Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA
L’ITALIA ALLO SPECCHIO
IL DNA DEGLI ITALIANI
L’AMMINISTRAZIONE
QUINTA PARTE
DI ANTONIO GIANGRANDE
L’APOTEOSI
DI UN POPOLO DIFETTATO
Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2022, consequenziale a quello del 2021. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
IL GOVERNO
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.
LA SOLITA ITALIOPOLI.
SOLITA LADRONIA.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.
SOLITA APPALTOPOLI.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.
SOLITO SPRECOPOLI.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’AMMINISTRAZIONE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.
IL COGLIONAVIRUS.
SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.
L’ACCOGLIENZA
SOLITA ITALIA RAZZISTA.
SOLITI PROFUGHI E FOIBE.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.
GLI STATISTI
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.
I PARTITI
SOLITI 5 STELLE… CADENTI.
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.
LA GIUSTIZIA
SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.
LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.
LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.
SOLITO DELITTO DI PERUGIA.
SOLITA ABUSOPOLI.
SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.
SOLITA GIUSTIZIOPOLI.
SOLITA MANETTOPOLI.
SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.
I SOLITI MISTERI ITALIANI.
BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.
LA MAFIOSITA’
SOLITA MAFIOPOLI.
SOLITE MAFIE IN ITALIA.
SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.
SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.
SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.
LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.
SOLITA CASTOPOLI.
LA SOLITA MASSONERIOPOLI.
CONTRO TUTTE LE MAFIE.
LA CULTURA ED I MEDIA
LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.
SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.
SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.
SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.
SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SOLITO SPETTACOLOPOLI.
SOLITO SANREMO.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.
LA SOCIETA’
AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.
I MORTI FAMOSI.
ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.
MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?
L’AMBIENTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI.
SOLITO ANIMALOPOLI.
IL SOLITO TERREMOTO E…
IL SOLITO AMBIENTOPOLI.
IL TERRITORIO
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.
SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.
SOLITA SIENA.
SOLITA SARDEGNA.
SOLITE MARCHE.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO.
SOLITO ABRUZZO.
SOLITO MOLISE.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.
SOLITA BARI.
SOLITA FOGGIA.
SOLITA TARANTO.
SOLITA BRINDISI.
SOLITA LECCE.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.
LE RELIGIONI
SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.
FEMMINE E LGBTI
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.
L’AMMINISTRAZIONE
INDICE PRIMA PARTE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI. (Ho scritto un saggio dedicato)
L’Insicurezza.
La Burocrazia.
La malapianta della Spazzacorrotti.
INDICE SECONDA PARTE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Il Ponte sull’Italia.
La Sicurezza: Viabilità e Trasporti.
La Strage del Mottarone.
Il Mose.
INDICE TERZA PARTE
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Disuguaglianza.
I Bonus.
Il Salario Minimo.
Il Reddito di Cittadinanza.
Quelli che…meglio poveri.
Quelli che …dei call-center.
Le Pensioni.
L’Assistenza ai non autosufficienti.
Gli affari sulle malattie.
Martiri del Lavoro.
Il Valore di una Vita: il Capitale Umano.
Manovre di primo soccorso: Il vero; il Falso.
L'attività fisica allunga la vita.
La Sindrome di Turner.
Il Sonno.
Attenti a quei farmaci.
Le malattie più temute.
Il Dolore.
I Trapianti.
Il Tumore.
L’Ictus.
Fibromialgia, Endometriosi, Vulvodinia: patologie diffuse ed invisibili.
La Sla, sclerosi laterale amiotrofica.
La Sclerosi Multipla.
Il Cuore.
I Polmoni.
I calcoli renali.
La Prostata.
L'incontinenza urinaria.
La Tiroide.
L’Anemia.
Il Diabete.
Vampate di calore.
Mancanza di Sodio.
L’Asma.
Le Spine.
La Calvizie.
Le Occhiaie.
La Vista.
La Dermatite.
L’ Herpes.
I Denti.
L’Osteoporosi.
La Lombalgia.
La fascite plantare.
Il Parkinson.
La Senilità.
Depressione ed Esaurimento (Stress).
La Sordità.
La Prosopagnosia.
L’Epilessia.
L’Autismo.
L’Afasia.
La disnomia.
Dislessia, disgrafia, disortografia o discalculia.
La Balbuzie.
L’Insonnia.
I Mal di Testa.
La Flatulenza.
La Pancetta.
La Dieta.
Il Ritocchino.
L’Anoressia.
L’Alcolismo.
L’Ipotermia.
Malattie sessualmente trasmesse.
Il Parto.
La Cucitura.
INDICE QUARTA PARTE
IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)
Il Covid ed il Fallimento del Sistema Sanitario Nazionale.
L'Endemia. L’Epidemia. La Pandemia.
Le Epidemie.
Virus, batteri, funghi.
L’Inquinamento atmosferico.
HIV: (il virus che provoca l'Aids).
L’Influenza.
La Sars-CoV-2 e le sue varianti.
Alle origini del Covid-19.
Le Fake News.
Morti per…Morti con…
Il Contagio.
Long Covid.
Da ricordare…
Protocolli sbagliati.
Io Denuncio…
I Tamponati…
Le Mascherine.
Gli Esperti.
INDICE QUINTA PARTE
IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)
Vaccini e Cure.
Succede in Svezia.
Succede in Inghilterra.
Succede in Germania.
Succede in Cina.
Succede in Corea del Nord.
Succede in Africa.
Il Green Pass e le Quarantene.
Chi sono i No Vax?
Gli irresponsabili.
Covid e Dad.
Il costo.
Le Speculazioni.
Gli arricchiti del Covid.
Covid: Malattia Professionale.
La Missione Russa.
Il Vaiolo delle scimmie.
Il virus del Nilo occidentale (West Nile virus, in inglese).
Gli altri Virus.
SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI. (Ho scritto un saggio dedicato)
L’AMMINISTRAZIONE
QUINTA PARTE
IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)
I VACCINI.
Chi fa i conti con il Covid intervista a Borgonovo. Eleonora Ciaffoloni su L’Identità il 10 Dicembre 2022
“L’approccio comunitario sui vaccini è fallito. Giusto rivedere i contratti e avere chiarezza su quanto speso, basta dare fondi alle multinazionali a scatola chiusa”. Il vicedirettore de “La Verità” si allinea alle richieste di Schillaci e auspica a un cambio di passo sulla sanità.
In questa fase endemica della pandemia, il ministro Schillaci chiede una rinegoziazione dei contratti stipulati per i vaccini: una scelta coerente?
“Schillaci ha ragione, ma prima bisogna conoscere questi contratti e capire cosa prevedono. Quando il Parlamento Europeo ha chiesto di sentire sul tema, da Pfizer si sono rifiutati. Non sappiamo nemmeno cosa si siano detti, nei numerosi messaggi che si sono scambiati, Ursula Von der Leyen e il Ceo di Pfizer Albert Bourla che, per l’ennesima volta, non si presenterà in audizione. C’è un intero impianto che va smontato”.
Rivedere i contratti significherebbe iniziare a vedere oltre il Covid?
“Sarebbe cosa buona e giusta. Abbiamo una manovra da 35 miliardi in cui una buona parte viene spesa per l’emergenza energetica e ci si lamenta dei pochi fondi per la sanità. Con il Covid abbiamo trascurato tutto il resto e provocato migliaia di morti, quattromila solo in Lombardia. In Italia dal 2010 al 2020 abbiamo chiuso 110 ospedali e 113 pronto soccorso. Per queste cose si dice che non ci sono soldi, però i soldi a scatola chiusa per le multinazionali del farmaco ci sono. Abbiamo comprato dosi in eccesso e qualcuno ci deve spiegare quanto abbiamo speso, perché sono soldi che vengono tolti ad altre questioni della sanità, che è molto provata”.
L’Italia si è presa carico di una grande spesa con i vaccini: i fondi potevano essere destinati ad altro?
“Ho la sensazione che ci sia un’idea dietro: da un lato applichiamo tagli alla sanità pubblica – che è quello che abbiamo fatto dal 2010 in avanti – e dall’altro investiamo con i privati per lo sviluppo delle tecnologie Rna, cioè per quella che dovrebbe essere una prevenzione. La sensazione è che si voglia sottoporre il cittadino a farmaci teoricamente preventivi, spingendo a farne utilizzo e finanziando i produttori. In caso di inutilizzo e di malattia si perde quella tutela e si paga per le cure e per la terapia intensiva. E così si guadagna due volte”.
Schillaci ha anche proposto di rivedere la compravendita dei vaccini per singolo Stato. Una tutela o un distacco?
“Abbiamo applaudito quando l’Europa ha unito gli stati per comprare i vaccini insieme. Ma l’approccio comunitario è stato una sciagura: non si è avuto controllo e ancora non si conosce la spesa di ciascuno stato. Il timore è che per una prossima influenza ciò possa ripetersi e vedere trattative segrete e senza controllo. Ora tante misure sono legate al Pnrr, che è un prestito su cui decide l’Europa e con cui non puoi fare riforme strutturali. Dobbiamo riappropriarci del potere di spesa su questi farmaci”.
Possiamo dire che l’atteggiamento del governo sta cambiando nei confronti della gestione Covid?
Spero che Schillaci elimini definitivamente lo ‘Speranza’ che a volte è affiorato dalla sua coscienza e diventi il Ministro che la gente si aspettava. Le persone che hanno votato FdI hanno votato un programma chiaro, con posizioni chiare sulla gestione del sistema sanitario: è ora di metterle in pratica. Spero che il Governo mantenga quello che dice oggi Schillaci e non vada a rilento: se riuscissero a tenere il punto sarebbe da applausi”.
Covid, in Italia via libera al vaccino Pfizer per i bambini under 5. Il Tempo il 09 dicembre 2022
Via libera al vaccino Pfizer anche per i bambini sotto i 5 anni, con la «raccomandazione» per l’utilizzo ai bambini che presentino condizioni di fragilità. Lo prevede una nuova circolare del ministero della Salute diffusa durante la giornata. Già il 24 ottobre, ricorda il documento firmato dal direttore generale della Prevenzione Gianni Rezza, «la Commissione Tecnico Scientifica di AIFA, accogliendo il parere espresso dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), ha approvato l’estensione di indicazione di utilizzo del vaccino Comirnaty (BioNTech/Pfizer), nella specifica formulazione da 3 microgrammi/dose, per la fascia di età 6 mesi - 4 anni (compresi). Tenuto conto del parere espresso dal Gruppo di Lavoro Permanente sull’infezione da SARS-CoV-2 del Consiglio Superiore di Sanità in data 16/11/2022, e successive interlocuzioni, si estende la raccomandazione della vaccinazione anti-SARS-CoV2/COVID-19 ai bambini nella fascia di età 6 mesi - 4 anni (compresi) che presentino condizioni di fragilità, tali da esporli allo sviluppo di forme più severe di infezione da SARS-Cov2».
Inoltre, tenuto conto dell’indicazione di utilizzo autorizzata da EMA e AIFA, «tale vaccino potrà essere reso disponibile anche per la vaccinazione dei bambini, nella fascia di età 6 mesi - 4 anni (compresi), che non presentino tali condizioni, su richiesta del genitore o di chi ne ha la potestà genitoriale». Comirnaty 3 microgrammi/dose viene somministrato per via intramuscolare dopo diluizione come ciclo primario di 3 dosi (da 0,2 mL ciascuna) con la seconda dose a 3 settimane dalla prima dose, e la terza dose almeno 8 settimane dopo la seconda. Se il bambino compie 5 anni tra una dose e l’altra nel corso del ciclo di vaccinazione, dovrà completare il ciclo continuando a ricevere la dose di 3 microgrammi. Si allarga la platea di coloro che possono ricevere il vaccino anti-Covid.
(ANSA l’1 Dicembre 2022) - La Corte Costituzionale "salva" l'obbligo del vaccino anti Covid introdotto dal governo Draghi nel 2021 per alcune categorie professionali e gli over 50. La Corte ha ritenuto inammissibili e non fondate le questioni poste da cinque uffici giudiziari.
La Corte ha in particolare ritenuto inammissibile, per ragioni processuali, la questione relativa alla impossibilità, per gli esercenti le professioni sanitarie che non abbiamo adempiuto all'obbligo vaccinale, di svolgere l'attività lavorativa, quando non implichi contatti interpersonali.
Sono state ritenute invece non irragionevoli, né sproporzionate, le scelte del legislatore adottate in periodo pandemico sull'obbligo vaccinale del personale sanitario. Ugualmente non fondate, infine, sono state ritenute le questioni proposte con riferimento alla previsione che esclude, in caso di inadempimento dell'obbligo vaccinale e per il tempo della sospensione, la corresponsione di un assegno a carico del datore di lavoro per chi sia stato sospeso; e ciò, sia per il personale sanitario, sia per il personale scolastico. È quanto rende noto l'Ufficio comunicazione e stampa della Corte costituzionale, in attesa del deposito delle sentenze.
La Corte Costituzionale ha deciso: l’obbligo vaccinale è legittimo. L'Indipendente l’1 Dicembre 2022.
La Corte Costituzionale si è espressa sulla questione di costituzionalità dell’obbligo vaccinale, sentenziando la sua validità nei confronti della Carta fondamentale. "Sono state ritenute invece non irragionevoli, né sproporzionate, le scelte del legislatore adottate in periodo pandemico sull’obbligo vaccinale del personale sanitario. Ugualmente non fondate, infine, sono state ritenute le questioni proposte con riferimento alla previsione che esclude, in caso di inadempimento dell’obbligo vaccinale e per il tempo della sospensione, la corresponsione di un assegno a carico del datore di lavoro per chi sia stato sospeso; e ciò, sia per il personale sanitario, sia per il personale scolastico". È quanto riportato dallo scarno comunicato stampa appena pubblicato dalla Corte.
Pertanto, sono stati rigettati i ricorsi nei confronti dei decreti dell’ex presidente del Consiglio Mario Draghi che prevedevano l’obbligo del vaccino anche per poter svolgere il proprio lavoro, pena la sospensione. Durante l’ultimo anno e mezzo, a dubitare della legittimità costituzionale delle norme sono stati tribunali di Brescia, con 6 ordinanze, Catania e Padova, il Tar della Lombardia e il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione Siciliana, che sollevavano anche la questione della sicurezza dei vaccini.
Una decisione a favore dell’incostituzionalità dell’obbligo vaccinale da parte de "la Consulta" avrebbe messo in discussione tutta la sovrastruttura istituzionale italiana costruita negli ultimi due anni per affrontare la pandemia da Covid-19, pertanto diversi esperti e gruppi sindacali non si sono detti sorpresi. Tra gli uffici giudiziari che avevano avanzato dubbi sulla costituzionalità dell’obbligo vaccinale, il Tar della Lombardia era stato il più critico, dal momento che aveva chiamato in causa il rispetto di diversi principi costituzionali: la garanzia dei diritti inviolabili dell’uomo, il diritto al lavoro e alla retribuzione, la tutela della salute, il principio dell’uguaglianza. Nei giorni scorsi, la seconda sezione civile del Tribunale di Firenze, in composizione monocratica e con efficacia cautelare e provvisoria, aveva stabilito che l’obbligo vaccinale Covid violasse non solo la Costituzione, ma anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
Alla luce dell’interpretazione del Tribunale di Firenze vi era stata la constatazione di come prove scientifiche e gli stessi documenti ufficiali delle istituzioni sanitarie ammettessero che il vaccino Covid non previene i contagi e può causare effetti collaterali in alcuni casi gravi. Un quadro giudicato incompatibile con quanto prescritto da una sentenza della corte costituzionale del 1990 secondo cui: "La legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri […] e può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili". La Corte Costituzionale, evidentemente rigettando queste interpretazioni (su basi che saranno valutabili solo dopo il deposito della sentenza), ha invece stabilito la legittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale imposto durante la pandemia.
L'Indipendente non riceve alcun contributo pubblico né ospita alcuna pubblicità, quindi si sostiene esclusivamente grazie agli abbonati e alle donazioni dei lettori. Non abbiamo né vogliamo avere alcun legame con grandi aziende, multinazionali e partiti politici. E sarà sempre così perché questa è l’unica possibilità, secondo noi, per fare giornalismo libero e imparziale. Un’informazione – finalmente – senza padroni.
Marcello Sorgi per "La Stampa" il 2 dicembre 2022.
È una sconfitta per i No vax, che speravano in una riabilitazione e in un riconoscimento del diritto - negato - di vivere, lavorare e frequentare i locali pubblici ai tempi del lockdown, senza piegarsi né al vaccino né al "green pass", la sentenza con cui la Corte costituzionale si è pronunciata ieri, coincidenza proprio nello stesso giorno in cui cominciavano a dover essere pagate le multe per mancato rispetto dell'obbligo di vaccinazione.
E rappresenta anche un segnale al governo contro l'ondata revisionista che Meloni aveva ventilato nel suo discorso di insediamento alla Camera, e avrebbe dovuto portare a un annullamento delle sanzioni e dell'uso delle mascherine anche negli ospedali (provvedimento, quest' ultimo, accennato ma mai concretizzato).
In questo senso si può dire che la sentenza varrà per il futuro più che per il presente, ormai orientato, strutture sanitarie a parte, verso una completa o quasi normalizzazione: nel caso, malaugurato, in cui la pandemia dovesse ricreare allarme, il governo potrà (o dovrà) ricorrere all'obbligo di vaccino e alle altre precauzioni sperimentate nel 2020 e 2021. Con buona pace dei No vax che dal governo si aspettavano la piena rilegittimazione che non è arrivata, malgrado i ricorsi che avevano esattamente quest' obiettivo.
Indirettamente infatti i giudici della Consulta si trovavano a decidere sulla condotta di Draghi. Sempre più rigorosa e sempre più contestata, man mano che le restrizioni andavano avanti, puntando a rendere impossibile, oltre che rischioso, sottrarsi alla campagna vaccinale. A leggere il comunicato della Corte si può dire che l'"imputato ombra" di questo "processo" è uscito pienamente assolto.
Difficile capire, dopo il pronunciamento della Consulta, quale sarà l'orientamento di Meloni. Si sta muovendo con prudenza il ministro Schillaci - pur esplicitamente distante dal suo predecessore Speranza, il responsabile della Sanità per tutto il periodo più difficile dell'emergenza Covid, nei governi Conte 2 e Draghi. La fine dell'obbligo ha segnato un'adesione molto più tiepida alla campagna di vaccinazione in corso. Ma la situazione è sotto controllo. Per i vaccinati il Covid non è diventato proprio un raffreddore, ma il timore di trovarsi di fronte a un virus letale è di sicuro diminuito.
L'insegnante che morì dopo il vaccino, la commissione sanitaria: "Nesso causale tra decesso e AstraZeneca". Marco Lignana su La Repubblica il 29 Novembre 2022
E' il primo passo per ottenere il magro indennizzo previsto dallo Stato. Intanto i genitori della 32enne Francesca Tuscano mettono in mora il colosso farmaceutico che finora dice no ai risarcimenti
A oltre un anno e mezzo dalla morte, la commissione medica dell'Agenzia della Sanità ligure ha detto che sì, esiste un nesso causale fra il vaccino AstraZeneca e il decesso della 32enne genovese Francesca Tuscano.
Un primo passo nell'inferno burocratico in cui sono precipitati i familiari, per ottenere l'irrisorio risarcimento da 77.468 euro destinato "ai parenti aventi diritto che ne fanno domanda, nel caso in cui la morte del danneggiato sia stata determinata dalle vaccinazioni", in base alla legge che ha stanziato un fondo da 150 milioni di euro destinato proprio a chi ha subito danni dalla vaccinazione anti Covid.
Studio sui vaccini Covid ai giovani: 18,5 eventi avversi per ogni ricovero evitato. Raffaele De Luca su L'Indipendente l’8 Dicembre 2022
“La nostra stima mostra che è probabile gli obblighi vaccinali COVID-19 causino danni netti a giovani adulti sani, fattore che non è controbilanciato da un beneficio proporzionale per la salute pubblica”. È quanto sostiene un articolo scientifico pubblicato sul Journal of Medical Ethics. I ricercatori sono durissimi nelle conclusioni, affermando che “il fatto che tali politiche siano state implementate nonostante le controversie tra esperti e senza aggiornare l’unica analisi rischio-beneficio pubblicamente disponibile alle attuali varianti di Omicron né sottoporre i metodi al controllo pubblico suggerisce una profonda mancanza di trasparenza nel processo decisionale scientifico e normativo”, prima di concludere – riferendosi agli obblighi vaccinali imposti ai giovani – che “queste gravi violazioni della libertà individuale e dei diritti umani si sono rivelate eticamente ingiustificabili.
Sulla base dei dati forniti dal CDC (Centers for Disease Control and Prevention), i ricercatori hanno infatti stimato che per prevenire un singolo ricovero ospedaliero legato alla variante Omicron in un periodo di 6 mesi, tra 31.207 e 42.836 individui rientranti nella fascia d’età 18-29 anni avrebbero dovuto ricevere la terza dose di un vaccino ad mRNA nell’autunno 2022. Le stime effettuate mostrano che per evitare un singolo ricovero ci sarebbero stati “almeno 18,5 eventi avversi gravi da vaccini ad mRNA”, inclusi tra 1,5 e 4,6 casi di “miopericardite associata al richiamo nei maschi (che in genere richiedono il ricovero)”. Inoltre, si sarebbero verificati anche tra 1430 e 4626 “casi di reattogenicità di grado maggiore o uguale a 3″, i quali “interferiscono con le attività quotidiane” sebbene “in genere non richiedano il ricovero”.
Non è un caso, quindi, se all’interno del lavoro si legge che “è probabile che gli obblighi vaccinali universitari causino danni netti a giovani adulti sani che non sono controbilanciati da un beneficio proporzionale per la salute pubblica“. Del resto la stima sopracitata, che inevitabilmente pone in cattiva luce il rapporto rischio-beneficio nei giovani adulti, potrebbe propendere in maniera anche maggiore a favore dei rischi: essa, infatti – spiegano i ricercatori – “non tiene conto della protezione conferita da una precedente infezione o di un aggiustamento del rischio per lo stato di comorbilità”, motivo per cui la valutazione effettuata dai ricercatori “dovrebbe essere considerata conservativa ed ottimistica in ottica beneficio”.
La “analisi etica” svolta dagli autori, che contiene diverse affermazioni scientifiche degne di nota. I ricercatori infatti, parlando degli obblighi imposti agli universitari da centinaia di istituti nordamericani, li definiscono “non etici” non solo poiché “non si basano su una valutazione rischio-beneficio stratificata aggiornata alla variante Omicron” e perché possono “provocare un danno netto a giovani adulti sani”, ma anche poiché “i danni attesi non sono compensati dai benefici per la salute pubblica data l’efficacia modesta e transitoria dei vaccini contro la trasmissione”.
All’interno del lavoro, infatti, si legge che “i sostenitori degli obblighi hanno sostenuto che gli attuali vaccini prevengono la trasmissione, il che sosterrebbe una ragione etica standard a favore degli stessi: la protezione degli altri”. Tuttavia, tale ragione non sembra ormai sussistere, essendo “sempre più evidente che i vaccini attuali forniscono, al massimo, una protezione parziale e transitoria contro l’infezione, che diminuisce precipitosamente dopo pochi mesi, con limitati effetti sulla trasmissione secondaria”. Alla luce di quanto descritto, gli studiosi mettono nel mirino l’obbligo vaccinale verso questa fascia di popolazione, sottolineando che “i responsabili politici dovrebbero abrogarlo immediatamente”. [di Raffaele De Luca]
L’Ordine dei medici vuole riformare il codice deontologico in materia di vaccini. Giorgia Audiello su L'Indipendente il 28 novembre 2022.
La Federazione Nazionale dell’Ordine dei medici (Fnomceo) sta preparando una riforma del Codice deontologico che dovrebbe vedere la luce nel 2024. Una delle novità più importanti di quello che sarà il nuovo Codice deontologico che prenderà il posto della versione del 2014 è l’inserimento di appositi articoli che concernono il tema dei vaccini. Il presidente di Fnomceo, Filippo Anelli, nel convegno che si è tenuto a Roma il 24 e 25 novembre scorsi, intitolato “Una nuova deontologia per il nuovo ruolo del medico”, ha spiegato che con la riforma del Codice, «saranno innanzitutto introdotti degli articoli relativi ai vaccini e alle vaccinazioni: i vaccini rappresentano un fondamentale strumento di prevenzione e i medici non potranno disconoscerne il valore scientifico. Conseguentemente, il medico non può sconsigliarne l’utilizzo». Dunque, se la riforma si concretizzerà, i medici italiani che «verranno chiamati a partecipare a campagne vaccinali non potranno non effettuare la somministrazione degli immunizzanti».
Anelli però precisa che ciò non corrisponde ad un obbligo vaccinale, in quanto «questo sarebbe in contraddizione con il dettato costituzionale sulla libertà individuale». Il futuro Codice, quindi, obbligherà i medici a partire dal presupposto della centralità della vaccinazione, senza la previsione di un obbligo che sarebbe considerato anticostituzionale. D’altronde però, quest’ultimo punto evidenzia la contraddizione con i provvedimenti introdotti per i sanitari e altre categorie durante il periodo pandemico, mentre il contenuto dei nuovi articoli anticipato da Anelli non specifica per il momento se il divieto di sconsigliare le immunizzazioni sia passibile di eccezioni o meno: ad esempio, nel caso in cui alcuni pazienti soffrano di patologie che ne rendano incompatibile l’utilizzo. In ogni caso, i contenuti in questione andrebbero a limitare fortemente la libertà del dibattito scientifico e del confronto, elevando la vaccinazione ad un intoccabile dogma sanitario, sancito anche formalmente.
La bozza del nuovo Codice prevede inoltre altri due punti fondamentali: il primo contribuisce a ripensare la figura del medico; il secondo chiarisce i rapporti e le differenze tra le nuove tecnologie e il personale sanitario. L’idea è quella di introdurre «una nuova figura di medico» che non curi solo la malattia, ma l’intera persona, considerando anche l’influenza ambientale», in quanto – spiega Anelli – il concetto di salute «è cambiato», includendo anche le «salute in relazione all’ambiente e al mondo animale. È quella che viene definita l’ottica One Health, che andrà evidenziata anche nel nuovo Codice». Per quanto riguarda la tecnologia, invece, si sottolinea che questa – specialmente la robotica e l’intelligenza artificiale – pur essendo utile, «non può essere sostitutiva del medico». Un chiaro riferimento alla cosiddetta medicina 4.0 – ossia quella nata in seno alla Quarta rivoluzione industriale – che vorrebbe affiancare e ove possibile sostituire il rapporto personale medico-paziente con la telemedicina, vale a dire con visite a distanza ed eventualmente la somministrazione di farmaci e altre sostanze da remoto. [di Giorgia Audiello]
Tribunale di Firenze: obbligo vaccinale è incostituzionale e contro le norme europee. L’Indipendente il 27 novembre 2022.
Una nuova ordinanza mina alla base le politiche pandemiche italiane, in particolare riguardo all’obbligo vaccinale introdotto con il “super green pass” che ha collegato il mantenimento del posto di lavoro all’accettazione dei vaccini anti-Covid. La seconda sezione civile del Tribunale di Firenze, in composizione monocratica e con efficacia cautelare e provvisoria, ha stabilito che l’obbligo vaccinale Covid vìola non solo la Costituzione, ma anche la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. L’ordinanza conferma il reintegro di una psicologa sospesa perché non vaccinata. Il giudice ha inoltre inviato gli atti alla Procura della Repubblica di Roma, affinché un pubblico ministero apra un’indagine. La decisione finale sul caso spetterà al tribunale in composizione collegiale.
Nell’ordinanza, la giudice Susanna Zanda, in merito alle contraddizioni della normativa italiana rispetto alle leggi europee scrive: “Quanto all’art. 3 e art. 21 della carta di Nizza si rileva che esiste una disciplina unionale in merito proprio alla vaccinazione anti covid 19 in quanto l’Unione Europea ha varato vari provvedimenti normativi che hanno sempre espresso questi principi di non discriminazione e di rispetto del consenso libero e informato; a cominciare dai regolamenti di programmazione della vaccinazione, per passare al regolamento 953/21 in tema di circolazione dei cittadini europei che tutela coloro che non solo non possano ma anche non “vogliano” vaccinarsi. Anche la risoluzione europea n. 2361/21 […] raccomanda agli Stati una corretta campagna di informazione, soprattutto relativa alla non obbligatorietà del vaccino, alla sua sicurezza e ai possibili effetti indesiderati, in modo da assicurare una scelta consapevole e libera, senza alcuna forma di discriminazione o svantaggio per coloro che decideranno di non sottoporsi al vaccino, sottolineando che eventuali certificazioni vaccinali dovrebbero avere solo lo scopo di monitoraggio”.
Nel merito della legittimità dell’obbligo vaccinale rispetto alla Costituzione Italiana l’ordinanza del Tribunale di Firenze sottolinea due discrepanze nette tra i vaccini anti-Covid disponibili e i dettami costituzionali che regolamentano l’obbligo vaccinale. L’ordinanza evidenzia come sia appurato che i vaccini anti-Covid disponibili non evitino il contagio, citando a questo scopo anche i documenti dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Aifa che sottolineano che “i vaccini non impediscono il contagio; dunque vaccinati e non vaccinati sono vettori virali indistintamente” e come vi siano stati casi di reazioni avverse anche mortali in soggetti sani, come appurato anche dall’Agenzia del farmaco italiana (AIFA), che nel rapporto annuale scrive: “si ammette che vi siano stati decessi e reazioni avverse gravi in soggetti sani”. Si tratta di fattori che, secondo la giudice Susanna Zanda, rendono l’obbligatorietà della vaccinazione anti-Covid incompatibile con quanto prescritto da una sentenza della corte costituzionale del 1990 secondo cui: “La legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale. Ma si desume soprattutto che un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili”.
Il testo completo dell’ordinanza emessa dal Tribunale di Firenze è consultabile a questo link.
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Lucca, istituzioni all’attacco dell’ambulatorio che cura gli eventi avversi da vaccino. Valeria Casolaro su L'Indipendente il 14 novembre 2022.
A Lucca è stato aperto uno studio medico per le reazioni avverse ai vaccini contro il Covid, rinominato Lucca Consapevole. Lo scopo è “aiutare, accogliere e sostenere le persone che hanno subito un danno dai vaccini“. L’iniziativa non ha tardato ad attirare le attenzioni della politica: la consigliera di Lucca Valentina Mercanti, insieme alla consigliera Donatella Spadi (entrambe del PD), ha fatto partire un’interrogazione diretta alla giunta del presidente della Regione Eugenio Giani. La vicenda, commentano, è «davvero singolare, grave e forse unica nel panorama nazionale», in quanto pone di fronte a una «modalità d’informazione fortemente antiscientifica». I consiglieri dell’amministrazione lucchese si sono rivolti al sindaco Mario Pardini per chiedere una presa di distanza, dal momento che, trattandosi di un’iniziativa privata, non se ne può disporre la chiusura.
La questione si profila da subito più come una disputa politica che non una propriamente scientifica, dal momento che le reazioni avverse al vaccino sono infatti ampiamente documentate e dal momento che, come specificato dal presidente dell’ordine dei medici di Lucca, anche l’Asl dispone di specifici protocolli per le problematiche che possono insorgere a seguito della vaccinazione contro il Covid-19. La consigliera Mercanti ha poi sottolineato che lo studio è stato aperto da medici che dal 2021 hanno somministrato terapie domiciliari precoci, «persone sprovviste di vaccinazione anti Covid-19», fattore che tuttavia non preclude l’esistenza di suddetti effetti avversi né la necessità di trattarli con terapie adeguate.
Nel frattempo lo studio, che si propone di aiutare i pazienti a titolo “totalmente gratuito”, ha comunicato tramite il proprio sito che “dato l’enorme numero di persone che ci hanno contattato in meno di dieci giorni siamo pieni fino a Pasqua” e che quindi, fino a che la lista d’attesa non sarà esaurita, le prenotazioni verranno interrotte. [di Valeria Casolaro]
Da ansa.it il 6 dicembre 2022.
Il ceo di Pfizer, Albert Bourla, ha rifiutato per la seconda volta di fila di comparire davanti al Parlamento europeo per un'audizione sulle trattative portate avanti con la Commissione Ue per la fornitura di vaccini. Lo riferisce via Twitter la presidente della commissione speciale sul Covid dell'Eurocamera, Kathleen Van Brempt (S&D).
"Il Parlamento europeo ha il diritto di ottenere piena trasparenza" sui contratti e "il fallimento della Commissione Ue e di Pfizer" nel dare risposte "mostra un disinteresse per il ruolo del Pe e getta un'ombra inutile sul successo della strategia europea sui vaccini", evidenzia l'eurodeputata.
"Rispetto all'audizione di ottobre non abbiamo ulteriori informazioni da condividere quindi declino rispettosamente l'invito". Lo scrive il ceo di Pfizer, Albert Bourla, in una lettera indirizzata alla presidente della commissione speciale sul Covid dell'Europarlamento, Kathleen Van Brempt (S&D), ufficializzando il suo rifiuto ad apparire davanti agli eurodeputati.
"Poche settimane fa, la nostra presidente per i mercati internazionali, Janine Small, ha già testimoniato davanti alla vostra commissione", ha sottolineano Bourla, riferendosi alla sessione di ottobre. In quell'occasione, tuttavia, a differenza di Gilead Sciences, Sanofi, AstraZeneca e Moderna, tutte rappresentate dai rispettivi ceo, Pfizer fu l'unica società a mandare una dirigente
Vaccini, ricercatrice Pfizer: “Abbiamo pilotato l’aereo mentre lo stavamo costruendo”. Michele Manfrin su L'Indipendente il 20 Novembre 2022.
Dopo le affermazioni di Janine Small, presidente della sezione della Pfizer dedicata allo sviluppo dei mercati internazionali, rilasciate in audizione presso l’Europarlamento, è la volta di quelle di Kathrin Jansen, responsabile della ricerca e sviluppo dei vaccini presso Pfizer, e recentemente andata in pensione. Le dichiarazioni di Jensen sono state raccolte in una intervista a lei fatta da parte della rivista Nature e danno, una volta di più, il senso di come la politica emergenziale pandemica sia stata sorretta da una narrazione politico-mediatica non aderente alla realtà dei fatti. «Abbiamo pilotato l’aereo mentre lo stavamo ancora costruendo», sono state alcune delle affermazioni di Jansen.
Kathrin Jansen ha lavorato più di trent’anni per l’industria del farmaco, in particolare nel campo dei vaccini, per industrie come Merk e Pfizer. Mentre lavorava alla Merck ha guidato lo sviluppo del vaccino contro il papillomavirus umano Gardasil, per cui numerose cause sono in corso negli Stati Uniti. Più tardi, in Pfizer, ha abbracciato la tecnologia coniugata proteina-polisaccaride che ha portato ai vaccini polivalenti Prevnar per la malattia da pneumococco, i quali, solo lo scorso anno, hanno generato una vendita per un valore di circa 5,3 miliardi di dollari.
Quando l’emergenza da Sars-Cov2 si è affermata nel 2020, Pfizer stava già collaborando con BioNTech sui vaccini mRNA per l’influenza ma, come dice Jansen nell’intervista a Nature, «il COVID ha cambiato tutto in termini di come affrontare il concetto di ricerca e sviluppo del vaccino end-to-end, guidato dall’enorme urgenza». La ricercatrice ha poi spiegato come, nel marzo 2020, il CEO di Pfizer, Alber Bourla, abbia chiesto che il vaccino fosse pronto entro la fine di quello stesso anno e che la sua reazione è stata quella di dire che ciò fosse «pazzesco». Jansen prosegue però dicendo che «il denaro non era un problema e, quindi, puoi fare cose incredibili in una quantità incredibile di tempo». Infatti, i soldi non erano un problema perché gli Stati hanno lautamente finanziato il processo di ricerca e di produzione da parte delle aziende, salvo poi dover pagare profumatamente anche i vaccini prodotti grazie agli stessi fondi pubblici. Secondo i dati raccoltati dal portale The Knowledge Network on Innovation and Access to Medicines del Global Health Center, fino a marzo 2021, dei 5,9 miliardi di dollari di investimenti in ricerca e sviluppo sui vaccini Covid-19, il 98,1% proveniva da finanziamenti pubblici.
In merito quindi all’urgenza richiesta, sia da parte dell’azienda che da parte degli Stati, Jansen prosegue con delle affermazioni inequivocabili circa la sperimentazione del prodotto e la produzione: «Siamo diventati creativi: non potevamo aspettare i dati, dovevamo fare così tanto a rischio. Abbiamo pilotato l’aereo mentre lo stavamo ancora costruendo». Non solo. Se qualcuno avesse ancora dei dubbi, la ricercatrice continua dicendo: «Tutta la burocrazia è caduta. Stavamo facendo le cose in parallelo, guardando i dati e facendo la produzione. Di solito, la produzione non viene coinvolta fino a distanza di anni in un programma». Ma c’è di più. Proseguendo, Jansen ricorda, oltre le intere e convulse giornate a lavorare, le telefonate con i colleghi di ricerca e produzione in cui diceva: «Abbiamo quattro costrutti diversi, preparateli tutti e quattro»; e continua dicendo che «Col passare del tempo e della produzione, poi più tardi l’abbiamo ristretto. Abbiamo buttato via molto che non funzionava, ma avevamo sempre altre cose già su larga scala da portare avanti». In altre parole, sperimentazione e produzione hanno proceduto sullo stesso binario e senza soluzione di continuità, in continuo aggiornamento mentre milioni e miliardi di dosi di prodotto venivano vendute e inoculate.
Nell’agosto scorso Pfizer e BioNTech hanno chiesto alla Food and Drug Administration (FDA) – l’organo statunitense che regola i prodotti farmaceutici – di autorizzare, nei confronti degli individui dai 12 anni in su, l’uso emergenziale di una dose addizionale di un vaccino anti-Covid bivalente adattato alla variante Omicron BA.4/BA.5. La richiesta all’ente regolatore arrivò però senza alcuno studio clinico ancora effettuato e senza quindi nessun dato in supporto. Mentre nell’ottobre scorso la Procura europea ha aperto un’indagine sugli acquisti di vaccini anti-Covid 19 da parte dell’UE – con tutta la questione annessa dei rapporti tra Ursula von der Leyen e l’amministratore delegato di Pfizer, Albert Bourla – questo mese, a quasi due anni dall’inizio della campagna vaccinale, Pfizer e Moderna hanno annunciato l’avvio di alcuni studi clinici con l’intento di fare luce sugli effetti avversi a lungo termine che potrebbero manifestarsi nei giovani che hanno riscontrato problemi cardiaci in seguito alla somministrazione del vaccino anti-Covid. [di Michele Manfrin]
Pilotare l’aereo del vaccino anti Covid. Michelangelo Coltelli su Butac.it il 25 Novembre 2022.
Ci segnalate svariati siti di "controinformazione" che danno un'interpretazione palesemente sbagliata di alcune frasi di un'intervista sul vaccino anti Covid. Eppure sarebbe bastato leggere l'intervista per rendersi conto facilmente che l'intervistata sosteneva esattamente il contrario
Su alcuni siti di “informazione indipendente” sono apparsi articoli che riprendono una frase detta da una ex dipendente Pfizer da poco andata in pensione. La frase che viene ripresa è questo virgolettato:
Abbiamo pilotato l’aereo mentre lo stavamo costruendo
Siamo sempre al solito punto: quello dove si estrapolano le frasi dai loro contesti, si aggiunge quel tocco di sensazionalismo, un pizzico di allarmismo, ed ecco confezionato l’ennesimo articolo che serve esclusivamente a spaventare il lettore.
Vediamo di capirci, la frase che avete letto è reale, viene detta da Kathrin Jansen in un’intervista rilasciata a Nature e pubblicata l’11 novembre. Il problema è che, secondo chi ha pubblicato gli articoli che stiamo trattando, quella frase fa riferimento al momento in cui i vaccini venivano distribuiti alla popolazione. Riporta ad esempio la testata di Matteo Gracis:
…sperimentazione e produzione hanno proceduto sullo stesso binario e senza soluzione di continuità, in continuo aggiornamento mentre milioni e miliardi di dosi di prodotto venivano vendute e inoculate.
La prima parte della frase è corretta, la seconda è sbagliata.
Jansen, difatti, quando parla dell’aereo pilotato mentre viene costruito fa specifico riferimento non alla fase di inoculazione dei vaccini, bensì a quella precedente di produzione e sperimentazione, spiegando più volte nel corso dell’intervista che le linee di produzione iniziale erano quattro in contemporanea. Infatti, non potendo sapere quali avrebbero dato risultato positivo e avendo la necessità di arrivare in fretta ad avere delle risposte, hanno impostato quattro linee in parallelo, eliminando poi quelle che non davano i risultati sperati.
Tutte cose che risultano evidenti poche righe dopo su Nature:
Ricordo quelle telefonate con i miei colleghi di produzione; Ho detto: “Abbiamo quattro diversi costrutti, preparali tutti e quattro”. Poi più tardi abbiamo ristretto il campo. Abbiamo buttato via molto che non funzionava, ma avevamo sempre altre cose già su larga scala da portare avanti.
Subito dopo Jansen spiega che la sua esperienza – e quella degli altri ricercatori – nel campo della produzione di vaccini era così ampia che sapevano in partenza cosa avrebbe potuto funzionare e cosa no, e che grazie ai finanziamenti che erano arrivati da tutto il mondo erano in grado di fare le cose in un modo mai sperimentato prima: procedendo appunto su più tentativi in contemporanea, e riuscendo in questo modo ad avere risultati che normalmente vengono portati a termine dopo anni. L’intervista su Nature è solo celebrativa, e racconta di un nuovo processo produttivo e del suo successo. Jansen, infatti, spiega come quel lavoro è stato realizzato, senza metterne in dubbio l’efficacia, che è – ormai da tempo – riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale e dal successo del vaccino anti Covid nel mondo reale.
Gli unici rimasti a mettere in dubbio la bontà dei lavori, pur non avendo argomentazioni valide per farlo, sono i tanti siti di “controinformazione” e “giornalismo indipendente” che ci avete segnalato. Infatti, partendo da quel virgolettato, cercano di darvi a intendere che l’affermazione di Jansen sia la dimostrazione di un lavoro malfatto (di cui però starebbero parlando solo loro, nonostante sia stata pubblicata su una delle più prestigiose – e lette – riviste scientifiche del mondo). Basta leggere tutta l’intervista su Nature per rendersi conto che è esattamente il contrario, a dimostrazione di come questo tipo di “giornalismo” debba basarsi sulla malinformazione per continuare ad avere un pubblico. Se avessero delle argomentazioni valide porterebbero quelle, ma se sono costretti a sfruttare frasi decontestualizzate da articoli che dicono esattamente il contrario di quello che vorrebbero dimostrare, evidentemente, non ne hanno.
Lo ribadiamo nel caso che non fosse chiaro: la frase “mentre milioni e miliardi di dosi venivano vendute e inoculate” è sbagliata, senza alcun riscontro con la realtà, perché non è così che si sono svolti i fatti. E bastava leggere l’intervista su Nature per rendersene conto, la prima cosa che un giornalista, dopotutto, avrebbe dovuto fare. L’intervista di Nature, invece, è stata sì letta accuratamente, ma al solo scopo di isolare le frasi che potevano, estrapolate dal loro contesto e incorniciate da uno di segno opposto, confermare il pregiudizio senza la quale l’articolo non avrebbe avuto il senso di esistere. Secondo voi un comportamento del genere può essere messo in pratica in buona fede? È deontologicamente corretto? Mostra impegno nel lavoro e rispetto nei confronti del proprio pubblico? Se le risposte a queste domande sono solo “sì” è giusto che continuiate a seguire questi giornalisti: dopotutto, come diciamo spesso, ognuno ha i follower che si merita.
Credo che le parole che chiudono l’intervista di Jansen meritino di essere riportate anche in italiano, nella speranza che qualcuno abbia voglia prima o poi di tradurre questa lunghissima intervista nella nostra lingua, inquadrandola come si deve, invece che estrapolarne solo piccole parti a conferma di una bugia.
La COVID ha mostrato il potere dei vaccini. È importante trasmettere alla prossima generazione di vaccinologi l’entusiasmo su quanto sia importante questo campo (di lavoro ndmaicolengel), per mostrare loro quanta strada abbiamo già fatto e quanta ancora va fatta!
Butac contro L’Indipendente: quando gli “sbufalatori” dovrebbero cambiare mestiere. L'Indipendente il 9 dicembre 2022.
Nei giorni scorsi Butac, uno dei tanti siti autonominatisi “cacciatori di bufale” presenti sul web, ha pubblicato un contenuto nel quale accusa L’Indipendente di aver diffuso una fakenews. L’articolo in questione è “Vaccini, ricercatrice Pfizer: Abbiamo pilotato l’aereo mentre lo stavamo costruendo” da noi pubblicato il 19 novembre e che Butac ha contrassegnato come articolo “sensazionalista” ed addirittura esempio di “mala-informazione”. Come sempre, visto che da quando siamo nati ci siamo impegnati a mettere al primo posto la verifica delle fonti, abbiamo preso molto sul serio la loro denuncia, pronti a fare una rettifica se effettivamente ci avesse dimostrato di aver sbagliato qualcosa. Ma ancora una volta – e non è la prima – quello che abbiamo trovato è stato un articolo disonesto, scritto male, inesatto e con passaggi al limite della diffamazione. Una questione che avremmo anche lasciato cadere se non fosse che siti come Butac – che pomposamente afferma che la sua missione è quella di “porre davanti a tutto la scienza e la correttezza dell’informazione” – si comunicano come porti sicuri per chi vuole un’informazione affidabile. Ma il proprio mestiere di fatto non lo sanno fare, o più semplicemente non gli interessa farlo per pregiudizio o interessi di bottega. Ma andiamo con ordine in questa vicenda.
In merito alle dichiarazioni di Kathrin Jansen, responsabile della ricerca e sviluppo dei vaccini presso Pfizer, rilasciate durante un’intervista con Nature, il sito Butac ci ha accusato di aver estratto le frasi dal contesto per produrre una interpretazione di comodo di quanto affermato da Jansen. Procedendo per punti, non solo confermiamo quanto riportato nel nostro articolo ma rivolgiamo l’accusa allo stesso sito denominato Butac.
Innanzitutto, notiamo come il sito in questione non riporti il link al nostro articolo presso cui i lettori di Butac avrebbero potuto verificare l’intero contenuto dell’articolo, come noi invece facciamo adesso con il medesimo, e come abbiamo fatto con l’intervista integrale di Jansen su Nature. Ovviamente non abbiamo riportato per intero la trascrizione dell’intervista ma utilizzato le parti che abbiamo ritenuto di maggior interesse pubblico, salvo, come già detto, mettere il link dell’intervista completa con cui i lettori possono, in autonomia, leggerla. Se parliamo di contesto, dunque, Butac nel suo articolo rivolto contro di noi, lo elimina. Non solo. Tutta l’accusa si aggrappa riportando due sole frasi del nostro articolo: un virgolettato di Jansen e un’affermazione dell’autore.
Il virgolettato in questione è: «Abbiamo pilotato l’aereo mentre lo stavamo ancora costruendo». Veniamo accusati di aver estrapolato la frase dal contesto e di averla utilizzata a nostro piacimento. Eppure, ciò di cui veniamo accusati è proprio quanto fatto dall’accusatore stesso. Infatti, il virgolettato di Jansen riportato era parte di uno più esteso che Butac dimentica di riportare ma che vi facciamo leggere di seguito.
«Siamo diventati creativi: non potevamo aspettare i dati, dovevamo fare così tanto a rischio. Abbiamo pilotato l’aereo mentre lo stavamo ancora costruendo […] Tutta la burocrazia è caduta. Stavamo facendo le cose in parallelo, guardando i dati e facendo la produzione. Di solito, la produzione non viene coinvolta fino a distanza di anni in un programma».
Dunque, il contesto c’è, eccome; piuttosto, è proprio Butac che non fornisce il contesto facendo sembrare che avessimo utilizzato solamente quella frase. Forse le altre affermazioni di Jansen che abbiamo riportato non facevano comodo a Butac?
Andiamo avanti. L’altra frase sotto accusa è la parte finale di un intero paragrafo quasi del tutto composto da un virgolettato di Jansen: «In altre parole, sperimentazione e produzione hanno proceduto sullo stesso binario e senza soluzione di continuità, in continuo aggiornamento mentre milioni e miliardi di dosi di prodotto venivano vendute e inoculate». In merito a questo Butac dice: «La prima parte della frase è corretta, la seconda è sbagliata. Jansen, difatti, quando parla dell’aereo pilotato mentre viene costruito fa specifico riferimento non alla fase di inoculazione dei vaccini, bensì a quella precedente di produzione e sperimentazione».
Intanto partiamo da una precisazione che dovrebbe essere ovvia ma evidentemente nella redazione di Butac non lo è. Per ogni prodotto, quale che sia, ci sono fasi distinte: sperimentazione, produzione (in serie), vendita. È chiaro che se una persona acquista un’automobile, questa venga consegnata dopo che è stata sperimentata e prodotta. Per quanto concerne il vaccino, come detto da Jansen, solitamente la fase di produzione avviene molti anni dopo la fase di sperimentazione. Per il vaccino/farmaco per il Covid-19, come ammesso dalla scienziata, la fase di sperimentazione e produzione sono invece procedute in parallelo. Quindi, in sostanza, sperimentazione e produzione sono state parte di un’unica fase, anziché di due ben distinte. In altre parole, la fase di produzione (quella in cui si produce in serie miliardi di dosi destinate al mercato) è avvenuta mentre avveniva la sperimentazione stessa. E che cos’è che viene quindi poi venduto e inoculato? Il prodotto risultato dalla fase di produzione. Quest’ultima però, come detto dalla stessa Jansen (e come Butac dice di essere giusto, bontà loro) è avvenuta in contemporanea con la sperimentazione.
Occorre ricordare a questo punto che il vaccino non era già stato prodotto nelle decine di miliardi di dosi occorrenti, ma è le dosi sono state distribuite e somministrate mano a mano che venivano prodotte. Non vi era quindi uno stock da cui gli Stati hanno attinto una sola volta. Infatti, ricorderete, che coloro che hanno voluto fare l’iniezione non hanno potuto farla quando hanno voluto ma hanno dovuto aspettare il proprio turno: prima i sanitari, poi fragili e anziani, poi per progressive fasce di età. Perché? Perché le dosi non erano ancora state prodotte a sufficienza. Se quindi, come sappiamo, e confermato da Butac, sperimentazione e produzione sono andate di pari passo, mentre l’inoculazione è avvenuta man mano che le due precedenti fasi andavano a braccetto, conseguenza logica, e fattuale, miliardi di dosi sono state inoculate senza soluzione di continuità durante la monofase sperimentazione/produzione. Si tratta di una ovvietà basata su fatti, gli stessi che Butac dice di voler difendere senza saperli (o volerli) leggere.
Vaccini contro il Covid: siamo stati tutti delle cavie nelle sperimentazioni? Cristina Marrone su Il Corriere della Sera il 10 novembre 2022.
I vaccini contro il Covid-19 sono stati realizzati, sperimentati e distribuiti a tempo di record per riuscire stare al passo con pandemia. In molti hanno pensato che per raggiungere questo obiettivo in così poco tempo rispetto agli anni di solito necessari sia stata in realtà realizzata una gigantesca sperimentazione a livello globale. E tutti i cittadini del mondo hanno fatto da cavie. Ma è davvero così?
L’esitazione
«Le motivazioni dell’esitazione al vaccino è grande tema e gli studi sono sempre più numerosi» ha detto Andrea Grignolio, professore di Storia della Medicina, Università Vita e Salute, San Raffaele, Milano, intervenuto al Tempo della Salute . «Interessante vedere che molti rifiutano il vaccino perché pensano di avere il sistema immunitario fragile. Un “determinante” che spicca (cioé un elemento che fa parte dell’esperienza passata per capire le ragioni del rifiuto, del dubbio, delle paure) è proprio l’effetto cavia. Una delle paure più forti, fino al 30% delle persone in fase pandemica è quella di sottoporsi a vaccini non pienamente sperimentati. E questo si spiega con una mancata conoscenza, non c’è un riscontro oggettivo».
L’importanza della fase post marketing
Tutti gli esperti intervenuti all’incontro hanno sottolineato come la fase post marketing, ovvero il controllo sulla sicurezza previsto per ogni farmaco e vaccino, è stato e sarà una verifica ulteriore sul vaccino anti Covid. Rarissime trombosi e miocarditi sono emerse dopo milioni di somministrazioni. Effetti collaterali così rari emergono in genere dopo anni. La fase post marketing con il vaccino anti Covid è stata invece istantanea perché il farmaco è stato assunto da miliardi di persone.
Perché i vaccini sono arrivati in otto mesi: i tre motivi
Ma come siamo riusciti a fare così in fretta? Alla domanda risponde Guido Rasi, professore ordinario di Microbiologia all’Università di Roma Tor Vergata che racconta come nelle fasi più drammatiche della pandemia non si è comunque voluto rinunciare alla fase 3 della sperimentazione. «In genere per un vaccino si arruolano 5-10- massimo ventimila volontari. Per ogni vaccino anti Covid sono state arruolate 40 mila persone di media, molto più del solito e questo è stato possibile perché la malattia era ovunque: in poche settimane sono state arruolate migliaia di persone i tutti gli emisferi. C’è stato insomma un arruolamento massivo, e in questo ci ha aiutati il virus. Inoltre gli Stati Uniti hanno creato un consorzio, finanziando la ricerca con 15 miliardi di dollari: i migliori cervelli si sono uniti mettendo a disposizione le loro conoscenze, con uno sforzo corale mai visto prima quando in genere gli scienziati sono in competizione. La tecnologia a mRNA è conosciuta da venti anni, ma non c’erano mai stati i soldi per svilupparla. Infine anche l’aspetto regolatorio si è accelerato creando quella che è stata chiamata rolling review : invece di attendere il pacchetto di documenti completo delle case farmaceutiche ogni piccolo passo veniva comunicato agli Enti regolatori e analizzato, e se qualcosa non andava venivano chiesti ulteriori approfondimenti. All’Ema c’era una task force di scienziati che ha lavorato 24 ore su 24. La macchina regolatoria è così articolata che non è possibile condizionarla».
L’immunità di gregge fallita: ecco perché
«Il vaccino su una piattaforma innovativa si è reso disponibile in meno di un anno, meglio delle più rosee aspettative» aggiunge Gianni Rezza, direttore generale della Prevenzione Sanitaria presso il Ministero della Salute che racconta le fasi della percezione della malattia: «All’inizio di una pandemia c’è la luna di miele tra essere umano e vaccino. Tutti volevano il vaccino. Il nostro obiettivo era abbattere la mortalità per questo abbiamo scelto di dare la priorità ad anziani, più fragili, e operatori sanitari. Abbiamo parlato di vaccinare il 70% della popolazione per raggiungere l’immunità di gregge. Il calcolo era il risultato di una formula, dando per assunto che il vaccino fosse sterilizzante, cioé proteggesse dall’infezione. All’inizio in effetti era così. Purtroppo poi sono emerse le varianti e il numero di riproduzione di base con Omicron è molto più elevato. I vaccini ci hanno protetti dalla malattia grave ma non troppo dall’infezione anche se in uno studio recente del New England è emerso che il vaccino protegge dall’infezione da Omicron per il 30%: poco, ma meglio di niente. Abbiamo così capito che con il Covid dobbiamo conviverci».
Sovraccarico di informazioni
A essere riluttanti al vaccino sono spesso le persone colte e intelligenti. «C’è stato un sovraccarico di informazioni l’infodemia, senza conoscenza approfondita della materia» conclude Andrea Grignolio. «Non esistono farmaci sicuri al 100 per cento, qualsiasi trattamento, anche l’acqua dopo una maratona può portare a morte. L’appello è fidarsi di più delle conoscenze mediche, va bilanciato sempre il rischio di una malattia e il rischio di un vaccino, che è sempre molto basso. Guardiamo alla poliomielite che grazie al vaccino è stata eradicata e ringraziamo i nostri genitori che ci hanno vaccinati».
I vaccini contro il Covid prodotti da Astrazeneca, Pfizer, Moderna e Johnson&Johnson, sono diversi fra loro: ecco le differenze e l’efficacia. Il Corrierenazionale.net
In Italia sono quattro i vaccini autorizzati: Astrazeneca, Johnson e Johnson, Pfizer e Moderna. Quali sono le differenze? Lo spiega l’agenzia di stampa Dire (dire.it).
Astrazeneca, prodotto in Svezia e Uk, è un vaccino a vettore virale che sfrutta una versione indebolita dell’adenovirus degli scimpanzè per inserire materiale genetico della proteina spike nelle cellule umane per la produzione di anticorpi. Indicato per la fascia d’età over 60, si conserva fra i 2 e gli 8 gradi e ha bisogno di due dosi per raggiungere l’80% di efficacia.
Pfizer, di produzione statunitense e tedesca, usa la tecnica dell’Rna messaggero. Il codice genetico correlato alla produzione della proteina Spike viene portato alla cellula in modo che questa abbia le informazioni per individuare e distruggere il virus. Indicato per la fascia d’età 16 – over 75 anni, deve essere conservato a -70 gradi e ha bisogno di due inoculazioni per raggiungere il 90% di efficacia.
Moderna, di produzione statunitense, ha la stessa tecnologia del vaccino Pfizer con l’Rna messaggero; l’Italia ne sta ricevendo quantitativi ridotti perchè molte delle dosi sono riservate per il mercato Usa. Indicato per gli over 18, va conservato fra i -25 e i -15 gradi, ha bisogno di due dosi intervallate da 4 settimane per raggiungere un’efficacia del 95%.
Johnson e Johnson è un vaccino a vettore virale, la stessa tecnica utilizzata per produrre il vaccino contro l’ebola. Da pochi giorni è stato ritirato dal mercato americano. Indicato per la fascia d’età over 18, si conserva fra i 2 e gli 8 gradi, è l’unico vaccino monodose ed è efficace al 72% nel prevenire tutti i casi di Covid 19 all’86% nel prevenire forme acute della malattia.
Vaccini Covid, Ema: "Mestruazioni abbondanti". Pfizer e Moderna devono avvertire. Il Tempo il 28 ottobre 2022
Fin dall'inizio delle vaccinazioni contro il Covid molte donne hanno lamentato problemi al ciclo mestruale. Adesso interviene l'Ema, l'Agenzia europea per i medicinali che intima a Pfizer e Moderna di aggiungere nelle avvertenze ai vaccini Comirnaty e Spikevax le "mestruazioni abbondanti come effetto collaterale di frequenza sconosciuta".
Lo ha stabilito oggi 28 ottobre il Prac, il Comitato per la farmacovigilanza dell'Ema. L'informazione da aggiungere viene definita "sanguinamento mestruale intenso" ed è legata al fatto che "sono stati segnalati casi di forti emorragie mestruali dopo la prima e la seconda dose e dopo il richiamo con Comirnaty e Spikevax". Dopo aver esaminato i dati, "il comitato ha concluso che esiste almeno una ragionevole possibilità che l’insorgenza di forti sanguinamenti mestruali sia causalmente associata a questi vaccini e ha pertanto raccomandato l’aggiornamento delle informazioni sul prodotto".
Covid: l’EMA approva i vaccini dai 6 mesi di età, ma non pubblica gli studi. Raffaele De Luca su L'Indipendente il 21 Ottobre 2022.
Il comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha dato il via libera all’estensione dell’autorizzazione all’uso di Comirnaty e Spikevax – i vaccini anti-Covid Pfizer e Moderna – anche per i bambini di età uguale o superiore a 6 mesi. Si legge nel comunicato ufficiale dell’EMA: “il comitato ha raccomandato di includere l’uso nei bambini di età compresa tra 6 mesi e 4 anni per Comirnaty e l’uso nei bambini di età compresa tra 6 mesi e 5 anni per Spikevax”. La formula di approvazione è quella di rito: “i benefici superano i rischi”. Tuttavia gli studi clinici sui quali si basa l’approvazione non sono consultabili (“verranno presentati a tempo debito”, scrive proprio così l’EMA) e i vaccini pediatrici in questione sono stati testati contro il ceppo originale del SARS-CoV-2, oggi estinto e soppiantato dalla variante Omicron.
In Italia su un totale di oltre 170mila morti per Covid solo 39 rientrano nella fascia d’età 0-9 anni ed il tasso di letalità, ovverosia la percentuale di morti rispetto al totale dei soggetti risultati positivi, sembra alquanto basso per tali individui. Nel 2020, infatti, il tasso di letalità era solo dello 0,011% mentre negli anni successivi esso è diminuito ancora, arrivando ad essere dello 0,002%: il tutto evidentemente in linea con l’emergere delle varianti, come è noto meno pericolose rispetto al ceppo originale. A ciò si aggiunga che le percentuali citate sono relative ad una fascia d’età più ampia rispetto a quella di nostro interesse e che probabilmente i numeri sarebbero ancora più irrisori se si prendessero in considerazione esclusivamente i bambini più piccoli: tali dati però sono difficilmente estrapolabili in Italia, visto che lo stesso Istituto superiore di sanità si rifà solo alla più ampia fascia 0-9 anni. Secondo i dati UNICEF, a livello globale, i bambini appartenenti alla fascia 0-4 anni rappresentano appena lo 0,1 % del totale dei soggetti deceduti in concomitanza alla positività al Covid,
Oltre a tutto questo, bisogna ricordare che il via libera è arrivato sulla base di due studi di cui però si sa poco. “I dati degli studi clinici presentati dalle aziende nelle loro domande per l’estensione dell’indicazione pediatrica saranno pubblicati sul sito Web dei dati clinici dell’Agenzia a tempo debito”, si legge infatti sul sito dell’Agenzia. Quello che si sa con certezza, invece, è non solo il fatto che entrambi i vaccini nelle nuove fasce d’età saranno somministrati con dosi ridotte rispetto a quelle previste per le altre, ma altresì che questi ultimi comportano diversi effetti collaterali anche nei bambini più piccoli, tra cui irritabilità, sonnolenza e perdita di appetito. Secondo l’EMA, però, “per entrambi i vaccini questi effetti erano generalmente lievi o moderati e miglioravano entro pochi giorni dalla vaccinazione”. Inoltre, stando all’Agenzia, i vaccini nonostante le dosi ridotte fornirebbero ai bambini dai 6 mesi in su una risposta immunitaria simile a quella osservata con la dose classica. Si tratta però di un’affermazione alla quale difficilmente si può credere ciecamente, stante le evidenze emerse nel recente passato: l’efficacia del vaccino Pfizer sbandierata per la fascia di età immediatamente successiva a quella di nostro interesse (5-11 anni), è stata infatti affossata da un recente studio che ha rivelato come essa sia molto più bassa di quanto si pensasse.
