estrema destra ad aver vomitato sciocchezze sul Covid e la necessità di vaccinare, e conosciamo bene lo scandalo dei medici refrattari negazionisti e ribelli che sono stati allontanati dalle corsie perché pericolosi e che adesso, con due mesi di anticipo, torneranno vittoriosi nelle stesse corsie da cui erano stati allontanati. Intanto, ogni giorno cade un aereo con dentro settanta, cinquanta, ottanta persone rapidamente cremate, fingendo, anzi suggerendo che si tratti di un fatto naturale come la caduta delle pere mature, in continua decrescita.

Ma il punto grave ideologico nel discorso della presidente del Consiglio è stato quello in cui ha spacciato come una difesa delle libertà personali la bocciatura delle misure anti covid, dai vaccini alle mascherine, interpretando un comportamento politico che mentre finge di essere libertario e democratico e invece totalmente fascista. Meloni ha detto che non si possono impartire disposizioni limitative delle libertà individuali se prima non si è raccolta l’evidenza scientifica dei vantaggi che queste limitazioni dovrebbero portare. Si tratta di una catastrofica sciocchezza che confonde mettendole sullo stesso piano le scienze deduttive figlie nella mente dell’uomo come le matematiche, gli scacchi, le geometrie euclidee e non euclidee, e le scienze della natura in cui cadono la fisica, la biologia e tutte le branche della medicina che avanzano potentemente ma sempre brancolando tra buio e luce fra tentativi, errori, correzione di errori e nuovi tentativi. Dall’altra parte del tavolo gioca il virus che risponde con le sue varianti e una partita in cui nessuno vince mai definitivamente ma in cui si cerca di limitare per quanto possibile i danni.

Le evidenze scientifiche che pretende Giorgia Meloni non sono mai possibili perché muta continuamente il contesto della malattia, della terapia, del metodo di indagine, delle correzioni, proposte, e comunque sta di fatto che soltanto i medici americani e gli sperimentatori delle grandi case farmaceutiche americane hanno prodotto quei vaccini che con tanta sufficienza, riluttanza e albagia si tende adesso a considerare come prepotenze del nemico esterno. All’esterno per una mentalità fascista c’è sempre un nemico che non riconosce le nostre altissime qualità e ci vuole vaccinare per forza per incassare quattrini, ci vuole a tutti i costi portare il gas indispensabile ma pretende di essere pagato e così via. Poiché è molto trendy in questo momento fare l’analisi del sangue alla povera Giorgia per vedere quanto Dna missino ancora circoli nelle sue giovani vene.

Noi proponiamo un’analisi più significativa di quella delle parole o degli aggettivi con cui qualcuno fa finta di poter sceneggiare il contesto di oggi aggiungendoci i telefoni bianchi e un linguaggio perentorio ma ignorante. Giorgia ha detto che ci vuole l’evidenza scientifica ignorando che la prova galileiana in medicina non esiste ma che la medicina va avanti lo stesso e noi siamo tutti ancora vivi grazie a lei. È una caratteristica invece delle ultradestre moderne credere e far credere che la libertà individuale sia il termometro della benessere di una democrazia. È vero il contrario: quando una democrazia funziona e per la parte medica sa come rivolgersi alle scienze empiriche, le libertà individuali si vanno sempre più restringendo perché ognuno deve rispettare le regole del condominio, del codice della strada, del comportamento in generale affinché nessuno sia danneggiato dai capricci dell’altro. Ed è esattamente ciò che la Meloni lascia intendere fra le righe: che finalmente la libertà sia tornata e il covid si è sconfitto e i vaccini delle emerite cazzate di sinistra.

Paolo Guzzanti. Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.

“Uno schiaffo alla scienza riammettere i medici No Vax”. Edoardo Sirignano su L'Identità il 2 Novembre 2022. 

“Dai lockdown alle mascherine, spesso mi sono ritrovato sulle posizioni di chi è al governo. Nell’ultimo decreto, però, sembra quasi che i vaccini siano un errore. Questo messaggio non può e non deve passare”. A dirlo Matteo Bassetti, direttore della clinica malattie infettive del policlinico San Martino di Genova.

L’ultimo annuncio di Palazzo Chigi sul Covid spacca l’Italia a metà. Che idea si è fatto?

“La decisione di levare l’obbligo vaccinale per medici e operatori sanitari, in questo 2022, si potrebbe anche prendere. Lo avrei, invece, mantenuto in alcuni reparti a rischio, più per proteggere l’operatore che il malato. Mi riferisco a pronto soccorso, terapie intensive e malattie infettive. Qui il pericolo di contrarre il virus è maggiore. Se si ammalano tante persone che lavorano nello stesso settore, si ferma un servizio. Il problema, quindi, non è aver preso un provvedimento che comunque sarebbe stato adottato entro fine anno, ma come lo si è annunciato”.

Perché?

“Nel momento in cui si dice che la gestione della pandemia è stata tutta ideologica e poco scientifica e poi si dice che si reintegrano medici no vax, si fa solo un grandissimo favore a chi non si è vaccinato, mentre si schiaffeggiano tutti coloro che si sono fatti iniettare una dose. Questa posizione mi lascia perplesso, soprattutto per i modi”.

Come è stata recepita dagli italiani?

“Può sembrare quasi una resa dei conti sulla campagna vaccinale, pur essendo un fiore all’occhiello per il Paese. Ricordiamoci Figliuolo, quanto ripetuto milioni di volte. Ascoltando quanto si sta dicendo nelle ultime ore, sembra quasi che tutto ciò corrisponda a un fallimento. Posso, quindi, condividere che non ci sia più l’obbligo di vaccinarsi ovunque, ma non che si faccia una sanatoria che dica ai sanitari che non si sono vaccinati di aver fatto bene”.

Quale aspetto la lascia più perplesso?

“Non sono un politico, ma guardo i numeri. Stiamo discutendo dello 0,7% dei medici. Il 99,3% si è vaccinato. Non capisco, pertanto, questo mettersi contro tutto il mondo scientifico. Mi piacerebbe, inoltre, sentire una posizione univoca da parte del presidente del Consiglio. È pro o contro le vaccinazioni? Sull’argomento, ancora non ho udito nulla”.

Qualcuno dice mettiamo i sanitari no vax in reparti non a rischio. È d’accordo?

“I medici ospedalieri non vaccinati, in tutta Italia, saranno una ventina. Non rappresentano un problema. Una percentuale maggiore, invece, riguarda gli infermieri. Questi ultimi, comunque, potrebbero essere tranquillamente reinseriti in reparti a basso rischio, come tra l’altro già avvenuto in molte strutture”.

Cosa succederà nei prossimi giorni con l’arrivo del freddo? Ci sarà un ulteriore aumento dei contagi?

“Mi auguro che dopo questa presa di posizione di Palazzo Chigi non succeda niente. Diversamente sarebbero dolori per il governo, considerando che siamo in piena campagna vaccinale. Sarebbero molti coloro che direbbero che le cose vanno male perché qualcuno non è stato capace. Detto ciò, non so cosa accadrà. Ritengo, però, che con il passare dei giorni, ci saranno molte sindromi respiratorie di stagione, che bisognerà gestire in maniera diversa dal 2021, meno tamponi e via dicendo. Mi dispiace molto non trovarmi d’accordo con Meloni su quest’ultimo provvedimento. Il ragionamento del nuovo premier è condivisibile su molti punti”.

A cosa fa riferimento?

“Sono sempre stato molto critico per i lockdown più lunghi degli altri Paesi, per le zone gialle e rosse, per l’obbligo di mascherina, per tante cose che funzionavano. Aver messo dentro anche i vaccini, però, mi sembra sia stato un errore clamoroso. È solo un favore enorme ai no vax, che oggi sono rinfrancati e rifocillati. Ne ho sentito più di qualcuno dire avevamo ragione noi. Questa ultima scelta, purtroppo, finirà col marchiare, in modo pesante, questo esecutivo”.

Nel caso in cui salissero i contagi, dobbiamo pensare a nuove norme restrittive?

“Ritengo che ciò non sia possibile. Se il Covid tornerà a farsi sentire, senza un aumento dei casi gravi, non si può pensare di rimettere obblighi o misure restrittive. Dobbiamo, invece, tutelare i fragili, per cui è raccomandabile l’uso delle mascherine. Ecco perché invitiamo gli anziani a vaccinarsi”.

Non tornerà più neanche l’incubo mascherina?

“È stato corretto farle tenere in ospedale, mentre è giusto toglierle dappertutto, a partire dalle scuole. Questo virus oggi va affrontato in modo diverso. Serve imparare dai tanti sbagli commessi. L’importante è non includere tra questi anche i vaccini. Forse è stata l’unica cosa fatta davvero bene”.

Potranno tornare, invece, gli assembramenti?

“Sono già tornati da tempo. Vedo stadi con novantamila spettatori. A meno che non ci sia un virus nuovo e diverso, non si deve cambiare nulla. È indispensabile ritornare alla vita di prima”.

Possiamo dire che il Covid è ormai un lontano ricordo?

“Non è davvero passato, ma viviamo certamente in un contesto diverso grazie ai vaccini. Come medicina e scienza, questi ultimi non devono avere colori. Non sono né di destra, né di sinistra, ma sono per tutti e di tutti. Senza di essi non saremo dove siamo. Non bisogna mai dimenticarlo”.

Da “Radio Cusano Campus” l'1 novembre 2022.

Il prof. Matteo Bassetti, direttore della Clinica di malattie infettive del Policlinico San Martino di Genova, ospite a "L'imprenditore e gli altri" su Cusano Italia Tv, ha criticato le parole pronunciate in conferenza stampa dalla neopremier e ha detto che questo "è il modo peggiore in cui si potesse cominciare". 

"Aver detto oggi - spiega Bassetti - facendo di tutta l'erba un fascio, che è stato tutto ideologico e che oggi invece si vuole fare tutto di scientifico è un errore clamoroso che non andava fatto. Perché c'è stato qualche errore e io sono stato il primo a metterlo in luce. Abbiamo fatto lockdown troppo lunghi, abbiamo chiuso le scuole quando andavano riaperte, abbiamo sbagliato a mettere troppo a lungo l'obbligo delle mascherine.

Ma aver detto che è tutto sbagliato, ivi compresa la politica vaccinale, che invece deve essere vista come un fiore all'occhiello del nostro Paese, è un errore clamoroso. E io mi auguravo non si commettesse perché sa molto di resa dei conti ed è uno schiaffo pensante al 95% degli italiani che si sono vaccinati. Ed è un altrettanto schiaffo al 99,3% dei medici italiani che si sono vaccinati. Perché è come 'siete dei cretini, hanno fatto bene quelli a non vaccinarsi'. È un errore clamoroso che io sinceramente non mi sarei mai aspettato. È il modo peggiore in cui si potesse cominciare".

Sulla possibilità di una commissione d'inchiesta sulla gestione Covid. 

"Io sono perfettamente - continua Bassetti - d'accordo che una commissione di inchiesta per far luce su quello che è successo, sulle cose fatte bene e le eventuali cose fatte male, fosse utile. Ma non posto in questo modo, come una resa dei conti. Perché una resa dei conti finisce per avere come anello debole sempre i sanitari. 

Medici, infermieri, chi in questi mille giorni, pancia a terra, ha lavorato per il sistema, per gli italiani per i cittadini. E buona parte delle misure che sono state prese sono contro di loro. Nel momento in cui vai a dire che da domani non ci sarà più l'obbligo vaccinale per gli operatori evidentemente vai dicendo che quello che è stato fatto nel 2021 è un errore. Oggi possiamo anche dire che è giusto che non ci sia più l'obbligo vaccinale per i sanitari perché la situazione è cambiato, ma non possiamo dire che era sbagliato".

Estratto da rainews.it il 2 novembre 2022.

Il decreto legge con il quale il Consiglio dei Ministri ha anticipato, per gli operatori sanitari no vax, il reintegro nelle strutture sanitarie, sta incontrando la ferma opposizione della regione Puglia, grazie a una legge regionale del 2018 che prevede il divieto per gli operatori sanitari non vaccinati di entrare a contatto con i pazienti ricoverati negli ospedali. 

La legge pugliese

In Puglia "la legge" che obbliga il personale sanitario a vaccinarsi anche contro il Covid "c'è e rimane in vigore": lo ribadisce l'assessore alla Sanità della Regione Puglia, Rocco Palese. La legge regionale stabilisce che gli operatori sanitari non vaccinati non possano essere a contatto con i pazienti ricoverati negli ospedali. L'obbligo di vaccino in Puglia non riguarda solo il Covid, ma altri 10 vaccini, gli stessi previsti anche dal piano nazionale.

La legge regionale 19 giugno 2018, n.27 della Regione Puglia, che ha passato anche il vaglio della Corte Costituzionale, prevede che "al fine di prevenire e controllare la trasmissione delle infezioni occupazionali e degli agenti infettivi ai pazienti, ai loro familiari, agli altri operatori e alla collettività", la Regione Puglia individua "i reparti dove consentire l'accesso ai soli operatori che si siano attenuti alle indicazioni del Piano nazionale di prevenzione vaccinale vigente per i soggetti a rischio per esposizione professionale". [...] 

In Puglia sono 103 gli operatori sanitari non vaccinati

In Puglia sono 10 i medici del sistema sanitario regionale a non aver ricevuto la vaccinazione anti Covid, sono 103 i dipendenti in totale, considerando tutti gli operatori sanitari. Il dato è fornito dalla Regione Puglia. "La situazione di questo personale sanitario è regolata dalla legge regionale, che consente solo agli operatori che si sono vaccinati, secondo le indicazioni del Piano nazionale di prevenzione vaccinale vigente, di poter accedere a determinati reparti ospedalieri. Questo a tutela dei pazienti e degli stessi operatori", commenta l'assessore alla Sanità, Rocco Palese.

Gemmato: “La legge della Puglia su medici non vaccinati sarà impugnata”

La legge regionale della Puglia che impedisce l'impiego dei medici non vaccinati contro il Covid-19nei reparti più a rischio "verrà impugnata". Lo ha detto il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, a SkyTg24. 

Emiliano: “Gemmato dovrebbe dimettersi, è inadeguato”

"Gemmato è un politico di lungo corso e dovrebbe sapere che tra leggi nazionali e leggi regionali nelle materie concorrenti come la Sanità non c'è un rapporto di gerarchia che fa prevalere le prime sulle seconde, salvo che ci sia una lesione delle attribuzioni del Parlamento. Ma queste ultime devono essere impugnate tempestivamente dal Governo, fatto questo non avvenuto nel nostro caso, essendo la legge in questione del 2021". 

Così il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, replica al sottosegretario alla Sanità che ha annunciato che il governo impugnerà la legge pugliese sull'obbligo vaccinale per gli operatori sanitari. [...]

(ANSA il 2 novembre 2022) - "E' stata inviata ai Direttori generali della Aziende Sanitarie Locali e delle Aziende Ospedaliere, una direttiva a firma del Presidente Vincenzo De Luca, con la quale si fa obbligo di definire l'impiego del personale sanitario non vaccinato contro il virus Sars-Covid19 - in concomitanza con la disposta reintegra in servizio - tutelando la salute dei pazienti e degli operatori vaccinati. 

Saranno quindi messe in campo le necessarie azioni dirette a contrastare ogni ipotesi di contagio, evitando il contatto diretto del personale non vaccinato con i pazienti". Così in una nota della Regione Campania.

Estratto da “la Repubblica” l'1 novembre 2022.

Torneranno a lavorare con colleghi un po' imbarazzati, magari si occuperanno di pazienti fragili con tutti i rischi che questo comporta ma comunque non saranno decisivi per rimpolpare gli organici del sistema sanitario nazionale, come invece sostiene il governo. Il rientro dei medici, degli infermieri e degli altri lavoratori dei servizi per la salute non vaccinati non viene accolto con festeggiamenti nel mondo della sanità. «Sarebbe una violenza contro i più deboli costringerli a essere curati da questi professionisti», chiosa il presidente della Campania Vincenzo De Luca.

[…] I medici sospesi sono meno di 4 mila su circa 450 mila, se si considerano anche i lavoratori del privato e i pensionati, molti dei quali magari hanno ancora un ambulatorio. Ma se si guarda solo ai dipendenti del sistema sanitario, i sospesi sono circa 1.200 (più 600 medici di famiglia) su circa 240 mila. Cioè pochissimi. 

Stessa cosa per gli infermieri: 2.600 rientreranno ma il totale è di circa 450.000 (dei quali 340.000 sono nel pubblico). La sintesi la fa Filippo Anelli, presidente della Federazione degli ordini dei medici: «Questo rientro anticipato non ha nessuna rilevanza dal punto di vista degli organici. Ci aspettiamo ben altri provvedimenti dal governo per far crescere gli organici del servizio pubblico». 

Sempre secondo Anelli «bisogna ricordare che la norma sull'obbligo vaccinale era figlia di un periodo diverso, a quei tempi i medici morivano e l'interesse collettivo prevaleva su quello del singolo. Riguardo al rientro di questi colleghi nelle strutture dove ci sono persone a rischio, alcune Regioni come la Puglia, prevedono che «chi non ha fatto il vaccino non possa lavorare in certi reparti. Saranno i direttori generali a decidere a che lavoro adibirli».

Pazienti a parte, potrebbero esserci anche problemi di relazione con i colleghi. Fabrizio Pregliasco, professore a Milano e direttore sanitario del Galeazzi, va oltre e dice di avere «qualche dubbio sulla loro capacità di eseguire la ricerca scientifica. Gli farei fare un corso tipo quelli che si fanno quando perdi la patente. Gli farei seguire lezioni di immunologia e vaccinazione così almeno scoprirebbero le indicazioni della scienza». 

Uno dei temi sentiti è quello sollevato da De Luca. Lo fa suo anche il capogruppo di Forza Italia a Montecitorio, Alessandro Cattaneo: «Da cittadino non vorrei avere davanti un medico non vaccinato». Secondo il presidente di Fadoi, la federazione dei medici internisti, Dario Manfellotto, e quello della Fimmg, il sindacato dei medici di famiglia, Silvestro Scotti, la questione è anche deontologica e andrebbe risolta dagli Ordini. 

«Non si capisce - dice Manfellotto - come possa un collega fare una cosa del genere. La vaccinazione tutela il paziente, la persona fragile. Non farla stride con la professione. E dopo tutto quello che è successo nel nostro Paese e nel mondo, consentire a questi professionisti il rientro nei reparti significa tutto sommato premiarli».

Per questo i rapporti con chi è rimasto a lavorare potrebbero non essere sempre facili. «Quello che è stato fatto, l'obbligo, aveva un fondamento razionale forte - dice Manfellotto - C'è stata una fase in cui la vaccinazione era salvavita per le persone che incontravi. Adesso le cose sono un po' cambiate». E l'ultima stoccata arriva dai familiari dei medici che hanno perso la vita a causa del Covid: «Se i nostri genitori e parenti in piena emergenza pandemica avessero avuto la possibilità di fare il vaccino, lo avrebbero fatto per tutelare la loro salute e quella dei loro familiari. Ma purtroppo per loro non c'è stata proprio questa opportunità »

Estratto dell'articolo da “la Repubblica” il 2 novembre 2022.

L'avevamo lasciato in piazza Unità d'Italia a Trieste, accanto al portuale Stefano Puzzer, mentre insieme annunciavano la nascita del Comitato 15 ottobre. Dario Giacomini, 46 anni, dirigente medico dell'Usl di Vicenza, prima della pandemia era responsabile di tutte le Radiologie dell'Ovest Vicentino. Poi è arrivata la pandemia e Giacomini ha scelto subito da che parte stare: no ai vaccini, no al Green Pass, no alle misure del governo Draghi. 

Ha perso il lavoro, ha creato il gruppo ContiamoCi con 5 mila soci e 50 mila seguaci su Telegram. Ora che l'esecutivo di Giorgia Meloni ha cancellato il Covid e le sue regole, Dario Giacomini, che era stato sospeso dal servizio, entro fine mese tornerà al lavoro.

Dottor Giacomini, è pronto a rientrare?

«Sì, anche se ci sono stati dei cambiamenti. La mia scelta ha avuto delle ripercussioni. Con un atto aziendale hanno scorporato l'Unità operativa semplice che dirigevo e così è decaduto il mio ruolo. Sono stato ricollocato in un ospedale periferico, quello di Noventa Vicentina. Dunque sono un medico radiologo e svolgo la mia mansione, ma per me è un'isola d'Elba». 

Oggi è ancora convinto della sua scelta?

«I vaccini sono stati un'operazione politica. Pfizer non ha mai dichiarato che il farmaco tutelasse dalla trasmissione del contagio. Il decreto legge 44, che imperniava tutto su questo, era una norma non veritiera e sulla base di questa norma decine di migliaia di persone hanno perso il diritto al lavoro». 

Ma così si è schierato contro la scienza.

«Cos' è questa furia ideologica? Si parla tanto di diritti e uguaglianza ma poi nella pratica siamo stati coercizzati. Ancora oggi sento una superiorità morale da parte di alcuni opinion leader, piuttosto che dai sindacati» […] 

Che clima troverà al lavoro?

«Mi auguro che ci sia un clima positivo. Ci sarà chi non ci vede bene ma col tempo conto di saper ricucire le ferite. Siamo una minoranza che rientra al lavoro, non vorrei un clima d'odio nei nostri confronti. Ritorno a testa alta, non sono un untore, non lo sono mai stato».

Dopo un'esperienza così radicale e radicalizzante come farà a rientrare nel servizio sanitario nazionale?

«Lo farò e lo faremo perché vogliamo fare medicina, vogliamo tornare a fare il lavoro che ci siamo scelti. Sono ferite che lasciano il segno, perché quando ti senti così schiacciato dallo Stato è dura. Ma quelle ferite ci daranno la forza per andare avanti. E soprattutto, ci auguriamo che torni a essere un vero servizio sanitario nazionale». […] 

Estratto dall'articolo di Cosimo Caridi per “il Fatto Quotidiano” il 2 novembre 2022.

A maggio la Corte costituzionale tedesca ha confermato che tutto il personale sanitario deve essere vaccinato contro il Covid. L'immunizzazione deve essere completa, al momento sono già state somministrate le quarte dosi, per poter lavorare in ospedali, cliniche, ma anche negli studi medici e centri riabilitativi. Il problema sono i controlli, affidati alle stesse strutture mediche che poi dovrebbero far partire le sanzioni. La regola imposta a metà marzo ha provocato fino al termine dell'estate, meno di 70 sospensioni. [...] 

In carica da poco meno di un anno, il ministro alla Salute Karl Lauterbach (Spd) ha tentato, a più riprese, di far approvare al Bundestag l'obbligo vaccinale per l'intera popolazione. Il Parlamento ha sempre bocciato le sue proposte. L'unico obbligo messo in campo è appunto quello sul personale sanitario, sul quale però ogni Land ha diritto di applicare la normativa nel modo che ritiene opportuno.

Germania "C'è il divieto ma non possiamo attuarlo"

"C'è la legge, ma non possiamo attuarla", spiega una dipendente di uno dei grandi ospedali della capitale. La donna, che vuole restare anonima, lavora nelle risorse umane e racconta come la carenza di personale "non rende possibile sanzionare i non vaccinati. Ci sono, lo sappiamo, ma se non li facciamo venire al lavoro blocchiamo l'ospedale". 

Nel racconto della sanitaria emerge la fatica per coprire i turni con il personale disponibile: "Nel nostro pronto soccorso pediatrico ci è capitato di dover fare aspettare un bambino per ore prima di poterlo visitare. A volte sono gli stessi genitori a portarlo in un altro ospedale fuori città". Gli anni di pandemia hanno messo sotto stress anche il potente sistema sanitario tedesco. Per tutto lo scorso inverno ci si sono state manifestazioni di medici e infermieri che chiedevano migliori condizioni di lavoro.

"Dobbiamo tenerci stretto il nostro personale sanitario. Usiamo test e mascherine. Non è legale, ma per ora non abbiamo altra soluzione", ripetono. Gli ospedali con migliaia di dipendenti non sono l'unico punto debole della catena. In Germania il sistema ibrido di assicurazioni sanitarie private e pubbliche spinge i singoli ambulatori a fare molti esami in loco. Ogni test fatto nello studio medico si trasforma in una fattura inviata all'assicurazione. [...] 

Francia e Grecia, sospesi i dottori non vaccinati

La vaccinazione per il personale sanitario resta invece obbligatoria in Francia. Questa primavera, con il cambio di governo, il nuovo ministro della Salute, François Braun, ha seguito le indicazioni dell'Haute Autorité de Santé e ha bloccato il reintegro dei camici bianchi non vaccinati. 

Gli ospedali, sull'orlo del collasso, erano pronti a riassumere tutti coloro che avevano lasciato il posto dopo l'entrata in vigore dell'obbligo vaccinale. Anche in Grecia resta in vigore il vincolo vaccinale per i sanitari. Il Paese ellenico è stato tra i primi a imporlo, il 1º settembre 2021 e a oggi non è chiaro se e quando verrà rimosso. 

Briglie sciolte, Uk, Spagna, Portogallo e Belgio

Nel Regno Unito a fine gennaio il governo di Boris Johnson ha fatto un'inversione a U sull'obbligo vaccinale per i dipendenti del sistema sanitario, Nhs. Pochi giorni dopo sarebbe dovuta scattare la scadenza per il licenziamento in tronco di tutti i sanitari non vaccinati. Secondo i dati raccolti dallo stesso Nhs, a metà gennaio oltre 80mila dipendenti, più del 5 per cento del totale, non erano vaccinati. 

In Spagna non c'è obbligo né per gli operatori degli ospedali, né per i sanitari che operano in ambulatori e cliniche private. Madrid consiglia a medici e infermieri, già dalla primavera, di farsi iniettare la quarta dose di vaccino. Anche in Portogallo non è mai entrato in vigore l'obbligo vaccinale. In Belgio l'obbligatorietà era stata prevista dal 1º aprile, la data è stata poi spostata a inizio giugno, ma mai entrata in vigore.

Barbara Cottavaz per lastampa.it il 2 novembre 2022.

Ha chiesto di essere messa in ferie e non intende sottoporsi al tampone Giusy Pace, infermiera dell’ospedale Maggiore di Novara che nell’ottobre dell’anno scorso aveva inscenato una manifestazione in piazza contro il green pass con le pettorine dei deportati dei campi di concentramento. Il corteo aveva suscitato forti reazioni non solo a Novara. 

Per lei l’ordine professionale ha disposto la radiazione per comportamento anti-scientifico: il provvedimento è stato impugnato e ora è in attesa di discussione. Era rientrata al lavoro ad aprile per 15 giorni perché aveva contratto il Covid e quindi risultava immunizzata ma poi era stata sospesa di nuovo fino all’entrata in vigore del decreto di oggi.

Nel frattempo alcuni suoi colleghi nei mesi scorsi l’hanno eletta nella Rsu aziendale (lei è sindacalista della Fisi, Sindacato dei lavoratori intercategoriale).  «Non sono ancora stata contattata dal mio datore di lavoro - fa sapere -. Ma comunque ho chiesto di essere collocata in ferie e per ora non rientrerò».

Covid, colpo di scena: Burioni dà ragione a Meloni (ma che fatica dirlo). Il televirologo: “Reintegro dei sanitari no vax? Ha un senso”. E sul vaccino: “Meno efficace nell’ostacolare l’infezione”. Giuseppe De Lorenzo su Nicola Porro.it l'1 Novembre 2022

C’è da immaginarsi l’imbarazzo del titolista di Repubblica quando ieri sera, poco prima di chiudere il giornale, si è trovato nell’antipatica situazione di dover titolare l’editoriale di Roberto Burioni. Già, perché sembrerà strano e forse impossibile, ma sul decreto del governo in tema covid il virologo condivide buona parte delle scelte fatte da Giorgia Meloni. “Vanno in una giusta direzione di tornare alla normalità”, confessa. Anche se non riesce ad ammetterlo fino in fondo.

Burioni sta con Meloni

State a sentire. Burioni verga frasi smielate del tipo: “Vorrei personalmente esprimere la mia gratitudine alla presidente del Consiglio per avere pronunciato, in Senato, una frase bellissima: ‘Riconosciamo il valore della scienza ma non la scambiamo con la religione'”. Inimmaginabile. Come una sorpresa può apparire la posizione di Burioni sul reintegro dei sanitari non vaccinati negli ospedali con due mesi di anticipo. “Uno dei provvedimenti di cui si parla è la rimozione dell’obbligo vaccinale per i sanitari – scrive – e questo scientificamente ha un senso” perché “fino alla fine del 2021 avevamo un virus pericolosissimo e un vaccino estremamente efficace nel ridurre la diffusione del contagio, condizioni che giustificavano l’obbligo per proteggere i pazienti; adesso abbiamo un virus molto meno pericoloso e un vaccino molto meno efficace nell’ostacolare l’infezione”.

Che poi è lo stesso principio enunciato dal ministro Schillaci: il virus muta, la risposta dei vaccini anche, l’infezione la trasmettono sia i vaccinati che i no vax, dunque perché rinunciare a 4mila sanitari in corsia? “Riconsiderare l’obbligatorietà – sentenzia Burioni – è una decisione politica che può avere un senso”. Claro?

Va bene, ma…

Però… c’è sempre un però, ovviamente. È un dato di fatto, sostiene il virologo, che “questi sanitari hanno rifiutato il vaccino prendendo una decisione in assoluto contrasto con dati scientifici di una solidità senza precedenti”. Se non si sono fidati della scienza ieri, è il ragionamento, perché dovremmo affidare loro i pazienti? “Medici che agiscono ignorando la scienza costituiscono un pericolo, questo è un dato di fatto”. Il virologo teme inoltre che “qualcuno possa trarre la sbagliata conclusione che il Governo è diventato tollerante nei confronti dei No Vax“.

Opinione di Burioni, ovviamente: pienamente legittima. Però è “politica”, non “scientifica”. E questo per due motivi: primo, perché quei medici operavano già prima del virus, non sono impazziti col Covid e non si registrano stragi ospedaliere pre-pandemiche: lavoravano bene ieri, lo faranno anche oggi; secondo, perché egli stesso ha ammesso che “non c’è nulla nei provvedimenti governativi che faccia anche solo intuire l’inutilità dei vaccini”. Quindi che c’azzecca la tolleranza coi no vax?

Lo ripetiamo: quella di Burioni trattasi di analisi politologica, non medica, e dunque lascia il tempo che trova. L’editoriale poteva tranquillamente scriverlo Molinari. Meloni sta cambiando l’approccio (politico) alle indicazioni della scienza. Il Burioni-scienziato riconosce la logica delle decisioni del governo. Ma il Burioni-politologo no. E questo ci sta. Come ci sta che Meloni se ne infischi beatamente. Se gli elettori avessero voluto sposare la “linea Burioni” avrebbero votato Pd e Andrea Crisanti. Invece non è andata così.

Giuseppe De Lorenzo, 1 novembre 2022

Polizia, licenziata l’ex vicequestore “No green pass” Nunzia Schilirò. «Cacciata per avere difeso la Costituzione». Redazione Roma su Il Corriere della Sera il 29 Settembre 2022.

La poliziotta intervenne sul palco a Roma il 25 settembre 2021. Lo sfogo su Fb: «I condannati per il G8 di Genova in certi casi sono stati addirittura promossi»

Diventò improvvisamente famosa quando, in occasione di una manifestazione dei No green pass a Roma, il 25 settembre 2021, si scagliò contro il certificato verde, definendolo «illegittimo». Poi fu sospesa dal servizio e sottoposta a procedimento disciplinare. E adesso l’iter è giunto a conclusione: Nunzia Schilirò, vicequestore, originaria di Gorizia, è stata licenziata dalla polizia di Stato per le sue drastiche posizioni contrarie alle politiche anti-pandemia. Oltre al suo attacco dal palco, alla fine dello scorso anno aveva suscitato scalpore il fatto che poco dopo si fosse ammalata di Covid, assieme al marito.

E’ stata la stessa Nunzia Schilirò a dare notizia su Fb del suo licenziamento, lanciando accuse in varie direzioni. «Cacciata dalla Polizia per aver difeso la Costituzione e la libertà degli italiani», il titolo del post dell’ex appartenente alle forze dell’ordine. «Il 28 settembre 2022 è stato decretato che i dirigenti di Polizia sono schiavi del Governo di turno - dice il testo - Dopo un anno di sospensione e di persecuzione con 7 procedimenti disciplinari, sono stata destituita! Licenziata per le mie dichiarazioni sul palco della manifestazione del 25 settembre 2021 e per tutte le successive». Lo sfogo si è poi esteso ad altre vicende: «I condannati per il G8 di Genova sono in servizio e, in certi casi, addirittura promossi. Io licenziata per aver esercitato il diritto costituzionale previsto dall’articolo 21. Quale libertà di espressione esiste in Italia?»

Anche quando scoprì di aver contratto il virus, Nunzia Schilirò giocò d’anticipo, annunciandolo, visibilmente provata, in un video diffuso su Telegram: «Cari amici, voglio darvi io la notizia e voglio evitare strumentalizzazioni. Io e mio marito abbiamo preso il Covid, dove, da chi e chi lo ha preso per primo non lo so. Abbiamo avuto i sintomi tipici del virus. Febbre alta, tosse, dolori e perdita dell’olfatto. Ora stiamo bene, quando sarò guarita e non sarò più pericolosa tornerò alla mia battaglia contro il Green pass».

Licenziata dalla polizia la vicequestore No Vax Schilirò. L’anno scorso la dirigente partecipò a una manifestazione contro il Green pass in piazza San Giovanni a Roma criticando duramente le scelte del governo sulla pandemia. Ignazio Riccio il 30 Settembre 2022 su Il Giornale.  

Era stata sospesa dal servizio, senza percepire lo stipendio, il 10 ottobre dello scorso anno; adesso è arrivato il licenziamento. È un periodo difficile quello che sta attraversando l’ormai ex vicequestore di Roma Nunzia Schilirò, destituita dalla Polizia in seguito alla sua posizione estrema, vicina ai No vax. Il 25 settembre 2021 la dirigente, originaria di Catania, partecipò a una manifestazione in piazza San Giovanni contro il Green pass. Le sue parole furono così trancianti da convincere i suoi superiori a sospenderla e a infliggerle ben sette provvedimenti disciplinari. A distanza di quasi dodici mesi è arrivata la doccia gelata.

Dalla divisa al fantasy: "Il mio manuale per essere liberi"

“Sono stata licenziata per aver esercitato il diritto costituzionale previsto dall'articolo 21. Quale libertà di espressione esiste in Italia?”, ha commentato Nunzia Schilirò sui social media. “Il 28 settembre 2022 – ha aggiunto – è stato decretato che i dirigenti di polizia sono schiavi del governo di turno”. L’ex vicequestore non si era fermata dopo la “punizione” e alle ultime elezioni si era candidata nella lista di Italexit, il movimento di Gianluigi Paragone che non ha superato lo sbarramento del 3%. Un anno fa dal palco di San Giovanni aveva tuonato: “Sono qui per dissentire con il Green pass che è assolutamente incompatibile con la nostra Costituzione. Nessun diritto può essere subordinato a un certificato verde”.

Oggi, dopo la destituzione definitiva, ha spiegato: “Licenziata per le mie dichiarazioni, per quelle sul palco e per tutte le mie successive. Quelle, per esempio, in difesa dei portuali di Trieste, aggrediti a colpi di idrante, quando stavano seduti a terra, con il rosario in mano”. Schilirò si è spinta anche oltre lanciando una stilettata ai vertici della polizia di Stato. “I condannati per il G8 di Genova in servizio e, in certi casi, addirittura promossi – ha evidenziato con amarezza – e io licenziata. Per ora devo combattere”. Infine ha affermato: “Ieri, probabilmente dopo che avevano fatto i conteggi delle elezioni e si erano assicurati che avessimo perso, mi è arrivata la destituzione”.

Da lastampa.it il 30 luglio 2022.

Si è tolta la vita nel suo ambulatorio a Vöcklabruck, in Alta Austria, una dottoressa che nei mesi scorsi aveva ricevuto ripetutamente minacce di morte dal mondo No Vax. La morte di Lisa-Maria Kellermayr ha suscitato sconcerto in Austria. Per lunedì è stata annunciata una commemorazione a Vienna. 

Il ministro alla Salute, Johannes Rauch, le cui dimissioni la dottoressa aveva chiesto appena due giorni fa sui social media, ricorda su Twitter l'impegno di Kellermayr per la salute pubblica. «La minacce di morte sono state una brutale realtà. L'odio è imperdonabile e deve finalmente cessare», ha aggiunto.

La dottoressa, che per un certo periodo ha vissuto sotto scorta, a giugno aveva chiuso temporaneamente e poi definitivamente il suo ambulatorio. Aveva anche speso 100mila euro nella messa in sicurezza dell'immobile. 

«Ho attivato troppo tardi il freno d'emergenza», aveva twittato Kellermayr poche settimane fa, postando anche alcune minacce ricevute che annunciavano prima l'uccisione dei suoi dipendenti davanti ai suoi occhi con un fucile e «con una siringa di vaccino nel cuore», mentre lei stessa sarebbe morta durante una lobotomia.

Secondo gli inquirenti austriaci le minacce anonime sono arrivate dalla Germania. Un procedimento della procura di Wels contro un cittadino tedesco è stato archiviato perché le autorità austriache sono state ritenute non competenti. La polizia ha respinto oggi accuse di immobilismo, sollevate dalla stampa e nei social media.

Giulio Gori e Valentina Marotta per corriere.it il 14 luglio 2022.

I vaccini sono «sperimentali», «talmente invasivi da insinuarsi nel Dna alterandolo». E «dopo l’esperienza del nazi-fascismo» non si può «sacrificare il singolo individuo per l’interesse collettivo». 

Le frasi choc sono parte delle motivazioni di un provvedimento urgente con cui la giudice Susanna Zanda, della Seconda Sezione Civile del Tribunale di Firenze, ha per il momento reintegrato una psicologa toscana, che otto mesi fa era stata sospesa dall’Ordine professionale regionale, perché non in regola con l’obbligo vaccinale di legge per le professioni sanitarie.

Non si tratta di una sentenza, la causa tra la psicologa e l’Ordine riprenderà a settembre, ma almeno per ora la giudice ha dato ragione alla professionista. «La sospensione dell’esercizio della professione — recitano le motivazioni — rischia di compromettere beni primari dell’individuo quale il diritto al proprio sostentamento e il diritto al lavoro». 

Oltre al riconoscimento del diritto alla psicologa a poter lavorare, malgrado l’obbligo vaccinale sia legge dello Stato, a colpire sono i passaggi in cui le motivazioni entrano nel merito della questione vaccini.

Prima la giudice afferma che l’articolo 32 della Costituzione «dopo l’esperienza del nazi-fascismo non consente di sacrificare il singolo individuo per un interesse collettivo vero o supposto e tantomeno consente di sottoporlo a sperimentazioni mediche invasive della persona, senza il consenso libero e informato». 

Poi, riprendendo un argomento caro ad alcuni gruppi no-vax, sostiene che i vaccini sarebbero «trattamenti iniettivi sperimentali talmente invasivi da insinuarsi nel suo Dna alterandolo in un modo che potrebbe risultare irreversibile, con effetti ad oggi non prevedibili per la sua vita e salute».

La motivazione, inoltre, richiama una sentenza della Corte di Giustizia europea, secondo cui il giudice nazionale ha «l’obbligo di disapplicare qualsiasi disposizione nazionale contraria a una disposizione del diritto dell’Unione» e cita casi di decisioni simili, sulla revoca delle sospensioni dal lavoro, già prese in Italia nei mesi scorsi dai Tribunali di Padova, Sassari, Velletri e Roma e dai Tar di Lombardia, Piemonte e Roma. 

La giudice tuttavia cita anche i «numerosi Tar» che, invece, hanno rimesso la legittimità costituzionale dei decreti legge sull’obbligo vaccinale alla valutazione della Consulta.

Di fronte a una tale decisione, mentre sui canali Telegram i gruppi no vax festeggiano parlando di «un precedente che potrebbe vale per tutti», l’Ordine degli psicologi della Toscana invece annuncia battaglia in aula: «L’Ordine sta lavorando con i propri legali per difendersi attraverso le più opportune forme e nelle sedi preposte, nel rispetto della legge e a tutela della salute della comunità — recita una nota —Ricordiamo a tutti che gli ordini sanitari, quale è l’Ordine degli psicologi della Toscana, sono obbligati a rispettare il decreto legge 44 del 2021 sull’obbligo vaccinale». E conclude: «Non accetteremo obtorto collo questo provvedimento. Pertanto ci opporremo nelle opportune sedi».

La scienza «impone» di prendere decisioni ma mai senza capire. La guerra scoppiata nell’incredulità di molti di noi alla fine di febbraio, ci ha distratto da quella all’epidemia che ci accompagna dall’inizio del 2020. Pino Donghi su La Gazzetta del Mezzogiorno il 12 Luglio 2022.

In una bella sequenza de Il mio amico Einstein, un film per la televisione del 2008, quello che diventerà «Sir» Arthur Eddington, l’astrofisico inglese che avrebbe dimostrato la fondatezza teorica delle scoperte di Albert Einstein sulla relatività generale, in un moto d’esaltazione sparecchia la tavola dove si sono appena seduti sua sorella Winni e l’amico collega Frank Dyson (suo il segnale orario di Greenwich): ai due chiede di tenere la tovaglia sospesa per i lembi, quindi vi getta sopra una pagnotta e chiede loro cosa vedano.

Eddington ha appena ricevuto una lettera da Albert Einstein e ha capito che la curvatura dello spazio-tempo è ciò che spiega la forza di gravità: se la tovaglia è lo spazio e la pagnotta un corpo celeste, questa deforma lo spazio intorno a sé, e se sul bordo della tovaglia-spazio si getta ora una mela, con una massa molto inferiore a quella della pagnotta, la mela girerà ellitticamente per un po’ prima di precipitare sul corpo di massa-gravità maggiore. Semplice, no? Se recuperate la sequenza, su Youtube, ne sarete ancora più convinti.

Tutto qui il genio di Einstein? Era così facile? La risposta ovviamente è «no», ad entrambe le domande. La capacità di Einstein di «vedere» gli esperimenti di pensiero rimane unica, e se un buon film riesce a darci appena un’idea di cosa significhi la convergenza di gravità e spazio-tempo, per capire veramente i principi della teoria della relatività forse non basta una vita di studi.

A pensarci, un’ovvietà. Se ci diciamo da diverso tempo che l’estrema specializzazione di ogni disciplina scientifica (ma perché, in Economia? nel Diritto?) rende sostanzialmente incomprensibile la biologia molecolare a chi si occupa di fisica delle particelle, non stiamo affermando, per quanto sconsolati, che la divulgazione dei saperi complessi è una necessità costantemente frustrata dalla sua effettiva possibilità? Pure bisogna provarci.

In quello stesso film, per altro, si racconta dell’obiezione di coscienza di Eddington – siamo nel pieno della prima guerra mondiale - un quacchero che dovrà subire la contestazione di non pochi xenofobi inglesi antipacifisti; nonché della fiera opposizione di Albert Einstein al germanico Manifesto al mondo civile degli intellettuali tedeschi sostenitori della guerra e, più che altro, alla sua denuncia dell’uso dei gas asfissianti al cloro nella battaglia di Ypres. La politica e la scienza si scontrano: la disputa tra la nuova teoria di Einstein e la tradizionale sistemazione di Newton, che «non possono avere entrambi ragione» diventa confronto tra la scienza inglese e quella tedesca: Einstein sarà cacciato dalla sua università, Eddington si opporrà al bando degli scienziati tedeschi da Cambridge giacché «la ricerca della verità nella scienza trascende i confini nazionali».

Viene fatto di pensare, da una parte alla collaborazione sulla ISS, l’International Space Station, messa a dura prova dal conflitto riusso-ucraino, dall’altra agli sforzi congiunti contro l’epidemia da Covid-19, che prima hanno permesso alla comunità scientifica internazionale di sequenziare il genoma del virus, e poi di approntare una campagna vaccinale in tempi che, altrimenti, sarebbe stato ardito anche solo immaginare.

Viene fatto di tornare alla lezione di uno dei massimi storici della scienza del secolo scorso, l’italiano Paolo Rossi: «Sono convinto che la storia abbia molto a che fare con le immagini della scienza (vale a dire i discorsi su ciò che la scienza è e deve essere) che sono presenti nella cultura. Sulla base di una determinata immagine della scienza […] vengono soprattutto scelti i problemi da risolvere entro la sterminata quantità di problemi che si presentano aperti ad un’indagine possibile. Ciò che appare oggi saldamente codificato e come tale trasmesso dai manuali di fisica o di biologia, ciò che appare oggi ovvio e naturale è invece il risultato di scelte opzioni, contrasti, alternative».

La guerra scoppiata nell’incredulità di molti di noi alla fine di febbraio, ci ha distratto da quella all’epidemia che ci ha accompagna dall’inizio del 2020: oggi, di nuovo, alcuni dati ci riportano alle preoccupazioni degli ultimi 30 mesi. E anche alle dispute e alla difficile divulgazione di temi e concetti per comprendere i quali, è giusto ricordarlo, non basta una vita di studi.

Ma per decidere, invece, sulle politiche da adottare, sulla scelta dei «problemi da risolvere entro la sterminata quantità di problemi che si presentano aperti ad un indagine possibile», è sufficiente, e necessario, allenare una cittadinanza attiva e scientificamente informata. Non che sia facile, ma bisogna discutere le opzioni, far emergere i contrasti, sollecitare la comprensione delle alternative. La politica deve coinvolgere i cittadini in un grande quanto ineludibile sforzo di elaborazione di ciò che «la scienza è e deve essere», e in quale tipo di società.

Intuire il significato del «campo di Higgs» non è impossibile, ma al più ci si avvicina per metafore e analogie; decidere in quali campi del sapere e della ricerca impegnare i fondi pubblici, è un’emergenza democratica.

Da ansa.it il 28 giugno 2022.

E' stata radiata dall'ordine dei Medici di Venezia la dottoressa Barbara Balanzoni, nota per le sue posizioni no vax, espresse in modo molto deciso sui social durante la pandemia. 

Balanzoni, che lavora come anestesista in libera professione in varie strutture sanitarie del Nord Italia, ha assunto - scrive l'Ordine - "con toni violenti e aggressivi", una posizione di totale rigetto di tutta la gestione della pandemia, "conducendo una campagna di aggressione verbale contro colleghi, ospedali, il ministero e lo stesso Ordine".

La radiazione è stata resa nota dallo stesso medico su twitter con questo commento: "Me ne fotto". 

Secondo l'Ordine di Venezia, la professionista "abusando della credibilità che il suo status professionale le attribuiva" avrebbe assunto "con toni estremamente violenti ed aggressivi, una posizione di completo e totale rigetto di tutta la gestione pandemica, dalla campagna vaccinale all'utilizzo del green pass". 

Nei post social con i quali ha annunciato la sua cancellazione dall'albo professionale, Barbara Balanzoni, 47 anni, emiliana, ha elencato tutti i nomi dei medici che hanno votato la sua radiazione. 

L'Ordine di Venezia - presso cui era iscritta - ha contestato all'anestesista anche i modi con i quali avrebbe manifestato le sue posizioni anti-vax, "insultando senza ritegno, usando frasi e parole volgari e scurrili". 

Il medico ha sostenuto in più occasioni di curare le persone malate di Covid a casa "ma non si è mai preoccupata di portare all'evidenza della comunità scientifica i risultati del suo lavoro". Le è stato inoltre contestato di "aver scoraggiato le persone dal recarsi in ospedale".

Da “La Zanzara – Radio24” il 29 giugno 2022.

“Me ne fotto, io colpita da provvedimenti aberranti senza motivazioni”. Così la dottoressa no vax Barbara Balanzoni a La Zanzara su Radio 24 dopo la radiazione dall’Ordine dei Medici di Venezia. 

“Io sono un medico e resto un medico”, continua Barbara Balanzoni. L’ Ordine dei medici come associazione a delinquere? “Lo sono, per il metodo usato ovvero bis quello mafioso”.

“Toni aggressivi contro i colleghi? Sono stata fin troppo buona, potevo essere più cattiva. Una comunità scientifica che mette a rischio una intera nazione. Il Governo nazista e assassino? Assolutamente si, erano studi viziati in una sperimentazione di questa portata”

E aggiunge: “Sono maiali di Satana, perché non puoi scendere con loro a compromessi. Il vaccino ha ucciso almeno 11mila persone. Non faró mai nessuna dose.” 

Sulla guerra invece Barbara Balanzoni, a La Zanzara su Radio 24, ha preso le parti di Vladimir Putin:  “Se guardiamo i valori che rappresenta e quelli che invece rappresenta la NATO mi sembra l’unica persona che merita rispetto. Il regime di Putin è meno grave del Draghistan”

Andrea Ossino per Repubblica - Roma il 2 giugno 2022.

Giudici, ex pm, carabinieri in pensione, attori, medici, preti, produttori televisivi e dipendenti di palazzo Chigi. È un coacervo di nomi, quello presente negli atti accumulati dai pubblici ministeri che indagano sui falsi vaccini certificati dal dottor Alessandro Aveni. Il caso è lo stesso per cui è indagato Pippo Franco, la moglie e il figlio Gabriele. E anche un ex magistrato della Procura di Roma, adesso in pensione. E poi il medico dei Vip Antonio De Luca, professore universitario e consulente del Tribunale di Roma. 

Sono 13 le persone finite nel registro degli indagati. Tuttavia negli atti redatti grazie al lavoro dei carabinieri del Nas, coordinati dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dal sostituto Alessandra Fini, compaiono anche altri 80 nomi, come quelli dell'attore Andrea Roncato e della moglie. E poi il produttore cinematografico Vittorio Cecchi Gori. E ancora un prete, un giudice di pace, un ex generale di brigata dei carabinieri ( adesso in pensione) e anche una dipendente di palazzo Chigi.

Non sono indagati. Gli investigatori li hanno inseriti negli atti perché si tratta dei pazienti che hanno sottoscritto i moduli di consenso per farsi somministrare il vaccino dal medico di base Aveni, un odontoiatra con studio a Colli Albani, finito ai domiciliari e poi liberato dai giudici del Riesame. Proprio su questi documenti i Nas ritengono che ci siano delle anomalie e quindi stanno approfondendo la faccenda. È un mondo variegato, quello dei pazienti che si sono rivolti al dottore di Colli Albani, anche se abitavano in diverse parti della Capitale. 

Del resto, secondo le accuse, a procurare i " clienti" al medico era il collega Antonio De Luca, che di personalità importanti ne conosceva parecchie. Sul suo profilo social ci sono foto con diversi vip: da Vittorio Cecchi Gori fino al commissario per l'emergenza Francesco Paolo Figliuolo passando per Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Virginia Raggi. Nel profilo Facebook del medico ci sono ancora le dirette in cui sminuiva la pericolosità del Covid proprio quando i camion dell'esercito trasportavano da Bergamo le bare delle persone uccise dal coronavirus. Ma non è per questo motivo che De Luca è indagato.

Secondo i Nas avrebbe aiutato Aveni, accusato di aver simulato alcune vaccinazioni per far ottenere il Green Pass anche a chi non ne aveva diritto. « Per il vaccino Pfizer erano state registrate 185 dosi a fronte delle 150 ricevute» dal dottore, sostiene l'accusa. «Calcolando un utilizzo di sei dosi a fiala », i conti non tornano. E poi ci sono indagati che, nel giorno in cui si sarebbero sottoposti al vaccino, erano in un hotel ai Parioli, oppure in Calabria con la famiglia: « è impossibile quindi che gli stessi abbiano ricevuto a Roma la somministrazione della seconda dose del vaccino dall'Aveni», si legge negli atti. Una recita messa in scena perché « ci sono tanti casi in ospedale di effetti collaterali di vaccini che non dicono in televisione » , commentavano gli indagati.

Beffa per Brusaferro, anche all'Iss ci sono i no vax. E piazzano il sindacalista no green pass. Il Tempo il 10 aprile 2022.

Anche nel tempio della sanità "ortodossa" e della lotta al Covid ci sono i no vax. Clamoroso all'Iss, dove "circa il 5% dei 1.900 dipendenti è o Vax: non si è vaccinato o comunque non ha il Green Pass". A parlare  è un interno, Roberto Papi, sindacalista dell'Anief che è riuscito a farsi eleggere tra i 21 rappresentanti dell'ìstituto retto da Silvio Brusaferro che sarebbe circondato da un centinaio di no vax. 

"Alcuni di loro sono stati allontanati dal lavoro: per evitarlo c'è chi ha anche provato a contagiarsi" spiega il sindacalista al Corriere che riporta anche una battuta che circola tra i corridoi dell'istituto di viale Regina Elena: "Qual è il colmo per un dipendente dell'Istituto superiore della Sanità? Non credere all'Istituto superiore di Sanità". Il segretario nazionale del sindacato, Marcello Pacifico, ha battagliato con durezza contro il green pass ma Papi dice di essere vaccinato: "Siamo persone libere: non possiamo accettare nessuna imposizione". All'Iss "noi abbiamo raccolto 57 voti, ma sono almeno un centinaio, da quello che sappiamo, i dipendenti che non si sono vaccinati" spiega. Inoltre in tutti gli enti di ricerca - Ispra, Enea, Igv - il sindacato no green pass ha preso voti ed è riuscito a rientrare nelle rappresentanze interne. 

Paolo Russo per “La Stampa” l'8 aprile 2022.

Circa due milioni di over 50 No Vax troveranno nell'uovo di Pasqua la multa di 100 euro prevista per chi non si è vaccinato. Ma per 800 mila di loro, contagiatisi negli ultimi mesi e per questo non tenuti a fare la puntura, sarà solo l'inizio di un incubo. 

Perché, ricevuto l'avviso di pagamento da Equitalia, spetterà ora ai guariti, così come agli esenti da vaccinazione per motivi sanitari, documentare alla propria Asl di essere in regola. E dovranno farlo entro 10 giorni. Dopo di che potranno solo incrociare le dita, perché nello stesso arco di tempo spetterà alla stessa azienda sanitaria trasmettere la documentazione all'Agenzia della riscossione.

Un groviglio burocratico che rischia di beffare i non vaccinati guariti dal Covid ma non per questo immunizzati dalla burocrazia. Sì, perchè il contorto iter messo in piedi dal decreto che ha introdotto l'obbligo e le sanzioni per gli over 50, prevede che se ad Equitalia non arriverà l'ordine di sospendere il procedimento di riscossione, sarà lei stessa autorizzata ad emettere entro 180 giorni un nuovo avviso di addebito.

A quel punto chi avrà ricevuto ingiustamente la multa avrà due sole uscite davanti a sé: pagarla, oppure opporsi al Giudice di Pace, con l'Avvocatura dello Stato che però assume il patrocinio dell'Agenzia delle entrate. Mentre chi quella multa non avrebbe mai dovuto riceverla dovrà pagarsi di tasca propria le spese legali.

Il ruolo di Equitalia e Asl Una situazione nella quale da qui a fine mese si ritroveranno in tanti. Il ministero della Salute nei giorni scorsi ha infatti inviato ad Equitalia un listone con circa due milioni di inadempienti. Ma come testimoniano le ultime tabelle della oramai deposta struttura commissariale, dai 50 anni in su si contano un milione e 177 mila non vaccinati, al netto dei guariti, che sono dunque poco più di 800 mila.

Ai quali poi andrebbero aggiunti gli esentati (pochi in verità) per motivi sanitari. Nominativi che non sarebbero mai dovuti essere recapitati all'Agenzia delle riscossioni, perché la procedura messa in piedi dal decreto prevede che gli inadempienti all'obbligo di vaccinazione vengano rilevati dal Sistema Tessera Sanitaria gestito dalla società informatica del ministero del Tesoro, la Sogei. 

Che a sua volta avrebbe dovuto incrociarli con quelli della banca dati dell'anagrafe vaccinale nazionale, alimentata dalle Regioni. In più sulla tessera sanitaria si sarebbero dovuti registrare i certificati di avvenuta guarigione dal Covid, trasmessi da medici di famiglia e Asl. E qui evidentemente ci deve essere stato l'intoppo.

Groviglio burocratico che non ha impedito però di accendere la macchina della riscossione. Il ministero della Salute ha fatto sapere ieri di aver iniziato ad inviare gli elenchi di chi non si è sottoposto a vaccinazione e che al momento sarebbe stato spedito o sarebbe in via di spedizione tra questa e l'inizio della prossima settimana un primo lotto di circa 600 mila multe.

In Lombardia gli invii sono già iniziati e da qui a martedì le missive raggiungeranno a mezzo posta o tramite Pec 91.943 inadempienti, o presunti tali. Come informa la Regione, «coloro che intendono comunicare l'eventuale certificazione relativa al differimento o all'esenzione dell'obbligo vaccinale, ovvero altre ragioni di assoluta e oggettiva impossibilità, possono rivolgersi, entro il termine perentorio di 10 giorni dalla ricezione della comunicazione di avvio del procedimento sanzionatorio da parte dell'Agenzia delle Entrate, alle Asst territorialmente competenti per residenza anagrafica, inviando una Pec o presentando al protocollo la necessaria documentazione».

Peccato che poi le Asl, già di loro oberate di lavoro, debbano verificare la documentazione e comunicare lo stop ad Equitalia sempre entro 10 giorni. E se non ce la faranno, a finire bloccati negli ingranaggi della macchina amministrativa saranno i No Vax che speravano di averla spuntata guarendo dal Covid. Non facendo però i conti con il virus della burocrazia.

Multata per la mancata terza dose di vaccino anche se è morta da 23 anni. Ferruccio Pinotti su Il Corriere della Sera il 9 Aprile 2022.

L’agenzia delle Entrate non effettua l’incrocio con le altre banche dati e invia la richiesta di sanzione da 100 euro a una signora scomparsa in un incidente. Sconvolti la madre e i parenti: «Riaperta una ferita dolorosa per una evitabile ingiustizia amministrativa». 

La sanzione per la terza dose ricevuta da Domenica De Stefano, mancata nel ‘99

Multata dalla Agenzia Entrate per non aver effettuato la terza dose di vaccino anche se è mancata oltre vent’anni fa: in tempi in cui l’incrocio tra banche dati dovrebbe essere la regola e avvenire in automatico, è questa l’incredibile storia di Domenica De Stefano, che era residente a Napoli, nata nel ‘71 ma purtroppo mancata a soli 28 anni in seguito a un incidente stradale. A casa della madre è stata recapitata una lettera dell’Agenzia Entrate la quale riporta: «Il ministero della Sanità Le comunica - ai sensi della legge vigente - l’avvio del procedimento Sanzionatorio per l’inosservanza dell’obbligo vaccinale primario (...) La sanzione dovuta è di euro 100».

Lo smarrimento della famiglia

Sconvolta la famiglia. Il cognato della signora De Stefano racconta: «La sorella di mia moglie è deceduta nel ‘99 per un incidente, avrebbe compiuto 51 anni e per questo ha ricevuto la multa per relativa alla terza dose di vaccino nonostante per ovvie ragioni non avesse fatto né la prima né la seconda. È stato anche uno shock psicologico perché ha riaperto una ferita mai rimarginata per quella gravissima perdita. Mia cognata risiedeva a Napoli ed è mancata a 28 anni, poco prima del matrimonio. Al momento cerchiamo di capire come rispondere a questa assurda richiesta. Con gli attuali sistemi elettronici che sono totalmente interconnessi queste cose non dovrebbero succedere».

Il decreto Covid per gli over 50

Il decreto Covid del 5 gennaio 2022 prevede che gli over 50 saranno multati anche se non fanno la terza dose entro i tempi di validità del greenpass, oppure per evitare la multa dovranno comunicare l’eventuale esenzione entro 10 giorni dalla ricezione dell’avviso. Possono essere esentati dall’obbligo i soggetti over 50 per motivi di salute - certificati - che rendono impossibile o differibile la vaccinazione. Ma la certificazione deve essere inequivocabile e riportare «ragione di assoluta e oggettiva impossibilità».

Gli obblighi ancora in vigore

L’obbligo vaccinale prevede la somministrazione dell’intero ciclo, che include anche la dose booster di richiamo (terza dose). A partire dal 15 Febbraio 2022 per i lavoratori over 50 che non sono in possesso di green pass rafforzato è scattata una sanzione che va dai 600 euro ai 1500 euro. L’obbligo di vaccino è per tutti gli over 50, quindi tutti i lavoratori a prescindere dal fatto che lavorino in presenza o in smartworking ed anche per i disoccupati/inoccupati.

Lorena Lo Iacono per leggo.it il 31 marzo 2022.

Da domani i docenti no vax, sospesi a gennaio, potranno tornare a scuola. Ma non in classe, quindi di fatto tornano in servizio ma senza insegnare. Nel decreto legge sulle disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto al Covid, è previsto che dal 1° aprile i docenti no vax, sospesi perché non in regola con l’obbligo vaccinale, possono tornare in servizio ma con altre mansioni perché non possono entrare in contatto con gli studenti.

Ma quali sono allora le altre mansioni riservate a un docente? Per i presidi la risposta non c’è. Il problema è proprio questo: nelle scuole, ad oggi, non è chiaro cosa faranno i docenti no vax che rientrano in servizio né è chiaro dove potranno stare nei locali della scuola. Si tratta di 3812 insegnanti in tutto, ad esclusione del personale ata come bidelli, tecnici di laboratorio e segreteria: 411 torneranno in servizio nelle scuole dell’infanzia, 1095 nelle scuole elementari, 785 nelle scuole medie e 1521 alle superiori.

Sulle regioni più numerose, come Lazio e Lombardia, si stima una presenza di circa 400 docenti no vax pronti a rientrare. La classe per loro è off limits ma lo è anche la biblioteca perché negli stessi locali possono accedere gli alunni. In segreteria vale lo stesso principio, oltre al fatto che potrebbero crearsi malumori con il personale in servizio, già vaccinato. 

«E’ una beffa: gli si paga lo stipendio per non lavorare – ha denunciato Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale dei presidi – non esistono mansioni per gli insegnanti che non prevedono il contatto con gli studenti. Non solo, visto che il docenti non sta in classe, dobbiamo tenere al suo posto un supplente quindi paghiamo due stipendi sulla stessa cattedra: così si sottraggono risorse per il rinnovo contrattuale degli insegnanti”.

Non è possibile neanche demansionare i docenti, ma altri ruoli di pari livello non ci sono. In una nota del ministero dell’istruzione si spiega che il docente potrà riprendere le attività di supporto all’istituzione scolastica, con mansioni di carattere “collegiale, di programmazione e progettazione, di ricerca, valutazione, documentazione, aggiornamento e formazione». Alla didattica, però, ci pensano i precari.

Altro che dittatura sanitaria. Gli insegnanti che sostituiscono i prof no vax sono senza stipendio da quattro mesi. Lidia Baratta su L'Inkiesta il 31 Marzo 2022.

Dal primo aprile, i circa 3.800 docenti non vaccinati sospesi rientreranno a scuola, saranno retribuiti, ma non potranno fare lezione. Le “supplenze Covid” serviranno ancora e il governo ha prorogato i contratti fino al 15 giugno. Ma dalla Ragioneria dicono di non aver ricevuto i fondi dal Miur per pagarli.

Dal primo aprile i circa 3.800 insegnanti no vax rientreranno a scuola. Non potranno entrare in contatto con gli studenti, per cui bisognerà capire come impiegarli. Ma torneranno a percepire lo stipendio. Il tutto, mentre docenti e bidelli del cosiddetto “personale Covid”, chiamati in emergenza per coprire le cattedre dei prof contagiati e soprattutto di quelli che si sono rifiutati di vaccinarsi, non vengono pagati da quattro mesi. Da dicembre, le buste paga per loro sono a zero.

Il ministero dell’Istruzione da poco ha chiarito in una circolare che le “supplenze Covid” saranno prorogate fino al 15 giugno e, solo per le maestre della scuola dell’infanzia, fino al 30. La legge di bilancio 2022 aveva stanziato i fondi fino al 31 marzo. Il decreto Ucraina, poi, ha stanziato ulteriori risorse per altri tre mesi: per le retribuzioni di supplenti e personale Ata – circa 55mila contratti – sono previsti altri 170 milioni di euro e il Fondo per l’emergenza Covid per la scuola viene incrementato nel limite di spesa di 30 milioni.

Ma i soldi, appunto, al momento non si vedono. E le migliaia di insegnanti e bidelli che finora hanno fatto da tappabuchi ai colleghi no vax, sospesi per via dell’obbligo vaccinale previsto dal governo per il personale scolastico, da dicembre non percepiscono nulla in busta paga.

Dalla Ragioneria dello Stato hanno spiegato che «l’insufficiente stanziamento di fondi da parte del Miur impedisce al Noipa di pagare». Il Noipa è la piattaforma del ministero dell’Economia usata per la gestione degli stipendi dei dipendenti pubblici. I fondi devono arrivare dal Miur. E se non arrivano, insomma, il sistema non può erogare gli stipendi. Il processo per il pagamento risulta poi macchinoso e articolato e questo ha provocato ulteriori ritardi.

Sulla questione, la deputata del Partito democratico Chiara Gribaudo ha presentato un’interrogazione al ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi e al ministero dell’Economia Daniele Franco, che ora dovranno rispondere in aula.

Anche perché le “supplenze Covid”, nonostante la fine dello stato d’emergenza del 31 marzo, serviranno ancora fino alla fine dell’anno scolastico. Le nuove misure di allentamento che scatteranno dal 1 aprile prevedono comunque l’obbligo vaccinale per gli insegnanti fino al 15 giugno. Dopo il 31 marzo, però, i presidi non potranno più impedire ai docenti no vax sospesi l’ingresso a scuola, ma dovranno destinarli ad altre mansioni. Di fatto, non potranno insegnare, ma potranno partecipare alla programmazione o alle riunioni dei docenti. E quindi torneranno a percepire lo stipendio. Tuttavia i sostituti in aula serviranno ancora, anche dopo il suono dell’ultima campanella di metà giugno, visto che per molte classi ci saranno gli esami da organizzare.

Dalla relazione tecnica che ha accompagnato il decreto legge del 24 marzo sulla fine dello stato d’emergenza emerge che gli insegnanti no vax sospesi sono 3.812. Di questi, 2.677 sono di ruolo e 1.135 no. Prendendo come base questa platea, sono stati stanziati anche altri 29,2 milioni per la loro sostituzione. Risorse che però arrivano, per metà, dal Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa, che è stato aumentato con la manovra 2022 con l’obiettivo di accrescere la dote finanziaria a disposizione per il rinnovo del contratto della scuola.

In pratica, non solo dal 1 aprile i prof no vax torneranno a percepire lo stipendio senza insegnare, mentre chi li sostituisce non vede un euro da dicembre. Ma a pagare il prezzo della loro sostituzione rischiano pure di essere i prof regolarmente vaccinati.

Anche per il vaiolo spuntarono i no vax. Annabella De Robertis su la Gazzetta del Mezzogiorno il 22 Marzo 2022. 

Mentre il Governo si prepara per la Conferenza di Genova, prevista per aprile – si tratta dell’incontro internazionale tra i Paesi vincitori del Primo conflitto mondiale per discutere della ricostruzione economica dell’Europa devastata dalla guerra – in seconda pagina sul «Corriere delle Puglie» del 22 marzo 1922 leggiamo un importante appello ai cittadini diramato dall’Ufficio Sanitario: tutti i genitori sono invitati a far vaccinare i propri bambini contro il vaiolo. La cosiddetta «vaccinazione ienneriana», obbligatoria per i nuovi nati a partire dal 1888, si esegue gratuitamente tutti i giorni.

Da pochissimo la Terra di Bari si è ripresa da una violenta epidemia di questa malattia, il cui picco si è registrato nel 1918, innescata probabilmente dal rientro di soldati e di prigionieri dal fronte macedone e albanese. In quell’occasione si era messa in moto una complessa macchina per la profilassi e, all’obbligo governativo, si erano aggiunte anche singole ordinanze comunali e prefettizie per spingere tutta la popolazione alla vaccinazione. Bari non aveva ancora un adeguato sistema fognario e di depurazione delle acque nere ma, soprattutto, si legge nelle cronache, si era diffusa una certa

diffidenza verso i vaccini, innescata da una insensata propaganda ostile. Nel marzo 1922 ancora numerosi sono coloro che non si presentano all’Ufficio Sanitario. Sul «Corriere» appare con grande chiarezza che tale pratica non presenta alcun pericolo ed è, anzi, efficacissima: «I vaccinati, anche quando presi dall’infezione, lo sono in forma mite». Si ricorda, infine, ai contravventori che saranno deferiti alle autorità competenti: «Bisogna che i genitori riflettano bene quanta responsabilità si assumono a mettersi contro il consiglio dei competenti, e in quali rimorsi potrebbero incorrere!», ammonisce il «Corriere». L’obbligo della vaccinazione contro il vaiolo sarà abolito in Italia solo nel 1981, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità avrà decretato definitivamente eradicato il vaiolo.

Da Bovino...per la cattedrale Dopo anni di disonorevole abbandono, il nuovo Soprintendente per i Monumenti e Scavi ha disposto la chiusura della Cattedrale di Bovino per urgenti lavori di restauro. La lentezza burocratica non giova, tuttavia, alla tutela dell’edificio romanico: preoccupanti sono le lesioni a schiacciamento prodotte nella navata centrale e il prospetto esteriore, nonostante la scarpata applicata dal Genio civile, minaccia di staccarsi definitivamente...

Il manifesto no-vax di Susanna Tamaro arriva sul Corriere della Sera: Va’ dove ti porta il qr. SELVAGGIA LUCARELLI su Il Domani il 16 febbraio 2022

La scrittrice, con toccante modestia, nella sua lettera pubblica premette che disturba Mario Draghi perché il Paese ha bisogno di una riflessione seria.

Si capisce subito che la riflessione è seria, perché parte da un dato empirico: lei da anni trascorre settimane in un paesino sulle Alpi perché «ha bisogno della quiete data dalla neve per raggiungere la parte più profonda della creatività».

Partita con gli scarponcini rotti pensando di ricomprarli lì, nel suo negozietto di fiducia, le era scaduto il green pass e non è potuta entrare. Tragedia. 

Ho letto l’accorata lettera che Susanna Tamaro, sul Corriere della sera, ha scritto al premier Draghi e ammetto di avere riletto la firma più volte pensando di aver capito male, che quella Susanna magari fosse Susanna Ceccardi o che quel “Tamaro” fosse Tammaro, il Tony Tammaro dell’indimenticato album Da granto farò il cantanto.

Invece no, niente svista, era lei, la scrittrice, la quale con toccante modestia, premette che disturba Mario Draghi perché il Paese ha bisogno di una riflessione seria. E si capisce subito che la riflessione è seria, perché parte da un dato empirico: lei da anni trascorre settimane in un paesino sulle Alpi perché «ha bisogno della quiete data dalla neve per raggiungere la parte più profonda della creatività». E ora si consuma la tragedia. 

Partita con gli scarponcini rotti pensando di ricomprarli lì, nel suo negozietto di fiducia, le era scaduto il green pass e non è potuta entrare. E quindi niente, tutti lì a immaginarci questa scena straziante in cui Susanna Tamaro si trascina nella neve con i piedi infestati dai geloni, i pollicioni intorpiditi dall’ipotermia e le sopracciglia congelate come quelle di Jack nel labirinto di Shining.

Tra parentesi, visto che era il negozio in cui si serve da anni «per fedeltà agli esercenti», viene da chiedersi che razza di infame sia questo negoziante che non le ha venduto neppure uno stivaletto anti-pioggia passandoglielo dalla finestra. Comunque. Eravamo rimasti alle riflessioni finalmente serie e al labirinto di Shining, non ci perdiamo.

La scrittrice aggiunge quindi che il suo «soggiorno creativo si è trasformato in un esilio civile: niente caffè al bar, non ho potuto neppure comprare dei francobolli alla posta». E qui un’altra immagine straziante: Susanna Tamaro al freddo, con le dita dei piedi che sono ormai stalattiti di ghiaccio, non può inviare una lettera a una stazione di sosta per diligenze perché un cocchio si arrampichi sulle montagne per riportarla a casa.

Lei, povera, non aveva capito che dopo due vaccini bisognava fare il booster entro sei mesi. E comunque aveva gli scarponcini rotti e l’hub mica uno ce l’ha sotto casa, non dimentichiamolo. La lettera a Draghi, complice la confusione da ipotermia, a questo punto diventa una raffica di tormentoni da commentatore medio di Diego Fusaro: «Se equipariamo i vaccinati con due dosi ai no vax affermiamo la totale inefficienza del vaccino», «i nostri politici ci invitavano ad abbracciare i cinesi», «le cassandre del piccolo schermo» e così via. Serve concentrarsi molto sui suoi piedi ormai crepati dal freddo,  per concederle clemenza. Solo che la lettera va avanti.

Tamaro racconta che nei boschi popolati da marmotte e camosci ha visto diabetici e cardiopatici inseguiti da forze dell’ordine. Ora, a parte che manca l’elefante e sembra la scena di un film di Paolo Sorrentino, vorrei capire come facesse a conoscere le cartelle cliniche degli escursionisti e il perché di questi inseguimenti.

Forse s’è trovata in mezzo al campionato di soft air con quei tizi che si sparano pallettoni nel sedere e non ha capito. E aggiunge poi che sempre le forze dell’ordine ormai fanno irruzione nei parrucchieri di paese per chiedere il green pass alle anziane che fanno la permanente.i Tra parentesi, io a chi si fa ancora la permanente nel 2022 chiederei anche l’autografo perché l’ultima permanente avvistata è quella di Madonna in Cercasi Susan disperatamente.

Seguono poi altre perle, da «gli scienziati e gli esperti hanno insultato chi esita a vaccinarsi», «vaccinati e non vaccinati si contagiano tutti», «ho gli anticorpi molto alti perché devo vaccinarmi?» e, perla delle perle, «comunicare ogni giorno per due anni il numero dei morti al tg costituisce un danno gravissimo per l’equilibrio delle persone, (…) questa condizione rende debolissimo il loro sistema immunitario». In pratica Enrico Mentana è più letale del virus. Qui ammetto che il pensiero dei suoi piedi lividi, gonfi come un panettone, ormai prossimi a staccarsi dalle caviglie, mi è venuto in aiuto. Ho tollerato.

Ho tollerato anche il passaggio finale in cui Tamaro invita Draghi a ricordare quando giocava a nascondino (quando noi giocavamo a nascondino Draghi redigeva analisi di bilancio per l’asilo, che ne sa lei) e a dare il “tana liberi tutti”. Perché «tanto prima poi moriremo tutti», dice (mo’ me lo segno).

Ho resistito. Finchè non ho letto «Con il super green pass una persona si sente super sicura e abbandona le cautele». Susanna Tamaro che utilizza il “super” a mo’ di rafforzativo come Chiara Ferragni. Ecco, lì non ho più avuto pietà, neppure per i suoi piedi. Va’ dove ti porta il qr, Susanna, ma ricordati le scarpe, la prossima volta. 

SELVAGGIA LUCARELLI. Selvaggia Lucarelli è una giornalista, speaker radiofonica e scrittrice. Ha pubblicato cinque libri con Rizzoli, tra cui l’ultimo intitolato “Crepacuore”. Nel 2021 è uscito “Proprio a me", il suo podcast sulle dipendenze affettive, scaricato da un milione di persone. Ogni tanto va anche in tv.

Tommaso Labate per corriere.it il 16 febbraio 2022.

«Se sono a favore dei vaccini? La situazione è quella che ho sempre detto: sono in mano ai medici per valutare quando farlo». E ancora, a rincarare una dose che evidentemente non era quella del vaccino, «seguo le prescrizioni mediche e mi fido dei dottori che stanno valutando che cosa fare e quando fare». 

Da quei giorni del settembre scorso, da quando cioè Virginia Raggi dichiarava di subordinare l’idea di vaccinarsi al consiglio del suo medico, sono passati cinque mesi. Le norme sono cambiate, il Covid-19 si è presentato con nuove varianti, la scienza ha fatto altri passi da gigante. Alle due dosi s’è aggiunta una terza, il green pass è stato approvato e poi rafforzato, per gli over 50 è scattato l’obbligo. Cinque mesi in cui è successo di tutto tranne una cosa, almeno a prendere per buone le parole dell’allora sindaca di Roma: il suo medico, questo vaccino, non gliel’ha mai consigliato. 

L’ex sindaca

Si spiegherebbe soltanto così, col massimo della buonafede riconosciuta, il fatto che Raggi non abbia il green pass rafforzato, quello che si ottiene con la vaccinazione (che verosimilmente non ha) o dopo aver contratto il Covid-19 (cosa che invece le è successa nel novembre 2020, quindi molto prima degli ultimi sei mesi). Certo, l’ex sindaca di Roma, non avendo cinquant’anni, non è soggetta all’obbligo.

Ma il suo mancato possesso del super green pass, la settimana scorsa, ha spinto i Cinque Stelle in una specie di trappola «logistica» rimasta finora al riparo da orecchie indiscrete: chi ha organizzato la discesa di Beppe Grillo nella Capitale, per capire se era possibile farla partecipare alle riunioni coi big del Movimento, prima ha cambiato albergo (dal Forum, di cui l’ex comico è un fedelissimo, al Parco dei Principi); poi si è dovuto arrendere al fatto che, senza green pass rafforzato, la Raggi comunque non avrebbe potuto accedere all’hotel. E infatti, alla fine, si è collegata via Skype. 

La protesta dei senatori

L’entrata in vigore dell’obbligo per gli over 50 accende intanto la protesta di una decina di senatori che hanno fatto ricorso contro l’applicazione della norma a Palazzo Madama. Tra questi c’è Mario Michele Giarrusso, che reagisce con tempismo da record a chi gli chiede come mai non si è ancora vaccinato. «Lei mi sta chiedendo del mio vaccino? Scusi, ma come si permette? Io per caso le chiedo che anticoncezionale ha usato lei o sua moglie?».

L’indomito senatore catanese, che insieme ad altri ex grillini come Gianluigi Paragone e Carlo Martelli sventola al Senato il vessillo del partito Italexit (anche Paragone e Martelli hanno fatto ricorso), si esibisce in una disquisizione di natura costituzionale mutuando dalle sue convinzioni «la certezza che dire no all’obbligo del green pass per entrare in Parlamento vuol dire opporsi a una norma fascista. 

Lo sa che cosa potrebbe accadere un domani?». Si fa la domanda poi si dà la risposta, seguendo lo schema reso celebre dal giornalista Gigi Marzullo: «Che una maggioranza potrà approvare una legge che impedisce l’ingresso al Senato a quelli che non sono alti oltre un metro e ottanta, non sono biondi, non hanno gli occhi azzurri... E poi, mi scusi: ma mica questo è un lavoro? Io sono un rappresentante della volontà popolare!».

Il ricorso

Emanuele Dessì, uscito dai Cinque Stelle dopo che il Movimento aveva deciso di votare la fiducia al governo Draghi, oggi rappresenta in Senato il Partito comunista di Marco Rizzo. Anche lui, ieri, ha presentato un ricorso contro il divieto d’accesso a Palazzo Madama agli over 50 non in possesso di green pass rafforzato. Ma i suoi toni sono diversi da quelli degli altri barricaderi. 

«Io credo nella scienza, nella medicina, nei vaccini. Sono un soggetto oncologico, se non ci credo io nella scienza non ci crede nessuno. Eppure sono contro l’obbligo di green pass che potrebbe tenere lontano dal lavoro un milione e mezzo di italiani. Non ha senso questa misura in questa fase della pandemia». Caro gli costerà non partecipare alle sedute e non percepire la diaria. «Le dirò: è giusto che io perda parte dello stipendio. Fare una battaglia vera comporta il doveroso pagarne le conseguenze. Che pago, mi creda, molto volentieri».

Claudio Mazzone per corriere.it il 10 febbraio 2022.

Pasquale Bacco è un medico che per due anni è stato alla testa dei no vax. Nelle piazze e sui palchi le sue parole, spesso violente, erano oro colato per quei milioni di italiani che si nutrono di teorie complottistiche. 

Oggi Bacco è tornato con i piedi per terra e guarda a quello che è successo in questi anni. Ora è convinto che il Covid uccida e che i vaccini siano la soluzione. La sua voce oggi la impegna per raccontare davvero cos’è il mondo no vax.

Come mai ha cambiato idea?

«Quando ho visto morire un ragazzo di 29 anni di Covid. Aveva nel telefonino i video dei miei comizi sui palchi no vax. La famiglia mi disse che era un mio fan. Non me lo dicevano con rabbia anzi, e questo mi ha fatto ancora più male. 

Quella morte me la sento come una mia colpa. E la cosa ancora oggi mi stravolge. Per me non era una questione di tifo, non era un credo. Quando ho visto con i miei occhi la realtà, ho capito che mi ero sbagliato». 

Come si è diventato uno dei leader no vax?

«Sono stato uno dei primi. Ero l’unico medico giovane con esperienza. Quello che dicevo era oro colato per persone impaurite e in cerca di certezza. 

Mi sono fatto tutti i passaggi, tutte le riunioni, ho parlato in 300 piazze. Conosco tutti i meccanismi interni, dal linguaggio che bisognava usare al sistema delle donazioni alle associazioni. Per questo ora mi temono e mi vorrebbero morto». 

Si sente in colpa?

«Credo che noi che siamo saliti su quei palchi qualche morto sulla coscienza ce l’abbiamo. Siamo stati dei grandi codardi tutti noi no-vax. Andavamo nelle piazze e quando parlavamo sapevamo che le persone volevano sentire cose forti.

Quindi provocavi sempre di più. E allora via con: Nei vaccini c’è acqua di fogna, le bare di Bergamo erano tutte vuote, con il Covid non è morto nessuno. Siamo stati veramente dei grandissimi bastardi, non mi nascondo, questa è la verità. Un giorno dovremmo rendere conto di queste cose. Purtroppo. Per questo ho chiesto perdono a tutti ma quel perdono non serve a nulla». 

Come si arriva a perdere la razionalità?

«Non te ne rendi conto. Perdi la testa pur essendo una persona razionale. In quel momento scatta un processo pericoloso. Quella no vax è una fede e tu diventi un dio. Ti chiamano perché è nato il loro figlio o per lasciarti la loro nuda proprietà. Entri in una follia assoluta. 

I no vax sono persone fortemente impaurite e trovano in te una sicurezza. Avevo tutto. I clienti privati si erano milluplicati. Per una visita potevo chiedere qualsiasi cifra. Come me tanti professionisti. Ci sono avvocati che chiedono decine di migliaia di euro per ricorsi che già sanno essere perdenti. Uno, ad esempio, ha fatto 8 class action ed è diventato milionario sulla la paura dei no vax».

Stiamo parlando di una vera e propria economia della paura no vax?

«Certo. Class action, web, fondazioni, clienti per tutti, dai medici ai ristoranti. Per questo c’è tanta gente che è terrorizzata che questa cosa finisca. E per questo la morte di Mimmo Biscardi, uno dei tanti pallonari creati a tavolino, non fa che portare vantaggi a questo sistema perché alimenta la voglia di rivalsa di un movimento che è una religione».

Dunque tanti soldi?

«C’è stata una mente economica dietro tutto questo. Per due anni era come se ci fosse un marchio no vax. Ristoranti, medici, avvocati, ingegneri geometri, insegnanti, un mondo di fornitori no vax pronti a ricevere clienti no vax».

E sulle associazioni?

«Le associazioni che fanno riferimento ai no-vax hanno conti in banca con 400mila euro. Le donazioni sono tantissime. Basta guardare di chi sono e chi le presiede per capire tutto. Sono tutti anzianotti benestanti. Il vecchio magistrato, il vecchio primario, il vecchio consulente legale. Tutti professionisti a fine carriera che hanno messo in piedi un giocattolo per la vecchiaia, per soddisfare le loro perversioni».

E la politica?

«L’infiltrazione politica nei no vax è presente. Eravamo un bacino elettorale enorme. Io ero presente quando i politici ci pagavano i palchi e ci chiedevano di dire qualcosa sugli argomenti locali in ogni piazza». 

Anche sulla comunicazione c’era qualcuno che vi indirizzava?

«Certo. Noi venivamo formati su cosa dire, e non da l’ultimo arrivato, ma da chi aveva diretto telegiornali nazionali. Poi si generava un processo spontaneo. Ad esempio quando sono salito sul palco l’ultima volta, al Circo Massimo, ero già ero in piena crisi.

Davanti a 15 mila persone ho detto che i vaccini immunizzano, che non potevamo continuare a dire il contrario. La gente però era in estasi, mi applaudiva lo stesso, c’erano persone che mi toccavano le gambe e piangevano. Nonostante dicessi il contrario di quello che pensavano non ascoltavano. Parlava un dio. Non poteva essere era Bacco l’eretico a tradirli era il loro l’udito. Ci sono tanti che ancora adesso sono convinti che ia stia facendo tutto questo per stanare i poteri forti che impongono il vaccino».

E ora cosa fa?

«Provo a rimediare ai miei errori, racconto, svelo i retroscena. Provo a far aprire gli occhi alle persone. Mi sono vaccinato, sono sospeso dall’ordine dei medici per 6 mesi e non ho fatto ricorso perché sento di aver sbagliato e accetto questa cosa. Ma ci sono tanti colleghi che invece si fanno tutte le piazze no vax e nono sono stati sospesi perché, in realtà, si sono vaccinati, d’altronde essere no vax può essere un business e l’occasione rende l’uomo ladro». 

Draghi o non Draghi. I segnali di Meloni e Salvini alla galassia no vax ci ricordano il rischio che ancora corriamo. Francesco Cundari su L'Inkiesta il 10 Febbraio 2022.

Auguriamoci che tutto vada per il meglio, che nuove varianti o altre sorprese non ci riprecipitino indietro, con effetti non prevedibili sulle reazioni della popolazione. Perché in molti sono già ai nastri di partenza, pronti ad alimentarle e sfruttarle nel modo peggiore.

A quanto pare, l’unica cosa su cui Giorgia Meloni e Matteo Salvini vanno ancora d’accordo è la necessità di non vaccinare i propri figli. Va detto che la surreale rincorsa tra i due, su un tema così delicato, potrebbe essere un effetto ottico determinato dal ciclo delle notizie e dei talk show. In questo caso, infatti, a rilanciare tutto il campionario degli pseudo-argomenti no vax sul vaccino «in sperimentazione», sul vaccino che non proteggerebbe dal contagio e sui giovani che avrebbero maggiori possibilità di essere colpiti da un fulmine che di ammalarsi gravemente per Covid, a onor del vero, è stata la leader di Fratelli d’Italia. Ma la sua uscita ha sollecitato una domanda analoga a Salvini, il quale ha risposto che neanche lui farà vaccinare la figlia.

Si tratta in ogni caso di prese di posizione pubbliche molto significative da parte di due dei principali esponenti della destra italiana. Significative perché sui vaccini persino i più sfrenati campioni del populismo mondiale, come Donald Trump e Boris Johnson, hanno tenuto una linea ben diversa. Anche qui, per essere precisissimi, bisognerebbe dire più il secondo del primo, ma è pur vero che lo stesso Trump, con tutte le sue ambiguità, quando ha parlato in un comizio delle sue tre dosi e il pubblico ha cominciato a fischiarlo (a riprova di quale pubblico si fosse ingraziato fino a quel momento), ha reagito con fermezza, vantandosi anzi di avere salvato milioni di vite proprio grazie all’impegno sui vaccini.

Naturalmente né Meloni né Salvini si sono mai sognati di schierarsi apertamente e nettamente contro i vaccini, perché perderebbero molti più voti di quelli che guadagnerebbero. La politica non è però sempre un gioco a somma zero. E anzi caratteristica della politica attuale è proprio la possibilità di sommare diversi spezzoni di elettorato con proposte e messaggi anche diametralmente opposti, almeno fino a un certo punto. Ed è giusto per non superare quel punto che il segnale diretto ai no vax deve mantenere un certo livello di ambiguità, così da essere riconosciuto e apprezzato da chi lo condivide, ma non infastidire troppo gli altri, e possibilmente passare addirittura inosservato. È quella che gli americani chiamano politica del fischietto a ultrasuoni (dog-whistle politics), ed è un’arte in cui l’estrema destra eccelle da sempre (un buon esempio è attaccare George Soros per avere finanziato Più Europa parlando di «soldi degli usurai», come fece qualche tempo fa un indimenticabile manifesto di Fratelli d’Italia).

Resta da capire perché Meloni e Salvini continuino a considerare conveniente un simile gioco. L’impressione è che, nella migliore delle ipotesi, ritengano utile mettere una fiche sulla galassia no vax, nel caso in cui le cose dovessero mettersi male, la situazione sfuggire di mano e lo scontro radicalizzarsi.

Intendiamoci, simili ambiguità percorrono la destra radicale in tutto il mondo, ma almeno in Europa si tratta per l’appunto delle frange più estreme: qui, se ai leader di Lega e Fratelli d’Italia aggiungiamo anche le posizioni di una parte del Movimento 5 stelle, che verosimilmente comprende anche l’ex sindaca di Roma, Virginia Raggi, siamo dinanzi a un fenomeno ben più largo.

Auguriamoci che tutto vada per il meglio, che nuove varianti o altre sorprese non ci riprecipitino indietro, con effetti non prevedibili sulle reazioni della popolazione. Perché in molti sono già ai nastri di partenza, pronti ad alimentarle e sfruttarle nel modo peggiore.

In ogni caso, la persistenza di queste posizioni in una così larga parte della destra italiana (comprendendo nella definizione anche quel pezzo del Movimento 5 stelle, com’è giusto fare) ci ricorda quali rischi ci aspettino, fuori dalla bolla di razionalità e pragmatismo in cui siamo miracolosamente riusciti a rinchiuderci con il governo Draghi. E con la rielezione di Mattarella, che altro non è stato che il modo più efficace di difendere quel precario e miracoloso equilibrio. Ma la situazione lì fuori, quanto ai rapporti di forza reali nella società, non è così diversa da quella del 2018: la differenza principale è che un quindici per cento circa di voti populisti sembra essere passato dal Movimento 5 stelle alla Lega nel 2019, e dalla Lega a Fratelli d’Italia tra 2020 e 2021 (che siano effettivamente gli stessi o si siano dati il cambio con altri ha poca importanza: astenersi esperti di flussi elettorali). Sta di fatto che il vaccino contro il populismo, evidentemente, non lo abbiamo ancora trovato.

Da adnkronos.com il 9 febbraio 2022.

"No". Risponde così il leader della Lega Matteo Salvini, ospite di 'The Breakfast club' su Radio Capital, alla domanda se sua figlia sia vaccinata contro il Covid, "Sono scelte che spettano a mamma, papà e pediatri - ha aggiunto - non sono certo di dibattito politico".

Ieri anche Giorgia Meloni aveva affermato: "Non vaccino mia figlia" contro il covid "perché il vaccino non è una religione, ma una medicina, quindi valuto i rapporto rischi-beneficio". "Le possibilità che un ragazzo muoia di covid sono le stesse che uno muoia colpito da un fulmine", aveva aggiunto con riferimento alle statistiche per il giovani fino ai 20 anni. "Questo - ha spiegato - è un vaccino in sperimentazione, che finisce nel 2023".

"Onorevole Giorgia Meloni lei è libera di non vaccinare sua figlia. Non di fare disinformazione pubblica sui vaccini. Grazie", ha twittato il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta. A replicare con un tweet anche il virologo Roberto Burioni che, per smentire quanto affermato dalla leader di Fratelli d'Italia, ha riportato dei numeri: "Anni 2020-2021: morti per fulmine negli Usa: 28 (di tutte le età) - scrive Burioni - morti per Covid negli Usa: 900 (sotto i 18 anni)".

Da open.online.it il 9 febbraio 2022.

Ha scatenato una lunga scia di polemiche l’affermazione che la presidente di Fratelli d’Italia ha affidato a La Stampa. «Non vaccinerò mia figlia – aveva detto Giorgia Meloni – perché le possibilità che un ragazzo muoia di Covid sono le stesse che muoia colpito da un fulmine». 

Domenica scorsa, ospite della trasmissione di La7 Non è l’arena condotta da Massimo Giletti, aveva affermato chiaramente: «Io non vaccinerò Ginevra e lo rivendico. Mi spaventa come affrontiamo il dibattito sui vaccini in Italia: definirlo ideologico sarebbe già qualcosa, qui siamo alla religione». Dichiarazioni che hanno creato sconcerto, specie in certa comunità scientifica che non è stata ad ascoltare in silenzio. Spicca il commento di Roberto Burioni che in un tweet ha riportato i dati sui casi menzionati da Meloni. «Tra il 2020 e il 2021 – ha twittato il virologo – i morti per fulmine negli Usa sono stati 28, di tutte le età. I morti per Covid (sempre in America) sotto i 18 anni sono stati 900». 

Non è stato a guardare neanche il presidente della Fondazione Gimbe Nino Cartabellotta che dai suoi canali social ha ammonito la leader di Fratelli d’Italia: «Onorevole @GiorgiaMeloni, Lei è libera di non vaccinare sua figlia. Non di fare disinformazione pubblica sui #vaccini. Grazie». Seguiranno altre stoccate?

Vaccino ai bambini, Salvini e Meloni linciati dalla sinistra. Francesco Storace su Il Tempo il 10 febbraio 2022.

Un tempo i comunisti mangiavano i bambini, ora si accontentano di vaccinarli. Quelli altrui. È incredibile e paradossale quanto accade sulla testa di Ginevra, figlia di Giorgia Meloni, e di Mirta, figlia di Matteo Salvini, coinvolte in un conflitto politico che non ha alcuna ragione di essere. Perché non sono vaccinate. E non certo per dispetto, ma per prudenza dei loro genitori, esattamente come accade per il 65 per cento delle famiglie italiane: i bambini vaccinati sono circa il 35%. Ebbene, la mancata esposizione del braccio al siero da parte delle figliolette dei leader del centrodestra scatena una canea mai vista. «Strizzate l’occhio ai novax», come se Salvini e la Meloni non si fossero vaccinati.

Di più e di peggio. «Si fanno la guerra per la leadership della coalizione persino con le figlie», e questo è qualcosa davvero di sanguinoso.

Non c’è limite al senso del ridicolo. È toccato leggere persino una dichiarazione patetica e abbastanza puerile dell’ex capogruppo del Pd al Senato, Andrea Marcucci: «Non mi permetto di sindacare scelte genitoriali ma vista la pubblicità sui casi in questione, penso che Matteo Salvini continui l’inseguimento di Giorgia Meloni per conquistare consensi tra i novax. Inseguimento che mi sembra scriteriato». «Non mi permetto di sindacare», ma lo fa.

Ci fosse solo uno a chiedergli dove sta questa pubblicità da parte del segretario della Lega come della presidente di Fratelli d’Italia. Entrambi hanno risposto con educazione ai giornalisti che hanno chiesto loro della vaccinazione delle figlie. Anziché trincerarsi in un «non lo dico» che avrebbe suscitato polemiche ancora più fragorose, hanno detto la verità. E di questi tempi, evidentemente, non è concesso.

A Marcucci e a quelli come lui sarebbe da chiedere perché si sono limitati a votare l’obbligo vaccinale da 50 anni in su e non dalla culla. È evidente che i genitori, compresi quelli che rappresentano il centrodestra italiano, hanno il diritto di essere preoccupati per le loro figlie, come i due terzi del popolo italiano.

Vogliono decidere con pediatri e medici come evitare danni da Covid ai loro pargoli. E questo è un motivo per crocifiggerli?

Poi ci si mettono pure i bacchettoni che ci sorbiamo ogni giorno in questa o quella televisione. Persino il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, stavolta i numeri li dà sulla politica: «Rinnovata sintonia tra Salvini e Meloni, niente vaccino ai loro figli. Quando la propaganda politica conta più della privacy». Un tweet davvero infantile, come se avessero affisso manifesti e non risposto alle curiosità ossessive di alcuni giornalisti.

Ovviamente, non può mancare qualche «alleato» a dire la sua in un dibattito politico che non avrebbe ragione di essere. È Alessandro Cattaneo, deputato di Forza Italia a twittare – per inseguire il coordinatore Antonio Tajani: Meloni e Salvini «dichiarano di non aver vaccinati i loro figli. Io non ho dubbi, per me vale il contrario. Io ho vaccinato mia figlia, sono fiero di ciò e credo nelle indicazioni dei medici e della scienza». Non si è chiesto a quanti possa interessare. Facendo esattamente la stessa parte del capogruppo lombardo del Pd, Fabio Pizzul, che si è messo a sproloquiare che «la Lega, con Fratelli d'Italia, rispetto alla pandemia e ai vaccini rimane ambigua e inaffidabile».

La replica è del coordinatore lombardo della Lega, Fabrizio Cecchetti: «Per questa polemica insensata e infondata il Pd dovrebbe chiedere scusa: da un punto di vista etico e morale si tratta di bassezza immane. Enrico Letta non ha nulla da dire a riguardo?». Perché è un «dibattito» davvero indegno.

"Non vaccino mia figlia, di Covid non si muore". Tutti i numeri che smentiscono Giorgia Meloni. Maria Sorbi il 9 Febbraio 2022 su Il Giornale.

Tra i minori 35 morti e 251 ricoveri in terapia intensiva solo nel 2021.

«Io non vaccino mia figlia, il vaccino non è una religione, è una medicina, uno strumento. La possibilità per un minore di morire di Covid è pari allo zero virgola. Le possibilità che un ragazzo muoia di Covid sono le stesse che muoia colpito da un fulmine» dichiara la leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni in un'intervista al quotidiano La Stampa.

Sua figlia ha da poco compiuto cinque anni e rientra tra i bambini per cui il vaccino è consigliato ma non obbligatorio. Ed è vero, sono i genitori a dover scegliere e sono liberissimi di fare ciò che ritengono giusto. Ma con le sue parole la Meloni formula un'opinione personale basata su logiche nient'affatto scientifiche. È vero che «la possibilità per un minore di morire di Covid è pari allo zero virgola» ma le vittime tra i più giovani sono state 35 nel 2021, i ricoveri 8.632 (di cui 251 in terapia intensiva) e un bambino di dieci anni è appena morto in una manciata di ore a Torino perchè non vaccinato. Non solo, i ricoveri tra i bimbi con meno di sei mesi sono aumentati del 34% a gennaio in una sola settimana e i pediatri continuano a mettere in guardia dalle conseguenze del Covid che, nei piccoli, causa spesso sindromi infiammatorie multisistemiche. E quindi implica terapie, medicinali, cortisone, ricovero. Di contro i bambini fra i 5 e gli 11 anni vaccinati non hanno presentato conseguenze, se non qualche linea di febbre la sera dopo l'iniezione.

La dichiarazione della leader politica arriva, non a caso, alla vigilia dell'estensione dei vaccini ai bambini al di sotto dei 5 anni (dalla fine del mese inizieranno le somministrazioni negli Stati Uniti e in primavera in Italia) e rischia di far male alla buona riuscita della campagna vaccinale. «Non vedo grandissimi risultati del governo, l'Italia è la nazione, nel mondo, che ha messo i provvedimenti più aggressivi, oggi ha il più alto tasso di contagi e con il più alto tasso di morti. Servivano questi provvedimenti?» continua la presidente di Fratelli d'Italia, sostenendo che «stiamo facendo delle cose surreali». Gli epidemiologi potrebbero smontare anche questo giudizio parola per parola. L'Italia ha il più alto tasso di contagi? Sbagliato. L'Italia ha un tasso di positività del 10,5%. I nuovi contagi per un milione di abitanti sono 1.610, meno della Germania (1.998), della Francia (3.517), della Svizzera (2.433) e largamente meno rispetto alla Danimarca (7.257), primo paese europee ad abbandonare le restrizioni. L'Italia ha il più alto tasso di morti? I numeri vanno letti. Il numero dei decessi (ieri 415) è certamente molto alto ma è l'ultimo dato a calare nella curva pandemica ed è frutto dei contagi di inizio anno, quando i dati dei positivi erano alle stelle. In merito ai risultati del governo, definiti «surreali» riportiamo quelli dei vaccini. In Italia ha ricevuto almeno una dose di vaccino l'83,7% della popolazione, in Francia il 79,9% e in Germania il 75,3%. Maria Sorbi

La famiglia vuole “garanzie”, medici sgomenti. Bimbo va operato al cuore, genitori bloccano tutto: “Intervento solo con sangue no vax, ecco la lista”. Redazione su Il Riformista l'8 Febbraio 2022. 

Un bambino deve essere operato al cuore ma l’intervento è stato bloccato dalla famiglia che pretende dai medici rassicurazioni sulla trasfusione necessaria per l’operazione. “Deve essere sangue di una persona non vaccinata al covid19” hanno precisato i genitori. E’ quanto accaduto all’ospedale Sant’Orsola di Bologna dove una famiglia no vax della provincia di Modena ha bloccato tutto da diverse settimane con la vicenda che è finita in Tribunale. Una vicenda che ricorda quella andata in scena ad agosto 2021 a Rimini da parte delle figlie di un ultranovantenne.

L’intervento potrà avvenire, secondo i genitori, solo se il sangue verrà prelevato da donatori non vaccinati. Così è stato lanciato dalla famiglia anche un appello su Telegram alla platea no vax per reperire volontari non vaccinati così come riportato dalla Gazzetta di Modena. E in seguito sarebbe stata presentata una lista di donatori ‘idonei’ all’ospedale. 

Sant’Orsola che, in accordo col centro trasfusionale territoriale, si è opposto alla richiesta dei genitori perché le donazioni di sangue devono seguire protocolli di legge molto rigidi e molto precisi per ragioni di sicurezza. Le sacche di sangue per le trasfusioni appartengono infatti a donatori anonimi. Su nessuna è indicato se il donatore sia vaccinato, guarito dal Covid o altro.

E’ passato tutto in mano agli avvocati e la risoluzione del caso è stata demandata al giudice tutelare di Modena. Sulla vicenda si è mossa anche la Procura per i minori di Bologna con un ricorso inviato il 2 febbraio al tribunale per i minorenni. Un intervento più ampio, a tutela del minore, che riguarda un’eventuale limitazione della responsabilità genitoriale.

Intervistato dall’Ansa, Vincenzo De Angelis, direttore del Sant’Orsola, definisce la richiesta “assurda” 2 “priva di fondamento scientifico. La scelta del sangue è legata a precisi criteri di compatibilità e non a capricci. Usare quello di persone non vaccinate non ha alcun fondamento scientifico perché con la trasfusione non si ‘trasmette’ il vaccino”.

Sulla vicenda è intervenuta anche la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici con il presidente Filippo Anelli che rivolge un appello alla famiglia no vax: “Comprendiamo le paure dei genitori, quando a soffrire è un bambino, un figlio, ci si aggrappa a qualunque appiglio, credendo di fare il suo bene, di tutelarlo. Per quello che può valere, li preghiamo di ascoltare i medici che lo hanno in cura e che sapranno scegliere la terapia migliore per lui, senza ritardare le cure”.

“I protocolli che regolano le donazioni, e che non permettono di scegliere il donatore, sono scritti nell’interesse dei pazienti, per rendere i processi sicuri – continua Anelli – del resto, non comporta alcun pericolo ricevere sangue da donatori vaccinati contro il Covid-19”. “Chiediamo quindi – ribadisce – ai genitori di avere fiducia nei medici, che sono pronti a spendere tutte le loro conoscenze e competenze per questo paziente così prezioso. E di dare al loro bambino la possibilità di guarire, possibilità tanto più alta quanto più tempestivo sarà l’intervento. A loro, e al piccolo paziente, va il nostro abbraccio e il nostro in bocca al lupo per la prova che deve affrontare e in cui non sarà solo, ma accompagnato dai suoi medici e dall’affetto e la speranza di tutti noi”.

L'esperto smonta la bufala dei genitori No vax. Roberta Damiata l'11 Febbraio 2022 su Il Giornale.

Abbiamo chiesto al professor Angelo M.Carella Direttore U.O.C. Ematologia e Centro Trapianti di Midollo del Policlinico San Martino Genova, di fare chiarezza sulle trasfusioni di sangue, argomento di scottante attualità per la vicenda del bambino cardiopatico i cui genitori hanno richiesto sangue di un donatore no vax.

Ha suscitato molto sconcerto la vicenda del bambino di due anni affetto da una grave cardiopatia i cui genitori, per motivi religiosi, hanno chiesto che venisse usato per l’intervento chirurgico, sangue di donatori no vax. La vicenda è finita in tribunale, dopo che i medici dell’ospedale Sant'Orsola di Bologna, hanno denunciato la cosa. Il giudice tutelare di Modena nei giorni scorsi, aveva accolto le ragioni dell’ospedale, sulla necessità dell’intervento e sulla sicurezza del sangue, e dopo pochi giorni, tribunale per i minori di Bologna ha tolto in via provvisoria la potestà genitoriale alla coppia, nominando come tutore il servizio sociale competente per territorio. Una storia assurda che vede al centro la vita di un bambino, e intorno molta poca conoscenza di come la medicina agisca per salvare vite, basandosi su certezze scientifiche. Per fare chiarezza su come funzionano le trafusioni di sangue e quanto in casi specifici siano importanti, abbiamo intervistato il professor Angelo M. Carella Direttore U.O.C. Ematologia e Centro Trapianti di Midollo del Policlinico San Martino Genova.

Professore, prima di addentrarci nel discorso da ematologo che le appartiene, vorrei un suo parere sulla sentenza giudice che ha autorizzato l’operazione salvavita del bambino, nonostante il rifiuto dei genitori.

“In casi del genere, l'assegnazione della patria potestà nella decisione dell' erogazione delle cure mediche a vantaggio di un soggetto di minore età, spetta proprio all’ambito giuridico. A supporto di queste valutazioni è però scontato che vi siano considerazioni scientifiche basate sul principio medico di garantire le migliori cure a favore di qualsiasi soggetto, in un contesto nel quale l'urgenza condiziona strettamente la vita stessa del paziente”.

La richiesta dei genitori era fondata?

“Non c’è nessuna differenza di qualità e sicurezza del sangue ottenuto da soggetti vaccinati e non vaccinati per Covid. Nelle ultime settimane si sono diffuse fake news, che riferivano di una tendenza alla ipercoagulazione del sangue di soggetti sottoposti a vaccinazione. Queste informazioni sono totalmente false. La valutazione dell'assetto coagulativo dei soggetti vaccinati, non si discosta nella maniera più assoluta rispetto ai soggetti non vaccinati. L'unica significativa differenza è rappresentata dal fatto che i soggetti vaccinati, al pari di quelli che hanno sviluppato l'infezione da Covid, presentano nel loro sangue anticorpi specifici per il virus”.

Quando viene fatta una trasfusione, le sacche di sangue del donatore come vengono lavorate?

“La preparazione dei prodotti derivati dalla lavorazione del sangue, emocomponenti, avviene in ambienti dedicati, presso strutture ospedaliere specificamente autorizzate e accreditate dalle regioni italiane. Il processo richiede un complesso iter di controlli di laboratorio. Questo per garantire che il donatore non sia portatore di malattie infettive trasmissibili con la trasfusione, e portano, nel caso della donazione di sangue intero, all'ottenimento finale di tre prodotti (globuli rossi, plasma e piastrine) disponibili, una volta superati tutti i test, ad essere destinati alla trasfusione di pazienti. Nel caso del plasma, ci sono poi ulteriori lavorazioni per ottenerne farmaci derivati come fattori della coagulazioni. Tra gli esami, vengono svolte caratterizzazioni di gruppo sanguigno, in alcuni casi anche particolarmente complesse, per definire la compatibilità ideale tra il donatore ed i pazienti, che riceveranno il sangue. Per semplificare, il sangue di un donatore subisce delle modifiche e dei controlli sostanziali prima di essere trasfuso ad un paziente. Non avviene in automatico”.

È possibile che in queste sangue di sacche ci sia ancora presenza della proteina spike?

“L’infezione non viene trasmessa con il sangue, né in esso può essere reperita la presenza di componenti virali in corso di infezione. Inoltre, nel caso della donazione di sangue, un'accurata valutazione clinica e di laboratorio, come spiegavo sopra, impedisce di arruolare donatori con infezioni acute in corso. Su questo e altri argomenti tra pochi giorno a Genova ci sarà il Post-Ash Meeting coordinato da me e da PierLuigi Zinzani, dove verranno discussi proprio i più recenti risultati ottenuti nella biologia e terapia delle malattie del sangue dove parteciperanno i più importanti esperti italiani e stranieri. Questo per dire che la medicina è in continua evoluzione per raggiungere il massimo della sicurezza e salvare più vite possibili”.

Nella sua lunga esperienza clinica, quante volte il sangue trasfuso ha salvato vite?

“La trasfusione di sangue è una procedura salvavita per definizione. Va ricordato poi che negli ultimi anni, in ambito medico, si è sviluppata la progressiva capacità di sopperire alla trasfusione degli emocomponenti con tutta una serie di presidi tecnici, procedurali e farmacologici. Questo approccio prende il nome di Patient Blood Management e permette oggi, di effettuare procedure sanitarie complesse con un uso estremamente limitato di emocomponenti, a volte escludendolo del tutto. Proprio in virtù di questo, bisogna capire che esistono patologie o urgenze di particolare complessità per la vita umana, per cui la trasfusione di sangue è un atto fondamentale e capace di condizionare fortemente la probabilità del paziente di superare la fase critica e quindi di sopravvivere”.

Le è capitato di incontrare persone che per motivi religiosi non hanno voluto fare trasfusioni?

“Mi è successo più volte. Come ho detto, abbiamo la conoscenza di strategie che riducono al minimo la possibilità di dover trasfondere sangue, ma in tutti i contesti nei quali questo sia un'evenienza necessaria, è fondamentale che il medico spieghi al paziente quali sono i potenziali rischi del mancato supporto trasfusionale. Perché al contrario la trasfusione può salvare la vita”.

Per far comprendere meglio e sfatare fake news, ci spiega come funziona la rigenerazione del nostro sangue? Ha come si dice in nella medicina omeopatica, la memoria dell'acqua?

“Il midollo osseo, il tessuto deputato alla quotidiana rigenerazione del nostro sangue, ha potenzialità di rigenerazione assolutamente straordinarie, come dimostrato dal fatto che una persona sana può tranquillamente donarne anche una parte significativa, per effettuare un trapianto di midollo osseo in un paziente affetto da leucemia, senza avere alcuna limitazione nella sua capacità di rigenerazione del sangue”.

Roberta Damiata. Sono nata a Palermo ma Roma mi ha adottato da piccola. Ho iniziato a scrivere mentre andavo ancora al liceo perché adoravo la British Invasion. Mi sono poi trasferita a Londra e da lì ho scritto di musica per vari anni. Sono tornata in Italia per dirigere un teen magazine e un paio di testate gossip.

Stefano Montefiori per il corriere.it il 12 febbraio 2022.

Blindati sotto l’Arco di Trionfo e lacrimogeni sparati dalla polizia lungo gli Champs Elysées totalmente bloccati. Nonostante il dispiegamento di 7200 poliziotti supplementari e i controlli e i fermi in autostrada e nelle strade secondarie, i «convogli della libertà» partiti da tutta la Francia sono riusciti a raggiungere il centro di Parigi e a bloccare la zona simbolo della rivolta dei gilet gialli.

A metà giornata la polizia francese aveva fermato centinaia di auto e fatto oltre 300 multe, ma la protesta no vax continua a convergere verso Parigi, nella replica delle manifestazioni che hanno bloccato la capitale canadese Ottawa e che rendono tuttora difficile attraversare il confine tra la provincia dell’Ontario e gli Stati Uniti. 

Il prefetto di Parigi, Didier Lallement, aveva proibito la manifestazione di oggi e messo in guardia: chi blocca la circolazione rischia fino a due anni di carcere e 4.500 euro di multa. Ma il divieto ha motivato ancora di più i no vax, che colgono l’occasione della lotta al pass vaccinale - peraltro destinato a essere abrogato tra qualche settimana - per riesumare le questioni all’origine della rivolta dei gilet gialli cominciata nel novembre 2018: il calo del potere d’acquisto, il rincaro del carburante, le bollette dell’energia troppo costose, più un generico e complessivo antagonismo nei confronti del «sistema» (dal governo ai «media mainstream») più un’antipatia specifica nei confronti di Emmanuel Macron - «il presidente dei ricchi» - chiamato a dimettersi o almeno a non ripresentarsi per un secondo mandato alle elezioni del 10 e 24 aprile.

Anche place de la Concorde è bloccata da centinaia di auto, la protesta canadese sembra avere dato un esempio e un nuovo slancio ai gilet gialli, molto presenti tra chi è arrivato oggi a Parigi a cominciare da alcuni portavoce del movimento come Remi Monde o Maria Cloarec. Il pass vaccinale come nel 2018 la tassa sul diesel vengono percepiti come l’ennesima arma utilizzata da un governo lontano e ostile per perseguitare cittadini che si sentono snobbati dalle élite.

Il presidente Macron, che finora sembrava destinato a una rielezione relativamente facile, guarda con preoccupazione al risorgere di una protesta sociale che si estende dai no vax alle fasce della popolazione che si sentono ai margini della nuova crescita economica francese. Nonostante giorni di preparazione della polizia e di divieti, le autorità sembrano non essere riuscite a soffocare sul nascere un movimento che prende spunto dai lontani camionisti canadesi per evidenziare i problemi locali della provincia francese. A due mesi dalle elezioni presidenziali, per Macron è il ritorno di una questione che sperava di avere ridimensionato una volta per tutte.

Sara Gandolfi per il "Corriere della Sera" l'8 febbraio 2022.

Dopo oltre dieci giorni di «assedio» dei camionisti no vax il sindaco di Ottawa, capitale del Canada, ha decretato lo stato di emergenza e chiesto al governo del liberale Trudeau di prendere in mano la situazione. Domenica notte decine di agenti di polizia pesantemente armati hanno fatto irruzione nel parcheggio dello stadio di baseball in Coventry Road, «base» per i manifestanti del Freedom Convoy (convoglio della libertà) che ha paralizzato il centro città, e hanno sequestrato le scorte di carburante. 

Decine di cecchini stavano di guardia sul tetto dello stadio e di un hotel mentre i dimostranti urlavano «vergogna, vergogna». Scene mai viste a Ottawa. «È l'emergenza più grave che la nostra città abbia mai affrontato», ha assicurato il sindaco Jim Watson. «Una minaccia alla sicurezza dei residenti». L'obbligo di vaccinazione deciso dal premier Trudeau per tutti i camionisti che lavorano sulla rotta transfrontaliera fra Stati Uniti e Canada ha acceso, da metà gennaio, la miccia di una contestazione sempre più massiccia e fuori controllo, convogliando nella capitale anche la rabbia del «popolo no vax». 

Trudeau, positivo al Covid e in quarantena con la famiglia in una località segreta, ha rifiutato di incontrare i manifestanti o di mobilitare i militari per rimuovere i mezzi pesanti, pur condannando duramente la protesta. Alle centinaia di «truck» (gli enormi camion americani) e trattori che paralizzano le autostrade di confine e il centro di Ottawa, su Metcalfe Street e tutt' intorno a Parliament Hill, si sono via via uniti migliaia di manifestanti e molti provocatori. Tra la folla, domenica, sono spuntate diverse bandiere confederate americane e svastiche naziste. 

La polizia ha arrestato almeno sette persone, tra cui un uomo armato di pistola. Canada e Stati Uniti hanno annunciato l'anno scorso che avrebbero richiesto ai camionisti transfrontalieri di essere completamente vaccinati. Ottawa ha implementato la misura il 15 gennaio, Washington sette giorni dopo. Appena entrata in vigore, in Canada ha però scatenato blocchi autostradali e atti di vandalismo, con evidenti infiltrazioni di provocatori dagli Usa.  

D'altra parte la protesta ha subito attirato il sostegno dell'ex inquilino della Casa Bianca, Donald Trump - «Avete tutto il nostro supporto» - e del miliardario Elon Musk - «I camionisti canadesi governano», ha twittato a fine gennaio il fondatore di Tesla - nonché di un gruppo di deputati conservatori canadesi. Il «blocco» ha provocato seri problemi di approvvigionamento, soprattutto ad Ottawa. «La frustrazione nella capitale è aumentata da quando è iniziata l'occupazione del centro cittadino, con camion che bloccano le strade e clacsonano per tutta la notte», scrive il Toronto Star . 

«Domenica, la polizia ha annunciato che chiunque tenti di portare supporto ai manifestanti può essere arrestato». I residenti della capitale, esasperati dal caos, hanno avviato una class action di 10 milioni di dollari canadesi (circa 7 milioni di euro) contro gli organizzatori. La situazione è incandescente anche nelle altre città del Canada, come Toronto, Edmonton e Vancouver. 

Centinaia di manifestanti con il volto coperto e avvolti nelle bandiere canadesi si sono radunati al Queen's Park di Toronto, cantando «libertà» e innalzando cartelli contro il premier. Nonostante temperature di -8°C, i fotografi hanno immortalato perfino un uomo che ballava in perizoma in cima a un camion sventolando una bandiera con la scritta «Traditore Trudeau».

Giampiero Maggio per lastampa.it l'8 febbraio 2022.

Capacità di muoversi nella rete studiando i meccanismi della comunicazione, bombardamento mediatico e argomento scelto ad hoc: un mix esplosivo che ha permesso ad un ristretto numero di persone – i cosiddetti 12 disinformatori – di fare milioni a palate sfruttando le tematiche anti vax. L’argomento vaccini, appunto, è un tema entrato nelle discussioni correnti, alimentano paure e dubbi. Ed è di questo che si nutre chi vuole fare business. 

E poco importa se la scienza ha dimostrato l’efficienza dei vaccini, scoperta medica che ha permesso di salvare molte vite. A destabilizzare queste certezze scientifiche ci sono le teorie del complotto che trovano, attraverso i social media, terreno fertile per diffondersi. Tutto, ovviamente, a costo zero e con un ritorno economico che può diventare davvero importante.

È il caso di Joseph Mercola, osteopata di 67 anni della Florida diventato milionario spargendo bugie, sospetti e terrore sui vaccini contro il Covid. Prima ha negato la gravità della pandemia incitando i suoi concittadini a dire no alle restrizioni come l’uso della mascherina. Poi, lo step successivo: le teorie anti vax. Secondo un approfondimento del CCDH, il Center for Countering Digital Healt sull’industria anti Vax Mercola è il disinformatore per eccellenza. 

Di lui ha scritto recentemente il New York Times: viene indicato come il più grande bugiardo della grande rete anti vaccini. «Il nostro ultimo rapporto – spiega CCDH – mostra come i social media ( da Facebook a You Tube) abbiano aiutato i No Vax a collezionare quasi 60 milioni di follower». Con guadagni monstre: un giro d'affari totale di circa 36 milioni di dollari l'anno diviso tra 22 aziende appartenenti, appunto, a 12 persone. Mercola ha così costruito un impero: oltre 4 milioni di follower tra Facebook, Instagram, Youtube e Twitter e una pagina a pagamento per abbonati sul sito di Substack, 159 dipendenti dagli Usa alle Filippine e che, secondo il CCDH, da quando è iniziata la pandemia ha guadagnato oltre 7 milioni di dollari. 

Dove opera il business No Vax e i social più usati

L’indagine di CCDH evidenzia che la maggior parte del business arriva da siti gestiti negli Stati Uniti, anche se un numero significativo ha collegamenti con altri Paesi anglofoni come Canada, Australia, Nuova Zelanda o il Regno Unito. Il social media più utilizzato e dove le teorie anti Vax trovano più terreno fertile è Facebook, che annovera oltre 31 milioni seguaci, ben oltre la metà del totale. 

Sono quasi 17 milioni gli iscritti ani vaccino su YouTube e 7 milioni su Instagram, mentre attecchiscono con fatica su Twitter, con solo 2 milioni di seguaci. «È probabile – dicono gli esperti dello studio – che il fallimento delle teorie No Vax su Twiiter sia dovuto alla paura di dover esprimere teorie complottiste in un social media tendenzialmente aperto».

Perché si è diffusa la teoria complottista

Ma come hanno fatto a proliferare le teorie complottiste? Anche in questo caso ci viene in aiuto il CCDH che tenta di dare una spiegazione alla diffusione di questo fenomeno. «Le teorie del complotto proliferano dove c'è una profonda ansia epistemica – spiega il report –, cioè quando le persone sono chiamate ad esprimersi su cosa sia vero o falso ma senza avere la conoscenza dettagliata di quel fenomeno».

Su una tematica come i vaccini, sul cui funzionamento pochi, in realtà, sono in grado di esprimere un parere scientifico e oggettivo, è più facile seminare incertezze e, dunque, panico. «Le nostre autorità sanitarie hanno comprensibilmente focalizzato l’attenzione sulla minaccia docuta al coronavirus e alla sua diffusione, con un messaggio del tipo: "fidati della nostra migliore ipotesi". E questo ha dato agli anti-vaxxer l’occasione per mettere in dubbio l’efficacia delle teorie scientifiche». 

Il caso Robert Kennedy

Tra i 12 disinformatori diventati ricchi grazie alle teorie No Vax non può mancare un personaggio che, a differenza di Mercola, abbiamo conosciuto bene anche in Italia. Si tratta del complottista Robert F. jr Kennedy che con il suo gruppo antivaccinista Children's Health Defence, o di Del Bigtree, fondatore dell'ICAN, l'Informed Consent Action Network, è riuscito ad indottrinare milioni di persone. In particolare genitori preoccupati degli effetti dei vaccini sui propri figli.

Kennedy fonda la sua reputazione sulle sue battaglie ambientaliste (è noto il World Mercury Project) e l’avvelenamento da mercurio dei corsi d’acqua e della catena alimentare. Da qui, al legare i vaccini ai fenomeni di autismo nei bambini il passo è stato breve. Negli ultimi mesi Kennedy ha sfruttato la sua celebrità per diventare uno dei principali sostenitori delle teorie del complotto relative al Covid citando Bill Gates e il 5G. Tutto ciò gli ha permesso di acquisire su Instagram 300 mila follower in pochissimo tempo.  Kennedy ha svolto questo ruolo al fianco di altri attivisti come Del Bigtree, Rashid Buttar e  Andrew Wakefield. 

Cos’è Substack

Facebook e You Tube, ma non solo. La ricerca di CCDH mette in evidenza l’utilizzo della pubblicazione online Substack. La utilizza Mercola, ma non solo. La piattaforma starebbe generando – secondo quanto riporta The Guardian - entrate per almeno 2,5 milioni di dollari (1,85 milioni di sterline) all'anno dalla pubblicazione di newsletter per decine di migliaia di follower».

Figure di spicco del movimento anti-vaccino, come Mercola e Berenson, appunto, hanno un ampio seguito su Substack, che ha più di 1 milione di abbonati paganti che si iscrivono a newsletter individuali da una serie di autori tra cui il romanziere Salman Rushdie, la scrittrice musicista Patti Smith e l'ex consigliere di Downing Street Dominic Cummings. Una delle ultime chicche di Mercola: «I vaccini hanno fatto piàù morti tra i bambini del Covid». Immaginando il seguito dell’osteopata della Florida è facile così capire come questo messaggio abbia raggiunto le case di milioni di persone.  

No vax, il grande burattinaio dietro il "partito dei ribelli": chat e propaganda, la verità. Paola Natali Libero Quotidiano il 07 febbraio 2022.

Da più di un anno nelle televisioni private, nelle radio sono nati programmi che spingono le teorie No vax. Quale obiettivo può avere questa strategia comunicativa? Certamente il web impazza con video dove le teorie complottiste sono varie e le chat di telegram infuocate, ma qual è la necessità di veicolare utenti e pubblico? Convinti sostenitori delle teorie No vax oppure come spesso si vede nel Belpaese tutto deve essere finalizzato a soldi o poltrone? Quando le persone si sentono disorientate e spesso emarginate dalla società, oppure deluse dalla politica o dalla propria vita, trovano in un contesto di aggregazione la svolta per riuscire a fare sentire la propria voce . Analizziamo cosa sta accadendo, in Veneto, la regione che durante l'emergenza Covid ha dimostrato una capacità lungimirante nell'intervenire durante la pandemia, nascono i primi gruppi organizzati. 

POPOLO DEL WEB - Non si parla di persone che casualmente accedono a social ma di un popolo che si muove seguendo un piano preciso: usano il web, spazi in tv, organizzano manifestazioni, hanno sponde in Parlamento. Insomma, una struttura che non fa che condurre verso un movimento politico, un copia ed incolla del modo di comunicare dei partiti, dal movimento 5 stelle per l'utilizzo della rete, al classico comizio elettorale, al veicolare il pubblico televisivo verso un messaggio inconfutabile grazie a quello che si trova in rete, al commentare su Facebook con messaggi che conducono verso la verità, ovvero il complotto, ai semplici insulti. Sarebbe troppo semplice pensare che un gruppo di persone si unisce per un ideale comune. Sembra piuttosto un mosaico dove i tasselli visti separatamente possono non voler dire nulla, ma incastrando ogni pezzo la visione ha finalmente un senso e senza un qualcuno che muove queste pedine risulterebbe impossibile ottenere un risultato coeso. Chi potrebbe confluire nel nuovo partito? In un momento politico dove gli elettori sono disorientati, forse è necessario fare una riflessione sull'orizzonte politico del prossimo futuro e, nello specifico, su quali partiti o movimenti potrebbero nascere. Ma facciamo un piccolo passo indietro. Chi sta organizzando, da mesi, questa nuova ascesa politica? Sicuramente un occhio alla politica estera non manca da parte del futuro leader. In Austria, il movimento No vax, Mfg, potrebbe ottenere un 4% e conseguentemente aggiudicarsi un posto in parlamento sfruttando anche l'ipotesi di elezioni anticipate. 

SCHIERAMENTI MARGINALI - In Francia, nelle elezioni regionali del 21 giugno scorso, si sono presentate 3 liste in 6 regioni con a capo persone che non avevano mai fatto politica e con un programma che racchiudeva zero proposte concrete ma variegate teorie complottistiche, tutte basate sui vaccini e sull'esistenza di un nuovo ordine mondiale. Parlando di numeri, quello che si dovrebbe analizzare non è tanto quanti voti rosicchierebbe questa nuova formazione dai partiti attuali, ma quanti ne sposterebbe tra tutte le persone che non credono più nella politica e quindi dal bacino di chi si astiene. Secondo l'ultimo sondaggio Swg, oggi voterebbe solo il 59% dei cittadini: quindi c'è un 41% che potrebbe trovare in una nuova lista, un contenitore che sappia far convergere tutti i voti che partono dalla pancia (non solo quelli dei no vax), il luogo dove sfogare la propria rabbia. All'inizio si pensava così anche di Grillo e del M5S ma tra un anno da questo embrione potrebbe nascere una forza ben strutturata che avendo un esempio da seguire nel non commettere i medesimi errori potrebbe evolversi con ampio respiro europeo. Un fuoco di paglia che, tra un anno, potrebbe certamente creare nuovi, interessanti equilibri politici. La partita adesso vede sul tavolo il vaccino e la questione medica sanitaria dove la scienza la fa da padrona. Ma attenzione perché sul Green pass si apre un nuovo aspetto da considerare, ovvero il tema della libertà. Un gioco che potrà piacere a molti perché questo termine si può facilmente strumentalizzare. Quale miglior momento delle prossime elezioni, dove il like, spesso in modo errato, viene considerato una preferenza e dove i leoni da tastiera sono pronti a scegliere in base ad una frase, per ergersi a futuri leader? Forse gli stessi che credono nel complotto dovrebbero vedere l'altra faccia della medaglia: quella che, grazie alla contrarietà al vaccino e grazie alla lotta contro il green pass, li ha resi un bacino elettorale da utilizzare per far ottenere a qualcuno una poltrona o per rimescolare le carte politiche al tavolo delle trattative. 

VOTI DISPERSI - Un gruppo di voti che potrebbero essere dispersi ed inoltre con scadenza abbastanza ravvicinata, visto che un partito basato sulla contrarietà al vaccino, sul no al Green pass e sulle teorie del complotto non è una forza politica che può reggere alla lunga. Elettori facili e facilmente manovrabili che potrebbero però interessare in un momento dove gli stessi partiti si stanno organizzando per il prossimo impegno elettorale. La grande domanda è: «Chi è il manovratore, il burattinaio nascosto dietro il sipario che, con abilità ed astuzia sarà capace di non disperdere questa massa critica e di condurla nel nuovo scenario politico, come carta nel tavolo delle trattative?».

Giuseppe Scarpa per “il Messaggero” il 6 febbraio 2022.  

Il grande business No vax è preceduto da un castello di fake news. I soldi che girano attorno al movimento, a livello mondiale, sono a nove zeri. Anche perché la fabbrica delle bugie funziona h24, il principale veicolo per scaricare bufale, vendere gadget e prodotti medici alternativi della galassia No vax è, infatti, internet.  

E così il web ha già incoronato i suoi predicatori che sono stati capaci di monetizzare il loro verbo. Sono stati ribattezzati la sporca dozzina. I 12 produttori di notizie false genererebbero, da soli, il 65% delle bufale e delle teorie del complotto sulla pandemia e sui vaccini. Hanno un seguito di 62 milioni di follower.  

L'associazione Center for countering digital hate ha svolto uno studio, tra gli influencer più noti c'è il dottor Joseph Mercola, che insieme alla compagna Erin Elizabeth si occuperebbe di veicolare informazioni discutibili, traducendole in più lingue. Grazie a questi numeri i No vax producono ricavi sui colossi digitali, attraverso video sponsorizzati e pubblicità, di almeno 1,1 miliardi di dollari all'anno. 

Tra il 1° febbraio e il 16 marzo 2021 sono stati analizzati oltre 800 mila contenuti veicolati via social network e così si è arrivati ad individuare tra i 12 i 5 più pericolosi. Rizza Islam ha pubblicato diversi post su Facebook (da dove è stato rimosso) contro i vaccini, rilanciati da tanti afro-americani. 

Sherri Tempenny è una osteopata che diffonde notizie false anche sulla sicurezza e sull'efficacia delle mascherine; Ty e Charlene Bollinger sono una coppia No vax: vendono libri e dvd sui vaccini e sul coronavirus. Sono stati tra i promotori della teoria della cospirazione organizzata da Bill Gates per impiantare microchip durante le vaccinazioni.  

Compare anche Robert F. Kennedy Jr, nipote dell'ex presidente americano e volto noto della compagine anti-vaccinista. Proprio per la sua intensa attività su questi temi Instagram ne ha bannato il profilo in maniera permanente dallo scorso febbraio. Kennedy al momento è però ancora attivo su Facebook e Twitter, nonostante le richieste arrivate da più parti di sospendere la sua attività online. 

Guadagna anche 255 mila dollari all'anno come presidente dell'organizzazione contro i vaccini Children's Health Defense. Joseph Mercola, invece, promuove la medicina alternativa e ha avviato online un business legato alla vendita di integratori alimentari, spacciati ultimamente come cura del Covid. La stessa Food and Drug Administration gli ha recentemente intimato di fermare l'attività. 

Ci sono le spille a 2 dollari e 55 centesimi, raffigurato c'è il branco di pecore che va a vaccinarsi e la pecora nera che va nella direzione opposta. C'è anche la mascherina, costa 12 dollari, che raffigura una donna che fa il gesto dell'ombrello con sopra la scritta vaccinated! Ma i gadget per il popolo dei No vax sono infiniti. 

La maglietta a 17 dollari e 45 centesimi con la scritta: È più pericoloso il governo o il covid? La x indica, ovviamente, la prima opzione.  

Non mancano nemmeno le tazze (15 dollari e 80 centesimi) con l'immagine della pecorella che ha una siringa conficcata in testa. Poi ci sono gli adesivi (4 dollari e 20 centesimi) e le calamite (3 dollari e 70 centesimi) da attaccare all'automobile e al frigorifero, e ancora le felpe, i portachiavi. I più intransigenti acquistano i cartelli da sistemare nel giardino di casa: proprietà privata, vietato l'ingresso, niente domande sui vaccini.

Il gran bazar della galassia No vax è il web, le principali piattaforme su cui comprare questi prodotti sono Zazzle ed Etsy. Basta però un po' di intraprendenza, far parte di un canale giusto per poter guadagnare qualche cosa. Ad esempio in Italia, in una delle pagine più seguite di Telegram da parte della comunità che critica vaccini e green pass, con 40mila iscritti e che è collegata a un profilo Instagram con 12mila seguaci, tra i messaggi in cui si contesta il certificato verde, si invita a combattere, a disobbedire e si condividono foto e video dei cortei, sono comparsi anche degli spot promozionali. 

A differenza di altri gruppi, dove chi li amministra resta anonimo in questo caso il fondatore, Lorenzo, 23 anni è figlio di un'operatrice sanitaria, ci mette anche la faccia. È lui il regista del merchandising No vax. Anche qui si può trovare un po' di tutto.  

Ovviamente è l'abbigliamento la merce più venduta. Ecco che con 10 euro è possibile acquistare la t-shirt, a 18 euro la felpa e a 1.50 euro a foglio anche gli adesivi dei no Green pass. I guadagni non sarebbero stellari, niente a che vedere con il volume d'affari di Joseph Mercola.

Da blitzquotidiano.it il 4 febbraio 2022.

Pietraperzia: no-vax, la strage di una famiglia. I cinque componenti di una famiglia di Pietraperzia (Enna), che avevano scelto di non vaccinarsi, sono morti positivi al Covid, in poco più di un mese. 

Pietraperzia: no-vax, la strage di una famiglia

Le vittime sono il padre ottantenne, il primo a morire a fine dicembre, la madre di 78 anni, un figlio di 50 anni e le due sorelle di 55 e 52 anni.

Il padre, prima vittima, è morto a casa dopo l’arrivo del 118, gli altri 4 sono deceduti all’ospedale Umberto I di Enna dove erano giunti, a fine dicembre in gravi condizioni. L’ultima deceduta della famiglia, la 52enne, è morta ieri.

Enna, 6 morti di Covid nella stessa famiglia: non avevano il vaccino, «temevano l’iniezione». Agostino Gramigna  su Il Corriere della Sera il 5 Febbraio 2022.

Sei membri di una famiglia di Pietraperzia, in provincia di Enna, sono morti di Covid nel giro di un mese: non si erano vaccinati. Il sindaco: non me ne faccio una ragione, il paese è sotto choc. 

«Gira questa voce, però se gira in un paese di sette mila persone, dove tutti si conoscono, sarà vera». Il sindaco Salvuccio Messina parla da Pietraperzia (Enna), nel cuore della Sicilia. La notizia che gira sulla bocca di tutti è che i membri di una famiglia, sei persone, tutti morti di Covid nel giro di un mese, erano convinti «no vax». 

La conferma della nipote

A confermare la voce però è stata una nipote, Noemi: «Avevano paura, c’erano stati amici e conoscenti che avevano avuto gravi conseguenze col vaccino. Così tutti avevano scelto di non farlo».Il primo a morire è stato Michele Mancuso 81 anni, alla vigilia di Natale. Non è stato ricoverato. Non ha fatto in tempo. Il 17 gennaio è deceduta Concetta Guarnaccia di 91 anni, la suocera di due figlie di Michele che avevano sposato i suoi «maschietti». Poi cinque giorni dopo è stata la volta di Maria Mancuso, 55 anni, la prima figlia di Michele; la stessa sorte è toccata il 25 gennaio al fratello Vincenzo, 55 anni. Infine due giorni fa gli ultimi decessi: la sorella di Maria e di Vincenzo, Concetta Mancuso, 52 anni e la loro mamma Vincenza Fontanella. Aveva 78 anni. 

Le ambulanze

Tutti erano stati ricoverati all’ospedale Umberto I di Enna. «Tutti portati via dalle loro case in ambulanza. Questo lo sapevamo», aggiunge il sindaco. «È stato uno choc. Provocato in particolare dagli ultimi due decessi, le povere donne, mamma e figlia. Hanno gettato nello sconforto il mio paese». La notizia è stata data da un sito locale, Radioluce. Chi ha scritto l’articolo, Gaetano Milino, afferma «che si sapeva che non erano vaccinati, ragion per cui i familiari mi hanno pregato di rimuovere il riferimento, per delicatezza». 

Una famiglia come tante altre. Persone conosciute da tutti e stimate. Gli anziani pensionati. Vincenzo descritto come un onesto lavoratore, Concetta faceva la parrucchiera e la sorella Maria la casalinga. Il sindaco li conosceva di vista. «Erano persone del ceto medio. I miei concittadini sono atterriti. Non riesco proprio a capire. La maggioranza dei paesani è vaccinata. Abbiamo fatto le cose per bene. Ho messo a disposizione i locali del Comune per somministrare le dosi. L’Asl è stata celere». 

Del nucleo è rimasta in vita una sorella, la più piccola. Che vive in Belgio, a Charleroi. Ha espresso il suo dolore su facebook, postando una foto e commentando: «È la mia famiglia». 

La strage della famiglia No Vax: in un mese muoiono in sei. Valentina Raffa il 5 Febbraio 2022 su Il Giornale.

Le vittime: i due nonni materni, la nonna paterna, la madre, la zia e lo zio. "Avevano paura del siero".

In poco più di un mese il covid19 ha stroncato un'intera famiglia di Pietraperzia, in provincia di Enna. Nessuno delle sei persone decedute si era voluta vaccinare, perché tutti avevano paura delle conseguenze del vaccino. Il primo ad andarsene è stato Michele Mancuso, il padre ottantenne il 23 dicembre. L'uomo si è aggravato in casa ed è qui che è deceduto poco dopo l'arrivo di un'ambulanza del 118. Gli altri 5 membri della famiglia, anche loro positivi al covid19, sono morti all'ospedale Umberto I di Enna (nella foto) dove erano stati ricoverati sempre a fine dicembre in gravi condizioni di salute.

In ordine di decesso si tratta della consuocera Concetta Guarnaccia, 91 anni, morta il 17 gennaio, dei figli dell'80enne: Maria, di 51 anni, morta il 22 dicembre, Vincenzo, di 50 anni, deceduto il 25 gennaio, e giovedì sono morte in ospedale l'altra figlia, Concetta, di 52 anni, e a distanza di poche ore la madre, la 78enne Vincenza Fontanella. «Per loro è stata dura - spiega un medico della Medicina Covid - Con un quadro cosi grave la morte era davvero inevitabile». In paese non si fa che parlare di questa tristissima vicenda e ci si interroga se le cose sarebbero andate diversamente se i componenti della famiglia avessero deciso di vaccinarsi. «Avevano paura spiega la nipote 25enne dei coniugi deceduti, figlia della 55enne morta -. C'erano stati amici e conoscenti che avevano avuto gravi conseguenze dal vaccino e, dunque, tutti avevano scelto di non farselo». Noemi in poco più di un mese ha perso la mamma, la nonna paterna, i due nonni materni, la zia e lo zio. «Siamo devastati dice -. Abbiamo perso tutto».

A essere convinto che queste vite si sarebbero potute salvare è il direttore sanitario dell'Umberto I di Enna, il dottor Emanuele Cassarà: «Questa tragedia familiare dice dimostra che l'unica arma per evitare conseguenze così nefaste è il vaccino». Il sindaco di Pietraperzia, Salvuccio Messina, nel profilo Facebook istituzionale, ha postato un fiocco nero in segno di lutto. «È una tragedia che ha scosso l'intera comunità pietrina dice -. Un'intera famiglia sterminata da questo maledetto virus». E anche a nome dell'amministrazione comunale scrive di unirsi «al dolore straziante che ha colpito le famiglie Salvaggio-Mancuso per la perdita dei loro amati familiari». In Sicilia è proprio l'Ennese il più colpito in questo momento da focolai da covid19. I contagi nell'isola ieri erano in aumento rispetto al giorno prima, ma con meno ricoveri in Rianimazione. Stando al bollettino di ieri del ministero della Salute, nelle ultime 24 ore ci sono stati in Sicilia 7.057 nuovi positivi con 43.692 tamponi effettuati e 44 vittime (conteggiate ieri ma morte da fine di gennaio a ieri). Il tasso di positività ieri era al 16,1% rispetto al 16,4% del giorno prima. Valentina Raffa

Covid, l'ultima trovata dei No Vax: ora intasano le procure con le denunce contro il Governo per violenza privata. Enrico Ferro La Repubblica il 2 febbraio 2022. 

A Padova, per evitare di intralciare l'attività degli uffici della Procura, al piano terra del tribunale è stato allestito un ufficio per la ricezione delle denunce di No Vax. 

A Padova ne sono state raccolte quasi 500, a Pesaro 80, a Lucca una sessantina. Vengono depositate in blocco nel corso di apposite giornate, chiamate "Procura day", organizzate sulla chat di Telegram. L'intento è inchiodare gli apparati giudiziari. 

Il mondo No vax continua a organizzare azioni di boicottaggio nei confronti della "macchina" statale. Dopo i blocchi ai centri vaccinali, l'ultima trovata è la denuncia formale per violenza privata nei confronti del Governo italiano. Non una querela, bensì centinaia, forse persino migliaia. A Padova qualche giorno fa ne sono state raccolte quasi 500, a Pesaro 80, a Lucca una sessantina.

"Vi racconto il metodo no vax per lavorare senza vaccinazione". Alessandro Ferro il 2 Febbraio 2022 su Il Giornale.

Un nostro lettore ci ha raccontato come anche tra i corpi civili dello Stato gli operatori non vaccinati creino non pochi problemi. Ecco come.

Non solo gli operatori di polizia sono costretti a turni massacranti a causa dei colleghi no vax impossibilitati a lavorare per la mancanza del green pass. Dopo il nostro articolo un lavoratore di un Corpo civile della Repubblica italiana ci ha contattato raccontandoci cosa è successo nelle ultime settimane.

La legge e il "buco"

Prima di passare ai fatti, è necessario un piccolo passo indietro: il 15 dicembre 2021 era stato esteso l'obbligo vaccinale ad alcune categorie di lavoratori come disposto dal DL n. 172/2021 tra le quali rientra Andrea (nome di fantasia), termine ultimo per la sospensione dal servizio tra chi era vaccinato e chi no. "Il personale scolastico, il personale del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, il personale del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e del Dipartimento di giustizia minorile o di comunità" oltre al personale sanitario. Andrea fa parte del primo gruppo, quello che si occupa di difesa, sicurezza e soccorso pubblico. "Immediatamente, però, quel decreto ebbe un buco", ci racconta il nostro lettore.

La "furbata" dei no vax

Infatti, se non si era vaccinati ma c'era stata la prenotazione per il vaccino, non si veniva sospesi e si poteva continuare tranquillamente ad andare a lavoro fino al giorno della prima dose. "Molti colleghi, il 15 dicembre, hanno fatto la prenotazione sui portali vaccinali: per alcuni di loro, la data prevista era per la prima dose era rimandata direttamente a dopo le festività, parliamo dal 7 gennaio in poi", afferma Andrea. Fino a quella data, quindi, la sospensione dal lavoro era "congelata". L'elemento interessante, però, viene successivamente: "Dal 10 gennaio, lo zoccolo duro no vax, guardacaso, ha chiamato la propria amministrazione comunicando la positività al Covid", ci racconta ancora Andrea. A quel punto, le attuali misure anti-Covid prevedono una quarantena minima di 10 giorni che deve essere seguita dall'obbligo di un test molecolare o antigenico negativo il decimo giorno per poter uscire e tornare a lavoro. "Non le sembra strana questa cosa?", domanda ironicamente Andrea.

Quindi molti colleghi del nostro lettore si sono ammalati casualmente in concomitanza con la prima dose, non potendo quindi sottoporsi alla vaccinazione e e dovendo rimanere a casa con il Covid. Semplice sfortuna? Può darsi, ma c'è dell'altro. Come si fa a provare che un soggetto è positivo al Covid? Con il tampone, ovviamente, ma il sistema italiano presenta alcune falle. "Lei è mai andato a fare un tampone rapido in farmacia?", chiede Andrea, raccontandoci la sua esperienza e quanto osservato. "A lei chiederanno soltanto la tessera sanitaria, non le chiedono la carta d'identità". Cosa significa? Che qualche no vax potrebbe aver fatto il furbo: "Se io vado con la tessera sanitaria mia o di un'altra persona, come fa il farmacista a sapere di chi è veramente?". Si tratta solo di ipotesi, chiaramente, nessuna prova, ma il nostro lettore ha riscontrato queste anomalie. E ce le ha volute raccontare.

"Serve il test sugli anticorpi"

Quindi il "metodo" sarebbe questo: il no vax che "fatta la legge trovato l'inganno" (immortale modo di dire), può aver pensato bene di prenotare il vaccino più in là nel tempo continuando, intanto, ad andare a lavorare. In prossimità della data, un amico compiacente, se positivo, potrebbe essersi offerto volontario nel farsi "caricare" la positività nella tessera sanitaria dell'amico per evitargli la vaccinazione. Questo "giochino" varrebbe al no vax ben sei mesi di green pass, senza vaccino. "Sicuramente avranno preso il Covid, ma perché le amministrazioni non hanno chiesto come conferma il tampone molecolare oltre a quello rapido?", domanda Andrea. La risposta, in questo caso, la spiega la legge e lo diciamo noi al nostro lettore: dal 10 gennaio vale anche il test antigenico, non per forza il molecolare. Nonostante siano altissimi i casi di falsi negativi o falsi positivi.

"Non ho le prove ma mi sembrava giusto farvi sapere tutto questo, altrimenti gli stupidi siamo noi che ci vacciniamo", sottolinea Andrea. Per fugare ogni dubbio di eventuali furbate no vax, Andrea ha pensato ad una soluzione intelligente che taglia la testa al toro. "Fossi l'amministrazione, a tutti quelli che hanno detto di aver contratto il Covid avrei fatto il test sierologico, quello quantitativo sugli anticorpi. Lei mi insegna che, chi ha avuto il Covid sintomatico o asintomatico, sviluppa comunque gli anticorpi", conclude.

Alessandro Ferro. Catanese classe '82, vivo tra Catania e Roma dove esercito la mia professione di giornalista dal 2012. Tifoso del Milan dalla nascita, la mia più grande passione è la meteorologia. Rimarranno indimenticabili gli anni in cui fui autore televisivo dell’unico canale italiano mai dedicato, Skymeteo24. Scrivo per ilGiornale.it dal mese di novembre del 2019 occupandomi soprattutto di cronaca, economia e numerosi approfondimenti riguardanti il Covid (purtroppo). Amo fare sport, organizzare eventi e stare in compagnia delle persone più care. Avviso ai naviganti: l’arancino è sempre maschio, diffidate da chi sostiene il contrario.

Da leggo.it il 27 gennaio 2022.

Una donna incinta su due (47%) non è vaccinata. Emerge dall'indagine Fiaso (Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere) in 12 ospedali sentinella su un totale di 404 parti eseguiti nella settimana 18-25 gennaio. «Il rischio, con l'ampia circolazione di Omicron, di avere l'infezione da SarsCov2 durante i 9 mesi, nei quali la donna è più suscettibile, è altissimo e può generare complicanze nella gravidanza, per la salute della donna e del bambino. È necessario insistere - dichiara Giovanni Migliore, presidente Fiaso - sulla necessità di vaccinarsi in gravidanza per prevenire l'infezione e minimizzare rischi di complicanze».

Una donna in gravidanza su sei partorisce con il Covid, la rilevazione Fiaso fatta in 12 ospedali sentinella. Su un totale di 404 parti eseguiti nelle 12 strutture sanitarie nella settimana dal 18 al 25 gennaio, 65 sono avvenuti in area Covid. Complessivamente, dunque, il 16% delle gravide ha contratto l'infezione da Sars-Cov-2 e ha partorito con il Covid. Tra le donne risultate positive al momento del parto, il 60% non era vaccinato e il 5% aveva sviluppato sintomi respiratori e polmonari tipici della malattia da Covid. Un solo neonato, figlio di una non vaccinata, ha contratto l'infezione.

«La presenza di pazienti gravide positive - spiega Giovanni Migliore, presidente della Federazione italiana aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso) -pone un problema dal punto di vista gestionale: a differenza di tante altre condizioni di positività che possono essere gestite in reparti multidiscliplinari, una partoriente positiva al Covid va ricoverata nei reparti di Ostetricia e questo impone la duplicazione dei percorsi per l'assistenza di pazienti negative e positive, che devono essere separate, con il conseguente raddoppio delle risorse necessario.

È un impegno importante e ulteriore per le aziende sanitarie e ospedaliere che da due anni sono in prima linea nell'emergenza. Occorre rivolgere ancora una volta un appello alla vaccinazione a tutte le donne incinte che ancora non hanno aderito alla campagna».

Francesco Gastaldi per corriere.it il 27 gennaio 2022.

«Non sono una cavia». Era una No Vax convinta, Barbara Fisichella, 52enne lodigiana, operatrice giudiziaria al casellario della Procura di Lodi e originaria di Codogno. La Fisichella è morta nella notte fra mercoledì e giovedì. 

Era nella sua casa di Lodi, positiva, da almeno dieci giorni. E a casa è morta. I famigliari hanno chiamato il numero di emergenza quando la donna nella tarda serata di mercoledì aveva iniziato a respirare affannosamente.

Non aveva voluto ricoverarsi quando le sue condizioni avevano iniziato a peggiorare. Quando l’ambulanza è arrivata, la donna era già in arresto cardiaco. I sanitari hanno tentato di rianimarla per svariati minuti, ma la Fisichella è morta poco dopo.

Il post su Facebook

Barbara Fisichella lavorava in tribunale a Lodi da anni. In Procura giovedì mattina la notizia della sua morte ha lasciato sgomenti i colleghi. Nessuno aveva voglia di parlare. Le sue posizioni «no vax» erano molto conosciute e la stessa Fisichella spesso pubblicava le sue posizioni sul suo profilo Facebook

Come il 28 novembre scorso quando aveva postato la sua foto profilo al centro, e con la scritta «Io non mi vaccino, non sono una cavia». All’interno l’immagine di un pugno che rompe una siringa. 

Molto probabilmente la donna aveva contratto il Covid nei giorni scorsi, e non essendo coperta dal ciclo vaccinale, la malattia ha alla fine avuto la meglio. La donna era originaria di Codogno, primo baluardo occidentale contro il Covid.

Era anche nipote di monsignor Rino Fisichella, arcivescovo e presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, originario di Codogno. Anche se i parenti codognesi, hanno affermato, non avevano sue notizie da anni. «Era la nostra unica dipendente no vax - conferma il procuratore di Lodi Domenico Chiaro, il quale a sua volta aveva contratto il Covid nella prima ondata della pandemia -. La gente deve sapere che se si rifiuta di sottoporsi alle cure rischia di morire».

Mamma morta di Covid, si indaga sulla ginecologa: le consigliò di non vaccinarsi. Giulio De Santis su Il Corriere della Sera il 26 Gennaio 2022. 

La morte di Adriana Tanoni, la 28enne non vaccinata deceduta il 20 gennaio del 2022 a causa del Covid al policlinico Umberto I dopo aver dato alla luce un bambino prematuro il 13 gennaio, finisce nel mirino della Procura. Che dovrà indagare sulla ginecologa della giovane, poiché le avrebbe consigliato di non vaccinarsi, paventando dei rischi legati alla gravidanza. La Procura dovrà anche approfondire il comportamento tenuto dal personale degli ospedali nei quali Tanoni – già madre di una bambina di due anni - si è recata dopo la scoperta della positività al coronavirus: non l’avrebbero ricoverata e comunque l’avrebbero convinta a tornare a casa.

Anche la decisione dei paramedici del 118 è stata posta all’attenzione della Procura: avrebbero visitato la 28enne nel giardino di casa in pieno inverno. A offrire questi spunti investigativi è la denuncia depositata a piazzale Clodio, attraverso l’avvocato Sebastiano Russo, dai genitori della giovane, Rinaldo Tanoni e Paola Ciccone. «Mia figlia non era no vax – sottolinea la signora Paola -. Non si è vaccinata su suggerimento della ginecologa. Anch’io non mi sono vaccinata. Ma perché ho perso il lavoro, e stando a casa sola, ho creduto di non rischiare. Vaccinarsi è importante, salva la vita».

Questa è la cronaca del calvario di Adriana, così come esposto nella denuncia dell’avvocato Russo, secondo cui la giovane «si sarebbe salvata se fosse stata ricoverata subito». Tanoni aveva scoperto di essere incinta nell’estate del 2021. La ginecologa - secondo i genitori - la dissuade dal vaccinarsi insinuando il dubbio che l’inoculazione del siero potrebbe creare delle complicazioni a lei e al feto. Anche il compagno della 28enne, fin da subito, si astiene dal vaccinarsi. Il 27 dicembre del 2021, giunta all’ottavo mese di gravidanza, Adriana all’improvviso inizia a tossire e ha dolore alle ossa. Temendo di aver contratto il Covid, fa il tampone insieme al compagno. Entrambi risultano positivi. Anche la figlia di due anni si contagia.