Alla luce di quanto detto finora, infine, non sembrano casuali le esternazioni di alcuni tele-virologi, che ultimamente si sono espressi con toni tranquillizzanti sulla questione Covid criticando altresì il nuovo via libera dell’EMA. Basterà citare il direttore della Clinica di malattie infettive del policlinico San Martino di Genova, Matteo Bassetti, che non solo ha definito il Covid come un virus «ormai simil-influenzale», ma in merito all’ok dell’Agenzia ha affermato: «Poteva servire nel 2020. Oggi è il vaccino sbagliato (non copre infatti nessuna variante omicron) nel momento sbagliato. Non lo raccomanderei a nessuno». Raffaele De Luca
Da adnkronos.com il 21 settembre 2022.
La Commissione europea ha approvato la combinazione di anticorpi a lunga durata d’azione di AstraZeneca tixagevimab e cilgavimab (Evusheld) per il trattamento di adulti e adolescenti (a partire dai 12 anni di età e con un peso di almeno 40 kg) affetti da Covid-19 che non necessitano di ossigeno supplementare e che sono ad alto rischio di progredire verso una forma grave della malattia. Lo comunica l’azienda in una nota.
L’approvazione da parte della Commissione europea – si legge – si basa sui risultati dello studio di fase III Tackle sul trattamento del Covid-19, che ha dimostrato che una dose intramuscolare di tixagevimab e cilgavimab ha fornito una protezione clinicamente e statisticamente significativa contro la progressione a una forma grave di Covid o la morte per qualsiasi causa, rispetto al placebo. Il trattamento con tixagevimab e cilgavimab in una fase precoce della malattia ha portato a risultati ancor più favorevoli rispetto a un trattamento tardivo.
Lo studio è stato condotto su adulti non ospedalizzati con Covid lieve-moderato, sintomatico da 7 giorni o meno. Il 90% dei partecipanti allo studio era ad alto rischio di progressione verso una forma grave di Covid a causa di comorbidità o dell’età. La combinazione di anticorpi di AstraZeneca è stata generalmente ben tollerata durante lo studio.
“Molte persone, tra cui quelle immunocompromesse, gli adulti più anziani e coloro che hanno comorbidità, sono ad alto rischio di malattia grave, di ospedalizzazione e di morte in caso di infezione – afferma Stefano Vella, professore aggiunto di Global Health all’Università Cattolica di Roma – La combinazione di anticorpi tixagevimab e cilgavimab, somministrata comodamente per via intramuscolare, già disponibile in Italia, ai sensi della legge 648/96, per uso terapeutico emergenziale grazie all’autorizzazione della Commissione tecnico scientifica di Aifa basata sia sui risultati degli studi clinici già pubblicati sia sull’analisi ad interim (su circa 450 pazienti) di uno studio multicentrico in corso in Italia (Mantico-2), è ora una nuova opzione di trattamento del Covid-19, estremamente necessaria per queste popolazioni vulnerabili”.
Secondo Raffaela Fede, direttore medico di AstraZeneca Italia, “Covid-19 rimane fonte di preoccupazione per la salute degli italiani, soprattutto per coloro che potrebbero non essere adeguatamente protetti contro il virus dalla vaccinazione. Con questa approvazione, tixagevimab e cilgavimab di AstraZeneca è ora l’unica combinazione di anticorpi a lunga durata d’azione disponibile in Europa sia per la prevenzione che per il trattamento del Covid-19, consentendoci di proteggere un numero ancora maggiore di persone da questa malattia devastante”.
La dose attualmente raccomandata della combinazione di anticorpi per il trattamento in Europa è di 300 mg di tixagevimab e 300 mg di cilgavimab, somministrati in due iniezioni intramuscolo separate e sequenziali. La combinazione – ricorda la nota – ha dimostrato di mantenere la neutralizzazione in vitro di Omicron BA.5, che è attualmente la variante dominante di Sars-CoV-2 in Europa. Le evidenze in real-world prodotte fino a oggi hanno dimostrato tassi significativamente più bassi di Covid-19 sintomatico e/o di ospedalizzazione/morte per i pazienti immunocompromessi che ricevono la combinazione di anticorpi rispetto ai bracci di controllo. Ciò include evidenze in real-world raccolte mentre Omicron BA.5, BA.4, BA.2, BA.1 e BA.1.1 erano in circolazione.
La combinazione di anticorpi aveva già ottenuto all’inizio di quest’anno l’autorizzazione all’immissione in commercio nell’Ue per la profilassi pre-esposizione (prevenzione) del Covid in un’ampia popolazione di adulti e adolescenti immunocompromessi ed è già disponibile nella maggior parte dei Paesi europei.
(ANSA il 26 agosto 2022) - Moderna fa causa a Pfizer e BioNTech sui vaccini per il Covid. Secondo Moderna, la tecnologia usata nei vaccini Pfizer-BioNtech viola i suoi brevetti depositati fra 2010 e il 2016. "Facciamo causa per proteggere la nostra piattaforma tecnologica innovativa mRNA in cui abbiamo investito miliardi", afferma Moderna.
Moderna ha depositato l'azione legale alla corte distrettuale del Massachusetts e a un tribunale regionale tedesco. La decisione di Moderna di fare causa rappresenta una escalation nella battaglia per la proprietà intellettuale sui diritti mRNA. Secondo gli esperti la posta in gioco è alta, considerato che Pfizer, BioNTech e Moderna prevedono di generare 52 miliardi di dollari in vendite di vaccini nel 2022.
"Riteniamo che Pfizer e BioNTech abbiano illegalmente copiato le invenzioni di Moderna e abbiano continuato a usarle senza permesso", afferma il responsabile legale di Moderna, Shannon Thyme Klinger. Moderna ritiene che Pfizer e BioNTech abbiano copiato due elementi centrali delle sue tecnologie brevettate.
"Quando il Covid è emerso né Pfizer né Moderna avevano il livello di esperienza per lo sviluppo" dei vaccini mRNA e, mette in evidenza Moderna, hanno consapevolmente seguito Moderna nello sviluppare i loro vaccini
Vaccino, scoppia la guerra in Big Pharma: Moderna fa causa a Pfizer per violazione dei brevetti. Il Tempo il 26 agosto 2022
Il vaccino porta alla guerra in tribunale tra grandi aziende farmaceutiche. Moderna ha infatti intentato una causa contro Pfizer e BioNTech per violazione dei brevetti sui vaccini per il Covid-19. Lo ha reso noto la stessa azienda in un comunicato, dove afferma che la causa giudiziaria riguarda la violazione di «brevetti fondamentali per la propria piattaforma tecnologica mRNA». «Moderna ritiene che il vaccino Covid-19 di Pfizer e BioNTech, Comirnaty, violi i brevetti che Moderna ha depositato tra il 2010 e il 2016 sulla tecnologia mRNA di base di Moderna. Questa tecnologia rivoluzionaria è stata fondamentale per lo sviluppo del vaccino mRNA Covid-19 di Moderna, Spikevax. Pfizer e BioNTech hanno copiato questa tecnologia, senza il permesso di Moderna, per realizzare Comirnaty», si legge nel comunicato.
«Stiamo intentando queste cause per proteggere l’innovativa piattaforma tecnologica mRNA che abbiamo sperimentato, su cui abbiamo investito miliardi di dollari e brevettato durante il decennio precedente la pandemia di Cov-19», ha affermato Stéphane Bancel, amministratore delegato di Moderna. «Questa piattaforma fondamentale, che abbiamo iniziato a costruire nel 2010, insieme al nostro lavoro brevettato sui coronavirus nel 2015 e nel 2016, ci ha permesso di produrre un vaccino Covid-19 sicuro e altamente efficace in tempi record dopo lo scoppio della pandemia. Mentre lavoriamo per combattere le sfide sanitarie che vanno avanti, Moderna sta utilizzando la nostra piattaforma tecnologica mRNA per sviluppare medicinali in grado di curare e prevenire malattie infettive come l’influenza e l’Hiv, nonché malattie autoimmuni e cardiovascolari e forme rare di cancro». Si annuncia un’aspra battaglia, soprattutto alla luce degli incassi miliardari delle due aziende grazie alla produzione dei vaccini.
BATTAGLIA TRA COLOSSI FARMACEUTICI. Moderna fa causa a Pfizer e Biontech per aver usato la sua tecnologia mRNA nei vaccini Covid. Il Domani il 26 agosto 2022
L’obiettivo di Moderna non è togliere dal mercato il vaccino di Pfizer-BioNTech, quanto piuttosto difendere i suoi brevetti sulla tecnologia mRNA che in futuro potrà dare vita ad altri vaccini come quello contro l’Hiv
L’azienda farmaceutica Moderna ha deciso di fare causa a Pfizer e BioNTech per i vaccini anti Covid-19 distribuiti a partire da fine 2020 per far fronte alla pandemia.
Secondo Moderna, Pfizer-BioNtech ha usato parte della sua tecnologia mRNA presente nei suoi brevetti depositati fra 2010 e il 2016 per creare il suo vaccino. «Facciamo causa per proteggere la nostra piattaforma tecnologica innovativa mRNA in cui abbiamo investito miliardi», ha scritto in un comunicato Moderna. L’azione legale è stata depositata alla corte distrettuale del Massachusetts e a un tribunale regionale tedesco. «Riteniamo che Pfizer e BioNTech abbiano copiato illegalmente le invenzioni di Moderna e che abbiano continuato a utilizzarle senza autorizzazione», ha dichiarato in un comunicato stampa Shannon Thyme Klinger, a capo dell’ufficio legale di Moderna.
Già il mese scorso anche CureVac ha intentato una causa contro BioNTech, anche qui accusata di aver violato i loro brevetti. Dopo la notizia, l’azienda tedesca aveva dichiarato che il suo «lavoro è originale e lo difenderemo vigorosamente contro ogni accusa di violazione di brevetto».
COSA ACCADRÀ ADESSO?
L’obiettivo di Moderna non è quello di togliere il vaccino di Pfizer dal mercato, considerato essenziale per contenere il Covid-19, piuttosto quello di avere uno scudo legale per i prossimi vaccini – sempre con la tecnologia mRNA – contro l’Hiv e altre malattie che sono attualmente in studio e promettono buoni risultati.
«Stiamo intentando queste cause per proteggere l'innovativa piattaforma tecnologica a mRNA di cui siamo stati pionieri, per la cui creazione abbiamo investito miliardi di dollari e che abbiamo brevettato nel decennio precedente la pandemia Covid-19», ha detto Stéphane Bancel, amministratore delegato di Moderna, nel comunicato pubblicato dall'azienda.
Pfizer ha annunciato che non ha ancora ricevuto i documenti legali della causa. In ogni caso, questo tipo di processi sono molto lunghi. Ci vorranno dai tre ai cinque anni per risolvere la controversia tra le due aziende che con la pandemia hanno guadagnato miliardi di dollari grazie ai loro vaccini.
Vaccini contro i coronavirus, la sperimentazione sulle varianti non procede: ecco perché. Silvia Turin su Il Corriere della Sera il 31 luglio 2022.
I pan coronavirus e i vaccini intranasali (utili a fermare varianti e contagi) sono al palo: mancano soldi, materiali e volontà politica. Inoltre, il fatto che la gran parte della popolazione sia già entrata in contatto con il Covid rende gli studi difficili da fare.
Il dibattito sulla quarta dose, ma, soprattutto, su come continuare a convivere con il Covid a partire dal prossimo autunno ferve. La sperimentazione di vaccini migliori che possano valere per tutti i coronavirus e le varianti non procede e anche i vaccini aggiornati non convincono del tutto, tanto che la possibilità di continuare a utilizzare quelli già in uso non è così remota. Ecco perché.
Vaccini aggiornati, ma «vecchi»?
L’efficacia dei vaccini che stanno studiando aggiornamenti in base a Omicron (quelli a RNA) è buona negli studi che vengono pubblicati, ma i candidati sono basati su Omicron 1, attualmente quasi scomparsa (in Italia è allo 0,8%). La domanda che esperti ed enti regolatori si pongono allora è: vale la pena affrontare costi e impiegare risorse per aggiornare un vaccino che rischia di nascere «già vecchio»? E che cosa decidere in merito ai contagi, visto che i vaccini in uso proteggono ancora bene dalla malattia severa, ma poco dalla trasmissione e l’aggiornamento non cambierebbe questa situazione?
Alcuni scienziati spingono per sviluppare vaccini migliori e universali, i cosiddetti pan-coronavirus, validi contro tutti i tipi di coronavirus, e/o quelli nasali, che impedirebbero direttamente il contagio e la continua diffusione nel mondo del Covid.
Un vertice alla Casa Bianca
Per discutere di queste importanti questioni il 26 luglio i funzionari della Casa Bianca hanno riunito scienziati, dirigenti farmaceutici ed esperti di salute pubblica in un vertice, nel tentativo di tracciare un percorso verso la creazione di vaccini migliori. Da più parti si sono espresse le due esigenze sottese ai ragionamenti precedenti: dato che inseguire ogni nuova variante con un nuovo booster non sembra una strategia sostenibile (e salutare), ciò che serve sono vaccini di nuova generazione che inducano una protezione più ampia e più duratura contro le varianti conosciute e le future, i cosiddetti pan coronavirus, ma anche vaccini inalabili di nuova generazione che creino una barriera nasale che blocchi la trasmissione del virus.
Secondo il report dell’incontro fornito su Science a firma Jon Cohen, al vertice non è stata portata, però, alcuna richiesta di finanziamento specifica al Congresso, né alcun piano concreto che potesse in qualche modo configurarsi come quello che ha portato il governo degli Stati Uniti a sviluppare i primi vaccini anti Covid in tempi record nel 2020.
I problemi sul tavolo
I problemi non riguardano solo i finanziamenti in generale: Science denuncia la carenza di materiali necessari per produrre i vaccini, la carenza di primati su cui testare i candidati e la penuria dei gusci lipidici necessari per racchiudere e proteggere l’RNA. Inoltre, c’è una complicazione insolita determinata dalla situazione peculiare dovuta alla pandemia: quando sono stati sperimentati i primi vaccini anti Covid le persone non avevano un’immunità specifica al SARS-CoV-2, come deve essere per valutare l’efficacia del prodotto testato. Oggi la maggior parte di persone al mondo sono state vaccinate, infettate dal virus o entrambe le possibilità. A parte i bambini piccoli. Come condurre le sperimentazioni allora? Come valutare i risultati escludendo questa variabile? Oltre ai finanziamenti e alle difficoltà tecniche c’è anche un certo disinteresse, o meglio, «si è perso il senso di urgenza», afferma Florian Krammer, virologo presso la Icahn School of Medicine del Monte Sinai.
BA.5 in Italia all’86%
Pertanto, oggi ci sono alcune dozzine di tentativi per creare vaccini che proteggano da tutte le varianti e da tutti e quattro i generi della famiglia dei coronavirus, ma solo un candidato, sviluppato dall’esercito americano, è entrato in una sperimentazione clinica di Fase 1. Come riporta Science, negli studi in provetta il vaccino sviluppato da Kayvon Modjarrad e colleghi del Walter Reed Army Institute of Research (WRAIR) ha neutralizzato un’ampia gamma di varianti di SARS-CoV-2. La strada, però, è ancora lunga e nel frattempo il virus continua a mutare e a diffondersi.
In Italia cresce la sottovariante Omicron 5 (responsabile dell’ondata in corso), ormai predominante, e compare anche una singola sequenza di BA.2.75, il sottolignaggio di Omicron 2 ribattezzato dai social «Centaurus», che alcuni pensano potrebbe essere la nuova variante capace di imporsi. È quanto emerge dai dati diffusi dall’Istituto superiore di sanità (Iss) per l’ultima settimana di campionamento disponibile (18-24 luglio). Le percentuali sono: Omicron 100%, di cui BA.5 86%, BA.4 11,6%, BA.2 1,6%, BA.1 0,8%.
Danni da vaccino, risarcimento per un 16enne: "Nesso causale tra la dose e la trombocitemia". Il Tempo il 17 luglio 2022.
Una sentenza destinata a far discutere quella che riguarda un ragazzo di 16 anni, nato di Rieti e residente a Pisa. Il giovane infatti riceverà un risarcimento per danni da vaccino anti-Covid a un anno dalla somministrazione. a cui il ragazzo si era sottoposto un anno fa esatto. A dare notizia della vicenda è Adnkronos che riporta le considerazioni di Codacons, l'associazione con cui la famiglia del ragazzo aveva deciso di intraprendere la causa.
"Riceverà un risarcimento per i danni da vaccinazione anti-Covid, dopo il definitivo accertamento della correlazione tra la somministrazione del vaccino e i gravi danni alla salute riportati dallo stesso", fa saper l'associazione spiegando che Il Dipartimento militare di medicina legale di La Spezia, attraverso una relazione tecnica ha riconosciuto il nesso causale tra la dose e la trombocitemia autoimmune riportata dal ragazzo a distanza di poche settimane dalla somministrazione del vaccino anti-Covid Moderna.
Per il Dipartimento la grave patologia è "una reazione avversa grave potenzialmente innescata dalla procedura stessa anche se come fattore concausale in soggetto fino ad allora perfettamente sano" e pertanto "il danno è ascrivibile alla ottava categoria della tabella A allegata al Dpr 30 dicembre 1981 n 834" per 'Menomazione permanente dell’integrità psicofisica'.
Il ragazzo era uno storpino e in buona salute. Un mese dopo il vaccino "si manifestavano i primi sintomi, con puntini rossi su braccia e gambe del ragazzo. A settembre la sintomatologia peggiorava, con un ematoma esteso sul braccio destro e sul collo, ’bolle' di sangue sul palato, sulla lingua e nelle guance interne. A questo punto il ragazzo si recava al pronto Soccorso di Pisa, dove veniva immediatamente ricoverato sulla base di un valore piastrinico nel sangue pari a 1000/mm3 (su un valore minimo di 150mila)".
Fino al giorno 18 ottobre, riferisce il Codacons, il giovane sportivo è rimasto ricoverato presso il reparto di Oncoematologia pediatrica dell’Aoup ’Santa Chiarà di Pisa. Dopo aver svolto gli accertamenti del caso, gli è stata diagnosticata una piastrinopenia autoimmune e i medici del reparto hanno segnalato all’Aifa il numero del lotto del vaccino effettuato, sospettando una correlazione tra la vaccinazione e l’insorgenza della patologia. La situazione del ragazzo purtroppo non migliora e, nonostante le cure prestate, i valori sanitari rimangono fuori norma: così, a dicembre 2021 la famiglia si rivolge così al Reparto di Oncoematologia dell’Ospedale Pediatrico ’Gaslini' di Genova, dove vengono effettuate una serie di analisi immunologiche e genetiche che confermano la diagnosi di ’Itp persistente'. Le analisi mediche e la perizia del Dipartimento militare di medicina legale non solo hanno confermato quanto evidenziato dal consulente di parte del Codacons, il professor Carlo Rumi dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, ma danno il via libera in modo formale al risarcimento in favore del ragazzo -che sarà quantificato in separata sede- per danni da vaccinazione, sulla base delle disposizioni della legge 210/92.
Noi e i virus: il primo incontro non si scorda mai. Ecco che cos'è l'imprinting immunitario. Valentina Arcovio su La Repubblica l'8 Luglio 2022.
Il nuovo vaccino anti-Covid sfrutterebbe la capacità del nostro sistema immunitario di riconoscere "l'invasore", o il vaccino, quando lo incontra la prima volta. Abrignani: "Un riconoscimento parziale con Omicron, che ci protegge poco dal contagio ma molto dalla malattia grave".
La prima volta non si scorda mai. O almeno è così per il nostro sistema immunitario quando si imbatte in un virus. Da questo primo incontro scatta quello che gli scienziati chiamano "imprinting immunitario": alla prima esposizione al virus, sia tramite infezione che vaccinazione, il sistema immunitario imprime nella sua memoria l'invasore in modo da riconoscerlo eventualmente in futuro, conferendo così un certo livello di protezione.
Imprinting e vaccino anti-Covid
Ora l'imprinting immunitario sarebbe al centro della ricerca del nuovo vaccino anti-Covid, quello "aggiornato" in base alle mutazioni accumulate dal virus Sars-CoV-2 in questi ultimi due anni. Gli immunologi sono infatti convinti che, da quando è esplosa la pandemia, le persone hanno acquisito diversi imprinting immunitari, a seconda del ceppo o della combinazione di ceppi a cui sono state esposte.
Questo, secondo gli studiosi potrebbe portare a grandi differenze nella risposta immunitaria che ciascuno di noi ha contro il virus responsabile di Covid-19. Questo significa che chi ha fatto il vaccino anti-Covid, messo a punto sul virus originario, la variante Wuhan, ha un imprinting immunitario che gli consente solo in parte di rispondere a una variante molto diversa, come quest'ultima Omicron. "E' così che si spiega il calo di protezione registrato sul fronte delle vaccinazioni: se con la variante di Wuhan e quella Delta la protezione dall'infezione era pari al 95%, con la variante Omicron siamo scesi al 50%", spiega Sergio Abrignani, professore ordinario di Patologia generale all'Università degli studi di Milano, già componente del Comitato tecnico-scientifico. "Significa che grazie all'imprintig avuto la prima volta con il virus, il sistema immunitario - continua - riconosce solo alcuni degli amminoacidi presenti nei recettori che il virus utilizza per entrare nella cellula. Un riconoscimento parziale, quindi, che se non protegge dal contagio certamente offre un buon livello di protezione dalla malattia grave".
Tuttavia, Danny Altmann dell'Imperial College London, scienziato che sta studiando il fenomeno dell'imprinting immunitario con il virus Sars-CoV-2, si chiede: se è vero che il primo incontro con il virus, attraverso l'infezione o la vaccinazione, modella la successiva immunità attraverso l'imprinting immunitario, è possibile che questo possa causare una "cattiva" risposta alle nuove versioni del virus? In altre parole, quello che una volta veniva chiamato "peccato antigenico originale", cioè l'imprinting immunitario, può compromettere negativamente la risposta a varianti del virus Sars-CoV-2 molto diverse dalla versione del virus che per primi si è incontrata?
Il dubbio nasce da uno studio condotto da un team di ricercatori dell'Imperial College London su 700 operatori sanitari del Regno Unito. I risultati, pubblicati il mese scorso sulla rivista Science, suggeriscono che l'infezione da Omicron ha avuto scarsi o nessun effetto benefico nel potenziare qualsiasi parte del sistema immunitario - anticorpi, cellule B o cellule T - tra le persone che avevano avuto un imprinting immunitario con precedenti varianti di Sars-Cov-2.
Omicron non è benigna ma abile e furtiva
"Omicron è tutt'altro che un benigno potenziatore naturale dell'immunità vaccinale, come avremmo potuto pensare, ma è un evasore immunitario particolarmente furtivo", ha affermato Altmann. Con questa ipotesi i NoVax sono andati a nozze. Secondo la loro (il)logica, l'imprinting immunitario conseguente alla vaccinazione potrebbe compromettere la risposta alle nuove varianti del virus. Ipotesi, questam subito allontanata dagli immunologi.
Grazie all'imprinting oggi pochi morti
"Non è assolutamente così", sottolinea Abrignani. "E' grazie all'imprinting immunitario conseguente alla vaccinazione se oggi, a fronte di una così ampia ondata di contagi, continuiamo a registrare pochi casi gravi e morti. Anzi, tra i non vaccinati - continua - i casi gravi sono molto più frequenti che tra i non vaccinati". L'imprinting immunitario, infatti, non impedisce al nostro sistema immunitario ad affinare le conoscenze sul virus e le sue varianti.
Vaccini aggiornati a Omicron come booster
L'Organizzazione Mondiale della Sanità, il mese scorso, ha affermato che i vaccini aggiornati su Omicron possono essere utili come booster perché amplierebbero la protezione contro diverse varianti. Booster, non quindi alternativa. Il comitato consultivo della Food and Drug Administration degli Stati Uniti ha invece espresso parere favorevole a incorporare il materiale genetico di Omicron nei nuovi vaccini di richiamo. "Stiamo cercando di utilizzare fino all'ultimo grammo di ciò che possiamo dalla modellazione predittiva e dai dati che stanno emergendo, per cercare di anticipare un virus che è stato molto furbo", ha affermato Peter Marks, direttore del Centro della FDA per la valutazione e la ricerca biologica.
La sfida dei vaccini è ampliare la risposta
Moderna e BioNTech/Pfizer, i principali produttori di vaccini mRNA, hanno presentato dati di laboratorio che mostrano che le loro ultime versioni, mirate a Omicron, producono una potente risposta anticorpale contro le varianti BA.4 e BA.5. "Ora la sfida dei futuri vaccini Covid è quella di ampliare quanto più possibile la risposta immunitaria contro le varianti attuali e future", dice Abrignani. "E questo lo possiamo fare solo perché alle spalle abbiamo una buona parte della popolazione mondiale immunizzata con i vaccini attualmente disponibili", conclude.
Pfizer sotto indagine in Italia: i sospetti su 1,2 miliardi di profitti nascosti al fisco. Redazione Tgcom24 il 26 ottobre 2022.
Il colosso farmaceutico Pfizer nel mirino delle autorità italiane. La Guardia di Finanza, in collaborazione con l'Agenzia delle Entrate, ha avviato una verifica fiscale che è ancora in corso e il cui esito non è definito. Indiscrezioni riportate dall'agenzia Bloomberg dicono che Pfizer avrebbe trasferito 1,2 miliardi di euro di profitti a divisioni in altri Paesi per evitare di pagare le tasse sugli utili.
Secondo quanto riporta l'agenzia Ansa, non c'è ancora verbale di accertamento e alla parte non è ancora stato notificato nulla. Le verifiche proseguiranno nei prossimi giorni. "Pfizer rispetta le leggi fiscali e i regolamenti italiani" ha dichiarato il portavoce della multinazionale, Pam Eisele, parlando di "accertamenti di routine" sui quali Pfizer si dice pronta a collaborare come sempre con le indagini.
L'indagine, scrive Bloomberg, è relativa agli anni 2017, 2018 e 2019, quindi prima della pandemia del Covid. L'agenzia riporta che Pfizer Italia avrebbe trasferito 1,2 miliardi di euro alle divisioni affiliate a Pfizer Production e Pfizer Manifacturing negli Stati Uniti e in Olanda per evitare le tasse sui profitti.
Pfizer e gli altri colossi che hanno (o hanno avuto) problemi con il fisco per miliardi di euro. Linda Di Benedetto il 28 Ottobre 2022 su Panorama.
L'inchiesta sul colosso del farma, con un presunto illecito sopra il miliardo di euro, riporta alla luce quello che è uno dei grossi problemi dell'evasione: i rapporti tra fisco e le grandi multinazionali Mentre il Governo Meloni promette una serrata lotta all’evasione fiscale delle multinazionali scoppia il caso Pfizer. Il colosso farmaceutico è sotto la lente della Guardia di Finanza per evasione fiscale. L’indiscrezione partita dall’agenzia Bloomberg si riferisce ad una verifica delle fiamme gialle sulla società che avrebbe nascosto almeno 1,2 miliardi di euro, trasferendo denaro ad affiliate negli Stati Uniti e nei Paesi Bassi per evitare le tasse sugli utili. La filiale italiana della società che si trova alle porte di Roma-scrive Bloomberg-avrebbe inviato il capitale a consociate estere collegate a Pfizer Production LLC e Pfizer Manufacturing LLC con sede nel Delaware.
L’indagine sulla multinazionale con sede a New York è iniziata a febbraio e riguarda gli anni 2017, 2018 e 2019, un fatto quindi antecedente all’emergenza Covid e che ci è stato confermato dalle nostre fonti ma non è stato ancora notificato alla Pfizer perché in fase di verifica. L'azienda farmaceutica Pfizer é la più grande società del mondo operante nel settore della ricerca, della produzione e della commercializzazione di farmaci e con il Covid ha raddoppiato i suoi incassi dichiarando 37 miliardi di dollari di profitti nel 2021 ottenuti dalla vendita dei vaccini contro il Covid19. Ma Pfizer non è l’unica multinazionale ad aver avuto guai con il Fisco. Infatti negli ultimi anni sono numerose le società scoperte a trasferire i loro capitali utilizzando sempre lo schermo di società con sedi in Paesi dell’Unione Europea ma a fiscalità privilegiata come Lussemburgo, Belgio e Olanda e Gran Bretagna. «Le multinazionali per ridurre se non azzerare la tassazione, riescono a spostare i loro profitti in Paesi che garantiscono trattamenti favorevoli, anche se non tecnicamente Paradisi fiscali» commenta Marcello Ascenzi Commercialista e Revisore legale esperto di consulenza tributaria internazionale. In che modo le multinazionali eludono il fisco? «Le indagini della Commissione europea, sezione antitrust, hanno avuto il pregio di pubblicare le strutture attraverso le quali alcune multinazionali hanno risparmiato le imposte. Dalle verifiche della Commissione europea è emerso ad esempio il caso Apple, che attraverso una costruzione di società avrebbe avuto dall’Irlanda vantaggi fiscali per 13 miliardi di euro». Qual è la soluzione? «Il problema non è tanto la legalità o meno delle strutture societarie perché spesso ci troviamo davanti a pianificazioni conformi alle norme, bensì il risultato a cui giungono in termini di tassazione. Infatti alcuni gruppi societari riducono in maniera lecita la tassazione, a volte azzerandola (lo ha dimostrato la Commissione europea). Quindi risolvere il problema di una tassazione equa delle multinazionali non è facile visto l’interpretabilità delle norme vigenti e la facilità con cui grazie all’economia digitale si riesca a spostare facilmente redditi e patrimoni in cerca di risparmi fiscali. Ma oggi la ricerca dei grandi evasori deve essere la priorità al posto della caccia alle partite IVA dei piccoli imprenditori che con 25.000 euro di fatturato devono emettere fattura elettronica, perché considerati a rischio di divenire temibili evasori. Inoltre c’è da aggiungere che gli Stati stanno lavorando a sistemi di tassazione globale ma subentrano comunque interessi in gioco legati alla mercificazione delle imposte. Infatti alcuni Paesi garantiscono trattamenti favorevoli in cambio di posti di lavoro, know how che le multinazionali possono spostare, dando luogo a quella che qualcuno ha definito concorrenza tra Stati». Cosa si sta facendo attualmente per arginare il fenomeno? «La questione non è certo di poco conto e da diversi anni le organizzazioni internazionali tra cui OCSE, G20 e UE cercano di trovare regole comuni per arginare il fenomeno, troppo complesso per essere risolto dal singolo Paese. Nell’Unione europea oltre alle esigenze tributarie legate ad evasioni associate a comportamenti abusivi nella pianificazione fiscale, assume un ruolo centrale la tutela della concorrenza. In tale contesto la Commissione europea ha identificato una serie di tax ruling (accordi tra multinazionali e gli Stati UE), concessi da diversi Paesi dell’Unione astrattamente idonei a mettere in pericolo la concorrenza quindi il mercato e i piccoli operatori. Il problema non è solo il gettito del singolo Paese ma anche gli effetti sulla sua economia e sicuramente una accelerazione verso la soluzione aiuterebbe i bilanci del nostro Stato, nonché renderebbe più equo il mercato dei piccoli contro i giganti». Il report dei grandi evasori dell’Agenzia delle Entrate Apple Alla fine del 2015 la Apple ha pagato al Fisco italiano 318 milioni di euro, l’intera somma contestata dall’Agenzia delle Entrate, a seguito di una complessa indagine condotta, in particolare, dal nucleo antifrode e dall’Ufficio Grandi contribuenti. La società di Cupertino ha, infatti, siglato un accertamento con adesione accettando tutti i rilievi formulati dall’Amministrazione italiana, creando un precedente importante a livello internazionale. La notizia di questo accordo ha fatto il giro del mondo e il successo del Fisco italiano ha trovato spazio anche sulle pagine del Financial Times, del Telegraph e del Guardian, di El Pais, di Le Monde, del Times e del New York Times che scrive “è la prima volta che un singolo Paese europeo si focalizza sulla struttura fiscale complessa della società”.
Nel 2017 l’Agenzia delle Entrate e Google hanno siglato un accertamento con adesione per gli anni di imposta compresi tra i il 2009 e il 2013. In base all’adesione, Google ha accettato di pagare oltre 306 milioni di euro, comprensivi anche degli importi riferibili al biennio 2014 e 2015 e a un vecchio contenzioso relativo al periodo 2002-2006. Gli importi sono complessivamente riferibili sia a Google Italy che a Google Ireland. Amazon A fine 2017, l’Agenzia delle Entrate e Amazon hanno siglato un accertamento con adesione per gli anni di imposta compresi tra il 2011 e il 2015. In questo caso, Amazon ha accettato di pagare 100 milioni di euro. Gli importi sono riferibili sia ad Amazon EU S.ar.l che ad Amazon Italia Services srl. Facebook A novembre 2018 l’Agenzia delle Entrate e Facebook hanno siglato l’accertamento con adesione per chiudere la controversia relativa alle indagini fiscali condotte dalla Guardia di Finanza e coordinate dalla Procura della Repubblica di Milano, relative al periodo tra il 2010 e il 2016.Il percorso di definizione tra Agenzia delle Entrate e Facebook si è basato su una parziale riconfigurazione delle contestazioni iniziali, senza alcuna riduzione degli importi contestati, e ha dato luogo ad un pagamento di oltre 100 milioni di euro complessivamente riferibili a Facebook Italy Srl. Mediolanum A fine 2018 il Gruppo Mediolanum ha siglato con l’Agenzia delle Entrate l’accertamento con adesione relativo a contestazioni che hanno interessato i rapporti con la controllata Mediolanum International Funds Limited. Il percorso di adesione si è basato su una riconfigurazione delle iniziali contestazioni di esterovestizione, definendo la questione sul piano della rideterminazione dei prezzi di trasferimento per le annualità dal 2010 al 2013 e ha dato luogo a un pagamento di 79 milioni da parte del gruppo. Kering Il 9 maggio 2019, il gruppo Kering ha definito con l’Agenzia delle Entrate alcune contestazioni mosse alla propria controllata svizzera Luxury Goods International S.A. (LGI). La definizione, contraddistinta da un approfondito contraddittorio e da spirito collaborativo, ha riconosciuto che parte dei rilievi mossi in sede di verifica riguardano la sussistenza di una stabile organizzazione in Italia nel periodo tra il 2011 e il 2017. La definizione comporterà il pagamento di una maggiore imposta pari a 897 milioni di Euro, oltre a sanzioni e interessi per un totale di oltre 1,2 miliardi di euro. Ubs Nella prima metà del 2019 l’Agenzia delle Entrate ha chiuso l’accertamento con adesione con il gruppo Ubs che ha pagato quasi 102 milioni di euro. La sottoscrizione di atti di adesione da parte dell’istituto di credito elvetico si riferisce al periodo 2012- 2017 e prende le mosse dalla complessa attività di indagine del Settore Contrato illeciti dell’Agenzia delle entrate, di concerto con la Procura della Repubblica di Milano. I rilievi riguardano la mancata dichiarazione di redditi di capitale e redditi di impresa oltre alle sanzioni per la violazione degli obblighi sul monitoraggio fiscale. L’accordo ha permesso, inoltre, di formalizzare la presenza in Italia di UBS per le successive annualità di imposta, con la relativa presentazione della dichiarazione e la garanzia di entrate tributarie costanti nel nostro Paese. Netflix Il 24 marzo 2022, la società Netflix International BV ha sottoscritto due accertamenti con adesione per il mancato versamento delle imposte dovute Ires e Irap nel corso del quinquennio 2015-2019. L’accordo è stato finalizzato in data 29 marzo 2022 con il pagamento da parte di Netflix di 55,8 milioni di euro, in un’unica soluzione. Le indagini condotte dai nuclei di polizia tributaria avevano infatti rilevato l’esistenza sul territorio italiano di una stabile organizzazione che, tuttavia, non era stata formalmente costituita dalla società che eroga servizi streaming in abbonamento in tutto il mondo.
Bufera su Pfizer, indaga la Guardia di finanza: cosa sta succedendo. Le autorità italiane sospettano che la società abbia nascosto circa 1,2 miliardi di profitti nel periodo pre-Covid, trasferendoli dalla sua sede italiana verso altre filiali. Federico Garau il 26 Ottobre 2022 su Il Giornale.
Pfizer Italia sotto la lente d'ingrandimento delle autorità nostrane. Il colosso farmaceutico oggi conosciuto per aver distribuito uno dei sieri anti-Covid, avrebbe occultato circa 1,2 miliardi di profitti nel periodo pre-pandemia, trasferendoli dalla sua sede italiana. Questi, almeno, i sospetti della Guardia di finanza, che ritiene che parte di questi profitti siano stati spostati negli Stati Uniti e in Olanda.
A riportare la sconcertante notizia, citando persone informate sui fatti, è Bloomberg, multinazionale operativa nel settore dei mass media con sede a New York e filiali in tutto il mondo. L'agenzia di stampa riferisce inoltre che gli accertamenti svolti dalle autorità italiane sarebbero relativi agli anni 2017, 2018 e 2019. A confermare la notizia è anche Ansa.
Tutto è ancora da verificare. Le fiamme gialle, in collaborazione con l'Agenzia delle Entrate, hanno deciso di avviare dei controlli su Pfizer Italia Srl, con sede fuori Roma, per presunti spostamenti di capitale alle filiali estere. Azioni finalizzate ad evitare le tasse sugli utili. Le sedi destinatarie sarebbero Pfizer Production LLC e Pfizer Manufacturing LLC, con sede nel Delaware.
La verifica fiscale è in corso, e al momento non si conosce l'esito. I controlli andranno avanti e vedremo nei prossimi giorni quali saranno i risultati delle indagini e come si muoveranno le autorità italiane.
Interpellata da Bloomberg, la portavoce di Pfizer Pam Eisele ha dichiarato che l'azienda farmaceutica "è in regola con il pagamento delle tasse e conforme ai requisiti richiesti dall'Italia".
"Le autorità fiscali italiane controllano e indagano regolarmente sulle tasse Pfizer e l'azienda collabora con tali controlli e indagini", ha quindi aggiunto la portavoce. "Pfizer rispetta le leggi fiscali e i regolamenti italiani" ha concluso.
La pandemia è stata gestita da organizzazioni globali private. Piccole Note il 18 ottobre 2022 su Il Giornale.
L’autorevole mensile Politico e Die Welt, attraverso un’inchiesta approfondita di qua e di là dell’Atlantico, hanno scoperto l’acqua calda, cioè che a gestire l’emergenza pandemica a livello globale è stato Bill Gates e i suoi compagni di merende (titolo dell’articolo: “Come Bill Gates e i suoi partner hanno usato il loro potere per controllare la risposta globale al Covid, con scarsa supervisione”).
La pandemia, si legge nel reportage, ha colto il mondo di sorpresa, e “mentre le nazioni più potenti si occupavano di quanto stava accadendo al loro interno, quattro organizzazioni sanitarie globali non governative hanno iniziato a fare piani per una lotta per la vita o la morte contro un virus che non avrebbe conosciuto confini”.
Le quattro sorelle della beneficenza
“Quello che è seguito è stato un passaggio di potere costante, quasi inesorabile, dai governi sopraffatti a un gruppo di organizzazioni non governative, secondo un’indagine durata sette mesi svolta da giornalisti di POLITICO – pubblicato negli Stati Uniti e in Europa – e del quotidiano tedesco WELT. Armate di esperienza, sostenute da contatti ai più alti livelli delle nazioni occidentali e forti di relazioni ben consolidate con i produttori di farmaci, le quattro organizzazioni hanno spesso assunto ruoli propri dei governi, ma senza avere la responsabilità dei governi”.
“Le quattro organizzazioni avevano lavorato insieme in passato e tre di loro condividevano una storia comune. La più grande e potente era la Bill & Melinda Gates Foundation, una delle più grandi filantropie del mondo. Poi c’era Gavi, l’organizzazione globale per i vaccini che Gates ha contribuito a fondare, nata per vaccinare le persone dei Paesi a basso reddito, e il Wellcome Trust, una fondazione di ricerca britannica con una dotazione multimiliardaria che aveva lavorato con la Gates Foundation negli anni precedenti. Infine, c’era la Coalition for Epidemic Preparedness Innovations, o CEPI, il gruppo internazionale di ricerca e sviluppo di vaccini che Gates e Wellcome hanno contribuito a creare nel 2017”.
Ci sembra più che sufficiente. Chi vuole, può leggere l’inchiesta integrale al link succitato. Citiamo tale articolo non solo perché palesa un particolare non secondario di quanto avvenuto nel passato, le cui criticità sono più che evidenti – anzitutto l’irresponsabilità dei gestori della crisi -, ma anche per un altro recente articolo, la cui lettura ci ha prodotto un effetto inquietante.
Giocare con il fuoco
Riportiamo uno studio prodotto della Boston University pubblicato su Biorxiv, una rivista supportata dalla Chan Zukerberg Initiative, istituzione nata nel 2015 che, come declina il sito ufficiale, ha lo scopo di “eradicare le malattie e migliorare l’istruzione, fino ad affrontare i bisogni delle nostre comunità locali. La nostra missione è costruire un futuro più inclusivo, giusto e sano per tutti”.
Così l’abstract dello studio che ha attirato il nostro interesse: “La variante SARS-CoV-2 Omicron (BA.1) recentemente identificata e predominante a livello globale è molto trasmissibile, anche in persone completamente vaccinate, e provoca una malattia attenuata rispetto alle principali varianti virali finora identificate. La proteina Omicron spike (S), che presenta un numero insolitamente elevato di mutazioni, è considerata il principale driver di questi fenotipi. Abbiamo generato un SARS-CoV-2 ricombinante chimerico che codifica il gene S di Omicron all’interno di un SARS-CoV-2 primitivo e abbiamo confrontato questo virus con la variante di Omicron che sta circolando in natura”.
“Il virus Omicron S sfugge completamente all’immunità indotta dal vaccino, soprattutto a causa delle mutazioni indotte nel recettore” e si replica in cellule che la Omicron non aggredisce. Nei topi modificati per testare più efficacemente gli effetti dei virus sugli uomini, identificati come K18-hACE2, “mentre la Omicron causa un’infezione lieve e non fatale, il virus portatore di Omicron S causa una malattia grave con un tasso di mortalità dell’80%”.
Poco da aggiungere se non che a giocare con i virus chimera si rischia di combinare disastri. Forse sarebbe il caso che i paraguru di internet si limitassero a fare il loro mestiere, evitando di cimentarsi, da apprendisti stregoni, alla salute del mondo. Hanno già procurato fin troppi danni.
Francesca De Benedetti per editorialedomani.it il 28 ottobre 2022.
«Ho appreso con una lettera che Heiko von der Leyen ha rinunciato alla nomina», dice a Domani Rosario Rizzuto, ex rettore dell’università di Padova e oggi presidente di uno dei progetti più promettenti tra quelli finanziati coi fondi del Pnrr, il Centro nazionale di ricerca “Sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a Rna”.
Si tratta di un polo di ricerca e sviluppo che farà da traino a farmaci di nuova generazione. Tra i privati coinvolti nel progetto ci sono anche colossi globali del farmaco come Pfizer, BioNTech, AstraZeneca, Sanofi, e c’è pure – tuttora – Orgenesis, per la quale lavora il marito della presidente della Commissione europea.
Heiko von der Leyen, che con l’etichetta di “direttore medico” figura nel team di gestione di Orgenesis, aveva attirato le attenzioni della stampa italiana ed estera perché il suo nome figurava nel comitato di sorveglianza del progetto finanziato con il Pnrr.
Il first gentleman dell’Ue ha quindi espunto il suo nome da quella lista. «Ho saputo che ha rinunciato all’incarico tramite una lettera, nella quale non fornisce una motivazione», racconta Rizzuto.
Quel cognome, von der Leyen, finito dentro un progetto finanziato coi fondi europei, ha suscitato scalpore.
La presidente della Commissione europea è già nell’occhio del ciclone per aver negoziato con Pfizer a colpi di messaggini e telefonate, il che ha scatenato un’indagine della procura europea.
Le dimissioni del marito dal comitato di sorveglianza possono essere lette come una scelta di opportunità, ma in termini di sostanza contano poco: non implicano che l’azienda Orgenesis sia fuori dal progetto, né che von der Leyen (Heiko) sia fuori dall’azienda.
Anzi, visto che ora il comitato di sorveglianza ha 16 membri invece dei 17 previsti, non è da escludere che il nuovo nome non arrivi da Orgenesis stessa.
L’azienda «biotecnologica globale che opera per sbloccare il potenziale delle terapie cellulari e geniche», come da sua definizione, ha il quartier generale nel Maryland, negli Stati Uniti, ma ha già una presenza italiana.
Risale a fine marzo 2021 l’annuncio di un accordo di collaborazione con l’ospedale Bambino Gesù di Roma per lo sviluppo di un centro per la terapia cellulare e genica.
Cosa ci fa una «azienda globale» dentro un progetto finanziato col Pnrr? «Il requisito è che le aziende abbiano una sede operativa italiana», risponde Rizzuto; e a quanto pare Orgenesis, come pure Pfizer, ha questo requisito.
Ed è proprio il gancio con il Bambino Gesù che porta l’azienda per la quale lavora il marito di von der Leyen dentro il contenitore di Padova.
Per la precisione, Orgenesis è coinvolta nello “spoke 10” delle terapie geniche – lo hub scientifico si sviluppa in varie diramazioni – che ha tra i referenti scientifici competenti Franco Locatelli, direttore del dipartimento di oncoematologia pediatrica del Bambino Gesù, nonché presidente del Consiglio superiore di sanità e membro del Comitato tecnico scientifico.
Resta da spiegare in cosa consiste il progetto e perché ha attirato i colossi farmaceutici oltre che Orgenesis.
Il punto dirimente non sono tanto i finanziamenti pubblici diretti: spiega il presidente che «alle compagnie private vanno solo quattro dei 320 milioni» di fondi pubblici, e a Orgenesis nello specifico «va un millesimo, visto che riceve 380mila euro, e deve peraltro versarne 250mila come contributo per essere parte della fondazione».
Il vero investimento è stare dentro un processo di ricerca e sviluppo finanziato con fondi pubblici, ma che è proiettato verso i farmaci del futuro.
Gli “spoke”, le diramazioni del centro, lavorano su malattie genetiche, neurodegenerative (alzheimer, parkinson), metaboliche e cardiovascolari (come il diabete), infiammatorie e infettive (il Covid ha mostrato quanto questo ramo possa essere cruciale).
L’obiettivo del centro per lo sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia rna è «prendere una conoscenza scientifica consolidata e farla diventare un nuovo progetto di farmaco», come dice il presidente stesso.
I farmaci del futuro saranno sempre più mirati, di conseguenza si rivolgeranno a gruppi di pazienti sempre più piccoli, e perciò il processo diventa più costoso.
Lo hub che ha il suo perno a Padova inizia i lavori con fondi pubblici e con le eccellenze della ricerca italiana: ci sono 25 enti pubblici del sistema universitario, centinaia di ricercatori; partecipano sette istituti italiani di tecnologia; partecipano anche Humanitas, San Raffaele, Bambino Gesù, fondazione Telethon.
Ma ci sono anche una grande banca, Intesa San Paolo, e sedici aziende. Perché AstraZeneca, BioNTech, Pfizer, Orgenesis oltre che aziende della farmaceutica italiana sono dentro?
Lo schema, già visto coi vaccini anti covid in sede europea, è stato il finanziamento pubblico – anche dell’Ue – alla ricerca e allo sviluppo, ma poi un acquisto dei farmaci gestito “senza sconti” dal pubblico. Chi blinderà le conquiste del centro, e come?
Il primo novembre lo hub inizia le sue attività eppure questo fronte resta scoperto. Anche se formalmente gli enti pubblici sono la maggioranza sui 49 enti coinvolti, i privati fanno parte sia della fondazione, che del comitato di gestione e di quello di sorveglianza (dal quale si è ora dimesso von der Leyen).
Attualmente allo hub arrivano 320 milioni di contributo dal ministero dell’università e ricerca (la missione del Pnrr è quella relativa a istruzione e ricerca, appunto) e meno di nove milioni di cofinanziamento privato.
Una volta che si sarà arrivati a due passi dal prototipo di farmaco, fare il passo finale «sarà compito delle spin off che nasceranno o delle licenze che saranno date a chi acquisisce la nuova proprietà intellettuale», spiega Rizzuto.
E chi la acquisirà? «Sicuramente chi la ha generata, ma quello che dobbiamo ancora disegnare è come il centro che si è costituito ne avrà uno spicchio in modo da poter reinvestire». Insomma, di certo ci sono i fondi pubblici per la ricerca e lo sviluppo; ma sui farmaci del futuro, c’è ancora molto da definire. Perciò Big Pharma guarda a Padova con molta attenzione.
Michela Nicolussi Moro per corrieredelveneto.corriere.it il 18 ottobre 2022.
Mentre la moglie, prima donna presidente della Commissione europea, deve vedersela, tra gli altri mille impegni, con la grana dell’acquisto e della distribuzione dei vaccini anti-Covid, lui partecipa a un progetto di ricerca fondamentale per la salute pubblica, affidato all’Università di Padova. Heiko von der Leyen, appunto consorte di Ursula, medico e direttore scientifico della società biotech statunitense Orgenesis, specializzata in terapie cellulari e geniche e in prima linea proprio nella realizzazione dei vaccini anti-Covid a Rna, siede nella Fondazione creata l’8 giugno scorso dall’Ateneo padovano per gestire il filone di ricerca su terapia genica e farmaci a Rna.
Un piano finanziato dal Pnrr con 320 milioni di euro corrisposti al ministero dell’Università e coordinato dal professor Rosario Rizzuto. Il 30 settembre si è svolta a Padova, in modalità telematica, l’assemblea ordinaria dei membri della Fondazione «Centro nazionale di ricerca e sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a Rna», che ha appunto eletto i rappresentanti dei suoi organi di governo.
Collaborazione pubblico-privato
«Le istituzioni pubbliche e private che partecipano al progetto hanno scelto i propri rappresentanti per il Consiglio di sorveglianza e per il Consiglio di gestione della Fondazione e la Orgenesis ci ha indicato Heiko von der Leyen — spiega il professor Rizzuto, ricercatore, docente di Patologia generale e già rettore —. È stato nominato nel Consiglio di sorveglianza, che periodicamente verificherà la condotta e l’operato del Consiglio di gestione, responsabile dell’amministrazione del centro di ricerca e delle scelte operative e da me presieduto».
E anche per rispondere alle polemiche dei no vax, che puntano il dito sulla presenza di von der Leyen perché esponente di «una delle imprese di Big Pharma a cui viene consentito l’accesso a ingenti risorse del Pnrr», lo scienziato precisa: «Gran parte del finanziamento ottenuto, cioè 316 milioni di euro, va agli enti di ricerca pubblici, gli altri 4 ai privati partecipanti, perché le indicazioni contenute nel bando di concorso prevedono una collaborazione tra pubblico e privato.
L’obiettivo è di costruire una filiera di ricerca e innovazione che permetta all’Italia di essere competitiva nelle tecnologie su cui si basano cure sempre più mirate, sia per le patologie ad alto impatto socio-economico sia per le malattie rare, spesso trascurate dall’ottica del profitto. La ricaduta sarà non solo una crescita economica basata su innovazione e sapere, ma anche una rinnovata capacità del Sistema sanitario nazionale di sviluppare e detenere le tecnologie indispensabili a curare, in modo economicamente sostenibile, tutti i cittadini con farmaci di ultima generazione».
I partner
Il programma di ricerca viene sviluppato attraverso una struttura formata da un Hub, appunto l’Università di Padova, e da Spoke, 49 soggetti tra cui gli Atenei di Siena, Modena, Roma e Milano, l’Istituto italiano di Tecnologia, l’ospedale Bambin Gesù di Roma, con il professor Franco Locatelli, e tre aziende. La padovana «Stevanato Group», che si occupa di biomedicale, la casa farmaceutica «Sanofi» e la bresciana «Antares Vision spa», operativa nel settore di rilevazione e marcatura prodotti. Von der Leien rappresenta una delle aziende coinvolte nel progetto, che possono essere «fondatori», e allora ricevono 200mila euro di contributi l’anno e hanno i propri rappresentanti in entrambi i consigli, o «sostenitori», senza contributi. La Orgenesis fa parte del primo gruppo.
Farmaci costosi, meglio «farli in casa»
«Abbiamo nominato anche un Comitato scientifico internazionale, per discutere le applicazioni e l’avanzamento dei progetti di ricerca, già selezionati quest’estate e inviati al Mur, che li ha valutati con un panel di revisori internazionali — illustra Rizzuto —. Sono poi stati scelti i gruppi di ricerca. Il progetto dura tre anni e prevede lo sviluppo di nuovi farmaci a Rna attraverso una rendicontazione attenta al ministero, che valuterà passo passo le spese sostenute.
Come detto, l’obiettivo è di rendere l’Italia competitiva nella produzione dell’ultima frontiera dei farmaci, in grado di colpire bersagli sempre più mirati a seconda dello stato della malattia nel singolo, quindi indirizzati a sviluppare la medicina personalizzata. Si tratta di prodotti dai costi sempre più elevati, quindi se il nostro Paese non li produrrà da sè, sarà costretto a comprarli, affrontando una spesa altissima per il Sistema sanitario nazionale — avverte il ricercatore —. Con la ricaduta che poi qualche paziente potrebbe essere escluso dalle nuove cure e non è accettabile».
Gli altri centri finanziati con il Pnrr
L’Università di Padova è uno dei cinque centri a cui sono andati i fondi del Pnrr. Gli altri sono il Politecnico di Milano, che si occuperà di Mobilità sostenibile; l’Università Federico II di Napoli per l’Agroalimentare; il Cnr nazionale sul fronte delle Biodiversità; e l’Istituto nazionale di Fisica nucleare per il Computing di alta efficienza.
Emergenza Covid x files. Redazione L'Identità il 15 Ottobre 2022
Se sarà una tempesta in un bicchier d’acqua lo scopriremo solo vivendo, ma la notizia c’è, eccome. Janine Small, alta rappresentante della Pfizer (si occupa dell’area commerciale e delle relative connessioni internazionali) è stata ascoltata nel corso di un’audizione, a porte chiuse, al Parlamento europeo. Era presente in luogo dell’amministratore delegato della grande casa farmaceutica, Albert Bourla, il quale aveva declinato la convocazione. Ebbene, le è stato chiesto di riferire se il noto vaccino a mRNA Comirnaty fosse stato testato, prima dell’immissione in commercio, sulla prevenzione della trasmissione del virus oltre che su quella della malattia.
A precisa domanda di Rob Roos, deputato del partito conservatore Erc (European conservatives and reformists), la signora Small ha testualmente risposto: “Mi chiede se sapevamo se il vaccino interrompesse o no la trasmissione prima di immetterlo sul mercato? Ma no! Sa, dovevamo davvero muoverci alla velocità della scienza”. Al sorprendente responso ha dato ampio risalto, nella giornata di ieri, il quotidiano. E ne discende una domanda altrettanto provocatoria di quella con cui la Small ha replicato a Rob Roos: si è resa conto, la dirigente di Pfizer, delle conseguenze potenzialmente esplosive (anche, se non soprattutto, sul piano giuridico) delle sue affermazioni? Probabilmente no, considerato il tono ilare e stupefatto con cui la nostra ha pronunciato quelle parole.
Eppure, la storia di quanto accaduto negli ultimi due anni avrebbe dovuto farle immaginare lo scalpore successivo. Infatti, tutta la campagna non solo vaccinale ma di plurime misure emergenziali del periodo pandemico (green pass in primis) è stata impostata sulla base di convinzioni opposte rispetto a quanto rivelato in audizione. E cioè sul presupposto che il vaccino anti-Covid fosse idoneo a impedire la catena dei contagi. Solo questo “antecedente” fattuale, scientifico, legale, e financo logico, può costituire una ratio adeguata all’imposizione del green pass a categorie sempre più ampie di lavoratori e a un numero via via crescente di luoghi, situazioni, circostanze. Togliendolo, viene meno la giustificazione dell’impalcatura di comandi, divieti, discriminazioni “legittime” introdotte con le misure emergenziali del biennio scorso. A traballare potrebbe essere persino l’ammissibilità dell’obbligo vaccinale per i sanitari se è vero, come è vero, che il Decreto legge 44/2021 istitutivo del medesimo era finalizzato, testualmente, alla “prevenzione del contagio da Covid-19”. Oppure si pensi al decreto 52 istitutivo del cosiddetto green-pass mirante a “contenere e contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19”.
Ora, spostiamo lo sguardo sul futuro. Più precisamente, verso i prevedibili esiti di tale “spensierata” rivelazione sul piano del diritto e su quello della politica. Sotto il primo aspetto, potrebbe conseguirne un’ondata di azioni giudiziarie, ai più diversi livelli, intentate da tutti coloro i quali hanno patito danni, patrimoniali e non, anche ingenti per effetto delle misure di cui sopra: dalla sospensione dello stipendio alla perdita del lavoro nella sfera professionale, dalla compromissione dei diritti civili fondamentali a più gravi ricadute psicologiche sul piano esistenziale in senso lato. E potrebbe anche discenderne l’innesco di iniziative giudiziarie penali in considerazione dell’importanza dei diritti compromessi e della gravità dei pregiudizi derivati. Ma la dimensione politica di questo vero e proprio “caso” ha profondità persino più vaste e, al momento, insondabili. Quale potrebbe, anzi quale dovrebbe essere l’impatto di tale “confessione” sulle istituzioni che, a vario titolo, hanno promosso o assecondato ogni singola misura dettata dal fallace convincimento mandato in frantumi dalle dichiarazioni della Small? Ovviamente, tutto dipenderà dalla “consapevolezza” dei cosiddetti decision makers: essi erano al corrente di quanto asserito dalla rappresentante di Pfizer? E se sì, da quando? E se no, può applicarsi a tale vicenda il noto principio del “non potevano non sapere” già impiegato in vicende altrettanto gravi del nostro passato? Mille sono le sfumature di grigio tra una condotta innocente e una colposa e altrettante tra una colposa e una dolosa. In questa storia, insomma, ricorrono tutte le premesse per una tempesta. E forse non in un bicchier d’acqua.
Vaccini mai testati sulla trasmissione: l’ammissione di Pfizer sbugiarda media e autorità. Enrica Perucchietti su L'Indipendente il 13 ottobre 2022.
Lunedì, al Parlamento europeo, si è svolta l’audizione di Janine Small, presidente della sezione della Pfizer dedicata allo sviluppo dei mercati internazionali. Al suo posto ci sarebbe dovuto essere Albert Bourla, amministratore delegato della casa farmaceutica, per rispondere a domande scomode riguardo alle modalità di stipulazione dei contratti e per chiarire la questione sui messaggi privati che si era scambiato con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.
Nonostante la defezione di Bourla e l’irritazione di Kathleen Van Brempt, presidente della Commissione, non è mancato un colpo di scena. Rob Roos, eurodeputato olandese del Gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei, ha rivolto alla Small una domanda secca, prendendola in contropiede. «Il vaccino Pfizer Covid è stato testato per fermare la trasmissione del virus prima che entrasse nel mercato?». Small ha risposto con un sorriso beffardo: «Mi chiede se sapevamo che il vaccino interrompesse o no la trasmissione prima di immetterlo sul mercato? Ma no. Sa, dovevamo davvero muoverci alla velocità della scienza».
La dichiarazione della dirigente di Pfizer è diventata virale, in verità più sui social che non sui media mainstream, che alla notizia hanno dedicato poca o nulla attenzione, se non con goffi tentativi di debunking come nel caso del giornale Open.
L’ammissione di Small sgretola definitivamente le basi scientifiche sulle quali si poggiavano i Decreti Legge sull’introduzione del green pass e dell’obbligo vaccinale. Ha inoltre dimostrato come fosse infondato il paternalismo con cui si è inculcato nei cittadini un presunto dovere civico a vaccinarsi per non far ammalare le altre persone (Licia Ronzulli: «Chi non si vaccina è un irresponsabile, egoista e opportunista»).
Ora è definitivamente certificato che la dichiarazione del luglio 2021 fatta da Mario Draghi a supporto dell’introduzione del green pass come «garanzia di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose» era una bufala. Ancora il 15 dicembre 2021 a Montecitorio, Draghi ribadiva il concetto, invitando a sottoporsi alla terza dose: «Vaccinarsi è essenziale per proteggere noi stessi, i nostri cari, la nostra comunità. Ed è essenziale per continuare a tenere aperta l’economia, le scuole, i luoghi della socialità, come siamo riusciti a fare fino ad ora».
Come accennato, inutile il tentativo di debunking di Open, per cui “I vaccini non prevengono il contagio, bensì le forme gravi di Covid”. La narrazione mainstream, volta a convertire l’opinione pubblica sulla strada per gli hub vaccinali, si è per mesi assestata sul mantra che l’efficacia del vaccino fosse quasi totale e che il siero bloccasse la trasmissione del contagio, modificandosi solo alla prova dei fatti nei mesi successivi.
Nel novembre 2020 era stata proprio Pfizer a dichiarare che i primi dati mostravano che il suo vaccino sperimentale aveva un’efficacia di oltre il 90% nel prevenire il Covid-19. «Questo è un momento storico», aveva commentato detto in un’intervista Kathrin Jansen, vicepresidente senior e capo della ricerca e sviluppo sui vaccini presso Pfizer. Secondo Ugur Sahin, co-fondatore di BioNTech, «il vaccino potrebbe impedire a oltre il 90% delle persone di contrarre il Covid-19». La notizia era stata commentata con entusiasmo da Joe Biden, Anthony Fauci e Rochelle Walensky, direttrice del CDC, secondo cui i vaccini anti-Covid «riducono il rischio di infezione del 91% per le persone completamente vaccinate».
L’idea che il vaccino bloccasse il contagio è stata promossa dalla politica che su questo falso pilastro ha costruito un sistema di misure draconiane. Su queste false premesse scientifiche si è poi indotta la criminalizzazione dei non vaccinati (Pierpaolo Sileri: «Renderemo difficile la vita ai no vax, sono pericolosi»; Giuliano Cazzola: «Serve Bava Beccaris, vanno sfamati col piombo»; Matteo Bassetti: «Vanno trattati come tali, sono un movimento sovversivo, sono dei terroristi») e la patologizzazione del dissenso (Umberto Galimberti: « I no vax sono pazzi e vanno curati»). Ai renitenti all’inoculazione sono state così addossate tutte le colpe della società e si è auspicato persino di far loro pagare le cure in caso di ricovero ospedaliero.
I media hanno alimentato questa spirale di violenza (ad esempio il direttore di Domani, Stefano Feltri: «Escludiamo chi non si vaccina dalla vita civile»), invitando a stanare i dissidenti e ancorando nell’opinione pubblica l’idea che un non vaccinato fosse malato e un pericoloso untore. Ora, grazie all’ammissione di Janine Small, questo castello di menzogne sta definitivamente crollando. [di Enrica Perucchietti]
Vaccino, schiaffo di Pfizer all'Europa. Il ceo Bourla si rifiuta di testimoniare sugli sms con von der Leyen. Dario Martini su Il Tempo il 02 ottobre 2022
Il numero uno di Pfizer, Albert Bourla, si rifiuta di comparire in audizione al Parlamento europeo. La belga Kathleen Van Brempt, presidente della commissione speciale che indaga sugli acquisti dei vaccini contro il Covid, non può far altro che esprimere «profondo rammarico». L'amministratore delegato del colosso farmaceutico americano era atteso per il 10 ottobre. Sarebbe stata l'occasione perfetta per scoprire cosa c'era scritto negli sms che a inizio 2021 si scambiò con la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, prima del terzo contratto da 1,8 miliardi di dosi.
Un fatto a dir poco irrituale, in barba alle norme di trasparenza che regolano trattative di questo tipo. Come riporta Politico.eu, il portavoce dell'azienda che produce il siero Comirnaty ha fatto sapere che all'audizione in Commissione, al posto di Bourla, interverrà Janine Small, responsabile del gruppo per lo sviluppo dei mercati internazionali. Non sarà la stessa cosa, dal momento che solo Bourla può fare chiarezza sui messaggi privati ricevuti da von der Leyen. Anche lei si è sempre trincerata dietro il più assoluto silenzio, nonostante che sul caso si sia attivato anche il Mediatore europeo (Ombudsman) Emily ÒReilly, che ha chiesto ripetutamente alla Commissione di produrre quei messaggi.
Lo scorso giugno, quando non era più possibile evadere tale richiesta, la Commissione ha fatto sapere di essere impossibilitata a consegnarli per il semplice fatto che non sono stati conservati. L'Ombudsman si è dovuto accontentare di questa spiegazione: «Quando un documento redatto o ricevuto dalla Commissione non contiene informazioni importanti e/o è effimero e/o non ricade nella sfera istituzionale di responsabilità dell'istituzione, non soddisfa i criteri per la registrazione e, pertanto, non viene registrato. Tali documenti effimeri non vengono conservati e, di conseguenza, non sono nelle disponibilità dell'istituzione». Nei giorni scorsi è intervenuta anche la Corte dei conti Ue, secondo cui la Commissione «non ha rispettato le procedure in uso per i contratti».
Nella sua ultima relazione l'organismo di controllo comunitario ha sollevato il dubbio che siano stati acquisti 1,4 miliardi di vaccini di troppo, costati in media 15 euro l'uno. In tutto la Ue ha comprato 4,6 miliardi di dosi, con contratti di «acquisto anticipato» e un esborso di 71 miliardi di euro. Le dosi consegnate da Pfizer sono 2,4 miliardi, di cui 1,8 sarebbero proprio quelle concordate «privatamente» tra von der Leyen e Bourla, quindi al di fuori delle consuete e regolari procedure. La Lega ha presentato diverse interrogazioni per cercare di arrivare alla verità. Ancora oggi continua nella sua battaglia. Per l'europarlamentare Stefania Zambelli, componente della commissione speciale sul Covid, quello di Bourla è «l'ennesimo episodio di una storia piena di lati oscuri». «Prima il caso dello scambio degli sms, in piena pandemia, per negoziare accordi commerciali: messaggi di testo ancora oggi tenuti nascosti, nonostante le richieste del Mediatore europeo, con un atteggiamento vergognoso e del tutto sprezzante della tanto decantata trasparenza da parte delle istituzioni, biasimato anche dalla Corte dei Conti Ue. Dopo il silenzio di von der Leyen, Bourla aveva l'opportunità di fare chiarezza al Parlamento europeo, ma ha preferito svignarsela. Perché tutti questi segreti? Cos' hanno da nascondere ai cittadini europei?».
Contratti sui vaccini: il presidente di Pfizer rifiuta di comparire al Parlamento europeo. Giorgia Audiello su L'Indipendente il 4 Ottobre 2022.
Il presidente di Pfizer, Albert Bourla, ha fatto sapere che non comparirà all’audizione presso il Parlamento europeo prevista il prossimo 10 ottobre e indetta dalla Commissione speciale europea che sta indagando sulla trasparenza delle procedure contrattuali inerenti ai vaccini anti-Covid 19. Bourla non ha fornito dettagli sulla sua scelta di non presentarsi in audizione: quello che si sa è che avrebbe dovuto rispondere a domande scomode riguardo alle modalità di stipulazione dei contratti. Nella vicenda risulta coinvolta anche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che, insieme al numero uno di Pfizer, sembrerebbe non avere rispettato le procedure negoziali standard adottate per la stipula di altri accordi. Il che ha attirato l’attenzione di due organi di vigilanza che stanno indagando sui fatti: l’Ombudsman europeo, guidato da Emily O’Reilly, e la Corte dei conti Ue.
Il rapporto della Corte dei conti europea ha rilevato, infatti, che la von der Leyen sarebbe stata coinvolta direttamente nei negoziati preliminari per il più grande contratto europeo sui vaccini anti-Covid 19, il quale prevedeva la fornitura di 1,8 miliardi di dosi, mentre la procedura negoziale generalmente seguita prevede colloqui esplorativi condotti da una squadra negoziale congiunta composta da funzionari della Commissione e dei Paesi membri. Oltre a ciò, la Commissione ha rifiutato di fornire le prove delle trattative con Pfizer, tra cui i verbali e, soprattutto, i messaggi di testo scambiati tra la von der Leyen e Bourla in vista del terzo contratto da 1,8 miliardi di dosi. La Commissione ha detto di non poterli consegnare al comitato d’inchiesta, in quanto sarebbero stati cancellati.
La questione degli sms era stata sollevata nell’aprile del 2021, quando il New York Times aveva riferito lo scambio di messaggi tra la von der Leyen e Bourla e la relativa richiesta di renderli pubblici. Quando Bruxelles ha fatto sapere di non poterli rendere accessibili poiché non erano stati conservati, è stata effettuata una denuncia presso il mediatore europeo, giustificata dal fatto che gli sms rientrano nel concetto di “documento”, previsto dal regolamento 104/2001. Nell’audizione prevista il prossimo 10 ottobre, dunque, il presidente di Pfizer avrebbe dovuto chiarire questo e altri aspetti, ma il portavoce dell’azienda farmaceutica ha fatto sapere che al suo posto interverrà Janine Small, responsabile del gruppo per lo sviluppo dei mercati internazionali. Tuttavia, non sarà la stessa cosa, dal momento che solo Bourla può fare chiarezza sui messaggi privati ricevuti da von der Leyen. Anche quest’ultima, del resto, non si è espressa sull’argomento, trincerandosi dietro un sospetto “silenzio stampa”, nonostante il mediatore europeo, Emily ÒReilly, abbia fatto pressione per avere chiarimenti in merito.
Dal canto suo, la belga Kathleen Van Brempt, presidente della commissione speciale che indaga sugli acquisti dei vaccini anti-Covid, ha riferito a Politico di essere «profondamente rammaricata» per la decisione di Bourla di non testimoniare in Parlamento europeo. Ancora una volta, dunque, non ci sarà probabilmente la possibilità di fare luce su una questione della massima importanza che riguarda tutti i cittadini europei e che rischia di trasformarsi in una valanga per gli attori direttamente coinvolti nella vicenda, i quali sembrano voler sfuggire alle loro responsabilità, rendendo così ancora più grave e sospetta la loro posizione.
Ursula Von der Leyen e Pfizer, esplode il caso dei messaggi spariti. Dario Martini (Il Tempo): "Non verranno mai trovati". Il Tempo il 02 luglio 2022
Gli sms della trattativa tra Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea, e Alberto Bourla, amministratore delegato di Pfizer, per l’acquisto del vaccino contro il Covid-19 sono spariti nel nulla. Secondo uno scoop del New York Times dell'aprile 2021 gran parte della trattativa per l'acquisto dei sieri per l'Europa era avvenuto attraverso uno scambio di sms (anche Whatsapp) tra la presidente von der Leyen e l'ad della casa farmaceutica Bourla.
Il caso della scomparsa dei messaggi è stato trattato sulle pagine de Il Tempo dal giornalista Dario Martini, che è stato intervistato da Radio Radio nel corso della trasmissione Lavori in Corso: “Secondo me questi messaggi non verranno mai trovati, considerando quello che è successo negli ultimi mesi: se avessero voluto, li avrebbero fatti uscire subito.
All’inizio sembrava che la Commissione europea cadesse dalle nuvole, poi aveva ammesso che la Presidente aveva scambiato dei messaggi con Bourla, senza però tirarli mai fuori. Ora la Commissione stessa dice che sono scomparsi e che non sarebbero mai stati registrati. Basterebbe che chiedessero a Von der Leyen se li ha conservati sul suo telefono, no? Non c’è per niente chiarezza”.
“Bisogna anche pensare - dice ancora Martini - in che periodo eravamo. Era il 2020 e la Commissione europea stava cercando in tutti i modi di preparare le scorte per vaccinare la maggior parte della popolazione. C’erano varie aziende che stavano lavorando a questo, Pfizer era una tra queste, ma c’erano anche Astrazeneca, Johnson & Johnson e Moderna. Erano trattative importanti per assicurare sia il farmaco migliore sia le condizioni economiche più vantaggiose. C’era proprio un tema di concorrenza tra vari colossi farmaceutici per arrivare per primi al traguardo. Come sappiamo, Pfizer è arrivata per prima. Poi c’è stato il caso di Astrazeneca, che in Gran Bretagna è stato usato ampiamente, mentre nell’Unione europea è stato accantonato dopo qualche mese. Astrazeneca che, tra l’altro, costava pochissimo rispetto a Pfizer. Capire come sono state condotte le trattative è fondamentale e il difensore civico europeo voleva proprio capire quello ‘come sono stati stipulati questi contratti?’ Sarebbe bene avere trasparenza su questo”.
“Che poi, mettiamo che i messaggi siano stati veramente cancellati, in fondo erano privati, almeno la Presidente avrebbe potuto dare spiegazioni, cosa che non ha mai fatto. Questo è - chiosa Martini - un altro segnale che mi fa pensare che non ne sapremo mai il contenuto“.
Vaccino, scomparsi i messaggi tra Ursula von der Leyen e il Ceo Pfizer. Il caso scuote l'Ue. Il Tempo il 29 giugno 2022
La Commissione Europea non ha conservato e quindi non ha fornito i messaggi di testo che si sono scambiati la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e il Ceo di Pfizer Albert Bourla dal primo gennaio 2021 in poi, quando l’Ue lottava per avere i vaccini necessari a immunizzare la popolazione contro la Covid-19 e ci è riuscita solo grazie al colosso farmaceutico Usa.
A chiederli era stato un giornalista che lavora a Bruxelles, dopo averne letto sul New York Times, facendo una regolare richiesta di accesso agli atti, che gli era stata negata. Insoddisfatto della risposta, il cronista si è rivolto all’Ombudsman europeo, Emily ÒReilly, che ha chiesto alla Commissione di produrre quei messaggi. Ora la Commissione ha risposto all’Ombudsman che «quando un documento redatto o ricevuto dalla Commissione non contiene informazioni importanti e/o è effimero e/o non ricade nella sfera istituzionale di responsabilità dell’istituzione, non soddisfa i criteri per la registrazione e, pertanto, non viene registrato. Tali documenti effimeri non vengono conservati e, di conseguenza, non sono nelle disponibilità dell’istituzione».
Il mediatore aveva chiesto al gabinetto della presidente della Commissione di identificare solo i documenti che soddisfano i suoi criteri di registrazione. In quanto tale, il gabinetto della presidente della Commissione non era tenuto a identificare alcun messaggio di testo e la Commissione non ha pertanto valutato se tali messaggi dovessero essere divulgati. Il mediatore ritiene che ciò costituisca cattiva amministrazione e che la risposta fornita «non sia soddisfacente». Per far fronte a ciò, ha raccomandato alla Commissione di chiedere al gabinetto di von der Leyen di cercare nuovamente i messaggi pertinenti, chiarendo che la ricerca non dovrebbe essere limitata ai documenti registrati o ai documenti che soddisfano i suoi criteri di registrazione. La decisione finale verrà pubblicata nelle prossime settimane, con un’analisi dettagliata. Ma il caso è destinato ad esplodere già nelle prossime ore.
Ombre su Ursula Von der Leyen e il vaccino: quei messaggi nascosti con l'ad di Pfizer. Il Tempo il 19 settembre 2021
Uno scandalo rischia di minare la posizione di Ursula Von der Leyen e il suo lavoro sull’approvvigionamento di vaccini contro il Covid. L'Ombudsman, il difensore civico dell'Unione europea, Emily O’Reilly ha chiesto di far luce sullo scambio di messaggi tra la presidente della Commissione Europea e Albert Bourla, amministratore delegato di Pfizer, azienda che fornisce il vaccino più utilizzato all’interno del continente che sta cercando di prevalere sul coronavirus.
Il caso, riferito da Politico, è scaturito dopo la pubblicazione di un articolo del New York Times di aprile scorso in cui veniva riferita la notizia di uno scambiato di telefonate e messaggi tra la Von der Leyen e Bourla. Il problema non è sorto tanto per i contatti, ma quando la Commissione ha ricevuto una richiesta di accesso ai messaggi e, stupendo tutti, ha affermato di non averne traccia. Da Palazzo Berlaymont sostengono che gli sms sono generalmente "di breve durata" e in linea di principio esclusi dall'archiviazione. Ma questo rifiuto della Commissione a mostrare i testi dello scambio ha portato a una denuncia al difensore civico che ha aperto un'indagine.
In una lettera alla presidente della Commissione, O'Reilly ha scritto che è "necessario" che il suo team di inchiesta incontri i funzionari e ottenga una spiegazione della "politica della Commissione sulla tenuta dei registri dei messaggi di testo e su come questa politica venga attuata". Il difensore insisterà anche sulla possibilità di ottenere i testi dei messaggi richiesti. E non è il primo possibile grattacapo di questo genere per la Von der Leyen: nel 2019 fu criticata dopo che emerse che un cellulare, ritenuto prova chiave in uno scandalo di appalti al ministero della Difesa tedesca che lei guidava, era stato ripulito.
Vaccino, gli sms segreti tra Ursula von der Leyen e Pfizer. Bufera a Strasburgo, la Lega fa esplodere il caso. Francesco Storace su Il Tempo il 22 febbraio 2022
L’Europa ha acquistato i vaccini dalla Pfizer per mezzo dei messaggini via sms di Ursula Von der Leyen al Ceo dell’azienda americana? Una procedura un po’ inconsueta che sta sotto il tappeto da mesi e che la Lega ha fatto esplodere fragorosamente al Parlamento di Strasburgo. Con un’interrogazione e una richiesta di chiarimento in sede plenaria.
In un comunicato gli europarlamentari Marco Campomenosi (capo delegazione Lega) e Marco Zanni, presidente gruppo Identità e democrazia si esprimono con nettezza: dall’Unione europea “ancora nessuna risposta sulla vicenda dello scambio di sms tra Ursula Von der Leyen e il ceo Pfizer, emersa a seguito di un’inchiesta giornalistica americana e oggetto di critiche anche dallo stesso Mediatore europeo”.
Si parla di un caso che è trattato da molti media internazionali ed è oggetto di dibattito in Europa, ma nel nostro Paese è stato per lo più ignorato. È una questione di trasparenza che riguarda i vertici delle istituzioni europee, non può essere e non deve essere trascurata: “Per questo come gruppo Id torneremo a chiedere di discutere l’argomento in Aula nella prossima plenaria del Parlamento europeo, al fine di fare massima chiarezza e offrire ai cittadini tutte le informazioni necessarie sulla vicenda”.
Già nell'aprile 2021, il New York Times aveva pubblicato un articolo nel quale veniva riportato che la trattativa per l'acquisto dei vaccini Pfizer era avvenuta in buona misura tramite uno scambio di messaggi di testo tra la Presidente della Commissione Europea Von der Leyen e l'Amministratore Delegato della casa farmaceutica Albert Bourla. Spiegava il quotidiano americano, che alla richiesta di aver accesso ai messaggi, la Commissione rispondeva rendendo pubblici una mail, una lettera ed un comunicato ma non faceva accenno ai messaggi.
Recentemente è stato il Mediatore Europeo, Emilie O’Reilly – una sorta di difensore civico dell’Unione - a criticare fortemente la Commissione perché questi rientrerebbero, di fatto, sotto l'ambito di applicazione delle regole europee sulla trasparenza. E la domanda principale degli europarlamentari leghisti è se “la Commissione voglia fare massima chiarezza sulla vicenda e sul contenuto di quei messaggi”. C’è da dire che proprio O'Reilly, il cui compito è quello di responsabilizzare le istituzioni dell'UE, ha affermato che la gestione della richiesta da parte della Commissione è stata di "cattiva amministrazione".
"Il modo ristretto in cui è stata trattata questa richiesta di accesso pubblico significava che non è stato fatto alcun tentativo di identificare se esistessero messaggi di testo", ha affermato in una nota. "Ciò non soddisfa le ragionevoli aspettative di trasparenza e standard amministrativi nella Commissione". Va aggiunto che durante l'indagine del difensore civico, la Commissione ha affermato che "un messaggio di testo o un altro tipo di messaggistica istantanea è per sua natura un documento di breve durata che non contiene in linea di principio informazioni importanti su questioni relative alle politiche, alle attività e alle decisioni della Commissione" e che "la politica di conservazione dei registri della Commissione escluderebbe in linea di principio la messaggistica istantanea".
O'Reilly, tuttavia, ha respinto l'argomentazione della Commissione, rilevando che la legge dell'UE sull'accesso del pubblico ai documenti afferma che la definizione di un documento è "qualsiasi contenuto qualunque sia il suo mezzo ... riguardante una questione relativa alle politiche, attività e decisioni che rientrano nel sfera di responsabilità dell'istituzione”. La stessa Commissione si è impegnata a rispondere al difensore civico europeo entro fine aprile. Ma la Lega pretende maggiore immediatezza: la materia è incandescente.
Lilli Gruber, "il farmaco anti-Covid che nessuno usa". Pesantissimo sospetto. Libero Quotidiano l'01 luglio 2022
"Perché non si sta utilizzando il Paxlovid per curare Omicron?". Lilli Gruber, a Otto e mezzo, pone un interrogativo inquietante al professor Carlo Centemeri, farmacologo e docente all'Università di Milano. "Attenzione, attenzione, attenzione, perché la pandemia di Covid non è finita", ammonisce la Gruber, reduce da 17 giorni di positività e isolamento a casa. Un calvario "burocratico" che per molti altri italiani rischia però di diventare un problema sanitario, alla luce degli allarmati dati dell'ultimo bollettino. I nuovi contagi nelle ultime 24 ore sono stati 83mila, con 60 morti e un tasso di positività schizzato al 28 per cento. Soprattutto, salgono i ricoveri in terapia intensiva e nei reparti ordinari degli ospedali italiani.
E qui la Gruber si chiede: "Esiste un farmaco, il Paxlovid, che aiuta se somministrato entro i primi 5 giorni dalla manifestazione dei sintomi per evitare di avere una reazione grave e finire in ospedale. Mi hanno raccontato che viene prescritto molto poco dai medici. Perché? Pare anche che decine di migliaia di dosi scadranno in autunno, quindi abbiamo buttato un mare di soldi pubblici".
"Ci sono due modi per curare il Covid - precisa il professor Centemeri -. Il primo sono gli anticorpi monoclonali da poter dare subito, perché li abbiamo e li abbiamo comprati. I pazienti fragili possono essere protetti immediatamente da questi cocktail, a differenza del vaccino che sviluppa i suoi effetti dopo qualche giorno. Non lo sta facendo nessuno, e questo è molto grave".
"Seconda questione, farmaci anti-virali. Non solo il Paxlovid: ne abbiamo comprati 600mila cicli di questo prodotto, ora invito a fare una rivalutazione dei criteri per cui si può curare un paziente, perché oggi sono così stretti che sono pochissimi i pazienti su cui lo si può utilizzare".
Covid, salvate quasi 20 milioni di vite in un anno con i vaccini. Fabio Di Todaro su La Repubblica il 24 giugno 2022.
I dati, raccolti da dicembre del 2020 allo stesso mese del 2021, pubblicati su The Lancet Infectious Diseases
Quasi venti milioni di vite salvate in un solo anno: da dicembre del 2020 allo stesso mese dello scorso anno. I vaccini hanno impresso una spallata decisiva alla pandemia, riducendo in primo grado i casi gravi di Covid-19. L'evidenza, già portata alla luce da diversi studi condotti su base nazionale, trova conferma in un lavoro pubblicato sulla rivista The Lancet Infectious Diseases.
Over dosi.
Report Rai PUNTATA DEL 20/06/2022 di Manuele
Bonaccorsi e Lorenzo Vendemiale.
Con il calo dei contagi e l’avvicinarsi dell’estate,
la campagna vaccinale è entrata in una fase di stallo.
Quasi l’85% della popolazione, del resto, ha già ricevuto la terza dose, mentre
la quarta è riservata al momento solo alle categorie più deboli. L’Italia, però,
continua a comprare vaccini. Report ha scoperto il numero esatto di dosi
acquistate dal nostro Paese: è una cifra enorme, che rischia di superare di
molto il fabbisogno effettivo, e andare sprecata. Ma non è un problema solo
italiano, tutto il continente si ritrova nella stessa situazione. Infatti, in
Europa sta per scoppiare il caso dei vaccini anti-Covid, con una fronda di Paesi
critici guidati dalla Polonia che punta a rompere i contratti miliardari con le
case farmaceutiche.
OVER DOSI di Manuele Bonaccorsi e Lorenzo Vendemiale immagini Chiara d’ambros e Fabio Martinelli montaggio Maurizio Alfonso grafiche Giorgio Vallati
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Pratica di Mare, alle porte di Roma, è una delle più grandi basi militari d’Europa. Con i suoi 830 ettari di hangar, piste di atterraggio, magazzini, caserme, è il centro nevralgico della logistica per le forze armate italiane.
MANUELE BONACCORSI Questi container sono frigoriferi?
DANIELE PORELLI – AERONAUTICA MILITARE Sì, sono tutti frigoriferi. I Pfizer sono tutti qui al centro, hanno tutti -80 gradi. All'interno di questo container abbiamo i Novavax. E qua moderna e praticamente tutti moderna.
MANUELE BONACCORSI Posso? Brr, il freddo! Che temperatura è lì?
DANIELE PORELLI – AERONAUTICA MILITARE Questo qua è -21
MANUELE BONACCORSI Ah, -21
LORENZO VENDEMIALE Però d’estate si sta bene qua dentro
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Qui le case farmaceutiche spediscono le dosi, che vengono poi impacchettate in speciali scatole refrigerate e inviate secondo le necessità alle regioni. Nel culmine dell’emergenza c’erano spedizioni giornaliere. Invece adesso…
DANIELE PORELLI – AERONAUTICA MILITARE Adesso, invece, per il fatto che comunque le vaccinazioni sono diminuite, parliamo di magari di una spedizione più o meno ogni due settimane.
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Le consegne da parte delle case farmaceutiche però non si fermano. E il magazzino continua a riempirsi.
DANIELE PORELLI – AERONAUTICA MILITARE Più o meno una volta a settimana ci sono degli arrivi
MANUELE BONACCORSI E quante ce ne sono qua dentro?
DANIELE PORELLI – AERONAUTICA MILITARE Per il 50% al momento della capacità.
MANUELE BONACCORSI Quindi qui ci sono 15 milioni di dosi di vaccino.
DANIELE PORELLI – AERONAUTICA MILITARE Eh circa sì, al momento sì
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Ma per quale motivo non si fermano le consegne?
VINCENZO SMALDORE - OPENPOLIS Non si è tenuti a monitorare l'esito o l'andamento di quel contratto. Quindi non sappiamo le forniture a che punto sono, Non sappiamo il consegnato
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Tramite un accesso agli atti, Report è riuscito a scoprire il numero esatto di dosi acquistate dal nostro Paese: come risulta da questo documento firmato dal generale Tommaso Petroni, che ha raccolto l’incarico dall’ex commissario Figliuolo, per il solo anno 2022 l’Italia ha comprato 138 milioni di dosi, che si sommano ai 180 milioni dell’anno scorso. Una cifra enorme, sufficiente a rivaccinare per altre due volte l’intera popolazione. Ma nel nostro Paese attualmente le somministrazioni sono crollate intorno alle 50mila a settimana, e nei centri vaccinali, un tempo teatro di file chilometriche, oggi c’è il deserto.
ANZIANO Io sono venuto qui per vedere se fanno la quarta dose del vaccino Pfizer
ANZIANA Io uguale. Se lo fanno eh.
ANZIANO La signora uguale
MARIAROSARIA NAPPI – RESPONSABILE HUB SANTA MARIA DELLA PIETÀ (ROMA) Accomodatevi che c'è il sole. MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO L’83% della popolazione italiana ha già ricevuto la terza dose. Quanto alla quarta, ad oggi la raccomandazione dell’Ema è di somministrarla solo alle categorie a rischio
ANDREA CRISANTI – PROFESSORE MICROBIOLOGIA UNIVERSITÀ PADOVA Considerando l'andamento della diffusione del virus adesso probabilmente arriveremo a settembre ottobre, che la maggior parte della popolazione italiana, si è infettata e guarita. E quindi non credo che si andrà incontro a una vaccinazione di massa con la quarta dose
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Che farsene allora dei 138 milioni di dosi comprate dall’Italia? Restano mesi nei frigoriferi, non solo nell’hub di Pratica di mare, ma anche in quelli regionali. Qui siamo in uno dei depositi della regione Lazio.
SILVIA CALDARINI – DIRETTORE FARMACIA TERRITORIALE ASL ROMA1 Questo è il Nuvaxovid tanto atteso ma poco utilizzato.
MANUELE BONACCORSI In che senso poco utilizzato?
SILVIA CALDARINI – DIRETTORE FARMACIA TERRITORIALE ASL ROMA1 È un vaccino che deve essere utilizzato per le prime e seconde dosi. Quando è stato disponibile in commercio, il 93% della popolazione aveva già fatto prima e seconda dose
MANUELE BONACCORSI Voi quante dosi ne avete?
SILVIA CALDARINI – DIRETTORE FARMACIA TERRITORIALE ASL ROMA1 In questo momento abbiamo 10.000 dosi più o meno
MANUELE BONACCORSI E quante ne somministrate giornalmente più o meno?
SILVIA CALDARINI – DIRETTORE FARMACIA TERRITORIALE ASL ROMA1 Di queste, una decina
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO A questo ritmo per svuotare il frigo non basteranno 3 anni. Insomma, abbiamo comprato sei milioni di dosi di un vaccino che, bugiardino alla mano, praticamente non sappiamo a chi dare, perché si può utilizzare solo come prima o seconda dose. E nella lista ci sono anche 11 milioni di fiale di due vaccini, Sanofi e Valneva, che ancora non sono stati approvati. Ma il problema riguarda tutti i vaccini. Le dosi restano nei frigoriferi mentre si avvicina pericolosamente la data di scadenza.
SILVIA CALDARINI – DIRETTORE FARMACIA TERRITORIALE ASL ROMA1 Il lavoro è certosino per evitare di avere vaccini scaduti. Ne capiamo il valore etico
MANUELE BONACCORSI qui la scadenza… posso? Queste 11.05.2022.
SILVIA CALDARINI – DIRETTORE FARMACIA TERRITORIALE ASL ROMA1 No, sulla scatola non è aggiornata
MANUELE BONACCORSI In che senso non è aggiornata?
SILVIA CALDARINI – DIRETTORE FARMACIA TERRITORIALE ASL ROMA1 I vaccini hanno avuto una riclassificazione delle scadenze MANUELE BONACCORSI Chiaro, quindi questi, che sarebbero scaduti l'11 maggio, scadranno in realtà all'11 luglio. Perfetto. E quindi questi sono i primi che bisogna fare
SILVIA CALDARINI – DIRETTORE FARMACIA TERRITORIALE ASL ROMA1 Sì, certo, sono i primi che sono fatti
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO La scadenza dei vaccini Pfizer è stata prolungata in tutta Europa da 6 a 9 mesi, con l’approvazione degli enti regolatori, ma anche questo potrebbe non bastare ad evitare che scadano nei frigoriferi. Pure il governo sembra essersene reso conto. In questa lettera inviata alle Regioni lo scorso 1° marzo, l’ex commissario Figliuolo spiegava che buona parte delle dosi in surplus sarebbe stata donata, per supportare i paesi in difficoltà.
SARA ALBIANI – RESPONSABILE SALUTE OXFAM ITALIA A livello europeo stiamo donando vaccini con scadenze molto ravvicinate. Secondo i dati alcuni dati dell'Unicef, nell'ultimo mese del 2021 circa 100 milioni di dosi donate non sono state somministrate proprio perché erano con delle scadenze troppo basse
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Gli Stati, infatti, non sono liberi di donare i vaccini di troppo, devono prima chiedere prima il permesso alle case farmaceutiche, col rischio di allungare i tempi. Lo scorso 1° agosto, a Tunisi, arriva un carico di circa un milione e mezzo di vaccini donati dall’Italia. Le autorità locali preparano anche una piccola cerimonia di ringraziamento. Ma un’inchiesta del progetto giornalistico “Follow the doses” ha svelato che sarebbero scadute dopo appena due mesi. Stessa storia anche in Nigeria, dove a dicembre il governo locale è stato costretto a gettare in discarica oltre un milione di dosi appena donate e già inutilizzabili.
MANUELE BONACCORSI Noi abbiamo comprato più dosi di quelle che ci servono e invece che buttarle noi le facciamo buttare in Africa.
SARA ALBIANI – RESPONSABILE SALUTE OXFAM ITALIA Esatto, così facciamo un'operazione di maquillage.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Insomma, abbiamo affrontato la pandemia con una certa dose di egoismo. I Paesi più ricchi hanno pensato ad accaparrarsi più dosi possibili, e da un certo punto di vista hanno contribuito a far alzare il prezzo, questo da una parte, dall’altra hanno aumentato la dipendenza da parte dei Paesi poveri da quelli ricchi. Hanno generato il cosiddetto “apartheid vaccinale”, così lo definisce le Nazioni Unite. Noi in Italia abbiamo comprato oltre 321 milioni di dosi. Dentro ci sono finiti anche 6 milioni di dosi del vaccino Novavax, che però possono essere iniettate solo per la prima e la seconda dose, siccome noi abbiamo vaccinato oltre il 90% della popolazione, a chi lo diamo? E poi ci sono anche 11 milioni di dosi di due vaccini che non sono ancora stati approvati. Cosa ne faremo? Probabilmente le doneremo in Africa, dove solo un quinto della popolazione fino adesso ha compiuto il doppio ciclo della vaccinazione. Però non ci riesce neanche bene questo atto di generosità. Abbiamo già donato Astrazeneca che non volevamo perché aveva delle reazioni avverse. Poi stiamo donando questi vaccini che però hanno la scadenza molto vicina. Questo cosa comporta. Che in Tunisia li hanno buttati, in Nigeria pure, oltre un milione di dosi. Però poi bisogna anche capire cosa accadrà nella campagna di vaccinazione autunnale. Intanto, bisognerà fare la quarta dose a tutti? Bisogna anche capire se arriveranno dei vaccini nuovi, aggiornati, più efficaci contro le varianti. In questi giorni Ema sta valutando Pfizer e Moderna che stanno per presentare un vaccino che dovrebbe essere più efficace contro Omicron. Poi c’è anche chi in Europa non vuole più pagare vaccini che per contratto ha già comprato. Insomma, questo perché sono intervenute cause di forza maggiore
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Non è un problema solo italiano. La stessa situazione si verifica in tutta Europa. Tanto che la Commissione Ue ha provato a metterci una toppa, stringendo un accordo con Pfizer e Moderna
STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE SALUTE COMMISSIONE UE Siamo consapevoli dello squilibrio, per questo le spedizioni previste per l’estate sono rimandate all’autunno, quando potrebbe esserci più bisogno di scorte. E magari saranno pronti anche dei vaccini aggiornati.
LORENZO VENDEMIALE Ok, però, prima o dopo, quelle dosi dovremo pagarle
STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE SALUTE COMMISSIONE UE Dovremo rispettare il contratto che abbiamo firmato
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO C’è chi però non la pensa così. A Varsavia, con appena 200 casi e solo 5 morti al giorno, il Covid sembra un lontano ricordo. Le dosi si accumulano e il governo non si accontenta di rinviare le spedizioni. Le vuole proprio interrompere
ADAM NIEDZIELSKI – MINISTRO DELLA SALUTE - POLONIA Non abbiamo più bisogno di tutte queste dosi
LORENZO VENDEMIALE E quindi che cosa avete intenzione di fare?
ADAM NIEDZIELSKI – MINISTRO DELLA SALUTE - POLONIA Semplice, da marzo abbiamo smesso di pagare.
LORENZO VENDEMIALE E davvero potete farlo?
ADAM NIEDZIELSKI – MINISTRO DELLA SALUTE - POLONIA Stiamo utilizzando la causa di forza maggiore, che è presente nel contratto, e per noi è legata all’attuale situazione in Ucraina. Stiamo ricevendo un enorme afflusso di profughi, che non era immaginabile al momento della pandemia
LORENZO VENDEMIALE Non è che state sfruttando la guerra in Ucraina per non pagare?
ADAM NIEDZIELSKI – MINISTRO DELLA SALUTE - POLONIA Non è una scusa, la guerra ha un grosso impatto sulla nostra economia.
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO La Polonia gioca la sua partita politica: e intorno alla strategia vaccinale, si sta ricreando l’asse di Visegrad, come ci spiega il ministro Niedzielski
ADAM NIEDZIELSKI – MINISTRO DELLA SALUTE - POLONIA Ho riunito una coalizione di almeno 10 Paesi, che vuole cambiare quei contratti. Ci sono Romania, Estonia, Lituania, Ungheria…
LORENZO VENDEMIALE L’Italia?
ADAM NIEDZIELSKI – MINISTRO DELLA SALUTE - POLONIA No, l’Italia no. Abbiamo scritto a tutti i Paesi, ma da voi non abbiamo avuto risposta. Chiediamo più flessibilità. Spalmare i contratti sui prossimi 10 anni, e poter ricevere medicinali al posto di vaccini, se non ci serviranno più.
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Queste dosi di troppo oggi rischiano di diventare un vero e proprio caso europeo. Il peccato originale sono i contratti firmati dall’UE, ancora oggi segreti.
MARC BOTENGA – EUROPARLAMENTARE GRUPPO DELLA SINISTRA questi contratti vengono mostrati in una camera segretata e non possiamo condividere le informazioni che leggiamo in questi contratti
MANUELE BONACCORSI Cioè lei non ne ha una copia?
MARC BOTENGA – EUROPARLAMENTARE GRUPPO DELLA SINISTRA No
ADAM NIEDZIELSKI – MINISTRO DELLA SALUTE - POLONIA È assurdo che non ci sia alcuna relazione fra la curva epidemiologica e le consegne. Oggi i casi sono zero e siamo costretti a ricevere lo stesso numero di dosi del momento peggiore dell’epidemia. Io penso che quei contratti, soprattutto quello con Pfizer, non siano equi.
LORENZO VENDEMIALE Però voi l’avete firmato quel contratto
ADAM NIEDZIELSKI – MINISTRO DELLA SALUTE - POLONIA È vero, ma solo perché non avevamo scelta. Eravamo disperati in quel momento, avremmo accettato qualsiasi condizione imposta dai produttori
STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE SALUTE COMMISSIONE UE io penso che la strategia vaccinale dell’Europa sia stata un enorme successo
LORENZO VENDEMIALE Addirittura un enorme successo?
STEFAN DE KEERSMAECKER – PORTAVOCE SALUTE COMMISSIONE UE Dovete pensare alla situazione in cui ci trovavamo quando abbiamo negoziato i contratti. Non sapevamo quale vaccino avrebbe funzionato, quante dosi ci sarebbero volute, quanto sarebbe durata l’epidemia. Il nostro obiettivo era dare il vaccino a qualsiasi cittadino europeo che volesse vaccinarsi. Ci siamo riusciti
MARC BOTENGA – EUROPARLAMENTARE GRUPPO DELLA SINISTRA Abbiamo scelto come Unione Europea di lasciare libero il mercato e quindi le aziende di decidere a che prezzo vendere, quanti dosi vendere e produrre.
MANUELE BONACCORSI Non avremmo potuto come Unione Europea, rinegoziare il contratto con le case farmaceutiche riducendo le consegne previste e l'acquisto in generale fatto con quel contratto
MARC BOTENGA – EUROPARLAMENTARE GRUPPO DELLA SINISTRA Ma tutto questo, la domanda è: siamo pronti sì o no, come Unione Europea, come Commissione, a fare il braccio di ferro con le case farmaceutiche? Quindi possiamo, sì. Vogliamo, chiaramente no.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Non sempre volere è potere. Gli Stati si sono sobbarcati il costo della ricerca, hanno acquistato in anticipo le dosi di vaccino, soprattutto non hanno legato l’acquisto delle dosi all’andamento della pandemia, ora si ritrovano milioni di fiale che sono inutilizzate. La Polonia che cosa dice: è intervenuta una guerra, che ci sta minando dal punto di vista economico, quindi è una causa di forza maggiore, non pago più le dosi di vaccino che ho già comprato. Sotto sotto probabilmente prova a raschiare qualcosa di più nella trattativa con l’Europa per aver ospitato i profughi ucraini, però vuole coinvolgere anche altri governi, e ha scritto anche al nostro Ministero della Salute. Che cosa ha intenzione di fare il nostro Ministero però non lo sappiamo, noi glielo abbiamo chiesto però non ci ha risposto. Come non ha risposto al fatto di quanti numeri, quante fiale di vaccino ha acquistato, quanto ci sono costate, che fine faranno quelle che non verranno utilizzate. Abbiamo fatto un po’ i conti della serva, a spanne, 20 euro a dose solo nel 2022 i vaccini ci sono costati oltre due miliardi e mezzo di euro. Non siamo delle verginelle, sappiamo benissimo che chi offre la possibilità di salvare vite umane nella trattativa ha il coltello dalla parte del manico. Però in una trattativa la Comunità europea dovrebbe essere ben più forte di un’azienda farmaceutica.
Un vaccino sotto embargo. Report Rai PUNTATA DEL 23/05/2022 di Manuele Bonaccorsi, Alessia Marzi
Cuba, il piccolo Paese caraibico, sottoposta a 60 anni di durissimo embargo, è riuscita a fronteggiare il covid tutto da sola.
Grazie a tre vaccini pensati e sviluppati dall’industria biotecnologica nazionale. Un'industria integralmente pubblica, eppure capace di importanti innovazioni scientifiche. Oggi Cuba è il secondo Paese del mondo per tasso di vaccinazione (dopo gli Emirati Arabi, che hanno un reddito 8 volte superiore) e soprattutto l’unico che ha vaccinato anche la popolazione infantile, dai 2 anni in su. Merito di Soberana, prodotto dall’Istituto Finlay de L’Avana, e sviluppato a partire proprio dalla piattaforma di un vaccino pediatrico, con effetti collaterali vicini allo zero. Risultato? Oggi Cuba ha un tasso di contagi bassissimo, e anche l’ondata di Omicron nell’isola caraibica è passata senza far danni. Ora Soberana potrebbe essere importato anche in Europa, per completare la vaccinazione dei più piccoli, rimasta finora al palo. Ma gli ostacoli dei regolamenti di Bruxelles potrebbero essere insormontabili. Anche a causa dell’embargo, infatti, Cuba non può rispettare le buone pratiche di fabbricazione imposte in Europa. E perfino l’ipotesi di fabbricarlo in Italia, in un’azienda all’avanguardia, potrebbe non essere sufficiente per superare questo ostacolo. Un muro che impedisce ai Paesi in via di sviluppo, molti dei quali capaci di importanti innovazioni scientifiche, di accedere al ricco mercato farmaceutico del primo mondo.
UN VACCINO SOTTO EMBARGO di Manuele Bonaccorsi e Alessia Marzi immagini di Alessandro Spinnato e Dario D’India, montaggio Marcelo Lippi
HUMBERTO PÉREZ DE LA CONCEPCIÓN, - DIRETTORE IMPIANTO PRODOTTI PARENTERALI CENTRO BIOCEN In questo impianto stiamo producendo i tre vaccini Soberana: 01, 02 e Soberana plus. Stiamo parlando di 12 milioni di dosi. In quest’area arrivano le fiale al termine della fase di riempimento, e le dividiamo in lotti. Abbiamo due linee produttive acquistate da poco, sono qui, ci sono due macchinari europei
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Ma improvvisamente ci viene chiesto di non riprendere i macchinari. Per evitare guai a causa dell’embargo.
ISMARY NÚÑEZ BROÑO - DIRETTRICE COMUNICAZIONE GRUPPO BIOCUBAFARMA Se però potete proteggerci evitando di riprendere il nome dei macchinari
HUMBERTO PÉREZ DE LA CONCEPCIÓN, - DIRETTORE IMPIANTO PRODOTTI PARENTERALI CENTRO BIOCEN Il nome del produttore. Si i nomi…
HUMBERTO PÉREZ DE LA CONCEPCIÓN, - DIRETTORE IMPIANTO PRODOTTI PARENTERALI CENTRO BIOCEN Ci sono fornitori che improvvisamente, da un giorno all’altro, ci avvisano che interromperanno le consegne perché la scusa che viene usata è: il blocco commerciale mi impedisce di trattare con Cuba.
TANYA CROMBET RAMOS - DIRETTRICE RICERCA CLINICA CENTRO IMMUNOLOGIA MOLECOLARE A Cuba è complicatissimo importare reagenti di laboratorio, materie prime, medicinali. Parliamo di prodotti che in qualsiasi altro paese del mondo si possono ordinare in 24 ore. Una ricerca scientifica qui può tardare mesi.
ROLANDO PÉREZ RODRÍGUEZ - DIRETTORE INNOVAZIONE E PRODUZIONE BIOCUBAFARMA L’embargo si è addirittura inasprito, nonostante la pandemia. Eppure, perfino in una guerra, se c’è un’emergenza sanitaria, si fanno delle tregue.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Cuba non ce l’ha. Ora, è giusto continuare ad esercitare un embargo, dopo 60 anni, che incide ancora su medicinali e macchinari sanitari, quando è in corso una pandemia? Sono 60 anni che a Cuba è sotto embargo, imposto dagli Stati Uniti da quando era cominciata la rivoluzione castrista. Ora, ogni anno dal 1992 l’Onu vota una risoluzione, l’Onu che giudica inumano questo embargo: 184 paesi membri su 189 hanno votato no all’embargo. Gli unici paesi favorevoli sono Stati Uniti e Israele. Sotto l’amministrazione Trump è aumentato il peso dell’embargo che ha aggiunto 240 sanzioni. Sono state poi ammorbidite da Biden, però tornare alla normalità non se ne parla. Questo embargo ha messo sabbia negli ingranaggi che hanno portato poi alla realizzazione del vaccino, tuttavia i cubani ce l’hanno fatta. E questo vaccino potrebbe essere una risorsa per i paesi poveri, ma anche per quelli ricchi, perché è efficace. Però prima bisogna risolvere qualche problema. I nostri Manuele Bonaccorsi e Alessia Marzi
CITTADINO Questa fila che vedi è per l’embargo che abbiamo a Cuba, capito? Adesso compriamo il pane
CITTADINO 2 Questi sono il mio nome e quello di mio figlio, io mi chiamo Armando Diaz. Riso, zucchero, fagioli…
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO A Cuba per fare la spesa serve la tessera annonaria. Difficile trovare pane e sapone, il latte è razionato. A meno di non avere nel portafoglio euro o dollari, le uniche monete che permettono di accedere a beni importati. Il Covid ha messo in grande difficoltà il paese della Revoluciòn, fermando il turismo, una delle principali voci di entrata.
MECCANICO Lavoro, lavoro e non vedo risultati…questa è la pura verità
BARBIERE Qui come puoi vedere lavoriamo con attrezzi che non sono di ultima generazione, non ci sono negozi che ti vendono certe cose: le devi chiedere a qualcuno che esce dal paese e che te le possa portare. E costa parecchio
RADAMES CASTILLO - ALLENATORE DI BOXE Avrei bisogno di almeno quattro paia di guantoni per insegnare le basi della boxe ai miei ragazzi: come parare, come colpire: perché siano dei campioni, meglio di me. Ma è difficile recuperarli. Siamo un paese del terzo mondo sì, ma nonostante tutti i problemi che ci sono, ci siamo messi alle spalle una malattia contro cui lotta tutto il mondo: è grazie a questi vaccini che siamo ancora in piedi
MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Il Covid a Cuba è sotto controllo. Anche l’ondata di Omicron, che qui è arrivata a febbraio, non ha fatto gravi danni. Poche centinaia di contagi quotidiani, vittime quasi azzerate. Cuba è infatti il secondo paese più vaccinato al mondo dopo gli Emirati Arabi, che però hanno un reddito otto volte superiore. E ha fatto tutto da sola. Senza società farmaceutiche private: a Cuba tutto il settore biotecnologico è controllato da un’unica azienda, di proprietà statale: Biocubafarma.
ROLANDO PÉREZ RODRÍGUEZ - DIRETTORE INNOVAZIONE E PRODUZIONE BIOCUBAFARMA All’inizio della pandemia il Presidente della Repubblica ci ha convocato e ci ha detto: il paese non sarà in condizioni economiche per comprare vaccini per tutti in poco tempo, dovevamo fare da soli. Davanti a tutta questa incertezza, se scommetti su una sola ricerca, la probabilità di tirare fuori un vaccino è bassissima. E per questo abbiamo deciso di fare ricerca su almeno 20 progetti diversi.
MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Dei venti progetti, a fine corsa arrivano 5 candidati vaccino. Tre dei quali sono stati somministrati alla popolazione. Il più diffuso si chiama Abdala, ed è prodotto dal Centro di ingegneria genetica e biotecnologica.
MARTA AYALA AVILA - DIRETTRICE CENTRO INGEGNERIA GENETICA E BIOTECNOLOGICA Con Abdala abbiamo vaccinato tra i 7 e gli 8 milioni di cubani sopra i 19 anni. La vaccinazione di massa ci ha consentito di verificare l’efficacia del vaccino nella realtà. Quando circolava la variante Delta, l’effettività di Abdala nel prevenire casi di covid sintomatico si è attestata intorno al 94, 95 per cento.
MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Al Centro di ingegneria genetica e biotecnologica non si accontentano. Stanno sperimentando anche un vaccino intranasale, una tecnologia che permetterebbe di fermare non solo la malattia, ma anche il contagio.
MARTA ELENA GÓMEZ VÁSQUEZ - RESPONSABILE TRIAL MAMBISA - PINAR DEL RÍO Si chiama Mambisa, ed è in fase 2 dello studio clinico. È uno spray, una volta introdotto nelle narici dovrebbe coprire tutta la zona nella mucosa nasale, la porta di entrata del virus. E quindi potrebbe fermare l’infezione, non agire solo sui sintomi. Fino ad ora tutti i pazienti su cui lo abbiamo sperimentato in questo policlinico non hanno avuto nessun tipo di reazione avversa.
MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Se tutto andrà per il verso giusto, Mambisa, potrebbe essere il primo vaccino proteico intranasale approvato al mondo.E potrebbe essere usato come dose di richiamo. Ma i cubani possono già vantare un record. Il vaccino Soberana, prodotto dall’Istituto Finlay, è l’unico al mondo somministrato alla popolazione tra i due e i 5 anni.
VICENTE VÉREZ BENCOMO - DIRETTORE GENERALE ISTITUTO DI VACCINI FINLAY Abbiamo vaccinato tutta la popolazione pediatrica cubana a novembre. Siamo stati l'unico paese del mondo ad avere tutti i bambini vaccinati prima dell’arrivo di omicron.
MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO A Cuba il 96% della popolazione pediatrica è vaccinata. La conseguenza? Genitori e alunni fin dall’anno scorso hanno detto addio alla didattica a distanza e alle classi aperte a singhiozzo.
MIRTHA FRIOL BARRIO - PRESIDE SCUOLA PRIMARIA VO THI TANG - L’AVANA Anche noi come tutti abbiamo dovuto sospendere le attività in presenza, ma a partire dal 15 novembre abbiamo riaperto la scuola. Da allora c’è stato solo un caso, ma niente di che, un semplice raffreddore
MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Sono state le stesse scuole, insieme ai presìdi di cura primaria, a farsi carico della campagna vaccinale. A Cuba la medicina territoriale è molto sviluppata e c’è un medico ogni 157 persone. È quello che qui chiamano “l’esercito dei camici bianchi”. Soberana è stato somministrato finora a 1,8 milioni di bambini. Il rischio di contagio si è ridotto 18 volte. E gli eventi collaterali sono stati solo 340, lo 0,01% .
MARIA EUGENIA TOLEDO ROMANÍ - RICERCATRICE ISTITUTO DI MEDICINA TROPICALE PEDRO KOURÍ Le reazioni principali che abbiamo riscontrato sono locali, dolore nell’area della puntura.
MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO L’Istituto Finlay è da molti anni un punto di riferimento internazionale per i vaccini pediatrici. Il suo farmaco più diffuso è quello per il meningococco b, somministrato da più di 30 anni, anche ai neonati.
DAGMAR GARCÍA RIVERA - DIRETTRICE RICERCA ISTITUTO DI VACCINI FINLAY I tre soberana sono vaccini a subunità proteica: attraverso la chimica leghiamo la proteina spike del virus con un’altra proteina. Stiamo parlando di una tecnica, quella dei vaccini coniugati, nata per ovviare a eventuali problematiche nella risposta immunitaria proprio dei neonati.
MANUELE BONACCORSI Perche non avete chiesto un'autorizzazione all'agenzia europea del farmaco per introdurre questo vaccino in Europa?
VICENTE VÉREZ BENCOMO - DIRETTORE GENERALE ISTITUTO DI VACCINI FINLAY Stiamo valutando. Questa è la prima volta che viene prodotto un vaccino in un paese del terzo mondo, capace di risolvere un problema di salute per tutti, che non sia accaparrato da una multinazionale per farne profitto nei paesi ricchi
MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Anche la multinazionale francese Sanofi, in collaborazione con l’inglese GSK, ha provato a realizzare un vaccino proteico. Non è andata esattamente bene
FABIEN MALLET- SINDACALISTA CGT - SANOFI Sanofi è sempre stato il primo produttore di vaccini in Europa. Il problema è che negli ultimi 15 anni siamo stati gestiti da operatori di finanza che hanno distrutto il comparto ricerca e sviluppo: siamo passati da 6mila a 3mila ricercatori. Abbiamo smesso di lavorare a un vaccino a MNRA quando siamo stati doppiati da Pzifer e Moderna, che tra parentesi si sono presi i ricercatori che abbiamo licenziato, e abbiamo ripiegato su un vaccino a subunità proteica: ma poi Sanofi ha deciso di esternalizzare una parte della produzione
NATHALIE COUTINET- PROFESSORESSA DI ECONOMIA UNIVERSITÀ SORBONNE PARIS NORD In questo momento c’è stato un importante errore di dosaggio che ha portato ad ulteriori ritardi. Sanofi era in ritardo, ed è stata ridicolizzata dai concorrenti che l’hanno superata.
MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Secondo il contratto firmato tra Ue e Sanofi nel 2021, Bruxelles si impegnava ad acquistare 300 milioni di dosi, pagando in anticipo una parte dell’ordine. In caso di mancata approvazione del vaccino la multinazionale avrebbe comunque incassato una parte dei soldi, per “condividere il rischio”.
ROZENN LE SAINT - GIORNALISTA MEDIAPART Secondo le informazioni di Mediapart, per quello che riguarda Sanofi parliamo di almeno 300 milioni di euro, versati in anticipo nell’ottobre del 2020.
ALESSIA MARZI Quanto è finanza e quanto è salute pubblica?
NATHALIE COUTINET- PROFESSORESSA DI ECONOMIA UNIVERSITÀ SORBONNE PARIS NORD Oggi è la finanza a guidare le strategie, gli stati hanno accettato che l’industria farmaceutica diventasse un settore su cui fare speculazione finanziaria come qualsiasi altro settore. I principali azionisti di Pfizer o Sanofi sono società di investimento americane, Blackrock, Vanguard. Il loro interesse è fare profitti. Sta agli stati porre dei limiti
MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Ha invece superato l’approvazione dell’Ema il vaccino proteico di Novavax, recentemente introdotto anche in Italia. Costa 20,9 dollari a dose, anche perché per produrlo serve una sostanza presente solo nella Quillaja saponaria, un albero molto raro che si trova solo in Cile, in alta montagna. 1 grammo di questo prodotto oggi costa oltre 100mila dollari. L’uso come audivante di questa sostanza è stato brevettato da Novavax.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Però non è stato ancora approvato come terza dose, né per usarlo sui minorenni. Questo perché mancano dei dati sufficienti. Tuttavia ne abbiamo comprati circa 6 milioni di dosi alla cifra di 21 dollari a dose, contro i circa 6 dollari di Soberana, il vaccino cubano. Di Novavax ne abbiamo somministrate a oggi 41mila dosi, il resto rimane in frigorifero. Mentre l’altro vaccino della Sanofi, quello proteico, è in via di approvazione. Finlay, l’istituto cubano che si occupa del vaccino, ha preparato un dossier per presentarlo all’OMS per una prequalificazione. Questo gli consentirebbe di aprirgli le porte al commercio attraverso il circuito Covax, nei paesi del sud del mondo. Nel frattempo è stata autorizzata in emergenza la somministrazione di Soberana in Iran, Nicaragua, Venezuela, Vietnam, mentre in Messico e in Argentina è in via di autorizzazione. Però quello cubano potrebbe essere una risorsa oltre che per i paesi poveri anche per quelli più ricchi. Cosa mancherebbe?
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Bentornati. Stavamo parlando del vaccino cubano, che potrebbe essere una risorsa perché ha costi bassi, è efficace, ed è l’unico al mondo che può essere somministrato ai bambini tra i due e i cinque anni, anche con una buona efficacia. Ora però bisogna tenere in conto una cosa: che per utilizzarlo in Occidente, in Europa, bisogna tenere presente che lo standard dei laboratori e dei macchinari cubani non sono certo all’altezza di quelli di una multinazionale farmaceutica come Pfizer. Anche perché Cuba non ha i soldi di Pfizer. È stata strangolata da 60 anni di embargo e perché oggi l’attenzione non è al cento per cento sul prodotto, ma anche sulla fabbrica.
MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, la percentuale dei bambini infettati sul totale è passata dall’1% al 19%. Per chi ancora lavora nei reparti covid pediatrici come quelli dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma, è un dato non è da sottovalutare
ANDREA CAMPANA - RESPONSABILE COVID OSPEDALE BAMBINO GESÙ - PALIDORO (RM) A gennaio in particolare di quest'anno abbiamo avuto un incremento elevatissimo rispetto agli anni precedenti, abbiamo avuto quattro volte più bambini che arrivavano in pronto soccorso, di questi bambini uno su sei solo vengono ricoverati, gli altri vengono gestiti a casa. Di questi ricoverati, qui nella nostra struttura circa uno su 25, uno su 30 poi possono andare in rianimazione.
ALESSIA MARZI La fascia d'età più interessata qual è?
ANDREA CAMPANA - RESPONSABILE COVID OSPEDALE BAMBINO GESÙ - PALIDORO (RM) Progressivamente si è abbassata l'età. Tutti i bambini che non erano vaccinati. Qualsiasi prodotto che si dimostri efficace e ovviamente sicuro quindi questo deve richiedere l'autorizzazione delle autorità competenti per noi medici è fondamentale quindi ben venga il lavoro che hanno fatto i colleghi a Cuba.
MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Parigi, aeroporto Charles De Gaulle. Una delegazione dell’Istituto cubano Finlay è appena atterrata. Direzione? Italia, per presentare le ultime evidenze scientifiche. Quando a gennaio l’Italia viaggiava sugli oltre 3mila contagi per milione di abitanti, a Cuba ce ne erano 278, il 92% in meno. La differenza, secondo gli scienziati dell’Havana, è determinata principalmente dall’elevata vaccinazione pediatrica di Cuba.
VICENTE VÉREZ BENCOMO - DIRETTORE GENERALE INSTITUTO DI VACCINI FINLAY Dinanzi all’onda di Omicron abbiamo differenze abnormi rispetto ai numerosi casi di qualsiasi altro paese. Credo che tutti dovrebbero fare come noi per aggiungere quello che viene definito end game della pandemia
MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO La prima tappa è Torino. Non è un caso. L’ospedale piemontese Amedeo di Savoia ha realizzato uno studio su Soberana. Ha analizzato la risposta immunologica di un gruppo di 30 italiani a cui è stata somministrata come booster una dose di Soberana Plus, uno dei tre vaccini anticovid di casa Finlay
GIOVANNI DI PERRI - DIRETTORE MALATTIE INFETTIVE - OSPEDALE AMEDEO DI SAVOIA TORINO Ci siamo messi d'accordo nel fare gli studi di neutralizzazione in vitro cioè cimentare il virus in coltura libero. Con che cosa? con il plasma, il siero di soggetti vaccinati con i loro prodotti e abbiamo visto anche che in una prima fase era il Delta e funzionava alla pari quantitativamente rispetto a quello che vedevamo con gli altri vaccini di corrente uso e anche con la omicron dà dei segnali piuttosto buoni
MANUELE BONACCORSI Meglio di Pfizer e Moderna?
GIOVANNI DI PERRI - DIRETTORE MALATTIE INFETTIVE - OSPEDALE AMEDEO DI SAVOIA TORINO In termini di anticorpi neutralizzanti in vitro sì.
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Nel 2021 Cuba comincia a interloquire con anche col ministero della Salute italiano. Obiettivo: organizzare un trial clinico ufficiale anche nel nostro paese
MICHELE CURTO - PRESIDENTE AGENZIA INTERSCAMBIO CULTURALEECONOMICO CON CUBA La sorpresa, la convinzione era talmente alta che qualcuno, una figura di altissimo spicco si fece scappare il commento “ma potessi anch'io mi vaccinerei con quel vaccino”
ALESSIA MARZI Da chi ti viene detta questa cosa?
MICHELE CURTO - PRESIDENTE AGENZIA INTERSCAMBIO CULTURALEECONOMICO CON CUBA Posso dire che era uno una delle figure importanti con cui ci confrontavamo
MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Non se ne farà nulla. Il problema è che l’autorizzazione alla commercializzazione rilasciata a Cuba non vale in tutto il mondo. L’autorità regolatoria locale si chiama CECMED, ha ha sede in uno delle strutture più moderne de La Havana ed è uno dei punti di riferimento per tutta l’America Latina
OLGA LIDIA JACOBO CASANUEVA - DIRETTRICE CECMED AGENZIA CUBANA DEL FARMACO CECMED A partire dagli anni 2000, gli esperti dell’Oms svolgono ispezioni e valutazioni sui nostri farmaci e vaccini e abbiamo sempre superato le ispezioni in modo soddisfacente. La nostra priorità è ovviamente garantire sicurezza e di qualità dei farmaci per la nostra popolazione, ma è chiaro che c’è anche un interesse a poterli esportare MANUELE BONACCORSI Lei pensa che il livello di qualità, di accuratezza, delle analisi che fa la sua agenzia sia paragonabile a quella svolta da un'agenzia come l'Ema?
OLGA LIDIA JACOBO CASANUEVA - DIRETTRICE CECMED AGENZIA CUBANA DEL FARMACO Oserei dire di sì perchè nostri regolamenti sono tanto esigenti quanto i regolamenti dell'Unione europea.
MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Durante il loro viaggio in Italia gli scienziati del Finlay hanno incontrato gli esponenti delle autorità politiche e scientifiche italiane, proprio per capire se il farmaco potrebbe essere riconosciuto anche in Europa. L’incontro più delicato è stato quello con l’Aifa, l’agenzia regolatoria italiana, diretta da Nicola Magrini.
MANUELE BONACCORSI Professore, buongiorno sono Bonaccorsi di Report mi permette un istante.
NICOLA MAGRINI - DIRETTORE GENERALE AIFA No.
MANUELE BONACCORSI Dopo?
NICOLA MAGRINI - DIRETTORE GENERALE AIFA Dopo forse
MANUELE BONACCORSI Cosa gliene pare di questo vaccino?
NICOLA MAGRINI - DIRETTORE GENERALE AIFA I dati sono molto interessanti, sono molto positivi quelli che hanno presentati, vanno, andrebbero esplorati in un dossier completo e l'ostacolo maggiore oltre l'approvazione europea è la qualità della produzione che noi sì siamo tenuti a garantire in GMP e probabilmente su questo Cuba potrebbe avere dei problemi.
MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO GMP vuol dire good manufacturing practices, buone pratiche di produzione: sono gli standard minimi che ogni paese un produttore di medicinali deve soddisfare nei propri impianti, per garantire sicurezza e qualità dei farmaci. Gli standard però non sono uguali per tutto il mondo. Ogni Paese impone i propri.