Il 3 gennaio Adriana si reca prima al Gemelli e poi all’Umberto I, accompagnata dal partner. Non si ferma in nessuno dei due ospedali, perché le dicono che i tempi d’attesa per la visita sono lunghi e che dovrebbe aspettare il suo turno in una tenda esterna, al freddo: lei, avendo la febbre a 38, preferisce evitare luoghi privi di riscaldamento. Il giorno dopo Adriana chiama un’ambulanza che la trasporta al Noc di Ariccia. Dove, secondo i genitori, le viene negato il ricovero e, come a Roma, le è imposto di attendere all’esterno della struttura. Così, ancora una volta, torna a casa. Il 5 gennaio chiama il 118. I paramedici la raggiungono nella sua abitazione e alle 10 del mattino – secondo i familiari – la visitano in giardino, nonostante la febbre e la tosse. Neanche procedono all’auscultazione, procedura medica utile a scoprire l’insorgenza di una polmonite interstiziale. Il 7 gennaio il ricovero all’Umberto I, dove Adriana morirà il 20 gennaio, qualche giorno dopo il parto, per le complicazioni del Covid.

Lorenzo ucciso dal Covid, lo strazio del padre: «Non siamo no vax, lui prendeva delle medicine». Simona De Ciero su Il Corriere della Sera il 25 Gennaio 2022.

L’uomo è vaccinato, così come la moglie e gli altri due figli. I medici: «Abbiamo tentato di tutto». 

«Non siamo una famiglia di no vax, anzi: appena abbiamo potuto abbiamo fatto tutti il vaccino, noi e gli altri nostri due figli. Il piccolo era in forse perché il vaccino non era ancora obbligatorio, lui prendeva delle medicine e così non era ancora stato vaccinato. Poteva prendere il Covid come tanti altri e superarlo. Invece, è andata così». A parlare è Simone Gazzano, padre di Lorenzo, il bambino di 10 anni morto ieri nella terapia intensiva del Regina Margherita, a causa del Covid.

Dolore, sgomento, incredulità. Sono le emozioni che attraversano l’uomo mentre, con la voce rotta dal pianto, cerca di dare una spiegazione a questa tragedia. Impossibile, però, rassegnarsi alla morte di un figlio. Specie quando, a strappartelo via, sono le insidie di questo virus che, subdole, dimostrano di non lasciar scampo nemmeno ai bambini.

«Il bambino è arrivato nelle prime ore di lunedì mattina e le sue condizioni sono apparse subito importanti — spiega Patrizia Fusco, direttore della struttura complessa di Pediatria dell’ospedale di Mondovì, dove sono state prestate le prime cure — aveva forti dolori e, dopo gli esami, si è capito che c’erano lesioni a livello dei muscoli. Sapevamo che era positivo perché aveva già fatto un tampone a casa — continua la pediatra — e, fatti tutti gli accertamenti e le terapie per stabilizzarlo, verso le 9 è stato trasferito al Regina Margherita, il centro di terzo livello per l’assistenza dei pazienti con patologie importanti». Qui si è tentato di tutto, inclusa la dialisi, ma non è bastato. Infatti, «purtroppo il bambino è arrivato in condizioni già molto critiche» precisa Franca Fagioli, direttrice del dipartimento patologia e cura del bambino del Regina Margherita.

Il caso del piccolo Lorenzo muove e sconvolge anche il personale sanitario. Ed è per questo che la dottoressa Fagioli insiste con forza verso un messaggio, che tenta di far passare a tutti i genitori da tempo. «I bambini devono essere vaccinati per preservare il loro stato di salute — precisa — infatti, anche se la rabdomiolisi, che ha colpito il piccolo Lorenzo, è un fenomeno possibile anche a causa di altre malattie virali, in questo caso, si è manifestata davvero con un’intensità mostruosa».

Dal nosocomio di Mondovì l’appello è il medesimo. «Eventuali effetti collaterali da vaccinazione sono molto più rari di quelli legati alla manifestazione della malattia e il piccolo paziente, purtroppo, si è aggravato a causa delle complicanze del Covid — ribadisce Patrizia Fusco — il vaccino è sicuro, ed è l’unico modo per proteggere i bambini dalla ferocia di questa malattia». Tutti i sanitari di Torino e Mondovì, e la direzione aziendale di Città della Salute di Torino, «si stringono intorno alla famiglia». Il piccolo Lorenzo soffriva di epilessia, malattia per cui in realtà, a detta dei medici, non esistono controindicazioni specifiche al vaccino.

Niccolò Zancan per “La Stampa” il 25 gennaio 2022.

Si chiamava Lorenzo Gazzano, aveva 10 anni quasi 11, faceva il chierichetto, sorrideva sempre, andava incontro a tutti. «Nel nostro paese lui era come il sole. Era la gioia di vivere incarnata. Ti salutava con un ciao talmente splendido, che ti faceva stare bene». Il sindaco di Nucetto, Enzo Dho, non riesce a trattenere le lacrime. C'è una nebbia tremenda su questa strada, fra Ceva e Imperia. La vecchia strada per il mare. Boschi e borgate, stufe accese. Nessuno sa dove poggiare lo sguardo. Lorenzo Gazzano è morto per Covid ieri mattina alle 5.55 nel reparto di terapia intensiva dell'ospedale Regina Margherita di Torino. 

È il primo bambino piemontese ucciso dal virus, il trentottesimo minorenne morto in Italia dall'inizio della pandemia. L'unico che non aveva altre malattie gravi. Non era vaccinato, ma tutta la sua famiglia lo è. «Visto che Lorenzo soffriva di crisi epilettiche, avevamo consultato un medico che ci aveva detto di aspettare», ha detto disperato il padre, Simone Gazzano. All'alba di ieri. Quando gli stavano facendo indossare la tuta bianca, con i guanti, i calzari, la visiera. Solo così ha potuto vedere ancora qualche istante suo figlio, è il protocollo. La scuola del paese è chiusa per un focolaio. Anche il Bar delle Rose è chiuso, un cartello sulla saracinesca spiega perché: «Chiuso per Covid». È il bar gestito dalla famiglia Gazzano.

Dopo alcuni casi di positività fra i clienti, la signora Mara Garelli, la madre del bambino, si era messa in isolamento. Era l'inizio della scorsa settimana. Poi anche lei è risultata positiva. I tre figli erano a casa da scuola, come tutti i bambini di Nucetto. In un paese di 399 abitanti, in quel momento si contavano venti casi di Covid. Nessuno grave. Venerdì Lorenzo Gazzano stava ancora bene. Sabato mattina anche il suo tampone è risultato positivo; ventunesimo caso di positività a Nucetto. Si è aggravato domenica pomeriggio. Stanchezza, febbre, dolore, sfinimento. È stato portato in ospedale di Mondovì alle 4 di mattina di lunedì, dove hanno subito capito che doveva essere trasferito d'urgenza al Regina Margherita.

Ecco il quadro clinico spiegato in una nota dell'ospedale infantile di Torino: «È arrivato in condizioni già molto gravi. Ipotermia, rabdomiolisi, dolori muscolari importantissimi agli arti inferiori e sospetta miocardite innescata dal virus». La dottoressa Franca Fagioli, primaria del reparto, non aveva mai visto niente del genere: «La parola chiave per capire quello che è successo è rabdomiolisi. Il virus attacca i muscoli e li distrugge, le sostanze muscolari finiscono nel sangue, si alza il potassio e quindi il cuore Abbiamo provato anche con la dialisi». La madre è stata sempre al suo capezzale, essendo positiva anche lei. Tutte le cure di cui la medicina dispone oggi non sono state sufficienti, non sono servite nemmeno le preghiere. Non si era mai visto un aggravamento così repentino del quadro clinico.

«Per questo abbiamo chiesto l'autopsia», dice ancora la dottoressa Fagioli. A Nucetto ieri il sole era scomparso. Nebbia e gelo per le strade. I bambini bussavano alla porta di quella casa e restavano ammutoliti di fronte all'accaduto. Anche gli adulti non trovavano parole, nessuno poteva. Un medico era stato chiamato per sedere lo strazio della madre. Chiuso il negozio di alimentari per lutto, saracinesche abbassate lungo lo stradone. «Era un bambino così meraviglioso», ha detto sconvolta la signora Cristina Massera. «Un bambino che faceva bene al cuore. In questo paese i bambini sono sempre stati il suono della felicità. La scorsa estate, quando si allontanavano per i sentieri assieme ai più grandi, era come se venisse meno la vita».

Ieri a Nucetto c'era un silenzio totale. Silenzio al distributore di benzina, proprio accanto al Bar Trattoria «Delle Rose». Silenzio al parco giochi, distrutto dall'alluvione. Silenzio in chiesa, dove lui era di casa. «Lorenzo era un chierichetto assiduo e solare, era entrato nel cuore di tutti con il suo volto raggiante», dice don Roberto Fontana. «Siamo orfani della sua luce». Tutti conoscevano Lorenzo Gazzano detto Lollo, tutti gli erano grati per la sua simpatia e per la sua educazione. Molti sapevano della sua sofferenza, le crisi epilettiche che si erano manifestate recentemente, tanto che a scuola avevano spiegato come fare per aiutarlo.

Proprio quella fragilità è il motivo per cui un medico ha consigliato alla sua famiglia di prendere tempo con la vaccinazione contro il Covid. È una titubanza giustificata, domandiamo alla dottoressa Fagioli? «No, non c'erano controindicazioni. Il bambino poteva essere vaccinato». Il padre è tornato a casa dall'ospedale. La casa aveva poche luci accese e parenti e amici che non potevano salire al piano di sopra dove la madre sedata era ancora positiva. Nessuno degli altri venti contagiati del paese sta adesso altrettanto male, così come è stato Lorenzo Gazzano. Solo in Comune sono in malattia l'impiegato tecnico e il messo comunale. Resiste solitario l'ufficiale dell'anagrafe. Questo è il picco dei contagi dal febbraio 2020.

Ma quella di Lorenzo Gazzano è una storia fuori da ogni statistica. Era un bambino a forma di sole. «Tutti ci chiediamo perché sia successo e non troviamo risposte, siamo attoniti e senza parole», dice il sindaco Enzo Dho. «Quando tu ti sentivi triste o arrabbiato per qualche ragione e lo incontravi, lui ti cambiava l'umore. Ti faceva venire voglia di essere leggero, subito passavi dei bei momenti. Lorenzo ti salutava da trenta metri con quel ciao stupendo, e tutto andava a posto». Ciao Lollo, dicono tutti adesso a Nucetto. Ma sono saluti senza lo stesso potere magico.

Covid, runner No Vax si contagia e muore in Georgia: "Era in perfetta forma, siamo increduli". Cenzio Di Zanni su La Repubblica il 25 Gennaio 2022.

Prospero Petroni, 58 anni, consulente finanziario barese, è spirato a Tbilisi. Convinto oppositore del vaccino si è contagiato intorno al 10 gennaio, quando sarebbe dovuto tornare in città. 

L'ultimo messaggio inviato a Carmela Glorioso, dirigente dell'Atletica Bitritto, risale al 7 gennaio scorso: "Ci vediamo la prossima settimana per fare allenamento". Ma Prospero Petroni non potrà più indossare le scarpe ginniche e presentarsi a quell'appuntamento. È morto di Covid in un ospedale di Tbilisi, capitale della Georgia, dove aveva raggiunto la sua compagna per le festività natalizie.

Leonard Berberi per corriere.it il 25 gennaio 2022.

Decine di no vax italiani ogni giorno volano da una città all’altra dell’Italia senza avere il super green pass, nonostante questo sia obbligatorio sui mezzi di trasporto pubblico, e pagando poche decine di euro. 

Viaggi tecnicamente legali — anche se più tortuosi — grazie a una «scappatoia» normativa dell’ultima ordinanza che consente gli spostamenti via aria senza il certificato (che si ottiene con il vaccino o con la guarigione dal Covid) nelle tratte internazionali. È sufficiente l’esito negativo del tampone rapido o molecolare.

E così in tanti fanno scalo in un Paese dell’Unione europea prima di raggiungere la destinazione nazionale. È quanto apprende il Corriere della Sera da diverse fonti aeroportuali italiane e da personale delle compagnie aeree che segnalano un aumento del trend negli ultimi giorni. 

Le nuove regole

Com’è noto dal 10 gennaio per imbarcarsi in aereo è obbligatorio il super green pass (per gli over 12). Questo però vale per le rotte nazionali.

Per quelle internazionali — chiarisce una circolare del ministero della Salute — il viaggiatore deve seguire le regole del Paese di destinazione e in ogni caso in Europa è sufficiente anche un tampone negativo (rapido o molecolare) che fa ottenere il green pass comunitario. 

Quindi nei collegamenti da e per l’Italia — per esempio con un Paese Ue — basta l’esito negativo di un test Covid. Il no vax che arriva in Italia dai Paesi dell’elenco C (di fatto quelli dell’Ue) con un tampone negativo dovrà sottoporsi all’isolamento fiduciario di 5 giorni. Al termine del quale dovrà fare un altro tampone. Ma, come racconta più di qualcuno, nessuno controlla e così molti non fanno né la mini-quarantena né il test. 

Le rotte

Sono diverse le rotte dei no vax italiani, spiegano le fonti che ricordano come il viaggio sia più tortuoso e richieda più tempo, ma economicamente ha un impatto ridotto o nullo rispetto a un viaggio diretto grazie alla connettività offerta dalle low cost. Per esempio la Milano-Barcellona-Cagliari. 

Il 6 febbraio bastano 46 euro, extra esclusi, per volare con Ryanair dal terzo aeroporto milanese (Bergamo-Orio al Serio) alla città catalana (12 euro di volo) e poi imbarcarsi su un Vueling con destinazione Cagliari (34 euro). 

In questo caso è sufficiente lo stesso esito negativo del tampone rapido o molecolare per entrambi i viaggi. Una volta a Cagliari, per legge, il passeggero dovrebbe isolarsi per cinque giorni. Ma, come detto, il sistema dei controlli non è in grado di tracciare tutti.

I costi

Un’altra rotta percorsa dai no vax è quella che dalla Lombardia porta alla Sicilia (e viceversa) via Francia. In questo caso servono 20 euro con easyJet da Milano Linate a Parigi-Charles de Gaulle e poi altri 38 euro volare fino a Catania per un totale di 58 euro.

Viene segnalata anche la triangolazione Italia-Ungheria per chi deve muoversi senza super green pass tra Milano la Puglia: il 7 febbraio il primo volo verso Budapest, con Ryanair, costa 5 euro, più altri 3 euro con Wizz Air per Bari. 

Totale 8 euro, al netto dei costi extra e della spesa per il tampone. Trattandosi di biglietti separati è quasi impossibile notare la triangolazione senza fare una verifica specifica.

Gli irriducibili che vogliono infettarsi tra untori a pagamento e baci proibiti. Fausto Biloslavo il 25 Gennaio 2022 su Il Giornale.

A una settimana dal super green pass sono 1 milione e 800mila gli over 50 senza una dose. "Ma preferisco morire che fare il vaccino".

«La saliva degli infetti la faccio versare in un contenitore, come quello del test delle urine. Poi uso un cotton fioc imbevendolo e lo infilo su per il naso. Sono disposto a tutto pur di non fare il vaccino». Il racconto rivela la scelta estrema degli irriducibili, con più di 50 anni, che fra una settimana rischiano di rimanere a casa o perdere il lavoro se non rispettano l'obbligo vaccinale. La punta dell'iceberg della ricerca ad ogni costo dell'infezione da Covid, delle truffe per ottenere il green pass e del contagio a pagamento. Ieri i carabinieri dei Nas hanno perquisito a Udine le abitazioni di quattro persone, che ottenevano il lasciapassare verde tramite tamponi in realtà mai effettuati. Gli indagati sono tre insegnanti di scuole di vario grado e un farmacista compiacente. L'inchiesta è scattata a novembre e i reati contestati sono di falso in certificazioni e truffa ai danni dello Stato.

In molti, però, puntano ad infettarsi «prendendo ad ogni costo il Covid. Non ho paura - racconta una persona di mezza età, che sembra disperata - Vado a casa di conoscenti positivi e passo del tempo con loro. Mi siedo, bevo qualcosa, mangiamo assieme, mi fermo a cena. Utilizzo le stesse posate per trovare il modo di infettarmi. Sono disposto a tutto» spiega il no vax. Il paradosso è che non riusciva a prendere il Covid: «Ci provo da più di 15 giorni Mi impesto il naso e la bocca con la saliva dei contagiati, ma niente. Sono sfortunato» si sfoga l'irriducibile. «Ho più paura del sistema che mi impone a forza un vaccino sperimentale - aggiunge - che di contrarre il virus». Assolutamente convinto che i vaccini siano pericolosi elenca casi che conosce di trombosi, paralisi parziale e addirittura un decesso a causa del siero anti covid. «Non temo di finire in terapia intensiva. Rischio il tutto per tutto - sostiene convinto - Preferisco morire di mio, che morire con il dubbio che qualcuno mi abbia fatto qualcosa». Da qualche giorno ha raggiunto l'obiettivo ed è casa con la febbre.

Ad una settimana dal super green pass obbligatorio sono ancora 1 milione e 800mila gli over 50 senza una dose. Nella fascia di età dai 50 ai 59 anni si conta il numero maggiore (848.871). L'introduzione dell'obbligo ha registrato un aumento del 28,1% della prima dose, ma per vaccinare tutti i recalcitranti bisognerebbe andare avanti fino a primavera. In tanti non sceglieranno strade alternative come le truffe dei tamponi o l'opzione di contagiarsi andando a caccia di positivi.

Un servizio di Controcorrente prima serata in onda domenica sera su Rete 4 ha scovato le chat su Telegram dove si «offre» la positività in cambio di soldi. «Facciamo 350 (euro) - dice un untore al telefono - Ti lascio il cotton fioc in una bustina chiusa. E tu i soldi direttamente al portone e basta». Qualcuno si offre gratis per la causa e il 13 gennaio c'è chi chiedeva: «In nord Italia dove c'è un corona party?». Ad Ancona un no vax voleva la mascherina infetta di una vicina di casa per prendere il virus. Sempre su Telegram girano offerte, vere o presunte, di green pass falsi da 250 a 500 euro preferibilmente in bitcoin.

A Trieste, ex capitale dei no vax, uno dei leader della protesta, Fabio Tuiach, conferma: «Molti cercano di infettarsi pur di non sottostare al diktat vaccinale». Quando ha preso il Covid «una signora voleva baciarmi per contagiarsi, ma mia moglie non era contenta». 

Fausto Biloslavo. Girare il mondo, sbarcare il lunario scrivendo articoli e la ricerca dell'avventura hanno spinto Fausto Biloslavo a diventare giornalista di guerra. Classe 1961, il suo battesimo del fuoco è un reportage durante l'invasione israeliana del Libano nel 1982. Negli anni ottanta copre le guerre dimenticate dall'Afghanistan, all'Africa fino all'Estremo Oriente. Nel 1987 viene catturato e tenuto prigioniero a Kabul per sette mesi. Nell’ex Jugoslavia racconta tutte le guerre dalla Croazia, alla Bosnia, fino all'intervento della Nato in Kosovo. Biloslavo è il primo giornalista italiano ad entrare a Kabul liberata dai talebani dopo l’11 settembre. Nel 2003 si infila nel deserto al seguito dell'invasione alleata che abbatte Saddam Hussein. Nel 2011 è l'ultimo italiano ad intervistare il colonnello Gheddafi durante la rivolta. Negli ultimi anni ha documentato la nascita e caduta delle tre “capitali” dell’Isis: Sirte (Libia), Mosul (Iraq) e Raqqa (Siria). Dal 2017 realizza inchieste controcorrente sulle Ong e il fenomeno dei migranti. E ha affrontato il Covid 19 come una “guerra” da raccontare contro un nemico invisibile. Biloslavo lavora per Il Giornale e collabora con Panorama e Mediaset. Sui reportage di guerra Biloslavo ha pubblicato “Prigioniero in Afghanistan”, “Le lacrime di Allah”,  il libro fotografico “Gli occhi della guerra”, il libro illustrato “Libia kaputt”, “Guerra, guerra guerra” oltre ai libri di inchiesta giornalistica “I nostri marò” e “Verità infoibate”. In 39 anni sui fronti più caldi del mondo ha scritto quasi 7000 articoli accompagnati da foto e video per le maggiori testate italiane e internazionali. E vissuto tante guerre da apprezzare la fortuna di vivere in pace. 

Camilla Mozzetti e Raffaella Patricelli per “Il Messaggero” il 22 gennaio 2022.

«Si muore da vecchi» dicono quelli che al Covid rispondono alzando le spalle perché per loro è «solo un'influenza». Ma il virus non risparmia nessuno, infetta e uccide anche le donne, pure quelle in dolce attesa. Giovani che non hanno compiuto ancora trent' anni. Le donne con un quadro clinico sereno: senza patologie autoimmuni, senza problemi legati all'obesità o all'ipertensione (tra le cause che tendono a complicare le condizioni di chi contrae il Sars-Cov-2).

Anna - la chiameremo così - aveva appena 28 anni e non era vaccinata. È morta nella notte tra il 20 e il 21 gennaio nel reparto di Terapia Intensiva del policlinico romano Umberto I. Residente ad Aprilia, una cittadina tra Roma e Latina, era incinta e il suo bimbo è stato fatto nascere alla 32esima settimana con un taglio cesareo nel disperato tentativo di salvare la vita ad entrambi. Lui, il piccolo appena un chilo e 800 grammi, si è salvato: scalcia già e si muove dentro l'incubatrice.

Lei, Anna, invece è morta senza aver visto per un solo secondo il figlioletto che portava in grembo. La donna aveva contratto il Covid da non vaccinata, il suo percorso di immunizzazione contro il virus non era mai partito e neanche la sicurezza di poter ricevere la dose pur essendo incinta l'aveva convinta, spronata a tutelarsi. 

LA STORIA Il virus l'ha contratto a casa, durante le vacanze di Natale, era il 29 dicembre quando sono iniziati i primi sintomi poi il tracollo contro cui neanche i sanitari dell'Umberto I hanno potuto nulla pur adoperandosi in ogni modo. Ed Anna non era una di quelle donne che, stando ad un'ultima indagine dell'Asl Roma 1 sul profilo dei no vax di ritorno, non si era vaccinata perché ai margini della società, straniera o senza istruzione.

La sua è una famiglia normale, italiana e istruita, lavoratori i genitori, lavoratore il marito ma del vaccino non si fidava, pare che neanche suo marito fosse vaccinato e il Covid se l'è portata via in meno di un mese. Il sette gennaio, dopo nove giorni dai primi sintomi, Anna non riesce a respirare e così i suoi cari decidono di portarla al pronto soccorso dell'Umberto I.

«È stata ricoverata con una seria insufficienza respiratoria - ricorda Katia Bruno, coordinatrice della Terapia intensiva Covid del policlinico universitario - per diverse ore è stata trattata al pronto soccorso ostetrico e poi trasferita in reparto». Le condizioni sono apparse da subito complesse. «La donna era sì incinta ma non aveva patologie pregresse o condizioni tali da aggravare l'evoluzione della malattia, non si era vaccinata ma è fondamentale farlo perché il Covid uccide anche le persone sane e le giovani donne che aspettano un bimbo», prosegue la Bruno che aggiunge: «Da subito è stata trattata con il casco al 100% di Co2 e i monitoraggi del bimbo, fatti in continuazione durante la degenza, non mettevano in luce alcuna problematica».

L'EVOLUZIONE Ma la donna non dava segni di miglioramento fino a che, sei giorni più tardi - il 13 gennaio -, il quadro clinico è arrivato ad un passo dal crollo: «Era difficile gestire la respirazione solo con il casco - ricorda la coordinatrice della Terapia intensiva - e si è dunque deciso di intervenire con il parto cesareo alla 32esima settimana in anestesia generale. Dopo l'operazione è stata trattata con la ventilazione meccanica in Ecmo al 100%».

Il bimbo «dopo un iniziale distress respiratorio - fanno sapere dall'ospedale - è stato ricoverato in Terapia intensiva neonatale ma ora le sue condizioni sono buone e non necessita di supporto ventilatorio». Il Covid non l'ha contratto. Anna invece dopo un apparente miglioramento con l'Ecmo ha ceduto: il suo cuore ha smesso di battere alle 4 del mattino di due giorni fa lasciando nello sconforto la famiglia ma anche i sanitari. Il dolore è dilagato anche ad Aprilia: «Una vera tragedia - commenta il sindaco della cittadina Antonio Terra - Ho ricevuto la chiamata direttamente dall'assessore regionale alla Sanità Alessio D'Amato, lui stesso di persona mi ha voluto informare della situazione e porgermi la sua vicinanza considerata la situazione molto delicata».

Proprio D'Amato, che ha garantito svariati Open day per le donne in gravidanza al fine di ribadire l'importanza della copertura vaccinale anche per loro (il 2 febbraio ci sarà un altro appuntamento dedicato all'ospedale Sant' Eugenio di Roma ndr), lancia di nuovo l'appello alle donne che aspettano: «Vaccinatevi è assurdo morire così». 

Marco Cusumano per “Il Messaggero” il 23 gennaio 2022.

Si è presentato in ospedale quando aveva già difficoltà a respirare ma nonostante questo ha rifiutato le cure, strappandosi l'ossigeno, convinto di poter guarire senza seguire le indicazioni dei medici. Quando i sanitari sono riusciti a convincerlo ad ascoltare i loro consigli e a indossare la maschera dell'ossigeno era ormai troppo tardi. E' una morte che fa rabbia quella di un 28enne di Terracina, convinto no-vax, deceduto all'ospedale Santa Maria Goretti di Latina dove è arrivato con i polmoni ormai compromessi dalla malattia. Anche lui, come la coetanea di Aprilia morta il giorno precedente, aveva scelto con convinzione di non vaccinarsi. La stessa scelta di tutta la sua famiglia, risultata contagiata dal virus che ha colpito con particolare violenza il padre 55enne, ora ricoverato in condizioni gravi nel reparto di Malattie infettive del capoluogo pontino.

LA RICOSTRUZIONE Il giovane si era presentato all'ospedale di Terracina il 16 gennaio scorso con un quadro clinico già molto preoccupante. Evidentemente il suo scetticismo verso la medicina era ben radicato, tanto che quando si è trovato davanti i sanitari ha rifiutato di entrare e ha iniziato ad avere un atteggiamento aggressivo. Dopo gli accertamenti che confermavano la gravità della situazione, il 28enne ha reagito in modo violento minacciando di aggredire il personale e si è strappato via il casco che consente il trattamento più efficace con l'ossigeno, in pratica l'unica speranza che aveva di salvarsi la vita.

Per riportarlo alla calma è stato necessario l'intervento di una pattuglia dei carabinieri che, insieme ai sanitari, hanno tentato di tranquillizzare il ragazzo per fargli capire la gravità della situazione e la necessità di un trattamento rapido ed efficace. Il giorno successivo il 28enne è stato trasferito dall'ospedale di Terracina al più attrezzato nosocomio di Latina, direttamente nel reparto Rianimazione Covid, dove i medici hanno fatto di tutto per salvargli la vita.

Ma il quadro clinico era ormai terribile, i polmoni erano stati pesantemente danneggiati dal virus provocando un'insufficienza respiratoria grave e la necessità del casco per l'ossigeno. L'intera famiglia aveva rifiutato di vaccinarsi e purtroppo lui, nonostante la giovane età, ha avuto la peggio probabilmente anche per la presenza di altre patologie di tipo neurologico. Ma a pesare è stata certamente la scelta di non vaccinarsi e di ostacolare le cure, tardando anche l'arrivo al pronto soccorso.

«Quando i no vax arrivano in ospedale non sono ai primi sintomi spiega la direttrice generale della Asl di Latina, Silvia Cavalli - arrivano già in gravi condizioni perché c'è la negazione della malattia. È fondamentale vaccinarsi e recarsi in ospedale ai primi sintomi senza aspettare troppo a lungo». Parole analoghe arrivano dall'assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D'Amato: «Il Covid colpisce duramente anche i giovani. È importante fare la vaccinazione, è troppo pericoloso».

RIANIMAZIONE IN AFFANNO A tracciare il quadro della situazione sui pazienti Covid più gravi è il direttore della Rianimazione dell'ospedale di Latina, Carmine Cosentino: «Abbiamo otto posti letto Covid e da metà dicembre spiega da quando cioè abbiamo attivato al Goretti la Rianimazione Covid, abbiamo avuto in totale 16 pazienti. Solo due di questi erano vaccinati. Ora abbiamo avuto il decesso di questo giovane paziente e il posto letto è già stato occupato da un'altra persona in condizioni critiche.

L'età media è 60-70 anni, ma alcuni sono anche più giovani. Purtroppo in molti casi vediamo pazienti che arrivano in ospedale troppo tardi e in condizioni già gravemente compromesse ed è difficile intervenire. Nei non vaccinati continuiamo a vedere polmoniti da Covid che vedevamo un anno fa, i vaccinati gravi invece sono quasi sempre pazienti anziani e con patologie pregresse, che hanno poche riserve e non ce la fanno a sostenere il Covid».

Porta il padre sulle spalle per 12 ore per farlo vaccinare: “Convinti perché isolati da fake news”. Chiara Nava il 21/01/2022 su Notizie.it.

Parla Eric Jennings Simões, il fotografo che ha scattato la foto dell'indigeno che ha portato il padre sulle spalle per 12 ore per farlo vaccinare.

Parla Eric Jennings Simões, il fotografo che ha scattato la foto dell’indigeno che ha portato il padre sulle spalle per 12 ore per farlo vaccinare. 

Porta il padre sulle spalle per 12 ore per farlo vaccinare: “Convinti perché isolati da fake news”

La famosa foto con l’indigeno brasiliano che porta sulle spalle il padre per 12 ore nella foresta amazzonica per farlo vaccinare contro il Covid “è autentica“. Quel gesto che ha stupito tutti è stato possibile perché gli indigeni brasiliani di quella tribù vivono isolati e al “riparo dalle fake news sul vaccino anti Covid“. Questo è quanto spiegato da Eric Jennings Simões, medico e autore dello scatto. L’uomo ha spiegato a L’Avvenire che lo scatto risale ad un anno fa, gennaio 2021, quando era appena iniziata la campagna vaccinale tra la tribù dei nativi Zó’é.

Porta il padre sulle spalle per 12 ore per farlo vaccinare: “Come dimenticare quel 22 gennaio 2021?”

Il gruppo viveva isolato e, in accordo con i capi tribù, avevano deciso di non far entrare nessuno nel loro territorio, nemmeno i medici, proprio per evitare focolai di contagio. I sanitari erano quindi rimasti ai margini del loro territorio. Per questo era necessario spostarsi dall’interno verso il punto convenuto per i vaccini.

“È accaduto quasi un anno fa ma me lo ricordo perfettamente. Come dimenticare quel 22 gennaio 2021? Eravamo arrivati in prossimità del territorio dei nativi Zó’é il giorno prima. Ero molto emozionato. Dopo infiniti mesi di attesa, morte e disperazione, finalmente il vaccino era disponibile” ha dichiarato il medico. “Per suggellare il momento, ho deciso che la prima dose sarebbe stata impiegata su di me. E che ad iniettarmela fosse Hun, la persona del popolo Zó’è appositamente formata” ha aggiunto. 

Porta il padre sulle spalle per 12 ore per farlo vaccinare: “Con i popoli bersagliati di fake news è stato complicato”

Le persone si sono messe in fila e a turno si sono dirette verso il luogo della vaccinazione, con grande fiducia nei medici che, dopo il primo contatto del 2002, con il tempo hanno imparato a conoscere e rispettare. “Utilizzano la medicina tradizionale ma sanno che su alcune malattie non ha effetto. Per questo, accettano il nostro aiuto. Hanno sperimentato che possono fidarsi. Quando siamo arrivati con il Coronavac, il vaccino disponibile in quel momento per il Covid, non si sono, dunque, stupiti” ha dichiarato il medico. “Nessuno ha fatto resistenza. Con altri popoli, bersagliati di fake news, come i Kayapó, i Suruní e i Mundurukú, è stato più complicato. Spesso le notizie false fanno più danni del Covid… Gli Zo’é, che si erano autoisolati fin dall’inizio della pandemia, ci hanno solo chiesto di non entrare nei villaggi” ha aggiunto. 

Da open.online il 21 gennaio 2022.

Quanto costa curare un No vax? Mentre cominciano a scarseggiare i farmaci utilizzati contro Covid-19 e metà dei preparati finisce nella cura ai non vaccinati, c’è chi fa i conti in tasca alle terapie intensive e ai reparti ordinari degli ospedali. Per scoprire che oggi il ricovero in rianimazione di un non immunizzato arriva a costare fino a 4 mila euro al giorno. E la distinzione non è casuale, visto che nei vaccinati che finiscono in nosocomio il decorso della malattia è invece più breve e benigno (e quindi meno costoso). 

«Usiamo molte risorse per i non vaccinati, completamente esposti al virus – dice oggi a La Stampa il dottor Sergio Livigni, coordinatore dell’area sanitaria ospedaliera del Dirmei e direttore del dipartimento Dea Asl Città di Torino -: monoclonali, antivirali, antinfiammatori. Va da sé che dobbiamo trattare tutti, senza eccezioni». 

Il prezzo di un ricovero

Il ricovero di un non immunizzato in rianimazione costa fino a 4 mila euro al giorno, spiega Livigni. Ma è una cifra variabile in base a una sommatoria di fattori: «Se si tratta di intubarlo, o di ricorrere alla Ecmo, la circolazione extracorporea, i costi lievitano in misura sensibile». 

Per chi è immunizzato invece «il decorso è più breve e benigno, rari i ricoveri in terapia intensiva». Dei 142 ricoverati nelle terapie intensive piemontesi oltre il 70%, dunque più di 100 – è senza vaccino. Il loro costo, calcola il quotidiano, si aggira intorno ai 450 mila euro al giorno. Per la sola regione Piemonte, s’intende. Mentre scarseggiano anche i medicinali: Sotrovimab, l’unico anticorpo monoclonale che agisce contro Omicron, arriva con il contagocce.

Altrimenti ci sono gli antivirali, che comunque non hanno valore preventivo e vanno somministrati entro pochi giorni dalla comparsa dei sintomi: «La prima indicazione è sempre il Sotrovimab, le seconda è il Remdesivir, per i profili a basso-medio rischio prescriviamo il Molnupiravir», dicono i dottori piemontesi. Da ultimo, si lavora a un anticorpo monoclonale con impiego preventivo, alla pari dei vaccini, che aprirebbe nuove prospettive. Un altro contributo arriverà dal vaccino aggiornato che Pfizer sta mettendo a punto contro Omicron: «In tutti i casi, nel prossimo futuro si tratterà di capire in chi e come questa variante può fare danni. Sarà l’elemento condizionante». 

Il prezzo indiretto

Nell’ottobre scorso anche Altems, ovvero l’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari (Altems) dell’Università Cattolica, aveva calcolato il costo dei ricoveri dei non vaccinati ricoverati per il Sistema Sanitario Nazionale. Il prezzo giornaliero di un ricovero in area medica si stimava in 709 euro, quello in terapia intensiva in 1.680. In totale, il no al vaccino costava fino a 70 milioni di euro al mese. 

Alessandro Vergallo, presidente di Aaroi-Emac, a cui fanno capo i medici anestesisti e rianimatori, aveva stimato che la spesa corre a causa di costi diretti e indiretti: «C’è un costo di default, che è una sommatoria di logistica, reparti che fanno da supporto, personale, numero di posti letto occupati. In linea generale possiamo calcolare circa mille euro a paziente al giorno. Ma parliamo solo di costi diretti, riferiti a un sistema sanitario non in affanno. Poi ci sono quelli indiretti, dovuti a rallentamenti, trasferimenti, attivazione di nuovi posti letto, aumento delle liste d’attesa».

Terapie intensive: i No Vax rischiano 38 volte di più di chi ha il booster. Andrea Cuomo il 16 Gennaio 2022 su Il Giornale.

Report dell'Iss: vaccini efficaci contro la malattia grave, meno casi tra i medici ma crescono i contagi tra i 16-19enni e i ricoveri degli under 5. In calo i contagi giornalieri e rallenta l'aumento dei ricoveri.

Nei giorni in cui i numeri del Covid sembrano darci più dubbi che certezze, qualche punto fermo resta: il vaccino per quanto sotto le aspettative nella sua capacità di inibire i contagi, resta comunque una bella polizza contro lo sviluppo del Covid, soprattutto nelle sue forme più gravi. Lo chiarisce il report esteso dell'Istituto superiore di sanità, che analizza i dati che arrivano dagli ospedali: ebbene, il tasso di ricovero in terapia intensiva è pari a 26,7 casi ogni 100mila per i non vaccinati e 0,7 ogni 100mila per i vaccinati con booster. Insomma, chi ha fatto tre dosi di vaccino è circa trentotto volte più protetto dalle conseguenze più gravi della malattia di chi non si è mai recato in un hub vaccinale. E il tasso dei decessi per le persone non vaccinate è pari a 42,4 ogni 100mila e quello dei vaccinati con ciclo completo e dose booster è 1,4. Secondo l'Iss la vaccinazione riduce la diagnosi di infezione rispetto alla non vaccinazione del 71 per cento entro novanta giorni dal completamento del ciclo vaccinale, del 57 per cento tra i 91 e i 120 giorni e del 37 per cento oltre i 120 giorni, mentre la protezione dalla malattia severa è rispettivamente del 95, del 93 e dell'89 per cento.

Dal report dell'Iss emergono altri due dati preoccupanti: l'aumento dei casi Covid tra gli operatori sanitari, 12.009 rispetto ai 10.393 della settimana precedente che però diminuiscono in termini percentuali (dal 2,0 per cento all'1,8) a causa dell'aumento dei contagi generali. E il forte aumento dell'incidenza dei contagi in particolare per la classe di età 16-19 anni e del tasso di ospedalizzazione nella fascia meno di 5 anni (oltre 10 ricoveri per un milione di abitanti) e un aumento più contenuto nella fascia 16-19 anni. Resta stabile la percentuale dei casi segnalati nella popolazione di età scolare (20 per cento). Il 31 per cento dei casi in età scolare è stato diagnosticato nella fascia d'età 5-11 anni, il 59 nella fascia 12-19 anni e solo il 10 nei bambini sotto i 5 anni.

Nel frattempo dal bollettino arrivano notizie piuttosto tranquillizzanti. Ieri sono stati conteggiati 180.426, un dato alto ma inferiore rispetto ai 197.552 del sabato precedente (un confronto questo che consente uno sguardo tendenziale). La cosa era già accaduta giovedì mentre venerdì no, ma a causa del fatto che il confronto avveniva con il 7 gennaio, influenzato dal giorno festivo precedente. La percentuale di tamponi positivi rispetto a quelli effettuati (1.217.830) è del 14,81 per cento, la più bassa del 4 gennaio. Si potrebbe intuire quindi un rallentamento della corsa dei contagi, se non addirittura il sospirato plateau. Quella che non rallenta è la corsa dei decessi: 308 ieri, per il quarto giorno consecutivo sopra quota trecento. Ma sappiamo come i decessi siano l'evento che avviene con il maggiore ritardo rispetto al contagio e quindi è probabile che l'impennata attuale dei decessi sia da mettere in relazione con l'esplosione dei contagi a partire dalla fine del 2021.

E vediamo la situazione negli ospedali. Anche qui le cose sembrano andare meglio. I pazienti Covid nei reparti ordinari continuano a crescere, ma in modo meno significativo: ieri 18.370, con un aumento di 351 unità. Negli ultimi sette giorni l'aumento è stato di 3.440, nei sette giorni precedenti di 3.665. La percentuale di occupazione è del 28,16 per cento. I pazienti Covid nelle terapie intensive sono 1.677, due in meno del giorno prima. Negli ultimi sette giorni si registra un +120 contro il +260 dei sette giorni precedenti. Tasso di occupazione al 18,14 per cento. Andrea Cuomo

(ANSA il 19 gennaio 2022) - Un quarantenne della provincia di Napoli è stato denunciato dalla Polizia Postale della Campania, coordinata dalla Procura di Napoli Nord, con l'accusa di essere l'autore di uno dei messaggi lesivi della memoria dell'ex presidente del Parlamento Europeo, Davide Sassoli, comparsi nella rete. Gli agenti della Postale hanno anche eseguito una perquisizione informatica nel corso della quale sono state rinvenute tracce del messaggio d'odio. L'uomo in passato è già stato denunciato per inosservanza delle misure sanitarie in materia di Covid. 

(ANSA il 19 gennaio 2022) - È risultato essere amministratore di un canale Telegram con più di 30.000 iscritti, sul quale ha pubblicato numerosi messaggi di incitamento alla violazione delle disposizioni sulla gestione dell'emergenza pandemica da Covid-19, il 40enne della provincia di Napoli denunciato dalla Polizia Postale della Campania, coordinata dalla Procura di Napoli Nord, con l'accusa di essere l'autore di uno dei messaggi lesivi della memoria dell'ex presidente del Parlamento Europeo, Davide Sassoli, comparsi nella rete.

Numerosi messaggi d'odio, inspirati da teorie complottiste "no-vax" secondo le quali Sassoli sarebbe morto a causa del vaccino sono stati individuati nell'ambito del monitoraggio informativo della rete internet effettuato dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni a seguito della notizia della scomparsa del Presidente dell'Europarlamento; monitoraggi eseguiti su diversi canali Telegram, profili Facebook e Twitter (con l'hashtag #nessunacorrelazione). 

Tra i vari messaggi che hanno acquisito il carattere della "viralità" per il contenuto particolarmente sprezzante e lesivo della memoria del defunto Presidente del Parlamento Europeo, ripreso anche dai principali organi di stampa, era emerso quello pubblicato dall'account "Ugo Fuoco", che testualmente affermava "ogni tanto una buonissima notizia. Se ne va mr. 'il green pass non è discriminatorio' Sassoli. Adesso venitevi a prendere gli altri, grazie". Gli accertamenti hanno permesso di identificare l'autore del post in un quarantenne residente nella provincia di Napoli, già denunciato per inosservanza delle misure sanitarie in materia di Covid.

David Puente per open.online il 19 gennaio 2022.

Uno dei guru del negazionismo della Covid e dei No vax in Italia, il 40enne napoletano gestore del canale Telegram Ugo Fuoco – Stop Dittatura, è stato identificato dalla Polizia di Stato e dalla Polizia Postale come uno dei responsabili della shitstorm coordinata contro il Presidente dell’Europarlamento David Sassoli a seguito del suo decesso.

Sono ben oltre 36 mila gli iscritti al suo canale Telegram, molti di questi attivi anche sui social come Facebook dove “Ugo Fuoco” è amministratore del gruppo Libero Comitato di Protesta ‘Napoli Non Si Piega’, che dall’undici gennaio sono orfani dei suoi interventi. Che fine ha fatto? 

In un post del 22 ottobre parlava di «finta pandemia», mentre il primo gennaio 2022 scriveva chiaramente «Il Covid non esiste». Diversi i messaggi dove istruiva i suoi seguaci nel credere in una enorme sceneggiata, promuovendo persino l’intervento alla Camera il “tamponatore di kiwi” Mariano Amici, ospite della deputata complottista Sara Cunial: «L’impeccabile intervento del Dottor Mariano Amici alla Camera dei Deputati. Non ne sbaglia una i l virus non è stato isolato» scrive Fuoco nel canale, diffondendo di fatto la stessa identica bufala che sostengono i negazionisti della Covid-19 da inizio pandemia. 

L’ultimo intervento nel canale Telegram è un vocale, di circa 20 minuti, dove giustifica la sua assenza: «Da undici giorni, con oggi, praticamente sono a letto con una febbre [tossisce] insomma [tossisce] sempre altissima, insomma, in media oltre i 39 e con una, chiamiamola, capacità respiratoria molto ridotta che mi impedisce anche di parlare senza, purtroppo [tossisce] ecco, appunto, senza purtroppo dover tossire. Quindi, sono a riposo necessariamente perché non sono in condizioni in questo momento perché, dopo undici giorni di febbre, dovete credermi, anzitutto mi scoppia proprio la testa e quindi sto attendendo di migliorare un po’ per tornare a fare, insomma, le cose che faccio regolarmente qui su Telegram».

Il post precedente risaliva al 6 gennaio 2022, dove curiosamente “invitava” a verificare il video del malore improvviso del giornalista brasiliano Rafael Silva che, come abbiamo visto, non riguardava affatto il vaccino anti Covid-19 (ne parliamo qui). Il vocale risale all’undici gennaio 2022 alle ore 12:19, a seguito dell’annuncio del decesso di David Sassoli, considerando che febbre e mal di testa duravano da inizio anno non si trattava di un malore qualsiasi, soprattutto perché il 18 gennaio alle ore 14 rendeva pubblica via Facebook la sua attuale posizione: disteso in un letto d’ospedale con la maschera per l’ossigeno. 

Controllando il canale Telegram, il 22 dicembre 2021 pubblica un video dove chiedeva di pubblicare su Open un articolo con un titolo simile al seguente: «Notizia falsa! Il No vax Ugo Fuoco non intende vaccinarsi, la notizia che circola sui social viene smentita dallo stesso Fuoco».

Se da una parte sostiene con fierezza di non essersi vaccinato, dall’altra non afferma di essere attualmente ricoverato per Covid-19 nonostante gli ormai oltre 18 giorni di malattia e i sintomi raccontati su Telegram, ma è chiaro che potrebbe negarlo ad ogni costo pur di reggere la narrativa negazionista della «finta pandemia», de «il Covid non esiste» e del «virus mai isolato». 

David Puente per open.online il 19 gennaio 2022.

Le indagini della Polizia di Stato e della Postale avevano identificato Ugo Fuoco come uno dei responsabili della shitstorm ai danni del defunto Presidente dell’Europarlamento, David Sassoli. Sono suoi i post Facebook e Telegram individuati dalle forze dell’ordine, pubblicati tramite il suo profilo personale e il canale Ugo Fuoco – Stop Dittatura dove risultano iscritti oltre 35 mila utenti (poco prima degli articoli di Open gli iscritti erano oltre 36 mila). A seguito della copertura mediatica relativa alle indagini della Polizia, dal letto d’ospedale, il complottista No vax Ugo Fuoco pubblica un video tramite il suo profilo Facebook dove risponde ai giornalisti (a seguire, il video diffuso dalla Polizia): Poiché siete delle teste di cazzo di merda [rossisce] e mi riferisco che state scrivendo puttanate all’altezza delle vostre teste di cazzo, volevo comunicarvi… [pausa] di uscire fuori dai coglioni e di non scassare le palle sui miei profili social [rossisce] perché ho [rossisce] veramente i coglioni rotti di mongoloidi incapaci di intendere e di volere, quindi fatemi una cortesia di non scassare le palle, lo ripeto [rossisce] sui miei fottuti profili [respira a fatica] perché [rossisce] perché se ritorno, e dovete augurarvi di no a questo punto, vi prendo a calci nel culo tutti!

Tramite il suo canale Telegram, invece, pubblica un lungo comunicato: 

ATTENZIONE ! 

IN MERITO ALLE BOIATE PUBBLICATE DALLA STAMPA NEI MIEI RIGUARDI, IN PARTICOLARE IL CORRIERE DELLA SERA, VADO PER PUNTI 

1) Non ho mai lanciato una sola di quelle che definiscono ‘Shitstorm’ nella mia vita. Trovo sia un metodo becero ed infantile. Provvederò pertanto a querelare qualsiasi attribuzione che in tal senso mi sia stata o mi verrà mossa. Tollero che mi venga attribuito tutto ciò che faccio, me ne assumo la responsabilità, non accetto che vengano ‘inventate’ cazzate distanti dal mio modo di vedere il mondo.

2) Mi sono espresso riguardo la scomparsa di David Sassoli, nulla quaestio. Ho sempre trovato Sassoli un personaggio meschino, un finto democratico con chiare mire autoritarie, divenute palesemente discriminatorie nel periodo storico che stiamo vivendo, allorquando ed in più occasioni, l’ex Presidente del Parlamento Europeo aveva esaltato lo strumento di Apartheid del Green Pass. 

3) I quotidiani parlano dei ‘miei genitori’ che non avrebbero appoggiato le mie scelte. Premesso che sono 30 anni che non ho notizie di mio padre (ma magari, chi può saperlo, non è d’accordo per davvero con le mie scelte ed i media sono in possesso di notizie e fonti di cui io non dispongo), per quanto riguarda mia madre, siamo abituati acchè ciascuno goda della sua libertà di espressione. Andiamo d’accordissimo. 

4) Il Covid non esiste? Cazzate ! Viviamo un’epoca ‘sinistra’ in cui centri di potere internazionale stanno ponendo in essere un cambio di paradigma della società. Il Covid è una ‘arma batteriologica’, introdotta con mire lapalissiane, quali quelle di instillare il terrore ed imporre una vaccinazione TOTALITARIA dalle proporzioni e dalla pericolosità mai precedentemente verificatasi. Nessun potere che possa disporre di un’arma del genere se ne priverebbe è funzionale nonchè necessaria alla finalizzazione del progetto socio politico. 

5) Stanno dando i numeri, per davvero, riguardo la mia età. Fate pure. Non ho nè 40 e neppure 45 anni. Se vi diverte…giocate al lotto ! 

6) Stanno inventandosi gli ospedali in cui sarei ricoverato. Fate pure. In Italia ce ne sono moltissimi, avete ancora i nomi di tantissime strutture da poter fare. 

7) Non mi conoscete. Vi ringrazio. Le vostre stronzate, quest’oggi, mi stanno dando la forza per rimettermi in piedi molto più velocemente di quanto presumibilmente sarei riuscito a fare senza il vostro ‘sudicio’ apporto. 

8) Mi rivolgo ai media. Le vostre notizie un tempo erano spazzatura, oggi hanno il sapore di insensate e risibili comiche, sparate lì da stagisti mai pagati e che non hanno alcuna contezza di ciò che raccontano. Siete lo spaccato della società in cui viviamo.

9) Ugo Fuoco non conta un cazzo. La libertà è un valore comune, è dentro ogni donna ed ogni uomo libero. Provare a ridimensionarne la forza scrivendo menzogne su di un giornale non sposta di una virgola i valori di cui la libertà è portatrice. Smettete di essere entità biologiche che si preoccupano di SOPRAVVIVERE ed incominciate a VIVERE PER DAVVERO ! 

10) Perdonatemi se dovessi essere risultato dozzinale nel mio modo di esprimermi…è che non sono ancora in ‘splendida forma’. 

Pace e Bene a tutti gli uomini e le donne di Libertà. Siate consapevoli d’essere il presente ed il futuro del mondo. Dipende tutto da voi. 

Vi voglio bene! 

Ugo

Nel comunicato afferma, in sostanza, che «il Covid esiste» e che sarebbe «un’arma batteriologica». Di fatto, smentisce se stesso quando affermava che «Il Covid non esiste, neppure in Croazia» e, di conseguenza, il commento su Mariano Amici dove scriveva «il virus non è stato isolato». Insomma, esiste e non esiste, così come senza prove afferma che ci sia un’«arma batteriologica» per poi dire che non è mai stata isolata.

Famiglia non vaccinata distrutta dal Covid, la moglie superstite disse: «Ognuno fa le sue scelte». Floriana Rullo su Il Corriere della Sera il 15 gennaio 2022. 

Prima il figlio, poi i nonni e il padre. Erano di San Francesco al Campo.  

«Ognuno fa le sue scelte. Non voglio parlare delle cause della morte di mio figlio per rispetto delle sue decisioni. Non ho niente da dire. Tanto vi inventate sempre tutto». Mamma Rinuccia lo aveva detto quando aveva appreso della morte del figlio Marco, 42 anni appena. Non sapeva ancora che sarebbe stata l’unica, nonostante anche lei fosse finita in terapia intensiva colpita dal coronavirus come tutti i membri della sua famiglia, a riuscire a sopravvivere al virus che causa la polmonite interstiziale.

Tutta la sua famiglia, originaria di San Francesco al Campo, piccolo paese di nemmeno 5 mila abitanti poco distante da Torino, dai nonni al nipote, avevano deciso di non vaccinarsi, ed è stata colpita duramente dal coronavirus. Travolti da un’ondata che, con ogni probabilità, il vaccino avrebbe aiutato a contenere. Almeno nelle sue conseguenze più gravi. Ultimo a morire, dopo una lunga battaglia, il marito Giuseppe Ferrero, 69 agricoltore conosciuto per la sua attività nel sociale. Era stato ricoverato due settimane fa nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Ciriè dove venerdì è morto a causa delle complicanze portate dal virus.

La sua morte è stato solo l’ultimo dei dolori per Rinuccia. Prima di lui, oltre al figlio, tra dicembre e gennaio erano morti i nonni, Olga Goffi, 94 anni, stroncata dalla polmonite da Covid. Due giorni dopo anche il marito, Maurizio Ghella, 92 anni, agricoltore, deceduto per lo stesso motivo. È infine toccato a Marco Ferrero. Era il giorno dell’Epifania quando è morto. Ascensorista in paese, sempre stato in salute, molto attivo nello sport e nel sociale, non aveva mai nascosto a nessuno di non essere favorevole al vaccino. Una diffidenza che lo aveva spinto a non sottoporsi all’iniezione. Così come aveva deciso di non farlo il resto della sua famiglia.

«Fino all’anno scorso giocava con noi — raccontano dall’Asd Idea Team, squadra di calcio cittadina —. Non è riuscito a vincere la sua battaglia contro il Covid. Non giudichiamo le sue scelte ma ci stringiamo attorno alla sua famiglia».

«Una famiglia molto conosciuta e stimata quella di Marco — racconta ancora Diego Coriasco, primo cittadino di San Francesco al Campo —. Nessuno deve giudicare le scelte fatte. Ognuno se ne prende le responsabilità. Per noi è solo venuta a mancare una famiglia che faceva parte della nostra comunità. Non intendo dire altro. Tranne che il nostro paese ha un numero di positivi sotto la media riportata dai dati ufficiali. Molti altri paesi stanno peggio di noi». 

Marco Esposito per leggo.it il 16 gennaio 2022.

Non passa inosservato. Mai. Sia per la sua vis polemica, sia per la sua stazza: quasi due metri di altezza per 175 chili (così almeno raccontò al Corriere della Sera nel 2018). Stiamo parlando di Mario Adinolfi: scrittore, direttore del quotidiano cattolico La Croce e volto noto dei talk show nostrani. 

Adinolfi fa discutere, sempre. Ora è al centro della scena per la sua battaglia "No Vax". Con il suo partito ultracattolico, il Popolo della Famiglia, si sta scagliando contro il governo Draghi per i provvedimenti sulla Pandemia.

Non si è mai vaccinato contro il covid, nonostante sia un soggetto a rischio. Una scelta per molti incomprensibile. Anche il professor Bassetti l'altro giorno in televisione lo ha ammonito «Adinofli, lei è obeso dovrebbe vaccinarsi». Lui la pensa esattamente all'opposto, sfidando i numeri e il raziocinio. 

Adinolfi, prima di tutto: come sta?

«Bene, sto bene. Molto bene nonostante due anni complicati, durante i quali però ho vissuto senza alcuna angoscia». 

In quest'ultimo periodo l'abbiamo scoperta "No vax". Ci spiega cosa la spinge a non vaccinarsi?

«Scoprire è una parola grossa, è da quando è partita la campagna vaccinale che ho fatto una scelta diversa dalla maggioranza. Nell'ultimo anno ho scelto di non vaccinarmi come milioni d'italiani. Il Popolo della Famiglia prima del decreto del  5 gennaio aveva chiesto a Draghi di superare gradualmente l'emergenza. Invece è arrivata la scelta del governo di fare dell'Italia l'unico paese occidentale che ha l'obbligo vaccinale per gli over 50». 

Una scelta inevitabile per molti, addirittura riduttiva per altri

«La realtà è un'altra: oggi in Italia i non vaccinati non possono salire su un autobus o prendere un caffè all'aperto. Sono norme che vogliono indicare un capro espiatorio. Davanti ai disastri del governo e alla tragedia di 140mila morti si vuole indicare nei non vaccinati i colpevoli». 

Però è cosi Adinolfi...

«Non è vero. Ma se io non posso entrare da nessun parte come posso contagiare qualcuno? Le persone "greenpassate" e vaccinate hanno avuto un passaporto per fare vita sociale e in questa vita sociale propagavano il virus. E' vero l'esatto contrario di quanto dice il governo. I non vaccinati non possono essere gli untori in questa situazione» 

 Adinolfi lei ha più di 50 anni, in questo momento si sta mettendo contro la legge

«50 anni e pochi mesi. Si, sono un disobbediente civile». 

Non mi ha risposto però. Cosa l'ha spinta a non vaccinarsi: ha paura?

«Non ho paura, faccio un calcolo costi benefici. E questo rapporto è sfavorevole al vaccinarsi»

Mi scusi, ma solo lei ottiene questo risultato. Lei è consapevole di rischiare di più non vaccinandosi, vero?

«Non lo credo. Nella mia famiglia i più colpiti sono proprio i vaccinati. Nella mia ristretta cerchia - siamo sei persone - gli unici che hanno avuto il covid sono i tre vaccinati. 

Non pensa che sia un caso?

«Certo può esserlo. Ma sento che questo "caso" si ripete spesso. Penso che il non vaccinato tenda a proteggersi di più. Il vaccinato pensa di essere protetto dal Green pass, e invece si prende il covid; qualcuno anche due volte, anche se ha tre dosi di vaccino. Il che vuol dire che il vaccino, insieme al Green pass, offre una falsa idea di protezione». 

Le cifre sono chiare: il vaccino ci copre dalla malattia grave

«In alcuni casi protegge dalla malattia. In molti casi, invece, ogni giorno anche persone con tre dosi di vaccino, purtroppo, muoiono. In termini assoluti i morti sono di più tra i vaccinati» 

Ma la platea dei vaccinati è enormemente più vasta di quella dei non vaccinati. E' questo il motivo

«In termini percentuali infatti lei ha sicuramente ragione, ma in termini assoluti invece no. Il dato reale è che la morte è collegata alle condizioni precedenti a quando ti contagi; conta la condizione di salute che si aveva prima della malattia. L'età media così alta delle persone decedute per il covid, circa 80 anni, spiega che abbiamo purtroppo perso tanti nostri anziani, magari malandati» 

 Quindi possiamo almeno dire che il covid esiste...

«Il covid esiste, non c'è dubbio. Come esistono molte malattie. Dobbiamo imparare a  conviverci, e infatti sta diventando endemico».

Non pensa che la campagna di massa del vaccino e il Green pass ci abbiano permesso di tornare per moltissimi mesi a una vita normale ?

«La campagna di massa ha avuto effetto perché più del 90% degli over 12 si sono vaccinati. È per questo che trovo intollerabile che si sia scatenata una caccia alla streghe verso i non vaccinati. 

La mia contestazione non è sul piano scientifico, ma sul piano civile, costituzionale. Non si toglie lo stipendio alla gente; trovo incredibile che non ci sia stata una parola da parte dei leader della sinistra o del sindacato su questo aspetto. Ci deve pensare un piccolo partito dello 0.7? E' inaccettabile. E sta accadendo solo in Italia». 

 Ieri in televisione il dottor Bassetti le ha detto che sta rischiando grosso...ma non ha paura?

«Io spero che si sia vista in Tv la mia risposta senza parole al dottor Bassetti...(gli ha fatto le corna n.d.r.) mi fa sorridere questo tentativo di far terrorismo. Il meccanismo è questo: terrorizzare la gente.

Bisogna far piangere mia madre che mi chiama e mi dice "Ecco vedi, se ti prendi il covid muori". Sono cose che vanno bene per i bambini di 5 anni. Bassetti è un vanitoso che va in tv e  prova a prendersi un vantaggio in base a questa pretesa supremazia della scienza. Credo di avergli risposto con la saggezza popolare di chi non si fa intimidire». 

Ma Bassetti fa il medico, cosa dovrebbe dirle?

«No, fa il prezzemolino televisivo e gli piace molto farlo. Rispetto la sua autorevolezza di figlio di primario, però la condizione per cui in due anni di pandemia gli ho sentito dire tutto e il contrario di tutto mi fa capire che questi virologi sono diventati come i politici: ci spiegano i fatti del giorno dopo». 

Lei ha tre figlie, una moglie una mamma...cosa le dicono? Sono preoccupati per lei?

«Come fanno le mamme a non preoccuparsi per i figli? Però mi sono io dovuto di preoccupare di assistere mamma quando ha avuto il covid, nonostante tre dosi di vaccino».

Era di conforto per lei che mamma fosse vaccinata?

«Per mia madre si. Perché mi ripeteva che senza vaccino sarebbe morta. Io francamente non ho la controprova per cui lei sarebbe deceduta senza vaccini. Sono contento che sia qui con me, che sia andato tutto bene, e che sia stata capace di vivere serenamente la malattia grazie a questa coperta di Linus». 

Insomma lei sostiene che i vaccini nonn funzionino nonostante i numeri?

«Io non sono un anti-vaccinista. Penso anzi che la profilassi vaccinale sia uno strumento utile  per i fragili. Non ho un ostilità per il vaccino in se. Ho un ostilità per una campagna che ha costretto i non vaccinati ad essere colpiti nei loro diritti fondamentali fino a costruire un regime simile all'apartheid per cui io non posso salire su un autobus» 

Ma che razza di paragone Adinolfi. Non sarebbe il caso di lasciarli fuori dalla polemica vaccinati Vs non vaccinati questi paragoni?

«Bisogna viverla la nostra condizione; e quando ti accorgi che veramente sull'autobus non ci puoi salire, che veramente non ricevi lo stipendio, che veramente non puoi prenderti un caffè all'aperto, beh... quella sensazione di marchio a fuoco che io assimilo all'apartheid, la vivi tutta. E io la spiego per come la vivo. Coloro che non vivono questa condizione non possono capirlo». 

Lei è famoso per essere un appassionato delle colazioni al bar ed essere un grande amante dei cornetti: come fa senza ?

«La fortuna è che mia moglie mi accudisce con amore e va a prendermi i cornetti che amo di più e me li porta a casa».

Milano, il premio Nobel Luc Montagnier è stato acclamato dalla folla di No Green Pass. Valentina Mericio il 15/01/2022 su Notizie.it.

Il premio Nobel Luc Montagnier è intervenuto in piazza XXV aprile a Milano durante la manifestazione organizzata dal movimento Italexit.

“La salvezza dell’umanità e la fine di questa emergenza sarà nelle mani dei non vaccinati. Saranno i non vaccinati a salvare l’umanità”, a parlare è il premio Nobel per la medicina Luc Montagnier che nel corso della manifestazione di Milano organizzata dal movimento Italexit di Gianluigi Paragone, ha dedicato una serie di riflessioni sul vaccino.

Non è la prima volta che il premio Nobel francese esprime posizioni in linea con il movimento no vax. L’esperto davanti ad una nutrita folla di persone, ha parlato infatti di come sui vaccini ci sia stato “un errore di strategia”. A tale proposito ha spiegato: “Non è solo il vaccino a curare: è una combinazione di cure che curerà questa malattia.

Questo vaccino non cammina da solo. C’è stato un enorme errore di strategia. Contrariamente a quello che era stato detto, questi vaccini non proteggono assolutamente. È quello che sta venendo fuori piano piano. Questo è riconosciuto a livello scientifico oggi”.

Particolarmente dure sono state le sue parole riguardanti in special modo la vaccinazione dei più giovani: “Ci sono tanti morti e numerosi giovani sportivi hanno problemi cardiaci importanti per colpa di questi vaccini.

È un crimine assoluto dare questi vaccini ai bambini. Chiedo ai miei colleghi medici di fermare le somministrazioni con questo tipo di vaccino. Ne va di mezzo il futuro dell’umanità”.

Oltre a Milano, tra le città interessate dalle manifestazioni no green pass vi sono anche Napoli, Roma e Genova. Proprio nella Capitale, si apprende, si sarebbero riunite circa 5000 persone in Piazza San Giovanni in Laterano.

Poco distante invece dalla Stazione Roma Termini alcuni militanti di Casapound che si sono riuniti per mettere in piedi un flash mob, naturalmente contro il Green Pass.

Sarebbe stato invece un flop, riporta Today.it, la manifestazione No Green Pass che si è tenuta Napoli in Piazza Dante e a cui avrebbero preso parte circa una cinquantina di persone tra cui anche diversi gilet arancioni. Infine anche a Genova si è riunito un corteo di No Green Pass. I manifestanti che si sono ritrovati in Piazza De Ferrari, si sono poi diretti in via XX settembre. Da lì hanno poi proseguito verso altre vie della città.

I non vaccinati salveranno l'umanità, Montagnier ai no vax. Il Tempo il 15 gennaio 2022.

"Chiedo a tutti i miei colleghi di fermare le vaccinazioni contro il Covid con questo tipo di vaccini. Ne va di mezzo il futuro dell’umanità. Il dopo dipende da voi, soprattutto dai non vaccinati, che un domani potranno salvare l’umanità, mentre i vaccinati dovranno essere salvati dai centri medici". Lo ha detto il virologo e biologo Luc Montagnier, premio Nobel per la medicina nel 2008, notoriamente contrario ai vaccini contro il Covid e non nuovo a posizioni che si sono attirate le critiche della comunità scientifica, in piazza XXV aprile a Milano alla manifestazione no vax e no green pass organizzata da Italexit di Gianluigi Paragone.

Lo scienziato 89enne, davanti a una folla di almeno 2mila persone, parlando in francese e con la traduzione in italiano, ha spiegato che "c’è stato un grande errore di strategia" nel contrasto alla diffusione del Covid-19. "Questi vaccini non ne impediscono la trasmissione. Questo vaccino non funziona". Il vaccino "anziché proteggere dalla malattia favorisce anche altre infezioni. La proteina usata per il vaccino è un veleno e tocca organi come il cuore, tanto che molti atleti si stanno ammalando. Il vaccino è fatto per proteggere e non per uccidere". Per 

Montagnier "è un crimine assoluto dare questo vaccino ai bambini".

Juanne Pili e David Puente per open.online il 16 gennaio 2022.

Durante la manifestazione di Milano del partito di Gianluigi Paragone, ItalExit, è intervenuto il Premio Nobel Luc Montagnier per parlare di Covid-19 e di vaccini. Secondo quanto dichiarato dal professore francese, che da anni abbraccia numerose tesi antiscientifiche contestate dai suoi stessi colleghi, gli antibiotici avrebbero un ruolo fondamentale nella lotta contro la Covid-19. In merito ai vaccini inizialmente afferma, non sono l’unico rimedio contro il virus, per poi sostenere che «non proteggono assolutamente» e che potrebbero creare danni a livello neurologico, alimentando le teorie No vax.

Per chi ha fretta:

Luc Montagnier sostiene che vi sia un recente studio italiano che dimostrerebbe un legame tra i virus e dei batteri intestinali, una teoria che lo porta ad affermare la presunta utilità degli antibiotici contro la malattia.

Luc Montagnier aveva citato lo stesso studio già nell’agosto del 2021, come da lui stesso raccontato in un’intervista dell’epoca.

Lo studio italiano sostiene che il virus potrebbe essere batteriofago, ma senza dimostrarlo.

La teoria del virus batteriofago risale al 2020, già smentita dagli esperti.

Luc Montagnier fa riferimento a un presunto collegamento tra i vaccini e le malattie neurodegenerative, una teoria priva di fondamento già trattata in passato da Open Fact-checking. 

Analisi

A Open Fact-checking abbiamo trattato diverse affermazioni del prof. Luc Montagnier fin da prima della Pandemia. Il Nobel ha affermato che l’acqua avesse memoria, sostenendo la validità dell’omeopatia, ovvero una pseudo-scienza conclamata. Con l’emergere del nuovo Coronavirus ha subito sostenuto la tesi del virus creato in laboratorio con innesti di Hiv, basandosi su un’analisi priva di fondamento scientifico. Non solo, per Montagnier le varianti Covid – compresa Omicron -, si originerebbero a causa delle vaccinazioni.

Secondo quanto spiegato da Montagnier a Milano, gli antibiotici non servirebbero propriamente contro il virus, ma contro dei batteri intestinali che sarebbero «pieni di virus», pertanto il problema andrebbe risolto «anche con un’alimentazione corretta e l’igiene». La presunta scoperta sarebbe stata fatta da una «equipe italiana», secondo Montagnier, attraverso dei «lavori recenti che non sono ancora stati pubblicati». Cita il nome di uno degli autori della ricerca che, come abbiamo appreso, diffonde queste teorie da inizio 2021. 

Il tema degli antibiotici nella Covid-19

La Covid-19 è dovuta a concomitanza con una infezione batterica? Del pericolo che in certi casi la malattia si aggravasse a causa dell’azione parallela di batteri si era parlato fin dalle origini della Pandemia. E in quel caso avrebbe senso somministrare anche degli antibiotici. Il discorso di Montagnier invece sembra generalizzare questa fattispecie a tutti i casi Covid. Lo fa citando il lavoro di Didier Raoult, definito «pescatore di microbi», noto proprio per il suo trattamento infondato a base di idrossiclorochina e azitromicina. 

Ricordiamo brevemente, come spiegato in precedenti articoli, che questo genere di protocolli non solo non risultano efficaci, ma comportano anche notevoli rischi, tanto che meta-analisi apparsa su Nature mostra rivela l’associazione di questo genere di trattamenti con una mortalità più alta. Con buona pace di chi – anche sul palco -, ha parlato a più riprese di «sieri sperimentali» i cui danni nel lungo periodo dovrebbero essere studiati da Montagnier in persona, così almeno ha affermato il Nobel intervistato da Paragone. 

Oggi l’antibiotico azitromicina non è reperibile nelle farmacie, proprio per l’abuso ingiustificato che ne è stato fatto anche grazie alle cosiddette «cure domiciliari» proposte da alcuni gruppi di medici, venendo a mancare a chi ne ha veramente bisogno. Secondo quanto affermato da Paragone, un «ricercatore» come Montagnier «non cambia mai idea», una definizione di «buon ricercatore» che inverte la regola base del metodo scientifico, dove le idee possono cambiare continuamente, perché chi fa ricerca deve riconoscere i dati accertati, specialmente se vanno contro le proprie convinzioni. 

SARS-CoV-2 si moltiplica nel microbiota intestinale?

Oltre al collega francese Didier Raoult, Montagnier cita a sostegno della “tesi batterica” dei «lavori recenti che non sono stati ancora pubblicati» ad opera di una «equipe italiana». Cita il nome di uno degli autori, il dott. Carlo Brogna, che risulta essere co-autore di un paper apparso su F1000Res nel maggio 2021 (tradotto in italiano qui), basato su un unico caso di studio, come riportato nel paragrafo «Discussione», che suggerisce una ipotesi alquanto insolita, ovvero che SARS-CoV-2 si moltiplichi nel microbiota intestinale: Le prove scientifiche del coinvolgimento dei microbioti umani nello sviluppo della malattia COVID-19 sono state riportate di recente. Abbiamo elaborato ulteriormente questi risultati e raccolto dati sulla relazione tra i batteri fecali, isolati dalle feci dei pazienti affetti da COVID-19, e la SARS-CoV-2. I risultati preliminari suggeriscono che la SARS-CoV-2 si replica in un terreno di crescita batterica inoculato con un campione di feci di un paziente infetto e che la replicazione segue la crescita batterica. 

Il tutto è stato svolto in vitro, senza accenno a campioni di controllo. Inoltre, non vi è traccia di un fenomeno del genere nel resto della letteratura scientifica. Lo riconoscono gli stessi ricercatori: Non è chiaro se il genoma della SARSCoV-2 possa essere replicato solo dalla sua RNA polimerasi – concludono gli autori -, o se si verifichi la produzione di veri e propri virus della SARS-CoV-2 all’interno dei batteri […] potrebbe essere possibile anche l’interazione tra la SARS-CoV-2 e altre cellule eucariotiche presenti nei campioni di feci, in cellule umane primis. È stata considerata la possibilità che i nostri risultati siano in realtà dovuti alla replicazione della SARS-CoV-2 nelle cellule umane presenti nei campioni fecali originali. 

In conclusione facciamo alcune osservazioni sulla rivista in cui è apparsa la ricerca, F1000Res, la quale ha ospitato diversi articoli controversi per metodo e qualità della peer-review. Uno in particolare sul vaccino Priorix Tetra, sostenuto dall’associazione Corvelva, nota per contestare le vaccinazioni (trovate una analisi del professor Enrico Bucci qui).

La rivista ha ospitato anche i lavori di altri ricercatori molto apprezzati negli ambienti No vax, come Paolo Bellavite e Alberto Donzelli (ne parliamo qui). Diversi casi di disinformazione trattati nel progetto Open Fact-checking si basavano del tutto o in parte su paper della stessa rivista (potete approfondire qui e qui). 

Luc Montagnier e lo studio non «recente»

Il Premio Nobel afferma che a scoprire il presunto legame tra Sars-CoV-2 e i batteri sarebbe un lavoro recente di una equipe italiana. In realtà, lo stesso Montagnier aveva citato quel lavoro in un precedente intervento a Firenze dell’agosto 2020: Un altro gruppo di studio italiano ha dimostrato che nell’origine del virus c’è anche un co-fattore batteriale, e proprio per tale motivo, questo tipo di procedura stimola delle reazioni che impediscono la trasmissione del virus. Per lo stesso motivo ci sono anche degli degli antibiotici come l’azitromicina che, se somministrati all’inizio dell’infezione, possono portare alla guarigione dal covid.

Il Sars-CoV-2 come virus batteriofago?

In un’intervista pubblicata da Affaritaliani il 1 febbraio 2021, il dott. Carlo Brogna afferma che il Sars-CoV-2 «è anche un virus batteriofago». Nel paper leggiamo quanto segue: I dati qui riportati suggeriscono un possibile comportamento “batteriofago” della SARS-CoV-2, che a nostra conoscenza non è mai stato osservato o descritto prima. 

Le teorie sui batteri e il Sars-CoV-2 non sono nuove, se ne erano occupati i colleghi francesi di CheckNews in un articolo del 22 aprile 2020 dal titolo «Covid-19: è vero che il batterio Prevotella ha un ruolo nel contagio?». Rémy Burcelin, responsabile dell’Inserm presso l’Istituto di Malattie Metaboliche e Cardiovascolari di Tolosa, in un articolo de Le Monde del 24 aprile 2020 afferma che la teoria del virus batteriofago sia del tutto inesatta, sostenendo il seguente paragone: «Sostenere che il virus Sars-CoV-2 si comporterebbe come un batteriofago, sarebbe come dire che una gallina comincerebbe ad allattare un capretto». Non solo, spiega anche il perché dell’infondatezza: «Il batteriofago è un virus che ha un capside estremamente piccolo, fatto di proteine che non hanno nulla a che fare con il coronavirus. Il batteriofago è più potente e riconosce un sottotipo di batteri estremamente preciso e minoritario. Non riesce a riconoscere un’intera famiglia come la “Prevotella”». 

Luc Montagnier e gli antibiotici

Quella degli antibiotici contro il Sars-CoV-2 non è l’unica teoria di Luc Montagnier. In passato, infatti, era arrivato a sostenere che questi fossero utili persino contro l’autismo. Anche all’epoca, una teoria priva di fondamento scientifico. Ecco quanto riportato da Queryonline.it in un articolo del 2020: Non soddisfatto di simili incursioni parascientifiche, nel 2012 Montagnier ha dato ancora libero sfogo alla sua fantasia. Invitato alla Camera del Parlamento italiano per presentare un suo libro, Montagnier ha pronunciato dichiarazioni per lo meno imbarazzanti. [15] Ha infatti affermato che l’autismo potrebbe avere un’origine infettiva (se batterica o virale non è dato sapere) e che il trattamento dei bambini con antibiotici potrebbe dare risultati positivi (osserviamo che, nel caso di infezioni virali gli antibiotici sono comunque inefficaci).

L’infezione, secondo il premio Nobel, produrrebbe stress ossidativo che sarebbe la vera causa dell’insorgenza dell’autismo nei bambini e delle malattie neurodegenerative (Parkinson e Alzheimer) negli adulti. Da qui la necessità di assumere dosi massicce di antiossidanti, come quelli contenuti nei suoi estratti di papaya. Lo stress ossidativo, infine, sarebbe favorito dall’uso dei telefoni cellulari. 

Vaccini e malattie neurodegenerative

Come avevamo spiegato in un articolo precedente, per il Nobel i vaccini a mRNA porterebbero alla produzione di una Spike tossica, legata a patologie neurodegenerative, che i vaccinati dovrebbero sviluppare nel lungo periodo. Montagnier sposa anche l’idea che i vaccini modifichino il nostro DNA; una tesi molto popolare negli ambienti No Vax. Ne abbiamo parlato spesso (qui, qui e qui): Luc Montagnier sostiene che «L’RNA è una totale incognita». Non risulta corretto, in quanto la tecnologia utilizzata non è affatto nuova e trova riscontro in numerosi studi avviati molto prima della pandemia Covid-19. Come riportato dal Prof. Alberto Mantovani, Direttore Scientifico di Humanitas e Presidente di Fondazione Humanitas per la Ricerca, gli scienziati che hanno messo a punto i vaccini Moderna e Pfizer «lavoravano da 20 anni sulla terapia genica e sui vaccini a RNA messaggero (mRNA) ma con altri obiettivi: trovare una cura per i tumori». 

Non solo, il merito della scoperta di tale tecnologia va attribuito alla biochimica ungherese Katalin Kariko (ne parliamo qui) che dal 2014 ricopre la carica di vicepresidente della BioNTech RNA Pharmaceuticals. Fino a oggi, nessuno degli studi condotti sulla tecnologia a mRNA ha rivelato problemi come quelli paventati da Luc Montagnier. 

Conclusioni

Luc Montagnier, durante il suo intervento dal palco milanese, non riporta alcuna novità in merito alle teorie già precedentemente diffuse e smentite sul Sars-CoV-2 e i vaccini.

Da open.online il 15 gennaio 2022.  

«Signori, il professor Montagnier è arrivato». E sotto un coro entusiasta. Una accoglienza insolita per il premio Nobel ma siamo comunque in tempo di pandemia e per i No Vax radunati oggi a Milano in piazza XXV Aprile per vedere da vicino una delle loro voci più note è quasi come incontrare una rockstar. 90 anni il prossimo agosto, Luc Montagnier è uno dei più noti medici francesi, vincitore nel 2008 del premio Nobel per la medicina insieme a Françoise Barré Sinoussi. 

Il motivo? La scoperta del virus dall’Hiv. Nonostante il curriculum illustre, negli ultimi dieci anni la comunità scientifica ha cominciato a guardare con sospetto alle sue tesi scientifiche. Nel marzo del 2010 aveva detto che per combattere il virus dell’Hiv bastava costruire una dieta basata su integratori e antiossidanti.

Fra gli scienziati che hanno espresso dubbi sui vaccini, la sua è diventata subito la voce pià autorevole. A partire già dai primi mesi dalla pandemia, in cui spiegava che il Covid-19 era un virus nato da un laboratorio in cui si stava studiando il vaccino contro l’Hiv. La nascita in vitro del virus è una tesi molto discussa ma fino a questo momento non è mai stata provata con dati credibili. Montagnier è diventato uno dei miti dei No vax di tutto il mondo anche se le apparizioni in Italia, almeno dal vivo, non sono state frequenti. Per questo a Milano si sono radunate oltre mille persone, pronte ad ascoltare le sue parole.

Daniele Capezzone per "la Verità" il 20 gennaio 2022.

Ci voleva Adriano Celentano, capace di essere libero, selvaggio, controcorrente. Ci voleva qualcuno in grado - senza annoiare, senza catoneggiare, senza ammorbare con lezioncine di semiologia - di far comprendere a tutti come funziona il meccanismo della comunicazione pandemicamente ossessiva e a senso unico. In un video di sei minuti pubblicato su Facebook, il Molleggiato, con tecnica quasi da Blob, ha proposto alcuni eloquenti spezzoni di trasmissioni dedicate ai dibattiti sul Covid, inframezzate da stralci di sue canzoni e da sottotitoli che rappresentano il commento del cantante.

Qualcosa del genere Celentano l'aveva già pubblicata la scorsa settimana, in quel caso collocando tra i «buoni» Maria Giovanna Maglie. Stavolta coloro che escono particolarmente bene dal video sono il nostro direttore, Maurizio Belpietro, il vicedirettore della Verità, Francesco Borgonovo, il cantante Povia, il professor Ugo Mattei e il premio Nobel Luc Montagnier , ospite della manifestazione indetta a Milano da Gianluigi Paragone.

In sostanza, neanche troppo subliminalmente, Celentano invita a considerare con simpatia e attenzione quelli che, nelle arene tv, tengono vive le ragioni del dubbio, del dissenso, della critica alle tesi sostenute dalla maggioranza degli ospiti. Quando il dissenziente viene silenziato (anche dal conduttore), la didascalia di Celentano recita: «Gli interruttori sono molto più velenosi del virus».

E quando il professor Agostino Miozzo, riferendosi a un interlocutore a lui sgradito, dice: «Credo che sia un ignorante e non dovreste farlo parlare», il sottotitolo lo fulmina: «Zittire chi la pensa diversamente?». E a chiosare tutto compare un'efficace battuta di Povia contro i televirologi: «Non riesco più a credergli, sono più star che medici». Altri momenti salienti sono quelli in cui, in una trasmissione, si consente a due interlocutori ostili di prendere in sandwich Mattei, di fatto impedendogli di completare il suo intervento, o quando - sul versante opposto - Alessandro Cecchi Paone sembra addirittura compiacersi del possibile abbandono dello studio da parte di una ospite a lui sgradita perché scettica sulla linea ufficiale filogovernativa.

Insomma, Celentano ha capito il giochino e lo svela a tutti, aggiungendo in sottofondo le sue note malinconiche («La situazione non è buona»). Ma attenzione: la parte più significativa del video è il finale. Dopo tanti spezzoni che descrivono una divisione aspra, sgradevole, lacerante, Celentano mostra la folla che ascolta Montagnier e sceglie come sottofondo l'Inno d'Italia. Scelta non casuale, che evoca unità anche nella diversità di convinzioni e di opinioni.

Il Molleggiato lo scrive a chiare lettere: «Anche chi non si vaccina è tuo fratello». Il messaggio è che si può essere uniti al di là delle differenze. Anzi, una società ricca e vibrante è proprio quella in cui ciascuno sa ascoltare e rispettare un'opinione diversa dalla propria. Senza la tentazione di schiacciarla, umiliarla o silenziarla. Il Molleggiato verrà ascoltato? C'è da dubitarne, ma restiamo liberi di augurarcelo.

L'accanimento contro Montagnier dimostra la necessità di ascoltarlo. Gianluigi Paragone su Il Tempo il 17 gennaio 2022.

Sabato scorso abbiamo portato in piazza a Milano Luc Montagnier, premio Nobel della Medicina. Le sue tesi di medico e di ricercatore stanno facendo molto discutere e già questo dovrebbe di per sé confermare la necessità dello scienziato francese: se infatti non avesse più alcun peso, le sue parole non sarebbero né commentate né seguite. Invece l’affanno con cui si vorrebbe smontarlo fa capire il meccanismo della Propaganda.

Mi fa ridere che giornalisti generalisti, tuttologi, si possano permettere la patente di "fact checker" da una piattaforma come Facebook che poi fa scattare ammonimenti e censure. È semplicemente ridicolo e mi adopererò per una battaglia parlamentare affinché il diritto costituzionale di manifestare il proprio pensiero sia rispettato anche sulla piattaforma del signor Zuckemberg al netto delle verifiche fatte da giornalisti per conto di altri editori.

Torniamo però a Montagnier e alla campagna stampa condotta contro la sua persona in nome della...verità. Mai visto tanto accanimento, da qui una domanda: perché? E se i fatti di cui parla Montagnier fossero un buon punto di vista per capire cosa sta realmente accadendo? E se avesse ragione lui a parlare dei non vaccinati come una frontiera di studio per capire le distorsioni della campagna vaccinale? La scienza, quella vera, si nutre di dubbi e di questioni sempre da mettere a confronto. Anche una tesi che apparentemente può sovvertire le pseudo verità governative.

Io penso che Montagnier non solo stia stimolando la Medicina e la Scienza a sovvertire gli interessi delle multinazionali del Farmaco, ma ci aiuta a mettere in discussione il concetto ormai "sacrale" che viene dato al vaccino, sui cui risultati sono gli stessi cittadini a dubitare. Inizialmente il siero era stato presentato come il rimedio, anzi il solo rimedio finalizzato alla immunizzazione, l’arma vincente. Invece il vaccinato si è contagiato al pari dei non vaccinati. Gli infettati con terza dose sono tanti, tendono a crescere.

«Sì, ma non finiscono in terapia intensiva», dicono. Come se fosse un automatismo il fatto che l’ammalato di Covid debba finire in terapia intensiva. Così non è ma ormai il focus della propaganda si è dovuto spostare dai registri della immunizzazione a quelli della paura: vaccinatevi per non finire in terapia intensiva. E quindi giù con i numeri delle terapie intensive; numeri che tra l’altro l’ottimo Franco Bechis - almeno quelli presentati con le grafiche del governo - ha già avuto modo di smentire. Perché il governo deve far leva sulla paura? Semplice, per coprire le falsità, le fake, dette dal premier e da alcuni suoi ministri in conferenza stampa. Deve gettare acqua sul fuoco su circolari come Tachipirina e vigile attesa; deve far dimenticare che ha lasciato andare in giro col Green Pass vaccinati ormai fuori copertura.

C’è poi un altro elemento di analisi che andrebbe valutato: siamo sicuri che le persone che finiscono in terapia intensiva non arrivino lì perché la gestione della malattia viene sottovalutata già dal medico di base? E siamo sicuri che un diverso approccio terapeutico non potesse impedire l’accesso alla terapia intensiva? Ho parecchi dubbi. L’altro giorno, ripensando alle modalità di cura del professor Galli, mi sono domandato: una persona con tre dosi si ammala, dice di stare malissimo, e poi ammette di essere stato curato e guarito con le monoclonali. Quanti ammalati - vaccinati o meno - possono avere il trattamento del medico in forza al Sacco? Ecco, io sto vedendo tante convinzioni a senso unico iniziare a creparsi: le loro verità cominciano a essere mezze verità. Un po’ come i numeri che sparano sull’adesione delle manifestazioni quando lo scenario che hanno di fronte non piace loro.

Ps. Mentre noi litighiamo, in Gran Bretagna il Green Pass lo stanno levando. Noi invece parliamo di dad, superpass e ghettizzazione per i no vax, anche quelli finora punturati in attesa del richiamo.

Il Premio Nobel Luc Montagnier querela Matteo Bassetti per diffamazione. Chiara Nava il 13/12/2021 su Notizie.it. 

Il Premio Nobel Luc Montagnier ha deciso di querelare Matteo Bassetti per diffamazione, per via di una frase molto pesante che è stata pronunciata dal virologo durante un dibattito.

Il Premio Nobel Luc Montagnier querela Matteo Bassetti per diffamazione

Luc Montagnier ha vinto il Premio Nobel per la Medicina, ma da quando è iniziata la pandemia è stato messo da parte e le sue dichiarazioni sono spesso state classificate come inattendibili.

Una delle persone che lo ha spesso criticato è Matteo Bassetti, quotidianamente presente nelle trasmissioni televisive per parlare del Covid. Il virologo aveva usato delle frasi molto pesanti nei riguardi del Premio Nobel, per questo è stato querelato per diffamazione. Lo ha annunciato Tiziana Vigni, avvocato che rappresenta il medico francese. 

La querela è stata depositata lo scorso 12 novembre e si riferisce in particolare ad una frase che Matteo Bassetti aveva pronunciato ad agosto, durante un dibattito pubblico che si era svolto a Sutri.

Sul palco, oltre al virologo, erano presenti Vittorio Sgarbi, Luca Palamara e Pierpaolo Sileri. Durante il confronto sul tema della pandemia di Coronavirus, il virologo genovese ha iniziato a contestare le dichiarazioni di Montagnier. Il premio Nobel si è sempre appellato alle sue conoscenze per informare le persone riguardo la campagna vaccinale. Il medico francese non è d’accordo con la somministrazione del vaccino contro il Covid e ha sempre spiegato in modo scientifico le sue motivazioni.

Bassetti, di opinione completamente contraria, lo ha screditato, facendo allusione ad una possibile “demenza senile” del Premio Nobel, usando anche parole molto pesanti nei suoi confronti. 

Matteo Bassetti si è beccato una querela da parte del Premio Nobel Luc Montagnier per diffamazione, ma non è la prima volta che un dibattito sul Covid e sul vaccino finisce in tribunale.

A Novembre il virologo genovese aveva querelato il parlamentare Gianluigi Paragone per diffamazione. In questo caso Paragone aveva lasciato intendere che Bassetti doveva il suo ruolo nella clinica di Malattie Infettive del San Martino di Genova a suo padre. Lo scontro era avvenuto a Non è l’Arena di Massimo Giletti. 

Da video.corriere.it il 20 gennaio 2022.

«Io il Djokovic italiano? No assolutamente, mi prendo mie responsabilità» per la frase pubblicata sui social. Il campione di motociclismo Marco Melandri, ospite di Non è l’arena su La7, torna sulle affermazioni per cui aveva preso apposta il covid pur di non fare il vaccino. «Era un momento di frustrazione, non ho cercato il contatto ma una volta avuto il contatto ho cercato di ironizzare, tanto ormai non cambiava nulla. Non sono un no vax, sono un free vax, penso che ognuno deve essere libero di scegliere il proprio destino’’, sottolinea.

L'intervista che fa discutere. Marco Melandri, la ‘confessione’ dell’ex pilota MotoGp: “Preso il Covid apposta, Green pass un ricatto”. Carmine Di Niro su Il Riformista il 15 Gennaio 2022. 

Dice di non essere un no Vax perché non ha “niente contro i vaccinati, come chiaramente non ho nulla contro i non vaccinati”, ma è “contro le violazioni della libertà”. Per evitare però di sottoporsi al vaccino anti-Covid ha volontariamente cercato (e ottenuto) di infettarsi.

Sono le parole clamorose di Marco Melandri, il 39enne ex pilota di MotoGp e Superbike, che ha rilasciato in una intervista a Mowmag che sono destinate a provocare polemiche aspre.

‘Macio’, come viene chiamato dai fan l’ex pilota, capace in carriera di vincere titolo mondiale in 250 nel 2002 e di ottenere il secondo posto nel Mondiale MotoGp 2005 dietro Valentino Rossi, non ha paura di esporsi a critiche con dichiarazioni di fuoco.

“Ho preso il virus perché ho cercato di prenderlo, e, al contrario di molti vaccinati, per contagiarmi ho fatto una fatica tremenda”, spiega Melandri. Insomma, l’ex pilota si è contagiato “apposta per per potere essere in regola almeno per qualche mese e non è stato nemmeno facile”.

Un contagio “per necessità, dovendo lavorare e non considerando il vaccino un’alternativa valida”, dice Melandri, che però non si definisce ‘no Vax’.

Quanto agli effetti del contagio da Covid-19, Melandri ha detto di stare bene, di esser stato “fin dall’inizio del tutto asintomatico. Sono già negativo da un po’ di tempo, ma chi non ha il green pass deve comunque rimanere in castigo per dieci giorni (se non hai la tesserina verde devi rimanere a casa in punizione di più). Se non mi avesse chiamato un ragazzo per dirmi che era positivo dopo essere stato a contatto con me non me ne sarei nemmeno accorto”.

In realtà sulla questione relativa al contagio c’è una sorta di ‘giallo’. Nei giorni scorsi Melandri su Instagram aveva polemizzato perché contagiato da una persona che aveva ricevuto due dosi di vaccino: “Contagiato da un 2 dosi. Se fosse successo il contrario? Per me esistono solo negativi o positivi, non esistono distinzioni e lo dice l’andamento dei fatti, cosi come che i nostri diritti non esistono più”, aveva scritto l’ex pilota, che oggi però confessa di aver ‘cercato’ il contagio. 

Quindi le critiche da ‘free Vax’ di Melandri: “Per me il green pass era e rimane un ricatto, lo userò solo per lavoro e se devo accompagnare mia figlia. Sono disposto a utilizzarlo solo per lo stretto necessario”.

Melandri che si dice “contro le violazioni della libertà. La Costituzione ci dice che siamo liberi di scegliere e di sceglierci con cosa curarci, mentre questo Governo ci ha definitivamente cagato sopra. E sono molto preoccupato per il proseguo”.

Nell’intervista l’ex pilota di MotoGp prende anche le difese di un altro sportivo nell’occhio del ciclone, il tennista serbo Novak Djokovic, a rischio espulsione dall’Australia. “Uno dei più importanti tornei del mondo non poteva non avere il numero uno e quindi sono stati loro a fare di tutto per farlo entrare. Poi è subentrata la politica, perché la questione non ha nulla a che fare con la salute. Conseguenze per la carriera? Credo se ne freghi altamente e lo stimo tanto perché ha dei valori ed è giusto così, perché questa non è più un’emergenza sanitaria, è solo una faccenda politica”, dice Melandri.

Ex pilota che nel pomeriggio, dopo aver partecipato alla manifestazione no Green pass di Milano organizzata da Italexit del senatore Gianluigi Paragone, fa marcia indietro sull’intervista. Melandri affida infatti ai social la sua correzione di rotta e spiega che “per una battuta ironica è uscita una tempesta“. “Mi spiace ma non lo ho contratto volontariamente e non sono stato a contatto con un positivo”, prosegue l’ex campione di motociclismo che fa quindi marcia indietro: “Scherzando dissi ‘se sarò positivo sarà per necessita’, cosi avrò il Green Pass'”.

Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia

Covid, Melandri replica dopo le polemiche: “Mi trovo dentro un uragano per una frase ironica”. Valentina Mericio il 15/01/2022 su Notizie.it.

"Non ho contratto volontariamente il covid", queste le parole di Marco Melandri dopo la polemica nata a seguito di alcune sue frasi.

“Ho preso il virus perché ho cercato di prenderlo, e, al contrario di molti vaccinati, per contagiarmi ho fatto una fatica tremenda. Ho fatto apposta per potere essere in regola almeno per qualche mese e non è stato nemmeno facile”, queste le parole del noto pilota Marco Melandri contenute in un’intervista rilasciata a mowmag.com che in queste ultime ore hanno scatenato moltissime polemiche.

Ora a seguito di queste dichiarazioni, è arrivata la replica del pilota che, attraverso un breve filmato pubblicato su Instagram, ha spiegato che si trattava di una battura ironica. La clip è stata abbinata ad un post. “Per una battuta ironica è uscita una tempesta..”, ha affermato.

Covid replica Melandri, il post di replica sui social

Il pilota ha affidato dunque ai social una serie di parole nella quale si è detto dispiaciuto per essere stato male interpretato.

“Per una battuta ironica è uscita una tempesta.. Mi spiace ma non lo ho contratto volontariamente e non sono stato a contatto con un positivo.. Scherzando dissi “ se saró positivo sarà per necessità cosi avro il Green Pass”, ha scritto.

Covid replica Melandri, “Mi spiace per chi ha subito perdite per il virus”

Questo concetto è stato anche ribadito in una storia pubblicata su Instagram dove ha affermato: “Era stato detto ironicamente perché ormai mi ero contagiato da asintomatico.

Mi spiace per chi ha subito perdite per il virus. Sono per la libertà. Non sono un no vax”.

Covid replica Melandri, l’intervento nella manifestazione di Milano

Il pilota è stato una delle persone ad intervenire nella manifestazione che è stata organizzata a Milano in piazza XXV aprile. In questa occasione ha dichiarato: “Il diritto allo sport verrà negato ai ragazzini. Vengo dalle case popolari, mi sono svegliato da bimbo sognando di diventare un pilota di moto, ho avuto la possibilità di provare a farlo e ho inseguito il mio sogno tutti i giorni.

Lo sport mi ha insegnato a stare con persone diverse, ho sempre tenuto duro. Sono valori che uso per cercare di essere un padre migliore. Voglio guardare mia figlia negli occhi e dirle che ho lottato in tutti i modi per darle un futuro. La libertà è un diritto e dobbiamo riprendercelo, non ho più nulla da perdere”.

MATTEO AGLIO per La Stampa il 16 gennaio 2021.

 «Ho preso il Covid apposta, per avere il Green Pass». Marco Melandri, ex campione di motociclismo e commentatore lo scorso anno della MotoGp per Dazn, è diventato in poche ore un paladino No Vax, scendendo in piazza ieri a Milano in una manifestazione contro il Green Pass. Sui social è stato duramente attaccato, ma lui difende la sua posizione: «Siamo di fronte a un attacco alla libertà personale e ciò non è solamente scorretto ma non ha nemmeno senso». 

Melandri, ha dichiarato di essersi infettato di proposito, cosa l'ha spinta a farlo?

«Era solamente battuta ironica e forse un po' infelice, non lo avrei mai fatto volontariamente. Però è successo e ho cercato di vedere il lato positivo della cosa». 

Perché non si è vaccinato invece di aspettare di prendere il Covid?

«Non sono un No Vax, sono un sostenitore della libertà. Il sistema oggi ti impone di vaccinarti o di prendere il Covid se vuoi essere una persona normale. Chi crede di essere libero in verità non lo è, perché quella libertà può essere revocata in qualsiasi momento».

Vivendo in una società ci si vaccina non solo per se stessi, ma anche per gli altri. Non crede?

«Io penso che una persona si vaccini solo per se stessa, per essere protetta e se lo è veramente non deve avere paura di chi gli sta vicino. Io mi sento molto preoccupato perché la Costituzione dice che ognuno è libero di scegliere come curarsi e ora non è concesso. Lavorare e studiare sono diventati dei benefici, non vedo libertà». 

Ha una figlia piccola, non vuole proteggerla?

«Non ho paura per lei, ha avuto il Covid a marzo, poi è stata con me quando ero positivo e non ha avuto nessun problema». 

Ci sono persone deboli che hanno il diritto di essere protette.

«La soluzione è iniettare un siero sperimentale a un bambino per salvaguardare un anziano? L'età media dei morti per Covid supera gli 83 anni e a quell'età è normale essere più deboli». 

Quindi non devono essere tutelati?

«Non ho mai detto a nessuno di non vaccinarsi, io sono semplicemente contrario al Green Pass perché è uno strumento che non serve a nulla. Altri Paesi, come l'Inghilterra, stanno pensando di toglierlo e i numeri danno loro ragione, in Italia si sta facendo l'opposto». 

L'Italia è stata lodata per la gestione della pandemia, anticipando restrizioni poi adottate anche da altri Paesi.

«Queste cose io non le so, dico solo che togliere la libertà alle persone non è corretto e non ha senso». 

Non è stata tolta la libertà di espressione, perché è sceso in piazza?

«Non per protestare, ma per parlare dello sport negato ai ragazzi. A me ha cambiato la vita, ha insegnato a relazionarmi con le persone, conoscere culture diverse, mentre ora si vuole togliere questo diritto. Mentre possono uscire per strada e incontrare cattive compagnie». 

Cosa c'entra questo con l'emergenza sanitaria?

«Non nego che sia una pandemia, ma se spegni telefono e tv e vai in strada sembra tutto normale».

La situazione negli ospedali è critica.

«I dati diffusi non sono veri. Non si guarda alla realtà dei fatti, ma a quello che fa comodo. Come con quanto sta succedendo a Djokovic». 

È stato accusato di avere dichiarato il falso per entrare in Australia.

«È stato messo in mezzo, non potevano giocare gli Australian Open senza il numero uno al mondo. Sono stati gli organizzatori del torneo a cercare di fare cambiare le regole ed è iniziato un braccio di ferro con il governo».

Djokovic non ha colpe?

«Lo hanno usato come un capro espiatorio, gli hanno detto che poteva andare e lui lo ha fatto. Non è stato lui a provare a cambiare le regole». 

 Lei non pensa che la società debba avere delle regole?

«Io non ho trasgredito a nessuna regola. La scelta se vaccinarsi o meno è delicata e personale e io rispetto i motivi sia di chi decide in un senso sia nell'altro. Però mi sembra che sia in atto un ricatto».

Non le sembra di esagerare?

«No, perché sei non fai una cosa allora non ne puoi fare un'altra. Per me è un ricatto bello e buono».

Da gazzetta.it il 16 gennaio 2021.  

Primi effetti negativi per Marco Melandri, entrato in una bufera mediatica dopo le dichiarazioni a Men On Wheels, in cui ha affermato di aver cercato di contrarre volontariamente il Covid per poter ottenere il Green Pass. Oggi Il Dolomiti riferisce che Trentino Marketing, uno dei suoi sponsor, non ha intenzione di rinnovare l’accordo di collaborazione in seguito ai contenuti dell’intervista.

Il giornale riporta le parole dell’amministratore delegato Maurizio Rossini: “L’accordo con Marco Melandri è scaduto nelle scorse settimane e il rinnovo non è in agenda. Prendiamo le distanze da quanto affermato e comunichiamo che il contratto non è stato confermato per quest’anno. La collaborazione con Melandri - prosegue Rossini - ha portato risultati interessanti negli anni scorsi, ma non c’è l’intenzione di rinnovare il contratto in quanto abbiamo intenzione di percorrere altre strade per sviluppare altre sinergie e strategie con l’obiettivo di veicolare l’immagine del territorio”. 

Ferruccio Pinotti per corriere.it il 16 gennaio 2021.

Stroncato dal Covid, è morto il leader dei No vax dell’Abruzzo, Luigi Marilli, 63 anni. L’attivista si è spento nell’ospedale di Pescara, dove è era ricoverato. Referente territoriale per la sua regione di «Liberiamo l’Italia», è stato tra i primi a combattere la guerra contro i vaccini e l’obbligo di green pass. Originario di Taranto, Marilli da tempo viveva in Abruzzo. Marilli — come riportano gli organi di stampa locali — era sempre in prima linea, aveva presieduto tutti i principali eventi di protesta in piazza degli ultimi mesi. 

I compagni di protesta hanno dato la notizia della morte del loro leader sulla pagina Facebook del movimento, ma senza mai citarne le cause: «Notizie come quella della scomparsa del nostro amato Luigi Marilli, membro della Direzione Nazionale di Liberiamo l’Italia, tra i fondatori della Marcia della Liberazione e portavoce del Fronte del Dissenso dell’Abruzzo — scrivono in una nota — sono quelle che mai si vorrebbero ricevere. La sua forza d’animo, testimoniata dall’instancabile attività di guida e di coordinamento del Comitato abruzzese di Liberiamo l’Italia e anche di altre forze di resistenza nel suo territorio, proveniva dalla certezza e dall’orgoglio di star lottando sempre per la giustizia, per l’uguaglianza e per la libertà dei popoli e in particolare del suo popolo: il popolo italiano».

Si deve scorrere tra i commenti di chi lo saluta per capire cosa sia successo davvero. «È morto di Covid», scrive il suo caro amico Marino Recchiuti. Il commento — poi rimosso — è in risposta a un utente che chiede se Marilli fosse malato. Ma lo sfogo di Recchiuti è continuato sotto il post del comitato regionale No vax: «È morto un amico vero che conosco da oltre 15 anni, mio.. Che lavorava con me.. e che si sarebbe salvato se non avesse seguito le vostre ideologie anziché i consigli della sua famiglia e dei suoi amici. Una famiglia ora distrutta .. Gli amici quelli veri distrutti.. Vi dovreste vergognare tutti solo a citare il suo nome. Lo avete sulla coscienza. Non ho parole ma solo profondo ribrezzo». 

L’amico di Marilli continua: «Le vostre idee lo hanno portato alla morte. Lui ha sbagliato, ma era una persona splendida e gli posso perdonare tutto. Ma a chi lo ha supportato in questa orrenda visione distorta della realtà non posso perdonare nulla. Le idee si cambiano, gli affetti restano e sono intrisi di dolore e rabbia». Al Corriere Marino Recchiuti, amministratore di Gres Energy Acustica di Pescara, press ola quale lavorava anche Marilli, tiene a sottolineare: «Luigi era yna bravissima persona e un valido professionista, oltre che un amico. 

Aveva le sue idee ma le esoprimeva comunque con moderazione e rispetto di quelle degli altri». Marilli lascia la moglie Anna Maria, i figli Antonietta e Tiberio e due nipoti. I funerali si terranno nel Santuario della Madonna dei Sette Dolori, proprio la chiesa dove i No mask, diversi mesi fa, si presentarono in gruppo per una manifestazione di protesta durante una celebrazione, creando non poco subbuglio.

I 'complotti' dietro la morte del medico fake. Domenico Biscardi, per la morte del guru No Vax una denuncia (sbagliata) ai carabinieri: “Fate chiarezza”. Redazione su Il Riformista il 15 Gennaio 2022.  

Un infarto? No, un “decesso anomalo” sul quale è necessario “fare chiarezza“. Sulla morte di Domenico Biscardi, il “dottore” e guru No Vax trovato senza vita nella sua abitazione di San Nicola la Strada, in provincia di Caserta, nelle prime ore di mercoledì 12 gennaio, c’è chi chiede di aprire un’inchiesta.

È il caso di Bianca Laura Granato, senatrice del gruppo Misto eletta a Palazzo Madama col Movimento 5 Stelle. Granato che già nelle ore successive alla morte del presunto medico aveva pubblicato sui social network un video dalle dichiarazioni allarmanti: “Sono sconvolta del decesso del dottore Biscardi, tutti coloro che si oppongono a questi farmaci e che parlano con un minimo di cognizione di causa poi… lui era pronto a fare una denuncia alla Corte Europea, adesso giovanissimo lo trovano morto in casa. Qualcuno crede ancora a queste coincidenze? Io francamente no“.

Alle parole sono seguite i fatti, con la presentazione di una denuncia alla stazione dei carabinieri di Roma “Piazza Farnese”. Peccato che la stessa senatrice ex grillina sbagli poi la ‘localizzazione’. Nel suo posto su Facebook la Granato scrive infatti di aver presentato denuncia “che verrà inoltrata alla competente Procura di Napoli Nord“, mentre in realtà la competenza territoriale su San Nicola la Strada spetti in realtà alla Procura di Santa Maria Capua Vetere.

Chi era Biscardi

Conosciuto come “dottor” Mimmo, anche se non era iscritto ad alcun albo professionale, il 53enne Biscardi era diventato nel tempo uno dei punti di riferimento della galassia no vax con pseudo ricerche che non hanno trovato alcun riscontro nella comunità scientifica.

Biscardi si presentava come genetista e farmacologo. Nei giorni scorsi aveva pubblicato un breve video, inferiore ai due minuti, nel quale rivolgendosi a una non meglio precisata “Giulia” diceva di avere la prova definitiva, grazie a studi effettuati con uno “scienziato” di Madrid, che nell’essiccato del vaccino anticovid erano contenuti nano dispositivi di tecnologia sconosciuta (anche micro-trasmettitori). Una ‘scoperta’ che si era detto pronto a portarla alla Corte Suprema Europea per depositare una denuncia formale.

“Qui finisce tutto, a fine gennaio finisce tutto, sarà una nuova Norimberga. Scoppia la guerra perché le case farmaceutiche non vorranno accettare questa cosa e dovranno pagare miliardi di euro di risarcimento. E ci saranno tanti morti. Questi qua sono l’interfaccia con il 5 G. Ci metto la faccia Giulia e se devo morire voglio morire da eroe. E’ finita Giulia, con questo abbiamo vinto. Napoli-Madrid, la vittoria di un mondo”, erano le parole di Biscardi.

Il suo nome sale alla ribalta delle cronache nazionali quando nei primi anni Duemila, spacciandosi per medico, inizia a somministrare la cura Di Bella a svariati pazienti in una clinica di Caserta fino al 2005, quando viene scoperto e arrestato per riciclaggio e associazione a delinquere.

Poi si traferisce in Africa, sull’isola di Sal, a Capoverde, dove – guadagnata la cittadinanza grazie al matrimonio con una donna locale – fonda un’associazione e continua a esercitare la professione medica e il metodo Di Bella, riuscendo persino a ingannare la giornalista Gioia Locati che nel 2012 gli fa un’intervista molto discussa in cui egli afferma di essere discepolo di Giuseppe Di Bella ed esser riuscito a curare i melanomi con lo iodopovidone. A Capoverde inizia a praticare anche le staminali, e quando nel 2014 la fondazione Di Bella si dissocia da lui, inizia a vendere una cura contro gli effetti delle scie chimiche. 

I negazionisti del Covid gridano al complotto: "Ucciso per non far emergere verità". Ma non c'è alcuna conferma. Chi è Domenico Biscardi, il ricercatore no vax “trovato senza vita”. Nell’ultimo video diceva: “Morirò da eroe”. Giovanni Pisano su Il Riformista il 12 Gennaio 2022.  

Sarebbe stato trovato senza vita in casa, stroncato da un infarto, in provincia di Caserta, Domenico Biscardi, uno dei punti di riferimento dei no vax in Italia. La notizia non è ancora confermata ufficialmente dalle forze dell’ordine (non risulta né a carabinieri né alla polizia) ma in queste ore sui social sono numerosi i messaggi di cordoglio nei confronti dei familiari di “Mimmo”, diventato in poco tempo riferimento della galassia che nega l’esistenza del covid-19.

Biscardi, presentato come genetista e farmacologo, nei giorni scorsi aveva pubblicato un breve video, inferiore ai due minuti, nel quale rivolgendosi a una non meglio precisata “Giulia” diceva di avere la prova definitiva che nell’essiccato del vaccino anticovid erano contenuti nano dispositivi di tecnologia sconosciuta (anche micro-trasmettitori). Una ‘scoperta’ che si era detto pronto a portarla alla Corte Suprema Europea per depositare una denuncia formale. “Qui finisce tutto, a fine gennaio finisce tutto, sarà una nuova Norimberga. Scoppia la guerra perché le case farmaceutiche non vorranno accettare questa cosa e dovranno pagare miliardi di euro di risarcimento. E ci saranno tanti morti. Questi qua sono l’interfaccia con il 5 G. Ci metto la faccia Giulia e se devo morire voglio morire da eroe. E’ finita Giulia, con questo abbiamo vinto. Napoli-Madrid, la vittoria di un mondo”.

Come è morto Domenico Biscardi, la senatrice no vax Granato: “Non credo alle coincidenze”

Un audio, diventato virale nelle chat Telegram ma anche su Facebook, dal contenuto discutibile che alimenta ancora di più le tesi complottiste e anche quelle relative alla morte dello stesso Biscardi, sul quale, ripetiamo, al momento non ci sono conferme ufficiali (poi l’ufficialità e i funerali). Molti utenti ipotizzano addirittura un attentato alla persona di Biscardi dopo quanto scoperto.

“È morto il Dott. Domenico Biscardi, aveva annunciato qualche giorno fa di aver fatto un’importante scoperta sui sieri Covid, lo hanno suicidato. Come Giuseppe De Donno (il medico di Mantova morto suicida lo scorso luglio 2021, ndr). Riposa in pace, da eroe, come hai detto tu”.

Sulla presunta morte di Biscardi è intervenuta anche Nunzia “Nandra” Schillirò, la poliziotta no vax sospesa per le sue dichiarazioni contro il governo durante la manifestazione No Green pass a Piazza San Giovanni a Roma lo scorso ottobre. “Mi sembra il minimo spendere due parole per il dottor Domenico Biscardi, che ci ha appena lasciato. In molti – scrive sui social – avrete ascoltato quello che pare essere il suo ultimo messaggio audio. Non continuate a farmi domande a cui non so rispondere. Saranno accertate le cause della morte e poi, se del caso, ci saranno delle indagini. Sono sconvolta quanto voi perché, pur non essendo un medico e non potendo valutare le affermazioni del Dottore, avevo ascoltato le sue posizioni, che avevano contribuito, insieme a quelle opposte o concordanti di tanti altri esperti del settore, a fare in modo che io potessi formarmi una mia personale opinione. Questo è il motivo per cui sempre ringrazierò tutti coloro che hanno il coraggio di esprimere le proprie tesi, qualunque esse siano. Esprimo tutta la mia vicinanza alla famiglia del dottor Biscardi e a tutti coloro che lo hanno amato. Che la Verità, qualunque essa sia, possa venire alla luce e donare pace al dottor Biscardi e a tutti noi”.

C’è chi aggiunge che con la morte di Biscardi “lo Stato che vuole nascondere la verità”.

Il profilo di Domenico Biscardi: dalla cura Di Bella all’Africa

Stando a quanto riporta il portale “Come Don Chisciotte”, Biscardi era laureato in farmacia, ricercatore indipendente (non aveva alcun titolo né pubblicazioni all’attivo) che sale alla ribalta delle cronache quando nei primi anni Duemila, spacciandosi per medico, inizia a somministrare la cura Di Bella a svariati pazienti in una clinica di Caserta fino al 2005, quando viene scoperto e arrestato per riciclaggio e associazione a delinquere.

Poi si trasferisce in Africa, sull’isola di Sal, a Capoverde, dove – guadagnata la cittadinanza grazie al matrimonio con una donna locale – fonda un’associazione e continua a esercitare la professione medica e il metodo Di Bella, riuscendo persino a ingannare la giornalista Gioia Locati che nel 2012 gli fa un’intervista molto discussa in cui egli afferma di essere discepolo di Giuseppe Di Bella ed esser riuscito a curare i melanomi con lo iodopovidone. A Capoverde inizia a praticare anche le staminali, e quando nel 2014 la fondazione Di Bella si dissocia da lui, inizia a vendere una cura contro gli effetti delle scie chimiche. 

Giovanni Pisano. Napoletano doc (ma con origini australiane e sannnite), sono un aspirante giornalista: mi occupo principalmente di cronaca, sport e salute.

Selvaggia Lucarelli per editorialedomani.it il 24 gennaio 2022.

Il biologo Franco Trinca, 70 anni, noto anche in tv per le sue posizioni no-vax e per le sue convinzioni sulle terapie domiciliari, è ricoverato in un ospedale di Perugia per il Covid con una polmonite bilaterale. Inizialmente le sue condizioni non destavano particolare preoccupazione, ma da qualche giorno la situazione è in peggioramento.

Trinca, negli ultimi due anni, è stato spesso ospite di programmi televisivi quali Dritto e rovescio e Piazza pulita per illustrare le sue idee sul Covid che, secondo lui, si cura a domicilio con farmaci quali l’idrossiclorochina e con vitamina C e flavonoidi.

Aveva raccontato in una delle sue innumerevoli interviste per ByoBlu di aver curato una famiglia di Mestre con questo metodo, avendo risparmiato a due anziani signori il ricovero in ospedale.

Trinca ritiene anche che i vaccini contengano grafene e ha depositato alcune denunce contro lo stato per strage e terrorismo, spiegandone il perché in una conferenza stampa presso Camera dei Deputati insieme alla deputata no vax Sara Cunial.

In tv ospite di Paolo Del Debbio aveva affermato di non essersi vaccinato con la motivazione «perché ho un buon sistema immunitario».

Covid, morto Il biologo No Vax Franco Trinca.  La Repubblica il 4 Febbraio 2022.  

Era stato ricoverato due settimane fa nell'ospedale di Perugia. Più volte ospite di diverse trasmissioni tv durante una puntata di Piazza Pulita aveva discusso animatamente con Selvaggia Lucarelli a proposito delle sue teorie sul virus.

Ricoverato due settimane fa in ospedale a Perugia per una polmonite bilaterale, il biologo No Vax Franco Trinca non ce l'ha fatta. È morto a 70 anni. Trinca, famoso per le sue convinzioni contro il vaccino contro il Covid e a favore delle terapie domiciliari e alternative (era tra i coordinatori del Movimento "Uniti per la libera scelta" composto da varie associazioni No Vax) era diventato famoso in questi ultimi due anni, grazie anche a trasmissioni come Dritto e Rovescio o Piazza Pulita dove era stato invitato come ospite più volte e dove aveva sostenuto posizioni contrarie alla vaccinazione. Ed è proprio durante una puntata di Piazza Pulita Selvaggia Lucarelli aveva avuto un'accesa discussione con il biologo a causa delle sue posizioni sul Covid e No Vax.

Colpito da una polmonite bilaterale. Chi era Franco Trinca, il biologo no Vax morto di Covid che voleva curare la malattia con gli integratori. Fabio Calcagni su Il Riformista il 5 Febbraio 2022. 

Franco Trinca, biologo no Vax noto anche al grande pubblico per le frequenti ospitate in televisione, è morto venerdì 4 febbraio a causa del Covid-19. Ad annunciarlo su Telegram è stato l’avvocato Fusillo nel suo canale: “Oggi, 4 febbraio 2022, ci ha lasciati per sempre Franco Trinca. Una perdita incalcolabile di un grande uomo, un ricercatore infaticabile, un amico, un fratello”, lo definisce Fusillo.

Ma Trinca, 70 anni, era anche molto altro. Ricoverato all’ospedale di Perugia a gennaio per una polmonite bilaterale, il biologo era noto per le sue posizioni no Vax. Trinca sosteneva infatti di poter curare il Covid tramite l’uso di integratori e farmaci, che ovviamente non hanno dimostrato alcuna efficacia contro la malattia.

La sua “medicina biologica integrata”, spiegava il biologo in un articolo comparso sul sito Byoblu, era basata su “minerali (zinco e magnesio), vitamine (tutto il complesso della B, C, D e della A) e flavonoidi come la quercetina” e “l’idrossiclorochina o il cortisone”.

Una ‘pozione magica’ che secondo Trinca avrebbe “evitato per un soffio il ricovero in ospedale” di una famiglia di Mestre che il biologo avrebbe dunque “salvato”.

Tesi ribadite anche in televisione. A ‘Dritto e Rovescio’, su Mediaset’, dichiarava apertamente nel settembre 2021 di non essersi vaccinato in quanto “sentiva” di avere un buon sistema immunitario. Ovviamente dietro i vaccini ci sarebbe stato una mera questione di business: Trinca accusava il governo di non voler far stimolare il sistema immunitario preferendo far crescere il fatturato delle multinazionali produttrice dei vari vaccini anti Covid. 

Il suo intruglio era anche in vendita in una farmacia di Perugia. A spiegarlo era la stessa farmacista ad un inviato della trasmissione di La7 ‘Piazza Pulita’, in cui gli integratori preparati da Trinca venivano dichiarati utili a rafforzare il sistema immunitario contro il Coronavirus. 

Fabio Calcagni. Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.

Chi era Franco Trinca, il biologo no Vax morto di Covid che voleva. Asia Angaroni il 04/02/2022 su Notizie.it.

Le parole che Grignani ha detto ad Amadeus subito dopo la sua esibizione con Irama non sono passate inosservate: cos'è successo sul palco dell'Ariston? 

Dopo l’esibizione al fianco di Irama, in occasione della serata cover, Grignani ha detto ad Amadeus alcune parole che non sono passate inosservate. Il conduttore del Festival gli stava consegnando il consueto mazzo di fiori, ma il famoso cantante ha reagito dicendo: “Hai paura a darmi i fiori, te lo leggo negli occhi”.

Sanremo 2022, cos’ha detto Grignani ad Amadeus? La reazione del conduttore

Al momento della consegna dei fiori, Gianluca Grignani si è rivolto al conduttore e direttore artistico del Festival con tono ironico.

Dopo le voci su una presunta diatriba tra Irama e Grignani, il cantante è arrivato sul palco truccato e visibilmente entusiasta, tanto da scatenarsi tra il pubblico, omaggiando il giovane collega.

Grignani non ha dubbi e gli augura una splendida carriera. Poi la battuta rivolta ad Amadues: per il cantautore, infatti, Ama sarebbe stato spaventato al momento della consegna dei fiori.

Il conduttore sorvola e non commenta la sua osservazione, evitando così inutili polemiche. Amadeus, al contrario, si è complimentato con lui, augurandogli di tornare presto sul palco dell’Ariston. “Verrei se si facesse più rock and roll”, è la risposta di Grignani.

Alessandro Fulloni per il "Corriere della Sera" il 20 febbraio 2022.

«Io ho rilasciato al dottor Trinca un'esenzione in scienza e coscienza e lo rifarei senza dubbio. Di certo non ho emesso quel certificato per le sue posizioni nei confronti del vaccino». Lo dice Pietro Solinas, dottore di famiglia del biologo no vax Franco Trinca, morto lo scorso 4 febbraio all'ospedale di Città di Castello dove era ricoverato da circa due settimane per una polmonite bilaterale causata dal Sars-CoV-2. Il medico curante è ora indagato per omicidio colposo dalla Procura di Perugia diretta da Raffale Cantone.

Intervistato dal Corriere dell'Umbria , Solinas si è detto «pronto a spiegare ai magistrati» di aver «agito correttamente. Trinca aveva delle chiare condizioni che potevano portare all'esonero e la sua certificazione è stata accolta anche dall'Istituto superiore di Sanità che l'ha valutata dopo l'apertura del procedimento disciplinare nei suoi confronti da parte dell'Ordine dei biologi in quanto non vaccinato. In quel momento la certificazione è stata ritenuta idonea». 

 Il biologo, che aveva 70 anni, era uno dei punti di riferimento del mondo no vax - aveva anche depositato denunce contro lo Stato per strage e terrorismo - tanto da diventare uno dei coordinatori del movimento «Uniti per la libera scelta». Non si era vaccinato anche perché, aveva spiegato in tv, aveva «un buon sistema immunitario». Sulle prime, dopo il ricovero, le sue condizioni non erano sembrate preoccupanti ma poi la situazione è peggiorata. Solinas - di mezza età, sposato, con figli, «regolarmente vaccinato con tutta la famiglia» - spiega che Trinca «aveva rifiutato i monoclonali appena accolto in ospedale, poi li ha accettati qualche giorno dopo: ma ormai era tardi per quel trattamento e ne ha rifiutati anche altri».

Dopo il decesso la Procura di Perugia ha disposto l'autopsia «al fine di verificare l'effettiva causa di morte». Secondo gli investigatori di Cantone, il biologo «era risultato, da altre indagini in corso, destinatario di esenzione dalla somministrazione del vaccino» e l'esame, ha spiegato la Procura in una nota, «si è reso necessario per comprendere se le situazioni che avevano giustificato l'esenzione fossero effettive». E anche se, in caso contrario, il decesso, eventualmente dipendente da Covid, «potesse essere collegato all'omessa somministrazione del vaccino». 

Solinas, dottore assai apprezzato a Perugia e che in questi giorni ha continuato a visitare i pazienti nel suo studio in periferia, è indagato non solo per omicidio colposo ma anche per falso ideologico. È stato lui stesso a dire di «avere rilasciato altre esenzioni ma sempre - ha ribadito tassativo e sicuro - dopo averne rilevato i presupposti medici». Quanto alla conoscenza con Trinca (che era anche un nutrizionista, titolare di centri di dimagrimento e di punti vendita di farmaci) «era quella normale tra un medico di base e un paziente in cura da lui da molti anni. Non era certo venuto da me per avere l'esenzione».

Sulla vicenda interviene anche Silvio Pasqui, direttore dell'ospedale dove Trinca era stato ricoverato: «Da medico posso dire che ogni volta che un paziente muore è una sconfitta. Tanto più quando la possibilità per evitarlo c'è, in questo caso con il vaccino». I Nas, intanto, stanno conducendo accertamenti sul rilascio, negli ambulatori di base in tutta l'Umbria, delle 826 certificazioni firmate sinora dai medici. Non è detto che ci siano per forza irregolarità, ma è certo che anche una seconda dottoressa risulta indagata per falso.

In un video il suo messaggio: "Non ho intenzione di usarlo". Nunzia Schilirò, la poliziotta no vax rifiuta il green pass: “Guarita grazie a medicine ma ora farò battaglia contro vaccino ai bimbi”. Redazione su Il Riformista il 16 Dicembre 2021.  

“Siamo ufficialmente guariti dal Covid sia io che mio marito. Ci è arrivato anche il Green Pass, in automatico. Ma averlo non significa che lo userò”. Nunzia Alessandra Schilirò, la vicequestore di Roma sospesa per le sue dichiarazioni contro il governo durante la manifestazione No Green pass a Piazza San Giovanni, era risultata positiva al Covid lo scorso 29 novembre.

Ora ha annunciato, oltre alla sua guarigione dall’infezione, che non utilizzerà il Green Pass appena ricevuto (per legge, specifica) tramite un video pubblicato su YouTube dal titolo: “Avere la tessera e scegliere di non usarla”.

“Voglio lanciare un messaggio positivo”

Nunzia Alessandra Schilirò tiene a ribadire ciò che ha sempre sostenuto, ossia di essere contraria al Green Pass. E lo fa, sorridendo davanti alla telecamera, anche con l’intento di lanciare quello che lei definisce un ‘messaggio positivo’: “Se avete il Covid, ma non malattie pregresse e si viene curati con medicine che si trovano in farmacia e da medici fanno ancora il loro mestiere, si guarisce, come sono guarita io“. 

“Vado avanti con la mia battaglia per uno Stato libero e giusto. Sono sempre contraria alla tessera della discriminazione che non intendo usare” sottolinea di nuovo. “Rido perché c’è gente disposta a spendere soldi per avere una di queste tessere false. E c’è gente come me che ce l’ha perché gli spetta in automatico per legge ma non ha alcuna intenzione di usarla. I motivi per i quali è illegittima viola la nostra Costituzione, sulla quale ho giurato“. 

Oggi 16 dicembre sono iniziate le vaccinazioni anche per i bambini nella fascia d’età 5-11 anni, ieri ne sono stati immunizzati già circa 1000 nel Lazio. Ora la sua lotta andrà avanti “anche per tutti i dubbi sulla vaccinazione nei confronti dei minori”. 

In un post pubblicato sul suo profilo Facebook lo scorso 7 dicembre, la Schilirò aveva già dichiarato di non voler utilizzare il Green Pass, da lei definito appunto ‘tessera della discriminazione’: “Non posso impedire che mi sia rilasciata, perché arriva in automatico. Ma la brucerei in piazza se non arrivasse in formato elettronico” aveva scritto. 

Da liberoquotidiano.it il 15 gennaio 2022.

Sono lontani i tempi in cui in spiaggia urlava: “Non ce n’è Coviddi” davanti alle telecamere di Pomeriggio Cinque. Adesso Angela da Mondello il virus ce l’ha in casa: è stata lei stessa  a informare i suoi seguaci sui social. "Anche da noi è arrivato questo maledetto. Ora vi dico vacciniamoci”, ha scritto in una storia Instagram, rivolgendo un appello ben preciso ai suoi quasi 120mila follower.

In molti, però, le hanno lasciato commenti negativi.  Qualcuno le ha scritto "ben ti sta", qualcun altro invece: “Peccato che non sia tu". 

A risultare positivo al virus infatti sarebbe stato il padre, non lei direttamente. Il chiarimento è arrivato dopo la sua intervista con Palermo Today: “Ho fatto la terza dose ieri, anche se abitiamo nello stesso palazzo il Covid lo ha preso mio padre”. 

A stretto giro è arrivata la replica piccata ai commenti ricevuti: "Nonostante tutto, vi esce sempre cattiveria dalla bocca. Noi siamo tutti vaccinati, ma il Covid è venuto anche nelle nostre case. Adesso vi dico vacciniamoci. Ognuno è libero di pensare come vuole perché è giusto rispettare le nostre idee. Ma una sola cosa vi dico: mettetevi un rosario nelle mani e pregate anziché essere così cattivi. Ad alcuni il Covid ha peggiorato la cattiveria".

Goffredo Buccini per il "Corriere della Sera" il 14 gennaio 2022.

Il dentista di Biella ha fatto scuola: magari al di là delle sue intenzioni, visto che negli studi di Non è l'Arena ha tentato di spiegare come quel suo offrire una spalla di silicone alla siringa del vaccino fosse solo... «una provocazione». 

In talune chat di Telegram il fantasioso Guido Russo pare assurgere a un ruolo da eroe eponimo dei furbacchioni: «Secondo voi mi scoprono col finto braccio?», «Un po' goliardica come mossa, ma nella vita serve tentare», meditano i suoi discepoli digitali.

E nell'incattivita Italia della pandemia tanti vanno ben oltre i trucchi da Cagliostro antivaccinista, come il giovanotto di Fasano che s' è presentato nell'hub pugliese porgendo direttamente una bustarella all'infermiere. 

«Tentare, tentare, tentare» è il nuovo mantra di chi, indifferente alla salute del proprio vicino, prova ad aggirare le norme sul green pass o sulla quarantena, come dimostra, solo nell'ultimo mese (dal 6 dicembre all'8 gennaio), il lavoro delle forze di polizia: 11.480 persone sanzionate, 454 denunciate, 5.491 locali multati, 371 chiusi.

Una brutta Italia

Ma è da un anno a questa parte che le indagini svelano un Paese, si spera minoritario, lontano dai rassicuranti poster dell'infermiera con la mascherina che culla lo Stivale come una mamma: è il Malpaese di chi butta via il vaccino e intasca mazzette, di chi fabbrica fasulli certificati, di dottori infedeli e avidi sensali, truffatori informatici e paranoici utenti disposti a tutto pur di scansare la temuta iniezione. 

È un'Italia di profittatori di sciagure, che radica il suo Dna tragico e grottesco in quella dei borsari neri raccontata da Eduardo ma, a differenza degli sventurati protagonisti di Napoli Milionaria , non è spinta dalla fame della guerra, piuttosto dall'ingordigia per la vacanza esotica o per la settimana bianca come status. 

Quella dove perfino un contatto con la malavita fa premio in chat («io avrei un amico camorrista...») quale possibile accesso a una inesauribile filiera di contraffazione. Questa brutta Italia non è affatto prerogativa esclusiva dei no vax.

I Nas dei carabinieri nella prima fase della campagna vaccinale ne hanno smascherato una, in fondo, uguale e contraria: tra gennaio e giugno 2021, quando il vaccino era per molti un bene scarso, hanno denunciato alle Procure 1.562 persone che s' erano procacciate l'iniezione senza averne diritto. 

Insomma, troviamo un curioso passaggio di testimone tra le due stagioni del nostro calvario, la prima segnata dagli ipervaccinisti e la seconda dagli antivaccinisti, avvinti tuttavia da un comune denominatore italico: l'insopprimibile tendenza a buggerare il prossimo che pare, ahinoi, unificare Nord e Sud.

Sicché, a gennaio 2021, ecco in un ospedale del Trapanese 48 impazienti furbastri (impiegati comunali, vigili e medici in pensione) sopravanzare gli altri; così come i 21 salta-fila di una Rsa di Torino a marzo e i 20 ansiosi «parenti e amici» immunizzati a dosi di Pfizer in una Usl di Cagliari assai sensibile alla mozione degli affetti. 

In questa umanità allergica alle regole spiccano per particolare deficit etico i 360 medici, farmacisti, infermieri colti a esercitare la professione pur non essendo vaccinati (145 dei quali perfino già sospesi dal loro Ordine). Poi, l'estate 2021 rovescia le tendenze.

I vaccini ci sono per tutti, facili e abbondanti: cambia così la platea degli irregolari, e al favore familistico e clientelare (per vaccinarsi senza diritto) si sostituiscono spesso la corruzione o il falso (per ottenere certificati senza vaccinarsi). l due metodi Le modalità di azione sono due. La prima è, diciamo così, più tradizionale. 

Da Palermo ad Ancona, da Ravenna ad Ascoli, ecco medici che fanno carte false (taluni così notoriamente «disponibili» da essere raggiunti persino da comitive venute da altre Regioni) e infermieri che, dietro compenso, svuotano la siringa nella garza e simulano l'iniezione. Le mazzette vanno dai 200 ai 500 euro. 

L'infermiera di un hub palermitano e i suoi amici intascavano, secondo l'accusa, 400 euro a colpo. In galera è finito anche un capo no vax, Filippo Accetta, già masaniello degli ex detenuti disoccupati: nel 2006 s' era incatenato in mutande davanti al Comune, poi vagheggiava di correre con la Lega (esibendo l'immancabile foto con Salvini nel santino), ora sostiene di essere solo spaventato dal vaccino ma bisognoso del green pass dovendo pur lavorare (ha moglie e figli). 

Tengo famiglia è una variante non priva di appeal anche per il ventisettenne Zeno (nulla a che vedere con la più famosa Coscienza), al secolo Gabriele Molgora: vocabolario che denuncia la cattiva qualità della nostra scuola, influencer antivaccinista e ideatore dei 16 cortei che hanno flagellato i commercianti di Milano, s' è inguaiato per un giro di green pass (lui sostiene di averli diffusi online gratis, per denunciare il fenomeno).

Esibendo un conto corrente di un euro e 64 centesimi, ha aperto dunque una sottoscrizione «per pagare avvocati per Daspo, denunce ecc. e soprattutto per far star bene mia figlia». Come dargli torto? 

Raggiri 2.0

La sua storia ci introduce nella seconda e più moderna modalità di raggiro: il web. Telegram è una specie di prateria per guardie e ladri, per una chat bloccata dalla polizia postale ne spuntano altre dieci. 

Secondo il sito di sicurezza digitale Security Open Lab, i venditori di green pass falsi sono circa 10 mila, gli iscritti ai gruppi online 300 mila, la quotazione in Italia è di 150 euro a certificato, in criptovaluta (girano pacchetti famiglia da 500 euro).

A un milieu ben più tradizionale, sospettano i pm, si sarebbe rivolto invece il volto più popolare di questa stagione, Pippo Franco, «pensatore scomodo» secondo qualche apologeta. 

Reduce da un drammatico flop alle Comunali di Roma (37 voti) accanto al candidato di destra Michetti, lo spirito guida del Bagaglino ha subìto l'onta di vedersi ritirare il green pass. Sostiene di poter rovesciare le accuse con un sierologico che dimostri l'effettiva vaccinazione.

E noi ce lo auguriamo con lui, gravato anche da un figliuolo così devoto da promettere ceffoni ai giornalisti e da un legale condannato per concorso esterno, scelto certo per garantismo o amicizia. Si tratta di aspettare che passi la nottata: pur col fondato timore che nel Paese dove arrangiarsi è un'arte, dopo una nottata, ne arrivi un'altra.

Da blitzquotidiano.it il 13 gennaio 2022. 

A Bologna il vice questore aggiunto è stato sospeso per non aver aderito all’obbligo vaccinale. Lo raccontano il Resto del Carlino e l’agenzia Ansa. 

La discussione al centro vaccinale di Casalecchio

Secondo quanto riporta il quotidiano nei giorni scorsi il funzionario, numero due dell’ufficio delle Volanti, è anche andato all’hub vaccinale di Casalecchio con un avvocato, facendo una serie di domande al medico di turno sulla validità del vaccino, su eventuali problemi e sul contenuto. Insomma: il funzionario ha provato a informarsi un po’ sul vaccino. 

Ma a un certo punto, insoddisfatto delle risposte, il poliziotto ha deciso di chiamare il 112. All’arrivo dei carabinieri il funzionario si è qualificato e ha ripreso con le domande sul vaccino. 

Le parole del direttore generale dell’Ausl

“Abbiamo fatto intervenire il responsabile dell’hub – ha detto il dg dell’Ausl Paolo Bordon – lo abbiamo messo in contatto con la dirigente di tutti gli hub vaccinali. Insomma, ci siamo messi a sua completa disposizione. Ma nonostante questo, non era per lui sufficiente. Così ha ripreso il foglio e se n’è andato via”.

L’episodio, come racconta l’agenzia Ansa, “è finito in una relazione inviata al Questore. Il funzionario risulta sospeso per la mancata vaccinazione, non per quanto accaduto all’hub”.

Niccolò Zancan per "la Stampa" il 13 gennaio 2022. 

«Buongiorno a tutti, c'è qualcuno che parte da Como in direzione Milano?». Bisogna moltiplicare questo messaggio per ogni singolo giorno. Per ogni comune d'Italia. Per ogni strada. Per ogni No Vax. Solo così si inizia a capire quello che sta succedendo. «Buongiorno a tutti. Sono la mamma di un liceale quattordicenne che deve recarsi ogni giorno da Borgo San Dalmazzo a Cuneo. Qualcuno potrebbe dargli un passaggio?». «Io sono di Alba, avrei bisogno al mattino per andare a Piana Biglini. Ritorno alle 14. Grazie mille».

«Qualcuno che fa da Dronero a Saluzzo?». «Buongiorno, io sono una ragazza di Caraglio. Sono due giorni che porto una studentessa all'Alberghiero! Ho ancora due posti in auto se qualcuno avesse bisogno». «Raga, scusate. Chiunque vada verso Savigliano potrebbe rispondere? Se trovo un passaggio per mio figlio, posso anche organizzarmi per offrirne uno in cambio in un altro orario. Dobbiamo aiutarci se vogliamo sopravvivere a questa abominevole ingiustizia».

Muoversi è diventato il problema principale per i negazionisti del Covid. Se non hai un'auto di proprietà, sei tagliato fuori. Non puoi salire sui mezzi pubblici, niente treni né aerei. In rete si stanno moltiplicando le chat dei cosiddetti passaggi solidali. Ma quanto solidali? «Al massimo si possono chiedere delle offerte, copertura delle spese, un contributo». Subito c'è chi interviene sulla chat per precisare di cosa si tratta: «Se qualcuno per fornire il passaggio chiede il tampone, allora ha sbagliato gruppo. Qui i tamponi non esistono e non devono esistere! Se volete chiedere il tampone siete nel posto sbagliato!». Niente tampone, niente vaccino. Vita alternativa da No Vax. Vita da irresponsabili. Vita quasi clandestina ormai, sempre più separata.

A Venezia è comparso il primo vaporetto per chi deve muoversi in laguna. «Mi trovate a fare da Caronte a quelli più sfigati di me, cioè senza Green Pass e anche senza barca. Dalla Giudecca alle Zattere, andata e ritorno». Poi è spuntato un altro motoscafo in servizio al Lido. Ogni giorno piccole barche accostano lungo i canali e caricano persone. «Cerco», «offro»: queste sono le due parole chiave per addentrarsi nella rete parallela dei trasporti. A Genova annunciano un servizio di bus turistici forniti da due aziende private, che dovrebbero ricalcare i percorsi dei mezzi pubblici più frequentati. Linee No Vax. In teoria sarebbe una vita senza cinema, senza birre al pub, senza un caffè seduti al bar, senza partite allo stadio, senza poter andare in palestra, senza parrucchiere, senza ceretta dell'estetista.

In pratica, quello che sta succedendo lo ha dichiarato pubblicamente Leonardo Sinigaglia, studente No Vax di Genova: «Ci stiamo attrezzando per resistere. I mezzi di trasporto pubblici li prendiamo lo stesso grazie alla nostra chat su cui vengono segnalati tutti i posti di blocco alle fermate e a bordo dei mezzi per le verifiche dei Green Pass. Poi c'è la rete di mutuo soccorso solidale, che funziona grazie ai locali gestiti da manifestanti e anche solo da simpatizzanti del movimento, fra cui tanti commercianti e esercenti che si accorgono che siamo discriminati e quindi ci lasciano entrare. È una scelta obbligata per sopravvivere in una società che ci ha messo fuorilegge».

E quindi: ristoranti che non chiedono il Green Pass, parrucchieri che accettano tutti i clienti indifferentemente. Servizi a domicilio, indirizzi che passano di chat in chat. Per arrivare al caso estremo delle scuole spuntate come funghi in Alto Adige, fuori da ogni legge e da qualsiasi controllo istituzionale, gestite da genitori No Vax per figli costretti a essere No Vax, in mezzo ai boschi della valle Aurina. Fenomeno su cui la procura di Bolzano ha aperto un'inchiesta. Su Telegram ovunque ti viene offerto un Green Pass falso. Nella maggior parte dei casi sono truffe a chi vorrebbe truffare lo Stato. Truffa. E contro truffa. Perché la criminalità si sta guadagnando spazi nel mondo parallelo dei No Vax, avendo ben compreso che può lucrare sul negazionismo e sulla paura.

Ti vendono Green Pass falsi e ti indicano modi per aggirare le legge per continuare a fare come se 140 mila morti di Covid in Italia non fossero mai esistiti. Il gruppo intitolato «Esercenti no Green Pass» conta 22.543 iscritti. Sul gruppo «No Green Pass - Diritto e mercato» sono all'ordine del giorno i nuovi problemi del 2022: «Salve, sto cercando qualcuno che mi aiuti a contestare una multa effettuata nella mia attività dai Nas per mancato Green Pass. Grazie in anticipo. Spero che qualcuno mi aiuti». Ed ecco, quindi, indirizzi e suggerimenti: avvocati No Vax, commercialisti No Vax, idraulici No Vax, elettricisti No Vax. Ora molte regioni rischiano di passare in zona arancione. La vita alternativa dei 6 milioni di italiani che rifiutano il vaccino sta per complicarsi ulteriormente.

Senza neanche una dose, dovranno farsi un tampone per cambiare Comune anche su mezzi propri. Non potranno muoversi neppure in auto. Stanno per ritornare di attualità le parole del lockdown 2020: lavoro, necessità, salute. Uniche ragioni per cui potranno uscire di casa. Eppure, sono ancora lì. «Io in bus ci vado lo stesso. Disubbidiamo!». «I poliziotti possono chiederti i documenti, non cose mediche». «Mi figlia non lo farà mai!». «Non rispondete ai post che invitano a scaricare i passaporto sanitari! Sono trappole». A Roma è nato il gruppo bici. «Scusate ma quale sarebbe il senso del gruppo bici?». «Fare massa per la sicurezza. Essere più visibili per porre attenzione al problema Green Pass uguale discriminazione». Ora stanno organizzando un reclamo di massa per il mancato rimborso degli abbonamenti dei trasporti pubblici, visto che loro non ci possono salire. Quante energie sprecate e quanta vita, pur di non fare il proprio dovere.

Daniel Mosseri per "il Giornale" il 13 gennaio 2022.

Forse quando ha minacciato di chiudere Telegram la neoministra dell'Interno della Germania, la socialdemocratica Nancy Faeser, non stava pensando solo a loro ma anche i No Vax tedeschi avranno poco da guadagnare se il governo del cancelliere Olaf Scholz staccherà la spina al servizio di messaggistica istantanea registrato a Dubai. In un'intervista al numero di Die Zeit in uscita oggi, la ministra ha riconosciuto che si tratterebbe di una misura estrema, eppure la chiusura sarà l'ultima opzione «se l'azienda continua a rifiutarsi di rispettare le leggi tedesche». 

Faeser ha ricordato che tutte le misure prese finora, compresa una lettera di avvertimento del ministero federale della Giustizia, non hanno sortito alcun effetto e su Telegram gli estremisti «sono in grado di diffondere l'odio e pianificare attacchi senza ostacoli, senza dover fare i conti con qualsiasi intervento degli operatori». 

Il pensiero della ministra è rivolto all'eversione politica, un fenomeno in crescita da almeno un lustro in Germania, ma è notizia di questi giorni che proprio su Telegram si incontrano anche circa 200mila No Vax tedeschi, organizzando Corona party, minacciando politici e virologi, e facendo circolare teorie del complotto; messaggi che il servizio non cancella dai propri server a dispetto delle sollecitazioni del governo. 

Se Faeser punta alla repressione, davanti al Bundestag il cancelliere Scholz si è speso a favore dell'obbligo vaccinale, una misura che la sua maggioranza rosso-verde-gialla (il colore, questo, dei Liberali) ha annunciato al momento del varo ma il cui iter si è arenato sul nascere. «Per quanto mi riguarda, la ritengo una misura necessaria e mi impegnerà attivamente a suo favore».  

Scholz, che ha scelto un falco come l'epidemiologo Karl Lauterbach alla Sanità federale, ha anche rivendicato l'obiettivo raggiunto dal suo governo, capace in poche settimane di somministrare 30 milioni di dosi booster; quindi ha ricordato la nuova meta: «Effettuare un milione di vaccinazioni al giorno». 

Mille chilometri più a Ovest, anche il governo del primo ministro francese Jean Castex sta tentando il giro di vite contro i No Vax. Il Senato francese, collocato più a destra della maggioranza di governo, sta discutendo la proposta del governo per un pass vaccinale che permetta solo alle persone immunizzate l'accesso, per esempio, nei bistrot e nei ristoranti ma anche sui treni interregionali.  

Il dibattito fra i senatori avviene mentre il numero di contagi ha raggiunto la cifra-monstre di 370mila nuovi casi in 24 ore, eppure la camera alta punta ad ammorbidire alcune norme proposte dall'esecutivo - come concedere la facoltà ai ristoratori di controllare i documenti sanitari degli avventori - e già approvate in prima battuta dall'Assemblea nazionale. 

Una nuova navetta parlamentare rischia di allungare i tempi dell'entrata in vigore del pass vaccinale, misura che gli scienziati dell'Acadèmie nationale de mèdecine ritengono comunque insufficiente chiedendo al governo di parlare «in modo chiaro e sincero» di obbligo di vaccinazione. 

Oltreoceano è molto più diretto l'approccio anti No Vax adottato da un altro esecutivo di lingua francese: la provincia canadese del Quebec ha annunciato l'imposizione di una tassa sui cittadini che rifiutino la vaccinazione. Il primo ministro provinciale Francois Legaut del partito nazionalista Caq ha spiegato che una minoranza di non vaccinati (circa il 10% della popolazione) rappresenta la metà dei ricoveri per Covid-19 nella Belle Province. «Stiamo lavorando a un contributo sanitario per tutti gli adulti che si rifiutano di vaccinarsi» perché «intasano gli ospedali» e «rappresentano un onere finanziario per tutto il Quebec». 

DAGONOTA il 18 gennaio 2022.

La scrittrice Ginevra Bompiani da anni è separata dal marito, lo scrittore e filosofo Giorgio Agamben. Dopo il divorzio hanno collaborato professionalmente per tanto tempo. E la romanziera continua a condividere in toto le idee dell’ex marito e quelle di un altro filosofo contestatore nonché amico di Agamben, Massimo Cacciari. 

Da quando c’è Mario Draghi al governo, questi pensatori attaccano i provvedimenti antiCovid spiegando che l’Italia è dominata da una dittatura sanitaria con leggi peggiori di quelle con cui esercitava il potere il fascismo.

La narratrice è così legata al consorte che ha ripreso le idee dell’ex coniuge nel romanzo “La penultima illusione” dove, alternando la sua biografia a quella di una giovane somala immigrata, spiega che i governi italiani evitano di occuparsi di sbarchi e di gommoni carichi di uomini, donne e bambini che approdano da noi, perché sono troppo presi dall’emergenza sanitaria. 

Basta preoccuparsi della pandemia! è la sua sollecitazione. La scrittrice sempre nel suo romanzo racconta di aver litigato, per questo, con l’amica Luciana Castellina e sua autrice quando dirigeva la casa editrice Nottetempo, la quale le ha obiettato che il “potere ci protegge”. Niente da fare. Ginevra da questo orecchio proprio non ci sente. Il potere, dice in sintonia con Agamben e Cacciari, ci vuole sottomettere e assoggettare a colpi di vaccini e se ne infischia di tutto il resto. 

Fuori dal Coro, Massimo Cacciari sbotta contro i virologi: "Finiamola con questo discorso terroristico".  Libero Quotidiano il 26 gennaio 2022.

Massimo Cacciari perde le staffe. Accade a Fuori dal Coro nella puntata in onda martedì 25 gennaio su Rete 4. Qui il filosofo ex sindaco di Venezia giudica "illegittime e gravi le discriminazioni nei confronti dei No vax". In collegamento con Mario Giordano, Cacciari si scaglia contro chi accusa i non vaccinati: "Finiamola con questo discorso puramente terroristico che la colpa del Covid che continua è di quel dieci per cento che ancora non si è vaccinato". 

Le posizioni di Cacciari sulla libertà di vaccinarsi o meno e la sua contrarietà al Green pass sono ben note. In ogni caso lui di fronte alla legge non si tira indietro, tanto da ammettere di aver ricevuto la terza dose di vaccino. "Ognuno di noi, poi, può avere opinioni diverse sulle cause di questa situazione di emergenza, in tutti i campi, e sulle sue prospettive politiche. Mi sono vaccinato e mi sarei vaccinato ugualmente senza questa politica accentratrice, paternalistica, semi-autoritaria", aveva già detto aggiungendo che per la sua scelta è stato preso di mira.

Tante infatti le critiche e gli insulti. Molti dei quali accusano Cacciari di aver cambiato idea sul Covid. Ma lui ha precisato: "Il giudizio sul vaccino e la sua utilità non c'entra nulla con quello sugli strumenti adottati per combattere il Covid e meno ancora sulla politica sanitaria di questo governo e di quelli passati".residente)

"Informatevi, c...". Cacciari sbotta sui vaccini. Francesca Galici il 19 Gennaio 2022 su Il Giornale.

Massimo Cacciari difende la sua posizione su vaccini e Green pass a Cartabianca, da sempre critica sull'atteggiamento del governo.

Confronto acceso a Cartabianca tra Massimo Cacciari ed Emma Bonino sulle vaccinazioni contro il Coronavirus. Il filosofo, ed ex sindaco di Venezia, è da giorni al centro delle polemiche, non per le sue note posizioni contrarie al Green pass, ma per essersi sottoposto alla terza dose di vaccino. Infatti, se da un lato Massimo Cacciari è uno dei riferimenti culturali dell'ampio movimento italiano dei no pass, che al suo interno vede un'ampia maggioranza di no vax, dall'altra il suo alto senso istituzionale e del dovere civico lo ha portato ad adempiere al completamento del ciclo vaccinale.

I toni durante la discussione si sono alzati quando è stata introdotta l'ipotesi di un secondo richiamo booster, che diventerebbe la quarta dose, con gli stessi vaccini con i quali si sta conducendo ora la campagna vaccinale. Una strategia che Israele sta già portando avanti per i soggetti fragili e gli over 60. "Informatevi, cazzo. Tutti stanno cercando un altro vaccino, perché non ha senso continuare a vaccinare con questo vaccino", ha sbottato Massimo Cacciari nel corso della discussione accesa, ma civile, con Emma Bonino.

Il filosofo, quindi, ha espresso le motivazioni per la sua posizione contraria al Green pass ma non al vaccino, come d'altronde Cacciari ha sempre sottolineato: "Ci sono no vax intelligenti e stupidi: il vaccino ha ridotto di 4-5 volte mortalità e terapie intensive. Ma questo vaccino, secondo una letteratura scientifica infinita e sostenuta anche da leader come Bill Gates, ha un’efficacia che dura massimo 6 mesi". Quindi, dal punto di vista del filosofo, "continuare a vaccinarsi con questo sistema è assurdo, lo dicono Bill Gates e gli scienziati".

Nonostante lui abbia ricevuto tutte e tre le dosi attualmente disponibili in Italia, Massimo Cacciari non fa un passo indietro in merito alla sua posizione critica: "Se poi il governo fa una legge e mi dice che devo vaccinarmi ogni mese perché questo è necessario affinché io viva, magari mi vaccino ma lo mando a quel paese. Questo vaccino non preserva dal contagio, quando vi entrerà nella testa?".

Intervistato da la Stampa, il filosofo ci ha tenuto a sottolineare: "Non sono contro il vaccino. Sono contro questo modo di imporlo, sono contro l'obbligo a chi ha più di 50 anni. Ci sarà un motivo se siamo l'unico Paese al mondo ad imporre l'obbligo vaccinale?". Quindi, ha puntato il dito contro "questa idolatria della terza dose".

Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.

No Vax spiazzati, Massimo Cacciari: “Vi spiego perché ho fatto la terza dose, anche se la legge è sbagliata”. Vera Mantengoli su La Repubblica il 12 gennaio 2022.  

Il filosofo fondatore di DuPre, la Commissione Dubbio e Precauzione, è contro "gli strumenti adottati per combattere il Covid" e la politica sanitaria dell'attuale governo e di quello passato per combattere il virus. Il servizio che il filosofo fa alla città è pungolare chi governa, sempre e dovunque, come fa il tafano con un purosangue, ridestandolo dal suo intorpidimento. È citando L'Apologia di Socrate di Platone che il filosofo Massimo Cacciari spiega la sua posizione nei confronti di uno Stato considerato ipocrita perché, di fatto, impone l'obbligo vaccinale senza assumersene le responsabilità.

Federico Novella per “La Verità” il 17 gennaio 2022.

Professor Massimo Cacciari, sottoponendosi alla terza dose di vaccino ha fatto arrabbiare tutti: i no vax la accusano di tradimento, i sì vax di ipocrisia.

«Cosa vuole che le dica. Nella mia vita sono abituato a rimanere stritolato tra opposte teste di c . Per me è sempre stato così: quando invocavo il federalismo, mi attaccavano sia i secessionisti che i centralisti. Soprattutto in periodi di emergenza, le posizioni tendono a irrigidirsi agli estremi, perdendo ragionevolezza. Ma ormai sono stravaccinato anche contro gli imbecilli». 

Si è paragonato a Socrate, che obbedisce alle leggi anche quando non le condivide.

«Se esiste una legge io obbedisco, pur avendo il diritto di criticarla. Certo, se la legge mi rendesse complice di una lesione di altrui libertà, avrei diritto di disobbedienza. Ma in questo caso il vaccino riguarda soltanto me, non vado in giro a obbligare gli altri o a fare il delatore. Mi vaccino e basta, per poter lavorare».

Per lavorare, o per proteggere se stesso e gli altri?

 «Mi sarei vaccinato comunque, su consiglio di autorevoli amici medici, considerando anche la mia età. Però la terza dose non me la sarei fatta, in assenza di obbligo». 

Dunque la terza dose l'ha fatta obtorto collo?

«L'ho fatta in obbedienza alla legge, altrimenti avrei dovuto cessare di lavorare». 

Hanno scritto che ha subito una metamorfosi, accettando il booster

«Ma quale metamorfosi? Ma quanto bisogna essere idioti per ostinarsi a non comprendere la mia posizione?». 

Ecco, approfittiamo per rispiegarla.