ROSELYN MARTÍNEZ RIVERA - VICEDIRETTRICE ISTITUTO DI VACCINI FINLAY I requisiti dell’Unione Europea in questo senso sono molto rigidi
MANUELE BONACCORSI Ma per quale motivo secondo lei lo standard è più alto del necessario?
ROSELYN MARTÍNEZ RIVERA - VICEDIRETTRICE ISTITUTO DI VACCINI FINLAY Secondo me gli standard occidentali si trasformano in una barriera alla commercializzazione. A volte ci sono dei requisiti che non servono a dimostrare la qualità
MANUELE BONACCORSI Ci può fare un esempio pratico
ROSELYN MARTÍNEZ RIVERA - VICEDIRETTRICE ISTITUTO DI VACCINI FINLAY Per esempio: l’acqua negli impianti di produzione non può avere patogeni, questo è un requisito comune a tutti: ma si può permettere ad esempio un livello di carbone organico. Gli standard europei, su questo sono 5 o 6 volte superiori al nostro. Per soddisfarli dovremmo dotarci di sistemi di approvvigionamento dell’acqua più moderni, che non sono alla nostra portata. Ma in realtà questo ammodernamento non è veramente necessario
MANUELE BONACCORSI Qualora fosse prodotto in Italia il problema delle GMP si potrebbe risolvere secondo lei? NICOLA MAGRINI - DIRETTORE GENERALE AIFA Se prodotto in Italia si potrebbe risolvere, l’approvazione dovrebbe comunque essere europea.
MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO La soluzione potrebbe essere a portata di mano. L’azienda farmaceutica Adienne ha firmato un protocollo di intenti con l'istituto Finlay per produrre il vaccino Soberana in Italia. Questo è lo stabilimento di Caponago, nell’hinterland di Milano. Grazie a un investimento di 45 milioni, è stato costruito nel più rigoroso rispetto delle regole GMP. Ma anche questo potrebbe non bastare.
FABRIZIO CHIODO - RICERCATORE ASSOCIATO CNR - ISTITUTO DI VACCINI FINLAY Molto probabilmente l'entità regolatoria europea potrebbe venire a chiedere pur producendo il tuo prodotto in Italia di ispezionare gli impianti produttivi dove tu hai prodotto i lotti con cui fatti tuoi studi clinici
MANUELE BONACCORSI FUORICAMPO Il rischio, cioè, è che le autorità europee impongano comunque di svolgere nuovamente il trial.
VICENTE VÉREZ BENCOMO - DIRETTORE GENERALE INSTITUTO DI VACCINI FINLAY É chiaro che questa strada non è fattibile, non saremmo pronti neanche per la prossima pandemia. Certo non pensiamo di poter arrivare da EMA con un prodotto interamente realizzato a Cuba. Sappiamo che se non altro per la percezione che si ha, fare un’operazione del genere sarebbe impossibile anche se avessimo gli standard qualitativi più alti del mondo
FABRIZIO CHIODO - RICERCATORE ASSOCIATO CNR - COLLABORATORE ISTITUTO DI VACCINI FINLAY Le entità regolatorie penso almeno quelle nazionali potrebbero ragionare in maniera più basate sul prodotto e non basate sull'impianto in cui l'hai fatto
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Per superare le differenze nei requisiti posti dai diversi Paesi, esisterebbe la ICH, una conferenza internazionale nata su input di Europa, Giappone, e Stati Uniti d'America. Ma anche qui il terreno è scivoloso.
GERMAN VELASQUEZ - CONSULENTE POLITICHE DI SALUTE PUBBLICA SOUTH CENTER É una conferenza le cui riunioni sono promosse e finanziante dal settore privato. Questo è il conflitto di interesse che ho riscontrato, lavorando in OMS, a partire dagli anni novanta. Siamo tutt’ora davanti a due standard di produzione: quello ICH, che difende anche interessi commerciali e finanziari dell’industria, e quelli OMS, basati sulle esigenze di salute di tutto il mondo. Ad esempio: domani esce sul mercato un nuovo materiale per impacchettare le compresse, diverso dal classico foglio di alluminio. Al livello sanitario non servirebbe cambiare materiale, ma l’ICH potrebbe dire “i paesi membri della conferenza devono adottare il nuovo materiale”: la produzione diventerebbe più costosa e i paesi più poveri che producevano i farmaci imballati nell’alluminio sarebbero obbligati ad adeguare le loro infrastrutture o semplicemente a smettere di produrre perché non possono permetterselo
ROLANDO PÉREZ RODRÍGUEZ - DIR. INNOVAZIONE E PRODUZIONE GRUPPO BIOCUBAFARMA Immaginate la curva di un grafico: è una specie di campana: se le regole per produrre un farmaco sono allentate sarà basso anche l’accesso dei farmaci ai cittadini, un farmaco non sicuro non risolve nessun problema di salute. Se la regolazione ha standard qualitativi troppo alti non serve lo stesso, perché i farmaci arriveranno solo a chi può pagare. Bisognerebbe trovare un equilibrio tra queste due variabili. Ma alla fine qual è il vero mercato delle bigphama? I paesi ricchi.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Il Finlay non ha ancora presentato il dossier per l’autorizzazione da parte dell’Ema, che è una procedura molto complessa e costosa, insomma inutile rischiare se si è certi della bocciatura. Perché la sfida è quella di dimostrare che il vaccino cubano è identico ed è sicuro quanto quello realizzato negli impianti GMP, cioè delle pratiche di buona produzione. Ora, premesso che le pratiche di buona produzione sono essenziali, soprattutto per come sono state stabilite dagli enti regolatori nazionali, dall’Oms, perché se non le applichi e non le osservi rischi di creare danni ai pazienti. Premesso questo, bisognerebbe però evitare il retropensiero del vorrei ma non posso, approvare un vaccino che è stato realizzato da uno Stato, questa volta fatto inedito, e non da una multinazionale farmaceutica come Pfizer. Insomma, la domanda è: ma questo vaccino funziona? È efficace? È sicuro quanto quelli prodotti negli impianti standard GMP? Se si prendiamolo in considerazione, facciamolo produrre in impianti standardizzati, perché anche questa appartiene alle buone pratiche: quelle del buon senso.
Obbligo Vaccinale, depositati quattro interventi e tre pareri. Rec News - Articolo del 19 Maggio 2022 di Roberto Martina.
Avvocati Liberi unitamente al prof. Avv. Augusto Sinagra ha deposita Costituzionale quattro interventi e tre opiniones in qualità di amici curiae a sostegno dell’accoglimento della illegittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale per i sanitari di cui all’art. 4 D.L. 44-2021 sollevata dal Consiglio di Giustizia Amministrativa della regione Sicilia. Nei prossimi giorni pubblicheremo degli atti affinché possano essere conosciuti da tutti.
Iniziamo con l’opinione di carattere scientifico che Avvocati Liberi ha depositato in nome e per conto del Dr. Sandro Sanvenero, presidente dell’Albo degli Odontoiatri presso l’Or Medici Chirurghi ed Odontoiatri di La Spezia, che ha documentato lo svilupparsi in una cosiddetta efficacia negativa dei farmaci vaccinali.
L’opinione è stata redatta da un collegio illustre di sanitari di altissimo profilo (pro Frajese; Dr. Sandro Sanvenero; Dr. Alberto Donzelli; Dr. Eugenio Serravalle; Dr.ssa Gentilini) che ne hanno autorizzato la pubblicazione per fini scientifici e di condivisione.
L’efficacia negativa, al crescere della distanza temporale dall’ultima dose vaccinale supportata da prove sempre più forti e demolisce la finalità della norma: se il fine vaccinazione dei sanitari è quello di proteggere i pazienti ed i soggetti fragili con cui entrano in contatto, allora per questi soggetti è più pericoloso essere assistiti da sanitari da oltre 6-8 mesi, perché tendono a diventare più suscettibili all’infezione dei sanitari non vaccinati.
Una possibilità è che i farmaci vaccinali impattino negativamente sul sistema immunitario, somministrato che, dopo alcuni mesi dalla vaccinazione, aumenta la probabilità contrarre l’infezione rispetto ad un soggetto non vaccinato e, conseguentemente aumenta il rischio di contagio del prossimo.
La possibile efficacia negativa, però, è solo una parte del problema, perché i comuni farmaci vaccinali non sono sicuri: il trattamento obbligatorio non è idoneo a raggiungere lo scopo (i vaccini non sono complessivamente efficaci per tutelare gli altri) ed espone la persone a rischio di eventi avversi potenzialmente gravi e persistenti (i vaccini non sono sicuri).
Non è possibile ragionare in termini quantitativi, accettando l’idea che ci possa essere una fascia percentuale di cittadini sacrificabili, perché la vita umana è sacra, inviolabile, e nessuno può stabilire che una persona debba assumere obbligatoriamente un farmaco che possa condurre a morte o ad una forma invalidante della propria integrità psico-fisica senza cadere in una gravissima violazione del diritto naturale, della libertà personale costituzionali e dell’habeas corpus.
Il rispetto della persona umana è un limite invalicabile anche per la legge: “nessuno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri”. (Corte Cost. sentenza n. 118/1996 in tema di vaccinazione antipolio).
Genova, morì a 32 anni dopo il vaccino AstraZeneca: la sua vita per lo Stato vale 70mila euro. Marco Lignana su La Repubblica il 15 maggio 2022.
I genitori di Francesca Tuscano, che devono ancora ricevere l’indennizzo stabilito dalla legge, valutano la causa civile. Per i consulenti del pm: “Il decesso è ragionevolmente da riferirsi a effetti avversi da somministrazione di vaccino anti Covid.
Sulla sua morte c’è una consulenza tecnica che non lascia spazio a dubbi. E se l’indagine penale sul decesso della 32enne Francesca Tuscano in seguito al vaccino AstraZeneca è comunque destinata all’archiviazione, gli indennizzi previsti dal Governo nemmeno si avvicinano lontanamente alla dimensione del dramma vissuto dai genitori dell’insegnante genovese deceduta nell’aprile del 2021 per colpa di una trombosi cerebrale.
Morta dopo Astrazeneca, arriva il risarcimento. Ecco la cifra. Rosa Scognamiglio il 15 Maggio 2022 su Il Giornale.
Il referto medico legale ha stabilito che la vittima, un'insegnante di 32 anni, è morta per "effetti avversi da somministrazione di vaccino anti Covid-19".
Ammonta a 77.468,53 euro l'indennizzo destinato ai familiari di Francesca Tuscano, insegnante di 32 anni, morta dopo la somministrazione del vaccino Astrazeneca. La consulenza medico legale e dell'ematologo ha stabilito che "il decesso della paziente è ragionevolmente da riferirsi a effetti avversi da somministrazione di vaccino anti Covid- 19". Secondo quanto riporta Repubblica.it i legali e i familiari della vittima starebbero ragionando su una lettera di messa in mora nei confronti dell'Avvocatura dello Stato.
Il decesso
Francesca Tuscano, insegnante genovese, è morta il 4 aprile 2021 all'ospedale San Martino di Genova. Circa 48 ore prima del decesso, il 2 aprile, aveva ricevuto una dose di vaccino Astrazeneca presso l'hub allestito all'Albergo dei Poveri durante la pandemia nel capoluogo ligure. A poche ore dall'inoculazione, la 32enne aveva avvertito un forte mal di testa. La mattina successiva i genitori l'avevano ritrovata in stato di inconscienza. Da allora non si risvegliò più.
La consulenza medico legale
Gli accertamenti post mortem hanno attribuito le cause del decesso a "effetti avversi da somministrazione anti Covid-19". Lo si apprende dal referto stilato dal medico legale Luca Tajana e dall'ematologo Franco Piovella. Secondo quanto stabilisce la documentazione medica, Francesca Tuscano è morta per una trombosi cerebrale "rarissima" associata a piastrine basse e scatenata dai vaccini basati su adenovirus. Nel contesto della medesima consulenza i due periti escludono ogni eventuale responsabilità dei medici coinvolti nella vaccinazione: "I contenuti, le modalità di predisposizione, compilazione e valutazione del questionario anamnestico appaiono completi sotto ogni loro aspetto. Analogamente, l’attività informativa attraverso la quale Tuscano Francesca espresse il suo consenso alla pratica vaccinale appare completa ed esaustiva".
L'indennizzo
I familiari dell'insegnante saranno risarciti di 77.468,53 euro. Si tratta della cifra destinata "ai parenti aventi diritto che ne fanno domanda, nel caso in cui la morte del danneggiato sia stata determinata dalle vaccinazioni", in base alla legge che ha stanziato un fondo da 150 milioni di euro destinato proprio a chi ha subito danni dalla vaccinazione anti Covid. La famiglia Tuscano si è affidata agli avvocati Federico Bertorello e Tatiana Massara per capire come muoversi. Al momento gli avvocati si stanno occupando delle pratiche burocratiche per accedere agli indennizzi previsti ma non escludono la causa civile.
Vaccino, 100 milioni di dosi regalate per evitare i magistrati: lo scandalo travolge il governo italiano. Lorenzo Mottola su Libero Quotidiano il 15 maggio 2022
C'è stato un momento nella storia della pandemia, prima dell'avvento delle polemiche No-vax, in cui in Italia il problema non era convincere i diffidenti a farsi il vaccino, ma reperire più dosi possibile in modo da uscire dall'incubo del lockdown. In quel periodo le nostre autorità, con Mario Draghi in testa, avevano garantito che non ci sarebbe stato alcun problema, che avremmo colmato i ritardi rispetto a Israele, Regno Unito e Stati Uniti. E in effetti bisogna dire che la missione è riuscita. Il problema, però, ora è l'abbondanza: ovvero capire cosa fare con i farmaci ordinati in esubero. E anche come giustificare di fronte alla magistratura contabile le spese effettuate. I numeri sono questi: finora lo Stato ha distribuito alle Regioni 141 milioni di dosi, di cui 137 sono state già somministrate. Come noto, è stata l'Unione Europea a stipulare per gli stati membri contratti con le case produttrici. All'Italia - carte alla mano - spetterebbero entro l'agosto di quest'anno ben 240 milioni di fiale. Qualche milione verrà impiegato per le quarte dosi degli anziani, ma parliamo di cifre trascurabili. Gli over-80 (cui è riservato il doppio booster) sono 4,5 milioni e appena il 10% di loro per ora ha fatto l'ultimo richiamo. Di conseguenza, ci sono circa 100 milioni di vaccini di troppo.
I PREZZI - Bisogna anche considerare la spesa sostenuta: i prezzi nei mesi sono costantemente cresciuti. L'osservatorio per i conti pubblici della Cattolica stima un costo tra 14,37 e 22,82 euro a dose per contratti conclusi tra fine 2020 e aprile 2021, che riguardano soprattutto i prodotti Pfizer e Moderna (Astrazeneca chiedeva molto meno, ma per valide ragioni abbiamo smesso di acquistarne). Anche tenendoci su stime prudenziali, quindi, si può concludere che siamo ben oltre il miliardo di euro di esborso per vaccini che non saranno mai utilizzati. Come dicevamo, il problema non è soltanto politico, anche perché in fin dei conti la spiegazione è semplice: eravamo in stato di emergenza. Un po' come successo per le mascherine, è normale che il primo pensiero del governo fosse rastrellare la maggior quantità possibile di farmaci. Ora però si apre una questione legale. Quelle spese vanno giustificate. La voce che gira è questa: la magistratura contabile si starebbe già muovendo. O meglio, sarebbe costretta a muoversi, perché per legge non potrebbe sottrarsi al dovere di dar seguito a degli esposti, che in effetti sarebbero già partiti e che comunque è praticamente garantito che arriveranno, vista la quantità di polemiche che questi temi hanno suscitato. Palazzo Chigi, tuttavia, ha già pensato a delle contromisure, anche lavorando sui contratti con l'Unione Europea. Proprio ieri è stato rag giunto un accordo tra Pfizer e Bruxelles, che prevede che le consegne di vaccini previste a giugno vengano ferma te. Quei medicinali, insomma, non arriveranno mai in Italia. Anche se ci toccherà pagare comunque. E ovviamente la produzione nel frattempo non si fermerà. Semplicemente i vaccini finiranno altrove. L'Italia si è già impegnata a donare 69,7 milioni di fialette ai paesi del terzo mondo tramite il programma Covax. E nei giorni scorsi il premier ha annunciato che altre 31 milioni verranno regalate. In questo modo, dal punto di vista legale, la posizione del governo sarà tutelata. D'altra parte non c'erano alternative.
LE ALTERNATIVE - Tenere in magazzino i vaccini per eventuali future ondate avrebbe costi elevatissimi, in particolare quelli della Pfizer, che vanno conservati in celle frigorifere a -80 gradi (il che con il caro-energia è diventato ancor più dispendioso). E comunque conservare questi medicinali per il futuro non avrebbe senso per un'altra ragione. Presto saranno "vecchi". Si parla spesso della possibilità di dover imporre - o almeno consigliare - un'altra dose di richiamo ai cittadini il prossimo autunno. Attualmente, però, le case farmaceutiche stanno adattando i farmaci alle nuove "versioni" del virus. Sempre secondo l'accordo Ue-Pfizer di ieri, in autunno le consegne ripartiranno, con delle versioni aggiornate dei farmaci.
(ANSA il 6 maggio 2022) - La Fda americana ha annunciato che limiterà l'uso del vaccino contro il Covid Johnson & Johnson per il rischio di "rare ma gravi trombosi".
Per lo stesso motivo la Cdc, da dicembre il Centro americano per il controllo delle malattie, raccomanda di utilizzare Pfizer e Moderna, invece di Johnson & Johnson. Il vaccino prodotto dalla Janssen potrà d'ora in avanti essere utilizzato solo per gli adulti che rifiutano Pfizer o Moderna "per motivi personali" o che non li possono ricevere. Su circa 19 milioni di dosi di Johnson & Johnson somministrate negli Usa sono stati rilevati 60 casi di trombosi, di cui 9 letali.
Covid: l'Oms "raccomanda fortemente" l'antivirale Pfizer. La Repubblica il 22 aprile 2022.
Ma come per i vaccini, l'Organizzazione Mondiale della Sanità è "molto preoccupata" che i Paesi meno ricchi avranno ancora una volta difficoltà ad accedere al farmaco.
L'OMS ha fortemente raccomandato il farmaco antivirale Paxlovid della società farmaceutica statunitense Pfizer per i pazienti con forme meno gravi di Covid-19 e "più alto rischio di ospedalizzazione". Ma come per i vaccini Covid, l'Organizzazione Mondiale della Sanità è "molto preoccupata" che i Paesi meno ricchi avranno ancora una volta difficoltà ad accedere al farmaco.
Per gli esperti dell'OMS, la combinazione di Nirmatrelvir e Ritonavir "è il farmaco d'elezione" per i pazienti non vaccinati, anziani o immunocompromessi, secondo un articolo del British Journal of Medicine. Per lo stesso tipo di pazienti e sintomi, l'OMS ha anche emesso una "debole raccomandazione" per il Remdesivir del laboratorio americano Gilead, che aveva precedentemente sconsigliato.
Il Paxlovid dovrebbe essere preferito al Molnupiravir o al Remdesivir della Merck, così come agli anticorpi monoclonali, ha detto l'organizzazione, anche se continua a sostenere la vaccinazione. "E' fondamentale evitare che la gente sviluppi una forma grave della malattia, che muoia. E la vaccinazione è un intervento chiave per la prevenzione", ha insistito la dottoressa Janet Diaz, capo del team di risposta clinica per il Covid-19, in un briefing con la stampa a Ginevra.
Il Paxlovid "riduce l'ospedalizzazione più delle alternative, ha meno rischi potenziali rispetto all'antivirale molnupiravir ed è più facile da amministrare rispetto alle opzioni endovenose come il remdesivir e le terapie anticorpali. Gli studi hanno mostrato 84 ricoveri ospedalieri in meno per 1.000
pazienti, nessuna "differenza significativa nella mortalità" e "poco o nessun rischio di complicazioni che portano all'interruzione del trattamento", afferma l'OMS. Questa raccomandazione non si applica alle donne incinte e che allattano. Inoltre non si applica ai pazienti con un basso rischio di complicazioni perchè gli effetti positivi sono minimi. Gli esperti hanno anche rifiutato di dare un parere per i pazienti con una forma grave della malattia a causa della mancanza di dati.
Massimo Sanvito per “Libero quotidiano” il 22 aprile 2022.
Paxlovid è arrivato in farmacia. La pillola anti-Covid è sugli scaffali pronta a essere acquistata da chi si sente il virus in corpo senza costi a carico e senza aggravi per il sistema sanitario nazionale. Mal di gola, raffreddore, qualche linea di febbre: per fare effetto, va presa entro cinque giorni dal primo sintomo.
Il primo step, però, è la prescrizione del medico di base, che prima di compilare la ricetta elettronica dovrà escludere eventuali controindicazioni con altri farmaci assunti dal paziente. A occuparsi della distribuzione sono direttamente i farmacisti e i grossisti grazie al protocollo d'intesa tra ministero della Salute, Agenzia italiana del farmaco, rete delle farmacie (Federfarma, Assofarm e FarmacieUnite) e distributori farmaceutici (Federfarma Servizi e Adf).
Ma cos' è Paxlovid? Un farmaco anti-virale, sviluppato da Pfizer, che secondo i risultati preliminari ottenuti alla fine dello scorso anno è in grado di ridurre i rischi di ospedalizzazione e morte rispetto al placebo. Sempre che sia somministrato per tempo.
«Paxlovid è indicato per il trattamento di pazienti adulti che non necessitanodi ossigenoterapia supplementare e che sono a elevato rischio di malattia grave, come per esempio i soggetti affetti da patologie oncologiche, malattie cardiovascolari, diabete mellito non compensato, broncopneumopatia cronica e obesità grave», ha spiegato l'Aifa. Oltre che dai medici di medicina generale le prescrizioni potranno essere messe nero su bianco anche da tutti i centri specialistici Covid-19 individuati dalle Regioni e monitorate dal registro dell'agenzia del farmaco.
Molto soddisfatto il presidente nazionale Federfarma, Marco Cossolo: «Le farmacie dimostrano, ancora una volta, di operare con grande senso di responsabilità nei confronti della collettività e hanno sempre risposto puntualmente ai nuovi bisogni di salute emersi nelle varie fasi della pandemia.
Ora sono pronte a garantire gratuitamente la dispensazione del Paxlovid, per assicurare la tempestività del trattamento con gli antivirali orali, rivelatasi fondamentale per il buon esito della cura». Non proprio dello stesso avviso il direttore della clinica di malattia infettive del Policlinico San Martino di Genova, Matteo Bassetti: «Secondo me alla fine, paradossalmente, ci saranno meno prescrizioni dell'antivirale Paxlovid dal medico di famiglia.
Questo perché prima dell'ok dell'Aifa si era fatta squadra in alcune sedi tra medici di famiglia e ospedali. Ora evidentemente, sapendo che questi potranno prescrivere l'antivirale, verrà meno questa squadra. Una delle tante cose fatte male in Italia, purtroppo».
Tra i medici di base, infatti, serpeggiano diverse perplessità. Perché le ricette dedicate a Paxlovid temono possano rallentare ancora di più la macchina operativa. Burocrazia, maledetta burocrazia. La sfilza di informazioni che dovranno compilare riguardo al piano terapeutico, infatti, è abbastanza lunga.
Prima se ne occupavano i colleghi che lavorano negli ospedali, ora ricadrà tutto sui medici di famiglia che ancora una volta dovranno trasformarsi in passacarte. Qualche dubbio Bassetti lo ha anche sull'utilità della pillola. «Mi auguro che questi farmaci saranno prescritti con appropriatezza. Ad oggi non sono stati usati molto perché i casi dove usarli sono veramente pochi».
E quali sono? Le linee guida dell'Organizzazione mondiale della sanità sono chiare e raccomandano "fortemente" l'uso di Paxlovid per casi non gravi ma a più alto rischio di ricovero come gli anziani, gli immunosoppressi e i non vaccinati. Assolutamente sconsigliato invece per i casi a basso rischio e per chi ha preso il covid con un'alta carica virale perché, al momento, non ci sono dati sperimentali a riguardo. Sul British Medical Journal, i dati di due studi che hanno coinvolto 3.100 pazienti hanno evidenziato la "certezza moderata" che nirmatrelvir-ritonavir, i principi attivi della pillola anti-Covid, abbiano ridotto i ricoveri ospedalieri: 84 in meno ogni mille pazienti.
Paolo Russo per "La Stampa" il 4 maggio 2022.
Se ne era semplificato l'accesso consentendo anche ai medici di famiglia di prescriverli e ai cittadini di acquistarli in farmacia. Dove però non si trova. Parliamo della pillola riservata ai più fragili, che riduce dell'85% il rischio che il Covid generi forme gravi di malattia. Ma per colpa della burocrazia il Paxlovid della Pfizer nelle farmacie ancora non si trova, così a 73 giorni dal suo sbarco in Italia è stato somministrato a nemmeno 10 mila contagiati fragili rispetto alla platea dei 600 mila per i quali se ne sono acquistate le dosi. E come denuncia Guido Rasi, ex numero uno dell'Ema, «sarebbe utile capire quale quota degli oltre mille morti che ancora contiamo ogni settimana si sarebbe potuta giovare di questo antivirale. Credo che ci troveremmo davanti a numeri abbastanza alti».
La spiegazione del flop la fornisce Annarosa Racca, presidente di Federfarma Lombardia. «Noi eravamo pronti ma fino ad ora non sono disponibili le confezioni con il foglietto illustrativo in italiano, in questo caso particolarmente importanti visto che il farmaco interagisce con diverse altre terapie». La Regione Piemonte si è data da fare anticipando ai farmacisti mille confezioni dalle proprie scorte destinate agli ospedali, ma la fornitura da Roma arriverà solo a fine maggio. E così è un po' in tutta Italia. Con i medici di famiglia che, pur potendo prescrivere l'antivirale, si trovano a fronteggiare le proteste dei loro assistiti che non vogliono fare poi la trafila in ospedale per ritirarlo. Magari perché i malanni scatenati dal virus non consentono loro di alzarsi dal letto.
Paxlovid è attualmente autorizzato per chi ha compiuto 18 anni, non ha ancora sintomi gravi e presenta un alto rischio di sviluppare una forma grave di malattia. Persone affette da patologie come tumore «in fase attiva», insufficienza renale cronica, broncopneumopatia severa, immunodeficienza primaria o acquisita, obesità, scompenso cardiaco, malattia coronarica, cardiomiopatia e diabete mellito non compensato. Ma Rasi propone di ampliarne la prescrivibilità agli anziani in genere. «Dobbiamo capire come trarre massimo vantaggio da questa terapia in vista dell'autunno, ma anche in questa fase di lenta discesa dal plateau. Per questo credo che sia opportuno consentirne la prescrizione agli over 70, anche se non hanno patologie importanti».
Stessa strategia a suo avviso andrebbe adottata per il cocktail di monoclonali firmato da AstraZeneca, l'unico a poter essere utilizzato dagli immunodepressi a scopo preventivo, dunque prima di correre seri rischi infettandosi. «Il trattamento ha mostrato di saper ridurre di oltre l'80% il rischio di sviluppare la patologia a sei mesi dalla sua somministrazione, evitando così non pochi decessi». Il problema in questo caso è che l'Aifa lo ha autorizzato solo per circa 90 mila ultrafragili. Più che con sistema immunitario compromesso, sarebbe corretto dire azzerato.
Il dg dell'agenzia italiana del farmaco, Nicola Magrini, qualche settimana fa aveva aperto ad un allargamento della platea dei potenziali beneficiari del trattamento dopo l'autorizzazione definitiva e non più emergenziale da parte dell'europea Ema, ma al momento non se ne è fatto ancora nulla. Nel frattempo ieri si sono contati altri 153 morti, 29 in più di lunedì. Ma i casi sembrano iniziare a scendere più rapidamente. Sempre ieri erano 62.071, in netto rialzo rispetto al solito dato minimo post weekend, ma ben 25 mila in meno di quelli rilevati una settimana prima.
E anche i ricoveri hanno ripreso a calare: due in meno nelle terapie intensive, 99 nei reparti di medicina. Però, per effetto anche dell'abrogazione del Green Pass, calano i tamponi. Nettamente al Sud, dove di test in una settimana se ne sono fatti circa un terzo in meno. Il che potrebbe favorire una circolazione sotterranea del virus. Con questo quadro, oggi parti sociali e governo si incontreranno per aggiornare i protocolli di sicurezza sul lavoro. Dopo Confindustra e Confesercenti anche Confcommercio chiede di lasciare per i lavoratori l'uso della mascherina «almeno fino al 15 giugno». Da vedere è però come i protocolli possano imporne l'obbligo quando questo non è più previsto da alcuna legge.
Matteo Bassetti, "di quel vaccino facciano ciò che vogliono": attacco a Big Pharma, siero inutile? Libero Quotidiano il 20 aprile 2022.
"In autunno è ragionevole pensare che tutti dovremo fare una dose di richiamo, almeno chi ha ricevuto la terza dose da più di sei mesi": l'infettivologo Matteo Bassetti, primario della clinica Malattie Infettive del San Martino di Genova, ha parlato della quarta dose contro il Covid in collegamento con L'Aria che tira su La7. L'esperto, però, ha sottolineato che il secondo booster non può assolutamente essere fatto con i vaccini usati per le prime tre dosi.
"Io credo che non dobbiamo rivaccinarci con lo stesso vaccino con cui ci siamo vaccinati per tre volte ma dobbiamo chiedere tutti forte e in maniera univoca che le aziende farmaceutiche producano un vaccino orientato nei confronti delle varianti", ha proseguito Bassetti, facendo riferimento così alle mutazioni del virus, ormai sempre più diffuse, come Omicron e Omicron 2.
"A me non interessa se le case farmaceutiche hanno oltre un miliardo di dosi da utilizzare, ne faranno quello che vogliono, li regaleranno ai paesi in cui non ci si è ancora vaccinati - ha spiegato l'infettivologo -. Non è possibile che a ottobre ci ripresentino il medesimo vaccino. La comunità scientifica ne deve chiedere uno nuovo a gran voce già da ora".
Il vaccino italiano anti Covid di ReiThera è ancora in corsa? Margherita De Bac su Il Corriere della Sera il 19 aprile 2022.
Molti Paesi dell’Ue hanno il loro vaccino, noi no. Cosa è successo dopo lo stop della Corte dei Conti ai finanziamenti per l’azienda di Castel Romano
Quali Paesi dell’Unione europea hanno sviluppato vaccini anti Covid?
La Gran Bretagna ha dato i natali a Vaxzevria, sviluppato dall’istituto Jenner di Oxford con la partecipazione dell’Istituto italiano IRBM (ricerche biomediche, sede a Pomezia) e prodotto da AstraZeneca. La Francia sta per uscire con i vaccini della Sanofi (che sta lavorando in tandem con l’anglo americana GSK) e Valneva, con sede nel Nord ovest del Paese che sta preparando l’unico composto a base di virus intero inattivato. In Germania ha sede Biontech che con Pfizer ha dato vita al vaccino Comirnaty, basato sulla tecnologia dell’RNA messaggero (la campagna vaccinale in Italia, partita il 27 dicembre del 2020, ha utilizzato queste dosi). Anche la Spagna è in corsa grazie all’industria biotech Hipra che ha sottoposto all’Ema il dossier sun una dose booster per adulti (vaccino proteico) (leggi qui l’intervista al virologo Palù)
E l’Italia?
Il vaccino studiato dall’azienda italiana ReiThera, con sede a Castel Romano, (tra gli azionisti c’è anche Invitalia, amministratore delegato Domenico Arcuri che fino a febbraio 2021 è stato commissario della struttura commissariale per l’emergenza pandemica, entrata nel capitale col 27%), presentato con grande enfasi a gennaio 2021 da diverse autorità sanitarie, ha subito un arresto durante la sperimentazione clinica per mancanza di finanziamenti necessari allo svolgimento dell’ultima fase di sperimentazione . A maggio 2021 la Corte dei Conti ha rilevato infatti irregolarità contabili nel decreto del ministero dello Sviluppo che avrebbe dato il via ai finanziamenti: 81 milioni di Invitalia per completare la fase 3 di sperimentazione. La prima fase dello studio clinico, terminato con risultati definiti «promettenti» è stata finanziata da ReiThera con 6 milioni, che le sono stati in parte rimborsati dallo Spallanzani (5 milioni) . I costi della fase 2 sono stati sostenuti ancora da ReiThera.
Cosa è successo dopo?
L’azienda ha completato la fase 2 di sperimentazione con finanziamenti propri. Sono stati arruolati circa 900 volontari sani, in queste settimane stanno per essere ultimate levisite di controllo (follow up) ai volontari. Il vaccino, basato sull’impiego dell’adenovirus del gorilla come navicella per il trasporto dell’informazione per produrre la proteina Spike del coronavirus nell’organismo (la stessa proteina utilizzata come bersaglio dagli altri preparati), sarebbe risultato «sicuro e immunogenico». I dati sono stati valutati da un Comitato di esperti internazionali per accelerare il passaggio alla fase 3 su 10mila volontari. ReiThera ha anche potenziato la sua officina di produzione con l’acquisto di due bioreattori che consentirebbero la produzione delle dosi su larga scala.
Paolo Russo per “la Stampa” il 12 aprile 2022.
La svolta per proteggere i fragili che nemmeno con il vaccino sono al riparo dai pericoli del Covid arriverà oggi, quando la Cts dell'Aifa darà il via libera alla prescrizione degli antivirali da parte dei medici di famiglia e alla possibilità di acquistarli poi direttamente in farmacia. Un percorso in discesa rispetto alla corsa a ostacoli che ha di fatto limitato - e di molto - l'accesso alle pillole anti-Covid. Nonostante basti un bicchier d'acqua a mandarle giù, fino ad ora la terapia è stata dispensata solo dagli ospedali.
E nonostante gli antivirali vadano assunti al massimo entro 5 giorni dalla comparsa dei primi sintomi, il meccanismo burocratico ha fatto andare molti fuori tempo. Come denuncia il virologo Francesco Broccolo dell'Università di Milano, «ci vogliono circa due giorni prima che il paziente abbia la risposta dal tampone molecolare, dopodiché deve rivolgersi al medico di base e questi a sua volta deve mettersi in contatto con il reparto di malattie infettive dell'ospedale, dove il farmaco può essere prescritto e somministrato». Il rischio, osserva il professore, è «perdere tempo e non riuscire a somministrare la terapia. Ed è anche un sistema discriminatorio, se pensiamo alle periferie e a tutti i centri delocalizzati che non possono accedere in tempi rapidi a un reparto ospedaliero di malattie infettive».
Questo ha di fatto impedito di utilizzare quest'arma terapeutica in più rispetto al vaccino a larga parte di coloro che ne hanno diritto, ossia i contagiati a rischio di evoluzione grave della malattia.
Che sono poi, in base a quanto già stabilito dall'Aifa, persone affette da tumore «in fase attiva», insufficienza renale cronica, broncopneumopatia severa, immunodeficienza primaria o acquisita, obesità, scompenso cardiaco, malattia coronarica, cardiomiopatia e diabete mellito non compensato.
Condizione valida per tutti: aver compito 18 anni e non accusare sintomi gravi della malattia. Per questo i farmaci vanno utilizzati entro tre, massimo 5 giorni dall'insorgenza dei sintomi. Ma per i più così non è stato. E a dirlo sono i numeri. Lasciando da parte il Remdesivir della Gilead, che va somministrato endovena e che per questo richiederà di recarsi ancora in ospedale, i due antivirali via bocca sono il Lagevrio della Merck e il Paxlovid della Pfizer.
Ma mentre il primo con Omicron ha visto calare al 30% la sua efficacia nel ridurre il rischio di ricovero e di morte, il secondo ha dimostrato di continuare a proteggere dagli esiti peggiori nell'88% dei casi. Peccato però che dei 600 mila trattamenti acquistati dall'Italia fino al 5 aprile, ossia a circa due mesi dalla sua approvazione, ne siano stati somministrati appena 6.822, l'1,14% delle scatole a disposizione. Delle 50 mila confezioni targate Merck ne sono stato invece dispensate 16.732, ma il farmaco è stato approvato prima di quello Pfizer.
«Che i farmaci antivirali siano sottoutilizzati è indubitabile», ha ammesso in tv Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità e gran consigliere di Draghi. «È il meccanismo di prescrizione che deve essere reso più agile, e Aifa - ha in qualche misura anticipato - sta sviluppando una strategia per renderli prescrivibili anche dai medici di medicina generale, semmai attivando dei controlli sull'appropriatezza a posteriori».
«Credo che, tenendo conto del rischio di morte di un ultraottantenne che si infetta, se facessi il medico di medicina generale considererei questi soggetti per le terapie, ovviamente valutando le interazioni farmacologiche che non vanno sottovalutate», ha aggiunto il professore, facendo così capire che l'uso degli antivirali potrebbe essere esteso anche ai più anziani a prescindere dai loro malanni. Certo, i costi di un ciclo terapeutico (2 pillole 2 volte al giorno per 5 giorni per il Paxlovid e 4 per 5 nel caso di Lagevrio) vanno dai 610 euro del trattamento della Merck ai 650 di quello Pfizer.
Ma c'è da dire che un giorno di ricovero in reparto ne costa mille, in terapia intensiva tremila. E minimo in ospedale ci si trascorre una settimana. Anche per questo si è deciso di rompere gli indugi aprendo alla prescrizione da parte dei medici di famiglia e all'acquisto diretto in farmacia. Attenzione però alle controindicazioni. Entrambe le pillole non vanno assunte in caso di hiv e di compromissione renale ed epatica severe.
Vaccini: dosi scadute o mai spedite. Lo scandalo delle donazioni è un regalo a Big Pharma. LUDOVICA JONA su Il Domani il 29 marzo 2022
«I produttori dettano agli stati membri condizioni che rendono impossibile una risposta rapida di fronte alla richiesta di aiuto». Lo scrive il segretario di stato tedesco alla Salute Thomas Steffen a Sandra Gallina, caponegoziatrice Ue per l'acquisto dei vaccini.
Si legge in una lettera visionata in questa inchiesta, che fa parte del progetto europeo “Follow The Doses”. La ricostruzione dei documenti e delle donazioni mette in luce le responsabilità di Big Pharma dietro alle donazioni mai avvenute o tardive.
Le conseguenze riguardano anche l’Italia. Circa 350 milioni di dosi donate ai paesi poveri non sono state iniettate, molte finiscono in discarica. LUDOVICA JONA
Paolo Russo per “La Stampa” il 24 marzo 2022.
Doveva essere il vaccino «che piace ai No Vax», ma - a un mese esatto dal suo sbarco in Italia - Novavax è un flop totale. Appena atterrato nel nostro Paese, il generale Figliuolo ne ha distribuite un milione e 23 mila dosi, ma ad oggi ne sono state somministrate poco più di 16 mila, un misero 1,6% del totale. Il «Nuvaxovid», questo il nome commerciale del vaccino, è stato autorizzato dall'Ema per chi ha più di 18 anni.
E la nostra Aifa ha specificato che le fiale vanno utilizzate esclusivamente per chi di punture non ne ha fatta nemmeno una. Condizione nella quale si trovano in questo momento 4 milioni e 39 mila over 18, che hanno girato le spalle anche all'ultimo arrivato della Novavax, società di biotecnologie americana, che ha venduto all'Italia una prima trance di un milione di dosi, per una spesa intorno ai 20 milioni.
Soldi finiti al macero, vista l'accoglienza che gli irriducibili tra i No Vax hanno riservato al vaccino che si sperava avrebbe convinto chi, non si sa sulla base di quali conoscenze scientifiche, aveva detto a chiare lettere di non fidarsi dei prodotti a mRna, temendo chissà quali mutazioni genetiche, considerate fantascienza dai ricercatori più accreditati.
«Nuvaxovid» è infatti un vaccino a base di proteine, ingegnerizzato dalla sequenza del ceppo originale di Wuhan del Sars-Cov-2. Creato grazie alla tecnologia delle nanoparticelle ricombinanti, genera l'antigene derivato dalla proteina spike ed è formulato con l'adiuvante Matrix-M, brevettato da Novavax per migliorare la risposta immunitaria e stimolare alti livelli di anticorpi neutralizzanti.
Dopo l'inoculazione, il sistema immunitario identifica la proteina e inizia a produrre difese naturali come anticorpi e cellule T, quelle che alzano un muro difensivo davanti all'attacco del virus anche quando gli anticorpi non ci sono più. I risultati della sperimentazione di fase 3, quella allargata sull'uomo, hanno dato risultati comparabili a quelli dei vaccini di Pfizer e Moderna a base di mRna, mostrando un'efficacia complessiva dell'82,7%, che sfiora il 100% contro le forme gravi di malattia.
Risultati che avrebbero dovuto far porgere il braccio a dubbiosi e campioni della «genetica fai da te», ma così non è stato. Ma che si tratti di Novavax o Pfizer o Moderna, oramai a fare la prima dose non si presenta più nessuno. Martedì sono stati appena 989. Il giorno prima era andata un po' meglio: 2.037.
Ma con questi ritmi è come pretendere di svuotare l'oceano con un bicchiere, visto che senza alcuna protezione dai 5 anni in su sono ancora in 6 milioni e 961 mila. Ma anche con le terze dosi si procede a passo di lumaca. Martedì se ne sono fatte 39.200, il giorno prima poche centinaia di più.
Briciole rispetto al mezzo milione e passa che ogni giorno si facevano avanti a metà gennaio. Compresi quelli poco convinti, ma che obtorto collo finivano per mostrare il braccio sapendo che senza puntura avrebbero dovuto rinunciare anche al Super Green Pass. Ovvero a ristoranti, bar e svago in generale.
O allo stipendio, nel caso dei lavoratori over 50. Tutti divieti che il nuovo decreto approvato la scorsa settimana manda in soffitta a partire dal 1° aprile. E anche questo sta contribuendo non poco a tenere alla larga dagli hub vaccinali chi ci si era avvicinato più per necessità che per convinzione.
Non a caso all'appello mancano circa tre milioni di italiani, che passati più di 4 mesi dalla seconda dose, potrebbero ora fare la terza ma scelgono di non presentarsi. Male per loro, visto che dopo 120 giorni con Omicron la protezione dal contagio con due sole dosi scende sotto il 40%, mentre il rischio di morte sale di cinque volte rispetto a chi il booster lo ha fatto.
Male però anche per chi, pur vaccinato, rischia per negligenza altrui di ammalarsi comunque seriamente, per via di un sistema immunitario malconcio che male risponde alle stimolazioni degli stessi vaccini. Persone da proteggere facendo circolare meno virus possibile. Se i No Vax lo capissero.
Covid, "quanti no-vax si sarebbero salvati": cifre da incubo, il Cts spinge per la proroga dell'obbligo vaccinale. Libero Quotidiano il 15 marzo 2022.
Sergio Abrignani, membro del Cts, ha spiegato in un’intervista rilasciata a Repubblica perché l’obbligo vaccinale per gli over 50 non va tolto. “Dico che dal primo gennaio al 28 febbraio di quest’anno sono morte 17mila persone per il Covid - ha esordito l’immunologo - di queste, circa il 55% non aveva fatto il vaccino. Vuol dire più di 9mila cittadini. Se teniamo conto che il vaccino protegge al 90% dalla malattia grave, ricaviamo che in circa 8mila potevano salvarsi se si fossero vaccinati”.
Abrignani ha fatto un paragone ad effetto per far comprendere bene quanto sia ancora letale il virus nella popolazione più esposta: “Si stima che in Ucraina fino ad ora ci sono stati 2mila morti civili, cioè in proiezione 6mila in due mesi. Ecco, da noi nello stesso lasso di tempo il virus ha ucciso di più”. Il maggior numero di vittime del Covid è legato a chi ha scelto di non vaccinarsi, nonostante l’obbligo: “I non vaccinati che muoiono hanno prevalentemente più di 50 anni, e a gennaio e febbraio sono circa 130 al giorno. Cioè o come se quotidianamente fosse caduto un aereo”.
Quindi secondo Abrignani l’obbligo andrebbe esteso: “La decisione è politica, non spetta a noi esperti dirlo. Facciamo però notare quante persone non sarebbero morte se si fossero vaccinate e quindi non ha senso toglierlo. Adesso i casi si sono più che dimezzati rispetto ai primi due mesi di quest’anno ma i decessi tra i non vaccinati sono comunque 2mila al mese. Cioè tanti”.
L'incarico da aprile. Chi è Tommaso Petroni, successore di Figliuolo per la campagna vaccinale: Draghi punta al generale esperto di logistica. Carmine Di Niro su Il Riformista il 30 Marzo 2022.
Un generale dell’esercito esperto in logistica per completare il percorso della campagna vaccinale. È Tommaso Petroni l’uomo scelto dal presidente del Consiglio Mario Draghi come Direttore dell’Unità per il completamento della campagna vaccinale e per l’adozione di altre misure di contrasto alla pandemia.
A decorrere dal 1° aprile Petroni prenderà il posto di Francesco Paolo Figliuolo. Il 31 marzo infatti con la fine dello stato di emergenza verrà ‘smobilitata’ anche la struttura commissariale che quest’ultimo ha guidato durante la campagna vaccinale, prendendo il posto dell’amministratore delegato di Invitalia Domenico Arcuri.
Una nomina all’insegna della continuità: Il maggior generale Petroni era da circa un anno capo dell’area logistico-operativa della struttura commissariale diretta finora da Figliuolo.
Sessanta anni, originario di Canosa di Puglia, si è arruolato nell’Esercito nel 1981. Ha ricoperto vari incarichi di comando ed ha prestato servizio in missioni in Kurdistan, Somalia e Kosovo oltre che al quartier generale della Nato a Valencia.
Dall’ ottobre 2018 ad aprile 2021, il maggior generale Petroni a Roma ha svolto gli incarichi di capo reparto Trasporti e capo reparto Materiali occupandosi della gestione di tutti i trasporti nazionali ed internazionali a supporto di Enti e Reparti dell’Esercito italiano.
Vice di Petroni, indicato dal ministro della Difesa Lorenzo Guerini, sarà Giovanni Leonardi, dirigente del ministero della Salute. L’Unità che Petroni guiderà a partire dal primo parile sarà composta da una parte del personale della struttura di supporto alle attività del commissario e da personale in servizio al ministero della Salute.
Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia
Da ansa.it il 14 marzo 2022.
"Io il 31 comunque voglio passare la mano perché ho un incarico importante come comandante del Covi e mi voglio dedicare a quello.
Penso di aver fatto la mia parte, ho visto cose belle e cose meno belle ma basta così.
Sono un tecnico e voglio rimanere un tecnico". Lo ha detto il commissario straordinario all'emergenza coronavirus e comandante del Covi, Francesco Paolo Figliuolo, nel corso della presentazione del libro scritto con Beppe Severgnini “Un italiano”, edito da Rizzoli, a 'Libri Come', all'Auditorium Parco della Musica di Roma.
"Perché ho scritto questo libro? Per lasciare traccia di quello che sono", ha aggiunto Figliuolo, durante la presentazione del suo libro "Un italiano", scritto con Beppe Severgnini, alla rassegna 'Libri Come' all'Auditorium di Roma. "Poi metà del libro parla di questa incredibile avventura che mi è capitata di fare, come commissario straordinario per l'emergenza Covid - ha aggiunto Figliuolo -. Così, se avrò dei nipotini, magari un giorno leggeranno cosa ha fatto il nonno".
Da ansa.it il 14 marzo 2022.
Per gentile concessione della casa editrice Rizzoli pubblichiamo un estratto da “Un italiano” (pp 304, euro 19.00) di Francesco Paolo Figliuolo. Conversazione con Beppe Severgnini, in libreria dall'8 marzo, che saranno a Libri Come sabato 12 marzo.
Ecco il brano dedicato allo spirito degli alpini: "Se dovesse spiegare a qualcuno che conosce poco l'Italia chi è un alpino, cosa direbbe? Be', per cominciare l'alpino ha un cappello buffo. Adesso guai a chi me lo tocca, il cappello con la penna, ma all'inizio pensavo: «Cos'è?». Poi ho capito che questo cappello ha una storia. Chi lo porta è una persona seria. Come disse e scrisse Egisto Corradi, non è un furbo, nel senso italico del termine.
Questo è un anno importante, per voi.
Sì, il 2022 segna una tappa significativa nella storia degli alpini, che festeggiano i centocinquant'anni di fondazione del corpo. Il 15 ottobre 1872, a Napoli, Vittorio Emanuele II firmava il decreto che sanciva la nascita delle prime compagnie montanare del Regio Esercito, destinate a difendere le vallate sui confini d'Italia.
Per celebrare la ricorrenza, l'Associazione Nazionale Alpini e il Comando Truppe Alpine dell'Esercito hanno promosso una serie di eventi e attività che accompagneranno le penne nere in servizio e in congedo in un percorso che si concluderà il 15 ottobre, giorno dell'anniversario, con una manifestazione nazionale proprio a Napoli. La aspettiamo!
- Lei ha citato l'alpino Egisto Corradi, classe 1914. Quando sono tornato da Londra nel 1988, Indro Montanelli mi ha messo in stanza con lui, al «Giornale» in via Negri. A Egisto piaceva insegnare ai giovani, fingendo di chiederci aiuto.
Non l'ho mai conosciuto di persona, purtroppo. Ma ho letto La ritirata di Russia, gran libro. L'eroismo spiegato con parole semplici.
- Un ricordo del primo campo? Un passo falso. Primo giorno, ora di pranzo, mi lancio verso la mensa. Il capitano: «Che stai facendo?». Rispondo: «Non si va in mensa?». E lui: «Ma tu sei un ufficiale». E io: «Appunto!».
Allora mi spiega: «L'ufficiale mangia per ultimo». Pensai: vabbe', che strana consuetudine. Poi ho capito. Mangio per ultimo perché vuol dire che i soldati sicuramente hanno mangiato. Quando si va in montagna, ci si deve nutrire per avere le energie.
Poi ho imparato il controllo: per comandare non bisogna solo dare ordini, bisogna verificare che gli ordini siano eseguibili. Ho capito l'importanza dell'esempio. Chi esegue gli ordini - in combattimento potrebbero comportare la perdita della vita - deve essere sicuro che chi li ha impartiti abbia preso la migliore decisione possibile, valutando tutte le informazioni a disposizione.
- La vita di un alpino, vista da fuori, appare faticosa.
Le racconto un altro episodio di quel primo campo. Marcia con pernottamento in quota. Saliamo, carichi come muli. Oltre allo zaino, portiamo una tenda biposto con i carichi divisi tra due alpini. Ufficiali compresi, ovviamente. Nel pomeriggio, dopo aver scarpinato nella neve per ore, arriviamo nei pressi di alcune malghe disabitate. Era già buio. Il capitano ordina di preparare l'accampamento.
Poi mangiamo il cibo scaldato con la cucina someggiabile. Prima di andare in tenda a riposare - ormai si era fatto tardi - domando al capitano l'ora della sveglia per il giorno dopo. Risponde: «Sveglia all'una e trenta, poi andiamo in cima».
Stupito, chiedo: «Non è tardi partire dopo mezzogiorno?». Ahimè, la sveglia era all'una e trenta del mattino. In pratica, mancavano poche ore. Bella la montagna quando sei in cima, ma per arrivarci...
- Degli alpini, per chi alpino non è, colpisce lo spirito di corpo, che resiste nel tempo. Non è il posto giusto per gli individualisti. Corretto?
Gli alpini si confrontano con un ambiente oggettivamente difficile, che è la montagna. Non bisogna lasciare mai indietro nessuno, occorre lavorare assieme, tutti portano lo zaino, anche i comandanti, gli ufficiali. Normalmente il passo si cadenza sul più lento, non sul più forte e veloce. Questo significa voler arrivare tutti, vuol dire sacrificio, solidarietà, senso di responsabilità. Ecco perché i reparti alpini sono molto coesi.
Lo spirito di corpo viene alimentato anche dall'Associazione Nazionale Alpini, in Italia non c'è niente del genere, come numeri e come entusiasmo. Io mi sono spesso chiesto perché. La risposta: chi s'impegna lì dentro vuole fare, non cerca una carica o un rango..."
Estratto dell’articolo di Vincenzo Bisbiglia per “il Fatto quotidiano” l'11 marzo 2022.
Il 3º reggimento Alpini inviato nel 2019 in missione Nato in sostituzione di un altro, il 9º, "già approntato e pronto a partire" verso la Lettonia. Tutto ciò, secondo chi denuncia, potenzialmente per dare lustro, indennità e agevolare la carriera di un comandante in particolare, l'allora capitano Federico Figliuolo, a capo della 34º compagnia del 3º reggimento Alpini e figlio dell'attuale commissario dell'emergenza Covid-19, il generale Francesco Paolo Figliuolo, in quel momento ancora in testa al Comando Logistico dell'Esercito. In cambio, alle Truppe alpine sarebbe stato promesso l'arrivo di "materiali speciali, forse motoslitte".
È l'episodio raccontato da un testimone anonimo e contenuto in un esposto depositato alla Procura di Bolzano il 10 novembre 2021 dal presidente nazionale di Assomilitari, il maresciallo dell'Esercito Carlo Chiariglione. Denuncia che ha portato i pm altoatesini ad aprire un'inchiesta: né Figliuolo, né il figlio, né tutti gli altri che citiamo sono indagati.
[…] Le circostanze di cui si parla nell'esposto, secondo il denunciante, sarebbero state raccontate dall'allora comandante generale delle Truppe alpine, il generale di Corpo d'Armata, Claudio Berto (oggi in pensione), il 19 febbraio 2019 in un bar […] alla presenza di diverse persone, tra cui due generali, un colonnello e un maggiore suoi sottoposti.
Il 9º reggimento Alpini era rientrato a dicembre 2018 dalla Operazione "Baltic Guardian", sostituito dal 7º bersaglieri. A dicembre 2019, secondo quanto esposto ai pm, i soldati di stanza all'Aquila sarebbero dovuti ripartire verso la base di Adazi. "Il generale Berto - si legge nella denuncia - in tale situazione ha iniziato a raccontare ai presenti che il generale Figliuolo poco prima gli aveva richiesto di poter modificare il piano impiego estero dei reparti Alpini già formalmente definito".
La richiesta, prosegue il denunciante, "era quella di togliere dalla pianificazione operativa per l'impiego all'estero il 9º Reggimento Alpini (L'Aquila) () e di conseguenza impiegare il 3º Reggimento Alpini (Pinerolo), in teoria non ancora approntato, al solo fine di poter far partire la 34º compagnia comandata dal Capitano Figliuolo".
Continua l'esposto: "Tale richiesta, per quanto dichiarato in quel contesto dal Gen. Berto, non fu per fattori riferiti all'efficacia ed efficienza istituzionale e operativa, bensì esclusivamente per far partire il figlio del Gen. Figliuolo. Il Gen. Berto aggiunse anche che il Gen. Figliuolo, già ricoprente l'incarico di Comandante del Comando Logistico dell'Esercito, per convincerlo di tale favore personale, gli promise di destinare al Comando Truppe Alpine dei materiali speciali, forse motoslitte".
Quella di Berto poteva essere solo una "chiacchiera da bar"? Magari un racconto ingigantito in un contesto conviviale? "Tale affermazione - si legge nella denuncia - il Gen. Berto l'ha ripetuta, anche in altre situazioni e sedi ad altri soggetti" […]
Generale Figliuolo, "quando è stato deciso il favore per il figlio". Nuovi velenosi dettagli. Libero Quotidiano il 12 marzo 2022.
Nonostante il generale Francesco Figliuolo non sia indagato, Marco Travaglio torna a dedicare al commissario per l'emergenza Covid un'intera pagina. Il caso ormai è noto: un anonimo ha informato la procura di Bolzano su presunti favori chiesti da Figliuolo per il figlio Federico. Ora, scrive Il Fatto Quotidiano, "non c'è solo la denuncia di Assomilitari a raccontare del cambio di programma per spedire in Lettonia il reggimento Alpini del figlio del commissario straordinario per il Covid-19 Francesco Paolo Figliuolo. Ora arriva anche un'altra conferma, quella dell'allora vice comandante degli Alpini, il generale di divisione, Marcello Bellacicco".
Secondo quanto riportato dal Fatto l'accordo sarebbe stato sancito nel febbraio del 2019 durante i Campionati sciistici delle Truppe alpine (Casta). Il cambio di programma con l'invio in missione Nato in Lettonia del 3º reggimento Alpini e non del 9º, secondo chi denuncia, sarebbe stato orchestrato per agevolare la carriera dell'allora capitano Federico Figliuolo, a capo della 34ª compagnia del 3º reggimento Alpini e figlio del generale Figliuolo.
Un'ipotesi - prosegue il quotidiano "suffragata" dalle parole di Bellacicco. "Ricordo che eravamo ai campionati sciistici delle Truppe alpine in Val Pusteria e quel giorno c'erano le gare di fondo () Durante una pausa dalle competizioni, intorno alle 11 () ci ritrovammo al bar del complesso sportivo il generale Claudio Berto, il sottoscritto, il generale di brigata Luca Bombonato, vice comandante delle Infrastrutture, e il maggiore Marcello Marzani, l'aiutante di campo del generale Berto". Quest'ultimo, prosegue, "disse che aveva parlato con il generale Francesco Figliuolo, il quale gli aveva chiesto di mandare in Lettonia, in una missione Nato, il 3º reggimento Alpini invece del 9º reggimento Alpini, come era previsto sino a quel momento. In cambio, disse, Figliuolo avrebbe potuto assegnare una motoslitta alle Truppe alpine".
Generale Figliuolo, Filippo Facci smaschera Travaglio: "Perché il Fatto lo ha messo alla gogna". Filippo Facci su Libero Quotidiano il 12 marzo 2022.
Il generale Francesco Paolo Figliuolo non è indagato, non è iscritto nel registro degli indagati, non è iscritto nel registro dei reati: è stato soltanto denunciato da un anonimo alla procura di Bolzano dopodiché un pubblico ministero ha preso la denuncia e l'ha relegata a modello 45, che tecnicamente corrisponde al «registro degli atti non costituenti notizie di reato» che è quello dove spesso finiscono le denunce dei pazzi o dei finti perseguitati e dintorni. Morale: ieri Il Fatto Quotidiano ha sbattuto in prima pagina la notizia (che non c'è) perché è così che funziona, in Italia in particolare. Già fatichereste a immaginare quante ne arrivano, di denunce che finiscono direttamente a modello 45: ma fatichereste di meno a immaginare quante possa ritrovarsene, d'un tratto, chiunque sia divenuto noto o famoso o comunque al centro delle cronache. Perché è così che funziona, sì. Se tra giornalisti si dice «se non ti querelano non sei nessuno (cacchiata, perché allora il direttore di Libero e anche del Fatto dovrebbero essere più celebri dei Beatles), in Italia è molto più vero che chiunque si affacci alla ribalta politica faccia partire un conto alla rovescia, e la scommessa divenga: quanto impiegheranno a indagarlo? Entro quanto finirà arrostito dal cretinismo mediatico e bipolare? Le scommesse per il generale Figliuolo sono ancora aperte, visto che circolano quotidiani che riescono a rimpiangere persino i tempi di Giuseppe Conte e Domenico Arcuri.
AVVERTENZA TECNICA
Dunque, ora, raccontiamo per bene questa immane ca***ta: la denuncia contro Figliuolo; divertiamoci un po' coi nostri amici del Fatto. Avvertenza tecnica: non provino neanche, certi "imparati" di cose giudiziarie, a rifilarci che il modello 45 sia solo un nascondiglio usato dai pm per prendere tempo: quei tempi sono finiti. C'è una circolare del ministero della Giustizia (21 aprile 2011) che è stata confermata due volte dalla Cassazione a Sezione Unite e che spiega che il giochino non si può più fare. No, perché il Fatto Quotidiano ha titolato così: «"Il gen. Figliuolo chiese favori per il figlio". Indaga Bolzano». Che non è il cognome di un pm: è la città. C'è un'intera città che indaga, 104mila bolzanesi sulle tracce del generale. Il Fatto scrive che la denuncia «ha portato i pm altoatesini ad aprire un'inchiesta», anche se ammettono che il generale non è indagato: ma detta così è una bugia e basta. Per mettere la denuncia a modello 45 (registro separato da quello generale) bisogna comunque denominarlo in qualche modo, scriverci un numero: nel caso è il 2305/21, ma non significa che hanno «aperto un'inchiesta», come scrive Il Fatto, ma viceversa che non l'hanno aperta, perché quel registro è l'anticamera dell'archiviazione. Se un pm volesse «aprire un'inchiesta», il pm dovrebbe fare una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato (che è un altro registro) e il passaggio dovrebbe essere annotato. Non è avvenuto. Quindi non c'è un'indagine. Non c'è un'indagato. Per ora, almeno. Ora la dinamica. Il caporalmaggiore Carlo Chiariglione, presidente di Assomilitari (un'associazione di categoria il cui presidente onorario è Giampiero Scanu, ex senatore passato dal Ppi al Pd, ora pensionato) il 10 novembre scorso ha depositato un esposto alla Procura di Bolzano. In questo esposto c'era una denuncia anonima, ma questa denuncia è stata confermata dalla registrazione che Assomilitari ha fatto del racconto di un ex vice comandante degli Alpini ora in pensione, Marcello Bellacicco.
LA RICOSTRUZIONE
L'anonimo racconta (cioè è scritto nell'esposto) che l'ex comandante degli Alpini Claudio Berto, pure lui in pensione, il 19 febbraio 2019 era in un bar dello Stadio del ghiaccio di Dobbiaco (Bolzano) e con lui c'erano anche altri militari. Tre mesi prima, a dicembre 2018, il Nono reggimento alpini era rientrato da un'operazione in Lettonia ed era stato sostituito dal Settimo reggimento dei bersaglieri, e nel dicembre 2019 il Nono sarebbe dovuto ripartire per la Lettonia. Ma ecco: «Il generale Berto in tale situazione ha iniziato a raccontare ai presenti che il generale Figliuolo poco prima gli aveva richiesto di poter modificare il piano impiego estero dei reparti Alpini gia formalmente definito», e cioè «togliere dalla pianificazione operativa per l'impiego all'estero il Nono Reggimento Alpini e impiegare il Terzo Reggimento Alpini». E perché l'avrebbe fatto? «Al solo fine di poter far partire la compagnia comandata dal Capitano Figliuolo», inteso come Federico Figliuolo, a capo del Terzo Alpini. Non solo: il generale Figliuolo, secondo il racconto da bar dell'ex comandante Berto, «per convincerlo di tale favore personale, gli promise di destinare al Comando Truppe Alpine dei materiali speciali, forse motoslitte». Addirittura. Motoslitte per gli Alpini: sono tutti materiali speciali che in effetti ai Lagunari San Marco e all'Arma di Cavalleria non hanno mai destinato. Poi, forse nella consapevolezza che i tratti comuni di ogni testimonianza sono 1) degli Alpini; 2) un bar: 3) dei pensionati, l'esposto anonimo precisava che il generale Berto «tale affermazione l'ha ripetuta ad altri soggetti anche in altre situazioni e sedi». In quali bar, pardon sedi?
SEGUGI IN AZIONE
Da qui sono ripartiti i segugi del Fatto. Hanno cercato di contattare il generale Berto, ma l'alpino gli ha fatto rispondere - tramite l'ufficio stampa - che non vuole incontrarli né rispondere alle loro domande. Inquietante. In seguito l'avvocato di Assomilitari ha chiesto all'Esercito copia della «disposizione di variazione della pianificazione operativa nell'avvicendamento», e però non gliel'hanno data, spiegando che l'Esercito, su richiesta, non fornisce documenti militari interni. Inquietante. Allora i segugi del Fatto hanno scritto «via whatsapp» al generale Figliuolo che non ha risposto (inquietante) e hanno chiesto spiegazioni all'ufficio stampa della struttura commissariale per l'emergenza Covid, «anche in questo caso senza ottenere risposte». Sempre più inquietante. In vari passaggi, i segugi del Fatto sono rimasti «senza risposte», e se la sono rivenduta come se avessero ogni volta impattato contro muri d'omertà. È giusto avvertirli: se si ostineranno a chiedere informazioni sulla «disposizione di variazione della pianificazione operativa nell'avvicendamento» degli Alpini in Lettonia, chissà, persino il loro portinaio potrebbe lasciarli «senza risposte».
Mariolina Iossa per il corriere.it il 12 marzo 2022.
Il Commissario all’emergenza Coronavirus Francesco Paolo Figliuolo in qualità di comandante del Covi (Comando Operativo di Vertice Interforze) è adesso attivissimo su due fronti, perché oltre alla campagna vaccinale che ormai si sta esaurendo sta seguendo la crisi Russia-Ucraina e l’impatto sull’Europa e l’Italia. Ora dice apertamente di considerare chiusa la sua esperienza come Commissario straordinario per la pandemia e la campagna vaccinale.
«Io il 31 marzo voglio comunque passare la mano perché ho un incarico importante come comandante del Covi e mi voglio dedicare a quello - ha detto il generale a «Libri Come», all’Auditorium Parco della Musica di Roma, durante la presentazione del libro scritto con Beppe Severgnini «Un italiano».
«Penso di aver fatto la mia parte, ho visto cose belle e cose meno belle ma basta così. Sono un tecnico e voglio rimanere un tecnico», ha poi aggiunto Figliuolo. La campagna vaccinale da lui guidata ha consentito all’Italia di attraversare la tempesta dell’ondata Omicron in maniera meno drammatica di quel che sarebbe potuto accadere se la popolazione vaccinata fosse stata largamente inferiore.
«Perché ho scritto questo libro? Per lasciare traccia di quello che sono», ha detto Figliuolo. «Metà del libro parla di questa incredibile avventura che mi è capitata di fare come commissario straordinario - ha aggiunto il comandante - Così, se avrò dei nipotini, magari un giorno leggeranno cosa ha fatto il nonno».
Adesso per il generale c’è un’altra crisi da seguire, la guerra in atto ai confini dell’Europa. E nel nostro Paese occorrerà prevedere nuove figure che continuino nel lavoro di monitoraggio e spinta alla vaccinazione, per tenere sotto controllo una situazione sanitaria che è sì meno preoccupante ma non è definitivamente chiusa.
La lettera di Figliuolo: "Adesso dovrete farcela da soli". Alessandro Ferro il 3 Marzo 2022 su Il Giornale.
Il Commissario per l'emergenza Covid, Figliuolo, ha scritto una lettera di raccomandazioni al ministero della Salute e alle Regioni in vista della scadenza del suo mandato. "Inaccettabile non farsi trovare pronti".
Un anno dopo essere stato nominato Commissario straordinario per l'emergenza Covid-19, il generale Francesco Paolo Figliuolo ha deciso di scrivere di suo pugno una sorta di "lettera d'addio" alle Regioni con tutte le raccomandazioni più importanti da portare avanti anche in sua assenza. Tra 28 giorni (il 31 marzo), infatti, scadrà il suo mandato come quello dei componenti del Comitato tecnico-scientifico. Nel testo sono contenuti i suggerimenti su come portare avanti la campagna vaccinale, sugli errori da evitare e come essere "lungimiranti e cauti".
Il testo con i consigli
Dal 1° aprile, infatti, sarà tutto in mano a Regioni e ministero della Salute che dovranno gestire al meglio quanto organizzato dal generale nel suo anno di operatività quando fu chiamato al posto di Arcuri. Come scrive Repubblica, una parte del testo contiene consigli sul materiale in arrivo (dalle mascherine al gel igienizzante) valutando la possibilità di riceverlo e stoccarlo "nella disponibilità della struttura commissariale". Alle amministrazioni locali, invece, Figliuolo scrive di tenersi pronte "a una eventuale recrudescenza della pandemia" mentre, sui vaccini, ricorda che aver saputo gestire le scorte è stato fondamentale per far fronte alle varie criticità. Il suggerimento viene ribadito per farsi trovare pronti qualora ci fossero nuove criticità, soprattutto in autunno.
La "frecciatina" al ministero
Sul futuro, il generale mette in guardia il ministero della Salute che, dopo la fine dello stato di emergenza, "abbia piena consapevolezza di alcune iniziative assunte, orientate a consentire una pronta risposta alle esigenze emergenti e che richiederanno attenzione anche per il futuro in quanto il rischio di non essere pronti all'eventualità non sarebbe accettabile". Interessante soprattutto quest'ultima parte, quel "non accettabile" che suona come una sentenza: anche senza di me dovrete farcela, il senso è più o meno questo.
Inevitabilmente, si parla poi del nodo sulla quarta dose, al momento avviata soltanto per i pazienti oncologici e immunocompromessi "ma la situazione sarà oggetto di monitoraggio per valutare l'eventuale allargamento di tale platea", sottolinea il generale. E vista la complessità della tematica legata alla pianificazione dell'afflusso, dello stoccaggio e della distribuzione dei vaccini rispetto all'evoluzione della pandemia, la struttura commissariale ha fornito alle Regioni e alle province autonome un quantitativo di dosi tali, da permettere insieme con quelle mantenute "a livello centrale una prima risposta a un eventuale allargamento della platea della quarta dose". L'ultima indicazione contenuta nella lettera è istituzionale, come è giusto che sia. "L'esperienza maturata dal sistema Paese testimonia l'importanza di essere lungimiranti e fedeli ai principi di massima precauzione, ponendo l'accento sulla concreta e immediata disponibilità di risorse", conclude.
"Figliuolo ha lavorato bene"
"Con allenatore il generale Figliuolo, tra i grandi Paesi siamo i primi anche nel campionato europeo delle vaccinazioni", ha affermato il virologo Roberto Burioni commentando su Twitter un grafico elaborato dall'Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) in base ai dati disponibili sulle percentuali di popolazione totale con ciclo vaccinale completo nei Paesi Ue. L'Italia risulta al terzo posto con l'83,28%, preceduta solo da Portogallo e Malta. "E come terza dose ci giochiamo i Mondiali con la Corea del Sud", ha aggiunto il virologo, commentando con la metafora del calcio un grafico del portale Our World In Data.
"Il commissario ha lavorato bene, ha dato sicurezza e assistenza alle Regioni in momenti drammatici", ha affermato Raffaele Donini, assessore alla Salute dell'Emilia-Romagna che coordina tutti gli altri nella Conferenza delle Regioni. Il piano delle vaccinazioni ha funzionato e funziona bene perché le Regioni hanno lavorato con il suo coordinamento", aggiungendo che se la gestione passerà alle Regioni, ci sono tutte le esperienze "per approvvigionare, stoccare e realizzare i piani operativi di prevenzione, che stiamo già costruendo".
Claudia Osmetti per “Libero quotidiano” il 9 marzo 2022.
Penna bianca, penna tagliente. Il generale Francesco Figliuolo, il commissario straordinario per l'emergenza coronavirus, è uno che non le manda a dire. Neanche quando scrive. È uscito oggi il suo libro Un italiano, quello che la vita mi ha insegnato per affrontare la sfida più grande (edito Rizzoli, 304 pagine, 19 euro), redatto a quattro mani con il giornalista Beppe Severgnini, e già non si parla d'altro.
Ma quale bollettino (parentesi: sono settimane che, fortunatamente, la conta dei contagi è finita nelle brevi dei quotidiani), quali statistiche sulle vaccinazioni, via pure la diatriba con i no-vax, i no-pass, i no-mask. È che, però, Figliuolo ne incasella una dietro l'altra. Mica tace (giustamente) e se c'è da fare un mea culpa non si tira indietro.
Per esempio: sulla terza dose «col senno di poi si poteva partire un po' prima. Ma appena si è capito che era necessaria ci siamo mossi in fretta e bene». D'altronde è un alpino e, per citarlo ancora, «il vero alpino è tutto d'un pezzo, segue le regole, porta lo zaino, porta anche due zaini se qualcuno non ce la fa. Però è anche portato a riflettere». E allora ci riflette, il generale, poi, tra le pagine del lungo volume-intervista, lancia la prima stoccata.
Destinatari, i virologi e i medici che, da due anni a questa parte, riempiono le tivù. «Ho pensato», dice, «che certe scene potevamo e dovevamo risparmiarcele. Non hanno aiutato la gente a capire». Galli, Burioni, Capua: nel calderone di Figliuolo pare ci rientrino quasi tutti e allora lui precisa: «Ho un sospetto. I virologi, molti dei quali sono bravissimi, in ambito scientifico sono stati un po' negletti. Non perché la virologia sia una disciplina minore. Però, diciamo la verità, il grande pubblico un virologo manco sapeva chi era. La fama ha fatto emergere nel mondo scientifico contrasti umani e naturali».
DOTTORI INFURIATI Apriti cielo. Neppure il tempo di vendere la prima copia in libreria, che mezzo mondo salta sulla sedia dello studio (quello televisivo o quello del reparto). Prendi Maria Rita Gismondo, la direttrice del laboratorio di Microbiologia dell'ospedale Sacco di Milano, che bolla quelle parole come una «considerazione non giustificata e un commento evitabile». O l'epidemiologo Pierluigi Lopalco, docente di Igiene all'università del Salento, che puntualizza: sì «i contrasti personali messi in mostra hanno certamente offerto uno spettacolo non molto edificante», però alcuni colleghi «hanno finalmente trovato il modo per fare sentire la propria opinione e c'è stato spazio per le idee».
O ancora Matteo Bassetti, il direttore della clinica Malattie infettive del policlinico San Martino di Genova, che è un altro abituato a dire le cose pane al pane: «Mi dispiace che si passi a criticare i medici sul campo», sbotta, «quelli che si sono fatti un mazzo così. E invece non si sia mai in grado di guardare agli errori commessi dalla politica, dalla struttura commissariale e dal Cts». E’ vero, ma solo a metà. Perché il generale Figliuolo, con le sue stilettate, non risparmia nessuno.
Ce l'ha col presidente della regione Campania, il dem Vincenzo De Luca, che «ha sempre parlato con me come di un avversario o addirittura di una persona inutile. Questo è inaccettabile. Anzi, peggio: è deludente». Difende il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese che ha «lavorato in maniera egregia. Probabilmente Salvini ha un'idea più politica del ruolo». Ce l'ha con «alcuni estremisti» dell'anti-vaccino che «si paragonavano agli ebrei nei cambi di sterminio e sono rimasto nauseato».
ORGOGLIO DIVISA Ce l'ha con Michela Murgia che, qualche tempo fa, aveva espresso dubbi nel vederlo andare in giro in divisa: «In quelle parole ho trovato un pregiudizio, posso dirlo? Non si giudica la gente dal saio». E sembra togliersi qualche sassolino dalle scarpe (pardon, dagli scarponi) anche con il suo predecessore, quel Domenico Arcuri che aveva guidato l'emergenza durante il governo Conte-bis: «Il mio è stato un approccio più dinamico», spiega, «che viene fuori da esperienze di tipo diverso. La struttura precedente era basata su Invitalia, una grande stazione appaltante. C'è gente che ha lavorato tantissimo, ma senza l'esperienza e l'organizzazione per gestire quel tipo di attività. Tuttavia ritengo che abbiano fatto il massimo in quelle condizioni». Però, a essere onesti fino in fondo, il vero merito di Figliuolo è un altro: le anticipazioni del suo libro, ieri, sono uscite praticamente ovunque. E, per il momento, nessuno si è sognato di ritiralo dagli scaffali.
Figliuolo si sfoga: "Ha sempre parlato di me come una persona inutile..." Valentina Dardari il 6 Marzo 2022 su Il Giornale.
Il generale è rimasto deluso dal comportamento del governatore della Campania che ha sempre parlato di lui come di un avversario.
Dal primo marzo 2021 il generale Francesco Paolo Figliuolo è Commissario straordinario per l'attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell'emergenza epidemiologica Covid-19, ruolo che ricoprirà fino al 31 marzo 2022, data in cui terminerà lo stato di emergenza. Il suo sogno fin da ragazzo era quello di diventare un alpino. E lo ha realizzato. In una intervista al Corriere Figliuolo, parlando di Covid, ha spiegato che inizialmente è stata dura perché non si sapeva cosa dover fare, e poi perché si credeva di averlo fatto. Non è certo stato facile per il generale scegliere le persone giuste da mettere in campo e contribuire a vaccinare un popolo. “Nel 2021 il virus era aggressivo, mi sembrava che un treno mi corresse incontro. Nel 2022 sento in me e intorno a me la frustrazione: ma come, con tutti gli sforzi che abbiamo fatto, ancora non ne siamo fuori?”, ha confessato.
Chi lo ha deluso
Essere alpino, come lui stesso ha tenuto a sottolineare, è una scelta identitaria, e non una professione. Sono persone che sanno che la fatica e il duro lavoro fanno parte del mestiere. Quella contro il Covid è stata una lunga marcia in salita, come l’ha definita Figliuolo. Nel parlare delle persone che più lo hanno sostenuto in questa dura battaglia ha però anche ricordato chi non lo ha appoggiato, e anzi lo ha sempre attaccato. Dalla sua parte la famiglia, la moglie, anche lei generale, e i suoi figli. E poi tutta la squadra commissariale, il premier Draghi, i ministri Lorenzo Guerini e Roberto Speranza, il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio, e alcuni presidenti di Regione. Già, alcuni, perché c’è stato anche chi non l’ha mai appoggiato, come Vincenzo De Luca, il presidente della Regione Campania: “Ha sempre parlato di me come di un avversario, o addirittura come di una persona inutile. Questo è inaccettabile. Anzi, peggio: deludente. Nessuno dei suoi colleghi, di ogni colore politico, si è comportato così”.
Figliuolo ammette di arrabbiarsi facilmente ma anche di farsi passare altrettanto velocemente l’arrabbiatura, tranne quando qualcuno si comporta in modo sleale nei suoi confronti: in quel caso non dimentica. Secondo il diretto interessato la sua miglior virtù è quella di saper fare gruppo e non lasciare indietro nessuno. Mentre ha confidato di essere un po’ iracondo e di reagire d’impulso. Ma una cosa importante l’ha tenuta a sottolineare: quando è arrabbiato non prende mai decisioni. Nonostante abbia una certa considerazione di se stesso non ha mai posto l’ambizione davanti agli altri valori. Mediamente permaloso, poco invidioso, è contento se vede i suoi allievi superare il maestro.
Perché ha scritto un libro
Forse un po’ egocentrico e vanitoso lo è, ma del resto si sente giustamente gratificato per la stima e l’ammirazione nei suoi confronti per il lavoro svolto. Crede di essere generoso, abbastanza severo ma mai crudele. “L'alpino, quello vero, è tutto di un pezzo, segue le regole, porta lo zaino, porta anche due zaini se qualcuno non ce la fa. Però è anche portato a riflettere, a pensare e solo dopo a esprimere giudizi. Ecco, questo non tutti lo capiscono”. Il motivo per cui il generale ha voluto scrivere un libro è stato quello di far capire cosa è avvenuto e cosa abbiamo rischiato. E spiegare che “questo alpino ce l'ha messa tutta. Con i suoi difetti, con i suoi limiti, con la sua impazienza, con molte arrabbiature. Ma ce l'ha messa tutta”. Un libro dedicato alla nostra Italia.
Il generale Figliuolo: «Sono impulsivo, poi mi passa. Ecco chi mi ha deluso». Beppe Severgnini e Francesco Paolo Figliuolo su Il Corriere della Sera il 6 Marzo 2022.
Il generale e a lotta al virus: «All’inizio mi sembrava un treno che mi corresse incontro. Non tutti capiscono che gli alpini sono portati a riflettere, e solo dopo a esprimere giudizi».
Il liceo classico a Potenza, l’Accademia militare a Modena, le missioni in Kosovo e in Afghanistan, fino alla nomina a Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 con l’incarico di coordinare la campagna vaccinale per far uscire l’Italia dalla pandemia. Il generale Francesco Paolo Figliuolo si racconta in «Un italiano. Quello che la vita mi ha insegnato per affrontare la sfida più grande», una conversazione di 304 pagine con Beppe Severgnini, editorialista del Corriere della Sera. Il libro, edito da Rizzoli, è in uscita nelle librerie da martedì 8 marzo. Qui ne pubblichiamo un estratto, il dialogo introduttivo.
Un marziano scende a Roma e le chiede: «Scusi, lei chi è?». Cosa risponde?
«Sono un ragazzo meridionale di periferia che sognava di diventare un alpino. E ce l’ha fatta».
Il marziano si accontenterebbe della risposta?
«Forse no. Ma sarebbe troppo occupato a capire perché porto quattro stelle sulla spalla e una penna sul cappello. Eviterebbe di farmi altre domande».
Il suo incarico — Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica Covid-19 — è iniziato il 1° marzo 2021 e termina il 31 marzo 2022. I periodi più duri?
«Il primo e quest’ultimo. Perché all’inizio non sapevamo cosa fare, alla fine perché pensavamo di averlo fatto».
Provi a riassumere il suo compito.
«Ho cercato di mettere insieme molte brave persone e tante cose buone durante un’emergenza, e ho contribuito a vaccinare una grande democrazia. Non è stato facile. Nel 2021 il virus era aggressivo, mi sembrava che un treno mi corresse incontro. Nel 2022 sento in me e intorno a me la frustrazione: ma come, con tutti gli sforzi che abbiamo fatto, ancora non ne siamo fuori?».
Lei è un alpino, porta in giro la sua penna come una bandiera. La rassicura?
«Molto. Essere alpino è una scelta identitaria, non una professione. Gli alpini amano appassionatamente la propria terra e la propria gente, sono seri ma non seriosi, si aiutano a vicenda, sanno che la fatica fa parte del mestiere. E quella contro il Covid è stata una lunga marcia in salita».
Sono un allievo di Indro Montanelli, che adorava scrivere epitaffi per gli amici viventi. Quello di Longanesi: «Qui giace per la pace di tutti Leo Longanesi, uomo imparziale. Odiò il prossimo suo come se stesso». Scriva il suo.
«Non sono capace, mi aiuta?»
«Qui non riposa Francesco Paolo Figliuolo. Neanche adesso riesce a stare fermo».
«Fantastico, lo prenoto. Non subito, però».
Le persone che l’hanno sostenuta di più?
«La mia famiglia: la generalessa Enza, i miei figli Salvatore e Federico. La squadra alla struttura commissariale: sono stati eroici, mi creda. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi: è un uomo prudente, ma ho avuto l’impressione che si sia sempre fidato di me. I ministri Lorenzo Guerini e Roberto Speranza. Il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio. Alcuni presidenti di Regione».
Non Vincenzo De Luca.
«Direi di no. Ha sempre parlato di me come di un avversario, o addirittura come di una persona inutile. Questo è inaccettabile. Anzi, peggio: deludente. Nessuno dei suoi colleghi, di ogni colore politico, si è comportato così».
Lei si arrabbia facilmente?
«Purtroppo sì. Ma mi passa. A meno che qualcuno si sia dimostrato sleale: allora non dimentico». (...)
La sua miglior virtù e il suo peggior difetto?
«La miglior virtù è saper fare gruppo e non lasciare indietro nessuno. Il peggior difetto? Sono un po’ iracondo, lo ammetto. Ma mi passa in fretta, come dicevo».
Iracondo o impulsivo?
«Tendo a reagire d’impulso, magari mi arrabbio, tiro un urlo. Poi rifletto. E — cosa importante — non prendo mai decisioni quando sono arrabbiato».
È ambizioso?
«Diciamo che ho una certa considerazione di me stesso. Ma non sono uno che antepone l’ambizione a ogni altro valore. Un militare può essere un ottimo professionista anche senza diventare generale. Chi antepone la carriera a ogni cosa sbaglia, e di solito non fa molta strada. In ogni campo, credo».
Permaloso?
«Mediamente. Sono permaloso per geni atavici meridionali. Però lo nascondo bene».
Invidioso?
«Poco, davvero poco».
Tratto caratteriale o educazione?
«L’uno e l’altra».
Geloso? Dei suoi allievi, dei suoi collaboratori?
«Francamente mi fa piacere vedere i miei allievi crescere e, magari, superare il maestro. Se uno non ha questa maturità, non è un maestro. È solo un istruttore».
Egocentrico?
«Secondo lei?».
Sì, abbastanza. Vanitoso?
«Un po’ sì».
Un po’...?
«Ok, sono vanitoso. La stima e l’ammirazione per il lavoro ben fatto mi gratificano. È sbagliato?».
No, per niente. È generoso?
«Credo di sì, ma deve chiederlo a chi lavora con me».
È severo?
«Abbastanza. Crudele, mai. Il militare sadico è una roba da barzellette. Ne conosco pochissimi, e nessuno ha combinato granché».
(...) Mi dicono che lei, ogni tanto, chiude le discussioni dicendo: «Sono un alpino. Ma non sono stupido».
«Vero».
È quel «ma» che sorprende. Unica lettura possibile: «Voi, là fuori, pensate che gli alpini siano ingenui, magari un po’ stupidi. Ma vi sbagliate di grosso».
«Lettura corretta. L’alpino, quello vero, è tutto di un pezzo, segue le regole, porta lo zaino, porta anche due zaini se qualcuno non ce la fa. Però è anche portato a riflettere, a pensare e solo dopo a esprimere giudizi. Ecco, questo non tutti lo capiscono».
Perché vuole scrivere questo libro? Risposta sintetica, dobbiamo iniziare.
«Perché qualcuno capisca cos’è successo e cosa abbiamo rischiato. E sappia che questo alpino ce l’ha messa tutta. Con i suoi difetti, con i suoi limiti, con la sua impazienza, con molte arrabbiature. Ma ce l’ha messa tutta».
Durante il periodo del suo incarico ha sentito un po’ di sufficienza verso i militari in genere, e gli alpini in particolare?
«Sì, devo dire. Qualche volta intuisco che l’interlocutore pensa: “Vabbe’, questo è venuto dalle montagne, o comunque è un militare squadrato...”. Ma non me ne preoccupo, sono stereotipi. Una volta un noto conduttore televisivo, durante una intervista, mi disse: “Tutti si aspettavano un manager e poi è stato nominato un generale”. Mah! È come se un bravo generale non potesse essere anche un bravo manager».
A chi lo dedichiamo il libro?
«Che domande. Alla nostra Italia, naturalmente».
L'Italia ordina troppi vaccini, ora li regaliamo. Figliuolo: daremo le dosi Pfizer e Moderna ai Paesi in difficoltà. Dario Martini su Il Tempo il 04 marzo 2022
Dopo la notizia di due nuovi vaccini già acquistati dall’Italia ma non ancora autorizzati dall’Ema, come ha scritto Il Tempo nei giorni scorsi, arriva l’ammissione del commissario all’emergenza Francesco Paolo Figliuolo: le dosi sono troppe, quindi verranno donate all’estero. Il nostro Paese si è spinto molto avanti e adesso ha i magazzini pieni di vaccini contro il Covid. La campagna, infatti, ha subito una brusca frenata. Ormai è stato raggiunto il 90% di persone con più di 12 anni che hanno completato il ciclo primario, mentre l’83% ha fatto anche la dose booster. Allo stesso tempo, però, non è previsto un rallentamento delle consegne.
Così, il primo marzo, il generale Figliuolo ha preso carta e penna e ha scritto alle Regioni: «Buona parte delle dosi di vaccino mRna (Pfizer e Moderna, ndr) in afflusso nella seconda metà di marzo e nel mese di aprile è stata resa disponibile alle donazioni, sia per supportare paesi in difficoltà sia per non generare surplus di vaccino superiore alle esigenze previsionali».
Eppure, la struttura commissariale ha continuato ad acquistare altri vaccini ancora in attesa del via libera da parte delle autorità regolatorie. Sono i sieri prodotti da Sanofi/Gsk e da Valneva. Non utilizzano la tecnologia a mRna, come Pfizer e Moderna, ma sono considerati «tradizionali». Dovrebbero servire per convincere gli ultimi italiani non ancora vaccinati. Di Sanofi/Gsk abbiamo già ordinato 10 milioni di dosi, per una spesa di 40 milioni di euro, di cui 10 milioni già liquidati. Per Valneva, invece, è stato fatto un accordo per un milione di dosi al costo di 16 milioni di euro. Sarà molto difficile che vengano utilizzate tutte. Anche perché da inizio marzo sono iniziate le somministrazioni di un altro vaccino: il Novavax. E le adesioni non sono alte. Ora, in questo quadro, scopriamo che anche le nuove forniture di Pfizer e Moderna resteranno in gran parte inutilizzate nei frigoriferi. Per non buttarle non resta che regalarle all’estero. Figliuolo consiglia alle Regioni di fare bene i conti. «Le donazioni richiedono un congruo periodo di pianificazione - scrive il generale - non inferiore a un mese di anticipo rispetto alle forniture previste». Quindi, «laddove dovesse emergere la necessità di riorientare le consegne verso esigenze nazionali e contingenti, sarà necessario operare la scelta con un mese di anticipo».
Il commissario ha scritto questa lettera in previsione della cessazione del suo incarico, in coincidenza della fine dello stato d’emergenza a fine mese. È un passaggio di consegne. Se da un lato Figliuolo ammette che i vaccini sono troppi per essere utilizzati sono all’interno dei confini nazionali, dall’altro esorta le Regioni a «ricevere e stoccare materiale nella disponibilità della struttura commissariale (mascherine, tute di protezione, gel) al fine di predisporre le misure necessarie a fronteggiare un eventuale nuova recrudescenza della pandemia». Visto che le dosi di siero disponibili sono in surplus, il generale ricorda anche che le Regioni hanno un quantitativo tale «da permettere una prima risposta ad un eventuale allargamento della platea della quarta dose». Infine, a livello centrale, sarà potenziato l’hub di Pratica di Mare per lo stoccaggio dei vaccini ad una temperatura di -80 C°.
Un altro vaccino "virtuale" a peso d'oro. Il contratto di Figliuolo con Valneva da 16 milioni, ma manca l'ok dell'Ema. Dario Martini e Carlantonio Solimene su Il Tempo il 03 marzo 2022.
Non c’è solo Sanofi/Gsk nel «paniere» dei vaccini anti-Covid acquistati dal governo italiano in assenza dell’ok dell’Ema. Nel resoconto dei contratti siglati dalla struttura commissariale guidata dal Francesco Paolo Figliuolo compare infatti anche l’accordo per l’acquisizione di un milione di dosi di VLA2001, prodotto dalla francese Valneva negli stabilimenti di Vienna, sempre nell’ambito delle intese sottoscritte dalla Ue in accordo con gli Stati membri.
Il siero in questione è «l’unico vaccino Covid-19 "inattivato" in fase di sviluppo clinico in Europa e questo ci avvicina al nostro obiettivo di offrire un’opzione differenziata alla popolazione e ai medici», fa sapere il Ceo di Valneva, Thomas Lingelbach. Che, nei giorni scorsi, ha comunicato una serie di scambi con l’Agenzia europea del farmaco dicendosi fiducioso di ricevere «alla fine del primo trimestre 2022» una raccomandazione positiva del Comitato per i medicinali a uso umano all’approvazione condizionata di VLA2001 per l’immunizzazione primaria negli adulti tra 18 e 55 anni.
Il prezzo che l’Italia salderà per il milione di dosi prenotate è di sedici milioni di euro. Una cifra elevata - 16 euro a dose - più vicina al costo dei vaccini a mRna rispetto a quello dei sieri «tradizionali». Anche se, a differenza di quanto accaduto con Sanofi/Gsk, non risultano ancora somme già liquidate dal governo italiano. E, considerata la massima segretezza che vige intorno ai contratti con le case farmaceutiche, è impossibile conoscere l’esistenza di eventuali clausole che condizionino il pagamento all’effettivo via libera alla somministrazione da parte dell’Ema.
Resta, come per Sanofi, il dubbio sull’effettiva utilità dell’ennesimo vaccino acquistato in un momento in cui la campagna di immunizzazione ha decisamente rallentato la sua corsa e il neo arrivato Novavax non ha fatto registrare alcuna impennata di prenotazioni. Nella settimana dal 21 al 28 febbraio, infatti, sono state somministrate solo 817.389 dosi. E di queste appena 272.745 relative al ciclo «primario», l’unico per il quale al momento Valneva ha chiesto l’autorizzazione, peraltro ulteriormente limitata alla fascia tra i 18 e i 55 anni. Mentre, in Italia, il target minormente vaccinato è quello tra i 5 e gli 11 anni.
Da questo punto di vista va annotato che l’azienda ha fatto sapere di avere in corso «ulteriori studi clinici con l’obiettivo di espandere gradualmente le indicazioni di VLA2001 ad altri gruppi di età», nonché «per un potenziale utilizzo» del prodotto «come vaccino booster nel corso del 2022». Si vedrà.
Se Valneva dovesse avere tempi medio lunghi di conservazione, potrebbe tornare utile dal prossimo autunno, quando la campagna vaccinale tornerà nel vivo, per lo meno per alcune categorie. Il contratto sottoscritto dal governo italiano scade in effetti a fine 2023. A quella data Valneva dovrebbe aver distribuito circa 60 milioni di dosi all’Unione europea. Delle quali, se i criteri di redistribuzione resteranno gli stessi, all’Italia spetterebbe il 13%.
Covid-19, il mondo corre verso i vaccini open source. Ma l’Occidente preferisce far ricca Pfizer. Farmaci approvati in Africa non coperti da brevetti, il caso di successo di Cuba, l’antidoto ideato anche da un’italiana in Texas che rinuncia a ogni compenso. Tutti medicinali che potrebbero immunizzare il mondo con costi irrisori. Ostacolati da chi sta incassando miliardi. Gloria Riva su L'Espresso il 22 febbraio 2022.
«L’Africa ha creato il suo primo vaccino mRna», annuncia Petro Terblanche, direttrice di Afrigen Biologics, laboratorio all’avanguardia di Città del Capo che da mesi lavora a un antidoto contro il Covid-19 per immunizzare il continente.
Il team di Terblanche è partito sfruttando le informazioni pubblicate dalla casa farmaceutica Moderna sul proprio vaccino a mRna: «Ma non l’abbiamo copiato», puntualizza la dottoressa.
Ursula von der Leyen, i messaggi segreti sul vaccino Pfizer: "Perché li hanno tenuti nascosti". Libero Quotidiano il 22 febbraio 2022.
Il caso degli sms scambiati da Ursula von der Leyen con Albert Bourla per l’acquisto da parte dell’Europa dei vaccini Pfizer è diventato un caso bollente anche al Parlamento di Strasburgo. La Lega ha infatti presentato un’interrogazione e una richiesta di chiarimento in sede plenaria su una procedura ritenuta “inconsueta” e nascosta sotto al tappeto per mesi.
“Ancora nessuna risposta sulla vicenda dello scambio di sms tra Ursula von der Leyen e il ceo di Pfizer, emersa a seguito di un’inchiesta giornalistica americana e oggetto di critiche anche dallo stesso Mediatore europeo”, si legge nel comunicato a firma degli europarlamentari Marco Campomenosi e Marco Zanni. Lo scorso aprile il New York Times è stato il primo a riportare la notizia della trattativa per l’acquisto dei vaccini Pfizer, condotta dalla presidente della Commissione europea soprattutto tramite uno scambio di messaggi con il ceo di Pfizer.
Poi si è aggiunta l’indagine del difensore civico, a cui la Commissione risponderà entro fine aprile. Nel frattempo si è limitata ad affermare che “un messaggio di testo o un altro tipo di messaggistica istantanea è per sua natura un documento di breve durata che non contiene in linea di principio informazioni importanti su questioni relative alle politiche, alle attività e alle decisioni della Commissione” e che “la politica di conservazione dei registri della Commissione escluderebbe in linea di principio la messaggistica istantanea”.
La battaglia della Lega al Parlamento europeo: troppi buchi neri sugli sms tra Ursula Von der Leyen e il ceo Pfizer. Il Tempo il 21 febbraio 2022.
La Lega chiede di far chiarezza sulla storia riguardante Ursula Von der Leyen e Alberto Bourla, numero uno di Pfizer, l’azienda produttrice del vaccino anti-Covid più utilizzato in Europa. Gli europarlamentari del Carroccio Marco Campomenosi (capo delegazione Lega) e Marco Zanni, presidente gruppo Id, hanno annunciato battaglia: “Dall’Ue ancora nessuna risposta sulla vicenda dello scambio di sms tra Ursula Von der Leyen e il ceo Pfizer, emersa a seguito di un’inchiesta giornalistica americana e oggetto di critiche anche dallo stesso Mediatore europeo. Il caso trova ampio spazio sui media internazionali ed è oggetto di dibattito in Europa, ma nel nostro Paese è stato per lo più ignorato. È una questione di trasparenza che riguarda i vertici delle istituzioni europee, non può essere e non deve essere trascurata: per questo come gruppo Id torneremo a chiedere di discutere l’argomento in Aula nella prossima plenaria del Parlamento europeo, al fine di fare massima chiarezza e offrire ai cittadini tutte le informazioni necessarie sulla vicenda”.
La scorsa settimana era stato Mario Furore, europarlamentare del Movimento 5 Stelle, in un intervento in plenaria a sollevare il caso: “La piena trasparenza in tutte le fasi del processo legislativo dell’UE è essenziale per promuovere i diritti democratici dei cittadini, così come è necessaria per prevenire conflitti d’interesse e corruzione. Purtroppo invece le Istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione non rispettano in modo pieno e uniforme le raccomandazioni della Mediatrice europea, in particolare quelle sulla trasparenza. È inaccettabile che ancora oggi il prezzo di acquisto dei vaccini e delle pillole anti-Covid sia segreto. I cittadini europei devono sapere quanto l’Unione europea abbia pagato e quindi come abbia negoziato con Big Pharma: ne va della nostra credibilità. Per questo - concludeva l’esponente grillino - vorrei che la Commissione europea ascolti i moniti della Mediatrice e renda pubblici i messaggi tra il suo Presidente, Ursula von der Leyen e il CEO della Pfizer”.
Vaccino, gli sms segreti tra Ursula von der Leyen e Pfizer. Bufera a Strasburgo, la Lega fa esplodere il caso. Francesco Storace su Il Tempo il 22 febbraio 2022.
L’Europa ha acquistato i vaccini dalla Pfizer per mezzo dei messaggini via sms di Ursula Von der Leyen al Ceo dell’azienda americana? Una procedura un po’ inconsueta che sta sotto il tappeto da mesi e che la Lega ha fatto esplodere fragorosamente al Parlamento di Strasburgo. Con un’interrogazione e una richiesta di chiarimento in sede plenaria.
In un comunicato gli europarlamentari Marco Campomenosi (capo delegazione Lega) e Marco Zanni, presidente gruppo Identità e democrazia si esprimono con nettezza: dall’Unione europea “ancora nessuna risposta sulla vicenda dello scambio di sms tra Ursula Von der Leyen e il ceo Pfizer, emersa a seguito di un’inchiesta giornalistica americana e oggetto di critiche anche dallo stesso Mediatore europeo”.
Si parla di un caso che è trattato da molti media internazionali ed è oggetto di dibattito in Europa, ma nel nostro Paese è stato per lo più ignorato. È una questione di trasparenza che riguarda i vertici delle istituzioni europee, non può essere e non deve essere trascurata: “Per questo come gruppo Id torneremo a chiedere di discutere l’argomento in Aula nella prossima plenaria del Parlamento europeo, al fine di fare massima chiarezza e offrire ai cittadini tutte le informazioni necessarie sulla vicenda”.
Già nell'aprile 2021, il New York Times aveva pubblicato un articolo nel quale veniva riportato che la trattativa per l'acquisto dei vaccini Pfizer era avvenuta in buona misura tramite uno scambio di messaggi di testo tra la Presidente della Commissione Europea Von der Leyen e l'Amministratore Delegato della casa farmaceutica Albert Bourla. Spiegava il quotidiano americano, che alla richiesta di aver accesso ai messaggi, la Commissione rispondeva rendendo pubblici una mail, una lettera ed un comunicato ma non faceva accenno ai messaggi.
Recentemente è stato il Mediatore Europeo, Emilie O’Reilly – una sorta di difensore civico dell’Unione - a criticare fortemente la Commissione perché questi rientrerebbero, di fatto, sotto l'ambito di applicazione delle regole europee sulla trasparenza. E la domanda principale degli europarlamentari leghisti è se “la Commissione voglia fare massima chiarezza sulla vicenda e sul contenuto di quei messaggi”. C’è da dire che proprio O'Reilly, il cui compito è quello di responsabilizzare le istituzioni dell'UE, ha affermato che la gestione della richiesta da parte della Commissione è stata di "cattiva amministrazione".
"Il modo ristretto in cui è stata trattata questa richiesta di accesso pubblico significava che non è stato fatto alcun tentativo di identificare se esistessero messaggi di testo", ha affermato in una nota. "Ciò non soddisfa le ragionevoli aspettative di trasparenza e standard amministrativi nella Commissione". Va aggiunto che durante l'indagine del difensore civico, la Commissione ha affermato che "un messaggio di testo o un altro tipo di messaggistica istantanea è per sua natura un documento di breve durata che non contiene in linea di principio informazioni importanti su questioni relative alle politiche, alle attività e alle decisioni della Commissione" e che "la politica di conservazione dei registri della Commissione escluderebbe in linea di principio la messaggistica istantanea".
O'Reilly, tuttavia, ha respinto l'argomentazione della Commissione, rilevando che la legge dell'UE sull'accesso del pubblico ai documenti afferma che la definizione di un documento è "qualsiasi contenuto qualunque sia il suo mezzo ... riguardante una questione relativa alle politiche, attività e decisioni che rientrano nel sfera di responsabilità dell'istituzione”. La stessa Commissione si è impegnata a rispondere al difensore civico europeo entro fine aprile. Ma la Lega pretende maggiore immediatezza: la materia è incandescente.
Vaccini contro il Covid: le fabbriche mai nate del farmaco italiano. “Noi lasciati senza fondi”. Elena Dusi su La Repubblica il 17 febbraio 2022.
Un anno fa la promessa del governo: “Entro il 2021 diventeremo autonomi”. Reithera e Takis si sono arenati, resta solo l’infialamento di Pfizer.
La Spagna ha annunciato un accordo decennale con Moderna: lo stabilimento Rovi di Madrid continuerà anche in futuro a produrre il vaccino contro il Covid, e gli altri vaccini a Rna che verranno. Il Sudafrica intanto ha creato la sua prima fiala. Si è ispirato a Moderna, che ha rinunciato al brevetto, ma lo definisce con orgoglio “il vaccino africano”. La presentazione avverrà venerdì a Città del Capo, sede del laboratorio di Afrigen, con il presidente francese Macron e quello dell’Oms Ghebreyesus.
Anche Pfizer rinuncerà al brevetto e invierà in Africa container attrezzati per produrre il suo vaccino sul continente. La Germania e la Gran Bretagna possono dire di aver messo a punto i due vaccini più usati al mondo (a eccezione di quelli cinesi): AstraZeneca e Pfzer-BioNTech. In Europa occidentale infine non esiste nazione che non abbia fabbriche impegnate nella produzione delle preziose fiale.
Unica eccezione è l’Italia, che si occupa dell’infialamento del prodotto finito di Pfizer alla Catalent di Anagni e alla Thermo Fisher di Monza. La piattaforma dell’Rna, che nel 2021 ha incassato 46 miliardi di dollari e che secondo le stime di mercato arriverà a 100 miliardi nel 2026, da noi non è pervenuta. Anzi Pfizer, che dalle sue dosi nel 2021 ha ricavato 37 miliardi di dollari, si prepara a licenziare 130 dipendenti nella sede di Catania. Lo stabilimento non c’entra con il Covid, produce penicillina, ma la sua crisi fa capire che l’industria farmaceutica italiana, a differenza degli altri paesi, difficilmente uscirà migliorata dalla pandemia.
Le promesse della politica erano state diverse. Era marzo 2021 quando il Ministero per lo sviluppo economico (Mise) annunciava vaccini prodotti in Italia entro l’autunno. A settembre il ministro della Salute Roberto Speranza aveva rilanciato: “Lavoriamo per un’Italia autonoma entro l’anno”. Poi il 2021 è finito, ogni tanto viene ventilata l’ipotesi di portare Moderna anche da noi, ma di concreto ancora nulla.
Anche le promesse della ricerca sono finite su un binario morto, e non per colpa loro. ReiThera, l’azienda del “vaccino italiano” non ha i fondi (che pure Invitalia un anno fa gli aveva promesso) per portare avanti l’ultima fase delle sperimentazioni. Ora si trova seriamente esposta, dopo essere passata da 90 a 120 dipendenti, aver ampliato la sede e acquistato un bioreattore da un milione di euro adatto anche a produrre vaccini a Rna. Toscana Life Sciences Sviluppo, la società che sotto la guida di Rino Rappuoli ha messo a punto degli anticorpi monoclonali contro il Covid, il 27 gennaio ha annunciato la fine delle sperimentazioni. Aveva arruolato 335 volontari su 400. Era a un passo dal traguardo, ma Omicron ha inficiato l’efficacia del suo farmaco.
L’industria farmaceutica italiana insomma si prepara a uscire (speriamo) dalla pandemia con un pugno di mosche. La tesi non trova d’accordo Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria: “Nessun paese riesce a fare da solo un vaccino a Rna, un prodotto molto complesso. L’Italia partecipa alla fase dell’infialamento e della validazione, che non sono trascurabili. Esistono poi aziende innovative, come la Biomedica Foscama, che hanno investito per produrre siringhe già riempite con il vaccino”.
Il Mise poi ha messo sul tavolo Enea Tech e Biomedical, una sua vigilata munita di circa 500 milioni per sostenere tra l’altro i nuovi vaccini. Nata a maggio 2021, la fondazione ha ottenuto il suo statuto definitivo e il suo presidente (l’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria) solo il 6 gennaio di quest’anno. “Siamo in fase di riorganizzazione” si limitano a dire i suoi rappresentanti. Nessuna indicazione sui progetti futuri.
Cosa è andato storto? Lo spiega Luigi Aurisicchio, fondatore e direttore di Takis, la biotech che ha messo a punto un secondo vaccino italiano a Dna, anche lui ora arenato. “Abbiamo concluso la sperimentazione di fase uno, ma semplicemente non abbiamo i fondi per la fase due”.
Gli Stati Uniti hanno finanziato Moderna con oltre un miliardo, la Germania ha dato a BioNTech 300 milioni. L’Italia ha speso quasi due miliardi per il cashback, ma non è riuscita a sostenere le sue biotech. “Spesso dal pubblico ci arrivano proposte di cofinanziamento” spiega Aurisicchio. “Ma su progetti da 50-60 milioni, noi piccole aziende non possiamo permetterci neanche quello”.
Quello che abbiamo perso non riguarda solo la pandemia, ma anche il futuro. L’Rna, secondo la rivista Nature, dominerà il mercato dei vaccini “nei prossimi 15 anni grazie ai suoi vantaggi e alle alte probabilità di successo”. Già sono allo studio nuovi vaccini contro l’influenza, perfino il cancro e l’Aids. “Nelle riunioni dell’Oms – spiega Aurisicchio – si dà molta enfasi alla messa a punto un giorno di un vaccino contro tutti i coronavirus oppure sotto forma di spray nasale”. Ma l’Italia, se queste sono le premesse, non è detto che quel giorno sarà sulla mappa.
LA PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE UE. Von der Leyen spalleggia Big Pharma e sacrifica l’accesso ai vaccini in Africa. FRANCESCA DE BENEDETTI su Il Domani il 16 febbraio 2022.
I rapporti tra la presidente della Commissione europea e Big Pharma sono sempre più imbarazzanti. Mentre ha declinato l’invito all’Europarlamento per discutere di stato di diritto, Ursula von der Leyen partecipa con un video a un evento sulla «vaccine equity for Africa» organizzato da BioNTech e dalla fondazione Kenup, che lavora per l’azienda tedesca.
Kenup, che oltre a lavorare per BioNTech ha ricevuto il supporto anche di banche e istituzioni europee, ha attivamente operato per impedire che il progetto di una produzione autonoma di vaccini in Africa, supportata dall’Oms, andasse in porto.
Mentre si svolgeva questa opera di boicottaggio, Kenup promuoveva incontri con von der Leyen. Eppure nel registro di trasparenza delle istituzioni europee Kenup non segnala nessun incontro con la presidente, né von der Leyen ha registrato quegli incontri nella sua agenda.
FRANCESCA DE BENEDETTI. Europea per vocazione. Ha lavorato a Repubblica e a La7, ha scritto (The Independent, MicroMega), ha fatto reportage (Brexit). Ora pensa al Domani.
Fabio Savelli per il "Corriere della Sera" l'11 febbraio 2022.
Aprile 2021, dieci mesi fa: con gli occhi di adesso un'era geologica. Lo abbiamo forse rimosso come riflesso condizionato (e collettivo). Però i dati, guardandoli in controluce, spiegano come lo scudo vaccinale abbia consentito di frenare l'impatto della pandemia, anche in presenza della variante Omicron molto più trasmissibile. Scampato il pericolo conviene però ricordare che cosa abbiamo vissuto proprio mentre la campagna di somministrazioni cominciava a prendere forma seppur con profonde differenze regionali.
Un alto numero di fragili e over 60 era ancora privo di copertura tanto da costringere il commissario Francesco Figliuolo, il 15 aprile scorso, a strigliare le Regioni con una circolare che le indicava come categorie prioritarie da vaccinare in fretta. L'11 aprile dell'anno scorso avevamo poi il coprifuoco alle 24 in tutto il Paese, i locali chiudevano alle 18 consentendo solo l'asporto, tavolate (e feste) erano vietate, la gran parte delle regioni presentava un allarmante (anche se in lieve miglioramento) quadro epidemiologico con una mobilità ridotta negli spostamenti. Eravamo soprattutto impotenti di fronte al «sovraccarico del sistema sanitario», messo nero su bianco dal ministero della Salute.
Perché il picco di quella ondata, la terza, era stato sì appena superato ma le terapie intensive erano affollate costringendo gli ospedali a riprogrammare gli interventi. Il monitoraggio dell'Istituto superiore di sanità di quella settimana, tra il 5 e l'11 aprile, restituiva una cartolina che ora ci sembra in bianco e nero, ma parliamo di appena 300 giorni fa. I ricoverati erano quasi 30 mila: il 6 aprile 29.337, ieri 17.354, poco più della metà. Ma sono i numeri relativi alle forme gravi a darci la differenza più evidente: nelle terapie intensive lo stesso giorno i posti occupati erano 3.743, ieri poco più di un terzo, 1.322. I dati assumono maggiore valore se consideriamo il rapporto col numero di casi.
Ad aprile si stava affacciando la variante Delta, che è poi diventata prevalente a luglio col suo indice di trasmissibilità superiore del 60% rispetto alla precedente. Ora l'impatto di Omicron ha fatto sparigliare qualunque confronto per la sua contagiosità. L'11 aprile scorso i nuovi positivi furono 15.746, ieri 75.861: dunque 5 volte tanto. Ma l'incidenza non si trasferisce sulle ospedalizzazioni e neanche sui decessi, che vanno necessariamente parametrati a questo numero di casi.
Le vittime per Covid, conteggiate dalle Regioni, furono l'11 aprile 331, ieri 325. Quasi in linea per due motivi. Primo, perché siamo probabilmente al picco di decessi della quarta ondata: la dinamica dei morti ha un andamento ritardato di due settimane rispetto ai contagi che a fine gennaio hanno oscillato tra 100 e 200 mila al giorno e ora si stanno riducendo.
Secondo, perché Omicron ha una trasmissibilità superiore di 5,4 volte alla precedente, secondo uno studio dell'Imperial College, e senza la barriera dei vaccini (e a parità di quelle misure restrittive) il conto dei decessi sarebbe nettamente più pesante. Gli studi sul tasso d'incidenza settimanale di casi Covid con forma severa, contenuti nell'ultimo monitoraggio Iss, spiegano quello che sta accadendo. Tra i 60 e i 79 anni i non vaccinati sviluppano una forma grave della malattia per 150 casi ogni 100 mila abitanti.
Per chi ha ricevuto la dose booster questo rapporto scende del 94%. Per gli over 80 il confronto è ancora più schiacciante: i non vaccinati sviluppano una forma severa secondo un rapporto di oltre 400 casi per 100 mila abitanti, per chi ha avuto tre dosi l'incidenza scende sotto 50. Merito di una campagna che ha ormai raggiunto oltre 49,3 milioni con una dose, 47,85 milioni con due, a cui aggiungere l'immunità da guarigione che riguarda ora 1,27 milioni di persone. Totale: 50,58 milioni, il 93,65% degli over 12. Quelli non coperti sono ormai una sparuta minoranza.
Novavax Lombardia, si può prenotare? Quali sono le differenze rispetto a Pfizer e Moderna? Le risposte. Sara Bettoni su Il Corriere della Sera l'1 marzo 2022.
Debutto soft del nuovo vaccino anti-Covid: 276 somministrazioni in Lombardia, 79 a Milano. Sulla pagina Facebook di Regione i dubbi e le domande degli indecisi.
Un debutto tiepido per Novavax, ma tante domande da parte dei cittadini. Segno che il nuovo vaccino anti-Covid incuriosisce gli scettici. E potrebbe addirittura convincerne qualcuno a immunizzarsi. Più che i numeri delle somministrazioni di lunedì allora — 276 in tutta la Lombardia, 79 al Palazzo delle Scintille a Milano — è utile guardare i commenti lasciati nelle pagine social di Regione Lombardia.
Le richieste di chiarimenti
C’è chi ammette di aver atteso il nuovo farmaco. «Ma perché non si può scegliere, come invece avviene da altre parti?» domanda Elisa, mentre Eugenio si informa sulla possibilità di prenotazione. Gli fa eco Sofia, che scrive: «Dove fanno questo vaccino? Perché io, dovendomi organizzare perché ho i figli piccoli, non posso rischiare di andare al centro vaccinale e non trovarlo. Gli altri non li farei comunque...». L’assessorato alla Sanità non dà ai pazienti la possibilità di scelta. Ha deciso invece di riservare Novavax ai maggiorenni che devono ricevere la prima dose e l’ha distribuito in 16 hub. Chi si reca in questi poli, quindi, dovrebbe trovarlo. Non è stato così per Silvia. Ha provato a contattare la Maugeri di Pavia, ma le è stato risposto che le fiale non erano state consegnate.
No all’uso per la terza dose
Per Sara ormai è troppo tardi. «Mi sarei vaccinata con Novavax “se ci fosse stato”, adesso che senso ha? Il virus non è più virulento», afferma. Un’altra signora chiede se è possibile riceverlo come terza dose. La risposta è no, almeno per ora: il prodotto è autorizzato solo per il ciclo primario, quindi prima e seconda iniezione. Altri immaginano che le scorte appena consegnate alla Lombardia non avranno successo e suggeriscono di inviarle alle popolazioni in difficoltà.
La differenza rispetto a Pfizer e Moderna
Ancora, Giuseppe domanda: «Con questo nuovo vaccino per avere il green pass rafforzato sono sufficienti due dosi?». Sì, visto che il super certificato si ottiene con qualsiasi vaccinazione. Veruska si interroga sulla differenza rispetto ai prodotti delle aziende Pfizer e Moderna. Eccola: i primi due farmaci sono a mRna, quello di Novavax invece è stato creato attraverso la tecnica delle proteine ricombinanti, sperimentata fin dagli anni ‘80. Ed è su questa caratteristica che la Regione intende far leva per aumentare la quota di immunizzati.
Una formula «classica»
Al momento il 9% dei lombardi dai 5 anni in su non ha neppure prenotato l’appuntamento per ricevere la dose. Escludendo i bambini e gli adolescenti, le fasce d’età più scoperte sono quelle dei 30enni (con il 7% di non aderenti alla campagna), dei 40enni (11%) e dei 50enni (5%). Un vaccino dalla formula «classica» potrebbe finalmente strappare un sì a chi nei mesi scorsi ha rifiutato i farmaci disponibili, considerandoli «troppo innovativi».
Margherita De Bac per il "Corriere della Sera" il 23 febbraio 2022.
1 Il primo milione di dosi di Novavax arriva in Italia. Da oggi Regioni come Piemonte e Marche danno il via alle prenotazioni, domani il Lazio. È un vaccino a base di proteine ricombinanti, che cosa sta a indicare?
Significa che la risposta immunitaria viene stimolata da alcuni frammenti di una proteina, in questo caso la Spike - necessaria al Sars-CoV-2 per agganciarsi e penetrare nelle cellule -, che è copiata in laboratorio. Con tecniche di ingegneria genetica i frammenti vengono purificati e riprodotti in laboratorio. Le particelle proteiche, una volta iniettate nell'organismo umano, stimoleranno la produzione di anticorpi anti Spike, già pronti a combattere il virus in caso di infezione.
2 Contiene altre sostanze?
Nel vaccino, oltre alla proteina ricombinante, c'è un adiuvante, cioè una sostanza che aiuta il sistema immunitario a innescare una buona risposta. L'adiuvante è a base di saponina, estratta dalla corteccia di un albero, la quillaja saponaria.
3 Che differenza c'è con i vaccini a Rna messaggero?
I vaccini a Rna messaggero contengono le istruzioni per rendere capace l'organismo di fabbricare in proprio la proteina Spike con l'obiettivo di produrre gli anticorpi. Una volta «consegnate» alla cellula le istruzioni che le servono, il frammento di Rna si disintegra. L'approccio di Novavax è maggiormente conosciuto ed è stato già utilizzato per vaccini contro altre malattie, ad esempio l'anti meningococco e l'anti epatite B.
4 Quanto è efficace?
In base a quanto verificato dall'Agenzia europea per i medicinali (Ema), e poi riesaminato dalla nostra agenzia Aifa, il vaccino è risultato efficace al 90% nel prevenire la malattia sintomatica. Il risultato è emerso da due studi clinici che hanno coinvolto circa 50 mila partecipanti (30 mila persone hanno ricevuto l'iniezione con il preparato, 20 mila il placebo). Il primo, condotto tra Stati Uniti e Messico, ha registrato un'efficacia del 90,4%. Il secondo studio, realizzato prevalentemente in Inghilterra, una protezionedell'89,7%. Quindi si tratta di una copertura alta ma pur sempre inferiore a quella garantita dai vaccini già utilizzati (Pfizer e Moderna) che arrivano al 95% circa.
5 Quante dosi servono?
Per arrivare a questa soglia di efficacia sono previste due dosi somministrabili a tre settimane di distanza. È in attesa di pubblicazione uno studio sul contributo di una terza dose al rafforzamento dell'immunità contro il coronavirus. Per il momento il vaccino è stato autorizzato solo per il ciclo primario, ovvero due dosi.
6 Agisce anche contro la variante Omicron?
Gli studi dell'azienda sono stati eseguiti quando Omicron non era ancora in circolazione e il ceppo prevalente era il Beta. Però, sempre l'articolo uscito in pre print , sembrerebbe dimostrare che gli anticorpi stimolati da questo vaccino inibiscono anche Omicron.
7 Qual è il valore aggiunto di Novavax?
Si conta sul fatto che possa avvicinare alla vaccinazione i cosiddetti esitanti, la cui ritrosia si basa sull'ingiustificata paura che i composti a mRna possano modificare il genoma o causare effetti nocivi sulla fertilità. In futuro il nuovo arrivato potrebbe essere inserito negli schemi di vaccinazione eterologa (ad esempio, due dosi di Pfizer, la terza con Novavax). Pur mancando ancora i dati sul prodotto specifico, questa strategia si è dimostrata sicura e in grado di indurre una risposta immunitaria più solida.
8 A chi è raccomandato?
A tutti, a partire dai 18 anni d'età. Si è visto che l'efficacia si mantiene costante anche nei soggetti di età superiore ai 64 anni.
9 È sicuro questo tipo di vaccino?
Il profilo di sicurezza è apparso soddisfacente, sono state osservate durante gli studi clinici reazioni avverse di lievissima entità, prevalentemente locali (arrossamento o gonfiore in prossimità della puntura). Ovviamente dati più completi sulla sicurezza si otterranno solo con un costante monitoraggio della vaccinazione «sul campo», attraverso il sistema di farmacovigilanza.
10 Come si conserva?
In frigorifero, a temperature normali. Novavax non richiede il rispetto della catena del freddo come i vaccini a Rna messaggero. 11 Da chi è prodotto? Dall'azienda americana Novavax, nome commerciale Nuvaxovid. È il quinto vaccino autorizzato dagli enti di regolatori in Europa dopo quelli di Pfizer, Moderna, AstraZeneca e Janssen.
Mauro Evangelista per "Il Messaggero" il 9 febbraio 2022.
A inizio 2022 tutto era pronto per l'utilizzo di un quarto vaccino, Novavax. Si era detto: è di tipo proteico, potrebbe convincere i più scettici, coloro che sono diffidenti (in modo irrazionale) nei confronti dei farmaci a mRna come Pfizer-BioNTech e Moderna. Scriveva ad esempio l'AdnKronos: «Nei primi giorni di febbraio e non oltre il 10, è previsto l'arrivo, in Italia dei primi 3,6 milioni di dosi di Novavax, il vaccino anti Covid che sfrutta la tecnica delle proteine ricombinanti, in uso da tempo contro malattie come pertosse, epatite, meningite, herpes zoster e altre infezioni di carattere virale».
Anche le Regioni scaldavano i motori, ad esempio Alessio D'Amato, assessore alla Salute del Lazio, diceva in gennaio: «Noi siamo pronti, abbiamo allestito delle linee di vaccinazione riservate a Novavax, speriamo così di ridurre, a partire da inizio febbraio, il numero dei non vaccinati perché contiamo che una parte degli scettici sarà convinta da questo nuovo prodotto». Febbraio è arrivato, la prima decade si sta concludendo, ma di Novavax non ci sono tracce. «Per me è un mistero» ripete in queste ore l'assessore D'Amato. In Veneto anche il governatore Luca Zaia non si spiega il ritardo: «Incrociamo le dita per il vaccino Novavax. Ho parlato con il generale Figliuolo, spero che sia questione di settimane».
CONFERME Dalla struttura commissariale però precisano che non è mai stata fornita una data ufficiale di consegna. Allora bisogna affidarsi alla frase pronunciata dal generale Francesco Figliuolo tre giorni fa: «Il vaccino di Novavax arriverà da fine febbraio. È indicato per il ciclo primario, non per i richiami, dai 18 anni. Speriamo dia un'ulteriore spinta alla vaccinazione degli esitanti».
Dunque, bisognerà attendere altre tre settimane, anche se dalla struttura commissariale si precisa che questa data di consegna è comunque legata alla conferma della casa farmaceutica che, pare di capire, ancora non c'è stata. In Francia stessa musica. Il 19 gennaio il Ministero della Salute ha spiegato: «Ci sono dei ritardi, le prime consegne sono ora attese dall'ultima settimana di febbraio, ma non si conosce ancora la data esatta».
Il problema è che più i giorni passano, più l'utilità di questo vaccino si ridimensiona, anche perché Ema e Aifa lo hanno autorizzato solo per il primo ciclo vaccinale, non per le dosi di rinforzo. In totale il nostro Paese attende da Novavax, per il 2022, 27 milioni di dosi. L'autorizzazione di Aifa risale al 22 dicembre. Il nome commerciale del prodotto è Nuvaxovid e, spiegava l'Adnkronos, alla vigilia dell'approvazione dell'agenzia del farmaco: «Il sistema immunitario identifica la proteina come estranea e produce difese naturali - anticorpi e cellule T - contro di essa. Se in seguito la persona vaccinata entra in contatto con il coronavirus, il sistema immunitario riconoscerà la proteina Spike sul virus e sarà pronto ad attaccarla.
Gli anticorpi e le cellule immunitarie possono proteggere da Covid lavorando insieme per uccidere il virus, impedire il suo ingresso nelle cellule e distruggere le cellule infette». Il colosso di biotecnologie Novavax ha sede negli Stati Uniti, nel Maryland, ma ha anche un centro di produzione a Uppsala, in Svezia. L'Unione europea ha acquistato 100 milioni di dosi, con una opzione per altre 100. Come gli altri vaccini, è stato sviluppato partendo dal virus iniziale di Wuhan.
Cristina Marrone per corriere.it il 30 gennaio 2022.
Dopo due anni di pandemia i primi vaccini anti Covid entrati in commercio, in particolare quelli a mRNA di Pfizer e Moderna, hanno funzionato molto bene per evitare nella maggior parte dei casi la malattia grave o il decesso, scongiurando grandi sofferenze. Tuttavia prima con l’arrivo della variante Delta, ma soprattutto con Omiron, l’efficacia del vaccino è sensibilmente diminuita, tanto che è stato necessario introdurre un booster.