«Non faccio che ripeterlo dall'inizio della pandemia. Un conto è il vaccino, un altro le disposizioni varate dal governo per contrastare l'epidemia. Spieghiamola ancora più semplice: se c'è un codice della strada demenziale, non per questo sono contrario all'automobile». 

Cioè?

«Solo un povero pazzo che non sa leggere i numeri può pensare che il vaccino non sia servito. La mia polemica è contro la politica governativa, la più draconiana dell'Occidente, che ha puntato tutto solo sul vaccino fino ad arrivare all'idolatria. Senza dubbi, senza preoccupazioni. 

E senza effetti eclatanti in termini di contagi e decessi, perché è evidente che nel mondo non siamo i primi della classe. È ora che i nostri governanti lo ammettano».

Quindi non vede giustificazioni al recente inasprimento sanitario?

«Non ci troviamo in una situazione che giustifica questa stretta. Io penso invece che i numeri di cui disponiamo ci permettono di dire, cautamente ma tranquillamente, che possiamo superare questo stato d'emergenza. È tutto spiegato nei documenti della commissione "Dubbio e precauzione", con cui collaboro. Documenti sostenuti da dati e controdati, redatti da illustri scienziati come Bizzarri, Gismondi, Gandini. E questo mentre il governo, nell'ultima conferenza stampa, ha tirato fuori dei numeri falsi». 

Numeri falsi?

«Il governo ha affermato che il principale problema della pandemia sono i no vax. Dire che è tutta colpa dei non vaccinati è semplicemente una favola. Il vaccino è utile, ma dopo alcuni mesi perde efficacia. Dunque anche i trivaccinati possono contagiare ed essere contagiati. Basta avere qualche amico intorno per capirlo». 

Sta dicendo che il premier ha mentito sapendo di mentire?

«Gli hanno passato dei numeri sbagliati. Cifre che contraddicono persino quelle fornite dall'Istituto superiore di sanità». 

La situazione nelle scuole è sfuggita di mano?

«Uno scandalo vero. Siamo il Paese sulla faccia della terra che ha blindato le scuole per più tempo. E anche qui sono le buone scelte politiche a essere mancate. Il risultato è che, soprattutto tra i giovani, aumentano i ricoveri per disturbi psichiatrici e i tentativi di suicidio. Smettiamola di pensare che ci si ammali solo di Covid». 

È ancora contrario alla vaccinazione per i minorenni?

«Continuo a considerarla una cosa da pazzi, e non è possibile che il governo continui a tacere di fronte all'immensa letteratura scientifica internazionale che invita alla cautela».

Sostiene che esistano scienziati rispettabili e scienziati ostracizzati?

«Sta scoprendo l'acqua calda. Non è evidente che sui giornali e in tv circolano solo quelli che aderiscono alla narrazione governativa?».

Comminare contravvenzioni incrociando dati sanitari ed elenchi dell'agenzia delle entrate: è un assaggio di deriva cinese?

«Sì, è la mia preoccupazione. Temo si inneschi un meccanismo di emergenza permanente, anche facendo leva su questi sistemi di controllo, sorveglianza e punizione allestiti durante la pandemia». 

Quando finirà l'emergenza sanitaria?

«Vorrei capirlo anche io. Quando non ci sarà più un solo contagiato? Quando non ci sarà più una sola terapia intensiva occupata? Quando non ci saranno più morti? Di certo questa indeterminatezza è inammissibile». 

Lei ha scritto che sui nostri meccanismi democratici «bisogna prendere il toro per le corna»? Che vuol dire?

«Decidiamoci: ci troviamo davvero in un'emergenza perenne, terroristica, migratoria, economica, ecologica e adesso sanitaria? Pensiamo davvero che questa situazione renda impossibile adoperare i processi decisionali che abbiamo conosciuto nel Dopoguerra? E allora prendiamo il toro per le corna e discutiamone con serietà. Non in maniera abborracciata, dilettantesca, occasionale, come accade da vent' anni a questa parte». 

È favorevole dunque a una svolta presidenziale della Repubblica?

«Chiediamoci se non si debba riorganizzare Parlamento e governo. Chiediamoci se non occorra una figura presidenziale che diriga la baracca nel suo insieme, perché questo genere di democrazia rappresentativa non funziona più. Ma io questo lo ripeto da anni, l'ho scritto anche nei miei libri, che diamine».

Con Napolitano e Mattarella, nel caos del sistema partitico, i poteri presidenziali si sono espansi. Se Draghi sale al Colle avremo un presidenzialismo de facto, privo però di legittimazione elettorale?

«Il mio timore è che si proceda esattamente sulla via di un presidenzialismo non normato. Una riforma surrettizia, ancora una volta, che dovrebbe preoccupare tutti i democratici ragionanti». 

A chi va il voto di Cacciari per il Quirinale?

«Guardi, siamo in una pessima situazione. Prima o poi, oltre che di Covid, dovremo tornare a parlare anche di problemi economici, occupazionali, sociali, perché il 2022 sarà drammatico. Dunque, l'unica scelta patriottica in questo momento è evitare traumi ulteriori».

Come?

«Lasciando Draghi a Palazzo Chigi: è la figura che ci garantisce di più a livello economico-finanziario. Mi auguro resti al suo posto, per poi trovare un profilo decente per la presidenza della Repubblica. Altrimenti si aprirà una crisi che potrà portare alle elezioni anticipate. E sarebbe tragico per tutti». 

Visto che ha citato Socrate, questa narrazione omologante sarebbe un po' la cicuta dei nostri tempi?

«Io non credo ai complotti, ma mi chiedo da dove derivi l'unanimità dei media, che accetta questa gestione politica quasi senza discutere. Benevolmente credo che solo all'interno di questa nuvola emergenziale si possa continuare a barcamenarsi con governi politicamente e culturalmente raccogliticci. L'allarme continuo è l'unico collante».

Se la prende ancora quando le dicono: faccia il filosofo e non si impicci di politica?

«Certo che me la prendo. Il filosofo, come ogni cittadino, si occupa anche di politica. Punto e basta». 

Michele Serra ha scritto: «Cacciari dovrebbe capire dove vanno a posarsi le parole del filosofo quando piovono sulla città». Come dire: quando parla lei, è tutta acqua al mulino dei no vax.

«Si, peccato che adesso anche i no vax mi sparano addosso. Serra e quelli come lui si interroghino: avete consapevolezza dei danni culturali e psicologici di questa gestione sanitaria? Apprezzate una politica che va avanti a colpi di fiducie e decreti? Se questa eccezionalità si prolunga per una sola generazione, muterà la forma di governo e andrà a ramengo ogni forma democratica. Se ne rendono conto, o sono perfettamente ciechi? Come dicevano gli antichi, «Dio acceca coloro che vuol perdere». 

Mi pare di capire che non si sottoporrà a una quarta dose.

«Spero non pretendano che la gente continui a vaccinarsi con un prodotto che riduce i suoi effetti nel giro di 4 mesi. A meno che non vogliano fare del green pass una carta d'identità sanitaria: un giorno mi obbligheranno a vaccinarmi per il morbillo, la scarlattina e l'influenza. Chiedo a Serra e ai suoi amici: vi piace questa prospettiva? Un fantastico Stato che cura in modo capillare e invasivo: vi soddisfa davvero?».

Il Massimo della saggezza. Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 12 gennaio 2022.

Tra i suoi molti meriti, d’ora in avanti il filosofo Massimo Cacciari potrà annoverare anche quello di avere messo tutti d’accordo almeno su un punto: nel parlare male di lui. Da quando hanno saputo che aveva assunto la terza dose, i no vax hanno preso a dargli del traditore e addirittura del comico («Booster Keaton»), mentre i pro vax studiano le sue ultime mosse con la diffidenza che si riserva ai folgorati sulla via di Pregliasco. In realtà Cacciari non è né un voltagabbana né un convertito. In estate consigliava di vaccinarsi e, se ha fatto la terza dose, significa che se n’era già iniettate altre due. Poi non ha mai detto che i vaccini sono inutili, ma solo che non preservano dal contagio: il che, oltretutto, si sta rivelando vero. Eppure, a ben vedere, la sua disavventura è ricca di insegnamenti filosofici. Il primo è che sugli argomenti divisivi il cervello dell’opinione pubblica funziona come un interruttore - on/off, viva/abbasso - e rifiuta i distinguo e i ragionamenti, persino i più elementari. Il secondo è che, molto più di quello che dici, conta come lo dici, e con chi. Per giustificare la sua acquiescenza al vaccino, Cacciari si è paragonato al collega Socrate, il quale obbediva anche alle leggi che considerava folli. Però Socrate frequentava Platone, non Agamben. E sosteneva che il massimo della saggezza consiste nel sapere una cosa sola: di non sapere nulla. Mentre per il Massimo della saggezza a non sapere nulla sono sempre gli altri.

La metamorfosi di Cacciari: da eroe a schiavo della scienza. Massimiliano Parente il 13 Gennaio 2022 su Il Giornale.

Per settimane ha urlato alla dittatura sanitaria, poi si è vaccinato. Precipitando così la filosofia a bar sport.

Fenomenologia di Massimo Cacciari: che non è come quella che Umberto Eco scrisse su Mike Bongiorno, qualificandolo come everyman (in quanto perfino l'uomo medio si sentiva superiore a lui), anche perché Cacciari era il superman dell'ideologia della sinistra moderna e razionale, era il filosofo che si arrabbiava con tutti, guardandoli nei talk show dall'alto in basso, e un certo punto se ne andava perché nessuno era degno di interloquire con lui. Spesso era anche vero, però siccome gli ospiti li sai già prima cosa cavolo ci vai a fare nel tal talk show? In ogni caso Cacciari era il grande saggio del villaggio mediatico, se fossimo stati puffi lui sarebbe stato il Grande Puffo. Finché non è arrivata la pandemia. In realtà per un po' ha retto, ma poi, di colpo, ha deciso di diventare l'idolo dei No Vax, andando in televisione a citare dati a caso e mal interpretati, tipo che «in Giappone è vaccinato solo il 20%» (quando in realtà il 20% non è vaccinato), ma si sa anche che in televisione si può dire tutto e il contrario di tutto, nessuno ti corregge.

Solo che Cacciari, appunto, non è Enrico Montesano, non è Eleonora Brigliadori, non è Red Ronnie, è uno che pubblica libri di filosofia con Adelphi, e non deve neppure raccattare voti urlando che c'è la dittatura sanitaria per raccogliere le simpatie di quelli che si vestono da Auschwitz, e allora ti viene da chiederti perché? Chi glielo ha fatto fare? Io di interpretazioni ne ho due: la prima è che i filosofi oggettivamente nell'ultimo secolo e mezzo servono poco e niente, i nuovi filosofi sono gli scienziati, da Stephen Pinker a Richard Dawkins, da Daniel Dennett a Sam Harris, come spiega benissimo il genetista Edoardo Boncinelli nel suo libro La crisalide e la farfalla (la crisalide è la filosofia, la farfalla è la scienza).

Così in Italia le star televisive sono diventate i virologi (e chiunque parli di virologia), e siccome non si parla altro che di Covid (per forza, c'è una pandemia) il filosofo (ma in generale i cosiddetti intellettuali) si è sentito messo da parte, e ha deciso di sedersi dalla parte sbagliata siccome tutti gli altri posti erano occupati (citazione di Bertold Brecht). Quindi eccolo strepitare contro il green pass, contro l'obbligo vaccinale, contro gli scienziati, e una massa di scalmanati si sono messi a citare Cacciari, il nuovo maestro.

Nella seconda interpretazione invece Massimo ha agito sinceramente, ha parlato sinceramente, in buona fede come si dice (mai capito poi perché la buona fede sia un'attenuante, anche Hitler era in buona fede e lo sono probabilmente anche quelli che sfilano da deportati ebrei perché non vogliono vaccinarsi), tant'è che finalmente ha deciso di vaccinarsi, e non credo abbia preso questa decisione rileggendo Aristotele e Spinoza, deve essersi arreso all'evidenza, ha visto l'evidenza, si è rassegnato all'evidenza.

Ora per i No Vax è un traditore, un collaborazionista, un venduto a Big Pharma e ai poteri forti e a Bill Gates che ti mette i microchip, mentre per gli altri, per chi come noi ha seguito la scienza e basta, è uno che poteva cogliere un'occasione per riconciliare la filosofia con la scienza, anziché declassare ulteriormente la filosofia a discorso da bar e da talk show (ormai indistinguibili, ma almeno al bar si beve). Resta il fatto che nonostante abbia ammesso di essersi vaccinato, sostiene ancora di non tingersi barba e capelli, ma secondo me prima o poi ci dirà anche quello, scontentando pure i No Tinta. Massimiliano Parente

Come i media fabbricano i nemici della democrazia liberale. Cacciari e Mattei, apostoli della verità e della giustizia un tanto al chilo. Michele Prospero Il Riformista il 13 Gennaio 2022.  

Sta prendendo quota un movimento politico-culturale di stampo trumpiano anche in Italia e non è solo di destra. Nel cuore classico del costituzionalismo, il Presidente spodestato ha riesumato la vecchia coppia oppositiva legalità-legittimità imponendola come asse centrale nella vicenda politica. Contro le elezioni truccate e i pronunciamenti del potere giudiziario che hanno confermato la correttezza delle procedure elettorali, i repubblicani hanno rivendicato la legittimità sostanziale della ribellione violenta. Una fetta consistente di popolo giustifica anche azioni di rivolta e sabotaggio contro un potere descritto come abusivo che si maschera dietro una falsa idea di legalità.

Nel lessico giuridico occidentale la parola legittimazione, intesa come canone di fondazione etico-sostanziale che è superiore rispetto alla legalità meramente procedurale, “ha preso un suono arcaico”, come ha scritto un grande studioso dell’obbligo politico, Alessandro Passerin D’Entrèves. Questa obsolescenza del concetto di legittimazione si riscontrava perché, nelle democrazie consolidate e secolarizzate, sembrava archiviato ogni schematismo binario (procedura-sostanza, regole-valori, legge-Verità) che invece risorge inopinatamente oltreoceano sino a rendere calda e imprevedibile la politica americana di oggi. Nel dibattito pubblico italiano sono molteplici i contestatori della “tecnocrazia” che rispolverano nozioni scivolose come quella di legittimazione contrapposta alle dimensioni procedurali.

Di recente il rettore di una università pubblica ha imputato al Presidente Mattarella, protagonista di “eventi non del tutto limpidi”, la responsabilità di aver favorito l’ingresso in una “repubblica delle banane” retta “da una oligarchia ricca e corrotta”. Comprensibile, dinanzi al vertice dello Stato che accarezza un cupo “paesaggio caraibico”, il passo ulteriore del novello Concetto Marchesi: esortare i giovani alla rivolta. Un articolo del rettore si intitola “a scuola riprendono le occupazioni: finalmente!”. Sfidando il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, egli dice, senza giri di parole, di “sperare che i nostri ragazzi imparino presto a capire la differenza tra illegale e ingiusto: anche, perché no, occupando scuole e università”. Il rettore respinge la cultura della stretta legalità propria di chi ricopre un incarico istituzionale (“Lo confesso: sono reo di lesa maestà”) perché si sente protetto da un’etica superiore che lo autorizza a invocare le legittime occupazioni e a censurare il traditore inquilino del Quirinale (“Quale Costituzione ha difeso Mattarella in questi sette anni?”). Al lessico del cattolico che se la prende con i giornalisti “genuflessi coi turiboli”, il Magnifico aggiunge anche il sottocodice di un gergo giovanilistico (“il capo della comunicazione del Quirinale si è scomodato a blastarmi”).

Intervenendo “scherzosamente su Twitter” contro il messaggio di Mattarella, il rettore rivendica di agire in nome di una superiore verità. Con un “fiume di retorica dolciastra e autocelebrativa”, Mattarella sa solo nascondere il vero, farsi complice del brutto dispotismo liberista. Tutto ciò “succede nelle finte democrazie, dove la propaganda prende il posto della verità”. Apostolo della Verità e della Giustizia, il Magnifico Rettore combatte contro la menzogna, l’errore, la stringente legalità che nasconde la trasfigurazione della repubblica. Il teologo che si è radicalizzato lancia il grido di ribellione per svegliare “il popolo docile” incapace di respingere una finta democrazia in cui si sperimenta “la stretta securitaria” e la “totale inutilità” del rito elettorale. Il rettore si rivolge contro il Quirinale perché ha la certezza di essere con il suo cinguettio la sola voce autentica della Verità. Il suo spirito moraleggiante conduce alla riprovazione totale di una classe dirigente che mostra una “sconcertante incapacità di leggere il movimento della storia”. Ecco.

Il Magnifico è trascinato verso la Verità da un irrefrenabile moto provvidenziale e deve subire la “gogna dei giornaloni” perché con 140 caratteri è in grado di decifrare lui solo il movimento della storia. Quando il conflitto politico si svolge secondo lo schema di una legittimazione che ritiene di incarnare un momento eticamente superiore alla sfera della legalità si scivola facilmente in una declinazione bellica del politico. Non è un caso che, nel quadro della sua teologia politica, sia stato Carl Schmitt a riflettere sul contrasto esplosivo legalità-legittimità per smontare le procedure competitive proprie di uno Stato liberaldemocratico che concede ai diversi partiti pari opportunità e quindi equivalenti chance competitive giocabili in un libero confronto sorretto dal principio di maggioranza. La visione di Schmitt puntava a irridere il canone della legalità, delle procedure, della regolare competizione per tenere aperta la via del politico inteso come criterio irriducibile alle regole del gioco. Contro le aporie del principio giuridico di legalità, Schmitt evocava la latenza di un diritto di resistenza verso ogni vana pretesa di spegnere il conflitto entro una procedura competitiva che risolve le controversie con il conteggio aritmetico delle maggioranze.

Un suo allievo anche lui con giovanili simpatie naziste, Ernst Forsthoff, ha scritto che nel complesso dopo la caduta dei regimi democratici e la loro rinascita nel secondo dopoguerra “la problematica, espressa dal rapporto fra legalità e legittimità, è attualmente obsoleta”. Quelli che Bobbio chiamava “gli universali procedurali della democrazia” hanno sorretto in Occidente un grande conflitto di classi, di ideologie che è stato tutto giocato entro il circuito formale della legalità e nel rispetto della eguaglianza di chance. I nipotini di Schmitt come Agamben e Cacciari respingono le categorie kelseniane che sono alla base delle liberaldemocrazie post-belliche e ritengono ormai vicino uno stato di eccezione nel quale il principio di legalità salta completamente e nel vuoto di sostrato ogni gioco deve trovare la propria autolegittimazione. In un mondo nel quale il fatto non esiste, tutto si dissolve in un gioco nichilistico privo di fondamento. Nessuna procedura è più vincolante e niente vincola all’infuori della volontà di potenza di ciascun giocatore, che aspira a dare ordine ai fatti con i ritrovati di una volatile decisione sovrana.

Attorno alla categoria di tecnocrazia e di dittatura tecno-sanitaria sorgono immagini deformanti e inquietanti. Le riprese di La7 mostrano un professore pieno di dubbi (anche se non proprio cartesiani) che senza precauzioni cammina scalzo per le sudicie strade di Torino (un vero intellettuale con i piedi per terra). Le telecamere riprendono il ribelle docente in canottiera e mutandoni (un biogiurista coi fiocchi) che sta per immergersi, con la sua nuda corporeità, tra le acque del dio Po e nuotare contro i liquami verdastri in difesa del bene comune. Con un bel gesto di coraggio civile, questo chierico che non tradisce apostrofa il Presidente della Repubblica come un “bandito”. La magistratura, troppo presa dalle scrupolose indagini sugli scontrini delle mutande acquistate dai consiglieri leghisti, non osa intervenire per sindacare attorno alle parole di un civilista in mutande, ma con regolare scontrino, che aggredisce i simboli della statualità intesa come dispositivo di oppressione nelle mani di tre “banditi” raffigurati alla sbarra.

Il movimento di Cacciari e Mattei invoca la resistenza e lo fa con metafore tecnicamente eversive che, secondo un copione collaudato, denunciano la fine della vera legalità (ciò giustifica la “mobilitazione popolare per il ripristino immediato dello stato di diritto”), stigmatizzano la presenza di un potere illegittimo e abusivo («il diritto di resistenza dei Cittadini che deriva dal dovere stesso di difesa delle istituzioni”), convocano il vero popolo omogeneo tradito dalle élite sleali. “La resistenza individuale e collettiva agli atti dei poteri pubblici che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione – si legge nell’appello per la manifestazione -, è diritto e dovere di ogni cittadino”. Lo schema è quello della teologia politica, della resistenza in nome della legittimità. Cacciari è la firma di punta della Stampa e dell’Espresso, è la voce più altisonante del partito di “Otto e mezzo” ed è sempre di casa a “Carta Bianca”.

Ora guida un movimento di piazza che con suggestioni bellicose propone addirittura la nascita del Comitato di Liberazione Nazionale (“Esercita il tuo dovere di resistenza civile a difesa della Costituzione! Viva le piazze costituenti del comitato di liberazione nazionale»). Dinanzi al grottesco, e anche tragico, attacco al cuore della Repubblica, sfidata in nome della carica liberatrice di inquietanti “piazze costituenti”, i vari Damilano, Gruber, Berlinguer, Giannini non hanno proprio nulla da dire su come i media fabbricano i nemici della democrazia liberale? Michele Prospero

Paolo Becchi, Vittorio Feltri: chi ha altre idee sui vaccini non va linciato. Vittorio Feltri su Libero Quotidiano il 14 gennaio 2022.

Premessa. Sono amico da anni di Paolo Becchi, professore universitario a Genova, e non vorrei che questo mio articolo venisse interpretato come un tentativo per difendere una persona cui sono affezionato. Ciò detto, racconto un episodio a mio giudizio degno di nota. Becchi ha scritto un tweet in cui sospetta che David Sassoli, ex presidente del Parlamento europeo, sia morto a causa del rimedio anticovid. Secondo me la sua tesi è sbagliata perché non è il vaccino che uccide bensì il virus. A parte questa verità inconfutabile, dati scientifici alla mano, bisogna ricordare che il povero Sassoli era ammalato ai polmoni da tempo, il che fa pensare che la sua morte sia dipesa da una patologia che non c'entra nulla con la pandemia. 

Ma non è questo il punto. Infatti Becchi, abbia torto o ragione, non ha detto una bestemmia ma si è limitato a esprimere una opinione giusta o sbagliata che sia, comunque lecita. Non si capisce per quale motivo egli sia stato "fucilato" dai media per aver espresso una ipotesi probabilmente errata ma comunque degna di essere ascoltata senza che nessuno si stracci le vesti. Noi di Libero siamo tutti favorevoli all'antidoto e pensiamo che esso sia l'unica difesa dalla grave malattia. Ma non sopportiamo che coloro che siano di un'altra idea debbano essere linciati quali delinquenti. Siamo convinti che ciascuno abbia il diritto di esprimersi come gli garba. Ecco perché troviamo assurdo che qualcuno si arroghi il diritto di chiedere il licenziamento dall'Accademia di Becchi per il sol fatto di aver espresso una interpretazione diversa rispetto al decesso doloroso di Sassoli. 

Dobbiamo smetterla di attaccare in modo sgangherato coloro che esprimono pensieri diversi dai nostri in riferimento alla tragica malattia che minaccia tutti noi. Io sono da sempre persuaso che l'iniezione famosa sia salvifica, nel senso che essa ci protegga dalle gravi conseguenze dall'infezione, ma sono altresì convinto di non avere la verità in tasca. Pertanto non pretendiamo che gente come Becchi, persona perbene, qualora esprima concetti diversi dai nostri debba essere linciata. Becchi va rispettato, altro che licenziato dall'Università. Dica ciò che gli garba come facciamo noi tifosi scatenati del vaccino. Sassoli è morto e ciò ci dispiace ma non sappiamo chi o che cosa l'abbia ucciso. Solo l'autopsia potrebbe fornirci una spiegazione più attendibile di quella data da Becchi e da chiunque di noi.

Storia. Vaccini: chi sono stati i primi no vax? Da Focus.it. Ieri come oggi, i vaccini si portano dietro un fardello di polemiche: la prima volta contro le pratiche vaccinali anti vaiolo, nel XVIII secolo.

Oggi non ci vacciniamo contro il vaiolo perché non è più necessario: la malattia è stata dichiarata eradicata dall'Oms nel 1980, grazie alla diffusione del vaccino in tutto il mondo. Ma nei secoli, il virus si era già propagato in Europa almeno dal XVI secolo, la malattia è stato un flagello: si calcola centinaia di milioni di vittime solo nel XX secolo, un numero cinque volte superiore ai morti della Seconda guerra mondiale.

PIONIERI NO VAX. Per portare a compimento "l'annientamento della più tremenda piaga della specie umana", come la definì Edward Jenner (1749-1823), il medico che mise a punto il vaccino, non bastò diffondere il rimedio, ma fu necessario vincere le resistenze della propaganda antivaccinista, che prese piede in tutta Europa (Italia compresa), tra '800 e '900, in seguito al graduale obbligo della profilassi vaccinale (1888, in Italia). Il movimento, appellandosi alla rivendicazione della libertà di scelta e all'etica della responsabilità individuale, limitata dallo Stato in nome della salute pubblica, era in grado di mobilitare le masse, soprattutto nelle grandi città, suscitando un'ondata di proteste. Ma facciamo un passo indietro, perché è la variolizzazione (pratica empirica, antenata della vaccinazione contro il vaiolo), che rappresenta la preistoria dell'esitazione vaccinale dei nostri giorni, anticipandone i motivi: scetticismo, diffidenza, dubbi sull'efficacia e la sicurezza.

ILLUMINISMO CONTRO OSCURANTISMO. Nel Settecento il dibattito era tra gli "illuministi", che ritenevano la pratica una difesa contro la cieca ignoranza e tra gli "oscurantisti", che si opponevano a quella che consideravano un'offesa contro il creatore. In contrapposizione all'oscurantismo religioso, in Italia si consolidò un movimento nei circoli aristocratici e alto borghesi, con il supporto di intellettuali come Giuseppe Parini, Cesare Beccaria e Pietro Verri, per sostenere i medici che praticavano la variolizzazione. A onor del vero, però, i no vax dell'epoca non avevano tutti i torti: la pratica d'inserire con un'incisione sulla pelle di un paziente sano il pus prelevato dalle lesioni di un malato, in uso fin dal X secolo in Cina, se andava bene provocava una forma lieve di vaiolo (perché la via di trasmissione più aggressiva del microbo è quella polmonare), ma poteva anche essere molto pericolosa: diffondeva il contagio usando un virus umano vivo, attenuato in modo rudimentale, e in alcuni casi portava a una forma virulenta della malattia che conduceva alla morte.

GENIALE INTUIZIONE. Solo l'invenzione di un vaccino effettivamente sicuro, scoperto da un medico di campagna inglese, Edward Jenner, che nel 1796 estrasse da una donna del materiale dalle lesioni da vaiolo bovino e lo iniettò in un bambino di otto anni rendendolo immune, rappresentò il primo passo verso la liberazione dal flagello del vaiolo. Nel 1853 in Inghilterra fu emesso il Vaccination act che prevedeva l'obbligo di vaccinare contro il vaiolo tutti i bambini nati dopo il 1 agosto 1853. Alla fine del XVIII secolo, a Londra, il vaiolo era responsabile del 9% di tutte le morti, nella seconda metà del XIX la percentuale si era ridotta all'1%.

RISCHIO-BENEFICIO. Nell'Ottocento, l'entusiasmo delle élites politico culturali e la graduale accettazione in ambito religioso della pratica vaccinale non corrispose a una altrettanto buona accoglienza da parte del popolo. La "componente animale" infatti era vista con sospetto: la paura più diffusa era che producesse effetti collaterali, o predisponesse ad altre malattie, insomma che i rischi fossero superiori ai benefici. In effetti, anche in questo caso, i timori non erano del tutto infondati. «I rischi, ostinatamente negati dai vaccinatori e dai responsabili di strutture e commissioni vacciniche pubbliche, esistevano, per quanto la pratica fosse infinitamente meno rischiosa della variolizzazione.

Il "pus vaioloso", prima che si arrivasse alla standardizzazione della produzione del vaccino, non sempre era di buona qualità per varie ragioni (in primo luogo conservazione e trasporto), e poteva essere contaminato da batteri. Col tempo, si moltiplicarono gli eventi avversi, come la trasmissione della sifilide nel passaggio della linfa vaccinica di braccio in braccio», spiega Eugenia Tognotti, docente di Storia della medicina all'Università di Sassari. Intanto gradualmente veniva allo scoperto un altro grosso limite: «il materiale immunizzante perdeva progressivamente la sua efficacia e non proteggeva dal vaiolo per tutta la vita, come "dogmaticamente" aveva sostenuto Jenner, quindi bisognava rivaccinarsi», conclude Tognotti.

... PER STERMINARE I BAMBINI... Alla fine del secolo, nonostante i progressi raggiunti sulla sicurezza dal trattamento immunizzante,  nacque la prima Lega italiana antivaccinazione fondata da Carlo Rauta, professore di Materia medica all'Università di Perugia. Il "pioniere dei no vax", nel 1898, nei ricorsi presentati al ministro dell'Interno contestava l'obbligatorietà della vaccinazione antivaiolosa.

Durante la primavera del 1917, in concomitanza con la diffusione di una nuova epidemia, mentre già infuriavano le proteste contro la guerra e la mancanza di generi alimentari, da nord a sud si diffuse una diceria complottista: il vaccino conteneva del veleno ed era un mezzo usato dal governo per sterminare i bambini, in modo da ridurre i sussidi alimentari alle famiglie degli uomini chiamati al fronte. Ovunque le madri appartenenti ai ceti più bassi ritirarono i figli da scuole e asili per non doverli rivaccinare. I tumulti era talmente diffusi che nel febbraio 1918 il ministro degli Interni Vittorio Emanuele Orlando diede ordine ai prefetti di svolgere "un'azione attivissima e illuminata per combattere l'insana propaganda".

ALLEANZA TRA SCIENZA E POLITICA. Dopo il riproporsi di vari focolai in tutto il mondo, nel 1966, l'Oms fu costretta a un ennesimo appello a tutti gli Stati a compiere uno sforzo per eradicare la malattia: fu l'unico caso di collaborazione tra Usa e Urss, durante la Guerra fredda. I due Stati mandarono oltre 140 milioni di dosi l'anno per ciascuno, più consulenti e attrezzature in venti Stati dell'Africa Occidentale. E nel giro di tre anni e mezzo la malattia fu debellata in questa zona del mondo. L'obbligo della vaccinazione antivaiolosa rimase ancora effettivo per un decennio, finché nel 1977, in Italia, fu presentato un disegno di legge sulla "sospensione della vaccinazione antivaiolosa", abolita definitivamente anche dall'Oms nel 1981.

Questo articolo è tratto da "Pionieri no vax", di Paola Panigas, pubblicato su Focus Storia 183 (gennaio 2022).

24 dicembre 2021 Paola Panigas

Camilla Mozzetti per “il Messaggero” il 9 gennaio 2022.  

Chi non conosce, non sa. E tolto il paniere dei reticenti consapevoli, per vocazione e posizioni ideologiche, la maggior parte dei non vaccinati - no vax in senso estensivo - riguarda le donne, più in generale gli stranieri, coloro che non hanno una casa o un lavoro stabile, con un grado di istruzione basso. 

È questa la fotografia che il Dep, il Dipartimento di epidemiologia del Servizio sanitario regionale del Lazio (Asl Roma 1) ha scattato per tracciare l'identikit dei non vaccinati. Dall'analisi emerge un dato inequivocabile: «Esistono differenze socioeconomiche nella vaccinazione per Covid-19 - si legge nell'analisi - che è possibile si traducano in un aumento delle disuguaglianze già riscontrate nell'incidenza e negli esiti della malattia».

L'indagine è stata realizzata censendo lo stato vaccinale degli over 35 residenti nel Lazio (più di 3 milioni di persone). Il primo dato è che al 22 dicembre scorso il 10,3% del totale target non aveva effettuato alcun ciclo vaccinale e la percentuale dei non vaccinati «è più alta negli stranieri, in particolare tra coloro nati nei Paesi ad alta pressione migratoria, nei più sani (cioè tra coloro che non sono affetti da patologie o malattie croniche ndr), nei meno istruiti, nei residenti in sezioni di censimento più deprivate (e dunque in contesti disagevoli o disagiati) e in chi non ha avuto l'infezione da Sars-Cov-2». Al 22 dicembre scorso il 10,6% delle donne residenti nel Lazio (più di 1,7 milioni) non aveva iniziato il percorso vaccinale.

Dei residenti totali con più di 35 anni il 25,4% di coloro che non avevano fatto neanche una dose è nato all'estero, il 13% non è affetto da patologie croniche e nel 22,4% dei casi ha un titolo di studio medio basso. In sostanza «a parità di genere ed età, le persone con basso titolo di studio hanno il 40% in più di rischio di non essere vaccinati rispetto ai laureati - si legge nel rapporto - i residenti in sezioni di censimento più deprivate hanno un rischio maggiore del 30% di non essere immunizzati rispetto a coloro che appartengono ad una posizione socioeconomica più avvantaggiata».

Anche per l'indice di mortalità le persone con un basso livello di istruzione e in condizioni di disagio sociale hanno pagato il prezzo più alto già nella prima ondata del Covid. «Da settembre a dicembre 2020» hanno avuto «un rischio di infezione del 25% più elevato e un rischio di morire a 30 giorni dall'infezione più alto del 43%». 

Soltanto ieri l'assessore alla Sanità Alessio D'Amato ha commentato: «Il vaccino è uno strumento potente di riduzione delle diseguaglianze sociali: gratuito, accessibile a tutti, è scientificamente dimostrato che riduce le complicanze della malattia. Chi è contro i vaccini alimenta le distanze sociali soprattutto nei confronti di chi è più svantaggiato».

Chi sono i no vax: i due volti di chi rifiuta il vaccino in Italia. L'esperta: "Bisogna distinguere i no vax dagli esitanti vaccinali". L'infettivologo Bassetti: "Con un terzo di italiani non vaccinati rischiamo". L'inchiesta multimediale. Arnaldo Liguori su Il Giorno il 26 luglio 2021.    

Il termine no vax identifica una persona contraria alla vaccinazione.  

Non tutti quelli che non vogliono vaccinarsi sono no-vax, e questa è la nuova puntata di Dieci. 

A giugno, secondo uno studio dell'Università degli Studi di Milan, il 19 per cento degli italiani non aveva intenzione di vaccinarsi. Questo è il principale ostacolo per il raggiungimento dell'immunità di gregge al 90 per cento raccomandata dagli esperti a seguito della diffusione della variante Delta. Di questi però, solo il 6 per cento rappresenta lo zoccolo duro di chi non farebbe il vaccino neanche se obbligato. 

«È importante distinguere i no-vax dagli esitanti vaccinali», spiega Annalaura Carducci, dell'Osservatorio comunicazione sanitaria dell'Università di Pisa. «I no-vax credono che i vaccini facciano del male o che siano un complotto: la loro è una convinzione così radicata da essere una fede. Ma si tratta di un gruppo di persone molto piccolo che fa tanto rumore». Quello che veramente riduce d'adesione alle vaccinazioni, chiarisce Carducci, «è l'esitazione vaccinale, cioè quella situazione in cui una persona è piena di dubbi e incertezze motivate dal fatto che decidere sulla propria salute è una cosa che vorrebbe fare con grande convinzione. E se questa manca, la persona ritarda, aspetta, rifiuta. In realtà, sta confessando una necessità di maggiore informazione e conoscenza: è su di loro che bisogna intervenire. Un no-vax, invece, è difficilissimo da convincere.»

Oggi, persuadere gli esitanti è una battaglia sempre più urgente. «Su 120 persone ricoverate negli ultimi mesi, 117 sono persone non vaccinate», racconta Matteo Bassetti, direttore del reparto di Malattie Infettive dell'ospedale San Martino di Genova. «I contagi – spiega – stanno di nuovo crescendo a ritmi altissimi. Non possiamo permetterci di arrivare a settembre con un terzo degli italiani che non ha fatto neanche una dose. Le cose si metterebbero male, di nuovo».

Ma come si manifesta l’opposizione ai vaccini? La questione, per come posta dai sostenitori delle fonti anti-vacciniste, viene declinata in due ambiti diversi: da una parte quello scientifico, dove il dibattito è orientato a sottolineare o esasperare i danni potenzialmente provocati dai vaccini, mettere in dubbio la loro efficacia, oppure, nei casi più estremi, delineare connessioni causali tra vaccini e autismo o morti infantili.

Dall’altra parte c'è l’ambito politico, che si esprime nella critica nei confronti dell’obbligatorietà della vaccinazione oppure nel presentare legami viziosi tra rappresentanti politici e industrie farmaceutiche, con discorsi spesso riconducibili a quelli complottisti.

Nel dibattito pubblico questi due versanti si collegano a un movimento sociale piuttosto sfaccettato, le cui varie correnti hanno assunto nel tempo diversi gradi di radicalismo, adottando dei nomi e dei caratteri differenti: coloro che in generale sostengono la pericolosità o l’inefficacia dei vaccini per la salute, e per questo sono contrari all’obbligo imposto dalla legge, si definiscono “No Vax”. Diversamente, coloro che meno radicalmente sostengono che la scelta di sottoporsi alle vaccinazioni debba essere delegata alla coscienza individuale, e che non necessariamente ritengono i vaccini dannosi, si definiscono “Free Vax”.

Ovviamente questi due modi di approcciare la questione, sebbene si esprimano spesso con terminologie e discorsi molto diversi, sono intimamente legati: una maggiore sfiducia nell’efficacia e nella sicurezza dei vaccini può tradursi in una maggiore ostilità nei confronti degli obblighi legislativi. A danno di tutti. 

Abbiamo provato a contattare dieci comitati regionali del Coordinamento del movimento italiano per la libertà vaccinale (Comilva). Nessuno ci ha concesso un'intervista. Di seguito la risposta del comitato piemontese: «come abbiamo già risposto ad altri suoi colleghi del cosiddetto mainstream, riteniamo che la linea editoriale del suo giornale non sia compatibile con una corretta informazione». La mancaza di dialogo di Comilva contraddice il loro stesso manifesto, dove si legge che il movimento «promuove l’apertura e la trasparenza, nonché un dialogo continuo con i propri interlocutori, tra cui i media».

Chi sono i no vax: dai complottisti ai medici obiettori di coscienza. Il no ai vaccini o all’obbligo di vaccinazione riunisce tendenze diverse, dai teorici delle «congiure» di Big Pharma alla rivendicazioni di libertà costituzionali. Abbiamo provato a esplorarlo. Alberto Magnani su ilsole24ore.com il 7 luglio 2021.

La pagina Facebook dell’Ufficio stampa di Comilva, sigla di Coordinamento del Movimento Italiano per la Libertà di Vaccinazione, è seguita da oltre 5mila utenti. Gli ultimi due post, risalenti a giugno, promuovono un libro sulla «libertà di (non) vaccinarsi» del giurista Alessandro Attilio Negroni e un’altra pubblicazione, a firma del candidato a sindaco di Bologna Andrea Tosatto: «The Covid show. Dalla pandemia alla ristrutturazione socio-economica globale». La prefazione è di Sara Cunial, l’ex deputata del Movimento Cinque Stelle diventata nota per le sue battaglie contro l’obbligo di vaccini e i «Cts da salotto».

Il mondo dei cosiddetti no vax, i movimenti ostili a vaccini e vaccinazioni, viene identificato soprattutto con le sue derive più radicali e complottiste, dalle ipotesi di disegni nascosti per il controllo della popolazione a quelle su una regia sotterranea dei gruppi farmaceutici. Ma il fenomeno include, anche, gruppi o singoli che non hanno nessuna intenzione di inquadrarsi come anti-vaccinisti e motivano il proprio no ai farmaci contro il Covidcon appelli alla «libertà di scelta» o all’obiezione di coscienza. Gli esempi vanno dal muro di migliaia di operatori sanitari contro l’obbligo vaccinale alla titubanza di fasce della popolazione che non si ritengono documentate per affrontare la somministrazione. Per arrivare a testi, come quello citato sopra, sulla facoltà di non vaccinarsi: non un manifesto no vax ma un’analisi giuridica per ragionare «da una prospettiva liberale» sul diritto a ricevere o meno il farmaco.

Il «complotto dei Big Pharma» e la contrarietà ideologica

Anche se non assorbono tutto il movimento, le tesi complottiste si sono conquistate una certa fama nell’opposizione ai vaccini per il Covid-19, a volte sostituendosi o confluendo nel cosiddetto «negazionismo» sull’esistenza del virus in sé e sulle manovre che lo avrebbero generato. Gli argomenti utilizzati contro la vaccinazione anti-Covid, se non i vaccini tout-court, riecheggiano quelli che hanno alimentato fin dalle origini l’avversione ai farmaci: dai dubbi sulla efficacia e la validazione «scientifica» dei vaccini alla convinzione che la «verità» sugli effetti negativi venga nascosta o soppressa dall’establishment medico e politico, per arrivare al macro-filone degli interessi economici coltivati sotterraneamente da alcune industrie. In questo caso i sospetti non possono che virare sui cosiddetti Big Pharma, i colossi della farmaceutica, accusati di aver favorito la pandemia per lucrare sulla produzione di vaccini e, in futuro, di altri farmaci a larga diffusione.

La teoria finisce spesso per sovrapporsi con altri scenari che possono sembrare più stravaganti, ma godono a tutt’oggi di una certa popolarità. È il caso del presunto coinvolgimento di magnati come il miliardario di origini ungheresi George Soros o del fondatore di Microsoft Bill Gates, accusato di aver ordito l’intera pandemia per impiantare dei micro-chip attraverso l’iniezione di vaccini. L’ipotesi del complotto di Gates si sovrappone a un’altra tesi in voga ai tempi della prima ondata del virus, quella del 5G. In origine si sosteneva che le reti di quinta generazione propagassero il virus, in un secondo momento si è diffusa la bufala che proprio i «chip via vaccino» ideati da Gates servissero al controllo della popolazione via 5G.

Il no dei sanitari e le battaglie sindacali (e politiche)

Una questione più sfumata, e controversa, è quella del rifiuto dell’obbligo vaccinale e non del vaccino in sé. Il caso più eclatante è stato il rifiuto opposto nelle varie regioni di da una minoranza di operatori sanitari, vincolati dal decreto 44 del 9 aprile 2021 a sottoporsi al vaccino come requisito «essenziale» per esercitare la propria professione. L’imposizione dell’obbligo, e le sanzioni minacciate a chi lo infrange, ha scatenato una battaglia legale che incassa adesioni in crescita fra medici, infermieri, operatori sanitari, ma anche farmacisti, veterinari, psicologi e altre figure contemplate dal testo dello scorso aprile. A oggi circa 2.500 professionisti, difesi dall’avvocato Daniele Granara, hanno presentato ricorso a vari Tar fra Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto. «E i numeri si stanno ampliando», sottolinea Granara. Il bacino non manca, se si considera che sono oltre 42mila i professionisti che non hanno ancora ricevuto una prima dose.

Il ricorso, spiega, è una «battaglia di civiltà» contro la «illegittimità costituzionale» di imporre la vaccinazioni come requisito stesso per poter lavorare. L’obbligo, si legge nel ricorso presentato al Tar del Piemonte, è «riferito ad un vaccino di cui non è garantita né la sicurezza né l'efficacia, essendo la comunità scientifica unanime nel ritenere insufficiente, sia dal punto di vista oggettivo sia dal punto di vista temporale, la sperimentazione eseguita». La tesi, insomma, è che gli operatori siano costretti a farsi iniettare un prodotto che non offre dati definitivi né sul suo grado di sicurezza né su quello di efficacia, con possibili ricadute sulla propria salute. La rivendicazione, si legge nel ricorso, si allarga però anche alla «libertà di scelta della cura e sulla libertà della ricerca scientifica sancite rispettivamente dagli articoli 2, 9, comma 1, 32 e 33 della Costituzione., diritti inviolabili e parte integrante del patrimonio costituzionale comune dei paesi dell'Unione Europea». In nessun paese Ue «a differenza dell'Italia, siffatto obbligo è stato imposto» si legge sempre nel testo.

L’obbligo vaccinale è stato bocciato anche da alcune sigle sindacali, con un approccio più orientato ai rapporti di lavoro e al «ricatto salariale» che sarebbe implicito. È l’espressione utilizzata dalla Confederazione unitaria di base (Cub) per manifestare la sua vicinanza agli operatori che rischierebbero «discriminazione» perché non si sono sottoposti al vaccino. «Nessuna discriminazione e nessun ricatto devono essere fatti ai lavoratori e lavoratrici in base a scelte in questo momento particolarmente difficili - si legge in una nota pubblicata a maggio 2021 - Non è giusto che chi non accede all'obbligo vaccinale sia privato del posto di lavoro e del reddito necessario al mantenimento di sé e della sua famiglia». Il rifiuto per principio dell’obbligo vaccinale è sposato anche da forze politiche che tendono spesso, ma non solo, alla destra sovranista. La leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, si è schierata apertamente contro l’obbligo vaccinale, sottolineando che «non è previsto dalla nostra Costituzione» e che «l’Italia non è un regime totalitario».

Gli «esitanti» dal vaccino e il caso degli over 60

L’atteggiamento dei ricorrenti al Tar ricorda la cosiddetta vaccine hesitancy , «l’esitazione vaccinale»: la tendenza a rinviare o evitare del tutto il momento della somministrazione, più per timore che per avversione preconcetta al vaccino o ai «disegni» più o meno realistici che avrebbero condotto alla sua diffusione. Il fenomeno, pregresso alla crisi pandemica, è tornato alla ribalta con l’avvento del Covid e della campagna di vaccinazione avviata nella Ue a fine dicembre 2020. In paesi come la Francia, dove la resistenza alle somministrazioni è più radicata che altrove, alcuni sondaggi avvertivano già a gennaio dell’anno in corso che appena la metà della popolazione avrebbe accettato di farsi inoculare il farmaco.

La campagna di somministrazioni è poi ingranata a buon ritmo, ma c’è uno zoccolo duro che rimane sulla sua posizione. Esattamente come in Italia, dove la tendenza ad esitare sul vaccino è più diffusa della media in una delle fasce anagrafiche più critiche: gli over 60, ad oggi in pesante ritardo rispetto agli obiettivi di copertura. A inizio luglio 2021 risulta coperta appena la metà dei cittadini nella fascia 60-70 anni, per l’equivalente di almeno altri 3,5 milioni di persone che non hanno completato il ciclo vaccinale.

Una ricerca pubblicata a fine aprile 2021 da Iqvia, un fornitore di dati sui servizi sanitari, ha confermato la minore propensione alla vaccinazione di chi ha superato i 60 anni. In particolare, secondo l’indagine riportata anche dal Sole 24 Ore, si registra una quota del 27% di intervistati divisi fra chi si oppone sicuramente al vaccino (13%) e chi «probabilmente» ne farà a meno (14%), contro il 13% degli under 25 (anche se, un po’ a sorpresa, il tasso risale al 27% fra i giovani adulti del blocco 25-34 anni).

I motivi della ritrosia? In realtà non sono noti o «quantificati», al di là di ipotesi che vanno da un minor accesso alle informazioni a problemi tecnici con le prenotazioni. Il Commissario straordinario all’emergenza,Francesco Paolo Figliuolo, ha sottolineato l’importanza di «intercettare» chi manifesta più difficoltà nell’uso del web per le prenotazioni e può trovarsi escludo dal canale più rapido di accesso alle prenotazioni. Ma l’ostacolo di fondo, sempre a quanto traspare dalla ricerca, può essere imputato sempre alla cosiddetta esitazione vaccinale. La riluttanza è guidata da motivi come preoccupazione (39%), incertezza (16%), rabbia e insofferenza (7%), ma la scarsa conoscenza dei vaccini resta un fattore dirimente per il 33% dei casi. Nel blocco degli over 65, la quota di chi ritiene di possedere informazioni sufficienti o scarse si aggira sul 37% del totale. In quello dei 25-34 anni non si va oltre il 25%.

Influencer, medici e politici: ecco chi sono i cattivi maestri della galassia No Covid. Matteo Pucciarelli su La Repubblica il 31 agosto 2021. Dagli sproloqui su social di "Er Faina" a quelli in tv di Fusaro e Bagnai fino al libro "Eresia" in cima alle classifiche, le pulsioni negazioniste e complottiste hanno una comune matrice di estrema destra. Il fiume carsico del complottismo italiano è tornato con prepotenza a galla: la battaglia contro il Green pass è il nuovo punto d'approdo dopo aver negato per mesi l'esistenza stessa del virus per come lo conosciamo ("è una semplice influenza!"), poi aver contestato l'obbligo di utilizzo delle mascherine, le chiusure degli esercizi commerciali e infine la bontà del vaccino. Ma il grosso della storia del frastagliato mondo che denuncia la "dittatura sanitaria" arriva da ancora più lontano: ci sono analogie e spesso perfette sovrapposizioni tra gli attuali contestatori e le galassie no euro; con chi ha denunciato la fantomatica teoria gender; oppure il segretissimo eppure famoso (e inesistente) Piano Kalergi, leggenda veicolata per contrastare l'immigrazione; ancora più a monte c'è l'antisemitismo dei Protocolli dei Savi di Sion (altro falso storico), il piano di dominazione del mondo da parte degli ebrei. La sostanza è che, gratta gratta, dietro a queste pulsioni antisistema ci sono suggestioni provenienti storicamente dall'estrema destra e dalle quali in questi anni hanno ampiamente attinto in primis le forze sovraniste (Lega e Fratelli d'Italia) e in passato i 5 Stelle. Oggi però la simbologia utilizzata è fatta apposta per disorientare e celare chi tira le fila, così i "discriminati" dal Green pass arrivano a rappresentarsi vittime al pari degli ebrei sotto il nazifascismo; mentre la "dittatura sanitaria" diventa una nuova forma di nazismo. L'importante è giocare con le paure e soffiare sul fuoco del malcontento, evocando l'esistenza di un "Sistema" globalista composto da pochi manovratori che occultano indicibili verità al mondo. Il complottismo si sviluppa utilizzando soprattutto canali non ufficiali: il web e i social media, ma soprattutto - specie dopo la stretta dell'algoritmo Facebook verso questo tipo di contenuti - Telegram, dove il controllo è praticamente nullo e la capacità di propagazione altissima. Ma le idee "politicamente scorrette", nonostante amino descriversi osteggiate e messe ai margini del mainstream, sono da tempo diventate di dominio pubblico e oggetto di dibattito politico al massimo livello. I campioncini della galassia vanno regolarmente in tv e in radio, dove godono di ottimi spazi: lo psichiatra e criminologo Alessandro Meluzzi, il "filosofo" Diego Fusaro, il professor Paolo Becchi, i parlamentari leghisti Claudio Borghi, Armando Siri e Alberto Bagnai, quelli europei sempre del Carroccio Antonio Rinaldi e Francesca Donato, il senatore ex 5 Stelle e già direttore della Padania Gianluigi Paragone, l'attore Enrico Montesano, c'è il destro ma autoqualificatosi "libero pensatore" Damiano "Er Faina", diventato famoso per gli sproloqui da bar nel suo abitacolo, cha dialoga amabilmente su Twich ("te do der "tu" Marco") con il fieramente stalinista - amatissimo a destra, sarà per le pose da duro - Marco Rizzo. E poi, ben organizzati, interi partiti classicamente neofascisti come Casapound e Forza Nuova. Più o meno tutti su natura del virus ed efficacia del vaccino citano come un oracolo il premio Nobel per la medicina Luc Montagnier e ogni tre per due tirano in mezzo George Orwell e il suo celebre 1984. L'infettivologo Matteo Bassetti era osannato perché iscritto al partito degli esperti critici sulle chiusure, ora che ha preso posizione per il vaccino è trattato alla stregua di un traditore e il suo numero di cellulare rimbalza di chat in chat, "chiamatelo, fatelo impazzire!". Traditore è anche e soprattutto il M5S, che pure in passato sulle vaccinazioni, da Beppe Grillo a Paola Taverna (oltre che sull'Europa e sull'immigrazione), ha per anni portato avanti una politica di dubbi quando non di aperta contestazione. Si spiegano così la furia dei no vax che nei giorni scorsi hanno preso di mira un gazebo degli attivisti a Milano e le minacce a Luigi Di Maio. L'incrocio tra le aspirazioni antisistema e complottarde e il Movimento è incarnato da Claudio Messora, che fu capo della comunicazione in Europa dei 5 Stelle e che oggi col suo sito (e in parte tv) Byoblu fa da cassa di risonanza a chiunque voglia liquidare una qualsiasi posizione ufficiale. Una minoranza, si dirà; ma di sicuro rumorosa e capace di fare opinione, forse addirittura egemonia, tanto che sia Matteo Salvini che Giorgia Meloni fanno a gara a chi gli dà più di gomito. Se invece ci si limita alle perplessità attorno al lasciapassare e in parte alla bontà del vaccino, anche a sinistra non mancano le contrarietà. Nel sindacalismo di base (ad esempio nei Cub) e in pezzi di Cgil ad esempio la necessità del Green pass per andare in mensa, a scuola o in fabbrica, laddove richiesto, è diventata materia di trattativa e lo stesso Maurizio Landini ha parlato di uno scarico di responsabilità del governo sui lavoratori. Il collettivo di scrittori Wu Ming, che pure sulla confutazione delle teorie di complotto è impegnato da anni, sul proprio sito Giap pone questioni in materia di controllo degli individui e "narrazioni tossiche" dell'emergenza. Ma in tempi di tifo social e contrapposizioni feroci, ragionare è rimasto un lusso per pochi.

Prima eroi poi untori: non facciamo fare agli insegnanti la stessa fine dei medici. Lisa Pendezza il 13/01/2022 su Notizie.it.

La riapertura delle scuole in presenza è fondamentale, ma la teoria non basta: ci vogliono quelle "mani in pasta" che possono avere solo gli insegnanti che ogni giorno hanno a che fare con i problemi della scuola. 

In Italia mettiamo sempre il carro davanti ai buoi. Ma quando si tratta della scuola – questa volta come tutte le volte precedenti e, con grande probabilità, quelle successive – i buoi neanche ci sono e sul carro tutti litigano e non riescono neppure a decidere che direzione il mezzo debba prendere.

C’è chi urla allo scandalo per gli studenti usati come cavie e sogna la DAD a oltranza: fosse per lui potrebbero tranquillamente restare sul divano per sempre (magari lanciando verifiche e compiti ai prof direttamente con l’amato lanciafiamme), peccato che a dargli contro siano stati il TAR e gli stessi genitori e insegnanti. Chi ha deciso di allungare le vacanze natalizie per altri tre giorni, per guadagnare un margine – seppur risicato – di autonomia rispetto agli ordini che vengono da Roma.

Chi dà un colpo al cerchio e uno alla botte dicendo che capisce “chi dice che due settimane di attesa avrebbero permesso forse di scollinare il picco e raffreddare la situazione, scongiurando il rischio di riaprire ora per poi magari dover ricorrere alla DAD in maniera massiccia” più avanti, ma allo stesso tempo ribadendo “il fatto che la scuola in presenza è una priorità“.

E Draghi, dall’alto del suo sedile da cocchiere, quando ormai tutti sono tornati sui banchi, dà un colpo alle redini, compare davanti alla stampa e ribadisce che a scuola si torna, rigorosamente in presenza, nelle classi con le finestre aperte nonostante il clima non propriamente mite. 

Sia chiaro, la riapertura delle scuole in presenza è fondamentale. Innanzitutto perché, come ricordato dal presidente del Consiglio, il fatto che i ragazzi non si contagino sui banchi non impedisce al virus di raggiungerli quando sono in pizzeria con gli amici, ad allenarsi in palestra, sui mezzi pubblici, alle feste. Ma soprattutto perché il contrario avrebbe lanciato per l’ennesima volta il segnale che l’istruzione viene alla fine della lunga lista di priorità del governo.

Che si può tenere aperto tutto, a (sacrosanti) colpi di vaccini e tamponi, green pass e super green pass, tutto, tranne le discoteche a Capodanno (ovvietà?) e le scuole.

Ma bisogna anche ammettere che la buona teoria e le buone intenzioni non bastano. Il ministro Bianchi è un ottimo teorico, ma qui ci vuole la pratica, quelle mani in pasta che possono avere solo gli insegnanti che ogni giorno hanno a che fare con i problemi della scuola.

Non basta più nascondersi dietro alla scusa dello stato di emergenza (scusa che ha smesso di reggere nel 2020: sono ormai quasi due anni che conviviamo con questo virus). È vero che talvolta mancano gli insegnanti e il resto del personale scolastico, spesso mancano anche gli studenti (abbiamo chiesto al Ministero dell’Istruzione dati più precisi circa la condizione delle scuole italiane ma non abbiamo ottenuto risposta, ma questa è la situazione che racconta a Notizie.it un’insegnante della Campania), ma è anche vero che, ancora una volta, ci si ricorda della scuola solo quando gli studenti sono già davanti ai cancelli.

E così come a settembre 2021 mancavano banchi (a rotelle e non), insegnanti e presidi, oggi, a gennaio 2022, capita che manchino le mascherine negli istituti. Come se al Ministero ci si fosse dimenticati di un particolare: per legge tutti i bambini e i docenti hanno diritto alle mascherine chirurgiche (una al giorno) e gli insegnanti con in classe casi di bambini esentati dall’utilizzo della mascherina (per esempio i DVA, ovvero i bambini disabili) devono addirittura ricevere una FFP2. Che però, al momento, spesso manca.

Ai presidi manca invece il tempo di fare il loro lavoro – dirigere le scuole – presi come sono a rincorrere circolari su circolari, decreti e norme che cambiano costantemente e troppo velocemente per permettere di vedere, dietro alla loro emanazione, un percorso lineare e ben pensato.

Mancano i controlli sui trasporti, che fanno parte di quell’ecosistema che permette alla scuola di funzionare. I ragazzi arrivano in classe a bordo di treni, bus e metro che definire assembramento è un eufemismo, dove vaccinati e tamponati si mescolano a no vax per nulla spaventati dalle (irrisorie) multe imposte dal governo Draghi. Lunedì 10 gennaio, quando le nuove norme sul super green pass sono entrate in vigore, a Roma sono state effettuate solo poche centinaia di controlli. Un nonnulla.

Mancano gli spazi per permettere il distanziamento, così capita che i ragazzi debbano stare fino alle 15 senza mangiare, con ore e ore di lezioni alle spalle, perché non possono abbassare la mascherina neppure per il pranzo.

Manca poi totalmente il senso della realtà a chi propone di fare prima lezione in presenza, per gli alunni sani, e poi a distanza, per quelli in quarantena, nella stessa giornata. Forse dimenticando che gli insegnanti sono sì, a loro modo, eroi ma anche la loro giornata è formata da misere 24 ore. Al pari dei medici e degli infermieri che abbiamo tanto osannato durante la prima ondata e poi criticato, additato come untori, condannato a turni massacranti e pericoli che potevano essere evitati. Magari qualcuno ancora se li ricorda. Non facciamo di nuovo lo stesso errore.

Francesco Grignetti per “La Stampa” il 31 agosto 2021. È un crescendo di odio e di intolleranza, quella che tracima dalle chat dei No Vax. Con il passare delle settimane, si è alzato infatti un muro di incomprensione e di reciproca delegittimazione tra chi invita a vaccinarsi per salvarsi dal Covid e chi ci vede un complotto e addirittura un genocidio. E si rischia il cortocircuito. Su Telegram, un social di messaggistica, c'è chi invita a compilare liste di proscrizione dei pro-Vax, che siano politici, medici, o giornalisti. Si cercano indirizzi di casa. E c'è un invito abbastanza esplicito alla violenza. Una forma di squadrismo aggiornata ai tempi della pandemia. Come accadde con il sindaco di Pesaro, Matteo Ricci, Pd, a fine luglio. Quella volta gli si presentarono sotto casa in cinquecento, a ululare, guidati da tal Umberto Carriera, leader del movimento Io Apro. Il Viminale se l'aspettava. Perché finché ci si è confrontati sui massimi sistemi, le manifestazioni sono state accese, ma in fondo inoffensive. Certo, sono molte settimane che ad ogni sabato c'è un corteo in tante città. Ma salvo casi sporadici, non ci sono stati problemi di ordine pubblico, salvo il caso di Roma, dove l'ultradestra ha tentato di cavalcare quella piazza, ma poi - fanno notare fonti del Viminale - «solo una piccola parte dei presenti ha seguito i leader». Ora però si rischia un'escalation perché il Green Pass mette quelli che rifiutano il vaccino di fronte alla prospettiva di non poter salire su un aereo o su un treno a lunga percorrenza. Così come per il personale sanitario c'è la sospensione dietro l'angolo. E lo stesso è per il personale scolastico. Qui gli animi si stanno accendendo sul serio. Il Green Pass diventa un discrimine. E i No Vax si sentono discriminati. «È un movimento assolutamente fluido - spiegano al Viminale - dove confluiscono diverse anime. Ci sono quelli arrabbiati per i guai economici dovuti alla pandemia. Ci sono quelli che ne fanno una questione di libertà, un assoluto che secondo loro viene su tutto e su tutti, reagiscono male a ogni tipo di prescrizione e non si rendono nemmeno conto che esiste un confine tra il lecito e l'illecito. Poi ci sono quelli terrorizzati in buona fede dal vaccino. Arrivando a quelli che sono convinti che gli verrà inoculato un microchip. E infine c'è l'ultradestra che cerca spazio». Una prova del nove sarà domani con le manifestazioni annunciate in quasi tutt' Italia per bloccare le stazioni ferroviarie. Il ministero dell'Interno comunica che «assicurerà come sempre la libertà di manifestare pacificamente nel rispetto delle regole, ma non saranno ammessi atti di violenza e minacce». Ovviamente se le manifestazioni degenerassero in tentativi di blocco di un servizio pubblico, che è un reato grave, la polizia non starà a guardare. Cresce l'attenzione anche per i toni sempre più minacciosi verso i giornalisti. Il ministro dell'Interno, Luciana Lamorgese, riunirà nei prossimi giorni il Centro di Coordinamento per le attività di monitoraggio sul fenomeno degli atti intimidatori nei confronti dei giornalisti. «Attenzione però - avvertono le stesse fonti del Viminale - a non confondere i proclami sanguinari che girano sul web con la realtà. Abbiamo già visto in passato come, a fronte di parole incendiarie, tutto sia poi stato molto più soft». Lo stesso dicasi per la promessa contestazione al ministro della Salute, Roberto Speranza, che il due settembre è atteso a Padova, a una festa del suo partito Articolo Uno. Anche per il paventato blocco dei treni, c'è da ricordare che lo stesso movimento No Vax qualche tempo fa aveva promesso l'interruzione delle autostrade. Poi non è successo niente, un po' perché erano quattro gatti, un po' per la nutrita presenza di agenti. Certo, in prospettiva la radicalizzazione del movimento spaventa. È appena malcelato il disegno di alcuni di replicare le violenze dei gilet gialli anche da noi.

Filippo Facci per “Libero quotidiano” il 31 agosto 2021. Il giro dell'oca è finito, il censimento è temporaneamente interrotto. All'inizio - sbagliando - c'eravamo fatti l'idea superficiale che i No Vax fossero mediamente dei coglioni o degli ignoranti, dopodiché abbiamo passato l'intera estate - noi e altri media - a cercar di capirne la fenomenologia, l'entomatologia, una catalogazione della stratificazione No Vax, una psicoanalisi dei No Vax attraverso il loro albero genealogico, ci siamo messi a compenetrare le dinamiche della loro informazione e disinformazione, dividere le sette di cattolici fatalisti dai poverelli analfabeti, distinguere gli ex fascisti dagli ex comunisti dai neo ambientalisti che equiparano il lasciapassare verde alla stella gialla degli ebrei, individuare le principali piattaforme social italiane e internazionali dove sguazzano osteopati e psichiatri olistici e cattolici antipapisti e banali truffatori, scoprire che anche Leone XII nell'Ottocento si opponeva contro l'antivaiolo, abbiamo passato in rassegna i followers di Bill Gates, George Soros, Alessandro Iannuzzi e persino Enrico Montesano, abbiamo appreso di gente morta stecchita solo dopo aver intravisto una siringa per televisione, abbiamo scoperto che tra i favorevoli al vaccino prevalgono i laureati e lettori di quotidiani e che, tra i contrari, il 30 per cento si informa sui social (in particolare in bolle di condivisione, in pratica se la raccontano tra loro) e abbiamo stanato politici che sul vaccino facevano i pesci in barile, e abbiamo analizzato la percentuale di attendisti che aspettano la profilassi obbligatoria per aerei e treni. Non per questo, nei ritagli di tempo, abbiamo smesso di notare che il ritorno alla normalità post-lockdown e le vaccinazioni hanno viaggiato in coppia, che tra i vaccinati anche anziani la percentuale di morti è calata incredibilmente, che ci sono vaccini che hanno perduto qualsiasi aura provvisoria e sperimentale (benché legata all'emergenziale velocità con cui sono stati creati) perché ormai sono stati autorizzati da enti che senza protocolli di certificazioni non ammetterebbero neppure che l'acqua è bagnata: no, non abbiamo smesso. Ma abbiamo ugualmente cercato di capirli, i No Vax: abbiamo notato che sondaggi più approfonditi hanno equiparato il loro numero tra i Repubblicani statunitensi e i Democratici, tra la destra e la sinistra italiane (non si può dire lo stesso per i rispettivi leader), abbiamo scoperto che esiste una percentuale di banali attendisti che aspetta solo che l'iniezione possa fargliela il medico di fiducia, che c'è gente che non si è ancora vaccinata solo perché non sa a chi intanto lasciare i figli o ha un orario di lavoro poco flessibile o con permessi non pagati (vale anche per altre cure) e che negli Usa si vaccinano più i bianchi dei neri, che gli incentivi in soldi e persino le lotterie per i vaccinati paiono funzionare, che persino assumere un dj per movimentare i centri di profilassi può ridestare la svogliatezza dei giovani, insomma, abbiamo imparato che ci sono tante ragioni di rifiuto del vaccino quante sono le persone che non si vaccinano, e che, in linea di massima, eravamo partiti con il piede giusto: i No Vax sono mediamente dei coglioni o degli ignoranti. Ma c'è una novità, e stiamo imparando anche questa: che il problema non è più solo socio-sanitario ma anche e prettamente di ordine pubblico. Perché ci sono anche No Vax violenti come spesso sanno essere i fanatici, e non si tratta solo di casi sporadici. Ci sono giornalisti menati, ristoratori aggrediti, blocchi stradali, manifestazioni non autorizzate, isterie di gruppo, insomma, c'è gente a cui fare il vaccino verrebbe anche più semplice perché intanto dovrebbe indossare un paio di manette (se non la camicia di forza). Forse è il caso di prenderne atto. Forse potremmo anche interrompere temporaneamente il nostro doveroso censimento dei No Vax. Per poi riprenderlo, naturalmente: facendone anche tanta sociologia. Prima però li arrestiamo.

Gli errori che creano le fazioni. Claudio Brachino il 2 Settembre 2021 su Il Giornale. Io vax, tu no vax. Alla fine anche su un tema cruciale per la vita, delle persone e della società, siamo finiti al solito come i Guelfi e i Ghibellini. Io vax, tu no vax. Alla fine anche su un tema cruciale per la vita, delle persone e della società, siamo finiti al solito come i Guelfi e i Ghibellini. Divisi, in lotta, culturale e materiale, una pericolosa guerra civile del vaccino la cui posta in gioco è il futuro. Ma chi sono i no vax? Se togliamo le frange estreme, chi soffia sul fuoco, i rancorosi e i pazzi, dietro alle proteste e alle minacce, c'è un sottostrato sociale che va indagato. Ci sono milioni di italiani che non ne vogliono sapere di vaccinarsi. Sono una minoranza rispetto al 70% di over 12 che l'ha fatto, ma ci sono. Riprendiamo le immagini retoriche dell'arrivo della prima dose, la luce in fondo al tunnel e mettiamole accanto a quelle di questo fine agosto. Sono passati appena otto mesi. Cosa non ha funzionato nella narrazione? La scienza in primis, che non ha saputo trasmettere all'opinione pubblica la potenza delle proprie scoperte. Il tempo breve anziché un successo è diventato un fattore di diffidenza, troppi annunci contraddittori e una frettolosa spiegazione sui cosiddetti effetti collaterali. La statistica non basta a tranquillizzare. Poi anche in campo medico abbondano gli eretici. Il mio barista mostra il cellulare aperto su un canale con specialisti che raccontano di danni pazzeschi. Serve i clienti e fa propaganda contro. Secondo tema, la comunicazione. In questi giorni dito puntato contro i cattivi maestri. Ce ne sono certo in tv, sui giornali, in libreria dominano i saggi negazionisti. Ma il vero problema è la non mediazione del web, la sua forza disinformativa globale. Non solo fake, ma news profilate con gli algoritmi sulle angosce di ognuno. Basta rivedere il documentario The social dilemma o avere in casa un adolescente non conformista. Vai nel suo mondo e trovi l'orrore. Più clicchi e più vieni profilato. I dubbi diventano in fretta convinzioni ferree e poi rabbia. Ultima, ma non ultima, la politica. Non si può giocare sul consenso. Le posizioni devono essere chiare e responsabili. Né serve estendere il green pass come moral suasion. Alla fine, molto presto, sarà obbligata la politica a discutere sull'obbligo vaccinale, con buona pace dei teorici della libertà rimasti in silenzio con i lockdown e i coprifuoco. Claudio Brachino

Diritti in emergenza. Il ragionamentino di chi comprime le libertà e le tratta come cosa da poco. Iuri Maria Prado su L'Inkiesta il 10 Gennaio 2022.

In troppi considerano con sufficienza il sacrificio che, a causa delle restrizioni pandemiche, viene imposto alle persone sul piano giuridico. Le misure sono necessarie, ma è altrettanto importante ricordare la portata delle rinunce che si chiedono ai cittadini.

Se si trattasse solo di quelli che ritengono giustificato, necessario, inevitabile il sacrificio di una quota di elementari diritti e libertà costituzionali perché così, purtroppo, comanda la grave eccezionalità della situazione, sarebbe un conto.

Ma non si tratta solo di quelli, e a una somma ben più forte ammonta il conto di quelli per cui il sacrificio non c’è nemmeno, non esiste, perché dopotutto, come ci ha insegnato un illustre giornale democratico, «Niente ha intaccato la libertà di parola e di pensiero degli italiani».

Che gli italiani abbiano ancora il diritto di pensare costituisce, forse, una riserva di libertà perlomeno insufficiente, e questo dovranno pur riconoscerlo anche i più ferrei giustificazionisti del regime emergenziale.

I quali, riconoscendolo, non dovrebbero rinunciare nemmeno a uno dei loro convincimenti: basterebbe che dessero il segno di capire che per altri, per molti altri, la rinuncia a quelle libertà e a quei diritti non è una rinuncia; che i provvedimenti che li limitano, in realtà, per essi non limitano nulla; che un conto è un’iniziativa di limitazione di un diritto perché si ritiene che sia necessaria, ma avvertendone la gravità, e un altro conto è intraprenderla con leggiadra noncuranza perché dopotutto “che sarà mai?…”.

Sbaglierò, ma a me pare che il conforto di comunicazione (non voglio dire di propaganda) che assiste i provvedimenti restrittivi non accudisca i diritti “necessariamente” malandati, cioè dovutamente compressi a causa dell’emergenza, e piuttosto li svilisce al rango di questioncelle trascurabili. Non li tratta come cose perdute da recuperare, ma come cose a perdere, di cui si può fare tranquillamente a meno.

E, come ripeto, il ragionamentino non destituisce nulla della legittimità, direi anche della ragionevolezza, con cui possono essere reclamate restrizioni anche gravissime della vita di ognuno.

Ma il pericolo che siano inflitte e risentite senza troppa preoccupazione, perché la vita continua e abbiamo ancora il diritto di pensare, ecco, forse non è avvertito con la dovuta urgenza. I cani non soffrivano troppo quando bisognava fargli fare i bisogni entro i duecento metri da casa.

Marco Angelucci per il “Corriere della Sera” il 9 gennaio 2022.

«Non mi vaccinerò mai, piuttosto mangio l'erba del prato e le bacche del bosco». Monica Trettel è un'attrice piuttosto nota in Alto Adige, da quasi 30 anni calca i palcoscenici di mezza Italia con i suoi spettacoli. Da metà febbraio, basta. Ieri anche lei è scesa in piazza nel capoluogo altoatesino per dire no all'obbligo vaccinale.

Perché non è vaccinata?

«Sono contro l'obbligo perché viola diritti umani sanciti dal trattato di Oviedo, dal codice di Norimberga e anche dalla nostra Costituzione. Ho preso il Covid nella primissima ondata, ho fatto 45 giorni di quarantena. Ho gli anticorpi, perché devo vaccinarmi? Ho avuto una madre malata di cuore, non disprezzo la medicina ma vivo in mezzo alla natura, ho partorito in casa, sono cresciuta a Fiè allo Sciliar con frau Klauser che è stata la primissima omeopata ancora negli anni Settanta. Ci curiamo anche considerando altre medicine».

Non teme che non vaccinandosi perderà il lavoro?

«Ho già avuto problemi perché ho partecipato a manifestazioni contro il green pass e mi hanno annullato degli spettacoli perché non ero allineata. Avendo più di 50 anni adesso sono tra quelli che non potranno più lavorare. 

Ma non posso salire su un palco e fare il mio lavoro sapendo che il pubblico è discriminato, che solo i vaccinati hanno il diritto. Per me la discriminazione è un crimine intollerabile; piuttosto muoio di fame, mangio l'erba del prato. Ormai noi no vax siamo diventati come i neri americani negli anni Cinquanta, non abbiamo il diritto di salire sull'autobus o di entrare al bar». 

I suoi familiari e amici cosa dicono della sua scelta?

«Anche mia figlia non è vaccinata e da lunedì non potrà andare a scuola perché non può salire sul bus e quindi stiamo pensando di organizzare una scuola in casa. Ormai i no vax sono il nemico da eliminare, ho perso tante amicizie. Ci hanno appiccicato questa etichetta che è sbagliata. Siamo free vax, bisogna lasciare la libertà di scelta. Come è sempre stato».

Però il vaccino protegge dai sintomi gravi...

«Le parole sono importanti e in questo i media hanno una responsabilità enorme. Questo non è un vaccino, è una sperimentazione. Ha effetti che durano quattro mesi, viene da pensare che dietro ci sia qualcos' altro. Che l'obiettivo non sia tutelare la salute dei cittadini. Ma ormai hanno abituato gli italiani a digerire di tutto, stiamo entrando in una dittatura. Le Camere non lavorano più, sulla salute dei cittadini si decide per decreto. Per questo scendiamo in piazza: se i sudtirolesi esistono è per la loro sana e giusta resistenza. Altrimenti sarebbero stati spazzati via dalla storia».

Giovanni Sallusti per "Libero Quotidiano" il 23 gennaio 2022.

Il Covid è una livella, nel senso che riduce tutte le variegate opinioni su di sé al cozzo con la realtà. Empirico, semplicistico, brutale. Le idee del dottor Roberto Marescotti di Copparo (provincia di Ferrara) purtroppo sono state falsificate (noi diciamo così, non erano maledette alla radice, ma non hanno retto al cozzo, la falsificazione nel senso di Sir Karl Popper) nel peggiore dei modi. Il dottor Marescotti era in aperta polemica con l'approccio "ufficiale" alla pandemia, scientifico e governativo. Era stato tra gli animatori di spicco dei "No Paura Day", ritrovi della galassia No Vax e No Green Pass, equivoca e frastagliata, ma oggettivamente unita nella protesta contro l'arma principale per tornare alla vita, il siero sfornato dalle dannate multinazionali.

Sferzava sui social virologi ed epidemiologici definendoli "pseudoscienziati", e certo alcuni non hanno dato una gran prova di sé, ma l'attacco generalizzante alla categoria era un altro classico della retorica antivaccinista. Aveva persino pubblicato da poco un libro, "Un mostro chiamato virus", sorta di fantasy distopico-pandemico, dove di fatto tentava la confutazione di molte delle evidenze scientifiche alla base della gestione del Covid.

Il dottor Marescotti, purtroppo, è morto nel reparto di terapia intensiva dell'ospedale Sant' Anna di Cona, ucciso dal Covid. Un mostro, sì, ma non come costrutto ideologico o puntello di una qualche improbabile dittatura sanitaria, un mostro più banale, basico, microscopico, 150 nanometri che possono essere ancora letali, specie se si insegue una qualche scorciatoia "ufficiosa" per sconfiggerlo. Non c'è concordanza, tra le fonti locali, sulla questione se Marescotti si fosse vaccinato oppure no, ma non sta qui il punto. Qui non c'è nessuna diatriba personalistica da imbastire, tantomeno post-mortem, siam mica come le bestie no vax che hanno fatto strame della scomparsa di David Sassoli arrivando ad attribuirla al siero. Davanti alla persona e alla sua tragedia arrivata a compimento, ci sono solo il mutismo e il rispetto.

Di fronte alle teorie no, però, almeno questo lo dobbiamo, agli altri 143mila morti circa seminati dal virus (e il "circa" ha tutta l'ineluttabilità non rimuovibile dell'orrore, che nessuna piazza può sbianchettare). A noi non interessa che decisione prese il dottor Marescotti su di sé, il dottor Marescotti va solo pianto. Non possiamo però ancora rinunciare all'abc del mestiere, non possiamo prescindere dagli elementi di cronaca basilari, e non annotare come purtroppo le teorie, le posizioni liberamente offerte al dibattito pubblico e rivendicate dal dottor Marescotti, non abbiano certo contribuito a stemperare altre tragedie, in altre terapie intensive. 

O a sgravarle, le terapie intensive. L'unico "No Paura Day", va detto anche oggi e anche per onorare con rispetto autentico, non parolaio, la sua memoria, va in scena ogni giorno nelle centinaia di hub vaccinali del Paese, dove medici e infermieri "ufficiali", applicando protocolli "ufficiali", inserendosi nel piano di una campagna vaccinale "ufficiale" coordinata dal commissario "ufficiale" Figliuolo, iniettano un siero prodotto dalle "ufficialissime" Big Pharma. Che ogni giorno ci leva un po' di paura sanitaria, economica, collettiva, riavvicina le nostre società alle società libere.

Perché aveva ragione il dottor Marescotti, quando su Facebook ammoniva che "la prima cura per il paziente è il medico, la prima medicina che gli prescrive è la speranza". Ma la speranza, per non degenerare in chimera, deve infine riconnettere le teorie alla resa fattuale, deve innescare miglioramenti materiali e misurabili, deve reggere il famoso cozzo con la realtà. La terra ti sia lieve, dottore.

No-vax, Alessandro Sallusti: salutisti o viziosi, ecco le facce ipocrite del popolo che rifiuta il siero. Alessandro Sallusti su Libero Quotidiano il 20 gennaio 2022.

Del popolo dei no vax si è parlato fino alla noia ma forse vale la pena di spenderci ancora qualche parola. In generale lo dividerei in due categorie, i no vax ideologici e i no vax timorosi perché «nessuno sa con esattezza cosa può succedere tra dieci anni nel corpo di chi si vaccina» e perché «di queste multinazionali che fanno miliardi sulla nostra pelle non c'è da fidarsi». Contro i primi non c'è nulla da fare, sarebbe come provare a convincere un terrappiattista che la terra è rotonda o un negazionista che i campi di concentramento nazisti sono esistiti. I secondi sono una categoria meno rigida ma altrettanto bizzarra composta da diverse sottospecie. Per esempio c'è il no vax timoroso accanito fumatore, quello che trenta Marlboro al giorno tra dieci anni per lui non saranno un problema e che quindi finanzia volentieri con dieci euro al dì le multinazionali del tabacco.

Poi c'è il no vax timoroso per il quale fare uso abituale di cocaina o altre droghe non danneggia il cuore e il cervello e tra dieci anni sarà in forma perfetta. Poi c'è il no vax timoroso che in forma vuole esserlo ora con tre sedute settimanali di palestra tosta supportata da pilloloni di integratori ed estrogeni made in China importati illegalmente dal suo trainer di fiducia che nessuno sa che razza di chimica contengano. Non può mancare il no vax timoroso ma gaudente, quello che si abbuffa da mattina a sera per lo più di cibo spazzatura ingolfando il fegato di coloranti, conservanti e schifezze varie che il colesterolo ci sguazza e che tra dieci anni poi si vedrà.

E infine c'è la sottospecie più subdola, il no vax timoroso e salutista: non fuma, non si droga, non beve, si corica presto di sera perché dormire fa bene, sesso solo secondo le tabelle del medico oltre ovviamente ai canonici diecimila passi al giorno. Lui di chimica, anche se certificata, proprio non ne vuole sapere. Beato lui, dopo una noiosa vita di privazioni morirà sano. 

Alessandro Sallusti per “Libero quotidiano” il 9 gennaio 2022.

Ho incontrato casualmente un medico no vax e ho capito: di lì non si passa, non c'è modo di fare ragionare neppure chi la ragione scientifica l'ha studiata sui libri. A ogni mia obiezione ha risposto come avviene nelle sette: la verità ufficiale è falsa, i numeri sfornati ogni giorno da ospedali e osservatori istituzionali sono taroccati, e alla mia domanda "a pro di chi questa gigantesca truffa?" la risposta è stata disarmante: "Di chi sta costruendo un nuovo ordine mondiale, da tempo l'avevano studiato e oggi sono riusciti a metterlo in pratica, tu e Draghi siete inconsapevoli marionette nelle loro mani".

Discorso chiuso, almeno fino a quando - ma forse non servirà neppure quello - un bel mattino il mio amico cosa che ovviamente non gli auguro - si sentirà mancare l'aria nei polmoni e per respirare dovrà chiedere aiuto al "vecchio ordine mondiale" a suo dire complice dei complottisti. 

Lo accoglieremo volentieri nel mondo reale ma ieri ho capito che l'invito a non spaventare e provare a convincere i no vax è un inutile sforzo. Vanno abbandonati a se stessi, semmai spinti con la prospettiva di perdere lavoro e reddito, per concentrare le forze - lo ripetiamo volentieri per l'ennesima volta- sui diritti dei vaccinati. Chi vaccina i figli ha il diritto di trovare scuole aperte pronte ad accoglierli, chi si vaccina ha diritto di andare allo stadio eccetera eccetera.

A noi vaccinati la malattia non deve fare paura, conosco decine persone che la stanno attraversando senza alcuna complicazione se non la seccatura di rimanere a casa per qualche giorno come del resto è sempre accaduto a chi si è preso l'influenza. Ieri il Sole24Ore ha pubblicato uno studio che dimostra come la situazione sarebbe assolutamente sotto controllo se tutti gli italiani fossero vaccinati.

Certo, secondo il mio amico medico anche Confindustria potrebbe fare parte del complotto per costruire il "nuovo ordine mondiale" ma a me sarebbe sufficiente che il governo riportasse un po' di ordine nel mondo del lavoro e nelle nostre vite private. In altre parole che non introduca nuove restrizioni per chi dal Covid non ha nulla da temere, detto che nessuno di noi può aspirare all'immortalità.

  In Onda, Alessandro Sallusti e i "no vax criminali": "C'è chi non si vaccina per paura e poi ci sono i terrappiattisti". Libero Quotidiano il 31 agosto 2021. Il titolo di prima pagina di Libero di martedì, "Criminali no vax", ha scatenato un pandemonio nella galassia (fuori controllo) di chi rifiuta di vaccinarsi contro il Coronavirus o di esibire il Green pass. Una protesta "sempre legittima", spiega il direttore Alessandro Sallusti ospite di In Onda su La7, tranne quando questa diventa violenza cieca. Quello che purtroppo sta accadendo in questi giorni. Dagli insulti sui social (Libero e i suoi giornalisti se ne sono presi a tonnellate) si passa alle minacce ai politici (nel mirino delle chat di Telegram ci sono anche Luigi Di Maio, Matteo Salvini e Giorgia Meloni) per finire poi con le botte, vere. L'infettivologo Matteo Bassetti, colpevole di essere pro-vaccino come praticamente tutto il mondo della scienza, è finito sotto scorta. Una giornalista di Rainews e uno di Repubblica sono stati malmenati in piazza per la sola "colpa" di fare delle domande ai manifestanti. E l'allerta è talmente alta (tra poche ore proveranno a bloccare la circolazione dei treni) dar far parlare al Viminale di "rischio eversivo". Proprio a questo faceva riferimento Libero, e Sallusti lo ribadisce in collegamento con David Parenzo e Concita De Gregorio. "La maggior parte dei non vaccinati penso che lo facciano non per questioni dogmatiche, ma per incoscienza, paura, furberia. Lì devi lavorare per convincerli, o magari costringerli. Se non hai il Green pass non puoi accedere a una serie di servizi e forse ti conviene averlo". "Poi - prosegue Sallusti - c'è uno zoccolo duro che non riuscirai mai a convincerlo, neanche con la prova definitiva che i vaccini non fanno male. È come far cambiare idea a un terrapiattista. Dobbiamo tenere divise queste due fazioni ed evitare che la seconda prenda il comando delle operazioni di protesta. Siamo in democrazia, ma la protesta non è spaccare la testa a un giornalista o fare le liste di proscrizione".

Alessandro Sallusti contro i no-vax che minacciano di spaccarci la testa: "Vaccinarsi non è di sinistra. E voi siete criminali". Alessandro Sallusti su Libero Quotidiano l'1 settembre 2021. Siamo nella lista nera dei cattivi perché abbiamo chiamato i criminali con il loro nome, che non è No vax ma per l'appunto "criminali". Lo ripetiamo, a scanso di equivoci: uno è libero di non vaccinarsi, a nostro avviso sbaglia di grosso, ci mancherebbe altro, ma non di sfasciare la testa a giornalisti e virologi né di minacciare di morte i politici e chiunque si dica a favore della vaccinazione e del Green pass. I movimenti e i personaggi estremisti e violenti che si stanno infiltrando nel dibattito tra i pro e i contro la vaccinazione sono un pericolo come a suo tempo lo furono tutti i terrorismi. E dirlo chiaro e forte non vuol dire essere di sinistra come gli stupidi di turno hanno sostenuto ieri. Di più, vaccinarsi non è di sinistra, è semplice buon senso. Silvio Berlusconi, Matteo Salvini e Giorgia Meloni, i tre leader del Centrodestra, così come milioni di loro elettori, sono vaccinati e muniti di Green pass e lo stesso vale per la stragrande maggioranza di politici di destra e sinistra, anche per quelli che in queste ore strizzano l'occhio ai no vax e insistono con il liberticidio che sarebbe in atto per via del certificato vaccinale che è un obbligo esibire in determinate circostanze. Affari loro, ognuno fa il suo mestiere come meglio crede, basta non prenderci in giro. Una volta si diceva che la destra è sì libertà ma anche "ordine e disciplina" e soprattutto onore, requisiti che non vedo in quei gruppuscoli che hanno aperto una vigliacca caccia all'uomo contro chi la pensa diversamente da loro (ammesso che un pensiero ce l'abbiano). Non cadiamo nel tranello di pensare che tutti i No vax siano teppisti, ma sta di fatto che questi teppisti sono tutti No vax o almeno sostengono di esserlo e noto una certa ritrosia - quasi un consenso - dei renitenti al vaccino a prendere le distanze e a dire forte: non in mio nome. Saremo sempre in prima linea a difendere la libertà di pensiero di chiunque, ma anche sempre in prima linea a denunciare qualsiasi tipo di violenza e intimidazione. Noi siamo convintamente liberali e per questo altrettanto favorevoli alla campagna vaccinale e a tutto ciò che serve e servirà per non perdere di nuovo tutte le libertà come è accaduto nel recente passato. Il resto è soltanto demagogia da social.

Alessandro Sallusti per “Libero quotidiano” il 2 settembre 2021. Ma quanto dà fastidio la verità? E la verità ieri ci ha detto due cose. La prima: i No vax organizzati in setta non sono un movimento di popolo, e neppure rappresentano gli italiani che ancora hanno dubbi a vaccinarsi. La loro annunciata protesta con blocco delle stazioni ferroviarie si è rivelata un clamoroso flop: quattro squinternati, a Napoli erano letteralmente in due, a urlare frasi sconnesse. Lo scostamento tra il Paese reale, strafavorevole ai vaccini, e quello immaginario, spacciato sul web come insofferente e coccolato da non pochi politici e opinionisti è lampante. Gli italiani hanno capito che il vaccino funziona e non è pericoloso, comunque nessuna persona non invasata è disposta a trasformare la questione in una lotta di classe. La seconda cosa che ci ha detto la giornata di ieri è che il Green pass non è un attentato alla libertà né un problema gestirlo. Il primo giorno di obbligatorietà su treni, aerei e nelle scuole - che apriranno regolarmente - non ha creato nessun problema significativo (qualche provocatore non poteva mancare), la gente si sta abituando a esibirlo come si fa all'occorrenza con la carta d'identità o la patente di guida. Non uno degli interessati si è lamentato per una presunta perdita di libertà o di tempo. Tutto a posto, quindi? Non penso. Credo che i No vax e i No pass organizzati e internet guidati torneranno a farsi vivi - probabilmente a sorpresa- non appena le acque si calmeranno. Ma da oggi sappiamo che non rappresentano nessuno, saranno alla stregua dei No Tav e No global, gruppetti di piromani della società e del buon senso. Resta da chiedersi chi pagherà il conto dell'enorme mobilitazione delle forze dell'ordine messe in campo ieri per fronteggiare un nemico che neppure si è presentato. E forse qui c'è la chiave di lettura della strategia di questi signori: non colpire uniti, ma gettare il Paese nella paura stando nascosti e al riparo nelle fogne del web, che quattro fessi abboccano sempre. C'è solo da sperare che uno di questi non si senta investito di chissà quale missione e gli venga in mente di passare dalle parole ai fatti.

Dagli economisti ai virologi: viaggio nella crisi dei “competenti”. Andrea Muratore su Inside Over il 19 giugno 2021. Su una scala ancora più ampia rispetto al recente passato, l’anno della pandemia di Covid-19 ha imposto una mediatizzazione e un’enorme concentrazione di attenzione su precise categorie tecnico-professionali, in questo caso quelle dell’ambito medico e in particolare delle discipline legate alla virologia. In ogni Paese virologi e medici di simile professionalizzazione sono diventati centrali nel dibattito pubblico, i loro volti un’abitudine per i lettori dei giornali e i telespettatori dei talk show e delle tribune, le loro dichiarazioni un tema di discussione politico. Tanto che in Italia non è mancata l’antica e a tratti stucchevole tendenza a dividerne il campo in termini di appartenenza partigiana tra virologi “di sinistra”, partigiani delle chiusure più dure e soprattutto della linea adottata dall’ex governo Conte II (per i loro critici, interpreti di un presunto metodo “comunista”) e virologi “di destra” che perorano una strategia di contenimento del Covid in grado di conciliare libertà individuali e prevenzione sanitaria (accusati di “antiscientismo” da un fallace dibattito mediatico). Non è la prima volta che succede negli anni della globalizzazione, che nell’ultimo trentennio si è caratterizzata come un continuo accumularsi di emergenze per i Paesi occidentali, i quali hanno avuto nella pandemia il loro definitivo big bang. L’emergenza economica, l’emergenza immigrazione, l’emergenza terrorismo e l’emergenza sociale hanno assunto, in diversi periodi, un ruolo chiave su scala nazionale o globale, portando di conseguenza gli esperti ad assumere visibilità e centralità nel dibattito pubblico. Prima del Covid-19, l’apoteosi di questo fenomeno si ebbe in occasione degli anni della Grande Recessione e della crisi economica globale che, a più riprese, dal 2007-2008 allo scoppio del terremoto europeo sui debiti sovrani (2010-2012) perturbò le economie avanzate provocando smottamenti sistemici che in diversi Paesi, come ad esempio l’Italia, mai tornata ai livelli di Pil pre-crisi, si sono fatti sentire duramente. Allora furono chiamati in causa gli economisti, che si moltiplicarono nei salotti televisivi, sui giornali, in libreria, arrivando a ricoprire cariche apicali in diversi esecutivi e, in Italia, addirittura la carica di premier con Mario Monti. L’accentuazione della visibilità degli economisti, come quella dei virologi di oggi, portò con se sul medio-lungo periodo un fenomeno tipico dei nostri tempi che è quello della crisi della competenza. Se oggi il dibattito tra medici non fa altro che aumentare, troppo spesso, la confusione sul tema Covid, le opinioni contrastanti tra loro si rincorrono in un tourbillon confuso e si giunge a conclusioni affrettate con troppa superficialità, presentando come oggettive prove non peer-reviewed. Negli scorsi anni, gli economisti che non erano riusciti a prevedere i palesi venti di crisi che soffiavano sull’Occidente, non mancavano di presentare come soluzione quelle ricette (tagli alla spesa pubblica, austerità, disciplina di bilancio) che la crisi l’avevano favorita, ma la cui difesa aveva garantito loro un’ascesa sociale, professionale, politica. Dimostrandosi tanto impreparati nel leggere i segni dei tempi in passato quanto spiazzati dall’accelerare delle tempeste economiche durante il loro sdoganamento.

La crisi della competenza. La crisi della competenza, intendiamoci, non va associata nella stragrande maggioranza dei casi a un’impreparazione o a un’esplicita malafede da parte degli esperti chiamati in causa. O, nei casi limite, non solo. Ad andare in crisi è il costrutto sociale che vede le emergenze affidate, volta per volta, al consiglio e all’ausilio di categorie professionali “tecniche” ritenute oggettivamente in grado di padroneggiare le discipline. Nella speranza che questo procuri, a cascata, un rafforzamento delle capacità del sistema sociale e politico di affrontare le emergenze. Questo processo si è tuttavia più volte dimostrato fallace per un’ampia serie di motivi. In primo luogo, ai “competenti” viene affidata un’aura salvifica che pare deresponsabilizzare completamente il peso dei decisori esterni al loro ambito senza una corrispondenza tra visibilità e autorità effettiva. Spesso i tecnici sono accademici o ex professori universitari, editorialisti o professionisti, ma non ricoprono cariche formali e il loro ruolo può e in certi casi deve fermarsi a quello del consigliere. In secondo luogo, la società contemporanea è abituata a chiedere risposte, ma non a porsi le domande giuste. E in questo ha giocato un ruolo anche l’èlite culturale e accademica che ha voluto isolarsi in una torre d’avorio pretendendo, in larga misura, di distanziarsi dalla società reale, dalle comunità di riferimento creando un meccanismo entro cui  si pretende che il sapere tecnico, scientifico o professionale sia patrimonio di pochi eletti, che solo l’aver stabilizzato una determinata competenza in un preciso ambito consenta di dichiararsi chiamato in causa per parlare di tale tema. Livellando così nel dibattito pubblico la capacità di analisti, studiosi e opinione socialmente attiva di interrogarsi per poter vedere i propri dubbi risolti e, soprattutto, scrutinare effettivamente il ruolo dei tecnici. Terzo punto, somma degli altri due e causa principale, è il fatto che ad aver incentivato questi meccanismi sia stata la politica in una fase in cui i partiti hanno abdicato, in Italia e nel resto d’Europa, alla loro volontà di costruire classi dirigenti all’altezza delle sfide del presente e in grado di coniugare sapere pratico e visione politica. Da un lato questo ha portato i politici e i governanti a cercare nei tecnici dapprima i salvatori e in seguito i responsabili di possibili fallimenti; dall’altro, nella politica stessa e nel dibattito pubblico si è creato un mito che vorrebbe come necessario il possesso di determinati requisiti o competenze per l’assunzione di cariche politiche. Richiesta tanto vaga quanto fallace: siamo certi che affidando, ex lege, il ministero degli Esteri a un diplomatico di carriera, la Sanità a un medico e la Giustizia a un magistrato la capacità di produzione di azioni e iniziative e la tenuta politica di questi dicasteri, del resto già stracolmi di tecnici nelle loro burocrazie strategiche, si valorizzerebbero? Evidentemente no. Un leader non deve essere “competente”: deve avere una solida cultura, idee precise e certamente padronanza delle dinamiche oggetto dei suoi campi d’interesse, ma è la capacità politica la prima necessità, non una data “expertise”, per usare un gergo comune nel campo dei “competenti”.

Il dialogo tra politica e competenza. Giulio Andreotti fu sette anni ministro della Difesa (1959-1966) senza venire dai ranghi militari e, anzi, fu scartato alla visita di leva per allievi ufficiali; ricoprì la carica di ministeri economici di peso, l’Industria e le Finanze, senza aver avuto un pesante background accademico in materia. Anzi, come amava ironizzare, all’università odiava studiare “la scienza delle finanze dove ho preso il mio l’unico 18. Un voto che però non mi ha impedito di diventare proprio ministro delle finanze. Per questo, forse, non sono portato al pessimismo”. Dulcis in fundo, il sette volte presidente del Consiglio ebbe anche un incarico di sei anni alla Farnesina (1983-1989). In tutte queste esperienze nessuno mise mai in dubbio il fatto che Andreotti avrebbe potuto costruire il giusto mix tra conoscenze politiche ed esperienza personale e sostegno di apparati e ministeri. In Regno Unito nientemeno che Winston Churchill seppe capire l’importanza di questa alchimia dopo che alcuni errori personali legati a intuizioni sbagliate (l’attacco di Gallipoli nel 1915 e il fallimento della difesa del gold standard dopo la Grande Guerra) avevano rischiato di troncarne la carriera politica. Churchill seppe guidare con tenacia lo sforzo bellico di Londra dal 1940 al 1945 costruendo una squadra che avrebbe saputo coniugare alla perfezione sapere politico e competenze tecniche. La scelta del dinamico Lord Beaverbook, ex giornalista dalla mente poliedrica e uomo di grande ingegno, come ministro della produzione aeronautica nel 1940 contribuì a accelerare la difesa dalla Luftwaffe nella Battaglia d’Inghilterra; sul finire della guerra, la consulenza data a Churchill e al suo governo da John Maynard Keynes, che del premier fu forte avversario negli anni precedenti la crisi del 1929, seppe contribuire a costruire l’agenda economica che il Regno Unito, assieme agli Usa, avrebbe proposto per l’ordine post-bellico. La tecnica, in un certo senso, è sempre politica. Ed è sbagliato ritenere le due sfere separate o illudersi che in uno dei due campi possa nascondersi una supposta oggettività. Le grandi innovazioni e progressi della storia e le grandi fasi della vita dei popoli e delle nazioni non sono mai state dovute solo all’una o all’altra fattispecie. La competenza come fattore di governo della vita pubblica è pia illusione senza un progetto politico alle spalle; la politica senza l’ausilio di un mix di conoscenze e esperienze è di fatto cieca. L’era della globalizzazione culminata nella pandemia ha portato governi e opinioni pubbliche a pensare che separare i due campi potesse essere la soluzione per risolvere le varie crisi settoriali mano a mano che esse si presentavano. La pandemia, crisi al tempo stesso sanitaria, economica, sociale, politica, ci ha insegnato che così non è. E che forse la vera emergenza è la stessa globalizzazione per come è stata strutturata: competitiva, anarchica, atomizzante. E la risposta a dilemmi del genere non può che passare per la riscoperta della politica.

Nella mente di un No-Vax. Luc Ferry su La Repubblica il 28 agosto 2021. Ecco perché conta di più capire la struttura che sorregge il suo pensiero piuttosto che coprirlo d’insulti o di grandi discorsi. Nel fronteggiare il complottismo che aleggia sulla pandemia, chi si sforza di argomentare, di esporre fatti, viene preso per agente segreto del complotto stesso. A buon diritto Emmanuel Macron, anzi lui e tutti i democratici, sono impensieriti dall'escalation di movimenti complottisti che invitano alla disobbedienza civile. Detto questo, se si ha intenzione di convincere qualcuno, conta di più capire la struttura psicologica che sorregge il suo pensiero, anziché coprirlo d'insulti o di grandi discorsi. 

Nella mente di un no vax. Intervista all'esperto. De Agostini l'11/01/2021. Qual è il confine tra la libertà di espressione e la libertà di insulto, di spinta e fiera asineria, di mistificazione aggressiva? Perché davanti a un'idea o convinzione, giusta o sbagliata che sia, molte persone non riescono - complice lo schermo dei social - a rinunciare alla cieca e sorda invettiva? E soprattutto qual è il segreto di chi, nel chiasso e nella complessità dei nostri giorni, riesce ad avere e ad esprimere tutte queste granitiche certezze? Me lo sono chiesta con insistenza, di recente, leggendo decine e decine di infuriati commenti sul vaccino di tanti utenti del web. Tantissime persone apparentemente molto diverse tra loro eppure, pare, tutte accomunate da uno stesso denominatore: una laurea all’Università della Vita, curriculum Social Network, con esame bonus in “Laboratorio di ricerca video ke nessuno ti farà vedere”. La sicurezza delle loro affermazioni sul 5G infettivo, sui microchip infilati nelle vene, sul tentativo di farci morire tutti e/o trasformarci in automi, servi di un grande dittatore che ci osserva seduto su un trono d’oro posizionato al centro della terra (piatta), mi ha inquietata e destabilizzata al punto di dovermi rivolgere a un esperto. Dove nasce tutto questo livore? A chi credere e perché? Come resistere all'incertezza, alla solitudine, alla nostra stessa sfibrante ignoranza, quindi alla paranoia?  A chiarirmi le idee è Il Dott. Armando De Vincentiis, psicologo e direttore scientifico della collana Scientia et Causa di C1V Edizioni, che riunisce i contributi di autori esperti del mondo accademico, professionisti specializzati in medicina e ricerca, professionisti della comunicazione; curatore e tra gli autori del libro Vaccini, complotti e pseudoscienza.

Dottore, mi spieghi per cortesia il motivo per cui dovrei fidarmi di lei e dei suoi colleghi, e non di altri esperti, anche medici, che invece dicono esattamente il contrario di ciò che lei sostiene, e lo fanno con la sua stessa convinzione.

Perché davanti a un dibattito scientifico il concetto di opinione o di autorità non ha senso. Dietro alle affermazioni di uno scienziato c'è un lungo e articolato lavoro di ricerca: se per esempio io dico che i vaccini sono utili e necessari mi sto basando sulla letteratura scientifica sull'argomento, ovvero su lavori che sono stati pubblicati su riviste scientifiche sottoposte a revisione paritaria. 

Cioè?

Le ricerche di uno scienziato o di un team di scienziati vengono valutate da altri colleghi che hanno le stesse competenze, se c'è qualcosa che non va il lavoro viene rispedito al mittente, che lo rivede e lo rinvia; se c'è altro che non va viene ulteriormente revisionato e così via: ciò che viene pubblicato è controllato e ricontrollato e si basa dunque su dati di fatto. In più, una volta avvenuta la pubblicazione, altri ricercatori indipendenti lavoreranno su quella "ricetta": se giungono a risultati diversi evidentemente c'è un problema, una contraddizione, c'è bisogno di un'ulteriore revisione. Se invece altri ricercatori indipendenti ottengono gli stessi risultati è evidente che, fino a prova contraria, quel lavoro è corretto.

Ma se io le porto una ricerca firmata da scienziati che sostengono di aver riscontrato in alcuni vaccini la presenza di "contaminanti inorganici tossici", lei che mi risponde?

Rispondo che voglio vedere le fonti. Che voglio vedere su quali basi queste ricerche sono state effettuate. Possono avere anche la firma di cento medici, ma questo non è garanzia di correttezza scientifica. Chiedo: mi fa vedere le pubblicazioni a revisione paritaria sulle quali sono state pubblicate queste cose? E quali sono le pubblicazioni che dimostrano che queste cose fanno male alla salute? 

E se a parlare è un premio Nobel?

Se sono un premio Nobel e dico che il coronavirus è stato fatto in laboratorio, chi mi ascolta riceve le mie parole basandosi su quello che viene chiamato principio di autorità. Ma anche il Premio Nobel deve dimostrare attraverso fonti, ricerche e prove quello che dice. Se le fonti sono scorrette e le prove non ci sono anche il Premio Nobel ha detto una sciocchezza. In ambito scientifico il principio di autorità non esiste. Qualsiasi scienziato può essere paragonato a un uomo di strada quando esprime qualcosa che non è suffragato da prove. 

Che motivo avrebbe un medico - ce ne sono tanti - di veicolare messaggi non corretti?

Ci sono due elementi e valgono sia per le persone comuni che per i medici. Essere complottista ti dà una sorta di status, che fa risuonare il tuo nome. Io posso essere un medico qualsiasi, tra tanti. A un certo punto in un contesto caotico emergo dicendo che ci stanno prendendo in giro: chi è confuso, impaurito, non competente, è pronto ad ascoltarmi, quasi a divinizzarmi. Chi non ha strumenti culturali e tecnici per difendersi, crede e diffonde le mie notizie trasformandomi in un punto di riferimento "alternativo". Altre volte anche il medico può avere un'ideologia, può essere condizionato da un orientamento mentale più filosofico che scientifico, può essere spinto da principi ideologici che nulla hanno a che fare con la scienza.

In alcune circostanze, come per il vaccino antinfluenzale del 1976, pare ci sia stata una correlazione con gravi problemi di salute. 

Bisogna capire la differenza tra correlazione e rapporto causa effetto, perché c'è una correlazione anche tra alcune malattie e il consumo di pasta asciutta: se cerchi qualcosa che possa accomunare la malattia e la pasta asciutta la trovi. Esiste uno studio che dimostra la correlazione tra l'osservazione di film di Nicholas Cage e l'aumento di morti annegati in piscina. Questo è un esempio di correlazione, nella quale però non c'è rapporto causa-effetto. A meno che non pensiamo che guardare Cage ci faccia morire annegati in piscina. Pur essendo a volte una correlazione suggestiva di un fatto, spesso è soltanto un andamento di tendenze che tra loro non hanno alcun legame effettivo.

Così per vaccino e autismo? Mi spiega quella storia, oggi ancora molto citata dagli antivaccinisti?

Un medico britannico, Wakefield, a un certo punto fece una pubblicazione "dimostrando" che un numero molto ristretto di bambini vaccinati aveva avuto reazioni di tipo autistico. Attraverso un'indagine successiva venne fuori che si trattò di una frode. In seguito anche la rivista che aveva pubblicato lo studio dovette ritrattare incondizionatamente l'articolo. 

Perché allora si continua a sostenere questo legame?

Perché, come spesso accade, la smentita ebbe meno risonanza del polverone alzato da quella pubblicazione, e molti continuano a sostenerla, pur essendoci moltissimi studi che ne confermano e riconfermano l'infondatezza. Se fai un giro su internet trovi un sacco di grafici che mostrano una correlazione tra la somministrazione del vaccino sui bambini e un aumento di casi di autismo. Correlazione, come già detto, fuorviante: tra milioni di vaccinati è normale che ci siano anche casi di autismo, di bambini che si sarebbero ammalati anche senza vaccino. Esattamente come milioni di persone mangiano la pasta asciutta e poi si ammalano di cuore. Fino a prova contraria, la pasta asciutta non è causa di infarto.

Fatto sta che molti genitori sostengono che i loro bambini si siano ammalati dopo il vaccino. Trovare un colpevole davanti alle cose che non possiamo o riusciamo a controllare ci fa sentire meglio?

Sì. Trovare un colpevole mi dà l'illusione di poter fare qualcosa. Se un problema è dato - ad esempio - da questioni genetiche, io non posso fare nulla, devo accettarlo così come è. Se  invece ho la convinzione che sia colpa di qualcuno, innanzitutto so con chi prendermela, e poi mi sento in grado di aiutare gli altri, di fare qualcosa, di agire su qualcosa. Una sorta di deresponsabilizzazione. Pensare che l'autismo possa avere a che fare con la genetica può essere erroneamente percepito da alcuni genitori come una "colpa". Se si trova il capro espiatorio si fugge anche da questo tipo di sofferenza.

Cosa avviene nella mente di chi, sul web, infervorato, urla al complotto senza sentire altre ragioni?

Scattano una serie di meccanismi psicologici, tra questi, il principio di negazione. Una difesa contro la paura. Negando il problema allontano il timore. Se qualcuno mi dice che ci sono morti, ricoveri, infezioni e io insisto nel dire che è un imbroglio, mi sto difedendo dalla paura che non mi consentirà di essere libero, di uscire, di incontrare gente.

Quali sono le fonti dei novax?

I negazionisti trovano le informazioni nella loro bolla, non oltre, tra altri complottisti e negazionisti. È circolo chiuso, si informano tra loro. Se qualcuno cerca di entrare in quella bolla, viene etichettato come colui che sta mettendo in atto un complotto, perché avrebbe degli interessi. Interessi spesso fantascientifici, come quello del controllo: facendo impoverire le persone, uccidendole, non è certo il controllo che si ottiene. Aumenta semmai il disagio, aumentano le rappresaglie, le proteste.

Ci sono novax anche tra, ad esempio, docenti universitari. 

Su certi temi l'opinione del plurilaureato non ha né più né meno valore di quella di una persona poco o per nulla formata. In entrambi i casi non si hanno gli elementi culturali e tecnici per comprendere e quindi esprimere pareri scientifici. Al di là dei complottisti e delle degenerazioni di cui sopra, esiste una larga fetta di popolazione che teme il vaccino. Molti genitori attenti e tutt'altro che irrazionali, ad esempio, hanno paura di vaccinare i propri bambini. Che sia condivisibile o meno, sembra una scelta comprensibile, vista la confusione sul tema.  Sì, e in questo caso non è colpa loro ma dell'informazione: sono bombardati da informazioni conflittuali, e la reazione tipica alle informazioni contradditorie è la paranoia. Avviene anche in famiglia. Se a un adolescente il padre dice una cosa e la madre ne dice un'altra la reazione è paranoica: "Qui qualcuno sta mentendo". Quindi reagisce con sospetto e il sospetto congela, non fa compiere azioni. Si preferisce restar fermi piuttosto che agire, senza pensare, nel caso del vaccino, che magari restar fermi può esporre il proprio bambino a rischi importanti.

In conclusione, come parlare con un novax "estremista"?

Nel momento in cui una persona aderisce completamente a un'ideologia complottista è davvero difficile farle cambiare idea, perché diventa una sorta di processo delirante e ogni cosa che tu dici a un delirante viene inquadrata all'interno del suo delirio. Se io dico a un complottista che deve fare riferimento alle persone competenti e alle fonti, il complottista dice che i medici sono pagati dalle case farmaceutiche e che le fonti sono manipolate per poterti prendere in giro. Una logica, seppur delirante, schiacciante. Bisogna accettare l'idea che in certe occasioni non c'è molto da fare. Alcune persone non cambieranno mai opinione perché sono entrate all'interno di una determinata logica da cui non si può uscire. 

Dagotraduzione dal Wall Street Journal il 26 luglio 2021. «Scienza» è diventata un termine politico. «Credo nella scienza», ha twittato Joe Biden sei giorni prima di essere eletto presidente. «Donald Trump no. È così semplice, gente». Ma cosa significa credere nella scienza? Lo scrittore scientifico britannico Matt Ridley traccia una netta distinzione tra «scienza come filosofia» e «scienza come istituzione». La prima nasce dall'Illuminismo, che Ridley definisce come «il primato del ragionamento razionale e oggettivo». Quest'ultimo, come tutte le istituzioni umane, è erratico, incline a non rispettare i suoi principi dichiarati. Ridley afferma che la pandemia di Covid ha «messo in netto rilievo la disconnessione tra la scienza come filosofia e la scienza come istituzione». Ridley, 63 anni, si descrive come un «critico scientifico, che è una professione che in realtà non esiste». Paragona la sua vocazione a quella di un critico d'arte e liquida la maggior parte degli altri scrittori scientifici come «cheerleader». Un atteggiamento sofisticato adatto a un pari inglese ereditario. Come quinto visconte Ridley, è un membro della Camera dei Lord britannica e zooma con me dalla sua sede ancestrale nel Northumberland, appena a sud della Scozia, tra una sessione e l’altra del Parlamento (a cui partecipa sempre tramite Zoom). Con la biologa molecolare canadese Alina Chan, sta finendo un libro intitolato «Viral: The Search for the Origin of Covid-19», che sarà pubblicato a novembre. Probabilmente, dopo l’uscita del volume, i suoi autori non saranno graditi in Cina. Mentre lavorava al libro, dice, gli è diventato «orribilmente chiaro» che gli scienziati cinesi «non sono liberi di spiegare e rivelare tutto ciò che hanno fatto con i virus dei pipistrelli». Queste informazioni devono essere «rimosse» per gli estranei come lui e la signora Chan. Le autorità cinesi, dice, hanno ordinato a tutti gli scienziati di inviare i risultati relativi al virus al governo perché li approvi prima che altri scienziati o agenzie internazionali possano esaminarli: «Questo è scioccante all'indomani di una pandemia letale che ha ucciso milioni di persone e devastato il mondo». Ridley osserva che la questione dell'origine di Covid è stata «affrontata principalmente da persone al di fuori dell'establishment scientifico tradizionale». Chi è stato coinvolto ha cercato di chiudere l'inchiesta «per proteggere la reputazione della scienza come istituzione». La ragione più ovvia di questa resistenza? Se il Covid è trapelato da un laboratorio, e soprattutto se si è sviluppato lì, «la scienza si trova sul banco degli imputati». Sono entrati in gioco anche altri fattori. Gli scienziati sono sensibili quanto le altre élite alle accuse di razzismo, che il Partito comunista ha usato per eludere domande su pratiche specificamente cinesi «come il commercio di animali selvatici per cibo o esperimenti di laboratorio sui coronavirus dei pipistrelli nella città di Wuhan». Gli scienziati sono una gilda globale e la comunità scientifica occidentale è «arrivata ad avere uno stretto rapporto e persino una dipendenza dalla Cina». Le riviste scientifiche traggono notevoli «entrate e input» dalla Cina e le università occidentali si affidano a studenti e ricercatori cinesi per le tasse scolastiche e la manodopera. Tutto ciò, secondo Ridley, «potrebbe dover cambiare sulla scia della pandemia». Ridley ha anche constato come tra gli scienziati inglesi ci sia «una tendenza ad ammirare la Cina autoritaria che ha sorpreso alcune persone». Non ha sorpreso Ridley. «Ho notato da anni», dice, «che gli scienziati hanno una visione un po' dall'alto del mondo politico, il che è strano se si pensa a quanto meravigliosa sia la visione evolutiva del mondo naturale dal basso». E chiede: «Se pensi che la complessità biologica possa derivare da un'emergenza non pianificata e non abbia bisogno di un progettista intelligente, allora perché pensi che la società umana abbia bisogno di un 'governo intelligente'?». La scienza come istituzione ha «un'ingenua convinzione che se solo gli scienziati fossero al comando, gestirebbero bene il mondo». Forse è questo che intendono i politici quando dichiarano di «credere nella scienza». Come abbiamo visto durante la pandemia, la scienza può essere una fonte di potere. Ma c'è una «tensione tra gli scienziati che vogliono presentare una voce unificata e autorevole», da un lato, e la scienza come filosofia, che è obbligata a «rimanere di mentalità aperta ed essere pronta a cambiare idea». Ridley teme «che la pandemia abbia, per la prima volta, un'epidemiologia seriamente politicizzata». È in parte «colpa di commentatori esterni» che spingono gli scienziati in direzioni politiche. «Penso che sia anche colpa degli stessi epidemiologi, che pubblicano deliberatamente cose che si adattano ai loro pregiudizi politici o ignorano cose che non lo fanno». Gli epidemiologi sono divisi tra coloro che vogliono più blocchi e coloro che pensano che l'approccio non sia stato efficace e potrebbe essere controproducente. Ridley si schiera con quest'ultimo approccio, ed è sprezzante nei confronti della modellazione allarmistica che ha portato alle restrizioni. «Il modello di dove potrebbe andare la pandemia», dice, «si presenta come un progetto del tutto apolitico. Ma ci sono stati troppi casi di epidemiologi che hanno presentato modelli basati su presupposti piuttosto estremi». Una motivazione: il pessimismo vende. «Non vieni accusato di essere troppo pessimista, ma ricevi attenzione. È come la scienza del clima. È molto più probabile che le previsioni modellate di un futuro spaventoso ti portino in televisione». Ridley invoca Michael Crichton, il defunto romanziere di fantascienza, che odiava la tendenza a descrivere i risultati dei modelli con parole che li definiscano come "risultati" di un esperimento, perché inquadra la speculazione come fosse una prova. La scienza del clima è già molto avanti sulla strada della politicizzazione. «Venti o 30 anni fa», dice Ridley, «potevi studiare come avvenivano le ere glaciali e discutere teorie in competizione senza essere affatto politico al riguardo». Ora è molto difficile avere una conversazione sull'argomento «senza che le persone cerchino di interpretarlo attraverso una lente politica». Ridley si descrive come "tiepido" sui cambiamenti climatici. Conviene che gli esseri umani abbiano reso il clima più caldo, ma non aderisce a nessuna delle visioni catastrofiche che richiedono cambiamenti radicali nel comportamento e nei consumi umani. La sua posizione sfumata non lo ha protetto dagli attacchi, ovviamente, e la sinistra britannica è incline a diffamarlo come un «negazionista». Anche la scienza del clima è stata «infettata dal relativismo culturale e dal postmodernismo», afferma Ridley. Cita un articolo che era critico nei confronti della glaciologia, lo studio dei ghiacciai, «perché non era sufficientemente femminista». Mi chiedo se stia scherzando, ma Google conferma che non lo è. Nel 2016 Progress in Human Geography ha pubblicato "Ghiacciai, genere e scienza: un quadro glaciologico femminista per la ricerca sul cambiamento ambientale globale". La politicizzazione della scienza porta a una perdita di fiducia nella scienza come istituzione. La sfiducia può essere giustificata, ma lascia un vuoto, spesso riempito da un «approccio alla conoscenza molto più superstizioso». A tale superstizione Ridley attribuisce la resistenza del pubblico a tecnologie come il cibo geneticamente modificato, l'energia nucleare e i vaccini. Davanti al rifiuto della vaccinazione, Ridley dice che «sosterrebbe con fervore» che è «il minore di due rischi, almeno per gli adulti». Abbiamo «ampi dati per dimostrarlo, per questo vaccino e per altri, risalenti a secoli fa». Definisce la vaccinazione «probabilmente il beneficio più massiccio e incredibile della conoscenza scientifica». Eppure è «controintuitivo e difficile da capire», il che potrebbe spiegare perché i suoi sostenitori sono stati messi alla gogna nel corso dei secoli. Cita l'esempio di Mary Wortley Montagu, un'aristocratica britannica, che spinse per l'inoculazione del vaiolo in Gran Bretagna dopo aver assistito alla sua gestione nella Turchia ottomana all'inizio del XVIII secolo. È stata brutalmente svergognata, dice, così come Zabdiel Boylston, un famoso medico di Boston che ha vaccinato i residenti contro il vaiolo durante un'epidemia nel 1721. I vaccini sono stati al centro della questione della «disinformazione» e della campagna di pressione della Casa Bianca contro i social media per censurarla. Ridley è preoccupato per il problema opposto: che i social media «sono complici nel far rispettare il conformismo». Lo fanno «attraverso il "controllo dei fatti", i picchi di audience e la censura diretta, ora esplicitamente per volere dell'amministrazione Biden». Sottolinea che Facebook e Wikipedia hanno da tempo vietato qualsiasi menzione della possibilità che il virus sia trapelato da un laboratorio di Wuhan. «La conformità», afferma Ridley, «è nemica del progresso scientifico, che dipende dal disaccordo e dalla sfida. La scienza è la fede nell'ignoranza degli esperti, come ha detto il fisico Richard Feynman». Ridley rivolge le sue critiche più schiette alla «scienza come professione», che secondo lui è diventata «piuttosto scoraggiante, arrogante e politica, permeata da ragionamenti motivati e pregiudizi di conferma». Un numero crescente di scienziati «sembra essere preda del pensiero di gruppo, e il processo di peer-review e pubblicazione consente al custode dogmatico di intralciare nuove idee e sfide di mentalità aperta». L'Organizzazione Mondiale della Sanità è un trasgressore particolare: «Abbiamo avuto una dozzina di scienziati occidentali che sono andati in Cina a febbraio e hanno collaborato con una dozzina di scienziati cinesi sotto gli auspici dell'OMS». In una successiva conferenza stampa hanno dichiarato la teoria della perdita di laboratorio «estremamente improbabile». L'organizzazione ha anche ignorato le richieste di aiuto di Taiwan per il Covid-19 nel gennaio 2020. «I taiwanesi hanno affermato: “Stiamo rilevando segnali che si tratta di una trasmissione da uomo a uomo che minaccia una grave epidemia. Per favore, indagherai?” E l'OMS ha sostanzialmente detto: “Sei di Taiwan. Non ci è permesso parlare con te”». Nota che il compito principale dell'OMS è prevenire le pandemie. Eppure nel 2015 «ha rilasciato una dichiarazione in cui affermava che la più grande minaccia per la salute umana nel 21° secolo è il cambiamento climatico. Ora questo, per me, suggerisce un'organizzazione non focalizzata sul lavoro quotidiano». Secondo Ridley, l'establishment scientifico ha sempre avuto la tendenza a «trasformarsi in una chiesa, imponendo l'obbedienza all'ultimo dogma ed espellendo eretici e bestemmiatori». Questa tendenza era precedentemente tenuta a freno dalla natura frammentata dell'impresa scientifica: il Prof. A in un'università ha costruito la sua carriera dicendo che le idee del Prof. B altrove erano sbagliate. Nell'era dei social media, tuttavia, «lo spazio per l'eterodossia sta evaporando». Quindi coloro che credono nella scienza come filosofia sono sempre più estraniati dalla scienza come istituzione. Sarà sicuramente un divorzio costoso.

"Il sapere è indispensabile ma non onnipotente". Guido Tonelli è uno dei protagonisti della scoperta del bosone di Higgs al Cern, dove lavora ed è portavoce dell'esperimento Cms. Vive fra Ginevra e l'Italia, dove insegna Fisica a Pisa, anche se da ottobre è "bloccato" in Svizzera. Eleonora Barbieri, Domenica 17/01/2021 su Il Giornale. Guido Tonelli è uno dei protagonisti della scoperta del bosone di Higgs al Cern, dove lavora ed è portavoce dell'esperimento Cms. Vive fra Ginevra e l'Italia, dove insegna Fisica a Pisa, anche se da ottobre è «bloccato» in Svizzera. Autore di due saggi bellissimi, La nascita imperfetta delle cose (Bur) e Genesi (Feltrinelli), Tonelli parla di «Scienza» per il ciclo «Le parole del Vieusseux», organizzato per i 200 anni del Gabinetto (conferenza sul sito di «Più Compagnia» fino al 23 gennaio; poi sulla pagina YouTube del Vieusseux). E ne parla anche con noi.

Professor Tonelli, di fronte alla pandemia molti si chiedono: la scienza ha fallito?

«Questo è l'indicatore di un senso di onnipotenza che l'umanità ha ricavato dall'esperienza degli ultimi decenni. La vita dei nostri nonni era completamente diversa, si poteva morire per cause sconosciute e a qualunque età; negli ultimi settant'anni abbiamo sempre più avuto la sensazione che niente potesse minacciare la nostra salute e il nostro benessere e che, per qualsiasi malattia, ci fosse una medicina».

E invece...

«Invece è un pregiudizio, una specie di illusione. La scienza non ha mai promesso miracoli, anzi, la scienza ci dice di fare attenzione e ci ha ammonito che, se non teniamo conto degli equilibri naturali, i pericoli possono aumentare. È grazie alla scienza che, in pochi mesi, abbiamo capito che cosa sia questa malattia e da dove venga; grazie ai microscopi elettronici abbiamo individuato il patogeno e abbiamo visto come è fatto; infine, con computer potentissimi ne abbiamo simulato la composizione e scovato i punti deboli e così, in poco tempo, sono stati sviluppati dei vaccini».

La scienza non ci ha tradito?

«È vero che il fatto che sia scoppiata la pandemia può essere visto come una crisi di questa concezione di una scienza onnipotente, ma la scienza è una produzione umana con i suoi limiti, guai a considerarla onnipotente. E, quando c'è stata la crisi, è dagli scienziati che è arrivata la risposta, e questa è la prova di quanto la scienza sia importante per l'umanità. Nessuno avrebbe potuto tirarci fuori da questa situazione, se non gli scienziati, che hanno lavorato giorno e notte».

Si è vista anche un'arroganza della scienza?

«Questo è sicuramente avvenuto, ed è un discorso importante, al di là dei casi singoli. Nel momento in cui la pandemia ha mostrato questa importanza del ruolo della scienza per tutti, tanto che milioni di persone pendono dalle labbra degli scienziati e ogni loro dichiarazione viene soppesata, sorge una responsabilità nuova, enormemente superiore. Però emergono anche le debolezze umane...».

Un po' di voglia di protagonismo?

«Se viene a un nostro congresso, nota che le discussioni sono accanite, questo fa parte del carattere della scienza; ma, quando si parla in pubblico mentre milioni di persone soffrono e muoiono, serve un senso di responsabilità più elevato».

E come si fa?

«Le racconto un caso accaduto qui al Cern, quando, alla partenza di Lhc nel 2008-2009, molte persone si chiedevano se l'acceleratore avrebbe creato un buco nero e provocato la fine del mondo: ogni giorno c'erano la Bbc, la Cnn, la Reuters che ci interpellavano. Normalmente avremmo riso di quelle accuse, ma milioni di persone erano preoccupate, quindi non potevamo fare battute o essere superficiali. Abbiamo preso sul serio le argomentazioni, cercando di non irritarci».

C'è anche chi dubita della scienza a prescindere.

«La prima tentazione sarebbe di essere aggressivo: muoiono diecimila persone al giorno e dici che è una finta. Ma anche questo sarebbe un errore: l'unica soluzione è la pazienza, raccontare, aprire gli armadi della scienza e far vedere quello che c'è dentro».

Il dubbio però serve?

«Il dubbio rimane, ed è un elemento di salute: la scienza procede attraverso i dubbi. Il dubbio non è paralizzante, è prudenza, ma è la prudenza che ha fatto fare alla scienza i progressi che ha fatto».

La scienza è indispensabile?

«La scienza e la conoscenza sono la nostra visione del mondo. Tutto il nostro mondo, dai cellulari ai treni, dal web alla medicina, è basato sulla relatività generale e sulla meccanica quantistica. La scienza è indispensabile e lo sarà sempre di più in futuro, ed è per questo che le nazioni emergenti, in particolare la Cina, investono così tanto nell'innovazione: nel XXI secolo chi guida l'umanità nella caccia alle nuove conoscenze guida l'umanità tout court, è il padrone del mondo».

E l'Italia?

«Per giocare un ruolo, il nostro Paese deve spingere su innovazione e conoscenza, e ci sono le condizioni per farlo: un sistema educativo eccellente, nonostante le difficoltà, e dei giovani che hanno una marcia in più; ma serve un sistema politico che spinga in questa direzione, per i prossimi 25 anni».

La scienza porta al progresso in cui viviamo, ma il progresso porta allo spillover e alla pandemia. Come si trova un equilibrio?

«La scienza non può risolvere da sola tutti i problemi, questo è un punto fondamentale. Da un lato c'è la potenza del metodo scientifico, di una disciplina che cerca continuamente una prova degli errori delle proprie teorie, ed è questo che la rende forte: cerchi le grane, gli angoli sporchi nella casa pulita, perché negli angoli sporchi, forse, puoi trovare una verità più avanzata».

Però?

«Però noi scienziati siamo bravi con sistemi semplici e riproducibili, come i pianeti, le stelle e la materia. Gli individui non sono tutti uguali, e le società ancora meno. Gli strumenti con cui si organizza una società non possono essere decisi da scienziati: la scienza potrà essere una colonna della società, ma non può stabilire quali siano il sistema sociale migliore, le leggi del diritto, l'etica, l'estetica... Ci sono enormi campi in cui la scienza non ha niente da dire, per principio».

Lei si occupa di una scienza grandiosa.

«Gli americani la chiamano Big Science, perché ha dimensioni grandi: qui ci sono 3000 scienziati e infrastrutture gigantesche. Ma sono ancora più grandi le visioni e le teorie che essa sviluppa, come dopo la scoperta del bosone: vedere nel mondo il reticolo che lo sostiene è qualcosa che fa venire i brividi».

Nel suo libro, Genesi, questa scienza ci porta addirittura alle origini del mondo.

«Nei momenti di difficoltà, conoscere le proprie origini e il lungo racconto delle ere lontane di cui siamo eredi ci dà la forza per affrontare il presente con lucidità e serenità. Oggi che l'umanità vacilla e si chiede se sopravvivrà, vedere il nostro essere eredi di una storia lunghissima, anche materiale, che arriva fino al Big Bang, ci fa sentire meno soli e ci sorregge, è come un lungo filo di cui siamo l'estremità, e che passeremo ai nostri figli».

Non possiamo stare senza la scienza?

«Negli ultimi 30 anni tutti i governi hanno tagliato gli investimenti nella ricerca, negli ospedali e nella salute, ma credo che questa lezione terribile insegni alla politica che non bisogna considerare la ricerca come un lusso, e investire».

Per esempio?

«Si potrebbero costruire grandi centri di ricerca mondiali, tipo Cern, per la produzione di farmaci, per i vaccini e per la prevenzione da pandemie future: non sarebbe un investimento conveniente, anziché pagare il prezzo, e i danni, di una pandemia?». 

Nell'attesa della risposta alla mia interrogazione se ci fossero dei giornalisti potrebbero cominciare loro a fare qualche inchiesta con qualche dato pubblico. Che so, qui c'è GIMBE che premia RICCIARDI e poi RICCIARDI per ISS firma un contratto con CARTABELLOTTA da 40mila euro pic.twitter.com/J30pPbX7uX — Claudio Borghi A. (@borghi_claudio) March 10, 2021

Dagospia il 18 giugno 2021. Da "Un Giorno da Pecora". Il mio compagno Fabrizio Pregliasco? “Sono assolutamente contraria al fatto che vada in tv, specie in certi programmi. Se mi arrabbio? No, gli dico che è un pirla. Ma tanto lui mi risponde 'tanto sai che faccio quello che voglio'...”. A parlare, ospite di Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, è Carolina Pellegrini, che da 18 anni è fidanzata con uno dei più noti virologi italiani. Ai nostri microfoni, il presidente dell'Anpas spesso racconta di andare a dormire presto e di svegliarsi ancora prima. Conferma? “E' molto complicato passare una notte con Fabrizio, si sveglia alle 5, è vero, ma poi durante la notte controlla spesso l'orologio, e io ho anche il sonno leggero....”. Almeno cenate insieme? “Sì, si mette a tavola e mangia qualcosina. Una volta si è addormentato anche a tavola, oppure si assopisce due minuti dopo, se va a mettersi sul divano”. Il professor Pregliasco a un soprannome 'di coppia'? “Lo chiamo Fabri, Pregli oppure... Gatto, perché quando dorme si rannicchia tutto e si mette in posizioni particolari”, ha raccontato Carolina a Un Giorno da Pecora Rai Radio1.

Covid e pandemia dei non vaccinati, le bugie sono dannose e ingrossano il popolo no vax. Franco Bechis su Il Tempo il 06 novembre 2021. Il coordinatore del Cts, professore Franco Locatelli, ieri in conferenza stampa ha voluto platealmente sposare la tesi del ministro della Salute tedesco, Jens Spahn, secondo cui oggi saremmo in presenza di una “pandemia dei non vaccinati”. L'affermazione non è lontana dalla verità anche in Italia, perché è vero che la maggioranza dei ricoverati in terapia intensiva e dei decessi nell'ultimo mese secondo il bollettino Iss è effettivamente di non vaccinati. In terapia intensiva per Covid sono finiti in tutto 474 italiani dai 12 anni in su, e di questi 332 erano non vaccinati (70%), 128 avevano ricevuto due dosi di vaccino e 14 una sola dose. Sui decessi il confronto è ancora più risicato: fra il 3 settembre e il 3 ottobre sono stati in tutto 1.012 e di questi 511 erano di non vaccinati (50,49%), 461 di vaccinati con ciclo completo e 40 di vaccinati con una sola dose. Nella categoria degli ultraottantenni per altro il 57,5% dei decessi (337 ) è stato fra vaccinati a ciclo completo, il 3,8% (22) è stato fra vaccinati con una sola dose e solo il 38,7% (227) risultava del tutto non vaccinato. Sempre fra gli ultraottantenni nei 30 giorni indicati dal rapporto Iss non sono stati tantissimi per fortuna i ricoveri in terapia intensiva: in tutto 66. Ma il 68,2% di ultraottantenni finiti in terapia intensiva aveva doppia dose di vaccino da tempo, e solo il 30,3% non risultava vaccinata. Che la pandemia sia solo di non vaccinati è una verità dunque molto parziale visti questi numeri, e con i dati italiani la tesi di Spahn andrebbe presa molto a spanne. Dal professore Locatelli ci saremmo attesi spiegazioni su questi numeri che un po' inquietano, essendo lui lo scienziato, perché noi non sappiamo il motivo per cui i numeri delle ospedalizzazioni, dei ricoveri in terapia intensiva e purtroppo anche dei decessi fra completamente vaccinati sia diventato con il passare del tempo sempre meno irrilevante. Per gli ultraottantenni la spiegazione potrebbe essere quella che abbiamo già avanzato da queste colonne: puramente matematica. I vaccini hanno una protezione dal virus del 90%, quindi per il 10% dei vaccinati è come se quelle fiale non funzionassero del tutto o comunque parzialmente. Sopra quell'età hanno chiuso il ciclo vaccinale 4,3 milioni di italiani. Il 10% di loro significa quindi 430 mila italiani su cui il vaccino non ha avuto l'effetto protettivo che c'è stato fra tutti gli altri. Sono vaccinati, ma è come se non lo fossero. I veri non vaccinati ultraottantenni sono invece 240 mila, quasi la metà dei vaccinati con ciclo completo su cui le fiale però non hanno funzionato a dovere. E' ovvio che contagi, ospedalizzazioni, terapie intensive e purtroppo anche decessi capitino di più nel gruppo dei vaccinati che in quello dei non vaccinati. Ma per tutti gli altri sono gli scienziati a dovere dare spiegazioni: la protezione del vaccino sta scemando con il passare del tempo ed è per questo che è necessaria la seconda dose? La protezione dichiarata si è rivelata inferiore alle previsioni? O ci sono anche qui spiegazioni matematiche anche se meno evidenti? La scelta del nostro Cts ieri rappresentato dal professore Locatelli- che per altro è fra i pochi a essere definito scienziato, avendo uno dei più alti h-index in Italia, è stata quella di negare la realtà, per non doverla spiegare. Il coordinatore del comitato tecnico scientifico che assiste il governo ha affermato sicuro che dai rapporti Iss risultano “zero ricoveri in terapia intensiva di vaccinati completi dai 59 anni di età in giù”. Bisognerebbe apporre il timbro “Fake News” su queste parole, perché non sono vere. I rapporti Iss settimanali degli ultimi 140 giorni dicono che al di sotto dei 59 anni di età ci sono stati 44 ricoveri di vaccinati a ciclo completo in terapia intensiva Covid al di sotto dei 59 anni e che di questi 4 sono stati di pazienti fra 12 e 39 anni. Pochi, molti meno di quelli dei non vaccinati. Ma non zero. E dobbiamo dire che nello stesso periodo sono morti di Covid 3 vaccinati con prima e seconda dose che avevano meno di 39 anni e 29 vaccinati completi che avevano fra 40 e 59 anni. Numeri piccoli, per fortuna, lontanissimi da quelli cui siamo stati abituati nei periodi peggiori della pandemia. Sono numeri che per altro confermano che con il vaccino la protezione dal virus è notevolmente più alta e il rischio di ammalarsi gravemente notevolmente ridotto rispetto ai non vaccinati. Perché allora negarli e dire zero quando zero non è? Si pensa di tranquillizzare di più la popolazione così e di spingerla meglio a fare la terza dose del vaccino? Ecco, non sarà il mestiere del professore Locatelli fare il comunicatore, ma posso assicurare che ogni piccola bugia su queste cose si trasforma in un macigno che poi non levi dalla strada manco con le gru. Dire zero quando invece qualche decina di casi c'è stata è come buttare benzina sul fuoco delle paure o delle contrarietà ideologiche verso quei vaccini. Grazie alla conferenza stampa di ieri da domani quel fuoco scoppierà con fiamme più alte di prima.

Effetto green pass: ecco quanti sono i vaccinati in Italia.  Rita Querzè, Fabio Savelli e Claudia Voltattorni su Il Corriere della Sera il 15 ottobre 2021. Code per i tamponi, vaccinazioni che decollano persino in Sicilia, l’ultima regione per immunizzati, in cui ieri le prime dosi hanno leggermente superato i richiami con una crescita del 68% rispetto a giovedì scorso. Oggi il primo test in uffici, studi professionali e fabbriche: il green pass diventa obbligatorio per entrare nei luoghi di lavoro. Tutti i dipendenti pubblici e privati, le partite Iva, che siano titolari di ditte individuali, freelance o professionisti dovranno averlo fino al 31 dicembre 2021, fine dello stato di emergenza. Riaprire in sicurezza e far ripartire il Paese aumentando il più possibile la copertura vaccinale è l’obiettivo del governo. Ma i numeri, nell’inchiesta del Corriere della Sera, dicono che l’effetto green pass si è già in parte verificato: dal 16 settembre, quando il governo ha varato il decreto per rendere il certificato obbligatorio in tutti i luoghi di lavoro, le prime dosi sono cresciute del 46% e solo ieri sono state scaricate 563.186 certificazioni verdi. 

Effetto Green Pass

Fonti vicine alla struttura commissariale guidata dal generale Francesco Figliuolo, spiegano che la tendenza discendente di luglio, agosto e settembre — che si attestava a circa 10mila prime somministrazioni al giorno — avrebbe portato a circa mezzo milione di dosi in meno se non si fosse deciso l’obbligo del Certificato. Ecco perché sarebbero 559.954 le prime dosi aggiuntive. Ne ha giovato anche la media dei tamponi giornalieri di 274mila. Ieri, sono stati 315mila i test antigenici rapidi e molecolari effettuati, segnala Federfarma, l’associazione delle farmacie. Un rimbalzo non legato alla curva epidemiologica considerando l’attuale tasso di positività fermo allo 0,82%. E in tutta Italia si sono registrate code davanti alle farmacie oltre ad un boom di prenotazioni di pacchetti da effettuare ogni 48 ore fino alla fine di dicembre. Cosa che potrebbe creare presto dei problemi di approvvigionamento. Restano però ancora molti i lavoratori non vaccinati. Sarebbero oltre 3 milioni. È una stima conservativa, perché la fondazione Gimbe li calcola tra i 4 e i 5 milioni in età di lavoro. Non sono contabilizzati però gli inoccupati e i disoccupati, gli studenti, gli esenti da vaccinazione per patologie (circa 500mila), gli expat formalmente residenti in Italia ma che vivono altrove.

Trasporto locale

Il green pass obbligatorio da oggi mette alla prova il trasporto pubblico locale. Le aziende hanno iniziato tardi a fare la verifica sui turni del personale perché fino all’altro ieri le bozze dell’ultimo Dpcm parlavano della possibilità per il dipendente di comunicare la disponibilità del green pass al massimo con 48 ore di anticipo. Il testo definitivo parla di un «congruo anticipo» e molte aziende si stanno quindi attrezzando ad anticipare le ricognizioni sui dipendenti per agevolare la composizione dei turni. Ma come sarà la giornata di oggi? Atm, l’azienda milanese dei trasporti fa sapere che su 9.700 dipendenti, 272 hanno dichiarato l’indisponibilità del green pass. A questi vanno aggiunti quelli in malattia, aumentati del 15%. Morale: ieri sera Atm stimava una riduzione del servizio in superficie del 4%. L’aumento dei dipendenti in malattia è segnalato a taccuini chiusi da diverse aziende del settore. Un escamotage che permette di poter contare sulla retribuzione invece di rimanere a casa senza stipendio ma che non può essere utilizzato per periodi troppo lunghi. A Verona le corse cancellate saranno 400 su 4.650, poco meno del 10%. A Vicenza il 4%. A Torino Gtt, Gruppo torinese trasporti, stima che sarà assente il 10-15% dei dipendenti mentre Trenitalia ha predisposto servizi sostitutivi per 27 treni sospesi. 

Nelle fabbriche

Nelle aziende metalmeccaniche da segnalare lo sciopero a oltranza, da oggi fino al 31 dicembre, per avere i tamponi gratis annunciato ieri dalla Fiom dello stabilimento Leonardo di Caselle (Torino). «La situazione nelle fabbriche non è facile, c’è una quota di non vaccinati del 15-20%», stima Francesca Re David, alla guida della Fiom Cgil. Sempre la Fiom ha annunciato un’ora di sciopero a fine turno oggi negli stabilimenti dell’Emilia Romagna. Iniziative che hanno suscitato qualche frizione interna al settore: «Le azioni di sciopero che la Fiom ha dichiarato in maniera unilaterale e da sola in alcune realtà sono strumentali e non fanno altro che indebolire lo spirito unitario», dice il segretario generale della Fim Cisl, Roberto Benaglia. In molte aziende la questione centrale resta il pagamento dei tamponi. E in effetti sono aumentate negli ultimi giorni le imprese che li mettono a disposizione, anche per evitare ritardi nella produzione: Michelin, Pirelli, Natura Sì, Cucinelli, Ima, Coesia, Piquadro, Metro. Sciopero alla Electrolux di Susegana: nello stabilimento trevigiano su 1.500 dipendenti, circa il 10% non sarebbe vaccinato

Nelle filiali

Abi e sindacati dei bancari non segnalano particolari timori per la continuità dei servizio. Le sigle del settore avevano chiesto contributi delle aziende al pagamento dei tamponi ma la risposta dell’Abi è stata negativa. «Crediamo che non si sia voluto creare precedenti utilizzabili da altre categorie di lavoratori — dice il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni —. A dare fiducia al settore hanno contribuito gli accordi sulla prevenzione antiCovid firmati fin dall’inizio della pandemia». 

Nei supermercati

Il settore non prevede criticità. «La situazione nei punti vendita delle nostre aziende ci pare sotto controllo, non temiamo disagi se non in casi isolati», dice Alberto Frausin, presidente di Federdistribuzione —. Stimiamo che la media complessiva di lavoratori privi di certificazione possa essere nell’ordine del 8-9%, se non inferiore». 

Gli autotrasportatori

Su 350mila autotrasportatori italiani, invece circa il 30% non è ancora vaccinato, con rischi di disagi per tutta la filiera. Tanto che a Genova i consorzi di imprese Confcommercio Genova e Fai-Conftrasporto Liguria stanno pensando di fornire presidi mobili nelle aree portuali del porto dove poter fare i tamponi, anche agli stranieri senza green pass. Ma nel frattempo scoppia il caso autisti stranieri. I ministeri di Infrastrutture e Salute ieri hanno dato le indicazioni su come comportarsi con i lavoratori non italiani senza green pass che viaggiano per l’Italia: potranno arrivare fino alle aree di carico e scarico merci ma senza scendere dal camion. Scelta incomprensibile per Unatras, l’unione delle principali associazioni dell’autotrasporto. Gli autisti italiani senza green pass non possono infatti lavorare né viaggiare per il Paese, ma così invece gli stranieri potranno muoversi liberamente, pur senza scendere dal camion: «Avevamo chiesto che venissero garantite anche per le imprese estere, le medesime condizioni applicate a quelle italiane».

Le forze dell’ordine

Le stime di non vaccinati tra i rappresentanti delle forze dell’ordine si aggirano intorno alle 60mila persone, cosa che, avvertono i rappresentanti dei lavoratori, rischia di creare problemi nella copertura dei turni, tanto che viene chiesto di allungare la durata dei tamponi a 96 ore. Una circolare del capo della Polizia Lamberto Giannini spiega che in caso di green pass scaduto, il turno potrà essere completato. Su 105mila carabinieri, i vaccinati sono 94.356. Ma tra esenti, vaccinati in autonomia ed ex malati di Covid, vengono stimati circa 3mila militari non vaccinati. Più alta la percentuale in Polizia: 13mila su 96mila, ma di questi molti si stima abbiano provveduto al di fuori della campagna organizzata apposta per le forze dell’ordine.

I dipendenti pubblici

Tra i 3 milioni e 200mila lavoratori della Pubblica amministrazione, i non vaccinati sono scesi a 250mila: erano 300mila poche settimane fa. Per il pubblico impiego oggi è anche il giorno del rientro in ufficio dopo mesi di lavoro da remoto, con non pochi disagi per i cittadini. Lo smart working verrà mantenuto solo per alcuni giorni a settimana, ma se non si potrà lavorare in ufficio senza green pass, non sarà possibile farlo neanche da remoto.

Lorena Loiacono per leggo.it il 15 dicembre 2021. Docenti e forze dell’ordine: per loro, da oggi, il vaccino anti-Covid diventa obbligatorio. Chi non ce l’ha, resta fuori e senza stipendio. Parte la linea dura sui no vax, dunque, anche sul posto di lavoro. A rischio quindi nei prossimi giorni la sospensione dal servizio, con effetto anche sugli scatti di anzianità, per oltre centomila persone.

FORZE DELL’ORDINE. Sono circa 50mila i non vaccinati tra poliziotti, carabinieri e forze armate. La circolare emanata dal Viminale per le forze dell’ordine prevede che tutto il personale, anche quello assente per legittimi motivi, deve presentare la documentazione dell’avvenuta vaccinazione. Se la documentazione non arriva, scatta l’invito a presentarla entro 5 giorni, altrimenti il lavoratore sarà sospeso senza stipendio. Non solo, è previsto anche il ritiro temporaneo della «tessera di riconoscimento, la placca, l’arma in dotazione e le manette».

DOCENTI E BIDELLI. Da oggi scatta l’obbligo anche per tutti coloro che lavorano nelle scuole, dai docenti ai bidelli e i presidi: si tratta di circa 60mila persone in tutta Italia. Anche nel caso dei docenti, chi non è in regola riceve l’invito a presentare la documentazione. Senza certificato, arriva la sospensione. I controlli avvengono attraverso il sistema informatico Sidi, lo stesso usato negli istituti per il green pass di base, che consente ai dirigenti scolastici di controllare lo stato vaccinale delle ultime 72 ore del personale in servizio in ogni scuola. Ci sarà un sistema di alert per segnalare possibili mutamenti dello status con le scritte: “In regola” o “Non in regola”. Chi non è in regola ha 5 giorni per presentare la prenotazione del vaccino o, eventualmente, l’esenzione per patologia. Nei 5 giorni può lavorare esibendo il green pass di base.

SANZIONI SALATE. Se un agente di polizia o un agente vengono trovati in servizio senza vaccinazione prendono una multa da euro 600 a euro 1.500 e la sanzione, da 400 a mille euro, tocca anche a chi doveva controllarlo e non lo ha fatto.

Fra scuole e caserme i non vaccinati sono oltre 6mila. Corsa alle prenotazioni. Rinaldo Frignani e Diana Romersi su Il Corriere della Sera il 16 Dicembre 2021. Problemi per le forze dell’ordine per la mancata partenza di una piattaforma informatica che fornisce in tempo reale dati sui dipendenti vaccinati e non. Rischio sospensione dal servizio e di restare senza stipendio. La corsa a mettersi in regola, e a proteggersi dal virus, è scattata da giorni, ma ieri ha avuto il suo apice. Operatori delle forze dell’ordine, insegnanti e personale sanitario e socio-sanitario non ancora vaccinati hanno cominciato a prenotarsi, anche per non incappare nelle inevitabili sanzioni previste dalla legge, come la sospensione dal lavoro e dallo stipendio. Ma nel primo caso ieri c’è stato qualche contrattempo per la mancata partenza della piattaforma che consente in tempo reale ai dirigenti di uffici e reparti di accedere all’elenco di coloro che non si sono ancora vaccinati (per vari motivi, non solo perché no vax), leggendo il codice fiscale collegato alla posizione sanitaria dell’operatore in divisa. Quindi si è dovuto procedere in molti casi nome per nome, non soltanto con chi si trovava in servizio, ma soprattutto con chi è attualmente in permesso, in malattia o comunque non è al lavoro da tempo per altre ragioni.

Almeno tremila fra poliziotti, carabinieri, finanzieri, vigili urbani, ma anche pompieri e appartenenti alle forze armate - su circa 33 mila solo a Roma in servizio attivo e in parte incaricati del controllo del territorio - avranno adesso cinque giorni per comunicare se sono vaccinati (da quanto tempo e con quante dosi), guariti, esentati dal medico, no vax oppure se devono prenotarsi e nel frattempo potranno continuare a lavorare in questo secondo caso con il green pass base, ovvero un tampone ogni 48-72 ore. Entro 20 giorni però dovranno dimostrare di essere protetti dal vaccino altrimenti scatterà la sospensione dal servizio. Almeno la metà dei tremila sarebbe già corsa ai ripari. «Ma la negazione dell’assegno alimentare per il personale sospeso ci appare una penalizzazione spropositata», afferma il segretario generale nazionale della Consap polizia, Cesario Bortone.

Sul fronte scuola invece ognuna ha contato in media tre o quattro dipendenti non vaccinati: la stima è dell’Associazione nazionale presidi. Roma, con 753 istituti, è circa a quota 2.600. «I numeri sono contenuti, ma ora stanno arrivando le diffide degli avvocati», commenta il presidente romano dei presidi, Mario Rusconi. Come temuto i no vax daranno battaglia. L’Associazione nazionale insegnanti e formatori ha già presentato il primo ricorso al Tar per circa mille lavoratori della scuola, di cui un centinaio sono del Lazio. Spiega Marcello Pacifico, presidente nazionale di Anief: «Si attende la risposta del presidente della III sezione bis sulla richiesta di sospensione urgente in attesa della prima camera di consiglio utile». Alcuni lavoratori hanno invece deciso di non presentarsi, come rivela Cristina Costarelli, presidente dei presidi del Lazio e dirigente del liceo Newton: «Da me due assenti su cinque non erano in regola con la vaccinazione».

Intanto fuori dalle statistiche ci sono alcune scuole che già da oggi si sono trovate in difficoltà. Nell’istituto comprensivo Villaggio Prenestino la preside Giusy Ubriaco ha contato più non vaccinati di quanti previsti: «Pensavo sarebbe stati quattro o cinque, invece erano irregolari in dieci». È andata ancora peggio nell’istituto superiore Luca Paciolo di Bracciano, dove la dirigente Stefania Chimienti ha contato 24 non vaccinati di cui sei esentati dal medico. «Ci rimetteranno gli studenti», è la preoccupazione della preside. Per chi non può vaccinarsi per ragioni mediche il ministero dell’Istruzione ha disposto la ricollocazione immediata fuori dalle classi. «Non sappiamo come sostituirli sul portale amministrativo del ministero - spiega Chimienti -: non esiste un codice corrispondente alla loro tipologia di assenza, anche perché di fatto non sono assenti».