I vaccini sono progettati infatti per riconoscere parti della proteina Spike del virus Sars-CoV-2 originale ma le varianti che presentano più mutazioni nella Spike, come Omicron, riescono a eludere meglio la protezione, pur mantenendo un’alta efficacia contro decessi e forme gravi di malattia.
Pfizer e Moderna hanno avviato sperimentazioni cliniche sul vaccino specifico anti Omicron ma il virus muta molto rapidamente: molti scienziati temono che quando sarà distribuito avrà già fatto capolino un altro ceppo.
È ormai chiaro che il virus continuerà ad evolversi come ha fatto finora per questo molti ricercatori nel mondo stanno lavorando per sviluppare un vaccino universale anti Covid-19, se non addirittura di un vaccino universale anti coronavirus, il vaccino «pan coronavirus» in grado di offrire protezione oltre che su Sars CoV-2 anche su tutti i coronavirus umani conosciuti (tra i quali anche i quattro che causano raffreddori comuni).
L’obiettivo è ambizioso, ma potrebbe essere risolutivo perché il grande vantaggio di questi vaccini è che permetterebbero di gestire non solo nuove varianti, ma anche nuovi coronavirus che potrebbero emergere con altri salti di specie.
«Ci vorranno anni affinché questi vaccini vengano sviluppati, ma sono necessari approcci innovativi per indurre una protezione ampia e duratura contro i coronavirus noti e quelli ancora sconosciuti» ha avvertito Anthony Fauci, immunologo, direttore dell’Istituto nazionale di allergie e malattie infettive negli Stati Uniti e consigliere alla Casa Bianca per la pandemia.
In generale i gruppi di lavoro che si dedicano al pan vaccino devono prendere in considerazione regioni del virus poco inclini alle mutazioni e che rimangono piuttosto stabili in tutti i coronavirus.
Pamela Björkman, biologa strutturale al California Institute of Technology sta sviluppando un vaccino universale per alcuni virus simili alla Sars. Un vaccino composto da più parti del virus testato su topi stimolerebbe la formazione di anticorpi bloccando infezioni causate da diversi virus simili alla Sars, compresi ceppi che non sono stati utilizzati per creare il vaccino.
I ricercatori sono convinti che il sistema immunitario delle cavie abbia imparato a riconoscere le caratteristiche comuni dei coronavirus e a breve inizieranno i test sull’uomo.
La nanoparticella a forma di pallone di calcio
Recentemente l’esercito degli Stati Uniti ha comunicato risultati promettenti di un candidato vaccino chiamato Spik Ferritin Nanoparticle (SpFN) sviluppato dai ricercatori del Walter Reed Army Institute of Research.
Gli attuali vaccini presentano una sola versione della Spike ma come è stato visto il rischio è che il virus muti e non venga più riconosciuto. Questo vaccino invece di basa su una tecnologia sviluppata per produrre vaccini antinfluenzali universali ed è composto da una nanoparticella, Ferritin Nanoparticle (SpFN), a forma di pallone da calcio con 24 facce decorate con più copie della proteina spike del SARS-CoV-2 originale.
Il sistema immunitario stimolato da questo tipo di vaccino sviluppa anticorpi neutralizzanti in grado di contrastare le diverse varianti e quelle che potranno nascere in futuro per questo gli scienziati credono che potrà conferire una protezione più ampia rispetto ai vaccini attuali.
«La presenza di molteplici proteine spike di coronavirus su una nanoparticella multisfaccettata può stimolare l’immunità in modo tale da creare una protezione molto più ampia», ha affermato in una conferenza stampa del dicembre scorso Kayvon Modjarrad, uno dei ricercatori che sta lavorando al progetto
I test in vitro e i test sugli animali in fase pre clinica (pubblicati su Science Translation Medicine) hanno ottenuto ottimi risultati. Il preparato a nanoparticelle SpFN basato su una piattaforma di ferritina induce infetti risposte anticorpali altamente potenti e ampiamente neutralizzanti contro le principali varianti di SARS-CoV-2 di preoccupazione, compreso il virus SARS-CoV-1 emerso nel 2002 (non è però ancora stato testato su Omicron).
La fase 1, partita lo scorso aprile ha arruolato 72 adulti tra i 18 e i 55 anni e anche in questo caso i risultati sono stati definiti promettenti. A breve dovrebbero iniziare i trial di fase 2-3 che coinvolgono un maggior numero di partecipanti per confermare sicurezza ed efficacia.
Il vaccino a nanoparticelle SpFN è testato con doppia dose a distanza di 28 giorni e un richiamo a distanza di sei mesi. A differenza dei vaccini a mRNA il vaccino SpFN può essere conservato in frigorifero a temperature comprese tra i 2° e gli 8° per sei mesi e a temperatura ambiente per un massimo di sei mesi.
A caccia del «tallone d’Achille»
Nell’aprile del 2021 anche i ricercatori della Duke University hanno annunciato che il loro vaccino contro il coronavirus era efficace al 100% nei test sui primati. Cinque mesi dopo, Duke e altre due istituzioni accademiche - l’Università del Wisconsin e il Brigham and Women’s Hospital di Boston - hanno ricevuto circa 36,3 milioni di dollari per finanziare il continuo sviluppo di vaccini contro il pan-coronavirus.
«Quello che cerchiamo di fare è prendere di mira una parte specifica del virus, il suo “tallone d’Achille”» ha detto Kevin Saunders, direttore della ricerca presso il Duke Human Vaccine Institute. Affinché un vaccino funzioni su diversi tipi di coronavirus, quel “tallone d’Achille” dovrebbe essere una parte del virus che rimane uniforme tra le varianti e nel tempo, quindi quando i virus mutano, la parte che il vaccino prende di mira è quella che non muta, o cambia poco.
A inizio pandemia i ricercatori hanno iniziato a cercare anticorpi che disattivassero i virus simili alla Sars e hanno esaminato gli anticorpi presenti nelle cellule congelate di un paziente guarito dall’infezione Sars-Cov del 2003 e di un altro paziente guarito da Covid-19.
I ricercatori hanno identificato un potente anticorpo denominato DH1047, presente nelle cellule di entrambi i pazienti. «Quando abbiamo vaccinato i primati non umani con il nostro vaccino hanno generato questi anticorpi che assomigliano a DH1047» ha detto Saunders. Il vaccino iniettato nelle scimmie ha dimostrato di essere capace di proteggere non solo dal Sars-CoV-2, ma anche dall’infezione di diversi altri coronavirus.
I vaccini nasali
Un altro approccio promettente è rappresentato da una nuova generazione di vaccini anti Covid, quelli a spray, che possono indurre l’immunità nelle mucose dell’apparato respiratorio, bloccando sul nascere l’infezione nella sua porta di ingresso, impedendo così che il virus inizi il suo viaggio verso i polmoni, contribuendo forse alla cosidetta immunità sterilizzante, ovvero la condizione in cui il soggetto vaccinato non si contagia e non contagia gli altri.
Un gruppo di lavoro dell’Università di Yale ha pubblicato nel dicembre scorso sulla rivista Science Immunology i risultati del suo vaccino anti Covid in forma di spray nasale che sembrerebbe essere in grado di contrastare le varianti del virus.
«La migliore difesa immunitaria avviene nelle vie d’ingresso del virus», ha detto l’immunologa Akiko Iwasaki, che coordina la ricerca. «Il bello di questo vaccino è che non solo fornisce un’importante protezione, ma l’immunità è di lunga durata e cellule T e B rimangono sulla superficie della mucosa» ha sottolineato. Finora il farmaco è stato sperimentato sui topi e si attende l’avvio dei test sull’uomo.
Altimmune, biofarmaceutica statunitense, sta sviluppando un vaccino Covid-19 che viene somministrato come spray nasale, ma sembra che la risposta immunitaria scatenata al termine del trial umano sia decisamente inferiore a quanto sperato dopo i risultati incoraggianti ottenuti con gli animali. Anche la Meissa Vaccines, azienda californiana, ha appena iniziato trial di fase 1 dopo buoni risultati con la sperimentazione animale.
Vaccini a quota dieci miliardi, ma la guerra al Covid non è finita. Elena Dusi su la Repubblica il 30 gennaio 2022.
Le dosi hanno mantenuto la promessa di salvare milioni di vite, ma non quella di debellare la pandemia. Le ombre della campagna: Paesi poveri dimenticati e il 40% della popolazione mondiale ancora senza copertura.
Da zero a 10 miliardi in un anno. È la corsa dei vaccini contro il Covid nel pianeta. Eppure oggi, allo scattare dell’iniezione seguita da dieci zeri, il mondo si ritrova ancora in piena tempesta Omicron. La frase più ripetuta all’arrivo delle prime fiale a fine dicembre 2020 — «finalmente la luce in fondo al tunnel» — dopo la terza dose e nell’incertezza sulla quarta ci fa alzare le sopracciglia. Se si aggiunge l’ingiustizia di un misero 10% di copertura in Africa contro il 77% dei paesi ricchi, la campagna vaccinale sembra una storia piena di ombre, altro che luce.
Poi però arrivano le stime più che rigorose dell’Associazione italiana di epidemiologia: 27.034 vite salvate dai vaccini nel nostro Paese, con 1,7 milioni di contagi e 130 mila ricoveri evitati, di cui 15 mila in terapia intensiva. Il calcolo di Roberto Buzzetti è pubblicato sulla rivista Epidemiologia e Prevenzione. A livello europeo, l’Ecdc (European centre for disease control), stima in 470 mila le vite salvate tra le persone con più di 60 anni. Per gli Usa la cifra è di 1,1 milioni.
Guido Forni, immunologo dell’Accademia dei Lincei, dà ai vaccini contro il Covid un bel 7,5. «Con la pandemia l’umanità si è scoperta improvvisamente fragile. Poi è arrivata questa soluzione, ottenuta in tempi fantasticamente rapidi e di ottima qualità». Che pure ci ha regalato solo «un’immunità imperfetta» ammette Forni. «Speravamo in molto di più, soprattutto in una protezione più duratura. Ma se la pandemia oggi è meno grave, gran parte del merito spetta a un mondo che guadagna sempre più immunità».
Un altro buon 7 è il voto di Stefania Salmaso dell’Associazione italiana di epidemiologia. «Siamo abituati ai vaccini dell’infanzia, che cancellano il problema per il resto della vita. Ma non tutti i microrganismi si comportano allo stesso modo. Con il coronavirus si crea un’immunità di durata piuttosto breve, come avviene per i raffreddori. Forse sul fronte della comunicazione bisognava ingenerare meno illusioni e spiegare che i comportamenti prudenti andavano mantenuti anche fra gli immunizzati».
Ma gli italiani, ancor più dei vaccini, ricevono dagli esperti un voto alto. «Hanno capito — dice Salmaso — che il gioco era serio e hanno seguito le raccomandazioni. I No Vax sono una minoranza». Di cui Forni non si stupisce nemmeno. «Cosa ci aspettavamo in un paese che demonizza gli ogm e all’improvviso viene messo di fronte a nuovi vaccini a Rna e vettore virale».
E se l’Africa resta il simbolo dell’iniquità — «con l’arroganza di Pfizer e Moderna che non hanno voluto ridiscutere il prezzo per lei» lamenta Forni — non è solo da lì che il coronavirus potrebbe sferrare il prossimo colpo. «È sorprendente che la Cina voglia tenere il punto e seguire la politica dei contagi zero» commenta Salmaso. «Con un vaccino piuttosto debole e la popolazione poco toccata dai contagi, ha un enorme serbatoio di popolazione suscettibile».
Forni associa Pechino al suo rivale: «Gli Usa in alcuni stati hanno una copertura davvero bassa, attorno al 50%. Lì il problema dei No Vax non deriva tanto dal timore dei nuovi vaccini. La campagna vaccinale è finita nella battaglia politica fra democratici e repubblicani».
E il futuro? Resta un’incognita. «Dopo Omicron aspettiamo la prossima mossa del virus» dice Forni. Le aziende sono pronte a raddoppiare la produzione di vaccini, portandola dagli 11 miliardi di dosi del 2021, di cui 1,5 solo a dicembre, a oltre 20 nel 2022, quando contano di ricavare 75 miliardi di dollari, secondo Airfinity, gruppo specializzato in studi di mercato. Anche qui le disparità sono enormi: si va dagli oltre 20 euro a dose di Pfizer e Moderna ai 4 di AstraZeneca, che nonostante la cattiva fama è il vaccino più usato al mondo insieme al cinese Coronavac, con oltre 2 miliardi di dosi ciascuno.
«Ma, ancora una volta, non possiamo ripetere l’errore di pensare che i vaccini risolvano tutto» avverte Salmaso. «La nuova fase della pandemia va affrontata anche riorganizzando gli ospedali, raccogliendo i dati in modo più efficiente, rendendo le scelte più trasparenti. Ad esempio pubblicando i verbali del Comitato tecnico scientifico e i contratti con le aziende che producono i vaccini».
Dosi, soldi e certificati falsi: prende forma il traffico di vaccini contraffatti. Federico Giuliani su Inside Over il 29 gennaio 2022.
L’allarme rosso è scattato pochi giorni fa in Germania ma il suo eco ha già fatto il giro del mondo. La polizia tedesca sta indagando su oltre 12mila casi di sospetti vaccini anti Covid contraffatti. O meglio: nel caso tedesco, ad essere falsificate non sono solo le singole dosi, ma anche le certificazioni rilasciate ai vaccinati. Facciamo un passo indietro per ricostruire il contesto. Da quando, lo scorso dicembre, Berlino ha introdotto restrizioni più severe nel tentativo di arginare la diffusione della variante Omicron, il numero di falsi vaccinati è schizzato alle stelle. Lo ha riportato l’agenzia stampa tedesca Dpa, e il motivo è semplice: per accedere alla maggior parte dei luoghi pubblici, i cittadini devono mostrare di essere vaccinati (con due o tre dosi) o guariti, mentre per usufruire dei mezzi di trasporto pubblici valgono le stesse norme, in aggiunta alla possibilità di risultare negativi a un test anti Covid.
Chi non ha intenzione di vaccinarsi – e anche in Germania, a differenza di quanto si possa pensare, questa categoria sembrerebbe essere piuttosto numerosa – si tuffa nel mondo dei pass vaccinali fasulli. Le forze dell’ordine hanno sottolineato come la domanda di certificazioni false sia aumentata a dismisura di pari passo con l’inasprimento delle regole, toccando quote elevate in alcune aree, come lo stato meridionale della Baviera, dove sarebbero attivi 4000 casi, e lo stato occidentale del Nord Reno-Westfalia, dove la polizia sta indagando su oltre 3500 casi.
Il più delle volte, il rilascio di un documento fake comporta la somministrazione di vaccini, intese come dosi, altrettanto false. La stampa tedesca, ad esempio, ha raccontato la storia di un medico in Baviera che iniettava vaccini placebo – ovvero formati da una soluzione salina – ai suoi pazienti. I no vax, o più semplicemente gli scettici, desiderosi di bypassare le regole imposte dal governo senza ricevere il vaccino, erano soliti effettuare pellegrinaggi presso lo studio dell’esperto, adesso sospeso dalle autorità sanitarie e in attesa di un’indagine penale. I pazienti, quindi, ricevevano dosi false, accompagnate da un pass vaccinale fasullo utilizzabile come se niente fosse.
L’ombra del fake
In mezzo a una pandemia globale, non mancano insomma le persone tentate di acquistare e utilizzare prodotti alquanto discutibili; gli stessi che, venduti in canali “sommersi”, sostengono di curare, diagnosticare e persino prevenire l’insorgere del Covid-19. Partiamo subito col dire che i soli prodotti utilizzabili senza incorrere in alcun rischio sono quelli espressamente autorizzati dai vari enti governativi che si occupano della regolamentazione di farmaci e affini. Negli Stati Uniti, ad esempio, questo ruolo viene svolto dalla Food and Drug Administration (FDA), che collabora con produttori, sviluppatori e ricercatori di vaccini e farmaci per aiutare a facilitare lo sviluppo e la disponibilità di prodotti medici – come appunto vaccini, anticorpi e medicinali aggiuntivi – per prevenire o curare il Covid-19 e altre malattie.
Attenzione però, perché nel frattempo alcune persone e aziende hanno iniziato, in maniera subdola, a trarre profitto da questa emergenza sanitaria vendendo e commercializzando prodotti non autorizzati. Questi, a differenza di come vengono presentati dai venditori, anziché essere utili alla causa sono nella maggior parte dei casi pericolosi per chi ne usufruisce e per gli altri. I suddetti prodotti, infatti, possono indurre le persone a ritardare o addirittura interrompere un trattamento medico appropriato che – quello sì – sarebbe in grado di agire sul Covid-19. Come se non bastasse, gli ingredienti in essi contenuti potrebbero causare effetti avversi e interferire con i farmaci per il trattamento di molte condizioni mediche sottostanti.
Un mercato in crescita
Nel 2017, e cioè ben prima dell’avvento di Sars-CoV-2, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stimava che circa un prodotto medico su 10 che circolava nei Paesi a basso e medio reddito risultasse scadente o falsificato. Adesso il rapporto potrebbe essersi ulteriormente ampliato. I prodotti falsi legati al Covid-19, non a caso, possono essere disponibili in molte varietà, inclusi integratori alimentari e altri alimenti, nonché test, farmaci, dispositivi medici e ovviamente vaccini. Il loro impatto sulla società è disastroso non solo perché non sono capaci di curare alcun disturbo e possono portare a un decorso peggiore o addirittura alla morte, ma anche perché, non funzionando, facilitano la nascita di nuovi focolai infettivi.
Per quanto riguarda i vaccini, lo scorso agosto a Mumbai, in India, le autorità stavano perseguendo una dozzina di persone per un presunto coinvolgimento in un giro di dosi false di Covishield, la versione indiana di AstraZeneca. La Cina, dal canto suo, ha represso duramente versioni contraffatte dei suoi vaccini. Lo scorso marzo, l’Interpol ha rilevato il primo caso ufficiale di falsi vaccini anti Covid trafficati attraverso i continenti proprio nella Repubblica Popolare Cinese, dove un gruppo organizzato riempiva le fiale di soluzioni saline prima di contrabbandarle in Sudafrica, dove il tutto sarebbe stato venduto come vaccino anti Covid. Più di 80 persone sono state arrestate, per lo più proprio oltre la Muraglia, per aver partecipato a quel programma, che prevedeva di sviluppare almeno 2.400 dosi di vaccino falso. Polonia e Messico hanno segnalato alcuni casi in cui vaccini Pfizer contraffatti sono stati somministrati ai pazienti per un costo di mille dollari a dose. I funzionari doganali messicani hanno inoltre sequestrato fiale di falso vaccino Sputnik V destinato all’Honduras. E non è finita qui, perché il business dei vaccini falsi riguarda ogni continente, Africa compresa. Qui, tra luglio e agosto scorsi, un’operazione dell’Interpol ha portato all’identificazione di 179 sospetti e al congelamento di beni per un valore di 3,5 milioni dollari; tra questi beni erano inclusi vaccini e falsi certificati di test Covid-19.
A margine di uno scenario simile, destinato ad aumentare con l’implementazione di nuovi divieti, sono emblematiche le dichiarazioni rilasciate al Time da Jurgen Stock, segretario generale dell’Interpool: “Non ho mai visto una situazione così dinamica prima d’ora. L’oro liquido nel 2021 è il vaccino, e già stiamo vedendo che le catene di approvvigionamento dei vaccini sono sempre più prese di mira dai falsari”. Per capire quanto è cresciuto questo business basta leggere i dati. Un rapporto del 2017 di PwC stimava che il mercato dei medicinali contraffatti valesse 200 miliardi di dollari (giusto per fare un confronto, pare che il “vero” mercato dei vaccini anti Covid valga 150 miliardi di dollari) e che crescesse del 20% all’anno; ebbene, nell’ultimo anno il mercato nero dei medicinali sarebbe cresciuto di oltre il 400%. Ad alimentare il sistema troviamo le molteplici informazioni confuse sul Covid – che, soprattutto nella prima fase dell’emergenza, hanno contribuito ad alimentare il panico generale – e l’iniquità del vaccino, con molti Paesi letteralmente ricchi di dosi e altri pressoché a secco. Tutto ciò ha creato l’humus perfetto per svariate attività criminali.
Come nasce un vaccino falso
Ma come nasce un farmaco contraffatto? E chi si nasconde dietro a questo giro di soldi? La globalizzazione dell’industria farmaceutica ha portato innumerevoli vantaggi, ma con essi ha diffuso in tutto il mondo anche prodotti contraffatti e scadenti. I principi attivi dei farmaci fake possono provenire dalla Cina, mentre il prodotto in sé può essere fabbricato in India per poi essere confezionato in un Paese terzo, prima di essere spedito attraverso Dubai o altri hub strategici a seconda del guadagno derivante dai tassi di cambio.
Tra le pratiche più diffuse, troviamo quella di procurarsi fiale vuote e riempirle con soluzione salina o prodotti scadenti, oppure quella di imitare i farmaci originali affidandosi però a concentrazioni di principi farmaceutici attivi inferiori rispetto al normale. Secondo la società di sicurezza informatica israeliana CheckPoint, la pubblicità sul dark web per i vaccini anti Covid, tra cui AstraZeneca, Johnson & Johnson, Sinopharm e Sputnik V, venduti a 500-1000 dollari per dose, nella primavera 2021 è aumentata di oltre il 300%. A guidare le reti oscure, anonime aziende affamate di profitto, criminalità organizzata e gruppi di malintenzionati. Tutti pronti a lucrare sulla pandemia più grave degli ultimi decenni. Qual è il crocevia del mondo di domani?
RAPPORTI PRIVILEGIATI. Lo scandalo degli sms con Big Pharma travolge Ursula von der Leyen. FRANCESCA DE BENEDETTI su Il Domani il 28 gennaio 2022.
Ursula von der Leyen ha smessaggiato per settimane con l’amministratore delegato di Pfizer, anche quando un nuovo contratto per i vaccini veniva negoziato, ma rifiuta di render pubblici quei documenti. I messaggini sono «effimeri», secondo la Commissione. Ma la stroncatura arriva dalla mediatrice Ue, che valuta l’opacità di Bruxelles come «malgoverno».
La mancanza di trasparenza di Bruxelles riguarda il dossier dei contratti dei vaccini nel complesso. E non è la prima volta che von der Leyen cancella messaggi: due anni fa lo ha fatto anche ai tempi di un’inchiesta relativa a quando era ministra della Difesa in Germania.
La eurodeputata liberale Sophie in’t Veld, che si è battuta per avere trasparenza sui messaggi con Big Pharma, solleva una questione di democrazia, perché «non si tratta di un singolo caso», e di fiducia, perché «quella dell’Europarlamento alla Commissione non va data per scontata».
FRANCESCA DE BENEDETTI. Europea per vocazione. Ha lavorato a Repubblica e a La7, ha scritto (The Independent, MicroMega), ha fatto reportage (Brexit). Ora pensa al Domani.
Von der Leyen-Bourla, gli sms rimangono segreti. Redazione il 29 Gennaio 2022 su Il Giornale.
No alla diffusione delle comunicazioni col Ceo di Pfizer. L'accusa: "Cattiva amministrazione".
Critiche alla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen per come ha gestito la trattativa per l'acquisto dei vaccini Pfizer. Sotto accusa gli sms che la von der Leyen ha scambiato con il numero uno della casa farmaceutica Albert Bourla.
È la mediatrice europea Emily ÒReilly a puntare il dito contro il modo in cui la Commissione ha risposto ad una richiesta di accesso del pubblico ai messaggi di testo tra la presidente e l'amministratore delegato di Pfizer avanzata lo scorso inverno da un giornalista. Era stato il New York Times a parlare nell'aprile del 2021 della trattativa per l'approvvigionamento dei vaccini portata avanti tra chiamate e sms. Ma la Commissione non aveva dato seguito alla richiesta di accesso presentata dal giornalista di Netzpolitik Alexander Fanta, rispondendo che non era stata tenuta alcuna registrazione dei messaggi relativi all'acquisto delle dosi. Dall'inchiesta della mediatrice Ue è emerso che la Commissione «non ha chiesto esplicitamente all'ufficio personale della presidente di cercare messaggi di testo», ma al suo gabinetto di cercare «documenti che soddisfano i criteri interni della Commissione per la registrazione» e «i messaggi di testo non sono attualmente considerati conformi a questi criteri». «Un caso di cattiva amministrazione», per la O'Reilly. «Il modo ristretto in cui è stata trattata questa richiesta di accesso pubblico - spiega la mediatrice Ue - significa che non è stato fatto alcun tentativo di identificare se esistessero messaggi di testo. Ciò non soddisfa le ragionevoli aspettative di trasparenza e standard amministrativi nella Commissione». «Non tutti i messaggi di testo devono essere registrati - continua - ma rientrano nella legge sulla trasparenza della Ue e quindi quelli pertinenti dovrebbero essere registrati. Non è credibile affermare il contrario. Quando si tratta del diritto di accesso ai documenti Ue, è il contenuto che conta e non il dispositivo o il modulo. Se i messaggi di testo riguardano le politiche e le decisioni della Ue, dovrebbero essere trattati come documenti della Ue». Ora la ÒReilly ha chiesto alla Commissione di chiedere all'ufficio personale della presidente di cercare nuovamente i messaggi di testo pertinenti. Se vengono identificati la Commissione deve valutare se soddisfano i criteri per essere rilasciati.
Carabiniere morto dopo il vaccino AstraZeneca: «Dose fatale, ma evento imprevedibile». Udine, Emanuele Calligaris (46 anni) era deceduto dopo la somministrazione per un’emorragia cerebrale. Gli esami scagionano però i dottori: «La trombosi non era ipotizzabile». Andrea Pistore su Il Corriere della Sera il 31 gennaio 2022.
A uccidere il maresciallo maggiore dei carabinieri Emanuele Calligaris (46 anni) è stato il processo che si è innescato dopo la somministrazione, a marzo del 2021, della dose di vaccino AstraZeneca. È questa la conclusione della consulenza tecnica e dell’autopsia a cui è stato sottoposto il corpo del militare friulano, deceduto a marzo dello scorso anno all’ospedale di Udine. A stabilirlo il neurochirurgo Felice Esposito insieme ad Antonello Cirelli, specialista veneziano in medicina legale, a cui era stata affidata la perizia dal pm Lucia Terzariol. I due professori hanno comunque evidenziato come non possa essere imputata alcuna colpa ai medici che hanno seguito il maresciallo.
Il malore e il ricovero
L’indagine era partita a seguito di due esposti presentati dalla moglie di Calligaris: l’uomo, dopo essersi sottoposto al vaccino, ha avuto un grave malore, morendo undici giorni dopo l’inoculazione e a 24 ore dal ricovero. Le condizioni del carabiniere erano precipitate la notte tra l’11 e il 12 marzo 2021, quando ha accusato nausea, vertigini e forte mal di testa oltre a febbre a 39. Un quadro clinico che da lì a poche ore sarebbe ulteriormente peggiorato: gli esami hanno dimostrato che era in corso un’emorragia celebrale che ha portato al decesso.
Soggetto a rischio trombosi
L’autopsia e le successive perizie hanno concluso che Calligaris, senza saperlo, era uno di quei soggetti a rischio trombosi. Rientrava quindi in quei rarissimi casi di «reazione avversa» che poteva scatenarsi dopo la somministrazione del vaccino di AstraZeneca. All’epoca del decesso non erano ancora lampanti le controindicazioni sul siero, che emersero solo in seguito quando le autorità sanitarie hanno proibito la somministrazione di quel siero agli under 60. La relazione dei due professori scagiona comunque il medico di base e chi ha inoculato la dose a Calligaris: «L’evento emorragico che ha portato al decesso - si legge nelle conclusioni della consulenza- va ricondotto al novero degli eventi imprevedibili. Nessun profilo di colpa commissiva od omissiva, penalmente rivelante, risulta individuabile nel caso di specie».
Prima perizia
In sostanza dopo aver ricevuto la dose di Astrazeneca nel corpo di Calligaris si sarebbe sviluppata la trombosi, provocata da uno stato di ipercoagulabilità del sangue, non individuabile in precedenza. Sarebbe stato insomma impossibile per i medici anche ipotizzare ai primi sintomi che il processo fosse in atto. Per il Nordest è la prima perizia che accerta l’esistenza della correlazione tra la somministrazione del vaccino AstraZeneneca e un decesso per emorragia cerebrale. I dati successivi hanno fatto emergere come l’evento sia davvero rarissimo, nell’ordine dei 7 casi per un milione nelle persone vaccinate tra i 18 e i 49 anni.
Camilla Canepa morta dopo Astrazeneca: i medici che la soccorsero sapevano del vaccino. Il Corriere della Sera il 27 Gennaio 2022.
E’ un dettaglio cruciale: in quei giorni erano già state pubblicate le linee guida sulle reazioni avverse al farmaco. Ma sulla cartella clinica il particolare non è riportato.
Il personale sanitario dell’ospedale di Lavagna sapeva che Camilla Canepa, la 18enne morta dopo la vaccinazione, aveva fatto una dose di Astrazeneca. È quanto emerso dalle audizioni dei medici fatte dai pubblici ministeri Francesca Rombolà e Stefano Puppo insieme al procuratore Francesco Pinto, che indagano sulla morte della studentessa avvenuta il 10 giugno scorso per una trombosi. La giovane era stata vaccinata durante un open day. I pm avevano convocato i sanitari per verificare come mai nella documentazione clinica del primo ricovero non fosse stato indicato che la giovane aveva ricevuto il vaccino anglo-svedese.
Secondo i genitori della ragazza al momento del primo accesso era stato detto. Inoltre, dalle indagini era emerso che Camilla mandò un messaggio sul cellulare a un conoscente dicendo che la stavano trattenendo in ospedale «per il vaccino». Resta però il giallo sul perché non sia stato scritto nella cartella clinica. Un dettaglio cruciale, quello della mancata indicazione della vaccinazione: al momento del malore della ragazza, infatti esistevano già le linee guida per diagnosticare la Vitt, vale a dire quel tipo di reazione avversa al vaccino. I magistrati invieranno ai consulenti quanto emerso dalle sommarie informazioni dei medici.
Camilla era stata vaccinata il 25 maggio e il 3 giugno era andata all’ospedale di Lavagna per una fortissima cefalea e fotosensibilità’. La giovane era stata dimessa l’indomani, dopo una tac senza contrasto, nonostante le piastrine fossero in forte discesa. Era ritornata allo stesso ospedale il 5 giugno in condizioni disperate per una trombosi. Trasferita al policlinico San Martino di Genova era stata operata alla testa, morendo però il 10 giugno. Nel secondo accesso all’ospedale di Lavagna la vaccinazione era stata indicata. Le prime linee guida per diagnosticare la Vitt prevedevano di procedere con una tac con liquido di contrasto tra gli accertamenti.
Andrea Crisanti è stufo: “Basta stato di emergenza”. Poi il siluro alle case farmaceutiche sulla quarta dose. Il Tempo il 26 gennaio 2022.
Per l’Oms il 2022 potrebbe decretare la fine della fase emergenziale della pandemia. E il virologo Andrea Crisanti la pensa più o meno allo stesso modo, al netto di varianti impazzite. «Come dovrà affrontare l’Italia quella che si prospetta come una nuova fase di Covid-19? Credo sia tempo di adattarsi - spiega all’Adnkronos il direttore del Dipartimento di medicina molecolare dell’università di Padova -. Lo stato di emergenza scade a marzo, e sarebbe pure ora che finisse. Perché anche il prolungamento dello stato di emergenza è una manifestazione del fatto che non ci si è adattati all’emergenza».
«Siamo sul plateau della curva di Omicron in Italia? Insomma. Ieri ci sono stati dei segni di aumento dei casi, ma comunque penso di sì». Sarà questa, dice il virologo Crisanti, la settimana decisiva per capire se l’ultima maxi ondata di Covid-19, sostenuta dal nuovo mutante di Sars-CoV-2, ha preso la direzione sperata, quella che porta alla fine. «Penso che questa settimana sicuramente sapremo se abbiamo scavallato il picco o se abbiamo probabilmente una piccola ripresa legata alle scuole», cioè alla ripresa delle lezioni dopo le feste natalizie, che è stata peraltro accompagnata anche da un’intensa attività di testing.
Sulla quarta dose del vaccino anti-Covid per Crisanti «siamo nella totale confusione e la colpa è delle ditte che non rilasciano i dati. Ad oggi non si sa se servirà o meno. Brancoliamo nel buio». Mentre in Israele, paese più avanti con le valutazioni sul secondo booster, gli esperti già la raccomandano per tutti gli over 18, altrove il dibattito è tutt’altro che chiuso. «Non so pronunciarmi su questo tema senza dati», dice il direttore del Dipartimento di medicina molecolare dell’università di Padova. Anche se sia controproducente la strategia di troppi richiami ripetuti e ravvicinati (l’Agenzia europea del farmaco Ema ha per esempio prospettato il rischio che si riduca il livello di anticorpi che vengono prodotti ad ogni somministrazione) «non lo sa nessuno. Brancoliamo nel buio in questo momento», ribadisce Crisanti.
"Ci usano come cavie, ecco come" Barbara Palombelli, il terribile sospetto su vaccini ed effetti avversi. Il Tempo il 16 aprile 2021.
Mentre le autorità continuano a ribadire che il rapporto costi-benefici del vaccino è fortemente in favore dei secondi anche con la scoperta della correlazione tra gravi trombosi, in vero molto rare, e i sieri AstraZeneca e Johnson & Johnson, arriva la pesante accusa di Barbara Palombelli.
Mentre diversi Paesi stoppano i vaccini in questione e si discute di somministrazione consentita solo a determinate fasce d'età "noi siamo delle cavie, siamo un’immensa clinica e sul nostro corpo si sta sperimentando un vaccino che sarebbe stato pronto tra tre anni", è il ragionamento della giornalista e conduttrice di Stasera Italia su Rete 4 ospite di Massimo Giletti su Rtl 102.5.
"Credo nella scienza e nei vaccini, detto questo stiamo a vedere", dice la Palombelli, ma non ci sta che i cittadini vengano usati come "cavie". per gli effetti avversi del farmaco anti-Covid. "Ciò che innanzitutto non ha funzionato di questa situazione è stata l’euforia del giugno-luglio scorso, quando ci dicevano che ci sarebbe stata la seconda ondata, preparavano gli ospedali e ci mettevano in guardia e gli stessi poi venivano ridicolizzati. Qualcuno dovrà pagare per quella situazione, perché era chiarissimo che non era finita, perché tutto il mondo continuava ad infettarsi, quindi il virus sarebbe tornato anche da noi e nessuno lo voleva ammettere", è l'accusa della giornalista che non nomina mai il ministro della Salute Roberto Speranza ma il riferimento appare piuttosto chiaro.
Anche perché il governo di Mario Draghi è "andato in Europa e non ha chiesto dei vaccini extra come ha fatto la Germania ed altri paesi, la signora Gallina (la funzionaria che ha contrattato le scorte dei vaccini Pfizer, Moderna e AstraZeneca per l'Unione europea, ndr), che ha testimoniato giorni fa in Parlamento, ha detto candidamente ‘ma l’Italia non me li ha chiesti…’, quei contratti non sono trasparenti".
Come è andata a finire con il vaccino cubano (e perché non è stato ancora autorizzato nel resto del mondo). Elena Tebano su Il Corriere della Sera il 19 Gennaio 2022.
Potrebbero aiutare molti Paesi a basso reddito nella prevenzione del Covid, ma i preparati cubani non sono ancora stati autorizzati dall’Oms: non per una mancanza di fiducia nella loro efficacia, ma per un problema «industriale».
Il vaccino cubano sembra funzionare e Cuba ha uno dei più alti tassi di vaccinazione al mondo. Non solo, secondo gli esperti i preparati cubani potrebbero aiutare molti Paesi a basso reddito nella prevenzione del Covid. Ma non sono ancora stati autorizzati dall’Organizzazione mondiale della sanità, non per una mancanza di fiducia nella loro efficacia, ma per un problema «industriale»: gli standard che l’Oms richiede per gli impianti in cui devono essere prodotti (standard che i cubani criticano come iniqui).
I dati sull’efficacia. I vaccini, sviluppati dall’Istituto Finlay per i vaccini in collaborazione altri centri biotecnologici statali di Cuba, hanno dato risultati incoraggianti. Secondo uno studio preliminare (non è ancora stato sottoposto a revisione tra pari) firmato dal direttore del Finlay Vicente Vérez Bencomo e pubblicato il 6 novembre sul sito specializzato medRxiv1, il vaccino Soberana 02 ha una efficacia maggiore del 90% nel proteggere contro l’infezione sintomatica dalla variante Delta del Covid quando viene somministrato in combinazione con un vaccino correlato, una tecnologia particolare sviluppata dai centri di ricerca cubani. Come spiega Nature, due dosi di Soberana o2 vengono combinate con una di Soberana Plus, un vaccino che si basa solo sulla proteina Rbd, dando una protezione del 92,4% contro la variante Delta (non sono ancora noti i dati per Omicron). Anche Abdala, un altro vaccino in tre dosi sviluppato a Cuba, avrebbe secondo i ricercatori cubani, un’efficacia superiore al 90% su Delta.
La campagna di vaccinazione. Cuba ha un altissimo tasso di vaccinazione: oggi, secondo i dati di Our World in Data, è il terzo Paese per percentuale di popolazione immunizzata dopo Emirati Arabi Uniti e Portogallo. Il 93% dei cubani a partire dai due anni di età ha ricevuto almeno una dose di vaccino, mentre l’86% ha completato il ciclo vaccinale (in Italia siamo rispettivamente all’82% e al 75%). Cuba è l’unico Paese a basso reddito ad essere riuscito a vaccinare quasi tutta la popolazione. In Paesi come Turchia, India e Messico, che hanno un reddito pro capite simile, meno del 70% della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino. Cuba è anche l’unico Paese in America Latina e nei Caraibi ad aver sviluppato un proprio preparato. «È un’impresa incredibile» ha detto alla testata statunitense Cnbc Helen Yaffe, un’esperta di Cuba e docente di storia economica e sociale all’Università di Glasgow, in Scozia. «È il risultato di una consapevole politica governativa di investimento statale nel settore, sia nella salute pubblica che nella scienza medica» ha aggiunto. Tutto questo in un Paese dove la popolazione generale fa fatica ad approvvigionarsi di cibo e i manifestanti che questa estate hanno protestato contro la dittatura comunista urlando «libertà» e «abbiamo fame» nei giorni scorsi sono finiti a processo. Rischiano pene fino a 30 anni di detenzione.
La tecnologia a basso costo. Tutti e cinque vaccini sviluppati da Cuba (tra cui Abdala, Soberana 02 e Soberana Plus) sono vaccini a subunità proteica, cioè usano «composti proteici» del coronavirus. Un altro vaccino di questo tipo è lo statunitense Novavax, già approvato dall’Agenzia europea del farmaco. I vaccini a subunità proteica cubani, spiega ancora Cnbc, «sono economici da produrre, possono essere fabbricati su vasta scala e non richiedono il congelamento profondo. Ciò ha spinto i funzionari della sanità internazionale a parlare di questi vaccini come di una potenziale fonte di speranza per il “Sud globale”, dove persistono bassi tassi di vaccinazione. Per esempio, mentre circa il 70% delle persone nell’Unione europea sono state completamente vaccinate, meno del 10% della popolazione africana è stata completamente vaccinata». Distribuire e somministrare un vaccino che non richiede basse temperature è più facile rispetto a uno che deve essere conservato a -25° e può stare a temperature tra 2° e 30° solo per sei ore (è il caso del Pfizer). Cuba ha già iniziato a esportare Abdala in Vietnam. Nel secondo trimestre del 2022 dovrebbe essere esportato anche in Messico.
I ritardi nell’approvazione. I vaccini a subunità proteica richiedono più tempo per essere fabbricati rispetto a quelli a Rna messaggero. Inoltre sono stati testati in meno Paesi, visto l’isolamento politico (e l’embargo americano) di cui soffre Cuba. Anche per questo la sperimentazione medica ha richiesto più tempo. L’Istituto Finlay ha dichiarato che presenterà tutti i dati e i documenti necessari all’approvazione dell’Organizzazione mondiale della sanità entro aprile. Gli epidemiologi cubani, riporta Reuters, hanno intanto accusato l’Oms, che a dicembre stava valutando gli impianti farmaceutici cubani, di ritardare il processo di approvazione richiedendo standard industriali «da primo mondo», inarrivabili per un Paese a basso reddito. Il vaccino Abdala è stato per ora autorizzato dal Messico.
Sputnik è l'unico vaccino che resiste a Omicron: due volte più efficace di Pfizer. Antonio Sbraga su Il Tempo il 21 gennaio 2022.
Uno «scudo spaziale» contro la variante Omicron c'è, ed è lo Sputnik V, anche se il vaccino russo è stato finora lasciato in orbita, non ancora autorizzato dalle agenzie europea ed italiana del farmaco Ema ed Aifa. Ma ora, mentre «tutti i vaccini attualmente autorizzati perdono parte dell'efficacia nei confronti di Omicron - sottolinea il team tecnico scientifico Covid 19 dell'Istituto Spallanzani - i risultati degli esperimenti di laboratorio, condotti in collaborazione tra Istituto Spallanzani e Istituto Gamaleya, hanno documentato che oltre il 70% delle persone vaccinate con Sputnik V mantengono un'attività neutralizzante contro Omicron, e tale attività si mantiene in buona parte anche a distanza di 3-6 mesi dalla vaccinazione. Questi risultati, appena usciti in preprint, risultano estremamente incoraggianti e utili per definire nuove strategie vaccinali in rapporto alla evoluzione delle varianti di SARS-CoV-2», sottolinea l'Istituto nazionale per le malattie infettive.
Una possibile svolta quella certificata dal team congiunto di ricercatori dei due istituti (il Gamaleya è quello che ha creato lo Sputnik V). Perché, stando alle prime spiegazioni, la capacità di rispondere alla variante Omicron da parte del vaccino russo sarebbe maggiore a quella registrata da quello americano: «Più di 2 volte superiori rispetto a 2 dosi di vaccino Pfizer (2.1 volte superiori in totale e 2.6 volte superiori 3 mesi dopo la vaccinazione)». Con un risultato finale che certificherebbe una riduzione «significativamente minore (2.6 volte) dell'attività di neutralizzazione del virus contro Omicron in confronto alla variante Wuhan di riferimento rispetto al vaccino Pfizer (riduzione di 8.1 volte per Sputnik V rispetto a 21.4 volte per il vaccino Pfizer)». Un confronto destinato a riaccendere le polemiche attorno alla mancata autorizzazione di quello che fu il primo vaccino ad essere annunciato, nel lontano 10 agosto 2020, chiamato come il primo satellite artificiale terrestre lanciato dai sovietici, «Sputnik» appunto. Anche se nel resto del mondo generò la stessa diffidenza che, nel 1957, accompagnò la missione spaziale di Mosca. «Stamattina è stato registrato il vaccino contro il coronavirus per la prima volta al mondo - annunciò il presidente russo, Vladimir Putin - So che il vaccino funziona in modo abbastanza efficace, garantisce un'immunità stabile e, ripeto, ha superato tutti i controlli». Al punto da farlo somministrare anche a una delle due figlie del nuovo Zar.
Nell'aprile scorso però anche l'«Istituto per la Sicurezza Sociale» della Repubblica di San Marino ha espresso «piena fiducia sulla sicurezza ed efficacia del vaccino russo Sputnik V», in special modo contro la prima variante più pericolosa: la Delta. «I dati della campagna vaccinale in corso - ha scritto 9 mesi fa l'Istituto della Repubblica del Titano - dove in circa il 90% dei casi è stato utilizzato il vaccino realizzato e prodotto dal Centro nazionale di ricerca epidemiologica e microbiologica "N. F. Gamaleja" di Mosca, mostrano un repentino calo dei contagi in territorio a distanza di un mese dall'inizio della somministrazione del vaccino, avvenuta il 1° marzo e nonostante già da metà febbraio fosse stata confermata una elevata presenza della cosiddetta "variante inglese" del virus in Repubblica».
Clamoroso: contro Omicron più protetti a San Marino che nel resto d'Italia. Il vaccino di Putin funziona meglio. Il Tempo il 20 gennaio 2022.
Clamoroso: contro Omicron sono più protetti gli abitanti di San Marino che quelli del resto di italia. Meglio il vaccino di Putin che quelli di Biden. A sostenerlo è una fonte autorevole. La più autorevole in Italia, dal momento che è l'Istituto Nazionale di Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani di Roma. In un comunicato diffuso oggi 20 gennaio, infatti, viene spiegato che "tutti i vaccini attualmente autorizzati perdono parte dell’efficacia nei confronti di Omicron. I risultati degli esperimenti di laboratorio, condotti in collaborazione tra Istituto Spallanzani e Istituto Gamaleya, hanno documentato che oltre il 70% delle persone vaccinate con Sputnik V (il vaccino russo usato a San Marino, ndr) mantengono un'attività neutralizzante contro Omicron, e tale attività si mantiene in buona parte anche a distanza di 3-6 mesi dalla vaccinazione. Questi risultati, appena usciti in preprint, risultano estremamente incoraggianti e utili per definire nuove strategie vaccinali in rapporto alla evoluzione delle varianti di SARS-CoV-2".
Con i vaccini attualmente in uso in Italia, invece, quelli prodotti dalle americane Pfizer e Moderna, i risultati sono diversi e a fornirli è l'Istituto superiore di sanità nel consueto bollettino di sorveglianza settimanale. Nell'ultimo report del 12 gennaio si legge che "l'efficacia del vaccino (riduzione del rischio rispetto ai non vaccinati) nel prevenire la diagnosi di infezione SARS-CoV-2 è pari a 71% entro 90 giorni dal completamento del ciclo vaccinale, 57% tra i 91 e 120 giorni, e 34% oltre 120 giorni dal completamento del ciclo vaccinale".
LE CURE.
Scienze della vita: l’Italia al primo posto per pubblicazioni scientifiche in Europa. Beatrice Foresti La Repubblica il 5 Dicembre 2022.
L’industria delle scienze della vita nel 2021 conferma un ottimo stato di salute, nonostante gli strascichi della pandemia e una congiuntura economica difficile. Il rapporto della Community Life Sciences di The European House - Ambrosetti
Quello delle scienze della vita è un settore oggi particolarmente dinamico che vede il profilarsi di opportunità di crescita e sviluppo per i prossimi anni, anche grazie all’implementazione del Pnrr. Guardando all’Italia, gli ultimi dati confermano il settore come una delle punte di diamante dell’industria del Paese: è al primo posto nell’Ue per pubblicazioni scientifiche in ambito farmacologico, cardiologico e oncologico, al secondo per le ricerche sul cancro e sulle pubblicazioni di genetica clinica, mentre si classifica quarta a livello mondiale per le 7595 pubblicazioni scientifiche sul Covid-19. Lo evidenzia il rapporto “Il ruolo dell’Ecosistema dell’Innovazione nelle Scienze della Vita per la crescita e la competitività dell’Italia” della Community Life Sciences di The European House - Ambrosetti, presentato durante l’ottava edizione del Technology Forum Life Sciences, contenente le analisi riguardo all’andamento dell’ecosistema nazionale della ricerca e dell’innovazione nelle scienze della vita, insieme agli approfondimenti tematici e alle priorità di azione per la valorizzazione del settore.
Grazie alle risorse di Next Generation Eu, l’Italia ha iniziato a muovere i primi passi nell’implementazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza che, con un quarto dei fondi complessivi, pari a 46,5 miliardi di euro, allocati a istruzione e ricerca (30,9 miliardi) e salute (15,6 miliardi), ha ridisegnato la governance attraverso la creazione di 5 centri nazionali per la ricerca in filiera e 11 ecosistemi dell’innovazione a livello territoriale, accompagnati da investimenti sulle infrastrutture di ricerca e su quelle tecnologiche. Tale modello, a cui sono stati assegnati 4,3 miliardi di euro, intende costruire un ecosistema integrato di università, imprese ed enti di ricerca pubblici e privati secondo un sistema di tipo Hub & Spoke, con l’obiettivo di valorizzare sia il ruolo primario di coordinamento e gestione dei Centri sia la collaborazione con le strutture di ricerca coinvolte. La nuova governance della ricerca dispiegherà i propri effetti anche nelle scienze della vita: uno dei Centri realizzati dagli investimenti del piano nazionale sarà? infatti dedicato allo “Sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a Rna”, con il coinvolgimento di 49 enti partecipanti coordinati dall’Università di Padova. A tal proposito, il ruolo della community sarà quello di osservare gli sviluppi della strategia, favorendo il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Tra questi il superamento della frammentarietà nella governance, la definizione di un piano strategico nazionale, la valorizzazione delle eccellenze territoriali, l’attrazione di investimenti in ricerca e innovazione e il supporto alle attività di trasferimento tecnologico.
Oltre alla ricerca, il lavoro della community si è concentrato anche sul mondo industriale, attraverso un’analisi degli indicatori economici relativi ai 3 settori che compongono la filiera: farmaceutico, biotecnologico e dispositivi medici. L’industria delle scienze della vita nel 2021 conferma un ottimo stato di salute, nonostante gli strascichi della pandemia e una congiuntura economica difficile. Continua intanto a crescere il numero di imprese: a oggi sono 5.621 quelle attive, con una grande frammentazione nel settore dei dispositivi medici (4.546) e una maggior concentrazione sia nella farmaceutica (285) sia nelle biotecnologie (790). In aumento anche il valore di produzione, che raggiunge i 50,64 miliardi, con un nuovo record nel settore farmaceutico, pari a 34,4 miliardi. La filiera si conferma inoltre altamente innovativa: gli investimenti in ricerca e sviluppo crescono del +2,4%, per un ammontare pari a 4,19 miliardi. Il settore farmaceutico è il primo settore industriale in Italia per open innovation e accordi di innovazione con università e centri pubblici di ricerca, mentre le imprese biotecnologiche che investono almeno il 75% del proprio budget nelle attività di R&S sono oltre la metà (53,4%).
Curare la Covid: meglio l'indometacina o il paracetamolo? Sorprendenti i risultati di uno studio su pazienti ospedalizzati per Covid: l'antinfiammatorio risolve i sintomi più velocemente rispetto all'antipiretico e riduce il rischio di desaturazione. Gioia Locati l’8 Novembre 2022 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
Quale antinfiammatorio?
Lo studio
Il calo di prescrizioni di paracetamolo
Già dopo i primi mesi di esordio del virus Sars-Cov-2 diversi medici avevano evidenziato l’importanza di trattate i sintomi della Covid con anti infiammatori non steroidei (FANS). Poiché la malattia si manifesta con una fase virale (nei primi 3 giorni) e una infiammatoria successiva, che porta l'organismo a produrre citochine, molecole pro infiammatorie. Si è osservato che sono proprio queste ultime, quando in eccesso, a provocare sofferenza ai vari organi vitali oltre alla desaturazione polmonare. Da qui la raccomandazione di utilizzare i FANS al posto del semplice anti febbrile (paracetamolo) che porta con sè lo spiacevole effetto di ridurre le scorte organiche di glutatione, il prezioso antiossidante prodotto dal fegato che andrebbe, invece, potenziato durante ogni forma influenzale.
Quale antinfiammatorio?
Antinfiammatori, dunque. Quale è il più indicato contro il Covid? Durante i primi mesi di Covid i FANS venivano proposti indifferentemente, dall’acido acetilsalicilico all’ibuprofene. Di recente è stato pubblicato uno studio che ha osservato l’andamento della Covid in pazienti ospedalizzati: un gruppo è stato trattato con indometacina e l’altro con paracetamolo. L’indometacina è un antinfiammatorio approvato nel 1965.
Lo studio
Sono stati coinvolti 210 pazienti, ricoverati con positività al Sars-Cov-2 e con sintomi della Covid. Sono stati tutti trattati con più farmaci, citati nello studio, in aggiunta ai quali a 103 è stata data indometacina, a 107 paracetamolo.
Nel gruppo indometacina nessuno ha sviluppato desaturazione. D'altra parte, 20 dei 107 pazienti nel braccio paracetamolo hanno sviluppato desaturazione.
I pazienti che hanno ricevuto indometacina hanno anche sperimentato un sollievo sintomatico più rapido rispetto a quelli trattati con paracetamolo, con la maggior parte dei sintomi che sono scomparsi nella metà del tempo. Inoltre, 56 su 107 nel gruppo paracetamolo avevano febbre al settimo giorno, mentre nessun paziente nel gruppo indometacina aveva la febbre. Nessuno dei due gruppi ha riportato alcun evento avverso.
Il 40,3% dei pazienti trattati con indometacina è diventato negativo al virus al settimo giorno rispetto al 28,3% nel gruppo con paracetamolo.
L'obiettivo principale dello studio era comprendere l'efficacia dell'indometacina nel prevenire la desaturazione rispetto al paracetamolo. L'obiettivo secondario era valutare il sollievo sintomatico nei pazienti con indometacina rispetto ai pazienti con paracetamolo.
Il calo di prescrizioni di paracetamolo
C’è da precisare però che alcune Società scientifiche - oltre all’Aifa e all’OMS, raccomandano sempre di usare paracetamolo ai primi sintomi di Covid.
Un’indagine condotta da Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (SIMG), in collaborazione con il Dipartimento di Biotecnologie Biomediche e Medicina Traslazionale di Milano, ha valutato quanto il paracetamolo sia stato prescritto durante la Covid rispetto agli anni precedenti in cui imperversavano altre sindromi respiratorie.
Gli autori sono ricorsi a un database Health Search, che ha selezionato 747 medici di base, per un totale di quasi 1,2 milioni di pazienti, distribuiti in modo omogeneo sul territorio nazionale. Complessivamente, sono stati identificati 46.522 possibili casi di COVID-19 nel 2020 e 32.797 pazienti con sindromi respiratorie nel 2019.
I risultati hanno mostrato un calo di prescrizioni di paracetamolo per la cura dei sintomi da COVID-19 rispetto a quelle raccomandate in epoca pre-pandemica per il trattamento di altre sindromi respiratorie simili (33,4 ogni 1000 e 78,3 ogni 1000, rispettivamente).
Covid, uno studio conferma i benefici della vitamina D. Raffaele De Luca su L'Indipendente il 6 Dicembre 2022
La vitamina D può ridurre il rischio di contrarre il Covid-19 nonché di morire a causa del virus: è quanto si desume da uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Scientific Reports, con cui è stata appunto valutata l’associazione tra l’integrazione della vitamina ed i rischi appena citati. Utilizzando come popolazione di riferimento quella dei veterani statunitensi, i ricercatori hanno infatti dimostrato che l’utilizzo della vitamina D2 e D3 era legato ad una riduzione dell’infezione così come della quantità di individui morti nei 30 giorni successivi alla contrazione del virus. Una scoperta di non poco conto visto che, come ricordato all’interno del lavoro scientifico, “diversi studi hanno dimostrato che la carenza di vitamina D è associata ad un aumento del rischio di infezione da Covid-19”, tuttavia fino ad ora non si sapeva se effettivamente il “trattamento con la vitamina D” potesse “ridurre il rischio associato di infezione da Covid-19”. Non a caso, dunque, lo studio si è concentrato primariamente sull’impatto della vitamina D nei confronti delle infezioni, pur non tralasciando, però, il menzionato tema della riduzione dei morti.
Nello specifico, utilizzando un gruppo di pazienti che avevano integrato la vitamina D2 e la vitamina D3 prima della pandemia (1 gennaio 2019 – 31 dicembre 2020) e durante la stessa (1 marzo 2020 – 31 dicembre 2020), e confrontandoli con un gruppo di individui non sottopostisi a tale trattamento, è emerso che i pazienti che avevano assunto la vitamina D2 e D3 avevano avuto una riduzione rispettivamente del 28% e del 20% del rischio di infezione da Covid-19 rispetto agli altri. Venendo invece alla mortalità entro 30 giorni dall’infezione, mentre i risultati ottenuti con la vitamina D2 (-25%) erano “statisticamente insignificanti” quelli relativi alla vitamina D3 non lo erano, con la mortalità che era “inferiore del 33%” grazie all’integrazione della stessa. Certo, si tratta di dati da non considerare definitivi essendo lo studio caratterizzato da alcuni limiti, tuttavia ci sono buone ragioni per credere che le evidenze emerse non siano infondate. Nel lavoro, infatti, viene ricordato che la mortalità da Covid-19 è stata “definita come qualsiasi decesso nei 30 giorni successivi all’infezione”, visto che “i dati dei certificati di morte non erano disponibili”: ad ogni modo, però, non si tratta di certo di risultati campati in aria, essendo “probabile che la mortalità registrata poco dopo l’infezione sia fortemente correlata all’effettiva mortalità da Covid-19”.
Tra i limiti della ricerca, poi, c’è il fatto che dettagli rilevanti in ottica infezione e mortalità, come “lo stato socioeconomico e il peso/obesità”, non sono stati considerati. Tuttavia, le ragionevoli preoccupazioni a ciò connesse non possono che venire “attenuate dalle significative associazioni tra bassi livelli sierici di vitamina D e dosaggi medi e cumulativi più elevati che hanno dato risultati migliori”, il che a quanto pare costituirebbe un punto a favore dell’efficacia della vitamina D. Infatti, “i veterani che hanno ricevuto dosaggi più elevati di vitamina D hanno ottenuto maggiori benefici dall’integrazione rispetto ai veterani che hanno ricevuto dosaggi più bassi” e la maggiore diminuzione dell’infezione in seguito all’integrazione si è verificata proprio nei “veterani con livelli ematici di vitamina D compresi tra 0 e 19 ng/ml” (nanogrammi per millilitro), ovverosia i livelli più bassi presi in considerazione. In pratica, dunque, i pazienti in cui la carenza di vitamina D è maggiore ed a cui viene poi somministrata la stessa, godono più degli altri dei suoi benefici, con un miglioramento che a quanto pare mostra in maniera tangibile gli effetti positivi dell’integrazione.
Non è un caso, dunque, se nello studio si legge che “come trattamento sicuro, ampiamente disponibile e conveniente, la vitamina D può aiutare a ridurre la gravità della pandemia di Covid-19″. Del resto, secondo le stime degli studiosi, nel 2020 negli Stati Uniti si sarebbero potuti verificare “circa 4 milioni di casi in meno di Covid-19 e si sarebbero potute evitare 116.000 morti”. Numeri, questi ultimi, che inevitabilmente fanno pensare alle politiche attuate durante il periodo emergenziale, in cui non ci si è concentrati sugli effetti preventivi della vitamina D, che al pari di altre cure è stata sminuita da media ed istituzioni italiane. Queste ultime, infatti, si sono grossomodo limitate a consigliare l’utilizzo di paracetamolo – o in alternativa Fans (farmaci antinfiammatori non steroidei) – e la cosiddetta “vigile attesa” per la gestione domiciliare del virus, la quale non può ad oggi non generare dubbi e perplessità. [di Raffaele De Luca]
Flavia Amabile per “La Stampa” il 29 agosto 2022.
Dopo due anni e mezzo di pandemia la comunità scientifica concorda su un punto: a uccidere i malati è l'infiammazione (o flogosi), non il virus. Attraverso una tempestiva terapia a base di antinfiammatori (in particolare non steroidei, i Fans), avviata all'inizio dei sintomi, si riduce il rischio di ospedalizzazione per Covid dell'85-90 per cento.
Per il mondo scientifico non è una novità e non lo è nemmeno per l'Italia, dove da tempo i malati di Covid vengono curati sempre di più con antinfiammatori. Diventa però immediatamente una notizia da cavalcare da parte di chi è contrario ai vaccini e di chi sostiene che Roberto Speranza e i governi in cui ha operato abbiano gestito male la lotta al Covid. I social si riempiono di insulti, di minacce. Speranza viene definito da più parti «assassino» e c'è chi tra le forze di estrema destra prova a portare gli antinfiammatori anche nella campagna elettorale.
Il lavoro, infatti, capovolge le ipotesi emerse durante la prima fase della pandemia che attribuivano agli antinfiammatori non steroidei (e in particolare l'ibuprofene) la possibilità di aumentare la suscettibilità all'infezione da Sars-CoV-2 e aggravare i sintomi del Covid-19. Ma conferma dati e ricerche emersi in seguito, che hanno formato la letteratura a cui hanno attinto i medici nel curare i malati di Covid ricorrendo sempre meno ai ricoveri in ospedale.
In questi anni ci sono stati diversi studi sulla possibilità di intervenire sull'infezione attraverso medicinali prima che l'infiammazione avanzasse.
Questi studi realizzati in diverse parti del mondo sono stati riuniti in un ampio lavoro pubblicato su «Lancet infectious diseases» con il titolo «La casa come nuova frontiera per il trattamento di Covid-19: il caso degli antinfiammatori».
Il lavoro è stato condotto dall'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e dall'Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Gli autori - Giuseppe Remuzzi, Fredy Suter, Norberto Perico e Monica Cortinovis - hanno preso in esame tutti gli studi pubblicati su riviste scientifiche di valore, condotti tra il 2020 e il 2021 (inclusi due lavori dello stesso Istituto Mario Negri), su un totale di cinquemila pazienti, tra gruppi di studio e di controllo.
Secondo quanto riportato dalla rivista, per forme lievi e moderate di Covid i risultati sono di grande interesse rispetto all'efficacia dei Fans: accessi al pronto soccorso e ospedalizzazioni scendono dell'80% (dato accorpato), le sole ospedalizzazioni dell'85-90%, il tempo di risoluzione dei sintomi si accorcia dell'80% e la necessità di supplementazione di ossigeno del 100%.
Se i contagi dovessero tornare a salire - prevede lo studio - la terapia precoce con antinfiammatori è importante che sia gestita dai medici di famiglia, per i possibili effetti collaterali. E le interazioni con altri farmaci potrebbero scongiurare la pressione eccessiva sugli ospedali.
Eugenia Tognotti per “La Stampa” il 29 agosto 2022.
L'immediata messa in stato d'accusa del ministro della Salute e del Comitato tecnico scientifico. L'arresto e la prigione a vita per tutti. Un processo come quello di Norimberga contro i nazisti celebrato nel 1945-46.