L'emergenza vaccini. Allarme carceri, un terzo degli agenti non è vaccinato. Angela Stella su Il Riformista il 19 Settembre 2021. «La decisione del Governo di imporre l’obbligo del possesso del green pass nei luoghi di lavoro introduce una serie di problemi aggiuntivi nelle carceri. Dai dati forniti dal Dap aggiornati al 13 settembre scorso si evince infatti che sono ben 13mila, più di un terzo, gli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria che non si sono ancora sottoposti neppure alla prima dose della vaccinazione anti-covid. Cosa succederebbe, allora, in caso di sospensioni dal servizio che si andrebbero a sommare alla gravissima deficienza degli organici già esistente e quantificata, dallo stesso Dap, in 17mila unità mancanti?»: a lanciare l’allarme è Gennarino De Fazio, segretario generale della UilPa Polizia Penitenziaria. In base ai dati su 36.939 agenti di polizia penitenziaria, sono ‘avviati alla vaccinazione’ 24.196 unità. ‘Avviato alla vaccinazione’ non significa essere vaccinati. Quando furono aperte le vaccinazioni in base a specifiche fasce, quello era il numero potenziale di agenti che poteva vaccinarsi. Solo con la presentazione del green pass dal 15 ottobre si saprà davvero quanti agenti sono vaccinati. Per quanto riguarda invece i detenuti, aggiunge De Fazio: «Dai report forniti dal Dap non è deducibile il numero dei detenuti non ancora vaccinati, essendo indicato solo il totale delle somministrazioni dall’inizio della campagna vaccinale e comprendente, pertanto, anche coloro che sono successivamente stati scarcerati». In realtà i dati pubblicati da via Arenula sono quelli che fornisce l’Anagrafe nazionale dei vaccini, istituita presso il Ministero della Salute. Al momento, quello che leggiamo sul sito del Ministero della Giustizia è: ‘Totale somministrazioni ai detenuti 74.209’ ma non si è in grado di dire esattamente a cosa corrisponde quel numero: detenuti vaccinati o totali dosi fatte, ad esempio. La Ministra Cartabia lo scorso 9 settembre nel suo saluto alla presentazione del docufilm Rebibbia Lockdown al Festival del cinema di Venezia aveva scritto: «Ad oggi sono 15 i detenuti morti per covid; e 13 i poliziotti penitenziari. Ad oggi possiamo però anche dire che i vaccini hanno raggiunto circa l’80% della popolazione reclusa. E questo è un dato di cui possiamo andare fieri». Rimane il fatto che non si conosce il numero dei detenuti vaccinati attualmente rinchiusi in carcere. Per questo non sta comunque tranquilla Rita Bernardini, Presidente di Nessuno Tocchi Caino: «Senza voler criminalizzare le scelte personali di ciascuno in materia di vaccinazioni, ci si dovrebbe seriamente preoccupare che gli agenti, il personale amministrativo e gli educatori possano portare da fuori il virus ai reclusi. Occorre subito predisporre una liberazione anticipata speciale per diminuire drasticamente la popolazione detenuta. Inoltre, bisogna ripristinare i colloqui effettivamente. La circolare emanata dal Dap sembra lettera morta in molte carceri dove ne vengono fatti solo due al mese, mentre l’ordinamento penitenziario ne prevede uno a settimana. E spesso, anche se i detenuti e i familiari hanno il green pass sono separati dal vetro». Angela Stella

L.Loi. per “il Messaggero” il 12 dicembre 2021. Potrebbe essere una settimana molto difficile quella che arriverà a ridosso delle festività natalizie: senza prof in cattedra e senza supplenti pronti a sostituirli. L'obbligo vaccinale per il personale scolastico, a partire dal 15 dicembre prossimo, si farà sentire proprio sulla presenza dei docenti in cattedra e dei bidelli addetti alle pulizie e alle sanificazioni ma anche alla sorveglianza, qualora dovesse mancare la maestra no vax. La decisione del Governo di imporre l'obbligo vaccinale nasce dalla necessità di alzare i livelli di sicurezza in questa fase difficile, con la curva dei contagi in continua crescita. Ma non tutti si adegueranno e così gli ultimi giorni di scuola, in molti casi, potrebbero saltare per l'assenza dei non vaccinati. Tra il personale scolastico infatti, secondo le ultime stime ministeriali, il 6% resta ancora senza la prima dose: si tratta di una minima parte rispetto ai numeri complessivi ma, su un totale di circa un milione di persone, rappresenta comunque 60mila tra docenti e bidelli che mercoledì, se non sono in regola almeno con la prima dose, non entreranno a scuola. Alcuni di loro sono esentati dal vaccino per motivi di salute, altri hanno scelto di non aderire alla campagna ed è presumibile che continueranno su questa linea per motivi ideologici. Anche la quota di non vaccinati nelle scuole è ferma da settimane ormai. Nella pratica quanti saranno in ogni scuola gli assenti? Dagli uffici scolastici regionali si parla di circa 3, tra docenti o bidelli, per istituto. In alcune scuole non ce ne sono in altre invece si arriva anche a dieci. Senza vaccino comunque non potranno entrare a scuola e saranno considerati assenti ingiustificati. Al quinto giorno di assenza, invece, verranno sospesi del tutto e resteranno senza stipendio. E i loro alunni resteranno senza docente. Anche perché chiamare un supplente, sotto Natale, è un'impresa impossibile: in molti non accettano per paura di finire in quarantena con la classe dove, comunque, restano per pochi giorni. «Nella mia scuola - spiega Valeria Sentili, preside dell'istituto comprensivo Francesca Morvillo di Roma - credo che siano 10 i non vaccinati, su un totale di 150 tra docenti, bidelli e personale impiegato nelle segreterie. Non conto di trovare supplenti da qui a Natale, perché c'è la paura dei contagi e delle quarantene. Negli ultimi giorni ho trovato solo una mad, una messa a disposizione, quindi non proviene dalle graduatorie tradizionali. Tra i non vaccinati c'è chi prende tempo per capire e decidere cosa fare, magari ha dei dubbi su patologie non ancora certificate e decide di mettersi in aspettativa non retribuita o in congedo. C'è anche chi si mette in malattia e, con pochi giorni, prende tempo fino a gennaio. Tra questi c'è chi deciderà di vaccinarsi: da me è accaduto. E poi ci sono i no vax convinti, quelli che andranno avanti per la loro strada: verranno sospesi». 

"Untori dell’ordine". E la polizia risponde a Crozza. Francesca Galici il 5 Dicembre 2021 su Il Giornale. Due battute di Maurizio Crozza hanno fatto infuriare le forze dell'ordine, che rivendicano la dedizione e l'impegno quotidiano per la sicurezza del Paese. Una battuta di Maurizio Crozza ha fatto infuriare le forze dell'ordine. Il comico genovese in queste settimane è in onda con Fratelli di Crozza, il programma satirico del venerdì sera in onda su Discovery. Anche Crozza, la cui ironia tagliente è spesso incentrata sulla stretta attualità, ha preso spunto dagli ultimi eventi del Paese, dove la discussione è per lo più incentrata sulle vicende che ruotano attorno ai vaccini e al Green pass. Nel corso di un monologo proprio su questo tema, Maurizio Crozza ha definito "untori dell'ordine" gli uomini delle forze di polizia e militari non ancora vaccinati. Una battuta che non è piaciuta agli agenti, che è stata seguita da un'altra una chiusura di monologo: "Italiani vaccinatevi prima che vi contagi la polizia". Le divise hanno lamentato una mancanza di sensibilità da parte del comico. In una nota del sindacato di polizia Fsp, infatti, si legge: "Non ci saremmo aspettati da una persona preparata e d’esperienza come Crozza l’infelice battuta sui poliziotti definiti ‘untori dell’ordine’. Questa volta il comico, di grande arguzia e meritato successo, non ha fatto ridere un’intera categoria, quella degli appartenenti alle forze dell’ordine che, pur rispettosi della legge, difensori della legalità, pronti a sacrifici che nessun altro farebbe e unici italiani mortificati in molte loro libertà compresse e frustrate, hanno dei diritti come gli altri cittadini, e meritano rispetto". Queste le parole di ValterMazzetti, segretario generale Fsp polizia di Stato. Gli agenti della polizia, ma anche i carabinieri, i finanzieri e gli uomini della polizia locale, sono quotidianamente impegnati nei controlli sul territorio oltre che nel servizio di sicurezza durante le manifestazioni contro il governo del sabato pomeriggio. Da domani, inoltre, seppur senza indicazioni precise, sono chiamati anche a verificare i Green pass sui mezzi pubblici e a effettuare controlli a campione nei ristoranti, nei bar e nei luoghi della socialità, dove verrà richiesto il certificato rafforzato. Un impegno enorme per le divise italiane, che non ci stanno a essere definite in quel modo da Maurizio Crozza. "Non c’è ironia che giustifichi un messaggio così orrendo che, sottilmente, alimenta un odioso messaggio di delegittimazione di chi porta la divisa, attentando a quel rapporto di fiducia così prezioso e delicato che lega le forze dell’ordine ai cittadini", spiega Mazzetti, che quindi aggiunge: "I poliziotti che vanno in servizio hanno il green pass, a differenza di ciò che Crozza ha voluto far pensare. Fino ad ora, chi non ha voluto vaccinarsi ha potuto, trovando soluzioni diverse, e nessuno, neppure per strappare una risata, può insinuare che sol perché si indossa una divisa non si è liberi di scegliere in materie così delicate e costituzionalmente garantite". Inoltre, così come negli altri settori, anche tra le forze dell'ordine la maggior parte degli uomini e delle donne hanno ottenuto la somministrazione del vaccino. Alcuni di questi hanno già effettuato anche la terza dose. In conclusione, il segretario generale Fsp ha sottolineato: "È appena il caso di far notare a Crozza che solo gli operatori della sicurezza e pochi altri sono stati obbligati a fare qualcosa rispetto a cui il governo non trova il coraggio di imporsi con tutti".

Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.

Forze dell’ordine e Esercito uno su cinque senza vaccino. Open days l’ultima chance. Viola Giannoli,  Romina Marceca su La Repubblica il 2 ottobre 2021. Il Viminale chiama gli agenti l’11 e il 12 ottobre. Su circa 490 mila donne e uomini in divisa — tra carabinieri, poliziotti, agenti della Penitenziaria, Fiamme gialle, militari dell’Esercito, dell’Aeronautica e della Marina — ce ne sono circa 100 mila non vaccinati. Uno su cinque. Non tutti, ovviamente, sono No vax per ideologia. Anzi: ci sono i titubanti ma pure chi si è messo in fila per età anagrafica e non per professione e rientra in altri conteggi, chi è appena guarito dal Covid e non ha fatto dosi o al più solo la prima, chi allergico. E i dati sensibili hanno un margine d’incertezza per la non obbligatorietà del vaccino. Ma dopo il caso della vicequestora di Roma, Nunzia Schilirò, convinta che il Green Pass vìoli le libertà personali, si sono iniziati a fare i conti. Il 15 ottobre si avvicina a grandi passi: la deadline oltre la quale non si potrà accedere ai luoghi di lavoro senza certificazione. E forze dell’ordine e armate non sono escluse. Ecco perché dal dipartimento di Pubblica sicurezza del Viminale è partita una circolare che nel ricordare l’obbligo del Pass sottolinea la necessità di «condurre alla vaccinazione il maggior numero possibile di dipendenti, a garanzia anche della salute della collettività», attivando, se necessario, «sedute straordinarie a livello locale». La Direzione centrale di Sanità dello stesso ministero, guidata da Fabrizio Ciprani, ha indetto due Open days, 11 e 12 ottobre, per tutto il personale di polizia. L’ultima chiamata utile al vaccino. Una corsa contro il tempo nonostante le forze dell’ordine siano state inserite tra le priorità della campagna vaccinale. Dalla questura di Roma sono arrivate 60 adesioni, non si aspettano oltre i 200 disposti a ricevere il farmaco presso la Direzione sanità. Altrove il modello sarà ibrido: alle somministrazioni saranno chiamati i medici delle Asl negli hub e il personale interno nei commissariati. Ma torniamo ai numeri. Tra i 98mila poliziotti d’Italia, in 79.096 hanno aderito alla campagna vaccinale terminata a maggio, 72.932 hanno fatto due dosi. Resta quasi un 20 per cento nel limbo. «Dei 19 mila rimanenti, ci sono 11.500 poliziotti che hanno contratto il virus. Gran parte di questi si sarebbero vaccinati ma non abbiamo dati certi», spiega Ciprani. Nelle principali città il dato dei vaccinati oscilla: peggio Napoli (70,6%) e Milano (73,8%), meglio Roma (80%) e Palermo (80,6%). «Nei conteggi mancano però coloro che si sono vaccinati autonomamente», ribadisce Ciprani. Per la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese solo l’8% è senza copertura. Ma il problema dei non vaccinati è reale. Racconta un poliziotto: «Ogni giorno, soprattutto nelle sezioni volanti, c’è chi si rifiuta di salire nell’auto dove sa che c’è un collega non vaccinato». Mentre tra gli uomini in divisa No Vax, in vista del 15 ottobre, c’è chi dice: «Spero che il governo pensi a una deroga per le forze di polizia». La maggior parte dei sindacati chiede tamponi gratis, come accade davanti alla Questura di Brescia su iniziativa però di un’azienda privata, per «evitare discriminazioni», dicono Siulp, Siap e Usip. Tra le Fiamme gialle, dove l’organico conta 58.300 finanzieri, ci sono 8 mila non vaccinati. E ancora: sul sito del ministero della Giustizia si legge che su 36.939 agenti della Penitenziaria un terzo non ha fatto il vaccino. Il ragionamento è lo stesso che vale per gli altri: sono numeri che vanno scremati dai già infettati. «Ma cosa succederebbe in caso di sospensioni che si andrebbero a sommare alla gravissima deficienza degli organici già esistente e quantificata dal Dap, in 17mila unità mancanti?», chiede Gennarino De Fazio, segretario generale della UilPa Polizia penitenziaria. In coda: tra le Forze armate, fanno sapere dallo Stato maggiore della Difesa, l’83% ha ricevuto una dose, il 72% ha completato il ciclo vaccinale. Ultimo in classifica ci sarebbe l’Esercito, i carabinieri hanno i numeri più alti: su 108mila, i vaccinati sono 93.224, l’86 per cento. All’appello ne mancano 15 mila. Ma secondo il tenente colonnello della direzione di Sanità dell’Arma, Giuseppe Cenname, «il dato dei vaccinati è sottostimato»: dall’inizio della pandemia sono stati 12.500 i carabinieri positivi, di questi una quota ha fatto la singola dose.

Forze dell’ordine e Esercito uno su cinque senza vaccino. Open days l’ultima chance. Viola Giannoli, Romina Marceca su La Repubblica l'1 ottobre 2021. Su circa 490 mila donne e uomini in divisa — tra carabinieri, poliziotti, agenti della Penitenziaria, Fiamme gialle, militari dell’Esercito, dell’Aeronautica e della Marina — ce ne sono circa 100 mila non vaccinati. Uno su cinque. Non tutti, ovviamente, sono No vax per ideologia. Anzi: ci sono i titubanti ma pure chi si è messo in fila per età anagrafica e non per professione e rientra in altri conteggi, chi è appena guarito dal Covid e non ha fatto dosi o al più solo la prima, chi allergico. E i dati sensibili hanno un margine d’incertezza per la non obbligatorietà del vaccino. Ma dopo il caso della vicequestora di Roma, Nunzia Schilirò, convinta che il Green Pass vìoli le libertà personali, si sono iniziati a fare i conti. Il 15 ottobre si avvicina a grandi passi: la deadline oltre la quale non si potrà accedere ai luoghi di lavoro senza certificazione. E forze dell’ordine e armate non sono escluse. Ecco perché dal dipartimento di Pubblica sicurezza del Viminale è partita una circolare che nel ricordare l’obbligo del Pass sottolinea la necessità di «condurre alla vaccinazione il maggior numero possibile di dipendenti, a garanzia anche della salute della collettività», attivando, se necessario, «sedute straordinarie a livello locale». La Direzione centrale di Sanità dello stesso ministero, guidata da Fabrizio Ciprani, ha indetto due Open days, 11 e 12 ottobre, per tutto il personale di polizia. L’ultima chiamata utile al vaccino. Una corsa contro il tempo nonostante le forze dell’ordine siano state inserite tra le priorità della campagna vaccinale. Dalla questura di Roma sono arrivate 60 adesioni, non si aspettano oltre i 200 disposti a ricevere il farmaco presso la Direzione sanità. Altrove il modello sarà ibrido: alle somministrazioni saranno chiamati i medici delle Asl negli hub e il personale interno nei commissariati. Ma torniamo ai numeri. Tra i 98mila poliziotti d’Italia, in 79.096 hanno aderito alla campagna vaccinale terminata a maggio, 72.932 hanno fatto due dosi. Resta quasi un 20 per cento nel limbo. «Dei 19 mila rimanenti, ci sono 11.500 poliziotti che hanno contratto il virus. Gran parte di questi si sarebbero vaccinati ma non abbiamo dati certi», spiega Ciprani. Nelle principali città il dato dei vaccinati oscilla: peggio Napoli (70,6%) e Milano (73,8%), meglio Roma (80%) e Palermo (80,6%). «Nei conteggi mancano però coloro che si sono vaccinati autonomamente», ribadisce Ciprani. Per la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese solo l’8% è senza copertura. Ma il problema dei non vaccinati è reale. Racconta un poliziotto: «Ogni giorno, soprattutto nelle sezioni volanti, c’è chi si rifiuta di salire nell’auto dove sa che c’è un collega non vaccinato». Mentre tra gli uomini in divisa No Vax, in vista del 15 ottobre, c’è chi dice: «Spero che il governo pensi a una deroga per le forze di polizia». La maggior parte dei sindacati chiede tamponi gratis, come accade davanti alla Questura di Brescia su iniziativa però di un’azienda privata, per «evitare discriminazioni», dicono Siulp, Siap e Usip. Tra le Fiamme gialle, dove l’organico conta 58.300 finanzieri, ci sono 8 mila non vaccinati. E ancora: sul sito del ministero della Giustizia si legge che su 36.939 agenti della Penitenziaria un terzo non ha fatto il vaccino. Il ragionamento è lo stesso che vale per gli altri: sono numeri che vanno scremati dai già infettati. «Ma cosa succederebbe in caso di sospensioni che si andrebbero a sommare alla gravissima deficienza degli organici già esistente e quantificata dal Dap, in 17mila unità mancanti?», chiede Gennarino De Fazio, segretario generale della UilPa Polizia penitenziaria. In coda: tra le Forze armate, fanno sapere dallo Stato maggiore della Difesa, l’83% ha ricevuto una dose, il 72% ha completato il ciclo vaccinale. Ultimo in classifica ci sarebbe l’Esercito, i carabinieri hanno i numeri più alti: su 108mila, i vaccinati sono 93.224, l’86 per cento. All’appello ne mancano 15 mila. Ma secondo il tenente colonnello della direzione di Sanità dell’Arma, Giuseppe Cenname, «il dato dei vaccinati è sottostimato»: dall’inizio della pandemia sono stati 12.500 i carabinieri positivi, di questi una quota ha fatto la singola dose.

Vaccini e divise: allarme per i no vax tra poliziotti, carabinieri e militari. Adriana Logroscino su Il Corriere della Sera il 19 settembre 2021. Le forze dell’ordine tra le categorie prioritarie: hanno iniziato le somministrazioni da febbraio. Non immunizzati il 23% dei carabinieri, il 13% dei finanzieri e il 16% dei poliziotti. La chiamata a vaccinarsi, per loro, è arrivata prima che per tanti altri. Subito dopo i medici e i fragili, e insieme a over 80 e insegnanti, toccava a forze di polizia e forze armate. Lo disponeva a metà febbraio, il «programma prioritario» che l’allora commissario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri, aveva predisposto con le Regioni. Poco dopo, cambiato il commissario — il primo marzo il nuovo presidente del Consiglio, Draghi, ha nominato Francesco Paolo Figliuolo — è cambiata anche la strategia: ordine di vaccinazione non in base alla professione ma all’età. Del resto le categorie da privilegiare per via dei rischi maggiori e dell’interazione con il pubblico derivanti dal lavoro, dovevano aver già quasi completato il ciclo delle due somministrazioni. Vero, ma non del tutto. È vero, cioè, che la gran parte di carabinieri, poliziotti, appartenenti alla guardia di finanza e alle forze armate si sono vaccinati e da tempo. Tuttavia, finora chi non ha voluto farlo ha subìto, come unica restrizione, quella di non potersi sedere a mensa con i colleghi, visto che in ogni ambiente in cui si consumano pasti già vige l’obbligo di green pass. Ora, in vista dell’obbligo di esibire la certificazione per entrare in ufficio come per prendere servizio in caserma, dal 15 ottobre, alcune sigle sindacali hanno lanciato il loro allarme: cosa si fa con i no vax in divisa, dovranno tutti essere sospesi e lasciare il servizio? I numeri rassicurano. I carabinieri che hanno completato il ciclo di vaccinazione sono 81.368 su 107.723, cioè il 76,5%. E altri 11 mila e 200 sono in attesa del richiamo che con ogni probabilità riceveranno prima dell’entrata in vigore dell’obbligo di green pass. Altissima la percentuale di vaccinati nella guardia di finanza: l’87% dei 58.300 finanzieri ha completato il ciclo, e dei circa ottomila rimanenti, duemila sono guariti dall’infezione e aspettano, come previsto dalle indicazioni mediche, l’unica dose necessaria per la completa immunizzazione. A metà, tra carabinieri e finanzieri, si collocano i poliziotti: l’83,7%, cioè circa 82 mila agenti su 98 mila, è stato vaccinato. Inoltre la polizia ha avuto un alto numero di contagiati, 11 mila agenti che si sono immunizzati per effetto dell’infezione: non tutti hanno già ricevuto la prescritta dose di vaccino. È possibile che, nel boom di prenotazioni seguite al decreto del «super green pass», ci siano anche tanti poliziotti, magari giovani, che non avevano voluto approfittare della priorità. Tuttavia se tutti gli agenti non vaccinati dovessero essere sospesi dal servizio, l’ordine pubblico potrebbe risentirne. La situazione è ancora diversa nelle forze armate. Collocate anch’esse tra le categorie con diritto alla priorità nella campagna di vaccinazione, hanno regolamentato le somministrazioni uniformandosi al calendario fissato per i civili: prima i militari sanitari, quelli impiegati a supporto delle forze di polizia in attività di ordine pubblico (la campagna Strade sicure) e quelli in missione all’estero, poi tutti gli altri. Con un ritmo condizionato dalla disponibilità di dosi. Così dei 167 mila appartenenti all’esercito, alla marina e all’aeronautica, finora il 70 per cento ha completato il ciclo vaccinale e l’80% ha ricevuto la prima dose.

L'esercito peggio della scuola: immune solo uno su due. Enza Cusmai il 31 Agosto 2021 su Il Giornale. Differenze tra i vari Corpi: più avanti i Carabinieri, seguono l'Aeronautica e la Marina. I poliziotti non sono gli unici a snobbare, per il 20%, gli hub vaccinali. Anche i militari italiani, Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri, in fatto di numeri, si allineano ai membri della polizia di Stato. Scorrendo tabelle riservate a loro dedicate, infatti, si scopre che più di due componenti dell'Esercito su dieci non si sono ancora neppure accostati ad un hub vaccinale. E molti di loro sono ancora alla prima dose. Per la precisione, attualmente il 78,8% dell'intero personale ha effettuato prima o entrambe le dosi. La percentuale va ovviamente spezzettata e ci sono differenze nei quattro corpi dei militari che superano complessivamente i 282mila addetti. Prendiamo l'Esercito, di cui si contano poco meno di 100mila uomini. Qui solo il 53% ha completato il ciclo vaccinale, cioè una doppia dose. Il 16% invece ne ha fatta una sola. In totale siamo al 69%, addirittura inferiore al numero dei vaccinati a livello nazionale che ormai sfiora il 70%. Eppure lo stesso generale Figliuolo, in qualità di commissario straordinario anti Covid, vaccinandosi in un hub in tuta mimetica, avrebbe dovuto dare il buon esempio ai suoi sottoposti. Invece i militari sono uomini come gli altri, con paure e reticenze. Più rigorosi gli uomini dell'Aeronautica. Quasi 8 su 10 sono completamente immunizzati, solo uno sparuto 3% ha fatto una sola dose e alla fine la copertura del Corpo si attesta all'81,3%. Analoga situazione nella Marina. Quasi 40mila addetti e l'81,3% di copertura: 7 su 10 già immunizzati, 3 su 10 solo una dose. Poi c'è l'Arma. Qui, ci si aspetta che la copertura sia «bulgara» anche perché sono stati i primi, assieme alla polizia, ad essere beneficiati di una dose quando ancora le vaccinazioni si dovevano dedicare alle categorie prioritarie, tra cui le forze dell'ordine. Invece i dati riflettono qualche diffidenza. Il 75% del personale ha ricevuto due dosi, il 9,34% solo una dose. Risultato, siamo all'85,13%. Insomma, non sono valori simili ai sanitari, ma superano quelli dell'ex immunità di gregge fissata all'80%. «Ex» immunità visto che, la variante Delta, altamente contagiosa, non ci permette di ambire alla copertura ideale nazionale poiché ha la capacità di infettare (però senza grossi guai) anche i vaccinati. Ma dall'Arma forse la gente si aspetta abnegazione assoluta anche sul piano vaccinale. Eppure qualche opera di convincimento c'è stata. Come lo spot di sensibilizzazione diffuso sui canali interni dell'Istituzione. Alla realizzazione avevano partecipato il campione olimpico Luigi Busà, l'attore Francesco Pannofino e perfino il direttore dello Spallanzani, Francesco Vaia. Ma la diffidenza è dura a morire e nonostante il green pass obbligatorio nelle mense, nonostante il ruolo di affidabilità che ispirano alla popolazione, qualche frangia dei carabinieri scrolla la testa dinnanzi al vaccino. Ad analizzare questa parziale disaffezione è Fabio Ciciliano, dirigente medico della Polizia di Stato e membro del comitato tecnico scientifico: «Dai dati emerge che questa popolazione di lavoratori si è vaccinata più della popolazione generale anche se molti di loro erano stati messi in condizione di immunizzarsi all'inizio della campagna vaccinale come elementi importanti di una collettività». Ma non ci siamo ancora. «L'80% ormai non basta più aggiunge Ciciliano Bisogna proseguire con le vaccinazioni come tutela personale e per la tutela collettiva visto che le forze dell'ordine sono a contatto con le persone. E penso anche ai vigili del fuoco, ai vigli urbani». Per loro servirebbe l'obbligo? «Tecnicamente sarebbe la soluzione migliore - spiega Ma se non c'è intesa politica, si dovrebbe pensare ad un obbligo per tipologia di lavoro per tutti coloro che stanno a contatto con il pubblico». Enza Cusmai 

Rinaldo Frignani per corriere.it il 19 giugno 2021. Nella convocazione di qualche giorno fa agli iscritti all’Ordine dei medici di Roma doveva tenersi un’assemblea per le comunicazioni del presidente Antonio Magi e l’approvazione del bilancio di previsione del 2022. C’erano poi varie ed eventuali, ma nessuno poteva immaginare che la riunione in programma domenica mattina all’Hotel Pineta Palace in via San Lino Papa, non lontano dal Policlinico Gemelli e dall’ospedale Cristo Re, zona Pineta Sacchetti, si sarebbe trasformata in una bolgia: una cinquantina di medici no vax, alcuni dei quali già sospesi e altri in via di sospensione, hanno interrotto l’assemblea gridando insulti ai colleghi partecipanti («Buffoni, mafiosi, disgraziati») con i quali poi c’è stato anche un contatto fisico, con spintoni e qualche schiaffo, interrotto dall’intervento della polizia e di alcune pattuglie dei carabinieri. Adesso la posizione di alcuni medici coinvolti nel tafferuglio è al vaglio di chi indaga: rischiano una denuncia, oltre a provvedimenti disciplinari da parte dell’Ordine ancora più severi. Non è chiaro se l’iniziativa di protesta fosse stata organizzata in anticipo e poi messa in atto. Alcuni dei medici no vax sono anche intervenuti nel corso dell’assemblea, salendo sul palco e strappando il microfono dalle mani di cui stava parlando in quel momento, manifestando il loro dissenso sull’obbligatorietà del vaccino e anche sulla sospensione stessa del personale sanitario che rifiuta il siero a fronte di altri medici per i quali non sono state adottate le stesse misure nonostante siano morosi rispetto al pagamento delle quote dell’Ordine o coinvolti in procedimenti di altro genere. Alla fine la seduta per il bilancio è stata rinviata a data da destinarsi. Fra i no vax intervenuti anche una dottoressa del San Camillo-Forlanini: «Nell’Ordine dei medici ci sono professionisti che non pagano la tassa annuale - ha detto -, ma invece ci si sbriga a sospendere i medici che non sono vaccinati. Per il fatto di non essere vaccinata sono stata demansionata: ora il mio compito è contattare i pazienti per fissare gli appuntamenti sull’assistenza medica». Il ministro della Salute Roberto Speranza ha sentito telefonicamente il presidente Magi dopo quanto accaduto, esprimendogli «solidarietà oltre che gratitudine per il lavoro quotidiano svolto a tutela del diritto alla salute». Solidarietà anche da parte del presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti: «Un medico deve combattere le malattie non trasmetterle e chi non ha fiducia nella scienza e nella medicina non può fare il medico. Solidarietà a tutto il personale sanitario e ai medici oggi contestati da no vax». Un episodio «inaccettabile, e intollerabile nei tempi e nei modi», secondo il presidente della Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici, Filippo Anelli, per il quale «gli Ordini sono organi sussidiari dello Stato e hanno il dovere e l’obbligo di dare attuazione alle norme stabilite per legge - spiega -. Fermi restando i risvolti disciplinari e giudiziari di alcuni comportamenti come quelli visti oggi, gli Ordini avvieranno immediatamente la procedura per rilevare i medici non vaccinati. Le sospensioni, con questa nuova norma che riporta in capo agli Ordini le responsabilità, arriveranno in pochi giorni». «Mi dispiace - aggiunge proprio Magi - come medico e presidente dei medici assistere a queste manifestazioni di degenerazione della categoria. In questi mesi ho sempre cercato il dialogo con chi non la pensa come me. Credo che però la situazione sia sfuggendo di mano un po’ a tutti. Continuo a chiedere e a sperare in un’azione che in questo grave momento di pandemia tuteli la salute di tutti i cittadini. Seppur amareggiato per quanto accaduto stamattina ribadisco che l’Ordine di Roma è, e resta aperto ad ascoltare la istanze di tutti i suoi iscritti, nessuno escluso».

(ANSA il 22 dicembre 2021) - Da novembre ad oggi i carabinieri dei Nas hanno scoperto 308 medici e operatori sanitari non vaccinati irregolarmente al lavoro. Durante i servizi di controllo, i militari hanno monitorato 6.600 posizioni. Deferiti alle procure 135 tra medici, odontoiatri, farmacisti, infermieri e altre figure ritenute responsabili di esercizio abusivo della professione per aver proseguito lo svolgimento delle proprie attività nonostante fossero oggetto di provvedimenti di sospensione. Eseguite anche chiusure e sequestri di 6 studi medici e dentistici nonché di 2 farmacie, al cui interno svolgevano l'attività professionisti già sospesi. Durante l'attività investigativa, i carabinieri hanno sequestrato anche farmaci e dispositivi medici fraudolentemente utilizzati nel corso di attività e pratiche mediche da parte di soggetti non aventi titolo alla loro detenzione ed impiego. Il lavoro dei Nas proseguirà con ulteriori servizi di controllo sull'osservanza delle varie tipologie di Green pass ed il rispetto degli obblighi vaccinali. Le operazioni che hanno portato all'identificazioni di medici e sanitari non vaccinati al lavoro hanno riguardato in particolare Piemonte, Sicilia, Trentino, Emilia-Romagna, Veneto e Campania. 

Da quotidiano.net il 3 dicembre 2021. Medici non vaccinati ugualmente al lavoro, i carabinieri del Nas ne hanno trovati almeno 281, nei controlli effettuati in questi giorni in tutta Italia per individuare il personale sanitario che nonostante tutto continua a violare la normativa anti Covid. Dei 281 non in regola, 126 erano anche stati sospesi dagli ordini professionali perché no vax. Senza certificato sanitario anche otto medici di famiglia e pediatri, scoperti in Abruzzo, Sardegna, Campania e Lazio. Controlli anche nelle Asl di Calabria, Sicilia, Molise e provincia di Bolzano, in questo caso s'indagava perché non erano stati presi provvedimenti amministrativi e disciplinari nei confronti dei no vax. Verifiche effettuate in oltre 1.600 strutture pubbliche e private e circa 4.900 posizioni di medici, odontoiatri, farmacisti, veterinari, infermieri e fisioterapisti. 

Nas Campobasso 

Sono 21 i dipendenti dell'Azienda Sanitaria Regionale Molise, tra questi 3 dirigenti medici, 1 puericultrice, 3 tecnici sanitari, 2 assistenti sociali/amministrativi, 11 infermieri e 1 O.S.S., deferiti all'Autorità giudiziaria per aver continuato ad esercitare la professione, nel periodo aprile-novembre 2021, non avendo ancora ricevuto la vaccinazione obbligatoria. Informati i rispettivi ordini professionali e l'Azienda Sanitaria Regionale competente. In un reparto dell'ospedale di Termoli (CB) un medico svolgeva la propria attività sprovvisto di certificazione verde perchè non aveva fatto la seconda dose. 

Nas Latina

A Latina, durante verifiche in una farmacia, trovate le ricette di un medico di medicina generale con studio in Aprilia, risultato non in regola con l'obbligo vaccinale. Il dottore è stato segnalato all'Asl che ha emesso un provvedimento di sospensione a svolgere prestazioni o mansioni che implichino contatti interpersonali. Ma non è bastato, infatti i Nas lo hanno sorpreso mentre continuava ad effettuare visite nel suo studio. Nella rete dei militari anche due medici di medicina generale, titolari di due studi in provincia di Latina: entrambi lavoravano senza il certificato vaccinale. Deferito anche un odontoiatra a Priverno (LT). 

Nas Pescara

A Città Sant'Angelo (PE) è finita nei guai una pediatra convenzionata con la ASL di Pescara. In corso verifiche su sospensivi già emessi dalla ASL o dall'ordine di appartenenza del medico. In due presidi sanitari ad Avezzano (AQ) sono state trovate 7 persone non vaccinate al lavoro: 1 dirigente veterinario, 3 infermieri, 3 operatori socio assistenziali.

Nas Cagliari

In Sardegna non aveva smesso di fare visite un medico di medicina generale con studio nella provincia di Cagliari. Il dottore era sospeso ufficialmente dall'impiego e dall'ordine professionale per omessa vaccinazione. 

Nas Napoli

Un dottore, sospeso dall'Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della provincia di Napoli, continuava ad esercitare professione sanitaria di medico di base in uno studio a Casoria (NA). 

Nas Bologna

A Bologna in un'unità operativa pediatrica di un nosocomio è stata sorpresa una dottoressa, sospesa dal proprio Ordine, mentre svolgeva visite ambulatoriali. 

Nas Trento 

A Bolzano nel mirino è finito uno studio odontoiatrico dove erano all'opera un'assistente alla poltrona, già sospesa perché non vaccinata, e la segretaria senza green pass valido. Sempre in uno studio dentistico, ma a Bressanone (BZ) i carabinieri hanno deferito un odontoiatra e l'assistente alla poltrona (già sospesa). Deferito anche il legale rappresentante di uno studio odontoiatrico di Lavis (TN), per aver omesso di comunicare all'Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento che una dipendente assistente alla poltrona non era vaccinata. 

Nas Catania

A Messina nei guai un medico esterno in convenzione presso l'Inps e anche membro di una Commissione di Valutazione dell'Invalidità Civile, continuava ad eseguire visite sebbene già sospeso. In un ospedale in provincia di Catania i militari hanno trovato in servizio un infermiere professionale ed un'ostetrica a cui era già stata notificata la sospensione. Nel medesimo nosocomio sono risultati non vaccinati altri 4 tra infermieri e operatori assistenziali.

Nas Palermo

A una farmacia privata di Bagheria (PA) notificato un provvedimento di sospensione perché il titolare, sospeso per inottemperanza all'obbligo vaccinale, non aveva designato un nuovo direttore tecnico. Stesso provvedimento per una farmacia di Bompietro (PA) perché il direttore tecnico responsabile della struttura non aveva lasciato la cariva sebbene non vaccinato. Inoltre era stato sospeso dall'Ordine dei Farmacisti di Palermo.  

Nas Parma

Uno studio medico di Modena è stato sottoposto a sequestro penale preventivo perché la responsabile, un medico chirurgo specialista in medicina interna, continuava ad esercitare la professione senza aver ricevuto il vaccino. Sequestrato penalmente anche uno studio (da 250.000 euro) di un odontoiatra per gli stessi motivi. 

Nas Torino 

Deferito un odontoiatra scoperto all'opera nel proprio studio dentistico di Novara, sebbene sospeso dall'albo dei medici chirurghi odontoiatri a seguito della mancanza di immunizzazione. Sequestrato un box odontoiatrico del valore di euro 80.000. Sempre in Piemonte deferita una farmacista di Carmagnola (TO), già sospesa dall'ordine professionale. 

Nas Udine

Una segnalazione al Dipartimento di prevenzione ASL ed all'Ordine per una laureata farmacista, in provincia di Udine, sorpresa sul posto di lavoro non in regola con gli obblighi vaccinali.  Anche il titolare di una farmacia della provincia di Udine è stato segnalato all'ASL competente ed all'Ordine dei Farmacisti. 

Nas Firenze 

A Firenze un altro odontoiatra, sospeso dall'ordine professionale per mancata sottoposizione agli obblighi di vaccinazione, continuava ad esercitare in alcuni locali abusivi. Scoperte anche 12 fiale di anestetici scadute.

Nas Brescia 

In provincia di Lecco scoperta una farmacista intenta a svolgere la professione benchè sospesa dall'ordine. Stessa cosa in una farmacia di Leno (BS): il farmacista titolare della struttura esercitava sebbene sospeso. Inoltre deferiti 13 farmacisti, tra titolari e dipendenti, tutti operanti in farmacie della provincia di Brescia. 

Nas Perugia

Due veterinari deferiti alla competente A.G., per esercizio abusivo della professione in un ambulatorio a Corciano (PG). Uno dei due, era già stato sospeso dal proprio ordine professionale.

Nas Bologna 

Due titolari di una farmacia di Cesena (FC) e di una parafarmacia di Rimini deferiti per aver dispensato medicinali ai clienti, nonostante fossero sospesi dall'Ordine.  

Nas Livorno

Scoperti i titolari di due farmacie, nella provincia di Livorno, al lavoro ma sospesi. 

Nas Aosta

Nella rete dei cc una psicologa che continuava ad effettuare prestazioni professionali nel suo studio, ma era già stata sospesa dall'albo professionale per non aver ottemperato all'obbligo di sottoporsi a vaccinazione. 

Nas Lecce

Non vaccinati sorpresi in una clinica di riabilitazione convenzionata di Lecce. Segnalati il titolare ed una fisioterapista dipendente. Quest'ultima era già stata sospesa e continuava ad esercitare con il consenso del datore di lavoro.  

Nas Taranto

In una farmacia di Fasano (BR), il farmacista titolare ed un dipendente, già sospesi dall'ordine professionale, sono stati trovati intenti ad operare con mansioni diverse da quelle di farmacista. Sprovvisti di green pass, hanno esibito ai militari un tampone scaduto di validità. 

Nas Viterbo

Due medici chirurghi specializzati impiegati presso un poliambulatorio di Civita Castellana (VT), sono stati segnalati all'Ordine dei Medici-Chirurghi e all'ASL per avere esercitato la professione medica presso la struttura sanitaria senza essere stati sottoposti a vaccinazione obbligatoria. 

Nas Caserta 

In provincia di Caserta scovata una cardiologa in uno studio medico polifunzionale della provincia di Caserta, no vax e già sospesa dal proprio Ordine: è stata segnalata alla competente Autorità Giudiziaria. Una fisioterapista ed una O.S.S trovate al lavoro, senza essere vaccinate, in un centro di riabilitazione della provincia di Caserta.

Controlli a tappeto: trovati medici no vax in tutta Italia. Alessandro Ferro il 3 Dicembre 2021 su Il Giornale. Il blitz dei Nas: scoperti 281 tra medici e sanitari no vax ancora sul posto di lavoro. Ora per loro si ipotizza il reato di esercizio abusivo della professione sanitaria. Nonostante fossero ancora senza alcuna dose vaccino continuavano a esercitare la loro professione. I carabinieri del Nas hanno scoperto e denunciato 281 tra medici e sanitari no vax presenti irregolarmente sul posto di lavoro.

L'operazione è stata possibile grazie ad un accordo con il ministero della Salute: sono state controllate ben 1.609 strutture sul territorio nazionale oltre a innumerevoli Centri sanitari privati e pubblici. Nel complesso, sono state veriticate quasi cinquemila posizioni di varie figure professionali quali medici generici, farmacisti, odontoiatri, infermieri e altri ancora. Durante questi controlli, sono emerse ben 281 persone non in regola con quanto stabilito dalla legge (vaccino anti-Covid obbligatorio) che continuanavano a esercitare come se nulla fosse.

Esercizio abusivo professione sanitaria

Tra questi, ben 126 erano già stati sospesi dall'Ordine professionale di appartenenza ma hanno comunque continuato la loro attività come liberi professionisti negli studi privati, in ospedali pubblici e cliniche private sperando di farla franca. Per queste figure, l'autorità giudiziaria ipotizza il reato dell'esercizio "abusivo della professione sanitaria" perché in servizio nonostante la sospensione. Come riporta Il Messaggero, sono stati segnalati otto medici di famiglia mai vaccinati di Abruzzo, Sardegna, Campania e Lazio. Oltre alle denunce, l'operazione dei Nas non è ancora finita perché sono tutt'ora in corso altri accertamenti verso le Asl di altre Regioni quali Molise, Calabria e Sicilia e la Provincia Autonoma di Bolzano "per possibili condotte omissive e di inerzia nella regolare predisposizione dei provvedimenti amministrativi e disciplinari nei confronti del personale risultato non vaccinato".

Per altri sanitari no vax sospesi, ce ne sono stati due che hanno deciso di tornare sui propri passi, vaccinarsi e l'Asl, preso atto del loro adempimento all'obbligo vaccinale, ha comunicato la fine della sospensione: è accaduto a Latina dopo i provvedimenti decisi nell'ultima riunione della commissione aziendale istituita dall'Azienda sanitaria proprio per vigilare sul rispetto dell'obbligo vaccinale da parte degli operatori sanitari e scovare eventuali "furbetti" che, puntualmente, sono stati scoperti.

"Ferma determinazione per i non vaccinati"

"Un’iniziativa di questo genere ribadisce la nostra ferma determinazione nel dire che la vaccinazione è lo strumento più efficace per uscire dal Covid”, ha affermato il presidente della Fnomceo (Federazione degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri), Filippo Anelli. "Un medico non vaccinato, se non per motivi di salute, dovrà essere sospeso e lo farà il suo Ordine - spiega Anelli in un comunicato pubblicato sul sito. "La Federazione sarà protagonista perché interrogherà la piattaforma nazionale sui green pass da cui estrarrà i nominativi di coloro che non sono vaccinati e li invierà ai singoli Ordini”, conclude.

Attualmente, medici e camici bianchi sospesi in Italia per non essersi sottoposti alla vaccinazione anti-Covid sono 1.614, lo 0,3% del totale secondo gli ultimi numeri aggiornati dalla Fnomceo dopo aver ricevuto dalle Asl. In realtà, i sanitari sospesi inizialmente erano 2.113, ma di questi 499 (quasi uno su quattro) si sono convinti a vaccinarsi potendo così rientrare a lavoro.

Alessandro Ferro. Catanese classe '82, vivo tra Catania e Roma dove esercito la mia professione di giornalista dal 2012. Tifoso del Milan dalla nascita, la mia più grande passione è la meteorologia. Rimarranno indimenticabili gli anni in cui fui autore televisivo dell’unico canale italiano mai dedicato, Skymeteo24. Scrivo per ilGiornale.it dal mese di novembre del 2019 occupandomi soprattutto di cronaca, economia e numerosi approfondimenti riguardanti il Covid (purtroppo). Amo fare sport, organizzare eventi e stare in compagnia delle persone più care. Avviso ai naviganti: l’arancino è sempre maschio, diffidate da chi sostiene il contrario.

(ANSA il 9 gennaio 2022) - I sacerdoti non vaccinati non potranno distribuire la comunione. Lo ha stabilito con decreto il vescovo della diocesi di Teano-Calvi (Caserta), Giacomo Cirulli, che ha esteso il divieto anche a diaconi e laici non vaccinati vista la situazione pandemica "in costante e grave peggioramento". 

Ha anche deciso la sospensione di ogni "attività pastorale, catechistica e formativa in presenza". Il vescovo ha richiamato le parole del Papa: "vaccinarsi con vaccini autorizzati dalle autorità competenti è un atto d'amore". Cirulli ha ricordato come le ostie sull'altare debbano "essere tenute rigorosamente coperte nei previsti vasi sacri".

·        Gli irresponsabili.

Covid, Hoara Borselli: “La liturgia del terrore non va in vacanza”. Hoara Borselli, Giornalista, su Il Riformista il 30 Giugno 2022 

Siamo ripiombati nella solita narrazione liturgica del terrore sul Covid.

È innegabile che ci sia un’ondata di contagi dalla variante Omicron 5, si contano circa un milione di positivi. Ma la domanda che mi pongo è la seguente: quando si può iniziare veramente ad affrontare questo virus come una malattia endemica ed abbandonare definitivamente quel clima di emergenza perenne che vuole renderci tutti dei pazienti a vita? È giusto o no fomentare un clima di allerta ed instillare negli italiani la convinzione che questo virus sarà per noi una costante minaccia?

A leggere i titoli di oggi che campeggiano sulle prime pagine dei principali quotidiani nazionali sembra che si voglia persistere nel dire che nulla è cambiato. Ci sono stati i vaccini, c’è ormai un atteggiamento consapevole rispetto alle precauzioni individuali, ma tutto questo non basta per dire che forse qualcosa è cambiato.

Che l’approccio deve essere diverso ce lo dice il Primario del reparto di malattie infettive dell’Ospedale San Martino di Genova, Bassetti. Dobbiamo mentalizzarci a trattare come endemia quella che fino a ieri era una pandemia.

Questa mattina ero presente con lui in un dibattito durante la trasmissione Morning News e ha ribadito senza alcuna esitazione che continuare a trasmettere bollettini giornalieri con numeri e percentuali è deleterio.

Lo è per le persone che si sentono divise in due fazioni, i buoni che non si riescono a staccare dalle mascherine e che si sentono quindi ancora in pericolo e i cattivi che invece stanno affrontando anche questa ondata con la consapevolezza di viverla senza allarmismi e che hanno abbandonato il feticcio sul volto.

Ha tuonato a gran voce che i numeri non indicano nulla perché le terapie intensive sono occupate per l’80% da fragili che hanno altre patologie e si sono poi scoperti “anche” positivi al Covid. Detta così è un po’ diversa la narrazione non trovate? Essere contagiati non vuol dire essere malati.

Leggendo però la grande stampa è palese che non c’è alcun interesse a far si che si vogliano tranquillizzare gli italiani. Vi riporto qualche titolo di oggi.

“Messaggero”: Tornano le mascherine al chiuso? L’assessore alla sanità del Lazio: “Chiederò l’obbligo al governo”.

“La Stampa”: Crisanti: «La nuova ondata? Sarà come una vaccinazione di massa. Basta tamponi fai-da-te, serve un’indagine sui positivi» E ancora sul “Messaggero”: virologi si dividono mentre riesplodono i contagi

Capite che tutto questo non fa altro che da cassa di risonanza alla paura. Sembra essere tornati indietro di mesi. Sembra che i vaccini non siano mai esistiti. È anche su questo che il Professore Bassetti ha lanciato un allarme.

“Questa campagna di terrore mediatico sarà deleteria per la prossima campagna vaccinale. Lancia un messaggio pericolosissimo. Sta dicendo agli italiani che nonostante i vaccini le terapie intensive di riempiono. È chiaro che tutto ciò porterà le persone a non fidarsi più quando verranno chiamate a sottoporsi all’inoculazione autunnale”.

Non so quale interesse possa esserci dietro la necessità di dover reiterare nel tenere gli italiani incatenati nella morsa della paura, qualunque esso sia, rischia di creare danni enormi.

A livello psicologico e alla nostra economia, con un turismo che rischia di bloccarsi se continuiamo ad offrire al mondo, l’immagine dell’Italia come di un Paese perennemente in stato di emergenza.

Da leggo.it il 28 marzo 2022.

E' stato arrestato dai carabinieri del Nas di Torino, Giuseppe Delicati il medico no vax di Borgaro Torinese accusato di aver rilasciato certificati di esenzione dalla vaccinazione anti Covid senza avere la qualifica. Dovrà rispondere di errore determinato dall'altrui inganno e falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici. 

Le indagini, coordinate dalla procura di Torino, sono state avviate nel settembre 2021, quando il medico di base 61enne aveva manifestato pubblicamente le sue idee contrarie al vaccino ed era emerso un assembramento anomalo di utenti in coda all'esterno dello studio medico del piccolo centro della cintura del capoluogo piemontese. 

Delicati era finito nell'occhio del ciclone già ad ottobre 2020 per alcune sue esternazioni sul Covid e, soprattutto, sul vaccino antinfluenzale che, a suo parere, rafforzava il virus. Frasi negazioniste che aveva affidato ad un video (poi rimosso) circolato su diversi canali social. Il video gli era valso una segnalazione all'Ordine dei medici di Macerata, dove era iscritto nonostante da tempo lavorasse nello studio di Borgaro. 

Un anno dopo Delicati era stato sorpreso dai carabinieri a firmare un gran numero di esenzioni dal vaccino anti covid, benché non ne avesse i requisiti, anche a persone che non erano suoi pazienti e, tra questi, personale sanitario, scolastico o appartenente alle forze dell'ordine che, in questo modo, tentava di aggirare l'obbligo vaccinale. A gennaio l'Asl To4 gli aveva revocato la convenzione con il Sistema Sanitario Nazionale mandandolo in pensione anticipata. 

Nei confronti del medico, il gip ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza ed il concreto pericolo di reiterazione del reato in relazione al rilascio di un numero indeterminato di certificati medici di esenzione o differimento dalla vaccinazione Covid-19, in assenza del requisito essenziale relativo al possedimento della qualifica di medico vaccinatore nell'ambito della campagna di vaccinazione al Covid-19.

Qualifica ricoperta dal medico solo per un brevissimo lasso temporale intercorso dall'ottenimento delle fiale ad ottobre 2021 fino alla data di revoca della convenzione con il Ssn disposta quale provvedimento disciplinare dall'Asl di competenza To4.

Andrea Bucci Irene Famà per “la Stampa” il 29 marzo 2022.

«Io mi sento nei panni di Dante. Do retta a Virgilio, non mi curo di loro e vado avanti. Non me frega proprio niente». Avanti come? Giuseppe Delicati, medico di base di Borgaro, comune alle porte di Torino, dispensava certificati di esenzione vaccinale a chi non ne aveva titolo. Al punto che fuori dal suo studio quotidianamente si affollavano centinaia di persone. Docenti, sanitari, esponenti delle forze dell'ordine. E lui «volantinava». A chi non era suo paziente forniva i moduli per diventare suo assistito: «Una volta che hai ottenuto quello che occorre, torni dal tuo medico».

Si descriveva come un «salvatore». Ieri è stato arrestato. I carabinieri del Nas di Torino gli hanno notificato una misura cautelare in carcere per falso ideologico in atto pubblico. Mentre 73 persone sono state indagate per concorso. C'è poi un ulteriore filone nell'inchiesta coordinata dal pm Gianfranco Colace che riguarda la morte per Covid di un torinese di 70 anni. L'uomo, così emergerebbe dalle intercettazioni, si rivolge al medico No Vax. Segue consigli e terapie. Muore il 12 gennaio, dopo un ricovero in ospedale. La procura di Torino ha disposto l'autopsia per verificare eventuali responsabilità. E altre persone, consigliate da lui, avrebbero contratto il Covid e avuto problemi di salute. Ma questa è un'altra storia.

Anche la procura di Ivrea ha un fascicolo su Delicati, sempre per falso ideologico. Gli accertamenti sono in corso; domani Delicati, assistito dall'avvocato Mirko Damasco di Rimini, si presenterà davanti al giudice per l'interrogatorio di garanzia. Su un aspetto, però, non sembrano esserci dubbi. E lo sottolinea nell'ordinanza il giudice Edmondo Pio: Delicati era «pienamente consapevole di operare nell'illegalità». Sulla base «di convinzioni ideologiche che non tengono volutamente in conto» la normativa.

La sua posizione sui vaccini l'aveva resa pubblica già il 20 ottobre 2020 con un video su YouTube: «Il vaccino antinfluenzale attiva il Covid». E ancora. A una signora che era arrivata dalla Lombardia per ottenere il certificato ad hoc: «Lo so, questa è la normativa, ma non rispetta i canoni della scienza. È un controsenso. Ha solo il senso di andare ad arricchire Bit-Farma. È un senso soltanto politico ed economico. Va contro ogni logica scientifica».

Il suo nome, nelle chat No Vax, sino a ieri era sempre presente. Fuori dal suo studio arrivavano a centinaia da ogni parte d'Italia. Al punto che la sua segretaria, per evitare il caos, distribuiva biglietti in ordine cronologico. Fino a sessanta al giorno. L'Ordine dei medici di Macerata, a cui apparteneva, lo sospende, così anche l'Asl To4. La Procura di Torino e quella di Ivrea aprono un fascicolo. Lui urla al complotto. Tuona contro la «massoneria», sbandiera nomi di avvocati della galassia No Vax e annuncia querele a tutto andare. «Sono un medico vaccinatore, ma non mi danno i vaccini». In realtà Delicati è stato iscritto alla campagna vaccinale «esclusivamente» dal 17 marzo al 30 aprile 2021. «Senza però aver somministrato alcuna dose».

Il suo «modo di agire - si legge nell'ordinanza - è condizionato da un'impostazione ideologica per la quale non ha tenuto conto dei vari procedimenti disciplinari a suo carico». Impostazione ideologica che per lui è una sorta di fede. A sua sorella, che lo invita alla cautela, che lo implora di non mettersi nei guai, risponde: «Ricordati queste parole. Il dottor Delicati è un medico stimato. Ti puoi vantare di tuo fratello. Le persone che mi fanno del male pagheranno le loro malefatte. Ricordati queste parole, sei cristiana, tu, queste cose le capisci». Il 18 gennaio scatta la pensione anticipata, ma Delicati continua a dispensare consigli e certificati. In fondo, basta retrodatarli.

All'Ordine dei medici di Macerata, che l'ha convocato per un procedimento disciplinare, non si presenta. Chiede a una collega di rilasciargli un certificato per un sospetto trauma al gomito e al bacino a seguito di una caduta sul ghiaccio in Valle d'Aosta. Una bugia? «Mi hai messo nei casini», dice lei al telefono. «Prendi, vai e mi revochi».

Palermo, convinti di aver fatto il vaccino: 47 beffati dall’infermiera No Vax. "Ci diceva di fare la croce". Scatta un nuovo arresto. Salvo Palazzolo su La Repubblica il 25 Marzo 2022.

L’indagine della Digos e della Procura si allarga, un’altra ordinanza di domiciliari per la sanitaria Giorgia Camarda, in servizio all’Hub della Fiera. Il questore Laricchia: "Da questa inchiesta scenari sempre più inquietanti".

Arriva una svolta a sorpresa nell’inchiesta che ha smascherato un giro di false vaccinazioni e all’arresto di due infermiere, fra dicembre e gennaio. Ad alimentare il sistema non c’erano soltanto soldi e favori: le intercettazioni disposte dalla procura di Palermo hanno scoperto che Giorgia Camarda, in servizio all’Hub della Fiera, era una convinta No Vax, al punto di fare numerose false vaccinazioni. All’insaputa dei malcapitati che avevano avuto la sfortuna di essere stati assegnati a lei. L’infermiera faceva l’iniezione, ma poco prima aveva svuotato la siringa su una garza. Questa mattina, i poliziotti della Digos le hanno notificato un’altra ordinanza di custodia cautelare che le impone nuovamente i domiciliari, un primo provvedimento era scattato a gennaio.

Dice il questore di Palermo Leopoldo Laricchia: "Quest'inchiesta nel suo sviluppo svela scenari sempre più inquietanti. Adesso si scopre che non bastava la frode per non vaccinarsi o per l'avidità del denaro, siamo addirittura giunti a sostituirsi al giudizio individuale di ciascuno agendo contro la sua volontà. Col rischio concreto di provocare danni irreversibili alle persone". Sono drammatici i racconti di alcuni testimoni beffati dall'infermiera: "Cantava canzoni religiose e ci diceva di fare la croce prima dell'iniezione".

Il procuratore aggiunto Sergio Demontis e il sostituto Felice De Benedittis contestano i reati di peculato e falso. La giudice delle indagini preliminari Donata Di Sarno ha disposto anche il sequestro di 47 Green pass a persone che non avrebbero ricevuto la seconda dose, i casi sono emersi dalle riprese di una telecamera nascosta piazzata all’Hub: ora, la polizia sta contattando tutti i protagonisti di questa incredibile vicenda, per rimediare alla dose non fatta. E, intanto, le indagini della Digos diretta da Giovanni Pampillonia proseguono.

La prima infermiera arrestata, Anna Maria Lo Brano, ha ammesso davanti ai magistrati di avere fatto le false vaccinazioni per soldi ("Dovevo mantenere gli studi universitari di mio figlio", ha detto in lacrime) e ha chiamato in causa alcuni complici, che si sarebbero occupati di reclutare i No Vax. Nel primo blitz di dicembre, erano stati arrestati anche il leader del movimento No Vax Filippo Accetta e un commerciante suo amico, accusati di aver pagato per ottenere i servizi della sanitaria. Un'inchiesta nata per caso, dopo il controllo di alcuni Green Pass falsi.

Nuove accuse a infermiera che faceva finte vaccinazioni: decine di casi a loro insaputa. Redazione Cronache su Il Corriere della Sera il 25 Marzo 2022.

Era stata arrestata a gennaio. Gli inquirenti ritengono che abbia finto di vaccinare anche persone del tutto ignare che ora sono senza copertura.

Nuove accuse per Giorgia Camarda, 58 anni, l’infermiera arrestata a gennaio per aver finto di vaccinare contro il Covid a no vax in cambio di soldi. La donna avrebbe simulato somministrazioni anche a decine di persone ignare di essere ora senza copertura vaccinale. «Ho agito solo per bisogno di denaro», aveva detto al momento dell’arresto, «per mantenere gli studi universitari di mio figlio». Già a dicembre era stata arrestata una sua collega che per 450 euro aveva finto di vaccinare il leader no vax di Palermo e un suo amico.

La donna si sarebbe resa responsabile di 47 episodi di falso ideologico e peculato. Questa volta, però, i pazienti sarebbero stati ignari. La Camarda, infatti, avrebbe agito non per soldi, ma perché fermamente contraria ai vaccini. Nel corso delle indagini, grazie alle telecamere piazzate nell’hub vaccinale dalla polizia, è emerso che in altre due giornate la donna avrebbe praticato false vaccinazioni nei confronti di altri 47 utenti.

Assalto alla Cgil: arriva uno scandaloso provvedimento dello Stato. Redazione su Nicolaporro.it il 6 Maggio 2022. Di Fabio Massimo Nicosia, avvocato, Presidente del Partito Libertario e del Fronte di Liberazione Nazionale.

Il Pannella dei tempi d’oro diceva che i radicali erano invisi ai salotti bene della borghesia progressista, perché si mettevano le dita nel naso e stavano scomposti a tavola. Chissà che cosa direbbero oggi Pannella e quei salotti buoni di Nicola Franzoni, segretario del Fronte di Liberazione Nazionale, il quale, non si sa se con le dita nel naso o meno, è arrivato addirittura a orinare sul muro di non so più quale Palazzo istituzionale romano, ricavandone immediatamente un foglio di via obbligatorio (ma orinare sul detto Palazzo è reato o non è reato?).

Forse a Pannella Franzoni sarebbe piaciuto, anche perché, come scrisse Pasolini, quei radicali non ebbero mai timore di immischiarsi con “fascisti”, e Franzoni è un visitatore frequente di Predappio, per quanto il suo “fascismo” sembra più, per dirla con De Felice, Fascismo-movimento che Fascismo-regime: in sostanza il fascista Franzoni è l’unico vero anarchico ottocentesco o primo-novecentesco che abbiamo in Italia – e del resto Turati scrisse che il Mussolini direttore dell’”Avanti” era un “anarchico perfetto”- amante del bel gesto D’Annunziano, consistente, nella mass-mediatica di oggi, nell’insultare Presidente del consiglio, Presidente della Repubblica, e chi capita capita, ovviamente a proprio rischio e pericolo.

E infatti la questione è che però, da quel primo foglio di via in poi, ormai saranno due anni, il “nemico del popolo” Franzoni di fogli di via obbligatori ne ha accumulati una collezione, dato che, essendo formalmente “attenzionato” da Ministero dell’Interno e Digos, ovunque andasse per un’iniziativa politica, veniva fermato e si vedeva prontamente servito un foglio di via bello fresco dopo l’altro.

Contro gli ultimi tre fogli di via ricevuti (Torino, Napoli, Monza), Franzoni ha proposto ricorso al Tar Lazio; senonché, pendente questo, la sua situazione si è molto aggravata, essendo stato intanto “raggiunto” da un provvedimento giudiziario di custodia cautelare, per i famosi fatti del 9 ottobre 2021, relativi all’occupazione della sede della Cgil, per quanto l’ordinanza non affermi che Franzoni sia stato tra gli occupanti, ma, probabilmente facendogli troppo onore, lo indicano come “agitatore delle folle” (e torniamo al linguaggio di una volta), e quindi, in termini tecnico-giuridici, un istigatore. Addirittura, qualcuno accusò Franzoni di eccesso di moderatismo proprio per non avere partecipato all’assalto, non per avervi partecipato, ma noi sappiamo già dalle inchieste degli anni ’70 sull’Autonomia operaia che, se uno non partecipa, vuol dire che è un “capo”, e quindi è più grave non partecipare che partecipare.

Qualcuno avvezzo a discorsi di diritto si sorprenderà di un provvedimento “cautelare”, il quale arriva a sei mesi dal fatto, senza che siano allegati pericolo di fuga, di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato; ma questo qualcuno non starebbe considerando che Franzoni è un “nemico del popolo”, altri direbbe ormai un capro espiatorio, e infatti egli non si è certo solo limitato, sei mesi fa, ad aizzare le folle, ma, cosa ben più grave, è un “radicale critico delle politiche governative in materia di lotta alla pandemia, con ripetuti insulti alle Istituzioni della Repubblica, presidenza del Consiglio e della Repubblica comprese”.

Strana nemesi, il fascista colpito dalla normativa di derivazione fascista sui vilipendi, ma abbiamo già detto che Franzoni più che fascista è un anarco-fascista, e quindi ama la sfida, gli piace fare “quello che gli pare”, anche nella gestione interna del suo partito, per questo in realtà mi è simpatico, in questo paese di rimbambiti che il massimo di disobbedienza che sanno esprimere è di portare la mascherina anche quando non è necessario, né obbligatorio. E infatti quelle parole ricorrono di continuo negli atti che riguardano Franzoni, il nemico del popolo, infatti, è un “insultatore seriale”, come se insultare il governante non fosse una sorta di diritto naturale del popolo sovrano, nel paese che ha esportato in tutto il mondo l’espressione “Piove, governo ladro”.

Ancor meno tollerabile è che Franzoni sia sistematicamente accusato di disprezzare mascherine e vaccini, di ritenerli atti giuridicamente nulli, il che, si badi, è suo pieno diritto in base all’art. 54 della Costituzione, il quale, secondo la migliore dottrina ammette la disobbedienza nei confronti delle leggi reputate invalide, pur non essendo il testo approvato dell’art. 54 identico all’originario progetto Dossetti: e si noti bene che il cittadino è “legittimato a disobbedire sulla base di un suo giudizio soggettivo sull’illegittimità della norma”, né potrebbe essere altrimenti, dato che se disobbedisce lo fa a suo rischio e pericolo, e il giudizio di illegittimità è solo il suo, quindi occuparsi di Franzoni finirebbe con l’aprire un Vaso di Pandora a proposito delle effettive libertà politiche del cittadini, e di questo dovremmo rendere merito a un “fascista”, il che pare poco politicamente corretto.

E infatti i garantisti abitudinari di pronto soccorso, i radicali, i Manconi, i Boato, i Sansonetti, non sentono per nulla l’esigenza di occuparsi di Franzoni, dato che Franzoni è brutto, sporco, cattivo e fascista, anarco-fascista. Ho chiesto da tempo a Riccardo Magi, deputato di +Europa e di Radicali Italiani, di occuparsi del caso Franzoni, dato che accumulare fogli di via già significava vedersi inibita qualsiasi agibilità politica, e di presentare un’interrogazione parlamentare, ma lui non mi ha nemmeno risposto. Peccato: Pannella quell’interrogazione l’avrebbe sicuramente presentata.

L’irruzione alla sede della Cgil. “Contro Fiore processo politico, tenerlo in cella è tortura”, lo sfogo dell’avvocato del fondatore di Forza Nuova. Angela Stella su Il Riformista il 2 Marzo 2022.  

Essendo stata accolta la richiesta dei pm di giudizio immediato, si apre oggi a Roma il processo a carico di 13 persone, accusate dell’irruzione nella sede della Cgil avvenuta il 9 ottobre scorso nel corso di una manifestazione indetta per protestare contro l’obbligo del Green pass. Tra loro anche il fondatore di Forza Nuova Roberto Fiore, l’ex Nar Luigi Aronica e Salvatore Lubrano, difesi dall’avvocato Nicola Trisciuoglio (il primo unitamente all’avv. prof. Carlo Taormina, il secondo unitamente all’avv. Emilio Siviero). I tre devono rispondere a vario titolo di devastazione, istigazione a delinquere, violenza nei confronti dei pubblici ufficiali.

Avvocato lei denuncia una lesione dei diritti dei suoi assistiti. Ci spieghi meglio.

Innanzitutto va stigmatizzato il fatto che, nonostante le indagini siano ormai chiuse, la Procura continua a depositare relazioni della Digos. Noi quindi ci troviamo dinanzi ad elementi nuovi e non sappiamo di cosa si tratti. A mio modo di vedere, è un agire gravissimo da parte degli inquirenti. Proprio ieri (lunedì, ndr) ho ricevuto la comunicazione di deposito di una informativa della Questura di Roma da parte della Procura e a due giorni dall’inizio del processo lo trovo sconcertante. Si tratta di un comportamento scorretto che non ci mette nelle condizioni di poter difendere i nostri assistiti, come Costituzione prevede.

C’è altro?

Un’altra violazione gravissima è che i miei assistiti, così come gli altri imputati, oggi non saranno tradotti in aula ma rimarranno collegati in video dalle carceri dove sono detenuti. Fiore da Frosinone e gli altri due da Poggioreale. Ciò comporta l’impossibilità, in un processo così delicato, di potersi confrontare con i propri avvocati, di poter disciplinare una linea difensiva sicuramente già tracciata ma che in aula prende corpo. Inoltre gli imputati sono stati avvisati all’ultimo momento circa il mancato trasferimento. Io sto venendo dal carcere di Frosinone e solo oggi (ieri, ndr) ho potuto sapere che ci sarà il collegamento in video conferenza. Invece stamattina (ieri, ndr) sono stato allertato dai parenti dei detenuti in quanto Aronica protestava energicamente con gli agenti penitenziari affinché lo potessero portare a Roma per l’inizio del processo. I miei assistiti si ritengono innocenti, sono in carcere da ormai cinque mesi e hanno avuto dunque ragione nel voler sapere quale sarebbe stato il loro destino domani (oggi, ndr).

A proposito di custodia cautelare, perché sono ancora in carcere?

Essa sta assumendo per quanto concerne la posizione di Fiore il carattere della tortura. L’uomo è stato visitato il 26 febbraio dalla consulente tecnica di parte che ne ha sancito l’incompatibilità con il regime carcerario per motivi di salute. Fiore soffre di una ipertensione collegata ad un long-covid che ha contratto in carcere a Poggioreale, essendo stato in cella con ristretti positivi. Le sue condizioni di salute stanno ulteriormente peggiorando: gli è stato diagnosticato un totale annebbiamento della vista, smarrimento dovuto a sindrome vestibolare, non deambula quasi più essendo stato fino a poco fa in isolamento per via dell’emergenza sanitaria. Tramite l’amico Umberto Baccolo di Nessuno Tocchi Caino, Fiore, Aronica e Lubrano hanno fatto sì che Rita Bernardini e Sergio D’Elia andassero a verificare, unitamente ai garanti dei detenuti, le condizioni di indecenza della carcerazioni a Poggio Reale. Noi abbiamo presentato varie istanze evidenziando che non esiste il pericolo di reiterazione del reato: loro manifestano contro il green pass ma ora la situazione è mutata. Ci è stato sempre tutto rigettato.

Lei teme anche che il processo venga politicizzato?

Questo è l’aspetto principale delle mie doglianze. La Procura sta tentando di trasformare – e speriamo non lo faccia il Tribunale – un giudizio sulle eventuali singole responsabilità in un processo a Forza Nuova che da due anni non opera più, che non esiste se non sulla carta. Il processo deve vagliare le posizioni sotto il profilo del diritto in base alle prove a carico o discarico degli imputati. Se non si percorre questa strada si corre il rischio di una condanna politica.

Però non è stato addebitato il reato di ricostituzione del partito fascista.

No. Tuttavia la problematica fondamentale è che da parte della Procura si sta tentando di trasformare un processo relativo alla manifestazione di un dissenso, sconfinato in qualcosa che non doveva sicuramente verificarsi, in un giudizio su una forza politica che nella realtà non esiste più. Oggi sulla stampa si legge del processo a esponenti politici di Forza Nuova e non a singoli manifestanti. Probabilmente i miei assistiti sono ancora in carcere perché considerati non semplici imputati ma esponenti politici di quel movimento che da anni ha ammainato le bandiere. Angela Stella

Assalto alla Cgil a Roma, l’avvocato Taormina: «Non hanno devastato nulla». Il penalista romano annuncia che gli imputati sono tutti liberi. «In dibattimento sono uscite fuori le prove, hanno sbagliato quelli che hanno scelto di farsi giudicare con il rito abbreviato». Il Dubbio l'11 luglio 2022.

Tutti liberi gli arrestati del 9 ottobre per il presunto assalto alla Cgil. «I provvedimenti fanno banalmente riferimento al comportamento corretto degli arrestati ma ben altre sono le ragioni di questo cedimento dell’Autorità Giudiziaria – spiega all’Adnkronos l’avvocato Carlo Taormina, difensore del leader romano di Forza Nuova Giuliano Castellino – Va detto con chiarezza che i risultati della istruttoria dibattimentale sono stati devastanti per l’accusa. Il Corteo da piazza del popolo alla Cgil, brutalmente criminalizzato, è risultato autorizzato dalla polizia e tutto è stato accertato essersi verificato regolarmente fino all’arrivo alla Cgil. Tutti gli arrestati non sono mai entrati il Cgil e quindi non possono aver devastato nulla».

«Nella sede del sindacato entrarono personaggi rimasti ignoti e non noti agli organizzatori della manifestazione. Nessuna devastazione si è verificata in Cgil – ribadisce l’avvocato – È certamente importante che gli imputati abbiamo riacquistato la libertà perché potranno difendersi ancor più efficacemente – prosegue Taormina – ma essi attendono di essere assolti a dimostrazione della ingiustizia che hanno subito per effetto di una vergognosa strumentalizzazione politica. Finalmente la Cgil finisce di fruire di una propaganda di lesa maestà in nome della quale degli innocenti sono rimasti in carcere 9 mesi per aver esercitato libertà costituzionalmente protette».

«Sentenza sconcertante e contro ogni evidenza processuale – aggiunge Taormina in relazione alla condanna degli imputati che hanno scelto la strada del giudizio abbreviato – Hanno fatto male loro e ancor più male ha fatto il giudice a non tenere conto dei risultati già conseguiti nel processo ordinario, dove sono risultate a piene mani circostanze indiscutibili sulla innocenza degli imputati. Fu la polizia ad autorizzare il corteo e nessuna devastazione ebbe a subire la Cgil. Solo una strumentalizzazione politica e una idea di lesa maestà rispetto alla Cgil avevano fatto si che si criminalizzasse una grande manifestazione di libertà e di dignità di una massa di lavoratori presente a piazza del popolo senza colori politici ma desiderosa di condannare la politica liberticida del governo. In appello questa sentenza potrà essere ribaltata con le prove raccolte nel processo ordinario».

Assalto Cgil a Roma, le condanne in abbreviato

Il gup della Capitale ha condannato tra gli altri a 6 anni Fabio Corradetti, figlio della compagna di Giuliano Castellino, leader romano di Forza Nuova, già a processo con rito ordinario per lo stesso fatto. Condanna a 6 anni anche per Massimiliano Ursino, leader palermitano di Forza Nuova. Nei confronti degli imputati, accusati di devastazione e resistenza, il giudice ha accolto l’impianto accusatorio della pm Gianfederica Dito.

Ma resta l’obbligo di firma. Assalto alla Cgil, dopo nove mesi tornano liberi Fiore e Castellino: la decisione del Riesame. Redazione su Il Riformista l'11 Luglio 2022 

Nove mesi privati della propria libertà, senza una condanna di primo grado, possono bastare. Il tribunale del Riesame di Roma ha accolto l’istanza presentata dall’avvocato Carlo Taormina ed ha concesso la liberazione per i nove arrestati giudicati responsabili dell’assalto avvenuto lo scorso 9 ottobre 2021 alla sede nazionale della Cgil a Roma nell’ambito di una manifestazione contro il Green pass vaccinale.

Tra i nove vi sono tre nomi ben noti alle cronache politiche: Roberto Fiore, leader nazionale del partito di estrema destra Forza Nuova, Giuliano Castellino, leader romano dello stesso movimento, e l’ex Nar (Nuclei armati rivoluzionari) Luigi Aronica. Per i due di Forza Nuova resta comunque l’obbligo di presentarsi presso il posto di polizia per firmare e dunque saranno sottoposti a controllo quotidiano.

Fiore era stato già scarcerato lo scorso aprile, con la concessione degli arresti domiciliari a causa del suo stato di salute. Fiore aveva già chiesto di lasciare il carcere napoletano di Poggioreale lo scorso dicembre adducendo come motivazione il dilagare della pandemia da Covid-19 nel carcere, ma la sua richiesta era stata respinta.

I nove sono a processo e dovranno rispondere a vario titolo di istigazione a delinquere, resistenza a pubblico ufficiale e devastazione aggravata.

Lo scorso 14 giugno la Procura di Roma, su richiesta del pm Maurizio Arcuri, aveva chiesto il rinvio a giudizio di Fiore e altre quattro persone (Giuseppe Provenzale, Luca Castellini, Davide Cirillo e Stefano Saija) perché firmatari di un comunicato pubblicato sul sito di Forza Nuova dopo l’irruzione alla sede Cgil di Corso Italia dal titolo: “Altro che Forza Nuova. Il popolo ha alzato il livello dello scontro e non si fermerà”.

Gli scontri di Roma

I manifestanti si riunirono a Piazza del Popolo. Il sit in era stato autorizzato ma non il corteo nel centro della capitale. Dopo i discorsi dal palco l’inizio delle tensioni. Lanci di oggetti e manganellate già nella stessa Piazza del Popolo. Camionette aggredite. Forze dell’ordine che indietreggiarono all’avanzare dei manifestanti. Furono ore di assedio nel centro della città.

A immortalare le tensioni e le devastazioni tante immagini, video ripresi dagli stessi agitatori della manifestazione. Molti dei contenuti avevano cominciato a girare sui gruppi No Vax e No Green Pass tramite i quali la manifestazione era stata organizzata. A Roma arrivarono a migliaia da tutta Italia. Piazza del Popolo era quasi piena. Centinaia di striscioni e cori contro la dittatura sanitaria e la negazione della libertà imposta dalle restrizioni anti-contagio.

Le tensioni arrivarono fino a Palazzo Chigi, presidiato dalle forze dell’ordine. Le immagini più cruente furono riprese però proprio dalla sede del sindacato nel centro di Roma.

Con una parola d’ordine accedevano al “servizio” illecito. Finti vaccini in ospedale: 300 euro per ottenere il green pass senza mai entrare nel centro vaccinale. Elena Del Mastro su Il Riformista il 10 Febbraio 2022.  

Il numero delle vaccinazioni segnalate sul portale ufficiale era altissimo ma non quanto il numero degli accessi fisici nel centro vaccinale dell’Ospedale San Gennaro di Napoli. Nessuna messa in scena, nessuna spalla scoperta e nessun siero iniettato nel batuffolo di ovatta, ma una vera e propria truffa fatta per via informatica. Bastava pagare 300 euro per essere inseriti in piattaforma e ricevere il green pass vero senza essersi vaccinati.

È quanto ha scoperto il Mattino verificando che intorno al nosocomio della Sanità c’era un giro di mazzette che passata attraverso un commerciante del centro storico che poi segnalava i nominativi e i documenti, non è ancora ben chiaro a chi, e come per magia sullo screen del finto vaccinato compariva il green pass, quello vero. Sulla vicenda partiranno le indagini dei carabinieri del Nas e della Procura di Napoli.

I cronisti del Mattino avrebbero scoperto come funzionava il meccanismo: bastava recarsi al bancone del negozio e sussurrare le parole d’ordine: “Quando la seconda dose?”. Poi il no vax metteva sul banco 300 euro e la tessera sanitaria. Così dopo poco compariva il green pass rafforzato, quello che permette di accedere a tutto. Ma in questo caso a persone che non ne hanno il diritto.

Non è chiaro chi abbia recepito il documento e chi abbia caricato uno o cento nominativi sulla piattaforma regionale. Certo è che l’Asl Napoli 1 già negli scorsi mesi aveva scoperto un giro di falsi vaccini alla Fagianeria di Capodimonte tra novembre e gennaio. Lì i no vax entravano fin dentro le cabine, scoprivano la spalla e poi un infermiere che poi è stato fermato dai carabinieri iniettava per finta il siero, raccogliendolo in un batuffolo di ovatta. Nel caso del San Gennaro la truffa invece sembra meramente informatica.

Ad insospettire e a far scattare le verifiche dell’Asl ci sarebbe un fatto numerico. Ci sarebbe una grossa sproporzione tra il numero di vaccini dichiarati nella struttura ospedaliera e il numero di persone che fisicamente sarebbero entrate nel nosocomio. Fatto facilmente verificabile anche attraverso il sistema di videosorveglianza. E ancora, a distanza di 21 giorni tra la prima e la seconda dose, stesso vuoto di persone nel reparto, a monte di un numero decisamente alto di clienti vaccinati sulla carta. Le indagini chiariranno quanto sarebbe accaduto.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Da rainews.it il 3 febbraio 2022.

Un'infermiera dell'Asl di Piacenza è stata arrestata dai carabinieri per aver fatto ottenere a 23 persone dei Green pass falsi dietro pagamento di una somma tra 250 e 300 euro. La professionista, regolarmente vaccinata, è in carcere con l'accusa di corruzione e falso in atto pubblico. 

"Ho portato qui un amico no vax che si è convinto, ma siccome ha paura dell'iniezione ci penso io a fargli il vaccino". Così l'infermiera riusciva ad accedere agli hub vaccinali, per iniettare, dietro pagamento di una mazzetta, soluzione fisiologica al posto del vaccino.

La sanitaria, inoltre, si faceva pagare 500 euro per certificare, presso una farmacia cittadina, la positività al Covid-19 senza eseguire alcun test, in modo da far ottenere, trascorsi 10 giorni, il green pass da avvenuta guarigione. 

Nei guai anche il complice accusato di aver procurato i clienti, per il quale sono scattati i domiciliari, e altre 26 persone ritenute responsabili, a vario titolo e in concorso tra loro, di corruzione e di falso nelle certificazioni per aver ottenuto il green pass illegalmente. L'indagine è partita da un esposto dell'Ausl ed è stata coordinata dalla Procuratore capo di Vicenza, Grazia Pradella.

Da leggo.it il 30 gennaio 2022.

Choc a Brindisi dove un medico del pronto soccorso dell'ospedale Perrino è stato selvaggiamente picchiato dai parenti di una donna morta per Covid, dopo aver vietato loro l'ingresso. Il medico aveva invitato i familiari a rispettare le normative anti Covid, dato che i parenti della donna, una 52enne, deceduta per via del virus, erano considerati contatti stretti.

Come racconta BrindisiReport, la donna era arrivata in pronto soccorso in condizioni critiche: soccorsa dal personale, è andata in arresto cardiaco e per lei non c'è stato nulla da fare. I medici hanno così avvisato i parenti che attendevano fuori, ma questi ultimi hanno insistito di voler vedere la congiunta, nonostante le opposizioni dei sanitari.

A quel punto avrebbero varcato con forza la porta dell'ambulatorio: il figlio della donna avrebbe aggredito il medico con un pugno in faccia ed un calcio. Sono intervenuti i vigilantes, che hanno poi chiamato le forze dell'ordine per cercare di sedare gli animi ed evitare che i parenti della donna sfondassero il box Covid del pronto soccorso del Perrino.

Livorno-choc, "tuo padre è morto": la telefonata dall'ospedale, la storia di un tragico errore. Libero Quotidiano il 24 gennaio 2022.

Un errore ha gettato nel panico una donna di Cecina, Livorno. Qui Veronica Scozzi ha ricevuto una telefonata dall'ospedale nella quale veniva informata che il padre 76enne era morto. Nulla di più falso. Il padre di Veronica è vivo e vegeto. E allora cos'è successo? Dopo minuti di sgomento e la chiamata a tutti i parenti, alla signora è sorto qualche dubbio. "Quando ho ricevuto la telefonata – ha spiegato la sua storia a Il Tirreno – mi è preso un colpo. Poi il medico mi parlava del diabete, ma mio padre non ha questa malattia. Per prima cosa ho telefonato alla sorella del mio babbo, poi ho chiamato la mia mamma. Anche se i miei genitori non vivono più insieme sono rimasti legati, una notizia così non potevo certo non dirgliela". Veronica ha ammesso di non sapere cosa fare e che mai si sarebbe aspettata una notizia del genere. Il padre, infatti, è ricoverato sì in ospedale, ma nulla di grave. "Dal reparto - ha proseguito - mi avevano detto di stare tranquilla e che di domenica non mi avrebbero contattato per dirmi come stava mio padre".

Ecco allora la seconda telefonata, quella in cui Veronica è venuta a sapere del tragico errore. "È una storia incredibile: c’è stato uno sbaglio, si sono confusi tra mio padre e un altro paziente, così quando mi hanno chiamato per la seconda volta mi hanno detto che era morto un altro, non mio padre, non ho capito più nulla. Ma ci rendiamo conto della situazione? Capisco che questo sia un momento complicato, che negli ospedali ci siano mille difficoltà, ma non si può fare così. Da una parte mi dispiace se qualcuno ci va in mezzo, ma non mi andava di nascondere un fatto così".

Il nosocomio ha infatti liquidato in fretta la questione: "Ti senti dire: ‘No, scusi, ci siamo sbagliati. È morto un altro, non suo padre, Ci scusi, arrivederci'. Come un altro? Ma è possibile? È stato un sollievo pensare che mio padre è vivo, ma per poco non muoio io dallo spavento", si è sfogata mentre l’Asl Toscana Nord Ovest si è giustificata parlando di un problema legato alla trascrizione del numero di telefono del familiare da chiamare in caso di necessità.

Da "il Giornale" il 27 gennaio 2022.

Sciacalli del vaccino da Nord a Sud. In Brianza come a Napoli. Due casi clamorosi. Che fanno rabbrividire per cinismo e disonestà. Un infermiere e un operatore socio sanitario sono stati arrestati ieri dai carabinieri di Napoli per aver falsificato la somministrazione di vaccini anti-Covid in un Hub del capoluogo campano. Uno dei due lavoratori reclutava i No Vax e si faceva consegnare 150 euro per le prestazioni utili alla richiesta del Super Green pass, l'altro invece simulava l'inoculazione spruzzando il siero in un batuffolo. 

Sono oltre trenta le persone che avrebbero usufruito dei falsi vaccini. I due operatori sanitari, Giuliano Di Girolamo e Rosario Cirillo, sono accusati di corruzione, peculato e falso. In seguito alla falsa attestazione di avvenuta vaccinazione, i pazienti avrebbero ottenuto, pur non avendo titolo, il Green pass. Le indagini dei carabinieri del Nas di Napoli hanno evidenziato che fra coloro ai quali sarebbe stato falsamente inoculato il vaccino, 14 risultano appartenere a categorie di lavoratori per le quali è previsto l'obbligo di vaccinazione per ottenere il rilascio della certificazione verde. 

E sempre ieri è stata sequestrata una farmacia di Renate (Monza e Brianza) sospettata di eseguire tamponi Covid e altre tipologie di prelievi i cui referti venivano falsificati. Il locale era già stato chiuso dai Carabinieri di Monza nelle scorse settimane per la mancanza dei requisiti sanitari della titolare 42enne e del fratello-collaboratore 44enne i quali, non avendo assolto l'obbligo vaccinale, erano stati sospesi dall'ordine dei farmacisti. 

Gli accertamenti erano partiti lo scorso agosto. Le indagini era scattate per la denuncia sporta da una mamma preoccupata per delle anomalie sul referto del tampone molecolare eseguito dal figlio. I carabinieri avevano scoperto che quel test era falso perché né il laboratorio di Monza inizialmente indicato, né quello di Carate Brianza, successivamente comunicato nel tentativo di aggiustare la faccenda, avevano mai ricevuto e analizzato detto tampone. 

Ieri, dopo il sequestro del materiale informatico presente all'interno della farmacia, la nomina di consulenti tecnici e una ancora parziale analisi dei dati informatici, è stato accertato che sono falsi almeno altri 15 tra referti e dichiarazioni di aver sottoposto ad analisi i tamponi con esito negativo da parte della farmacia. Addirittura in un caso è stata accertata la falsità di un prelievo volto alla ricerca dell'antigene prostatico per la diagnosi dello stato di un paziente che era stato affetto da tumore. 

A Cagliari invece è agli arresti domiciliari un 30enne che si era presentato all'hub della Fiera per ricevere la prima dose al posto di un suo amico No Vax. L'arrestato, già noto alle forze dell'ordine, aveva accettato di sostituirlo, mostrando documenti falsi all'accettazione, in cambio di una cena al ristorante. L'amico No Vax è stato denunciato. Il trentenne deve rispondere di uso di documenti falsi, sostituzione di persona e falsa attestazione di identità a pubblico ufficiale.

Paola Fucilieri per "Il Giornale" il 23 gennaio 2022.

Tra i furbetti - categoria tipicamente italica mai in recessione - al momento chi poteva eccellere se non quelli del Green pass? Contro i loro pericolosi escamotage sono impegnati infatti in questi giorni i carabinieri per la tutela della Salute, in testa i Nas (Nucleo carabinieri antisofisticazione) del Comando di Milano. Sono stati loro, in accordo con il Comando per la tutela della salute di Roma, a lanciare da sabato scorso in Lombardia una campagna di controlli a campione per la verifica dell'identità collegata all'esibizione della tessera sanitaria da parte di chi si sottopone al tampone e al vaccino.

Dopo la Lombardia Piemonte e Lazio per prime hanno raccolto immediatamente l'intuizione dei carabinieri lombardi e sono corse ai ripari con circolari che obbligano all'obbligo di venire identificato per chi si sottopone a tamponi o riceve il Green pass per guarigione. E mentre anche le altre regioni si stanno adeguando, tutte le direzioni sanitarie hanno convenuto che l'orientamento indicato dalla campagna di controlli dei Nas è innanzitutto necessario oltre che vincente.

I controlli sono stati decisi infatti proprio dopo l'aumento di casi di positivi tra le persone che si sono presentate per sottoporsi ai tamponi in farmacia con il codice fiscale di amici e conoscenti No Vax in modo da far risultare anche loro positivi e successivamente guariti. «Ci sono stati gruppi No Vax che hanno realizzato veri e propri tam tam mediatici e appositi gruppi whatsapp per suggerire il percorso da seguire a chi, pur non vaccinato e non intenzionato a farsi vaccinare, voleva continuare a condurre una vita "normale", naturalmente ovviando ostacoli di ogni genere, ma soprattutto denunce e sanzioni - ci spiegano al Comando carabinieri per la tutela della salute di Milano -. Un esempio su tutti: io, positivo, voglio a ogni costo andare in settimana bianca?

Mando mio fratello, che è negativo, in farmacia a sottoporsi al tampone e poi parto tranquillo con l'esito del suo controllo, quindi formalmente a posto». «Ancora più interesse c'è, sempre per chi non si è mai vaccinato, a ottenere il Green pass per una positività che in realtà non c'è stata, cioè per una finta guarigione: è incredibile come ci siano persone disposte un po' a tutto, e completamente incuranti se non della propria salute almeno di quella altrui, pur di avere il certificato verde senza sottoporsi alla vaccinazione». 

«Quando ci siamo accorti così che, perlopiù, alla presentazione del codice fiscale, non veniva richiesto contestualmente di mostrare il documento d'identità che gli corrispondeva verificando così che ci fosse una convergenza assoluta, Asl, Ats e strutture ospedaliere hanno convenuto con noi sulla possibilità di diversi abusi da parte di male intenzionati» proseguono i militari. Al momento l'Arma dei carabinieri non fornisce cifre e numeri sulle persone denunciate nel nord Italia. Si sa però che non sono poche e che comunque le stime verranno rese note a breve.

«Domani (lunedì per chi legge, ndr) avremo una visione più globale della situazione e cominceremo a fare qualche bilancio. L'importante è che d'ora in avanti non si possa più repertare una persona - soprattutto in ambito medico - senza identificarla compiutamente» concludono al Comando carabinieri per la tutela della salute di Milano. 

Nas a caccia di falsi positivi: già sospesi 50 punti tampone. Paola Fucilieri il 24 Gennaio 2022 su Il Giornale.

L'operazione contro le truffe dei No Vax prosegue. In Alto Adige 31 hub su 3mila messi in pausa per irregolarità.  Tessera sanitaria e documento d'identità alla mano. Il governatore della Liguria Giovanni Toti è stato gentile ma anche molto chiaro e quasi perentorio nel chiedere ai suoi farmacisti uno sforzo in più. Da ieri farmacie e punti tampone del Levante e del Ponente sono tenute a controllare sempre l'identità delle persone che si sottopongono ai tamponi. «Si tratta infatti di un trattamento sanitario che si conclude con un referto, quindi con un documento ufficiale» aveva spiegato già ampiamente sabato a Il Giornale il colonnello Salvatore Pignatelli a capo del Comando carabinieri per la tutela della Salute di Milano che ha messo a disposizione 11 squadre dei Nas (il Nucleo anti sofistificazione dell'Arma dei carabinieri) per svolgere controlli nei centri tamponi e nelle farmacie del Nord Italia.

Un'iniziativa partita in sordina sabato 15 gennaio sotto la Madonnina e poi diffusasi a macchia d'olio in tutte le regioni settentrionali (ma anche nel Lazio) proprio per input del Comando di Milano dopo l'aumento di casi di positivi tra le persone che si sono presentate per sottoporsi ai tamponi in farmacia con il codice fiscale di amici o parenti in modo da risultare negativi anche se non lo si è e continuare ad andare in giro come se la pandemia fosse una opinione.

Tra le truffe possibili c'è anche quella di sottoporre a tampone persone positive con più tessere sanitarie in diverse farmacie per far emettere Green pass per una finta guarigione a nome di soggetti che invece non sono mai stati immunizzati.

Dopo che Asl, Ats e strutture ospedaliere hanno concordato con i carabinieri sulla possibilità di diversi abusi da parte di male intenzionati - con veri e propri tam tam mediatici ad opera di No Vax scoperti dagli stessi militari dell'Arma online e su gruppi whattsapp mentre si scambiavano le dritte sugli escamotage per ovviare controlli e quindi denunce - il bilancio definitivo delle verifiche verrà reso noto a breve.

Intanto in Alto Adige sono state sospese 31 delle tremila postazioni per l'inserimento degli esiti di tamponi per il sospetto che siano stati registrati dei risultati «falsi positivi». Stop ai tamponi anche in una farmacia di Martellago in Veneto, mentre i carabinieri del Nas di Cremona hanno sequestrato in un laboratorio di Siziano (Pavia) 250 tamponi rapidi per la rilevazione del Covid-19, antigenici e molecolari, del valore di circa tremila euro, realizzati senza l'autorizzazione dell'Ats di Pavia e in violazione delle disposizioni regionali. Il titolare del laboratorio è stato denunciato.

«Da parte delle farmacie c'è stata la massima disponibilità - spiega ancora Pignatelli - Abbiamo constatato che a volte è stato solo per questioni di rapidità che non veniva riscontrata l'identità della persona. Purtroppo questo si prestava ad abusi: c'era chi si presentava con la tessera sanitaria di altri».

Nei prossimi giorni il Comando tutela Salute di Roma, che ha coordinato tutta l'operazione, diffonderà dati e cifre sui controlli effettuati in queste settimane. Le denunce non sarebbero poche, ma va sottolineato anche che molte regioni hanno raccolto immediatamente l'intuizione partita dai carabinieri di Milano e sono corse ai ripari con severe circolari che spingono all'obbligo di venire identificati per chi si sottopone a tamponi o riceve il green pass per guarigione: le direzioni sanitarie hanno convenuto che l'orientamento indicato dalla campagna di verifiche dei carabinieri del Nas è imprescindibile. Paola Fucilieri

Hanka Horka: "Felice, finalmente positiva". La star si contagia volontariamente e muore: ecco chi era.  Libero Quotidiano il 18 gennaio 2022.

Si era infettata volontariamente rimanendo a contatto con il marito e il figlio, entrambi vaccinati, ed è morta per le sue idee folli. Questa è la storia di Hanka Horka, una nota cantante folk della Repubblica Ceca che si è spenta nella giornata di domenica all’età di 57 anni. Ovviamente non si era vaccinata, ma anzi era convinta che fosse stata fortunata ad avere l’occasione di contagiarsi in casa, così da fare il Covid e poi poter tornare alla vita di tutti i giorni in qualità di guarita.

Ha però scoperto a sue spese cosa può succedere a un no-vax che cerca volontariamente il contagio, anche se di partenza sano. E pensare che il 13 gennaio aveva condiviso su Facebook un post in cui si mostrava entusiasta di aver preso il Covid: non solo, affermava di aver già superato la malattia e che presto sarebbe tornato a teatro, alla sauna e più in generale alla vita sociale di tutti i giorni. La donna nella sua stupidità più totale aveva anche invitato gli altri no-vax a seguire il suo esempio.

Tre giorni dopo quel post è morta a causa di complicanze legate al Covid. Il figlio, guarito dopo pochi giorni in quanto vaccinato (così come il padre), ha rilasciato un’intervista in cui si è scagliato duramente contro i no-vax e più in generale contro chi diffonde notizie false sui vaccini: “Avete ucciso mia madre. Sia io che mio padre avevamo provato a convincerla, ora lei non potrà venire alla mia laurea, al mio matrimonio o al battesimo di mio figlio”.

Simona De Ciero per il "Corriere della Sera" il 18 gennaio 2022.

Sospensione revocata: Guido Russo, il dentista cinquantenne che tentò di eludere l'obbligo vaccinale coprendo busto e braccia con una protesi in silicone al momento dell'iniezione, ha ripreso a lavorare nel suo studio di Biella.

Qualche giorno fa il dentista si è deciso a fare davvero la prima dose e la norma prevede che la sospensione, priva di ogni valore disciplinare, decada appena i sanitari assolvono al loro obbligo.

Lo scorso 2 dicembre il dentista no vax si era presentato al centro di Biverbanca indossando un corpetto di silicone per sottoporsi a una falsa iniezione e ottenere comunque il green pass obbligatorio per i medici.

Scoperto il braccio, l'infermiera Filippa Bua si era però accorta che qualcosa non andava perché aveva «percepito una "pelle" gommosa, fredda, e dall'incarnato troppo chiaro». Chiamato il medico che aveva redatto l'anamnesi pre vaccinale, i sanitari hanno deciso di fare rapporto.

Anche se è rientrato in regolare servizio, Russo rischia un provvedimento disciplinare da parte dell'ordine locale dei medici che, dopo quanto avvenuto, aveva annunciato l'intenzione di procedere contro il dentista perché, con quel gesto, aveva «offeso l'intera categoria professionale». Il medico no vax è anche accusato di tentata truffa ai danni dello Stato.

Alessia Marani per "Il Messaggero" il 17 gennaio 2022.

L'ultima truffa dei No Vax per non piegarsi all'obbligo del vaccino e ottenere lo stesso il Super Green pass l'hanno scoperta i farmacisti romani. Funziona così: il No vax manda un positivo al Covid a fare il tampone in farmacia con il suo documento o meglio con la sua tessera sanitaria, poi dopo dieci giorni torna e, come per magia, si negativizza.

A quel punto dal ministero arriva la certificazione verde e se il cliente lo richiede, la farmacia lo stampa anche. Niente vaccino, ma massima libertà di accedere al lavoro e alla vita sociale. 

L'alert lo ha diramato Federfarma, l'associazione sindacale dei farmacisti, in una circolare riservata per gli associati, dopo che le anomalie sono state debitamente segnalate alle forze dell'ordine.

Nel documento, a cui il segretario Massimiliano Matteazzi e il presidente Andrea Cicconetti, danno il sigillo della massima importanza e, dunque, da leggere con attenzione, si chiede ai colleghi nei cui esercizi si effettuano tamponi rapidi di identificare sempre il paziente tramite il suo documento di identità e di accertarne in maniera puntuale la corrispondenza con i dati riportati nel modulo di accettazione, così come nel momento in cui si effettua il test.

I farmacisti, infatti, chiariscono che sono frequenti i casi in cui persone positive al virus si prestano a essere complici di amici o parenti No vax, recandosi in farmacia per sottoporsi a un tampone antigenico esibendo, però il documento di un altro cittadino specificano.

Insomma, in questo modo il No vax ottiene in maniera fraudolenta un Green pass da guarigione valido per ben 6 mesi. Federfarma, dunque, richiama tutti i farmacisti a prestare la «massima attenzione agli scambi di persona» soprattutto per non minare il reale tracciamento della diffusione del virus, invitando a non eseguire tamponi a chi non mostra un documento di riconoscimento valido.

Ma qual è il profilo di chi è pronto ad approfittare della buona fede dei farmacisti? A quanto pare i più insospettabili. Professori, dipendenti comunali e persino appartenenti alle forze dell'ordine che contano sul loro presunto essere al di sopra di ogni sospetto per mettere in atto l'operazione fuorilegge.

Ma i primi No vax furbetti del Green pass sarebbero stati scoperti e i carabinieri sarebbero sulle loro tracce. Una truffa che i No vax starebbero attuando soprattutto nelle farmacie del centro, le più vicine ai posti di lavoro.

«Ma il fenomeno si sta concretizzando a macchia di leopardo, nessuno è esente, temiamo che dietro a tutto ciò possa nascondersi anche un mercato illegale di chi si presta a offrire il proprio documento dietro un compenso di denaro. Noi farmacisti se non siamo attenti rischiamo di passare per complici», spiega un camice bianco.

Una truffa che configura il reato di sostituzione di persona, e che qualche No vax ritiene meno rischioso dell'accedere a un documento falso o a un codice Qr generato dagli hacker del web e immesso nella compravendita del dark-web o sponsorizzato nei canali Telegram dei disobbedienti.

Antonella Viola: «Mio marito e i miei figli in un’auto, io in un’altra: la mia vita meno libera con la scorta». Giusi Fasano su Il Corriere della Sera il 18 Gennaio 2022.  

L’immunologa Antonella Viola e la scorta per le minacce no vax: «Ma non smetterò di dire che i bimbi vanno vaccinati. Cerco di non far fare troppo tardi ai due carabinieri che sono con me e di farli tornare a casa presto».  

«Io amo molto la musica e suono anche la chitarra. In questi giorni la canzone che mi corrisponde e che suono e canto a squarciagola è L’Avvelenata , di Francesco Guccini. Ha presente?».

Come no. Quella che dice: «Se io avessi previsto tutto questo...»

«Esattamente. Dice: “Secondo voi ma chi me lo fa fare di stare ad ascoltare chiunque ha un tiramento?” Ma poi aggiunge: “se io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, forse farei lo stesso”».

E lei farebbe lo stesso?

«Eccerto! Non andrò mai in televisione a dire che i bambini non vanno vaccinati perché metterei a rischio le loro vite e per me è inaccettabile. Non saranno certo le minacce a farmi cambiare idea».

La voce di Antonella Viola arriva dall’Istituto di Ricerca Pediatrica Citta della Speranza di Padova, che lei dirige oltre a essere immunologa e professoressa universitaria di Patologia Generale. Da una settimana — dopo la lettera di minaccia con annesso proiettile per essersi spesa a favore delle vaccinazioni dei più piccoli — la prof è sotto tutela: due carabinieri la seguono ovunque vada e una volante della polizia passa a controllare i dintorni di casa sua.

Professoressa, com’è andata la sua prima settimana sotto scorta?

«Beh, essere sempre accompagnata impatterebbe sulla vita di chiunque. Sulla mia che ero molto abituata a star sola, a fare lunghe camminate sull’argine, oppure sport, shopping, andare al lavoro da sola... Insomma: è tutto molto strano».

Cominciamo dal primo giorno. Lei rientrava dalle vacanze e...

«Sono scesa dall’aereo e con la mia famiglia ci siamo separati lì, loro facevano il percorso normale, io sono salita in macchina con i carabinieri. È stato un momento brutto, nonostante la loro gentilezza. Uno dei primi giorni ho chiesto: ditemi i vostri orari e mi adatto. E loro: ma professoressa è lei che deve dirci i suoi! Io però non me la sento di tenerli impegnati facendo la vita di prima».

Quindi ha cambiato lei?

«Sì. Prima rimanevo al lavoro fino alle otto di sera, per esempio, adesso cerco di staccare prima e andare a casa. Anche loro devono tornare dalle loro famiglie e mi dispiace fargli fare tardi. Pensi che sabato sono rimasta chiusa in casa tutto il giorno».

Perché ha paura?

«No. È che mi faccio scrupolo a sacrificare il loro tempo. In condizioni normali il mio sabato sarebbe stato una passeggiata in centro di pomeriggio, magari un aperitivo e poi da qualche parte a cena. Ma non me la sento proprio di far passare una giornata così anche a loro. Sperando che tutto questo duri poco... Se poi dovesse essere una condizione a lungo termine rivedrò il ragionamento».

Di quanto tempo le hanno parlato?

«Mi hanno detto che sarebbe durata tre mesi alla fine dei quali rivaluteranno tutto. Spero si fermi lì, sinceramente».

Da uno a dieci: quanto teme un’aggressione fisica?

«Da uno a dieci dico uno. Non sento addosso nessuna ansia. Ma non posso negare di aver modificato un po’ il mio atteggiamento essendo attenta al loro».

E cioè?

«Cioè, non posso fare a meno di notare il modo in cui guardano chiunque si avvicini a me come una possibile minaccia. E mi fa impressione fare lo stesso ragionamento per riflesso condizionato. È uno dei motivi per cui rinuncio a fare le passeggiate per Padova, dove oltretutto mi conoscono tutti. Forse è questa la cosa più brutta. Certamente per me è strano».

C’è chi pensa che la scorta sia uno status symbol.

«Guardi: ci si può scherzare, volendo, ma non è così. Alcune amiche scherzando, appunto, mi hanno detto: così non hai problemi per il parcheggio e puoi bere se sei a cena fuori. Ma era solo per alleggerire un po’ i toni. Chi pensa una cosa del genere non sa di cosa parla».

Pensa mai: chi me lo ha fatto fare di espormi?

«Direi di no. Io ho il mio lavoro, posso smettere anche oggi di parlare attraverso i media ma credo che invece sia importante farlo, raccontare la scienza e la sua metodica a quante più persone possibili. Perché è importante l’accettazione e la comprensione dei principi scientifici».

Anche se gli anti-scienza la minacciano?

«Io faccio dei distinguo. È vero che ci sono i no-vax ma non vanno confusi con i violenti. L’altro giorno, per dire, mi ha scritto una signora no-vax per dirmi, in tono molto garbato, che le dispiace per le mie limitazioni ma che anche lei si sente limitata nella sua libertà e che ha paura perché gli scienziati sono umani e possono sbagliare».

Le ha risposto?

«Sì. Le ho scritto che quel poco di libertà che lei ha dipende dal fatto che tante altre persone si sono vaccinate, perché se tutte avessero fatto come lei oggi saremmo alla guerra civile. E le ho detto di fidarsi di noi, come si fida del conducente del treno che prende o dell’ingegnere che ha costruito la sua casa» .

(ANSA il 15 gennaio 2022) - È stata sospesa la professoressa della scuola media inferiore di Modena che nei giorni scorsi si era rifiutata di indossare la mascherina Ffp2 in aula - come previsto dopo un caso accertato di positività al coronavirus nella classe - e che tra l'altro non era in possesso di super Green pass perché non vaccinata contro lil Covid-19. Lo riporta la stampa locale. Il rifiuto, ripetuto, della prof di indossare la mascherina più protettiva rispetto alla chirurgica aveva innescato la protesta degli alunni, che avevano abbandonato banchi e aula. 

L'insegnante aveva quindi chiamato le forze dell'ordine ma la polizia locale, una volta sul posto, ha accertato che la docente era senza certificato verde (obbligatorio per la categoria) e l'ha multata. Ora, secondo quanto riportato dagli organi di stampa locali, la professoressa risulta sospesa dalla scuola e dunque non rientrerà in classe. Sul caso ieri si sono accesi i riflettori. Anche l'ufficio scolastico regionale valuta provvedimenti. Mentre il segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni ha annunciato una interrogazione parlamentare al ministro dell'Istruzione.

Alessandro Ferro per ilgiornale.it il 15 gennaio 2022.  

Gesto che racchiude intelligenza e maturità quello di una classe di studenti di terza media dell'Istituto "Giosuè Carducci" di Modena che ha deciso di abbandonare l'aula in segno di protesta con l'insegnante che non indossava la mascherina Ffp2. 

Cosa è successo

La prima che avrebbe dovuto dare l'esempio ai ragazzi, la professoressa, è stata la prima a contravvenire alle regole anti-contagio imposte dal governo ma soprattutto dal buonsenso. Questa volta, però, è prevalso quello degli alunni che si sono alzati e usciti dall'aula perché "costretti a prendere una decisione più grande della loro età", come ha riferito un genitore alla Gazzetta di Modena che ha riportato la notizia.

In pratica, già da un paio di giorni era stato segnalato un caso di positività tra gli studenti: come previsto dal nuovo Dpcm, alunni e docenti sono tenuti a utilizzare per 10 giorni consecutivi la mascherina Ffp2, strumento molto più protettivo della chirurgica. L'insegnante, però, non ne ha voluto sapere presentandosi in aula con la chirurgica e per il secondo giorno consecutivo. 

La decisione dei ragazzi

Come ricostruito dal quotidiano modenese, infatti, il giorno prima i ragazzi avevano già protestato contro la docente la quale aveva risposto con frasi negazioniste, affermando quanto fossero inutili mascherine, gel e distanziamento sociale e ironizzando contro l'operato del governo Draghi. Al rientro a casa la sera, i ragazzi hanno raccontato l'accaduto ai genitori ma, prima ancora, al prof. di Matematica il quale ha consigliato di uscire dalla classe se l'episodio si fosse ripetuto. Detto fatto: il giorno successivo la prof., come se nulla fosse, ha continuato imperterrita per la sua strada indossando la chirurgica: a quel punto, dopo un ultimo sollecito non ascoltato dai ragazzi, ecco che tutta l'aula esce fuori lasciando la docente da sola che, non contenta, si sarebbe messa a filmare l'accaduto per mezzo di un telefono cellulare.

La reazione stizzita dei genitori non si è fatta attendere: "Sono stati costretti a prendere una decisione dirompente: mettersi contro un professore", ha affermato il padre di una ragazza. "In pochi minuti si sono consumati una serie di episodi molto gravi", sottolineano ancora i genitori alla Gazzetta di Modena. 

La polizia multa la prof

Convinta di essere nel giusto, la prof. si è anche data la zappa sui piedi chiamando, per ben due volte, il 112. Dopo poco, infatti, all'Istituto Carducci è arrivata una pattuglia della polizia locale che non ha potuto far altro che comminare una multa di 400 euro all'insegnante per aver violato le norme anti-Covid. Secondo alcune testimonianze, la suddetta era anche sprovvista del super green pass e, praticamente, non avrebbe nemmeno potuto mettere piede nella scuola. Inoltre, secondo le nuove normative, nei suoi confronti sarebbero già dovuta scattare la sospensione. Non contenta del putiferio creato, l'insegnante avrebbe anche scritto una nota sul registro dando la colpa agli alunni dell’annullamento del compito previsto evidenziando "come una parte della classe abbia abbandonato l’aula senza alcuna autorizzazione".

Chissà come finirà la vicenda, se la prof no vax sarà sospesa o farà mea culpa ripensando alle infrazioni commesse (mascherine e super green pass). Nei genitori resta "una grande amarezza" per l'accaduto: l'esempio, invece di essere fornito da un'insegnante, l'hanno dovuto dare degli adolescenti che hanno mostrato una maturità senz'altro maggiore di chi stava dietro la cattedra.

Mauro Favaro per ilgazzettino.it il 12 gennaio 2022.

Cercano il contagio da Covid per poter continuare a insegnare con in tasca il Green pass rafforzato, indispensabile per evitare la sospensione, che vorrebbe dire rimanere a casa senza stipendio. E sono pure disposti a pagare: si parla di 200 o 300 euro per una cena con un positivo. I Covid-party rappresentano la nuova frontiera dei prof no-vax. 

Anzi, l’ultima spiaggia, dato che con l’obbligo vaccinale i docenti che non intendono sottoporsi all’iniezione contro il coronavirus possono rimanere in cattedra solo se hanno la “certificazione verde” riservata a chi è guarito.

Alcuni presidi del Trevigiano assicurano di avere la certezza che gruppi di docenti non vaccinati si sono ritrovati con persone positive durante le vacanze di Natale proprio con l’obiettivo di essere contagiati. Con tanti saluti al rispetto di quarantene e isolamenti. Per non parlare degli enormi rischi per chi si espone all’infezione. Ma ottenere oggi il Green pass rafforzato da guariti vuol dire poter continuare a insegnare fino a giugno. Chi ha più di 50 anni, poi, in questo modo risponde pure al nuovo obbligo vaccinale per fasce d’età.

Incredibilmente per qualcuno il gioco vale la candela. Poi si vedrà. «Ci sono state indicate diverse situazioni riguardanti docenti che hanno organizzato incontri con persone positive con la speranza di prendersi il Covid – rivela uno dei presidi in questione –. Le persone con le medesime convinzioni anti-vacciniste si conoscono. E quando c’è un positivo non perdono tempo. 

Gli appuntamenti vengono fissati attraverso le chat. Abbiamo sentito direttamente diversi messaggi vocali. Alcuni sono anche disposti a pagare cifre tra i 200 e i 300 euro». Sembra assurdo, ma se il progetto va in porto scattano pure i festeggiamenti. «Dio per questo Natale mi ha fatto il regalo più bello: sono positivo al Covid – si sente in uno di questi audio-messaggi –. Una volta guarito, potrò continuare a insegnare senza più problemi».

La soddisfazione è confermata anche dai sindacati della scuola. «Diversi insegnanti non vaccinati – confida Giuseppe Morgante, segretario della Uil Scuola di Treviso – ci avevano contattato prima delle vacanze di Natale per affrontare il nodo della sospensione. Pochi giorni dopo, però, ci hanno richiamato tutti contenti perché erano risultati positivi: con il Green pass rafforzato come guariti, per quest’anno sono a posto. A noi non hanno detto espressamente se avevano ricercato il contagio volontariamente. Ma forse è anche meglio così, visto come avremmo potuto rispondere loro».

In tutto ciò, c’è pure un paradosso nel paradosso. Cioè la delusione di chi ha inutilmente provato a contagiarsi. «Siamo stati a contatto tutta la sera con un positivo – si sente in un altro messaggio vocale – ma non c’è stato niente da fare: continuiamo a risultare negativi». Sono frasi che fanno male in particolare alle persone che da quasi due anni si trovano in prima linea contro l’epidemia da Covid. 

«Gli insegnanti e i no-vax in generale che si comportano in questo modo sono dei c…...i che fanno una roulette russa – esplode Francesco Benazzi, direttore generale dell’Usl trevigiana –. Giocano con la loro vita e anche con quella degli altri. Fanno delle cazzate che mettono tutti ulteriormente a rischio».

Difficile riuscire a trattenere l’indignazione. Tra l’altro in una delle province che è tra le più colpite in assoluto dal coronavirus. Nonostante questo, purtroppo, i casi limite non mancano. L’ultimo è di domenica: una paziente Covid positiva ricoverata nell’unità di Pneumologia di Treviso ha rifiutato il trasferimento in Terapia intensiva. 

«Nonostante fosse sottoposta a ossigeno ad alti flussi, voleva uscire dall’ospedale e tornare a casa, dove avrebbe rischiato di morire», allarga le braccia Benazzi. Gli specialisti hanno discusso con lei per un’ora e mezza per convincerla a non lasciare il reparto. Alla fine è stata trovata una mediazione con la permanenza di Pneumologia. Ma così è ancora tutto tremendamente più difficile.

Covid: finge di vaccinare due no vax, arrestata infermiera. (ANSA il 15 gennaio 2022) - La Digos di Palermo ha arrestato una infermiera dell'hub vaccinale Fiera del Mediterraneo per falso ideologico e peculato. Durante un turno di servizio avrebbe finto di somministrare il vaccino anti-covid a due coniugi No vax. Nelle scorse settimane era finita ai domiciliari un'altra infermiera con le stesse accuse. 

La donna, che è stata posta ai domiciliari, si chiama Giorgia Camarda, ha 58 anni e lavora come infermiera anche nel Reparto malattie infettive dell'ospedale Civico di Palermo.

Secondo gli investigatori, oltre a fingere di vaccinare la coppia No vax, ora indagata per concorso in falso e peculato, avrebbe finto di aver ricevuto la dose booster del vaccino grazie alla complicità della collega fermata a dicembre, Anna Maria Lo Brano. 

La Lo Brano, in cambio di denaro, secondo gli investigatori, avrebbe finto di vaccinare 11 persone tra le quali un noto leader del movimento No vax che ora si trova in carcere. Secondo le indagini, il sistema usato dalla Camarda era lo stesso della collega: versare la dose vaccinale in un quadrato di garza e fare la finta iniezione. La Digos continua a indagare per accertare se ci siano stati altri episodi analoghi.

Covid: infermiera arrestata; avviata sospensione da ordine.

(ANSA il 15 gennaio 2022) - "L'arresto di un'altra infermiera coinvolta nell'inchiesta sulle finte vaccinazioni all'Hub della Fiera di Palermo è un ennesimo fatto gravissimo e sconcertante, che noi stigmatizziamo e condanniamo e verso il quale saremo inflessibili".

Così il presidente dell'Ordine degli Infermieri di Palermo, Nino Amato. "Abbiamo già sospeso la prima infermiera arrestata e gli altri due sotto inchiesta per i maltrattamenti nella casa di cura di Castelbuono e anche per quest'ultima sarà avviato l'iter propedeutico alla sospensione, aggiunge". Amato annuncia che l'Ordine degli Infermieri si costituirà parte civile in questi procedimenti. "Abbiamo agito e agiremo - dichiara - sempre col massimo rigore e con ogni strumento possibile contro chi si macchia di reati simili e verso chiunque leda l'immagine di professionisti seri e competenti".

Covid, a Lecce 11 positivi tra medici e infermieri del Pronto soccorso: ambulanze in coda per 3 ore.i Fracesco Oliva su La Repubblica il 4 Gennaio 2022. Il caso già denunciato nei scorsi giorni. Il primario Fracella: "I contagiati stanno bene, nella maggior parte dei casi non hanno sintomi. Ma l'improvvisa mancanza è diventata un'emergenza". Ambulanze con all'interno i pazienti incolonnate per ore in attesa di accedere in pronto soccorso. L'emergenza Covid mette in difficoltà la sanità salentina e l'ospedale Vito Fazzi di Lecce non riesce a gestire tutte le criticità in un periodo particolare dell'anno: oltre al dilagare del virus, infatti, in questo momento bisogna neutralizzare anche i tanti casi di infezioni legati al picco dell'influenza stagionale.

(ANSA il 4 gennaio 2021) - Un'albergatrice trentina è stata denunciata dai carabinieri per aver violato la quarantena malgrado fosse positiva al Covid. Domenica scorsa, i militari della Stazione di Madonna di Campiglio hanno sorpreso la donna intenta ad accogliere i clienti presso la reception del proprio albergo pur essendo risultata positiva al Covid 19 e pertanto destinataria di un provvedimento di isolamento notificatole soltanto qualche ora prima. La donna, che non ha addotto alcuna scusa alle contestazioni dei carabinieri, è stata fatta subito rientrare al proprio domicilio in isolamento. 

(ANSA il 4 gennaio 2021) - Falso in atto pubblico per 150 attestazioni di avvenuta somministrazione di vaccino anti-Covid che non sarebbe avvenuta, ma che avrebbero consentito il rilascio Green pass, ritenuti falsi, per avvenuta vaccinazione a 73 soggetti. E' una delle accuse mosse a un medico di medicina generale di Ascoli Piceno, convenzionato con l'Asur, arrestato oggi dai carabinieri del Comando provinciale di Ascoli Piceno su ordine del gip anche per peculato in relazione a 120 dosi anti-Covid ritirate dal centro vaccinale di Ascoli delle quali, secondo il procuratore Umberto Monti, il medico si sarebbe disfatto, senza averle inoculate.

L'ordinanza del gip di Ascoli, che per il medico applica la custodia cautelare in carcere, interessa anche una delle 73 persone che hanno ottenuto i Green pass ritenuti falsi, per la quale è stata disposta invece la detenzione domiciliare. Tutti i 73 Green pass ritenuti falsi sono stati sequestrati; ai soggetti interessati sono stati sequestrati anche telefoni cellulari e altro materiale che per la Procura di Ascoli sono utili per la ricostruzione degli esatti confini della vicenda. A carico di ognuno dei 73 soggetti possessori di Green pass falsi è ipotizzato il reato di falso in concorso con il medico, il quale è indagato anche per truffa aggravata ai danni dell'Asur riguardo gli emolumenti previsti per ciascuna dose somministrata.

Vaccino, sconcerto ad Ascoli Piceno: "Perché ho buttato 120 dosi". Rivolta del medico, chi rischia la rovina. Libero Quotidiano il 04 gennaio 2022. Un medico di Ascoli Piceno è stato arrestato dai carabinieri su ordine del gip con le accuse di peculato e falso in atto pubblico. Convenzionato con l’Asur, il medico di medicina generale ha rilasciato 150 attestazioni di avvenuta somministrazione del vaccino anti-Covid senza che questa sia mai avvenuta: il tutto per consentire il rilascio del Green Pass, ovviamente falso, per avvenuta vaccinazione a 73 persone.

L’accusa di peculato si riferisce invece alle dosi di vaccino ritirate dal centro vaccinale di Ascoli: secondo il procuratore Umberto Monti, il medico si sarebbe disfatto di tutte queste dosi senza averle mai inoculate. L’ordinanza del gip prevede per il medico la custodia cautelare il carcere e per una delle 73 persone che hanno ottenuto il Green Pass falso è invece stata disposta la detenzione domiciliare. Ovviamente è anche scattato il sequestro di tutte le certificazioni verdi che si ritiene che siano dei falsi, dato che la vaccinazione non è stata realmente eseguita. Ai soggetti interessati dall’ordinanza del gip sono anche stati sequestrati i telefoni cellulari e altro materiale che per la Procura di Ascoli può essere utile a ricostruire gli esatti confini della vicenda. A carico di ognuno dei 73 soggetti possessori di Green Pass falsi è ipotizzato il reato di falso in concorso con il medico.

Jacopo Iacoboni per lastampa.it il 3 gennaio 2021. Non c’è solo il Quirinale, a spaccare il Movimento 5 stelle. Mentre i senatori grillini – a dispetto di Conte che il 27 dicembre aveva chiesto che una donna salisse al Colle – invocano in assemblea un reincarico a Sergio Mattarella, anche sul tema delle vaccinazioni il Movimento che fu di Casaleggio e Beppe Grillo sta vivendo rigurgiti di totale ingovernabilità, e imprevedibilità. E, in questo caso, celebra il ritorno di fiamma di una delle più classiche armi della sua propaganda: lo scetticismo sui vaccini. 

Sul Quirinale, il vicepresidente M5S Michele Gubitosa, uomo scelto da Conte, si affretta a allinearsi ai senatori (non a Conte), spiegando che «Sergio Mattarella è stato sempre ed è il primo nome che il M5S voterebbe per il Quirinale. Non sono per niente sorpreso dal pensiero di alcuni nostri senatori espresso nella riunione di ieri. Lo condivido in pieno».

E sui vaccini si è aperto un fronte, parallelo, pericolosissimo per la tenuta interna del Movimento. Virginia Raggi (che anche in questi giorni si è sentita al telefono con Grillo) fa trapelare posizioni e atteggiamenti che incoraggiano cautela estrema sul vaccino anti Covid (la sindaca «ha gli anticorpi» viene comunicato).

E negli ultimi due giorni a Roma si è tenuto un evento totalmente No Vax al quale hanno partecipato i delegati di Italexit (il partito di Gianluigi Paragone), Lega, e anche un parlamentare di un partito della maggioranza di governo: il Movimento 5 stelle, appunto.

L’evento organizzato dal “Coordinamento 15 ottobre”, sigla della galassia no vax, si è dato il compito di «esporre prove medico-scientifiche per confutare la narrativa che ci impongono da circa due anni», un «invito al confronto» avvenuto al Capranichetta, proprio davanti a Montecitorio, e risultato pieno zeppo di persone.

Interessante è che, tra i diversi parlamentari inviati (da Pierluigi Paragone, Lucio Malan di Fratelli d'Italia, Massimiliano Romeo della Lega), c’era anche un grillino, Alberto Zolezzi. Il quale ha riproposto abbastanza plasticamente quanto il partito guidato da Giuseppe Conte sia percorso da una forte presenza di scetticismo vaccinale.

Zolezzi tiene a chiarire «partecipo al convegno a titolo personale, pur senza aderire a tutti i contenuti del dibattito. Penso sia importante ascoltare e ritengo utile questo confronto. Sono stato invitato dal dottor Alberto Donzelli, con il quale sono in contatto su vari temi. Lui e altri medici hanno creato una sorta di Comitato tecnico scientifico parallelo, invitando al confronto quello ufficiale.

Ho pieno rispetto dell'operato del governo ma credo che, in una fase di estrema complessità come quella che stiamo vivendo, i confronti siano utili per far capire le vere evidenze scientifiche e le prospettive di questa pandemia. Coniugando tutto questo con la libertà di scelta e di espressione delle persone. Andrò lì soprattutto per ascoltare». 

Sul green pass sul lavoro, dice per esempio Zolezzi, «sono sempre stato piuttosto scettico e i dati purtroppo confortano il fatto che questa misura non ha fatto scendere i contagi. Come medico ho somministrato centinaia se non migliaia di vaccinazioni ma sempre in un rapporto paritario di consenso informato e non di obbligo».

Il contesto però è più che no vax, nell’incontro risuonano proclami tipo questo, che danno un po’ il senso a tutto: «Se non fosse stata avviata questa campagna vaccinale e portata avanti con tanta determinazione come staremmo messi? Forse meglio di come stiamo adesso», gridano dal palco. 

Andrea Severini, il marito di Raggi, agita le chat grilline invitando a fare mail bombing ai parlamentari: «Buongiorno, dobbiamo essere in tanti a scrivere ai parlamentari di bloccare il Super Green Pass al lavoro. Cerchiamo un'ultima disperata azione per non far adottare questa misura senza senso nel mondo del lavoro.

Ora le persone a loro spese si pagano i tamponi per lavorare e sono le più controllate di tutti, basta questa follia ed isteria collettiva. La Costituzione italiana è già stata infangata con il Green Pass e il Super Green Pass, ma se toccano anche il lavoro sono dei vigliacchi. Il Movimento è morto se fa passare questa cosa, già prendiamo il 10%... alle prossime saremo al 5%». 

Certo è che in sala, al convegno del Capranichetta, elettori grillini o ex grillini sono numerosi. No vax, scettici e gente contraria all’obbligo vaccinale si mischiano. It’s a long story, è una storia che viene da lontano, nel grillismo. Grillo costruì (su suggerimento di Casaleggio) una cospicua fetta del suo network online sull’antivaccinismo (le altre tre furono no-migranti, no-euro, no-casta).

Aveva cominciato con gli spettacoli, il comico, ma fu il blog il detonatore. E’ un celebre post sul blog di Grillo, aprile 2007, che diede la stura a molte cose, compresa l’idea di passare da un blog d’opinione a un movimento politico organizzato. «Un bambino su 150 – scriveva Grillo – soffre di autismo. 

Venti anni fa solo uno su 2000. Gli scienziati attribuiscono la crescita all’inquinamento ambientale, alimentare e da vaccini e farmaci. I pediatri non dispongono di strumenti efficaci per diagnosticare l’autismo, e le vere cause non vengono combattute». Titolo: «L’epidemia dell’autismo».

Paola Taverna disse in tv che «una sentenza dice che il vaccino può causare l’autismo» (la sentenza non diceva esattamente questo). Alcuni deputati grillini – Corda, Rizzo, Artini, Basilio, Tofalo, Bernini, Frusone, Cecconi, Baroni, Dall’Osso, Grillo, Mantero: alcuni dei quali ancora in aula – il 12 febbraio 2014 firmarono una proposta di legge «sull’eventuale diniego dell’uso dei vaccini per il personale della pubblica amministrazione», un testo intriso di ideologia antivaccinista.

Il totem antivaccinista è riemerso nei giorni scorsi, un po’ riverniciato, quando gli eletti 5 stelle hanno chiesto e ottenuto che sull’eventuale obbligo vaccinale, o sul super Green pass voluto da Draghi, sia un’assemblea. Cosa che Conte ha accettato, senza combattere. «Ormai non decide più nulla», dice qualcuno nel Movimento. E appare sempre più difficile, per i leader degli altri partiti, immaginare di poter trattare con l’avvocato del popolo, se non garantisce neppure la tenuta dei suoi. Nella tenaglia Quirinale-vaccini rischia di celebrarsi l’ennesimo precipizio per il Movimento che arrivò al 33 per cento dei voti degli italiani.

·        Covid e Dad.

Scuola, supplenti per assenze Covid: «Noi insegnanti precari non pagati da mesi». Valeria Dalcore e Giovanna Maria Fagnani su il Corriere della Sera il 28 Gennaio 2022.

In classe da mesi a sostituire i colleghi assenti. Ma con lo stipendio che arriva a singhiozzo, a distanza di mesi e magari solo in parte. È la situazione che vivono migliaia di precari della scuola in tutta Italia, alcune centinaia nel Milanese. Insegnanti o bidelli che coprono le assenze brevi, ma anche di alcuni mesi come le maternità. Impegnati al posto del personale malato di Covid, in quarantena o sospeso perché non in regola con l’obbligo vaccinale. Stando ai dati diffusi mercoledì dall’Associazione nazionale presidi, in Lombardia la percentuale del personale scolastico assente la settimana scorsa era dell’8 per cento (con un picco alle materne, dove il 48 per cento delle classi è in Dad).

E i sindacati della scuola, Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda, nel denunciare la situazione, lanciano un nuovo allarme. Se, infatti, proprio negli ultimi giorni, la maggior parte di questi precari ha ricevuto almeno parte dell’arretrato, il problema si ripresenterà con i nuovi assunti di gennaio. «Chiediamo che ci sia una volontà politica di risoluzione di questo annoso problema — dice Massimiliano Sambruna, segretario di Cisl Scuola —. Ci sono docenti che, per accettare questi contratti, hanno interrotto la disoccupazione o il reddito di cittadinanza e poi si ritrovano senza sussidio e senza stipendio. Così dopo un po’ rinunciano alla cattedra e i dirigenti si ritrovano di nuovo in emergenza».

Tante le testimonianze raccolte dai sindacati. Come il caso di Milena Gadioli, 42 anni, di Pegognaga, nel basso mantovano, docente di potenziamento e supplente alla scuola primaria di Guastalla, in Emilia Romagna. Da ottobre è tra i circa 44 mila lavoratori della scuola sotto contratto Covid con il Miur (dati al dicembre 2021). Non ricevendo lo stipendio, e vivendo sola con un figlio, ha dovuto chiedere un prestito ai suoi genitori. «Ho ricevuto lo stipendio di ottobre a metà dicembre solo dopo aver mobilitato i sindacati. Da lì in poi nessuna comunicazione e altre scadenze non rispettate».

Le supplenze sono incognite imprevedibili e ci si destreggia tra programmi e classi diverse, con turni impegnativi. I pagamenti degli stipendi arrivano al massimo per una o due mensilità, poi si interrompono. «Sono in contatto con docenti siciliane che si sono trasferite per lavorare nel Mantovano a settembre e già non riescono a pagare l’affitto. Qualcuno ha già vissuto la stessa esperienza l’anno scorso, con la paga arrivata solo a giugno». Donatella, 31 anni, si è invece trasferita dalla Calabria per insegnare a Magenta, nel Milanese. «Ho mandato una messa a disposizione e sono stata chiamata: ho un contratto di tre ore per cinque giorni la settimana in una scuola dell’infanzia da ottobre». Stipendio? Al mese 790 euro al mese, ricevuti solo ieri. «Per fortuna sono ospite da un’amica. Altrimenti avrei rinunciato, ma a malincuore, perché credo in questa esperienza».

Ciò che indigna questi lavoratori è la fatica nel reperire informazioni. «Io e i colleghi siamo in costante comunicazione con la Ragioneria scolastica regionale e con la Segreteria del mio istituto: entrambi hanno accesso alla piattaforma del Miur, che al momento scrive “fondi in ricerca” e questo ci ha messo in allarme». Su questo i sindacati rassicurano. La coperta c’è e alla fine i soldi arrivano. Ma se la situazione non cambierà, avvertono: «Di fronte all’inerzia colpevole dell’Amministrazione, sarà inevitabile il ricorso alla magistratura del lavoro per ottenere i decreti ingiuntivi di pagamento».

La pandemia aggrava il dramma della dispersione scolastica. Scuola, denunciati 12 genitori: per 4 mesi non mandavano i figli a scuola per paura del Covid. Elena Del Mastro su Il Riformista il 27 Gennaio 2022. 

In Campania il dramma della dispersione scolastica è una piaga atavica. E la pandemia ha gravemente peggiorato la situazione: troppi bambini non vanno a scuola, non fanno nemmeno la dad, e talvolta è una scelta dei genitori per paura del Covid. È questo che hanno scoperto i Carabinieri della compagnia di Giugliano che hanno denunciato 12 genitori nel napoletano.

C’è chi non sapeva che il proprio figlio non andasse a scuola e chi, invece, ne era consapevole ma ha ammesso che le assenze erano determinate per paura del Covid. Mamme e papà che preferivano così tenere i propri figli a casa, lontano dai rischi del contagio violando però l’obbligo scolastico. I carabinieri della compagnia di Giugliano in Campania – in sinergia con la Procura per i minori di Napolie con i dirigenti scolastici – hanno verificato le posizioni degli studenti nei relativi istituti di formazione, in particolare a Giugliano e le città limitrofe.

A Sant’Antimo 12 genitori per 6 ragazzi risponderanno del reato di “inosservanza dell’obbligo di istruzione dei figli minori”. I carabinieri in collaborazione con il dirigente scolastico della scuola (le medie) hanno accertato che 6 ragazzi nonostante fossero iscritti non si erano presentati nel periodo tra settembre e dicembre scorso. I militari hanno convocato i 12 genitori e li hanno denunciati a piede libero.

Tra questi c’è chi non sapeva affatto che il proprio figlio non andasse a scuola e chi ha ammesso la propria responsabilità riferendo di aver paura che il bambino potesse contrarre il covid-19. Due alunne invece, bocciate due volte non frequentavano le lezioni perchè si vergognavano di andare a scuola con ragazzini più piccoli di loro, i genitori hanno ammesso ai carabinieri di sapere nulla di tutto questo. I nuclei familiari sono stati segnalati agli assistenti sociali del comune per intraprendere un percorso rieducativo. Dietro le 12 denunce c’è un mondo in disagio, quello dei più piccoli che sono quelli che forse stanno patendo di più gli effetti della pandemia.

“Educare, vigilare, proteggere ed ascoltare: è questo il compito e l’impegno che come Istituzioni abbiamo nei confronti dei minori e la scuola non può farlo a giorni alterni, a seconda di una quarantena per un contatto sospetto, di un positivo al tampone o ancora peggio di un green pass scaduto”. Così, in una nota, l’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza della Campania, Giuseppe Scialla, membro del Comitato ministeriale Media e Minori presieduto da Jacopo Marzetti con cui condivide l’attività a tutela di bambini e giovani.

“L’attuale schizofrenia delle norme anti Covid nel mondo scolastico provoca problemi che diventano ogni giorno più pesanti per gli addetti ai lavori, per le famiglie e soprattutto per gli studenti ingabbiati in una istruzione intermittente che provoca una pericolosa destabilizzazione nei minori con gravi conseguenze psicologiche ed attitudinali in una regione, come la Campania, già duramente colpita dall’elevato tasso di evasione scolastica e devianza”, spiega. “Pensiamo, piuttosto, a percorsi alternativi come l’utilizzo di spazi all’aperto e l’apertura delle strutture scolastiche in orario pomeridiano sia per lo svolgimento di lezioni meno affollate che per la pratica di attività sportive che tanto beneficio apportano ai ragazzi. Auspico che il Governo si adoperi con norme in tale direzione”.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

La crisi senza fine della scuola italiana, ferita gravemente dalla Dad. Il sottofinanziamento dei nostri istituti è un problema ignorato da decenni. E mentre le competenze degli studenti peggiorano, aumenta la dispersione. Il covid ha fatto il resto: più le aule restano chiuse, più gli alunni abbandonano gli studi. Gloria Riva su L'Espresso il 24 gennaio 2022.

C’è chi a scuola ha deciso di non andarci più. Ed è il 13 per cento dei ragazzi. E c’è chi a scuola ci va, ma senza imparare granché. Ed è il dieci per cento dei giovani. Così, nel 2021, un quarto di chi ha meno di 24 anni è entrato nel mondo degli adulti e del lavoro senza avere adeguati strumenti per affrontarlo, senza saper far di conto e comprendere un testo scritto.

Covid e scuola, una famiglia nella giungla burocratica: «Il maggiore positivo e la bambina in quarantena, che fare?». Fabrizio Guglielmini su Il Corriere della Sera il 24 gennaio 2022.

Barbara e Antonio sono due genitori milanesi chiamati a rispettare norme che spesso sembrano in contrasto fra loro: «Quello che chiediamo è più chiarezza nei provvedimenti».  

Una bambina in terza elementare in quarantena per un contatto scolastico, il fratello in prima media positivo da venerdì scorso e i genitori chiamati a rispettare «norme che spesso ci sembrano in contrasto fra loro». Barbara e Antonio sono due genitori milanesi (entrambi con la terza dose e i figli con il ciclo vaccinale completato da meno di quattordici giorni) che come altre decine di migliaia di famiglie italiane ce la stanno mettendo tutta per osservare la legge e tutelare i propri figli, cercando come obiettivo il reinserimento scolastico in sicurezza. «Le famiglie capiscono che Ats e le scuole sono in ginocchio ma quello che chiediamo è più chiarezza nei provvedimenti: oggi ci troviamo in una vera giungla burocratica».

Il loro caso è esemplare per più ragioni: la bambina, Carlotta, sta facendo dieci giorni di quarantena in conseguenza del contatto con una compagna positiva alle elementari. Nello specifico la mamma ricorda che «la bambina è in dad da una settimana perché nella sua classe ci sono stati cinque bambini positivi, ma al tempo stesso, avendo suo fratello positivo — e considerato quindi un contatto extrascolastico — Carlotta potrebbe osservare solo cinque giorni di autosorveglianza e tornare a scuola con Ffp2 o uscire, ma essendo vaccinata con seconda dose da 12 giorni il provvedimento sanitario le impone un’ulteriore quarantena con isolamento fiduciario di 10 giorni».

Relativamente più semplice il caso di Niccolò che è risultato positivo da venerdì e deve fare una settimana di quarantena per poi sottoporsi a tampone che se risulterà negativo gli permetterà di tornare nella sua classe di prima media. Alle prese con le quarantene e con la dad, la famiglia di Barbara e Antonio è relativamente fortunata: lei ha la possibilità di lavorare in smart working per una multinazionale danese, mentre il marito può gestire la sua attività da professionista sia da casa sia dal posto di lavoro.

Aggiunge Barbara: «Sono rappresentante di classe per le elementari e per l’istituto comprensivo che frequentano Niccolò e Carlotta e cerco di rispondere ai tanti dubbi dei genitori che si trovano di fronte a provvedimenti di difficile interpretazione soprattutto se sono di nazionalità straniera». Una richiesta che emerge da moltissime famiglie è quella di equiparare il trattamento di quarantena fra la scuola primaria e la scuola secondaria, cioè che i bambini vaccinati possano frequentare la scuola in presenza fino al terzo caso di alunno positivo, dando così un senso razionale allo stato vaccinale del bambino.

«Purtroppo — riprende Barbara — mia figlia in prima elementare ha fatto tre mesi in presenza, nel secondo anno ha visto gli insegnanti e i compagni solo con le mascherine e ora deve subire quarantene che rappresentano uno stress psicologico che la mettono a dura prova». Insieme ad altri genitori, la famiglia milanese ha redatto un volantino in cui si chiede che gli alunni vaccinati o guariti «siano equiparati a tutti gli altri cittadini e che non debbano più subire inutili quarantene, visto che alla primaria, se in una classe risultano positivi due alunni, tutti i bambini devono osservare dieci giorni di isolamento domiciliare, indipendentemente dallo stato vaccinale». A casa, Niccolò adesso si trova nella sua stanza in quarantena ma nel caso in cui Carlotta dovesse risultare positiva al prossimo tampone si ritroverebbe a dover affrontare ulteriori dieci giorni di isolamento. «Un’ipotesi a cui non vogliamo neppure pensare», è il commento di Antonio e Barbara.

Il problema delle scuole è che non sono state rese sicure, non se devono stare aperte o chiuse. Giulio Cavalli il 20/01/2022 su Notizie.it.

Le scuole avrebbero bisogno di essere più sicure. Ma trasformare tutto in un raffreddore e in un lamento contro i lavoratori sfaccendati è molto più semplice. 

Se non ci fosse in giro questa pugnace normalizzazione di situazioni che sono tutt’altro che normali oggi avremmo le agenzie di stampa e i social dei principali leader politici che soffierebbero contro il ministro all’Istruzione Bianchi e contro il Governo.

Ma la vera variante non sta nel ceppo del virus, la nuova variante che investe l’Italia è la raffredorizzazione in tutte le sue forme, il non pronunciare l’emergenza illudendosi che così non esista, negare le criticità per fingere di risolverle.

Negli ultimi giorni è accaduto che un ministro e l’Associazione Nazionale Presidi abbiano dato numeri completamente diversi sulla situazione delle scuole con un balletto ben poco edificante. Il ministro, con la solita sicumera di chi affida alla narrazione la costruzione della realtà, ci tiene a dirci che «il 93,4% delle classi sono in presenza.

Di questi il 13,1% con attività integrata per singoli studenti a distanza. Le classi totalmente a distanza sono il 6,6%». Se trasformassimo le percentuali in persone significa che circa un milione di studenti (e relative famiglie) costretti a seguire le lezioni da casa. Ovviamente a questo si aggiunge il solito trucco che ostinatamente ci viene propinato dall’inizio della pandemia, «i ragazzi non si contagiano a scuola», continuano a ripetere ossessivamente.

La postura fa il pari con le persone che «non si ammalano al lavoro» o con tutte le colpe dei runner, della movida e delle feste in famiglia: il Covid deve essere un virus intelligentemente capitalista se riesce, secondo la descrizione del Governo, a punire con mirabile precisione solo le persone che si concedono uno svago. A questo punto stupisce che non abbia ancora deciso di accanirsi solo contro i percettori del reddito di cittadinanza.

L’Associazione dei presidi, da canto suo, fa il suo mestiere e raccoglie le testimonianze sul territorio. E di testimonianze sono pieni i giornali (quelli non allineati alla strategia tranquillizzante che sfiora il negazionismo) e le esperienze personali. La pandemia burocratica è evidente: le aziende sanitarie sono sovraccariche e non riescono a garantire il tampone in tempo, le certificazioni non arrivano per i genitori che devono chiedere permessi di lavoro, le interpretazioni spesso variano da istituto a istituto. Il risultato è che c’è chi si fa 14 giorni di quarantena e chi ne fa zero. Anche l’attivazione della Dad (quella che il ministro Bianchi afferma felice di avere evitato) ci mette un paio di giorni per essere operativa.

A molti pare anche sfuggire che a sostituire l’assenza delle aziende sanitarie è il personale scolastico: sono docenti, dirigenti scolastici, i loro collaboratori e collaboratrici (che sono docenti) che si fanno carico di un tracciamento che è completamente saltato a livello nazionale. Sono gli stessi che devono pure sorbirsi l’accusa di essere sfaticati nullafacenti. Funziona sempre così, quando il sistema salta per assolversi ha bisogno di trovare dei capri espiatori e i dipendenti pubblici, si sa, funzionano sempre benissimo.

La mancanza di senso l’ha riassunta perfettamente la giornalista Annalisa Cuzzocrea che in un tweet dice: «Un ragazzo, dopo un contatto con un positivo, col green pass valido può fare tutto dopo 5 giorni con tampone negativo. A scuola, se ha fatto la seconda dose da più di 4 mesi, di giorni (in dad) deve passarne 10. Rinsavite per favore?».

E a proposito dell’intendimento del Governo di agire “solo su base scientifica” (l’avevano promesso fin dall’insediamento) Galli chiarisce che la «scuola è fonte di contagio enorme. Piaccia o non piaccia. Il virus se ne infischia delle vostre posizioni ideologiche». Del resto l’OMS ripete dall’inizio della pandemia che restare per ore in un luogo chiuso senza impianti di ventilazione e senza purificazione dell’aria è la condizione perfetta per contagiarsi.

Qui arriva il punto sostanziale. La discussione tra chi vorrebbe le scuole aperte e chi le vorrebbe chiuse è un falso problema dato in pasto ai media per alimentare divisioni. Le scuole per essere più sicure avevano bisogno di impianti di ventilazione meccanizzati, di sistemi di purificazione dell’aria, di più trasporti (e migliori), di una rigorosa strategia di tracciamento (a proposito, che fine ha fatto Figliuolo sulle scuole?), di una veloce e facile burocrazia per stare al passo di una pandemia veloce con i suoi veloci contagi e le sue veloci guarigioni. Questo è il vero problema di cui pochi sembrano voler parlare per assumersi la responsabilità dell’inerzia che ancora avvolge la scuola nell’incertezza.

Ma trasformare tutto in un raffreddore e in un lamento contro i lavoratori sfaccendati è molto più semplice. Quanto sia eticamente accettabile ognuno lo può decidere da solo.

LORENA LOIACONO per il Messaggero il 16 gennaio 2021.

In 7 classi su 10 la didattica in presenza è saltata. È questo l'amaro bilancio dei dirigenti scolastici dopo la prima settimana di scuola del 2022: gli studenti sono tornati tra i banchi lunedì scorso ma gli effetti dei contagi ne hanno ridotto pesantemente la presenza in classe. In aula c'è una parte dei ragazzi, l'altra è a casa che segue la lezione attraverso lo schermo del computer. 

E così la didattica mista interessa ormai tutte le scuole, per oltre i due terzi delle classi. Il numero degli studenti positivi in quarantena oppure di contatti stretti cresce di ora in ora e per le scuole sta diventando decisamente critico organizzare la didattica. I presidi non sanno più che risposte dare alle famiglie.

Per tantissime scuole la ripresa si sta dimostrando decisamente in salita: «Il 10% dei ragazzi è in didattica a distanza - racconta Cristina Costarelli, dirigente scolastico del liceo Newton di Roma e presidente dell'Associazione nazionale dei presidi nel Lazio - se guardiamo le classi posso dire che nella mia scuola sono in didattica mista 37 classi su 46. Vale a dire circa 8 su 10 ma in media nel Lazio possiamo stimare una quota di 7 su 10. Il problema è che non facciamo in tempo a far arrivare alle famiglie una comunicazione, che arriva un nuovo caso e la comunicazione cambia. Così è impossibile fare lezione». L'allarme arriva da tutta Italia, con i casi che aumentano costantemente, e sempre più computer che si accendono per portare avanti le lezioni. 

«Così non si riesce a fare scuola - spiega Laura Biancato, dirigente scolastico dell'istituto Einaudi di Bassano del Grappa, in provincia di Vicenza - abbiamo 7 classi su 10 in didattica mista. Nel mio istituto ho il 15% dei ragazzi a casa, su un totale di 1600, con una pesante ricaduta sulle classi che vivono la didattica digitale per oltre i due terzi. Abbiamo iniziato lunedì scorso con i ragazzi già in quarantena e poi il dato è aumentato di giorno in giorno. Ritengo che almeno alle superiori sarebbe meglio una buona didattica a distanza, ben organizzata, rispetto a questa didattica mista che non aiuta, anzi è del tutto inefficace. Le lezioni in presenza devono essere organizzate diversamente da quelle online». 

La dirigente Biancato è tra i promotori della lettera indirizzata al ministro Bianchi, pochi giorni prima della ripresa, in cui si chiedeva di posticipare il rientro in classe in presenza: è stata firmata da 2400 presidi di tutta Italia, in sole 24 ore. Vale a dire che un terzo dei presidi avrebbe preferito posticipare la riapertura delle scuole. «Riceviamo segnalazioni di casi positivi di ora in ora - continua la dirigente dell'istituto superiore Einaudi - circa 150-170 mail al giorno: non riusciamo a gestire tutto, non abbiamo la struttura per farlo e la Asl è in difficoltà quindi non abbiamo supporto».

Portare avanti la didattica mista significa vivere il problema di tenere sotto controllo sia i ragazzi in presenza sia quelli a distanza, gestendo la didattica su due fronti e soprattutto con una copertura online che soffre pesantemente. «Nella mia scuola si va ben oltre il 70% di classi in didattica mista - sottolinea Valeria Sentili, dirigente scolastico dell'istituto Morvillo di Roma - purtroppo, infatti, ho 54 classi in didattica mista su 54, vale a dire tutte. Tra queste ce ne sono 4 in dad completa. È chiaro che la connessione, con tutti i computer collegati, diventa un problema. Alla Morvillo è in sofferenza soprattutto una delle sedi dove sono dovuti intervenire i tecnici durante il fine settimana: speriamo che lunedì vada meglio, noi comunque andiamo avanti».

LA QUALITÀ DELLA DIDATTICA Anche per la scuola elementare e per le medie le criticità riguardano diversi aspetti: «Purtroppo però non viviamo solo un problema di connessione su cui, comunque, possiamo far intervenire i tecnici - continua la Sentili, affrontando il problema di metodo che sta mettendo a dura prova tante scuole - ma anche di qualità: è brutto dirlo ma le classi in dad lavorano meglio. Gli alunni a distanza, con il resto della classe in presenza, diventano semplici uditori». 

ALLARME PRIMARIE. Da il Messaggero il 16 gennaio 2021.  

I contagi tra i bambini corrono e il contact tracing sta diventando impossibile: per le Regioni è necessario riattivare la quarantena già dal primo caso positivo in classe, in attesa di effettuare tutti i tamponi. Anche perché, altrimenti, i bambini continuano a frequentare amici e parenti, facendo circolare il virus in attesa del test.

LE REGOLE IN VIGORE Secondo la nuova procedura per le quarantene, nelle scuole elementari con un solo caso positivo i bambini possono restare in classe, portando avanti l'autosorveglianza: vale a dire che devono frequentare la scuola con la mascherina Ffp2, devono misurare la febbre costantemente e devono sottoporsi al tampone zero, quindi immediato, e poi ripeterlo dopo 5 giorni.

Purtroppo è praticamente impossibile riuscire a effettuare il primo tampone (il cosiddetto T0) a tutta la classe, il giorno stesso in cui si viene a conoscenza della positività di un compagno. Il motivo? Passano due o tre giorni prima che arrivino le comunicazioni tra Asl e scuola e poi alla famiglia: i bambini vanno finalmente a fare un tampone e così, il terzo o quarto giorno, arrivano tutti i risultati. 

A quel punto, però, può uscire il secondo caso positivo con cui tutta la classe va in quarantena. Ma in quei tre o quattro giorni di attesa i bambini non sono stati in isolamento: sono andati a fare ginnastica il pomeriggio, sono stati in piscina o a danza, hanno giocato a calcio o sono andati a studiare da un amico, dai nonni o dai cugini. Il virus, quindi, ha avuto 3 o 4 giorni di tempo per raggiungere altre persone. Non è assolutamente raro, infatti, che nelle classi arrivi il secondo positivo durante l'autosorveglianza. Si tratta di un bambino, spesso asintomatico, che ha avuto contatti con altre persone.

Da qui, dunque, possono nascere altre quarantene a catena. Secondo le Regioni, che riportano le oggettive difficoltà delle scuole e delle Asl nel gestire la situazione sul territorio, tutto ciò non è più sostenibile. E dunque le amministrazioni chiedono di alzare le misure di sicurezza ripristinando la quarantena e la dad alle elementari fin dal primo caso di positività tra i banchi. 

«La gestione della sorveglianza con testing prevista per le scuole primarie risulta impossibile - si legge tra le richieste delle Regioni - soprattutto con una incidenza in questa fascia di età che supera i 1000 casi su 100.000, in quanto non si riescono a contattare tutte le classi nel rispetto di questi tempi. La conseguenza è che intanto che gli studenti aspettano di essere contattati per l'esecuzione del tampone e del relativo referto, continuano a frequentare altri ambienti comunitari con conseguente diffusione del virus».

Gli alunni di scuola elementare rientrano nella fascia di età di 5-11 anni per la quale le vaccinazioni sono iniziate un mese fa, il 16 dicembre scorso. La copertura quindi è parziale, ha ricevuto la prima dose il 20% dei bambini. 

In questa fascia di età il virus circola più facilmente e il risultato si vede anche nelle aule scolastiche, dove il numero dei casi cresce di giorno in giorno, in maniera decisamente maggiore rispetto allo scorso anno quando il Covid colpiva invece i ragazzi più grandi, ora vaccinati. Per le Regioni si sta dimostrando un errore non mettere in isolamento i bambini al primo positivo tra i banchi: «Si ritiene che debba essere precisato che in attesa dell'effettuazione del tampone e del relativo esito, gli studenti rimangano presso il domicilio senza frequentare né la scuola, né le attività comunitarie». 

GLI AUTOBUS IN ARANCIONE Con la ripresa della scuola è aumentata anche la pressione sui mezzi di trasporto pubblico. Oggi, in zona arancione, è consentita una presenza del 50% a bordo di bus e metro ma le Regioni chiedono di alzarla all'80% altrimenti il servizio non può essere garantito: «Con le scuole in presenza e il minor utilizzo dello smart working rispetto allo scorso anno, non si è in grado di portare studenti e lavoratori a scuola e sul posto di lavoro, vista l'attuale percentuale del 50%».

Signora Sanità. Gli sms dell’Ats, la preside Ponzio Pilato e il lockdown di 10 giorni con mio figlio.  L'Inkiesta il 15 gennaio 2022.

Una sola cosa ho capito in questi anni: che nessuno sa mai niente, che nessuno sembra essere pagato abbastanza per prendersi una responsabilità, o per leggere una circolare. Eppure per risolvere davvero il problema dei contagi a scuola basterebbe oliare la leva che solleva il mondo: la competizione tra mamme. Vedete poi come schizzano i numeri dei vaccinati. 

La storia di presenta sempre due volte: la prima come mail della preside, la seconda come sms di ATS. E fu così che nel mezzo di una mattina infrasettimanale di smart working arrivò la mail della dirigente scolastica: signore e signori, è questo il segnale, chiudete porte e finestre, sanificate le feste, lucidate i termometri, smettete di silenziarvi la chat, venire a riprendere i vostri figli che sono in quarantena da l’altro ieri. I vostri figli non sono più vostri, sono di ATS.

Il primo pensiero: e anche questa settimana ho svoltato la rubrica. Secondo pensiero: signore, ma perché proprio a me? Il mio povero bambino in lockdown per 10 giorni, ma sicuramente ci sarà un espediente, un’agevolazione, un condono, una robetta all’italiana in virtù della quale siccome è vaccinato potrà con serenità autosorvegliarsi, diventare maggiorenne, votare al Senato, firmare la petizione per il bonus psicologo. E invece pare che la sanità non abbia contemplato che un cinquenne possa essere vaccinato, stessa cosa per i bambini delle elementari.

Signora Sanità, mi ascolti, ascolti una madre, una donna, una moglie, una professionista: il buon senso non ha mai spinto nessuno a fare qualcosa a vantaggio della comunità, ma il condono sì.

Se volete che i genitori vaccinino i bambini dovete fare in modo che abbiano un tornaconto personale, un vantaggio su qualcun altro, una piccola ruberia legalizzata, altrimenti noi che lo abbiamo fatto ci troviamo qua a chiederci: cosa li abbiamo vaccinati a fare?

Sì va bene, ci sono meno possibilità che si ammali, l’importante è la salute, va bene per carità, ma io voglio un vantaggio personale, basterebbe ben oliare la leva che solleva il mondo della competizione tra mamme, vedete poi come schizzano i numeri dei vaccinati. Generale Figliuolo, mi chiami, io so come aiutarla. Generale Figliuolo, mi ascolti, leave the gun, take the cannoli. Invece eccomi qua, di nuovo col lasciapassare A38 in mano, a cercare il cavillo tra i documenti di ATS, i diagrammi, le slide, e invece niente, nessun cavillo, rimane la tumulazione in casa. Per la prima volta in due anni ho un cedimento.

Ho fatto tutto quello che c’era da fare, tutto, ho vaccinato pure le gambe del tavolo, e sono ancora chiusa in casa insieme a mio figlio, che non è più mio figlio, ma un contatto stretto del figlio di qualcun altro. Sono qua che con grande umiltà passo la scopa a vapore sperando di fare diecimila passi in corridoio, e siccome sono una donna e so fare due cose insieme, scrivo alla preside se il tampone di fine quarantena lo devo fare il decimo giorno, o l’undicesimo, e lei mi dice che devo parlare con la pediatra, ma come scusi, ma queste sono indicazioni che riguardano la scuola, è burocrazia, mica è medicina.

Una sola cosa ho capito in questi anni: che nessuno sa mai niente, che nessuno sembra essere pagato abbastanza per prendersi una responsabilità, o per leggere una circolare.

Se non sono condonata, tutti dovranno subire il mio malumore, sono dei Pesci, il mio malumore è un piombo, quindi mentre con grande umiltà pulisco la friggitrice ad aria, scrivo in chat se per caso le maestre hanno intenzione di fare una videochiamata con i bambini, e la risposta è che non sanno se possono farlo; ma in che senso, scusate, hanno finito l’internet? Sono in malattia? L’autosorveglianza è malattia? È smart working? È sciopero da remoto? Uno sguardo commosso all’arredamento e chi s’è visto, s’è visto?

Ministro Bianchi, ascolti una scema, si faccia dare il numero dal Generale Figliuolo e mi chiami.

L.Loi. per “il Messaggero” l'8 gennaio 2022. Scarsa aerazione, distanziamento in classe impossibile e il tracciamento che, appena la curva sale, va in tilt. Senza parlare dei trasporti pubblici per i quali, ormai, sembra non esserci più niente da fare. Un film già visto, quello che sta accadendo oggi a poche ore dal rientro in classe di 8milioni di studenti: un tira e molla tra istituzioni e, di base, quelle opportunità mancate con cui la scuola avrebbe davvero potuto innovarsi approfittando proprio della pandemia. 

O, almeno, così si diceva quando nella primavera del 2020 le scuole vennero chiuse per il lockdown e iniziarono a gestire la situazione senza la preparazione e gli strumenti adeguati. Come tutti del resto. Ma oggi? In due anni la situazione, di fatto, non è cambiata. Almeno non abbastanza da evitare alle scuole di finire puntualmente in emergenza.  

In tutto questo tempo, infatti, gli istituti avrebbero potuto dotarsi di impianti di aerazione: il covid vive e ha la meglio negli ambienti chiusi, dove l'aria non è pulita. Funziona come un'influenza normale, quindi il ricambio dell'aria è fondamentale. 

Se nei periodi caldi le aule possono restare più tempo con le finestre aperte, all'arrivo del primo freddo l'atmosfera in classe diventa insostenibile: o è gelida o è pericolosa per i contagi.  

«Per riaprire è necessario che le scuole siano in sicurezza ribadisce il sottosegretario all'istruzione, Rossano Sasso della Lega a cominciare dalla salubrità dell'aria: puntiamo con decisione sugli impianti di aerazione e ventilazione che, dove vengono impiegati, si stanno dimostrando un aiuto prezioso. Ognuno si assuma le proprie responsabilità, cosa stiamo aspettando ancora a dotare tutte le scuole di sanificatori e impianti di aerazione? Restiamo uniti in questa battaglia fondamentale per il futuro dei nostri figli». 

Sono i ragazzi, infatti, a pagare di più la criticità della situazione. Loro che ogni giorno studiano in aule ancora troppo affollate. Lo erano prima della pandemia, quando si parlava già di classi pollaio, e lo sono oggi più che mai visto che il distanziamento di un metro in molti casi non può essere garantito. In questi ultimi due anni si sarebbero dovute dotare le scuole di nuovi spazi per garantire il distanziamento, dividendo le classi con docenti e bidelli in più. 

Necessità sottolineata anche da Cittadinanzattiva nell'ultimo rapporto sugli istituti scolastici: in Italia ci sono infatti circa 460 mila bambini e ragazzi che studiano in 17mila classi con più di 25 alunni; il problema è concentrato soprattutto nelle scuole superiori.  

Ma questa è la punta dell'iceberg, visto che le classi risultano sovraffollate, in base al rapporto tra studenti e metri quadri: problema emerso chiaramente con la necessità di distanziare i ragazzi di un metro gli uni dagli altri. I banchi singoli, in quel modo, non entrano.  

Lo scorso anno fu impossibile riuscirci, tanto che si pensò ad organizzare turni con percentuali di presenza fisse al 50% o 75% prima ancora che lo imponesse il Governo. Ma quest' anno si è deciso di derogare al distanziamento di un metro, accontentandosi del semplice utilizzo della mascherina al banco. Del resto se si vuole tenere tutti in presenza, il distanziamento non si può mettere in atto.  

Ma i problemi non sono solo interni alle classi, riguardano anche ciò che ruota intorno alle scuole. A cominciare dalla necessità degli istituti di poter disporre di un servizio costante, da parte delle Asl, per fare tamponi mirati nei casi di positività in classe e, allo stesso tempo, di uno screening capillare per monitorare eventuali focolai e criticità sul territorio.  

Ad oggi il sistema è in fortissimo affanno, si è visto a dicembre prima della chiusura. E si vede adesso, con i contagi alle stelle. E poi c'è da fare i conti con autobus e metro: le città, in questi due anni, avrebbero potuto ridisegnare il servizio di trasporto pubblico con una maggiore attenzione alle fasce orarie della scuola e alla necessità di non far viaggiare i ragazzi ammassati l'uni agli altri. Sembra un'impresa impossibile: anche con la capienza ridotta al 50 e poi all'80% i mezzi viaggiano stracolmi. 

L'Oms comanda? Meglio fare sempre l'esatto opposto: ecco perché la Dad alle superiori va abolita. Lorenzo Mottola su Libero Quotidiano il 12 gennaio 2022.

Ormai va così da due anni: ogni volta che le lezioni scolastiche stanno per riprendere l'evento viene anticipato da un bombardamento di fosche profezie in stile Maya. "Sarà il caos", "chiuderemo tutti", "nessuno pensa ai bambini" etc. etc... E ormai da due anni alla fine si riparte senza drammi. Ieri è stato segnalato un 10% di assenti. Il che significa che nelle nostre classi non avviene nulla di particolarmente diverso da quanto capita nel resto del Paese. Certo, il Covid circola e l'Omicron sta dimostrando di essere ciò che gli analisti dicevano che fosse, ovvero uno dei virus più contagiosi mai studiati. Di conseguenza è chiaro che nelle prossime settimane anche trai banchi compariranno positivi a badilate.

L'importante è comportarsi in maniera razionale: Mario Draghi ieri ha ribadito un concetto ovvio, fermare le lezioni in presenza non avrebbe senso, se poi il pomeriggio i ragazzi vanno al parco e la sera in pizzeria. E ovviamente al momento, bollettino dei ricoveri alla mano, non c'è alcuna ragione per rinchiudere in casa ragazzi e pizzaioli. Solo il campano De Luca pare preso dal panico e strilla: "Attenti, con queste regole tantissime sezioni finiranno presto in didattica a distanza" (strumento che ha ampiamente dimostrato di funzionare anche meno del telelavoro al catasto). L'ex sindaco di Salerno in parte ha ragione: con le nuove norme sulle quarantene è prevedibile che si torni usare diffusamente la Dad, se con qualche positivo tocca spedire tutti a casa. Il problema è capire come reagire. De Luca vorrebbe chiudere tutto senza aprire. Stavolta, però, abbiamo un'alternativa. Potremmo fare l'opposto di quel che dice il politico dem e tenere aperto applicando per la scuola le stesse identiche regole che valgono per qualsiasi altra attività e per le aziende.

Con le leggi attuali, chi è stato vaccinato da meno di 4 mesi o ha fatto il "booster" può continuare ad andare in ufficio anche se qualche "contatto stretto" è stato colpito dal Covid. Non è prevista la quarantena, basta porre un po' di attenzione, in assenza di sintomi. A scuola dovrebbe essere lo stesso. Almeno alle superiori, i giovani andrebbero trattati come gli adulti, in particolare se si conta che per loro il rischio è statisticamente inferiore. Tra i 12 e 19 anni più dell'82% ha già avuto almeno la prima dose. Anche la scuola è un posto di lavoro, il 99% dei professori è vaccinato e studiare è il lavoro dei ragazzi. In generale dovremmo rivolgere lo sguardo alla Spagna. Il premier Sanchez ha spiegato che Madrid intende adottare un nuovo sistema: dobbiamo cominciare a ragionare come se il Covid fosse un'influenza. Esattamente come suggerito dal professor Sergio Abrignani ieri su Libero. Stop ai bollettini quotidiani con il conto dei nuovi contagiati - asintomatici inclusi -, molto meglio dare solo le cifre relativi ai ricoveri. Un modo per evitare di esagerare la percezione dei pericoli. Bisogna solo superare uno scoglio: l'Organizzazione Mondiale della Sanità ci impone di pubblicare tutte le cifre. E se l'Oms comanda così, visti gli ultimi due anni, è probabile che sia giusto fare l'opposto.

·        Il costo.

Fabio Savelli per il “Corriere della sera” il 19 settembre 2022.

Due anni di pandemia: quasi 25 miliardi di ristori a fondo perduto. Due anni terribili per l'economia. Chiusure prolungate di bar e ristoranti, alberghi e sale scommesse, piscine e palestre. Coprifuoco notturno a partire dalle 18 per oltre sette mesi a cavallo tra il 2020 e il 2021 che hanno buttato giù il fatturato di migliaia di partite Iva. Misure di distanziamento, non più di quattro a pranzo allo stesso tavolo, assembramenti vietati, mascherina di ordinanza.

Eppure lo Stato sociale ha tenuto, aumentando il debito pubblico che ha superato il 150% in rapporto al Pil. L'economia però è ripartita se nel 2021 la crescita ha rimbalzato al 6,6%. Grazie ai vaccini certo, ma migliaia di esercenti, piccole e medie imprese, attività turistiche hanno superato l'emergenza anche attingendo ai diversi fondi messi in campo dal governo per affrontare una sfida dalla portata inimmaginabile.

I dati appena pubblicati dall'Agenzia delle Entrate restituiscono una diapositiva fedele di cosa abbiamo vissuto. Oltre 2,45 milioni di beneficiari dei vari aiuti erogati dall'Agenzia, guidata da Ernesto Maria Ruffini, nel 2020, circa 2,25 milioni nel 2021. Oltre 9,38 miliardi dispensati nel primo anno di pandemia, 15,34 miliardi nel secondo. Totale: 24,7 miliardi.

Quasi la metà delle risorse messe in campo dall'esecutivo nei primi due decreti Aiuti contro il caro energia. Poco meno del doppio dell'intervento appena varato, l'Aiuti ter, che movimenta circa 14 miliardi. Tredici i provvedimenti, nei due anni in questione, che hanno dato mandato all'Agenzia delle Entrate di effettuare i pagamenti sui conti correnti dei destinatari a seguito di triangolazione con la Banca d'Italia. Ristori nella gran parte dei casi arrivati in una decina di giorni dalle richieste. Dal primo decreto Rilancio, aprile 2020, ai due Ristori 1 e bis fino ai due Sostegni 1 e bis del 2021, per citare i più rappresentativi.

Procedure in tempi record grazie alla piattaforma informatica dell'Agenzia, gestita in collaborazione con Sogei, la società hi-tech del ministero del Tesoro, che aveva già a disposizione sui suoi cervelloni miliardi di dati degli italiani derivanti dall'anagrafe tributaria, tra dichiarazione dei redditi e fatturazione elettronica. Un cambio di passo applaudito anche dall'allora premier, Giuseppe Conte, dopo le prime criticità manifestate dall'Inps per il primo bonus autonomi di marzo 2020 in cui il portale andò in tilt in pochi minuti.

La regione destinataria della maggiore quota di contributi nel 2021 è stata la Lombardia (3.171.267.365), a seguire Lazio (1.617.317.622), Veneto (1.483.497.511), Campania (1.259.045.717), Emilia Romagna (1.258.814.413) e Toscana (1.245.521.274). Non a caso le più rilevanti in termini di popolazione e di presenza di attività economico-ricettive.

Interessante annotare che il numero dei beneficiari nel 2020 è stato superiore a quello dell'anno dopo ma l'ammontare delle risorse è invertito, con un aggravio sui conti pubblici di circa 6 miliardi nel secondo anno di Covid. Segnale che gli interventi sono cresciuti, ma sono stati anche più selettivi. Mirati su chi ne aveva bisogno. Ora la sfida del caro energia. Che incide sul debito ma produce un extra gettito da inflazione.

L’autogol della Regione Veneto: paga 27mila euro per fare causa a Crisanti ma la Procura chiede l’archiviazione e vuole valutare le spese. Andrea Tornago su L'Espresso il 2 Maggio 2022. 

L’esposto boomerang della sanità del Veneto contro il virologo che aveva criticato l’uso massiccio dei tamponi rapidi: gli atti alla Corte dei Conti perché «nella presentazione dell’esposto appaiono utilizzate finanze pubbliche». La replica dell’avvocato in una nota: «Compenso ricevuto per un altro incarico».

L’esposto alla magistratura è andato a vuoto. La parcella, invece, ha colpito nel segno: 27 mila euro. Soldi pubblici pagati da Azienda Zero, l’ente che governa la sanità della Regione Veneto, a un legale esterno per denunciare Andrea Crisanti, il noto microbiologo dell’Università di Padova che ha gestito con successo il focolaio di Vo’ Euganeo pubblicando i risultati su Nature. La sua colpa? Aver criticato le politiche sanitarie del Veneto sul Covid-19, in particolare l’uso massiccio dei tamponi rapidi, meno sensibili dei molecolari. Mai denuncia fu più inopportuna: non solo la Procura di Padova ha chiesto l’archiviazione del fascicolo ma, ironia della sorte, ha anche trasmesso gli atti alla Corte dei Conti perché valuti le spese legali sostenute da Azienda Zero, considerato che «nella presentazione dell’esposto appaiono utilizzate finanze pubbliche». Un autogol per la Regione Veneto.

La vicenda è ricostruita nella richiesta di archiviazione trasmessa dal sostituto procuratore Silvia Golin al Gip di Padova lo scorso 12 aprile. Per il pm le posizioni espresse da Crisanti, in ragione della sua indiscutibile competenza scientifica, rappresentavano un legittimo esercizio del diritto di critica. La denuncia di Azienda Zero contro il docente sarebbe stata comunque improcedibile per questioni formali, in quanto «l’esposto che sostanzialmente denuncia il prof. Crisanti per diffamazione - scrive il pm Golin - è privo della volontà punitiva», ovvero della querela di parte, necessaria in caso di reato non procedibile d’ufficio. Dunque inutile. Così nel mirino dei magistrati, anziché le critiche formulate dal professor Crisanti alla Regione, è finita la maxi parcella pagata dall’ente di governance della sanità veneta all’avvocato Fabio Pinelli, il professionista esterno incaricato di predisporre l’esposto firmato poi dal direttore generale di Azienda Zero, Roberto Toniolo.

Qui la replica all’Espresso dell’avvocato Fabio Pinelli: “Compenso ricevuto per un altro incarico”

Sulla parcella pagata all’avvocato Pinelli in realtà si è creato un piccolo giallo. Perché il dg Azienda Zero, Toniolo, davanti al pm ha fornito più di una versione dei fatti in relazione «all’incarico per la diffamazione a carico del professor Crisanti». In un primo momento, per circostanziare la spesa, ha prodotto la copia di una delibera - la numero 67 del 4 febbraio 2021 - per la quale nel maggio del 2021 l’azienda sanitaria ha liquidato all’avvocato Pinelli la cifra non indifferente di 27 mila euro. Ma in seguito a una richiesta di chiarimenti del pm, il dg ha corretto il tiro, precisando che la fattura sarebbe in realtà riferibile ad un altro incarico: uno «studio e consulenza legale per la ricognizione (…) delle attività e procedure svolte durante la proroga dello stato di emergenza da Azienda Zero». Mentre l’ente di governance della sanità della Regione Veneto non avrebbe «conferito alcun mandato riferito all’esposto presentato ai danni di Crisanti».

Qui il filo si attorciglia. Perché quest’ultima affermazione è ritenuta dal pm Golin «in contraddizione con quanto prima indicato». Sentito in Procura a Padova, anche l’ex commissario straordinario di Azienda Zero, Patrizia Simionato, aveva spiegato di aver conferito l’incarico all’avvocato Pinelli sulla base di una nota del 18 gennaio 2021 firmata da Luciano Flor, direttore generale della sanità del Veneto, che chiedeva di «valutare la sussistenza di elementi, atteggiamenti o comportamenti di potenziale danno d’immagine al Servizio Sanitario Regionale da parte del professor Crisanti» per via delle sue «esternazioni»: azione legale da intraprendere «immediatamente» secondo Flor, affinché «cessino tali condotte». Ma è il ricorso a un incarico esterno a non convincere il sostituto procuratore di Padova. «Non si comprende come mai, a fronte di tale esigenza - scrive il pm Golin - non sia stato l’ufficio legale di Azienda Zero a presentare la querela per la ritenuta diffamazione (a costo zero per le casse regionali) ma un professionista esterno quale l’avvocato Fabio Pinelli». Tanto più con scarsi risultati, dato che è stato presentato un esposto e non una querela, come suggeriva il codice di procedura penale. Va sottolineato in ogni caso che l’avvocato Pinelli aveva informato il dg Toniolo che si trattasse di un reato procedibile a querela, come precisa lo stesso direttore di Azienda Zero, assumendosi la responsabilità della scelta.

È solo l’ultimo capitolo del complicato rapporto complicato tra il professor Crisanti, ex Imperial College, e la Regione Veneto guidata dal leghista Luca Zaia. Al centro della contesa è sempre l’uso dei tamponi antigenici rapidi, uno dei temi più delicati del contrasto al Covid-19. Criticati da Crisanti, che in un approfondimento diagnostico dell’ottobre 2020 aveva riscontrato «una sensibilità di circa il 70%» evidenziando come di fatto non riconoscessero tre positivi su dieci. Usati in modo diffuso invece dal Veneto. In quei mesi era in corso una procedura d’appalto da 148 milioni di euro che coinvolgeva sette regioni, con il Veneto capofila, per l’acquisto dei test rapidi. E quando Crisanti, visti i risultati del suo studio, aveva deciso di sospenderne l’uso in autotutela si erano scatenate violente polemiche. Erano poi emerse presunte pressioni, rivelate in un’inchiesta dell’Espresso, su alcuni primari da parte dei vertici regionali, per screditare lo studio del professor Crisanti.

Nell’esposto di Azienda Zero il docente dell’Università di Padova viene accusato tra l’altro di aver condotto «campagna gravemente denigratoria dell’operato della Regione Veneto e delle altre regioni con riferimento all’utilizzo e all’acquisto dei cosiddetti tamponi rapidi». Esercizio del diritto di critica da parte di un docente universitario in grado di sviluppare «opinioni fondate» in materia, secondo il pm di Padova. Che ha preferito invece accendere un riflettore sull’uso dei soldi pubblici per le azioni legali dell’ente che governa la sanità del Veneto. L’incartamento è ora sul tavolo della procura regionale della Corte dei Conti, cui spettano le valutazioni del caso.

(ANSA il 21 aprile 2022) - "L'occupazione culturale e creativa è stata colpita dalla crisi da COVID-19 già nel 2020, e non mostra segni di ripresa nel 2021", secondo il rapporto Bes dell'Istat. Alla fine del secondo anno di crisi pandemica gli occupati del settore sono 55mila in meno, con una perdita relativa del -6,7% tra il 2019 e il 2021, più che doppia rispetto alla contrazione del complesso degli occupati (-2,4%). Con le restrizioni ai luoghi della cultura per contrastare la pandemia, la partecipazione culturale fuori casa nei 12 mesi precedenti l'intervista, tra il 2019 e il 2020, passa dal 35,1% al 29,8%, e tra il 2020 e il 2021 crolla all'8,3%.

(ANSA il 21 aprile 2022) - "Il quadro di insieme e composito, ed e ancora adombrato dalla pandemia", afferma il presidente dell'Istat, Gian Carlo Blangiardo, nella presentazione del rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes). "Molti divari si sono mantenuti - si legge - o addirittura allargati: dalla speranza di vita alla nascita, che recupera in buona parte al Nord nel 2021 ma diminuisce ancora nel Mezzogiorno, alla mortalità evitabile, che resta più elevata in molte regioni del Sud; dalla spesa dei comuni per la cultura, per la quale il divario e nettamente a vantaggio del Centro-nord, all'impatto degli incendi boschivi e dell'abusivismo".

Nel 2020 l'eccesso di mortalità ha caratterizzato soprattutto le regioni del Nord, mentre nel 2021 cambia la mappa del contagio, con un impatto che interessa tutto il territorio nazionale, ma che cresce nel Mezzogiorno. Il Nord resta sempre la ripartizione con una proporzione maggiore di decessi COVID-19 su decessi totali, con un valore medio della ripartizione per il 2021 del 9%. Rispetto all'anno precedente, tuttavia, si è assistito a un calo di questa percentuale.

Di contro, nelle regioni centro-meridionali la quota è aumentata nel 2021 rispetto al 2020, dal 6,9% al 7,7% al Centro e dal 5,3% al 7,6% nel Mezzogiorno. L'eccesso di mortalità ha comportato nel 2020 una riduzione della speranza di vita alla nascita di oltre un anno di vita a livello nazionale (da 83,2 nel 2019 a 82,1 anni nel 2020), ma i dati stimati evidenziano un accenno di ripresa per il 2021 con un valore pari a 82,4 anni. Nel 2021, i decessi riportati alla sorveglianza integrata ritenuti correlati al COVID-19 sono stati 59mila e rappresentano l'8,3% dei decessi totali per il complesso delle cause, proporzione in calo rispetto all'anno precedente quando se ne contarono oltre 77mila, il 10,3%.

(ANSA il 21 aprile 2022) - "Il benessere aumenta nel 2021 ma con aree di sofferenza nuove e vecchie. La pandemia ci ha dato un duro colpo ma la crescita della copertura vaccinali e la fiducia dei cittadini nella scienza e l'adesione alle politiche che sono state portate avanti ha permesso di ridurre fortemente il danno". Lo afferma la direttrice centrale dell'Istat, Linda Laura Sabbadini, alla presentazione del Bes dove segnala il rischio di "una crescita senza equità" e "non sostenibile".

Sabbadini sottolinea come, nonostante l'aumento della mortalità, "noi manteniamo una speranza di vita ai livelli più alti d'Europa". "Dopo il crollo dell'occupazione del 2020 abbiamo avuto una forte capacità di resilienza come paese nel 2021, che torna al tasso di occupazione del quarto trimestre 2019, però con più precari e meno indipendenti", aggiunge. Cresce l'uso di internet tra anziani e bambini, si estende la formazione continua e aumenta la partecipazione politica, inoltre migliorano la sicurezza dei cittadini e alcuni indicatori ambientali. Però la ripresa "che è stata importante non è riuscita a ridurre la povertà assoluta che addirittura cresce nel Mezzogiorno e tra i minori", continua la direttrice. E i due anni di pandemia hanno avuto un impatto sulla formazione e continua la criticità della situazione delle donne.

(ANSA il 21 aprile 2022) - "La pandemia si e tradotta per lo piu in arretramenti nel benessere della popolazione femminile: ad esempio, nei livelli di benessere mentale e di occupazione, soprattutto per le madri con figli piccoli. Ma sono stati anche i bambini, gli adolescenti e i giovanissimi a pagare un altissimo tributo alla pandemia e alle restrizioni imposte dalle misure di contrasto ai contagi". 

Lo afferma il presidente dell'Istat, Gian Carlo Blangiardo, nella presentazione del rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes). "Sono loro a richiedere, oggi e negli anni a venire, la massima attenzione da parte delle politiche, e in tal senso i dati e i corrispondenti indicatori non lasciano dubbi", secondo Blangiardo.

Le condizioni di benessere psicologico dei ragazzi di 14-19 anni, nel 2021, sono infatti peggiorate. Il punteggio di questa fascia di eta e sceso a 66,6 su 100 per le ragazze (-4,6 punti rispetto al 2020) e 74,1 per i ragazzi (-2,4 punti rispetto al 2020). Negli anni di pandemia sono proprio i giovani tra 14 e 19 anni gli unici ad aver conosciuto un "deterioramento significativo della soddisfazione per la vita, con la percentuale di molto soddisfatti che e passata dal 56,9% del 2019 al 52,3% del 2021".

(ANSA il 21 aprile 2022) - È raddoppiata la percentuale di adolescenti insoddisfatti e con un basso punteggio di salute mentale: erano nel 2019 il 3,2% del totale, 6,2% nel 2021. "Si tratta di circa 220 mila ragazzi tra i 14 e i 19 anni che si dichiarano insoddisfatti della propria vita e si trovano, allo stesso tempo, in una condizione di scarso benessere psicologico.

D'altra parte, gli stessi fenomeni di bullismo, violenza e vandalismo a opera di giovanissimi, che negli ultimi mesi hanno occupato le cronache, sono manifestazioni estreme di una sofferenza e di una irrequietezza diffuse e forse non transitorie", dichiara il presidente dell'Istat, Gian Carlo Blangiardo, nella presentazione del rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes). In questo stesso gruppo di età, la sedentarietà e passata dal 18,6 al 20,9%. E tra i ragazzi di 14-17 anni, sono state osservate quote elevate di consumatori di alcol a rischio (23,6%). È diminuita "in modo tangibile" anche la soddisfazione per le relazioni con gli amici. 

“No Vax”. I loro ricoveri sono costati oltre un miliardo di euro allo Stato. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 21 Febbraio 2022.  

La stima del report Altems sui 14 mesi trascorsi dall'avvio della campagna vaccinale contro il Covid 19. Due anni di pandemia, dal primo paziente italiano a oggi, hanno determinato in Italia finora una spesa di 19 miliardi di euro

Il costo dei ricoveri “evitabili” ossia quelli di persone non vaccinate, nei 14 mesi trascorsi dall’avvio della campagna vaccinale, è stato di poco più di un miliardo di euro.  È quanto emerge dal report dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari (Altems) della Facoltà di Economia dell’Università Cattolica, che ha voluto elaborare un rapporto di sintesi della risposta alla diffusione del virus a due anni dall’inizio della pandemia.

Per avere un quadro ampio sull’impatto economico per il Servizio sanitario nazionale (Ssn) dell’emergenza Covid-19, si è elaborata una stima del costo indotto sulle spese del Ssn per via all’esitazione vaccinale.  “Per fornire un quadro complessivo sulle vaccinazioni – spiegano gli autori del rapporto – si è voluto analizzare la campagna vaccinale in Italia andando ad elaborare anche una stima delle mancate vaccinazioni in Italia di terza dose. 

Sulla base quindi del numero di ospedalizzati evitabili se vaccinati con dose addizionale/booster, possiamo stimare l’impatto economico sul servizio sanitario nazionale nel periodo tra il 17 novembre 2021 e il 09 febbraio 2022 delle mancate vaccinazioni. Il totale dei costi delle ospedalizzazioni in Area Medica varia da un minimo di € 3.687.941 a un massimo di € 83.638.548, mentre Il totale dei costi delle ospedalizzazioni in Area Critica (cioè Terapia Intensiva) varia da un minimo di € 413.904 a un massimo di € 15.550.210.

Il totale delle due spese di voci (Area Medica + Area Critica) va anch’esso da un minimo di € 4.101.844 ad un massimo di € 99.188.758. Considerando i 14 mesi della campagna vaccinale, si stimano costi legati alle ospedalizzazioni evitabili pari a poco più di 1 miliardo di euro“.  

Dall’inizio della pandemia l’Italia ha speso oltre 19 miliardi 

Due anni di pandemia, dal primo paziente italiano ad oggi hanno determinato in Italia una spesa di 19 miliardi di euro; 11,5 miliardi di questi legati all’incremento della spesa sanitaria delle Regioni, 4,3 miliardi per l’acquisto di dispositivi di protezione (DPI), anticorpi monoclonali, fiale remdesivir, gel, siringhe, tamponi, ventilatori, monitor, software, voli, (acquisti direttamente gestiti dalla struttura commissariale dell’emergenza Covid), infine 3,2 miliardi di euro per l’acquisto dei vaccini.

È la stima della spesa che ha dovuto sostenere il Paese in due anni di Covid, dal paziente “1” di Codogno, ottenuta dagli esperti dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi Sanitari (Altems) della Facolta’ di Economia dell’Università Cattolica, che ha voluto elaborare un report di sintesi della risposta alla diffusione del virus, soffermandosi sui modelli istituzionali e organizzativi adottati dalle Regioni italiane.

Dal rapporto si vede anche che in totale, indicativamente una persona su cinque (20,05%) in Italia è stata contagiata (dato che non tiene conto delle reinfezioni), con un valore massimo registrato dalla Pubblica Amministrazione di Bolzano (33,9%), una persona su tre, e un valore minimo registrato in Sardegna (9,7%), una persona su dieci.

Dal report emerge inoltre come si è passati da una letalità (percentuale di vittime sul totale dei casi) del 15% (circa un paziente Covid-19 su 7) nella prima ondata pandemica; a una, riscontrata tra ottobre e novembre 2020, più’ bassa che si assestava intorno al 3%. Dall’inizio di gennaio 2022 si assiste ad un’ulteriore diminuzione nei valori di letalità grezza apparente, che la porta poco sopra l’1%.

Quanto alla mortalità (percentuale di deceduti sul totale della popolazione), era di 4,83 per 100 mila abitanti nella prima ondata, contro una mortalità di 1,29 per 100.000 nell’ultima. Mentre nella prima ondata, un paziente su due veniva gestito in ospedale (45% a livello nazionale), per le ondate successive, tutte le Regioni hanno notevolmente ridotto la quota dei pazienti ospedalizzati, optando per un modello di gestione prevalentemente territoriale (integrato dall’ospedale).

Per la quarta ondata, la quota degli ospedalizzati nei casi (peraltro molto più numerosi rispetto a tutte le ondate precedenti) si è attestata poco sopra il 2,5%. Infatti, mentre nella prima ondata la quota degli isolati a domicilio si muove circa tra il 35-85% dei casi, dalla fine della prima ondata in poi la quota degli isolati a domicilio si assesta intorno al 95% dei casi.

“La nostra serie settimanale – che aveva già visto una Edizione Speciale dell’Instant Report a fine anno 2020 in prossimità dell’avvio della campagna vaccinale – viene presentata in forma diversa rispetto agli 85 report precedenti, afferma il professor Americo Cicchetti, direttore dell’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi sanitari dell’Università Cattolica (Altems). Il presente Report è stato strutturato per fornire una sintesi di quanto accaduto negli ultimi 24 mesi fornendo una lettura complessiva degli eventi e delle modalità di risposta adottate dalle Regioni, continua Cicchetti, e beneficia delle analisi effettuate negli ultimi due anni dal gruppo di lavoro grazie a tre diversi set di indicatori che corrispondono al sistema di analisi applicato alle quattro ondate dell’epidemia“. Redazione CdG 1947

·        Le Speculazioni.

Mascherine d’oro in Puglia: ma ora nessuno chiede i danni. Al via il processo per speculazione e truffa, ma le Asl pugliesi non si sono costituite come parti civili. Isabella Maselli su La Gazzetta del Mezzogiorno il 07 Dicembre 2022

Gli ospedali pugliesi nei primi mesi dell’emergenza Covid, quando i dispositivi di protezione erano introvabili, furono costretti a pagare ogni mascherina fino a 20 euro, subendo le presunte speculazioni di imprenditori che durante il lockdown arrivarono ad applicare rincari fino al 4.100%. Nel processo su quelle forniture dai costi esorbitanti, nessuno si è costituito parte civile. Nessuno degli enti, quasi tutte le Asl della regione, che sborsarono centinaia di migliaia di euro per acquistare mascherine del valore di pochi centesimi, si è presentato ieri nella prima udienza del processo (a dire il vero non citate come persone offese). Nessuno proverà a chiedere i danni per quelle operazioni commerciali fatte a spese delle casse pubbliche.

Superate le questioni preliminari, il dibattimento entrerà nel vivo a partire dal prossimo 20 giugno 2023. Alla sbarra ci sono i cinque imprenditori accusati di aver stipulato con le Asl, durante il lockdown del marzo 2020, contratti per forniture di centinaia di migliaia di mascherine Ffp2 e Ffp3 con rincari dal 41 al 4.100%. Rispondono, a vario titolo, di manovre speculative sul mercato, tentata truffa aggravata e frode in pubbliche forniture. Sono Romario Matteo Fumagalli, legale rappresentante della società Sterimed srl di Milano con sede operativa a Surbo, Massimiliano Aniello De Marco, legale rappresentante della Servizi Ospedalieri spa di Ferrara, Gaetano e Vito Davide Patrizio Canosino, legali rappresentanti rispettivamente delle società 3MC spa e Penta srl di Bari, Elio Rubino, legale rappresentante di Aesse Hospital srl di Bari...

Emiliano Fittipaldi per editorialedomani.it il 22 novembre 2022. 

Dopo Roberto Saviano, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni manda a processo anche Domani. I magistrati della procura di Roma hanno chiesto e ottenuto dal giudice delle indagini preliminari il rinvio a giudizio di chi vi scrive e del direttore di questa testata, accusati di aver diffamato la premier in un articolo di un anno fa. 

Quello della leader di Fratelli d’Italia è un cambio di passo rispetto ai presidenti del Consiglio che l’hanno preceduta: nonostante inchieste giornalistiche e accuse durissime della stampa d’opposizione, né Giuseppe Conte, né Paolo Gentiloni né Matteo Renzi hanno mai querelato né portato avanti processi contro i media quando sedevano a Palazzo Chigi.

Per un rispetto della libertà di stampa, e per lo squilibrio tra l’enorme influenza di un premier e della sua maggioranza (anche sulle dinamiche della magistratura) e i compiti di controllo democratico che dovrebbero guidare il “ quarto potere”. Meloni sembra invece voler colpirne pochi per educare gli altri. Rispetto alla querelle con Saviano (che in tv ha detto che la Meloni e Salvini erano dei «bastardi», protestando con un insulto contro la linea sui migranti), la vicenda di Domani è più complessa.

L’articolo che Meloni non ha gradito è dell’ottobre del 2021, e dava conto di alcuni verbali di Domenico Arcuri, ex commissario straordinario all’emergenza Covid. Il quale, sentito dai pm romani che lo indagano per abuso d’ufficio in merito alla compravendita di una enorme partita di mascherine dalla Cina, aveva deciso di difendersi.

Facendo nomi di alcuni parlamentari che lo avrebbero contattato per promuovere soggetti o imprese che, a parere dell’ex numero uno di Invitalia, vendevano mascherine a condizioni «largamente meno vantaggiose» di quelle proposte dall’imprenditore Mario Benotti (anche lui indagato). Ai magistrati Arcuri cita l’allora senatore di Forza Italia Massimo Mallegni, il neoeletto senatore di Fratelli d’Italia Lucio Malan, l’ex deputato renziano Mattia Mor. Poi l’ex commissario aggiunge: «L’onorevole Giorgia Meloni il 22 e il 27 marzo è in copia all’offerta di tale Pietrella, per mascherine chirurgiche con richiesta di anticipo del 50 per cento e costo del trasporto a carico del governo italiano». Offerta mai presa in considerazione. 

Domani, letto il verbale, cerca di capirci qualcosa di più, e scopre che Meloni aveva telefonato ad Arcuri prima che l’amico mandasse la mail alla struttura commissariale. «Insomma», sintetizziamo nel pezzo, «Arcuri dice a verbale che la leader di Fratelli d’Italia avrebbe raccomandato un’offerta di terzi».

Meloni, il giorno dopo la pubblicazione, annuncia querela contro Domani. Colpevole di aver volutamente «travisato» le dichiarazioni di Arcuri ai pm. Meloni conferma però di averlo davvero chiamato, dopo essere stata contattata da Pietrella. E non nega di essere stata in copia nella mail all’allora commissario. Dov’è la diffamazione? Nella parola “raccomandazione”. «Il famoso amico della Meloni chi è? È il presidente di Confartigianato Moda, cioè delle aziende del tessile, che voleva aiutare», spiega lei.

La querela viene depositata il giorno dopo, a firma di Meloni e del suo avvocato. Cioè l’attuale sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove (anche Meloni, come Berlusconi, ha piazzato a via Arenula i suoi difensori). Meloni spiega come non ci sia esatta corrispondenza tra le parole del verbale e quanto scritto da Domani: «Arcuri non ha mai detto che la sottoscritta abbia “proposto” mascherine o che sia intervenuta per “raccomandare” qualsivoglia imprenditore... dunque non v’è dubbio della massima preordinazione e macchinazione per giungere a un titolo fuorviante e diffamatorio». 

Forse Meloni avrebbe preferito la più neutra parola “segnalazione” al sinonimo (leggere il dizionario Devoto-Oli) “raccomandazione”. Parola scelta da chi scrive per un’altra evidenza, mai accennata dalla presidente del Consiglio né nella querela né nella conferenza stampa: Pietrella, colui che vuole parlare con Arcuri proponendo un affare che non si farà mai perché troppo oneroso, non è solo un semplice imprenditore. Ma un uomo vicinissimo a Fratelli d’Italia: Meloni lo aveva candidato nel 2019 alle europee e da un mese è deputato di FdI. 

Criticare i politici o usare parole sgradite al potere in Italia è talvolta considerato reato. Non solo da ministri e senatori, ma anche dai magistrati a cui si rivolgono. Finché una legge sulle liti temerarie non verrà approvata, le querele e le cause civili restano spada di Damocle sulla libertà d’informazione del paese. Le scelte della premier e dei giudici romani ce lo ricordano per l’ennesima volta.

Paolo Ferrari per “Libero quotidiano” il 20 agosto 2022.

Procede con grande calma l'inchiesta sulla maxicommessa per 1,2 miliardi di mascherine cinesi acquistate dall'allora Commissario per l'emergenza Covid Domenico Arcuri alla modica cifra di 801 milioni di euro. 

Gli ultimi accadimenti degni di nota risalgono allo scorso marzo quando i pm romani Fabrizio Tucci e Gennaro Varone, titolari del fascicolo, avevano notificato l'avviso chiusura indagini ad Arcuri, ad Antonio Fabbrocini, responsabile unico del procedimento perla struttura commissiariale, al giornalista Rai-mediatore Mario Benotti, e ad alcuni imprenditori. La posizione di Arcuri si era notevolmente alleggerita.

L'iniziale accusa di corruzione era caduta quasi subito. Lo stesso dicasi per il peculato. Nel cassetto anche l'ipotesi di traffico di influenze in quanto la "relazione personale" pregressa tra Arcuri e Benotti, come scrissero i magistrati, «non rende di per sé illecito il "contratto" tra il committente e il mediatore». In piedi era rimasto, solo l'abuso d'ufficio, reato difficile da provare e che si prescrive in 7 anni e mezzo. 

In vista dei dibattimenti al palazzo di giustizia di Roma, (vedasi Libero del 18 agosto scorso), è probabile che non si riuscirà nemmeno a celebrare un primo grado. Arcuri dopo aver appreso di essere imputato solo per abuso d'ufficio, sprizzò euforia da tutti i pori: «Nel pieno rispetto del lavoro della magistratura, esprimo la mia soddisfazione per l'archiviazione delle ipotesi» di reato «relative alla corruzione e al peculato». L'ex commissario si era dichiaro «soddisfatto della possibilità di esercitare finalmente il mio diritto alla difesa in relazione alla ipotesi di abuso d'ufficio». 

Ad Arcuri i magistrati di piazzale Clodio contestano di avere nella «qualità di pubblico ufficiale e in concorso con Fabbrocini e in unione e concorso per mutuo accordo con l'imprenditore Vincenzo Tommasi» costituito «intenzionalmente, in capo al Tommasi, con ciò abusando del loro ufficio, un'illecita posizione di vantaggio patrimoniale». 

Un modus operandi che ha garantito all'imprenditore «la facoltà di avere un rapporto commerciale con la Pa senza assumere alcuna responsabilità sul risultato della propria azione e sulla validità delle forniture che procurava». 

Per i pm, Arcuri non avrebbe rispettato gli articoli 16 e 17 di un Regio decreto del 1923 che «impongono la forma scritta ad subastantiam dei contratti stipulati», omissione «intenzionale» e grazie alla quale avrebbe assegnato «la quasi totale esclusiva» a Tommasi, «negando agli altri importatori anticipazioni dei pagamenti», ma concedendole alle società cinesi «prima di ogni verifica sulla qualità delle forniture». 

Il 9 agosto scorso, la guardia di finanza ha sequestrato della documentazione presso lo studio di San Marino della commercialista Maria Stefania Lazzari, moglie di Daniele Guidi, un banchiere locale ed il cui nome compare fra i mediatori della super commessa. Alla base del sequestro, alcune segnalazioni della Banca d'Italia su un giro di denaro legato alle commissioni incassate.

Su quest' ultimo punto, la tesi difensiva di Arcuri è nota da tempo. Per l'ex commissario, in pieno lockdown, in Italia mancava ogni tipo di dispositivo di protezione individuale, come le mascherine. Alcuni enti locali, come la Regione Lazio, erano stati anche truffati con le mascherine acquistate, mai giunte a destinazione, e tutti i mediatori privati che si proponevano per procurarle chiedevano il pagamento anticipato. Richiesta non avanzata dalle società cinesi. Per questo, la soluzione prospettata da Benotti, era risultata essere più conveniente.

Pierpaolo Sileri consulente a Lugano del finanziere del San Raffaele: «Ma è successo a mia insaputa». Il sottosegretario alla Salute, che ha appena lasciato i 5S per seguire Di Maio, due mesi fa è stato nominato nell’advisory board della holding svizzera Gksd di proprietà di Kamel Ghribi, vicepresidente del gruppo sanitario privato della famiglia Rotelli. Il senatore spiega all’Espresso: «Non ne sapevo nulla. Ho dato la mia disponibilità solo a fine mandato». Vittorio Malagutti e Carlo Tecce su L'Espresso il 29 giugno 2022.

In questi due anni e mezzo di pandemia s’era capito che il senatore chirurgo Pierpaolo Sileri, sottosegretario alla Salute, avesse un patrimonio inestimabile di pareri, opinioni, prescrizioni, riflessioni da sciorinare in riunioni, interviste, apparizioni televisive. Ciò che non s’era capito, e che l’Espresso ha scoperto, e che per i suoi buoni consigli Sileri avesse richieste pure all’estero. In Svizzera.

Il sottosegretario alla Salute, appena fuoriuscito dai Cinque Stelle per seguire Luigi Di Maio, fa parte del comitato scientifico di Gksd Investment Holding con base a Lugano, una società di partecipazioni di proprietà del finanziere tunisino Kamel Ghribi. Assai corteggiato dalle istituzioni italiane, imprenditore, filantropo, Ghribi è soprattutto vicepresidente del gruppo San Donato, il grande polo ospedaliero controllato dalla famiglia Rotelli che comprende, tra l’altro, anche il san Raffaele di Milano. Tramite la holding GKsd, negli ultimi due anni, Ghribi ha lanciato in Italia diverse iniziative. Si spazia dalle costruzioni, alla consulenza aziendale alla gestione di parcheggi, sempre in società con i Rotelli.

Come può un sottosegretario alla Salute, una volta assolti i suoi molteplici impegni mediatici, supportare col suo sapere scientifico, e col suo prestigio politico, un finanziere tunisino con interessi nella sanità? Siccome non può, o almeno non potrebbe, alla prima domanda su Ghribi, Sileri risponde che i rapporti «sono nulli». Poi rovista nella memoria e si ricorda che l’ha conosciuto a un convegno due anni fa, che l’ha rivisto a un evento nel mese di aprile e che ha ricevuto da Gksd una email un paio di mesi fa con la proposta di entrare in un non meglio precisato comitato scientifico, ne è rimasto lusingato, e ha offerto la sua disponibilità per la fine della legislatura. Si va sulla fiducia e con la più iconica e logora scusa della politica: «È successo a mia insaputa».

Sta di fatto che ancora martedì pomeriggio fotografie e curriculum del sottosegretario comparivano sul sito della holding luganese alla voce “advisory board”. 

Comunque Sileri sostiene che per un atto di fede nei confronti della medicina non si rifiutano i comitati scientifici e a mo’ di esempio cita il comitato scientifico dell’associazione europea di «chirurgia colon rettale». Qui non si tratta né di colon né di retto, ma di una holding svizzera che ha il solo scopo di fare soldi. Nonostante i rapporti con Ghribi fossero «nulli», nel giro di un’ora, subito dopo la telefonata dell’Espresso, Sileri s’è fatto cancellare dal sito di Gksd dov’era in posa assieme ai più referenziati primari e professori del San Raffaele.

Va detto che Sileri ha da tempo relazioni strette con il San Raffaele grazie all’incarico di professore associato nell’Università Vita e Salute che dipende dall’ospedale. Finora non ha insegnato neppure un minuto, perché il concorso pubblico bandito nel 2016 - come precisa il senatore quando dichiara di volersi congedare dalla politica - si è svolto solo nel 2019. Tre anni dopo. E dunque Sileri ha ottenuto la “cattedra” il 25 giugno del 2019 proprio mentre era già senatore dei Cinque Stelle e presidente della commissione Sanità. È vero, come afferma il senatore, che i titoli erano «congelati», ma è anche vero che la commissione li ha scongelati nel 2019 e li ha esaminati, non li ha inseriti in un elaboratore elettronico. Sileri poteva rinunciare al posto del San Raffaele o al posto nel governo, è capitato a diversi politici. Sileri ha scelto di tenersi il governo e di rinviare il San Raffaele. Un uomo così saggio come può non essere conteso dai migliori comitati scientifici d’Europa?

Daniele Auteri per repubblica.it il 29 giugno 2022.

Pierpaolo Sileri, sottosegretario al ministero della Salute ma prima di tutto medico, è oggi al centro di un'indagine aperta dal suo ordine professionale. 

La questione Sileri, accusato di aver lavorato per il pubblico e per il convenzionato insieme, è sbarcata all'Ordine dei Medici che adesso dovrà pronunciarsi sulla possibilità che uno dei più autorevoli rappresentanti dei 5Stelle al governo sia inciampato nel più banale dei conflitti di interesse.

La vicenda inizia oltre due anni fa quando il consigliere regionale e vice presidente della commissione Sanità, Antonello Aurigemma, invia alla direzione sanitaria della Regione una serie di esposti proprio sul comportamento professionale di Pierpaolo Sileri. Per due anni nessuno risponde, fino a quando il caso diventa politico e la regione si mette in moto.

A Sileri viene contestato di aver lavorato all'interno della clinica Villa Claudia di Roma (una struttura convenzionata con il sistema sanitario regionale) mentre si trovava in aspettativa all'università di TorVergata. A supporto di questa tesi è arrivato in questi giorni l'elenco delle prestazioni che Sileri avrebbe svolto proprio all'interno di Villa Claudia. Una lista di 46 voci che spaziano dall'"onorario di primo operatore" alla "visita specialistica", dalla "rettosigmocolonscopia" alla "polipectomia operativa". 

Allegato alla lista che la clinica invia alla Asl Roma 1, la segreteria di direzione della struttura scrive: "Si comunica che il professor Paolo Sileri ha effettuato occasionalmente la propria attività professionale presso questa casa di cura a far data dal 20 marzo 2018 fino al 25 gennaio 2019". 

Il caso si riaccende a settembre quando, con due note (la prima del 2 e la seconda del 13), il consigliere Aurigemma torna a chiedere chiarimenti all'assessore alla Sanità Alessio D'Amato. 

A quel punto la Regione si muove e invia una prima lettera all'ordine dei Medici che ha come oggetto "Informativa riguardante l'attività professionale svolta dal professor Paolo Sileri presso la casa di cura Nuova Villa Claudia". 

Interpellato da Repubblica, l'Ordine dei Medici fa sapere tuttavia che la documentazione trasmessa dalla Regione non è ad oggi sufficiente per formulare un giudizio completo sull'operato del medico sottosegretario. Nell'attesa che la Regione invii il materiale richiesto, l'Ordine stesso ha mandato una lettera a Sileri nella quale chiede una serie di prime spiegazioni sul suo operato e annuncia l'apertura di un fascicolo e la futura convocazione di una commissione per valutare il rispetto della legge da parte del professore. 

A valle della valutazione deontologica, il punto chiave della vicenda rimane quello politico. "Sileri si è più volte smentito - dichiara Antonello Aurigemma (Fdi) - all'inizio ha assicurato di non aver mai effettuato prestazioni sanitarie e visite, poi ha dichiarato che erano lezioni stabilite da un protocollo universitario, e infine che era un dipendente dell'Università e non del Policlinico e per questo non incompatibile. In realtà, la risposta della regione alle mie interrogazioni dimostra che il sottosegretario ha effettuato prestazioni sanitarie e visite presso una struttura convenzionata con il Servizio Sanitario Regionale contravvenendo alla legge nazionale e di fatto confermando che il Vice Ministro non ha detto la verità". 

Sarà adesso compito dell'Ordine dei Medici stabilire se le parziali verità del sottosegretario rappresentano o no una violazione della legge.

Pierpaolo Sileri consulente a Lugano del finanziere del San Raffaele: «Ma è successo a mia insaputa».

Il sottosegretario alla Salute, che ha appena lasciato i 5S per seguire Di Maio, due mesi fa è stato nominato nell’advisory board della holding svizzera Gksd di proprietà di Kamel Ghribi, vicepresidente del gruppo sanitario privato della famiglia Rotelli. Il senatore spiega all’Espresso: «Non ne sapevo nulla. Ho dato la mia disponibilità solo a fine mandato». Vittorio Malagutti e Carlo Tecce su L'Espresso il 29 giugno 2022.  

In questi due anni e mezzo di pandemia s’era capito che il senatore chirurgo Pierpaolo Sileri, sottosegretario alla Salute, avesse un patrimonio inestimabile di pareri, opinioni, prescrizioni, riflessioni da sciorinare in riunioni, interviste, apparizioni televisive. Ciò che non s’era capito, e che l’Espresso ha scoperto, e che per i suoi buoni consigli Sileri avesse richieste pure all’estero. In Svizzera.

Il sottosegretario alla Salute, appena fuoriuscito dai Cinque Stelle per seguire Luigi Di Maio, fa parte del comitato scientifico di Gksd Investment Holding con base a Lugano, una società di partecipazioni di proprietà del finanziere tunisino Kamel Ghribi. Assai corteggiato dalle istituzioni italiane, imprenditore, filantropo, Ghribi è soprattutto vicepresidente del gruppo San Donato, il grande polo ospedaliero controllato dalla famiglia Rotelli che comprende, tra l’altro, anche il san Raffaele di Milano. Tramite la holding GKsd, negli ultimi due anni, Ghribi ha lanciato in Italia diverse iniziative. Si spazia dalle costruzioni, alla consulenza aziendale alla gestione di parcheggi, sempre in società con i Rotelli.

Come può un sottosegretario alla Salute, una volta assolti i suoi molteplici impegni mediatici, supportare col suo sapere scientifico, e col suo prestigio politico, un finanziere tunisino con interessi nella sanità? Siccome non può, o almeno non potrebbe, alla prima domanda su Ghribi, Sileri risponde che i rapporti «sono nulli». Poi rovista nella memoria e si ricorda che l’ha conosciuto a un convegno due anni fa, che l’ha rivisto a un evento nel mese di aprile e che ha ricevuto da Gksd una email un paio di mesi fa con la proposta di entrare in un non meglio precisato comitato scientifico, ne è rimasto lusingato, e ha offerto la sua disponibilità per la fine della legislatura. Si va sulla fiducia e con la più iconica e logora scusa della politica: «È successo a mia insaputa». 

Comunque Sileri sostiene che per un atto di fede nei confronti della medicina non si rifiutano i comitati scientifici e a mo’ di esempio cita il comitato scientifico dell’associazione europea di «chirurgia colon rettale». Qui non si tratta né di colon né di retto, ma di una holding svizzera che ha il solo scopo di fare soldi. Nonostante i rapporti con Ghribi fossero «nulli», nel giro di un’ora, subito dopo la telefonata dell’Espresso, Sileri s’è fatto cancellare dal sito di Gksd dov’era in posa assieme ai più referenziati primari e professori del San Raffaele.

Va detto che Sileri ha da tempo relazioni strette con il San Raffaele grazie all’incarico di professore associato nell’Università Vita e Salute che dipende dall’ospedale. Finora non ha insegnato neppure un minuto, perché il concorso pubblico bandito nel 2016 - come precisa il senatore quando dichiara di volersi congedare dalla politica - si è svolto solo nel 2019. Tre anni dopo. E dunque Sileri ha ottenuto la “cattedra” il 25 giugno del 2019 proprio mentre era già senatore dei Cinque Stelle e presidente della commissione Sanità. È vero, come afferma il senatore, che i titoli erano «congelati», ma è anche vero che la commissione li ha scongelati nel 2019 e li ha esaminati, non li ha inseriti in un elaboratore elettronico. Sileri poteva rinunciare al posto del San Raffaele o al posto nel governo, è capitato a diversi politici. Sileri ha scelto di tenersi il governo e di rinviare il San Raffaele. Un uomo così saggio come può non essere conteso dai migliori comitati scientifici d’Europa?

Paolo Baroni per “la Stampa” il 30 luglio 2022.

Con la conclusione del bando per le nuove reti 5G e del 15° lotto di «Italia a 1 Giga», l'approvazione dei programmi per gli investimenti sulla rete stradale delle aree interne e dei piani operativi dell'Anas e dei concessionari per il monitoraggio di ponti e viadotti, e la firma da parte del Mite del decreto che fa scattare 600 milioni di investimenti sulla rete idrica e il riuso delle acque, l'Italia ha raggiunto nei tempi previsti tutti e 45 i traguardi e gli obiettivi indicati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza per il primo semestre 2022.

Il primo vero step legato al Pnrr insomma, dopo le solite apprensioni a causa dei soliti ritardi, è stato raggiunto e ieri il ministero dell'Economia ha comunicato di aver inviato alla Commissione europea la richiesta relativa al pagamento della seconda rata dei fondi del Pnrr del valore complessivo di 24,1 miliardi di euro (11,5 di contributi a fondo perduto e 12,6 di prestiti), 21 effettivi al netto del rimborso della rata del prefinanziamento ricevuto ad agosto 2021.

Ora la palla passa alla Commissione europea che nei prossimi mesi in base ai regolamenti dovrà verificare il pieno rispetto degli impegni. «I pagamenti - fanno sapere da Bruxelles confermando di aver ricevuto la richiesta italiana - sono basati sui risultati e subordinati all'attuazione da parte dell'Italia degli investimenti e delle riforme delineate nel suo piano di ripresa e resilienza.

Questa seconda richiesta di pagamento riguarda 45 tappe e obiettivi che coprono diverse riforme anche nei settori della pubblica amministrazione, degli appalti pubblici, dell'amministrazione fiscale, dell'istruzione e della sanità territoriale, nonché degli investimenti in banda ultralarga e 5G, turismo e cultura, idrogeno, urbanistica rigenerazione e digitalizzazione delle scuole». 

«Con la trasmissione alla Commissione della richiesta di pagamento della seconda rata il nostro Paese si conferma tra gli stati del gruppo di testa nell'Ue sul fronte dell'attuazione del Pnrr. Abbiamo ricevuto più soldi di tutti, ma rispondiamo con serietà e credibilità, mantenendo gli impegni presi.

Un segno tangibile del patrimonio di credibilità e reputazione conquistato in questi 16 mesi di governo» ha commentato il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta, particolarmente orgoglioso del fatto che il nostro Paese sia quello «più impegnato nella modernizzazione della Pa per ammontare delle risorse impegnate, qualità delle riforme e investimenti». 

Col completamento di tutte le gare, spiega una nota del ministero per la Transizione tecnologica, l'Italia sarà il primo Paese in Europa ad avere, grazie all'intervento pubblico, reti mobili 5G ad elevate prestazioni e interamente rilegate in fibra ottica, in grado di garantire altissima velocità e minima latenza ovunque.

«Sono molto soddisfatto dell'obiettivo raggiunto. In 13 mesi abbiamo approvato la Strategia italiana, ottenuto le autorizzazioni europee, pubblicato e assegnato tutti i bandi Pnrr e investito in totale un valore di circa 5,5 miliardi, con l'ambizioso obiettivo di connettere tutta l'Italia entro il 2026 con reti ad altissima velocità fisse e mobili» ha commentato il ministro Vittorio Colao. 

In base ai programmi tra quattro anni le case degli italiani avranno una connessione fissa di almeno 1 Giga, le aree popolate saranno raggiunte dal 5G ad altissima capacità, tutte le scuole e le strutture sanitarie avranno la connessione adatta per garantire servizi ad altissime prestazioni. 

La sfida legata agli impegni del secondo semestre dell'anno che inizia ora non sarà meno impegnativa: bisognerà infatti centrare altri 16 obiettivi e 39 traguardi. Operazione che però, grazie al decreto sull'attuazione del Pnnr approvato ieri dalla Camera con 316 sì, d'ora in avanti dovrebbe risultare più agevole. 

«Il lavoro dell'intero governo, che è proseguito senza ritardi nonostante il dramma della guerra non si ferma - assicura Brunetta -. Siamo già all'opera per tagliare entro fine anno i prossimi traguardi, che valgono altri 22 miliardi di investimenti per l'Italia di domani, nel segno delle riforme, della crescita e dell'inclusione».

Il Pnrr corre puntuale: centrati i primi 45 obiettivi. Il Mef ha inviato a Bruxelles la richiesta del pagamento della seconda rata di 21 miliardi dei fondi europei. LIA ROMAGNO su Il Quotidiano del Sud il 30 giugno 2022.

IL Pnrr tiene il passo con la tabella di marcia: tutti i 45 obiettivi segnati nel “calendario” del primo semestre 2022 sono stati conseguiti. E il ministero dell’Economia, guidato da Daniele Franco, ha inviato a Bruxelles la richiesta del pagamento della seconda rata dei fondi del Recovery Fund che vale 24,1 miliardi, 11,5 a fondo perduto, 12, 6 in prestiti. L’assegno che arriverà a Roma vale 21 miliardi, 10 di sovvenzioni e 11 di prestiti, dal momento che su ogni rata la Commissione Ue trattiene una quota (il 13%) per il rimborso dell’anticipo di 24,9 miliardi erogato lo scorso agosto.

Ovviamente l’assegno partirà solo una volta che sarà stato completato l’iter di valutazione previsto dai regolamenti e la Commissione avrà, quindi, “promosso” l’attuazione degli investimenti e delle riforme delineate nel Piano: nel primo caso si va, tra le altre cose, dalla banda ultralarga e 5G al turismo e cultura, dall’idrogeno alla rigenerazione urbanistica e alla digitalizzazione delle scuole. Tra i settori sottoposti a un processo di riforma, tra gli altri, ci sono la pubblica amministrazione, gli appalti pubblici, l’amministrazione fiscale, l’istruzione e la sanità territoriale.

Dopo l’ok della Commissione, il Comitato economico e finanziario del Consiglio provvederà ad erogare il pagamento. Nella seconda parte dell’anno l’Italia dovrà centrare altri 55 obiettivi, che “valgono” 21,8 miliardi e portano l’importo complessivo delle risorse europee targate 2022 a oltre 45 miliardi. Circa un quarto dei 191,5 miliardi concessi dall’Europa all’Italia. In particolare, la riforma degli appalti, messa in campo con l’approvazione della legge delega, opera il riordino di un settore che vale il 10% del Pil nazionale e, giusto per citare gli interventi di maggior rilievo, incide – tagliandoli – sui tempi di aggiudicazione delle gare, riduce il numero delle stazioni appaltanti che oggi sono circa 40mila. La “nuova” sanità territoriale si propone di colmare, soprattutto in alcuni territori, il “vuoto” di un’assistenza di prossimità, attraverso un modello organizzativo che, entro il 2026, dovrà mettere in rete case e ospedali di comunità, rispettivamente 1.350 e 400, e 600 centrali operative territoriali. Entro la stessa data, poi, gli strumenti di telemedicina dovranno essere in grado di assicurare l’assistenza domiciliare ad almeno 800mila over 65.

Per la scuola e l’università si va dalla riforma della carriera dei docenti (si interviene sul reclutamento e la formazione), alla ripartizione delle risorse tra i cinque Campioni nazionali della ricerca fino alla costituzione di 11 Ecosistemi dell’innovazione. Sono 158 le convenzioni sottoscritte per la riqualificazione e valorizzazione dei territori nell’ambito del Pinqua (Programmi innovativi della qualità dell’abitare) per un valore di 2,8 miliardi, di cui il 40% per progetti da realizzare nel Mezzogiorno. Mentre sono 1.784 le opere di rigenerazione urbana finanziate in 483 Comuni, e a 250 borghi sono state destinate risorse per promuovere lo sviluppo economico puntando sull’attrattività turistica. Ci sono poi interventi per la valorizzazione del patrimonio culturale (parchi, giardini storici, architettura rurale), per l’efficienza energetica di musei, teatri, cinema e la sicurezza sismica dei luoghi di culto.

Si spinge sulla transizione ecologica con la strategia nazionale dell’economia circolare, il programma nazionale per la gestione dei rifiuti e l’aggiudicazione dei contratti per la costruzione degli impianti di produzione degli elettrolizzatori, essenziali per la produzione di idrogeno verde.

La ricucitura digitale dell’Italia passa per la messa a terra dei progetti di connessione, attraverso l’aggiudicazione dei progetti per assicurare la rete nelle scuole, negli ospedali, e nelle aree finora rimaste senza copertura, in modo da assicurare uguali diritti e servizi dalle Alpi alla punta dello Stivale e nelle isole, sanando un digital divide formativo – ne sanno qualcosa gli studenti del Mezzogiorno alle prese con la Dad durante la pandemia – sanitario, sociale ed economico.

Ieri il ministro per la Transizione digitale, Vittorio Colao, ha comunicato l’aggiudicazione della gara dedicata alla creazione di nuove reti 5G nelle zone d’Italia ancora senza una connessione mobile veloce 5 G e l’ultimo lotto del bando Italia a 1 Giga che “chiudono” il pacchetto di obiettivi del dicastero. «In 13 mesi abbiamo approvato la Strategia italiana, ottenuto le autorizzazioni europee, pubblicato e assegnato tutti i bandi Pnrr e investito in totale un valore di circa 5,5 miliardi di euro, con l’ambizioso obiettivo di azzerare il divario digitale, connettendo tutta l’Italia entro il 2026 con reti ad altissima velocità fisse e mobili», ha affermato il ministro, sottolineando che l’“operazione” ha garantito allo Stato un risparmio di 1,2 miliardi e un investimento privato, dove previsto, di 2,2 miliardi.

La pubblica amministrazione mette a segno la riforma del pubblico impiego, intervenendo su i concorsi – tagliano i tempi dell’iter e digitalizzandoli – sulla formazione e le mobilità dei dipendenti, con l’obbligo di accedere al portale inPA per tutte le procedure di selezione, il rafforzamento di Formez PA e della Scuola Nazionale dell’Amministrazione, e la semplificazione amministrativa.

Con l’ok ieri della Camera (316 sì, 24 no e un astenuto), il dl Pnrr 2, con misure urgenti per l’attuazione del Piano, è diventato legge e il governo può collocare l’ultimo tassello ancora mancante e chiudere definitivamente il “progetto Recovery” per il primo semestre. «Con la trasmissione alla Commissione europea della richiesta di pagamento della seconda rata da 24,1 miliardi, il nostro Paese si conferma tra gli Stati del gruppo di testa nell’Ue sul fronte dell’attuazione del Pnrr – ha affermato il ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta – Abbiamo ricevuto più soldi di tutti, ma rispondiamo con serietà e credibilità, mantenendo gli impegni presi. Un segno tangibile del patrimonio di credibilità e reputazione conquistato in questi 16 mesi di governo».

Pnrr, i fondi per i Comuni: dove stanno andando e tutte le ragioni dei ritardi. Domenico Affinito e Milena Gabanelli su Il Corriere della Sera il 28 aprile 2022.  

Entro il 2026 l’Italia riceverà dall’Europa 191,5 miliardi per il Piano nazionale di ripresa e resilienza: 122,6 sono prestiti e 68,9 sono sovvenzioni a fondo perduto. Da soli assorbiamo il 38% di tutto il piano per rilanciare l’economia europea colpita dalla Pandemia. Le condizioni: rispettare rigorosamente le tappe del programma approvato a luglio dall’Unione europea, altrimenti i soldi non arrivano. Il ministro Franco il 23 febbraio ha dichiarato, davanti alle Commissioni Bilancio, Finanze e Politiche UE di Camera e Senato, che le amministrazioni centrali hanno già attivato 149 procedure per 55,9 miliardi di euro. L’Osservatorio Recovery Plan dell’Università di Roma Tor Vergata e della Fondazione Promo PA monitorano come li stiamo spendendo. 

Siamo già in ritardo

Finora abbiamo avuto solo scadenze qualitative, riforme e norme, tutte rispettate. Poi arriveranno le scadenze economiche sui progetti da realizzare: 527 traguardi e obiettivi da chiudere entro il 2026, distribuiti su 10 semestri. Per giugno 2022 l’unica scadenza economica è l’assunzione di 168 funzionari nei tribunali per velocizzare i processi. E qui non sono previsti ritardi, mentre sui progetti siamo già fuori tempo. Entro il 2021 dovevamo spendere 15,4 miliardi, a fine febbraio 2022 ne avevamo spesi 5,1. Come li abbiamo usati? 2,5 miliardi di euro sono stati messi nel settore ferroviario; 1,2 per l’ecobonus; 990 milioni per la transizione digitale e 395 milioni per la digitalizzazione della Scuola e la messa in sicurezza degli edifici scolatici. La tappa concordata con Ue per fine 2021 non è vincolante perché riguarda progetti che scadranno nei prossimi anni. È comunque un brutto segnale. Entro fine 2023 dovremo mettere in campo progetti per 27,5 miliardi e 37,4 entro fine 2023. I tre quarti riguardano digitalizzazione, green, e istruzione e ricerca. 

Perché l’Italia ha chiesto più prestiti

L’obiettivo del Pnrr è rilanciare la crescita e abbassare il debito pubblico, ma da subito abbiamo dovuto fare un compromesso: dei 122,6 miliardi di prestiti, 51,4 andranno a rifinanziare progetti già in essere prima della pandemia. Fra questi: 15 miliardi per la mobilità sostenibile (compresa l’alta velocità), 0,3 per Ecobonus e Sismabonus, 8,8 per la rigenerazione urbana, 5,5 per la didattica digitale e l’edilizia scolastica, 3,1 come credito d’imposta per la transizione digitale e 3,2 miliardi per la digitalizzazione della sanità. Su queste opere viene cambiata la fonte di finanziamento: da btp e bot a prestiti europei. Una scelta obbligata perché il regolamento del Next Generation all’articolo 10 (241/2021) prevede la sospensione dei pagamenti anche in caso di «squilibri eccessivi» dei conti pubblici. L’Italia, quindi, dovrà continuare a ridurre il deficit pubblico come previsto dal 2010. Sia il governo Conte che il governo Draghi hanno presentato una riduzione al 3% del pil in tre anni. Ed è questa palla al piede che impedisce di finanziare esclusivamente progetti nuovi: il deficit salirebbe ancora, mentre non succede finanziando attività già in corso e con tassi inferiori. Una scelta che secondo l’Osservatorio Conti Pubblici consente di risparmiare in interessi 8,5 miliardi in 20 anni. 

Come è andata nel resto d’Europa

Nel resto d’Europa a fronte dei 723,8 miliardi di euro messi in campo dal Next Generation, ne sono stati richiesti 504, soltanto il 70%. La gran parte dei grandi Paesi europei, infatti, ha interessi sul debito più bassi del nostro e prenderà solo le sovvenzioni a fondo perduto, finanziando il resto del rilancio economico emettendo titoli di stato. Solo Grecia, Portogallo, Slovenia, Cipro e Polonia hanno chiesto tutti insieme 43,3 miliardi: un terzo di quello che abbiamo chiesto noi. Vuol dire che per dar vita ad una crescita che per metta di far scendere il debito pubblico, non dobbiamo sprecare nemmeno un euro dei nuovi investimenti. 

O rispetti le tappe o si ferma tutto

Il ritardo che oggi abbiamo accumulato sull’avanzamento della spesa rischia concretamente di aumentare per l’incapacità di molti Comuni. Il problema è che il 69% dei comuni ha meno di 1000 abitanti e non ha le strutture tecniche per portare avanti le opere: dalla progettazione, ai bandi, alla realizzazione. Ai Comuni andranno 48,5 miliardi di tutto il piano e altri 14,5 alle Regioni. Ma mentre le Regioni hanno uffici e competenze più strutturate, molti Comuni hanno già chiesto di essere sostenuti nell’ attuazione delle iniziative del Pnrr. Solo a fine febbraio il Mef ha istituito un tavolo di monitoraggio per «verificare che la pioggia di fondi sia ben utilizzata», mentre la Funzione pubblica ha lanciato una piattaforma con Cdp, Invitalia e Mediocredito Centrale per dare supporto tecnico agli enti locali. Sta di fatto che l’Ance ha analizzato 596 progetti presentati da 177 amministrazioni locali, per un totale di 1,2 miliardi di euro. Ebbene l’80% non ha un progetto esecutivo che consente di aprire il cantiere, il 66% ha solo un progetto di fattibilità tecnica ed economica, il 72% dei progetti non è stato aggiornato rispetto agli incrementi di prezzi dei principali materiali da costruzione (qui l’ultimo aggiornamento dell’indagine). Solo due esempi: un Comune in provincia di Bergamo ha chiesto 3 milioni di euro per una riqualificazione dell’edilizia residenziale, ma ha solo un progetto di fattibilità, e uno in provincia di Benevento ne ha chiesti 800 mila per costruire una scuola, ma non ha nemmeno il progetto. L’Ance conclude che i ritardi sull’attuazione del Pnrr saranno inevitabili. 

Caos appalti e inflazione

Oggi abbiamo 30.000 stazioni appaltanti. Troppe. Le linee guida sono state approvate da Anac lo scorso 30 marzo, e il sistema di qualificazione diventerà operativo con la riforma del nuovo Codice degli Appalti. Siccome tempo da perdere non ce n’è, sarà inevitabile il ricorso centralizzato alle grandi stazioni appaltanti, che faranno gare grandi alle quali potranno partecipare soprattutto multinazionali, gran parte delle quali non sono italiane. E questo peserà sull’economia del nostro Paese dove il 99,8 % delle aziende ha meno di 250 dipendenti e produce il 58% dell’intero fatturato dell’industria.

(...) per dar vita ad una crescita che per metta di far scendere il debito pubblico, non dobbiamo sprecare nemmeno un euro dei nuovi investimenti.

Si aggiunge il problema dell’inflazione. Solo per le infrastrutture per una mobilità sostenibile, che in tutto valgono 25,4 miliardi, i costi rispetto alle cifre indicate nel Pnrr sono già lievitati di 3 miliardi: 2,4 li dovrà sopportare Rete ferroviaria italiana sulle 19 gare in programma per il 2022 in seguito all’aumento dei prezzari di gennaio, e altri 500 milioni per i maggiori costi relativi alle grandi opere già in corso. Ad un aumento medio del 18% rispetto ai valori indicati nel Piano, va sommato un altro 6/7% con la prevista revisione dei listini dopo gli ultimi rincari. Una revisione che gli altri Paesi europei hanno già fatto, ma noi no. È auspicabile che non si ripeta il brutto film dei Fondi per lo sviluppo e la coesione 2014/2020 (Fas), dove abbiamo speso poco più del 9% dei fondi stanziati. 

Claudia Osmetti per “Libero quotidiano” il 5 aprile 2022.

I primi a volerci vedere chiaro sono i consiglieri comunali di Fratelli d'Italia a Milano, ma la questione non è mica solo meneghina. E neppure lombarda. È una di quelle cose nazionali che ti lasciano con l'amaro in bocca: ma-come-non-si-poteva-fare-altrimenti? 

«Quando viene stipulato un contratto basato su un presupposto che si sa essere sbagliato, lo si inficia», dice Riccardo Truppo, esponente del partito di Giorgia Meloni (appunto), ma anche avvocato, cioè uno che non si fa intortare facilmente quando di mezzo ci sono procedure, codici e cavilli burocratici. 

Per capire Truppo occorre fare un piccolo salto indietro, a metà marzo. È allora che il generale Francesco Figliuolo, il commissario straordinario per l'emergenza coronavirus, apre un bando per smaltire (leggi: bruciare) più di 200 milioni di mascherine che ci sono rimaste sul groppone.

E qui, di salto, ne è necessario un altro, questa volta pure più in là nel tempo: tocca andare indietro sempre a marzo, ma di due anni fa. In quel drammatico inizio pandemia in cui manca tutto, a cominciare dalle mascherine. Il predecessore di Figliuolo, Domenico Arcuri, nominato dall'allora premier grillino Giuseppe Conte, compra quante più scorte riesce. Spesso dalla Cina. Ne servono nelle scuole, negli uffici pubblici, nei tribunali. Ovunque. 

Non si può far troppe pulci, siamo in mezzo alla crisi e alla fine arriva quel che arriva: vagonate di prodotti di bassa qualità che da un lato suscitano commenti divertiti (qualcuno li definisce "a mutanda") e dall'altro fanno pure imbufalire chi deve indossarli perché un conto è la scomodità, un altro la protezione (non sono certo quello di cui si ha bisogno in un'epoca simile).

Quelle mascherine le scandaglia anche la magistratura (Arcuri, oggi, rischia il processo per abuso d'ufficio, ma non per peculato o corruzione, reati su cui la settimana scorsa è stata chiesta l'archiviazione), epperò il risultato è che il governo, nel 2020, le distribuisce (specie negli istituti scolastici e alle Regione), ma molti pacchi tornano indietro. E sono ancora lì, nei depositi. Si accumulano gli scatoloni.

Uno, due, centinaia. Per un totale, ad aprile del 2021, di qualcosa come 218 milioni di mascherine che pesano, complessivamente, 2.500 tonnellate. Non è manco quello, il problema. Il problema è che lo stoccaggio ci costa 313mila euro al mese. E allora (veniamo ai giorni nostri), Figliuolo capisce che è ora di sbarazzarsene: d'altronde adesso non c'è più penuria, chiunque può trovare le Ffp2 in farmacia, ci siamo persino vaccinati in massa e lo stato d'emergenza, da neanche una settimana, è andato in pensione. 

Tuttavia anche lo smaltimento dei rifiuti ha un costo: a Roma fioccano i preventivi, il migliore è quello di A2a (società partecipata del Comune di Milano, motivo per cui Truppo e i suoi sono in prima linea a puntare il dito) che si aggiudica un affidamento per la cifra di 698mila euro più Iva.

Tutti contenti? Neanche per sogno perché "il presupposto di tutto questo è che non si possa fare altro", specifica Fdi, invece un'alternativa ci sarebbe. Se ne è occupata, di recente, anche la trasmissione televisiva Le iene: la soluzione più congrua sarebbe quella di immettere le mascherine della prima ondata nel settore del riciclo dove non bisognerebbe manco pagare, ma (al contrario) essere pagati.

Il materiale di cui sono fatte può servire a produrre plastica derivata. «Sembra assurdo», commenta Truppo, «far pagare ai cittadini italiani un servizio quando potrebbero addirittura guadagnarci. È sempre meglio prevenire che curare». Così Fratelli d'Italia non si limita alla polemica, ma deposita, al Comune di Milano, un'interrogazione a risposta immediata: «Voglio capire», chiosa Truppo, «se almeno il sindaco (Beppe Sala, Pd: ndr) intenda intervenire, dando magari ad A2a delle indicazioni in merito».

Il documento è una paginetta che riassume, in buona sostanza, quanto detto fino a qui. Va aggiunto che l'idea del recupero non è una novità assoluta e gli addetti ai lavori la conoscono bene: è già nei piani, ma, secondo alcune stime riportate dalla testata Il Post, vale appena l'8% di quelle 2.500 tonnellate di cui sopra e lo si otterrà «presso gli impianti di termovalorizzazione del gruppo» A2a. Significa che le mascherine dell'emergenza verranno bruciate per creare energia. Il che è già qualcosa. Eppure, per Fd'I, è ancora poco. «Potrebbero essere vendute a quasi il doppio di quanto paghiamo», specifica il partito, «tutto questo ci sembra scorretto. La strada maestra, come sempre, è quella della prevenzione e, perché no, di un richiamo a quell'etica che oramai sembra del tutto dimenticata» 

Valentina Errante per “il Messaggero” il 2 aprile 2022.

Pericolose per la salute, pagate in anticipo (contrariamente a quanto sarebbe avvenuto con gli altri imprenditori), per di più consegnate quando la fase più drammatica dell'emergenza sanitaria di era conclusa. La tardiva consegna è un altro elemento che emerge dagli atti dell'inchiesta sugli 800 milioni di mascherine, acquistate dalla struttura commissariale a marzo 2020 una trattativa diretta che, per i pm è passata dalla mediazione occulta tra Mario Benotti, indagato per traffico di influenze (si sarebbe messo in tasca 11 milioni di euro), e lo stesso commissario Domenico Arcuri, al quale i pm contestano l'abuso di ufficio, dopo avere archiviato le ipotesi di peculato e corruzione.

Le mascherine irregolari erano anche state bloccate in Dogana, ma poi dalla struttura commissariale arrivò l'ordine di sbloccarle. Per i pm l'operazione avrebbe consentito a un gruppo di lucrare cifre a sei zeri sull'emergenza. Del resto, Jorge Solis un faccendiere indagato, che dall'operazione avrebbe guadagnato quasi 6 milioni di euro, al telefono diceva a un amico: «Bello, buttati con noi, col gruppo, così ti garantisci una pensione, che qua non si guadagna un c... in Italia, lavorando onestamente così». 

Eppure inizialmente erano state adottate misure ferree proprio per evitare le frodi. L'ex numero uno della protezione civile, Angelo Borrelli, che prima dell'istituzione della struttura commissariale si era occupato dell'emergenza sanitaria, ha riferito a verbale che nella fase più drammatica della pandemia era stata allertata anche l'intelligence per evitare l'acquisto di materiale inidoneo.

L'emergenza non giustificherebbe le anomalie dei contratti con le tre aziende cinesi che per un miliardo e 200 milioni (cifra sulla quale pesano gli oltre 60 milioni di provvigioni incassate dagli indagati) hanno fornito i dispositivi poi risultati pericolosi e ugualmente distribuiti. 

In un'informativa agli atti dell'inchiesta, gli uomini del nucleo di polizia valutaria scrivono: «L'eventuale tesi difensiva in ordine alla tempistica delle consegne di mascherine in tempi ristretti, richiesti dallo scoppio della pandemia da Covid-19 nei mesi di marzo e aprile 2020, non troverebbe riscontro con la documentazione fornita da Vincenzo Tommasi (l'imprenditore presentato ad Arcuri da Benotti ndr) alla struttura antiriciclaggio dell'organo di Vigilanza. Dal prospetto dei voli - annotano i militari - si evince che le mascherine sono arrivate dalla Cina in Italia nei mesi di maggio e giugno 2020, quando ormai l'emergenza sanitaria era nella sua fase discendente».

È stato invece l'ex numero della protezione civile Angelo Borrelli a raccontare a verbale al pm di Roma Fabrizio Tucci cosa accadde nella fase iniziale dell'emergenza e quali misure fossero state assunte per evitare le frodi: «Di punto in bianco il 22 febbraio del 2020 emerge una esigenza mostruosa di acquisire mascherine filtranti per tutto il personale sanitario. È stato un momento molto convulso - dice Borrelli - perché più paesi erano interessati a queste forniture, con le prime truffe e frodi. Noi iniziammo ad operare, provvedendo a filtrare le offerte, e strutturarci».

E spiega: «I proponenti pretendevano molto spesso il pagamento anticipato, e ciò ha costituito un problema finché non è stato autorizzato il pagamento anticipato anche dell'intera fornitura. Da quel momento abbiamo iniziato a pagare anticipi, se richiesti. Abbiamo chiesto anche il supporto dei servizi di informazioni e sicurezza (Aise ed Aisi), per una verifica dell'attendibilità commerciale dei soggetti che si proponevano. Ho chiesto a Consip di supportarci e l'ho individuato come soggetto attuatore. Il 9 marzo - aggiunge Borrelli - ho chiesto al capo di gabinetto del ministro degli Esteri di diramare una richiesta di mascherine in tutto il mondo, attraverso la rete diplomatica. Senza alcun esito, poiché i paesi produttori non autorizzavano esportazioni».

Poi, con l'arrivo di Arcuri, Borrelli fa solo da supporto: «Come Protezione Civile abbiamo intrapreso rapporti istituzionali con l'ambasciata italiana in Cina, perché da quel paese giungevano le maggiori forniture, con Steve Forziati, che si era impegnato ad individuare soggetti cinesi affidabili. L'ambasciata aveva individuato magazzini contenenti depositi di mascherine, riceveva merce ed acquisiva certificati. Abbiamo ricevuto, inoltre, donazioni». Borrelli precisa anche di non avere mai utilizzato intermediari non contrattualizzati, come sarebbe avvenuto dopo, con Tommasi.

(ANSA il 25 marzo 2022) - Rischio processo per l'ex commissario straordinario per l'emergenza Covid, Domenico Arcuri. La Procura di Roma ha chiuso le indagini dell'inchiesta sull'acquisto di oltre 800 milioni di mascherine ritenute non conformi. 

Oltre ad Arcuri, accusato di abuso d'ufficio, i pm hanno notificato l'avviso di chiusura indagini ad altre 10 persone tra cui l'imprenditore Mario Benotti, cui è contestato il traffico di influenze illecite, e Antonio Fabbrocini, responsabile unico del procedimento per la struttura commissariale accusato di frode nelle pubbliche forniture, falso e abuso d'ufficio.

Ad Arcuri i magistrati di piazzale Clodio contestano di avere nella "qualità di pubblico ufficiale - è detto nel capo di imputazione - e in concorso con Fabbrocini e in unione e concorso per mutuo accordo con l'imprenditore Vincenzo Tommasi" costituito "intenzionalmente, in capo al Tommasi, con ciò abusando del loro ufficio, un'illecita posizione di vantaggio patrimoniale".

Un modus operandi che garantiva all'imprenditore "la facoltà di avere rapporto commerciale con la Pa senza assumere alcuna responsabilità sul risultato della propria azione e sulla validità delle forniture che procurava; la quasi totale esclusiva nella intermediazione di fatto delle forniture di mascherine chirurgiche e dpi importati dalla Cina".

Per quanto riguarda la posizione di Benotti, accusato con altri sette di traffico di influenze, avrebbe sfruttato le "relazioni personali e occulte con Arcuri, ottenendo che quest'ultimo assicurasse ai partner di Benotti un'esclusiva in via di fatto nell'intermediazione delle forniture di maschere chirurgiche e dispositivi di protezione individuali". Nei confronti di Fabbrocini si contesta, per quanto riguarda l'accusa di falso, di avere agito "nella qualità di rup" inducendo "il Cts ad attestare falsamente la conformità dei presidi sanitari importati alle norme Uni En".

Felice Manti per “il Giornale” il 27 marzo 2022.

Ci sono almeno altre due inchieste che turbano il sonno dell'ex commissario all'emergenza Covid Domenico Arcuri. A quanto risulta al Giornale a Roma, dallo scorso aprile e con un numero di protocollo che inizia per 17mila, c'è un'indagine che sfiora Arcuri e il suo braccio destro Antonio Fabbrocini, il responsabile unico del procedimento per la struttura commissariale che rischia il processo per frode nelle pubbliche forniture e falso nel filone che vede Arcuri accusato «solo» di abuso d'ufficio.

Le ipotesi che vengono formulate sono simili (c'è anche la turbativa d'asta) con una differenza. Come sottolineava ieri Il Giornale un documento ufficiale dell'intelligence delle Dogane dell'aprile 2020 denunciava «un'indebita messa in commercio di mascherine, igienizzanti e guanti che configura elementi seri di pericolo per la salute degli utilizzatori».

Eppure gli acquisti effettuati dal commissario Arcuri godevano di una speciale franchigia per cui da agosto 2020 i controlli su ciò che veniva acquistato vennero azzerati su input dell'allora premier Giuseppe Conte, che a Report nei mesi scorsi ha aggiunto di aver mandato alcuni 007 a spulciare nei container a caccia di mascherine farlocche dalla Cina (entrate persino l'Iva, visto che sono inutilizzabili).

Lo stop ai controlli è anticipato da una lettera scritta da un importante dirigente delle Dogane del Nord che aveva suggerito di «cancellare i controlli sulle merci acquistate da Arcuri (partita Iva 15678001007)» perché vidimati dal Cts e perché «non si ravvisano rischi né sotto il profilo tributario ne extra tributario» già a partire da luglio 2020.

Poi c'è il filone dei pm di Roma aperto sul socio dell'allora premier Luca Di Donna, accusato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di influenze, che secondo le ipotesi (anche in questo caso le richieste di rinvii a giudizio sono attesi a giorni) aprì le porte del «sistema Italia» a imprenditori a caccia di agganci e commesse, per appalti poi interrotti dall'arrivo del commissario straordinario Francesco Paolo Figliuolo. Ecco perché Arcuri non dorme (ancora) sonni tranquilli.

Giacomo Amadori e François de Tonquédec per “La Verità” il 16 marzo 2022.  

L'ex commissario straordinario per l'emergenza Covid, Domenico Arcuri, ha assegnato un appalto da 18 milioni di euro alla società della famiglia di un indagato accusato di aver usato il suo nome per ottenere contratti di consulenza. 

Le indagini della Procura di Roma sulle disinvolte manovre del duo di avvocati d'affari composto da Luca Di Donna, ex socio di studio Giuseppe Conte, e Gianluca Esposito, già direttore generale del ministero dello Sviluppo economico, costate ai due legali l'accusa di associazione per delinquere finalizzata al traffico di influenze illecite, sono alle battute finali. 

Le carte depositate al Tribunale del riesame rivelano che gli investigatori hanno puntato gli occhi sulla società controllata dai familiari della moglie e collega di studio di Esposito, Annalisa Pesce. 

La famiglia della donna controlla infatti il gruppo Psc, di cui detengono quote minoritarie Fincantieri (il 10%) e una controllata di Cassa depositi e prestiti, la Simet, che possiede il 9,64% di Psc. 

La società vanta un cda composto da pezzi da 90 del calibro dell'ex generale della Guardia di finanza Michele Adinolfi e di Mauro Moretti, per anni ai vertici delle Ferrovie dello Stato prima e di Finmeccanica/Leonardo poi.

La vicenda, che al momento non risulta avere portato a nuove ipotesi di reato, è tutta in famiglia, con il gip Roberta Conforti che, in un decreto di proroga delle intercettazioni del 10 settembre, annota: «Rilevanti anche gli esiti degli accertamenti svolti presso la Banca d'Italia.

Dalla relazione dell'Unità di informazione finanziaria (l'Antiriciclaggio, ndr) del 17 febbraio 2021 risultano innanzitutto bonifici a favore di Gianluca Esposito per complessivi 133.332,80 euro da parte del gruppo Psc Spa (riconducibile alla famiglia della moglie Pesce Annalisa)».

Il decreto prosegue così: «Dall'informativa dei carabinieri dell'8 marzo 2021 risulta che al gruppo Psc sono stati aggiudicati dal Commissario per l'emergenza Covid lavori e servizi per lariorganizzazione della rete ospedaliera nazionale per un importo complessivo di 18 milioni di euro all'esito di una gara a procedura aperta di massima urgenza». 

Il bando indetto nell'ottobre 2020 e diviso in 21 lotti su base regionale, riguardava i «servizi di ingegneria ed architettura e altri servizi tecnici, al fine dell'attuazione dei piani di riorganizzazione della rete ospedaliera nazionale». Si tratta di una maxi commessa dal valore complessivo, al netto dell'Iva, di oltre 713 milioni di euro.

Alla Psc, che si presentava in raggruppamento con un'altra società, la Picalarga srl, sono andati il sub lotto relativo alla provincia di Catanzaro del valore di 7 milioni di euro e quello, più sostanzioso, della provincia di Caserta, che ha portato nelle casse delle due società 10,63 milioni di euro. 

Una boccata di ossigeno per il gruppo con sede legale a Maratea, che, complice il Covid, ha chiuso il 2020 con una perdita di esercizio di 75 milioni per la capogruppo e di 96 nel «bilancio consolidato di gruppo». Ma le nuove carte non rivelano solo questo. Dai decreti di proroga delle intercettazioni risulta che inizialmente non fosse contestato agli indagati il traffico di influenze, bensì la corruzione.

Nella vecchia impostazione erano presenti anche due capi di accusa che sono stati omissati nelle carte messe a disposizione degli avvocati, come anche è stato coperto il nome di un soggetto misterioso intercettato e probabilmente indagato. È possibile che quelle parti siano state nascoste perché è stato effettuato uno stralcio, probabilmente per una richiesta di archiviazione.

Di certo, per tutti gli altri indagati, il reato è stato derubricato a traffico di influenze e successivamente è stata aggiunta anche l'accusa di associazione per delinquere, scelta che ha consentito di continuare le captazioni, probabilmente in vista delle perquisizioni di fine settembre. Ma chi è il misterioso personaggio intercettato e, molto probabilmente, indagato per due accuse poi eliminate dal fascicolo principale? 

Non lo sappiamo. Il nome più citato nei decreti di proroga delle intercettazioni è, comunque, quello dell'ex commissario Arcuri. Nei documenti sono evidenziati i numerosi contatti telefonici di quest' ultimo con i due principali indagati a ridosso di alcune trattative riguardanti la fornitura ritenuta sospetta di materiali sanitari per l'emergenza Covid. Negli stessi atti viene citato anche il responsabile unico dei procedimenti per l'acquisto di mascherine Antonio Fabbrocini.

Nel decreto di perquisizione del 30 settembre è ben specificato che le indagini erano partite con un'ipotesi di corruzione e in un capitolo dedicato alla «qualificazione originaria» vengono evidenziate «l'assoluta anomalia dell'intermediazione occulta agita dagli avvocati Di Donna ed Esposito» insieme ai «plurimi contatti tra gli avvocati e i pubblici ufficiali». 

Ma la conclusione, però, è che «allo stato, tuttavia, non vi è prova che gli atti della struttura commissariale o di Invitalia siano stati compiuti dai pubblici ufficiali a causa della elargizione di corrispettivo».

Se Arcuri fosse il nome coperto da omissis, la richiesta di archiviazione per un'accusa di corruzione non sarebbe per lui una novità. Infatti, già nel 2020, la Procura di Roma aveva iscritto e intercettato Arcuri e Fabbrocini sospettando che potessero essere stati corrotti. Dopo pochi giorni, però, i pm avevano chiesto la loro archiviazione. Quindi hanno contestato a entrambi il reato di peculato. 

Successivamente hanno iscritto di nuovo Arcuri o il suo vice per corruzione in un altro fascicolo, attivando nuovamente le intercettazioni, prima di chiedere, con ogni probabilità, ancora una volta il proscioglimento?Se fosse così saremmo di fronte a una specie di ottovolante giudiziario da cui presto sapremo se l'ex commissario straordinario sia uscito definitivamente.

Ecco il super stipendio dell’ex commissario Covid Domenico Arcuri. Non gli bastava Invitalia…! Redazione CdG 1947su Il Corriere del Giorno l'1 Luglio 2022 

La Corte dei Conti contrariamente a quanto accaduto in molte altre occasioni simili non ha espresso giudizi sulla gestione e anche nelle considerazioni conclusive si limita a riportare quasi in un "Bignami" un sunto delle principali poste di bilancio senza che le due magistrate , la presidente Manuela Arrigucci e la relatrice Giuseppa Maneggio, che firmano la relazione, aggiungano le proprie considerazioni.

Oggi Domenico Arcuri ha scritto una lettera al quotidiano La Repubblica esaltando il suo operato di ben 14 anni alla guida di Invitalia. Ieri infatti il governo Draghi ha deciso di nominare al suo posto Bernardo Mattarella, sinora la vertice del Mediocredito centrale, per ricoprire la carica di amministratore delegato della società di Stato . Non una sola parola spesa da Arcuri sulla vicende dei milioni e milioni euro persi sotto la sua gestione per l’acquisto di mascherine antiCovid non funzionanti, prive di certificazioni o inutilizzabili, L’uscita di Arcuri è conseguente non solo alla scadenza del suo mandato, ma anche essere al fatto di indagato per “abuso di ufficio“. 

La nomina al suo posto di Mattarella, che è il nipote del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, era in qualche modo annunciata avendo trascorso un pezzo della sua carriera proprio in Invitalia. Il governo ha deciso di puntare sul curriculum del manager pubblico per una carica così importante e delicato come la scrivania di numero uno di Invitalia, sopratutto alle porte degli importanti investimenti che arriveranno con i fondi del Pnrr, per la cui gestione la società avrà un ruolo sempre più fondamentale e quindi era necessario nominare un top manager già a conoscenza dei meccanismi di una macchina tanto importante quanto complessa .

Invitalia per Domenico Arcuri era diventata una specie di “sultanato”. Infatti sono quasi rari i precedenti di manager che sono durati così a lungo in aziende di Stato. In molti erano convinti durante il Governo Conte Bis che il nome di Arcuri sarebbe certamente rientrato nel grande valzer che avverrà nel 2023 per le nomine dei vertici delle più grandi aziende italiane controllate dallo Stato come Eni, Leonardo (l’ex- Finmeccanica), Poste Italiane e Terna. Arcuri non è restato disoccupato restando comunque dirigente a tempo indeterminato di Invitalia (percependo un lauto stipendio), ma non parteciperà al valzer delle nomine, e quindi al momento la sua esperienza da manager pubblico può ritenersi conclusa. 

Lo stipendio dell’ex commissario Arcuri

Pochi sanno che nel 2020 Domenico Arcuri, impegnato per gran parte dell’anno in quel ruolo di commissario straordinario Covid cui lo nominò Giuseppe Conte, come rivela il quotidiano economico Verità&Affari diretto dall’ottimo collega Franco Bechis, si è visto aumentare il proprio stipendio dal consiglio di amministrazione di Invitalia, che gli consentì di superare abbondantemente il milione di euro. La notizia sul suo extra-super stipendio, che solleva il velo su uno dei misteri più oscuri di questi anni, in quanto ogni domanda ufficiale ad Arcuri ed Invitalia restava puntualmente ed altrettanto arrogantemente senza risposta, è trapelata grazie alla relazione della Corte dei Conti sul bilancio 2020 della società controllata dal ministero dell’Economia, che è stata trasmessa al Parlamento alla fine dello scorso mese di maggio. 

Arcuri ha mantenuto il doppio incarico per tutto il 2020, pur essendo la sua attività quasi completamente assorbita dalle funzioni governative di “commissario Covid” che come si ricorda, sono state talmente discusse al punto da generare la sua sostituzione non appena insediatosi il governo di Mario Draghi, con il generale dell’ Esercito Francesco Paolo Figliuolo alla guida della complessa macchina dell’emergenza Covid, che finalmente decollò senza spendere i soldi previsti da Arcuri per realizzare le “primule” progettate dall’ arch. Stefano Boeri, strutture che sarebbero dovuto diventare gli hub di vaccinazioni nelle grandi città.

Le indennità di Arcuri

Anche in Invitalia le indennità fisse e variabili previste per la sua funzione da amministratore delegato erano cresciute dai 241 mila euro del 2019 ai 293.177 euro del 2020 (oltre 50mila euro in un anno !). Ma questa è solo la parte meno significativa dello “stipendio” portato a casa da Arcuri quell’anno. Come evidenzia segnala la Corte dei Conti nella sua nota, a questa cifra va sommata quella a lui assegnata “per il rapporto di lavoro a tempo indeterminato di Direttore generale, pari a euro 450 mila di parte fissa e una retribuzione variabile nella misura annua del 60 per cento della retribuzione fissa”. Ne consegue che il compenso complessivo da direttore generale è ammontato a 720 mila euro (composto da 450 mila di emolumento fisso e 270 mila di quota variabile) che sommato alle indennità da amministratore delegato fanno la bellezza di 1.013.177 euro.

E’ sempre la Corte dei Conti a segnalare però che l’11 giugno 2020 il consiglio di amministrazione di Invitalia aveva deliberato di assegnare ad Arcuri “per il 2020 un ulteriore obiettivo, al conseguimento del quale gli può essere riconosciuto un importo aggiuntivo rispetto alla retribuzione variabile relativa sia al rapporto dirigenziale, sia al compenso annuo ex articolo 2389, comma 3 del codice civile, pari al 20 per cento della stessa retribuzione variabile, quindi fino a un massimo 12 per cento di quella fissa“. 

La tabella sugli emolumenti di Arcuri

I magistrati contabili annotato alla tabella sugli emolumenti che “il consiglio di amministrazione di Invitalia ha valutato positivamente il 1° giugno 2021 il raggiungimento degli obiettivi prefissati dal medesimo cda in data 11 giugno 2020“, e pertanto ad Arcuri dovrebbero essere stati erogati a premio ulteriori 54 mila euro anche come direttore generale. Somme queste di molto ben superiori a quelli che nel 2016 avevano provocato una inchiesta della procura generale della Corte dei Conti per gli extra compensi rispetto ai limiti di legge erogati sia ad Arcuri che all’allora presidente di Invitalia e a tutti i consiglieri di amministrazione.

Complessivamente i magistrati contabili avevano individuato 1,9 milioni di euro oltre al dovuto corrisposto ad Arcuri & c in più anni. Il manager pubblico replicò sostenendo che “la disciplina relativa ai tetti di trattamento economico non trova applicazione per contratti che, come il mio, risalgono ad una data antecedente al 2007. Inoltre è opportuno sottolineare che l’importo di 1,9 milioni di euro deriva dalla somma di più annualità (6 anni), e dai compensi di più persone“. 

La contestazione Invitalia

Successivamente a quella contestazione Invitalia il 20 luglio 2017 In ogni caso emise un prestito obbligazionario di 350 milioni di euro quotato al mercato regolamentato. Da quel momento, come accaduto anche per la Rai, la società guidata a suo tempo da Arcuri è uscita dall’elenco delle controllate dal Tesoro a cui manager poteva essere applicato il tetto massimo stipendiale omnicomprensivo di 240 mila euro l’anno imposto dal governo di Matteo Renzi a tutta la pubblica amministrazione.

Il bilancio 2022

Il rapporto della Corte dei Conti però non riguardava solo i compensi degli amministratori, ma tutto il bilancio 2020 di Invitalia che viene descritto con le sue luci e le sue ombre sia a livello di capogruppo che per il consolidato. La Corte dei Conti contrariamente a quanto accaduto in molte altre occasioni simili non ha espresso giudizi sulla gestione e anche nelle considerazioni conclusive si limita a riportare quasi in un “Bignami” un sunto delle principali poste di bilancio senza che le due magistrate , la presidente Manuela Arrigucci e la relatrice Giuseppa Maneggio, che firmano la relazione, aggiungano le proprie considerazioni. Che strano, vero? Redazione CdG 1947 

Aldo Grasso per il “Corriere della Sera” il 4 Luglio 2022.

Non ridere mai dei draghi finché sono vivi, suggerisce J.R.R. Tolkien, citando un vecchio proverbio. Non la pensa così il sociologo Alessandro Orsini che, sul «Fatto Quotidiano», attribuisce a Mario Draghi grossi «limiti culturali» («è un banchiere che ragiona soltanto in termini economici»). 

Eppure il presidente del Consiglio non finisce di stupire. In una conferenza stampa, di fronte alle tempeste in un bicchier d'acqua agitate da vecchi e nuovi sociologi, ha fornito una breve ed esemplare lezione politica: «Il populismo spesso è insoddisfazione, isolamento, alienazione. Questi temi si sconfiggono con un'azione di governo che risponda ai bisogni dei cittadini, ai bisogni degli italiani». 

Capito? All'alienazione populista si contrappone infine una vera leadership politica e culturale. Non basta: la cifra del grande statista è racchiusa, involontariamente, nella lettera d'addio di Domenico Arcuri.

Dopo aver ringraziato gli otto presidenti del Consiglio con cui ha avuto «il privilegio di lavorare» (a cominciare da «Romano Prodi, che mi chiamò a ristrutturare l'allora Sviluppo Italia»), l'altezzoso Arcuri chiude con un pensiero (amaro) a Draghi «che ha ritenuto la mia esperienza dovesse concludersi». Orsini, mai decisione, culturale e politica, fu più saggia.

Mauro Evangelisti per "il Messaggero" il 18 febbraio 2022.

Un bonus psicologo per aiutare chi fatica a sopportare il carico di stress, depressione e ansia prodotto dai due anni di pandemia, tra incertezza economica e timori per la propria salute. Aiuterà 18 mila italiani, con un totale potenziale di 600 euro all'anno. Sarà basato sull'Isee e un tetto massimo fissato a 50 mila euro perché l'obiettivo è favorire i redditi più bassi. 

FONDI Il bonus psicologo è uno strumento che deve, in sostanza, aiutare a superare il disagio mentale legato ai due anni terribili del Covid. Istituito grazie a un emendamento (primo firmatario il deputato del Partito democratico Filippo Sensi), approvato come modifica al Dl Milleproroghe, prevede uno stanziamento di 20 milioni di euro. Una metà servirà a reclutare gli specialisti per le strutture pubbliche, l'altra a finanziare i voucher per chi si rivolgerà a professionisti privati.

C'è stata anche una riformulazione, nel corso dell'esame nelle commissioni riunite Affari Costituzionali e Bilancio della Camera, che ha permesso a maggioranza e opposizione di trovare l'accordo e votare insieme nella seduta dell'altra notte. Nella sostanza il testo dell'emendamento, gli stanziamenti e la platea sono quelli che erano stati anticipati dal Messaggero domenica scorsa e confermati anche dal ministro della Salute, Roberto Speranza.

OBIETTIVI Ma come sarà organizzato questo strumento di sostegno psicologico? L'obiettivo è «rafforzare i servizi di neuropsichiatria per l'infanzia e l'adolescenza» e «potenziare l'assistenza sociosanitaria delle persone con disturbi mentali». C'è un passaggio nel testo che, nello specifico, delinea l'intervento diretto a chi nel corso della pandemia si è trovato ad affrontare situazioni di disagio. Si legge nell'emendamento approvato dalle commissioni: si punta a «potenziare l'assistenza per il benessere psicologico individuale e collettivo, anche mediante l'accesso ai servizi di psicologia e psicoterapia in assenza di una diagnosi di disturbi mentali, e per fronteggiare situazione di disagio psicologico, depressione, ansia, trauma da stress».

Le Regioni e le Province Autonome avranno il compito di distribuire i contributi per le spese legate a sedute di psicoterapia. Nella relazione tecnica si è stimato che la tariffa minima per una seduta presso uno specialista è di 50 euro. Dunque il rimborso di 600 euro consentirà di ottenere dodici incontri con un professionista. Dopo il via libera in commissione, il prossimo passaggio sarà quello parlamentare.

TAPPE Per comprendere l'importanza di questo strumento giova ricordare che nel recente congresso nazionale della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia è stato spiegato: una ricerca pubblicata su Jama Pediatrics ha rivelato che, dopo due anni di pandemia, un adolescente su quattro ha i sintomi clinici di depressione, uno su cinque soffre di disturbo d'ansia.

Ha commentato l'altra notte su Twitter l'onorevole Filippo Sensi, che su questo tema ha condotto una lunga battaglia: «Ore 2.52. Le Commissioni riunite Affari Costituzionali e Bilancio approvano il bonus psicologo. Grazie al governo per il lavoro fatto, ai gruppi parlamentari per il sostegno, a tutti coloro che ci hanno creduto. Si va in aula alla Camera. Un passo avanti decisivo». Dal Movimento 5 Stelle spiegano l'onorevole Celeste D'Arrando ed Elisa Pirro (capogruppo del M5S in Commissione Igiene e Sanità al Senato): «È un grande risultato, con un percorso iniziato già in occasione della Legge di Bilancio con l'emendamento del Movimento 5 Stelle. È importante superare i tabù legati alla salute mentale e al disagio psicologico». 

Bonus psicologo ecco di cosa si tratta e perché è stata una conquista. IVANA MINGOLLA su Il Domani il 18 febbraio 2022

È previsto un contributo massimo di 600 euro da utilizzare per le spese di psicoterapia. Un decreto del ministero della Salute e dell’Economia e Finanze stabilirà tutti i dettagli

Presto il bonus psicologo diventerà legge. Approvato come emendamento al decreto legge Milleproroghe, permetterà alle persone con Isee fino a 50mila euro di usufruire, per il 2022, di un contributo massimo di 600 euro a sostegno delle spese per la psicoterapia. 

«Tenuto conto - recita il testo dell'emendamento - dell’aumento delle condizioni di depressione, ansia, stress e fragilità psicologica, a causa dell'emergenza pandemica e della conseguente crisi socio-economica», regioni e province autonome erogheranno 10 milioni di euro, fino all'esaurimento delle risorse, come «contributo per sostenere le spese relative a sessioni di psicoterapia fruibili presso specialisti privati regolarmente iscritti all'albo degli psicoterapeuti».

IN COSA CONSISTE

I fondi complessivi, messi a disposizione per il bonus psicologo, nell’arco del 2022, ammontano a 20 milioni di eruo: 10 milioni andranno alle persone cui sarà riconosciuto il bonus, secondo modalità che dovranno essere precisate nei prossimi giorni; gli altri 10 serviranno per finanziare il reclutamento di nuovi professionisti sanitari e assistenti sociali. 

Per l’assegnazione del bonus si terrà conto dell’Isee che non dovrà superare il tetto massimo di 50mila euro. Gli ulteriori dettagli saranno decisi da un successivo decreto: questioni come la presentazione della domanda per accedere al contributo, l’entità del contributo e i requisiti reddituali per ottenerlo dovranno essere regolati dal ministro della Salute di concerto con il ministro dell'Economia e delle Finanze, attraverso un ulteriore decreto.  

L’APPROVAZIONE

Dal punto di vista formale, il bonus psicologo è un emendamento apportato al cosiddetto decreto legge Milleproproghe che era stato approvato dal Consiglio dei ministri il 23 dicembre scorso. 

In questi giorni, il testo del Milleproroghe ha affrontato l’esame delle commissioni riunite alla Camera: hanno votato gli articoli e introdotto emendamenti al testo originario di dicembre, tra cui il bonus psicologo. Il passo successivo è conversione in legge da parte del parlamento, che avviene entro i sessanta giorni dall’entrata in vigore del decreto legge (in questo caso, il Milleproroghe è entrato in vigore il 31 dicembre), pena la sua decadenza.

LA BATTAGLIA PER IL BONUS

Prima di arrivare all’approvazione, il bonus psicologo è stato oggetto di una battaglia politica durata oltre due mesi. Già a dicembre, infatti, si era cercato di introdurre una misura analoga nella legge di Bilancio, al fine di favorire l’accesso ai servizi psicoterapici alle persone meno abbienti. Si trattava del bonus salute mentale. La proposta era stata presentata per essere introdotta nella legge di Bilancio dalla vice presidente del gruppo Pd, Caterina Biti, ma era sostenuta pubblicamente dagli altri principali partiti presenti in parlamento: Movimento 5 stelle, Lega, Forza Italia, Fratelli d'Italia, Italia viva e Liberi e uguali. Alla fine però non era stata inserita nella legge di Bilancio.

Chiedeva lo stanziamento di 50 milioni di euro, da ripartire in due forme di supporto economico ai servizi psicoterapici: 15 milioni come bonus avviamento e 35 come bonus sostegno. Il primo sarebbe consistito in 150 euro per persone maggiorenni, senza limiti di reddito, con diagnosi di disturbo mentale ma che non avessero avuto accesso ad altre agevolazioni in materia di salute mentale; il secondo, invece, sarebbe dovuto essere vincolato all’Isee, comprendendo contributi variabili a seconda della fascia economica di appartenenza, fino a un tetto massimo di Isee pari a 90mila euro. Nello specifico, per Isee fino a 15mila euro, il bonus arrivava fino a 1.600 euro; con Isee compreso tra 15mila e 50mila euro, si prevedevano bonus per 800 euro; infine con Isee compresi tra 50mila e 90mila euro, il bonus scendeva a 400 euro. 

LA PETIZIONE SU CHANGE.ORG

La proposta non era passata. Ma la battaglia è stata portata avanti da parte del Pd, e si è arrivati all’emendamento del bonus psicologo, proposto dal dem Filippo Sensi alla Camera. Parallelamente su Change.org, la piattaforma on line di raccolta firme, il giornalista del Tg1, Francesco Maesano, aveva lanciato una raccolta firme a sostegno del bonus salute mentale /psicologo per chiedere al governo di sostenere chi fa ricorso alla psicoterapia. 

«Nel paniere Istat, – scriveva in un tweet, lanciando l’iniziativa – cioè nell'elenco dei beni presi in considerazione per calcolare il costo della vita nel nostro paese, è entrata la psicoterapia individuale. Una ragione in più per chiedere al governo di sostenerla e sostenere chi vi fa ricorso. La petizione, lanciata il 2 febbraio, ha raccolto 100mila firme in meno di tre giorni, al momento ha superato le 317 mila, puntando a 500mila sottoscrizioni».

I DATI SU ANSIA E DEPRESSIONE

Per quanto riguarda l’impatto della pandemia sui disturbi psicologici come ansia e depressione, da uno studio pubblicato sulla rivista settimanale scientifica Lancet lo scorso ottobre, è emerso che le due patologie sono cresciute rispettivamente del 28 e del 26 per cento, colpendo in particolare donne e giovani. L’analisi condotta da ricercatori australiani dell’Università del Queensland ha riguardato 204 paesi e territori in tutto il mondo, registrando, in termini assoluti, 76 milioni di casi in più di ansia e 53 milioni in più di casi di depressione.

L’Istituto Piepoli, citato anche dalla petizione su Change.org, ha rivelato che nel 2021, il 27,5 per cento dei pazienti che avevano intenzione di iniziare un percorso di salute mentale non ha potuto farlo per ragioni economiche, mentre il 21 per cento è stato costretto a interromperlo. 

IVANA MINGOLLA. Classe 1984. Pugliese, si è laureata in relazioni internazionali alla Sapienza di Roma e ha conseguito un master di II livello in politica internazionale alla Lumsa. Ha studiato giornalismo di guerra, all'Institute for Global Studies di Roma, e giornalismo d'inchiesta, alla Scuola di giornalismo della Fondazione Lelio Basso. Ha lavorato per Teleambiente, oggi scrive per Domani

Pensioni, la tragedia Covid provoca sui conti Inps nel 2020 1,1 miliardi di risparmi. Rosaria Amato su La Repubblica il 15 Febbraio 2022

Il Nono Rapporto di Itinerari Previdenziali oggi al Senato. Entro il 2024 rapporto spesa pensionistica/Pil al 12,32% e lavoratori/pensionati all'1,49%. Ma ancora ci sono gli strascichi dei forti anticipi del passato: sono 476.283 gli assegni previdenziali pagati dall’Inps dal 1980 o anche da prima. Nel 2020 la tragedia Covid fa risparmiare ai conti dell'Inps 1,1 miliardi di spesa pensionistica. Secondo il nono Rapporto di Itinerari previdenziali, presentato stamane al Senato, fino al 2029 si avrà di conseguenza una spesa minore per 11,9 miliardi. "Il 96,3% dell'eccesso di mortalità registrato nel 2020 - si legge - ha riguardato persone con età uguale o superiore a 65 anni, per la quasi totalità pensionate".

Considerato anche le adesioni a Quota 100 minori del previsto, l'ampio ricorso agli ammortizzatori sociali speciali durante la pandemia e la recente ripresa dell'occupazione, Itinerari Previdenziali prevede che il rapporto spesa pensionistica/PIL dovrebbe ridursi dal 14,27% del 2020 al 13,19% del 2021, migliorando fino al 12,32% (valore in linea alla media Eurostat) nel 2024.

Il Centro Studi e Ricerche presieduto da Alberto Brambilla, che stamane presenta al Senato il Nono Rapporto sul Sistema Pensionistico Italiano, calcola inoltre che la riduzione dei flussi di pensionamento dal 2022 (per effetto della fine di Quota 100), combinata con la cancellazione di prestazioni a lunga decorrenza, "dovrebbero consentire di ammortizzare le perdite prodotte da Covid-19 nel corso dei prossimi 2 o 3 anni, con una risalita del rapporto attivi/pensionati intorno al valore di 1,49 già nel 2024", un valore vicino alla quota record di 1,4578 toccata nel 2019. Secondo le proiezioni di Itinerari Previdenziali quindi l’incremento degli attivi e il flusso dei contributi dovrebbero riportare il disavanzo Inps sui 20,8 miliardi, entro il prossimo triennio.

«A oggi il sistema è sostenibile e lo sarà anche tra 15 anni, nel 2035, quando le ultime frange dei baby boomer nati dal Dopoguerra al 1980 si saranno pensionate», assicura Alberto Brambilla. Tuttavia, aggiunge, "perché si mantenga la sostenibilità pensionistica, sarà però indispensabile intervenire su 4 ambiti fondamentali: 1) le età di pensionamento, attualmente tra le più basse d’Europa (62 anni l’età effettiva in Italia contro i 65 della media europea), nonostante un’aspettativa di vita tra le più elevate a livello mondiale; 2) l’invecchiamento attivo dei lavoratori, attraverso misure volte a favorire un’adeguata permanenza sul lavoro delle fasce più senior della popolazione; 3) la prevenzione, intesa come capacità di progettare una vecchiaia in buona salute; 4) le politiche attive del lavoro, da realizzare di pari passo con un’intensificazione della formazione professionale, anche on the job».

“Dobbiamo semplificare il procedimento di selezione del gestore delle risorse finanziarie degli enti, creare tassazione agevolata per gli investimenti nelle PMI italiana, adeguare la tassazione italiana sui rendimenti e sulle prestazioni a quella dei Paesi europei”, ha affermato il senatore del M5S Sergio Puglia , membro Commissione Bicamerale Controllo Enti.

Pensioni pagate da 46 anni

Tra gli errori del passato da non ripetere sicuramente l'anticipo eccessivo della pensione: sono 476.283 gli assegni previdenziali pagati dall’Inps da 40 anni o più a persone andate in pensione nel lontano 1980 o ancora prima: 423.009 le prestazioni riguardanti il settore privato, 53.274 quelle relative ai dipendenti pubblici. Il record di durata delle pensioni più remote ancora oggi vigenti è in media di quasi 46 anni nel settore privato e di 44 per il pubblico: prestazioni corrette sotto il profilo attuariale non dovrebbero superare i 20/25 anni, sottolinea il Rapporto di Itinerari Previdenziali.

Il bilancio 2020

In dettaglio, la spesa pensionistica di natura previdenziale comprensiva delle prestazioni invalidità, vecchiaia e superstiti è stata nel 2020 di 234,736 miliardi di euro contro i 230,259 del 2019 (+4,5 miliardi). Tenuto conto di un decremento delle entrate contributive di quasi 14 miliardi sull’anno precedente (-6,7%), il saldo negativo tra entrate e uscite si è attestato a circa 39,3 miliardi di euro: un deficit che supera di 18,4 miliardi il saldo del 2019 e che fa segnare un esito peggiore persino a quello del 2015, anno più critico dalla crisi finanziaria iniziata nel 2008.

Quattro gestioni in attivo

E tuttavia ci sono quattro gestioni obbligatorie Inps che si mantengono in attivo, sebbene con saldi inferiori agli anni precedenti: i lavoratori dipendenti che presentano un attivo di 1.203 milioni (erano 20.186 nel 2019), i commercianti (da 880 a 607 milioni), i lavoratori dello spettacolo ex Enpals con 150 milioni (erano 400 l’anno precedente) e la Gestione Separata dei lavoratori parasubordinati.

Con la sola eccezione dell’Inpgi, l’ente previdenziale dei giornalisti (la cui gestione principale è appena stata assorbita dall'Inps), bilanci positivi anche per le Casse privatizzate dei liberi professionisti, per un saldo positivo complessivo di 3.877 milioni che beneficia, anche nell’anno della pandemia, soprattutto di un buon rapporto attivi/pensionati  

Covid, niente ristori per i medici morti per il virus. Rivolta negli ospedali: dimissioni di massa? Claudia Osmetti su Libero Quotidiano il 12 febbraio 2022

E dire che erano i nostri eroi. Neanche due anni fa li applaudivamo per strada, stampavamo i loro volti sui manifesti, li guardavamo nelle riviste. Con quelle facce stanche e gli occhi esausti, il volto sempre tirato dietro alla mascherina che noi, invece, cercavamo e non trovavamo. Anestesisti, chirurghi, dottori di medicina generale. Erano (lo sono a tutt' oggi) in prima linea. Lì, nelle terapie intensive e nei reparti covid, quelli improvvisati del 2020 e quelli di adesso, strutturati e organizzati a puntino. Due anni, una vita fa. Sono 369 i medici morti di coronavirus dall'inizio della pandemia: e nel 2022, quando finalmente sembra che ci stiamo lasciando il peggio alle spalle, Omicron da una parte e i vaccini dall'altra, non riusciamo a riconoscere alle loro famiglie dei ristori adeguanti. Anzi, non riusciamo a riconoscere loro dei ristori punto e basta. Zero, niente. La cassa piange, non ci sono soldi, provate al prossimo giro. Ne saremmo usciti migliori, pensa te. In questi giorni il Senato doveva approvare un emendamento con cui, appunto, sarebbe stato creato un fondo economico per i parenti dei camici bianchi che questo maledetto virus ci ha portato via. Non era solo un atto dovuto, era pure un atto simbolico. Voleva dire riconoscere quel contributo, sofferto, tribolato. Fondamentale. Non è stato possibile.

«Mancano le risorse», racconta Filippo Anelli, presidente della Fnmoceo, al secolo la Federazione nazionale degli ordini dei medici e degli odontoiatri italiani. Ha la voce abbattuta, Anelli. Si rende conto benissimo (così come ce ne rendiamo conto tutti) che non è una questione di volontà, ma di mero portafoglio. Qui aumenta tutto: dalla luce al gas alle spese del super. Trovare il denaro non è affatto semplice, per qualunque cosa. «Però lascia l'amaro in bocca», dice lui, «e forse il fatto che sia solo un aspetto economico fa ancora più male. Era importante, era un gesto di gratitudine verso una categoria che ha dato tutto, ma veramente tutto, per fronteggiare questa emergenza». Non c'è bisogno di aggiungere che ha ragione da vendere. L'unico spiraglio è che la partita non è persa per sempre. «Quello che è successo in pratica», continua Anelli, «è che la commissione Bilancio di Palazzo Madama ha bocciato questo emendamento, di fatto trasformandolo in un ordine del giorno che impegna il governo a trovare le risorse che oggi mancano». È già qualcosa, ma serviva di più. «Purtroppo non ci sono neanche le tempistiche. Non sappiamo quando questo avverrà. Spetta ai parlamentari, ossia alla politica, trovare una soluzione». Insomma, gli addetti ai lavori hanno le mani legate: da qui in avanti il terreno di gioco è un altro.

«Degli oltre trecento medici deceduti a causa del covid solo una metà rientrerebbe nel fondo di cui stiamo parlando», chiosa Anelli, «perchè per i dipendenti c'è già la procedura dell'Inail (l'ente nazionale che si occupa degli infortuni sul lavoro, ndr). E' l'altra metà, semmai, che non può ottenere, al momento, nessun riconoscimento». Si riferisce ai medici di famiglia, quelli di base che durante le prime ondate correvano come disperati dall'ambulatorio alle case dei pazienti, che tenevano il cellulare acceso giorno e notte, sempre attaccato alla presa della corrente perchè di chiamate ne arrivavano di continuo. E ai liberi professionisti che hanno uno studio privato e non hanno mai smesso un giorno di lavorare. «Molte delle loro famiglie sono rimaste prive dell'unica fonte di sostentamento», chiosa Anelli. La Fnomceo tiene, sul suo sito, un elenco aggiornato di tutti i colleghi che non sono sopravvissuti all'emergenza sanitaria: il primo di loro che non ce l'ha fatta è stato il presidente dell'ordine dei medici di Varese. Si chiamava Roberto Stella, è morto l'11 marzo del 2020. Quando l'incubo stava solo iniziando. 

Emendamento bocciato in Commissione Bilancio. Niente indennizzi ai familiari dei medici morti per Covid, la politica dimentica i suoi “eroi”. Fabio Calcagni su Il Riformista il 12 Febbraio 2022 

Una beffa per chi da due anni a questa parte è stato definito “eroe” e che oggi si considera “dimenticato”. È il sentimento che provano i medici e il personale sanitario italiano che da febbraio 2020 stanno lottando in prima linea contro la pandemia di Coronavirus, con 369 colleghi che sono morti colpiti dal Covid nel tentativo di fronteggiare l’emergenza.

Per i loro familiari però non ci sarà alcun indennizzo, come inizialmente promesso dai partiti. È stato infatti bocciato l’emendamento al decreto ristori che avrebbe dovuto pagare un indennizzo ai medici colpiti dal Covid e ai famigliari dei medici che dall’inizio della pandemia hanno perso la vita uccisi dal virus.

A denunciarlo sono gli Ordini e le associazioni. Parole durissime come quelle di Carlo Rossi, presidente dell’Ordine provinciale dei Medici chirurghi e odontoiatri di Milano che per primo si è mosso per ispirare il decreto legge 221/21 e si sta battendo anche per i sanitari che hanno riportato una grave invalidità permanente: “Da oltre un anno destra e sinistra, che a inutili parole hanno elogiato l’eroismo e chiamato eroi i medici caduti sul campo, si palleggiano un provvedimento che è a dir poco doveroso. Servirebbe a riconoscere un ristoro a quei medici che hanno riportato danni permanenti e alle famiglie di quei medici che, soprattutto durante la prima parte della pandemia, quando mancava tutto, anche la conoscenza di come affrontare il virus, sono morti per il loro spirito di abnegazione e di servizio, cercando di limitare gli effetti della pandemia”.

L’emendamento per gli indennizzi, spiega Rossi, “è stato trasformato in un ordine del giorno che rinvia ancora una volta ogni decisione e passa la palla al Governo”. 

L’emendamento della leghista Maria Cristina Cantù prevedeva un indennizzo di 100mila euro a famiglia, ma in Commissione Bilancio è stato bocciato a causa della mancanza di coperture per la misura. L’emendamento era un modo per aiutare con indennizzi chi non è garantito dall’Inail, che copre solo a medici dipendenti del Sistema sanitario nazionale.

Parla invece di “occasione persa” Filippo Anelli, presidente della Federazione ordini dei medici. L’approvazione di un indennizzo per i familiari dei medici morti a causa del Covid-19 sarebbe stata l’occasione, spiega Anelli, “di dimostrare gratitudine ai medici che hanno dato la loro vita per continuare a curare durante la pandemia. Invitiamo il Parlamento a una riflessione. Dispiace – afferma Anelli – che non si siano trovati i fondi per poter dare un ristoro a queste famiglie che, in molti casi, sono anche rimaste prive dell’unica fonte di sostentamento e alle quali sono negati indennizzi Inail”.

Fabio Calcagni. Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.

(ANSA il 31 gennaio 2022) - Soldi stanziati dallo Stato per aiutare le imprese e i commercianti in difficoltà a causa della pandemia e finiti invece in modo illecito nelle mani di professionisti, imprenditori e commercialisti che non ne avevano diritto. 

E' la maxifrode scoperta dalla Guardia di finanza in un'indagine partita da Rimini e poi estesa a diverse regioni. Complessivamente sono 78 le persone indagate e 35 le misure cautelari emesse dal gip, mentre è di 440 milioni l'importo complessivo dei fondi illecitamente percepiti attraverso la creazione e la commercializzazione di falsi crediti d'imposta. In corso anche decine di perquisizioni.

Otto sono le persone finite in carcere e altre 4 ai domiciliari mentre nei confronti di 20 imprenditori è stata disposta l'interdizione all'esercizio di impresa e per 3 commercialisti l'interdizione all'esercizio delle professione: secondo quanto emerso dalle indagini della Guardia di Finanza, facevano parte di un'associazione con base a Rimini ma con ramificazioni in tutta Italia responsabile di aver creato e commercializzato per un importo di 440 milioni i falsi crediti di imposta, lo strumento introdotto tra le misure previste dal governo con il decreto Rilancio del 2020 per aiutare le imprese e i commercianti in difficoltà. 

L'esecuzione delle misure è scattata oltre che in Emilia Romagna anche in Abruzzo, Basilicata, Campania, Lazio, Lombardia, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino e Veneto. 

I finanzieri di Rimini assieme agli altri reparti territoriali, allo Scico e al Nucleo speciale frodi tecnologiche hanno eseguito anche un'ottantina di perquisizioni e sequestrato i falsi crediti d'imposta, beni e società per il reato di indebita percezione di erogazione ai danni dello Stato. 

Tra gli indagati, 9 avevano presentato domanda di reddito di cittadinanza mentre altri tre avevano precedenti per associazione di stampo mafioso I dettagli dell'operazione saranno resi noti in una conferenza stampa in programma alle 11.30 al comando provinciale della Gdf di Rimini alla quale parteciperà il procuratore di Rimini Elisabetta Melotti.

Valentina Errante per "il Messaggero" l'1 febbraio 2022.

«Madonna, lo Stato italiano è incredibile, praticamente vuole essere fregato». Era questo il manifesto dell'associazione a delinquere scoperta a Rimini dalla Guardia di Finanza, un'organizzazione che in sei mesi, attraverso una galassia di società fantasma intestate a prestanome, era riuscita a ottenere con i bonus edilizi e i Ristori Covid, 440 milioni di euro in crediti di imposta. 

Soldi finiti all'estero, in Germania, Regno Unito, Portogallo e poi a Dubai, o reinvestiti in cripto valute, lingotti d'oro e orologi. La regia della maxitruffa, sui soldi stanziati dallo Stato per aiutare le imprese in difficoltà dopo la pandemia, era a Rimini e il veicolo erano le agevolazioni dei bonus locazione, sismabonus e il bonus facciate, ma le filiali erano in tutt' Italia.

Le indagini sono ancora in corso, sono 38 le misure cautelari notificate ieri su richiesta dal sostituto procuratore di Rimini Paolo Gengarelli, 78 gli indagati. Le verifiche lampo, partite nel luglio 2021 dal fallimento di un'azienda, hanno spinto i militari in tutt' Italia, dal Trentino alla Sicilia, passando per il Lazio.

 Le intercettazioni lasciano pochi margini ai dubbi e tornano alla memoria le parole pronunciate da Francesco De Vito Piscicelli la notte del terremoto dell'Aquila: questa volta è il Covid ad avere portato vantaggi economici.

«Quelli Milano, oggi si mettono a Dubai..Non ne hai idea di quanti c..di soldi hanno fatto, non sanno più dove andare ad aprire i conti correnti in giro per il mondo per mettere i soldi, ma noi ci stiamo dietro.... ci stiamo dietro, a ruota stiamo andando, però dobbiamo stare attenti».

Con l'impiego di «cashdog», cani che fiutano il denaro contante, ieri, durante le perquisizioni i militari hanno trovato trolley pieni di banconote. L'associazione, finalizzata alla truffa ai danni dello Stato, al reimpiego e autoriciclaggio, ha portato otto persone in carcere e quattro ai domiciliari. Un sistema che il gip Manuel Bianchi definisce «ludopatia da reato». 

Per i pm Nicola Bonfrate era promotore e capo dell'associazione, al suo fianco Imane Mounsiff, cittadina di origine marocchina, quindi il commercialista riminese, Stefano Francioni e altre cinque persone considerate dagli investigatori i «piazzisti e venditori» nelle varie Regioni, che recuperavano società in difficoltà economica per la creazione di falsi crediti di imposta. In tutto, finora, sono 116 quelle individuate.

«Mi servono società, anche società al lacero, anzi meglio, che sono al lacero - dice Bonfrate in un'intercettazione - bisogna avere persone fidate, persone anziane». E un altro indagato parlando delle procedure per ottenere i crediti: «Noi in quanto tempo lo facciamo? In una mangiata di un panzerotto. Nello studio, la scrivania è enorme. Lavorando, lavorando, panzerotti, panzerotti e abbiamo finito insieme». 

Lo scorso 11 ottobre, Bonfrate avvertiva che bisognava impiegare anche la notte: «In quindici giorni amma' carica' cinquanta milioni, tre persone che ci lavorano..si mettono pizza, panini, birra patatine, sul tavolo. Quando diventa un business diventa un lavoro, o si fa o si fa».

Bonfrate gestiva e incoraggiava i suoi soci parlando dei profili delle aziende da caricare sulla piattaforma dell'Agenzia delle entrate: «Sono società, sono sei, sette e sono tutti generati su fabbricati e condomini, sono tutti condomini che si fa presto, perché si moltiplicano le particelle velocemente. Ora ne abbiamo altre quattro, queste quattro le fermo... caricheranno un milione. Un milione e due a testa e carico le altre fino al 12 novembre, poi faremo 11 dicembre».

Una volta individuate le società si sceglievano i bonus: con la simulazione dell'esistenza di crediti di imposta generati tramite inserimento della comunicazione nel portale dell'Agenzia delle Entrate per interventi di natura sismica o edilizia mai effettuati su unità immobiliari esistenti. Allo stesso modo si riscuotevano i crediti per locazioni, inesistenti, di immobili adibiti ad aziende. 

(ANSA il 12 gennaio 2022) - La maggioranza è stata battuta nella commissione Affari costituzionali del Senato su un emendamento al decreto Covid, proposto dal M5s, che chiedeva di consentire alle parafarmacie di fare test molecolari e antigenici rapidi anti covid. Contro la modifica, che ha avuto 13 voti contrari e 11 favorevoli, si è schierato tutto il centrodestra. L'emendamento presentato da Gianluca Castaldi, primo firmatario, aveva avuto il parere positivo del governo e del relatore del provvedimento, Nazario Pagano di Forza Italia. Il decreto, ora in discussione in Aula, prevede tra l'altro il green pass rafforzato.

Il giro d'affari di farmacie e laboratori. LUCA LA MANTIA su Il Quotidiano del Sud il 17 Gennaio 2022.  

È passato oltre un anno e mezzo da quando i primi laboratori privati sono stati autorizzati a eseguire i tamponi. Era l’ottobre del 2020 e, con il gonfiarsi della seconda ondata, erano emerse tutte le inefficienze del sistema diagnostico pubblico. L’estensione si rese, quindi, necessaria per decongestionare ospedali e drive in e consentire ai cittadini di avere un servizio più efficiente.

Il quadro è stato completato, a inizio 2021, dall’arrivo dei test in farmacia. Si tratta, ovviamente, di tamponi a pagamento, anche perché spesso eseguiti su base volontaria. E il business è notevole, specie con l’arrivo di Omicron.

Secondo un servizio realizzato da “Di martedì” (La7) i test effettuati in Italia dal 24 dicembre a 6 gennaio sono stati 12 milioni, con un incasso per il circuito farmaceutico di 102 milioni di euro. La maggior parte dei kit utilizzati nel nostro Paese arriva da Cina e Asia in genere, con un prezzo di importazione di 0,60 cent al pezzo.

Le farmacie li acquistano, secondo Roberto Capobianco di Conflavoro, a 2,5/3 euro l’uno e li vendono al prezzo “calmierato” di 15 euro. Ancora più esosi i molecolari eseguiti nei laboratori privati che possono arrivare a costare oltre 100 euro. E non vanno dimenticati i test fai-da-te, andati a ruba durante le festività. Un po’ come sta capitando con l’antibiotico Zitromax, spesso prescritto dai medici di base come terapia adiuvante per i pazienti Covid.

In generale, per farmacie e parafarmacie, si tratta di un momento molto remunerativo. Basti guardare gli spot tv, che per la maggior parte propongono farmaci e affini.

Monica Serra per "la Stampa" il 7 gennaio 2022. Tra festività natalizie, viaggi e cenoni in famiglia, con tutti i timori legati alla diffusione della variante Omicron, il business dei tamponi nelle ultime settimane si è moltiplicato con un giro d'affari che, in Italia, muove decine di milioni di euro al giorno. Tra file chilometriche e prenotazioni online, le richieste si sono raddoppiate, arrivando a un milione e 200 mila tamponi al giorno. Il 20 per cento sono test molecolari, l'80 per cento antigenici rapidi.

Di questi ultimi, circa 800 mila - calcola Federfarma - vengono eseguiti dalle oltre 14 mila 500 farmacie che si sono messe a disposizione sul territorio. Numeri enormi, se si pensa che prima dell'ultima ondata i tamponi eseguiti in Italia erano tra i 500 mila e i 700 mila ogni 24 ore.  

A protestare sono soprattutto le associazioni dei consumatori, come Codacons che, a fine dicembre, ha presentato un esposto a centoquattro procure italiane per chiedere di far luce su chi «specula» sull'emergenza ritenendo che il «rincaro» delle farmacie sul prezzo d'acquisto di ogni singolo tampone sia del «328 per cento». 

Il costo calmierato concordato in un protocollo d'intesa col governo è di 15 euro a test antigenico per tutti, 8 euro solo per i ragazzi tra i 12 e i 18 anni (non ancora compiuti), mentre è gratuito per i fragili che, per via delle proprie patologie, non possono vaccinarsi. 

«È vero che le farmacie acquistano i tamponi a 3, 5 o 4 euro - spiega Marco Cossolo, presidente di Federfarma - ma per eseguirlo sostengono altre spese che sono facilmente quantificabili. C'è il lavoro del farmacista: circa 50 centesimi al minuto. Se si considera che per ogni tampone ci vogliono 15 minuti, sono 7, 50 euro. C'è il prezzo dei Dpi (camice usa e getta, mascherina e guanti): 1, 50 euro. E siamo già a 13 euro. Per non parlare del costo degli spazi, della loro sanificazione e della attività amministrativa che c'è dietro. Quel che resta in tasca a un farmacista sono due euro. Anche perché - si infervora Cossolo - il prezzo di 15 euro non lo abbiamo fatto noi ma è stato deciso dal presidente del consiglio, Mario Draghi, che è il più grande economista europeo».

Diversi sono i costi dei tamponi antigenici fai da te che alla vigilia di Natale erano quasi introvabili in molte città italiane, come a Milano. «Il prezzo al pubblico varia dai 7, 90 ai 9, 90 euro mentre le farmacie li acquistano a 6 euro più il 5 per cento di iva, che non è applicata invece agli antigenici che vengono effettuati in sede», conclude Cossolo. E, di certo, non è a causa delle farmacie che i tamponi in Italia non vengano eseguiti gratuitamente come invece accade in altri Paesi del Nord Europa, per esempio la Germania. 

Anzi, sottolinea Andrea Mandelli, presidente della Federazione Ordini farmacisti italiani, «questa attività, che di sicuro non rappresenta il core business delle farmacie, è un'incombenza che si aggiunge a tutte le altre che ordinariamente vengono svolte e che in queste settimane in parte sono state abbandonate. Ci siamo messi a disposizione per fare i vaccini anti covid, quelli anti influenzali, i tamponi Durante l'emergenza abbiamo dimostrato che la nostra professione è quella più flessibile e più vicina al cittadino».  

Il margine di guadagno di due euro a tampone non può essere considerato basso, visti anche i numeri dei test antigenici effettuati in Italia in questi giorni. Ma c'è da dire che varia a seconda del territorio e della città.  

E, in ogni caso, spiega Venanzio Gizzi, presidente Assofarm - farmacie comunali, «anche le farmacie sono delle aziende che devono garantire il loro equilibrio economico. In Italia abbiamo una sanità che viaggia a ventuno velocità, tante quante sono le nostre regioni. Prima del protocollo d'intesa per i test antigenici rapidi siglato ad agosto con il governo, ogni hub e ogni struttura applicava prezzi diversi. In alcuni casi molto alti. Ma nei 15 euro complessivi pagati ora dal cittadino ci sono anche i costi degli spazi e del personale: sono tutti investimenti sostenuti dalle farmacie. Siamo un presidio territoriale importante. Se non ci fossimo stati noi, che cosa sarebbe accaduto in questo periodo con i tamponi? Chi se ne sarebbe fatto carico?» . 

Ad ammettere che le spese ci sono è il presidente del Movimento difesa del cittadino, Antonio Longo. «Di sicuro con una richiesta così alta c'è chi sta speculando - sostiene - ma il problema qui è alla fonte. Perché c'è una questione relativa all'approvvigionamento soprattutto dei reagenti con cui i tamponi vengono processati, che sono prodotti principalmente all'estero. Il governo dovrebbe garantirli a un costo più basso, calmierato, per permettere alle farmacie di contenere il prezzo dei tamponi. Anche perché i tempi di attesa per effettuare i test stanno aumentando. E se da una parte è vero che le feste e i cenoni stanno per terminare, dall'altra bisogna pensare che tra qualche giorno si torna al lavoro, a scuola, soprattutto. Il problema è attuale e riguarda i prossimi sessanta giorni. E nessuno, almeno per il momento, sembra sollevarli.

Maria Latella per “il Messaggero” l'8 gennaio 2022. Duecentocinquanta dollari per un tampone rapido. Succede a San Francisco ma anche altrove, almeno in California il costo si aggira almeno sui 130 dollari. Se si vuole un risultato in un'ora e non un una settimana. Poi può anche succedere che il risultato nemmeno arrivi. Nè in un'ora nè mai. Cronaca di un'esperienza diretta, ma prima di raccontarvela mettiamo a confronto le due realtà. Quella Europea e quella sperimentata in California. Leggiamo di legittime proteste perché non sempre in Italia i test anti Covid costano 15 euro.

Leggiamo di lunghe code davanti alle farmacie. Non siamo qui a riproporre il tutto il mondo è paese ma almeno in Europa nessuno ci chiede 200 e più euro per un test rapido. E soprattutto nessuno oserebbe incassare i soldi e poi non farti avere il risultato. Come è successo a me. Esperienza diretta, vi dicevo: 808 dollari in tutto per quattro test. I primi due non arrivati in tempo per la partenza e due fatti in aeroporto, a San Francisco.

Cominciamo dalla fine, dall'hub per i test rapidi dell'aeroporto di San Francisco. Mercoledì pomeriggio, circa le 17. Con mio marito aspettiamo trepidanti l'esito dell'esame. Se fosse positivo ovviamente non potremmo partire. Le operatrici chiamano per nome. E c'è n'è una delegata a dare la brutta notizia. Quando chiama lei, le facce sbiancano. Helen scandisce quella che ha l'ingrato compito. Helen, seduta a poca distanza da noi, si avvicina al desk e si sente ripetere i suoi diritti di portatrice di Covid.

«Può chiamare questo numero dì telefono. Ovviamente non può partire. Deve lasciare l'aeroporto e avvisare le persone con le quali è entrata un contatto». Come mai ci troviamo qui, a San Francisco, trepidanti nell'hub insieme a decine di altri trepidanti come noi? É andata così. Dopo due anni in cui per le note restrizioni era praticamente impossibile visitare parenti negli Stati Uniti, decido di approfittare della riapertura delle frontiere. Il rientro in Italia è previsto per il 5 gennaio. Nel rispetto delle regole, prenotiamo il test antigenico alla Covid Clinic della cittadina in cui abbiamo trascorso le vacanze, poco distante da San Francisco. Test ovviamente a pagamento.

Per quello gratuito ci sarebbe stato posto solo la settimana successiva. Il costo di ciascun test è di 129 dollari, circa 110 euro. A testa. Le regole prevedono che il test venga fatto 24 ore prima dell'arrivo in Italia e dunque noi ci prenotiamo per le 9 di mercoledì 5 gennaio. Pagamento anticipato con carta di credito. Consapevoli di dover attendere per un po', alle 8.30 siamo davanti alla clinica. La fila e' gia lunga e scopriamo che la clinica non aprirà prima delle 9. Si aspetta per strada, il test viene fatto sul marciapiede e a parte l'infermiera che lo pratica e che non dispone di informazioni, non c'è nessuno a cui rivolgersi.

Alle 10 siamo ancora in coda. Finalmente tocca a noi, chiediamo rassicurazioni sui tempi nei quali verrà rilasciato il risultato. «Forse due ore», spiega evasiva l'infermiera. Ci allarmiamo. «Come due ore? Ci era stato assicurato che in un'ora avremmo saputo se era positivo e negativo». Facciamo presente che senza il risultato non potremo salire sull'aereo per l'Europa ma l'infermiera si stringe nelle spalle. Preoccupati ma ancora confidenti, partiamo alla volta dell'aeroporto di San Francisco. Il volo è alle 14.40, già prima delle 11 siamo davanti al check in con bagagli e cellulare compulsato con una certa ansia. Siamo stati molto prudenti, passeggiate all'aria aperta e contatti solo con i familiari, ma non si sa mai. Se scopriamo di essere positivi non si parte, ovviamente.

Sono le 12 e il risultato dalla Covid Clinic non arriva. Le 12.30. Niente. Proviamo a chiamare e a restare in attesa per dieci, quindici, venti minuti. Un disco registrato ci informa che per ottenere il risultato basta andare sul sito della Covid Clinic, ma sul sito non ci sono informazioni. Il gentile operatore della compagnia Lufthansa ci spiega che senza risultato del test non può procedere al check-in. A questo punto ci rassegniamo: non partiremo più con il volo delle 14.40 per Francoforte. 

Ci spostano sul San Francisco Zurigo della Swiss Air, alle 20. Ma senza Covid test non ci imbarcheranno neppure in quel caso ovviamente. Ci mettiamo in coda per una nuova esplorazione delle narici. L'hub per i test rapidi dell'aeroporto di San Francisco dispone di pochi operatori e di centinaia di passeggeri che come noi hanno un volo di li a poche ore. Sono le 14.30, verremo testati alle 16.40.

Pagamento con carta di credito, 250 dollari a testa. Risultato comunicato circa un'ora dopo. Ecco perché già dalle 17 mio marito ed io siamo seduti davanti alle tre operatrici incaricate di comunicarci la sentenza. Se negativi potremo finalmente imbarcarci. Guardiamo quella collocata a destra, la signora che ha il compito di convocare i positivi: ogni volta che le arriva il foglio con un nuovo nome sale una certa apprensione. Chiamano ad alta voce: Maria. 

Scatto tremebonda ma per fortuna non sono io. Poco prima delle 18 siamo ufficialmente dichiarati negativi. Corriamo al check-in, per fortuna ci sono ancora posti. Alle 20 si parte. Quando, molte ore dopo, sbarchiamo a Fiumicino, nessuno controllerà i nostri costosi test. L'hanno già fatto le compagnie aeree. In compenso scopriamo che la già citata Covid Clinic si è svegliata e oltre 24 ore dopo ha mandato una mail con il risultato. Ma soltanto a uno di noi due.

Covid, tamponi e mascherine: la sindrome cinese. La domanda di termoscanner, le Ffp2 e altro: la produzione asiatica cresce e nelle aziende cinesi è boom di assunzioni. LUCA LA MANTIA su Il Quotidiano del Sud il 17 Gennaio 2022.  

Dalla Cina alla Cina. Andata e ritorno del lungo viaggio di uscita di una pandemia i cui sviluppi continuano a ruotare attorno al colosso asiatico. E questo nonostante – dati alla mano – dopo l’exploit di inizio 2020 l’epicentro dell’emergenza sanitaria globale si sia spostata più a Ovest, fra le due sponde dell’Atlantico.

A Wuhan il Covid ha iniziato a muovere i primi passi e lì, attraverso misure severissime oggi replicate a Xian, ha registrato la prima – importante – frenata. E Pechino, con il suo vantaggio strategico sul resto del pianeta, ha avuto margine per rimettere in piedi l’immensa catena produttiva sino a trasformare l’epidemia in business.

La domanda di dpi vari e strumenti extrafarmacologici utilizzati nella lotta alla malattia, del resto, è elevata e proviene da ogni angolo del mondo. E la Cina ha gli strumenti, la manodopera, le materie e il know how per soddisfarla. Offrendo prodotti a prezzi più bassi persino di quelli realizzati all’interno dei singoli Paesi con tutto ciò che ne consegue in termini di concorrenza.

Recentemente sul South China morning post è uscito un articolo che spiega come gli imprenditori locali si stiano muovendo per rispondere adeguatamente alle richieste di tamponi rapidi in arrivo dall’estero, sfruttando il boom di contagi registrato su scala planetaria a causa della variante Omicron.

«Negli ultimi due mesi – ha raccontato Zhang Shuwen, direttore generale della Liming Bio, con sede a Nanchino – abbiamo assunto più di duecento lavoratori temporanei per tenere il passo della massiccia quantità di ordini provenienti dal Bangladesh e dall’Europa». Ordinativi che, per le aziende cinesi, hanno iniziato a crescere a partire dalla metà del 2021, quando Delta – molto più diffusiva di Alfa – ha preso il sopravvento con una nuova ondata. Tanto che Zhang oggi ha più operai assunti a tempo che personale fisso. A cui si sono aggiunti investimenti in macchine e attrezzature.

«Abbiamo risposto alla domanda aumentando la nostra capacità di produzione, il personale e acquistando mezzi».

E parliamo, secondo quanto affermato dallo stesso Zhang, di un’impresa piccola, non paragonabile ai colossi quotati sulle borse cinesi che stanno seguendo la stessa strada per soddisfare la domanda globale, insieme a quella interna. Zhejiang orient gene biotech – fra i maggiori produttori mondiali di tamponi – in un solo giorno ha assunto oltre 2mila e 500 lavoratori temporanei, per arrivare – secondo un report del Securities time – a circa 15mila, fra operatori notturni e diurni, ovvero dieci volte il numero di personale fisso. Numeri simili per la Hangzhou alltest biotech e la Assure tech, entrambe con sede a Hangzhou, la capitale dello Zhejiang. Il potenziamento produttivo è tale che, sostiene Zhang, oggi la Cina potrebbe tranquillamente fornire tamponi a metà dei Paesi mondiali.

Qualcosa di simile sta avvenendo sul fronte delle mascherine. In Occidente, Italia compresa, con l’esplosione della pandemia è stato necessario adeguare l’industria alle nuove necessità, fra cui quella di dpi.

Oggi esiste una produzione locale che, tuttavia, trova nell’import dalla Cina un serio avversario. Dopo la decisione del governo di calmierare a 0,75 il prezzo delle Ffp2, il presidente di Safety di Assosistema Confindustria, Claudio Galbiati, ha avvertito: «Seppur condivisibile l’intento di intervenire sul prezzo ed evitare la speculazione non condividiamo, l’estromissione dalla discussione proprio dei produttori delle Ffp2. Continuando così, le aziende porteranno nuovamente la produzione fuori del territorio italiano e ci ritroveremo nuovamente sprovvisti di facciali filtranti e senza scorte». Galbiati ha quindi chiesto di «aprire un tavolo presso il ministero dello Sviluppo economico e ragionare su come supportare le farmacie nella vendita di Ffp2 a prezzo calmierato preferendo un prodotto italiano per le farmacie rispetto a un prodotto importato per il 90% dalla Cina».

La differenza di prezzo, del resto, è notevole, come spiega un reportage del portale svizzero Rsi news. Nel Paese elvetico una Ffp2 realizzata dalle imprese locali può costare tra gli 80 centesimi e gli 1,40 franchi, mentre il costo medio di importazione del corrispondente dpi cinese è di 30 centesimi. Resta alta, poi, la domanda di termoscanner, soddisfatta dall’ecommerce. La gran parte, anche in questo caso, è made in China. E non mancano le contraffazioni. Lo scorso novembre la Guardia di finanza ha sequestrato 350mila prodotti in un negozio cinese di Bari, fra cui numerosi termometri per la misurazione a distanza realizzati nel Paese asiatico ma con marchio Ce non conforme o falsificato.

·        Gli arricchiti del Covid.

Fabrizio Goria per “La Stampa” il 23 maggio 2022.

La pandemia ha acuito le diseguaglianze, con il risultato che l'1% più ricco lo è ancora di più. A dirlo è la ong Oxfam, che ha mappato il flusso della ricchezza globale e chiede iniziative dedicate alle riduzione dei divari. 

In un report pubblicato all'apertura del World economic forum di Davos, Oxfam rimarca come il Covid-19 abbia fatto schizzare la ricchezza dei miliardari al 13,9% del Pil mondiale, una quota più che triplicata rispetto al 4,4% del 2000. 

Inoltre, è anche aumentato il numero assoluto dei miliardari, che sono 573 in più negli ultimi due anni, uno ogni 30 ore. Cifre che stridono coi 263 milioni di persone che rischiano la povertà estrema.

I settori che hanno generato i maggiori ritorni per top manager e azionisti sono energia, farmaceutica e alimentari. Dall'inizio della pandemia, lo stock delle risorse nel portafogli dei miliardari è salito di 453 miliardi di dollari, al ritmo di 1 miliardo di dollari ogni due giorni. 

Ne deriva che oggi, 2.668 miliardari - 573 in più rispetto al 2020 - possiedono una ricchezza netta pari a 12.700 miliardi di dollari, con un incremento pandemico, in termini reali, di 3.780 miliardi di dollari.

Un esempio è stato dalle cinque sorelle dell'energia (BP, Shell, Total Energies, Exxon e Chevron) che fanno 2.600 dollari di profitto al secondo. 

Nel settore alimentare, la pandemia ha prodotto 62 nuovi miliardari. Insieme ad altre tre imprese, la famiglia Cargill controlla il 70% del mercato agricolo globale, e ha realizzato l'anno scorso il più grande profitto nella sua storia (5 miliardi di dollari di utile netto), record che potrebbe essere battuto nel 2022, anche in virtù delle fiammate dell'inflazione.

La stessa famiglia conta ora 12 miliardari, rispetto agli 8 di prima della pandemia. Analoga dinamica per il settore farmaceutico, i cui profitti sono stati spinti alle stelle dalla pandemia, ci sono ben 40 paperoni in più. Società come Moderna e Pfizer hanno realizzato 1.000 dollari di profitto al secondo grazie al solo vaccino. Troppo, secondo Oxfam.

 Vaccini d’oro, inchiesta “bomba” del FT: i nuovi Paperoni sono i manager di Pfizer, Moderna e Biontech. Robert Perdicchi mercoledì 6 Aprile 2022 su Il Secolo D'Italia.

Utili milionari, bonus, dividendi, rialzi in Borsa, nuovi Paperoni in tutto il mondo mentre il mondo provava a curarsi le ferite spesso mortali del Covid. Nell’inchiesta del Financial Times la fotografia della “mangiatoia” sui vaccini, che hanno salvato milioni di persone nel mondo ma anche arricchito centinaia di manager, azionisti, soci, intermediari, il che non rappresenta né un illecito né uno scandalo, se non si considera però che quei brevetti milionari non sono stati condivisi con l’intera popolazione mondiale lasciando a secco tante aree del Pianeta. Tanti soldi e tanti vaccini in poche zone del mondo, pochi vaccini, tanti morti e la solita fame in altri. Il Financial Times, ieri, ha fatto luce su questo mondo sommerso dei guadagni della grandi multinazionali del farmaco, al centro dei complottismi dei No Vax, anche grazie alla “generosità” dei governi occidentali.

Chi hanno arricchito i vaccini e chi ha fatto affari

Come riporta oggi il “Fatto Quotidiano“, l’autorevole giornale economico britannico ha messo nero su bianco il giro d’affari del Covid, sul fronte dei vaccini. “Nel 2021 gli amministratori delegati di Pfizer, BioNTech e Moderna, le tre multinazionali produttrici dei vaccini a mRNA contro il coronavirus, durante la pandemia si sono spartiti una somma superiore ai 100 milioni di dollari di stipendi. Tutto merito della corsa degli Stati occidentali a firmare contratti di ricerca, sviluppo e produzione con Big Pharma”. Secondo il FT, Albert Bourla di Pfizer, Ugur Sahin di Biobtech e Stéphane Bancel di Moderna hanno visto crescere a dismisura i propri patrimoni grazie ai rialzi delle azioni ricevute come stock option, che sono stati accelerati dallo sviluppo di vaccini e trattamenti contro il Covid. “Il prezzo delle azioni di Pfizer è aumentato del 60% negli ultimi 24 mesi, mentre il valore delle azioni di Biontech è triplicato e quello dei titoli di Moderna quintuplicato. Così, grazie alle loro partecipazioni pari al 7,8% e al 17,1% delle rispettive società, Bancel di Moderna ha un patrimonio azionario di circa 5,4 miliardi di dollari e Sahin di Biontech di 7,8 miliardi”.

Le tre multinazionali, contattate dal Financial Times, hanno giustificato i bonus e gli aumenti concessi ai loro amministratori delegati con i risultati eccezionali ottenuti nel biennio pandemico, spiegando che si tratta di paghe definite in basea indicatori e obiettivi di per formance.

Manuela Iatì per “La Verità” il 29 aprile 2022.

Da 77 laboratori iniziali, tutti pubblici, ai 731 attuali, oltre la metà privati. Dalla prima circolare ministeriale su dove sottoporsi a «diagnosi molecolare» (20 marzo 2020) a oggi (i dati sono del 19 aprile), le strutture italiane autorizzate ai tamponi molecolari sono decuplicate, grazie principalmente ai privati. Il loro ingresso in quello che si rivelerà un affare si era reso necessario già a inizio pandemia.

I contagi salivano, sempre più, e i cittadini, smarriti, spaventati, magari isolati in vigile attesa dopo un contatto stretto, erano alla disperata ricerca di test irraggiungibili, complice una farraginosa burocrazia in capo a disorganizzate Asl. Ecco allora che, il 3 aprile 2020, una nuova circolare, che già individua nuovi laboratori, prevede di poterne ampliare ancora il numero. 