È solo una piccolissima rassegna delle pene invocate nei social per tutti i responsabili - definiti «assassini» - della gestione della Covid-19 e, naturalmente, di tutti i 173mila morti provocati dalla pandemia.
All'origine della cascata di violentissime reazioni - in alcuni ambienti della destra e nella galassia dei No Vax - la diffusione, pochi giorni fa, dei contenuti della review di un gruppo di studio dall'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e dall'Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo.
Pubblicata da "Lancet Infectious Diseases" col suggestivo titolo «La casa come nuova frontiera per la cura del Covid-19 : il caso degli antiinfiammatori» ha suscitato un enorme clamore mediatico, anche per lo scenario che evoca. Sulla base di diversi studi di qualità, apparsi in autorevoli riviste scientifiche tra il 2020 e il 2021, su un totale di cinquemila pazienti, tra gruppi di studio e di controllo, gli autori - Giuseppe Remuzzi, Fredy Suter, Norberto Perico e Monica Cortinovis - hanno offerto una panoramica di ciò che si sa al momento.
A voler banalizzare, e riassumere all'osso i contenuti della review paper (il cui scopo è quello di analizzare criticamente la letteratura precedente su un determinato argomento), il messaggio è questo: la terapia a base di antinfiammatori, Fans, avviata all'esordio dei sintomi, può evitare l'aggravarsi degli stessi e ridurre il rischio di ospedalizzazione dell'85-90 per cento. Un dato richiamato, forse con un eccesso di trionfalismo, nei titoli dei giornali. In sostanza, la comunità scientifica, dopo due anni e mezzo di pandemia e innumerevoli studi, concorda su un punto: a uccidere i malati è l'infiammazione (o flogosi), non il virus.
Per forme leggere e moderate di Covid, i risultati sono davvero promettenti. E fanno ben sperare per l'autunno. Se, malauguratamente, i contagi dovessero tornare a rappresentare una minaccia e a salire - la terapia precoce con antinfiammatori, gestita dai medici di famiglia, rappresenterà una risorsa preziosa per evitare la pressione eccessiva sugli ospedali.
Difficile dire se il clima di questa torrida campagna elettorale, breve e anomala, abbia influito nel provocare la raffica avvelenata di polemiche e attacchi sulla gestione della pandemia da parte dei responsabili della Sanità, dei rappresentanti istituzionali, professionali e del mondo scientifico, spingendo una narrazione forviante di quanto è accaduto: bastava un Brufen, si è ironizzato nei social, ma non solo.
Un'alternativa c'era - è la tesi di una vasta area critica, in cui confluiscono i No Vax , alle scelte attuate in questi due anni e più di traversata nel deserto: la terapia antinfiammatoria per la gestione domiciliare dei malati di Covid. Peccato che sia stato necessario del tempo e innumerevoli indagini e ricerche per arrivare a sfatare la teoria di un'associazione tra terapia con Fans e aumento o peggioramento degli esiti nei pazienti con Covid. La scienza progredisce a singhiozzo - si sa - con tanti vicoli ciechi e numerose ipotesi e teorie contrastanti. Nel tempo informazioni e dati convincenti prevalgono, ma il processo è necessariamente lungo e pieno di incognite prima di raggiungere conclusioni certe. Ma di certo non è questo il momento migliore per tenerlo a mente.
Flavia Amabile per “La Stampa” il 29 agosto 2022.
L'Italia? Il Paese che per primo ha inserito gli antinfiammatori nelle raccomandazioni di cura contro il Covid, accusare il ministro della Salute Roberto Speranza è deplorevole, secondo Giuseppe Remuzzi , direttore dell'Istituto Mario Negri e uno degli autori del lavoro pubblicato su Lancet che conferma il ruolo degli antinfiammatori nel prevenire i ricoveri in ospedale.
Il lavoro dà ragione a chi da tempo sostiene l'efficacia delle cure da casa. Non ci si poteva arrivare prima?
«La pubblicazione apparsa su Lancet è una revisione della letteratura prodotta nel mondo in questi anni di Covid su questo argomento. Tutte le ricerche hanno portato allo stesso risultato, un calo considerevole della durata dei sintomi e delle ospedalizzazioni. Questi studi sono diventati letteratura, i medici l'hanno usata per curare, dove era possibile, i malati di Covid con gli antinfiammatori».
Sui social è partito un attacco massiccio contro il ministro Speranza. Lo accusano di non aver preso in considerazione terapie alternative come gli antinfiammatori, di aver causato centinaia di migliaia di morti.
«La cosa peggiore che può capitare ai dati della letteratura scientifica è di essere strumentalizzati durante una campagna elettorale, non importa da quale schieramento.
Mettere sotto accusa il ministro Speranza è deplorevole.
Gli antinfiammatori possono aiutare contro il Covid però i nostri studi presi in considerazione nella review, tra gli altri, sono robusti ma non ancora definitivi. Non si può pensare che le autorità li usino per dare regole valide in maniera assoluta.
In Italia l'atteggiamento del ministero e dell'Aifa è sempre stato impeccabile. Non c'era evidenza che qualcos'altro funzionasse quando sono stati pubblicati i primi risultati sugli antinfiammatori. Quando invece sono apparse le prime evidenze, l'Italia è stato il primo Paese al mondo a introdurre gli antinfiammatori nella cura contro il Covid».
Come vanno usati ?
«Se non ci sono sintomi non bisogna fare nulla. Se ci sono sintomi, gli antinfiammatori rappresentano un'alternativa che può evitare che la malattia abbia un decorso grave, ma vanno somministrati subito altrimenti l'infiammazione va avanti. E vanno usati a certe condizioni, questo lo decide il medico in base alla storia clinica del paziente per evitare effetti collaterali».
Se bastano gli antinfiammatori perché vaccinarsi? È un'altra domanda che sta facendo il giro dei social.
«Il vaccino permette di prevenire la malattia grave indipendentemente dalle varianti del virus che si sono create nel corso del tempo. È il più grande miracolo che la medicina moderna ha messo a disposizione della popolazione. Fare il vaccino non vuol dire non ammalarsi. Però, se ci si ammala, si ha a disposizione la scelta tra antivirali, anticorpi monoclonali o antiinfiammatori. Dipende dalla disponibilità di questi strumenti e dalla storia clinica delle persone. È importante però intervenire subito per evitare che l'infiammazione avanzi».
Che cosa accadrà a settembre? Dobbiamo prepararci a una nuova ondata?
«Si parla molto dell'ultima variante, Centaurus. Nessuno ha certezze, la mia impressione è che non produrrà disastri, è una sottovariante di omicron B2 con la differenza che la gran parte delle persone ormai è immunizzata o per il vaccino oppure per aver già avuto il Covid. Questo non vuol dire che non ci si possa ammalare, ma che non ci si ammala in modo grave».
Sarà necessario fare la quarta dose? Non è preferibile aspettare i nuovi vaccini?
«In base agli studi pubblicati, la quarta dose va fatta a tutte le persone che hanno più di 50 anni. E il vaccino migliore è quello che si trova disponibile. I nuovi arriveranno, ma non hanno un grado di copertura poi così diverso da quello dei vaccini tradizionali».
Covid, gli antinfiammatori riducono le ospedalizzazioni del 90%. Laura Cuppini su Il Corriere della Sera il 26 Agosto 2022
Se i contagi dovessero tornare a salire, la terapia precoce potrebbe scongiurare la pressione eccessiva sugli ospedali e gli elevati costi dei trattamenti, tra gli aspetti più drammatici della pandemia
Il meccanismo con cui l’infezione da Sars-CoV-2 determina uno stato infiammatorio potenzialmente letale è complesso e ancora non del tutto chiaro. Ma dopo due anni e mezzo di pandemia la comunità scientifica concorda su un punto: a uccidere i malati è l’infiammazione (o flogosi), non il virus. L’ipotesi di intervenire precocemente per spegnerla è stata oggetto di diversi studi e un ampio lavoro pubblicato oggi su Lancet Infectious Diseases, condotto dall’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri e dall’Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo, mette un punto fermo sulla questione: la terapia a base di antinfiammatori (in particolare non steroidei, i Fans), avviata all’inizio dei sintomi, riduce il rischio di ospedalizzazione dell’85-90%. Gli autori — Giuseppe Remuzzi, Fredy Suter, Norberto Perico e Monica Cortinovis — hanno preso in esame tutti gli studi pubblicati su riviste scientifiche di valore, condotti tra il 2020 e il 2021 (inclusi due lavori dello stesso Istituto Mario Negri), su un totale di cinquemila pazienti, tra gruppi di studio e di controllo.
Forme lievi e moderate
I risultati sono di grande interesse rispetto all’efficacia dei Fans nel trattamento delle forme lievi e moderate di Covid che non richiedono il ricovero: accessi al pronto soccorso e ospedalizzazioni scendono dell’80% (dato accorpato), le sole ospedalizzazioni dell’85-90%, il tempo di risoluzione dei sintomi si accorcia dell’80% e la necessità di supplementazione di ossigeno del 100%. Se i contagi dovessero tornare a salire, la terapia precoce con antinfiammatori — è importante che sia gestita dai medici di famiglia, per i possibili effetti collaterali e le interazioni con altri farmaci — potrebbe scongiurare la pressione eccessiva sugli ospedali (e i costi altissimi dei trattamenti, soprattutto in terapia intensiva), uno degli aspetti più drammatici della pandemia. Non solo. I Fans, tra i farmaci più comunemente utilizzati in tutto il mondo, possono rappresentare un’opzione realistica per la cura di Covid nei Paesi a basso reddito, dove le coperture vaccinali sono spesso basse e c’è scarsa disponibilità di altri farmaci più costosi per i sistemi sanitari (antivirali, anticorpi monoclonali).
L’effetto dei farmaci
Gli autori del lavoro, dal titolo suggestivo «La casa come nuova frontiera per il trattamento di Covid-19: il caso degli antinfiammatori», hanno preso in esame in particolare i farmaci inibitori relativamente selettivi della Cox-2 (ciclossigenasi), un enzima coinvolto in diversi processi fisiologici e patologici. Celecoxib e Nimesulide sono risultati particolarmente efficaci contro la malattia causata da Sars-CoV-2; valide alternative sono ibuprofene e aspirina. I Fans inibiscono, oltre alla Cox-2, anche un altro enzima, simile ma non identico, la Cox-1, meno implicata nell’infiammazione e collegata invece al rischio di effetti collaterali a livello gastrointestinale, che si verificano in particolare se gli antinfiammatori vengono assunti in alte dosi per più di 3-4 giorni.
Risposta infiammatoria
La flogosi, che in alcuni pazienti raggiunge livelli parossistici determinando una cascata di eventi che può condurre alla morte, è associata a diversi fattori: il rilascio di citochine e radicali liberi, l’induzione di interferone gamma e l’attivazione di particolari leucociti. È stato inoltre ipotizzato che l’aggravamento possa dipendere da un eccesso di angiotensina-II, proteina che stimola i processi infiammatori. «L’insieme delle prove disponibili — scrivono gli autori — evidenzia il ruolo cruciale della «disregolazione» della risposta immunitaria e della risposta iper infiammatoria nell’avvio e nell’esacerbazione di Covid». I risultati dello studio condotto dagli scienziati del Mario Negri e del Papa Giovanni XXIII ribaltano definitivamente un’ipotesi che era stata avanzata nei primi tempi della pandemia, secondo cui gli antinfiammatori non steroidei (e in particolare l’ibuprofene) potrebbero aumentare la suscettibilità all’infezione da Sars-CoV-2 e aggravare i sintomi di Covid. Diverse indagini condotte negli ultimi due anni hanno contribuito a smontare questa teoria: non è stata rilevata alcuna associazione tra la terapia con Fans e un aumento o peggioramento degli esiti clinici (per esempio ricovero in terapia intensiva, ventilazione meccanica, somministrazione di ossigeno) nei pazienti con Covid, nemmeno in coloro che assumevano farmaci antinfiammatori già prima dell’infezione, per esempio per curare una malattia reumatica.
Milena Gabanelli su Il Corriere della Sera il 28 Febbraio 2022. I nuovi antivirali per la cura del Covid, approvati dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) e ora in commercio, sono due: il Lagevrio (Molnupiravir) di Merck & Co. e il Paxlovid (Nirmatrelvir/Ritonavir) di Pfizer. Entrambi sono da assumere a casa su indicazione del medico di famiglia, ma dietro prescrizione degli specialisti ospedalieri, entro 5 giorni dall’insorgenza del virus, ed indicati solo per chi rischia di aggravarsi in modo severo.
Autorizzazione, risultati e utilizzo
Il Molnupiravir, prodotto dalla Merck, non è ancora stato autorizzato all’immissione in commercio da parte dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema), che però il 19 novembre 2021 ha dato parere positivo agli Stati Ue sull’uso in via emergenziale. La riduzione dei casi di ricovero in ospedale stimata è del 30%. I risultati della sperimentazione mostrano che su 385 pazienti che hanno assunto il Molnupiravir ne sono stati ricoverati 28 e nessun decesso, mentre dei 377 trattati con placebo ci sono stati 53 ricoveri e 8 decessi (qui il documento). Su questa base il Ministero della Salute concede un via libera temporaneo alla distribuzione e il 28 dicembre Aifa definisce come utilizzarlo (qui il documento): 4 compresse da assumere ogni 12 ore per 5 giorni. In Italia la distribuzione è iniziata il 4 gennaio. Per il Paxlovid, prodotto da Pfizer, invece il 27 gennaio 2022 arriva il sì di Ema alla commercializzazione (qui il documento). La riduzione del tasso di ospedalizzazione è dell’88%: su 1.039 pazienti trattati con Paxlovid ne sono stati ricoverati 8 contro i 66 su 1.046 trattati con placebo. Nessun decesso nel gruppo Paxlovid, contro 12 (qui il documento Ema). Il 31 gennaio Aifa stabilisce come assumerlo: due compresse di Nirmatrelvir e una di Ritonavir ogni 12 ore, per 5 giorni. In Italia la distribuzione inizia il 4 febbraio 2022.
Il prezzo di vendita e i costi di produzione
Al contrario dei vaccini stavolta l’Ue non viene delegata a negoziare per tutti, ma ciascun Paese decide di andare per conto proprio. Spiega a Dataroom il dg Santé Pierre Delsaux: «La Commissione non è stata coinvolta in discussioni bilaterali tra gli Stati membri e i produttori. Noi ignoriamo i prezzi dei contratti». In Italia la trattativa con le case farmaceutiche è di competenza dell’Aifa, ma in questo caso il Ministero della Salute ha dato mandato alla struttura del commissario Francesco Figliuolo. Vediamo i contratti per il 2022. Per il Molnupiravir è prevista una fornitura di 51.840 trattamenti a un costo di 610 euro a ciclo. Negli Usa il costo è di 700 dollari (618 euro). Per il Paxlovid 600 mila trattamenti a un costo di 666 euro a ciclo. Negli Usa il Paxlovid viene venduto dalla Pfizer a 530 dollari (468 euro), certo loro hanno ordinato un numero di trattamenti ben più alto, però 120 milioni di euro in più non sono pochi. Abbiamo speso tanti soldi, ma salviamo vite. Purtroppo non è così: per non rischiare che lo assuma qualcuno che potrebbe farne a meno, la burocrazia rallenta l’accesso a tutti. E questa è la trafila: il medico di famiglia si prende 48 ore per fare l’anamnesi, poi deve compilare i moduli per la richiesta da inviare ai centri abilitati, una volta ottenuta l’autorizzazione vai a ritirare il farmaco nella farmacia ospedaliera. Il tutto entro 5 giorni. Uno su dieci ce la fa.
Ma quanto costa produrre questi farmaci?
Il costo di produzione per il Molnupiravir è stimato intorno ai 14,6 dollari (12,9 euro). Il calcolo è di Melissa Barber del Dipartimento per la salute globale dell’Università di Harvard che, insieme a un gruppo di altri ricercatori, su incarico dell’Oms ha sviluppato un algoritmo per quantificare i costi di produzione dei farmaci. Obiettivo è quello di consentire alle autorità sanitarie di negoziare prezzi più convenienti per i Paesi in via di sviluppo, ma anche per i Paesi ad alto reddito sempre più costretti a razionare i medicinali per il cancro, l’epatite C e le malattie rare (qui il documento). Il costo finale prende in considerazione il prezzo della materia prima, i costi del lavoro, delle apparecchiature, delle utenze, un margine di profitto del 10%, le imposte del 26,6% sugli utili. Il ricarico della Merck è, dunque, di 47 volte. Per il Paxlovid non ci sono ancora calcoli precisi, ma è verosimile che il costo di produzione abbia una scala di grandezza simile.
Il peso della ricerca e della sperimentazione
Ma vanno aggiunti i costi di ricerca e sperimentazione, che però l’industria farmaceutica non riporta mai in modo trasparente. E non vengono resi accessibili neppure i finanziamenti pubblici ricevuti per lo sviluppo di un farmaco: su questo fronte, in particolare negli Usa, le agenzie governative come il National Institutes of Health (Nih) e la Biomedical Advanced Research and Development Authority (Barda) impegnano miliardi di dollari dei contribuenti (qui il documento). Sul Molnupiravir sappiamo che è inventato alla Emory University tra il 2013 e il 2020, per cercare di combattere l’encefalite equina venezuelana, capendo poi durante gli studi che può inibire anche la sindrome respiratoria mediorientale conosciuta come Mers-Cov. Sullo studio di questo farmaco il governo Usa ci ha messo 35 milioni di dollari (qui il documento). Il Paxlovid, invece, è composto da due principi attivi: il Ritonavir, sviluppato alla fine degli anni ‘80 per il trattamento dell’Hiv (i cui brevetti sono scaduti), e il Nirmatrelvir. Si tratta di una nuova molecola messa a punto durante il Covid-19, ma le basi per il suo sviluppo risalgono al 2003, quando Pfizer stava sviluppando un antivirale contro la Sars, in seguito interrotto a causa del contenimento dell’epidemia (qui il documento).
I guadagni delle case farmaceutiche
Nel 2022 la Merck, i cui utili sono passati da 9,8 miliardi di dollari del 2019 a 13 del 2021, stima di ricavare dalle vendite di Molnupiravir fra i 5 e 6 miliardi di dollari (da dividere equamente con la Ridgeback). La Pfizer, che nel 2021 ha avuto utili per 22 miliardi contro i 16,3 del 2019, dichiara che dal Paxlovid ricaverà 22 miliardi di dollari. Le aziende farmaceutiche esplodono di salute proprio strozzando i sistemi sanitari perché ti dicono: il costo di un ricovero per Covid costerebbe dai 9 ai 22 mila euro, te la cavi con 600, che vuoi di più? (qui il documento)
Insomma, la salute non ha prezzo, soprattutto se a gestirla sono i privati e l’interlocutore pubblico è debole. Quando è più forte la storia diventa un’altra.
Lo dimostra il caso dell’antivirale Sofosbuvir del colosso Gilead, più noto come farmaco contro l’epatite C.
Il caso del farmaco contro l’epatite C
Approvato dalla Fda a fine 2013 e dall’Ema a inizio 2014, il Sofosbuvir viene introdotto negli Usa a circa 84 mila dollari per 12 settimane di trattamento. Costo di produzione stimato, sempre dall’Università di Harvard, 47,46 dollari per ciclo. Quando l’Aifa si siede al tavolo delle trattative la richiesta dell’azienda farmaceutica è di 58 mila euro a trattamento, una cifra pari al prezzo spuntato in Francia. La nostra Agenzia del farmaco lo considera improponibile sia sotto il profilo etico che finanziario, e avvia un approccio negoziale rigoroso e basato su avanzate procedure di accordo progressivo. Gilead ritorna al tavolo con una proposta di 42 mila euro, Aifa negozia un accordo riservato prezzo/volume che parte da 37 mila euro per i primi 5 mila pazienti e poi scende a 4 mila per l’ultimo scaglione di pazienti (dai 40 mila ai 50 mila). Alla fine il prezzo medio pagato in Italia è di 11 mila euro a trattamento, il più basso di qualunque altro Paese del G8. Il risparmio di questa negoziazione per il sistema sanitario italiano complessivamente è stato in un anno di oltre 1 miliardo di euro.
Certo, per condurre queste trattative bisogna conoscere come funziona il sistema, e l’allora direttore generale di Aifa Luca Pani lo sapeva. La Gilead da parte sua non è andata in sofferenza: nel primo anno di lancio il ricavo dalle vendite del Sofosbuvir è stato di 11,3 miliardi di dollari.
Paolo Russo per "La stampa" il 12 febbraio 2022.
Saremo anche ai titoli di coda ma di Covid si muore ancora e tanto. In 12 mila non ce l'hanno fatta da Natale a oggi e il 70% delle vittime era vaccinata. Solo che, a causa dell'età avanzata o di malattie che comunque minano il sistema immunitario, il virus è riuscito comunque ad avere la meglio. Sono i quattro milioni di super fragili che potrebbero essere protetti con i nuovi antivirali e i monoclonali. Peccato però che per accedervi, denunciano i medici, sia una corsa a ostacoli.
«Si è messo su un sistema troppo complesso e burocratico per terapie che vanno somministrate al massimo entro 5 giorni dalla comparsa dei sintomi e sempre che la malattia non evolva verso forme più severe, perché anche in questo caso diventano inutili», spiega Filippo Anelli, presidente dell'Ordine nazionale dei medici.
Protezione in più per i fragili Prendiamo i monoclonali, che sono particolarmente indicati per i soggetti immunodepressi. Da novembre al 2 febbraio, ultimo dato reso disponibile da Aifa, ne sono stati prescritti soltanto 44.232. E in modo molto difforme, perché se il Veneto ha fatto il 17,5% delle infusioni e il Lazio il 14,8%, la più popolosa Lombardia non è andata oltre il 7,5% e la Sicilia si è fermata al 4,9%.
Parliamo di una terapia che viene somministrata per flebo negli ospedali ai pazienti di età superiore a 12 anni, non ospedalizzati, con sintomi lievi o moderati e in presenza di almeno un fattore di rischio di sviluppare forme gravi di malattia o di morte. «Molti anziani non autosufficienti, più esposti al rischio Covid, non hanno avuto la possibilità di accedere a queste terapie che si potrebbero fare a domicilio se gli ospedali non fossero stati oberati di così tanto lavoro», spiega Anelli.
Ma secondo il direttore dello Spallanzani di Roma, Francesco Vaia, con i monoclonali si può fare di più. «Possono essere utilizzati in profilassi, ossia per prevenire forme severe di malattia nelle persone immunodepresse, alle quali andrebbero somministrati prima che diventino positive. Qui lo abbiano fatto con ottimi risultati».
Ma nella stragrande maggioranza dei casi dai monoclonali sono rimasti tagliati fuori anche i contagiati con profilo di rischio alto, perché Omicron ha fatto selezione e a oggi un solo monoclonale funziona contro la variante arrivata oramai al 99% in Italia e le dosi disponibili sono poche di fronte alla domanda.
«Siano disponibili in farmacia» La storia rischia ora di ripetersi con i nuovi antivirali. Che come i monoclonali costano tanto, mille euro i primi e 700 i secondi, se non fosse che una sola giornata di ricovero evitata vale mille euro, tremila se in terapia intensiva. Il Paxlovid in particolare, la nuova pillola della Pfizer, promette di prevenire nel 90% dei casi il ricovero.
Questa volta di trattamenti l'Italia ne ha acquistati un bel po'. Sono 600 mila le confezioni che con 2 pillole al giorno per 5 giorni garantiscono anche qui nella gran parte dei casi di non finire in ospedale o di morire. Per ora il Commissario ne ha distribuite 11.899, ma a stretto giro arriveranno le altre. Nonostante basti un bicchiere d'acqua per mandarle giù, bisogna però passare anche in questo caso per l'ospedale.
Cinque giorni di tempo E qui comincia una nuova corsa a ostacoli. Anche gli antivirali sono efficaci se assunti entro 5 giorni dalla comparsa dei sintomi da pazienti «non trattati con ossigenoterapia». «Per questo dovrebbero essere prescritti rapidamente e questa rapidità la garantiscono solo il medico di famiglia e la farmacia, mentre in Italia il primo non può prescriverli e le seconde non li hanno proprio», denuncia il virologo Francesco Broccolo, dell'Università Bicocca di Milano.
Passando obbligatoriamente per l'ospedale i tempi si allungano. «Ci vogliono circa due giorni prima che il paziente abbia la risposta dal tampone, dopodiché deve rivolgersi al medico di base e questo a sua volta deve mettersi in contatto con il reparto di malattie infettive dell'ospedale, dove il farmaco può essere prescritto e somministrato».
Il rischio, osserva il professore, è «perdere tempo e non riuscire a somministrare la terapia. Ed è anche un sistema discriminatorio, se pensiamo alle periferie e a tutti i centri delocalizzati che non possono accedere in tempi rapidi a un reparto ospedaliero di malattie infettive».
«Avevamo già segnalato all'Aifa la necessità di autorizzare la vendita in farmacia e la prescrizione da parte dei medici di famiglia», sottolinea a sua volta Anelli. Richiesta rilanciata ieri da Vaia e dal presidente dell'Aifa Giorgio Palù in un seminario di esperti allo Spallanzani. Dove pazienti trattati con la nuova pillola hanno vista abbattersi la carica virale da 90 a 1,5.
Dagotraduzione dal Daily Mail l'8 febbraio 2022.
Per anni, i medici hanno considerato il paracetamolo un'alternativa più sicura ad altri antidolorifici come l'ibuprofene, che può aumentare la pressione sanguigna. Ma ora gli scienziati dell'Università di Edimburgo hanno ribaltato questa convinzione dopo aver scoperto che il paracetamolo ha un effetto negativo simile.
Uno studio unico nel suo genere ha rilevato che solo quattro giorni di assunzione di paracetamolo provocano un aumento clinicamente significativo della pressione sanguigna. Da ciò gli scienziati hanno calcolato che l'uso regolare di paracetamolo - circa 4 g al giorno o otto compresse standard - potrebbe aumentare il rischio di malattie cardiache o ictus di circa il 20%.
Ma i ricercatori hanno insistito sul fatto che l'assunzione occasionale di paracetamolo per affrontare il mal di testa o la febbre è sicuro. Il loro studio, basato su soli 110 partecipanti, ha esaminato solo coloro che già soffrivano di pressione alta.
I medici dovrebbero rivedere le dosi di prescrizione dei pazienti a cui è stato prescritto paracetamolo per lunghi periodi di tempo, secondo il team. E questo è particolarmente importante per le persone ad alto rischio di malattie cardiache.
Il paracetamolo è uno dei farmaci più comuni assunti in tutto il mondo ed è un ingrediente chiave nei farmaci da banco. L'ipertensione, che può portare a infarti e ictus, uccide circa 75.000 britannici e 500.000 persone negli Stati Uniti ogni anno.
L'autore principale, il dottor Iain MacIntyre, un farmacologo del NHS Lothian, ha dichiarato: «Non parliamo di un uso a breve termine del paracetamolo per mal di testa o febbre, il che ovviamente va bene. Ma indica un rischio scoperto di recente per le persone che lo assumono regolarmente a lungo termine, di solito per il dolore cronico».
Il professor James Dear, un altro farmacologo coinvolto nello studio, ha dichiarato: «Questo studio mostra chiaramente che il paracetamolo, il farmaco più utilizzato al mondo, aumenta la pressione sanguigna, uno dei fattori di rischio più importanti per infarti e ictus. Medici e pazienti dovrebbero considerare insieme i rischi rispetto ai benefici della prescrizione a lungo termine, specialmente nei pazienti a rischio di malattie cardiovascolari». Hanno affermato che i medici dovrebbero raccomandare ai pazienti di assumere le dosi più basse possibili per i periodi di tempo più brevi.
Lo studio di due settimane, pubblicato sulla rivista Circulation, ha coinvolto 110 pazienti con pressione alta.
(LaPresse il 27 gennaio 2022) - Il comitato per i medicinali per uso umano dell'Ema ha raccomandato di concedere un'autorizzazione all'immissione in commercio condizionale alla pillola anti-Covid Paxlovid di Pfizer.
Il comitato - scrive l'agenzia europea per i medicinali in una nota - ha raccomandato di autorizzare Paxlovid per il trattamento del Covid-19 negli adulti che non necessitano di ossigeno supplementare e che sono ad aumentato rischio che la malattia diventi grave.
Paxlovid è il primo medicinale antivirale da somministrare per via orale raccomandato nell'Ue per il trattamento del Covid-19. Contiene due principi attivi, PF-07321332 e ritonavir, in due compresse diverse. PF-07321332 agisce riducendo la capacità del virus di moltiplicarsi nell'organismo mentre ritonavir prolunga l'azione di PF-07321332 consentendogli di rimanere più a lungo nell'organismo a livelli che influenzano la moltiplicazione del virus.
Pillola Pfizer, attenzione agli eventi avversi: l'interminabile lista dei farmaci incompatibili. Dario Martini su Il Tempo il 27 gennaio 2022.
L'Ema, l'agenzia europea per i farmaci, ha dato il via libera alla nuova pillola contro il Covid di Pfizer. Ma, allo stesso tempo, ha messo in guardia i pazienti che ricorreranno a questa nuova arma contro il coronavirus. Per prima cosa non sarà rivolta a tutti, ma solo "agli adulti che non richiedono ossigeno supplementare e che sono ad alto rischio di progressione a COVID-19 grave". Ma non finisce qui. L'Ema avverte anche dei rischi a cui vanno incontro le persone che prendono altri farmaci considerati incompatibili con Plaxovid (così si chiama la pillola di Pfizer).
La lunga lista dei farmaci considerati controindicati se assunti in concomitanza con la pillola anti-Covid viene ricordata anche dalla stessa azienda farmaceutica americana. E' il seguente: "Antagonista dei recettori alfa1-adrenergici; alfuzosina; analgesici: petidina, piroxicam, propossifene; antianginoso: ranolazina; farmaci antitumorali: neratinib, venetoclax; antiaritmici: amiodarone, bepridil, dronedarone, encainide, flecainide, propafenone, chinidina; antibiotici: acido fusidico, rifampicina; anticonvulsivanti: carbamazepina, fenobarbital, fenitoina; anti-gotta: colchicina; antistaminici: astemizolo, terfenadina; antipsicotici/neurolettici: lurasidone, pimozide, clozapina, quetiapina; derivati dell'ergot: diidroergotamina, ergonovina, ergotamina, metilergonovina; agenti per la motilità gastrointestinale: cisapride; prodotti erboristici: Erba di San Giovanni (Hypericum perforatum); agenti modificatori dei lipidi: o Inibitori della HMG Co-A reduttasi: lovastatina, simvastatina o Inibitore della proteina di trasferimento dei trigliceridi microsomiali (MTTP): lomitapide; inibitore della PDE5: avanafil, sildenafil, vardenafil; sedativi/ipnotici: clorazepato, diazepam, estazolam, flurazepam, midazolam orale e triazolam.
Inoltre, si legge nelle avvertenze di Pfizer, che "l'uso di Paxlovid in pazienti con grave insufficienza renale in deterioramento potrebbe portare a una sovraesposizione con potenziale tossicità". E ancora: "Paxlovid non deve essere utilizzato in pazienti con grave insufficienza epatica". Insomma, è evidente che la pillola anti-Covid non è un'aspirina e andrà presa solo su precisa prescrizione medica.
Alessandro Mondo per "la Stampa" il 20 gennaio 2022.
Da tre anticorpi monoclonali a uno. L'impatto di Omicron è anche questo: la brusca riduzione dell'arsenale farmacologico disponibile per curare in fase precoce, ovvero nei primi giorni di insorgenza dei sintomi, i pazienti positivi più a rischio. Se poi il Sotrovimab, il solo monoclonale oggi veramente efficace contro la variante in questione, arriva con il contagocce, si comprendono le difficoltà in cui versano anche gli ospedali torinesi, dove monoclonali e antivirali vengono somministrati in base al profilo di rischio dei malati.
«Usiamo molte risorse per i non vaccinati, completamente esposti al virus - conferma il dottor Sergio Livigni, coordinatore area sanitaria ospedaliera del Dirmei e direttore del dipartimento Dea Asl Città di Torino -: monoclonali, antivirali, antinfiammatori. Va da sé che dobbiamo trattare tutti, senza eccezioni».
Già, ma quanto costa il ricovero in rianimazione di un non immunizzato? «Circa 4 mila euro al giorno». Cifra variabile in base a una sommatoria di fattori: «Se si tratta di intubarlo, o di ricorrere alla Ecmo, la circolazione extracorporea, i costi lievitano in misura sensibile». E per i vaccinati? «Il decorso è più breve e benigno, rari i ricoveri in terapia intensiva».
Dei 142 ricoverati nelle terapie intensive piemontesi oltre il 70%, dunque più di 100 - è senza vaccino. E dunque il loro costo si aggira intorno ai 450 mila euro al giorno. Il ricorso agli antivirali Un virus, due problemi, tra i molti: una variante ipercontagiosa e sfuggente, che mette alle corde gli attuali vaccini e svicola tra i farmaci; il rapporto dei ricoveri tra vaccinati e non vaccinati, fortemente sbilanciato sui secondi.
Qualche numero, per rendere l'idea: dei 60 pazienti attualmente ricoverati all'Amedeo di Savoia, 40 non sono vaccinati; al Giovanni Bosco, altro grande ospedale di Torino, i non immunizzati cubano il 50% dei ricoveri nei reparti ordinari e l'80% in rianimazione. Da qui i problemi, quotidiani, con cui si scontrano i medici.
«Il Sotrovimab ha grossi limiti quantitativi - spiega il professor Giovanni Di Perri, primario malattie infettive all'Amedeo di Savoia -. In questi giorni dovrebbero arrivare 150 fiale». Per l'Amedeo? «Macché, per tutto il Piemonte. Finora ne avevamo ricevute 29, sempre a livello regionale, sono andate via con il pane». E gli altri monoclonali già disponibili? «Casirimuvab e Imdevimab si usano ancora ma proteggono prevalentemente contro la Delta e le varianti che l'hanno preceduta».
Come se ne esce? Ricorrendo agli antivirali, che alla pari dei monoclonali non hanno valore preventivo e vanno somministrati entro pochi giorni dall'insorgenza dei sintomi in pazienti a rischio di evoluzione grave della malattia: il Remdesivir, efficace all'80% nell'evitare le ospedalizzazioni, cioè i ricoveri, mentre il Molnupiravir si ferma al 30-50%.
«La prima indicazione è sempre il Sotrovimab, le seconda è il Remdesivir, per i profili a basso-medio rischio prescriviamo il Molnupiravir», precisa Di Perri. Va da sé che i non vaccinati rientrano nella casistica ad alto rischio. Dopodiché: «Noi dobbiamo curare tutti. Un altro conto è sensibilizzare sull'importanza di vaccinarsi».
Al riguardo, i medici non hanno dubbi. «La vera discriminazione è legata alla riduzione delle prestazioni sanitarie, causa l'aumento dei ricoveri Covid, per i pazienti puliti, cioè No Covid - commenta Livigni -. È la cosa che mi irrita maggiormente, per questo sono favorevole all'obbligo vaccinale, senza distinzioni di età».
Quanto ai monoclonali, spiazzati dal dilagare di Omicron, dopo molte incertezze e qualche resistenza - favorite da un protocollo farraginoso, che poi la Regione Piemonte ha semplificato - cominciano a decollare: 750 le terapie somministrate all'Amedeo da marzo fino al 1° dicembre scorso, 1.700 dal 1° dicembre al 13 gennaio.
«Da ultimo, si lavora a un anticorpo monoclonale con impiego preventivo, alla pari dei vaccini, che aprirebbe nuove prospettive», riflette Di Perri. Un altro contributo importante arriverà dal vaccino aggiornato che Pfizer ha messo a punto contro Omicron: «In tutti i casi, nel prossimo futuro si tratterà di capire in chi e come questa variante può fare danni. Sarà l'elemento condizionante». Per i non vaccinati, anche di più.
Covid, ospedali a secco di farmaci anti virus: “Vanno ai non vaccinati”. Elena Dusi su La Repubblica il 19 Gennaio 2022.
Su tre monoclonali solo uno fronteggia Omicron. Ed è esaurito. "Serve per i malati di leucemia". Decisivi i farmaci contro il Covid non sono mai stati. Ma in questo frangente la situazione è particolarmente difficile. Dei tre anticorpi monoclonali in uso in Italia, solo uno resta efficace contro Omicron. Ed è esaurito. Ritornerà in settimana, ma è tutto il mondo che si sta contendendo il Sotrovimab. Per gli antivirali in pillola che dovevano imprimere una svolta alle cure serve ancora tempo.
Da open.online.it il 13 gennaio 2022.
Uno tra i farmaci più importanti usati per curare a casa i sintomi alle vie respiratorie è andato esaurito in tutta Roma. Inutile ordinarlo per dottori e farmacisti della Capitale: Zitromax continua a non essere disponibile da diversi giorni e le difficoltà della cura domestica del Covid e di altri malanni di stagione si moltiplicano esponenzialmente. Con la forte impennata dei contagi, ogni scatola di farmaco è terminata e non esistono al momento versioni generiche o formule di preparati equivalenti.
Si tratta, come noto, di un antibiotico a base di azitromicina, commercializzato dalla nota azienda farmaceutica Pfizer, che combatte le infezioni che attaccano le vie respiratorie. Viene nella gran parte dei casi prescritto dai dottori in combinazione con la più famosa Tachipirina. E in questa quarta ondata di Coronavirus si rivela fondamentale per combattere la malattia a casa, da parte di decine di migliaia di positivi con sintomi Covid costretti in quarantena su tutto il territorio nazionale.
Tra le preoccupazioni maggiori a proposito della carenza del farmaco in città c’è quella legata all’assunzione dello sciroppo per uso pediatrico. Il farmaco non viene dunque prescritto solo in caso di Covid, ma anche per il trattamento della bronchiolite, specie nei bambini. E visti i malanni stagionali, le riserve di Zitromax sugli scaffali delle farmacie di ogni quartiere della Capitale sono andati esauriti.
I canali social sono ricchi di appelli di genitori disperati che chiedono consigli sui modi in cui è possibile reperire il farmaco. Stando alle parole del titolare della farmacia di piazza Vittorio, il dottor Giuseppe Longo, raccolte da Repubblica Roma, il timore maggiore è che il medicinale sia stato «tolto dal mercato italiano per venderlo all’estero a prezzo più alto».
«Da cinque giorni l’azitromicina è scomparsa – ha raccontato al quotidiano -. Sto sentendo tutti i grossisti possibili, i più grandi d’Italia, ma la risposta è sempre la stessa: non c’è. E nessuno sa dare una risposta se e quando tornerà ad essere disponibile».
Valentina Arcovio per "il Messaggero" il 14 gennaio 2022.
Prescrizioni inappropriate, acquisti senza ricetta e assunzioni «fai da te». Sono probabilmente tutte queste le cause all'origine della carenza dell'antibiotico Zitromax e del generico azitromicina. L'ipotesi è che con l'aumento dei contagi si sia verificata una crescita esponenziale degli acquisti dell'antibiotico, erroneamente considerato un trattamento contro Covid-19. Sui social infatti circolano in maniera incontrollata fake news che indicano chiaramente che l'azitromicina sia il farmaco d'elezione per il trattamento dell'infezione Covid-19, un'informazione confutata già da diverso tempo dall'Agenzia italiana del farmaco (Aifa).
Così, positivi e non, hanno dato il via a quella che si può considerare una vera e propria corsa all'acquisto dell'azitromicina. Non stupisce quindi che in moltissime farmacie italiane il farmaco è praticamente esaurito o quasi. «L'Italia è l'unico paese in Europa in cui lo Zitromax è introvabile», conferma il segretario nazionale di Federfarma, Roberto Tobia, a Sanità Informazione, che riferisce di aver fatto una «segnalazione all'Agenzia Italiana del Farmaco per capire quali sono le possibili soluzioni da prospettare alla cittadinanza».
VIE RESPIRATORIE L'azitromicina è un antibiotico indicato per il trattamento delle infezioni acute delle vie respiratorie causate da batteri. «È importante sottolineare che, come qualsiasi antibiotico, la sua efficacia è solo contro i batteri e non contro i virus, come quello dell'influenza o Sars-CoV-2», dice Claudio Cricelli, presidente della Società italiana di medicina generale. La carenza del farmaco riguarda tutta l'Italia, ma alcune regioni e città più di altre. «Abbiamo riscontrato situazioni diverse, a macchia di leopardo. Ci sono regioni in cui la carenza è meno preoccupante, altre in cui è più evidente», sottolinea Tobia. Come nel Lazio e in particolare Roma. «Lo Zitromax, sia compresse adulti che sciroppo bambini è mancante e carente», conferma Andrea Cicconetti, presidente di Federfarma Roma.
«Non c'è. Questo perché - continua - è l'antibiotico primario che viene scelto nei casi di positività per la profilassi da bronchiti e complicanze respiratorie per chi ha Covid. Il bello è che sono mancanti anche i generici equivalenti. Ogni tanto arriva qualcosina ma sono carenti e non abbiamo avuto note di ripristino di regolari forniture. Quindi chi trova qualche pezzo in giro è fortunato». Più a Sud, in Campania, si soffre la carenza dello Zitromax ma non del generico.
«C'è ancora qualche difficoltà nel reperire lo Zitromax, ma l'azitromicina, vale a dire la molecola che ne costituisce il principio attivo, si trova senza difficoltà», spiega Riccardo Maria Iorio, presidente di Federfarma Napoli. Nessuna carenza di Zitromax, invece, in Lombardia. Per la presidente di Federfarma Lombardia, Annarosa Racca, «il problema non sussiste». E specifica: «C'è stato forse un giorno in cui abbiamo registrato una carenza, ma abbiamo sopperito con il generico». Il problema non è solo di disponibilità per chi ne ha bisogno. Ma riguarda anche gli effetti collaterali che questo antibiotico può avere se usato non appropriatamente.
I RISCHI «Come tutti gli antibiotici può avere effetti collaterali, come disturbi gastrointestinali, ovvero la diarrea; cefalea; sensazione di stanchezza; può scatenare reazioni allergiche alla pelle; e può danneggiare il fegato», dice Cricelli. «Quando si prescrivono, infatti, si fa una valutazione costi-benefici: se sono utili per sconfiggere un batterio, gli effetti collaterali possono essere considerati accettabili; se non servono a nulla si crea un danno e basta». Ma certamente quello che possiamo considerare come il macro-problema dell'utilizzo improprio degli antibiotici, compresa l'azitromicina, è lo sviluppo della resistenza batterica.
«In pratica, l'assunzione inappropriata può favorire l'insorgenza e la diffusione di batteri che hanno imparato a difendersi dagli antibiotici. Quindi si rischia di perdere inutilmente un'arma che può invece rivelarsi indispensabile contro i batteri», conclude Cricelli. Del resto le linee guida dicono chiaramente no alla prescrizione di antibiotici contro Covid-19». «Ai pazienti raccomando di non assumere nulla senza il consiglio del medico, anche se nell'armadietto dei farmaci dovessero ritrovare una scatola di azitromicina acquistata in passato e mai usata», dice Cricelli.
«Così come i cortisonici, gli antibiotici non sono un trattamento fai da te. Oltre a essere inutili contro Covid-19, possono rivelarsi dannosi per la salute», aggiunge. Gli unici farmaci che possiamo assumere a casa contro i sintomi di Covid-19 sono gli antipiretici per controllare la febbre alta e antidolorifici per i dolori articolari.
Matteo Bassetti, "quel farmaco non serve a nulla". Covid, l'ultima pericolosa menzogna: un caso inquietante. Libero Quotidiano il 13 gennaio 2022.
Uno dei casi del giorno, o presunti tali, è quello della sparizione del Zitromax, un antibiotico che, si è diffusa questa voce a tempo record, servirebbe come terapia contro il Covid. Insomma, irreperibile in farmacia. E da lì, il tam-tam impazzito. Peccato perché che il farmaco in questione, contro il coronavirus, non serva a nulla.
Tra gli altri, lo spiega per filo e per segno Matteo Bassetti, che mette subito a tacere l'ultimo delirio pandemico: "L'azitromicina è un antibiotico antibatterico che serve nella terapia di alcune infezioni batteriche, ma non serve a niente nella cura del Covid", taglia corto sui social.
E ancora, il direttore del reparto Malattie infettive del San Martino di Genova, aggiunge: "La domanda è: serve la azitromicina nella cura del Covid? C'è un dato o uno studio che dica che serve a qualcosa? Che fa guarire prima? Che riduce gli accessi in ospedale? Che riduce la mortalità? Nulla di tutto questo".
E ancora, aggiunge: "Sapete a cosa serve? A produrre batteri resistenti, di cui l’Italia è piena più di ogni altro Paese europeo. Nelle infezioni virali come il Covid gli antibiotici non devono essere utilizzati, salvo in alcuni casi molto selezionati. Molto selezionati, meno del 2% del totale. Basta usare l’azitromicina e gli altri antibiotici nel covid. Non servono. Creano resistenze e poi mancano per chi ne ha veramente bisogno", conclude Matteo Bassetti.
Dagotraduzione dal Daily Mailil 3 gennaio 2021. In Inghilterra, un’infermiera affetta dal Covid che ha trascorso 28 giorni in coma si è salvato dopo che i medici l’hanno sottoposta a un trattamento sperimentale con il Viagra.
Monica Almeida, 37 anni, mamma di due bambini, asmatica, era vaccinata ma nonostante la doppia dose è stata ricoverata in ospedale il 9 novembre dopo essere risultata positiva al coronavirus il 31 ottobre. Una settimana dopo è stata trasferita in terapia intensiva, e poi dal 16 novembre i medici le hanno indotto il coma.
I medici avevano deciso di aspettare ancora tre giorni prima di spegnere il ventilatore. Per fortuna, prima di entrare in coma, aveva accettato di essere sottoposta a un trattamento sperimentale. Così i medici le hanno somministrato una grande dose di viagra, che consente un maggiore afflusso sanguigno a tutte le aree del corpo, e dopo una sola settimana le condizioni della donna sono migliorate.
Anche se l'efficacia, dai trials, è scesa al 30%. Pillola anti Covid distribuita oggi alle Regioni: chi la può prendere, controindicazioni e quanto costa. Riccardo Annibali su Il Riformista il 4 Gennaio 2022. È la prima pillola anti Covid per pazienti non gravi, si prende (anche a casa) per bocca, il trattamento dura 5 giorni e serve a prevenire l’intasamento degli ospedali ma non si sostituisce al vaccino. Ecco come funziona il molnupiravir prodotto dall’azienda americana Merck Sharp & Dohme (Msd).
Disponibile in Italia da oggi, martedì 4 gennaio 2022, il primo antivirale specifico contro SARS-CoV-2, la pillola di Merck chiamata molnupiravir che avrà come nome commerciale ‘Lagevrio’. Dopo il via libera della Commissione tecnico scientifica dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) nella seduta del 22 dicembre, il farmaco viene distribuito da oggi dalla Struttura Commissariale alle Regioni e per la sua prescrizione è previsto l’utilizzo di un Registro di monitoraggio che sarà presto accessibile online sul sito della stessa Aifa.
CHI LA PUÒ PRENDERE – Serve per il “trattamento dei pazienti Covid-19 non ricoverati con recente insorgenza di malattia da lieve a moderata e con condizioni cliniche sottostanti che possono rappresentare fattori di rischio specifici per lo sviluppo di Covid-19 grave”. Il Molnupiravir quindi è un antivirale orale che deve essere assunto in caso di positività al Covid entro cinque giorni dall’insorgenza dei sintomi. Il trattamento dura cinque giorni e consiste in 4 capsule da 800 mg totali (200 mg l’una) da prendersi due volte al giorno. Il suo utilizzo non è raccomandato in gravidanza e l’allattamento al seno “deve essere interrotto durante il trattamento e per quattro giorni dopo il trattamento”.
CHI LA PRODUCE – Merck & Co. è una azienda farmaceutica statunitense tra le più grandi al mondo. Fondata nel 1891, ha sede nel New Jersey. Durante gli ultimi due anni, l’azienda è stata conosciuta anche dal grande pubblico per le numerose sperimentazioni nella lotta al Covid 19.
COME FUNZIONA – Modifica il materiale genetico (Rna) del virus durante la replicazione in modo da renderlo incapace di moltiplicarsi. Non colpisce la proteina spike del Covid per questo la sua efficacia sarebbe garantita a prescindere dalle varianti presenti e future.
Sembrerebbe la soluzione perfetta anche se ci sono due ostacoli, il primo dei quali è l’efficacia nel prevenire le ospedalizzazioni: È bassa, ed è scesa nel tempo da quando i dati della Fase 3 della sperimentazione davano un 50% di riduzione dei decessi e ricoveri fino ad arrivare all’attuale 30% (percentuale ricavata da tutti i partecipanti iscritti nel trial, 1.433 pazienti). Tanto che alcuni Stati hanno deciso di rivedere gli ordini di acquisto del medicinale. Il secondo ostacolo è rappresentato dalla capacità di somministrare il farmaco in tempo: deve essere infatti assunto entro cinque giorni dall’insorgenza dei sintomi, ma arrivare a intercettare la malattia così rapidamente non è scontato. Non è detto che un paziente all’esordio dei sintomi (comuni a molte altre malattie virali) venga subito sottoposto a tampone, specie in un momento come questo dove i tamponi processati continuano ad aumentare.
EFFETTI COLLATERALI – Quelli più comuni sono stati: diarrea, nausea, vertigini e cefalea, tutti di entità lieve o moderata. È previsto l’utilizzo di un registro di monitoraggio delle segnalazioni che sarà presto accessibile online sul sito dell’Aifa.
PERCHÉ NON SOSTITUISCE IL VACCINO – Non solo per la sua bassa efficacia, ma anche perché, come gli altri farmaci, ha una durata d’azione limitata: la concentrazione dei principi attivi si abbassa e, dopo un paio di giorni, il medicinale sarà scomparso dall’organismo. Il vaccino, invece, agisce sul sistema immunitario, che, dopo essere stato istruito, è in grado di combattere per mesi contro il virus. In caso si faccia parte di alcune categorie di persone che non rispondono bene all’immunizzazione e che quindi, sebbene in maniera inferiore rispetto ai non vaccinati, possono correre il rischio di aggravarsi con il Covid, il molnupiravir può risultare molto utile.
QUANTO COSTA – Il costo di un ciclo – almeno sul mercato americano – è di circa 700 dollari (equivalenti a poco più di 615 euro). In Italia saranno le Regioni a decidere come distribuirlo. Probabilmente all’inizio il farmaco sarà disponibile solo nelle farmacie degli ospedali e solo successivamente nelle farmacie autorizzate. Al paziente non dovrebbe costare nulla. Ci potranno essere alcune Regioni che richiederanno accertamenti preliminari (come tampone ed eventuale dimostrazione di fragilità). Tutti i pazienti che lo assumono saranno iscritti in un apposito registro di monitoraggio per verificarne gli effetti a breve e a lungo termine.
LA SECONDA PILLOLA ANTI COVID – Forse già a marzo dovrebbe prendere il via la distribuzione del secondo antivirale autorizzato dall’Agenzia Europea del Farmaco (Ema), il Paxlovid brevettato da Pfizer, che agisce e si assume in modo del tutto simile alla pillola Merck ma, secondo i test più recenti effettuati dall’azienda, ha un’efficacia superiore, vicina all’89%.
La strategia della Svezia contro il Covid è stata un fallimento, ora ci sono le prove: morfina invece di ossigeno, bimbi usati per diffondere il virus e manipolazioni. Elena Tebano su Il Corriere della Sera il 12 aprile 2022.
Disamina impietosa sull’Agenzia di Salute Pubblica: «Non ha basato i consigli su prove scientifiche, il popolo svedese è stato tenuto all’oscuro di fatti fondamentali, agli anziani morfina anziché ossigeno, i bambini usati per diffondere il virus». Nel documento la prova della scelta fatta tra chi curare e chi no.
L’approccio svedese all’epidemia di Covid è stato un fallimento. È quanto emerge dal primo studio scientifico sistematico sulla strategia della Svezia nella gestione della pandemia realizzato a due anni dai primi contagi, pubblicato su Humanities & Social Sciences Communications tramite Nature.com.
Come è noto l’approccio della Svezia era orientato a evitare una chiusura della società per limitare il più possibile i danni economici, cercando un’immunità di gregge «naturale» e senza imporre mai lockdown, né limitazioni alla libertà di commercio e movimento dei cittadini, ma facendo affidamento sulla responsabilità individuale (ristoranti e scuole per i bambini sotto i 16 anni, per esempio, sono rimasti aperti e in presenza per tutta la pandemia). «Questa strategia svedese del laissez-faire ha avuto un grande costo umano per la società svedese» e «diversi studi hanno dimostrato che i costi umani sarebbero stati significativamente inferiori in Svezia se fossero state attuate misure più severe, senza impatti più dannosi sull’economia» scrivono gli autori dello studio, scienziati di università del Belgio, della Svezia e della Norvegia, un «gruppo multidisciplinare con un background in epidemiologia, medicina, studi religiosi, storia, scienze politiche e diritti umani», che è stato «consigliato da diversi esperti indipendenti nazionali e internazionali», ha esaminato tutti «gli articoli scientifici rilevanti, sottoposti a revisione tra pari, pubblicati sulla gestione della pandemia in Svezia e negli altri Paesi nordici» e ha «cercato di raccogliere tutte le conversazioni via e-mail, gli ordini del giorno delle riunioni, gli appunti delle riunioni e i comunicati stampa delle parti interessate coinvolte nel processo decisionale a livello nazionale» appellandosi alle «leggi sulla libertà d’informazione».
Il governo svedese ha delegato la gestione della pandemia all’Agenzia di Salute Pubblica, che però dal 2014 aveva licenziato o trasferito tutti i suoi più autorevoli consulenti scientifici all’Istituto Karolinska. «Con questa configurazione, l’autorità mancava di competenza e poteva ignorare i fatti scientifici» spiega il rapporto. «L’Agenzia della Salute Pubblica non ha basato i suoi consigli su prove scientifiche ma su preconcetti sulle pandemie influenzali e sull’immunità di gregge, affidandosi principalmente a un piccolo gruppo consultivo con un focus disciplinare ristretto e una competenza troppo limitata», è stata «sistematicamente scorretta nelle sue valutazioni del rischio, e ha ignorato le prove scientifiche sulle strategie di soppressione, la trasmissione per via aerea». Inoltre ha «etichettato i consigli degli scienziati nazionali e delle autorità internazionali come posizioni estreme, facendo sì che i media e gli organi politici accettassero invece la propria politica.
Il popolo svedese è stato tenuto all’oscuro di fatti fondamentali come la trasmissione aerea del Sars-Cov-2, che gli individui asintomatici possono essere contagiosi e che le maschere facciali proteggono sia il portatore che gli altri» si legge ancora nel rapporto. Le conseguenze pratiche di questa scelta sono state deleterie.
Ecco come le descrive il rapporto pubblicato da Nature.com:
• «A molti anziani è stata somministrata morfina invece di ossigeno, nonostante le scorte disponibili, ponendo fine di fatto alla loro vita».
• «La decisione di fornire cure palliative a molti adulti anziani è molto discutibile; pochissimi anziani sono stati ricoverati per il Covid 19. Un trattamento appropriato (potenzialmente salvavita) è stato negato senza esame medico, e senza informare il paziente o la sua famiglia o chiedere il permesso. Molti funzionari hanno continuato a negare ogni responsabilità, e c’è stata solo una limitata protesta pubblica in Svezia quando questo è venuto fuori, la narrazione comune è che quelli nelle case di cura sono destinati a morire presto comunque».
• «Durante la primavera del 2020, molti individui non sono stati ricoverati negli ospedali e non hanno nemmeno ricevuto un esame sanitario poiché non erano considerati a rischio, con il risultato che gli individui sono morti a casa nonostante avessero cercato aiuto. Inoltre, c’erano istruzioni di triage disponibili nella regione di Stoccolma, che mostravano che gli individui con comorbidità, indice di massa corporea superiore a 40 kg/m2, età avanzata (80+) non dovevano essere ammessi in unità di terapia intensiva, poiché “era improbabile che si riprendessero”».
• «Nonostante i segnali preoccupanti di diversi ospedali che hanno superato i loro limiti, l’Agenzia per la salute pubblica e il governo hanno continuato a sostenere che c’erano ancora letti di terapia intensiva disponibili in Svezia, e che la loro strategia non è fallita poiché sono stati in grado di mantenere il contagio a livelli che il sistema sanitario poteva gestire. Tuttavia, la Svezia ha ottenuto il punteggio più basso sull’accessibilità dei letti di terapia intensiva in base a uno studio di 14 Paesi europei che ha esaminato l’impatto sul tasso di mortalità da Covid 19».
• «L’Agenzia della Salute Pubblica ha negato o declassato il fatto che i bambini potessero essere infettivi, sviluppare malattie gravi, o guidare la diffusione dell’infezione nella popolazione; mentre le loro e-mail interne indicano il loro obiettivo di usare i bambini per diffondere l’infezione nella società».
• «Ci sono stati anche rapporti su disuguaglianze e ingiustizia sociale come conseguenza della risposta della Svezia, in particolare con gli anziani, le persone nelle case di cura, gli individui con un background migratorio e i gruppi socio-economicamente meno avvantaggiati (anche di giovane età) colpiti dall’eccesso di mortalità. Questa narrazione della disuguaglianza è stata apertamente comunicata dai funzionari, compresa l’Agenzia della Salute Pubblica, sostenendo che “l’infezione da coronavirus nelle case di cura può essere stata diffusa dal personale con scarsa padronanza della lingua svedese”, “abbiamo una maggiore diffusione a causa della maggiore popolazione immigrata”, “solo gli stranieri si ammalano”, “solo le persone che sembrano turisti indossano maschere facciali in pubblico”. Non sono stati fatti sforzi significativi per diminuire queste disparità».
Oltre alle decisioni sanitarie discutibili, lo studio mette in evidenza la mancanza di trasparenza delle autorità svedesi, e parla addirittura di «segretezza, insabbiamento e manipolazione dei dati». «Per esempio, anche se molte delle persone coinvolte hanno dichiarato pubblicamente che le maschere facciali non erano necessarie, o addirittura “pericolose” o controproducenti hanno poi affermato di essere sempre state a favore del loro uso. L’Autorità svedese per l’ambiente di lavoro e l’Epidemiologo di Stato hanno persino iniziato a cancellare le e-mail in proposito richieste dai giornalisti. Anche se questo è illegale, la pratica di trattenere le informazioni e cancellare le e-mail è diventata diffusa tra le agenzie ufficiali durante la pandemia portando a una cosiddetta “gestione ombra”, poiché apparentemente il rischio di sanzioni legali è molto basso per i detentori del potere» si legge nel rapporto.
Le conclusioni sono una condanna senza appello della politica della Svezia che getta ombre inquietanti anche sulla sua democrazia. «Questa pandemia ha rivelato diversi problemi strutturali nella società svedese, a livello politico e giudiziario, nella sanità, nei media ufficiali e nella burocrazia, con il decentramento, la mancanza di responsabilità e indipendenza, e il rifiuto di informazioni accurate e complete al pubblico come problemi ricorrenti a diversi livelli». Ancora: «La messa in discussione critica, anche da parte di scienziati ed esperti di fama internazionale, divenne rischiosa, persino pericolosa, in un Paese dove il conformismo era incoraggiato dai media nazionali». Secondo gli autori dello studio c’è stato un «problema di responsabilità evasiva, governance autocratica, insabbiamento e segretezza» simile alla «sovietizzazione» politica. «Ci si aspettava da tutta la popolazione una fiducia a senso unico nelle “autorità”» spiegano. «Proteggere l’“immagine svedese” a livello nazionale e internazionale è sembrato essere più importante che proteggere la vita degli abitanti della Svezia, compresi gli operatori sanitari, gli anziani, gli individui con fattori di rischio (ad esempio, le comorbidità), i gruppi minoritari e le persone socio-economicamente meno avvantaggiate. Ciò è evidenziato dall’alto eccesso di mortalità in questi gruppi, dalla mancanza di adeguati dispositivi di protezione personale e dalla negazione dell’assistenza sanitaria. Rimane una mancanza di coscienza etica e l’abilità di includere il ragionamento etico nei processi decisionali; e la mancanza di compassione per le vittime della pandemia».
Il rapporto non lo nomina mai esplicitamente, ma come è noto l’architetto della strategia anti Covid svedese è l’ex epidemiologo di Stato Anders Tegnell, 65 anni. «Ex» perché si è dimesso il 9 marzo scorso, poco prima dell’uscita dello studio sul fallimento della sua strategia. All’epoca l’Agenzia di Salute Pubblica svedese aveva dichiarato che Tegnell si era dimesso per andare a lavorare come «esperto senior dell’Organizzazione mondiale della sanità» per coordinare la vaccinazione anti Covid nei Paesi poveri. Poi, dopo la pubblicazione del rapporto su Nature, si è dovuta correggere e ha spiegato che la comunicazione della nomina era stata prematura: «Pensavamo che il processo fosse concluso, ma ora abbiamo capito che è stato un errore da parte nostra», ha detto il portavoce Christer Janson all’agenzia Bloomberg. «L’Oms ha chiesto alla Svezia un supporto tecnico per questo partenariato appena fondato, e dal momento che abbiamo nominato Tegnell in coordinamento con il governo svedese abbiamo pensato che tutto fosse sistemato».
Alessandro Ferro per ilgiornale.it il 13 aprile 2022.
Il tanto decantato approccio che la Svezia ha avuto nei confronti della pandemia Covid-19 non solo è stato un fallimento, ma soprattutto è costato numerose vite umane ed errori macroscopici da parte dell'Agenzia di Salute Pubblica, oggi duramente sotto accusa. Un rapporto molto dettagliato reso pubblico sulla rivista Nature rivela come la popolazione svedese sia stata tenuta all'oscuro anche delle norme più basilari e di come sono stati curati alcuni pazienti senza chiedere permessi né ai diretti interessati e neanche alle loro famiglie. Si è consumata un'anarchia medica inimmaginabile per una nazione civile come quella che ha per capitale Stoccolma.