È così che nascono i primi drive-in e gli hub, ma anche, appunto, il business privato: centri analisi, ambulatori, cliniche si attrezzano per farsi accreditare dalle Regioni e si moltiplicano, a volte neppure in linea con i contagi - e quindi i bisogni - dell'area. L'esempio più eclatante è la Sicilia. Solo 3 laboratori iniziali, ora è prima per numero di strutture: 215, una ogni 22.000 abitanti, e quasi tutte private.

Per un confronto: in Veneto, stessa popolazione (4,8 milioni di residenti), i laboratori autorizzati sono solo 38, ovvero uno ogni 126.000 abitanti; in Lombardia 85 (uno ogni 116.000); in Piemonte 29 (uno ogni 153.000). Molti meno che anche in altre zone del Sud, come la Calabria (24 strutture, cioè una ogni 75.000 abitanti) e, soprattutto, la Puglia (91, una ogni 43.000).

Al di là dei motivi di questa sproporzione, il proliferare di centri per i molecolari ha certamente rassicurato i cittadini, soprattutto nei primi mesi di pandemia, quando questo era l'unico test per il virus: per quanto a pagamento, infatti, chiunque avrebbe potuto accedere alla diagnosi, e in tempi ben diversi da quelli pubblici, tuttora lunghissimi. Ma, altrettanto certamente, il servizio è stato ghiotta occasione di speculazione.

Già nel 2020 il Codacons - che ora chiede al governo tamponi gratuiti o a metà costo, anche per frenare l'affare - si rivolse alla procura di Roma per i prezzi esorbitanti di molte strutture (fino a 170 euro).

Tanto che la Regione Lazio impose tariffe calmierate di 60 euro. Ma con il green pass, che ha obbligato a tamponi regolari a prescindere dallo stato di salute, solo per poter vivere il quotidiano, il business è esploso. Prendiamo il picco del 25 gennaio: 258.665 molecolari su 1.400.000 tamponi (fonte Lab24). Ipotizzandone una metà a pagamento, a 60 euro in media, il volume d'introiti avrebbe toccato gli 8 milioni di euro. In un solo giorno, da distribuire tra i circa 400 laboratori privati accreditati. Moltiplichiamo queste cifre per mesi e possiamo capire di che giro d'affari parliamo.

Più caro il tampone in farmacia e nei laboratori privati: ora potrà costare fino a 22 euro. Clarida Salvatori su Il Corriere della Sera il 31 marzo 2022.

Con la fine dello stato d’emergenza, a partire da oggi, terminano - anche nel Lazio - le convenzioni per la gratuità, per alcune categorie, e i prezzi calmierati, per altre, dei tamponi per la ricerca del Covid-19. «Nelle farmacie - ha spiegato Andrea Cicconetti, presidente di Federfarma Roma - il prezzo sarà libero fino a un massimo di 22 euro. Ma sono sicuro che in tanti lasceranno i 15 di costo in vigore in questi ultimi mesi».

Quasi certamente quindi niente aumenti per chi si affida al proprio farmacista di fiducia. Così come nei principali laboratori privati che in questi lunghi mesi di pandemia hanno aiutato ad assorbire la grande mole di persone che doveva effettuare il test per sapere se aveva contratto il virus o se si era negativizzato dopo aver avuto l’infezione. «Da domani (oggi, ndr) scadono le convenzioni regionali e non abbiamo avuto indicazioni in merito - spiega Fernando Patrizi, proprietario della Bios -. Per quel che riguarda gli antigenici quantitativi, i Coi, decadrà quindi la differenza di costo tra le fasce d’età 12-17 e tutte le altre. Ma anziché portare il prezzo a 22 euro lo lasceremo per tutti a 15. I molecolari non sono interessati invece da questo cambiamento e resteranno invariati a 70».

Stesso discorso per Rete Artemisia Lab. «Premetto che il nostro consiglio è di non ricorrere né ai test casalinghi né a quelli qualitativi, che rispondono solo in ottava giornata quando si è virali già dalla quinta - dice l’amministratore Mariastella Giorlandino - da domani (oggi, ndr) applicheremo il prezzo di 19 anziché 22 sui Coi, che sono più precisi e affidabili. I qualitativi rimarranno a 14, così come i molecolari saranno invariati, a 55 per i controlli ordinari e a 60 per chi ha necessità del green pass per viaggiare».

Resterà al momento tutto invariato anche nell’altro grande laboratorio privato di Roma, Altamedica: il rapido di terza generazione Coi rimarrà a 32 euro, mentre il molecolare sarà fisso a 60.

Tutto in attesa che si realizzi quanto auspicato dall’assessore regionale alla Sanità, Alessio D’Amato: «Tra le priorità che sottoporremo al generale Petroni ci saranno le forniture degli anticorpi monoclonali - ha dichiarato - che sono attualmente in esaurimento, e il prosieguo di alcune agevolazioni sui tamponi rivolte a particolari categorie, a partire da quella degli studenti». Ma anche per chi è esentato dalla vaccinazione per patologia.

CORONAVIRUS E POVERTA'. (ANSA il 17 gennaio 2022) - Nei primi due anni di pandemia i 10 uomini più ricchi del mondo hanno più che raddoppiato i loro patrimoni, passati da 700 a 1.500 miliardi di dollari, al ritmo di 15.000 dollari al secondo, 1,3 miliardi di dollari al giorno. Nello stesso periodo 163 milioni di persone sono cadute in povertà a causa della pandemia. La denuncia arriva dal rapporto di Oxfam 'La pandemia della disuguaglianza', in occasione dell'apertura dei lavori del World Economic Forum di Davos. 

"Dall'inizio dell'emergenza Covid-19, ogni 26 ore un nuovo miliardario si è unito ad una élite composta da oltre 2.600 super-ricchi le cui fortune sono aumentate di ben 5 mila miliardi di dollari, in termini reali, tra marzo 2020 e novembre 2021", denuncia l'organizzazione non governativa. Solo per Jeff Bezos, il numero uno di Amazon, una delle aziende il cui fatturato è decollato con il COvid-19, Oxfam calcola un "surplus patrimoniale" nei primi 21 mesi di pandemia di 81,5 miliardi di dollari, l'equivalente del costo stimato della vaccinazione (due dosi e booster) per l'intera popolazione mondiale. 

La pandemia, poi, ha colpito più duramente le donne, che hanno perso 800 miliardi di dollari di redditi nel 2020. Tuttora, mentre l'occupazione maschile dà segnali di ripresa, si stimano per il 2021 13 milioni di donne occupate in meno rispetto al 2019. Una pandemia delle diseguaglianze in cui le banche centrali sono intervenute pompando migliaia di miliardi per sostenere l'economia.

"Ma gran parte di queste risorse - dice Gabriela Bucher, direttrice di Oxfam International - sono finite nelle tasche dei miliardari che cavalcano il boom del mercato azionario". Poi c'è il boom degli utili nel settore farmaceutico, "fondamentale nella lotta alla pandemia, ma succube alla logica del profitto e restio alla sospensione temporanea dei brevetti" per aumentare la produzione di vaccini e salvare vite nei paesi più poveri.

Secondo Oxfam, i monopoli detenuti da Pfizer, BioNTech e Moderna hanno permesso di realizzare utili "per 1.000 dollari al secondo e creare cinque nuovi miliardari". Al contempo "meno dell'1% dei loro vaccini ha raggiunto le persone nei Paesi a basso reddito". La percentuale di persone con COVID-19 che muore a causa del virus nei Paesi in via di sviluppo - denuncia la Ong - è circa il doppio di quella dei Paesi ricchi, mentre ad oggi nei Paesi a basso reddito è stata vaccinata appena il 4,81% della popolazione.

Antonello Guerrera per “la Repubblica - Affari & Finanza” il 17 gennaio 2022.

Mentre si scopre che l'economia britannica a novembre scorso per la prima volta è tornata a livelli pre Covid con un +0,9% spinto soprattutto dall'edilizia (rispetto al +0,4% previsto della precedenti stime, ma ancora non era arrivata Omicron), c'è un altro record oltremanica che fa riflettere: nonostante la pandemia, l'incertezza economica mondiale e la crisi dei microchip che ha colpito duramente i costruttori, nel 2021 Rolls-Royce ha venduto più automobili di sempre nel corso della sua storia di 117 anni.

Il marchio di auto di lusso del Sussex e della galassia Bmw, l'anno scorso ha infatti ricevuto ordini per 5.586 delle sue vetture, il cui modico prezzo si aggira dai 300mila euro scarsi agli oltre 500mila. Le più vendute? La limousine Ghost e il Suv Cullinan, che rappresentano il 40% del totale e sono desiderate in tutto il mondo nonostante gli attuali tempi di attesa di circa un anno.

Lo dimostrano i dati geografici di questo ultimo anno record: Europa, ma anche Cina, le Americhe e l'Asia pacifica. Non solo: nel 2021 come non mai, molti clienti hanno speso fino al doppio del già sostenuto prezzo di listino per personalizzare al massimo il loro gioiello su quattro ruote e altri hanno persino allargato la loro collezione di auto di lusso. E il 2022, già gongola Rolls-Royce, promette ancora meraviglie: alla settimana scorsa, sono già stati presi ordini e prenotazioni fino al terzo trimestre dell'anno prossimo.

E la casa di produzione ha annunciato anche una nuova linea tutta elettrica come la Spectre, che arriverà negli show-room (incluso quello storico di Goodwood) nel 2023 dopo i test di quest' anno. Com' è possibile un risultato così straordinario? Si potrebbero accampare tante ragioni, come la voglia di viaggiare maggiormente in auto a causa del Coronavirus, oppure la pandemia che ha colpito soprattutto i ceti medio-bassi mentre i ricchi e le grandi aziende talvolta hanno accresciuto i loro forzieri.

Ma secondo il ceo tedesco Torsten Müller-Ötvös c'è una spiegazione ancora più semplice e umana: la paura di morire. "Molti hanno visto l'impatto del Covid", ha detto al Daily Mail, "parenti e amici sono morti a causa di questo virus. Dunque, in tanti hanno realizzato che la vita è breve e che è meglio godersela da subito prima che sia troppo tardi".

Müller-Ötvös aggiunge: "È per via della pandemia e di queste dinamiche che il mercato del lusso sta avendo un boom in tutti il mondo. Le persone più agiate non hanno potuto viaggiare, non hanno potuto investire nei servizi di lusso ai quali sono abituate. Anche per questo, ora hanno molti più soldi da spendere".

Soldi pubblici e monopolio sui tamponi: la lobby delle farmacie è diventa più ricca col Covid-19. Il potere di una delle corporazioni più forti d’Italia aumenta con la pandemia: grazie ai parlamentari amici è stata evitata la concorrenza delle parafarmacie e c’è stato l’ok a un progetto del Pnrr da 100 milioni. E poi quasi 300 milioni di rimborsi statali. Vittorio Malagutti e Carlo Tecce su L'Espresso il 22 febbraio 2022.

Al campionato italiano delle corporazioni le farmacie non perdono mai. E da decenni. Ogni volta che rischiano di dover rinunciare a un’oncia di fatturato o di privilegio, ne escono rafforzate. La politica si scusa per i pensieri così spregevoli e le rimborsa, le tutela, le supporta. È successo anche con la pandemia: più compiti, più potere, più denaro.

Le farmacie hanno stravinto il duello con le parafarmacie, create dal decreto Bersani sulle liberalizzazioni (2006) e comunque obbligate alla presenza di un farmacista abilitato, e si sono riconfermate come l’interlocutore esclusivo del Sistema sanitario nazionale.

 

Mani pulite: la parabola del pool tra politica, inchieste e polemiche. 1993 Milano, il Pool di Mani Pulite, Antonio Di Pietro, Piercamillo Davigo, Gherardo Colombo e Francesco Greco. GIULIA MERLO su Il Domani il 22 febbraio 2022

Guidati dal procuratore capo Francesco Saverio Borrelli, i magistrati che hanno svolto le indagini di Mani pulite sono  rimasti al centro della storia politica e giudiziaria italiana degli ultimi trent’anni.

Alcuni si sono candidati in politica, in particolare Antonio Di Pietro che ha fondato l’Italia dei Valori, Gerardo D’Ambrosio che si è candidato con l’Ulivo e Tiziana Parenti che ha lasciato il pool ed è stata eletta con Forza Italia.

Fino alla presunta loggia Ungheria dove Greco e Davigo si sono trovati su posizioni contrapposte, al culmine dello scontro interno alla procura di Milano. 

GIULIA MERLO. Mi occupo di giustizia e di politica. Vengo dal quotidiano il Dubbio, ho lavorato alla Stampa.it e al Fatto Quotidiano. Prima ho fatto l’avvocato.

Pandemia, ecco chi sono i re dei tamponi: i nomi delle società che guadagnano con i test. Valeria Di Corrado su Il Tempo il 22 gennaio 2022.

I test per la diagnosi del Covid-19 sono ormai diventati uno dei business più redditizi al mondo. Le aziende che li producono e li distribuiscono hanno visto negli ultimi due anni schizzare il proprio fatturato. Ma chi sono i "signori dei tamponi"?

Cina e Sud Corea detengono un oligopolio nel settore, seguite dalle multinazionali statunitensi. I tamponi sono diventati una gallina dalle uova d'oro: usati per diagnosticare il coronavirus, per uscire dalla quarantena, per entrare nelle strutture socio-assistenziali e per i non vaccinati a cui serve il greenpass. Basti pensare che solo in Italia ne viene processato circa un milione al giorno, tra ospedali pubblici e cliniche private, centri analisi, farmacie, hub e drive-in della struttura commissariale. Ormai ce n'è per tutti i gusti e le fasce di prezzo: molecolari e antigenici rapidi, antigenici qualitativi o quantitativi, sierologici per la ricerca di anticorpi, professionali o fai da te, naso/orofaringei o salivari.

Tra Natale e Capodanno era salita la «febbre da tampone», una vera e propria corsa al test per avere il via libera ai festeggiamenti in casa o con gli amici. Nelle grandi città, come Roma, Milano e Torino, le farmacie hanno registrato il sold-out delle prenotazioni. C'è chi ha aspettato in fila ai drive-in per 3-4 ore. I test fai da te sono andati letteralmente a ruba e quei pochi rimasti nei negozi sono stati venduti con rincari del 100%. Maurizio Arcuri, prima, e Francesco Figliuolo, poi, hanno acquistato dal 12 marzo 2020 al 20 ottobre 2021 ben 177.170.213 kit diagnostici e tamponi (con annesse provette), prevalentemente molecolari, per una spesa complessiva di 597 milioni e 354 mila euro.

La commessa più grossa, pari a 89,3 milioni di euro, se l'è aggiudicata il 9 aprile scorso Arrow Diagnostic srl: un'azienda italiana, che si occupa della distribuzione di kit e reagenti per la diagnostica molecolare; «soggetta alla direzione e al coordinamento» della multinazionale coreana Seegene inc, con sede a Seoul. Quest' ultima il 3 febbraio 2020 ha prodotto il suo primo test di reazione a catena della polimerasi in tempo reale (Real Time PCR) per testare il nuovo coronavirus, noto come Allplex 2019-nCoV. Il titolo di Seegene, quotato in borsa è passato da 10.725 won sudcoreani il primo novembre 2019 a 156.100 won il primo agosto 2020. Al secondo posto della classifica dei fornitori di tamponi più pagati dalla struttura commissariale c'è - con 63,7 milioni di euro-Life Technologies Italia, un'azienda di Monza acquisita nel 2014 dalla multinazionale statunitense Thermo Fisher Scientific, che ha un fatturato annuo di circa 40 miliardi di dollari. Sul gradino più basso del podio, con 60 milioni di euro (di cui 43,6 milioni pagati in un'unica soluzione il 9 aprile scorso per una commessa da 2.295.680 tamponi), c'è Abbott srl, la filiale italiana del colosso farmaceutico statunitense Abbott. Presente in 160 Paesi, quotato a New York, capitalizza 215 miliardi di dollari ed è al 36esimo posto nella classifica mondiale delle società che valgono di più in Borsa (Pfizer è al 34esimo posto con 220 miliardi).

Al quarto posto della classifica dei fornitori più remunerati dallo Stato italiano c'è Copan Italia spa, acronimo di «coadiuvanti per analisi», che ha incassato in totale ben 14 commesse, per un totale di 58,2 milioni di euro (di cui 10,7 milioni solo per le provette). Fondata nel 1979 a Mantova, l'azienda brevetta nel 2003 dei tamponi floccati, per poi espandersi in Cina, Giappone e Australia. Nel 2020, con lo scoppio della pandemia, viene aperto un sito produttivo pure in California. DiaSorin spa, azienda con sede in provincia di Vercelli che iniziò negli anni '70 a sviluppare kit diagnostici, ha avuto commesse per 40,6 milioni di euro. Altri 30 milioni li ha incassati Technogenetics srl, un'aziendalodigiana che da oltre 35 anni opera nel campo dell'immunodiagnostica e della genetica molecolare. A seguire, con 27,4 milioni, la padovana AB Analitica srl e, con 17,6 milioni, la fiorentina A.Menarini Diagnostic srl.

Chiudono la «top ten» Greiner Bio-One Italia srl (filiale della multinazionale tedesca), con 15,6 milioni incassati il 4 novembre 2020, e la sud coreana Rapigen, con 14,8 milioni. La filiale italiana della multinazionale Usa Perkin Elmer e la svizzera Abbott Rapid Diagnostic si sono aggiudicate infine commesse per oltre 13 milioni di euro.

Sono 16mila, su un totale di 19mila, le farmacie italiane che eseguono test antigenici rapidi per il Covid-19, sulla base dei quali- in caso di risultato negativo - rilasciano il greenpass valido per 48 ore. Ogni farmacia è libera di scegliere l'azienda dalla quale acquistare i tamponi, con l'obbligo però di attingere dalla lista approvata dal Comitato per la sicurezza sanitaria dell'Unione europea (Health Security Committee). La lista viene aggiornata ogni 2-3 mesi, anche per seguire le evoluzioni delle varianti; l'ultima è stata stilata il 21 dicembre 2021 e raggruppa 186 codici identificativi (a ogni codice possono corrispondere più tipi di confezioni), per un totale di circa 150 aziende sparse in tutto il mondo.

Ma come si può garantire l'omogeneità del risultato tra test fabbricati in Paesi diversi? «Le farmacie non sono un ente certificatore, per questo si rifanno all'elenco approvato dall'Health Security Committee - spiega il segretario nazionale di Federfarma, Roberto Tobia È una sorta di libro mastro che viene stilato dai tecnici del gruppo di lavoro degli Stati membri sulla base di determinati standard qualitativi, come gli studi sulle performance cliniche, che poi confluiscono nel riconoscimento del marchio Ce. Il 90% dei produttori dei test antigenici rapidi fa parte del mercato orientale: Cina in testa, seguita da Corea e Giappone». Tre di queste aziende hanno sede a Wuhan, la città cinese epicentro della diffusione dell'epidemia da Covid-19.

Sui tamponi antigenici rapidi fai-da-te la Cina detiene quasi un monopolio. Che siano salivari o nasali, poco cambia. Facendo una cernita delle marche in commercio in Italia, abbiamo scoperto che il produttore è sempre lo stesso: Hangzhou All Test Biotech Co. Ltd, che ha il suo stabilimento proprio a Hangzhou, capoluogo della provincia cinese di Zhejiang. Qui vengono prodotti: JusChek, All Test, Flowflex, Clugene, Screen Check, Beright e Vivadiag. «Non abbiamo perplessità sull'attendibilità di questi tamponi - specifica Roberto Tobia Nutriamo invece riserve su due problematiche. In primis la tracciabilità, che così viene affidata esclusivamente al senso civico del singolo. Il rischio è che gli incoscienti, pur essendo risultati positivi all'autotest, continuino a circolare liberamente non avendo il controllo della Asl.

La seconda perplessità concerne la corretta esecuzione: il cittadino comune spesso non inserisce il tampone nelle fosse nasali, prelevando così un campione che non è attendibile per la diagnosi». Se il prezzo dell'antigenico rapido eseguito in farmacia è stato fissato dal Governo in 15 euro per gli under 12 e 8 euro per la fascia dai 12 ai 18 anni, i fai-da-te hanno prezzi variegati (di solito i salivari costano più dei nasali).

Durante le festività natalizie, con la corsa al tampone, le scorte dei self-testing si sono esaurite e i costi sono schizzati alle stelle. «La quantità influisce sulla formazione del prezzo spiega il segretario nazionale di Federfarma - Gli ipermercati, per esempio, che comprano grandi stock, inevitabilmente praticano prezzi più bassi di una farmacia che compra meno pezzi da un distributore intermedio. Sugli antigenici fatti in farmacia a un prezzo concordato e calmierato, i margini di guadagno sono irrisori, considerato che, oltre al tampone in sé, gli operatori socio-sanitari devono indossare mascherina, camice e guanti, e cambiarli ogni volta che un clienVAL.DIC. te risulta positivo».

·        Covid: Malattia Professionale.

Covid riconosciuto come malattia professionale in UE: tutele e diritto a indennizzo per i lavoratori. Ilaria Minucci il 19/05/2022 su Notizie.it.

Covid riconosciuto come malattia professionale in UE: i lavoratori potranno beneficiare di specifiche tutele e avranno diritto a un indennizzo. 

I Governi dei Paesi europei, i lavoratori e i datori di lavoro che fanno parte del Comitato consultivo dell’Unione Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro sono riusciti a raggiungere un accordo rispetto all’urgenza e alla necessità di riconoscere il SARS-CoV-2 come una malattia professionale.

Il riconoscimento del Covid come malattia professionale riguarda i settori dell’assistenza sanitaria e domiciliare, dei servizi sociali e dei settori che risultano essere a evidente e comprovato rischio di infezione.

Con il raggiungimento dell’accordo, la Commissione provvederà ad aggiornare la sua raccomandazione sulle malattie professionali in attesa di diramare la nuova raccomandazione che verrà pubblicata in modo definitivo entro la fine del 2022. Dopo la diffusione del nuovo documento, gli Stati membri dell’UE dovranno mettere in atto le rispettive legislazioni nazionali.

Per quanto riguarda l’accordo della Commissione, inoltre, riconoscendo il Covid come malattia professionale, si consentirà ai lavoratori che vengono contagiati dal virus di essere tutelati e di ricevere un indennizzo.

Tutele e diritto a indennizzo per i lavoratori

L’accordo del Comitato consultivo dell’Unione Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro è stato commentato dal commissario europeo per il lavoro, Nicolas Schmit, che ha dichiarato: “Questo accordo invia un forte segnale politicoper riconoscere l’impatto del Covid sui lavoratori e il contributo essenziale delle persone che lavorano nei servizi sanitari e sociali e di altri lavoratori a più alto rischio di contrarre la malattia”.

Nel momento in cui il Covid verrà riconosciuto come una malattia professionale in uno Stato membro dell’UE, i lavoratori dei settori interessati che sono stati contagiati dal virus sul luogo di lavoro avranno la possibilità di godere di tutele e diritti specifici regolati dalle norme nazionali come, appunto, il diritto a un indennizzo.

·        La Missione Russa.

Italia, dai vecchi avvertimenti Usa alle nuove accuse da Mosca. Lorenzo Vita su Inside Over il 4 giugno 2022.

Le accuse di Mosca all’Italia non sono le prime e probabilmente non saranno nemmeno le ultime. C’è un filone narrativo abbastanza lineare che dalla Russia circonda l’Italia: è quello di un Paese che ha “tradito” e di cui Mosca si sente particolarmente delusa. Il nodo della ormai famigerata missione dei militari russi a Bergamo nel 2020, in piena prima ondava di Covid, è solo la punta dell’iceberg. Sotto, si cela un sistema di relazioni molto più complesso frutto di anni, se non decenni, di solidi rapporti strategici che hanno coinvolto i due Stati e che oggi, con la guerra in Ucraina e la netta presa di posizione euro-atlantica di Roma, appaiono messi in discussione.

L’ira di Mosca, rivelata dalle dichiarazioni di alcuni esponenti politici ma anche dal più recente comunicato del ministero degli Esteri fatto circolare sul social VKontakte, rivela che l’Italia avesse veramente un ruolo di primo piano nell’agenda europea del Cremlino. Un Paese su cui fare affidamento e con cui erano stati costruiti negli anni rapporti basati non solo sul gas e sul petrolio, ma anche intensi scambi commerciali, di intelligence e relazioni triangolari per aree di crisi e questioni transatlantiche. Una tradizione che deriva certamente dai tempi della Guerra Fredda, ma che è poi stata ribadita anche caduto il Muro di Berlino in una serie di iniziative politiche volte a blindare i legami storici tra i due Paesi anche in chiave di ricomposizione della frattura tra Oriente e Occidente. Tutto questo, in larga parte, senza mai abbandonare la fedeltà all’Alleanza Atlantica né all’Unione europea.

Le cose sono cambiate negli ultimi anni con una rinnovata polarizzazione del confronto tra Washington e Mosca: confronto che rappresenta anche un terreno di scontro del più ampio confronto con Pechino. Da diverso tempo, le richieste che arrivano da Oltreoceano sono quelle di una maggiore chiarezza nei legami tra gli alleati europei della Nato e gli avversari strategici degli Stati Uniti, ovvero Russia e Cina. E per questi legami, l’Italia è sempre stata oggetto di particolare interesse dal momento che, non è un mistero, alcuni partiti hanno perorato spesso delle politiche estere ben diverse da quanto richiesto dalla Casa Bianca e dal Dipartimento di Stato. E in anni in cui sembrava calare nuovamente la cortina di ferro con la Russia e in cui si ampliava la frattura con la Repubblica popolare cinese, tutte le “ambiguità” italiane venivano viste con sospetto. Dalla questione libica a quella venezuelana, dall0agenda sull’Iran fino appunto al tema energetico con Mosca o la via della Seta cinese. Da tempo tutte le amministrazioni Usa, sia con Donald Trump che con Joe Biden, hanno avvertito che i Paesi dell’Europa, Italia in primis, avrebbero dovuto fare un passo in più per dimostrarsi compatte con Washington evitando tentennamenti. E su questo punto, sia il governo giallo-verde che quello giallo-rosso erano apparsi troppo titubanti per larghe fette dello Stato profondo americano.

Mario Draghi, una volta nominato presidente del Consiglio, fu subito chiaro: atlantismo ed europeismo sarebbero state le stelle polari del suo nuovo corso. Una scelta di parole precisa che serviva a sgomberare subito il campo dai dubbi posti dall’altra parte dell’Atlantico e da Bruxelles. E in questo senso, sono in molti ad avere visto nell’arresto del capitano Walter Biot, accusato di essere un doppiogiochista al soldo dei russi, un modo molto netto per far capire che l’esecutivo italiano non avrebbe accettato di essere considerato un territroio di caccia di altre potenze. Scelte che sono state ribadite anche con la guerra in Ucraina, in cui il governo italiano, pur avendo mostrato delle perplessità su alcuni Paesi estremamente intransigenti, ha fatto capire di non essere un Paese “neutrale” di fronte all’aggressione russa, ma ha deciso di sostenere apertamente Kiev. Questo ha cambiato forse definitivamente la percezione italiana in Russia. E ora dal Cremlino e dagli apparati russi arrivano segnali che non sembrano semplici accuse contingenti, ma indicazioni di un nuovo corso nelle relazioni tra Mosca e Roma.

La missione russa e il nuovo ricatto di Putin all’Italia: «Relazioni danneggiate». Fiorenza Sarzanini su Il Corriere della Sera il 3 Giugno 2022.  

Il timore degli analisti è che la nuova minaccia possa riguardare il disvelamento di dati sensibili acquisiti nel marzo 2020. 

È il secondo avvertimento in due mesi. 

Dopo le dichiarazioni di Alexei Vladimorovic Paramonov, 60 anni, ex console russo a Milano, direttore del dipartimento europeo del ministero degli Esteri che il 21 marzo aveva minacciato «conseguenze irreversibili» se il nostro Paese avesse aderito al nuovo piano di sanzioni contro Mosca parlando di «ingratitudine» dopo gli aiuti per il Covid, interviene direttamente il ministero degli Esteri di Mosca. 

La nota sottolinea che «il tentativo dei media italiani di dipingere la missione russa anti-Covid in Italia nel 2020 come un’operazione di spionaggio danneggia le relazioni tra Mosca e Roma» e accusa «le nostre controparti italiane abbiano la memoria corta. Una linea di comportamento così servile e miope non solo danneggia le nostre relazioni bilaterali, ma dimostra anche la moralità di alcuni rappresentanti delle autorità pubbliche e dei media italiani». 

Una nota non firmata dal ministro e dunque riconducibile, secondo gli analisti, direttamente al presidente Vladimir Putin.

«Sanifichiamo gli uffici pubblici»

In realtà sono le carte ufficiali a dimostrare che l’intenzione dei russi, resa esplicita dal generale Sergey Kikot, il vice comandante del reparto di difesa chimica, radiologica, biologica dell’esercito russo, in un colloquio avvenuto subito dopo l’arrivo in Italia con il generale Luciano Portolano - all’epoca comandante del Coi, il Comando operativo interforze, e i vertici del Comitato tecnico Scientifico, Agostino Miozzo e Fabio Ciciliano — era di «sanificare l’intero territorio italiano entrando anche negli uffici pubblici e in tutte le sedi a rischio». 

Il 22 marzo 2020, mentre l’Italia era in piena emergenza pandemica, a Pratica di mare erano sbarcati 123 militari da undici velivoli. La missione era stata concordata il giorno precedente da Vladimir Putin e dal presidente del consiglio Giuseppe Conte.

Le mail trasmesse in quei giorni rivelano che i russi ci hanno consegnato «521.800 mascherine, 30 ventilatori polmonari, 1.000 tute protettive, 2 macchine per analisi di tamponi, 10.000 tamponi veloci e 100.000 tamponi normali». 

Materiale che non bastava a fare fronte nemmeno alle esigenze di mezza giornata. La missione tra vitto, alloggio, rimborso carburante e altre «voci» è costata all’Italia più di 3 milioni di euro.  

Un impegno ritenuto dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini troppo gravoso tanto che proprio lui, agli inizi di maggio, a ritenere conclusa la missione ringraziando con una lettera il suo collega russo Sergei Shoigu.

L’indagine Copasir e il ricatto

Il Copasir ha avviato un’indagine sulla missione e ha già ascoltato il sottosegretario Franco Gabrielli e i vertici dei servizi segreti. Le minacce e gli avvertimenti che le autorità russe continuano a rivolgere al nostro Paese vengono ritenute la conferma che in realtà quella missione servisse proprio a captare informazioni riservate. Dati sensibili e altre notizie che adesso, con l’Italia schierata al fianco dell’Ucraina, si teme possano essere utilizzate per ritorsione. In particolare preoccupa il riferimento alla «moralità di alcuni rappresentanti delle autorità pubbliche» come a far intendere che le notizie riservate possano riguardare anche la sfera privata.

Minacce della Russia ai leader italiani: "Basso carattere morale, hanno dimenticato il nostro aiuto sul Covid. Rapporti rovinati". Giuliano Foschini su La Repubblica il 3 Giugno 2022.

Il ministero degli Esteri di Mosca dopo il sospetto spionaggio: "Miopi e servili"

È un ricatto? Una minaccia? O, invece, una dimostrazione di debolezza? Ci sono tre strade per leggere l'attacco frontale che il ministero degli Esteri russo ha compiuto contro l'Italia. E i suoi ultimi due governi, Conte e Draghi, accusati di essere "servili, miopi" e dal basso "carattere morale", come a voler fare credere di conoscere notizie riservate sulla vita privata di qualcuno dei nostri uomini pubblici.

In un messaggio pubblicato su VKontakte, il Facebook di Mosca, il governo di Putin ha messo sotto accusa il nostro Paese, la nostra televisione pubblica, la Rai. E in particolare la puntata di Report del 9 maggio scorso: in un servizio era stato raccontato quanto sta emergendo nelle inchieste ufficiali (al lavoro c'è il Copasir) e giornalistiche su "Dalla Russia con amore", la missione dei 104 militari russi che il 22 marzo 2020 arrivarono a Bergamo nel momento più difficile della battaglia contro il Covid per supportarci. Ufficialmente quella doveva essere una missione umanitaria. Ma invece, come per prima Repubblica ha raccontato, è stata soprattutto un tentativo di spiare il nostro paese. Ad aiutarci non erano stati mandati medici o esperti. Ma agenti dei servizi e tecnici alla ricerca di dati per produrre il vaccino anti-Covid.

Una ricostruzione che però i russi hanno fortemente contestato. "Il 9 maggio, il Giorno della Vittoria - ha scritto infatti ieri il ministero degli Esteri russo nel messaggio pubblicato sui social - il canale televisivo Rai 3 invece di trasmettere documentari sull'eroismo delle truppe alleate, compresa l'Armata Rossa, ha messo in onda un servizio di bassa propaganda: i nostri militari in Italia hanno rischiato la vita". Nella nota c'è un messaggio esplicito ai nostri politici. "Nel 2020 i partner italiani - si legge - hanno dimenticato il nostro aiuto. Una linea d'azione servile e miope che non solo danneggia le relazioni bilaterali, ma dimostra anche il carattere morale dei singoli rappresentanti delle autorità ufficiali dell'Italia e dei suoi media".

A chi sono rivolte queste parole? Al governo Conte sicuramente con il quale i russi presero accordi per quella missione che nacque dopo una telefonata tra l'allora premier 5 Stelle e Vladimir Putin e fu stoppata soltanto dal ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, che dopo aver raccolto i dubbi dei nostri militari bloccò la seconda fase della missione. Ma, nella lettura che ne hanno fatto ieri membri della nostra intelligence, sembra essere un gesto di debolezza. O comunque un messaggio destinato al pubblico interno. Non è la prima volta che la Russia attacca l'Italia su questo argomento: "Vi abbiamo teso una mano e ce l'avete morsa" dissero proprio dopo le polemiche suscitate dall'articolo di Repubblica. C'è poi il mezzo scelto: quando la Russia vuole parlare al mondo sceglie Telegram o Twitter, dove la nota non è stata pubblicata. C'era soltanto sui canali di VKontakte, preferito per gli affari interni. 

Missione Covid dei russi, così le scienziate di Mosca hanno avuto accesso ai dati sanitari dello Spallanzani. Fiorenza Sarzanini su Il Corriere della Sera il 25 Maggio 2022.  

La relazione sull’accordo siglato nel 2021 per gli studi su Covid-19 e Sputnik. Ecco chi sono le ricercatrici inviate da Mosca. 

Le autorità russe potrebbero aver ottenuto dati sanitari di cittadini italiani. Esiste una relazione allegata all’accordo stilato nel 2021 tra l’ospedale Spallanzani di Roma e l’Istituro Gamaleya di Mosca, in piena emergenza pandemica da Covid-19, che elenca i termini dell’intesa. Fornisce le generalità delle tre dottoresse che hanno trascorso all’interno del nosocomio della Capitale 24 giorni. E specifica che «il suddetto personale russo ha accesso ai laboratori e al sistema informatico in uso presso Inmi».

È un dettaglio finora sempre negato dai vertici dello Spallanzani, che anzi avevano assicurato: «Nessun dato sensibile è stato reso noto, abbiamo soltanto acquisito informazioni preziose per la ricerca che saranno oggetto di pubblicazioni e condivisioni, proprio come accaduto con altri Paesi».

La realtà appare ben diversa e adesso bisognerà capire quale sia stato il vero ruolo delle ricercatrici, soprattutto dopo aver verificato che la missione «Dalla Russia con amore» concordata tra Vladimir Putin e l’allora premier Giuseppe Conte avrebbe consentito l’ingresso nel nostro Paese di numerose spie di Mosca. Tanto che a metà marzo, dopo l’inizio della guerra, un funzionario del ministero degli Esteri ha minacciato «conseguenze irreversibili» per l’adesione del nostro Paese alle sanzioni lasciando intendere di avere informazioni riservate da rivelare.

Le tre scienziate

La relazione contiene nomi, curriculum, documenti delle scienziate inviate a Roma. Sono Inna Vadimovna Dolzhikova, 34 anni, indicata come «ricercatrice di riferimento» che ha «partecipato a numerose attività di ricerca epidemiologica e sui vaccini, comprese quelle su Ebola e Sars-Cov-2». C’è poi Daria Andreevna Egorova, 35 anni, anche lei ricercatrice senior che nel curriculum aveva inserito «una presentazione sullo stato attuale e risultati delle sperimentazioni libiche del vaccino Sputnik V». Infine Anna Sleksieyevna Iliukhina, 25 anni, che pur così giovane «dal 2017 lavora presso il centro di ricerca statale per l’immunologia dell’Agenzia federale medica e biologica della Russia come assistente di laboratorio».

La missione

La prima missione russa, che aveva portato in Italia 123 militari il 22 marzo 2020, si era conclusa agli inizi di maggio, quando il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, perplesso sin dall’inizio sull’opportunità di accogliere così tanti soldati, comunicò la fine al collega russo Sergej Shoygu. Ma poco dopo fu avviata la trattativa per l’intesa tra Spallanzani Inmi e Gamaleya. Nell’accordo si parla esplicitamente di «scambio di informazioni e materiali biologici» ma anche di «condividere campioni umani (sieri) da soggetti che hanno ricevuto il vaccino Sputnik V in Russia» e di «esplorare modalità specifiche per l’implementazione di studi clinici che prevedono l’utilizzo di Sputink V in volontari in Italia».

La ricerca

La relazione interna dello Spallanzani dà conto che «le tre ricercatrici russe operano presso i laboratori dal 4 giugno 2021. Sono giunte a Roma il 3 giugno alle ore 11.35 con volo SU2402 accompagnate da una donna addetta alla sicurezza. Il volo di rientro Roma-Mosca Su2403 è prenotato per il 27 giugno 2021 alle ore 8.35». Qual è stato il vero lavoro delle scienziate in quei 23 giorni? La relazione è esplicita nel confermare l’accesso «ai laboratori e al sistema informatico in uso presso Inmi». Si sa che in seguito altri ricercatori russi hanno collaborato con lo Spallanzani. E la cooperazione è proseguita anche dopo l’inizio del conflitto, fino a quando la Regione Lazio non ha ritenuto inopportuno andare avanti. L’obiettivo dichiarato era fare ricerca sullo Sputnik, nonostante le agenzie regolatorie non abbiano mai concesso l’autorizzazione alla somministrazione. Quanto sta emergendo dimostra che il vero scopo della missione organizzata dai russi era evidentemente ben altro, visto che mirava a un’attività di spionaggio. E il sospetto forte è che siano riusciti a raggiungerlo.

Dalla Russia con amore. Report Rai PUNTATA DEL 09/05/2022 di Danilo Procaccianti

Collaborazione di Federico Marconi 

È stata solo una missione di aiuto o i russi hanno fatto spionaggio militare e sanitario?

Il 22 marzo 2020 in piena pandemia sbarcano all'aeroporto di Pratica di Mare 104 militari russi.  Sono destinati a Bergamo, in quel momento fra i luoghi più colpiti al mondo dal virus pandemico. Dovevano portare aiuti e medici ma erano perlopiù esperti di guerre batteriologiche. Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina anche quella missione è sotto la lente d'ingrandimento del Copasir, l'organismo parlamentare di vigilanza dei nostri servizi segreti.  

Riceviamo e pubblichiamo:

Le risposte del Ministero della Salute

Le risposte del Ministero della Difesa

Da: ufficiostampaatsanita.it

Inviato: lunedì 9 maggio 2022 11:51

A: [CG] Redazione Report Cc: Ministero della Salute, Ufficio Stampa; danilo procaccianti

Oggetto: Re: Richiesta informazioni - Report Rai3

Gentilissimi, La collaborazione tra l'Istituto Lazzaro Spallanzani (INMI) e l'istituto Gamaleya, che risulta al momento sospesa, rientra tra le iniziative autonome di collaborazione internazionale dei nostri istituti di ricerca per favorire la ricerca e lo sviluppo di vaccini, terapie diagnostiche e farmacologiche. Dai primi mesi del 2020 obiettivo prioritario della ricerca internazionale è stato il contrasto alla pandemia di Covid-19. A tale scopo sono naturali le collaborazioni scientifiche con le principali Università e Istituti di Ricerca di numerosi Paesi. Cordiali saluti Ufficio Stampa

Da: "[CG] Redazione Report"

A: "Ministero della Salute, Ufficio Stampa" Cc: "danilo procaccianti"

Inviato: Mercoledì, 4 maggio 2022 11:00:15

Oggetto: Richiesta informazioni - Report Rai3 Report Via Teulada, 66 – 00195 Roma 2 Tel. +39 (0)6 36866393 E-mail: redazionereportatrai.it

Alla c.a. del dott. Cesare Buquicchio Capo ufficio stampa - Ministero della Salute Lungotevere Ripa, 1 00153 - Roma E-mail: ufficiostampaatsanita.it

Gentilissimo dottor Buquicchio, per il programma Report, in onda su Rai3, stiamo realizzando un servizio sulla missione "Dalla Russia con amore" del marzo 2020 a Bergamo e anche sugli accordi tra l'Istituto Spallanzani e l'Istituto Gamaleya di Mosca. Al fine di fornire un'informazione completa e trasparente ai nostri telespettatori desideriamo sottoporvi alcune domande funzionali alla correttezza del nostro racconto. 1) Quali erano gli accordi e i protocolli tra le autorità sanitarie italiane e i rappresentanti russi? Era permesso loro di fare e processare tamponi? I russi avevano al seguito un laboratorio mobile: eravate informati di questo? Avete avuto modo di supervisionare la loro attività in questo laboratorio? E' stato concesso loro di recuperare materiale biologico di qualsiasi tipo? 2) L'Istituto Spallanzani di Roma insieme alla Regione Lazio ha firmato un memorandum d'intesa con l'Istituto Gamaleya di Mosca e il fondo sovrano russo RDIF. Il Ministero della Salute è stato coinvolto nella stesura del Memorandum? Il Ministero della Salute è stato informato prima della firma del Memorandum? Essendo lo Spallanzani un IRCCS sotto la vigilanza e il controllo del Ministero della Salute in che termini andava coinvolto? Essendo presenti allo Spallanzani banche dati condivise con gli altri Paesi della Nato è stato predisposto un protocollo di sicurezza e controllo per gli scienziati russi che entravano allo Spallanzani? La loro attività è stata in qualche modo tracciata? Potreste fornirci le date esatte delle comunicazioni tra Ministero della Salute e Istituto Spallanzani relativamente al Memorandum d'intesa? Per esigenze di produzione vi preghiamo di rispondere entro le 18 di venerdì 6 maggio p.v. Non esitate a contattarmi per qualsiasi informazione al numero della redazione (06-36866393) o al mio personale (333-4019957). Confidando in una vostra pronta risposta, 3 vi invio i miei più cordiali saluti, Danilo Procaccianti Report – Rai3

MINISTERO DELLA DIFESA GABINETTO DEL MINISTRO UFFICIO PUBBLICA INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE 1 Roma, 06.05.2022

Spett.le Rai 3 - Redazione Report ROMA Quali accordi sono stati presi dal Ministro Lorenzo Guerini con il suo omologo russo dopo la prima telefonata tra il Presidente Conte e il Presidente Putin? Le interlocuzioni tra i due Paesi hanno preso avvio il 5 marzo 2020 con una comunicazione dell’Addetto militare russo in Italia allo Stato Maggiore della Difesa, nella quale si rendeva disponibile ad inviare aiuti in base alle necessità delle Forze Armate italiane. Il Comando Operativo di Vertice Interforze ha risposto fornendo elenchi e quantità di materiali di protezione individuali in quel momento irreperibili sul mercato. Nello specifico: 4 milioni di mascherine FFP2, 2 milioni di mascherine FFP3, 4 milioni di mascherine chirurgiche. A seguito di tale scambio, il successivo 21 marzo, il Ministro della Difesa italiano ha confermato al suo omologo russo, Sergey Shoigu, le necessità sopra elencate, chiedendo la massima urgenza nei tempi e mettendo anche a disposizione un aereo dell’Aeronautica Militare per il carico dei materiali direttamente in Russia. Lo stesso giorno, in una successiva telefonata avvenuta nel pomeriggio, il Presidente Putin ha esteso al Presidente Conte la fornitura di altri ulteriori aiuti, che comprendevano anche l’invio di team specializzati. Quali informazioni erano a vostra disposizione sui militari e sul personale civile facente parte del contingente russo prima del suo arrivo? A fronte di una iniziale offerta da parte dal Presidente Putin dell’invio di circa 400 unità di personale in massima parte militare, il Ministro della Difesa Guerini ha reputato tale entità esorbitante rispetto alle esigenze, chiedendo la riduzione della delegazione a poco più di cento persone. Le 104 unità effettivamente sbarcate all’aeroporto di Pratica di Mare, il 22 marzo, erano composte da: 32 operatori sanitari e 51 bonificatori, oltre a 8 interpreti e 12 assistenti a supporto e il Capo delegazione. Dal momento dell’arrivo fino alla partenza (avvenuta l’8 maggio), la delegazione è stata presa in carico e seguita in tutti gli spostamenti e nelle attività da personale delle Forze Armate italiane. Quali informazioni erano a vostra disposizione sulle attività che avrebbe svolto il contingente russo sul nostro territorio prima del suo arrivo? Sono stati concordati i seguenti aiuti: invio di team sanitari legati alle attività di contrasto alla diffusione del virus, invio di mezzi specializzati per la sanificazione e bonifica di luoghi e superfici, fornitura di materiale sanitario. Quali informazioni avete ricevuto dall’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte sul perimetro delle attività consentite al contingente russo sul territorio italiano? Sulla base delle interlocuzioni tra il Presidente Conte e il Presidente Putin, la Difesa per quanto di sua competenza ha attivato tutte le procedure di perimetrazione affinché le attività fossero svolte in sicurezza ed efficacia. Sulla base delle richieste espresse da Protezione Civile, Regione e ASL Lombardia, le attività, nello specifico, hanno riguardato la bonifica di luoghi e ambienti (soprattutto RSA, che come noto erano particolarmente esposte), il supporto a strutture ospedaliere in prima linea nella lotta al COVID-19 attraverso l’affiancamento ai medici e agli infermieri italiani (in particolare presso l’ospedale Giovanni XXIII di Bergamo e presso l’ospedale da campo allestito dall’Associazione Nazionale Alpini in prossimità del citato nosocomio civile).

MINISTERO DELLA DIFESA GABINETTO DEL MINISTRO UFFICIO PUBBLICA INFORMAZIONE E COMUNICAZIONE 2

Eravate a conoscenza che il contingente russo avrebbe eseguito opere di bonifica? È vero che il ministero della Salute vi aveva indicato questa attività come non necessaria e potenzialmente pericolosa per l’ambiente, come ha confermato al nostro inviato l’allora Capo di Stato Maggiore della Difesa, il Generale Vecciarelli? L’attività dei team russi era finalizzata anche alla bonifica di determinate strutture e aree di Bergamo e Brescia e rispettive provincie, definite dalla Protezione Civile, in coordinamento anche con la Regione e la ASL Lombardia. A tal fine, sono state costituite squadre miste con personale militare italiano del 7° Reggimento CBRN Cremona dell’Esercito Italiano, con capacità similari. Riguardo alle modalità di svolgimento dell’attività di bonifica, era stato disposto che fossero usati solo materiali di sanificazione conformi alle certificazioni nazionali e comunitarie, in sostituzione del materiale russo che non rispondeva a tali requisiti. L’ex Capo di Stato Maggiore della Difesa, il Generale Vecciarelli, ci ha detto che nei giorni della missione russa il contingente russo voleva recarsi in prossimità delle basi Nato di Ghedi e Amendola, ma che gli è stato impedito dai nostri militari. La decisione era stata presa nell’ambito dell’accordo tra il Presidente Putin e il presidente Conte? Oppure a livello di ministri della Difesa? Il Presidente Conte ha affermato al nostro inviato che lui – all’epoca della missione – non era stato informato dal Capo di Stato Maggiore nemmeno della possibilità che il contingente russo si potesse avvicinare a basi Nato. Era stato invece informato il Ministro della Difesa di questa possibilità? La perimetrazione geografica delle attività dei team russi è stata definita dal COVI - identificato dal Capo di SMD quale referente unico per la gestione dell’emergenza sanitaria in sinergia con le Forze Armate e in coordinamento con il Dipartimento della Protezione civile, Ministero Affari Esteri e della Salute - assentita dal Ministro della Difesa. Sono state a tal fine adottate tutte le misure necessarie affinché gli spostamenti degli assetti russi avvenissero secondo le modalità stabilite, prevenendo ogni possibile interferenza con attività di interesse della Difesa. Pertanto, a fronte della disponibilità russa di intervenire in più aree del territorio nazionale, i piani di movimento e di esecuzione delle operazioni di sanificazione della delegazione furono circoscritti nelle zone a maggior incidenza del virus, dove c’era maggior bisogno di assistenza, e nel perimetro stabilito. Al contingente russo era possibile raccogliere materiale biologico sul suolo italiano e svolgere tamponi? Era parte degli accordi presi prima del suo arrivo? Tutte le attività sanitarie, anche per quel che riguarda il concorso dei medici militari italiani nelle strutture ospedaliere civili, non erano di competenza della Difesa ma delle altre autorità preposte. Così come non era in carico al Ministero della Difesa il coordinamento degli aiuti provenienti dall’estero che, va ricordato, in quel periodo proveniva da diversi Paesi.

DALLA RUSSIA CON AMORE di Danilo Procaccianti collaborazione Federico Marconi immagini Carlos Dias, Cristiano Forti, Tommaso Javidi, Andrea Lilli ricerca immagini Paola Gottardi, Silvia Scognamiglio montaggio e grafica Monica Cesarani

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Aeroporto Pratica di Mare, 22 marzo 2020, alle 21.15 atterrano tredici aerei cargo decollati da Mosca.

LUIGI DI MAIO – MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI 22/03/2020 L’Italia non è sola e qui c’è la testimonianza della solidarietà che ci arriva da tutto il mondo e quando, senza fare polemica, in questi anni ci hanno detto che non andavano coltivati i rapporti con la Russia…

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Aperti i portelloni, dagli aerei scendono donne e uomini in tuta mimetica accompagnati da ventitre camion. Uno schieramento di forze che preoccupò l’allora capo di Stato Maggiore della Difesa, il generale Enzo Vecciarelli.

ENZO VECCIARELLI – CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA DIFESA (2018-2021) L’assetto russo era completamente diverso da tutto quello che avevo visto fino ad allora. Uno si aspettava di vedere degli aiuti sanitari invece iniziarono a scendere dei camion militari, questo mi destò preoccupazione...

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO I russi portarono 30 ventilatori difettosi perché con le nostre prese di corrente rischiavano di prendere fuoco, circa 500.000 mascherine che era il fabbisogno di mezza giornata e solo 27 medici su 104 militari russi. La missione sarebbe addirittura costata all’Italia 3 milioni di euro perché gli abbiamo pagato vitto, alloggio e anche il carburante per gli aerei.

DANILO PROCACCIANTI A pagare tutte le spese di quella missione è stata l'Italia. E così?

SERGEY RAZOV – AMBASCIATORE FEDERAZIONE RUSSA IN ITALIA No, non è così. Se non mi sbaglio, noi abbiamo richiesto dalla parte italiana un'assistenza nella manutenzione e nel rifornimento degli aerei che dovevano tornare dall'Italia in Russia. Quanto questo sia costato alla parte italiana io non oserei giudicare.

DANILO PROCACCIANTI Si parla di una cifra intorno ai 3 milioni di euro, tra vitto e alloggio e carburante per gli aerei.

SERGEY RAZOV – AMBASCIATORE FEDERAZIONE RUSSA IN ITALIA Io non posso né smentire né confermare, l'unica cosa che posso dire è che al bilancio della Federazione Russa e del ministero della Difesa russo è costata di più.

DANILO PROCACCIANTI Questa missione sarebbe costata all'Italia circa 3 milioni di euro. Si dice “bell'aiuto”, insomma GIUSEPPE CONTE – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (2018 – 2021) Adesso non conosco i dettagli di quella spesa, penso che ci sia… Stiamo parlando di vitto, di alloggio….

DANILO PROCACCIANTI E del carburante per gli aerei.

GIUSEPPE CONTE – PRESIDENTE DE CONSIGLIO DEI MINISTRI (2018 – 2021) Dovremmo vedere se hanno dato un aiuto reale. Non mi è facile in questo momento valutare la reale, il reale vantaggio che ne ricavammo

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO I camion russi all’indomani risalgono l’Italia e si dirigono a Bergamo, percorrendo tutta l’autostrada con le bandiere al vento. Alla missione viene anche dedicato un nome “Dalla Russia con amore”, esattamente come il film di James Bond. Mentre in Russia i casi ufficialmente censiti di Covid erano solo 648, senza nemmeno un morto, l'Italia era travolta: Bergamo in quel momento era l’epicentro mondiale della pandemia. Il 18 marzo le immagini dei camion dell'Esercito con le bare avevano fatto il giro del mondo. Quello che sorprende però è che a Bergamo nessuno sapeva dell’aiuto dei russi, che stavano arrivando.

GIORGIO GORI – SINDACO DI BERGAMO Non ne avevo mai sentito parlare.

DANILO PROCACCIANTI Lei come seppe di questa missione?

GIORGIO GORI – SINDACO DI BERGAMO Seppi dalla Regione con la quale stavo discutendo da qualche giorno dell'apertura dell'ospedale da campo, quando si pensava che fosse in arrivo un contingente cinese. Poi si scoprì che i cinesi erano invece un bluff. Finché a un certo punto è arrivata la notizia che invece c'erano i russi.

DANILO PROCACCIANTI Lei voleva sapere le regole di ingaggio, cioè che cosa avrebbero fatto questi russi?

RICCARDO MAGI – DEPUTATO +EUROPA Capimmo che non c'era una definizione rigorosa. Ma noi partivamo da questa valutazione che la Russia è la Russia, che non è un partner dell'Unione Europea, non è la Francia, non è la Germania, è una autocrazia, è un posto dove si sa come operano gli apparati dei servizi segreti.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO La missione si perfezionò durante una telefonata tra l’allora premier Giuseppe Conte e Vladimir Putin

DANILO PROCACCIANTI Che cosa vi siete detti con Putin il 21 marzo 2020? Quali erano gli accordi?

GIUSEPPE CONTE – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (2018 – 2021) Più volte ci fu la disponibilità sua a fornire un aiuto in un momento di grandissima difficoltà per l'Italia. Eravamo nel periodo della fase più acuta della pandemia. In particolare avrebbe mandato personale specializzato visto che avevano maturato una grande esperienza per quanto riguarda il contrasto alle pandemie, la SARS e via discorrendo.

DANILO PROCACCIANTI Quindi lei e Putin non avete preso diciamo un accordo stringente.

GIUSEPPE CONTE – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (2018 – 2021) Guardi ovviamente non è che io potevo curare poi gli aspetti attuativi di questa missione. Mi colpì il fatto, questo sì lo ricordo a memoria, nel corso della conversazione, che l'estrema precisione per quanto riguarda si concentrò molto sulla sanificazione.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Ma la sanificazione non solo potevano farla i nostri militari ma addirittura il capo di Stato Maggiore, il generale Vecciarelli, si sorprende quando scopre che i camion russi sarebbero serviti per disinfettare.

ENZO VECCIARELLI – CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA DIFESA (2018-2021) Ma a quel tempo noi ci eravamo già proposti per fare questa attività e ci era stato sconsigliato dal ministero della Salute perché si rischiava di inquinare le falde acquifere.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO E secondo i direttori delle Rsa non ce ne era neppure tanto bisogno

FABRIZIO LAZZARINI – DIRETTORE GENERALE CASA DI RICOVERO SANTA MARIA AUSILIATRICE Non avevo questo grande bisogno, però che te devo dì, ti danno una mano gli vuoi dire di no? Loro avevano proprio uno staff di guerra, degli esperti infettivologi ed erano molto accompagnati dalla televisione, volevano che io gli rilasciassi una dichiarazione di ringraziamento per quello che stavano facendo

DANILO PROCACCIANTI Lei in questi giorni ha espresso dei dubbi su quella missione.

GIORGIO GORI – SINDACO DI BERGAMO Col senno di oggi, cioè vedendo quale spregiudicatezza guidi l'iniziativa russa in Ucraina, mi è venuto il dubbio sinceramente, se avevano altri scopi. Colpiva il modo in cui queste persone, tutte in divisa militare, interpretavano il rapporto con la stampa. Quando un giornalista provò a dire “ma vorremmo sapere qualcosa in più”, niente domande.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Ovviamente capire se in quella missione ci fossero agenti dei servizi segreti russi non è semplice, ma il professor Igor Pellicciari, che è stato console onorario della Federazione Russa a Bologna, qualche certezza ce l’ha.

IGOR PELLICCIARI – PROFESSORE STORIA RELAZIONI INTERNAZIONALI UNIVERSITA’ DI URBINO Chi studia la funzione pubblica russa sa che in particolare nell'esercito, c'è un ufficiale di collegamento dei servizi. Questo è evidente. Può far piacere o non piacere. Però leggerci una eccezionalità mi sembra, mi sembra un po’ ingenuo, insomma ecco.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Il responsabile della logistica della missione era Aleksej Nemudrov l’addetto militare dell’ambasciata russa, uomo chiave in questa vicenda. Ha rapporti con entourage di Savoini, portavoce di Salvini, poi verrà espulso un anno dopo perché coinvolto in una vicenda di spionaggio di carte Nato con l’ufficiale italiano Walter Biot. Fu proprio Nemudrov il 5 marzo il primo ad offrire aiuto all’Italia. Prima ancora della telefonata di Putin del 21 marzo. Putin aveva offerto a Conte più di 400 uomini e fu il ministro della difesa Guerini ad opporsi e a ridimensionare la portata della missione. Ma c’è di più, i nostri militari avrebbero evitato un’azione di spionaggio da parte di Mosca, i cui obiettivi erano le basi dell’Aeronautica Militare di Ghedi in Lombardia, dove sono custodite testate nucleari, e di Amendola in Puglia, dove ci sono i droni utilizzati in Iraq e Afghanistan.

DANILO PROCACCIANTI I russi volevano bonificare pure tutti gli uffici pubblici. Le risulta questa cosa?

ENZO VECCIARELLI – CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA DIFESA (2018-2021) Eh sì, e questo era il motivo di preoccupazione no

DANILO PROCACCIANTI E voi gli avete detto di no

ENZO VECCIARELLI – CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA DIFESA (2018-2021) E certo che gli abbiamo detto di no, gli abbiamo detto che chiaramente avremmo concordato con le autorità sanitarie quelle che sarebbero state le priorità e così è stato. Cioè non è che questi potevano pensare di andare in giro per l’Italia a fare quello che ritenevano loro

DANILO PROCACCIANTI E questa cosa che volevano andare nelle basi di Ghedi e di Amendola in Puglia, le risulta?

ENZO VECCIARELLI – CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA DIFESA (2018-2021) E questo è quello che fa parte delle mie preoccupazioni, certo.

DANILO PROCACCIANTI Quindi è vero?

ENZO VECCIARELLI – CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA DIFESA (2018-2021) Sì, assolutamente. Anche il presidente del Consiglio si è trovato in una situazione di emergenza e ha preso tutto quello che riusciva a prendere magari senza riuscire a vedere a fondo il retroscena di certe cose.

DANILO PROCACCIANTI I generali dicono questi volevano bonificare tutto, volevano andare vicino le basi di Ghedi e Amendola in Puglia, le basi Nato, e noi glielo abbiamo proibito. Le risulta questo?

GIUSEPPE CONTE – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (2018 – 2021) No, ma ci mancherebbe. Se fosse stata questa l'intenzione, giusto che fosse stato proibito e giusto che siano stati indirizzati dove volevamo noi, dove potevamo aver bisogno noi e che abbiano fatto quello che gli abbiamo chiesto noi.

DANILO PROCACCIANTI Però i russi dicono ai generali in quel momento dicono vogliamo fare questo in virtù di accordi superiori. C'erano questo tipo di accordi tra lei e Putin?

GIUSEPPE CONTE – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (2018 – 2021) Guardi, assolutamente no. Ma scherza, secondo lei io con Putin dicevo manderemo le tue unità nelle nostre basi? Assolutamente, non scherziamo. Su queste cose non scherziamo.

DANILO PROCACCIANTI Sai cosa mi colpisce, lei dice… I generali dicono questi volevano andare vicino le basi Nato. Lei dice questo non lo so. Possibile che il capo di Stato maggiore non avverta il presidente del Consiglio su una roba del genere?

GIUSEPPE CONTE – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (2018 – 2021) Assolutamente non sono stato avvertito, glielo confermo, glielo confermo. E mi sorprende anche che ci sia stata questa richiesta da parte dei russi. SERGEY RAZOV – AMBASCIATORE FEDERAZIONE RUSSA IN ITALIA E io posso ribadire che i nostri militari facevano quello e solo quello che gli veniva richiesto dalla parte italiana.

DANILO PROCACCIANTI Quindi i nostri generali mentono.

SERGEY RAZOV – AMBASCIATORE FEDERAZIONE RUSSA IN ITALIA Questa è una domanda che dobbiamo fare a loro. Io non posso accusare nessuno di niente. Io parlo solo dei fatti che conosco.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Dalla Russia con amore, ma soprattutto con 104 militari al seguito. Una missione di una dimensione che non si era mai vista in un Paese della Nato. Ufficialmente era una missione sanitaria, doveva portare aiuto, ha portato dei ventilatori, però non idonei, e delle mascherine, non sufficienti. Il Capo di Stato Maggiore della Difesa dell’epoca, il generale Enzo Vecciarelli, ha detto: i russi volevano andare alla base aeronautica di Ghedi, vicino Brescia, dove ci sono le testate nucleari e in quella di Amendola, da dove si sono alzati in volo i droni per l’Afghanistan e per l’Iraq. Però i nostri uomini, i militari, hanno seguito passo passo i russi e hanno delimitato il loro raggio di azione. L’ex premier Conte ci ha detto, pur ammettendo di non sapere quale sia stato poi l’impatto in termini di benefici della missione russa nel nostro paese, ha detto di non essere stato informato su queste dinamiche. All’epoca aveva anche la delega ai servizi segreti. Ora però Report ha scoperto che a favorire la missione dei russi in Italia, probabilmente è stata un’internazionale sovranista. È questa che avrebbe ispirato la telefonata di Putin all’allora premier Conte. Ma qual è stata la vera missione di questa spedizione? È possibile che il Cremlino abbia inviato le migliori risorse nel campo dell'intelligence biologica solo per spruzzare un po’ di disinfettante nelle nostre residenze per anziani?

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Se il governo italiano avesse fatto un controllo sui personaggi che stavano entrando nel nostro Paese, già dai nomi qualcosa si poteva intuire. La missione era guidata dal generale Sergej Kikot, un ufficiale con una lunga esperienza maturata anche in Siria, dove si è fatto notare per avere negato l'impiego di armi chimiche da parte del regime di Damasco. È uno dei più grandi esperti mondiali di guerra batteriologica. C’era poi Igor Bogomolov, un'altra figura con preparazione e rango straordinariamente superiori alle mansioni svolte in Lombardia. Ha addestrato i soldati per la guerra in Cecenia; preso parte alla campagna "per imporre la pace in Georgia". Bogomolov è numero due dell'intero 48° Istituto Centrale di Ricerca, un istituto molto discusso da cui proviene anche un altro partecipante alla missione, il tenente colonnello Alexander Yumanov. Bogomolov e Yumanov dirigono rispettivamente il laboratorio di Ekaterinburg e quello di Kirov entrambi i laboratori sono finiti nella lista delle sanzioni degli Stati Uniti perché sospettati di aver preparato l’ultima versione del veleno usato per cercare di assassinare gli oppositori del Cremlino, da Sergej Skipral ad Aleksej Navalny.

DANILO PROCACCIANTI Esperti di guerre batteriologiche e armi chimiche. C'era chi aveva addestrato i soldati russi per la guerra in Cecenia, chi ha negato l'uso di armi chimiche in Siria, chi dirigeva laboratori sanzionati dagli Stati Uniti. Insomma, io questi a casa mia non li avrei fatti entrare.

GIUSEPPE CONTE – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (2018 – 2021) Io non ho avuto un elenco, quello che lei mi sta dicendo non è passato dalle mie mani e ripeto tutto l'aspetto attuativo che non è stato curato da me.

DANILO PROCACCIANTI C'è stata una sottovalutazione iniziale?

GIUSEPPE CONTE – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (2018 – 2021) Direi di no nella misura in cui nessuno ha aperto il Paese a missioni di governi esteri in modo indiscriminato. Il dato importante è che il Copasir si è anche occupato... Alla fine, ha concluso nella relazione inviata al Parlamento che non ci sono elementi per pensare che questa missione abbia presentato criticità e si sia svolta al di fuori dell'ambito sanitario.

DANILO PROCACCIANTI Però, diciamo, lei sa benissimo che il Copasir sta continuando, insomma. Non è chiusa la faccenda.

GIUSEPPE CONTE – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (2018 – 2021) E scusi, c'è una relazione depositata al Parlamento. Quella relazione, io le sto dicendo un fatto. Lei mi sta dicendo un'ipotesi

DANILO PROCACCIANTI No, le sto dicendo che sta continuando.

GIUSEPPE CONTE – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (2018 – 2021) E ci mancherebbe. Ma il Copasir deve continuare e deve fare. Ben vengano ulteriori approfondimenti.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Alle autorità italiane non furono comunicati i reparti di appartenenza dei militari russi, ma certo a rileggere oggi quei nomi non si capisce perché l’élite russa del contrasto alle guerre batteriologiche stava nelle nostre RSA a spruzzare disinfettante. A Pratica di Mare, poi, nessuno ha fatto caso a un nome aggiunto a penna alla lista: Natalia Pshenichnaya, vicedirettrice dell'Istituto centrale di ricerche epidemiologiche. Due mesi dopo pubblicherà un paper sulla situazione italiana con giudizi spietati sulle iniziative del nostro governo: “L'assistenza sanitaria del paese – scrive - non era preparata (…) le misure di controllo dell'infezione non sono state attuate e hanno portato alla diffusione del contagio tra gli operatori sanitari (…)”. Pshenichnaya però dà un valore politico alle sue ricerche: nel settembre 2020 scrive un testo in cui analizza come "il coronavirus ha determinato nuovi parametri per costruire l'ordine mondiale". È come se mostrasse il vero volto dell'operazione "Dalla Russia con amore”. Ma l’Italia veniva utilizzata come il cavallo di Troia per sbirciare dal buco della serratura su cosa stava effettivamente succedendo nei paesi occidentali colpiti dal virus. Ma doveva servire anche alla Russia per arrivare prima in una corsa in cui tutte le potenze mondiali si stavano confrontando: quella al vaccino.

IGOR PELLICCIARI – PROFESSORE STORIA RELAZIONI INTERNAZIONALI UNIVERSITA’ DI URBINO Era chiaro che chi sarebbe arrivato prima intanto a un vaccino, era chiaro che avrebbe avuto un asset strategico pazzesco. Perché arrivare a un vaccino per primi in un contesto dove il vaccino lo controlla un'azienda farmaceutica che deve fare marginalità per sua stessa missione è diverso rispetto al potere geopolitico che ha un vaccino di Stato, cioè uno Stato decide a chi darlo ovviamente non per guadagnarci economicamente quanto geopoliticamente.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO L’importanza del vaccino russo come strumento geopolitco sembrerebbe confermata dai documenti segreti del Dossier Center di Londra. Un piano firmato dal braccio destro dell’oligarca russo Kostantin Malofeev, nel marzo 2021, prevedeva la creazione di una rete occulta nota come Altintern alla quale dovevano aderire politici stranieri. E il vaccino Sputnik sarebbe stata la strada «per ripristinare i contatti con i partiti euroscettici» con il fine di «contrastare la politica sanzionatoria di Bruxelles».

FEDERICO MARCONI Cos’è Altintern?

HOLGER ROONEMAA – GIORNALISTA INVESTIGATIVO EKSPRESS MEEDIA Altintern era uno degli strumenti per formare questa rete, attraverso l’impiego di soldi e know how russi. Nei documenti che abbiamo visto ci sono i principali partiti che avrebbero fatto parte di questa rete: come la Lega di Matteo Salvini, il partito di Marine Le Pen in Francia, e il Partito della Libertà austriaco.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Una sorta di internazionale sovranista che si sarebbe mossa anche in occasione della missione di Bergamo. Il 20 marzo 2020, il giorno prima della telefonata tra Putin e Conte, il deputato tedesco Ulrich Oehme del partito di estrema destra Alternative für Deutschland, notoriamente legato a filo doppio con Russia Unita di Putin, scrive questa lettera che vi mostriamo in esclusiva. Si rivolge a Roman Babayan, un membro della Duma, il parlamento russo, e chiede aiuti russi per la Lombardia, dice di averne parlato al telefono con il deputato della Lega Nord Paolo Grimoldi che sarebbe stato entusiasta dell’idea. Si sarebbe mossa quindi, quella che il deputato tedesco chiama “la falange per affrontare la crisi del coronavirus in Italia”. Il giorno dopo, Putin chiama Conte e il deputato leghista si prende tutti i meriti dell’intermediazione: sul suo profilo Facebook scrive: "Non è tempo di appendersi medaglie al petto… Fatta questa premessa allego questa testimonianza del deputato tedesco Ulrich Oehme che dimostra come la richiesta, pressante, di aiuto sanitario alla Russia, che ha portato all’invio in Lombardia di medici russi e materiale per i nostri ospedali, sia partita dal sottoscritto.

DANILO PROCACCIANTI Il merito era suo di quella missione

PAOLO GRIMOLDI – LEGA Ho rotto le palle pesantemente affinché… scusi lei mi sta dicendo che un singolo parlamentare è in grado di far arrivare degli aerei militari speciali in Italia?

DANILO PROCACCIANTI Vi vantavate di aver coinvolto Putin…

PAOLO GRIMOLDI – LEGA Io mi vanto, per il ruolo che ho, di essere quello che ha avuto l’idea di chiedere aiuto all’ufficio di presidenza dell’Osce. Punto.

DANILO PROCACCIANTI È il deputato tedesco che dice di aver risposto a lei in una chat dei conservatori europei. Non all’Osce.

PAOLO GRIMOLDI – LEGA Lui scrive dove vuole, io non so in che chat è dentro lui.

DANILO PROCACCIANTI Adesso vuole prendere le distanze dai russi?

PAOLO GRIMOLDI – LEGA Ma no! Né più né meno di quelli che ho fatto. Ho chiesto aiuto per il mio paese in un momento di difficoltà. Sono orgoglioso che nel chiedere aiuto qualcuno abbia risposto.

DANILO PROCACCIANTI E questa internazionale sovranista segreta voluta dall’oligarca Malofeev?

PAOLO GRIMOLDI – LEGA Io di queste cose non so niente.

DANILO PROCACCIANTI Le risulta un’intermediazione del partito tedesco Alternative für Deutschland per questa missione.

GIUSEPPE CONTE – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (2018 – 2021) Mai mai sentito, questa notizia non mi risulta affatto mai sentito nessuno di Alternative für Deutschland, mai sentito Grimaldi. Assolutamente una notizia che è priva di fondamento per quanto mi riguarda.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Invece la lettera c’è e probabilmente è sconosciuta all’allora premier Giuseppe Conte. Facciamo attenzione alle date perché hanno un ruolo fondamentale. Il 5 marzo l’addetto militare dell’ ambasciata russa, ricordiamoci il nome – Nemudrov – perché è un nome che ricorrerà spesso, è fondamentale – Nemudrov – scrive, chiama il nostro ministero della Difesa e offre un aiuto. Il nostro ministero accetta di buon grado e dice: inviateci per favore 10 milioni di mascherine, tra FFP2, 3 e quelle chirurgiche. Ma i contatti tra le due parti si diradano. Sino a quando il 20 marzo 2020, Ulrich Oehme che è un parlamentare dell’estrema destra tedesca, legato a doppio filo al partito Russia Unita di Putin, scrive una lettera a Roman Babayan, politico Russo vicino al presidente Putin.. Oehme chiede un intervento russo in aiuto della Lombardia, e dice di averne parlato con il deputato della Lega Paolo Grimoldi, all’epoca anche segretario della Lega in Lombardia. Si sarebbe dovuta attivare quella che Oehme definisce “la falange per affrontare il coronavirus in Italia”. Il giorno dopo quella lettera, il 21 marzo 2020 Putin chiama Conte, e il 22 marzo 104 militari russi atterrano all’aeroporto di Pratica di Mare. Ma i medici sono solo 27, portano 30 ventilatori che non sono compatibili con le prese italiane e 500mila mascherine, sufficienti solo per mezza giornata. Il convoglio si dirige verso Bergamo, centro della pandemia nel nostro paese. Il giorno dopo, il 23 marzo, il deputato Grimoldi che aveva fondato anche il gruppo parlamentare amici di Putin, scrive su Facebook, con un certo orgoglio, cita la lettera del deputato dell’estrema destra tedesco Oehme, si attribuisce il merito dell’intervento russo in Lombardia. Oggi, dopo le polemiche Grimoldi si schernisce, dice che un semplice deputato non può certo provocare l’intervento di una missione così importante e dice di aver chiesto aiuto, sì, ma solo attraverso i canali ufficiali in quanto membro dell’Osce. Noi però abbiamo visto che il parlamentare tedesco di estrema destra nella sua lettera parlava di telefonate intercorse con Grimoldi, di chat tra parlamentari. Ma qual è il vero scopo della missione “Dalla Russia con amore”? Ora, il collega Holger Roonema, parlava dell’esistenza di una rete occulta “altintern”, ispirata, tanto per cambiare, dall’oligarca di Dio, il solito putiniano Kostantin Mallofev, alimentata con soldi russi. Di questa rete avrebbero fatto parte i partiti stranieri come la Lega di Matteo Salvini, il partito di Marine Le Pen in Francia, l’FPO austriaco. Al centro della sua mission ci sarebbe stato il veicolare il vaccino Sputnik come strumento di geopolitica per «contrastare la politica sanzionatoria di Bruxelles nei donfronti della Russia dopo l’ invasione della Crimea.» Una strategia confermata dai documenti segreti del dossier center di Londra, l’organizzazione che fa capo al dissidente Kodorkosky. Insomma una internazionale sovranista si sarebbe mossa anche in occasione della missione russa a Bergamo. Ma cosa c’entra tutto questo con la fabbricazione dello Sputnik? Lo vedremo tra un minuto, dopo una brevissima pubblicità.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Allora stavamo parlando della missione russa in Italia del marzo 2020. Nessuno si è insospettito quando tra i militari c’erano anche i direttori di quel laboratorio che secondo l’intelligence statunitense aveva preparato le sostanze per cercare di eliminare l’oppositore russo Alexey Navalny, così come altri oppositori russi. Le migliori risorse dell'intelligence biologica, sbarcati in Italia, hanno preso posizione nell'epicentro della pandemia nella bergamasca, un osservatorio privilegiato, strategico, anche dal punto di vista politico. Una delle esperte al seguito, Natalia Pshenichnaya, dopo aver sbirciato dal buco della serratura di un Paese Nato, scrive: "il coronavirus ha determinato nuovi parametri per costruire l'ordine mondiale". Dunque c’era la consapevolezza che sarebbe servita un’arma strategica, a cui stavano concorrendo tutte le potenze mondiali in quel momento, la corsa al vaccino, ad arrivare primi, perché a quel punto ci si sarebbe potuti sedere a quel tavolo dei vincitori e dettare le regole. Ma per fabbricare il vaccino occorre il virus vivo e anche delle sacche di plasma per poter sperimentare se funziona.

GIUSEPPE CONTE – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (2018 – 2021) CONFERENZA STAMPA 30 GENNAIO 2020 C’erano due casi sospetti di coronavirus, e abbiamo avuto un aggiornamento dopo le verifiche effettuate, che effettivamente questi due casi sono confermati. In Italia per la prima volta oggi abbiamo due casi accertati di due turisti cinesi.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO I due cinesi vengono portati all’Istituto Spallanzani, l’ospedale di Roma specializzato in malattie infettive. Qui fanno i tamponi molecolari e in sole 48 ore i nostri scienziati riescono a sequenziare il virus. Solo con il sequenziamento del virus però non riesci a lavorare per sviluppare un vaccino.

GLORIA TALIANI - PROFESSORESSA ORDINARIA MALATTIE INFETTIVE UNIVERSITA’ LA SAPIENZA DI ROMA Serve il virus cresciuto in coltura

DANILO PROCACCIANTI Serve il virus vivo, diciamo.

GLORIA TALIANI - PROFESSORESSA ORDINARIA MALATTIE INFETTIVE UNIVERSITA’ LA SAPIENZA DI ROMA Una volta che il virus è stato prelevato dal paziente dal soggetto malato, nel giro di poco muore. La capacità di mettere un virus in coltura è una competenza.

ANDREA CASADIO – MEDICO E GIORNALISTA “DOMANI” Cosa fanno i russi? Vengono in Italia e di tutti i posti dove potevano andare vanno a Bergamo, cioè là dove c'era il più alto numero di pazienti portatori del coronavirus. Io se voglio avere dei campioni di coronavirus vivi, vado laddove ne trovo di più, ovviamente. Come si fa per isolare il virus in coltura, io prendo un tampone, te lo infilo nel naso là dove c'è del virus. E poi devo correre per, si dice in gergo, per piastrarlo, cioè sfregarlo su una coltura di cellule simili a quelle umane, perché queste cellule umane devono essere infettate dal coronavirus. Solo dentro a queste cellule il virus cresce, si replica e si moltiplica.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Proprio nei giorni in cui i russi erano in Italia, gli scienziati degli istituti Vector e Gamaleya, centri di ricerca statali, stavano iniziando le ricerche per produrre un vaccino, ma per farlo dovevano prima generare un loro ceppo virale vivo su cui poi effettuare gli esperimenti. In quei giorni però negli ospedali russi c’erano pochissimi malati di covid.

ANDREA CASADIO – MEDICO E GIORNALISTA “DOMANI” Uno scienziato del Gamaleya, in un'intervista al New Yorker, un prestigioso giornale americano ha detto: noi a marzo eravamo disperati perché correvamo avanti e indietro dagli ospedali di Mosca per cercare di ottenere campioni di virus vivo dai pochi malati che avevamo. E non ci siamo riusciti. Perché non sapevamo come isolare il virus in coltura. Non sapevamo quanto a lungo quelle colture sarebbero durate. Quindi brancolavano nel buio a marzo i russi.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO C’è la concreta possibilità che alcuni campioni di virus se li siano procurati a Bergamo, una prova in tal senso è nel vero cuore della missione: cinque furgoni, inaccessibili agli italiani, parcheggiati nell'aeroporto di Orio al Serio. Si tratta del complesso di moduli mobili multifunzionali per l'analisi dei materiali biologici patogeni.

LUCA BONZANNI – GIORNALISTA “L’ECO DI BERGAMO” Lo stesso console citò che avevano a disposizione tamponi che davano il risultato in appena un’ora. La Regione si premurò di precisare che avrebbe comunque seguito le indicazioni dell'Istituto superiore di Sanità dell'Oms e che non avrebbe fatto uso di quei tamponi.

DANILO PROCACCIANTI I russi processavano tamponi?

FABRIZIO LAZZARINI – DIRETTORE GENERALE CASA DI RICOVERO SANTA MARIA AUSILIATRICE Io so che loro li facevano, però noi personalmente avevamo già trovato una soluzione direttamente con un ospedale quindi non avevamo questo...so che li facevano.

DANILO PROCACCIANTI Diciamo lei, questo lo dà per certo che i russi in qualche modo siano andati a prendere la sequenza virale o comunque a rendersi conto di com'era questo virus.

IGOR PELLICCIARI – PROFESSORE STORIA RELAZIONI INTERNAZIONALI UNIVERSITA’ DI URBINO Sicuramente la raccolta dei biodati la do per scontata, perché questo è il lavoro che fanno in qualche modo.

GIUSEPPE CONTE – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (2018 – 2021) Di spionaggio sanitario? Ma guardi queste ovviamente...

DANILO PROCACCIANTI Da quel punto di vista che accordi c'erano, perché questi avevano un laboratorio mobile e potevano fare tamponi

GIUSEPPE CONTE – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (2018 – 2021) Assolutamente guardi. Con il presidente Putin non parlammo assolutamente di nessuna, diciamo agevolazione, per quanto riguarda accesso a dati sensibili, dati sanitari. Noi siamo un Paese democratico e vorrei ricordare che quando c'è stata la sequenziazione del virus quei dati li hanno trasmessi all'Organizzazione mondiale della Sanità, in modo da metterli a disposizione di tutti i ricercatori del mondo.

DANILO PROCACCIANTI Per sviluppare un vaccino c'è bisogno anche di fare esperimenti sul virus vivo e in quel momento, ribadisco, Bergamo era laboratorio mondiale

GIUSEPPE CONTE – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (2018 – 2021) Però non credo che a Bergamo abbiano avuto accesso in indiscriminato ai dati sanitari

DANILO PROCACCIANTI È bene chiarirlo

GIUSEPPE CONTE – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (2018 – 2021) Sono stati confinati in un protocollo diciamo di operatività molto ben definito.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Sta di fatto che ad agosto 2020, Vladimir Putin, tiene una videoconferenza con il suo gabinetto di governo. Quella video conferenza poi verrà trasmessa con grande risalto sui telegiornali di tutte le reti russe.

VLADIMIR PUTIN – PRESIDENTE DELLA FEDERAZIONE RUSSA 10/08/2020 «Stamattina è stato approvato il primo vaccino contro il coronavirus al mondo. So che si è dimostrato efficiente e forma un’immunità stabile, e vorrei ripetere che ha superato tutti i test necessari».

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO I russi sono stati i primi a registrare un vaccino, ad agosto 2020. Ma le date sono importanti perché ancora una volta si intersecano con quelle della missione di Bergamo. Involontariamente ce lo aveva confidato il capo del laboratorio dell’Istituto Gamaleya in una nostra inchiesta dell’aprile 2021, quando il clamore della missione russa in Italia ancora non era esploso.

VLADIMIR GOUSCHIN – CAPO DEL LABORATORIO ISTITUTO GAMALEYA In questa stanza abbiamo elaborato il primo prototipo dell’adenovirus per lo Sputnik. Era febbraio 2020.

LORENZO VENDEMIALE Praticamente la Russia ha avuto prima il vaccino anti-Covid del Covid stesso

VLADIMIR GOUSCHIN – CAPO DEL LABORATORIO ISTITUTO GAMALEYA Esatto. Ci mancava il virus. Perché tu puoi anche avere il vaccino, ma finché non hai la malattia vera non capisci se funziona. Ma ci ha dato una mano proprio l’Italia. Perché il virus l’ha portato qui un cittadino italiano. Era il 15 marzo 2020 e abbiamo ricevuto un campione di tampone nasale da questa persona

LORENZO VENDEMIALE A marzo c'era un missione russa in Italia a Bergamo, nel centro dell’epidemia di Covid, con una missione russa, il virus proveniva dalla missione in Italia?.

VLADIMIR GOUSCHIN – CAPO DEL LABORATORIO ISTITUTO GAMALEYA No, non c’è alcun legame con la missione. Abbiamo ricevuto il virus da questa persona che proveniva da Roma

DANILO PROCACCIANTI I russi però dicono noi abbiamo sviluppato partendo da un cittadino che dall'Italia è arrivato a Mosca positivo e da lì abbiamo sviluppato tutto.

ANDREA CASADIO - MEDICO E GIORNALISTA “DOMANI” Vai tu a capire da dove l’hanno isolato. L’hanno tirato fuori da un paziente di Bergamo? Se lo sono isolati loro da un paziente, guarda caso, russo che tornava dall’Italia? Probabilmente il genoma di questi ceppi virali sarebbe identico e sarebbe impossibile risalire all’origine. Se volessi intorbidare le acque e non far capire da dove l’ho preso, io direi: l’ho preso da un paziente russo che tornava dall’Italia. DANILO PROCACCIANTI Lei escludi che possano essere stati prelevati dei campioni biologici per sviluppare poi il vaccino Sputnik? Perché gli appartenenti alla missione russa avevano un laboratorio mobile in cui si potevano processare tamponi. Che uso ne hanno fatto i militari? Perché c’era?

SERGEY RAZOV – AMBASCIATORE FEDERAZIONE RUSSA IN ITALIA Io quando leggo nei giornali le affermazioni, tipo quella che ha fatto lei, mi viene da sorridere.

DANILO PROCACCIANTI Oggi c'è una guerra in corso. Appunto i rapporti sono diversi. La Russia non viene più percepita come Paese amico e quindi si va ad analizzare anche l'attività pregressa.

SERGEY RAZOV – AMBASCIATORE FEDERAZIONE RUSSA IN ITALIA I nostri rapporti si stanno degradando e questa non è stata la nostra scelta.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Beh certo, colpa nostra non è. Ora però, gli scienziati dello Spallanzani sono stati tra i primi in Europa a sequenziare il genoma del virus. Ma questo non basta per fabbricare il vaccino. Ci vuole il virus vivo, e i russi – lo abbiamo sentito – nel marzo del 2020 non lo avevano ancora. Lo abbiamo sentito perché lo dicono in un’intervista al New Yorker, e poi lo abbiamo anche sentito in un’inchiesta di Report dell’aprile 2021. Lo abbiamo sentito dal il capo del laboratorio dell’istituto Gamaleya Vladimir Gouschin, che ha ammesso che il primo prototipo dell’adenovirus per lo Sputnik l’avevano pronto a febbraio 2020, ma gli mancava il virus, non avevano la malattia vera. Era impossibile sapere se avrebbe funzionato. Ma per fortuna poi - dice lo scienziato russo - ci ha dato una mano proprio l’Italia, ce lo ha portato qui un italiano. Report è stato l’inconsapevole testimone di una confessione che oggi sarebbe imbarazzante. Lo Sputnik vaccino strumento di geopolitica, è stato il primo vaccino registrato al mondo, mai approvato dagli enti regolatori, criticato da molti scienziati perché le pubblicazioni erano prive di dati ritenuti essenziali. Ora il capo del laboratorio dell’istituto russo Gamaleya ha detto che è stato un italiano a portare il virus? Chi è stato? Bisogna ricordare che secondo quello che c’era scritto nella mission della rete occulta “altintern”, fondata dall’oligarca Malofeev, il vaccino, lo Sputnik, doveva essere uno strumento da utilizzare contro le politiche sanzionatorie di Bruxelles. Ora Report è venuto in possesso di un documento datato 20 aprile 2020, in piena pandemia, in piena missione dei russi in Italia, in base al quale avremmo consegnato proprio noi il virus ai russi.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO La velocità con la quale i russi hanno sviluppato lo Sputnik ha lasciato perplessi tutti i membri della comunità scientifica mondiale. Tanto che gli enti regolatori occidentali come l’FDA americana e l’europea Ema non hanno mai approvato il vaccino russo per mancanza di dati sufficienti.

GLORIA TALIANI - PROFESSORESSA ORDINARIA MALATTIE INFETTIVE UNIVERSITA’ LA SAPIENZA Quello che però rimane e genera un po’ di sconcerto in tutti, in tutta la comunità scientifica, è il fatto che non sia possibile l'accesso ai dati cosiddetti grezzi, ai dati crudi che sono il principale elemento di trasparenza in tutte le attività scientifiche, non si può dire “ti devi fidare”.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Gli scienziati russi a settembre 2020 completano una prima fase della sperimentazione sull’uomo, e pubblicano un articolo sulla prestigiosa rivista scientifica Lancet

ANDREA CASADIO – MEDICO E GIORNALISTA “DOMANI” Era un articolo ridicolo nel quale il vaccino era stato testato solo su 38 persone. Con dati piuttosto dubbi e discutibili.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO A febbraio 2021 una nuova pubblicazione su Lancet, questa volta si tratta di una sperimentazione su 22 mila persone

ANDREA CASADIO – MEDICO E GIORNALISTA “DOMANI” Dove dicono “Gli effetti collaterali sono così scarsi e innocui che non li menzioniamo neanche in questo articolo, ve li mostreremo poi più avanti”. Secondo lei li hanno mai mostrati?

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO A febbraio del 2021 all’istituto Spallanzani di Roma viene nominato un nuovo direttore generale, Francesco Vaia che firma un parere tecnico scientifico su quel vaccino. Quel parere provoca sconcerto tra molti scienziati dello Spallanzani come ci racconta una ricercatrice sotto la garanzia dell’anonimato

DANILO PROCACCIANTI A febbraio c'è questo parere

RICERCATRICE ANONIMA Ma non era per niente “lo studio dello Spallanzani”. Lo studio de che? Si sono letti il lavoro e hanno detto che il lavoro era ineccepibile, cosa che invece altri hanno detto di no. E da lì è iniziato l'interesse per lo Sputnik.

DANILO PROCACCIANTI Il vostro era un semplice commento a un articolo scritto da chi aveva sviluppato il vaccino però.

ANDREA ANTINORI – DIRETTORE SANITARIO SPALLANZANI ROMA Sì, era semplicemente un parere tecnico su una sperimentazione. Non c'era nessuna volontà di prevaricare le autorità regolatorie o altri meccanismi.

DANILO PROCACCIANTI Moltissimi scienziati, però, in tutto il mondo avevano criticato quello studio, soprattutto per mancanza di dati.

ANDREA ANTINORI – DIRETTORE SANITARIO SPALLANZAZNI ROMA Il vaccino Sputnik, in realtà, è stato poi riconosciuto da più di 70 Paesi su un bacino di utenza di più di 3 miliardi di persone potenzialmente vaccinabili. Quindi non mi pare che sia nata nella diffidenza della comunità scientifica.

DANILO PROCACCIANTI Gli studiosi russi risposero che avrebbero messo a disposizione i dati. Ancora oggi questi dati non ci sono.

ANDREA ANTINORI – DIRETTORE SANITARIO SPALLANZAZNI ROMA Ma io credo che il fatto che Ema non abbia approvato questo vaccino non dipenda tanto dalla contestazione del risultato scientifico. Io credo che i problemi siano nati soprattutto sulle questioni relative ai siti di produzione.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Anche se il vaccino Sputnik è avvolto dai dubbi, il 13 aprile 2021 l’assessore alla Sanità del Lazio D’Amato e il direttore Vaia firmano un memorandum d’intesa con l’Istituto Gamaleya e un fondo sovrano russo che prevedeva scambio di materiali e conoscenze. Tre scienziate russe hanno avuto libero accesso ai laboratori dove, tra l’altro, ci sono le banche dati condivise con i Paesi della Nato. Il memorandum sarebbe stato firmato senza autorizzazione preventiva del ministero della Salute.

RICERCATRICE ANONIMA La professoressa Capobianchi ha sollecitato che si facesse una comunicazione formale al ministero che arrivavano queste persone che venivano a lavorare nel nostro laboratorio. Perché siamo legati col Patto Atlantico, quindi siamo in dovere di comunicarlo.

DANILO PROCACCIANTI E il ministero non ne sapeva nulla?

RICERCATRICE ANONIMA Il ministro lo ha detto è un'iniziativa autonoma dello Spallanzani e della Regione. La collaborazione è stata comunicata a posteriori.

DANILO PROCACCIANTI E questa è una stranezza secondo lei?

RICERCATRICE ANONIMA Sì. Noi siamo un Irccs. E la parte scientifica è sotto la tutela e la vigilanza del ministero. Andava discusso e concordato. Non è che uno così si mette a fare la ricerca col Gamaleya, conosciamo bene il Gamaleya. Hanno una mentalità un po’ particolare. La mentalità è che se il capo dice che è A e l'esperimento mi mostra che è B, non si può dire che è B.

DANILO PROCACCIANTI Il fatto che lo Spallanzani sia comunque una banca dati, ci siano anche i sieri contro le armi batteriologiche condivise con i paesi Nato, non siete stati un po’ leggeri in questo?

ALESSIO D'AMATO - ASSESSORE SANITÀ REGIONE LAZIO No, assolutamente no, nessuna leggerezza. Non è stato utilizzato nessun dato.

DANILO PROCACCIANTI Su questa vicenda del protocollo Spallanzani-Gamaleya, perché avete scavalcato il ministero?

ALESSIO D'AMATO - ASSESSORE SANITÀ REGIONE LAZIO No, nessun scavalco. Massima trasparenza. È stato pubblicato sul bollettino ufficiale, è una delibera di giunta.

DANILO PROCACCIANTI A noi ci risulta che è stato informato quando già avete deciso.

ALESSIO D'AMATO - ASSESSORE SANITÀ REGIONE LAZIO Il ministero è stato sempre informato dallo Spallanzani.

DANILO PROCACCIANTI Cioè parliamo di un fondo sovrano. Lo ha firmato lei, il fondo sovrano, altri due istituti, quindi.

ALESSIO D'AMATO - ASSESSORE SANITÀ REGIONE LAZIO No, parliamo due istituti di ricerca. Poi, nel caso Ema avesse approvato, diciamo l'uso in Europa del vaccino come abbiamo sempre detto, noi eravamo anche pronti eventualmente a produrlo nel nostro distretto farmaceutico, che è uno dei più importanti in Italia.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Il 20 gennaio 2022, gli scienziati dei due istituti hanno pubblicato online un preprint, cioè un articolo non ancora approvato in cui si misuravano i livelli di anticorpi nello Sputnik.

ANDREA CASADIO – MEDICO E GIORNALISTA “DOMANI” cosa fanno gli scienziati dello Spallanzani e dell'Istituto Gamaleya? Paragonano il livello di anticorpi in pazienti vaccinati con lo Sputnik da 3 a 6 mesi con persone vaccinate con il vaccino Pfizer, vaccinate però da sei mesi. Quindi paragonano un gruppo di persone vaccinate…

DANILO PROCACCIANTI …vabbè ma non è possibile…

ANDREA CASADIO – MEDICO E GIORNALISTA “DOMANI” ..con lo Sputnik da 3 a 6 mesi, con un gruppo di vaccinati con il vaccino Pfizer sei mesi prima. Secondo lei il livello di anticorpi più alto dove sarà?

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Lo Spallanzani ha definito i dati «estremamente incoraggianti e il presidente Putin ha commentato: «Lo studio dell’Istituto Spallanzani ha dimostrato che il vaccino russo Sputnik è il migliore di tutti nel neutralizzare Omicron».

DANILO PROCACCIANTI Quel memorandum ha prodotto appunto uno studio criticatissimo, perché c'era un paragone che non stava in piedi.

ANDREA ANTINORI – DIRETTORE SANITARIO SPALLANZANI ROMA Lo studio è attualmente sottoposto alla revisione di una rivista scientifica internazionale di vaccinologia.

DANILO PROCACCIANTI Come si fa però a paragonare i livelli di anticorpi in persone vaccinate in momenti diversi? ANDREA ANTINORI – DIRETTORE SANITARIO SPALLANZANI ROMA Se lei legge bene l'articolo, non c'è nessun reale confronto con i sieri dei vaccinati, con il vaccino pfizer che poi eravamo noi e che eravamo i nostri operatori sanitari. DANILO PROCACCIANTI Perché non utilizzare persone che erano state vaccinate nello stesso lasso di tempo?

ANDREA ANTINORI – DIRETTORE SANITARIO SPALLANZANI ROMA Perché avevamo a disposizione quei campioni.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Ad aprile 2021 il Brasile rifiuta lo Sputnik. Parlano di “rischi inerenti” e “gravi difetti” nella sua composizione, nonché una mancanza di informazioni su sicurezza, qualità ed efficacia. Ma il difetto più pericoloso è che l’adenovirus presente nel siero può riprodursi. Proprio in quel contesto allo Spallanzani si sarebbero mostrati disponibili ad analizzare delle fiale di Sputnik provenienti da San Marino.

RICERCATRICE ANONIMA Ci hanno chiesto di verificare se nel vaccino Sputnik che hanno fatto arrivare da San Marino ci fosse l’adenovirus infettante ed è una cosa che non era di nostra competenza ma dell’Istituto Superiore di Sanità. La professoressa Capobianchi, direttrice del laboratorio disse “ditemi che devo fare con queste fiale: restituirle, distruggerle, perché è un’attività che non è legittimo che facciamo noi”.

DANILO PROCACCIANTI Era Vaia che vi aveva chiesto di esaminare lo Sputnik?

RICERCATRICE ANONIMA Si, San Marino si era messo d’accordo con Vaia. C’era una richiesta per verificare la conformità. Ma questo non potevamo farlo noi. Pensi se dietro ci fosse stata una cosa losca e avessero riscaldato le fiale o inattivato il virus infettante e poi noi gli avremmo dato un parere di conformità positivo. Avrebbero usato il nostro nome per ripulire le loro cose. Che ne sappiamo noi di quelle fiale che ci ha mandato San Marino? DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Lo Spallanzani, avvertì sia l’Aifa sia l’Istituto superiore della sanità di aver ricevuto da San Marino la “richiesta di esaminare la capacità replicativa” del virus contenuto nello “Sputnik”. Li avverte però quando già le fiale erano già in laboratorio. A quel punto Vaia scrive a San Marino che può esaminare la capacità replicativa del virus ma che “i test non rappresentano una valutazione di conformità”

ANDREA ANTINORI – DIRETTORE SANITARIO SPALLANZANI ROMA Noi non potremo mai esprimere un parere di conformità. Tutt'al più avremmo potuto valutare se c'era un adenovirus replicante in quel campione o meno.

DANILO PROCACCIANTI Ma arrivarono queste fiale? Con quale protocollo?

ANDREA ANTINORI – DIRETTORE SANITARIO SPALLANZANI ROMA Questo tipo di ricerca non fu svolta.

DANILO PROCACCIANTI Ma arrivarono o no?

ANDREA ANTINORI – DIRETTORE SANITARIO SPALLANZANI ROMA Io non le so dire di più su questo. Però comunque non fu una parte di lavoro che fu svolta.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Tra lo Spallanzani e i russi c’è stato un rapporto strettissimo. Questo documento che vi mostriamo in esclusiva era un accordo tra EVAg, l’archivio europeo dei virus, l’Istituto Spallanzani, e il Vector, l’istituto di ricerca russo. È il 14 aprile 2020, nel pieno della missione russa a Bergamo. Lo ha firmato l’allora direttore scientifico dello Spallanzani, Giuseppe Ippolito. Grazie a questo contratto i russi ottengono i preziosi campioni di coronavirus vivo. È un contratto ambiguo: da un lato c’è scritto che si tratta di materiale finalizzato alla sola ricerca, per usi commerciali si sarebbe dovuto stipulare un altro contratto, ma in fondo c’è scritto che sarà utilizzato per lo sviluppo del vaccino.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Insomma avevano bisogno del virus vivo e qualche campione glielo abbiamo dato noi. In particolare l’ex direttore scientifico dello Spallanzani, Giuseppe Ippolito, oggi direttore generale del ministero della Salute, aveva firmato un accordo con l’istituto scientifico Vector russo. Un accordo in base al quale, se poi si fosse concretizzato in prodotto commerciale il materiale che gli avevamo messo a disposizione, si sarebbe dovuto rivedere il contratto e riconoscere anche delle royalties allo Spallanzani. Poi effettivamente l’istituto Vector ha fabbricato un vaccino, l’EpiVacCorona, e però di royalties non se ne sono viste e particolare non trascurabile, il Vector è controllato dallo Stato russo, così come il Gamaleya. Chi esclude che non ci sia stata poi una collaborazione tra scienziati russi, visto che anche il capo del laboratorio del Gamaleya aveva detto che era grazie a un italiano che erano riusciti a fabbricare il vaccino, e che poi non abbiano fabbricato lo Sputnik senza riconoscere anche qui delle royalties. In sintesi, che cosa è successo? Che i russi sono venuti qui per aiutarci, i risultati sono stati un po’ scarsini, e forse anche gratis. Ma il ministero della Salute tutto questo lo sapeva? Perché lo Sputnik, lo abbiamo visto, era uno strumento fondamentale. Era al centro della mission della rete occulta “altintern” fondata dall’oligarca Malofeev, e poi c’era anche stata un’esperta nel corso della missione “Dalla Russia con amore” in Italia, che aveva sottolineato come si stesse costituendo un nuovo ordine mondiale e dunque il vaccino era strumento strategico. Appare chiaro che alla guerra ci si stesse preparando da tempo, così come da tempo ci si fosse attrezzati con il controspionaggio. E infatti esattamente un anno dopo la missione dalla Russia viene espulso per un brutto caso di spionaggio l’addetto militare Nemudrov, lo stesso che aveva chiamato il 5 marzo il nostro ministero della Difesa, si era offerto a dare aiuti militari, lo stesso che si era occupato della logistica della missione “Dalla Russia con amore”, uomo che ha contatti con esponenti del partito politico della Lega. Ora viene coinvolto in un caso di spionaggio di documenti secretati della Nato. Una vicenda che ci riporta indietro nel tempo, ai tempi della guerra fredda, quando le ideologie non solo dividevano i vivi, ma anche i morti.

Affare Spallanzani-Sputnik, ecco il documento che prova che il virus ai russi l’abbiamo dato noi (gratis). ANDREA CASADIO su Il Domani l'8 maggio 2022

Da tempo sosteniamo che all’inizio della pandemia di Covid-19, tra marzo e aprile 2020, i ricercatori italiani dell’Istituto Spallanzani hanno consegnato gratis il coronavirus “vivo”, che erano riusciti ad isolare e mettere in coltura tra i primi al mondo, agli scienziati russi, che così hanno potuto sviluppare i due vaccini russi di stato - Sputnik V e EpiVacCorona.

Nel Material Transfer Agreement sottoscritto dai dirigenti russi dell’istituto Vector, che stavano richiedendo il virus, e dai dirigenti italiani dell’Istituto Spallanzani, che glielo stavano fornendo, c’è scritto nero su bianco che gli scienziati russi potevano utilizzare il virus isolato allo Spallanzani per “sviluppare mezzi per la diagnosi, la prevenzione, e il trattamento del Covid-19”, cioè per sviluppare farmaci e vaccini, al fine di “migliorare la sorveglianza e la risposta contro il Covid-19 nella Federazione Russa”.

In altre parole, i russi hanno utilizzato il materiale virale dello Spallanzani per produrre vaccini al fine di combattere meglio la pandemia nel loro paese. E cosa abbiamo ottenuto in cambio noi italiani? Semplice: nulla. 

ANDREA CASADIO. È medico, giornalista e autore tv. Ex docente universitario ed ex ricercatore di neuroscienze alla Columbia University di New York, ha partecipato agli studi sulla memoria che hanno permesso a Eric Kandel, capo del laboratorio, di ottenere il premio Nobel per la Medicina nell'anno 2000. Ha collaborato come inviato e autore televisivo a varie trasmissioni (Turisti per caso, Sciuscià, Velisti per caso, Annozero, Servizio pubblico, Piazzapulita).

NATALIA PSHENICHNAYA E ALEKSANDR SEMENOV. La strana coppia dell’affare Sputnik: chi sono realmente i due “scienziati” russi di Putin? ANDREA CASADIO su Il Domani l'08 maggio 2022.

Per capire meglio l’oscuro affaire Italia-Russia, è utile raccontare chi sono le due figure chiave in questa vicenda: Natalia Yurievna Pshenichnaya e Aleksandr Vasiliev Semenov.

I due non hanno pubblicato un solo articolo di rilievo sulle riviste scientifiche più autorevoli, invece hanno sono stati autori di molti articoli di geopolitica, che pare essere il loro interesse principale.

La loro tesi è che la pandemia ha costituito un nuovo ordine mondiale in cui gli Usa hanno perso il ruolo di leader e al cui vertice stanno la Russia e la Cina, le nazioni che hanno contrastato meglio delle altre il Covid-19.

(Adnkronos il 20 aprile 2022. ) - La Nato è preoccupata dalle operazioni condotte dalla Russia in Italia nel quadro dell'emergenza coronavirus. Lo ha sottolineato al 'Corriere della Sera' il Comandante Supremo dell'Alleanza Atlantica in Europa, il generale americano Tod Wolters, senza entrare nel merito delle decisioni del governo italiano, ma dicendo di essere "molto, molto focalizzato su quelle transazioni" che sono "fonte di preoccupazione".

 Il generale ha messo in guardia l'Italia chiedendole di "prestare una strettissima attenzione alla maligna influenza russa", ribadendo che la Nato "resta molto, molto vigile rispetto a quelle transazioni" e "continua a monitorarle al massimo grado".

Andrea Casadio per “Domani” il 5 maggio 2022.

Ora lo possiamo affermare con certezza: a marzo 2020, i ricercatori italiani dell’Istituto Spallanzani hanno consegnato il Coronavirus vivo, che erano riusciti ad isolare e mettere in coltura tra i primi al mondo, agli scienziati russi, che così hanno potuto sviluppare i due vaccini sovietici di stato: Sputnik V e EpiVacCorona. 

Riassumiamo la vicenda. Il 29 gennaio 2020 due turisti cinesi provenienti da Wuhan in visita a Roma si ammalano e sviluppano i sintomi tipici del Covid - febbre alta e polmonite bilaterale. 

Vengono ricoverati all’istituto Spallanzani di Roma, e qui in pochi giorni un team di scienziati guidati dalla dottoressa Maria Capobianchi, direttrice del laboratorio di virologia, riesce a isolare dai due il Coronavirus, a metterlo in coltura e a sequenziare il suo genoma.

In quei giorni, a inizio pandemia, isolare il virus in coltura significava avere a disposizione un materiale biologico preziosissimo a cui ambivano tutti i laboratori di ricerca pubblici e privati del pianeta. Fino a quel momento, solo tre altri laboratori – uno cinese, uno statunitense e uno inglese – erano riusciti a farlo. 

Perché era così importante avere il virus in coltura a quel tempo? Per poter studiare come esso infettasse le nostre cellule in vitro e capire i meccanismi della malattia, ma soprattutto per produrre farmaci e vaccini contro il Covid.

Chi riesce a mantenere il virus in coltura possiede una vera e propria fabbrica inesauribile di materiale genetico che può utilizzare per produrre in massa un vaccino; poi, può verificare se gli anticorpi e l’immunità indotta da quel vaccino riescono a neutralizzare il virus che cresce in quelle stesse colture, e se ciò accade, può iniziare a testarlo sull’uomo. 

Gli scienziati dello Spallanzani possedevano una  miniera d’oro. Il direttore scientifico dell’ospedale, Giuseppe Ippolito, l’aveva detto chiaramente: «L’isolamento del virus è un passo fondamentale che permetterà di mettere a punto un vaccino».

«Quando a febbraio 2020 noi dell’Istituto Spallanzani abbiamo isolato il coronavirus e siamo riusciti a metterlo in coltura e poi a sequenziarlo», mi dice la dottoressa Maria Capobianchi, «la sequenza dell’intero genoma è stata pubblicata sulla piattaforma di condivisione Gisaid, disponibile per tutto il mondo scientifico. 

Si chiama Inmi-1, (che sta per Istituto Nazionale Malattie Infettive, lo Spallanzani) e chiunque sia registrato su Gisaid la può vedere e scaricare. L’isolato iniziale, sempre denominato Inmi-1, è stato messo da noi a disposizione della comunità scientifica internazionale tramite biorepository certificate di condivisione di ceppi, come EvaG in Europa e Bei per gli USA. Su richiesta, con motivazione scientifica, è stato dato per studiarlo».

E voi l’avete fornito a qualcuno? 

«L’abbiamo dato a una ventina di laboratori». 

Anche russi? 

«Sì, l’abbiamo fornito a Vector, il centro di ricerca statale russo». 

Quando ho saputo questa notizia sono trasalito. «L’avete dato ai russi dell’Istituto Vector?»

«La condivisione dei ceppi delle sequenze tra organizzazioni impegnate nella ricerca sicuramente ha giocato un ruolo fondamentale nello sviluppo dei vaccini e dei monoclonali», risponde la dottoressa Capobianchi. «Non c’è niente di losco o demoniaco nella condivisione, purché ovviamente sia trasparente e regolamentata». 

Quindi, l’Istituto statale di ricerca russo Vector attraverso EvaG ha avuto in maniera «trasparente e regolamentata» il prezioso ceppo virale Inmi-1, isolato dai ricercatori dello Spallanzani. Ma questo fatto ormai ammesso nasconde molte ambiguità.

Per capirle bisogna spiegare che cos’è EvaG, e che cos’è l’istituto Vector. 

EvaG, che sta per European Viral Archive Global – cioè Archivio Virale Europeo Globale – è un’organizzazione non profit che gestisce un "repository”, cioè una specie di biblioteca online che comprende tutti i virus del mondo e tutti i ceppi di ogni virus, isolati da singoli laboratori scientifici sparsi nelle varie nazioni.

Il loro motto è: “Il miglior modo per ottenere materiale virale nella comunità scientifica!” Si rivolgono all’EvaG sia istituti di ricerca pubblici – come laboratori di università dei vari paesi – che sfogliano il suo catalogo online poi richiedono un virus per studiarlo, sia aziende private –come le compagnie farmaceutiche – che richiedono un determinato materiale virale, per esempio, per produrre un vaccino.

Ogni volta che un ente pubblico o privato richiede un materiale virale all’EvaG, deve sottoscrivere con esso un cosiddetto MTA, cioè un Material Transfer Agreement, ovvero un Accordo di Trasferimento di Materiale, nel quale c’è scritto che non può consegnare quel materiale ad altri, e viene stabilita una cifra in denaro da versare al laboratorio che ha isolato quel virus. 

Se un virus viene richiesto dagli scienziati di un laboratorio per ricerche senza scopo di lucro (mettiamo che vogliano studiare se possa infettare le cellule cerebrali dell’uomo), allora quel laboratorio deve pagare da contratto una cifra irrisoria, che copre giusto le spese di spedizione e di mantenimento del prezioso materiale. 

Se volete il virus dello Spallanzani per fare ricerche dovete pagare all’EvaG solo 2000 euro.  Se invece viene richiesto da una casa farmaceutica che a partire da quel prezioso virus in coltura progetta di sviluppare un vaccino, allora questa intenzione deve essere messa nero su bianco in un MTA che in questo caso viene definito "Industrial”, cioè “industriale”, e la casa farmaceutica si impegna a pagare una cifra sostanziosa e a versare royalty sulle vendite del futuro vaccino a chi quel virus l’ha isolato. 

Quando il gruppo di ricerca del quale facevo parte a fine anni Novanta sequenziò un gene che in un mollusco marino e nel ratto sembrava controllare la formazione della memoria a lungo termine, una compagnia farmaceutica chiese di utilizzarlo per ricavare un ipotetico farmaco contro l’Alzheimer, ma prima dovette pagare alla mia università alcuni milioni di dollari di diritti.

E adesso bisogna spiegare cos’è il Centro di Ricerca russo Vector, che a marzo 2020 ha richiesto, e ottenuto, da EvaG un prezioso campione del Coronavirus isolato dalla Spallanzani, e con esso le istruzioni su come mantenerlo in coltura in vitro. 

Il Centro Nazionale di Indagini di Biologia e Biotecnologie Vector è uno degli istituti di ricerca biologica statale più grande di tutta la Russia. Si trova a Koltsovo, nell’oblast di Novosibirsk, in Siberia. 

È stato fondato nel 1974 e faceva parte del sistema di laboratori per la guerra biologica denominato Biopreparat.

Dentro i suoi grigi edifici sono stati creati virus capaci di produrre tossine, si sono studiati batteri letali e varie sostanze tossiche per il sistema nervoso usate come veleni durante la guerra fredda. I suoi edifici sono circondati da uno spesso muro di cinta guardato a vista ancor oggi da un distaccamento militare. 

Con il crollo dell’Unione Sovietica, il Vector è stato gradualmente riconvertito, almeno sulla carta, in un laboratorio di ricerca come tutti gli altri.

Nel 1990 il Vector è diventato il centro di virologia e microbiologia più grande e moderno dell’Unione Sovietica, superando i 4.500 addetti. 

Oggi possiede laboratori di ricerca di microbiologia, virologia e biologia molecolare adatti anche per i più alti livelli di rischio biologico, e ospita una delle collezioni di virus vivi più complete al mondo, che include esemplari di virus pericolosissimi come l’Ebola, il virus Marburg e quello della SARS, ed è uno dei due soli laboratori al mondo – assieme a quello del Cdc americano –  autorizzato a conservare esemplari del virus del vaiolo. Però ci sono alcuni problemi. 

Il primo problema è che l’Istituto Vector ha un record di sicurezza non proprio cristallino. Nel 1998, il dottor Nikolai Ustinov, che ci lavorava, morì dopo essersi punto accidentalmente con una siringa piena di virus Marburg: stava cercando di sviluppare un missile mortale caricato con quel virus che potesse essere usato per bombardare gli Usa.

Nel 2004, la dottoressa Antonina Presnyakova morì dopo essersi punta accidentalmente con un ago contaminato dal virus Ebola mentre stava cercando di sviluppare un vaccino. 

Il 17 settembre 2019, in una sala di decontaminazione del Vector dove venivano conservati ceppi di virus dell’epatite e dell’influenza aviaria, un’esplosione di gas ferì gravemente uno scienziato e provocò la dispersione di molti virus. 

«Saranno anche i più moderni di tutta la Russia, ma i laboratori del Vector hanno apparecchiature antiquate che noi in occidente usavamo trent’anni fa», confessa un biologo che quei luoghi li conosce bene.

Ma il problema fondamentale è un altro. «Vuoi sapere quanti studi di ricerca di base di buon livello hanno pubblicato negli ultimi vent’anni gli scienziati del Vector?», chiede ironicamente un illustre virologo di fama mondiale che preferisce restare anonimo.  «Zero, nessuno. Perché all’Istituto Vector fanno pochissima ricerca di base, cioè non studiano come funzionano i virus, ma fanno solo ricerca applicata, cioè producono scoperte che abbiano un uso commerciale». 

Negli ultimi anni gli scienziati del Vector hanno brevettato un sistema di diagnosi per il virus HIV e un altro per quello dell’epatite B, hanno prodotto molecole quali l’interferone alfa 2, da utilizzare come farmaco immunostimolante, o farmaci antivirali come il Ridostin, efficace contro l’influenza, hanno sviluppato un vaccino contro l’epatite A e uno contro l’Ebola.

Insomma, il Vector sulla carta figura come un insieme di laboratori di ricerca simili a quelli di una qualsiasi università occidentale, ma invece è una compagnia farmaceutica che per di più dipende dallo Stato, visto che è sotto il diretto controllo del Servizio Federale di Supervisione della Protezione e del Benessere del Consumatore, il Rospotrebnadzor, il quale a sua volta è controllato direttamente dal governo russo, cioè dal presidente Putin. 

E così il Vector, una compagnia farmaceutica di Stato mascherata, a marzo 2020 richiede allo Spallanzani, tramite l’EvaG, i preziosi campioni del coronavirus che i nostri scienziati italiani erano riusciti ad isolare. Per farci cosa?

A fine gennaio 2020, Sergey Krayevoy, viceministro della Salute russo, l’aveva spiegato chiaro e tondo in una intervista alla Tass, l’agenzia di stampa ufficiale governativa: «Abbiamo cominciato a lavorare sul vaccino, ma prima dobbiamo risolvere alcune questioni fondamentali. Primo, ci serve un modello sperimentale animale appropriato. Secondo, ci serve il virus vivo. Stiamo cercando di ottenere dai compagni cinesi il materiale biologico che ci serve».

Per avere il virus, a febbraio 2020, Putin aveva inviato a Wuhan due tra i più noti scienziati russi: Natalia Pshenichnaya, vicedirettrice dell’Istituto centrale di ricerche epidemiologiche, e Aleksandr Semenov, dell’Istituto Pasteur di San Pietroburgo, entrambi membri del Rospotrebnadzor, la struttura sanitaria civile a cui il presidente Putin aveva affidato il contrasto all’epidemia.

Facevano parte di una delegazione internazionale dell’Oms, e intendevano visitare ospedali e laboratori cinesi per ottenere il virus: però, i compagni cinesi avevano proibito loro l’accesso a quelle strutture, avevano secretato ogni informazione, e soprattutto il virus ai russi non lo avevano dato mai. E così, i russi lo hanno chiesto allo Spallanzani, che glielo ha dato. 

A questo punto resta da chiarire una questione fondamentale. Quando l’istituto Vector ha richiesto i campioni di Coronavirus vivo allo Spallanzani, l’ha fatto in qualità di istituto di ricerca di base – cosa che risulta solo sulla carta – oppure in qualità di compagnia farmaceutica di Stato- cosa che è in realtà? 

Perché se ha dichiarato che quel virus gli serviva per ricerca di base avrebbe dovuto sborsare solo poche migliaia di euro, ma se invece avesse dichiarato che gli serviva per sviluppare il vaccino avrebbe dovuto sottoscrivere un MTA industriale, e versare royalties probabilmente multimilionarie allo Spallanzani.

Perché un vaccino contro il Coronavirus, se funziona, è un business assicurato, dato che puoi di sicuro venderlo in miliardi di dosi. 

«Glielo abbiamo dato gratis, questo è il problema», mi confida un alto dirigente dello Spallanzani. 

Quindi i russi non hanno pagato nulla, non hanno firmato un accordo in cui fosse scritto che avrebbero usato quel virus per sviluppare un vaccino e che quindi avrebbero dovuto pagare una cifra probabilmente multimilionaria allo Spallanzani? 

«Sì. E di sicuro non l’hanno deciso la dottoressa Capobianchi e il team che ha isolato il virus», mi risponde il dirigente.

Se uno è uno scienziato, sa bene che dietro alla facciata dell’Istituto Vector si nasconde un’azienda di Stato, e che se gente di quell’istituto ti chiede il Coronavirus lo fa chiaramente per sviluppare un vaccino a fini commerciali, e guadagnare un mucchio di soldi. 

«Beh, cosa sia effettivamente il Vector uno scienziato che abbia dimestichezza di questa cose lo sa, sono d’accordo con lei», mi dice. 

Allora, questa decisione è stata presa più in alto, in base a considerazioni geopolitiche?, chiedo interessato.

«E’ stato un accordo tra governi», ammette il mio interlocutore. 

L’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha fatto pressioni affinché il virus fosse consegnato ai russi? E ignorava quale valore commerciale avesse? Oppure lo sapeva benissimo e glielo ha dato lo stesso? 

Il mio interlocutore sorride, si stringe nelle spalle e commenta: «Con tutte le dosi di Sputnink che i russi hanno venduto avremmo potuto fare un bel po’ di soldi anche noi».

A quell’epoca chi fosse riuscito a sviluppare per primo un vaccino contro il Coronavirus ne avrebbe guadagnato anche un grande prestigio politico. Il presidente Putin in persona ci teneva moltissimo. Fatto sta che a metà marzo 2020 gli scienziati russi dell’Istituto Vector chiedono allo Spallanzani un prezioso campione di Coronavirus isolato in coltura, e lo Spallanzani glielo dà, ma si tratta di una leggerezza imperdonabile: è incredibile che questo passaggio di materiale sia avvenuto senza alcun tipo di accordo formale tra i due enti, che regolamentasse in quale modo questo potesse essere utilizzato.

Il fatto che sia rimasto tutto nascosto per due anni sembra una conferma che qualcuno abbia fatto di tutto perché questa cosa non venisse alla luce. 

E non bisogna dimenticare che molti degli scienziati dello Spallanzani che avevano isolato il Coronavirus, poi, se ne sono andati dall’Istituto: forse perché si trovavano in una posizione scomoda, o non erano d’accordo sulla linea tenuta?

Insomma, quel prezioso e pericolosissimo campione di virus vivo isolato allo Spallanzani viene sigillato dentro a un contenitore ultra-sicuro, e viene consegnato agli scienziati russi, probabilmente verso la fine di marzo, se a metà marzo gli scienziati russi dicono di non possedere alcun campione del virus vivo. 

Ma proprio il 22 marzo 2020, erano atterrati in Italia, a Pratica di Mare, tredici quadrireattori Ilyushin con a bordo 106 persone- 28 medici, 4 infermieri, due civili e tutto il resto militari- e un gran numero di mezzi attrezzati e camion, che facevano parte della missione Dalla Russia con amore.

Li guidava il generale Sergej Kikot, capo del corpo di guerra chimica-batteriologica della Difesa russa, ed erano venuti, si dice, a portarci aiuti contro la pandemia. 

In un primo tempo, la lista degli autorizzati allo sbarco comprendeva solo 104 nomi, ma all’ultimo momento, dopo una telefonata personale tra l’allora premier Giuseppe Conte e il presidente Vladimir Putin, i nomi dei due civili erano stati aggiunti a penna alla lista degli ‘ospiti’ ufficiali.

I due ospiti ‘speciali’ in più erano proprio Natalia Pshenichnaya e Aleksandr Semenov, gli illustri virologi alti dirigenti del Rospotrebnadzor, la struttura sanitaria che coordina la lotta all’epidemia, e che controlla l’Istituto Vector: proprio quelli che il presidente Putin aveva inviato a Wuhan per procurarsi il virus, e che erano tornati a mani vuote.

Probabilmente, il prezioso campione di Coronavirus vivo isolato allo Spallanzani è stato consegnato proprio nelle mani di Natalia Pshenichnaya e Aleksandr Semenov, visto che erano i rappresentanti dell’Istituto Vector in Italia e si trovavano a Roma, e poi loro l’hanno caricato su uno degli aerei russi parcheggiato a Pratica di Mare, che è partito per la Russia, destinazione Mosca e poi Novosibirsk, dove ha sede il Vector.

Ma assieme all’isolato virale gli scienziati dello Spallanzani hanno ovviamente fornito ai colleghi russi le istruzioni per l’uso e il mantenimento di quelle colture – su quali linee cellulari cresce il virus, quali sostanze nutritive vanno aggiunte al cosiddetto medium di coltura perché il virus possa crescere, eccetera-, altre informazioni di valore inestimabile. 

Probabilmente, Natalia Pshenichnaya e Aleksandr Semenov le hanno lette, e così hanno imparato come metterlo in cultura, nozioni che prima non conoscevano. 

Gli stessi Pshenichnaya e Semenov, poi, a capo della convoglio di uomini e autocarri Kamaz, alcuni dei quali trasportavano laboratori mobile per l’isolamento dei virus, si sono diretti verso il nord Italia, a Bergamo - il luogo al mondo in cui allora infuriava con maggiore forza l’epidemia: e qui i russi si sono messi a perlustrare freneticamente ospedali e residenze per anziani, all’apparenza per sanificarle. E invece noi supponiamo volessero procurarsi altri preziosi esemplari del virus vivo, e magari campioni delle nuove varianti mutate sorte nel frattempo, che ora sapevano come coltivare.

Gli stessi due scienziati, Pshenichnaya e Semenov, sempre loro, hanno anche supervisionato l’accordo siglato a marzo 2021 con lo Spallanzani di Roma per le ricerche sul vaccino Sputnik. 

In ogni caso, a marzo 2020, i due maggiori istituti di ricerca russi, il Vector a Novosibirsk e il Gamaleya a Mosca, partono a macchine avanti tutta per produrre i due vaccini di stato russi - l’EpiVacCorona e lo Sputnik V. Hanno utilizzato il virus dello Spallanzani? Quasi sicuramente sì, ma non lo potremo provare mai. 

"Così Conte ignorò gli allarmi di militari e 007". Pier Francesco Borgia il 22 Aprile 2022 su Il Giornale.

Il responsabile Difesa di Fi: "Inesperto e inadeguato sulla missione russa".  

Onorevole Perego, lei è stato nominato responsabile del dipartimento Difesa di Forza Italia. Cosa rappresenta questa nomina?

«Non solo mi onora ma è un ulteriore stimolo a fare di più per quello che i fatti di questi ultimi mesi dimostrano essere un settore strategico per il Paese».

Come giudica l'aumento del budget militare annunciato dal premier?

«Forza Italia da tempo si muove verso questa direzione. La nostra politica ha una lunga storia iniziata proprio con il compianto Antonio Martino, straordinario ministro della Difesa e appassionato sostenitore dell'Alleanza atlantica».

Il conflitto in Ucraina ha forti ripercussioni nella nostra politica interna e ora non si parla che del «Russiagate».

«Già due anni fa, nel corso di audizioni informali alla Camera dei Deputati, del capo di Stato Maggiore della Difesa Vecciarelli e del Comandante del comando operativo di Vertice Interforza Portolano, osservavo che mi sembrava quantomeno poco opportuna la missione di medici e militari russi nel nostro territorio, sia pur in un momento eccezionale come quello della pandemia di Covid-19».

Si riferisce ai medici russi venuti a studiare i primi malati di Covid?

«Era una missione sicuramente improntata a una nobile causa ma lasciava aperte molte incognite sulla sua opportunità».

I vertici Nato e più in generale i partner occidentali cosa pensarono della missione russa?

«Di sicuro sono rimasti perplessi. Nella loro missione i delegati russi dovevano visitare strutture sanitarie e Rsa. Le varie articolazioni della Difesa incluso il Ministero, misero in allerta Palazzo Chigi sul fatto che era bene controllare i russi e scortarli ed evitare come invece fu richiesto l'accesso ad edifici pubblici. E nondimeno che la loro visita era fonte di imbarazzo e preoccupazione».

E cosa fece Palazzo Chigi?

«Conte preferì non dare corso a questi allarmi. Per fortuna l'intervento della Difesa fu provvidenziali e venne vietato l'accesso ai luoghi sensibili. Però l'episodio rappresenta un segno di inadeguatezza politica del ruolo che Conte si è assunto oltre alla beffa di aver pure speso tre milioni per l'intera missione russa (rimborso carburante aerei e vito alloggio ai militari)».

Conte non doveva tenere per sé la delega ai Servizi segreti?

«Ritengo poco logico che un premier senza esperienza politica tenga per sé la delega dei Servizi. Forse Conte non si è accorto che quanto stava accadendo rappresentasse quello che nel gergo militare si chiama Stratcom abbinato al soft power, volto ad indebolire le relazioni dell'Italia con l'Occidente».

Timori Usa nelle carte segrete: Conte ondivago e filorusso. Stefano Zurlo il 21 Aprile 2022 su Il Giornale.

Lo sconcerto nel dossier del 2020 anche per i militari da Mosca: "L'Italia deve difendere i propri interessi".

Le liti fra Renzi e Conte, le critiche dei partiti italiani ai decreti sulla pandemia, poi all'improvviso una frase sibillina che non passa inosservata al Dipartimento di Stato: «L'Italia deve ora più che mai definire e difendere i suoi interessi nazionali».

Un testo che fotografa lo sbandamento di quel periodo e non a caso viene sottolineato da una manina, non si capisce bene se alla partenza, a Roma, o all'arrivo, a Washington.

Certo, quelle poche righe firmate il 29 aprile 2020 dall'allora ambasciatore in Italia Lewis Eisenberg colgono, sia pure con sottigliezza diplomatica, la confusione e l'imminente fine di un'epoca caratterizzata dalle giravolte e dalle capriole di Giuseppe Conte.

Conte, come raccontato anche ieri dal Giornale, si accredita presso Trump che nel 2019 incorona Giuseppi sul campo. L'Italia sviluppa una politica estera a dir poco avventurosa: il capo del Dis Gennaro Vecchione incontra a cena il ministro della giustizia americano Bill Barr che cerca nella penisola le fantomatiche prove del Russiagate.

Contemporaneamente l'Italia sposa, in perfetta solitudine fra i partner occidentali, la Via della seta, strumento di penetrazione commerciale e strategica di Pechino, e riceve un aiuto, persino eccessivo e sempre più sospetto, da Putin che invia un poderoso contingente militare per combattere il Covid a Bergamo.

L'ambasciatore registra tutto, monitora gli scontri all'arma bianca fra Conte e Renzi che alla fine sarà l'artefice del cambio a Palazzo Chigi e dell'arrivo di Draghi. Ancora, Eisenberg riporta i pareri degli editorialisti e cerca di trasferire negli Usa il clima e gli umori che respira nella capitale.

Ma qua e là affiorano i giudizi e le previsioni, tutte sottolineate nei documenti trasmessi a Washington. «L'Italia deve ora più che mai definire e difendere i suoi interessi nazionali». In un momento in cui certo il Paese è sotto l'attacco durissimo del Covid, esploso fra Codogno e Bergamo, ma è anche protagonista con Conte di una politica estera a dir poco ondivaga.

Eisenberg, nei documenti declassificati, tradotti e studiati dal professor Andrea Spiri, docente di storia dei partiti politici alla Luiss, si sbilancia con una sorta di profezia che si avvererà: «È probabile che questo governo non duri a lungo». All'orizzonte, per Eisenberg «c'è un governo tecnico». Insomma, nella primavera del 2020, in piena e drammatica emergenza sanitaria, l'ambasciatore americano capta l'arrivo di Mario Draghi, anche se il suo sarà in realtà un esecutivo di unità nazionale.

Spiri evidenzia poi un altro frammento del report, relativo alla missione dei russi a Bergamo per aiutare la popolazione alle prese con la pandemia. Sulla carta il team è formato da medici e infermieri, ma Eisenberg ha ben chiaro che si tratta di «soldati russi», come è emerso sempre più nettamente nelle ultime settimane. Quando si è capito che Conte aveva allargato con una certa disinvoltura il perimetro d'azione dei russi. Per Eisenberg però il capitolo è ormai chiuso: «Nessuna regione italiana ha chiesto il loro intervento». E la loro partenza per Mosca è imminente.

Non c'è alcun commento formale, ma a Washington devono essere soddisfatti per la mancata proroga. E la sottolineatura è un modo per enfatizzare il dettaglio sconcertante di quel viaggio che, due anni dopo, è al centro di polemiche e retroscena per il dilettantismo mostrato da Conte nei delicati rapporti internazionali. Ma per Conte non c'è nulla di strano né di misterioso: «Non sono emersi elementi di spionaggio, i sanitari russi non hanno mai travalicato i confini, ho sempre perseguito l'interesse nazionale - afferma l'ex premier, ospite di Liili Gruber a Otto e mezzo - L'incontro con Barr, poi, è stato studiato e preparato, i nostri servizi non gli hanno aperto l'archivio. Non sono stato né disinvolto né disattento».

Il piano di 'bonifica' nelle missive. Missione russa in Italia, le mail segrete tra ambasciata e Farnesina: “Mezzi speciali nei luoghi infetti, costi a carico del governo”. Carmine Di Niro su Il Riformista il 19 Aprile 2022. 

“Dalla Russia con amore” e forse con l’obiettivo di mettere in moto una operazione di spionaggio contro un Paese che era appena finito nel vortice della prima ondata di Covid-19. Con la pubblicazione di alcune email inviate nel marzo 2020 dall’ambasciata di Mosca a Roma per pianificare l’arrivo dei 130 uomini destinati alla missione ‘sanitaria’ in Italia emergono dettagli che aumentano ancora i dubbi sulla reale natura della missione russa.

A dare conto di queste email è oggi il Corriere della Sera in un articolo di Fiorenza Sarzanini, in cui si evidenzia chiaramente l’intenzione russa di “bonificare” le strutture pubbliche italiane, così come della necessità da parte del governo di coprire le spese del contingente spedito nel nostro Paese.

“Sono state preparate brigate mediche con impianti e attrezzature necessarie per prestare assistenza d’urgenza e curare gli ammalati. Si prevede di inviare i mezzi speciali per la disinfestazione di strutture e centri abitati nelle località infette”, si legge in una mail inviata alle 8,48 del 22 marzo 2020.

Insomma, gli accordi previsti tra l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il numero uno del Cremlino Vladimir Putin era diversi da quelli poi rivelati, anche alla luce della scarsità di materiale effettivamente trasportato in Italia con l’obiettivo della presunta “bonifica”, alimentando così ulteriormente il sospetto che le reali intenzioni russe fossero di ben altro tipo.

Anche i toni russi nelle mail sono perentori, da ultimatum: “Attendiamo risposte alle domande entro tre ore sui canali diplomatici a Roma o a Mosca”. Risposta affermativa che chiaramente è arrivata, dato poi lo sbarco in Italia del contingente russo a Pratica di Mare.

Nelle comunicazioni inviate Mosca pianifica di effettuare dal 22 marzo al 15 aprile una serie di voli da Soci allo scalo militare italiano per il trasporto di “personale medico, dispositivi di protezione, attrezzatura medica e i mezzi per la lotta contro il Coronavirus”. Arrivi con cadenza quotidiana: “Il decollo del primo aereo è programmato per le ore 14 di Mosca poi a seguire a distanza di un’ora altri quattro aerei. Attualmente si stanno preparando alla partenza 123 persone e 7 mezzi. Fra gli specialisti russi ci saranno 12 interpreti di lingua italiana per poter assicurare la comunicazione immediata con gli esperti italiani”.

Come ormai noto, tra i 104 nomi messi a disposizione da Mosca i medici e infermieri erano in realtà solamente 28, guidati tra l’altro da un generale dell’esercito, Sergey Kikot, vice comandante del reparto di difesa chimica, radiologica e biologica dell’esercito russo.

Anche i costi della missione, emerge dalle email pubblicate dal Corriere, erano a carico dell’Italia. Nelle note inviate dall’ambasciata si chiede infatti di “provvedere al servizio terrestre aeroportuale nonché al refueling fino a 50 tonnellate di combustibile a titolo di cortesia”, oltre al “rifornimento gratuito degli aerei russi presso gli aeroporti italiani per il volo di ritorno e sull’esenzione dalle tasse di aeronavigazione, pagamento del parcheggio e altri servizi aeroportuali”.

Non solo. Anche tutte le altre spese relative alla permanenza in Italia del contingente russo è stato a carico del nostro governo, come viene chiarito da una successiva nota: “Ci auguriamo che le questioni di vitto alloggio e supporto alla vita dei medici russi siano risolte dalla parte italiana, come pure la messa a disposizione di materiali consumabili necessari, per esempio per il funzionamento degli apparecchi di ventilazione artificiale dei polmoni che saranno portate dalla Russia”.

Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia

L’accordo segreto Italia-Russia: «Mezzi speciali nei luoghi infetti». Fiorenza Sarzanini su Il Corriere della Sera il 19 Aprile 2022.  

Le mail riservate inviate dall’ambasciata di Mosca per pianificare l’arrivo dei voli e dei 130 uomini destinati alla missione anti Covid del marzo 2020. 

«Sono state preparate brigate mediche con impianti e attrezzature necessarie per prestare assistenza d’urgenza e curare gli ammalati. Si prevede di inviare i mezzi speciali per la disinfestazione di strutture e centri abitati nelle località infette». Sono le 8.48 del 22 marzo 2020. Dalla Farnesina viene trasmessa una nota verbale inviata dall’ambasciata russa. Comunica ai funzionari del ministero, del governo e della Protezione civile il contenuto della missione in arrivo da Mosca. E così svela che i russi avevano avvisato il governo italiano dell’intenzione di «bonificare» dal virus le strutture pubbliche ottenendo il via libera. Ma anche che l’Italia aveva accettato di sostenere tutte le spese per l’arrivo di 130 persone.

Le mail per l’accordo

Sono proprio le mail e gli altri documenti raccolti durante l’indagine del Copasir a rivelare nuovi e clamorosi retroscena di quella missione cominciata nel marzo del 2020, poche settimane dopo che l’Italia era entrata in pandemia e durata due mesi. Svelando come i termini dell’accordo tra l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte e quello della Federazione russa Vladimir Putin fossero ben diversi da quanto è stato poi rivelato. Certamente il materiale sanitario era insufficiente rispetto alle esigenze e questo alimenta il sospetto che l’obiettivo dei russi fosse l’attività spionistica e non — come era stato dichiarato — l’aiuto umanitario. Anche perché sin dalla prima mail la loro condizione era ultimativa: «Attendiamo risposte alle domande entro tre ore sui canali diplomatici a Roma o a Mosca». Risposte che sono state evidentemente affermative, visto che poi sono atterrati in Italia i primi 11 velivoli militari. E l’Italia ha fornito un programma così come era stato concordato sin dall’inizio visto che nel testo si sottolinea come «per programmare il volo e svolgere i lavori umanitari servono le informazioni sugli aeroporti di arrivo e le località in cui saranno inviati gli specialisti russi».

I voli pianificati

Il documento trasmesso per via diplomatica rivela dettagli di un’operazione impossibile da pianificare in poche ore. Viene infatti specificato che «secondo le intese raggiunte durante il colloquio telefonico tra il presidente della Federazione russa Vladimir Putin e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ai fini di prestare aiuto nella lotta contro il coronavirus, la parte russa pianifica di effettuare quotidianamente dal 22 marzo al 15 aprile sulla rotta Soci-Pratica di Mare-Soci i seguenti voli speciali». Viene indicato l’elenco degli aerei e il nome dei comandanti. Poi si specifica che «gli aerei trasportano il personale medico, i dispositivi di protezione, l’attrezzatura medica e i mezzi per la lotta contro il coronavirus» evidenziando anche che «i voli sono quotidiani dal 22 marzo al 15 aprile 2020». E ancora: «Il decollo del primo aereo è programmato per le ore 14 di Mosca poi a seguire a distanza di un’ora altri quattro aerei. Attualmente si stanno preparando alla partenza 123 persone e 7 mezzi. Fra gli specialisti russi ci saranno 12 interpreti di lingua italiana per poter assicurare la comunicazione immediata con gli esperti italiani».

La lista della spesa

Ufficialmente l’operazione era stata accettata per ottenere mascherine e ventilatori, all’epoca introvabili in Italia. Una missione umanitaria, secondo la versione fornita all’epoca dal governo italiano. Il testo dell’accordo rivela invece che sin dall’inizio l’Italia sapeva di dover pagare tutte le spese. Un conto, si è scoperto adesso, di oltre tre milioni di euro. Scrivono i russi: «L’ambasciata sarà grata a codesto ministero se vorrà provvedere ad ottenere dell’autorità competenti italiane l’autorizzazione per il sorvolo del territorio italiano e lo scalo sull’aeroporto di Pratica di Mare. Si prega altresì di provvedere al servizio terrestre aeroportuale nonché al refueling fino a 50 tonnellate di combustibile a titolo di cortesia. Contiamo sul rifornimento gratuito degli aerei russi presso gli aeroporti italiani per il volo di ritorno e sull’esenzione dalle tasse di aeronavigazione, pagamento del parcheggio e altri servizi aeroportuali». Non solo. Nell’accordo viene specificato che anche tutte le altre spese relative alla permanenza dei russi nel nostro Paese saranno a carico del governo italiano. Nella lettera all’ambasciata se ne parla come un auspicio, ma il tono non lascia adito ad altre opzioni: «Ci auguriamo che le questioni di vitto alloggio e supporto alla vita dei medici russi siano risolte dalla parte italiana, come pure la messa a disposizione di materiali consumabili necessari, per esempio per il funzionamento degli apparecchi di ventilazione artificiale dei polmoni che saranno portate dalla Russia».

Putin e l’operazione Sputnik in Italia1: lo Spallanzani isola il Coronavirus. ANDREA CASADIO su Il Domani il 06 aprile 2022

A febbraio 2020, gli scienziati dell’Istituto Spallanzani prelevano i campioni prelevati dei due turisti cinesi, e in sole quarantotto ore riescono ad isolare il virus responsabile del Covid-19, che verrà poi denominato Sars-CoV-2: sono tra i primi al mondo a farlo.

Chi possiede una coltura cellulare nella quale si riproduca un virus, specialmente se si tratta di un virus nuovo e sconosciuto, possiede un tesoro perché su quel virus vivo può effettuare ogni tipo possibile di sperimentazione. Ma soprattutto, solo se hai a disposizione il virus vivo in coltura puoi produrre un vaccino.

Gli scienziati dello Spallanzani avevano isolato il virus vivo, e noi italiani avremmo potuto sviluppare un vaccino o nuovi farmaci. Ma non siamo riusciti a fare né uno né l’altro. L’Italia ha quasi rinunciato alla competizione, oppure ha scelto di favorire altri paesi. Indovinate quali, e perché.

08/01/2021 Roma, Reithera azienda specializzata in biotecnologie, con sede alle porte di Roma, sta lavorando sul vaccino anti-Covid GRAd-CoV2, che rappresenta la risposta italiana ai vaccini di Pfizer e di Moderna. Dopo la fase 1 di sperimentazione il vaccino Reithera ha dimostrato di essere sicuro e di avere capacita' di indurre risposta immunitaria, come confermato dal direttore scientifico dell'Ospedale Lazzaro Spallanzani di Roma. Nella foto i ricercatori al lavoro nei laboratori con una fiala di vaccino anti-Covid GRAd-CoV2

Putin e l’operazione Sputnik in Italia 2: Ecco cosa cercavano gli scienziati russi a Bergamo. ANDREA CASADIO su Il Domani il 07 aprile 2022

Se vuoi sviluppare un vaccino contro un virus ti devi prima procurare quel virus vivo e poi metterlo in coltura per fare gli esperimenti. E dove è più facile trovarlo? Dove ce n’è di più. Nel marzo 2020, l’Italia era il paese al mondo con il più alto numero di casi di Covid.

A metà marzo, l’allora presidente del Consiglio Conte chiama Putin e concorda con lui un piano di aiuti. I russi organizzano una spedizione e vanno a Bergamo. A fare cosa? I russi a Bergamo sono riusciti a ottenere un campione di virus vivo? O qualcuno gliel’ha passato?

Gli scienziati russi dell’Istituto statale Gamaleya da marzo 2020 si mettono a sviluppare il vaccino contro il Covid, mentre gli scienziati dello Spallanzani, che avevano isolato il virus in coltura ed erano pronti a sviluppare un vaccino dai primi di febbraio, non fanno nulla.

Putin e l’operazione Sputnik in Italia 3: Gli interessi diretti dello zar e dell’Istituto Gamaleya. ANDREA CASADIO su Il Domani l'08 aprile 2022

All’Istituto statale Gamaleya, a Mosca, un team di scienziati guidati dal dottor Denis Logunov ha sviluppato il nuovo vaccino russo contro il coronavirus, chiamato Sputnik V, in pochi mesi, da marzo ad agosto 2020. Hanno fatto tutto da soli? Oppure qualcuno li ha aiutati?

Per sviluppare un vaccino contro un virus, devi prima isolarlo in coltura. Vladimir Gutschin, scienziato del Gamaleya, ha raccontato che fino a metà marzo non erano riusciti a isolare il coronavirus e che non sapevano come coltivarlo. Invece, nostri scienziati allo Spallanzani l’avevano isolato e messo in coltura da inizio febbraio: qualcuno ha insegnato ai russi come fare, o gli ha passato il virus?

Fatto sta che gli scienziati russi in breve tempo sono riusciti a sviluppare il loro vaccino Sputnik V, mentre gli scienziati dello Spallanzani che per primi avevano isolato il virus sono stati costretti a interrompere le loro ricerche.

Quella strana sintonia tra lo Spallanzani e Mosca che solo la guerra ha cancellato. ANDREA CASADIO. su Il Domani il 9 aprile 2022

Alcuni scienziati dell’Istituto romano erano pronti a sviluppare un vaccino italiano, ma qualcuno faceva il tifo per Mosca.

Tutti si aspettavano che gli alti dirigenti e il team di scienziati dello Spallanzani, che a febbraio 2020 avevano isolato il coronavirus per primi in Europa venissero in qualche modo premiati.

Molti di loro sono stati invece messi ai margini, e qualcuno dentro allo Spallanzani si è messo a fare il tifo per il vaccino russo Sputnik V.

La collaborazione tra lo Spallanzani e l’Istituto russo Gamaleya è continuata tra mille dubbi fino al 25 febbraio di quest’anno.

Putin e l’operazione Sputnik in Italia: il parallelo con le manovre russe in Argentina sul vaccino. ANDREA CASADIO su Il Domani l'11 aprile 2022

Quando, a inizio dell’anno 2020, scoppiò la pandemia di COVID-19, molte nazioni del mondo e le più grandi compagnie farmaceutiche si lanciarono in una corsa frenetica a chi produceva per primo il vaccino. La Russia di Vladimir Putin arrivò prima, col suo vaccino Sputnik V. Ma gli scienziati dell’Istituto Gamaleya che lo hanno sviluppato non hanno mai mostrato i dati relativi alla sua sicurezza e alla sua efficacia.

Allora come mai il governo dell’Argentina ha approvato il vaccino Sputnik e lo ha utilizzato per vaccinare i suoi concittadini? Il Cremlino ha esercitato pressioni affinché il governo di Buenos Aires approvasse il vaccino? E cosa gli ha dato in cambio in governo argentino?

La strategia del Cremlino è chiara. Dato che gli enti di supervisione internazionali sono giustamente esigenti, si rivolge a singoli Stati amici dove è più facile fare approvare lo Sputnik, e in cambio permette a quegli Stati di produrre in casa loro il vaccino. Tutti ci guadagnano, e tutti sono contenti.

ANDREA CASADIO. È medico, giornalista e autore tv. Ex docente universitario ed ex ricercatore di neuroscienze alla Columbia University di New York, ha partecipato agli studi sulla memoria che hanno permesso a Eric Kandel, capo del laboratorio, di ottenere il premio Nobel per la Medicina nell'anno 2000. Ha collaborato come inviato e autore televisivo a varie trasmissioni (Turisti per caso, Sciuscià, Velisti per caso, Annozero, Servizio pubblico, Piazzapulita).

Inchiesta su Sputnik e lo Spallanzani, invece di minacciare Domani Conte potrebbe leggerlo. STEFANO FELTRI, direttore, su Il Domani l'11 aprile 2022.

Il presidente dei Cinque stelle Giuseppe Conte pensa che il titolo di un mio editoriale sia diffamatorio (Perché il governo Conte ha asservito la ricerca italiana sul Covid alla propaganda russa?). Bene, io penso che il suo intervento a Non è l’arena di Massimo Giletti su La7 sia diffamatorio. 

Non è la prima volta che l’ex presidente del Consiglio approfitta della visibilità che gli concede il suo ruolo per rispondere con insulti e velate minacce giudiziarie alle inchieste di questo giornale. 

Conte potrebbe almeno premurarsi di leggere i giornali che intende querelare. Se poi volesse fare un confronto con domande vere, non quelle di Giletti, noi siamo sempre disponibili.

Il presidente dei Cinque stelle Giuseppe Conte pensa che il titolo di un mio editoriale sia diffamatorio (Perché il governo Conte ha asservito la ricerca italiana sul Covid alla propaganda russa?). Bene, io penso che il suo intervento a Non è l’arena di Massimo Giletti su La7 sia diffamatorio. 

Non è la prima volta che l’ex presidente del Consiglio approfitta della visibilità che gli concede il suo ruolo per rispondere con insulti e velate minacce giudiziarie alle inchieste di questo giornale, senza rispondere nel merito, era già capitato un anno fa dopo le inchieste di Emiliano Fittipaldi sui compensi (veri) ricevuti da Conte nell’ambito del fallimento del gruppo Acqua Marcia, dei quali aveva parlato l’avvocato Piero Amara a verbale. Conte evidentemente ha questa idea dei giornali: se scrivono cose sgradite, si insulta invece di replicare nel merito.

Ma anche Giletti ha un’idea bizzarra di giornalismo, visto che il suo modo di riassumere un’inchiesta alla quale Andrea Casadio ha dedicato cinque puntate e oltre 100.000 battute (e io un editoriale di accompagnamento) è di questo tenore: «Su Domani, Feltri, direttore continua a dire che lei nasconde qualcosa, lei che risposta dà?».

Ora, neanche io saprei rispondere a una domanda così sconclusionata, ma Conte sì perché si era preparato il sermoncino e dice che lui mai si sarebbe permesso di parlarne “perché non voglio approfittare del mezzo televisivo”, ma poi ne approfitta.  E dice tre cose irrilevanti: che lui ne ha già parlato in una audizione (secretata) del Copasir, il comitato che vigila sui servizi segreti, che l’accordo tra l’istituto Spallanzani e il russo Gamaleya è dell’aprile 2021 (ma l’inchiesta di Casadio parte da fatti del marzo 2020) e che gli scienziati dello Spallanzani hanno condiviso con la comunità scientifica i dati sul sequenziamento del virus  del Covid.

Nessuna di queste informazioni c’entra con l’inchiesta di Casadio che ha ricostruito come la ricerca dello Spallanzani sul vaccino anti-Covid, partita a razzo nel marzo 2020, si interrompa di fatto dopo la strana missione militare russa voluta da Conte subito dopo la quale, guarda caso, i russi hanno il materiale genetico per iniziare a sviluppare il proprio vaccino farlocco, Sputnik V, mai autorizzato dalla Commissione europea o da altri paesi seri perché i russi non sono mai stati capaci di produrre evidenza scientifica a sostegno della sua efficacia.  

Conte dovrebbe spiegare cosa sono venuti a fare i russi, il fatto che la missione «non abbia travalicato l’ambito sanitario», come dice lui, è esattamente ciò che l’inchiesta di Casadio suggerisce: che il vero scopo fosse appunto mettere le mani sui campioni di virus che servivano per lavorare su Sputnik.

Niente di male a favorire la ricerca medica, specie durante una pandemia, ma come ha ricostruito Casadio qui si è subordinata la trasparenza della cooperazione internazionale in ambito scientifico alle esigenze di propaganda di Vladimir Putin, che con il fondo sovrano del governo era anche il primo investitore nel progetto Sputnik V.

Di questo dovrebbe parlare Conte, ma probabilmente non è consapevole di quello che i russi gli hanno fatto sotto il naso. All’epoca aveva la parziale giustificazione di essere molto impegnato a gestire l’emergenza ora che ha molto più tempo libero, potrebbe almeno premurarsi di leggere i giornali che intende querelare. Se poi volesse fare un confronto con domande vere, non quelle di Giletti, noi siamo sempre disponibili.

STEFANO FELTRIdirettore. Nato a Modena nel 1984. Ha studiato economia alla Bocconi con l’idea di fare il giornalista. Ha lavorato per la Gazzetta di Modena, Radio24, il Foglio, il Riformista e poi dal 2009 al Fatto Quotidiano, di cui è stato prima responsabile dell’economia e poi vicedirettore. Nell’estate 2019 si è trasferito negli Stati Uniti per lavorare e studiare alla University of Chicago - Booth School of Business, dove ha curato il sito ProMarket.org dello Stigler Center diretto dal professor Luigi Zingales. Ora è direttore di Domani.

Giuliano Foschini,Tommaso Ciriaco per “la Repubblica” il 2 aprile 2022.

Agostino Miozzo, allora membro del Comitato tecnico scientifico, ha raccontato: «Ci dissero che avevano carta bianca e intendevano sanificare tutti gli edifici, compresi quelli pubblici». «Sicuramente portarono nei territorio personale medico e attrezzature per la logistica. Ma provarono a fare anche altro e noi glielo impedimmo. Certo, che volessero cercare dati è assolutamente plausibile» ha spiegato invece l'ex capo di Stato maggiore, il generale Enzo Vecciarelli.

«Parliamoci chiaro », si è sfogato Luciano Portolano, che all'epoca guidava il Comitato operativo interforze, «quella missione era anomala da ogni punto di vista, ma quando lo segnalai venni preso per paranoico. Io l'avevo detto che era una cosa che non bisognava fare». 

Il racconto di alcuni dei protagonisti, sul fronte italiano, della spedizione "Dalla Russia con amore" - gli uomini arrivati da Mosca a marzo del 2020 per aiutare l'Italia, così aveva detto Vladimir Putin all'allora premier Giuseppe Conte, nella battaglia contro il Covid - ha convinto il Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza, che no, gli approfondimenti necessari sulla visita degli uomini di Mosca in Italia non erano da considerarsi chiusi. Così come lo stesso Conte aveva suggerito nei giorni scorsi dopo la sua audizione al Copasir.

Sono invece necessari ulteriori domande e approfondimenti. E per questo tra due settimane il Comitato ha deciso di ascoltare proprio Miozzo e i generali Vecciarelli e Portolano. Per sentire dalle loro voci cosa accadde in quei giorni. Che tipi di dubbi ebbero. E, soprattutto, se gli allora vertici della sicurezza nazionale presero, a partire dall'autorità delegata (il presidente Conte, per l'appunto) tutte le necessarie precauzioni per non mettere a rischio dati riservati per la sicurezza nostra e degli altri paesi Nato. 

Nella sua lunga audizione della scorsa settimana Conte si è detto sicuro di aver chiarito tutti i punti. In realtà tutti i membri del Comitato - su sollecitazione del segreta rio, il senatore Ernesto Magorno di Italia Viva - hanno ritenuto opportuno approfondire alcuni aspetti. L'ex premier ha spiegato, infatti, che fu lui a definire i dettagli dell'operazione con una telefonata con Vladimir Putin. Proprio alla vigilia di quel viaggio.

A Repubblica risulta che l'operazione fosse da tempo sul tavolo ma che dovesse riguardare soltanto l'invio di materiale sanitario: mascherine, dispositivi di protezione, ventilatori. Sabato 21 marzo ci fu invece una telefonata diretta tra i due presidenti e venne deciso l'upgrade. 

Nemmeno 24 ore dopo ventitré quadrireattori decollati da Mosca atterrarono, accolti con il tappeto rosso, in un aeroporto militare di un paese Nato. «Non esattamente una procedura standard» si lascia andare oggi una fonte. Anche perché quando i nostri uomini li videro sbarcare capirono immediatamente, dall'attrezzatura che trasportavano, che non si trattava di una visita di cortesia.

«Fummo sorpresi - ha detto al Foglio il generale Vecciarelli, che era lì sulla pista - e io per primo rimasi colpito dal dispiegamento di mezzi che scendevano dai velivoli russi. Non le nascondo che all'inizio ci fu anche una certa preoccupazione». La sensazione di Vecciarelli verrà confermata dagli uomini sul campo, che seguirono i russi passo passo. Il 7 maggio, poi, il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, interruppe la spedizione. Riducendo da circa 500 a 104 gli uomini russi arrivati in Italia. Il 7 maggio non era una data qualsiasi: i russi avevano appena annunciato di voler continuare il lavoro in Piemonte e in Puglia, dove c'era la base Nato di Amendola. Ma non fu consentito loro di sbarcare . 

Jacopo Iacoboni per “la Stampa” l'1 aprile 2022.

La nomina di Francesco Vaia a direttore generale dell'Istituto Spallanzani - formalizzata ieri dalla Commissione sanità della Regione Lazio - cade in uno dei momenti più controversi della storia dell'Istituto. Specialmente per quel che riguarda i fatti accaduti da quando proprio Vaia fu nominato direttore generale "facente funzione" (ossia nel gennaio 2021). Da allora succedono molte cose nebulose. 

Vaia ha dichiarato che «nell'ambito della collaborazione con l'Istituto russo Gamaleya è stato effettuato uno studio di laboratorio, condotto su sieri di soggetti vaccinati in Russia con il vaccino Sputnik V, regolarmente importati secondo le procedure autorizzative del ministero della Salute, sull'effetto neutralizzante in vitro di Sputnik contro la variante Omicron. Studio concluso ben prima degli eventi bellici e per il quale i costi sostenuti dall'Istituto ammontano a poche migliaia di euro, essendo stati i costi relativi alle trasferte delle tre colleghe russe sostenuti dalle istituzioni russe». 

Ma secondo quanto risulta a La Stampa, tre ricercatrici russe erano già state allo Spallanzani nell'estate del 2021 e hanno condotto ricerche non solo su Omicron (che allora non c'era), ma testando neutralizzazioni dei ceppi virali Delta e Alfa con i sieri dei vaccinati russi. Dei risultati di quello studio non si sa più nulla, perché? 

Il direttore del dipartimento clinico, Andrea Antinori, ha ammesso nell'ottobre scorso in tv che furono fatte le prove di neutralizzazione del ceppo Delta, fornendo anche un dato sull'efficacia di Sputnik, «l'82 per cento rispetto all'88 di Pfizer, quindi un risultato molto buono». Di questa attività non esiste a oggi alcun riscontro scientifico (articolo, preprint, presentazione a convegni). Quelle tre russe non tornarono mai più allo Spallanzani.

Furono rimpiazzate. Da San Pietroburgo, per le prove su Omicron (avvenute nell'inverno 2021 a Roma) mandarono altre tre ricercatrici, diverse. Forse i risultati iniziali non erano piaciuti? 

Non è chiaro perché lo Spallanzani abbia continuato a testare l'efficacia dello Sputnik anche a dicembre scorso, quando era ormai certo non solo che Ema non aveva autorizzato il vaccino russo, ma anche che non lo avrebbe autorizzato. Lo Spallanzani ha ricevuto ieri una serie di nostre domande dettagliate, alle quali per ora non ha risposto. 

«La collaborazione è stata di natura puramente scientifica, del tutto scevra da qualsiasi considerazione di natura politica o di altra natura», dice il direttore scientifico Enrico Girardi. Eppure nel Memorandum firmato (aprile 2021) tra Spallanzani, assessorato alla sanità della Regione e i russi (Gamaleya e Fondo russo) si legge anche che i test sarebbero stati fatti in vista della «integrazione di Sputnik V nella campagna vaccinale italiana»: come poteva lo Spallanzani dire questo, che è cosa di competenza esclusivamente governativa?

Ieri Roberto Speranza ha scaricato completamente quell'accordo coi russi, quando ha precisato che «rientra tra le iniziative autonome di collaborazione internazionale dei nostri istituti di ricerca, ed è stato comunque sospeso». 

Invece l'assessore alla sanità regionale, Alessio D'Amato, il primo marzo 2021, pretendeva addirittura che Ema si sbrigasse: «Su Sputnik l'Ema acceleri le procedure. O intervenga l'Aifa», tuonava. «Si sta chiedendo di evitare le pastoie burocratiche. Sarebbe utile che Aifa prendesse in esame la possibilità di autorizzare in emergenza il vaccino Sputnik V».

«La collaborazione con i russi non ha comportato alcun trasferimento di dati personali», assicura ora lo Spallanzani. Solo i ceppi virali dell'Istituto sono stati usati dai russi: ma per quale motivo darglieli visto che le sequenze dei virus isolati sono disponibili su database internazionali (tipo Gisaid) pubblicamente disponibili? 

Pfizer e Moderna hanno sviluppato il loro vaccino sulla base della sequenza del virus isolato a Wuhan e caricato su Gisaid nel gennaio 2020. I russi invece l'hanno sequenziato a partire dal virus contratto da un russo che si era ammalato in Italia il 15 marzo. E da lì nacque Sputnik, nei giorni esatti della missione "Dalla Russia con amore".

Dopo la nomina di Vaia a "dg facente funzione" è impressionante l'esodo dallo Spallanzani di dirigenti, ricercatori, personale in posizione apicale. Situazioni certo diverse, ma un patrimonio inestimabile di talenti che l'istituto viene a perdere. Escono, con diverse ragioni ma escono, Marta Branca, direttore generale, Giuseppe Ippolito, direttore scientifico, Roberto Noto, direttore amministrativo, Nicola Petrosillo, responsabile del dipartimento clinico, Maria Rosaria Capobianchi, responsabile del dipartimento preclinico e direttore del laboratorio di virologia, Antonino di Caro, responsabile del laboratorio di microbiologia, Roberta Nardacci, responsabile della microscopia elettronica, Alessia de Angelis, responsabile degli infermieri.

E Concetta Castilletti, responsabile dell'Unità Virus emergenti, la donna che assieme a Capobianchi e a Francesca Colavita aveva isolato il coronavirus nel gennaio 2020. Vaia ha anche precisato - a proposito dell'offerta di 250 mila euro fatta a un dirigente dell'Istituto da parte di funzionari di stato russi (l'offerta, rivelata da La Stampa, fu rifiutata dal dirigente) - «per quanto mi risulta, attraverso le informazioni acquisite, non fu sporta alcuna denuncia. Ove emergessero elementi anche di solo sospetto, non esiterei ad intraprendere tutte le azioni legali a tutela dell'Istituto». Che non ci sia una denuncia non significa naturalmente che il fatto non sia stato segnalato alle autorità competenti.

Lorenzo De Cicco per “la Repubblica” il 31 marzo 2022.

«Visti con le lenti di oggi, quegli incontri con la delegazione russa sembrano sospetti. In Italia stava nascendo l'asse gialloverde e può essere che a Mosca cercassero un contatto per avere informazioni sulle politiche energetiche del nostro Paese. E sarò sincera, in convegni così, tanti russi insieme, con ruoli importanti, non li avevo mai visti».

A parlare è Pinuccia Montanari, assessora all'Ambiente nella giunta di Virginia Raggi dal 2016 al 2019. 

Nel giorno in cui l'ex sindaca prova a smarcarsi dalle accuse di filo-putinismo, dopo avere rilanciato nelle chat grilline post e video in cui il governo ucraino viene bollato come «eterodiretto da Usa e Ue» e sostenuto da «battaglioni nazisti», l'ex assessora, vicina a Beppe Grillo, rivela i dettagli di due incontri con una delegazione del governo di Mosca nel 2018. Il primo a fine aprile, mentre si formava l'asse Lega-M5S; il secondo a inizio settembre, quando il Conte I era già operativo da 3 mesi. 

È questo il clima quando, il 20 e 21 aprile 2018, in Campidoglio vengono ricevuti Anton Kulbachevskiy, capo del Dipartimento russo per la gestione delle risorse naturali e l'ambiente, e la sua vice Evgeniya Semutnikova. Sono gli unici rappresentanti di uno Stato estero, a parte il Vaticano, nel convegno organizzato da Raggi e Icef (International Court of the Environment Foundation). Come ricorda Amedeo Postiglione, direttore dell'Icef, «fu la delegazione russa a proporsi. 

Nelle riunioni preparatorie, il Campidoglio aveva ipotizzato di aprire l'evento anche a rappresentanti russi. E a Mosca si mostrarono interessati, anche rispetto ad altri paesi che invitammo, ma poi non furono presenti». La visita a Roma fu ricambiata con un invito in Russia pochi mesi dopo. Il 6 e 7 settembre, Montanari partì alla volta di Mosca per partecipare al "Climate Forum of Russian Cities". «Eravamo costantemente controllati, perfino se salissimo sulla macchina giusta - ricorda Montanari - Durante un colloquio con una giornalista non autorizzata, mi si avvicinarono 4 signori per fermarmi.

Erano dei servizi, credo». Montanari - che ci tiene a sottolineare: «Sto con Zelensky » - avvalora il sospetto che da parte russa potessero esserci all'epoca altri interessi, «ma noi ci occupammo solo di clima, c'erano anche delegazioni di altre città europee». Racconta un altro ex assessore, che chiede l'anonimato: «Non attribuirei certo a Raggi complotti con Mosca. Semplicemente, le relazioni internazionali del Campidoglio erano tutte improvvisate». 

È possibile che qualcuno, fuori, se ne sia approfittato, contando sul fatto che in quel momento sindaco e premier fossero dello stesso partito? Raggi rigetta l'etichetta: «Non sono filo-putiniana: in Ucraina c'è un aggressore, la Russia », scrive sui social dopo la pubblicazione della chat. Che conferma: «Ho condiviso le analisi sulle tensioni tra Russia e Ucraina che aveva fatto, fin dal 2014, l'ex parlamentare Ue Tamburrano», poi suo collaboratore in Comune. A qualcuno, in Campidoglio, la risposta non basta. Carlo Calenda chiede di sfiduciare Raggi dalla presidenza della Commissione Expo 2030. Iv, con Luciano Nobili e altri, già raccoglie le firme. Il Pd è in imbarazzo: «Raggi chiarisca».

Francesco Verderami per il “Corriere della Sera” il 31 marzo 2022.

Il caso della missione russa in Italia ai tempi del Covid non è chiuso, anzi deve ancora aprirsi. Fonti qualificate della Difesa e dell'Intelligence rivelano che nel marzo del 2020 è stata evitata un'azione di spionaggio da parte di Mosca, i cui obiettivi erano le basi dell'aeronautica militare di Ghedi in Lombardia e di Amendola in Puglia. 

Il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica è pronto ad approfondire quanto accadde «prima durante e dopo» l'accordo tra l'allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte e Vladimir Putin, che nei giorni più drammatici della pandemia offrì assistenza sanitaria a Roma tranne poi inviare solo 28 medici, 4 infermieri e ben 72 militari, molti dei quali appartenenti al servizio segreto delle Forze Armate russe.

La scorsa settimana, nell'intervista a Fiorenza Sarzanini per il Corriere della Sera , Conte aveva respinto «dubbi e insinuazioni», spiegando che «i direttori delle Agenzie di intelligence Aise e Aisi hanno assicurato che non c'è mai stata attività impropria» da parte dei russi. Tesi ribadita davanti al Copasir. 

Ma proprio un esponente del Copasir, Enrico Borghi, membro della segreteria pd, in una dichiarazione all'Eco dell'Ossola ha commentato: «È per l'impegno della nostra sicurezza se quella missione ha avuto un esito non problematico. Dire che non ci sono stati problemi, infatti, non significa che non ce ne sarebbero potuti essere. E se non ce ne sono stati è perché c'è stato chi li ha evitati».

Così si torna ai due mesi in cui la colonna militare con le insegne della Federazione iniziò a scorrazzare per la Lombardia. Secondo il New Yorker , grazie a quella spedizione Mosca avrebbe elaborato il vaccino Sputnik, ricavandolo dal Dna di un cittadino russo ammalatosi di Covid in Italia. In ogni caso c'è (molto) altro. Al convoglio inviato da Putin venne assegnata una scorta di militari italiani. 

A deciderlo fu il generale Luciano Portolano, che all'epoca guidava il Comando Operativo Interforze e aveva avuto uno scontro con il generale Sergej Kikot, capo della missione «Dalla Russia con amore». Dinnanzi alle insistenze di Kikot, che sosteneva di potersi muovere «su tutto il territorio italiano» in base a un «accordo politico di altissimo livello», Portolano rispose altrettanto duramente: «Qui siamo in Italia e si fa come (bip) dico io». Il comandante del COI - raccontano più fonti della Difesa - stabilì le regole d'ingaggio, in base alle quali i russi si sarebbero dovuti mantenere «ad almeno cinquanta chilometri dai siti sensibili».

Le stesse fonti rilevano come Portolano, in successivi colloqui operativi della Difesa, avesse paventato i rischi di un'operazione ibrida. Il primo indizio si ebbe quando i russi proposero di sanificare un'area del bresciano nelle vicinanze di Ghedi. Lì c'è una base dell'aeronautica militare italiana - nella quale opera il 61.mo Stormo - che nei piani dei sovietici ai tempi della Guerra Fredda era considerata un obiettivo da distruggere, perché in una parte riservata all'aviazione statunitense sarebbero state custodite una dozzina di bombe nucleari. La richiesta di Kikot venne ovviamente respinta, mentre alla Difesa saliva l'insofferenza verso «gli ospiti».

Già il titolare del dicastero, Lorenzo Guerini, non aveva accettato di buon grado la missione di Mosca e aveva ridotto da 400 a 104 unità il suo contingente. A maggio decise di rimandare tutti a casa. Accadde dopo che i russi chiesero di spostarsi in Puglia, regione a loro assai cara perché - questa fu la tesi - è la terra di san Nicola, venerato anche dagli ortodossi, al punto che Putin donò una statua del santo e la fece porre davanti alla basilica di Bari. Le motivazioni religiose furono il secondo (e decisivo) indizio che l'obiettivo di Kikot non fosse quello di sanificare il territorio.

A parte il fatto che l'epicentro della pandemia continuava a essere la Lombardia, e che in Puglia i casi di Covid erano limitati, proprio in quella zona c'era un altro «sito sensibile»: Amendola, il maggior aeroporto militare italiano, dov' è di stanza il 32.mo stormo con le macchine tecnologicamente più avanzate. Gli F-35. Era il momento di dire ai russi «dasvidania». Non è ancora il momento di dire che il caso è chiuso.

"Si fa come c... dico io". Così il generale paralizzò i russi in Italia. Federico Garau l'1 Aprile 2022 su Il Giornale.

Proseguono le ipotesi sulla missione russa in Italia. Da un lato viene garantito che l'operazione fu svolta in sicurezza, dall'altro ci sono fonti che alimentano i sospetti.  

Si torna a parlare della missione russa in Italia, avvenuta lo scorso marzo 2020, quando il nostro Paese stava cercando da solo di affrontare i primi effetti della diffusione del Sars-Cov-2. Viene ancora esaminato il ruolo ricoperto dai russi entro i nostri confini nazionali e, secondo quanto riportato da Il Corriere, alcune fonti della Difesa e dell'Intelligence italiana ribadirebbero il fatto che all'epoca fu evitato un tentativo di spionaggio.

In particolare, stando sempre alle fonti citate dal Corriere, gli obiettivi sarebbero stati le basi dell’aeronautica militare di Ghedi in Lombardia e di Amendola in Puglia. Da qui la decisione del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica di proseguire con le indagini.

Interpellato più volte sull'argomento, anche solo per il fatto di essere stato lui, in quanto premier, a prendere accordi con il presidente Vladimir Putin all'epoca, Giuseppe Conte ha respinto ogni insinuazione o dubbio sulla questione, ribadendo anche al Corriere che "i direttori delle Agenzie di intelligence Aise e Aisi hanno assicurato che non c’è mai stata attività impropria" da parte dei russi. La stessa tesi è stata riportata anche dinanzi al Copasir. E allora perché oggi si parla addirittura di spionaggio?

Ad alimentare i sospetti è stato Enrico Borghi, membro della segreteria del Partito Democratico, che all’Eco dell’Ossola ha dichiarato: "È per l’impegno della nostra sicurezza se quella missione ha avuto un esito non problematico. Dire che non ci sono stati problemi, infatti, non significa che non ce ne sarebbero potuti essere. E se non ce ne sono stati è perché c’è stato chi li ha evitati". Anche il New Yorker fa delle insinuazioni, andando ad affermare che i russi sarebbero riusciti a mettere a punto il vaccino Sputnik grazie alla loro spedizione in Italia.

Di certo sappiamo che ai russi arrivati nel nostro Paese fu assegnata una scorta di militari italiani, come disposto dal generale Luciano Portolano, a quel tempo alla guida del Comando Operativo Interforze. Il Corriere parla di uno scontro fra lui ed il generale Sergej Kikot, capo della delegazione russa. Stando a certe ricostruzioni, Kikot avrebbe voluto muoversi su tutto il territorio italiano in base a un "accordo politico di altissimo livello", ma il generale Portolano si oppose. "Qui siamo in Italia e si fa come (bip) dico io", sarebbe stata la sua risposta. Ai russi, dunque, fu imposto di stare "ad almeno cinquanta chilometri dai siti sensibili".

Le fonti citate dal Corriere, infine, riportano che il generale Portolano aveva paventato i rischi di un'operazione definita come "ibrida". Fra i sospetti, il fatto che i russi avessero proposto di sanificare un’area del bresciano nei pressi di Ghedi, dove si trova la base dell’aeronautica militare italiana in cui opera il 61.mo Stormo. Ai russi fu impedito di procedere, mentre la Difesa italiana cominciava a manifestare un certo nervosismo.

Poi fu la volta della Puglia, dove la delegazione russa chiese di svolgere un'operazione di sanificazione. Nella Regione si trova Amendola, il maggior aeroporto militare italiano in cui opera il 32.mo stormo. Fu allora che, stando a certe ricostruzioni, Lorenzo Guerini, rappresentante Pd e ministro della Difesa, decise di far tornare a casa i russi. Guerini non ha mai fatto mistero delle proprie idee relative alla missione russa in Italia, fin dall'inizio decise di intervenire, facendo ridurre le unità dalle 400 iniziali a 104.

Il mistero delle sei scienziate russe allo Spallanzani. Luca Sablone l'1 Aprile 2022 su Il Giornale.

I forti timori sulle sei ricercatrici russe: possono aver carpito informazioni riservate? Il sospetto: "In tre furono rimpiazzate. Mosca era delusa dai risultati iniziali?"

La missione anti-Covid promossa dalla Russia in favore dell'Italia continua a impregnarsi di perplessità, dubbi e sospetti. Da Mosca sono arrivati aiuti sanitari al solo scopo di sostenere il nostro Paese contro l'emergenza Coronavirus che stava dilagando o dietro c'era un secondo (ma primario) obiettivo? Domande che dividono il mondo della politica, tra chi scommette sulla bontà russa e chi non esclude addirittura l'ipotesi spionaggio nonostante le smentite e la rassicurazioni del caso.

Ma a tutto ciò si aggiunge un'altra questione, relativa all'accordo siglato il 13 aprile 2021 tra l'ospedale Spallanzani di Roma e il centro di ricerca Gamaleya di Mosca. Si tratta di uno dei centri storici per la ricerca scientifica in Russia che svolge la sua attività sin dal 1891: tra le altre attività svolge quella di sviluppare mezzi per la terapia e prevenzione delle infezioni virali e batteriche.

Fuga di dati?

Si è arrivati a un memorandum d'intesa su cooperazione scientifica e scambio di materiali e conoscenze. Le parti hanno raggiunto un accordo, decidendo collaborare in una serie di settori cruciali. Tra questi rientrano due punti chiave: la pianificazione congiunta e conduzione di studi clinici con l'impiego del vaccino Sputnik V "ivi compresi studi di combinazione con altri vaccini contro il Covid-19", oltre che "testare l'efficacia del vaccino in singoli gruppi della popolazione o sottogruppi specifici" e nella diffusione di nuovi ceppi. A darne notizia ufficiale era stata l'Ambasciata della Federazione Russa in Italia.

Dunque i lavori sullo Sputnik sono andati avanti ed è proprio questa la fonte di principale preoccuppazione: le sei ricercatrici russe possono essere entrate in possesso di informazioni riservate? La direzione dell'ospedale tiene a precisare che tutto è stato regolare. Una voce di conforto arriva anche da Alessio D'Amato, assessore regionale del Lazio, secondo cui "non c'è stata alcuna violazione o fuga di dati" anche perché il lavoro "mirava soltanto ad avere maggiori competenze per combattere la pandemia".

La sperimentazione

Il Corriere della Sera riporta le parole del professor Andrea Antinori: il direttore del Dipartimento clinico e di ricerca ha fatto sapere che sì sono stati effettuati studi sullo Sputnik, ma che "non c'è stata alcuna sperimentazione perché non è arrivata l'approvazione". Anche lui ha tenuto a garantire che "nessun dato sensibile è stato reso noto" poiché ci si è limitati ad acquisire una serie di informazioni per la ricerca "che saranno oggetto di pubblicazioni e condivisioni, proprio come accaduto con altri Paesi".

Secondo quanto risulta a La Stampa, tre ricercatrici russe sarebbero già state allo Spallanzani nell'estate del 2021 "e hanno condotto ricerche non solo su Omicron (che allora non c'era), ma testando neutralizzazioni dei ceppi virali Delta e Alfa con i sieri dei vaccinati russi". L'articolo a firma di Jacopo Iacoboni chiede conto dei risultati di quello studio: "Quelle tre russe non tornarono mai più allo Spallanzani. Furono rimpiazzate. Da San Pietroburgo, per le prove su Omicron (avvenute nell'inverno 2021 a Roma) mandarono altre tre ricercatrici, diverse. Forse i risultati iniziali non erano piaciuti?".

Incontri e viaggi

Stando a quanto riferito dal Corriere della Sera, nel documento si parlerebbe di contatti spontanei tra i due istituti che, nel corso del tempo, "hanno dato vita a incontri periodici". Motivo per cui sarebbe stato previsto "di programmare viaggi di professionisti esperti" che avrebbero potuto "partecipare operativamente alle attività di ricerca in modo da promuovere un proficuo scambio di conoscenze teoriche e pratiche".

Ieri il ministro della Salute Roberto Speranza, rispondendo a un'interrogazione al Senato, ha dichiarato che l'accordo di collaborazione (oggi sospeso) tra l'Istituto Gamaleya di Mosca e l'Inmi Spallanzani di Roma "rientra tra le iniziative autonome di collaborazione internazionale dei nostri istituti di ricerca". Per questo motivo ritiene "che la vicenda vada ridimensionata".

Giuliano Foschini per “la Repubblica” il 31 marzo 2022.

Lo «scambio di conoscenze Nicola Marfisi / AGF » non è mai avvenuto: i ricercatori di Mosca sono stati in Italia, quelli dello Spallanzani non hanno mai messo piede al Gameleya. Pur non avendo alcuna autorizzazione, né da Ema né da Aifa, si era immaginata una somministrazione di Sputnik in Italia, «al fine - si legge nel memorandum - di dimostrare l'efficacia e la sicurezza» del vaccino russo finanziato dal Fondo russo per gli investimenti diretti.

Infine, ma non per ultima, una strana coincidenza: subito dopo l'avvio del protocollo due dei più importanti dirigenti dello Spallanzani, la professoressa Maria Capobianchi, la donna che per prima ha isolato il Covid in Italia, e Nicola Petrosillo, l'infettivologo che ha curato i primi pazienti Covid, sono andati via. Anticipando la loro pensione. In polemica per la questione Sputnik, dicono alcuni. «Nessun commento», rispondono loro. 

La storia della sperimentazione - che poi sperimentazione non era - dello Sputnik in Italia, sulla base di un accordo firmato l'8 aprile del 2021 tra l'istituto Spallanzani di Roma e l'istituto Gamaleya di Mosca diventa sempre più un caso politico.

Perché se l'assessore alla Sanità, Alessio D'Amato, che ieri ha visto Franco Gabrielli, autorità delegata per la sicurezza in Italia, e che di quell'accordo è stato sponsor e firmatario, oggi rassicura tutti parlando di compattezza all'interno dell'istituto, «e della massima fiducia nel più importante Istituto di Malattie Infettive italiano», in realtà i punti ancora da chiarire sono molti. Tanto che al Copasir non escludono che sia necessario occuparsene. 

Ieri Repubblica ha raccontato come il memorandum prevedesse, tra le altre cose, che i russi potessero accedere «alle banche biologiche dell'Unione europea per gli agenti virali», che lo Spallanzani conserva. E come all'interno di quelle banche dati ci fosse anche materiale delicato per i paesi Nato, con gli studi su eventuali sieri contro le armi batteriologiche. 

I russi hanno avuto accesso a quei dati?

«Nulla di riservato è stato condiviso », assicura il direttore sanitario, Francesco Vaia, che nelle prossime ore dovrebbe essere nominato dalla Regione direttore generale nonostante la bufera. Ma non ci sono registri delle attività o documenti che possano testimoniare l'attività dei russi. Nessuno sa cosa hanno visto.

E cosa hanno preso. C'è altro, però. 

Nel memorandum era previsto un rapporto di reciprocità di informazioni. Che invece non c'è stato. Nessuno dello Spallanzani è stato a Mosca, nonostante fosse espressamente previsto. Di più: a leggere il memorandum appare chiaro che era stata prevista anche la possibilità di sperimentare lo Sputnik in Italia, con tre pianificazioni di studi clinici previste. Su campioni prima di 50-100 persone, poi di tremila fino a «grandi numeri». Tutto questo nonostante gli enti che avrebbero dovuto rilasciare le autorizzazioni non hanno mai aperto allo Sputnik. «Se non lo farà l'Europa, lo farà l'Italia. 

E sono non lo farà l'Italia lo farà il Lazio» diceva l'8 marzo l'assessore D'Amato, un mese prima di firmare il memorandum con Kirill Dmitriev, il direttore generale del Fmi, oggi in black list europea. E proprio la velocità con cui i dirigenti dello Spallanzani, meglio alcuni di essi, hanno avviato la collaborazione con Mosca ha colto di sorpresa molti all'interno dello stesso istituto. Ieri si è detto della pensione anticipata della professoressa Capobianchi.

Che gestiva i laboratori dove, a un certo punto, Vaia fece arrivare dosi di Sputnik da analizzare prese a San Marino. Stessa scelta fatta un anno fa, proprio nello stesso periodo, dal professor Petrosillo. L'infettivologo che aveva curato i primi malati. Perché professore ha scelto di andare in pensione un anno prima? Ha influito la vicenda Sputnik? «Sulla collaborazione con i russi non sono mai stato consultato. Leggevo sui giornali, mi dicevano che c'erano russi in istituto, ma nonostante fossi un capo dipartimento nessuno aveva ritenuto opportuno informarmi. Né mi è stato chiesto di condividere dati sui pazienti. Tutto nella regola, sia chiaro». È andato via per questo? «Non ho altro da dire ».

Inchiesta sull'ospedale Spallanzani, l’intesa con Mosca spinse all’addio due alti dirigenti. Giuliano Foschini e Clemente Pistilli su La Repubblica il 31 Marzo 2022. 

La storia della sperimentazione — che poi sperimentazione non era — dello Sputnik in Italia, sulla base di un accordo firmato l’8 aprile del 2021 tra l’istituto Sdi Roma e l’istituto Gamaleya di Mosca diventa sempre più un caso politico.

Lo "scambio di conoscenze" non è mai avvenuto: i ricercatori di Mosca sono stati in Italia, quelli dello Spallanzani non hanno mai messo piede al Gameleya. Pur non avendo alcuna autorizzazione, né da Ema né da Aifa, si era immaginata una somministrazione di Sputnik in Italia, "al fine — si legge nel memorandum — di dimostrare l’efficacia e la sicurezza" del vaccino russo finanziato dal Fondo russo per gli investimenti diretti.

Estratto dell'articolo di Clemente Pistilli e Giuliano Foschini per “la Repubblica” il 30 marzo 2022.

Cosa hanno consultato i ricercatori dell'istituto Gamaleya di Mosca, gli uomini del vaccino Sputnik, nei database dell'istituto Spallanzani di Roma? Hanno preso le cartelle cliniche dei pazienti ammalati di Covid, studiato i 120 ceppi conservati per sviluppare il vaccino come avevano dichiarato?

O hanno invece avuto anche accesso all'intera banca dati dell'Istituto nazionale per le malattie infettive che contiene, tra le altre cose, le ricerche sui sieri da utilizzare in caso di armi batteriologiche? Registri, tra l'altro, condivisi con i paesi della Nato?

Senza girarci troppo attorno, è questa la domanda che rimbalza in Italia e in molti paesi alleati. Una domanda la cui risposta reale sarà difficilissima da ottenere. Perché non ci sono registri di accesso, non c'è alcuna corrispondenza ufficiale, non ci sono relazioni sul lavoro svolto dai russi in Italia. Niente. 

C'è soltanto la certezza che i russi erano dentro lo Spallanzani - come ha raccontato Repubblica Roma - e una serie di punti interrogativi che partono da una data: l'8 aprile del 2021.

Quella mattina l'istituto romano firma un accordo di cooperazione scientifica con il Gamaleya, il suo omologo russo. A gestire l'operazione è Francesco Vaia, potentissimo direttore sanitario dell'istituto dal curriculum giudiziario accidentato - agli atti parlamentari c'è per esempio un'interrogazione del Movimento 5 Stelle che chiede come mai un soggetto «pluricondannato per reati di corruzione e doveri di atti d'ufficio, poi prescritti» e con una condanna anche della Corte dei Conti potesse ricoprire incarichi pubblici - ma dalle grandissime relazioni.

Vaia crede da subito alla bontà dell'operazione russa, tanto da spingerla con l'assessore alla Sanità del Lazio, Alessio D'Amato. È il momento in cui, mentre i dati di Pfizer e Astrazeneca sono comunque confortanti, in Italia si alzano più voci a favore di Sputnik. 

C'è quella dello Spallanzani, appunto. E fortissima quella di Matteo Salvini che cita come esempio virtuoso la sperimentazione di San Marino. Risultato: viene di fatto accantonato la strada italiana al vaccino, nonostante i risultati buoni che stavano avendo le prime sperimentazioni su Reithera.

Si diceva, il memorandum. Nell'accordo lo Spallanzani si impegna a uno scambio di materiale biologico con Gamaleya, nel quadro di un accordo in cui noi dovremmo condividere i dati sui pazienti e i russi i risultati sul vaccino. Ricercatori di Mosca arrivano in Italia e accedono alla banca dati. Per fare cosa, non si sa. «Per quanto ci riguarda - dice Vaia oggi a Repubblica - il rischio di trasferimento di dati sensibili è pari a zero».

Lo dice con la certezza dell'indicativo. Ma chi ha cominciato a guardare i termini di quell'accordo ha qualche dubbio. Non fosse altro - così come accaduto per la spedizione a Bergamo - che nessuno sa cosa abbiano fatto effettivamente i ricercatori. Perché nessuna informazione da parte loro è stata condivisa.

Clemente Pistilli per “la Repubblica - Edizione Roma” il 29 marzo 2022.

A maggio 2020, due mesi dopo l'opaca operazione «Dalla Russia con amore » , il Copasir lanciò l'allarme sulle politiche portate avanti da Mosca sull'onda dell'emergenza Covid. «L'obiettivo - sostenne il Comitato - è quello di creare sfiducia nei governi occidentali, nei loro sistemi sanitari e nel settore scientifico». 

Dopo l'annuncio fatto da Vladimir Putin della realizzazione di un vaccino contro il virus da parte del Centro Gamaleja, lo Sputnik V, e sulla scorta di un articolo pubblicato sempre quell'anno dalla rivista scientifica Lancet sull'efficacia di quel farmaco, nonostante non ci fosse e non sia mai arrivata l'autorizzazione dell'Ema, lo stesso assessore regionale alla sanità Alessio D'Amato e il direttore dello "Spallanzani", Francesco Vaia, sono però diventati i principali sponsor proprio del vaccino russo.

Una storia andata avanti per un anno e che, dopo la crisi che si è aperta con la guerra in Ucraina, vale la pena ripercorrere. A novembre 2020 sempre il Copasir indicava il Fondo sovrano russo, detentore del brevetto di Sputnik, « un veicolo per la penetrazione economica russa in Italia». 

Ma a quanto pare non era abbastanza per frenare gli entusiasmi. A febbraio dello scorso anno dallo Spallanzani arrivò un parere tecnico- scientifico sul vaccino di Mosca, riproducendo di fatto i contenuti dello studio pubblicato su Lancet. E nel marzo successivo il dem D'Amato iniziò a premere affinché venisse autorizzato il prima possibile, specificando che il Lazio era pronto ad acquistarlo e chiedendo al Governo di valutare l'opportunità di produrlo in Italia.

L'assessore e Vaia, il 23 marzo 2021, presero anche parte a un convegno per spiegare la bontà di quel vaccino, insieme all'ambasciatore Sergey Razov, lo stesso della denuncia della settimana scorsa a La Stampa. Ad aprile si arrivò così alla firma di un memorandum tra lo Spallanzani e il Gamaleya per la sperimentazione. 

Diversi scienziati sollevarono perplessità, ma vennero sostanzialmente ignorati. I vaccini adenovirali come Sputnik erano tra l'altro già stati abbandonati in Italia ma, mentre lo stesso Spallanzani si sfilava di fatto dalla sperimentazione su quello italiano di ReiThera, andava avanti con Mosca. A luglio 2021 sempre D'Amato rilanciò, sostenendo che non riconoscere il farmaco del Gamaleya stava creando danni al turismo.

Si arrivò così al gennaio scorso, quando venne annunciata la pubblicazione di un preprint dello studio condotto dallo Spallanzani sull'efficacia di Sputnik V anche contro Omicron, posizione ugualmente criticata da parte della comunità scientifica. Perché insistere su un farmaco che se pure arrivasse l'autorizzazione non verrebbe utilizzato in Italia e al massimo verrebbe prodotto sul suolo nazionale per poi farlo esportare ai russi in altri Paesi? L'interrogativo resta senza risposta. 

La guerra intanto ha tolto la Regione da una situazione che ormai si stava facendo imbarazzante. Ancor di più dopo le dichiarazioni dell'immunologa Antonella Viola che, bocciato Sputnik, ha detto di aver ricevuto una strana telefonata «di una persona che disse di essere del Ministero degli Interni e che voleva informazioni

Clemente Pistilli per “la Repubblica - Edizione Roma” il 29 marzo 2022.  

Il memorandum firmato lo scorso anno per la sperimentazione di Sputnik non è stato solo un accordo tra due istituti scientifici come lo Spallanzani e il Gamaleja. Quel documento porta anche le firme dell'assessore regionale dem alla sanità Alessio D'Amato e del direttore del Fondo sovrano russo, Kirill Dmitriev, uno degli oligarchi ora colpiti dalle sanzioni. Un fatto insolito in situazioni del genere.

Venne inoltre deciso di mettere a disposizione dei russi l'ampia banca dati dell'Istituto nazionale per le malattie infettive e venne garantito che ogni passaggio nell'attività sarebbe stato adeguatamente finanziato, cercando anche insieme, Roma e Mosca, finanziamenti a livello nazionale e internazionale. 

«In una montagna di cose vaghe, come del resto accade con i memorandum di questo tipo, la sensazione finale è che si tratti di un escamotage per far arrivare ai pazienti italiani lo Sputnik, che non è stato ancora autorizzato ma che può appunto arrivare tramite un programma di ricerca», dichiarò subito Enrico Bucci, professore della Temple University di Philadelphia.

Tanti gli interrogativi, a cui dal 26 luglio scorso sta cercando, seppure invano, di ottenere risposta pure il capogruppo di Fdi alla Regione Lazio, Fabrizio Ghera. L'esponente di Fratelli d'Italia, considerando i silenzi davanti alla sua interrogazione, ne ha così presentata ora una seconda, chiedendo perché la Regione abbia abbandonato ReiThera per dedicarsi alla sperimentazione di Sputnik, cosa intenda fare per far luce sulle pressioni che sarebbero state esercitate nei confronti dell'Istituto Spallanzani da parte di funzionari russi, quali risorse pubbliche siano state destinate alla sperimentazione del vaccino russo e quali siano i dati e i risultati scientifici di quel lavoro.

L'esponente di Fratelli d'Italia tocca infine un nervo scoperto. E' quello dell'uso che ora la Russia può fare dei dati sanitari acquisiti in Italia. « Nonostante le mie sollecitazioni - specifica infatti Ghera, denunciando da parte della giunta Zingaretti scarsa trasparenza e carenza di informazioni - dalla Regione Lazio non è arrivato alcun chiarimento, né sull'entità dei fondi stanziati per la collaborazione con l'istituto russo, né sullo scambio di dati scientifici e sanitari, né sull'eventuale presenza e attività di personale russo nelle strutture di ricerca e cura regionali durante la pandemia».

(AGI il 24 marzo 2022) - "Durante i periodi più difficili della pandemia alcuni presidenti di regione sono stati particolarmente solerti nello sponsorizzare l`impiego del vaccino russo Sputnik. E` il caso di De Luca e di Zaia, solo per citare i più eclatanti e quelli che all`epoca fecero più rumore, che minacciavano di comprarne dosi a prescindere dalla validazione dell`EMA, o di Fontana e Zingaretti che avrebbero voluto addirittura produrlo in Lombardia e nel Lazio".

Lo afferma Giordano Masini, coordinatore della segreteria di +Europa." Oggi, di fronte alle numerose evidenze dei metodi poco ortodossi attraverso i quali i funzionari del Cremlino e del fondo sovrano russo proprietario di Sputnik cercavano di imporne l`impiego in Europa, si va dalle pressioni politiche alle minacce fino alla vera e propria corruzione - sottolinea Masini - i governatori devono contribuire a fare chiarezza su questa pagina imbarazzante della nostra storia recente e spiegare le ragioni del loro sostegno entusiasta all`impiego di un vaccino non sicuro e prodotto da una nazione ostile", conclude l`esponente di +Europa.

Jacopo Iacoboni per “la Stampa” il 24 marzo 2022.

Il 14 maggio 2020, neanche due mesi dopo l'ormai famosa telefonata tra Giuseppe Conte e Vladimir Putin che vara la missione di «aiuti russi in Italia per il Covid», Kirill Dmitriev - il capo del Fondo sovrano russo, potentissimo oligarca della prima cerchia di Putin - viene insignito di una delle più alte onorificenze della Repubblica, l'Ordine della Stella d'Italia, «a titolo di riconoscimento del supporto del Fondo sovrano russo nella lotta contro la pandemia. Grazie alle azioni congiunte del Fondo e del ministero della Difesa della Federazione Russa sono stati recapitati tempestivamente in Italia i sistemi di test mobili Emg ad alta precisione prodotti con il supporto del Fondo e utilizzati dal gruppo di specialisti inviati dalla Difesa russa in Italia».

Veniamo poi informati che il Fondo «sviluppa partnership» con varie importanti aziende e istituti italiani, e «sta collaborando ai fini della ricerca dei nuovi strumenti di lotta contro il coronavirus». Undici mesi dopo, l'8 aprile 2021, Dmitriev firma di suo pugno, per la parte russa, un "Memorandum d'intesa per la collaborazione scientifica" tra l'Istituto Spallanzani, il Centro russo "Gamaleya", e il Fondo russo.

Il 4 marzo, appena un mese prima, gli Usa avevano già sanzionato 14 entità russe e tra queste tutti i principali centri di ricerca chimico-biologici russi, compreso il 48o Centro, che ha collaborato con il Gamaleya, e l'accademia di Kirov, da cui vennero tanti dei medici militari arrivati in Italia. Secondo Tesoro e Commercio Usa, questi centri hanno relazioni di diverso tipo con il dispiegamento di armi chimiche come il Novichok che ha avvelenato Alexey Navalny. Ma riavvolgiamo il filo ancora all'indietro.

A metà febbraio 2021 un "Gruppo di Lavoro Sperimentazione Vaccini e Terapie Innovative" dello Spallanzani, di cui diversi ricercatori interni dicono a La Stampa di non aver mai sentito parlare prima, produce un "parere tecnico scientifico sul vaccino Sputnik V", su carta intestata della direzione sanitaria (di solito per queste cose parla la direzione scientifica), primo firmatario il direttore sanitario Francesco Vaia. 

Il "parere" riproduce contenuti di uno studio iniziale di Lancet su Sputnik V, e si chiude così: «In base a tali considerazioni si ritiene che il vaccino Sputnik V possa avere un ruolo importante nei programmi vaccinali contro la SARS.CoV-2». Poco dopo, italiani e russi firmano il Memorandum. Perché lo Spallanzani abbandona Reithera, un molto promettente vaccino adenovirale italiano che era stato annunciato un mese prima proprio all'Istituto, per abbracciare la sperimentazione di un vaccino adenovirale russo?

In quella fase alcuni scienziati italiani non tacciono. Rischiano. Enrico Bucci muove rilievi molto seri e tecnici all'articolo di Lancet che pubblicava i risultati della fase 1 di Sputnik. E parla Antonella Viola, che oggi denuncia: «Quando sul vaccino Sputnik venne pubblicato il lavoro, insieme a Enrico Bucci e ad altri colleghi a livello internazionale scrivemmo su Lancet un commento per dire che il vaccino effettivamente non funzionava. In quei giorni, a parte che il mio telefono cominciò a dare dei seri problemi, ricevetti una telefonata molto strana, di una persona che disse di essere del ministero degli Interni, della sicurezza, non ricordo. E mi disse che voleva informazioni: voleva sapere se io sapessi di più sul vaccino Sputnik. Una strana telefonata, mi chiedeva dati».

Un importante dirigente dello Spallanzani «nel giugno 2020, due mesi prima che Putin annunciasse l'approvazione di Sputnik, viene avvicinato - ci viene messo per iscritto da una fonte, e confermato da altra fonte - da funzionari di stato russi che gli offrono parecchi soldi (circa 250 mila euro), ma lui prima ancora di farli finire, chiama i carabinieri e infatti qualche giorno dopo si presentano all'Istituto due signori dei Servizi per parlare con lui».

Le pressioni russe sono vaste. I modi duri. Agostino Miozzo, allora coordinatore del Comitato tecnico scientifico, che partecipò a una riunione con il generale Luciano Portolano e il generale russo Sergey Kikot nei primissimi giorni della missione degli aiuti russi in Italia, ricorda: «Kikot voleva avere accesso a tutti i luoghi dell'amministrazione, e riteneva di essere stato autorizzato al massimo livello a farlo (noi lo impedimmo). Allora avevamo tutti rapporti ottimi coi russi. Tuttavia so per certo che le antenne si erano alzate alla Difesa italiana, che tirò un compasso di trenta chilometri per tenere i russi lontano da obiettivi sensibili militari in Italia».

Proprio la toppa confermava l'esistenza del buco. Il Copasir, oggi in plenaria per la programmazione dei lavori, convocherà molto probabilmente l'allora premier Giuseppe Conte. Al Comitato, il Dis riferì che la missione-aiuti russi si era svolta in ambito sanitario, ma nella relazione annuale il Copasir scrisse poi che la vicenda dell'arresto di Walter Biot, il capitano di marina accusato (in un'altra storia) di spionaggio per i russi, non era affatto isolata: «Un chiaro esempio del metodo di avvicinamento a soggetti appetibili operato dai servizi russi, caratterizzato soprattutto nello status degli officer presenti nei vari Paesi occidentali, i quali sono tutti o quasi tutti coperti da status diplomatico e in genere tendono a infiltrare le istituzioni. Cercano anche aspetti economici».

Missione russa in Italia: “Un van attirò la nostra attenzione…”, intervista ad Alessandro Canali dell’agenzia delle Dogane. Nicola Biondo su Il Riformista il 24 Marzo 2022. 

La sera del 22 marzo 2020 l’avvocato Alessandro Canali era a Pratica di Mare dove atterravano gli aerei cargo russi, l’inizio della missione “dalla Russia con amore”. Canali, un passato da capo dell’ufficio legislativo M5S alla regione Lazio, in quel momento era il vice di Marcello Minenna, attuale capo delle Dogane. Ecco alcuni stralci dell’intervista che troverete domani sulle pagine de Il Riformista.

Avvocato Canali lei era sulla pista quando iniziarono ad atterrare i cargo russi. La merce come venne sdoganata? Era tutto materiale sanitario o c’era anche altro?

La merce fu sdoganata con una procedura semplificata, denominata “A22” e che prevede uno sdoganamento d’ufficio a richiesta dell’importatore.

Nell’elenco c’era materiale sanitario? Ufficialmente ci sarebbero dovute essere mascherine, test e una trentina di ventilatori. Lei li ha visti?

Sulla lista che ho visto io non mi sembrava ci fossero mascherine. E non ho visto alcun ventilatore. Magari erano sui voli arrivati dopo e quindi su altre liste.

Nelle foto sulla pista c’era anche l’Ambasciatore russo Sergey Razov. Ci furono momenti di tensione?

Era una situazione davvero straordinaria. Le autorità russe presenti sulla pista ci chiesero di operare velocemente. Un mezzo, lo ricordo bene, attirò la nostra attenzione.

Una nostra fonte ci ha parlato di un Van marrone…

Sì. Quando venne sbarcato ci dissero che serviva per fare collegamenti televisivi.

Perché attirò la vostra attenzione?

Perché era differente dagli altri e non sembrava trasportare materiale sanitario, era pieno di apparecchiature elettroniche. Nicola Biondo

  Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera” il 24 marzo 2022.  

Otto squadre composte da 40 specialisti, oltre ai medici e agli infermieri: in tutto un contingente di circa 400 persone che doveva atterrare in Italia per un'operazione di contrasto all'epidemia da coronavirus. È la proposta di Vladimir Putin fatta nel marzo del 2020 all'allora presidente del consiglio Giuseppe Conte. Fu il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ad opporsi chiedendo di «ridimensionare il numero di uomini e mezzi».

Basterebbe questo a spiegare l'attacco fatto allo stesso Guerini dal funzionario del ministero degli Esteri Alexei Paramonov, dopo aver minacciato l'Italia di «conseguenze irreversibili» se aderirà a sanzioni contro Mosca e accusato il nostro Paese di aver «dimenticato gli aiuti ricevuti». Ma adesso si scopre che due mesi dopo i russi volevano spostarsi in Puglia e a quel punto Guerini chiese a Mosca di interrompere l'operazione.

Ufficialmente si trattava di una spedizione sanitaria, ma i dettagli emersi in questi giorni avvalorano il sospetto che potesse essere stata effettuata un'attività di spionaggio. E proprio per chiarire ogni aspetto della vicenda, oggi il Copasir fisserà la data dell'audizione di Conte. Sarà lui a dover ricostruire i contatti e gli accordi presi, ma anche che cosa accadde in quei due mesi.

E perché l'Italia decise di spendere tre milioni di euro per rimborsare chi doveva invece collaborare. «Non abbiamo alcuna evidenza di attività impropria» ha detto l'ex premier, ma ora dovrà fornire chiarimenti ulteriori.

Si torna dunque al primo contatto tra Guerini e il ministro della Difesa russo Sergej Shoygu. È il 21 marzo 2020, l'Italia è in emergenza perché ci sono decine di migliaia di contagiati ma mancano mascherine, guanti, ventilatori. Le strutture sanitarie sono in affanno, soprattutto in Lombardia. Da tutto il mondo arrivano offerte di aiuto.

Shoygu contatta Guerini e offre mascherine, il ministro italiano risponde che un aereo può decollare per andare a prenderle a Mosca, ma l'interlocutore gli annuncia una telefonata tra Putin e Conte. Effettivamente qualche ora dopo il premier italiano contatta Guerini e conferma che Putin intende mandare centinaia di persone tra militari e medici per affiancare chi è impegnato a fronteggiare l'epidemia.

La posizione di Guerini è netta nell'escludere che la missione russa possa essere così numerosa. Si apre così una trattativa complicata e il compromesso finale prevede l'arrivo di cento persone. Nessuno si aspetta però che all'aeroporto militare di Pratica di Mare atterrino 17 quadrireattori e soprattutto un numero esiguo di materiale, nemmeno sufficiente a coprire le esigenze di un giorno.

Non solo. Subito dopo comincia il braccio di ferro tra il capo della delegazione generale Sergey Kikot e il comandante del Coi, il comando operativo interforze, il generale Luciano Portolano. Perché durante un incontro riservato che si svolge in una foresteria della Capitale i russi chiedono di sanificare e bonificare gli enti pubblici, mentre gli italiani concedono soltanto l'accesso a ospedali e Rsa. Un'attività che prevede comunque l'acquisizione dei dati sanitari e di altre informazioni «sensibili» che - questo è il timore dopo le minacce - la Russia potrebbe adesso utilizzare contro il nostro Paese.

L'atteggiamento «aggressivo» dei russi è stato confermato dall'allora responsabile del Cts Agostino Miozzo, presente alla riunione con il segretario Fabio Ciciliano e Portolano. Proprio per questo fu disposto che tutti i team dovessero essere sempre affiancati dai militari italiani e impiegati solo in Lombardia, che in quel momento aveva la situazione più grave. E agli inizi di maggio, quando i russi chiesero di trasferirsi in Puglia, Guerini ritenne che fosse arrivato il momento di «ringraziare Shoygu», dichiarando conclusa la missione.

Andrea Galli per corriere.it il 22 marzo 2022.

La seconda metà del marzo del 2020, la fase più acuta e drammatica della pandemia: tra spostamenti ultra-limitati e strade vuote, nella Milano (come il resto d’Italia) in «zona rossa», qualcuno si mosse. 

Sostando, almeno ufficialmente, un’intera giornata in città; soste ripetute nei giorni successivi, stavolta non ufficialmente. Erano 72 donne e uomini russi; militari e dei Servizi segreti.

Ovvero la maggioranza dei componenti della delegazione spacciata per missione internazionale di soccorso contro il Covid e invece, come emerge in queste ore, organizzata da Mosca per altri motivi e accolta senza riserve dal nostro Governo, con evidenti anche se segrete e misteriose finalità di intelligence. 

Se dunque è vero che 32 medici e infermieri — la parte residuale di quel gruppo — andarono negli ospedali di Bergamo, allora fra le zone devastate dal virus, devono essere ancora scritte le azioni dei connazionali.

La missione a Milano

Il Corriere ha cristallizzato la tappa milanese, della quale è nota un’unica coordinata geografica, che potrebbe apparire fisiologica ma non è detto, e che manca di approfondimenti relativi alla logistica (quali abitazioni, dove, di quali proprietari), e ai movimenti (macchine prestate oppure a noleggio) che forse, a posteriori, potrebbero scattare. 

Militari e 007 raggiunsero il quartiere di San Siro, che in via Sant’Aquilino ospita la sede del consolato russo, un «protettorato» di Alexei Vladimorovich Paramonov, il direttore del Dipartimento europeo del ministero degli Esteri che i giorni scorsi, in risposta alle sanzioni economiche, ha minacciato l’Italia. 

A dire: proprio voi parlate? E a sottintendere: non siete nella posizione di farlo. In città, Paramonov ha guidato quello stesso consolato dal 2008 al 2013. Una forte distanza temporale, certo, cui è però seguita una costante opera di controllo a distanza. L’incontro in via Sant’Aquilino a che cosa davvero servì? Forse a pianificare la permanenza in Italia, considerato che la missione durò due mesi. Un’eternità.

Le attività di intelligence

L’assenza, per ora, di una precisa e reale certificazione del comportamento degli ufficiali e degli agenti russi, giocoforza innesca domande legate alle eventualità operative, che sembrano concentrate su tipiche attività di intelligence. 

Scontata obiezione: lo spionaggio esisteva prima dell’arrivo dei russi ed è proseguito anche dopo, e non unicamente per la presenza, a Milano, di ex del Kgb che possiedono società di facciata. Ma dobbiamo tornare agli estremi della situazione in esame: da una parte il pensiero comune rivolto alla pandemia con la sottovalutazione o il disinteresse per ogni altro tema; dall’altra parte, una sorta di legittimazione ad elementi russi per operare, secondo personali modalità, in un territorio Nato, e magari visitare luoghi, scattare fotografie, stilare mappe, organizzare sopralluoghi, compiere valutazioni dal vivo, senza dimenticare la possibilità, con la «scusa» dell’operazione sanitaria, di accedere in ospedali e acquisire (rubare) dati sensibili.

La colonna militare

La Russia cercò di ripetere la mossa con la Cina, che rifiutò di concedere l’ingresso. Appunto a differenza di quanto successo qui, dove peraltro, a sua volta, arrivò chiunque, sempre per portare soccorso: la medesima Cina, i cubani, gli albanesi... 

Nel caso della spedizione nel marzo 2020 orchestrata da Paramonov, si vocifera dell’eventualità di accordi segreti che Mosca sarebbe pronta a diffondere. Governavano i Cinque Stelle di Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, che aveva accolto la delegazione, atterrata con 13 aerei Ilyushin e poi mossasi attraverso l’Italia con una colonna di mezzi. Destinazione la Lombardia.

Fiorenza Sarzanini per corriere.it il 22 marzo 2022.

«Entrare negli edifici pubblici e sanificare il territorio»: era questa l’intenzione della delegazione russa arrivata in Italia il 22 marzo 2020 per affrontare l’emergenza da Coronavirus. Lo chiesero in una riunione finora riservata alla quale parteciparono i vertici militari provenienti da Mosca e quelli italiani del Comando Interforze, ma anche del Comitato tecnico-scientifico che collaborava con il governo nella gestione della pandemia. 

Ci fu un duro scontro tra le due delegazioni e alla fine gli italiani negarono il via libera. I russi eseguirono comunque una serie di interventi in ospedali e Rsa. Molti di loro erano militari. Ci sono altri dettagli inediti su quella operazione che tre giorni fa l’alto funzionario del ministero degli Esteri Alexei Paramonov ha citato nel suo attacco al nostro Paese minacciando «conseguenze irreversibili» se aderiremo alle sanzioni.

Foresteria militare di via Castro Pretorio a Roma, sala riservata alle delegazioni internazionali. Da una parte del tavolo c’è il generale Sergey Kikot, vice comandante del reparto di difesa chimica, radiologica, biologica dell’esercito russo insieme ad almeno dieci militari. Dall’altra il generale Luciano Portolano — all’epoca comandante del Coi, il Comando operativo interforze — e i vertici del Comitato tecnico-scientifico, Agostino Miozzo e Fabio Ciciliano. La richiesta di pianificare le attività che potevano essere svolte dal contingente russo nel nostro Paese arriva direttamente da palazzo Chigi. Kikot è subito esplicito: «Siamo qui sulla base di un accordo politico di altissimo livello. Dunque possiamo fare qualsiasi cosa per aiutarvi. Vogliamo sanificare l’intero territorio italiano entrando anche negli uffici pubblici e in tutte le sedi a rischio».

Portolano e Miozzo chiariscono che gli unici interventi possono riguardare ospedali e Rsa, le residenze per anziani dove c’erano già decine di decessi a causa del Coronavirus. Kikot insiste e la riunione viene interrotta. Portolano si consulta con i colleghi, la trattativa va avanti per ore e alla fine si decide di non cedere. Ma i toni sono aspri. Miozzo lo ricorda molto bene: «L’esordio di Kikot fu particolarmente intrusivo, ruvido. Parlava come se dovessero bonificare Chernobyl dopo l’esplosione nucleare. Ci disse che gli accordi di alto livello prevedevano sanificazioni su tutto il territorio e disse che loro intendevano sanificare tutti gli edifici, compresi quelli pubblici. Il colloquio fu interrotto varie volte ma con Portolano decidemmo di non accettare alcuna offerta di quel tipo. La riunione terminò con l’autorizzazione a entrare soltanto in alcune strutture sanitarie. In seguito ci fu confermato che avevano sanificato molte strade».

Che cosa accadde dopo è noto soltanto in parte. I russi arrivano in Lombardia e rimangono per due mesi. Collaborano con le strutture sanitarie con libero accesso ai reparti. Qualche mese dopo il New Yorker scrive che avevano «elaborato il Dna di un cittadino russo risultato positivo in Italia per le ricerche sullo Sputnik». Un anno dopo, nell’aprile 2021, è stato chiuso un accordo con l’ospedale Spallanzani di Roma proprio per la sperimentazione dello Sputnik, nonostante la mancata approvazione del vaccino russo da parte dell’Ema. La collaborazione è stata interrotta qualche giorno fa, tre settimane dopo l’inizio dell’invasione russa in Ucraina.

Che cos’altro prevedeva l’accordo «di altissimo livello politico» di cui parlò Kikot? E soprattutto, a quali informazioni di tipo sanitario hanno avuto accesso i russi? Tra i responsabili della missione c’erano Natalia Y. Pshenichnaya, vicedirettrice dell’Istituto centrale di ricerche epidemiologiche, e Aleksandr V. Semenov, dell’Istituto Pasteur di San Pietroburgo. Entrambi dipendenti del Rospotrebnadzor, la struttura sanitaria civile a cui Putin il 27 gennaio 2020 aveva affidato la supervisione del contrasto all’epidemia. Gli stessi che avrebbero poi supervisionato l’accordo siglato con lo Spallanzani di Roma per le ricerche sul vaccino Sputnik.

Gianluca Veneziani per “Libero quotidiano” il 22 marzo 2022.

Di Maio dà, Di Maio toglie. Conte invece diede, ma dimentica di aver dato. E incolpa Di Maio di ogni male. Sembra la traccia di una commedia dell'assurdo, invece è cronaca politica, va da sé, di marca grillina. Il ministro degli Esteri concesse due anni fa l'onorificenza di Commendatore dell'Ordine della Stella d'Italia (o dei Cinque Stelle?) ad Alexei Paramonov, alto diplomatico russo; Conte invece aveva già conferito due anni prima un'altra onorificenza, quella di Cavaliere, allo stesso personaggio. 

Ora entrambi si sono resi conto di aver commesso un errore madornale e cercano, chi meglio chi peggio, di salvarsi la faccia. Paramonov, ex console e ora capo del Dipartimento Europa del ministero degli Esteri russo, è infatti colui che qualche giorno fa ha usato frasi non proprio cordiali all'indirizzo del nostro ministro della Difesa Guerini, accusandolo di essere «un ispiratore della campagna antirussa», e minacciato l'Italia di «conseguenze irreversibili», ossia di chiudere i rubinetti del gas destinato al nostro Paese.

Ebbene, dopo la denuncia da parte di Libero e di alcuni politici dell'assurdità di conservare quell'onorificenza, Di Maio ha fatto marcia indietro e deciso di ritirare il riconoscimento. Chissà, magari avrà pure negato di aver mai elargito quel titolo a quel tale: Paramonov chi?... Di certo, ieri il titolare della Farnesina ha convocato una commissione ad hoc per esaminare tutte le onorificenze concesse a cittadini russi, tra i quali appunto il diplomatico, e avviare l'iter per la revoca. Ma Giggino era in buona compagnia quanto a scarse doti di avvedutezza.

Anche l'ex premier Giuseppe Conte aveva assegnato un'onorificenza a Paramonov nel 2018, nominandolo Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica italiana. Solo che adesso lo Smemorato di Volturara Appula rinnega di aver mai concesso quel riconoscimento e scarica tutte le responsabilità su Di Maio. 

«Non ricordo il nominativo di questo Paramonov», avverte il leader M5S, «ma dai riscontri effettuati risulta che le onorificenze gli sono state consegnate su proposta del ministro degli Esteri e la consegna della stella d'Italia è stata concessa dal ministero degli Esteri senza coinvolgere la presidenza del Consiglio».

Basta però consultare il sito del Quirinale, che formalmente ha conferito quei riconoscimenti, per rendersi conto che la proposta di fare Cavaliere Pararmonov arrivava direttamente dalla presidenza del Consiglio nel 2018, cioè da Giuseppi. Più seriamente il successore di Conte, Mario Draghi, si è accorto che continuare a chiamare cavaliere uno che dichiara guerra all'Italia suona come una scelta autolesionista.

E allora, come fanno sapere fonti di Palazzo Chigi all'AdnKronos, anche il premier è al lavoro sulla revoca del cavalierato a Paramonov. Scelta che segna una sconfessione politica forte di chi lo ha preceduto e la messa di fronte alle sue (ir)responsabilità. 

Ora Paramonov magari non si fascerà la testa, ma il Commendator Cavalier Gran Diplomatic Figl di Putin, per dirla con Fantozzi, si ritroverà con due medagliette in meno da appuntarsi al pezzo. Lui però almeno passerà alla storia come Paramonov, gli altri rischiano di essere ricordati come Paraculi.

Da Volturara Appula con amore. I russi minacciano di svelare gli accordi sulla missione militare in Italia, siamo tutt’orecchi. L'Inkiesta il 21 Marzo 2022.

L’ex console russo a Milano Alexei Paramonov, un personaggio con doppia onorificenza voluta da Di Maio, ci avvisa che se non ci fermiamo con le sanzioni è pronto a raccontare che cosa si sono detti Putin e Conte prima dell’oscura sfilata dell’esercito di Mosca mascherata da assistenza sanitaria. Ma magari.

Proviamo a raccontarla così, senza fare per qualche riga i nomi e i cognomi della potenza straniera e del governo sovranista coinvolti in questa vicenda, così da far capire anche agli irriducibili di casa nostra quanto è grave ciò che è successo questo fine settimana.

Sabato, un diplomatico straniero che ha ricevuto l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito e di Commendatore dell’Ordine della Stella d’Italia ha minacciato il nostro governo di «conseguenze irreversibili» in caso di nuove sanzioni al suo paese. E ha aggiunto che potrebbe rivelare quali accordi ha preso la delegazione straniera formata da 72 militari, 28 medici e 4 infermieri che nel 2020 ha girato per due mesi indisturbata per tutta Italia, all’apice della pandemia. 

Tre giorni dopo, invece di chiedere subito la revoca delle due onorificenze all’ex console russo a Milano Alexei Paramonov, tutto tace, a parte le lodevoli eccezioni di PiùEuropa e Italia Viva. E tra i commentatori c’è chi prega di non aumentare le sanzioni per non surriscaldare il clima politico. 

E no. Altro che fermare le sanzioni contro la Russia, il governo italiano ha il dovere di aumentarle per scoprire quali sono stati gli accordi presi tra il governo Conte e Vladimir Putin.

Stando alle insinuazioni russe, ci sono alcune cose da chiarire, a cominciare da che cosa ha promesso l’allora presidente del Consiglio Conte a Putin nella telefonata del 21 marzo 2020 per concordare l’arrivo della delegazione russa il giorno dopo all’aeroporto militare di Pratica di Mare.

Il New Yorker ha rivelato che Mosca ha elaborato il vaccino Sputnik partendo dal dna di un cittadino russo ammalatosi in Italia il 15 marzo. La delegazione russa in quei due mesi ha avuto accesso a dati sensibili riguardo a pazienti affetti da covid presenti nelle strutture sanitarie italiane? E poi ci sono stati scambi di dati sensibili tra le strutture sanitarie italiane e quelle russe?

Quali sono stati i compiti dei 72 militari presenti nella delegazione e perché, come ha rivelato La Stampa, è stata l’Italia ad accollarsi le spese di vitto e alloggio e pare anche di viaggio e trasporto? Quanti di questi militari che hanno sfilato da Roma a Bergamo facevano (e fanno) parte del servizio di informazioni delle forze armate russe (GRU)? 

A quali informazioni sensibili ha avuto accesso nei due mesi della sua permanenza il capo della delegazione, il generale Sergey Kikot, vicecomandante del reparto di difesa chimica e batteriologica dell’esercito russo?

Quanti e quali sono stati gli accordi commerciali e strategici presi dal governo italiano e russo durante i due mesi della delegazione “Dalla Russia con amore”. Tra questi c’è anche l’accordo siglato poi nell’aprile del 2021 tra l’Istituto Spallanzani di Roma e l’Istituto Gamaleya di Mosca? 

Quindi, cominciamo con il revocare istantaneamente le onorificenze conferite a Paramonov nel 2018 e nel 2020 e accettare la sfida: altro che minaccia, sveli tutti i dettagli dell’accordo tra Putin e Conte. Grazie.

Parla l’ex numero due delle Dogane. La verità di Alessandro Canali: “Ecco cosa vidi a Pratica di Mare quando arrivarono i russi”. Nicola Biondo su Il Riformista il 25 Marzo 2022. 

Ci sono due modi per raccontare cosa successe la sera del 22 marzo 2020 sulla pista di Pratica di Mare. Uno è semplice, garantito e tranquillizzante. È la visione dall’alto, quella dei summit, delle veline, delle comunicazioni governative. Quella per intenderci che ancora oggi, a distanza di due anni esatti, l’ex primo ministro Giuseppe Conte conferma, “il ponte aereo con Mosca fu solo grande solidarietà”. Poi c’è la visione dal basso, quella di chi quella sera, per tutta la notte, ha visto l’arrivo e curato lo sdoganamento di 9 aerei cargo russi. Il “basso” è la pista di Pratica di Mare. Ed è lì che si trovava l’allora numero due delle Dogane Alessandro Canali, già capo dell’ufficio legislativo del M5s alla Regione Lazio, in un’operazione pubblica, con giornalisti e telecamere, le cui finalità sono lontane dall’essere completamente disvelate.

Avvocato Canali lei era sulla pista quando iniziarono ad atterrare i cargo russi. La merce come venne sdoganata? Era tutto materiale sanitario o c’era anche altro?

La merce fu sdoganata con una procedura semplificata, denominata “A22” e che prevede uno sdoganamento d’ufficio a richiesta dell’importatore. Alla bolletta doganale vengono quindi allegati i documenti forniti da chi chiede lo sdoganamento e poi tutto viene registrato nel nostro sistema, tra cui, ad esempio, i numeri di targa dei veicoli importati.

Quando siete stati avvertiti dell’arrivo degli aerei?

Io fui informato la mattina stessa del 22 marzo.

Avevate idea di cosa avreste dovuto sdoganare, avevate una lista?

No, e questo è stato un problema. L’abbiamo ricevuta solo dopo l’atterraggio del primo aereo.

Ci è stato detto che questa lista era solo in cirillico, lo può confermare?

Sì, certo. Io l’ho avuta in mano. Ovviamente era incomprensibile per tutti. Io per fortuna leggo un po’ il russo. Non so che fine abbia fatto ma penso che sia stata allegata alla bolletta doganale.

Nell’elenco c’era materiale sanitario? Ufficialmente ci sarebbero dovute essere mascherine, test e una trentina di ventilatori. Lei li ha visti?

Sulla lista che ho visto io non mi sembrava ci fossero mascherine. E non ho visto alcun ventilatore. Magari erano sui voli arrivati dopo e quindi su altre liste.

Chi era con lei alle operazioni di sdoganamento?

I funzionari di Pomezia, oltre ovviamente al direttore Minenna e i dirigenti degli uffici Dogane del Lazio. Ricordo che c’era qualcuno che provava a tradurre la lista con Google translator.

Nelle foto sulla pista c’era anche l’Ambasciatore russo Sergey Razov. Ci fu tensione?

Era una situazione davvero straordinaria. Le autorità russe presenti sulla pista ci chiesero di operare velocemente. Un mezzo, lo ricordo bene, attirò la nostra attenzione.

Una nostra fonte ci ha parlato di un Van marrone.

Sì. Quando venne sbarcato ci dissero che serviva per fare collegamenti televisivi.

Perché attirò la vostra attenzione?

Perché era differente dagli altri e non sembrava trasportare materiale sanitario, era pieno di apparecchiature elettroniche. Quando ci passarono la lista in russo controllammo che ci fosse questo van che in effetti c’era, descritto con due parole la cui traduzione era più o meno: veicolo di informazione. Quello che ci colpì tra l’altro erano i vetri oscurati.

Avete chiesto informazioni?

Ci dissero che serviva per la tv ma non aveva alcuna parabola né un’antenna. Ci fu quindi un problema di sdoganamento perché il materiale elettronico ha una procedura leggermente differente.

E cosa successe?

So per certo che se ne parlò anche il giorno dopo e che il direttore Minenna si occupo della questione ma non so se poi il mezzo fu rimandato in Russia o sdoganato.

Dalle foto di questo van recuperate in rete si nota sul tetto una telecamera a 360 gradi. Lei ricorda questo particolare?

Tendo ad escludere che ci fosse quando iniziò lo sdoganamento.

Lei era a conoscenza che i voli dovevano essere 18 e invece si ridussero della metà?

A noi fu detto che sarebbero stati 15. ll giorno dopo scoprii che ne atterrarono solo 9.

La lista degli aiuti sdoganati era aderente a quella russa?

I mezzi corrispondevano.

Alle Dogane alcuni giornalisti chiesero con un accesso agli atti la lista degli aiuti ma la richiesta non ebbe seguito. Lei ricorda questo particolare?

A me non risulta che ci fosse un problema di riservatezza sull’elenco degli aiuti, si era data tanta pubblicità a tutta l’operazione e l’elenco venne reso pubblico in Parlamento. Dovrebbe chiedere a Minenna comunque perché io non sono stato più coinvolto in questa vicenda dopo quel giorno.

Ritorniamo a quella sera. Vennero effettuati controlli ai documenti di chi sbarcava? Non è competenza doganale. Non so se ci furono controlli dentro i mezzi. Di sicuro i militari, che erano davvero tanti, saranno stati identificati dal personale militare di Pratica di Mare. Ma voi avete avuto conferma che mezzi e personale russo abbiano lasciato l’Italia alla fine della missione?

C’è una procedura per la quale ci dovrebbe essere corrispondenza tra i mezzi e il personale russo entrato in Italia e cosa e chi poi è uscito dall’Italia a fine missione. Se un mezzo entra o riesce entro 180 giorni o deve essere reimmatricolato in Italia.

Sta dicendo che qualcosa o qualcuno può essere rimasto in Italia?

Io questo non lo posso sapere. Ma in teoria sarebbero tutti dovuti tornare in Russia a fine missione. Ripeto: era una situazione anomala dove le mie sensazioni non indicano evidentemente nulla. La richiesta era di fare il più in fretta possibile e i miei colleghi lavorarono duro tutta la notte per riuscirvi.

Nicola Biondo

Covid, gli aiuti russi erano 007? Ecco cos’hanno (già) detto i servizi segreti. Oggi l’audizione al Copasir di Giuseppe Conte sulla missione “dalla Russia con amore”.  Redazione su Nicolaporro.it il 24 Marzo 2022.

Oggi il Copasir sente Giuseppe Conte sulla vicenda della presunta “missione 007” dei russi in Italia, quando inviarono un centinaio di militari per aiutare la provincia di Bergamo. Operazione di intelligence? Ci hanno rubato chissà quali segreti? Si sono portati via informazioni importanti? Volevano “bonificare” gli uffici pubblici? Da giorni non si parla d’altro. Eppure il Copasir, cioè il Comitato parlamentare che controlla i nostri servizi segreti, ha già indagato su quei fatti. E solo un mese fa ha fatto uscire una relazione, che quasi tutti ignorano. Ecco cosa c’è scritto:

“L’attivismo della Russia si rivolge soprattutto all’acquisizione di informazioni di carattere politico-strategico, tecnologico e militare. Oggetto di particolare interesse sono i processi decisionali nei vari settori dell’azione politica tra cui gli affari esteri e quelli interni, la politica energetica, la politica economica e le dialettiche interne alla NATO e all’Unione europea. Le attività portate avanti in questi ambiti sono solitamente negabili e difficilmente attribuibili.

Secondo notizie di stampa, nel contingente militare russo inviato in supporto all’Italia nel contrasto all’emergenza sanitaria da COVID-19 nelle province di Bergamo e Brescia nel marzo/aprile del 2020, sarebbe stato presente personale dei servizi segreti russi. Tale vicenda è stata oggetto di una richiesta di informazioni al DIS e di richieste di chiarimenti durante le audizioni del Ministro della difesa e dei direttori dell’AISE e dell’AISI. Da quanto si è appreso, la missione russa si sarebbe svolta esclusivamente in abito sanitario con il compito di sanificare ospedali e residenze sanitarie assistenziali (RSA) e il convoglio si è mosso sempre scortato da mezzi militari italiani”.

In fondo i russi quando vogliono dare la caccia a informazioni militari e strategiche, usano gli “officer” accreditati all’ambasciata e coperto da immunità diplomatica. “Il Comitato – si legge ancora – ha approfondito la vicenda riguardante il capitano di fregata Walter Biot, in servizio presso lo Stato maggiore della Difesa, che ha trafugato documentazione classificata consegnandola all’officer del GRU (Servizio di intelligence militare), Dmitry Ostroukhov, in cambio di somme di denaro. La vicenda è un chiaro esempio del metodo di avvicinamento a soggetti appetibili operato dai servizi russi che è caratterizzato soprattutto nello status degli officer presenti nei vari Paesi occidentali, i quali sono tutti o quasi tutti coperti da status diplomatico e in genere tendono a infiltrare le istituzioni. Cercano anche aspetti economici, sebbene in termini forse un po’ più residuali rispetto ai cinesi, ma sono soprattutto orientati alla ricerca informativa nell’ambito istituzionale, grazie anche al loro status, che li porta ad avere delle frequentazioni pubbliche”.

Sulla natura di quella missione, il governo aveva fornito alcune informazioni grazie ad una interrogazione parlamentare. A concordare l’invio di aiuti fu l’allora presidente del Consiglio Conte in una telefonata diretta con Vladimir Putin, anche se poi i dettagli furono messi a punto dal ministro delle Difesa Lorenzo Guerini con l’omologo di Mosca, Shoygu. “I colloqui – si legge nella risposta del sottosegretario Emanuela Claudia Del Re – sono stati preceduti da contatti, a livello diplomatico, attraverso la nostra Ambasciata a Mosca e l’Ambasciata russa a Roma. D’intesa con Palazzo Chigi, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, insieme a Difesa e Protezione civile, hanno avviato il coordinamento degli aiuti, la cui gestione è stata assicurata dalla Protezione civile”.

Quanto è durata la missione? “Il team sanitario russo è rimasto in Italia dal 22 marzo al 7 maggio 2020 e ha lavorato in sinergia con il personale della Difesa italiana e quello del Ministero della salute”. E ancora: “Il rientro in Russia dei componenti della delegazione è stato completato il 15 maggio e il flusso degli invii di aiuti è stato sospeso, di comune accordo con la controparte russa, in considerazione del progressivo miglioramento della situazione sanitaria nel nostro Paese e del contestuale peggioramento della situazione sanitaria in Russia”.

Quanti erano? “Il contingente russo era composto da 104 unità, nello specifico 32 operatori sanitari (tra medici e infermieri), 51 bonificatori e altro personale di assistenza e interpretariato a supporto”.

Come hanno operato? “Sono state costituite squadre miste con personale militare italiano del 7° Reggimento di Difesa (NBC) «Cremona» di Civitavecchia ed è stata avviata l’attività di sanificazione in alcune strutture e aree di Bergamo definite dalla Protezione civile, in coordinamento con regione e ASL Lombardia”.

Dove hanno lavorato? “Le attività di disinfezione e bonifica sono state dirette principalmente in favore delle residenze sanitarie assistenziali. Inoltre, il personale sanitario ha svolto attività presso il campo dell’Associazione nazionale degli alpini situato in prossimità dell’ospedale Giovanni XXIII di Bergamo. Al personale russo impegnato nell’attività di supporto è stato fornito vitto e alloggio presso strutture alberghiere nel bergamasco, con oneri a carico della Protezione civile regionale. È stata riservata un’area presso il 3° Reggimento sostegno aviazione esercito «Aquila» (aeroporto Orio al Serio – Bergamo), dove è stato allestito un campo con materiali e tende forniti dalla Protezione Civile regionale”.

Cosa ci hanno donato i russi? “Per quanto riguarda le donazioni ricevute, la Protezione civile ha riferito di aver ottenuto e distribuito sul territorio nazionale: 521.800 mascherine, 30 ventilatori polmonari, 1.000 tute protettive, 2 macchine per analisi di tamponi, 10.000 tamponi veloci e 100.000 tamponi normali”.

Quanto è costata la missione Covid dalla Russia all’Italia? Tre milioni di euro in due mesi. Fiorenza Sarzanini su Il Corriere della Sera il 23 Marzo 2022.  

La missione dei militari russi in Italia nel marzo 2020, durante l’emergenza Coronavirus, è costata al nostro Paese oltre tre milioni di euro. Ma gli aiuti ricevuti da Mosca non sono stati sufficienti a coprire nemmeno il fabbisogno di un giorno. Il bilancio di quell’operazione concordata dall’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte con il presidente Vladimir Putin aumenta i dubbi e i sospetti sulla collaborazione offerta dal Cremlino, soprattutto alla luce della minaccia contro l’Italia rivolta dall’alto funzionario del ministero degli Esteri Alexei Paramonov che ha ricordato proprio quell’operazione “Dalla Russia con amore” parlando di «ingratitudine». E lascia aperto il mistero sugli accordi stretti in quell’occasione dai due governi, sui reali obiettivi della delegazione composta da 104 persone. Ecco perché è importante scorrere la lista della spesa, ricostruire che cosa accadde tra il 22 marzo e il 7 maggio, quando la missione fu dichiarata conclusa.

Mascherine e tamponi

Siamo a metà marzo di due anni fa, l’Italia è già stata colpita dall’epidemia. Il 22 marzo, quando atterrano a Pratica di Mare i tredici quadrireattori Ilyushin, ci sono 80.539 contagiati e 8.165 decessi. La zona peggiore è quella di Bergamo con 7.458 contagiati. Per fare fronte all’emergenza servono 90 milioni di mascherine al mese, almeno 300mila tamponi al giorno. Secondo la versione ufficiale i russi arrivano per portare aiuto, ma sono gli atti ufficiali a smentirla.

L’1 aprile 2020 l’onorevole di +Europa Riccardo Magi presenta un’interrogazione per sapere «se esista un accordo alla base di questa operazione e cosa preveda o se sia il frutto di un semplice accordo verbale» tra Putin e Conte, che tipo di attrezzature sia arrivato e in quale quantità, che qualifiche abbia il personale arrivato e quante unità di personale militare siano sbarcate, di chi si tratti, dove si trovino e quali siano i loro compiti». La risposta affidata alla viceministra degli Esteri Emanuela Del Re arriva il 12 ottobre 2020, quasi cinque mesi dopo. E rivela che i russi ci hanno consegnato: «521.800 mascherine, 30 ventilatori polmonari, 1.000 tute protettive, 2 macchine per analisi di tamponi, 10.000 tamponi veloci e 100.000 tamponi normali». Materiale che non bastava a fare fronte nemmeno alle esigenze di mezza giornata.

Il carburante

Altro capitolo sorprendente riguarda gli aerei. Nella riunione tra il capodelegazione il generale Sergey Kikot, il generale Luciano Portolano — all’epoca comandante del Coi, il Comando operativo interforze — e i vertici del Comitato tecnico-scientifico, Agostino Miozzo e Fabio Ciciliano avvenuta due giorni dopo l’arrivo a Roma, i russi dissero che volevano «sanificare tutti gli edifici pubblici» e chiesero il rimborso del carburante utilizzato per i voli. Istanza respinta quel giorno, ma evidentemente accolta in seguito.

Dall’elenco delle spese risulta infatti che furono elargiti circa 100mila euro per ogni volo, ma soprattutto che ai tredici aerei, se ne aggiunsero in seguito altri quattro per un totale di oltre un milione e mezzo di euro. Perché si decise di accettare quell’esborso? Il materiale sanitario era esiguo, dei 104 componenti la delegazione c’erano soltanto 32 tra medici e infermieri mentre gli altri erano militari. Dunque che cos’altro prevedeva l’accordo Roma-Mosca?

Vitto e alloggio

Interrogativo che diventa ancor più inquietante quando si scopre che tutti i russi furono ospitati a spese del governo italiano in un hotel di Bergamo. Il conto finale da poco più di 400mila euro fu saldato dalla Regione Lombardia che è in attesa del rimborso da palazzo Chigi. Un altro milione è stato già versato per le spese collegate relative agli italiani - soprattutto militari - che hanno affiancato la delegazione.

Nella relazione della viceministra Del Re si parla genericamente di «disinfezione e bonifica svolte soprattutto nelle Rsa» ma non si specifica in quali altri edifici siano entrati i russi. E tanto basta per alimentare l’ipotesi di un’attività spionistica per raccogliere dati e informazioni sanitarie da utilizzare poi in patria.

La riunione "segreta" e gli aiuti. Dalla Russia con amore, il caso della missione anti-covid in Lombardia: “È costata tre milioni all’Italia”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 23 Marzo 2022. 

Dalla Russia con amore. E con una serie di pretese grottesche, rimborsi spese, movimenti da decifrare nella campagna per aiutare l’Italia nella prima fase dell’emergenza covid. I russi volevano “sanificare l’intero territorio italiano entrando anche negli uffici pubblici e in tutte le sedi a rischio”. E quella missione costò alla fine circa tre milioni di euro all’Italia. Il Corriere della Sera ricostruisce quei giorni, la campagna russa, le pretese della delegazione e mette in fila alcune spese. Che, se confermate, sarebbero un’enormità rispetto ai sostegni effettivamente ricevuti.

La sera del 22 marzo atterrarono in Italia, all’aeroporto militare di Pratica di Mare 13 quadrireattori Ilyushin e 104 persone – 28 medici, 4 infermieri, il resto militari e forse apparati dell’intelligence. Alla guida il generale Sergey Kikot, vice comandante del reparto di difesa chimica, radiologica e biologica dell’esercito russo. Con lui Natalia Y. Pshenichnaya, vicedirettrice dell’Istituto centrale di ricerche epidemiologiche, e Aleksandr V. Semenov, dell’Istituto Pasteur di San Pietroburgo. Entrambi dal Rospotrebnadzor, la struttura sanitaria civile a cui il presidente Vladimir Putin aveva affidato la supervisione del contrasto all’epidemia.

A una riunione “segreta”, organizzata da Palazzo Chigi dopo una telefonata tra il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il Presidente della Russia Vladimir Putin, svelata dal quotidiano c’erano il generale Luciano Portolano, all’epoca comandante del Comando Operativo Interforze, e i membri del Comitato Tecnico Scientifico Agostino Miozzo e Fabio Ciciliano. Kikot, ha detto Miozzo, “parlava come se dovessero bonificare Chernobyl dopo l’esplosione nucleare. Ci disse che gli accordi di alto livello prevedevano sanificazioni su tutto il territorio e disse che loro intendevano sanificare tutti gli edifici, compresi quelli pubblici”. Alla proposta i due rifiutarono. Gli interventi dovevano riguardare soltanto ospedali e residenze per anziani.

Il New Yorker ha scritto che i russi, rimasti in Lombardia per altri due mesi, hanno “elaborato il Dna di un cittadino russo risultato positivo in Italia per le ricerche sul vaccino Sputnik”. La partnership tra l’ospedale Spallanzani di Roma e Mosca è stata interrotta soltanto dopo l’invasione dell’Ucraina. Già allora però il senatore di +Europa Riccardo Magi aveva presentato un’interrogazione per capire se ci fosse un accordo sull’operazione o se si trattava di un accordo verbale, per sapere che tipo di aiuti e personale e attrezzature fosse arrivato.

La viceministra degli Esteri Emanuela Del Re, a ottobre del 2020, parlò di 521.800 mascherine, 30 ventilatori polmonari, 1.000 tute protettive, 2 macchine per analisi di tamponi, 10.000 tamponi veloci e 100.000 tamponi normali – aiuti ampiamente insufficienti in un periodo in cui i positivi erano oltre 80mila al giorno e i morti più di ottomila. Secondo il Corriere quella missione russa costò oltre tre milioni di euro all’Italia: tra i presunti rimborsi spesa per ogni volo, l’alloggio di tutti i russi in un hotel di Bergamo – la Regione Lombardia aspetterebbe ancora il rimborso -, le spese agli italiani che hanno affiancato la missione.

Scenario inquietante quello tracciato dal quotidiano. Le minacce di “conseguenze irreversibili”, nel caso in cui l’Italia dovesse adottare nuove sanzioni contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina, dell’ex console russo a Milano Alexei Vladimorovic Paramonov, e le accuse al ministro della Difesa Lorenzo Guerini di essere diventato un “falco” e “ispiratore” della campagna antirussa in Italia; invece di intimorire l’Italia hanno portato ad approfondimenti su quei giorni di emergenza. I russi, tra l’altro, non avrebbero visitato né l’ospedale Sacco di Milano (avamposto in quella fase) né la zona più colpita dal contagio, quella del lodigiano, mentre entrarono più volte nella caserma militare di Orio al Serio per parcheggiare i mezzi.

Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

"Quella strana telefonata". Il retroscena della Viola sul vaccino russo. Marco Leardi il 22 Marzo 2022 su Il Giornale.

L'immunologa Antonella Viola rivela di aver ricevuto una insolita telefonata dopo aver contestato l'efficacia del vaccino russo Sputnik. "Volevano dati, informazioni...". Poi i dubbi sul misterioso interlocutore.

"Sputnik non funziona". Il giudizio netto dell'immunologa Antonella Viola sul vaccino russo non era passato inosservato. Sulla rivista scientifica Lancet, la professoressa tarantina e alcuni suoi colleghi non avevano lasciato spazio alle ambiguità e in base alle loro ricerche avevano bocciato il ritrovato anti-Covid di Mosca. A distanza di mesi da quel pronunciamento, l'esperta rivela però un retroscena inedito, confessando di aver ricevuto una strana telefonata nella quale le si chiedevano informazioni dettagliate su quel vaccino e sulle carenze in esso riscontrate. Ancora oggi, l'immunologa non sa spiegarsi chi fosse il misterioso interlocutore che in quella circostanza si era spacciato come un emissario delle istituzioni.

Intervenendo oggi su Rai Radio1, nella trasmissione Forrest, Antonella Viola ha dapprima ribadito le proprie perplessità sullo Sputnik. "Non è un buon vaccino, non funziona, i dati non sono mai stati mostrati con chiarezza", ha dichiarato. Poi si è lanciata in una confidenza. "Vi racconto una cosa che non ho detto a nessuno. Quando sul vaccino Sputnik venne pubblicato il lavoro, insieme a Enrico Bucci e ad altri colleghi a livello internazionale, scrivemmo su Lancet un commento per dire che il vaccino effettivamente non funzionava. In quei giorni, a parte che il mio telefono cominciò a dare dei seri problemi, ricevetti una telefonata molto strana, di una persona che disse di essere del Ministero degli Interni, della sicurezza, non ricordo", ha rammentato l'immunologa, che è professore ordinario di patologia generale presso il dipartimento di scienze biomediche dell’Università di Padova.

Il misterioso interlocutore - ha raccontato l'esperta - "mi disse che voleva informazioni. Voleva sapere se io sapessi di più sul vaccino Sputnik. Una strana telefonata, mi chiedeva dati". A quel punto, Viola aveva cercato di capire con chi stesse parlando, forse per decidere anche sino a che punto sbilanciarsi nelle considerazioni. Ma nulla da fare: la persona al telefono rimaneva molto sul vago. "Mi disse che sarebbe venuto a trovarmi in studio ma non è mai più venuto. Ovviamente non sarà stato qualcuno del Ministero, immagino di no, però mi è rimasto il dubbio di capire chi fosse questa strana persona che si è presentata e che ha voluto sapere perché io avessi criticato il vaccino", ha chiosato l'immunologa.

Proprio nei giorni scorsi, l'Ema (l'agenzia europea per i medicinali) aveva comunicato che non vi sono progressi sull'autorizzazione dello Sputnik, al momento non riconosciuto dalle autorità europee. Da parte sua, invece, Antonella Viola aveva usato toni allarmistici invitando a non abbassare la guardia sulle possibili recrudescenze del Covid.

La missione russa del 2020. Conte dice che non sapeva della richiesta di Mosca di sanificare gli edifici pubblici. Linkiesta il 22 Marzo 2022.

L’ex presidente del Consiglio spiega che la delegazione agì in piena pandemia sotto il controllo dei militari e che informò Di Maio e Guerini. E sulla onorificenza a Vladimorovic Paramonov, che ora ha minacciato l’Italia, addossa tutta la responsabilità a Di Maio

Nel marzo del 2020, quando la delegazione russa arrivò in Italia in piena emergenza pandemia, Giuseppe Conte era presidente del Consiglio. Ora, dopo che Mosca ha rinfacciato al nostro Paese l’aiuto di quei giorni, il leader dei Cinque Stelle al Corriere spiega che in quei giorni ebbe «colloqui con i leader di tutto il mondo che mi cercarono per manifestare solidarietà per quello che stava accadendo in Italia e per aiutarci. Tra questi anche Putin, che si offrì di mandare personale specializzato. Mi disse che loro avevano maturato grande esperienza su come affrontare la pandemia perché avevano avuto la Sars. Noi eravamo in grandissima difficoltà. Non avevamo mascherine, non avevamo ventilatori. I nostri esperti non avevano neppure un protocollo di azione e non avevamo neppure sequenziato il virus. Ogni aiuto era ben accetto».

Conte dice che informò il ministro della Difesa Guerini e degli Esteri Di Maio, ma anche «altri ministri». Putin «mi disse che la squadra era autosufficiente. Posso assicurare che tutto si è svolto con il nostro controllo militare». E aggiunge: «I direttori delle agenzie di intelligence Aise e Aisi hanno assicurato che non c’è mai stata attività impropria che ha travalicato dai confini sanitari. Lo hanno riferito anche di fronte al Copasir specificando che l’attività dei russi si è svolta nei limiti e nelle forme che sono poi state concordate con le autorità sanitarie. Le insinuazioni, i dubbi e le perplessità mi sembrano assolutamente fuori luogo».

Secondo Conte, «non c’è alcun elemento per pensare che la loro attività e assistenza abbia travalicato i confini sanitari. Lo ripeto, i militari li hanno sempre affiancati. I riscontri che ho ricevuto sono stati di apprezzamento. Voler rileggere in modo strumentale e senza elementi concreti quello che accadde due anni fa alla luce del conflitto attuale mi sembra fuorviante».

Eppure il capomissione Sergey Kikot propose alla delegazione italiana di sanificare gli edifici pubblici. Se ne parlò in una riunione riservata alla quale parteciparono i vertici militari di Mosca e quelli italiani del Comando Interforze insieme ad esponenti del Comitato Tecnico Scientifico che collaborava con il governo. E alla fine, fa sapere il Corriere della Sera, tra le due delegazioni si arrivò allo scontro. Alla fine i russi eseguirono comunque una serie di interventi in ospedali e Rsa. Successivamente i russi arrivarono in Lombardia e lì rimasero per due mesi, collaborando con le strutture sanitarie e avendo libero accesso ai reparti.

E forse a queste tensioni si riferiva il responsabile sicurezza del Partito democratico Enrico Borghi, quando ha parlato di uno scontro con il ministro della Difesa Lorenzo Guerini che voleva mettere in sicurezza le infrastrutture strategiche italiane. «Non ho mai sentito questa cosa, nessuno me ne ha mai parlato», dice Conte.

Intanto, lo stesso governo Conte concedeva onoreficenze a personalità russe, compreso Alexei Vladimorovic Paramonov, che ha minacciato l’Italia. «Immagino che nel corso del tempo siano state assegnate onoreficenze a tantissime personalità russe. Non ricordo in particolare il nominativo di questo Alexei Paramonov, ma dai riscontri effettuati risulta che gli sono state consegnate su proposta del ministro degli Esteri e che la consegna della stella d’Italia è stata concessa dal ministero degli Esteri senza coinvolgere la presidenza del Consiglio», risponde. «Per quanto riguarda la revoca non so quali siano i precedenti, ma non sono affatto contrario che sia avviata subito la procedura».

E alla domanda se è ancora o no amico di Putin, risponde così: «Ho avuto varie occasioni per incontrare Putin e molti colloqui telefonici con lui quando ero presidente del Consiglio. Non ho mai colto questo disegno di attaccare l’Ucraina anche quando l’attuazione degli accordi di Minsk è stata al centro delle nostre conversazioni. Non so che cosa l’abbia spinto a mettere in atto questa invasione, ma sicuramente è una iniziativa militare grave e inaccettabile che rischia di fare molto male anche al suo popolo condannandolo a un isolamento politico e a grande sofferenza economica e sociale».

Conte conferma di essere contrario all’aumento delle spese militari: «Dopo due anni di pandemia ci sono caro-bollette, caro-energia, famiglie in ginocchio che non riescono ad arrivare a fine mese e intere filiere produttive che rischiano di soccombere, credo che sia quantomeno fuori luogo programmare incrementi della spesa militare. Non mi sento di presentare ai nostri concittadini un aumento di queste spese senza prima aver risolto queste urgenze».

La missione dei servizi russi: cosa è successo in quelle 24 ore. Massimo Balsamo il 22 Marzo 2022  su Il Giornale.

Militari e servizi segreti russi in azione a Milano nel pieno della pandemia: la visita alla sede del consolato e il giallo sulla durata della missione.

La missione della delegazione russa in Italia nel pieno della prima fase della pandemia da Covid-19 a metà marzo del 2020 resta un mistero. Nei giorni della crisi in Ucraina, si riaccende il dibattito sull’accordo tra l’ex premier italiano Giuseppe Conte e Vladimir Putin e spuntano importanti novità. Gli interventi degli esperti di Mosca in ospedali e rsa sono cosa nota, ma poco si sa sull’operato dei servizi segreti russi.

Il Cremlino inviò in Italia una delegazione per missione internazionale di soccorso composta da 72 persone, perlopiù militari e servizi segreti russi. Una parte della rappresentanza andò negli ospedali di Bergamo, la città più colpita dal virus, ma rappresenta ancora un giallo l’azione del resto dei connazionali, rimasti a Milano.

"Fu vero aiuto?". Il dubbio di Gori sui russi scatena le polemiche

Secondo quanto ricostruito dal Corriere, militari e servizi segreti russi raggiunsero il quartiere di San Siro, dove si trova la sede del consolato russo, un protettorato di Alexei Vladimorovich Paramonov. Quest’ultimo, direttore del Dipartimento europeo del ministero degli Esteri, negli scorsi giorni si è scagliato duramente contro Roma per le sanzioni alla Russia, arrivando alle minacce. Il vertice di via Sant’Aquilino resta un mistero, ma probabilmente servì per pianificare la permanenza in Italia, considerando che la missione durò più di due mesi. L’azione di militari e servizi segreti russi non è stata registrata o monitorata nel corso del tempo, ma tutto porta a pensare alle tipiche attività di intelligence, con la possibilità di accedere in ospedali e acquisire, se non rubare, i dati sensibili dei pazienti italiani.

“I direttori delle agenzie di intelligence Aise e Aisi hanno assicurato che non c’è mai stata attività impropria che ha travalicato dai confini sanitari”, ha tenuto a precisare Conte. Il leader del Movimento 5 Stelle ha stigmatizzato le insinuazioni nei suoi confronti: “Lo hanno riferito anche di fronte al Copasir specificando che l’attività dei russi si è svolta nei limiti e nelle forme che sono poi state concordate con le autorità sanitarie. Per questo le insinuazioni, i dubbi e le perplessità mi sembrano assolutamente fuori luogo”. 

"I russi in Italia? Non ci disse nulla". L'ex ministro inchioda Conte. Francesco Boezi il 22 Marzo 2022  su Il Giornale.

Conte non coinvolse l'esecutivo giallorosso sulla missione russa in Italia ai tempi delle prime ondate pandemiche. E ora il "capo grillino" potrebbe essere chiamato a spiegare.

L'ex ministro Teresa Bellanova, esponente d'Italia Viva e viceministro alle Infrastrutture del governo di Mario Draghi, torna ai tempi del Conte bis, inchiodando Giuseppe Conte sulla "missione" della Russia di Vladimir Putin in Italia ai tempi della prima ondata pandemica.

La questione sta suscitando numerosi interrogativi anche per via della riunioni che si sono svolte all'epoca. La Russia, dopo aver invaso l'Ucraina, ha risposto alla posizione assunta dall'Italia sulla guerra scatenata da Putin, ricordando appunto gli "aiuti" che lo "Zar" avrebbe garantito all'Italia in contemporanea con il primo lockdown. La Federazione russa ha inviato nel Belpaese anche medici, materiale e personale sanitario.

E la Bellanova, ricordando quanto accaduto, ha spiegato a IlFoglio come l'ex premier giallorosso abbia deciso, in quelle circostanze, di procedere in autonomia: "Non fummo coinvolti in cabina di regia e nemmeno in Consiglio dei ministri: nessun confronto. In altri casi l'aiuto di paesi stranieri ci veniva anticipato, magari informalmente. Per la Russia non avvenne. E non sono in grado di stabilire se la mossa di Putin fu furba". +

Il capo grillino, dunque, avrebbe evitato di rendere partecipe il Consiglio dei ministri. E questo, rispetto alla prassi, avrebbe costituito una novità rispetto a quanto Giuseppe Conte avrebbe predisposto per iniziative simili. Il sospetto è sempre lo stesso, ossia che Vladimir Putin, con quella missone, abbia provato ad "ottenere altro", come ipotizza sempre l'ex ministro. Pure sindaco di Bergamo Giorgio Gori, che è del Partito Democratico, ha ventilato la possibilità che i russi, con quegli aiuti, avessero in realtà un altro obiettivo.

L'esponente del partito guidato da Matteo Renzi incalza: "Forse, e lo dico in maniera retorica, ci sono fatti che, visto ciò che sta accadendo, andrebbero spiegati da parte dell'ex premier". La considerazione è politica ma Conte, almeno per ora, ha deciso di sorvolare e di non replicare. Però i contorni di questa storia sembrano presentare qualche mistero che neppure la Bellanova ha la possibilità di risolvere, in caso: "In quelle ore tutto era complicato e drammatico, questo va detto - ha aggiunto alla fonte appena citata - . Solo dopo venimmo a sapere che c'era stata una telefonata fra Conte e Putin. Stop. Non sono in grado di dire se ci furono anche altri accordi".

Tra "incontri segreti" e domande che per ora non conoscono risposta, Giuseppe Conte rischia di finire all'interno di un nuovo calderone.

Estratto dell’articolo di Simone Canettieri per “il Foglio” il 22 marzo 2022.  

“Non fummo coinvolti in cabina di regia e nemmeno in Consiglio dei ministri: nessun confronto. In altri casi l’aiuto di paesi stranieri ci veniva anticipato, magari informalmente. Per la Russia non avvenne. E non sono in grado di stabilire se la mossa di Putin fu furba”. Furba? “Sì, volta a ottenere altro”. Perché? “Le parole dell’altro giorno di Mosca contro il ministro Guerini sono state inquietanti, oltre che irricevibili”.

Teresa Bellanova, due anni fa faceva parte del governo Conte II. “Forse, e lo dico in maniera retorica, ci sono fatti che, visto ciò che sta accadendo, andrebbero spiegati da parte dell’ex premier”. 

(…) “In quelle ore tutto era complicato e drammatico, questo va detto. Solo dopo venimmo a sapere che c’era stata una telefonata fra Conte e Putin. Stop. Non sono in grado di dire se ci furono anche altri accordi”, dice al Foglio Bellanova, esponente di Italia viva (…) 

Il deputato del Pd Francesco Boccia – due anni fa era ministro degli Affari regionali in stretto contatto con la Protezione civile e i territori – dice che “l’Italia fu in perfetta buonafede e che all’epoca tanti paesi, come l’Albania e Cuba, ci diedero una mano con ventilatori e mascherine: ne eravamo sprovvisti, era una situazione drammatica. Quanto ai russi, che ricordando questa storia si sono dimostrati a dir poco sgradevoli, dormivano nelle nostre caserme ed erano scortati dal nostro esercito”.

Boccia “non si ricorda” se la mano del Cremlino fu interamente a titolo gratuito. Del materiale esatto non esiste una rendicontazione: la lista è stata secretata. Tutto partì da una telefonata fra Giuseppe Conte e Putin. Poi la notizia venne comunicata al ministero della Difesa e forse a quello della Salute. Al contrario, al Viminale dicono che non furono coinvolti. L’ex premier parla di “vicenda chiara e trasparente” ed è sicuro che la missione russa “non sia mai sconfinata dagli obiettivi sanitari”. (…) 

DAGONEWS il 22 marzo 2022.

Giuseppe Conte è nel panico: sulla vera storia degli aiuti russi all’Italia nel 2020 sta provando in tutti i modi, ma inutilmente, ad arrampicarsi sugli specchi. Anche il fido Ta-Rocco Casalino non sa che pesci prendere. I due sarebbero in forte disaccordo su quale strategia portare avanti. Oddio, "strategia" è un parolone: Peppiniello Appulo ha deciso di voler scaricare tutta la responsabilità sugli altri, ma dimentica alcuni particolari. 

Prendiamo per esempio la storia dell’onorificenza a Ivan Paramonov. Intervistato da Fiorenza Sarzanini sul “Corriere della Sera”, l’ex premier casca dal pero e butta il patatone bollente addosso a Luigino Di Maio: “Immagino che nel corso del tempo siano state assegnate onoreficenze a tantissime personalità russe. Non ricordo in particolare il nominativo di questo Alexei Paramonov, ma dai riscontri effettuati risulta che gli sono state consegnate su proposta del ministro degli Esteri e che la consegna della stella d'Italia è stata concessa dal ministero degli Esteri senza coinvolgere la presidenza del Consiglio”.

Mente sapendo di mentire, visto che una delle due onorificenze all’ex console Russo a Milano, che sabato ha minacciato il ministro Guerini, è stata deliberata proprio da Palazzo Chigi, durante il Conte 1, come confermano all’Adnkronos fonti diplomatiche. 

Così, in un colpo solo, “Giuseppi” ha fatto incazzare tutti: Mattarella, i diplomatici della Farnesina e i funzionari della Presidenza del Consiglio.

Nell’intervista al “Corriere”, Conte fa lo scarica barile con tutti anche sull’operazione “Dalla Russia con amore”, un misto di aiuti medici, spionaggio batteriologico e propaganda. 

Per lui, sarebbe tutta farina del sacco di Di Maio, Guerini e intelligence. Ma come fa notare la stessa Sarzanini, in un altro articolo di oggi sul “Corriere”, “la richiesta di pianificare le attività che potevano essere svolte dal contingente russo nel nostro Paese arriva direttamente da Palazzo Chigi”. 

Poi, a domanda precisa della giornalista (“il capomissione Sergey Kikot propose alla delegazione italiana di sanificare gli edifici pubblici”), l’ex avvocato del popolo fa lo struzzo e mette il ciuffo catramato sotto la sabbia: “Non ho mai sentito questa cosa, nessuno me ne ha mai parlato”.

Delle due l’una: o Peppiniello da premier non sapeva delle decisioni che venivano prese a Palazzo Chigi (e a quel punto: chi le prendeva?), oppure lo sapeva benissimo e ora fa lo smemorato. Quale sarà la verità?

(Adnkronos il 22 marzo 2022) - Fonti diplomatiche interpellate dall'Adnkronos spiegano che per le onorificenze Omri "l'esercizio è in capo a Palazzo Chigi che chiede i nominativi ai vari ministeri, seleziona e poi decide, mandando la lista definitiva al presidente della Repubblica per la firma finale". Anche per il caso PARAMONOV? "Sì - confermano le stesse fonti -, l'iter è uguale per tutti i casi, e, nel caso specifico risale al Governo Conte 1, concessa nel dicembre 2018".

Fiorenza Sarzanini per corriere.it il 21 marzo 2022.

Nel marzo del 2020, in piena emergenza da pandemia di Covid 19, ci fu un incontro riservato tra i russi e gli italiani . Due giorni dopo l’arrivo a Roma - avvenuto la sera del 22 marzo di due anni fa - la riunione rimasta finora segreta ebbe come protagonisti la delegazione guidata dal generale Sergey Kikot, il vice comandante del reparto di difesa chimica, radiologica, biologica dell’esercito russo e gli italiani che in quel momento gestivano la crisi sanitaria. 

In una foresteria del ministero della Difesa i militari giusti da Mosca incontrarono il generale Luciano Portolano - all’epoca comandante del Coi, il Comando operativo interforze, e i vertici del Comitato tecnico Scientifico, Agostino Miozzo e Fabio Ciciliano.

All’ordine del giorno, le attività che potevano essere svolte dal contingente russo nel nostro Paese. E in quell’occasione la richiesta di Kikot fu esplicita: «Sanificare l’intero territorio italiano entrando anche negli uffici pubblici e in tutte le sedi a rischio». Di fronte alle resistenze della delegazione italiana Kikot fu ancora più esplicito: «Siamo qui sulla base di un accordo politico di altissimo livello. Dunque possiamo fare qualsiasi cosa per aiutarvi». 

Il rifiuto in quella circostanza fu netto, dopo ore di colloqui Portolano e Miozzo chiarirono che gli unici interventi dovevano riguardare ospedali e Rsa, le residenze per anziani dove c’erano già decine di decessi a causa del Coronavirus. Ma che cosa i russi riuscirono ad ottenere in seguito rimane ancora un mistero. È questo l’ultimo retroscena della missione che tante polemiche sta provocando dopo le dichiarazioni di Alexei Vladimorovic Paramonov, 60 anni, ex console russo a Milano, direttore del dipartimento europeo del ministero degli Esteri che ha minacciato «conseguenze irreversibili» se il nostro Paese aderirà al nuovo piano di sanzioni contro Mosca decise dopo l’invasione dell’Ucraina. 

L’accordo Conte-Putin

Fu palazzo Chigi a organizzare l’incontro. Il giorno prima dell’arrivo a Roma dei russi c’era stata una telefonata tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il leader russo Vladimir Putin. Il 22 marzo atterrano nell’aeroporto militare di Pratica di Mare, vicino Roma, tredici quadrireattori Ilyushin e 104 persone. Della missione concordata per dare aiuto all’Italia per la pandemia facevano parte 28 medici e quattro infermieri. Gli altri erano militari. 

Oltre a Kikot c’erano Natalia Y. Pshenichnaya, vicedirettrice dell’Istituto centrale di ricerche epidemiologiche, e Aleksandr V. Semenov, dell’Istituto Pasteur di San Pietroburgo. Entrambi dipendenti del Rospotrebnadzor, la struttura sanitaria civile a cui Putin il 27 gennaio 2020 aveva affidato la supervisione del contrasto all’epidemia.

«Entriamo negli edifici pubblici»

A Miozzo e Ciciliano fu chiesto di partecipare come rponsabili del Cts, proprio per pianificare gli interventi. Miozzo ricorda bene la trattativa: «L’esordio di Kikot fu particolarmente intrusivo, ruvido. Parlava come se dovessero bonificare Chernobyl dopo l’esplosione nucleare. 

Ci disse che gli accordi di alto livello prevedevano sanificazioni su tutto il territorio e disse che loro intendevano sanificare tutti gli edifici, compresi quelli pubblici. Noi decidemmo di interrompere i colloqui. Con Portolano decidemmo di non cedere e alla fine di quel pomeriggio comunicammo la nostra posizione. In seguito ci fu confermato che avevano sanificato molte strade». 

Gli accordi con gli ospedali

Che cosa accadde dopo è noto soltanto in parte. I russi arrivarono in Lombardia e rimasero per due mesi. Collaborarono con le strutture sanitarie con libero accesso ai reparti.

Qualche mese dopo il New Yorker scrisse che avevano «elaborato il Dna di un cittadino russo risultato positivo in Italia per le ricerche sullo Sputnik». Un anno dopo, nell’aprile 2021, è stato chiuso un accordo con l’ospedale Spallanzani di Roma proprio per la sperimentazione dello Sputnik, nonostante la mancata approvazione del vaccino russo da parte dell’Ema. La collaborazione è stata interrotta qualche giorno fa, tre settimane dopo l’inizio dell’invasione russa in Ucraina. 

I dati “sensibili”

Che cos’altro prevedeva l’accordo «di altissimo livello politico» di cui parlò Kikot? E soprattutto, a quali informazioni di tipo sanitario hanno avuto accesso i russi? Circostanze fondamentali da accertare in questo momento di conflitto internazionale, anche per scoprire se - come si teme - la minaccia di Alexei Vladimorovic Paramonov riguardi il disvelamento dei patti siglati all’epoca.

Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera” il 22 marzo 2022.  

Presidente Conte, nel marzo del 2020 quando la delegazione russa arrivò in Italia lei era presidente del Consiglio. Quali accordi prese con Vladimir Putin?

«In quei giorni di massima emergenza dovuta alla pandemia ebbi colloqui con i leader di tutto il mondo che mi cercarono per manifestare solidarietà per quello che stava accadendo in Italia e per aiutarci.

Tra questi anche Putin che si offrì di mandare personale specializzato. Mi disse che loro avevano maturato grande esperienza su come affrontare le pandemia perché avevano avuto la Sars. Noi eravamo in grandissima difficoltà. Non avevamo mascherine, non avevamo ventilatori. I nostri esperti non avevano neppure un protocollo di azione e non avevamo neppure sequenziato il virus. Ogni aiuto era ben accetto».

Con chi ne parlò?

«Con il ministro della Difesa Guerini e degli Esteri Di Maio, ma anche con altri ministri. Putin mi disse che la squadra era autosufficiente. Posso assicurare che tutto si è svolto con il nostro controllo militare». 

Dopo le minacce all'Italia lei ritiene che tutto si svolse in maniera regolare?

«I direttori delle agenzie di intelligence Aise e Aisi hanno assicurato che non c'è mai stata attività impropria che ha travalicato dai confini sanitari. Lo hanno riferito anche di fronte al Copasir specificando che l'attività dei russi si è svolta nei limiti e nelle forme che sono poi state concordate con le autorità sanitarie. Le insinuazioni, i dubbi e le perplessità mi sembrano assolutamente fuori luogo». 

Non ha mai sospettato che fosse spionaggio?

«Non c'è alcun elemento per pensare che la loro attività e assistenza abbia travalicato i confini sanitari. Lo ripeto, i militari li hanno sempre affiancati. I riscontri che ho ricevuto sono stati di apprezzamento. 

Voler rileggere in modo strumentale e senza elementi concreti quello che accadde due anni fa alla luce del conflitto attuale mi sembra fuorviante». 

Eppure il capomissione Sergey Kikot propose alla delegazione italiana di sanificare gli edifici pubblici.

«Non ho mai sentito questa cosa, nessuno me ne ha mai parlato». 

 Alcuni parlamentari M5S sono schierati con Putin e non saranno alla Camera ad ascoltare Zelensky, è d'accordo?

 «Stiamo parlando di un conflitto e come diceva Bertrand Russel "in una guerra non decide chi ha ragione ma chi sopravvive". Io invidio chi, di fronte a un'escalation bellica, sfodera certezze assolute, chi ha convinzioni insuperabili.

Detto questo la nostra posizione è stata molto chiara: siamo di fronte a un'aggressione militare ingiustificata che merita risoluta condanna che ci spinge a offrire aiuto di vario tipo alla popolazione ucraina. 

Ma come Movimento Cinque Stelle il nostro obiettivo è far di tutto perché la follia della guerra ceda il passo a un percorso di razionalità e si possa recuperare attraverso la pressione costante e risoluta della comunità internazionale la soluzione politica e dei negoziati ponendo fine alla carneficina in atto». 

Il suo governo ha concesso onoreficenze a personalità russe, compreso Alexei Vladimorovic Paramonov, che ha minacciato l'Italia. È pentito?

 «Immagino che nel corso del tempo siano state assegnate onoreficenze a tantissime personalità russe. Non ricordo in particolare il nominativo di questo Alexei Paramonov, ma dai riscontri effettuati risulta che gli sono state consegnate su proposta del ministro degli Esteri e che la consegna della stella d'Italia è stata concessa dal ministero degli Esteri senza coinvolgere la presidenza del Consiglio. Per quanto riguarda la revoca non so quali siano i precedenti, ma non sono affatto contrario che sia avviata subito la procedura».

È ancora amico di Putin?

«Ho avuto varie occasioni per incontrare Putin e molti colloqui telefonici con lui quando ero presidente del Consiglio. Non ho mai colto questo disegno di attaccare l'Ucraina anche quando l'attuazione degli accordi di Minsk è stata al centro delle nostre conversazioni. 

Non so che cosa l'abbia spinto a mettere in atto questa invasione, ma sicuramente è una iniziativa militare grave e inaccettabile che rischia di fare molto male anche al suo popolo condannandolo a un isolamento politico e a grande sofferenza economica e sociale».

Perché siete contrari all'aumento delle spese militari?

«Dopo due anni di pandemia ci sono caro-bollette, caro-energia, famiglie in ginocchio che non riescono ad arrivare a fine mese e intere filiere produttive che rischiano di soccombere, credo che sia quantomeno fuori luogo programmare incrementi della spesa militare. Non mi sento di presentare ai nostri concittadini un aumento di queste spese senza prima aver risolto queste urgenze».

Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera” il 22 marzo 2022.  

(…)  Ci sono altri dettagli inediti su quella operazione che tre giorni fa l'alto funzionario del ministero degli Esteri Alexei Paramonov ha citato nel suo attacco al nostro Paese minacciando «conseguenze irreversibili» se aderiremo alle sanzioni.

Riunione in foresteria

Foresteria militare di via Castro Pretorio a Roma, sala riservata alle delegazioni internazionali. Da una parte del tavolo c'è il generale Sergey Kikot, vice comandante del reparto di difesa chimica, radiologica, biologica dell'esercito russo insieme ad almeno dieci militari. Dall'altra il generale Luciano Portolano - all'epoca comandante del Coi, il Comando operativo interforze - e i vertici del Comitato tecnico-scientifico, Agostino Miozzo e Fabio Ciciliano. 

La richiesta di pianificare le attività che potevano essere svolte dal contingente russo nel nostro Paese arriva direttamente da Palazzo Chigi. Kikot è subito esplicito: «Siamo qui sulla base di un accordo politico di altissimo livello. Dunque possiamo fare qualsiasi cosa per aiutarvi. Vogliamo sanificare l'intero territorio italiano entrando anche negli uffici pubblici e in tutte le sedi a rischio».

Lo scontro Portolano e Miozzo chiariscono che gli unici interventi possono riguardare ospedali e Rsa, le residenze per anziani dove c'erano già decine di decessi a causa del Coronavirus. 

Kikot insiste e la riunione viene interrotta. Portolano si consulta con i colleghi, la trattativa va avanti per ore e alla fine si decide di non cedere. 

Ma i toni sono aspri. Miozzo lo ricorda molto bene: «L'esordio di Kikot fu particolarmente intrusivo, ruvido. Parlava come se dovessero bonificare Chernobyl dopo l'esplosione nucleare. Ci disse che gli accordi di alto livello prevedevano sanificazioni su tutto il territorio e disse che loro intendevano sanificare tutti gli edifici, compresi quelli pubblici. Il colloquio fu interrotto varie volte ma con Portolano decidemmo di non accettare alcuna offerta di quel tipo. 

La riunione terminò con l'autorizzazione a entrare soltanto in alcune strutture sanitarie. In seguito ci fu confermato che avevano sanificato molte strade». 

(…) Che cosa accadde dopo è noto soltanto in parte. I russi arrivano in Lombardia e rimangono per due mesi. Collaborano con le strutture sanitarie con libero accesso ai reparti. Qualche mese dopo il New Yorker scrive che avevano «elaborato il Dna di un cittadino russo risultato positivo in Italia per le ricerche sullo Sputnik».

 Un anno dopo, nell'aprile 2021, è stato chiuso un accordo con l'ospedale Spallanzani di Roma proprio per la sperimentazione dello Sputnik, nonostante la mancata approvazione del vaccino russo da parte dell'Ema. La collaborazione è stata interrotta qualche giorno fa, tre settimane dopo l'inizio dell'invasione russa in Ucraina. (…)

Pd, Borghi: "Mosca non perdona a Guerini di aver impedito lo spionaggio russo nel 2020". Giovanna Casadio su La Repubblica il 21 marzo 2022.  

Intervista al responsabile Sicurezza del Pd dopo le minacce fatte recapitare da Putin al nostro ministro della Difesa: "I suoi aiuti all'Italia per il Covid? Certe reazioni stizzite tradiscono il fatto che quello che credevano un investimento in realtà non ha ritorni". "Mosca non perdona a Lorenzo Guerini di avere agito per mettere in assoluta sicurezza le nostre infrastrutture strategiche quando nel marzo del 2020 un contingente militare russo venne in Italia per l'emergenza Covid". Enrico Borghi, responsabile Sicurezza del Pd, amico personale del ministro della Difesa, ha pochi dubbi: avere impedito allora l'attività di spionaggio dei russi è una delle ragioni del

Fiorenza Sarzanini per corriere.it il 20 marzo 2022.

È la sera di 22 marzo 2020, domenica, quando all’aeroporto militare di Pratica di Mare, alle porte di Roma, atterrano tredici quadrireattori Ilyushin decollati da Mosca. Ad attenderli c’è il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, l’accordo per la missione è stato preso il giorno precedente con una telefonata tra l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il presidente russo Vladimir Putin. Il livello dei rapporti tra Italia e Russia in quel momento è all’apice. 

Nel luglio precedente Putin è stato ricevuto con tutti gli onori a Villa Madama per una cena che ha unito imprenditori e politici, con 5 Stelle e Lega a farla da padrone.

Quando ha inizio la missione «Dalla Russia con amore» a marzo di due anni fa l’Italia ha 80.539 positivi da Coronavirus e 8.165 decessi. La zona peggiore è quella di Bergamo con 7.458 contagiati. Ma a preoccupare è soprattutto la carenza di ventilatori e mascherine. Ne servono milioni al giorno ma l’Italia non ne produce e quindi la ricerca all’estero è spasmodica. Ecco perché inizialmente la missione russa viene accolta positivamente.

La minaccia per le sanzioni

Adesso che Alexei Vladimorovic Paramonov, 60 anni, ex console russo a Milano, direttore del dipartimento europeo del ministero degli Esteri ha minacciato l’Italia di «conseguenze irreversibili» se aderirà al nuovo piano di sanzioni contro Mosca, ha bollato il ministro della Difesa Lorenzo Guerini come «un falco» e ha accusato il nostro Paese di aver «dimenticato gli aiuti ricevuti dal Cremlino durante la pandemia», si ha la conferma che ci sia molto altro dietro quella missione di due anni fa.

La diplomazia e l’intelligence italiana in queste ore rassicurano sulla portata effettiva dell’avvertimento che «rientra nella propaganda di Mosca anche perché affidato a una figura di rango non elevato». 

Senza però escludere che la ritorsione possa essere proprio il disvelamento di tutti gli accordi presi in quei due mesi di permanenza dei militari russi in Italia. Un vero e proprio ricatto che potrebbe mettere in difficoltà chi, all’epoca, aveva condiviso con i russi informazioni e siglato accordi economici e commerciali.

La vera minaccia di Mosca nei confronti dell’Italia potrebbe essere proprio questa. Ecco perché è utile tornare a quel 22 marzo del 2020 e ricostruire che cosa accadde.

Militari e scienziati

Quella sera a chi è in servizio a Pratica di Mare basta scorrere la lista dei componenti della missione per comprendere che qualcosa non torna. 

Ufficialmente si tratta di aiuti sanitari ma nella lista dei 104 nomi ci sono solo 28 medici e quattro infermieri. Gli altri sono militari.

A guidare la spedizione è il generale Sergey Kikot, vice comandante del reparto di difesa chimica, radiologica, biologica dell’esercito russo. Nel suo curriculum c’è la collaborazione con aziende che producono e riparano armi per la protezione chimica, radioattiva e biologica. 

Con lui ci sono Natalia Y. Pshenichnaya, vicedirettrice dell’Istituto centrale di ricerche epidemiologiche, e Aleksandr V. Semenov, dell’Istituto Pasteur di San Pietroburgo. Entrambi lavorano al Rospotrebnadzor, la struttura sanitaria civile a cui Putin il 27 gennaio 2020 ha affidato la supervisione del contrasto all’epidemia.

Qual è il vero ruolo di questi scienziati in Italia? E quali sono i compiti affidati ai militari? Ma soprattutto quanti sono gli uomini del GRU, il servizio informazioni delle forze armate russe? 

Gli obiettivi segreti

Il 5 marzo scorso, due settimane dopo l’attacco della Russia contro l’Ucraina, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori scrive su Twitter: «Col senno di poi è inevitabile tornare alla missione russa in Italia della primavera 2020. Sono testimone dell’aiuto prestato a Bergamo dai medici del contingente, ma va ricordato che a Pratica di Mare arrivarono più generali che medici. Fu aiuto, propaganda o intelligence?». 

Ci sono alcuni elementi che non possono essere ignorati. Nel febbraio 2020, quando il mondo affrontava l’emergenza da Coronavirus, i russi chiesero alle autorità cinesi di poter andare a Wuhan, lì dove tutto era cominciato, ma non ottennero il permesso. Ufficialmente ci furono contatti e riunioni soltanto in videoconferenza.

L’Italia diede invece libero accesso ai propri reparti ospedalieri, ai laboratori senza vincoli . Tanto che qualche mese dopo il New Yorker rivelò che «il Dna di un cittadino russo che si è ammalato in Italia il 15 marzo è stato usato per elaborare il vaccino Sputnik». 

Tra i materiali scaricati c’erano anche 150 ventilatori che dovevano servire per le emergenze, ma numerosi operatori sanitari denunciarono le difficoltà a utilizzarli e qualche mese dopo si scoprì che quegli stessi strumenti a Mosca si erano incendiati uccidendo almeno cinque pazienti.

Lo Sputnik, un anno dopo, è stato al centro di un accordo annunciato dall’assessore della Sanità del Lazio Alessio D’Amato «per la collaborazione scientifica tra l’Istituto Spallanzani di Roma e l’Istituto Gamaleya di Mosca per valutare la copertura delle varianti di Sars-CoV-2 anche del vaccino Sputnik V». 

Il problema è che Ema non ha mai autorizzato lo Sputnik, ma nonostante questo nell’ultimo anno ci sono stati numerosi scambi di dati tra le due strutture sanitarie. Una collaborazione che lo stesso Spallanzani alla fine ha deciso di interrompere qualche giorno fa, quasi tre settimane dopo l’inizio dell’invasione.

Ad alimentare il sospetto che molto ci fosse da nascondere in quella missione è stata anche la lettera inviata al quotidiano La Stampa due anni fa dopo gli articoli di Iacopo Iacoboni che per primo aveva rivelato la missione russa in Italia, firmata da Igor Konashenkov, capo della comunicazione ufficiale di Mosca. Quella lettera si concludeva con queste parole: «Chi scava la fossa, ci finisce dentro». 

Da corriere.it il 19 marzo 2022.

Mosca mette in guardia l'Italia dall'assumere un atteggiamento ancora più duro sul piano delle sanzioni e minaccia «conseguenze irreversibili». E' quanto affermato all'agenzia Ria Novosti Alexei Paramonov, direttore del dipartimento europeo del ministero degli Esteri russo.

Mosca, ha detto Paramonov senza però fornire dettagli, sta lavorando a una risposta alle sanzioni «illegittime» degli Stati Uniti e dell'Unione europea. Citando la dichiarazione del ministro dell'Economia francese Bruno Le Maire sui piani dell'Ue per lanciare una «guerra economica e finanziaria totale» contro la Russia, Paramonov ha affermato: «Non vorremmo che la logica delle dichiarazioni del ministro trovasse seguaci in Italia e provocasse una serie di corrispondenti conseguenze irreversibili».

Guerra alle sanzioni, la Russia se la prende con il ministro della Difesa Guerini: "Falco antirusso".  Il Tempo il 19 marzo 2022.

Piovono minacce dalla Russia che avverte l'Italia sul conflitto in Ucraina. Sono gravi i pericoli che rischierebbe il Belpaese qualora continuasse a percorrere la strada delle sanzioni contro Mosca. E nel mirino del Cremlino finisce Lorenzo Guerini, il ministro della Difesa. 

La Russia ha lanciato un avvertimento all'Italia: se Roma deciderà di introdurre nuove sanzioni contro Mosca, ci saranno "conseguenze irreversibili". Una minaccia che è stata respinta "con fermezza" dalla Farnesina, che ha chiesto alla Russia di fermare l'attacco contro l'Ucraina e ha affermato che, insieme ai partner europei e internazionali "continuerà a esercitare ogni pressione affinché Mosca torni nel quadro della legalità internazionale".

In una lunga intervista rilasciata all'agenzia Ria Novosti, il direttore del dipartimento europeo del ministero degli Esteri russo, Alexei Paramonov, ha accusato l'Italia di essersi dimenticata degli aiuti ricevuti da Mosca durante la pandemia di Covid-19 e delle storiche relazioni bilaterali esistenti tra i due Paesi, in preda a "un'isteria anti-russa" che ha contagiato l'Occidente. Roma ha ricevuto "un'assistenza significativa" durante la pandemia, e "la richiesta di aiuti è stata inviata anche dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini, che ora è uno dei principali "falchi" e ispiratori della campagna anti-russa nel governo italiano", ha sottolineato Paramonov.

Il direttore ha detto che Mosca non vorrebbe che la logica delle affermazioni del ministro dell'Economia francese Bruno Le Maire, che ha dichiarato "guerra finanziaria ed economica totale" alla Russia, trovasse seguaci in Italia e causasse una serie di corrispondenti conseguenze irreversibili.

La Farnesina ha respinto "con fermezza" le dichiarazioni minacciose di Paramonov, e ha invitato il ministero degli Esteri russo ad "agire per la cessazione immediata dell'illegale e brutale aggressione russa nei confronti dell'Ucraina", che il ministero "condanna fortemente". "L'Italia insieme ai partner europei ed internazionali continuerà a esercitare ogni pressione affinché la Russia torni nel quadro della legalità internazionale", ha affermato il ministero.

Paramonov, che ha avvertito che Mosca sta preparando una risposta alle pesanti sanzioni occidentali, ha commentato anche le misure prese dagli altri Paesi europei, tra cui Francia, Spagna e Paesi Bassi. Riguardo all'Italia, ha poi sottolineato "la significativa dipendenza di Roma dal gas russo", ricordando che finora le compagnie russe hanno adempiuto ai loro obblighi. "L'abbandono di meccanismi affidabili di trasporto dell'energia che si sono sviluppati nel corso di molti decenni avrebbe conseguenze estremamente negative per l'economia italiana e per tutta la popolazione", ha sottolineato Paramanov.

E proprio per ridurre la dipendenza energetica dalla Russia, il ministro degli Esteri Luigi Di Maio in giornata ha stretto un accordo sull'energia con le autorità del Mozambico. Il titolare della Farnesina si è recato nel Paese africano insieme all'amministratore delegato dell'Eni Claudio Descalzi. La missione ha seguito quelle in Algeria, Qatar, Congo e Angola dei giorni scorsi. "Continuiamo a consolidare rapporti sull'energia, in modo da renderci autonomi dal gas russo e tutelare famiglie e imprese italiane", ha detto Di Maio che ha poi ribadito la richiesta all'Ue di intervenire per "fissare il tetto massimo ai prezzi del gas, mitigare i costi dell'energia e creare un fondo compensativo per gli Stati membri".

Da corriere.it il 19 marzo 2022.

Solidarietà di Draghi a Guerini: «Difende gli italiani»

«Esprimo piena solidarietà al Ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, vittima di attacchi da parte del Governo russo. Il paragone tra l’invasione dell’Ucraina e la crisi pandemica in Italia è particolarmente odioso e inaccettabile». Lo dice il presidente del Consiglio, Mario Draghi. «Il Ministro Guerini e le forze armate sono in prima linea per difendere la sicurezza e la libertà degli italiani. A loro va il più sentito ringraziamento del Governo e mio personale», aggiunge il premier.

Guerini sulle minacce: «Solo propaganda»

«Non diamo peso a propaganda, incoraggiamo ogni passo politico e diplomatico che metta fine alle sofferenze del popolo ucraino»: è la replica del ministro italiano della difesa Lorenzo Guerini, che in giornata era stato definito «un falco» dalla Russia per il suo sostegno alle sanzioni. Mosca aveva minacciato Roma di ritorsioni nel caso avesse sostenuto le misure di boicottaggio.

Ministero Esteri Mosca: Guerini «falco» antirusso

Il ministro della Difesa Lorenzo Guerini è stato definito da un funzionario del ministero degli Esteri russo, Alexei Paromonov, «uno dei principali `falchi´ e ispiratori della campagna antirussa del governo italiano». Il direttore del primo dipartimento per l'Europa del ministero guidato da Serghei Lavrov lo ha detto in una intervista esclusiva alla testata russa Ria Novosti.

Il segretario del Pd Enrico Letta ha risposto con un tweet: «Il Ministero degli Esteri russo piega a propaganda di guerra anche il dramma Covid nell'attaccare con farneticazioni inaccettabili il Ministro Lorenzo Guerini. Il nostro sostegno è ancora più convinto e diventa legittimo dubitare delle reali intenzioni di quelle missioni di aiuto sanitario».

Il "falco" della Difesa? Ex dc lodigiano atlantista. Paolo Bracalini il 20 Marzo 2022 su Il Giornale. 

Un attacco diretto e inedito alla scelta pro Nato di Roma.

Difficile definire «falco» Lorenzo Guerini, ex enfant prodige della Democrazia Cristiana lodigiana, arrivato al Pd passando dal Partito Popolare, la fucina per definizione dei moderati di centrosinistra. È cresciuto politicamente nell'ammirazione di Ciriaco De Mita e dentro la Dc ha coltivato la capacità di mediatore tra le correnti, senza mai identificarsi con una in particolare, già quand'era assessore democristiano della Dc a Lodi nei primi anni '90, guadagnando proprio per questa qualità il grado di capogruppo. È da sempre considerato, nel suo partito, un abile mediatore e «tessitore» di compromessi, abilità che gli sono valse l'appellativo di «Arnaldo», in considerazione delle riconosciute qualità dell'ex segretario Dc, Arnaldo Forlani. Formatosi all'oratiorio San Lorenzo di Lodi, «allevato a suon di testi sacri e classici mandati giù a memoria sotto l'ala di monsignor Luigi Fioretti - scrive Lettera43 -, ancora oggi ricordato da molti coetanei dell'ex sindaco come il più grande parroco della città». Poi all'università cattolica, tesi con Lorenzo Ornaghi (futuro rettore e ministro montiano) sul pensiero del filosofo partigiano Alessandro Passerin D'Entreves. Le passioni più estreme che ha sono quelle per Bruce Spreengsteen, U2 e Van Morrison. Oltre a quella avuta, qualche anno fa, per Matteo Renzi, conosciuto ai tempi dell'Anci. Per il resto va in bici (non ha la patente) e da qualche anno fa il ministro della Difesa, dopo essere stato presidente del Copasir.

Può essere più distante dall'ex dc Guerini l'immagine di «falco» e «ispiratore della campagna antirussa», affibbiatagli dal diplomatico Alexei Paramonov? Certo ai russi non sono andate giù le dichiarazioni atlantiste di Guerini, considerato tra i ministri più filoamericani degli ultimi governi in Italia. Su questo il ministro è sempre stato netto, come nell'ultima dichiarazione di pochi giorni fa: «L'Italia è fortemente impegnata e determinata a lavorare per supportare le decisioni assunte in seno all'Alleanza Atlantica». Non certo una dichiarazione di guerra a Mosca. E prima: «Putin ha perso una scommessa clamorosa: voleva meno Nato e invece oggi c'è più Nato ed un'Europa più unita. C'è la possibilità che la Russia e Putin puntino ad un gioco irresponsabile, a conseguire risultati militari per poi sedersi con più forza ad un eventuale tavolo. Siamo in presenza di un azzardo compiuto da Putin sulla pelle della popolazione ucraina». Poi l'Italia, e quindi la Difesa, ha fornito armi all'esercito ucraino (la lista degli armamenti è secretata ma si parla di sistemi anticarro Spike e antiaereo Stinger, mitragliatrici pesanti Browning e mortai). Poi, quando il giorno della votazione in Parlamento sulle misure in favore dell'Ucraina l'ambasciata russa a Roma ha fatto recapitare ai parlamentari delle commissioni Esteri e Difesa una dichiarazione di ministro degli Esteri russo Lavrov, Guerini ha commentato che quell'ingerenza «dà il senso dell'arroganza del regime russo». A Mosca se la devono essere segnata. E Arnaldo è diventato il «falco» che «ispira» la campagna contro la Russia.

Maria Teresa Meli per il “Corriere della Sera” il 20 marzo 2022.

Protagonista suo malgrado: Lorenzo Guerini non ama le luci dei riflettori, concede poche interviste, centellina le dichiarazioni, le sue apparizioni in televisione sono rarissime, ma ieri il ministro della Difesa si è trovato al centro della ribalta internazionale per l'attacco sferratogli da Alexei Paramonov, il direttore del dipartimento europeo del dicastero degli Esteri russo. 

Quando gli hanno riferito la notizia Guerini era a Milano, all'Arco della Pace, con il capo di Stato maggiore dell'Esercito Pietro Serino, per il giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana di 44 allievi della scuola militare Teulié.

Com'è nel suo stile, non ha fatto una grinza: «Il programma non cambia», ha detto a chi gli stava vicino. E ha continuato la cerimonia, fermandosi a parlare con i giovani allievi. Ai quali, poco prima aveva spiegato: «La reazione della Nato e dei Paesi europei all'aggressione russa dell'Ucraina è stata forte e unanime. Una reazione di solidarietà e di amore per la libertà che riflette i valori della famiglia della Difesa di cui entrate a far parte». 

Anche dopo, quando Guerini ha ricevuto la solidarietà personale e pubblica di molti, dal premier Mario Draghi al ministro degli Esteri Luigi Di Maio e al segretario pd Enrico Letta, e di tutti i partiti, il ministro ha limitato i commenti al massimo.

«È solo propaganda, da non prendere in considerazione, propaganda a cui non darei un eccessivo peso, non cadiamo in queste provocazioni», ha detto a chi gli chiedeva se non fosse preoccupato per questo attacco. 

Lo ha però molto colpito il riferimento agli aiuti russi per il Covid, come ha confidato a un parlamentare: «Ma cosa c'entra? Non si può fare propaganda su una tragedia come quella. Peraltro io a suo tempo ho ringraziato tutti quelli che ci hanno supportato, però non è che se uno ci aiuta e due anni dopo invade un Paese si può aspettare un "bravo" per quell’aggressione».

Qualche amico più tardi gli ha fatto notare: «Avresti mai creduto di passare per un falco?». E lui ha sorriso, perché della prudenza ha fatto la sua bandiera. Anche in questi giorni difficili, il suo invito alla «cautela» era ripetuto e insistito. 

La sua posizione sull'invasione russa è stata netta e ferma sin dall'inizio, «un'aggressione temeraria e sanguinosa», l'ha definita. Ma ha sempre lasciato la porta aperta alla possibilità di un negoziato «per porre fine alle sofferenze del popolo ucraino».

Perciò i suoi amici faticano a vederlo nei panni del falco che ha orchestrato una campagna contro la Russia. Anche nella stringatissima nota che nel pomeriggio si decide a rilasciare per commentare l'attacco che gli è stato rivolto, torna il termine «propaganda» a cui, ribadisce, non bisogna dare peso. Come a voler circoscrivere l'entità dell’episodio. 

Pure al suo dicastero si preferisce minimizzare. Ai suoi collaboratori Guerini ha detto: «È un attacco all'Italia, più che alla mia persona». Già, il ministro della Difesa non vuole fare «il personaggio». A suo giudizio i protagonisti di questa grave crisi internazionale sono altri. Il «popolo ucraino, che con la sua resistenza sta dando testimonianza di eroismo». 

E il presidente Zelensky, che «è un punto di riferimento per il suo popolo, ma anche per la comunità internazionale». Basso profilo, dunque, come sempre, perché Guerini è fedele al motto secondo il quale «un ministro della Difesa deve evitare di parlare troppo». Grande determinazione, però: «La linea è quella e non cambia». Certo non per un «attacco propagandistico».

La memoria corta. Paolo Guzzanti il 20 Marzo 2022 su Il Giornale. 

Speriamo che a Mosca ci sia ancora qualcuno con la testa sulle spalle che non abbia perduto il senso delle parole e delle proporzioni dopo gli ultimi lanci subsonici.

Speriamo che a Mosca ci sia ancora qualcuno con la testa sulle spalle che non abbia perduto il senso delle parole e delle proporzioni dopo gli ultimi lanci subsonici di minacce da bulli ministeriali come quella di «conseguenze irreversibili» che ricorda «l'ora delle decisioni irrevocabili». E poi i rinfacci: il più misero è quello di aver inviato una colonna militare in Italia all'inizio della pandemia su discutibilissimo invito del governo Conte. E poi frasi minacciose di vecchio sapore sovietico come quella dedicata al ministro della Difesa Lorenzo Guerini, definito «uno dei falchi e ispiratori della campagna antirussa del governo italiano».

A Mosca si dovrebbero dare una calmata: non esiste alcuna campagna antirussa, se non quella che il Cremlino si sta facendo da solo invadendo uno Stato sovrano nel quale porta rovina, morte e distruzione. Semmai, farebbero bene a scendere dalla torretta del carro armato e ragionare. Chiedendosi come mai, proprio l'Italia che ha mostrato sempre una solida amicizia malgrado i venti di guerra fredda, sia verso l'Urss sia per la Federazione Russa, oggi sia così compatta nel condividere lo stesso atteggiamento di condanna di tutte le democrazie occidentali, europee e no.

Siamo sicuri che a Mosca ricordino bene. L'Italia repubblicana ha svolto nei confronti della Russia una politica spesso non gradita dagli alleati atlantici, praticando una politica commerciale vantaggiosa per entrambi i Paesi. Basta ricordare la posizione entusiasticamente filorussa di Giulio Andreotti e quella di personale amicizia con Putin di due politici italiani fra loro avversari, come Romano Prodi e Silvio Berlusconi i quali, entrambi, hanno fatto risaltare il «fattore umano» come strumento geopolitico. L'Italia ha cercato sempre di smorzare i toni e ridurre le conseguenze di atti di forza ancor prima dell'invasione dell'Ucraina, come la violazione della frontiera con la Georgia e l'annessione della Crimea, che hanno provocato un crescendo di irritazione nel campo delle democrazie. Ogni volta, l'Italia e i suoi politici hanno affrontato con moderazione quel che accadeva, lavorando per ridurre l'asprezza delle sanzioni e proteggere rapporti e interessi commerciali. Quel che è accaduto con la sanguinaria operazione militare in Ucraina non poteva però non provocare reazioni e allarme. Chi ha creato questa situazione si trova a Mosca e non a Roma. Eppure il risultato sono minacce, rinfacci e insulti.

Potremmo prendere in prestito una vecchia maschera di Alberto Sordi e chiedere: «'A russi! Vi abbiamo protetto e amato quando gli altri vi odiavano e voi ci minacciate? Ve siete bevuti la vodka in orario di lavoro? State calmi e riportatevi a casa tutta la vostra ferraglia». Una volta la Russia era la patria di Gogol. Sarà rimasto qualcosa del senso dell'umorismo e della decenza?

Alessandro Di Matteo per “La Stampa” il 20 marzo 2022.

Adesso la Russia alza la voce con l'Italia, Mosca minaccia «conseguenze irreversibili» in caso di inasprimento delle sanzioni e attacca direttamente il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, definito un «falco» e accusato di avere dimenticato l'aiuto di Vladimir Putin durante l'emergenza Covid nel 2020. Un'escalation verbale che provoca la reazione di quasi tutti i partiti italiani e che il premier Mario Draghi respinge con una nota ufficiale. L'affondo arriva da Alexei Paramonov, direttore del primo dipartimento europeo del ministero degli Esteri russo, che risponde alle minacce francesi di inasprire le misure contro Mosca accusando, tra l'altro, il governo italiano di «isteria».

Un vero e proprio avvertimento, quello di Paramonov: «Non vorremmo che la logica delle dichiarazioni del ministro dell'Economia francese Bruno Le Maire, che ha dichiarato "guerra finanziaria ed economica totale" alla Russia, trovasse seguaci in Italia». Parole che fanno subito scattare la reazione di Enrico Letta, segretario del Pd, il partito di Guerini. «Il ministero degli Esteri russo piega a propaganda di guerra anche il dramma Covid, nell'attaccare con farneticazioni inaccettabili il ministro Lorenzo Guerini. Il nostro sostegno è ancora più convinto e diventa legittimo dubitare delle reali intenzioni di quelle missioni di aiuto sanitario».

Già due anni fa, del resto, c'erano state polemiche per la scelta del governo (allora guidato da Giuseppe Conte) di accettare l'aiuto dell'esercito russo. Netta anche la presa di posizione della Farnesina, che «respinge con fermezza le dichiarazioni minacciose» di Paramonov e «invita il ministero degli Esteri» russo ad «agire per la cessazione immediata dell'illegale e brutale aggressione» nei confronti dell'Ucraina. Ma poco dopo è lo stesso presidente del Consiglio a fare uscire una nota ufficiale: «Esprimo piena solidarietà al ministro della Difesa Lorenzo Guerini, vittima di attacchi da parte del Governo russo».

Il premier, poi, definisce «particolarmente odioso e inaccettabile il paragone tra l'invasione dell'Ucraina e la crisi pandemica in Italia» e conclude: «Il ministro Guerini e le forze armate sono in prima linea per difendere la sicurezza e la libertà degli italiani. A loro va il più sentito ringraziamento del Governo e mio personale». Parla anche il bersaglio degli attacchi russi, Guerini appunto, ma per minimizzare: «Non diamo peso alla propaganda. Incoraggiamo invece ogni passo politico e diplomatico che metta fine alle sofferenze del popolo ucraino.

L'Italia è a fianco dell'Ucraina e continuerà ad esserlo». Al ministro arriva una solidarietà praticamente unanime, anche se qualche sfumatura si nota. Oltre al Pd, schierato a difesa del suo uomo, anche Matteo Renzi, Carlo Calenda e Fi fanno quadrato. Per il partito di Silvio Berlusconi parla il coordinatore Antonio Tajani e tutti e tre i ministri - Mara Carfagna, Mariastella Gelmini e Renato Brunetta. A fianco di Guerini anche diversi esponenti M5s, a cominciare dal ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D'Incà. Dalla Farnesina Luigi Di Maio rimanda al mittente le accuse - «le minacce di Putin denotano la difficoltà in cui si trova» - e rilancia: «Il governo russo, invece di trascorrere le giornate minacciando, fermi la guerra in Ucraina che sta causando la morte di civili innocenti».

Più tiepido il sostegno di Lega e Fratelli d'Italia. Matteo Salvini non si pronuncia, la «piena e totale solidarietà» arriva dalla sottosegretaria alla Difesa Stefania Pucciarelli, da Paolo Ferrari e da Paolo Formentini. Per Fdi si fa sentire Fabio Rampelli: «Di fronte ai tentativi di intimidazione da parte di Putin e dei suoi ministri la posizione dell'Italia non cambia di un millimetro. Tace però Giorgia Meloni e, anzi, parlando con l'Ansa, il capogruppo alla Camera Francesco Lollobrigida, pur esprimendo solidarietà a Guerini, se la prende con Luigi Di Maio: «Ritengo sbagliati alcuni atteggiamenti tenuti dal governo italiano, in particolare le dichiarazioni del ministro di Di Maio che sono una miccia che rischia di innescare un conflitto dialettico tra la diplomazia»

Ilario Lombardo per “La Stampa” il 20 marzo 2022.

Come sempre quando mandano un messaggio, i russi vanno interpretati. Anche quando è così esplicito. Anzi: soprattutto quando è così esplicito. Ed è quello che hanno fatto nel governo, a Palazzo Chigi, agli Esteri e alla Difesa, dopo aver letto le dichiarazioni di Alexej Paramonov. Nonostante la minaccia di ritorsioni se l'Italia dovesse sostenere un inasprimento delle sanzioni contro Mosca, e l'attacco chirurgico contro il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, la prima reazione è stata: non rispondiamo. Il direttore del dipartimento europeo del ministero degli Esteri russo è sì un alto funzionario, ma non è il ministro, né il suo portavoce.

Via via che monta la polemica tra i partiti, però, nel governo cominciano a temere il proprio silenzio. Il sostegno tra forze politiche e ministri diventa universale, e precede la nota con cui il premier Mario Draghi difende e ringrazia Guerini e l'esercito, definendo «particolarmente odioso e inaccettabile il paragone tra l'invasione russa e la crisi pandemica in Italia», quando da Mosca, nel marzo 2020, arrivarono aiuti militari e sanitari che ieri il diplomatico ha rinfacciato al governo.

Paramonov non è un funzionario qualsiasi: ex console a Milano, conosce benissimo l'Italia, ed è stato tra i candidati per il posto di ambasciatore a Roma. L'intervista, consegnata non a caso all'agenzia pubblica Ria Novosti, ha uno scopo preciso. È il Cremlino che parla perché Palazzo Chigi intenda. E il messaggio, si diceva, va in parte decriptato. Soprattutto quando il diplomatico russo affibbia l'etichetta di «falco» a Guerini. Con i colleghi il ministro ci ha sorriso su: «Chiunque mi conosca non mi definirebbe così». Per carattere, per l'eredità democristiana su cui Guerini scherza sempre e che gli fa prediligere il realismo, non si sente un falco. Ma sa benissimo cosa c'è dietro la scelta di quel termine. Guerini è considerato la maggiore garanzia atlantista dentro il governo. Una fede, verso l'alleato americano, che ha sempre coltivato, anche da presidente del Copasir, la commissione parlamentare sui servizi segreti.

Per il suo incarico alla Difesa, per la distanza che è naturale resti sulla collaborazione militare, a differenza di altri Guerini ha invece mantenuto pochi rapporti con il governo di Mosca e ha visto il suo omologo Sergej ojgu, l'architetto dell'invasione dell'Ucraina, solo una volta. Lo ha pubblicamente ringraziato per i mezzi e gli uomini che arrivarono durante il Covid, ma pensare di tirar fuori quegli aiuti per ammorbidire la condanna di quanto sta avvenendo a Kiev, suona «moralmente» sbagliato, secondo Draghi e la totalità dei partiti. È all'amico di Washington, ed è dunque indirettamente all'amministrazione Usa, che i russi stanno lanciando i loro avvertimenti.

L'altro ieri Guerini ha visto Carlos Del Toro, segretario della Marina americana con cui ha parlato di partnership strategica nel settore navale. Ed è il ministro che più di tutti sta lavorando, da tre anni, per ridare ossigeno agli investimenti militari, e raggiungere l'obiettivo di aumentare la spesa fino al 2 per cento di Pil, come i presidenti degli Stati Uniti, Donald Trump e Joe Biden, chiedono da anni agli alleati Nato. C'è un accordo del 2014 che lo prevede. Quello fu l'anno dell'annessione della Crimea e dell'inizio della guerra nel Donbass.

Dopo 8 anni, e un mese di un'aggressione unilaterale che ha sfondato i confini dell'Europa, l'Italia vuole mettersi in pari il prima possibile: «Non ci faremo spaventare dalle minacce» è il senso in queste ore delle parole di Draghi, che martedì sarà alla Camera ad assistere all'intervento del presidente ucraino Zelensky. Aumentare i finanziamenti vuol dire rafforzare il sistema di sicurezza nei Baltici e ai confini della Russia. Il Cremlino lo sa. E lo teme. Aveva scommesso sullo sbandamento grillo-leghista del biennio 2018-2020 per Vladimir Putin, mentre ora si ritrovano il secondo principale partner commerciale in Europa che non si sottrae alle durissime sanzioni, nonostante i tentennamenti nei primi giorni dell'attacco.

Non si sa se le misure saranno esasperate. L'Italia non spinge a farlo fino a rompere ogni rapporto commerciale, e, visti i legami economici, storicamente sostiene una linea più moderata. Ma la strategia di Draghi prevede un principio: l'Italia si muove compatta con i partner europei. La solerzia con cui l'ambasciatore a Mosca Giorgio Starace avrebbe invitato le aziende italiane a non lasciare la Russia, come ricostruito da La Stampa una settimana fa, secondo fonti diplomatiche non è piaciuta a Draghi. La guerra in Ucraina ha cambiato tutto. E non bisogna mostrare alcuna ambiguità. Ecco perché il passaggio in cui Paramonov avverte l'Italia è definito «subdolo» dalle stesse fonti. La dipendenza dal gas russo fa paura. Ma altrettanto forte, al governo, è la sensazione che Putin non si priverà di una delle poche entrate certe che gli sono rimaste dall'estero e con cui finanzia l'enorme campagna ucraina.

Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera” il 21 marzo 2022.

Cartelle cliniche con i dati sanitari dei pazienti, accordi commerciali per farmaci e strumentazione, ma soprattutto un patto di ferro per la realizzazione dello Sputnik, il vaccino anti-Covid. C'è tutto questo dietro l'avvertimento all'Italia e l'attacco al ministro della Difesa Lorenzo Guerini di Alexei Vladimorovic Paramonov, 60 anni, ex console russo a Milano, direttore del dipartimento europeo del ministero degli Esteri che ha minacciato «conseguenze irreversibili» se il nostro Paese aderirà al nuovo piano di sanzioni contro Mosca.

Il timore della diplomazia e dell'intelligence è che la ritorsione si realizzi rivelando che cosa davvero accadde a partire dal marzo 2020, dopo l'arrivo di una delegazione di russi nel nostro Paese. La versione ufficiale parlava di aiuti per affrontare l'emergenza pandemica. In realtà la missione degli 007 aveva ben altri scopi. Al telefono con Putin È la sera di 22 marzo 2020, domenica, quando all'aeroporto militare di Pratica di Mare, alle porte di Roma, atterrano tredici quadrireattori Ilyushin decollati da Mosca. 

Ad attenderli c'è il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, l'accordo per la missione è stato preso il giorno precedente con una telefonata tra l'allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il presidente russo Vladimir Putin. Il livello dei rapporti tra Italia e Russia in quel momento è all'apice. Nel luglio precedente Putin è stato ricevuto con tutti gli onori a Villa Madama per una cena che ha unito imprenditori e politici, con 5 Stelle e Lega a farla da padrone. Quella sera, quando ha inizio la missione «Dalla Russia con amore», l'Italia ha 80.539 positivi da Coronavirus e 8.165 decessi.

La zona peggiore è quella di Bergamo con 7.458 contagiati. Ma a preoccupare è soprattutto la carenza di ventilatori e mascherine. Ne servono milioni al giorno ma l'Italia non ne produce e quindi la ricerca all'estero è spasmodica. Ecco perché, almeno inizialmente, la missione russa viene accolta con entusiasmo. Militari e scienziati Sin da subito qualcosa però non torna. Ufficialmente si tratta di aiuti sanitari ma nella lista dei 104 nomi ci sono solo 28 medici e quattro infermieri. Gli altri sono militari. 

A guidare la spedizione è il generale Sergey Kikot, vice comandante del reparto di difesa chimica, radiologica, biologica dell'esercito russo. Nel suo curriculum c'è la collaborazione con aziende che producono e riparano armi per la protezione chimica, radioattiva e biologica. Con lui ci sono Natalia Y. Pshenichnaya, vicedirettrice dell'Istituto centrale di ricerche epidemiologiche, e Aleksandr V. Semenov, dell'Istituto Pasteur di San Pietroburgo. Entrambi lavorano al Rospotrebnadzor, la struttura sanitaria civile a cui Putin il 27 gennaio 2020 ha affidato la supervisione del contrasto all'epidemia.

Qual è il vero ruolo di questi scienziati in Italia? E quali sono i compiti affidati ai militari? Ma soprattutto, quanti sono gli uomini del GRU, il servizio informazioni delle forze armate russe? Dna e dati sanitari Ci sono alcuni elementi che non possono essere ignorati. Nel febbraio 2020, quando il mondo affronta l'emergenza da Covid-19, i russi chiedono alle autorità cinesi di andare a Wuhan, ma il permesso viene negato. L'Italia non mette invece alcun vincolo per l'accesso agli ospedali, ai laboratori, ai dati. 

Qualche mese dopo il New Yorker rivela che «il Dna di un cittadino russo che si è ammalato in Italia il 15 marzo è stato usato per elaborare il vaccino Sputnik». È la dimostrazione che la delegazione proveniente da Mosca ha potuto utilizzare le informazioni, ma anche reperti genetici, visionare dati riservati relativi ai pazienti e all'organizzazione delle strutture sanitarie. Non è l'unica occasione.

Il patto di Roma Mentre nei mesi successivi si stringono numerosi accordi commerciali, nell'aprile 2021 la Regione Lazio firma un patto «per la collaborazione scientifica tra l'Istituto Spallanzani di Roma e l'Istituto Gamaleya di Mosca per valutare la copertura delle varianti di Sars-CoV-2 anche del vaccino Sputnik V». Nonostante Ema non abbia mai autorizzato lo Sputnik, tra le due strutture sanitarie ci sono stati numerosi scambi di dati «sensibili» relativi al Covid.

Come sono avvenuti? Su quali piattaforme? La collaborazione è stata interrotta dallo Spallanzani qualche giorno fa, quasi tre settimane dopo l'inizio dell'invasione. Ad alimentare il sospetto che molto ci fosse da nascondere in quella missione è stata anche la lettera - inviata nell'aprile 2020 al quotidiano La Stampa due anni fa dopo gli articoli di Jacopo Iacoboni che per primo aveva rivelato i dettagli della missione russa in Italia - firmata da Igor Konashenkov, capo della comunicazione ufficiale di Mosca. La fine della missiva era diretta: «Chi scava la fossa, ci finisce dentro».

Simone Bianco per il “Corriere della Sera” il 21 marzo 2022.

Il 26 marzo 2020 Giorgio Gori partecipò alla conferenza stampa - in cui le domande erano vietate - con i militari russi appena arrivati in città per aiutare un territorio devastato dal coronavirus. In un tweet di qualche giorno fa, il sindaco di Bergamo si è chiesto se quella missione fosse «aiuto, propaganda o intelligence». 

Nel marzo 2020 ci fu tempo per pensare alle reali intenzioni di quella missione?

«No, eravamo in grande difficoltà. L'apertura dell'ospedale alla Fiera di Bergamo venne inizialmente rinviata per il bidone dei medici promessi e mai inviati dai cinesi. Dell'arrivo dei russi qui abbiamo saputo all'ultimo, credo che su questo ci fosse stato un contatto tra Putin e Conte. Ricordo l'atmosfera sinistra di quella conferenza stampa, in cui i giornalisti non potevano rivolgersi ai militari». 

L'aiuto dei russi fu reale?

«Questo è certo. Oltre ad aver sanificato le case di riposo, trenta medici lavorarono in Fiera e furono determinanti per il funzionamento di quell'ospedale. Altri medici italiani mi hanno testimoniato la competenza dei colleghi russi. In effetti, quando se ne andarono, tributammo loro il giusto ringraziamento».

Negli ultimi due anni però sono emersi i dubbi.

«Sì, se guardiamo alla composizione di quel contingente russo, fatto solo in parte da medici, è giusto chiedersi quali fossero i loro reali obiettivi. Quando parlo di intelligence la intendo in senso scientifico: il vaccino Sputnik sarebbe stato sviluppato partendo da un campione di virus prelevato in Italia. Già questo basta per dubitare che la missione fosse dovuta a pura generosità. Aggiungiamo che la Russia ha usato quella missione per propaganda, sottolineando la supposta inefficienza dei Paesi Nato». 

La linea tenuta fin qui dal governo Draghi va confermata, anche di fronte alle minacce russe?

«Sì, come ha fatto dall'inizio il segretario del Pd Enrico Letta, bisogna essere fermi nel condannare l'aggressione e nel supportare l'Ucraina. Vedo invece in difficoltà un'altra area della maggioranza». 

Parla di Conte e Salvini?

«Nel mondo Cinquestelle e in quello leghista probabilmente c'è imbarazzo per i rapporti tenuti negli anni passati e nelle rispettive basi tuttora cova una diffusa simpatia per Putin e la Russia. Non so se sia un caso che Conte stia frenando sull'aumento della spesa militare, mentre Salvini si è buttato su questa linea pacifista davvero improbabile. Molto più coerente e credibile Giorgia Meloni, che dall'inizio ha condannato Putin e supportato l'invio di armi all'Ucraina». 

Jacopo Iacoboni per “la Stampa” il 21 marzo 2022.

Il 5 marzo scorso, diciannove giorni prima dell'inizio ufficiale dell'invasione russa in Ucraina, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, che era stato testimone diretto dell'operazione degli "aiuti russi in Italia per il Covid" (i russi operarono a Bergamo e provincia), scrisse sui social: «Col senno di poi è inevitabile tornare alla missione russa in Italia della primavera 2020. Sono testimone dell'aiuto prestato a Bergamo dai medici del contingente, ma va ricordato che a Pratica di Mare arrivarono più generali che medici. Fu aiuto, propaganda o intelligence?».

Sabato scorso, dopo le minacce della Russia all'Italia e al ministro Lorenzo Guerini, il segretario del Pd Enrico Letta ha scritto: «Il ministero degli Esteri russo piega a propaganda di guerra anche il dramma Covid, attaccando con farneticazioni inaccettabili il ministro Lorenzo Guerini. Il nostro sostegno è ancora più convinto e diventa legittimo dubitare delle reali intenzioni di quelle missioni di aiuto sanitario». 

Ieri invece il M5S era irritato per le «strumentalizzazioni e dietrologie» sulla missione "Dalla Russia con amore", fatte «solo per attaccare il governo Conte e il suo operato in pandemia»: «Lo stesso Copasir - sostiene il M5S - ha potuto accertare che quella missione russa si è svolta esclusivamente in ambito sanitario, sempre sotto il controllo dei mezzi militari italiani».

Tuttavia agli atti del Parlamento c'è un'interrogazione parlamentare dei radicali, firmata da Riccardo Magi nell'aprile del 2020, che ottenne una risposta fin troppo esplicita, a rileggerla adesso, da parte del governo Conte: il 12 ottobre 2020, toccò alla viceministra degli Esteri, la grillina Emanuela Del Re, darla. Il testo è assai importante, adesso che i russi rinfacciano quegli "aiuti" all'Italia per esercitare una qualche forma di improbabile pressione sul governo Draghi, e spingerlo a non procedere con altre sanzioni a Mosca.

La prima cosa che Del Re mise agli atti del Parlamento fu che, appunto, la cosa era stata trattata direttamente da Putin e Conte, proprio come aveva scritto La Stampa: «A seguito di colloqui tra il Presidente Conte e il Presidente Putin e tra il Ministro della difesa Guerini e l'omologo russo Shoygu, è stato convenuto l'invio in Italia di materiali e personale sanitario». In pratica fu proprio il governo Conte a dire che i colloqui avvennero al più alto livello (l'allora premier italiano e Vladimir Putin), e dunque il contatto Guerini-Shoigu fu di natura attuativa di quanto deciso dai due leader. 

Basterebbe già questo a smentire le accuse russe a Guerini. Ma nella risposta di Del Re sono contenute altre due cose rilevanti. La prima e più clamorosa è questa: «Al personale russo impegnato nell'attività di supporto è stato fornito vitto e alloggio presso strutture alberghiere nel bergamasco, con oneri a carico della Protezione civile regionale». Traduzioni: i russi fecero passare il tutto come doni, ma l'Italia ha pagato anche la sistemazione in alberghi del personale.

Si trattò, scrive Del Re, di «104 unità, nello specifico 32 operatori sanitari (tra medici e infermieri), 51 bonificatori e altro personale di assistenza e interpretariato a supporto». Tutti a spese dell'Italia, non della Russia: «Il team sanitario russo è rimasto in Italia dal 22 marzo al 7 maggio 2020». A ciò va aggiunto, come scrisse allora La Stampa senza essere mai smentita, che quando i primi grandi aerei Ilyushin arrivarono a Pratica di mare, i comandanti della missione russa chiesero che fossero gli italiani a pagare le cospicue spese di volo e carburante degli aerei.

Qualcosa che si aggirava (calcolo per difetto) tra i 700mila euro e il milione. Il governo Conte comunicò infine al Parlamento l'entità dei famosi "aiuti", e qui dobbiamo correggerci: riferimmo di 600 ventilatori (cifra che sarebbe stata comunque modesta), ma il governo Conte ci dice che fu molto meno: «Per quanto riguarda le donazioni ricevute, la Protezione civile ha riferito di aver ottenuto e distribuito sul territorio nazionale: 521. 800 mascherine, 30 ventilatori polmonari, 1. 000 tute protettive, 2 macchine per analisi di tamponi, 10. 000 tamponi veloci e 100. 000 tamponi normali». 

La viceministra degli Esteri comunicò poi al Parlamento che «il rientro in Russia dei componenti della delegazione è stato completato il 15 maggio e il flusso degli invii di aiuti è stato sospeso, di comune accordo con la controparte russa, in considerazione del progressivo miglioramento della situazione sanitaria nel nostro Paese e del contestuale peggioramento della situazione sanitaria in Russia». La missione russa fu insomma chiusa anzitempo, e precipitosamente.

Pasquale Napolitano per “il Giornale” il 21 marzo 2022.  

Cosa si nasconde dietro le minacce di Mosca all'Italia? Perché il Cremlino ha messo nel mirino soprattutto Roma? E non altri Paesi europei che pure hanno approvato le sanzioni contro la Russia e inviato armi a Kiev. Due giorni fa, Alexei Vladimorovic Paramonov, ex console russo a Milano, direttore del dipartimento europeo del ministero degli Esteri, ha minacciato l'Italia di «conseguenze irreversibili» se aderirà al nuovo piano di sanzioni contro Mosca. 

Paramonov, che nel 2018 ha ottenuto su proposta dell'allora premier Giuseppe Conte, la nomina di Cavaliere della Repubblica italiana, ha bollato il ministro della Difesa Lorenzo Guerini come «un falco» e ha accusato il governo italiano di aver «dimenticato gli aiuti ricevuti dal Cremlino durante la pandemia». Il funzionario russo, uno che conosce molto bene il tessuto produttivo ed economico italiano, tira in ballo la missione «dalla Russia con amore».

È il 22 marzo 2020, l'Italia è aggredita dal coronavirus, quando all'aeroporto militare di Pratica di Mare arrivano in soccorso i russi: si tratta ufficialmente di una missione sanitaria. Ma nella delegazione, 104 componenti, ci sono solo 28 medici e quattro infermieri. Gli altri sono militari. Lo scopo della missione è supportare esercito e medici italiani nella lotta al Covid nella città di Bergamo.

I russi vengono accolti con tutti gli onori. All'aeroporto di Pratica di Mare c'è il ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Il riferimento di Paramonov è alla missione del marzo 2020. Cosa c'è dietro? Le ipotesi sono due. La prima, che però non trova molti riscontri, è che quella missione portò in dote alla Russia una serie di accordi economici e commerciali con l'Italia. Una pista che metterebbe nel mirino l'allora inquilino di Palazzo Chigi Giuseppe Conte. Accordi «traditi» con la decisione del governo italiano di spostarsi sulle posizioni di Kiev e di sostenere le durissime sanzioni contro Mosca.

Un feeling archiviato: «L'Italia ha messo da parte ogni, per così dire, romanticismo nei confronti della Russia», conferma all'Ansa la vice premier dell'Ucraina Olga Stefanishyna. L'altra ipotesi, molto più accreditata sia negli ambienti italiani che russi, è che lo scopo della missione fu sostanzialmente quello di studiare da vicino un focolaio importante come quello italiano. Mosca intuì prima dell'Italia l'importanza politica del vaccino e della pandemia. 

La missione rientrava in quella che in quei giorni venne definita «diplomazia degli aiuti», una declinazione del cosiddetto soft power: un'operazione messa in campo dal Cremlino per accreditare il suo prestigio verso le popolazioni occidentali. Non ci fu, dunque, nessun accordo commerciale o economico alla base della missione. Quali allora le ragioni dell'attacco mirato contro il governo italiano? Mosca si sente tradita. L'Italia verso la Russia, anche durante le sanzioni, è stata la Nazione, tra quelle occidentali, che ha sempre mantenuto un dialogo.

Ma ha soprattutto conservato rapporti economici e culturali. Basta rileggere un documento firmato nel 2015 dall'allora Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza (capo della diplomazia europea), l'italiana Federica Mogherini, nel quale insisteva sulla necessità per l'Europa di riaprire il dialogo con la Russia di Putin. Il documento fu giudicato da alcuni troppo conciliante con la Russia. E dunque, Mosca confidava in maggior prudenza da parte di Roma. Ma soprattutto sperava, in virtù di un'antica sintonia, nel ruolo di mediatore da parte del governo italiano.

Jacopo Iacoboni per “La Stampa” il 20 marzo 2022.

«Qui fodit foveam, incidit in eam». «Chi scava la fossa, ci finisce dentro». Alle sette di sera di venerdì 3 aprile 2020, il generale russo Igor Konashenkov - un uomo che è oggi uno dei quattro russi incaricati di gestire l'invasione in Ucraina, assieme a Vladimir Putin, al ministro della Difesa Sergey Shoigu, al capo delle forze armate Valery Gerasimov - pubblicò un post di duro attacco a La Stampa sul sito del Ministero della Difesa di Mosca.

Cosa era successo per meritarsi quella che a molti parve una seria minaccia? E che ruolo ebbe l'Italia, che ora viene allusivamente minacciata da Mosca, che ci ha sempre trattato come anello debole dell'Europa, negli anni dei populisti al potere? 

La Stampa aveva raccontato, in una serie di inchieste, alcuni dati di fatto, sulla base di tante fonti politiche e militari convergenti. Uno, che la cosiddetta missione di «aiuti russi all'Italia per il Covid» era stata trattata direttamente da Vladimir Putin con Giuseppe Conte.

Sabato 21 marzo del 2020 c'era stata una telefonata tra l'allora premier italiano e il presidente della Russia. La Stampa raccontò che i due avevano concordato che la Russia avrebbe mandato in Italia degli aiuti per la pandemia di Covid 19, ma un insolitamente laconico comunicato della presidenza del Consiglio sorvolava su questo aspetto. 

Rivelammo che gli «aiuti» sarebbero arrivati con una spedizione militare russa, attraverso giganteschi aerei militari cargo a Pratica di Mare, con un security clearance (controllo doganale solo sulle merci).

Dentro gli aerei vi sarebbero stati 22 autocarri militari e 120 medici militari russi, specialisti nella guerra batteriologica, alcuni provenienti da teatri di guerra (tipo i Paesi africani alle prese con Ebola) e sotto il controllo del ministero della Difesa di Mosca. 

Scoprimmo che il capo della missione era Sergey Kikot, già in guerra in Siria per la Russia, il generale a cui la Russia affidò la difesa di Bashar Assad al processo a L'Aja, dall'accusa (ormai provata) di aver usato gas sui civili a Ghouta, in Siria.

Lo stesso generale era incaricato in patria di vigilare sullo smantellamento dei laboratori chimici sovietici (poi riconvertiti nei «Novichok Labs»). Le nostre fonti sostennero, come fu riferito, che l'entità degli aiuti era limitata, «all'80% inutile», come poi i fatti confermarono (326 mila mascherine, il solo Egitto ne aveva mandate due milioni, e seicento ventilatori polmonari, alcuni dei quali - si apprenderà dopo - facevano parte di un lotto di ventilatori che finì sotto inchiesta negli Usa per gravi difetti: in sostanza, s’incendiavano). 

Venne fuori anche che il dono non era poi un dono (all'Italia era stato chiesto il pagamento del carburante dei voli). Tra l'altro, l'Italia ha già dei reparti NBC, chimici e batteriologici, all'avanguardia nella Nato: che bisogno c'era di farsi mandare quelli russi?

L'operazione fu chiamata dal Cremlino «Dalla Russia con amore», e diverse fonti di alto livello ce la presentarono come operazione di propaganda, con la sfilata (mai avvenuta prima in un Paese Nato) di camion militari e bandiere russe per seicento chilometri da Roma a Bergamo, e con possibilità molto seria di una operazione di intelligence, dissero diverse fonti on the record. 

Molti dei militari arrivati erano inquadrati nel GRU, i servizi segreti militari di Mosca. Mesi dopo il New Yorker rivelò le parole di uno dei direttori dell'Istituto Gamaleya: il primo Dna del coronavirus - usato dai russi per elaborare il vaccino Sputnik - era stato isolato da un cittadino russo che si era ammalato in Italia il 15 marzo.

Putin vide nel Coronavirus un'opportunità per incunearsi anche fisicamente nel teatro italiano. Il ministro della Sanità, Roberto Speranza, seppe della cosa all'ultimissimo momento. Farnesina e Difesa non ebbero la parola decisiva, che invece arrivò con certezza da Palazzo Chigi. 

Non sorprende ora che venga minacciato il ministro Lorenzo Guerini, uno dei più istituzionali in quella opaca e pericolosa vicenda. In quella fase anche oligarchi russi erano all'opera. Alisher Usmanov - ex capo di Gazprominvest e poi di Metalloinvest, di casa da noi, oggi sanzionato col sequestro totale degli asset - fece importanti donazioni sul Covid alla Sardegna.

L'ambasciata italiana a Mosca, retta allora da Pasquale Terracciano, in un comunicato ufficiale del 14 maggio 2020 annunciò che il capo del Fondo sovrano russo, Kirill Dmitriev (altro oligarca importantissimo, finito in diverse pagine dell'inchiesta di Robert Mueller, già ospite un anno prima, nel giugno 2019, della famosa cena a Villa Madama offerta da Palazzo Chigi, quella delle foto di Conte e dei suoi vice Salvini e Di Maio sorridenti accanto a Putin), veniva insignito dell'onorificenza dell'Ordine della Stella d'Italia «a titolo di riconoscimento da parte della Repubblica italiana al supporto del Fondo russo nella lotta contro la pandemia da coronavirus».

In quel comunicato si leggeva anche: «Il Fondo russo sta collaborando con le società italiane nel campo delle tecnologie mediche, ai fini della ricerca dei nuovi strumenti di lotta contro il coronavirus», e si faceva riferimento a collaborazioni con precise società italiane, anche «riguardo al trattamento del Coronavirus con i medicinali derivati dal plasma sanguigno umano». 

Vi fu, in seguito, una forte propaganda russa per far produrre o adottare il vaccino Sputnik in Italia, e una collaborazione con l'Istituto Spallanzani: l'obiettivo non fu raggiunto, anche perché l'Ema non autorizzò mai il vaccino russo.

Estratti dall'articolo di Carlo Tecce per espresso.repubblica.it/ del 13 novembre 2020. 

Un documento riservato dall’Ambasciata di Roma inviato a Washington indica i fedelissimi su cui la Casa Bianca può contare. Scarsa la considerazione per i 5 Stelle: solo Di Maio si salva

Alla fine li hanno messi assieme, un ex democristiano e un ex comunista: Lorenzo Guerini, ministro della Difesa e Vincenzo detto Enzo Amendola, ministro agli Affari europei. Per gli americani i due esponenti del Pd sono i ministri più “affidabili” del governo giallorosso di Giuseppe Conte. Lewis Michael Eisenberg, l’ambasciatore americano a Roma, l’ha riferito più volte a Washington e l’ha ripetuto nell’ultimo dispaccio - di cui l’Espresso ha notizia da più fonti qualificate - inviato al dipartimento di Stato alla vigilia delle elezioni per la Casa Bianca. Una sorta di documento di congedo con dettagliate annotazioni sull’esecutivo italiano.

Carriera a Wall Street con un passaggio a Goldman Sachs, capo dell’autorità portuale di New York, tesoriere del comitato nazionale dei Repubblicani e poi del fondo per la candidatura di Donald Trump, 78 anni compiuti, Eisenberg era già pronto al ritorno a casa per il prossimo gennaio, ora scontato con la vittoria di Joe Biden. 

Il titolare della Difesa parla poco, ma il suo potere sta crescendo. E con la pandemia ha ritagliato per l’esercito un ruolo chiave, facendosi amico l'alleato americano. Mentre l'ex ministra Trenta gli manda lettere furibonde

Non si sa molto di Lorenzo Guerini, solo che si tratta di un democristiano. Questo vuol dire, forse, che si sa tutto. Gli americani l’hanno notato tempo fa. Ancora prima che il 5 settembre 2019, di ritorno da un viaggio di famiglia negli Stati Uniti, venisse nominato ministro della Difesa. 

Guerini è il classico che torna di moda: democristiano, cattolico, americano. Dopo le sbandate russe e soprattutto cinesi del governo Conte I e la perigliosa politica estera dei vice Matteo Salvini e Luigi Di Maio, l’Italia si è ridata quel contegno che l’ha segnata sin dall’epoca di Alcide De Gasperi: Washington indica, Roma avanza. Guai a dirazzare. (…)

Dagonews il 23 marzo 2022.

Spionaggio batteriologico? Infiltrazione di intelligence negli uffici pubblici italiani? Maddeché! La missione dei russi in Italia del marzo 2020, ufficialmente organizzata per dare una mano al nostro paese travolto dalla prima ondata di covid, non serviva a infilare le cimici negli uffici del catasto o all’anagrafe di Bergamo. 

I servizi segreti italiani, che hanno storicamente avuto un dialogo con i colleghi russi, sapevano che nella delegazione messa su da Putin c’erano militari e uomini dell’Intelligence. E’ ingenuo pensare che i nostri servizi fossero all’oscuro di quel che stesse accadendo: quel tipo di missioni in arrivo dall’estero, per di più da un paese “sensibile” come la Russia, viene concordata a livello politico ma poi “vagliata” a livello di intelligence.

L’obiettivo dei russi era sperimentare, in quello che era il principale focolaio d’Europa in quel momento, le prime composizioni del vaccino Sputnik. Putin voleva portare a casa un successo internazionale: mostrare l’avanguardia della scienza russa e poi produrre, all’estero, il vaccino con cui salvare il mondo. 

Come ammesso a “Report” da Vladimir Gouschin, capo del laboratorio dell’Istituto Gamaleya di Mosca, il primo prototipo di Sputnik fu creato a febbraio 2020. E fu somministrato in Russia già agli inizi di marzo, senza nemmeno aspettare i test. Il 22 marzo la delegazione russa arrivò in Italia. Praticamente Mosca ha avuto prima il vaccino anti-Covid del Covid stesso, visto che le ondate del virus arrivarono in Russia nei mesi successivi.

Sputnik è stato il primo vaccino al mondo ad essere registrato: agosto del 2020. Ma la Russia non ha mai avuto grande capacità produttiva. 

E infatti la strategia adottata da Mosca era: siglare accordi con gli stati per permettere loro di produrre il vaccino da soli. In Italia, anche grazie alle decisioni dell’allora governo giallo-rosso, si avviò una collaborazione (era marzo 2021) tra l’Istituto Gamaleya, ente controllato dal governo di Mosca, e l’Istituto Spallanzani di Roma per la sperimentazione del vaccino Sputnik V. Collaborazione interrotta dopo l’invasione russa dell’Ucraina. 

A metà 2021 fu annunciato un accordo per la produzione di Sputnik proprio in un laboratorio in Lombardia. A cosa è servita la collaborazione scientifica e il tentativo di produzione in Italia? Erano solo strumenti della propaganda russa?

Come ammesso a “Report” da Denis Volkov, vicedirettore del Levada Center: “Sullo Sputnik l’attenzione russa è tutta rivolta verso l’esterno, Sputnik è uno strumento di geopolitica. Probabilmente è il più grande risultato raggiunto dai tempi della fine dell’Unione Sovietica”.

Estratto dell’articolo di Andrea Casadio per editorialedomani.it il 23 marzo 2022.

Quando è scoppiata la pandemia da Covid-19, la Russia si è lanciata nella corsa per la produzione del vaccino contro il virus. Il presidente Vladimir Putin voleva battere sul tempo gli altri stati del mondo, e per questo ha fatto arrivare cospicui finanziamenti statali all’istituto Gamalyeva, un centro di ricerche microbiologiche povero e in disarmo, come quasi tutto il settore delle scienze mediche russe. […]

In breve tempo, gli scienziati russi hanno avviato la sperimentazione sull’uomo, e a settembre 2020 hanno pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Lancet un articolo dal titolo Sicurezza e immunogenicità di un vaccino a vettore virale contro il COVID-19. E Putin ha potuto annunciare al mondo: «La Russia è arrivata prima nella corsa al vaccino contro il Covid».  […]

L’Ema ha iniziato a esaminare la domanda per lo Sputnik solo il 4 marzo 2021, e l’autorizzazione a oggi non è ancora arrivata, evidentemente perché i dati non convincono.

Insomma, il vaccino Sputnik è avvolto dai dubbi, eppure il 13 aprile 2021 la regione Lazio approva un memorandum, firmato dall’assessore alla Sanità D’Amato, dal direttore dello Spallanzani Francesco Vaia, dal direttore dell’istituto Gamalyeva Alexander Gintsburg, e dal direttore del fondo sovrano russo Rdif Kirill Dmitriev. 

In base all’accordo, gli scienziati dell’istituto Spallanzani dovranno studiare l’efficacia dello Sputnik V sulle varianti del coronavirus, e poi, dopo l’autorizzazione al commercio dell’Aifa, dovranno avviare una sperimentazione iniettando Sputnik a 600 volontari che abbiano ricevuto una prima dose di vaccino AstraZeneca. 

Questo progetto è andato avanti fino al 20 gennaio scorso, giorno in cui un gruppo congiunto di scienziati dell’Istituto Spallanzani, guidati dal professor Vaia, e dell’Istituto Gamalyeva, guidati dal prof Gintsburg, ha pubblicato online un preprint, cioè un articolo non ancora approvato e vagliato da altri esperti, intitolato Mantenimento della risposta neutralizzante contro la variante Omicron in individui vaccinati con Sputnik. V.

Lo Spallanzani ha cantato vittoria, definendo i dati «estremamente incoraggianti per definire nuove strategie vaccinali in rapporto all’evoluzione delle varianti del Covid». In pratica, si sono fatti i complimenti da soli. E il presidente Putin ha commentato raggiante: «La studio comparativo congiunto Russia-Italia sui vaccini condotto all’istituto Spallanzani ha dimostrato che il vaccino russo Sputnik è il migliore di tutti nel neutralizzare Omicron». Pura propaganda, perché lo studio non dimostra affatto quel che dice Putin. […]

Poi c’è un’altra questione. Sull’articolo si legge che la ricerca è stata finanziata dal fondo sovrano russo Rdif, che detiene i diritti sul vaccino. Invece, al direttore dello Spallanzani Francesco Vaia, coautore dello studio, è scappato di bocca che lo studio è stato interamente finanziato dallo stesso Spallanzani, ovvero dall’Italia. Perché? 

Molte cose non tornano in questa faccenda. Per dirne una, prima di diventare direttore del prestigioso Istituto Spallanzani, il professor Francesco Vaia aveva pubblicato solo quattro articoli scientifici minori, il più rilevante dei quali si intitola Efficacia dei dispositivi anti-risucchio nella prevenzione della contaminazione batterica delle linee d’acqua delle unità dentarie. In pratica uno studio su come evitare che i batteri presenti nella nostra bocca vengano risucchiati dal trapano del dentista contaminando poi lo sciacquetto. 

F. Mal. per "Il Messaggero" il 23 marzo 2022. 

«Non credo fosse solo propaganda né penso i russi fossero convinti di ottenere informazioni strategiche, più che altro immaginavano di reclutare gente per la loro causa. Volevano mettere radici per avere i ganci giusti una volta sviluppato un vaccino. Ora non se lo ricorda nessuno, ma a metà 2021 fu annunciato un accordo per la produzione di Sputnik proprio in un laboratorio in Lombardia». 

Continuano ad allungarsi ombre sulla missione From Russia with love che, nel marzo del 2020, portò da Mosca in Italia materiali sanitari, medici e soprattutto militari per aiutare la nostra protezione civile e il nostro esercito nella gestione dei focolai Covid che in quel momento sembravano incontrollabili.

E così, proprio nel giorno in cui l'immunologa Antonella Viola denuncia di aver ricevuto «strane telefonate» dopo la sua bocciatura al vaccino russo Sputnik, sono tre i componenti del Copasir che - sentiti dal Messaggero - collegano la visita del marzo 2020 con il tentativo di instaurare un primo dialogo con l'Italia proprio sul vaccino russo. Ed in effetti se il New Yorker ha sostenuto che Sputnik sia stato sviluppato a partire dal Dna di un cittadino russo prelevato in Italia, a riguardare le cronache del marzo 2021, si trova traccia di annunci entusiastici da parte del Fondo sovrano russo (Rdif) e della Camera di commercio italo-russa su un'intesa con l'azienda Adienne per la produzione dello Sputnik nello stabilimento di Caponago, in Brianza.

Un contratto - primo in Europa - di cui, dopo una frenata della stessa azienda, si sono poi sperse le tracce. Chiaramente è però impossibile stabilire un reale collegamento tra gli accordi e la missione russa, anche perché proprio il Copasir ha messo agli atti - dopo aver sentito Difesa ed intellingence - che si è trattata di un'iniziativa prettamente sanitaria. E rigettano ogni tipo di collegamento più o meno opaco, sia l'allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte che i vertici sanitari della Regione Lazio. Innegabile la vicinanza tra i ricercatori russi, la Regione e l'Istituto Spallanzani di Roma. Tant' è che solo pochi giorni fa è stata conclusa una collaborazione per la ricerca su nuovi farmaci tarati sulle varianti. «Ma la missione del marzo 2020 non c'entra nulla con la collaborazione» fanno sapere.

L'IMMUNOLOGA In ogni caso che la vicenda Sputnik non sia del tutto chiara (e non solo per i pochi dati resi disponibili dagli studiosi di Mosca o per il ritardo nella richiesta di approvazione dell'Ema), lo dimostrerebbe appunto chiamata ricevuta dall'immunologa dell'Università di Padova. Quando con altri studiosi Viola pubblicò su Lancet un commento che provava l'inefficacia del vaccino, «ricevetti una telefonata molto strana - ha raccontato a Radio 1 - di una persona che disse di essere del ministero degli Interni, della sicurezza, non ricordo. Voleva sapere se io sapessi di più sul vaccino Sputnik». Un episodio di certo non ordinario che, specie se alcuni dei vertici russi rinfacciano l'aiuto fornito e minacciano l'Italia in caso di nuove sanzioni, non può che lasciare dubbiosi su cosa sia accaduto a partire da marzo 2020 tra i due paesi. 

Estratto dell’articolo di Giuliano Foschini e Tommaso Ciriaco per “la Repubblica” il 23 marzo 2022.

(…)  Per come è stata scritta fino a oggi, la storia della "operazione virus", la missione russa in Italia dal marzo al maggio 2020, ufficialmente nata per contribuire alla lotta contro il Covid, sta sostanzialmente in questi termini: un Paese straniero che in qualche modo approfitta dello stato di necessità dell'Italia e, nascondendosi dietro gli aiuti, cerca di rubare informazioni sanitarie. Senza però mai condividerne sviluppo e conclusioni.

Ora però c'è qualcuno che vuole sapere se altro non è mai emerso. E soprattutto che tipo di contromisure avessero preso il governo e il premier per evitare che una missione di aiuto si trasformasse in un'operazione di spionaggio.

Per questo, dopo un lungo dibattito interno, già domani nel comitato di presidenza del Copasir qualcuno ha annunciato che chiederà di ascoltare l'allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte per ricostruire tutti gli aspetti di quel viaggio. A partire da come sia nato. Secondo quanto Repubblica ha potuto ricostruire, il primo contatto ufficiale è dei primi giorni di marzo.

(…)  È venerdì 20 marzo quando Guerini sente il suo omologo, Sergej Soigu. Promette una spedizione per il lunedì successivo. Grazie - dice Guerini - per fare prima possiamo mandare nostri aerei a prendere il materiale . «Non c'è bisogno - è la replica - e comunque aspettiamo che Putin e Conte si sentano, la telefonata è prevista per lunedì». Si sentono anche prima, sabato 21 marzo: il leader russo non offre solo mascherine, ma la disponibilità dei suoi uomini.

E il premier italiano accetta. E così sulla pista di Pratica di Mare domenica 22 marzo non sbarcano solo container pieni di mascherine e tute. E nemmeno bonificatori: ma scienziati con apparecchiature sofisticate. Il resto sono 45 giorni tremendi, con i camion militari italiani che portano le bare a Bergamo e, accanto, il laboratorio mobile russo che studia - quasi di nascosto - il virus.  Con i nostri carabinieri e agenti dell'intelligence che li controllano a vista. (…)

Lorenzo Calò per “il Mattino” il 23 marzo 2022.

Agostino Miozzo era il coordinatore del Cts nel marzo 2020 quando, in piena pandemia, arrivò in Italia la missione di supporto umanitario russa: 104 unità di cui 28 medici e 4 infermieri. Il resto erano militari. 

Dottor Miozzo, chi erano quei medici e, nello specifico, che cosa dovevano fare nelle strutture sanitarie?

«Sapevamo che erano figure esperte in ambito Nbcr, ci avevano offerto collaborazione per la sanificazione degli ambienti ma noi del Cts non abbiamo mai avuto alcuna lista con i nominativi dei medici e infermieri partecipanti alla missione russa né abbiamo potuto conoscere o valutare i profili professionali e scientifici di questi esperti». 

E nelle Rsa della Lombardia, dove furono inviati, che cosa hanno fatto?

«Mi risulta che abbiano collaborato con le autorità sanitarie locali con le quali poi sono state in contatto per la bonifica di ambienti, nelle Rsa, negli ospedali e nelle strade. Mi risulta che anche i medici hanno offerto il loro supporto. Non era il Cts a coordinare questi interventi sul terreno né è stato mai chiesto a noi di fare qualsiasi relazione o di ricevere alcun report sulla loro attività. Pensi: non abbiamo mai visionato alcuna lista delle apparecchiature e dei supporti sanitari scaricati dai loro aerei. Non so dirle se erano attrezzature valide o meno». 

Quindi la missione russa arriva in Italia il 22 marzo 2020, fa un briefing con i vertici del Cts, con il generale Portolano, all’epoca comandante del Coi, e poi voi la perdete di vista...

«Ad accoglierli all’aeroporto di Pratica di Mare c’ero anch’io assieme al ministro Di Maio. Abbiamo saputo che poi sono andati via, circa due mesi dopo. Ma al Dipartimento di Protezione civile non mi risulta che nulla sia stato formalmente notificato».

Dopo l’incontro con il generale Sergej Kikot, capo della spedizione, vi siete più rivisti?

«No. L’ho incontrato soltanto quando c’è stata la riunione per definire le modalità operative». 

E con i russi chi stava in contatto?

«Non noi del Cts. Mi risulta che i rapporti fossero tenuti da un ufficiale di collegamento indicato direttamente dal nostro ministero della Difesa, se ben ricordo un colonnello. In quel periodo ospitavamo numerose delegazioni anche di altri Paesi: cubani, rumeni, libici, americani, tedeschi. La situazione era molto complessa, eravamo nella fase acuta del disastro e non so dirle se in Italia ci fossero le capacità e le competenze per ottenere sul piano sanitario quella risposta immediata e operativa che la gravità dello scenario in quel momento avrebbe richiesto».

Chi ha deciso di non autorizzare l’ingresso dei russi in strutture della Pa e negli uffici pubblici? C’è stato un input preciso da Palazzo Chigi?

«Come Cts nessuno ci ha fornito indicazioni o regole d’ingaggio. Ci siamo consultati con il generale Portolano e abbiamo deciso di insistere su quella che per noi era la priorità: ai russi chiedevamo assistenza sulla sanificazione delle strutture sanitarie e delle Rsa». 

La riunione operativa con la delegazione russa fu molto tesa. Perché?

«Perché i soggetti che avevamo di fronte sostenevano di avere un mandato preciso, ovvero di bonificare le strutture pubbliche. Questo è quello che disse Kikot e posso immaginare a che cosa si riferisse».

Perché? Lo conosceva già?

«Non lui ma conosco bene il suo capo: l’attuale ministro della Difesa di Mosca, Sergey Shoigu. È stato per anni capo della Protezione civile russa e ho a lungo collaborato con lui in missioni bilaterali e internazionali. È un militare esigente e deciso. Non so se Kikot si riferisse a Shoigu o a Putin quando ci parlava del mandato ricevuto ma poco importa, noi abbiamo tenuto il punto». 

Ha mai conosciuto l’ex console a Milano, Paramonov, dal quale sono arrivate minacce all’Italia, al ministro Guerini, e illazioni sull’aiuto russo ai tempi del Covid?

«Non ne ho un ricordo preciso, potrei averlo incontrato in qualche meeting con l’Ambasciatore russo con il quale invece i contatti erano più frequenti». 

Ha mai parlato di questa vicenda con il presidente Conte o con esponenti dei nostri Servizi?

«Non nello specifico. Del resto, questa collaborazione con la Russia in quel tempo avveniva in condizioni di assoluta amicizia e con relazioni diplomatiche molto solide». 

Ma militari russi hanno girato per due mesi in strutture sanitarie pubbliche di un Paese Nato...

«Questo è vero. Ma vede: in 40 anni di missioni di cooperazione internazionale ho imparato che una buona percentuale dei componenti i team operativi sul terreno, a tutti i livelli e in ogni Paese, è sempre appartenuto ai servizi di sicurezza e di intelligence. Per questo sono certo che anche i nostri apparati fossero stati allertati». 

Che effetto le fa rivivere quei momenti, oggi, due anni dopo, con i contorni di una spy story?

«Se un’operazione d’intelligence di un Paese, allora amico, è stata camuffata da missione umanitaria in un momento così difficile per l’Italia, non può che suscitarmi delusione e amarezza».

Missione anti-Covid in Italia, Guerini disse no all’invio dalla Russia di 400 uomini. Fiorenza Sarzanini su Il Corriere della Sera il 24 Marzo 2022.  

Fu il ministro a ridimensionare l’accordo tra Putin e Conte. Il rifiuto alla richiesta russa di spostarsi in Puglia Oggi il Copasir decide quando sentire l’ex premier. 

Otto squadre composte da 40 specialisti, oltre ai medici e agli infermieri: in tutto un contingente di circa 400 persone che doveva atterrare in Italia per un’operazione di contrasto all’epidemia da coronavirus. È la proposta di Vladimir Putin fatta nel marzo del 2020 all’allora presidente del consiglio Giuseppe Conte. Fu il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ad opporsi chiedendo di «ridimensionare il numero di uomini e mezzi». Basterebbe questo a spiegare l’attacco fatto allo stesso Guerini dal funzionario del ministero degli Esteri Alexei Paramonov, dopo aver minacciato l’Italia di «conseguenze irreversibili» se aderirà a sanzioni contro Mosca e accusato il nostro Paese di aver «dimenticato gli aiuti ricevuti». Ma adesso si scopre che due mesi dopo i russi volevano spostarsi in Puglia e a quel punto Guerini chiese a Mosca di interrompere l’operazione.

Le ultime notizie sulla guerra in Ucraina

Indagine al Copasir

Ufficialmente si trattava di una spedizione sanitaria, ma i dettagli emersi in questi giorni avvalorano il sospetto che potesse essere stata effettuata un’attività di spionaggio. E proprio per chiarire ogni aspetto della vicenda, oggi il Copasir fisserà la data dell’audizione di Conte. Sarà lui a dover ricostruire i contatti e gli accordi presi, ma anche che cosa accadde in quei due mesi. E perché l’Italia decise di spendere tre milioni di euro per rimborsare chi doveva invece collaborare. «Non abbiamo alcuna evidenza di attività impropria», ha detto l’ex premier ma ora dovrà fornire chiarimenti ulteriori.

Il primo contatto

Si torna dunque al primo contatto tra Guerini e il ministro della Difesa russo Sergej Shoygu. È il 21 marzo 2020, l’Italia è in emergenza perché ci sono decine di migliaia di contagiati ma mancano mascherine, guanti, ventilatori. Le strutture sanitarie sono in affanno, soprattutto in Lombardia. Da tutto il mondo arrivano offerte di aiuto. Shoygu contatta Guerini e offre mascherine, il ministro italiano risponde che un aereo può decollare per andare a prenderle a Mosca, ma l’interlocutore gli annuncia una telefonata tra Putin e Conte. Effettivamente qualche ora dopo il premier italiano contatta Guerini e conferma che Putin intende mandare centinaia di persone tra militari e medici per affiancare chi è impegnato a fronteggiare l’epidemia.

Il rifiuto

La posizione di Guerini è netta nell’escludere che la missione russa possa essere così numerosa. Si apre così una trattativa complicata e il compromesso finale prevede l’arrivo di cento persone. Nessuno si aspetta però che all’aeroporto militare di Pratica di Mare atterrino 17 quadrireattori e soprattutto un numero esiguo di materiale, nemmeno sufficiente a coprire le esigenze di un giorno. Non solo. Subito dopo comincia il braccio di ferro tra il capo della delegazione generale Sergey Kikot e il comandante del Coi, il comando operativo interforze, il generale Luciano Portolano. Perché durante un incontro riservato che si svolge in una foresteria della Capitale i russi chiedono di sanificare e bonificare gli enti pubblici, mentre gli italiani concedono soltanto l’accesso a ospedali e Rsa. Un’attività che prevede comunque l’acquisizione dei dati sanitari e di altre informazioni «sensibili» che — questo è il timore dopo le minacce — la Russia potrebbe adesso utilizzare contro il nostro Paese.

La fine della missione

L’atteggiamento «aggressivo» dei russi è stato confermato dall’allora responsabile del Cts Agostino Miozzo, presente alla riunione con il segretario Fabio Ciciliano e Portolano. Proprio per questo fu disposto che tutti i team dovessero essere sempre affiancati dai militari italiani e impiegati solo in Lombardia, che in quel momento aveva la situazione più grave. E agli inizi di maggio, quando i russi chiesero di trasferirsi in Puglia, Guerini ritenne che fosse arrivato il momento di «ringraziare Shoygu», dichiarando conclusa la missione.

·        Il Vaiolo delle scimmie.

Da leggo.it il 23 agosto 2022.

È morto a Cuba, Germano Mancini, 50 anni. Era in vacanza, si trovava nell'isola come turista: era arrivato il 15 agosto. Era da poco più di due mesi comandante della stazione dei carabinieri di Scorzè, in provincia di Venezia. Il militare si trovava con alcuni amici in vacanza per il periodo di Ferragosto. Originario di Pescara, risiedeva a Noale, sempre nel Veneziano. 

L'uomo è deceduto dopo aver contratto il vaiolo delle scimmie. Lo riferisce il Gazzettino.it. Mancini si sarebbe sentito il 18 agosto, poi l'altra notte è stato colpito da una crisi respiratoria risultata purtroppo fatale. 

Sabato 20 agosto il ministero della Salute dell'Avana aveva comunicato di aver accertato il primo caso ufficiale di contagio di vaiolo delle scimmie. In una nota aveva reso noto che «un turista italiano aveva ricevuto una diagnosi di vaiolo delle scimmie, e si trovava in condizioni critiche, in un ospedale della capitale».

La nota precisava che l'uomo si trovava «in pericolo di vita». Mancini e i suoi amici avevano preso alloggio in un Bed & Breakfast.

Carabiniere morto a Cuba: la causa non sarebbe il vaiolo delle scimmie ma una 'sepsi dovuta a broncopolmonite'. Enrico Ferro La Repubblica il 30 Agosto 2022.

Germano Mancini, 50 anni, deceduto il 21 agosto durante una vacanza sull'isola, per il governo cubano non è stato colpito dal virus. Nessuna pustola sul corpo. I familiari chiedono una nuova autopsia

Proseguono gli accertamenti sanitari sulla morte del maresciallo dei carabinieri Germano Mancini, 50 anni, deceduto il 21 agosto scorso durante una vacanza a Cuba. Il militare dell'Arma, che comandava la stazione dei carabinieri di Scorzè (Venezia), era stato catalogato come il primo morto italiano di vaiolo delle scimmie. Le prime analisi condotte dall'apparato sanitario cubano aveva dato questa risultanza, trasmessa poi alla Farnesina.

(ANSA il 17 agosto 2022) - Circa 35mila i casi di vaiolo delle scimmie da 92 Paesi, con 12 decessi. Circa 7.500 sono stati registrati la scorsa settimana, il 20% in più della settimana precedente quando l'incremento era stato del 20%. Lo ha riportato il direttore generale dell'OMS, Tedros Ghebreyesus nel corso della conferenza stampa dell'Oms. La maggior parte dei casi da Europa e America.

Da ansa.it il 17 agosto 2022.

Il vaiolo delle scimmie in alcuni pazienti potrebbe non presentare sintomi evidenti e ciò potrebbe rendere più difficile contenere la diffusione del virus. Il timore circola nella comunità scientifica dall'inizio dell'epidemia, ora nuovi indizi arrivano da un'indagine condotta all'Hôpital Bichat-Claude Bernard di Parigi e pubblicata su Annals of Internal Medicine. 

I medici francesi hanno sottoposto a test per il vaiolo delle scimmie i tamponi rettali di 200 persone che svolgevano regolarmente controlli per altre malattie infettive nella struttura sanitaria. Di queste, 13 sono risultate positive al vaiolo delle scimmie pur non avendo mai presentato alcun segno caratteristico della malattia.

Due di essi, nei giorni successivi ai test, hanno avuto manifestazioni della malattia, ma i rimanenti 11 sono rimasti completamente asintomatici. Non è la prima volta che emergono casi di persone asintomatiche positive al vaiolo delle scimmie: a fine giugno, per esempio, tre casi erano stati riportati da ricercatori di una clinica belga in uno studio su the Lancet. 

A oggi non è chiara l'estensione del fenomeno. Inoltre "non è noto se la positività indichi una diffusione virale tale da portare alla trasmissione dell'infezione", spiegano i ricercatori. Se così fosse, sarebbe più difficile interrompere le catene di contagio: per esempio "la pratica della vaccinazione ad anello intorno a persone sintomatiche con infezione da vaiolo delle scimmie potrebbe non essere sufficiente per contenere la diffusione", scrivono. 

(ANSA il 17 agosto 2022) - Il vaiolo delle scimmie in alcuni pazienti potrebbe non presentare sintomi evidenti e ciò potrebbe rendere più difficile contenere la diffusione del virus. Il timore circola nella comunità scientifica dall'inizio dell'epidemia, ora nuovi indizi arrivano da un'indagine condotta all'Hôpital Bichat-Claude Bernard di Parigi e pubblicata su Annals of Internal Medicine. I medici francesi hanno sottoposto a test per il vaiolo delle scimmie i tamponi rettali di 200 persone che svolgevano regolarmente controlli per altre malattie infettive nella struttura sanitaria.

Di queste, 13 sono risultate positive al vaiolo delle scimmie pur non avendo mai presentato alcun segno caratteristico della malattia. Due di essi, nei giorni successivi ai test, hanno avuto manifestazioni della malattia, ma i rimanenti 11 sono rimasti completamente asintomatici. Non è la prima volta che emergono casi di persone asintomatiche positive al vaiolo delle scimmie: a fine giugno, per esempio, tre casi erano stati riportati da ricercatori di una clinica belga in uno studio su the Lancet.

A oggi non è chiara l'estensione del fenomeno. Inoltre "non è noto se la positività indichi una diffusione virale tale da portare alla trasmissione dell'infezione", spiegano i ricercatori. Se così fosse, sarebbe più difficile interrompere le catene di contagio: per esempio "la pratica della vaccinazione ad anello intorno a persone sintomatiche con infezione da vaiolo delle scimmie potrebbe non essere sufficiente per contenere la diffusione", scrivono.

(ANSA il 17 agosto 2022) - Malta ha ricevuto le prime dosi di vaccino contro il vaiolo delle scimmie, che offrirà ai contatti primari delle persone che risulteranno contagiate. Lo ha annunciato su Twitter il ministro della salute, Chris Fearne. Finora sull'arcipelago sono stati individuati 30 casi. Il vaccino è stato acquistato tramite un appalto europeo organizzato dalla Commissione Ue. Malta è rientrata in un gruppo di 14 paesi Ue che hanno ricevuto la seconda spedizione, perché considerati a bassa incidenza di 'Monkeypox'.

I paesi a rischio più alto hanno ricevuto le prime dosi già il mese scorso. Fonti di governo hanno specificato ai media maltesi che il vaccino non sarà disponibile commercialmente e sarà sempre offerto gratuitamente, anche se in futuro fosse necessaria allargare la copertura della popolazione. 

Vaiolo delle scimmie si trasmette anche da uomo a cane? Il caso del levriero con il virus. Da blitzquotidiano.it il 17 agosto 2022.  

Il virus del vaiolo delle scimmie potrebbe essere trasmesso dall’uomo al cane: un primo caso sospetto documentato a Parigi. Lì un levriero di quattro anni ha manifestato le tipiche lesioni cutanee e mucose della malattia a 12 giorni di distanza dai suoi due padroni, con cui era solito dormire. 

Dal confronto tra tamponi sembra che si tratti dello stesso genoma virale, ma la dinamica del contagio è ancora tutta da chiarire. Nell’attesa di nuove indagini, si fa strada l’ipotesi di allontanare temporaneamente gli animali da compagnia dalle persone infette. Come spiegano i ricercatori dell’Università Sorbona nello studio pubblicato sulla rivista The Lancet.

Il vaiolo delle scimmie e i cani

Finora non è noto se cani e gatti domestici possano essere vettori del virus del vaiolo delle scimmie. Nei Paesi in cui la malattia è endemica, è stato riscontrato che solo gli animali selvatici (roditori e primati) possono essere portatori del virus. Tuttavia, negli Usa hanno documentato la trasmissione del virus nei cani della prateria. Mentre in Europa è stata registrata in alcuni primati in cattività che erano stati in contatto con animali infetti importati. 

Il caso di Parigi

A cambiare le carte in tavola potrebbe essere questo primo caso sospetto in Francia. Il contagio sembrerebbe essere partito dai due proprietari del cane. Ovvero un uomo di 44 anni con Hiv (in terapia con antiretrovirali) e un altro uomo di 27 anni sieronegativo. I due si sono presentati all’ospedale de la Pitié-Salpetrière lo scorso 10 giugno con febbre, mal di testa e lesioni a cute e mucose tipiche del vaiolo delle scimmie. Comparse alcuni giorni dopo rapporti sessuali con altri partner.

Dopo 12 giorni anche il cane con cui erano soliti dormire ha iniziato a manifestare lesioni. Esclusa la possibilità che fosse entrato in contatto con altri animali o persone infette, è stato sottoposto a tampone. Considerato il suo quadro di salute e i risultati del test, i ricercatori ipotizzano “una vera malattia del cane, non una semplice presenza del virus dovuta al contatto stretto con gli umani o alla trasmissione per via aerea. I nostri risultati – concludono gli esperti – dovrebbero stimolare il dibattito sulla necessità di isolare gli animali domestici dagli individui positivi al virus del vaiolo delle scimmie”.

(ANSA l'11 agosto 2022) - Sono 27.814 i casi confermati di vaiolo delle scimmie dal 1 gennaio al 7 agosto in 89 Paesi, 11 i decessi. I dati sono contenuti nell'ultimo bollettino dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) che evidenzia come, nell'ultima settimana di monitoraggio (1-7 agosto) i casi nel mondo siano cresciuti del 19%, raggiungendo le 6.217 segnalazioni rispetto alle 5.213 della settimana precedente. Numeri che peraltro, secondo l'Oms, "dovrebbero essere interpretati con attenzione a causa della sottostima dei casi". Nella classifica per Paesi Italia è decima con 505 casi.

Secondo quanto segnalato nel bollettino, al 7 agosto i dieci Paesi che hanno segnalato il maggior numero cumulativo di casi a livello globale sono: Stati Uniti (7.510), Spagna (4.577), Germania (2.887), Regno Unito (2.759), Francia (2.239), Brasile (1.721), Paesi Bassi (959), Canada (957), Portogallo (710) e Italia (505). Insieme, questi Paesi rappresentano l'89% dei casi segnalati nel mondo fino ad oggi. Negli ultimi sette giorni, 10 Paesi hanno segnalato il loro primo caso: Montenegro, Uruguay, Liberia, Sudan, Bolivia, Cipro, Guadalupa, Guatemala, Lituania e Saint Martin.

Sono 14 i Paesi che invece non hanno segnalato nuovi casi per oltre 21 giorni, periodo massimo di incubazione della malattia. Negli ultimi sette giorni, 42 Paesi hanno riportato un aumento del numero settimanale di casi, con l'aumento più alto registrato in Brasile. 

Dal bollettino emerge inoltre come il 99% delle persone che hanno contratto il vaiolo delle scimmie sia maschio e l'età media dei casi segnalati sia di 36 anni. Tra i pazienti che hanno riportato informazioni sull'orientamento sessuale, il 97% è stato identificato come gay, bisessuale o uomo che ha rapporti sessuali con uomini. Quanto alla modalità di trasmissione, il 91% di chi ha fornito informazioni (pari al 23% dei casi totali) ha dichiarato che è avvenuta attraverso incontri sessuali.

Barbara Costa per Dagospia l'1 agosto 2022.

Il vaiolo delle scimmie è nel porno! E nel porno gay. Il performer Silver Steele lo annuncia – e lo mostra – sui social: “L’ho preso, e non in forma lieve: ho dolori dappertutto, un forte mal di gola, e vesciche e lesioni sulla bocca e, più piccole, sulle gambe”.

Il mondo del porno gay corre ai ripari e di corsa: è fissato per venerdì 5 agosto, a Los Angeles, il vaccino day per tutti gli attori gay porno professionisti.

Il PASS, sigla del "Performer Available Screening Service", l’ente porno che severamente controlla i test bisettimanali che ogni porno attore è obbligato a fare e che, dallo scoppio della pandemia di coronavirus, controlla pure i test anti Covid, ha fatto scorta dei vaccini anti vaiolo delle scimmie che possono impedire di contrarre l’infezione, o ridurne la gravità se l’infezione è in atto. Questi vaccini non sono però obbligatori, e ricordiamoci che Los Angeles è il fulcro del porno USA girato, gay e no, ma non è il solo.

La seguono Las Vegas, Miami, New York, e altri a scalare. Alcuni studios porno gay come "FabScout Entertainment", a Fort Lauderdale, Florida, hanno comunicato di aver già provveduto a vaccinare i loro attori nei giorni scorsi. Il regista di porno gay Gio Caruso ha affermato: “Il vaiolo delle scimmie si sta diffondendo con rapidità nella nostra comunità.

È importante fare la nostra parte, insieme ai dipartimenti della Salute di ogni contea, per fermarne il contagio”. Gio Caruso non si accontenta del certificato vaccinale: ogni performer porno che è prenotato con lui per girare sa che verrà sottoposto a “ispezione visiva completa”, con firma di previe informative di consenso, in disaccordo con le quali o senza le quali, inutile venga a lavorare. 

Il PASS dirama le sue linee guida: ogni porno attore che abbia uno o più sintomi del vaiolo delle scimmie – inclusi febbre, dolori muscolari, brividi, linfonodi ingrossati, i quali possono precedere una erezione cutanea o una lesione o una protuberanza sospetta – non si presenti sui set, contatti un medico, e riduca il contatto con le persone; disinfetti superfici, biancheria da letto e intima e indumenti usati; indossi guanti e altri dispositivi di protezione individuale. Un attore non infetto e impossibilitato a recarsi a Los Angeles venerdì 5, faccia il vaccino altrove il prima possibile. Cosa non facile, vista la carenza delle dosi…

Ovviamente si ammoniscono gli attori a uno stile di vita privato altamente non promiscuo e in ogni modo all’uso di barriere protettive e di mezzi precauzionali. Basterà? E come vigilare le condotte e le personali scelte sessuali di ognuno? Il porno è pronto a nuove serrate.

Ed è questo che gli attori paventano: il porno è un mestiere senza paracadute sociali, una impresa totalmente autonoma, sicché, se non lavori, pur per malattia, non ti pagano. E bisogna verificare altresì gli attori "gay-for-pay", ovvero i non gay che però fanno porno gay. Sono anche loro a rischio, e quanto? E gli attori all-sex e bisex e pan-sex, vale a dire quelli che fanno porno gay e porno etero, passando disinvoltamente da un genere all’altro? Allargheranno il contagio? No? Sì? E in che misura??? Il vaiolo delle scimmie raramente è mortale, e però, che guaio!

Vaiolo delle scimmie, ecco le bufale apparse sul web. Roberto Vivaldelli su Il Giornale il 26 luglio 2022.  

L'ultima cosa che avremmo voluto sentire è che l'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) ha dichiarato un'altra malattia - questa volta il vaiolo delle scimmie - un'emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale. Il vaiolo delle scimmie è un virus simile al vaiolo che provoca febbre, linfonodi ingrossati ed eruzioni cutanee distintive sul viso, sui palmi delle mani, sulla pianta dei piedi e sui genitali. Secondo il progressista Guardian, gli uomini gay e bisessuali sono i più a rischio di contrarre questa malattia, che può avere un tasso di mortalità intorno al 3-6%, sebbene la stragrande maggioranza delle persone riesca a riprendersi a casa senza ricovero o farmaci.

Affinché una malattia possa essere definita un'emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale, deve raggiungere una soglia elevata di contagi. Deve essere un "evento straordinario" che costituisce un rischio per la salute pubblica a causa della diffusione internazionale della malattia, che richiede una risposta globale coordinata. Tale annuncio dell'Oms - secondo alcuni tardivo, secondo altri eccessivo - ha naturalmente scatenato le teorie complottiste più disparate. L'Institute for Strategic Dialogue ha notato che i focolai di vaiolo delle scimmie stanno "ravvivando la diffusione di una serie di cospirazioni taglia e incolla..." che sono state utilizzate negli ultimi due anni per fuorviare le persone durante la pandemia da Covid.

Le (nuove) teorie del complotto

La prima teoria emersa sul web è che il vaiolo delle scimmie è stato creato in laboratorio per poter imporre restrizioni (lockdown) e una nuova ondata di vaccinazioni di massa. Come spiega la Bbc, non è affatto così: secondo gli scienziati, infatti, questo virus non è come il Covid ed è molto più difficile da trasmettere. Inoltre, abbiamo già vaccini e trattamenti disponibili e le persone sembrano essere infettive solo quando compaiono i sintomi, il che rende più facile individuarle e isolarle. Quindi restrizioni come i lockdown o le vaccinazioni di massa "non saranno davvero il modo per rispondere al vaiolo", afferma il professor Peter Horby, direttore del Pandemic Sciences Center dell'Università di Oxford. Smentita inoltre l'ipotesi che l'ondata di contagi sia provocata da un virus fabbricato in laboratorio: le sequenze genetiche che abbiamo a disposizione, sottolinea sempre la Bbc, lo fanno risalire al ceppo del vaiolo delle scimmie che circola comunemente nell'Africa occidentale: "Questo ci dice che non è qualcosa di fabbricato" conferma la genetista Fatima Tokhmafshan.

La bufala sul fuoco di Sant'Antonio

Inoltre, c'è chi tenta di collegare il fuoco di Sant'Antonio (herpes zoster) al vaccino Covid, sostenendo che il vaiolo delle scimmie venga usato, in realtà, come "storia di copertura" per coprire un effetto collaterale. La teoria priva di fondamento scientifico è apparsa su The Health Side, pagina di informazioni in ambito sanitario molto diffusa in India, ripresa da numerosi utenti sul web. Naturalmente, non è affatto vero perché i vaccini contro il covid non possono causare il vaiolo delle scimmie. Entrambe le infezioni, spiega il Daily Mail, possono causare vesciche pruriginose, nonostante siano causate da due virus diversi. Tuttavia, l'herpes zoster di solito appare sulla pancia e sul torace e solo su un lato del corpo, differentemente dal vaiolo delle scimmie, eruzione cutanea che spesso inizia sul viso prima di diffondersi su altre parti del corpo, compresi i genitali.

Altra teoria smentita completamente dagli esperti riguarda, in particolare, il vaccino AstraZeneca, che provocherebbe il vaiolo delle scimmie. Il vaccino, infatti, secondo uno screenshot circolato sui social, contiene un "vettore di adenovirus dello scimpanzé". Peccato che gli adenovirus siano una famiglia diversa dagli orthopoxvirus, la classificazione tecnica del vaiolo delle scimmie. È vero, il vaccino dell'Università di Oxford contiene l'adenovirus dello scimpanzé, che però è stato geneticamente modificato affinché non si diffonda. Sono solo alcuni esempi delle svariate teorie complottiste prive di qualsiasi fondamento scientifico apparse sui social media. In molte di queste il fondatore di Microsoft Bill Gates gode, suo malgrado, di un ruolo di assoluto protagonista e si conferma l'uomo più odiato dai complottisti di ogni latitudine.

(ANSA il 23 luglio 2022) - Il vaiolo delle scimmie è un'emergenza sanitaria globale. Lo ha affermato oggi il direttore generale dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) Tedros Adhanom Ghebreyesus in una conferenza stampa. Si tratta del più alto livello di allerta dell'Oms. 

L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha emesso il suo massimo livello di allerta per cercare di contenere l'epidemia di vaiolo delle scimmie, che ha colpito quasi 17.000 persone in 74 Paesi. Lo ha annunciato il suo direttore generale. "Ho deciso di dichiarare un'emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale", ha affermato Tedros Adhanom Ghebreyesus durante una conferenza stampa, precisando che il rischio nel mondo è relativamente moderato a parte l'Europa dove è alto. 

Tedros ha spiegato che il comitato di esperti non è riuscito a raggiungere un consenso, rimanendo diviso sulla necessità di attivare il massimo livello di allerta. Alla fine, è spettato al direttore generale decidere. "È un invito all'azione, ma non è il primo", ha affermato Mike Ryan, responsabile delle emergenze dell'Oms, che ha affermato di sperare che possa portare a un'azione collettiva contro le malattie. Da inizio maggio, quando è stata rilevata al di fuori dei paesi africani dove è endemica, la malattia ha colpito più di 16.836 persone in 74 Paesi, secondo il Centro americano per il controllo e la prevenzione delle malattie (Cdc) il 22 luglio. 

(ANSA il 15 luglio 2022) - Nell'attuale epidemia di vaiolo delle scimmie, la trasmissione dell'infezione tramite fluidi corporei come la saliva potrebbe giocare un ruolo importante finora sottovalutato. È quanto suggerisce uno studio condotto da ricercatori dell'Hospital Clínic-Universitat de Barcelona e pubblicato su Eurosurveillance, rivista degli European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc).

Lo studio ha analizzato campioni prelevati da 12 pazienti con vaiolo delle scimmie seguiti dall'ospedale spagnolo. In tutti i pazienti, i ricercatori hanno riscontrato il Dna del virus nella saliva, talvolta con una carica virale alta. In 11 pazienti su 12 il Dna del virus era presente nel tampone rettale, in 10 su 12 in quello naso-faringeo, in 9 su 12 nelle urine, in 8 su 12 nelle feci, in 7 su 9 nello sperma (in 3 non è stato seguito questo esame). Fino a oggi la principale via di trasmissione dell'infezione era stata considerata il contatto con le lesioni infette.

"Nell'attuale focolaio, numerosi dati clinici ed epidemiologici supportano che il contatto stretto, spesso nel contesto dell'attività sessuale, sta guidando la trasmissione della malattia", scrivono i ricercatori. Tuttavia, la ricerca ora aggiunge altre possibili vie di diffusione del virus: "Questi risultati migliorano le conoscenze sulla diffusione del virus e sul possibile ruolo dei fluidi corporei nella trasmissione della malattia", concludono i ricercatori.

Dagotraduzione dal Daily Mail il 28 giugno 2022.

Il ceppo del virus del vaiolo delle scimmie che è emerso in tutto il mondo nelle ultime settimane si è evoluto a un ritmo anormalmente veloce, diventando più contagioso rispetto alle versioni precedenti del virus. 

I ricercatori del National Institutes of Health (NIH) hanno scoperto che dal 2018 il virus si è replicato fino a 12 volte il ritmo previsto. Il virus, che generalmente si diffonde con il contatto fisico o attraverso superfici contaminate, potrebbe essere in grado di propagarsi in modi atipici rispetto agli altri virus tropicali.

Questo spiegherebbe il crescente numero di contagi del vaiolo delle scimmie: negli Stati Uniti i casi sono arrivati a 201 in 25 stati, mentre nel mondo ci sono stati finora 3.500 positivi in paesi in cui il virus non è endemico. 

Per lo studio, in fase di pubblicazione, i ricercatori hanno raccolto e studiato 15 campioni del virus del vaiolo delle scimmie. Il team del NIH ha ristrutturato le informazioni genetiche del virus per trovare il numero di cambiamenti che il virus aveva subito da quando questo ceppo ha iniziato a circolare.

Sebbene il virus sia stato rilevato di recente nelle popolazioni umane, gli esperti ritengono che questo ceppo di vaiolo delle scimmie dell'Africa occidentale abbia iniziato il suo movimento nel mondo nel 2018. Il modo in cui i virus mutano e circolano è una scienza generalmente nota. I virus del DNA come il vaiolo delle scimmie generalmente non mutano rapidamente, come fa il COVID-19. 

La natura del virus gli consente di correggere gli errori che emergono quando si replica, lasciando uno spazio molto più basso per la formazione di mutazioni e limitando in effetti il numero di varianti.

Quando i ricercatori hanno studiato questo ceppo del virus, hanno scoperto che era mutato da sei a 12 volte il tasso generalmente ritenuto standard per il virus. Gli esperti non conoscono le ragioni di queste mutazioni, ma credono che possano essere all’origine della sua diffusione repentina in tutto il mondo. 

Fino ad oggi erano stato rilevati casi isolati di vaiolo delle scimmie, ma mai si era diffuso in modo così aggressivo in tutto il mondo, e le mutazioni potrebbero aver giocato un ruolo determinante nella capacità del virus di contagiare. Il timore è che possa diventare endemico in paesi in cui non lo era.

Molti ritengono che i 201 casi rilevati negli Stati Uniti siano una grave sottostima dei numeri reali: gli esperti hanno avvertito che il paese non ha le capacità di test e monitoraggio necessarie per rimanere al passo con ogni nuovo caso. Inoltre i recenti Pride potrebbero aver dato una spinta decisiva al virus: finora si è trasmesso tra uomini gay e bisessuali, e i festeggiamenti di questi giorni potrebbero essere stati terreno fertile per i contagi. 

Per cercare di limitare i danni, i funzionari sanitari di New York hanno iniziato ad offrire alla popolazione il vaccino contro il vaiolo delle scimmie, ma l’offerta si è esaurita rapidamente e la campagna è stata sospesa per via dell’elevata domanda. 

Il vaccino però impiega circa quattro giorni ad attivarsi completamente, e potrebbe essere stato offerto troppo tardi per essere stato decisivo nel proteggere i partecipanti al Pride.

Dagotraduzione dalla Bbc il 24 giugno 2022.

Secondo l'autorità sanitarie della Gran Bretagna, ad alcuni uomini gay e bisessuali a maggior rischio di contrarre il vaiolo delle scimmie dovrebbe essere offerto un vaccino. Questo potrebbe aiutare a controllare il recente focolaio del raro virus nel Regno Unito, che finora ha registrato 793 infezioni. 

Il vaiolo delle scimmie non è definito come un'infezione a trasmissione sessuale. Ma può essere trasmesso per stretto contatto durante il sesso e con lenzuola, gli asciugamani e attraverso la pelle. L'Agenzia per la sicurezza sanitaria del Regno Unito (UKHSA) afferma che un vaccino progettato per proteggere dal vaiolo, chiamato Imvanex, aiuterà a proteggere le persone che potrebbero essere esposte al vaiolo delle scimmie.

Il vaccino è efficace contro il vaiolo delle scimmie perché appartiene alla stessa famiglia di virus. Il suo utilizzo è stato approvato dagli esperti di vaccini del Regno Unito, il Comitato congiunto per la vaccinazione e l'immunizzazione (JCVI). 

Funzionari sanitari affermano che stanno continuando a vedere «una notevole percentuale di casi in gay, bisessuali e altri uomini che hanno rapporti sessuali con uomini». Dicono che sperano che l'introduzione di vaccini a coloro che sono a rischio più elevato «spezzerà le catene di trasmissione».

Un medico può consigliare la vaccinazione a qualcuno che, ad esempio, «ha più partner, partecipa a sesso di gruppo o frequenta locali», afferma UKHSA. Gli uomini a rischio non dovrebbero farsi avanti per un vaccino fino a quando non vengono contattati. 

Maggiori dettagli dovrebbero essere stabiliti a breve su come possono accettare l'offerta. 

La dott.ssa Mary Ramsay, responsabile dell'immunizzazione presso l'UKHSA, ha dichiarato: «Espandendo l'offerta di vaccini a coloro che sono a rischio più elevato, speriamo di spezzare le catene di trasmissione e aiutare a contenere l'epidemia. Sebbene la maggior parte dei casi sia lieve, in alcune persone possono verificarsi malattie gravi, quindi è importante utilizzare il vaccino disponibile per indirizzare i gruppi in cui la diffusione è in corso».

Da “il Messaggero” il 15 giugno 2022.

Il vaiolo delle scimmie cambia nome e lo fa contro le discriminazioni. Così come è accaduto per il Covid, nome voluto dall'Organizzazione mondiale della Sanità per evitare che l'epidemia di Coronavirus venisse identificata con la Cina, anche monkeypox, il vaiolo delle scimmie, avrà una nuova definizione. 

La decisione è stata annunciata dal direttore generale dell'Oms Tedros Adhanom Ghebreyesus, che ha convocato il 23 giugno il Comitato di emergenza per stabilire se si tratti di «un'emergenza internazionale», e arriva dopo che 30 scienziati la scorsa settimana hanno lanciato un appello segnalando «l'urgente bisogno» di trovare un nome che non sia discriminatorio e non crei alcuno stigma nei confronti dell'Africa.

Questo perché è ignota l'origine geografica dell'epidemia. «Stiamo lavorando a una soluzione con partner ed esperti di tutto il mondo», e l'annuncio della nuova definizione sarà fatta «il prima possibile». ha fatto sapere l'Oms.

"La verità è un'altra". La guerra delle immagini sul vaiolo delle scimmie. Roberto Vivaldelli il 15 Giugno 2022 su Il Giornale.

Un gruppo di scienziati africani accusa i media mainstream occidentali di impiegare le foto di bambini del Continente nero anziché i maggiori pazienti di questa nuova ondata del virus: gli uomini occidentali che hanno avuto rapporti omosessuali.

Il "vaiolo delle scimmie"? È discriminatorio, almeno secondo l'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms). L'istituto specializzato dell'Onu per la salute ha annunciato che sta lavorando con alcuni esperti per cambiare il nome del virus che si è diffuso in più di 20 paesi nelle ultime settimane, dopo che nei giorno scorsi un gruppo di scienziati internazionali ha lanciato l'allarme sulla "natura discriminatoria" dei nomi che vengono affibiati a queste malattie di natura virale. Ad annunciarlo è stato il direttore generale dell'Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, il quale ha affermato che l'organizzazione sta "lavorando con partner ed esperti di tutto il mondo" per trovare un nome alternativo alla patologia infettiva causata dall'Orthopoxvirus. Ma dietro questa iniziativa dell'Oms c'è molto di più.

Perché l'Oms vuole cambiare il nome al "vaiolo delle scimmie"

Il tutto nasce, come accennato, da un documento pubblicato venerdì scorso da un gruppo di scienziati africani, stufi di come i media rappresentino il virus con le immancabili foto di bambini (sempre africani) colpiti dalla malattia. Una rappresentazione non veritiera quando, a loro dire, i più colpiti sono in realtà gli occidentali di orientamento omosessuale. "Nel contesto dell'attuale epidemia globale, il continuo riferimento e la nomenclatura di questo virus africano non solo sono imprecisi, ma sono anche discriminatori e stigmatizzanti" sottolinea Christian Happi, direttore dell'African Center of Excellence for Genomics of Infectious Diseases presso la Redeemer's University di Ede, in Nigeria, uno dei promotori di quest'iniziativa.

"Se il SARS-CoV-2, ad esempio, non è stato chiamato il virus di Wuhan, allora la domanda è: perché abbiamo un virus che prende il nome da una specifica posizione geografica in Africa, e quindi per estensione che si estende alle persone in quelle aree”, ha detto Happi. "Se dobbiamo usare la posizione geografica come riferimento, allora lo deve essere per tutti i virus " afferma.

"Basta foto di bimbi africani malati, la verità è un'altra"

Happi si scaglia contro il modo in cui l'epidemia viene descritta dai media mainstream, a cominciare dalle foto dei bambini africani con lesioni da vaiolo delle scimmie che vengono utilizzate per parlare della diffusione della malattia. Lo scienziato nota infatti che quest'ondata di vaiolo delle scimmie non si sta diffondendo tra i bambini africani ma perlopiù tra gli uomini, occidentali, che hanno avuto rapporti sessuali con altri uomini.

"Lo troviamo molto discriminatorio, lo troviamo molto stigmatizzante e in una certa misura... lo trovo molto razzista", ha detto. "I media mainstream, invece di mostrare immagini di persone che si presentano con le lesioni, che sono uomini bianchi, continuano a proporre immagini di bambini in Africa e africani. E non c'è nessun collegamento". Capito? Lo scienziato africano accusa i media mainstream occidentali di "razzismo" perché le vere vittime di quest'ondata di vaiolo delle scimmie non sono i bimbi africani, ma gli occidentali gay. Chissà se questo gruppo di scienziati africani verrà accusato di "omofobia" dalle anime belle del politically correct. Ecco perché, al fine di togliere le castagne dal fuoco ed evitare ulteriori imbarazzi, l'Oms è pronto a trovare un nome diverso a questa patologia. Al più presto.

Che cos'è il "Monkeyprox"

Il vaiolo delle scimmie - Monkeypox - fu scoperto per la prima volta nel 1958 quando si verificarono due focolai fra gli essere umani di una malattia simile al vaiolo studiato fra le scimmie, da cui il nome "Monkeypox". Il primo caso umano di vaiolo delle scimmie è stato registrato nel 1970 nella Repubblica Democratica del Congo (RDC). Da allora, la malattia è stata segnalata in persone provenienti da molti Paesi dell'Africa centrale e occidentale: Camerun, Repubblica Centrafricana, Costa d'Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Gabon, Liberia, Nigeria, Repubblica del Congo e Sierra Leone. La maggior parte dei contagi, prima dell'attuale ondata di casi, si registrava proprio nella Repubblica Democratica del Congo.

Giovanni Sallusti per “Libero quotidiano” il 17 giugno 2022.

Ma fanno sul serio le teste d'uovo dell'Oms? Un'associazione di idee così infelice, e così plasticamente razzista se letta alla luce di logica e grammatica, probabilmente non la si riuscirebbe a rintracciare nemmeno nelle riunioni clandestine dei neonazisti tedeschi. Ma facciamo parlare la cronaca, che come sempre è la cosa migliore quando l'assurdo e la realtà combaciano. 

L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha solennemente annunciato che il "vaiolo delle scimmie" d'ora in poi si chiamerà diversamente, accogliendo il fondamentale appello lanciato la settimana scorsa da una trentina di scienziati, che sottolineavano «il bisogno di dargli un nuovo nome in modo che non sia discriminatorio nei confronti dell'Africa».

Il direttore generale Tedros Adhanom Ghebreyesus ha dichiarato che il 23 giugno sarà convocato il Comitato di emergenza dell'Oms per dirimere la questione, non dando segno di accorgersi, da etiope, del sillogismo ubriaco che l'Organizzazione sta avallando. Collegare un morbo alle scimmie è "discriminatorio" nei confronti dell'Africa e degli africani. Dunque, gli africani sono in qualche modo collegati alle scimmie. 

Il documento degli scienziati (ma chiediamo scusa ad Albert Einstein) spronava infatti a coniare denominazioni «neutre, non discriminatorie e non stigmatizzanti» (la rifondazione edulcorata del linguaggio è il primo obiettivo di ogni autoritarismo, compreso quello protocollare del politically correct) che la piantino con il «riferimento impreciso all'Africa».

Il problema, secondo il ragionamento allucinato della burocrazia sanitaria mondiale, non sono quindi le scimmie in sé, che peraltro non vivono solo nel Continente Nero (forse dovremmo dire Diversamente Pigmentato), ma le scimmie in noi, anzi in loro: il rimando alla popolazione africana. Immediato, autoevidente, peggio che lombrosiano, etnicista, se non francamente suprematista. 

Se a questa conclusione arrivasse un esponente nostrano della destra becera e sovranista, sarebbe tradotto in ceppi davanti al Soviet dei Buoni ed espulso dal consesso civile, o perlomeno condannato ad imparare a memoria l'opera omnia di Walter Veltroni. Col timbro dell'Oms, questa boiata da positivismo d'osteria tardo-ottocentesca viene seriamente rilanciata nel rullo delle agenzie di stampa internazionali.

«Stiamo lavorando a una soluzione con partner ed esperti di tutto il mondo», e la nuova definizione del morbo verrà resa pubblica «il prima possibile», ha rassicurato tutti il risoluto Ghebreyesus, non nuovo a prodezze di neolingua orwelliana in tema di epidemie. 

Resta infatti agli annali la sua funambolica crociata contro chi si permetteva di definire un patogeno deflagrato in tutto il mondo a partire da Wuhan, anche per comprovate opacità e omissioni del regime comunista, «virus cinese». 

Del resto, il direttore era un militante del Fronte di Liberazione del Popolo del Tigri, organizzazione marxista-leninista appoggiata da Pechino, e come tutti i marxisti si muove perfettamente a suo agio nella nuova ideologia del progressismo globale, il Politicamente Corretto. Paranoico come ogni ideologia, questo marchingegno pseudobuonista vede razzismo ovunque, perché è intimamente razzista esso stesso.

È il Politicamente Corretto che divide l'umanità per colore, per epidermide, per genere, per geografia, per inclinazione, costringendo quella che il filosofo Paul Feyerabend chiamava «l'abbondanza del mondo» dentro i propri schemi classificatori. Nei quali crede così ciecamente, che finisce per replicarli in modo irriflesso, fino al cortocircuito finale: "vaiolo delle scimmie" non va bene, insulta gli africani.

Servirebbe un nuovo Tom Wolfe, l'immortale diagnosta dei contorcimenti dell'ipocrisia radical-chic, per raccontare un tale suicidio logico, morale, culturale. Noi non possiamo che provare a immaginare i nomi alternativi che circoleranno al Tavolo della Psicopolizia... pardon, dell'Oms. «Vaiolo dei primati!». «No, chi arriva secondo può offendersi». «Vaiolo non europeo». «Bieco reazionario, l'Europa non esiste, e se esiste è fascista». «Aspetta, ce l'ho, vaiolo delle scimmie, ma quelle non capaci di accendere il fuoco». Compiacimento generale, sipario.

Michele Bocci per “la Repubblica” il 27 maggio 2022.

Un centro commerciale vecchiotto, con un dinosauro nell'insegna e ampio uso di cemento armato per costruire i vari livelli e la piazza centrale. Al Yumbo center di Maspalomas, nel sud di Gran Canaria, l'isola spagnola dove il vento soffia sulle spiagge la sabbia del Sahara, è capitato quello che gli infettivologi definiscono "evento di amplificazione". Una cosa da manuali di epidemiologia. 

Circa 80 mila persone dal 5 al 15 maggio hanno partecipato a una festa non stop, giorno e notte. Tra loro c'era almeno un portatore del vaiolo delle scimmie, il virus che si trasmette in tanti modi, teoricamente anche attraverso le vie respiratorie, ma soprattutto con il contatto fisico stretto. 

Quando la musica allo Yumbo Center si è spenta definitivamente, oltre quattro partecipanti su cinque sono tornati a casa, cioè nella Spagna continentale oppure in Italia, Belgio, Germania, Francia, o ancora nei Paesi del Nord Europa. Alcuni erano stati infettati. Ad esempio, tutti i sei positivi individuati dallo Spallanzani di Roma sono passati da qui o hanno incontrato qualcuno che c'era stato. L'incubazione dura anche tre settimane e quindi nel mondo saranno diagnosticati altri casi della malattia, per fortuna non particolarmente violenta.

Il vaiolo delle scimmie, lo dicono gli esperti ormai da venti giorni, cioè dal primo caso scoperto il 7 maggio, può contagiare chiunque e ovviamente se un positivo partecipa a una grande festa le probabilità di creare uno o più cluster aumentano. E a Maspalomas c'è stato un evento molto partecipato, la ventesima edizione del "Gay pride" invernale. Del resto, questa è considerata la meta europea più importante per il turismo Lgbtq+.

Non c'è periodo dell'anno in cui le centinaia di albergoni e affittacamere che imbruttiscono questa terra selvaggia, punteggiata da palme e piante grasse, restano vuoti. Giusto maggio è bassa stagione e per questo o si decise di organizzare un evento che attirasse i visitatori.

È impossibile dire dove sono stati i primi casi di vaiolo nel nostro continente, ma tanti di quelli che si stanno scoprendo in Europa, oltre 150, dei quali 12 in Italia, sono partiti da Gran Canaria. Visti i numeri però è impossibile per le autorità sanitarie riannodare tutti i fili, individuare contatti e persone a rischio tra coloro che erano sull'isola. Si aspetta che chi scopre di avere vesciche o bolle si presenti dal medico. Ieri la Spagna aveva il numero più alto di positivi, 84. Di questi, spiega dalla "Consejeria de sanidad" di Las Palmas, la capitale dell'arcipelago, sei vivono alle Canarie e quattro sono stati al pride. Per quanto riguarda i contatti con l'estero, per avvertire del rischio epidemico i Paesi dei partecipati alla manifestazione, l'autorità sanitaria locale, guidata da Blas Trujillo, rimanda a Madrid: «Sono loro ad occuparsene ».

Tra i negozi dello Yumbo Center e nella comunità gay locale, composta soprattutto da stranieri che hanno scelto di vivere in questo pezzetto d'Europa al largo delle coste africane, circolano due paure. Quella dello stigma per gli orientamenti sessuali e quella di una ricaduta sul business del turismo. «Abbiamo una lunga e importante storia di difesa della libertà e degli atteggiamenti "love-positive". Ma libertà non significa libertà dalla responsabilità, bensì dalla disinformazione e dalla discriminazione». 

Edward Timon, inglese, è uno di quelli che hanno deciso di vivere a Gran Canaria, dove è arrivato olte dieci anni fa. È un attivista della comunità gay e fa l'editore di un sito di informazioni. Seduto al bar Diamond dello Yumbo Center, spiega perché è necessario parlare dei casi di monkeypox e non nascondere niente. Ha appena discusso delle prospettive turistiche con alcuni proprietari di locali. «Sono preoccupati, come tutti qui, perché quello che sta succedendo può mettere in cattiva luce la nostra Maspalomas». E invece non è giusto che succeda, dice sempre Timon, perché «la comunità Lgbtq+ non deve temere di affrontare il problema, che può capitare a chiunque. Tra l'altro è molto meglio educata riguardo ai comportamenti per prevenire le malattie sessualmente trasmissibili, rispetto agli etero». 

Questa volta però qualcosa non ha funzionato, sempre secondo un'altra persona che ha lasciato il suo Paese, l'Olanda, per vivere a Maspalomas. Andre van Wanrooij è anche un politico ma soprattutto è membro dell'associazione "Glay" dello Yumbo Center che, sotto la sua presidenza, ha organizzato il pride fino a qualche anno fa. Anche lui è seduto a un tavolino di un bar del centro commerciale. Ordina una tisana mentre osserva i camerieri servire gli aperitivi ai turisti appena rientrati dalla spiaggia nel grande spazio pieno di bar, ristoranti e negozi di souvenir.

«Noi insieme a un'altra associazione davamo gratis i preservativi, facevamo informazione sulla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili in più lingue, organizzavamo incontri, assicuravamo assistenza sanitaria. Tutto questo non c'è più e anche se non si sapeva dell'arrivo del vaiolo delle scimmie, comunque comportamenti più attenti sarebbero serviti a prevenire anche quella malattia. Purtroppo, né il servizio sanitario locale pubblico, che si interessa solo dei cittadini spagnoli, né i nuovi organizzatori si sono impegnati a lavorare sulla prevenzione». 

In effetti dalla "Consejeria de sanidad" sul punto, eloquentemente, non rispondono. E invece c'è bisogno di sensibilizzare la comunità. «Penso ai giovani - spiega van Wanrooij - Dobbiamo insegnargli i principi del sesso sicuro e dell'igiene. Non bisogna mai stancarsi di spiegare, anche a costo di essere ripetitivi. Questo virus può colpire chiunque ma adesso sta interessando molti di noi. Non lasciamo le nuove generazioni senza informazione».

Dagotraduzione da Daily Mail il 25 maggio 2022. 

Dopo aver fatto affari con il Covid 19, le aziende cinesi si stanno già preparando per fare business col vaiolo delle scimmie sviluppando i kit per i test e i vaccini. 

Diversi laboratori cinesi hanno iniziato a produrre kit per il test dell'acido nucleico contro il virus del vaiolo delle scimmie che si sta diffondendo in tutto il mondo con oltre 200 casi confermati. La Cina non ha ancora registrato alcuna infezione, ma i loro esperti ritengono di poter mettere a punto il vaccino entro un anno.

Il quotidiano statale del paese Global Times ha dichiarato: «Diversi produttori cinesi stanno sviluppando kit di test dell'acido nucleico per il vaiolo delle scimmie, che possono essere messi in produzione per il mercato interno, una volta approvati dal governo». 

La società farmaceutica Sinovac nella prima metà del 2021 ha visto schizzare le vendite di oltre 160 volte rispetto all'anno precedente, grazie al vaccino del Covid: un boom da 9 miliardi di sterline, rispetto ai 50 milioni guadagnati l'anno precedente.

Intanto sui social media cinesi si diffondono le teorie complottiste: dopo che il governo cinese è stato accusato di aver generato il Covid, ora gli Stati Uniti starebbero diffondendo deliberatamente il vaiolo delle scimmie. 

Da quando il primo paziente si è ammalato nel Regno Unito il 6 maggio scorso, sono almeno 221 i casi di vaiolo confermati in tutto il mondo. Gli Emirati Arabi Uniti, la Repubblica Ceca e la Slovenia sono gli ultimi paesi a registrare delle infezioni.

Attualmente cure per il vaiolo delle scimmie sono già in commercio. Sebbene non sia stato creato appositamente per quello delle scimmie, Imvanex - prodotto dalla danese Bavarian Nordic per curare il vaiolo – è un vaccino efficace fino all'85% perché i due virus sono molto simili.

Chi guadagna col vaiolo delle scimmie. Rec News dir. Zaira Bartucca Da Redazione Articolo del 25 Maggio 2022

Il vaiolo delle scimmie ha già tutto quello che aveva il coronavirus a gennaio 2020. Anzitutto, un nome orecchiabile da piazzare ovunque (“monkeypox”) e un animale a cui deve la sua “fortuna” mediatica. In attesa di un autunno che per alcun prospettare sempre qualcosa di terribile, può contare fin da ora su immagini  terroristiche in grado di far azionare il meccanismo problema-soluzione: una volta pazienti intubati, oggi il sistema scommette tutto sui bubboni e sulle pustole in bella vista. Non è un bel vedere, certo, ma è giusto per tranquillizzare. Anche il web e i social parte: meme, previsioni apocalittiche e tutte le malattie della pelle conosciute si materializzano nei profili e nei gruppi con un solo obiettivo: cancellare il covid (e guerra) e piazzare un’altra emergenza.

In grado di legittimare le misure agendiste e draconiane del governo, e di rimpolpare business che altrimenti evaporerebbero. Il 90% degli italiani, ormai, compra solo per necessità, e la salute è una di queste. La sanità, poi, deve essere cambiata a colpi di allarmismi. Il futuro è la telemedicina: ospedali chiusi o trasformati, e un conveniente controllo da remoto che farà in modo che si possa scrivere la parola fine su un sistema sanitario nazionale a torto vissuto come spesa anziché come occasione di supporto al cittadino.

Ma c’è una differenza

Ma c’è una differenza tra il covid e il vaiolo “delle scimmie”. E’ infatti già stato reso noto che il morbo (se mai si riuscisse a contrarlo, visto che l’OMS ne ha dichiarato la scomparsa nel 1980) si cura. Farmaci locali, antipiretici, antibiotici, antivirali e chi più ne ha più ne ha più ne metta: almeno stavolta, la stampa commerciale non farà finta di non sapere per un anno e mezzo. Il rovescio della medaglia, però, è che – come è stato per Pfizer – diverse aziende sono già schierate e già si leccano i baffi per l’impennata delle loro azioni, che hanno ottenuto grazie all’avvio dell’ennesima campagna global-terroristica (in un’altra epoca, si sarebbe chiamato aggiottaggio).

Basti notare che il John Hopkins Center da qualche giorno ha affiancato alla conta dei contagi covid quella dei casi isolatissimi di vaiolo delle scimmie, e che anche alle nostre latitudini tutti gli ospedali e i virologi di sistema stanno tentando di tornare ai loro posti, in molti casi con i loro conflitti di interessi e i loro legami a doppio filo con le big pharma e con gli informatori scientifici. Negli ultimi anni abbiamo imparato a conoscere AstraZeneca, Moderna Johnson&Johnson, ma chi c’è, stavolta, in prima fila? Vediamolo.

L’azienda che produce il vaccino

Sono diverse le multinazionali farmaceutiche al lavoro per sfruttare l’affare Monke società che già si sfrega le mani (perché ha un vaccino pronto per chi si volesse immolare) è Bavarian Nordic. L’azienda biotecnologica con sede a Hellerup, in Danimarca, di recente ha annunciato diversi ordini da parte di alcuni Stati europei, anche se non è voluta entrare nello specifico. Affari che, comunque, hanno permesso un rialzo delle sue azioni, che nell’ultima settimana hanno guadagnato un 20-30% in più. Non c’è che dire, la paura frutta e in questo caso ha un nome: Imvanex, il vaccino che – come per il covid – non può essere acquistato dai cittadini, ma può essere ordinato solo dai governi o da enti militari. E’ stato già impiegato in Gran Bretagna e anche in Israele, che come si ricorderà è stato tra i Paesi maggiormente vaccinati e che più hanno scontato le politiche repressive legate al covid.

L’antivirale lo produce un’azienda collegata a Pfizer

Spostandosi nell’area farmaci antivirali, salta all’occhio Viatris, multinazionale atttiva in diversi campi medici e biotecnologici. Non sorprenderà sapere che è nata tra la fusione tra una parte di Pfizer (altrove associata a Biontech) e Mylan. L’antivirale che produce si chiama Cidofovir, che viene impiegato anche per altre malattie.

Vaiolo, ma anche antrace

Molto attiva anche nel campo dell’antrace (ne abbiamo parlato quando ci siamo soffermati sulla presenza di biolaboratori in Ucraina) è l’americana Emergent Bio Solution. Il suo antivirale è a marchio Tembexa (brincidofovir). C’è poi Siga Technologies e il suo Tpoxx, che già vanta ordini milionari da parte del Pentagono, con la commessa appena ottenuta da quasi 8 milioni di dollari. In tutti i casi, si tratta di farmaci e vaccini che, pur venendo impiegati per altre altre malattie, non potrebbero contare su commesse milionarie senza una campagna allarmistica appositamente generata. Almeno per quanto riguarda il vaiolo: eradicato, come accennato, dal 1980, con esso rischiano di scomparire anche i business delle aziende che guadagnano sulla sua esistenza.  

Vaiolo delle scimmie in Lombardia, primo caso: virus dall’estero, il paziente rientrava da un viaggio. Stefania Chiale su Il Corriere della Sera il 24 Maggio 2022.

La diagnosi all’ospedale Sacco di Milano, attivato il tracciamento dei contatti a rischio. Pronto il sistema di monitoraggio regionale: centri di riferimento Fatebenefratelli Sacco e San Matteo di Pavia. 

È stato rilevato il primo caso di vaiolo delle scimmie in Lombardia, il sesto in Italia. La diagnosi è delle 19.50 del 24 maggio e la conferma dell’infezione è arrivata dall’ospedale Sacco di Milano, centro di riferimento nazionale per le emergenze con lo Spallanzani di Roma, e dalla Direzione generale Welfare di Regione Lombardia. Il paziente rientrava da un viaggio ed è in osservazione. È stato attivato il contact tracing. Il ceppo non è autoctono ma arriva dall’estero e potrebbe essere correlato ai focolai che si stanno registrando in Germania, Portogallo e Spagna (Canarie). Fino a questa prima infezione c’erano stati solo sospetti in via di accertamento: ancora nel pomeriggio del 24 maggio la Dg Welfare aveva escluso la presenza di casi di vaiolo delle scimmie in Lombardia.

Il sistema di monitoraggio

I precedenti casi segnalati avevano dato tutti esito negativo alle analisi svolte per ricercare la presenza del materiale genetico del virus. Su un altro caso riscontrato a Monza, già risultato negativo, l’Ircss San Matteo di Pavia sta effettuando ulteriori analisi, l’esito delle quali dovrebbe arrivare in serata o nella giornata di mercoledì 25 maggio . Lunedì 23 maggio la Regione, in un vertice con gli infettivologi degli ospedali ha condiviso le strategie di controllo e coordinamento tra le diverse reti cliniche e di laboratorio sul territorio, le modalità di diagnosi, i percorsi tipici e terapeutici. È stato attivato il sistema di monitoraggio regionale per vigilare sulla possibilità che emergano casi e sono stati individuati come laboratori e centri di riferimento l’Asst Fatebenefratelli Sacco di Milano e l’Ircss San Matteo di Pavia. Il software di gestione delle malattie infettive («Mainf») è stato aggiornato per consentire la segnalazione del vaiolo delle scimmie da parte di qualunque medico di medicina generale o pediatra di libera scelta.

Che cos’è e come viene trasmesso?

Il vaiolo delle scimmie è una «zoonosi silvestre», ovvero una malattia riguardante gli animali selvatici, che può comportare infezioni umane accidentali. È causato dal virus del vaiolo delle scimmie che appartiene alla famiglia degli orthopoxvirus. La trasmissione avviene per contatto e attraverso i droplet (le goccioline respiratorie che si emettono starnutendo, tossendo o semplicemente parlando). Il periodo di incubazione del vaiolo delle scimmie è generalmente compreso tra 6 e 13 giorni , ma può variare da 5 a 21 giorni. Il serbatoio animale del virus rimane sconosciuto, anche se è probabile che sia tra i roditori. Fattori di rischio noti sono il contatto con animali vivi e morti e la caccia e il consumo di selvaggina.

I sintomi della malattia

La malattia è spesso autolimitante con sintomi che di solito si risolvono spontaneamente entro 14-21 giorni. I sintomi possono essere lievi o gravi e le lesioni possono essere molto pruriginose o dolorose. Monkeypox provoca una serie di sintomi simil-influenzali come stanchezza, dolori muscolari, mal di testa, febbre, linfonodi ingrossati ed esantema. Si definisce «caso sospetto» un paziente che presenta febbre superiore ai 38,3 gradi, mal di testa, linfonodi ingrossati, mal di schiena, mialgia, eruzione cutanea distintiva (pustole simili a quelli della varicella, quelle del morbillo — per la diagnosi di vaiolo delle scimmie — sono da scartare). Per le analisi si procede con un tampone orofaringeo e il prelievo di un campione di liquido nelle pustole emerse.

La gestione dei casi e dei contatti

Il periodo di incubazione, come detto, va dai 6 ai 13 giorni, con un massimo di 5-21 giorni, lo stadio febbrile può durare da 1 a 4 giorni, la fase di eruzione cutanea dalle 2 alle 4 settimane. Per i contatti di caso infetto scatta la quarantena fiduciaria di 21 giorni. Il soggetto sintomatico — è stato condiviso nel vertice di lunedì 23 maggio in Regione — viene ricoverato in caso di necessità, con attenzione particolare a eruzioni cutanee estese, bambini e soggetti immunodepressi; oppure si mette in isolamento fino alla scomparsa delle lesioni cutanee. Le Ats, in presenza di un caso infettato, procedono al tracciamento dei contatti.

I vaccinati

Storicamente, la vaccinazione contro il vaiolo ha dimostrato di essere protettiva contro il vaiolo delle scimmie. Data l’eradicazione, la vaccinazione di routine contro il vaiolo è stata sospesa nel corso degli anni ’70 e ’80 in tutti i Paesi occidentali. In Italia, la vaccinazione è stata sospesa nel 1977 e ufficialmente abrogata nel 1981. Ma un vaccino (MVA-BN) e un trattamento specifico (tecovirimat) siano stati approvati rispettivamente nel 2019 e nel 2022.

Vaiolo delle scimmie, virus, sintomi e tempi di guarigione: cosa c’è da sapere dopo il caso delle Canarie. Margherita De Bac su Il Corriere della Sera il 20 Maggio 2022.

La malattia è causata da un virus diffuso in Africa (soprattutto in Ghana e Nigeria). Tra le spie dell’infezione i linfonodi ingrossati e bolle sulla pelle che si presentano come piccole macchie 

1. Che cos’è il monkeypox, il vaiolo delle scimmie?

È una malattia infettiva causata da un virus principalmente diffuso in Africa nelle scimmie e in alcuni roditori, soprattutto in Ghana e Nigeria. Ha questo nome per distinguerla nell’antichità dal chickenpox caratterizzata da macchie della pelle più estese. Secondo il CDC, il centro americano per la prevenzione delle malattie infettive, il serbatoio di questo agente patogeno è ancora sconosciuto ma dipende sempre dalla promiscuità uomo-animale che non smette di generare sorprese. E infatti la sorveglianza internazionale è altissima. L’infezione non ha niente a che fare con il vaiolo umano, molto più grave, eradicato nel mondo nel 1980, ne condivide soltanto la «famiglia».

2. Si può trasmettere all’uomo?

Sì, raramente può passare dall’animale all’uomo e successivamente essere trasmesso da un’individuo all’altro per via aerea (attraverso le goccioline del respiro), tramite piccole lesioni della pelle e le mucose (ad esempio degli occhi, bocca). La trasmissione sessuale non è mai stata descritta tuttavia è plausibile che il contagio possa avvenire durante rapporti intimi, ma servono altri dati per trarre conclusioni. Non viene al momento considerato contagioso un individuo senza sintomi ma per precauzione i contatti stretti delle persone cui viene diagnosticata la malattia vengono monitorati.

3. Quali sono i sintomi nell’uomo?

I più comuni sono febbre, mal di testa, dolori muscolari e stanchezza. I linfonodi del collo si ingrossano e dopo qualche giorno compaiono bolle sulla pelle che inizialmente si presentano come piccole macchie. La malattia guarisce spontaneamente, senza terapie specifiche, dura dalle due alle quattro settimane e in genere non lascia strascichi. L’incubazione dura circa due settimane dal contagio. Le forme finora osservate sono state per la maggior parte lievi.

4. È una malattia molto diffusa in Europa?

No, ma è stata diagnosticata sporadicamente anche negli ultimi anni, in Europa e Usa, in viaggiatori provenienti da zone endemiche, cioè dove il virus è normalmente diffuso. Il fenomeno non ha mai costituito allarme e anche ora non bisogna drammatizzare. Il sito del governo britannico chiarisce che la malattia non si diffonde facilmente nella popolazione e il rischio viene definito basso.

5. Perché l’agenzia europea per il controllo delle malattie infettive ha inviato una allerta sul vaiolo delle scimmie?

Sono stati segnalati alcuni casi in Portogallo (5 confermati e 20 sospetti), Spagna (8 sospetti) Regno Unito (almeno 4) e ieri in Italia. L’Oms ha rilevato in Inghilterra recenti episodi tra chi ha rapporti sessuali occasionali, in particolare sono stati riscontrati contagi in luoghi di incontri gay, ma ha riportato anche un piccolo focolaio epidemico in una famiglia inglese. La particolarità rispetto al passato è l’elevato numero dei pazienti confermati e la mancanza di collegamento con viaggi recenti in zone endemiche.

6. Che cosa sta facendo L’Italia?

I centri specialistici sono stati allertati, l’Istituto superiore di sanità ha attivato un gruppo di esperti per seguire l’evolversi della situazione.

7. Chi ha ricevuto la vaccinazione contro il vaiolo umano, obbligatoria fino al 1981, acquisisce anche la protezione contro il vaiolo delle scimmie?

Esiste una similitudine tra virus umano e quello delle scimmie. Ci sono evidenze che l’antivaiolosa offra effettivamente un certo grado di protezione.

8. Esiste un vaccino specifico?

Non esiste un vaccino contro la monkeypox. Si è visto che quello contro il vaiolo dell’uomo può essere usato con successo come profilassi nelle persone venute a contatto con individui malati. L’efficacia è dell’85 per cento.

9. Ci sono forme di prevenzione?

Le precauzioni sono molto simili a quelle utili per evitare in generale le malattie infettive. Le abbiamo imparate durante il Covid. La prima regola è l’igiene personale, soprattutto il ripetuto lavaggio delle mani. Il consiglio, considerata anche la estrema rarità dei casi in Italia, è di rivolgersi al proprio medico se si hanno dubbi o si notano sintomi che possono far sospettare di aver contratto un’infezione sulla pelle, propria o delle persone che ci vivono accanto, a cominciare dal partner.

10. Come mai sono più frequenti negli ultimi mesi le segnalazioni di infezioni non comuni?

La pandemia ha sicuramente alzato il livello di attenzione sulla comparsa eventuale di nuovi virus o virus riemergenti.

Dagospia il 19 maggio 2022. Da “Un giorno da Pecora - Radio1”           

“Più che il Covid oggi dobbiamo cercare di mettere in sicurezza il vaiolo delle scimmie. E’ molto più leggero di quello degli uomini per quanto riguarda i sintomi e si trasmette anche attraverso respiro ma solo se si sta molto vicini”. 

Così a Rai Radio1, ospite di Un Giorno da Pecora, il direttore della Clinica per le Malattie Infettive dell'Ospedale S. Martino di Genova Matteo Bassetti, intervistato da Giorgio Lauro e Francesca Fagnani.

 Come si dovrebbe agire con questo nuovo virus? “Dobbiamo esser tutti uniti tra paesi europei, scambiandoci informazioni e monitorando eventuali focolai. 

Nei prossimi giorni arriveremo a qualche migliaio di caso – ha detto a Rai Radio1 Bassetti - chi non ha fatto la vaccinazione contro il vaiolo non è coperto”.

Estratto da globalist.it il 19 maggio 2022.  

Bassetti: “Avevo detto che avremmo avuto dei casi in Italia di vaiolo delle scimmie, Spagna e Portogallo sono dietro l’angolo. Ora è un problema europeo e globale, dobbiamo fare molto bene il tracciamento e far sì che si fermi un focolaio che è partito. Una cosa positiva è che chi è vaccinato per il vaiolo dovrebbe essere coperto, ma questa vaccinazione dal 1974 in poi non è stata fatta. Una parte importante della popolazione non ha il vaccino del vaiolo e potrebbe essere scoperta”, avverte. 

“Non c’è una cura specifica per il vaiolo, in genere queste forme si autolimitano, hanno una durata e poi si risolvono. I rischi – spiega Bassetti – sono quelli di un’infezione intra-umana, ovvero che ci possa essere trasmissione a più persone se esce da questi cluster che abbiamo avuto soprattutto tra persone omosessuali, e può diventare un problema”.

(ANSA il 19 maggio 2022) - "Attualmente la situazione è sotto controllo e in questo momento in Italia non abbiamo una situazione di allerta in relazione ai casi segnalati di vaiolo delle scimmie. 

Raccomandiamo però prudenza nei contatti stretti o sessuali che presuppongano uno scambio di fluidi corporei, soprattutto se sono presenti lesioni cutanee o sintomi febbrili". 

Lo afferma all'ANSA Anna Teresa Palamara, che dirige il dipartimento di Malattie Infettive dell'Istituto superiore di sanità (Iss). l'Istituto, sottolinea, "ha messo in allerta le reti sentinella dei centri per le infezioni sessualmente trasmesse al fine di monitorare la situazione nazionale".

(ANSA il 19 maggio 2022) - "Teniamo alto il livello di attenzione grazie alla nostra rete di sorveglianza europea e nazionale". E' quanto ha dichiarato il ministro della Salute Roberto Speranza a Berlino per la riunione dei ministri del G7. "Proprio qui a Berlino al G7 ne ho parlato informalmente con la commissaria Stella Kyriakides e gli altri ministri", ha concluso Speranza sottolineando che "verranno coinvolti Ecdc e Hera"

(ANSA il 19 maggio 2022) - "Il ministero della Salute sta monitorando attentamente i casi di vaiolo delle scimmie segnalati in Italia e che sarebbero al momento pochi e ha allertato le Regioni per un tracciamento degli eventuali casi. Anche l'Istituto superiore di sanità (Iss) ha attivato una task force per seguire al meglio l'evoluzione della situazione. Al momento nel nostro Paese non si registra una situazione di allarme ed il quadro è sotto controllo". Così all'ANSA Anna Teresa Palamara, che dirige il dipartimento di Malattie Infettive dell'Iss.

Estratto dall’articolo di Elena Dusi per repubblica.it il 20 maggio 2022.

I casi di vaiolo delle scimmie in Italia salgono a tre. Anche i due casi sospetti sono risultati oggi positivi, conferma l'Istituto per le malattie infettive Spallanzani di Roma. I tre pazienti sono ricoverati lì, in condizioni definite come discrete: solo uno ha avuto un po' di febbre. Hanno però le lesioni sulla pelle tipiche della malattia, che li ha spaventati e li ha spinti a farsi visitare […]. 

L'Italia non è il solo paese a osservare casi di questa malattia, decisamente meno grave del vaiolo d'antan - la letalità del ceppo con cui abbiamo a che fare è attorno al 3% - meno contagiosa del Covid e probabilmente incapace di trasmettersi in modo asintomatico. Le notizie dei contagi stanno spuntando come funghi dal Nordamerica all'Australia. Il Canada ieri ha segnalato 17 casi sospetti. Proprio in questo paese si era recato, viaggiando in auto, l'unico paziente identificato per ora negli Usa.

La Gran Bretagna ha confermato oggi 11 nuovi casi, portando il totale a 20. Proprio in questo paese il 14 maggio era stato lanciato l'allarme, dopo l'infezione di un uomo che non era mai stato in Africa centrale od occidentale, regioni in cui il vaiolo delle scimmie (o monkeypox) è endemico. 

Il Portogallo nel frattempo è arrivato a quota 23 casi confermati. La Spagna ha 21 casi confermati e altrettanti sospetti, 19 dei quali concentrati a Madrid. Un possibile contagiato si trova proprio alle Canarie, dove erano stati i due italiani. Svezia, Germania, Belgio, Francia e Australia si sono aggiunti alla lista dei paesi con almeno un contagio.

L'Organizzazione mondiale della sanità, fa sapere la stampa britannica, ha convocato una riunione d'urgenza. Anche se nessuna delle persone infette lamenta gravi problemi di salute, ci sono almeno due aspetti che le autorità sanitarie vogliono chiarire. In passato infatti i contagiati avevano sempre avuto un contatto con l'Africa, dove il virus veniva spesso acquisito per contatto con un animale infetto (non tanto le scimmie quanto i roditori). Ora invece si ammalano persone che non hanno viaggiato in quel continente, né hanno incontrato persone provenienti da lì.

Quasi tutti gli infetti poi sono giovani uomini che hanno avuto rapporti sessuali con altri uomini, riferiscono sia l'Ecdc (European Centre for Disease Control) che l'Oms e i Cdc americani (Centers for Disease Control). Anche le lesioni cutanee, che normalmente partono dal viso e si diffondono sul tronco, stavolta sembrano concentrate ai genitali. Il sospetto è che il virus del vaiolo delle scimmie possa essere mutato e sia diventato più efficiente nel trasmettersi da un uomo all'altro, non solo dall'animale all'uomo. […] 

Che cos’è il vaiolo delle scimmie e come si trasmette. Federico Giuliani su Inside Over il 20 maggio 2022.

Regno Unito, Portogallo, Spagna, Stati Uniti, Canada e pure Italia. Nelle ultime ore sono emersi oltre 50 casi di persone contagiate dal vaiolo delle scimmie. Le autorità sanitarie di questi Paesi non sanno ancora spiegarsi dove e come sia partito il contagio, né come il virus sia riuscito a diffondersi. Ma di che malattia si tratta? E quali sono i suoi sintomi?

Il vaiolo delle scimmie può teoricamente essere una brutta malattia. Provoca febbre, dolori muscolari, ingrossamento dei linfonodi e il “vaiolo”, ovvero vesciche dolorose e piene di liquido solite comparire su viso, mani e piedi dei pazienti infetti.

Esistono vari tipi di vaiolo delle scimmie. La versione attualmente riscontrata ha un tasso di mortalità inferiore all’1%, anche se esistono versioni molto più letali, capaci di uccidere fino al 10% delle persone colpite. Un caso stadanrd, fanno sapere gli esperti, si risolve senza grandi complicazioni nell’arco di un paio di settimane, al massimo un mese.

Il vaiolo delle scimmie

Dal punto di vista sanitario, il vaiolo delle scimmie (Monkeypox) è un’infezione provocata da un virus appartenente alla stessa famiglia del vaiolo, ma che largamente si differenzia dallo stesso vaiolo per una minore diffusività e gravità. Si trova per lo più tra primati e piccoli roditori, prevalentemente in Africa.

La trasmissione dall’animale all’uomo avviene attraverso saliva ed altri fluidi dell’animale oppure mediante il contatto diretto con l’animale infetto. Nell’uomo il vaiolo delle scimmie si presenta con febbre, cefalea, dolori muscolari, linfonodi gonfi, stanchezza e manifestazioni cutanee, quali pustole, vescivole e piccole croste. Si può trasmettere da uomo a uomo attraverso droplets, lesioni cutanee e contatto con fluidi corporei.

L’Istituto Superiore della Sanità (Iss) ha fatto sapere che è possibile che le persone che non sono state vaccinate contro il vaiolo – vaccinazione, ricordiamo, abolita in Italia nel 1981 – siano a maggior rischio di infezione per l’assenza di anticorpi che, per la similitudine del virus del vaiolo con il Monkeypox, possono essere efficaci a contrastare anche questa virosi.

Dall’animale all’uomo

Il vaiolo delle scimmie è una zoonosi silvestre, e cioè una malattia che riguarda gli animali selvatici che può passare all’uomo in seguito a infezioni accidentali. La malattia, come detto, spesso si esaurisce con sintomi che di solito si risolvono spontaneamente entro 14-21 giorni, non è molto contagiosa tra gli uomini e si trasmette attraverso l’esposizione alle goccioline esalate e dal contatto con lesioni cutanee infette o materiali contaminati.

I sintomi possono essere lievi o gravi e le lesioni possono essere molto pruriginose o dolorose. Il periodo di incubazione del vaiolo delle scimmie è generalmente compreso tra 6 e 13 giorni, ma può variare da 5 a 21 giorni. Il serbatoio dell’animale rimane sconosciuto, anche se è probabile che sia tra i roditori. Il contatto con animali vivi e morti attraverso la caccia e il consumo di selvaggina o carne di arbusti sono noti fattori di rischio.

Esistono due famiglie di virus del vaiolo delle scimmie: quella dell’Africa occidentale e quella del bacino del Congo (Africa centrale). Sebbene l’infezione da virus del vaiolo delle scimmie dell’Africa occidentale a volte porti a malattie gravi in alcuni individui, la malattia è solitamente autolimitante. Nel frattempo l’ISS ha costituito una task force composta da esperti del settore ed ha contattato le reti sentinella dei centri per le infezioni sessualmente trasmesse al fine di monitorare continuamente la situazione nazionale.

“Topi come serbatoio": doppio salto di specie del vaiolo delle scimmie. Alessandro Ferro il 21 Maggio 2022 su Il Giornale.

Non c'è nessun allarme sul vaiolo delle scimmie ma gli esperti cercano di capire quale sia l'origine del contagio tra uomo e uomo: ecco l'ipotesi formulata dal prof. Andreoni.

Iniziamo con il rassicurare i pessimisti: non c'è alcun allarme sul vaiolo delle scimmie, non esiste alcuna possibilità che si possa sviluppare una pandemia e la situazione resta sotto controllo. Due anni con il Covid ormai fanno temere il peggio quando si parla di un qualsiasi virus ma non è questo il caso. La cronaca, però, ci impone di raccontare i tre casi certificati dallo Spallanzani di uomini che rientravano dalle Canarie e da Vienna. Nessuno di loro si conosce e il virus è stato probabilmente importato. Dall'Istituto di Malattie infettive di Roma sottolineano come i pazienti stiano bene e il grado di pericolosità del virus è bassissimo.

Liberateci dagli allarmismi (e dagli allarmisti)

Come si trasmette

Come abbiamo visto sul Giornale.it, quanto successo a Londra con i 7 casi di cui quattro nella comunità gay ha fatto ipotizzare che il virus si sia potuto trasmettere da uomo a uomo dal momento che nessuno dei contagiati proveniva dall'Africa a parte uno per il quale è stato escluso un contatto diretto con l'animale. Da puntualizzare soprattutto che non è una malattia a "trasmissione esclusivamente sessuale, non bisogna stigmatizzare questa situazione, è un’ondata diversa da come l’abbiamo conosciuta negli anni passati. Il virus si trasmette per contatti stretti che non sono solo sessuali", spiega al Messaggero il primario dell’Unità operativa complessa “Immunodeficienze virali” dello Spallanzani, Andrea Antinori.

Il ruolo dei "droplets"

Con Sars-CoV-2 abbiamo imparato che il contagio avviene con le goccioline di salive, chiamate droplets, se si è ravvicinati al nostro interlocutore e rappresenta in pratica il primo motivo per cui ci si può infettare, soprattutto con Omicron che è molto diffusiva. Così non è per il vaiolo delle scimmie, il cui contagio potrebbe anche avvenire con la saliva ma il contatto deve essere stretto, duraturo e prolungato, non è assolutamente "facile" come con il Covid. "Non c’è nessun allarme, il contagio avviene per contatti stretti e per liquidi biologici, oppure bisogna essere a contatti con feci, quindi contatti davvero molto molto stretti", ha spiegato il direttore dello Spallanzani, Francesco Vaia.

Il "doppio salto" di specie

Anche il direttore sanitario dell'Istituto, il prof. Emanuele Nicastri, ha specificato che si tratta di una normale malattia infettiva che conosciamo da anni. La differenza, adesso, è che la variante del vaiolo delle scimmie potrebbe aver compiuto il "salto di specie" trasmettendosi all’uomo attraverso i roditori. "È verosimile credere che il virus dalle scimmie è arrivato all’uomo tramite i topi che si sono contagiati senza manifestare l’infezione ma fungendo da serbatoio". ha spiegato al quotidiano romano Massimo Andreoni, direttore della Simi (Società italiana Malattie infettive). Si tratta di ipotesi che lo Spallanzani indagherà cercando le differenze con quanti si erano vaccinati contro il vaiolo negli anni scorsi. In questo modo si capirà se gli anticorpi di chi era stato immunizzato potrebbero essere utili anche contro questo virus. "In caso positivo potremmo dire a tante popolazioni che si sono vaccinate 'state tranquille ancora di più'", ha sottolineato Vaia.

Vaccino, cosa c'è dietro davvero al vaiolo delle scimmie: la teoria esplosiva di Antonella Viola. Libero Quotidiano il 21 maggio 2022

"Il virus del vaiolo delle scimmie rappresenta un reale problema per la salute pubblica. E le misure di contenimento vanno prese prima che sia troppo tardi": il monito arriva dall'immunologa Antonella Viola, direttrice scientifica dell’Istituto di ricerca pediatrica Città della Speranza. L'esperta, però, in un articolo sulla Stampa ha spiegato anche che è troppo presto per parlare di pandemia.

Parlando dei sintomi della malattia poi ha detto: "Si presenta con febbre, mal di testa e dolori muscolari ed è tipicamente accompagnata da ingrossamento dei linfonodi. Dopo qualche giorno, da rush cutaneo che evolve nelle tipiche lesioni. Nella maggior parte dei casi si risolve nel giro di 2-4 settimane. Ma può manifestarsi in forma severa e con una mortalità che in tempi recenti si è aggirata intorno al 3-6%".

Uno dei fattori alla base della diffusione di questo virus, secondo lei, sta anche nel calo dell'immunità di gregge: "Il vaccino contro il vaiolo umano ci rendeva immuni anche nei confronti di questa zoonosi. Ma oggi gran parte delle persone non è vaccinata e quindi non è protetta. Questo calo dell’immunità di comunità può aver lasciato spazio ad un virus che finora si era riusciti a tenere sotto controllo". Il vaccino contro il vaiolo, infatti, ha cessato di essere obbligatorio nel 1981. 

"Mutazione o calo dell’immunità”: la spiegazione sul vaiolo delle scimmie. Alessandro Ferro il 21 Maggio 2022 su Il Giornale.

Le cause primarie dei rarissimi contagi al vaiolo delle scimmie sarebbero due: ecco cosa ha ipotizzato l'immunologa Antonella Viola.

Non è il Covid e non è giustificata alcuna psicosi sul vaiolo delle scimmie, con soli tre casi in Italia di pazienti ricoverati allo Spallanzani e tutti e tre in buono stato di salute. Detto questo, è chiaro che gli esperti si interroghino sull'eventuale mutazione di un virus che esiste da anni e che se n'era rimasto buono nei suoi territori d'origine, l'Africa centro-occidentale. Cosa può essere successo, all'improvviso? "Un virus mutato o un generale calo dell'immunità collettiva": è quanto affermato dall'immunologa dell'Università di Padova, Antonella Viola, che prova a dare una spiegazione sui tre casi romani non collegati al contatto diretto con scimmie infette.

Quali sono le ipotesi

Nessun allarmismo, e lo ripete anche la stessa Viola, che ipotizza l'eventuale "cambiamento del virus che è diventato più abile nella trasmissione uomo-uomo". Accanto a questo, anche un potenziale calo dell'immunità collettiva contro il vaiolo umano perché "ormai gran parte della popolazione non è vaccinata". Come detto, i casi sono così bassi ed è così difficile contrarlo che non c'è motivo di esserne preoccupati. L'immunologa, a Repubblica, ha spiegato il perché la maggior parte degli infetti riguardi i giovani e gli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini. "La trasmissione del vaiolo delle scimmie può avvenire attraverso scambi di fluidi corporei, e nei rapporti sessuali ovviamente questo avviene", spiega l'esperta. In rari casi, con un contatto molto prolungato e ravvicinato, il contagio "può avvenire anche tramite goccioline e con gli indumenti contaminati".

 “Topi come serbatoio": doppio salto di specie del vaiolo delle scimmie

La protezione del vaccino

Un'arma a disposizione già c'è, esiste: il vaccino contro il vaiolo fatto dalle persone più anziane funziona e "offre protezione" anche contro questo virus che proviene dalle scimmie. Troppo presto, però per capire se potrebbe essere ripristinata come arma contro il virus. "Va tenuto sotto controllo e dobbiamo capire cosa sta accadendo", aggiunge l'immunologa. "Il vaiolo delle scimmie che finora si è manifestato in Europa non sembra grave e i pazienti guariscono nel giro di qualche settimana". C'è un particolare vaccino, Imnavex, contro il virus del vaiolo delle scimmie che potrebbe aiutare "anche ad accelerare la guarigione post-contagio, ma francamente non ci sono dati certi a disposizione".

Quali sono i sintomi

Come abbiamo visto su InsideOver, i sintomi possono essere lievi o moderati e le lesioni cutanee possono provocare prurito e in alcuni casi dolore. L'incubazione varia tra i 6 e i 13 giorni fino a un massimo di 21 giorni. "Il vaiolo delle scimmie si manifesta con febbre, dolori muscolari, mal di testa e stanchezza. Un sintomo tipico è l'ingrossamento dei linfonodi. Le lesioni si manifestano nei giorni seguenti dapprima con un rash cutaneo che poi man mano evolve nella lesione tipica. Con questi sintomi non credo che si faccia fatica a intercettare i casi", spiega Antonella Viola. I sistemi di monitoraggio funzionano, i casi sono minimi e non c'è nessun rischio che la situazione attuale possa peggiorare.

Francesco Vaia, Direttore Generale Istituto Spallanzani, Roma, e Antonio Maturo, Professore di Sociologia della salute, Università di Bologna, per “il Messaggero” il 29 maggio 2022.

Dopo questi quasi tre anni di Covid, comprensibilmente, suscita apprensione la notizia delle infezioni da vaiolo delle scimmie. Si tratta tuttavia di virus molto differenti, con modalità e capacità di trasmissione nettamente diverse. 

Ribadiamolo: al momento il vaiolo delle scimmie non appare neppure lontanamente paragonabile alla tragedia che è stata il Covid, ora comunque sotto controllo, ed è un lontano parente del vaiolo classico, sconfitto alla fine degli anni Settanta grazie alla vaccinazione. 

Ad oggi il Monkeypox non ha causato vittime e la sintomatologia appare lieve e clinicamente non grave. Ben diversa dalla gravità con cui il Covid si era subito affacciato sulla scena globale. I primi ricoverati, allo Spallanzani di Roma, sono ormai già guariti ed in via di dimissione. C'è però un aspetto che va trattato con molta delicatezza ed è quello relativo allo stigma. Si è infatti diffuso tra vari comunicatori, in particolar modo nei primi giorni del contagio, l'espressione, sbagliata e superficiale, di vaiolo degli omosessuali. Bisogna fare molta attenzione alle parole e alle metafore.

Nel 1989, in Palombella Rossa, Nanni Moretti diceva Chi parla male, pensa male e vive male.

Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!. In questa felice battuta si condensano dibattiti filosofici millenari. Le parole danno forma al mondo e quindi anche al nostro modo di conoscerlo e di agire in esso. Alcuni anni prima, nel 1977, Susan Sontag, nel suo volume Malattia come metafora, allo scopo di modificare l'immagine sociale del cancro scriveva che il cancro è una malattia molto seria, ma pur sempre una malattia. Un fenomeno privo di significato. E non necessariamente una condanna a morte (una delle mistificazioni è cancro = morte).

La tesi della Sontag, dunque, è che le metafore possono servire a conoscere, ma anche a misconoscere. Il meccanismo della metafora è quello del trasferimento: se cancro = morte allora i malati di cancro moriranno; se il virus delle scimmie lo prendono gli omosessuali allora gli omosessuali sono tutti potenziali untori.  

Il problema delle metafore è che se tutti le utilizzano diventano vere, cioè davvero tutti ci comportiamo come se i malati di cancro fossero condannati e come se gli omosessuali fossero pericolosi più di altri, perché appunto omosessuali dimenticando peraltro che oltre a essere omo- o etero-sessuali le persone sono anche lavoratori, runner, tifosi delle loro squadre Nasce così lo stigma. 

 Un effetto negativo dello stigma è rappresentato dal fatto che le persone che hanno una malattia stigmatizzante possono avere resistenze a cercare le cure proprio per evitare di essere identificate come appartenenti a gruppi marginalizzati o come persone che hanno comportamenti socialmente non accettati. 

Questo, soprattutto nel caso delle malattie infettive, ha conseguenze negative non solo per l'individuo, ma anche per la collettività perché non permette di realizzare interventi efficaci per limitarne la diffusione del contagio.

L'uso delle metafore non è una novità in ambito medico, anzi nel rapporto medico-paziente è prassi. Infatti, visto che le metafore sono in grado di assolvere ad una funzione cognitiva, esse sono spesso usate con scopi esplicativi. Si pensi a quando il medico ci dice che il nostro organismo si sta ribellando a un certo stile di vita troppo stressante oppure che la febbre indica la lotta che il nostro organismo ha intrapreso contro una malattia, o ancora l'idea di essere invasi da agenti patogeni. O, l'antibiotico come bomba atomica.  

Anche durante il Covid abbiamo utilizzato molte metafore. Dall'inizio dell'epidemia abbiamo appreso che col Covid siamo in guerra; gli ospedali sono una trincea contro questo nemico invisibile e c'è il fronte del virus e ci sono le vittime che non ce l'hanno fatta neppure quando hanno combattuto con coraggio. L'analogia che ci viene subito in mente, nel caso del vaiolo delle scimmie, è quella con l'Aids. Peraltro, sull'Aids andrebbe fatto un discorso approfondito visto che è tutt' altro che scomparso, sebbene per i media non esista più. 

Negli anni Novanta, quando la malattia non era ancora sotto controllo e il contagio evocava antiche paure, abbiamo assistito a un processo di stigmatizzazione verso alcune categorie sociali (omosessuali, tossicodipendenti) penosa, dolorosa e soprattutto sbagliata. Da come, però, abbiamo reagito al virus delle scimmie, sembra che abbiamo imparato la lezione. La metafora stigmatizzante non si è diffusa oltre ai primi giorni. Per rimanere nel linguaggio metaforico, sembrerebbe che la nostra società alcuni anticorpi allo stigma li abbia sviluppati. 

Simona Pletto per “Libero quotidiano” il 29 luglio 2022.  

«Gli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini sono al momento a più alto rischio di infezione da vaiolo delle scimmie». A dichiararlo è Rosamund Lewis, una dei maggiori esperti della nuova infezione che si sta diffondendo soprattutto in Europa, Italia compresa, nonché voce autorevole dell'Organizzazione mondiale della Sanità.

Secondo la stessa autrice in un articolo appena pubblicato, è doveroso avvertire la comunità omosessuale perché, allo stato attuale della conoscenza scientifica, i maschi omosessuali sono i soggetti più a rischio contagio. Non si tratta dunque di voler discriminare in base agli orientamenti sessuali, ma di un doveroso allarme che l'Oms ha appena lanciato per cercare di mettere un freno alla crescente diffusione della malattia.

Mercoledì scorso, infatti, l'Oms ha raccomandato agli uomini gay e bisessuali di limitare il numero di partner sessuali per proteggersi dal vaiolo delle scimmie e aiutare in questo modo a rallentare la trasmissione del virus. 

Tutto questo è avvenuto dopo le parole lanciate durante una conversazione scientifica pubblicata il 9 giugno scorso sul sito ufficiale della Who (World health organization). In questa occasione, la dottoressa Lewis ha messo in evidenza che i contagi al di fuori dell'Africa avvengono in alta prevalenza nei soggetti omosessuali, poiché questo virus si trasmette attraverso lesioni cutanee, escoriazioni, contatto salivare, liquido seminale, ma soprattutto attraverso rapporti sessuali violenti e non protetti.

Sempre l'esperta del vaiolo delle scimmie, in questo incontro con massimi esperti, ha spiegato che: «Circa il 99% dei casi riguarda gli uomini e almeno il 95% di quei pazienti sono uomini che hanno rapporti sessuali con uomini». 

Rosamound Lewis ha anche spiegato che il salto dalla scimmia all'uomo non è stato recente. Il primo caso di infezione fu scoperto nel 1970 in un piccolo bambino del Congo. Ma solo negli ultimi cinque anni c'è stata una rapida diffusione di questa infezione. La cosa più interessante, è che ora si sta propagando in parti del mondo quali Europa e America, finora mai interessate dal vaiolo delle scimmie.

Un virus che provoca un'eruzione cutanea che può essere assai fastidiosa e causare dolore. «La cosa più importante è prendersi cura della pelle e dei sintomi quali dolore e prurito». Infine la Lewis ha ricordato che esistono nuovi prodotti e nuovi vaccini per la cura di questa malattia. Ma attualmente sono ancora poco disponibili, per cui la prevenzione rimane fondamentale. 

A rinforzare il messaggio lanciato agli omosessuali dalla Lewis, è intervenuto anche il capo dell'Oms Tedros Adhnom Ghebreyesus. «È fondamentale per le autorità sanitarie pubbliche- ha detto, - coinvolgere le comunità di uomini che hanno rapporti sessuali con uomini per ridurre la trasmissione del virus, e prendersi cura delle persone infette, proteggendo al contempo i diritti umani combattendo lo stigma e la discriminazione».

 E sempre il numero uno dell'Oms «per gli uomini che fanno sesso con uomini, questo include per il momento la riduzione del numero di partner sessuali, la riconsiderazione del sesso con nuovi soggetti occasionali e lo scambio di dettagli di contatto con eventuali nuovi partner per consentire il follow-up, se necessario».

L'Oms non è sola ad evidenziare questa diffusione tra la popolazione omosessuale. In un articolo pubblicato il 21 giugno su New England journal of Medicine, si spiega come avviene il contagio tra gay. I casi accertati in 16 Paesi diversi tra aprile e giugno 2022 erano 528, complessivamente il 98% delle persone con infezione erano gay o bisessuali. In questa serie dicasi, il 95% delle persone presentava eruzioni cutanee, il 73% aveva lesioni anogenitali e il 41% lesioni della mucosa.

Altro dato importante: il dna virale è stato rilevato in 29 dei 32 uomini in cui è stato analizzato il liquido seminale. Tornando all'Oms, il numero uno ha invitato le piattaforme di social media, le società tecnologiche e le testate giornalistiche a contrastare le informazioni dannose, che non fanno che alimentare l'epidemia. 

La nuova emergenza. Vaiolo delle scimmie, i virologi vogliono dirci con chi fare sesso. Non bastava il sesso in mascherina, ora arrivano le regole per fare l’amore al tempo del vaiolo. Redazione su NicolaPorro.it il 21 Maggio 2022.

Non bastava il Jingle di Natale. Non bastavano le interviste ogni tre per due sul coronavirus, su come indossare la mascherina, quando farlo, perché farlo, in classe sì, al bar no, con gli amici certo ma con i congiunti anche no. Con la comparsa in Europa del vaiolo delle scimmie, già il nome è tutto un programma, i virologi tornano in auge dopo due mesi di oblio, soppiantati dagli esperti di geopolitica. E indovinate un po? Tirano fuori il solito ritornello di indicazioni, suggerimenti, cosa fare e cosa non fare. Anche sotto le lenzuola.

L’amore in mascherina

Forse ricorderete quando il Consiglio delle autorità sanitarie canadesi suggerì di “evitare baci, contatto viso a viso e vicinanza eccessiva” durante i rapporti sessuali. Praticamente, un castigo. Subito Fabrizio Pregliasco colse la palla al balzo e confermò tutto anche per gli italiani: il sesso meglio farlo con le protezioni, alla bocca e al naso. “Le goccioline emesse respirando possono rappresentare un rischio, se si hanno rapporti con un soggetto asintomatico”, spiegò il virologo dell’Università degli Studi di Milano. “Dunque il suggerimento relativo alla mascherina ha senso”, anche se – ammise – “penso sia poco applicabile nella pratica”.

Vaiolo delle scimmie: come fare sesso?

Il vizio di dare suggerimenti su come fare sesso non l’hanno perso neppure con il vaiolo delle scimmie. Per carità, ha un suo senso: se si trasmette coi rapporti sessuali, non c’è bisogno di una ricerca dello Spallanzani per capire che bisogna fare attenzione con chi ci abbandoniamo alle effusioni. Pregliasco, però, ha voluto precisarlo. E ha già redatto una sorta di decalogo del perfetto amatore anti-vaiolo. “La trasmissione – ha spiegato – avviene soprattutto, e non solo, con l’atto sessuale, non solo tra gay ma in generale, e quindi bisogna prestare particolare attenzione”. Dunque, ecco le tre regoline del virologo: “Importante è l’igiene personale, attenzione ai rapporti sessuali e magari non avere troppi partner”. Dal sesso in mascherina alla monogamia. Ci toccherà un decreto che prevede l’obbligo di un partner unico?

Il vaiolo, i gay e la "censura" della scienza. Massimiliano Parente il 22 Maggio 2022 su Il Giornale.

Ora anche la scienza deve essere politicamente corretta? Oltretutto politicamente fraintesa? Ma soprattutto ogni volta deve partire un piagnisteo? Insomma, state dicendo che il vaiolo delle scimmie colpisce gli omosessuali! Omofobi! Ma davvero? Al riguardo è intervenuto l'epidemiologo Donato Greco, consulente dell'OMS, che riguardo al vaiolo delle scimmie nota una diffidenza a parlare del virus il cui contagio, al momento, come rileva il report del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), per la maggior parte avviene «tra uomini che hanno rapporti multipli tra uomini». Per dire che le scienza deve essere chiara e smorzare le polemiche su chi sta dicendo che si stia usando il virus per stigmatizzare l'omosessualità e portare a discriminazioni, da Fabrizio Marrazzo del Partito Gay alla comunità LGBTQ+eccetera (scusate, non mi ricordo tutte le lettere), proprio contro il report dell'ECDC. Cosa dovevano fare secondo loro, falsificare i dati del report? Che in realtà non ha nulla di discriminatorio, riporta i risultati dei contagi avvenuti in questi giorni, che sono ottanta. Ottanta come gli anni Ottanta, solo che non siamo negli anni Ottanta (anzi, casomai ci siamo dimenticati che l'HIV, sebbene sempre grazie alla scienza oggi ci si conviva, contagia ancora) e vengono indicate le precauzioni da osservare per non esporsi al contagio, e sui casi presi in considerazione le valutazioni sono quelle, cosa dovevano fare, inventarsene di nuovi perché sennò si offendono i gay? Anche perché non c'è bisogno di mettere su barricate, la scienza non discrimina nessuno, ma non discriminate neppure la scienza, altrimenti avete la coda di paglia. Gli studi, tra l'altro, sono ancora all'inizio, i casi ancora pochi, ma andando poi a leggere bene il report è ovvio che si torna alle raccomandazioni sull'avere rapporti protetti soprattutto quando si fa sesso anale (questa parte deve essere sfuggita agli indignati). Il che, sperando che l'epidemia si fermi qui, ad oggi, proprio come inizialmente l'HIV, colpisce prevalentemente gli omosessuali, ma se i contagi dovessero aumentare (speriamo di no) la cautela sarà estesa a tutti. E includerà anche gli eterosessuali, visto che tra le categorie porno più ricercate dagli etero c'è proprio il sesso anale (molto praticato, stranamente tra gli etero solo nella specie umana), e come per l'HIV sarebbero più a rischio le donne, perché la contagiosità è più alta in chi nell'atto ha la parte passiva. Sperando che ora non si offendano le femministe.

Prima il vaccino, poi la simulazione, quindi 400 casi in 20 Paesi, le coincidenze sul vaiolo delle scimmie. Gioia Locati il 28 maggio 2022 su Il Giornale. 

Il primo vaccino per prevenire il vaiolo delle scimmie (monkeypox) è stato approvato dalla FDA nel settembre 2019. Si chiama Jynneos, contiene virus Vaccinia vivo indebolito. Cliccate qui. Per la FDA funziona anche contro il vaiolo (smallpox) eradicato dagli USA nel 1980.

Sì, il vaiolo è una malattia scomparsa ma è evocata periodicamente come sinonimo di “arma biologica” di possibile “uso terroristico”.

Nella nota di approvazione del vaccino, Peter Marks, MD, Ph.D., direttore del Center for Biologics Evaluation and Research della FDA dichiara:

“Pertanto, sebbene la malattia del vaiolo naturale non sia più una minaccia globale, il rilascio intenzionale di questo virus altamente contagioso potrebbe avere un effetto devastante. L’approvazione odierna riflette l’impegno del governo degli Stati Uniti per la preparazione attraverso il supporto per lo sviluppo di vaccini, terapie e altre contromisure mediche sicure ed efficaci”.

Ci si chiede: perché mai un virus debba essere rilasciato intenzionalmente? Forse è già accaduto? O forse si pensa a una guerra?

La nota prosegue:

“Questo vaccino fa anche parte della Strategic National Stockpile (SNS), la più grande fornitura della nazione di prodotti farmaceutici e forniture mediche potenzialmente salvavita da utilizzare in un’emergenza di salute pubblica abbastanza grave da causare l’esaurimento delle scorte locali. La disponibilità di questo vaccino nel SNS contribuirà a garantire che il vaccino sia accessibile negli Stati Uniti, se necessario”.

La simulazione immaginaria fatta a tavolino

Nel marzo 2021 – il mondo era ancora alle prese con il Covid – la NTI (Nuclear Threat Initiative, organizzazione senza scopo di lucro fondata nel 2001 negli USA dall’ex senatore Sam Nunn e dal filantropo Ted Turner) ha immaginato il seguente scenario: una pandemia globale mortale provocata da un ceppo insolito di virus del vaiolo delle scimmie, emerso per la prima volta nella nazione fantastica di Brinia e diffusosi in tutto il mondo in 18 mesi. Trattasi di un virus letale che fa ammalare più di tre miliardi di persone e ne uccide 270 milioni. Cliccate qui.

La data di inizio immaginaria della pandemia di vaiolo delle scimmie in questo esercizio era il 15 maggio 2022. Il primo caso europeo di vaiolo delle scimmie è stato identificato il 7 maggio 2022. Il sito Children’s Health Defense riferisce che alla simulazione hanno partecipato la Fondazione Gates, l’Oms e dirigenti di case farmaceutiche. Qui.

Andiamo avanti

Il 6 aprile 2021 la FDA ha approvato il primo antivirale contro il vaiolo, il  Tembexa (brincidofovir). E anche in questa nota di approvazione si intravede lo spettro dell’arma biologica:  “Sebbene il vaiolo naturale non esista più, le preoccupazioni sui potenziali usi del virus variola come arma biologica hanno reso lo sviluppo di farmaci contro il vaiolo una componente importante della risposta alle contromisure mediche statunitensi”.

Attenzione: il Tembexa non è un farmaco innocuo, durante la sperimentazione di 24 settimane ha provocato morti in più rispetto al gruppo di controllo con placebo ed è cancerogeno. Qui.

Ps. Il vaiolo che non esiste più da decenni (smallpox) si trasmetteva anche con le goccioline di saliva oltre che attraverso contatti stretti e ferite infette; quello di scimmia ha una trasmissibilità diversa ma c’è ancora molta confusione a riguardo.

Conclusioni

Stando a una prima lettura (coincidenze concatenate le une alle altre da farci pensare già alle catene) non c’è da essere ottimisti, tuttavia, non sapendo quello che accadrà non mettiamoci in gabbia da soli, imprigionandoci con nuove paure.

Secondo Natura

Colgo l’occasione per presentarvi la mia nuova rubrica de il giornale.it, Secondo Natura, dedicata al benessere e alla prevenzione. Seguitemi anche lì, parleremo di ciò che ci fa stare bene.

·        Il virus del Nilo occidentale (West Nile virus, in inglese). 

West Nile, crescono i casi in Italia. Il report preoccupante: "Alto tasso di mortalità". Il Tempo il 25 agosto 2022

Crescono i casi di West Nile in Italia, dove nell'ultima settimana sono stati accertati 71 contagi. E preoccupa l'alto tasso di mortalità, che raggiunge il 5%.

Dall'inizio di giugno, si legge nel report dell'Istituto superiore di sanità, in Italia sono stati confermati 301 casi di infezione, tutti al Nord, eccetto uno in Sardegna. Quindici i decessi da giugno: nove in Veneto, tre in Piemonte, uno in Lombardia e due in Emilia-Romagna.

Tra le infezioni accertate, 160 si sono manifestati nella forma neuro-invasiva (19 Piemonte, 8 Lombardia, 85 Veneto, 7 Friuli-Venezia Giulia, 37 Emilia-Romagna, 3 Toscana, 1 Sardegna), 45 casi identificati in donatori di sangue (5 Piemonte, 6 Lombardia, 23 Veneto, 11 Emilia-Romagna), 93 casi di febbre (1 Piemonte, 3 Lombardia, 84 Veneto, 3 Friuli-Venezia Giulia, 2 Emilia-Romagna) e 3 casi sintomatici (3 Veneto).

La malattia è provocata da un virus della famiglia dei Flaviviridae isolato per la prima volta nel 1937 in Uganda, appunto nel distretto West Nile, da cui prende il nome.

Il primo caso di quest'anno, in Italia, è stato segnalato in provincia di Padova, tutt'ora una delle più colpite del Paese.

I serbatoi del virus sono gli uccelli selvatici e le zanzare, le cui punture sono il principale mezzo di trasmissione all’uomo.

Il periodo di incubazione, dal momento della puntura della zanzara infetta, varia fra 2 e 14 giorni, ma può essere anche di 21 giorni nei soggetti con deficit a carico del sistema immunitario. La febbre West Nile non si trasmette tramite il contatto con una persona malata.

La maggior parte dei contagiati non mostra alcun sintomo. Quando presenti, febbre, mal di testa, nausea, vomito o sfoghi cutanei, variano molto, anche a seconda dell’età della persona.

Contro la malattia non esiste una terapia specifica: nella maggior parte dei casi, i sintomi scompaiono da soli dopo qualche giorno o possono protrarsi per qualche settimana. Nei casi più gravi è invece necessario il ricovero in ospedale, dove i trattamenti somministrati comprendono fluidi intravenosi e respirazione assistita.

Antonella Viola per “la Stampa” l'8 agosto 2022.

Mentre il numero di positivi per Covid-19 scende lentamente e in Italia iniziano le prime somministrazioni del vaccino per il vaiolo delle scimmie, preoccupa in tutto il Paese, ma particolarmente in Veneto, la diffusione di un altro patogeno: il virus del Nilo occidentale (West Nile virus, in inglese). 

Non si tratta di un'infezione nuova e, come suggerisce il nome, questo patogeno venne identificato per la prima volta, nel 1937, in una donna della regione del Nilo Occidentale dell'Uganda. Successivamente, nel 1953, il virus venne trovato in campioni prelevati da uccelli presenti nel delta del Nilo. Il virus, infatti, è presente in diverse specie di uccelli stanziali e migratori che fungono da serbatoio del patogeno e lo trasportano in giro per il mondo.

 Tuttavia, perché avvenga l'infezione umana è necessario l'intervento di un altro animale: una zanzara del genere Culex. È la zanzara, infatti, che funge da vettore della malattia, cibandosi dapprima del sangue di uccelli infetti e trasferendo poi il virus quando punge gli esseri umani o altri mammiferi, tra cui i cavalli, o persino rettili e anfibi, come coccodrilli e rane. 

A differenza quindi dei virus che causano influenza, Covid o vaiolo delle scimmie, la trasmissione del virus del Nilo occidentale non avviene per contatti tra persone infette ma attraverso la puntura di una zanzara. Sebbene siano riportati in letteratura scientifica dei casi d'infezione a seguito di trasfusione di sangue o trapianto d'organo, negli esseri umani il virus normalmente non si replica a livelli sufficienti da permettere il contagio; in altri termini, se una persona positiva è punta da una zanzara, questa non trasporterà il virus con sé e non infetterà altre persone.

Se invece si è punti da una zanzara che ha in precedenza banchettato su uccelli portatori del virus, è possibile contrarre l'infezione. L'incubazione dura tra i 3 e i 14 giorni ma, nella maggior parte dei casi, l'infezione non causa alcun sintomo e passa quindi del tutto inosservata. In una minoranza di soggetti (circa una persona ogni cinque), l'infezione invece si manifesta con mal di testa, dolore muscolare, febbre, vomito, diarrea, arrossamento degli occhi e ingrossamento dei linfonodi. I sintomi sono più lievi nei bambini e nei giovani, mentre possono essere severi nelle persone anziane o fragili. In alcuni casi più rari, infine, l'infezione può causare una malattia molto grave che coinvolge il sistema nervoso centrale e causa encefalite e meningite.

E, in queste condizioni severe, circa una persona ogni dieci muore a causa del virus. Purtroppo, non esistono vaccini o terapie specifiche per il virus del Nilo occidentale. La prevenzione della malattia si basa quindi sul controllo del territorio per ridurre la densità delle zanzare e, a livello individuale, sull'uso di zanzariere, repellenti e abiti che non lasciano la pelle scoperta. Importante è anche lo screening per i donatori di sangue e organi, poiché molte persone positive sono totalmente asintomatiche. 

Fino agli inizi degli anni 1990, il virus ha circolato prevalentemente in Africa causando sporadici focolai caratterizzati da modesti episodi febbrili. In seguito, però, la diffusione del virus è cambiata e focolai importanti, anche dal punto di vista della severità della malattia, hanno iniziato a verificarsi nell'Europa orientale e meridionale (Russia, Romania, Israele, Grecia). Nel 1999 il virus è comparso a New York e da lì si è diffuso nel resto del continente, dal Canada al Venezuela.

Oggi il virus del Nilo occidentale è diffuso in Africa, Medio Oriente, Europa meridionale e orientale, Asia occidentale, Australia e America.

La complessa epidemiologia dell'infezione risente dell'impatto di molti fattori ambientali relativi all'interazione tra il virus, i vettori (le zanzare) e i serbatoi (gli uccelli). Il clima ha un ruolo essenziale in questa complessa rete dinamica, agendo sulla capacità del virus di replicarsi, sulla competenza dei vettori nel trasmetterlo e sulle dinamiche di popolazione delle zanzare e degli uccelli. 

L'aumento della temperatura causata dal surriscaldamento del pianeta non solo fa aumentare il numero di zanzare (e quindi di vettori della malattia) ma ne abbrevia gli intervalli tra un pasto e l'altro, spingendole a pungere più spesso, e allo stesso tempo accelera la replicazione e l'evoluzione del virus, rendendo le zanzare molto più pericolose e il virus più efficiente. Non a caso, c'è una correlazione tra l'esplosione di focolai di questa malattia e le temperature elevate.

Ma l'azione della temperatura crescente sull'epidemiologia del virus del Nilo occidentale può anche essere indiretta e agire attraverso i comportamenti degli uccelli. Il cambiamento climatico modifica le abitudini degli uccelli migratori, consentendo al virus di raggiungere luoghi non abituali. 

Il virus del Nilo occidentale è quindi, insieme al SARS-CoV-2 e al virus del vaiolo delle scimmie, un altro patogeno con cui dovremo convivere nei prossimi anni. La globalizzazione - che favorisce le interazioni tra persone provenienti da luoghi diversi, così come i contatti tra uomini e animali - insieme al cambiamento climatico modificheranno sempre di più non solo il nostro stile di vita ma anche quello dei nostri patogeni.

Ecco perché sarà bene che ai tavoli dove si discute delle grandi crisi del futuro non si parli solo di energia, cibo, acqua e risorse economiche ma anche di virus, batteri, vaccini, antibiotici e farmaci. Ed ecco perché sarà bene investire nella ricerca biomedica e far crescere il sapere scientifico dei cittadini, per renderli partecipi di sfide in cui ognuno di noi è protagonista.

·        Gli altri Virus.

Dall’Usutu al West Nile, l'estate dei «nuovi» virus. Ma devono preoccuparci? Vito Salinaro su Avvenire il 12 agosto 2022.

I primi due casi di Usutu, entrambi asintomatici, sono stati identificati in Friuli Venezia Giulia. Si tratta di un virus che prende il nome dal fiume africano nei pressi del quale fu isolato il primo positivo nel 1981. Viene trasmesso all’uomo dagli animali, anche se di rado, e solitamente ha una buona prognosi. Probabilmente ne sentiremo parlare. Come sta avvenendo per un parente prossimo dell’Usutu, il West Nile virus che provoca la febbre del Nilo, che è stato isolato per la prima volta nel 1937 in Uganda e che ieri ha fatto una vittima nel Bresciano.

Nulla di nuovo sotto il sole asfissiante di questa estate. O meglio, di nuovo ci sono gli allarmi. Perché fino al 2019, prima cioè dell’avvento dell’ultimo nato in casa coronavirus, il Sars-CoV-2, le malattie infettive erano confinate nell’anonimato. Persino per l’industria farmaceutica – tranne rare eccezioni – virus e batteri, per anni, sono stati un capitolo di serie B. Esclusi dalla dignità mediatica riservata agli avanzamenti della ricerca. E men che meno dal calderone dell’informazione quotidiana. La stessa che oggi si allarma per due casi asintomatici di Usutu, oppure per i 35 casi accertati in 4 anni – nessuno letale – di Langya, che appartiene alla famiglia degli Henipavirus, di cui fanno parte altri pericolosi patogeni come Hendra e Nipah, di solito presenti nei pipistrelli e capaci di infettare anche l’uomo, con tassi di mortalità importanti. Le 35 infezioni sono state registrate in Cina. Nessuno dei positivi ha avuto conseguenze gravi ma questo può voler dire poco.

Ogni nuovo parassita diventa un motivo di paure e angosce, ora che i media hanno scoperto la rete di sorveglianza dell’Istituto superiore di sanità e del ministero della Salute. Eppure con i virus conviviamo da millenni. E tanti di loro sono noti da decenni. È così per il vaiolo delle scimmie, un’infezione zoonotica (trasmessa dagli animali) che ha questo nome perché fu identificata nelle scimmie nel 1958, mentre il primo caso nell’uomo risale al 1970. È endemico nelle regioni della foresta pluviale tropicale dell’Africa centrale e occidentale. Anche in questo caso i sintomi tendono a risolversi in 2-4 settimane, senza bisogno di trattamenti. Ma in alcuni casi l’infezione può portare a complicazioni importanti. Contro questa patologia risulta comunque efficace il vaccino contro il vaiolo. Sono meno di 1.000 i casi in Italia, l’età media dei contagiati è 37 anni, quasi mai donne, la malattia interessa soprattutto persone gay, trasgender, e coloro che hanno una vita sessuale promiscua.

E molto timore, con proiezioni affrettatamente catastrofiste, ha provocato, il 5 aprile scorso, l’informativa del Regno Unito all’Oms che riferiva un incremento di casi di epatite acuta grave a eziologia sconosciuta in bambini di età inferiore ai 16 anni. L’epatite determinò il ricovero di alcuni bambini, in qualche caso è stato necessario un trapianto di fegato.

Pure in questa occasione i social provarono a battere i media tradizionali nell’“accuratezza” delle informazioni e, di colpo, il collegamento tra queste manifestazioni cliniche e il vaccino anti-Covid accese le “intelligenze” dei tuttologi da tastiera, dei complottisti, dei No-vax in vena di incontestabili lezioni, come sempre privi di fonti degne di tal nome, accomunati dal rifiuto della scienza, le cui previsioni erano drammatiche per numero di casi e gravità. La notizia perse di importanza quando il sistema di sorveglianza europea segnalò che, al 30 giugno, i casi erano 473, di cui uno mortale.

Ciò che dovrebbe farci davvero paura – e gli esperti continuano a ripeterlo – è che stiamo antropizzando il pianeta in pochi decenni, devastando, deforestando, distruggendo faune selvatiche e nicchie ecologiche di batteri, funghi, animali, vegetali sconosciuti, ed entrando in contatto con virus che potrebbero avere 4 milioni di anni e che non avremmo mai dovuto incontrare.

Cos'è "l'influenza del pomodoro" che allarma l'India. Alessandro Ferro su Il Giornale il 25 agosto 2022. 

In India è scattato l'allarme per la cosiddetta "influenza del pomodoro" (in inglese "tomato flu") che ha già colpito più di 80 bambini al di sotto dei cinque anni. Il Ministero della Salute indiano ha invitato tutti gli stati a prestare la massima attenzione. Questo malattia è caratterizzata da piccole bolle rosse lungo il corpo che poi evolvono in ulcere. L'allarme è scattato soprattutto nell'area meridionale della nazione.

Di cosa si tratta

È conosciuta anche con il nome di "febbre del pomodoro" e si tratta di una variante dell'afta epizootica (Hfmd), che colpisce gli ungulati inclusi bovini, suini, pecore, capre e bufali. Al momento, gli scienziati non hanno ancora scoperto l'esatta natura del virus, ma c'è da dire che si tratta di una malattia endemica e non mortale. Il virus sempre avere vita facile nella diffusione con i contatti ravvicinati (tipo Covid) oppure toccando superfici non pulite o con degli oggetti contaminati in bocca. In ogni caso, questo virus non è collegato in alcun modo a Sars-CoV-2 e neanche al vaiolo delle scimmie.

Quali sono i sintomi

L'influenza del pomodoro è caratterizzata da sintomi che somigliano a quelli di altre infezioni virali tra le quali febbre, poco appetito, malessere generalizzato e spesso mal di gola con piaghe in bocca ed eruzioni cutanee. Come ricorda l'Independent, altri sintomi includono affaticamento, nausea, vomito, diarrea, disidratazione, articolazioni gonfie, dolori muscolari e sintomi comuni simili all'influenza. Il primo caso risale al 6 maggio scorso nel distretto di Kollam, nello stato del Kerala, ma si è poi diffusa anche negli stati del Tamil Nadu e del Karnataka. I funzionari hanno dichiarato che se i bambini mostrano sintomi, devono essere velocemente isolati per almeno 5-7 giorni così da evitare la diffusione dell'infezione ad altri bambini o adulti.

Come detto, non si tratta di una malattia mortale ma si risolve in pochi giorni: allo stato attuale, però, non c'è una cura ad hoc. I genitori dei piccoli che ne sono stati colpiti possono chiedere al proprio medico qual è la migliore terapia di supporto inclusa l'assunzione del classico paracetamolo per febbre e dolori muscolari. Il Ministero della Salute indiano ha invitato alla raccolta di campioni di gola o nasofaringe di possibili infetti entro 48 ore dalla comparsa dei sintomi. Le autorità stanno anche procedendo con l'utilizzo di test molecolari e sierologici per diagnosticare i bambini che mostrano sintomi di dengue, chikungunya, virus zika, virus varicella-zoster e herpes: se tutte queste malattie vengono escluse, è probabile che venga diagnosticata un'influenza da pomodoro.

Nuovo virus dalla Cina, come si trasmette Langya: i sintomi intestinali, attacca fegato e reni. Il Tempo il 09 agosto 2022

Un nuovo tipo di Henipavirus di origine animale (chiamato Langya henipavirus, LayV) che può infettare gli esseri umani è stato trovato nella provincia dello Shandong della Cina orientale e nella provincia dell'Henan della Cina centrale e finora ha infettato 35 persone nelle due province. È quanto si legge in un articolo pubblicato sul New England Journal of Medicine da scienziati di Cina e Singapore. Gli studiosi che hanno partecipato allo studio hanno sottolineato che questo Henipavirus appena scoperto, che potrebbe provenire da animali, è associato ad alcuni casi febbrili e le persone infette hanno sintomi tra cui febbre, affaticamento, tosse, anoressia, mialgia e nausea.

L'henipavirus può causare gravi malattie negli animali e nell'uomo e sono classificati come virus di livello 4 di biosicurezza con tassi di mortalità compresi tra il 40 e il 75%, secondo i dati dell'Organizzazione mondiale della sanità, evidenziando che questo è molto più alto del tasso di mortalità del coronavirus. Attualmente non esiste un vaccino o un trattamento per l'Henipavirus e l'unico trattamento è la terapia di supporto per gestire le complicanze. Finora non è stato trovato alcun focolaio significativo di Langya henipavirus, il che significa che la trasmissione del virus da uomo a uomo non è stata dimostrata, sebbene rapporti precedenti suggeriscano che il virus può essere trasmesso da persona a persona.