"Enorme costo umano per la società"
Gli autori dello studio hanno ricordato come l'approccio della Svezia sia stato, da sempre, quello di lasciare aperte attività, uffici e qualsiasi cosa per non bloccare l'economia e non limitare il commercio e la libertà dei cittadini. "Questa strategia svedese del laissez-faire ha avuto un grande costo umano per la società svedese e diversi studi hanno dimostrato che i costi umani sarebbero stati significativamente inferiori in Svezia se fossero state attuate misure più severe, senza impatti più dannosi sull’economia" spiegano gli scienziati delle Università di Belgio, Svezia e Norvegia.
La gestione della pandemia era stato affidato all’Agenzia di Salute Pubblica, che non ha basato i suoi consigli su prove scientifiche ma "su preconcetti sulle pandemie influenzali e sull’immunità di gregge, affidandosi principalmente a un piccolo gruppo consultivo con un focus disciplinare ristretto e una competenza troppo limitata", si legge sul rapporto.
Morfina al posto dell'ossigeno
Sembra incredibile, ma questa Agenzia di Salute non ha mai informato i cittadini svedesi su come si trasmette il Covid, sul fatto che gli asintomatici fossero comunque contagiosi e sull'importanza delle mascherine e il loro uso. Nulla di nulla. I più attivi si saranno informati sui media internazionali e vedendo cosa accadesse in altre parti d'Europa ma non può essere una spiegazione normale. E poi, ancora peggio, è stata la gestione dei pazienti positivi al Covid, soprattutto quelli più gravi. "A molti anziani è stata somministrata morfina invece di ossigeno, nonostante le scorte disponibili, ponendo fine di fatto alla loro vita", si legge su Nature.
Le cure palliative hanno fallito, non sono stati eseguiti veri esami medici e la maggior parte dei pazienti è rimasto in cura in casa. Inoltre, le famiglie non sono state informate sulla tipologia di cura. "Molti funzionari hanno continuato a negare ogni responsabilità, e c’è stata solo una limitata protesta pubblica in Svezia quando questo è venuto fuori, la narrazione comune è che quelli nelle case di cura sono destinati a morire presto comunque", raccontano gli scienziati.
La folle strategia sui bambini
La Svezia si è classificata all'ultimo posto tra 14 Paesi europei per accessibilità alla terapia intensiva, e un motivo ci sarà. Tra gli orrori macroscopici, poi, la negazione che i bambini potessero infettare o sviluppare malattie gravi: in realtà, come affermano gli scienziati, le mail interne dell'Agenzia di Salute Pubblica indicavano "il loro obiettivo di usare i bambini per diffondere l’infezione nella società". Sapevano, quindi, ma hanno preferito far circolare il virus per immunizzare la gente facendo morire, così, i più fragili ma anche la parte più sana.
Senza criterio, poi, alcune informazioni sostenute dalla stessa Agenzia secondo le quali "l’infezione da coronavirus nelle case di cura può essere stata diffusa dal personale con scarsa padronanza della lingua svedese”, “abbiamo una maggiore diffusione a causa della maggiore popolazione immigrata”, “solo gli stranieri si ammalano”, “solo le persone che sembrano turisti indossano maschere facciali in pubblico”, si legge sul Corriere.
La "gestione ombra"
Questo studio ha messo in evidenza la totale mancanza di trasparenza delle autorità svedesi: si parla addirittura di "segretezza, insabbiamento e manipolazione dei dati". L’Autorità svedese per l’ambiente di lavoro e l’Epidemiologia di Stato hanno addirittura cancellato le mail richieste dai giornalisti per eliminare, illegalmente, le prove delle malefatte.
La condanna, dopo queste prove, è senza appello per la politica che la Svezia ha adottato nei due anni di pandemia, che ha messo in luce "diversi problemi strutturali nella società svedese, a livello politico e giudiziario, nella sanità, nei media ufficiali e nella burocrazia, con il decentramento, la mancanza di responsabilità e indipendenza, e il rifiuto di informazioni accurate e complete al pubblico come problemi ricorrenti a diversi livelli", conclude il rapporto.
Lo schiaffo dell’Oms a Speranza: la Svezia senza lockdown ha gestito la pandemia meglio dell’Italia. Valter Delle Donne sabato 7 Maggio 2022 su Il Secolo d'Italia.
Avvertite il ministro Speranza, Andrea Scanzi, il professor Galli e i teorici delle chiusure draconiane. La Svezia ha registrato uno dei più bassi tassi di mortalità per pandemia in Europa, nonostante il suo rifiuto di imporre lockdown, green pass e controlli polizieschi sui cittadini. I numeri arrivano da una fonte al di sopra di ogni sospetto: l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Dei 194 paesi esaminati dall’agenzia sanitaria dell’Onu, il tasso di morte per pandemia della Svezia è al centounesimo posto con 56 decessi per 100.000. Un dato nettamente al di sotto della media di 90. Pone anche la Svezia al di sotto della maggior parte delle altre grandi nazioni europee che hanno chiuso più volte, come l’Italia (133 morti ogni centomila persone), la Germania (116), la Spagna (111), la Gran Bretagna (109), il Portogallo (100), i Paesi Bassi (85), il Belgio (77) e la Francia (63).
Come ricorderanno i lettori, la scelta aveva attirato l’ira di molti “esperti”: nel 2020 le autorità sanitarie svedesi avevano scelto di non imporre i lockdown, affidandosi invece al buon senso dei propri cittadini. Non era stata imposta neanche la mascherina obbligatoria. Erano rimaste aperti anche scuole, bar e ristoranti. Ovviamente a nessuno è venuto in mente di imporre green pass o altri sistemi poliezieschi. Come aveva testimoniato al Secolo.it un’italiana residente a Stoccolma, anche i media nazionali avevano scelto un approccio mediatico più sobrio, meno terroristico nella diffusione dei contagi.
Quando Scanzi sulla Svezia senza lockdown diceva: “Moriranno come mosche…”
Qualche altro esempio? La stessa Greta Thunberg, la ragazzina svedese più famosa del mondo, andava in giro per centri commerciali e negozi senza indossare alcuna mascherina. Eppure, c’erano giornalisti italiani come Andrea Scanzi che riportavano notizie catastrofiche tipo: “Gli svedesi stanno morendo come mosche”. Alcuni media dipingevano Anders Tegnell, il responsabile della gestione della pandemia in Svezia, come una specie di scienziato pazzo. Eppure il 9 marzo scorso, nel silenzio dei media italiani, è stato chiamato dall’Oms a Ginevra.
Tegnell, il responsabile svedese della gestione della pandemia promosso dall’Oms a Ginevra
Tegnell, che ha 65 anni, coordinerà il lavoro dell’OMS con l’Unicef e l’organizzazione di vaccini Gavi, per mettere a disposizione dei preparati anti-Covid ai Paesi che non sono stati in grado di acquistarne. Niente male per uno “scienziato pazzo”.
Leggendo i dati di oggi, i paragoni con l’Italia balzano agli occhi: la Svezia non si è mai fermata completamente. Ha consigliato alle persone sopra i 70 anni e ai gruppi a rischio di evitare i contatti sociali. Ha inoltre raccomandato a chi poteva di lavorare da casa, di lavarsi le mani regolarmente. Di attuare un distanziamento fisico di due metri e di evitare viaggi non indispensabili. Scuole e asili sono rimasti sempre aperti, così come i negozi e molte aziende, compresi ristoranti e bar. Oggi arrivano i dati ufficiali dell’Oms, che devono far riflettere. Qualcuno avverta il ministro Speranza e i suoi consiglieri.
Svezia catastrofica sul Covid? “Italia peggio con i lockdown di Speranza”, accusa il virologo Silvestri. Lucio Meo mercoledì 13 Aprile 2022 su Il Secolo d'Italia.
“La strategia della Svezia contro il Covid è stata un “fallimento”. Ad affermarlo uno studio scientifico realizzato a due anni dai primi contagi e pubblicato sulla rivista ‘Humanities & Social Sciences Communications‘ tramite Nature.com. Secondo il rapporto – realizzato da un team di scienziati, giornalisti e medici – la Svezia era ben attrezzata per evitare che la pandemia di Covid-19 diventasse grave. Durante il 2020, tuttavia, il Paese ha registrato tassi di mortalità per virus Sars-CoV-2 dieci volte più elevati rispetto alla vicina Norvegia. Non solo: sarebbe stato accertato che a molte persone anziane è stata somministrata morfina al posto dell’ossigeno, che i bambini sono stati usati per diffondere il virus e che la popolazione svedese è stata tenuta all’oscuro anche delle norme anti contagio più basilari.
La Svezia e i presunti errori dei suoi politici
“Sosteniamo che una metodologia scientifica non sia stata seguita dalle principali autorità in carica – e dai politici responsabili – con narrazioni alternative considerate valide, con conseguenti decisioni politiche arbitrarie”, si legge nello studio, che tra i motivi del fallimento evidenzia il fatto che “nel 2014, l’Agenzia di sanità pubblica è stata fusa con l’Istituto per il controllo delle malattie infettive e la prima decisione rilevante assunta dal nuovo capo, Johan Carlson, è stata quella di licenziare e trasferire i sei professori dell’autorità al Karolinska Institutet, svuotando di fatto l’Agenzia delle necessarie capacità ed esperienza” per affrontare un’emergenza sanitaria come quella del Covid.
“La strategia pandemica svedese sembrava mirata a raggiungere un’immunità di gregge naturale e a evitare una chiusura della società. L’Agenzia per la salute pubblica ha etichettato i consigli degli scienziati nazionali e delle autorità internazionali come posizioni estreme, con il risultato che i media e gli organi politici hanno accettato la loro politica”.
Quindi le accuse più pesanti: “Il popolo svedese è stato tenuto all’oscuro di fatti di basilari come la possibilità di trasmissione aerea di SARS-CoV-2, che gli individui asintomatici possono essere contagiosi e che le mascherine proteggono sia chi le indossa che gli altri”. Inoltre “a molte persone anziane è stata somministrata morfina invece dell’ossigeno nonostante le scorte disponibili, ponendo fine alla loro vita”.
“Se la Svezia vuole fare meglio nelle future pandemie – si legge nell’abstract della pubblicazione – il metodo scientifico deve essere ristabilito, anche all’interno dell’Agenzia di sanità pubblica. Probabilmente farebbe una grande differenza se venisse ricreato un Istituto separato e indipendente per il controllo delle malattie infettive. Raccomandiamo che la Svezia avvii un processo autocritico sulla sua cultura politica e sulla mancanza di responsabilità dei decisori per evitare futuri fallimenti, come è accaduto con la pandemia di COVID-19″
Ma Silvestri smaschera lo studio: “Italia molto peggio e con più lockdown
“L’articolo non lo dice: in Svezia 1.809 morti per 1 milione di abitanti, senza mai un lockdown, contro i 2.670 dell’Italia dei super-lockdown, delle scuole chiuse per mesi, dei coprifuoco e delle mascherine all’aperto”. Lo sottolinea Guido Silvestri, virologo dell’Emory University e presiedente del board internazionale di esperti dell’Inmi Spallanzani di Roma, commentando su Facebook lo studio di ‘Nature’ che ha esaminato, bocciandolo, il modello svedese di lotta al Covid.
“Giratela come vi pare, ma con questi numeri sarà dura anche per i più incalliti chiusuristi far passare la narrazione (di comodo) – rimarca – per cui in Svezia c’è stata una catastrofe mentre l’Italia l’ha scampata grazie alla ‘prudenza speranziana'”.
Svezia senza lockdown con meno morti di noi e l’economia salva. Ma i media che contano dicono il contrario. Valter Delle Donne venerdì 13 Novembre 2020 su Il Secolo d'Italia.
La foto che state vedendo in copertina ritrae una via del centro di Stoccolma. Gente che fa lo shopping, gli addobbi del Natale già allestiti. È datata martedì 10 novembre 2020. Tenetelo presente mentre leggerete questo articolo. Ecco come si vive in Svezia senza lockdown. Nonostante la pandemia.
La Svezia, come ormai tutti sanno, è l’unica nazione europea a non aver mai effettuato il lockdown. Ha raccomandato agli over 70 di restare in casa (e loro lo hanno fatto). E ha dato le raccomandazioni sull’igiene e il distanziamento, che tutti ormai sappiamo a memoria.
In questo modo, ha evitato il crollo dell’economia che ha riguardato tutti gli altri Paesi. Il Pil è calato solo del 8,6%. Rispetto all’Italia una media da champagne. Non a caso il Ceo della prima banca svedese ha parlato di una situazione incoraggiante. Una media migliore di tutta l’Eurozona. Per non parlare della nostra economia: nel secondo trimestre l’Istat ha infatti certificato un drammatico -12, 4%.
In questi giorni, però, sui media italiani si stanno infittendo le notizie apocalittiche relativamente alla Svezia. Tenetevi forte: sono quasi tutte fake news.
In Svezia fanno morire gli anziani? Una bufala sparata anche da Burioni
La principale, sparata persino dal virologo Roberto Burioni, circola da sette mesi. La Svezia lascerebbe morire gli anziani malati di Covid. Lo riportava l’altro giorno persino la newsletter della Federazione dei medici. In realtà, un quotidiano svedese, ad aprile ha scritto di una circolare interna relativa a un singolo ospedale (uno solo) il Karolinska di Stoccolma. I pazienti con un’età “biologica” superiore agli ottant’anni verrebbero dopo rispetto ad altri pazienti. Il documento si riferiva al caso estremo di “posti esauriti” in terapia intensiva. Eventualità che non si è mai verificata finora, in Svezia, in nessun ospedale. Il documento, sintetizzato brutalmente, suggeriva di privilegiare chi avesse superiori aspettative di vita. Insomma, chi scegliere in caso di opzione estrema, tra più malati da soccorrere? Tra un bambino e un ottuagenario chi salvare? Tra una ragazza incinta e una novantenne con patologie chi salvereste? Un criterio che adottano tutti i medici. In tutti gli ospedali del pianeta. Ma nonostante questo, in Svezia, si è accesa una polemica feroce.
Il quotidiano svedese ha pubblicato la notizia il 9 aprile 2020, il 12 aprile è arrivata la smentita ufficiale dell’ospedale Karolinska di Stoccolma. Inoltre, per essere chiari, il 18 aprile, le autorità ispettive del ministero della Salute svedese hanno avviato una indagine per verificare se la circolare fosse autentica. Insomma, è stata una “bufala” bella e buona. Tuttavia, sette mesi dopo, quella bufala viene data come verità accertata. Molti media hanno fatto un triste copia e incolla. Chiaramente la notizia per noi italiani era troppo ghiotta: “Visto la Svezia? Non fa il lockdown e poi fa morire gli anziani di Covid”.
Chi è Tegnell, omologo di Brusaferro in Svezia, contrario al lockdown
Ma nella narrazione nostrana la Svezia si riporta solo ad intermittenza. Ad esempio, quando l’epidemiologo svedese Andres Tegnell (stimatissimo a livello internazionale anche dall’americano Anthony Fauci) cita l’Italia come modello negativo, tutti tacciono. Nessuno fa più il copia e incolla. Lo avete saputo dai nostri tg? No, erano troppo impegnati con le dirette di Conte e gli appelli terroristici del ministro Speranza. Eppure, il parallelo implicito e impietoso degli scienziati svedesi (che si presume abbiano studiato come i nostri scienziati) è stato questo. Se l’Italia, che ha imposto un lockdown assoluto, sta peggio di noi, allora lasciateci provare una strategia diversa.
Chi sta peggio tra Italia e Svezia?
Avete letto bene. L’Italia, purtroppo, sta peggio della Svezia. Questo non lo scrive il Secolo, ma uno studio della prestigiosa rivista Nature. Anche questo report del 14 ottobre scorso, stranamente, in Italia non è stato ripreso da nessuno. Andate a leggere: a livello dell’Italia, come tasso di mortalità, solo Belgio, Spagna e Scozia. La Svezia, invece, nonostante il mancato lockdown è solo in seconda fascia.
Meglio l’ospedale di Stoccolma o il Cardarelli di Napoli?
Eppure, la narrazione dominante è questa, ribadita da Andrea Scanzi, il giornalista italiano più influente sui Social. “In Svezia muoiono come mosche”. Se l’ha detto lui, come osate voi scienziati svedesi contraddirlo? Un ultimo dato. L’ospedale Karolinska che “fa morire i vecchi”, secondo Newsweek è al decimo posto nella classifica dei migliori ospedali del mondo. Tenete presente che, in questa classifica, per trovare un nostro ospedale bisogna scendere al 47mo posto (Niguarda di Milano). Non so Burioni o Scanzi, ma se fossi un anziano malato, preferirei farmi curare lì che al Cardarelli di Napoli.
Johnson archivia il Covid. "Fine delle restrizioni". Andrea Cuomo il 22 Febbraio 2022 su Il Giornale.
BoJo: da giovedì niente isolamento dei positivi. In Inghilterra numeri migliori che in Europa. Niente Covid, siamo inglesi. Boris Johnson l'ha avuta vinta. Ha convinto i suoi ministri più riottosi, come il titolare della Sanità Sajid Javid, e si è presentato dapprima alla Camera dei Comuni e quindi si è presentato davanti ai giornalisti per annunciare la fine di ogni restrizione dal prossimo 24 febbraio. Per qualcuno l'ennesima mossa avventata di un primo ministro che ha gestito l'emergenza pandemica con una spavalderia che per qualcuno è tracimata nell'incoscienza. Per altri invece semplicemente l'avanguardia dell'Europa, che presto si troverà a imitarlo.
Staremo a vedere. Intanto Johnson ha annunciato ai suoi concittadini, compresa la più celebre dei contagiati, la regina Elisabetta, non che il Covid sia terminato, quello no, ma che «ora dobbiamo imparare a convivere con il virus» e quindi non ha più senso comprimere in alcuno modo la loro vita per evitare il diffondersi di un virus che ormai non fa più paura. Niente più vincoli, quindi, fine dell'obbligo dell'isolamento per le persone contagiate, che da giovedì saranno incoraggiati a far uso del senso di responsabilità personale in caso di infezione, come avviene attualmente quando si è soggetti a «un'influenza». È stata annunciata anche la graduale revoca della distribuzione gratuita a pioggia dei test antigenici. «Abbiamo superato il picco di Omicron», ha tagliato corto BoJo.
Johnson appare particolarmente orgoglioso di questa scelta, ne fa un vanto patriottico, ben sapendo quanto i sudditi della regina (positiva) siano sensibili all'argomento. Si vanta del successo delle vaccinazioni e del primato in Europa nei booster: «Siamo in una posizione di forza per prendere in considerazione la revoca delle restanti restrizioni legali, ora che l'81 per cento degli adulti ha già ricevuto una dose di richiamo in Inghilterra e i casi continuano a diminuire», si legge in una nota di Downing Street.
Certo, il confronto tra quanto accade a Londra e quanto accade a Roma (ma anche a Madrid e a Parigi) colpisce. L'avventurismo di BoJo e assai più distante dalla prudenza continentale rispetto allo spread delle cifre delle vaccinazioni e dei contagi. Per dire, negli ultimi sette giorni in Italia si sono conteggiati in media 51.311 contagi al giorno, mentre nel Regno Unito, che ha una popolazione di sette milioni superiore alla nostra, il dato è poco più basso: 44.180. Nel Regno Unito ci sono più attuali positivi (1.745.244 da loro e 1.321.971 da noi) e 11.223 pazienti Covid ricoverati (da noi 13.375) e 335 in terapia intensiva (contro i nostri 928) e anche il loro numero di morti è più basso (la media mobile degli ultimi sette giorni è da loro di 125 decessi e da noi di 271). La vera differenza sta nel fatto che nei vari momenti dell'emergenza sanitaria le misure di contenimento del Covid Oltremanica sono state in genere molto più lievi rispetto alle nostre, forse c'è da riflettere. Anche se non sono mancate le gaffe, gli errori e i disastri anche in Downing Street.
Ma torniamo all'oggi. Johnson ha promesso di adottare un «approccio prudente» e di conservare nel cassetto misure di emergenza in caso di nuove e imprevedibili varianti. L'intenzione del governo conservatore è di ridurre notevolmente il numero di test per concentrarli sulla popolazione più vulnerabile. E in primavera ecco la quarta dose del vaccino per tutti gli over 75 e le persone vulnerabili dai 12 anni in su, mentre l'idea è quella di estendere in autunno l'offerta della quarta dose booster ad altre fasce di età. E Johnson dovrà anche occuparsi della positività regale di Elisabetta II, che si trova in isolamento al castello di Windsor: i due si sono sentiti in un'udienza virtuale, che verrà ripetuta in caso di necessità. Elisabetta, a quasi 96 anni, continuerà per tutta la settimana a lavorare in modalità virtuale. Andrea Cuomo
Bye Bye restrizioni: Boris Johnson cancella il green pass. IL PREMIER INGLESE ANNUNCIA: BASTA GREEN PASS (GIÀ AI MINIMI) E NIENTE MASCHERINE. Redazione Nicolaporro.it il 19 Gennaio 2022.
“Here we are”, direbbero gli inglesi. “Ci siamo”. Il tanto criticato Boris Johnson si appresta a ridurre le restrizioni anticovid. L’annuncio è chiaro: in Inghilterra non solo non sarà più obbligatorio esibire il lasciapassare alias green pass, ma si potrà addirittura smettere di indossare la mascherina e tornare finalmente a respirare. La notizia era nell’aria già da diversi giorni ma stamattina è stato proprio il primo ministro a spiegarlo alla camera dei Comuni.
La variante Omicron del nuovo coronavirus “è in ritirata”, ha spiegato il ministro della Salute Sajid Javid: il tasso di mortalità infatti è “in forte calo” e i ricoveri in terapia intensiva sono “tornati agli stessi livelli dello scorso luglio”. E così, come è normale che fosse in un Paese in cui il concetto di libertà è saldamente radicato nel cuore e nella testa delle persone, il green pass ha avuto una vita davvero breve. Lasciapassare che – è doveroso ricordarlo – non aveva nulla a che vedere con il pass sanitario italiano, ma doveva essere esibito solamente in alcuni casi specifici, come ad esempio i grandi eventi pubblici.
Mentre noi italiani dovremo mostrare il QR code personale anche per andare dal tabaccaio e nel tragitto saremo costretti a respirare l’aria stantia nella nostra fantastica Ffp2 colorata, sarà bello pensare che, oltre Manica, ci sono persone che non devono più sopportare le nostre pene.
“Rip it out”, aveva titolato recentemente un noto giornale conservatore. “Stracciatelo”. E così è stato. Il green pass sarà solo un ricordo. Così come le mascherine che non serviranno più nemmeno al chiuso. Il folle obbligo di portarle all’aperto da quelle parti non vigeva, ça va sans dire. Novità anche per lo smart working, a quanto pare, per cui viene meno la raccomandazione alle aziende di incentivarlo.
In Inghilterra, si torna alla normalità, dunque. E – ahinoi – non è l’unico paese ad andare in questa direzione. Solo l’Italia rimane così saldamente arroccata sulle sue posizioni liberticide, tra restrizioni di ogni genere e stati di emergenza infiniti. Ai rigoristi allora non resta, come al solito, che gufare la povera Inghilterra nella speranza che il governo torni presto sui suoi passi e prenda esempio da noi. Dal paese che – siamo ironici – ha “gestito al meglio la pandemia”. Perché – come disse Mattarella rivolgendosi a Johnson che aveva osato criticarci – “noi abbiamo a cuore la libertà ma anche la serietà”.
Da open.online il 19 gennaio 2022.
Da mercoledì 26 gennaio nel Regno Unito non saranno più in vigore tutte le misure anti Covid che erano state introdotto per contrastare la variante Omicron. Nel pieno della bufera per le polemiche sul partygate, il premier Boris Johnson ha annunciato la decisione ai parlamentare della Camera dei Comuni questa mattina 19 gennaio.
Il piano B introdotto a dicembre secondo il premier britannico si sarebbe ormai esaurito. Dalla prossima settimana, quindi, non sarà più obbligatorio indossare la mascherina sui mezzi pubblici e nei negozi. Viene meno anche la raccomandazione alle aziende di incentivare lo smart working, mentre non sarà più necessario il Green pass rafforzato, quello che anche nel Regno Unito certifica l’avvenuta vaccinazione.
Come aveva anticipato il Times, Johnson sta predisponendo un piano di ridimensionamento della rete di centri di test, dopo che il Tesoro ha chiesto di risparmiare 10 miliardi di sterline. I centri dovrebbero essere chiusi in primavera. BoJo dovrebbe tenere una riunione del governo dopo la promessa di una riduzione sostanziale arrivata ieri dal suo ministro della Salute Sajid Javid.
Secondo una portavoce del governo «gli ultimi dati sono incoraggianti, i casi iniziano a diminuire anche se la pandemia non è finita». Ieri la Gran Bretagna ha registrato 94.432 casi, scendendo sotto i 100.000 contagi giornalieri per la prima volta dal 23 dicembre. E sempre ieri il professor Robert Dingwall, già membro della Commissione governativa inglese per le vaccinazioni e le immunizzazioni (Jcvi) e tra i maggiori esperti di sociologia medica e politiche sanitarie, ha spiegato che «il piano è quello di rimuovere tutte le restrizioni, compresi i pass vaccinali, salvo due eccezioni. Potrebbe comunque rimanere il tampone negativo per alcuni casi particolari, così come l’uso delle mascherine: una raccomandazione, non obbligo. Inoltre, è in corso un dibattito sull’obbligo vaccinale imposto agli operatori sanitari».
Luigi Ippolito per il “Corriere della Sera” il 19 gennaio 2022.
La Gran Bretagna potrebbe essere avviata verso la fine della pandemia: lo sostiene anche l'Organizzazione mondiale della sanità, alla luce degli ultimi dati che vedono i contagi scendere in picchiata. «Guardando dal punto di vista del Regno Unito - ha detto David Nabarro, responsabile per il Covid all'Oms - sembra che ci sia la luce alla fine del tunnel». Dunque «è possibile immaginare che la fine della pandemia non sia troppo lontana», ha aggiunto Nabarro, anche se ha messo in guardia che sarà ancora un percorso «accidentato».
È un ottimismo sostenuto in primo luogo dal governo britannico: «Ci sono segnali incoraggianti che i contagi stiano scendendo in tutto il Paese», ha detto il portavoce di Downing Street, aggiungendo che pure i ricoveri e le presenze in ospedale stanno calando o quanto meno si sono stabilizzati. I nuovi casi di Covid sono crollati di oltre il 40 per cento in una settimana: ieri sono stati 94 mila, rispetto a un picco di 190 mila a Capodanno.
Anche i ricoveri giornalieri sono scesi del 6 per cento rispetto all'inizio dell'anno e ormai ci sono solo 623 persone in terapia intensiva per Covid in tutta la Gran Bretagna. I decessi sono tuttavia in aumento (ieri sono stati 434), probabilmente una coda del picco di contagi appena trascorso: e comunque molto lontani dai 1200 al giorno registrati nel gennaio del 2021. È per questo che già in settimana Boris Johnson potrebbe annunciare la fine delle restrizioni introdotte con l'arrivo della variante Omicron alla fine dell'anno scorso.
In particolare, verrebbe abolito il green pass (che qui vale solo per discoteche e grandi eventi) e sospesa la raccomandazione a lavorare da casa. Come unica misura, rimarrebbero le mascherine nei negozi e sui mezzi pubblici: ma già adesso diversi esponenti del partito conservatore reclamano che anche quest' ultima limitazione sia soppressa, in modo da tornare a fine gennaio alla piena normalità.
A marzo sarebbero revocate anche le disposizioni sulla quarantena. Gli scienziati inglesi ritengono che nel corso di quest' anno il Covid potrà essere trattato come un'influenza: «Presto sarà solo una delle cause del raffreddore comune - ha detto il professor Paul Hunter dell'università dell'East Anglia -. Avremo bisogno di richiami di vaccino per i più vulnerabili, ma non vedo la necessità di un uso generalizzato delle mascherine o dei tamponi. Alla fine, vivremo in una società in cui questo virus circola ampiamente, ma non uccide più le persone».
È l'effetto della campagna di vaccinazione, che qui ha visto oltre il 60 per cento degli ultra-dodicenni ricevere già la terza dose, ma anche della scelta di far circolare il virus nella società, in modo da raggiungere in breve tempo un certo livello di immunità di gregge: si stima che oggi il 95 per cento della popolazione britannica abbia anticorpi al Covid. Una strategia che non si è tradotta in un bilancio drammatico di morti: dall'inizio della pandemia, la Gran Bretagna ha registrato meno decessi dell'Italia in rapporto alla popolazione.
Paolo Russo per "la Stampa" il 19 gennaio 2022.
Intravedere segnali di speranza quando da noi si registra il record di contagi da inizio pandemia e si devono contare 434 morti sembra quasi voler fare un esercizio di ottimismo. Ma gettare uno sguardo a quello che sta avvenendo nel resto del mondo occidentale può aiutarci a non cadere troppo in depressione. Eccezioni Germania e Israele Ieri l'Oms ha voluto rassicurare i sudditi di sua Maestà britannica affermando per bocca del suo «emissario speciale», David Navarro, che oltremanica «sembra ci sia luce in fondo al tunnel».
Dopo essere stato travolto per primo da Omicron, nel Regno Unito i contagi hanno iniziato a scendere: meno 42% l'ultima settimana. Anche se ieri di morti se ne contavano 438, ma sul dato pesano i ricalcoli del weekend. Se Londra vede la luce altrettanto si può dire di New York, dove la media settimanale dei casi è scesa da 40 mila a 28 mila, ma in tutti gli Usa le cose vanno meglio, con un calo del 12% dei nuovi positivi.
In Francia, con più 10% dei casi negli ultimi sette giorni e in Spagna, più 22%, la curva ancora sale, ma la crescita si è sensibilmente raffreddata. In controtendenza sono Germania e Israele, dove nel primo caso i contagi sono risaliti del 42% e nel secondo del 57%. Eppure i tedeschi erano stati i primi ad essere travolti dalla quarta ondata e Israele la prima a vaccinare tutti con la terza dose. Ora persino con la quarta, destinata a sanitari e iperfragili.
Numeri inattesi, che hanno però una spiegazione. A fornircela è Walter Ricciardi, presidente della Federazione mondiale delle società di sanità pubblica e consulente del ministro Speranza: «In Germania l'onda è arrivata prima, quando prevalentemente circolava ancora la Delta, per cui dopo le chiusure i contagi sono scesi, ma ora risalgono per l'impatto ritardato di Omicron. Israele è sì il Paese che per primo ha somministrato il booster, ma pochi ricordano che ha anche quasi il 40% di popolazione che non si vaccina, soprattutto tra gli ultraortodossi».
Una spiegazione che dovrebbe rassicurarci circa il pericolo di nuovi ritorni di fiamma del virus, passata questa tempesta. Ma Ricciardi la fine del tunnel la vede anche da noi. «Entro fine gennaio in Italia toccheremo il picco e la discesa sarà più rapida di quanto si è visto con le vecchie varanti, perché se Alfa impiegava due mesi a tornare sui livelli di partenza, a Omicron ne basta meno di uno. Poi si potrà ragionare di convivenza con il virus». Resta l'anomalia italiana dei morti, che ci vede in testa nella triste classifica tra i Paesi occidentali.
«Questo per quattro motivi», continua Ricciardi. «Abbiamo la popolazione più anziana del mondo dopo il Giappone; i nostri anziani vivono più a lungo ma in peggiori condizioni di salute; abbiamo una potenza di fuoco sanitaria nettamente inferiore a Paesi come la Germania, che ha 53 mila infermieri più di noi e il doppio dei posti in terapia intensiva; altri Paesi non conteggiano come decessi Covid quelli dei positivi morti per altre cause».
Vede la luce anche l'epidemiologo Pierluigi Lopalco. «L'Italia ha una popolazione ampiamente vaccinata, in più quattro ondate epidemiche hanno immunizzato con la malattia un'altra fetta importante del Paese. E anche se Omicron è in grado di reinfettare, una protezione rispetto alle forme gravi di malattia resta».
«Per questo - è la conclusione ottimistica di Lopalco - anche noi ne usciremo presto ed entro febbraio potremo iniziare a convivere con il virus, perché con i livelli di immunizzazione acquisita una nuova ondata non sarà mai né come le precedenti ma nemmeno come questa».
Resta l'incognita delle nuove varianti. Perché la teoria che il virus si modifichi via via sempre in meglio, non è che per virologi e immunologi abbia poi basi scientifiche così solide. E nel mondo di sotto, sempre a corto di vaccini, il Covid sta tornando a far male. In Brasile i contagi sono aumentati del 107% in una settimana, in India del 90%, in entrambi i casi con una dolorosa scia di morti e ricoveri.
E con questi livelli di circolazione del virus, avverte l'Oms, potremmo tornare alla casella di partenza per colpa di qualche nuova variante. Un pericolo che il mondo di sopra potrebbe scongiurare pensando un po' meno alle quarte dosi e un po' più a una ridistribuzione più equa dei vaccini.
Due anni di pandemia Covid-19, ecco come Italia e Germania hanno gestito l’emergenza. I due Paesi fanno scelte simili in diversi settori, dalla necessità della scuola in presenza, al modello 2G (vaccinati o guariti) per accedere a diverse attività. Ma è il dibattito sull’obbligo vaccinale a delineare le maggiori differenze. Erika Antonelli su L'Espresso il 21 gennaio 2022.
La variante Omicron, estremamente contagiosa, spinge in alto i contagi e mette alla prova le misure introdotte per contenere la pandemia. Il 19 gennaio l’Italia ha registrato oltre 228 mila nuovi casi, 434 morti e 1.715 ricoveri in terapia intensiva. In Germania sono più bassi i casi giornalieri (più di 133 mila) e i decessi (234), ma le persone in terapia intensiva sono 2.571. E mentre gli esperti si chiedono se il picco sia stato raggiunto e quando il virus potrà considerarsi endemico, alla stregua di una normale influenza, i governi dei due Paesi continuano a limare i provvedimenti per garantire qualche scampolo di normalità.
Il primo punto fermo, per entrambi, è la scuola in presenza. Italia e Germania ritengono la dad uno strumento da usare solo in caso di necessità. Rispetto al nostro Paese, in cui il governo centrale ha deciso le linee guida sul rientro a scuola, in Germania di fatto ogni Land può scegliere come comportarsi. Ma l’indicazione generale, data dalla Kultusministerkonferenz – l’assemblea dei ministri dell’educazione – è chiara: «Anche se il virus si propaga con nuove varianti non dobbiamo perdere di vista le necessità degli studenti. Ciò significa chiudere solo se non ci sono altre possibilità». Questo ha prodotto anche un alleggerimento delle regole sulla quarantena, criticato da insegnanti e sindacati. Dal sette gennaio infatti gli alunni possono terminarla già dopo cinque giorni e presentando il risultato negativo di un test rapido o antigenico. Le contestazioni arrivano dal presidente dell’associazione tedesca degli insegnanti, Heinz-Peter Meidinger, per cui «se questo ammorbidimento delle regole porterà a più persone infette che girano per le scuole, ci si ritorcerà contro». E da Gew, il sindacato del settore istruzione: «Avere indicazioni poco restrittive significa giocare con la sicurezza di studenti, insegnanti e genitori».
Se sulla scuola in presenza i due Paesi hanno vedute simili, differiscono sulle procedure da adottare per la quarantena. In Italia chi è vaccinato con booster e ha avuto un contatto diretto con un positivo è tenuto a indossare la mascherina Ffp2 per dieci giorni. Che diventano cinque, ma con obbligo di isolamento, nel caso di persone con due dosi effettuate da più di tre mesi. Chi non è vaccinato deve invece osservare 10 giorni di quarantena, che termina con l’esito negativo di un tampone. In Germania al contrario non è prevista alcuna misura di isolamento per i contatti diretti di un positivo che abbiano già il booster, siano guariti o vaccinati con due dosi da meno di tre mesi. Per tutti gli altri la quarantena dura invece dieci giorni e termina senza l’obbligo di eseguire un tampone, a meno che non si voglia accorciare il periodo di isolamento a una settimana.
Per tornare alla normalità, l’Italia impone regole più severe per l’uso di mezzi pubblici e l’accesso al posto di lavoro. Da noi serve il super green pass per andare al ristorante, nei cinema e a teatro; per salire sui mezzi pubblici e, nel caso di lavoratori over 50 del settore pubblico e privato, per accedere al luogo di lavoro. È esteso l’obbligo di green pass base (tampone negativo, guarigione, vaccinazione) per recarsi da estetisti, parrucchieri e barbieri. In caso di mancato rispetto delle norme si rischiano multe dai 400 ai mille euro. E, dal primo febbraio, la forma base del certificato vaccinale sarà necessaria anche per accedere a uffici pubblici, servizi postali e bancari. Nel Paese guidato da Olaf Scholz è pressoché uguale tranne che per salire sui mezzi pubblici e recarsi sul posto di lavoro. In entrambi i casi vale infatti la regola del 3G (la nostra certificazione base, con vaccino, guarigione o tampone negativo eseguito nelle 48 ore precedenti). Il governo tedesco si è inoltre impegnato nella promozione dello smart working per tutte le attività in cui è possibile usufruirne e il datore di lavoro deve offrire ai suoi dipendenti la possibilità di eseguire almeno due tamponi gratuiti a settimana.
Ma è sull’obbligo vaccinale che si riscontrano le differenze maggiori. Da noi è stata introdotta, dall’8 gennaio 2022, una sorta di misura ibrida, riservata ai soli over 50. E l’obbligo vaccinale oltre che al personale scolastico è esteso a quello universitario, senza fasce di età. In Germania invece il dibattito è ancora acceso e lontano da una soluzione comune. A dicembre, la coalizione di governo formata da socialdemocratici, verdi e liberali ha redatto una legge che prevede la vaccinazione obbligatoria per il personale sanitario entro il 15 marzo. Ed è qui che, al momento, si è fermata la discussione. «Abbiamo un alto tasso di vaccinazione, ma non è abbastanza per combattere omicron», ha detto all'emittente pubblica Ard il Cancelliere Olaf Scholz, favorevole all’obbligo. Ma finora nessuno dei partiti al governo si è mosso in questa direzione, neppure il ministro della Salute Karl Lauterbach. E la posizione di Christian Drosten, l’esperto di Covid-19 più in vista del Paese, riflette l’immobilismo della Germania: «Gli obblighi sono strumenti politici», ha detto in un’intervista. Il dibattito prosegue con fatica tra l’ostilità del partito populista di destra Afd, contrario, e il poco entusiasmo della popolazione. Secondo un sondaggio condotto su oltre 5mila persone dal settimanale Der Spiegel, infatti, il 64% è sì favorevole alla misura, ma il dato registra nove punti in meno rispetto al mese precedente.
La questione dell’obbligo vaccinale è spinosa perché costringe il governo a bilanciare un eventuale provvedimento tra due norme contrapposte. Da una parte quanto scritto nella Costituzione tedesca, che impone di proteggere la salute e la sicurezza delle persone e vieta però al governo di interferire con il diritto del singolo di scegliere cosa fare del proprio corpo. Dall’altra l’Infektionsschutzgesetz, la legge sulla protezione dalle infezioni che consente di decidere l'immunizzazione per le fasce di popolazione esposte al rischio di una «malattia contagiosa che presenta esiti clinicamente gravi».
Uno dei principali ostacoli all’introduzione dell’obbligo vaccinale, scrive Zdf, è il rischio di radicalizzazione delle manifestazioni no-vax. Sebbene il numero di tedeschi che negano l'esistenza del Covid-19 sia inferiore al 10 per cento, le proteste contro le restrizioni non accennano a diminuire. Sono diversi i poliziotti attaccati e feriti durante i cortei, che diventano sempre più organizzati per eludere i controlli. È quanto accade sistematicamente a Friburgo, in Sassonia (uno dei Land con la percentuale più bassa di vaccinazioni), in cui ogni lunedì vengono organizzate manifestazioni. Che, secondo la legge tedesca, devono essere preventivamente registrate presso le autorità e possono essere soggette a restrizioni, se rappresentano una minaccia per la sicurezza pubblica. In Sassonia inoltre, per via dell’alto numero di contagi, non dovrebbero riunirsi più di dieci persone. Per aggirare il divieto, riporta Deutsche Welle, i manifestanti si smembrano in piccoli gruppi e iniziano a muoversi, in modo congiunto, solo al suono di un fischietto. Si incontrano e si disperdono non appena arriva la polizia, inscenando una sorta di nascondino. Chi organizza le proteste le definisce dimostrazioni pacifiche, ma poi nelle piazze è facile notare persone vestite da hooligan e con simboli nazisti. Tanto che le manifestazioni contro le misure per contrastare Omicron sono state definite dagli organizzatori “passeggiate”, un termine che ricorda il modo in cui, nel 2014, il movimento estremista Pegida aveva soprannominato le proteste contro i migranti avvenute proprio in Sassonia.
Friburgo sembra quasi il modello in scala della Germania tutta, divisa tra chi sostiene le misure per contrastare la pandemia e chi quella pandemia la nega con tutte le sue forze. La discussione sull’obbligo vaccinale dovrebbe iniziare il prossimo mese, dopo l’apertura di Scholz sulla questione. E, forse, dirà molto su da che parte la Germania vuole stare.
Cina, sale l'onda del Covid: «File di bare nei crematori». E gli Usa: «Così il virus può mutare ancora». Guido Santevecchi su Il Corriere della Sera il 20 Dicembre 2022.
La Cina è passata in pochi giorni dalla certezza della politica Zero Covid a quella che sembra una assenza di piani. I contagi aumentano, il sistema sanitario è in emergenza, aumentano le terapie intensive e diminuiscono le scorte nelle banche del sangue. E dagli Stati Uniti arriva un altro allarme: per l'economia e per le mutazioni di Sars-CoV-2
Dalla politica Covid Zero le autorità cinesi si sono ritirate precipitosamente, ma in questa fase sembra avere zero piani per uscire dalla nuova emergenza.
Di fronte all’esplosione dei contagi, solo la stampa di Partito sembra sapere quello che c’è da fare: dare notizie ottimiste per sostenere psicologicamente la gente disorientata. Così oggi sui giornali di Pechino si legge: «Esperti prevedono il ritorno alla normalità in primavera»; «I virologi dicono che la variante Omicron presenta un rischio minore di causare una malattia grave».
La linea ufficiale è questa: il 7 dicembre le misure per inseguire il Covid Zero sono state cancellate «a seguito dell’accertamento che la patogenicità del coronavirus si era indebolita», ha scritto l’agenzia Xinhua. Però, questa scoperta le autorità l’hanno fatta improvvisamente, dopo la fiammata di proteste in decine di città a fine novembre, con gli slogan urlati a Shanghai contro Xi Jinping.
Il sistema sanitario ha bisogno di aiuto: lo provano gli annunci delle amministrazioni di varie città sulla corsa a rafforzare con nuovi letti le terapie intensive e l’apertura di nuove «cliniche della febbre», che sono centri per la cura dei primi sintomi e servono a diminuire la pressione sugli ospedali. Un altro indicatore di crisi è quello sulla diminuzione delle scorte nelle banche del sangue di almeno sette province: il livello è sceso al 16% rispetto all’anno scorso. I donatori potenziali o sono positivi al Covid-19 o temono di uscire.
Dopo i due di ieri, la municipalità di Pechino ha registrato cinque morti oggi: il numero sembra sempre implausibile a fronte della diffusione dei contagi, che secondo dati non ufficiali avrebbe raggiunto il 40% dei 22 milioni di abitanti della capitale.
La stampa internazionale usa come termometro la situazione nei crematori: in alcuni sono state viste file di carri funebri e raccolte testimonianze di parenti di persone decedute per Covid-19.
Le autorità hanno reagito facendo piantonare dalla polizia le strade di accesso ai due crematori dove ieri i cronisti di Reuters e Bloomberg avevano segnalato le lunghe code di auto nere con corone a lutto e visto personale in tuta protettiva bianca scaricare le bare. Questa mattina l’Agenzia France Presse ha parlato per telefono con un funzionario di un crematorio a Chongqing, megalopoli da 30 milioni di abitanti: «Non abbiamo più spazio per i corpi in lista d’attesa», ha detto ma non ha precisato se la situazione sia stata causata dalle morti per Covid.
Proiezioni con modelli matematici elaborate da istituti internazionali sostengono che nei prossimi mesi il 60% dei cinesi potrebbe essere contagiato. Il portavoce del Dipartimento di Stato americano dice che «considerate le dimensioni del Pil della Cina e quelle della sua economia» c’è da attendersi un impatto sul mondo globalizzato. E aggiunge che bisogna vigilare perché in questa situazione c’è la possibilità che il coronavirus muti ancora mentre si diffonde in Cina e rappresenti una nuova «minaccia per la popolazione mondiale».
Nei giorni scorsi il portavoce del Ministero egli Esteri cinese aveva assicurato che «la Cina ha un vantaggio istituzionale sul resto del mondo». Queste frasi ci ricordano che il virus del sospetto e della rivalità continua a circolare.
Guido Santevecchi per il “Corriere della Sera” il 16 dicembre 2022.
«La vittoria alla fine premierà l'eroismo del cinesi», assicura il Quotidiano del Popolo. Il tg aggiunge che il picco dei contagi è previsto a gennaio e «siamo sulla strada» della fine della crisi sanitaria. Ma le strade di Pechino sono semideserte, nonostante siano state abolite le restrizioni: l'ondata di Covid-19 sta montando nella capitale e la gente si è chiusa in casa.
Giungono notizie analoghe da altre metropoli. Gli studi scientifici temono centinaia di migliaia di decessi nei prossimi mesi in tutta la Cina. Dopo il ritiro improvviso e drammatico dalla trincea del Covid Zero, il 7 dicembre, le autorità hanno rinunciato a contare i contagi: «Inutile senza tamponi obbligatori», dicono. La gente sembra disorientata. A chi ha sintomi lievi è stato detto di autoisolarsi in casa, per non intasare gli ospedali che sono già sotto pressione.
Ci sono testimonianze di medici e infermieri che devono restare in corsia per far fronte all'emergenza anche quando sono contagiati, se non stanno troppo male. La promessa ora è di correre ai ripari con i vaccini. La Commissione sanitaria centrale non ha segnalato decessi: il numero dei morti in questi tre anni di pandemia in Cina è fermo a 5.235.
Inutile discutere sull'attendibilità del dato. La scorsa primavera l'Università Fudan di Shanghai aveva ammonito che riaprire la Cina avrebbe potuto causare fino a 1,6 milioni di morti in sei mesi: il monito serviva a sostenere il rigore dei lockdown, delle quarantene preventive e dei tamponi obbligatori. Comunque il governo si è improvvisamente ritirato dalla trincea Covid Zero dopo le proteste popolari di fine novembre.
Le proiezioni elaborate ora da istituti scientifici cinesi o internazionali indicano che i decessi dell'ondata che sta montando potrebbero arrivare a 600 mila nello «scenario migliore», a 2,1 milioni se i vaccini non arriveranno subito. L'Organizzazione mondiale della sanità, da Ginevra, dice che non è stato l'abbandono del Covid Zero a causare questa situazione: «In realtà i contagi si stavano già diffondendo intensamente perché le misure non fermavano più la malattia», ha affermato il dottor Mike Ryan direttore dell’emergenze all'Oms.
Gli epidemiologi osservano che la scarsa circolazione del coronavirus in Cina nei tre anni di pandemia rende ancora più pericolosa questa fase di riapertura: la maggioranza dei cinesi non è stata esposta al Covid-19 e alle sue molte varianti e ora è più fragile. Il tasso di mortalità più elevato è previsto nella fascia degli ultraottantenni, dei quali il 60% non ha ricevuto più di una dose di vaccino. Uno studio commissionato da Pechino agli scienziati della University of Hong Kong prevede che la Cina soffrirà tra i 448 e i 530 decessi per milione di abitanti. Su una popolazione di 1,4 miliardi questo scenario implicherebbe tra i 627.000 e i 742.000 morti.
Gennaio e inizio marzo fu aggredita da Omicron e contò 9.000 morti tra i suoi 7,2 milioni di cittadini. Pechino promette di spingere al massimo della velocità la vaccinazione, portando la diffusione della quarta dose almeno all'85% e facendo subito ricorso ai farmaci antivirali. All'industria statale è stato ordinato di accelerarne la produzione. Il ministero degli Esteri di Pechino sostiene che «la Cina ha un vantaggio istituzionale» sul resto del mondo. Il problema è che il Covid-19 sfugge alle logiche della politica, a Pechino come nel resto del mondo.
Da Covid Zero a mortalità (quasi) zero: così Xi pensa di cambiare la strategia della Cina sulla pandemia. Guido Santevecchi su Il Corriere della Sera il 3 Dicembre 2022.
Dopo le proteste, Xi Jinping inizia ad allentare le restrizioni legate alla pandemia: si è convinto che la variante Omicron sia meno pericolosa
Immagini e affermazioni nuove sull’allentamento della linea Covid Zero arrivano dalla Cina e corrono sui social.
Si vedono cabine per i tamponi ritirate dalle strade di Pechino, aeroporti che tolgono i cartelloni con l’ordine di test negativo per entrare; addirittura vigilanti in tuta bianca che si sono scritti sulla schiena, a pennarello: «Fine».
Il fatto più significativo è che Xi Jinping si è convinto che Omicron è meno pericolosa e che gli studenti cinesi hanno protestato perché sono frustrati per i tre anni di vita sospesa, prigioniera nella gabbia delle restrizioni sanitarie. Si potrebbe anche ipotizzare che al momento Xi ritenga più pericoloso il virus delle proteste nelle università rispetto al coronavirus.
Non ha parlato in pubblico Xi Jinping, maha riferito le sue considerazioni a Charles Michel , il presidente del Consiglio europeo che gli ha fatto visita giovedì a Pechino.
Funzionari di Bruxelles riferiscono che il leader cinese ha detto proprio questo: «La variante Omicron è risultata meno letale e dunque permette maggior flessibilità nelle restrizioni sanitarie». E poi avrebbe osservato che le proteste scoppiate lo scorso fine settimana a Shanghai, Pechino, in altre decine di città e campus universitari sono il segno che «la gente è frustrata» dopo tre anni di pandemia, «soprattutto i giovani».
Debbono aver causato un forte allarme tra i compagni del Politburo comunista le immagini delle manifestazioni (e i rapporti della sicurezza statale sul sentimento della gente). C’è stata una virata, se non proprio un’inversione di rotta.
La stampa statale e la vicepremier Sun Chunlan, finora inflessibile zarina del Covid Zero hanno preparato il terreno annunciando «la scoperta degli scienziati cinesi sulla patogenicità di Omicron geometricamente calata». La Cina può entrare in «una fase nuova» , ha detto Sun.
Le autorità di diverse metropoli hanno cominciato a comunicare misure per l’allentamento della pressione: a Pechino nel distretto centrale di Chaoyang, abitato dalla classe media, i positivi asintomatici e i loro contatti stretti potranno fare la quarantena a casa (non più in centri di controllo simili a lazzaretti); da lunedì ritirato l’obbligo di tampone negativo nelle 48 ore precedenti per prendere i mezzi pubblici ed entrare in centri commerciali e parchi pubblici.
Disposizioni simili a Tianjin, Guangzhou, dove martedì scorso c’era stata guerriglia urbana; a Chengdu, a Shenzhen.
Non c’è da credere che Xi dichiari pubblicamente la fine del tentativo di azzerare il coronavirus dal territorio nazionale: sarebbe ammettere di aver sbagliato i calcoli e la politica sanitaria e sociale. Ma le parole apparentemente pronunciate da Xi nel colloquio con Michel e quelle dette in pubblico dalla vicepremier Sun fanno pensare che il Partito sia pronto finalmente a ritirarsi dalla trincea insostenibile del Covid Zero per attestarsi su quella della «mortalità zero».
Impossibile anche questa, come sappiamo (in Italia ci sono ancora 500 morti a settimana). Ma le autorità cinesi si sarebbero convinte che una forte ripresa della campagna di vaccinazione possa limitare il costo umano dell’operazione. E sta preparando l'opinione pubblica a sopportare un certo numero di morti, nella fascia più anziana della popolazione: la settimana scorsa Pechino ha dichiarato tre decessi di pazienti tra gli 87 e i 91 anni, aggiungendo che soffrivano di patologie pregresse e che il Covid ha dato solo il colpo di grazia.
La Commissione sanitaria centrale ha comunicato che nelle ultime 24 ore sono stati rilevati 33.018 casi di positività, dei quali 29.085 asintomatici (più o meno lo stesso numero dell’Italia, ma su 1,4 miliardi di cittadini, non meno di 60 milioni come da noi). Il dato fa pensare che il picco di contagi in Cina sia vicino, dicono le autorità.
«Scoperto» che con i vaccini si può evitare nella stragrande maggiorana dei casi la malattia grave e il ricovero, la Cina forse è pronta a convivere con gli strascichi della pandemia.
Il dubbio più grave riguarda l’esperienza dei Paesi che già da molti mesi hanno scelto la «strategia di uscita» dall’emergenza permanente: a Taiwan, ci sono stati 11 mila decessi in sei mesi e l’isola ha un sistema sanitario migliore di quello cinese e una diffusione della vaccinazione più alta. Se si fa la proporzione tra quel dato e la popolazione della Cina si arriva a 620 mila morti. Ma ci sono studi che portano il numero dei morti nella nuova fase a due milioni.
L’Organizzazione mondiale della sanità, da Ginevra si dice «compiaciuta» nel vedere l’allentamento di alcune restrizioni in Cina. «È davvero importante che i governi ascoltino le loro popolazioni quando esprimono sofferenza», ha detto il dottor Michael Ryan che dirige il Dipartimento Emergenze dell’Oms. Il direttore dell’Organizzazione, il dottor Tedros Adhanom Ghebreyesus, però avverte che una nuova variante capace di causare «mortalità significativa» è sempre possibile. La Cina è in stato confusionale, ma anche il governo sanitario del pianeta è sempre ostaggio dei dubbi.
(ANSA il 30 novembre 2022) Nuovi scontri sono scoppiati la notte scorsa a Guangzhou, il capoluogo del Guangdong, contro le misure anti-Covid che da settimane stanno interessando la città nell'ambito degli sforzi per contenere i focolai di infezione. In base ai video postati sui social in mandarino, il personale di sicurezza in tuta bianca anti-pandemica ha formato una barriera spalla a spalla, riparandosi sotto gli scudi antisommossa, per proteggersi dal lancio di oggetti e farsi strada nel distretto di Haizhu, con 1,8 milioni di residenti e molti lavoratori migranti. Una decina di persone è stata portata via dalla polizia con le mani legate con fascette.
Si tratta dell'ultimo episodio di insofferenza verso le misure draconiane di contenimento che vengono applicate in Cina dall'inizio della pandemia. Nel weekend si sono avute inedite proteste a Shanghai, a Pechino e in altre grandi città, in quella che è apparsa come la principale ondata di disobbedienza civile in Cina da quando il presidente Xi Jinping ha preso il potere a fine 2012 e dagli eventi sanguinosi di Piazza Tienanmen del 1989.
Lorenzo Lamperti per "la Stampa" il 30 novembre 2022.
Bastone e bavaglio da una parte, un po' di carota dall'altra. Il governo cinese prova a ristabilire l'ordine stringendo ulteriormente le già fitte maglie del controllo fisico e virtuale, mentre inizia a far intravedere la luce in fondo al tunnel delle restrizioni anti-Covid, motivo scatenante (ma non unico) delle proteste.
La commissione centrale per gli affari politici e legali del Partito comunista ha scelto la linea dura disponendo di «reprimere con decisione gli atti illegali e criminali che turbano l'ordine sociale e mantenere efficacemente la stabilità». Sono state rafforzate le misure di sicurezza per prevenire le manifestazioni e la polizia si è attivata in maniera proattiva per controllare il territorio (a partire dalle università) e individuare chi supporta le proteste. Diversi video girati sui social mostrano agenti controllare foto e video sugli smartphone dei cittadini.
Nel mirino anche le app e le vpn utilizzate per aggirare la grande muraglia digitale. La Tsinghua University di Pechino ha chiesto agli studenti di non parlare coi giornalisti stranieri la cui identità non può essere verificata. In tanti segnalano di aver ricevuto telefonate della polizia con la richiesta di smettere di condividere materiale sulle proteste nelle chat. C'è chi racconta che sono stati «avvertiti» anche i propri genitori.
L'obiettivo è duplice: bloccare la diffusione di informazioni giudicate pericolose per la sicurezza nazionale e disconnettere i cittadini scoraggiando nuove azioni di gruppo. Il risultato è che si diffonde un senso di paranoia nel quale diventa difficile fidarsi degli interlocutori, reali o virtuali. Con la paura diffusa di finire nel mirino delle autorità. Il tutto mentre si prova a spingere la retorica delle interferenze esterne. In un video girato durante una delle proteste, si vede un giovane prendere il megafono e chiedere di fare attenzione perché «siamo circondati da forze estere anti-cinesi».
Qualcuno ha replicato: «Intendi Marx ed Engels? Qui siamo tutti patrioti».
Allo stesso tempo, si prova a mostrare di voler aggiustare almeno parzialmente le politiche anti Covid. La commissione nazione per la sanità ha chiesto ieri di revocare «in maniera tempestiva» le misure di controllo qualora possibile e promette di «gestire» le misure considerate «eccessive».
I cittadini sperano non sia solo una promessa fatta per calmare gli animi. Già in passato avevano sperato in allentamenti mai davvero avvenuti. In ogni caso non si parla di una riapertura, ma un'applicazione meno estensiva delle regole da parte delle autorità locali. «Alcune aree hanno ampliato arbitrariamente la portata delle zone e delle persone poste sotto controllo, mentre altre hanno attuato restrizioni per periodi eccessivamente lunghi», ha dichiarato Chenq Youquan del centro di prevenzione e controllo in una conferenza stampa, annunciando la creazione di task force speciali per «rettificare le restrizioni superflue».
Un modo anche per spostare l'attenzione sui funzionari provinciali. Intanto si cerca di dare impulso alla campagna vaccinale dei più anziani. Solo il 65,8 per cento degli over 80 ha ricevuto almeno due dosi. Qualche segnale dai media. Il Beijing News ha pubblicato delle interviste con dei pazienti guariti: interessante shift narrativo per ridurre preoccupazioni e stigma sociale. Ma sull'agenzia di stampa statale Xinhua resta la rivendicazione dell'efficacia della strategia generale, promossa d'altronde da Xi Jinping in persona, e la richiesta di continuare a combattere la «guerra» contro il virus: «La tenacia è vittoria». Tanti cinesi sanno però di non essere inclusi nella lista dei vincitori.
Federico Rampini per il "Corriere della Sera" il 30 novembre 2022.
Le proteste che agitano la Cina, scatenate dalle tremende restrizioni per la pandemia, in Occidente evocano il ricordo della grande rivolta di piazza Tienanmen nel 1989. I paragoni per adesso sono esagerati. L'occupazione di piazza Tienanmen da parte degli studenti che chiedevano libertà e democrazia, fu preceduta da mesi di manifestazioni con milioni di persone in piazza in tutte le città.
Era una Cina povera, dove le aspirazioni sui diritti si mescolavano a privazioni gravi: una forte inflazione aveva decurtato il potere d'acquisto. I vertici del Partito comunista erano spaccati fra correnti. Il patriarca Deng Xiaoping dovette uscire dal suo semi-pensionamento e orchestrare un golpe militare, per esautorare un premier riformista che cercava il dialogo con gli studenti.
La Cina di Xi Jinping è una superpotenza con una ricchezza economica e un livello tecnologico più vicini agli Stati Uniti. La sua popolazione gode di un benessere che nessuno immaginava 33 anni fa.
Questo progresso spettacolare è un successo dell'intera nazione, dagli operai agli imprenditori, protagonisti di un decollo economico senza precedenti nella storia umana (in queste dimensioni). Il regime si assume il merito di aver governato questo miracolo. Lo ha consentito in tanti modi, per esempio garantendo sicurezza e stabilità.
In nome di queste, ha costruito un formidabile apparato poliziesco: per decenni Pechino ha dedicato alla sicurezza interna perfino più risorse di quante ne dedicasse al riarmo dell'esercito. Le tecnologie del Grande Fratello cinese sono impressionanti. Altrettanto prezioso è il vecchio apparato dei comitati di quartiere, una rete capillare di volontari controllati dal Partito comunista.
Marxista-leninista, confuciano, tecnocratico, ma anche «partito d'ordine». Su questo tema Xi Jinping giustificò il pugno duro contro i manifestanti di Hong Kong: descrivendo quei ragazzi come teppisti anarcoidi al servizio di potenze straniere. È la narrazione revisionista che il regime ha calato sui fatti di Tienanmen: ex post, il massacro compiuto dall'esercito nel 1989 fu legittimato con il rischio che la Cina ricadesse in un disordine sanguinoso simile a quello della Rivoluzione culturale maoista.
Oggi al vertice del partito non sono visibili delle correnti in lotta. Xi ha eliminato i rivali; i fautori di linee politiche alternative sono quasi tutti in carcere, con il pretesto della lotta alla corruzione. Solo al comando, almeno per adesso, è contro se stesso che Xi deve combattere se vuole correggere gli errori che ha accumulato. Il Covid è la sfida più tremenda nell'immediato. Per una nemesi storica, il regime che ha mentito al mondo intero sulle origini della pandemia, ha mentito anche a se stesso. Xi ha descritto la politica «zero Covid» come un trionfo in contrasto con la débâcle dell'Occidente.
Si è infilato in un vicolo cieco perché «zero Covid» implica la paralisi, ripetuta e prolungata, a colpi di lockdown. Se dovesse rilassare quella strategia, in cambio della ritrovata libertà di movimento cosa si può aspettare? Il Covid ha fatto un milione di morti negli Stati Uniti (in linea con la media occidentale), per proporzione demografica dovrebbe farne quattro milioni in Cina. Ma le proporzioni non reggono perché la Cina ha ospedali più arretrati e vaccini meno efficaci.
Pechino dovrebbe replicare una «liberalizzazione controllata» sul modello dei vicini coreani, giapponesi e taiwanesi, campioni del mondo per il basso numero di vittime del Covid. Ma a Tokyo, Seul e Taipei la disciplina sociale, il rispetto delle regole e l'igiene preventiva si accompagnano a sistemi sanitari ben più evoluti. Xi ha promesso al suo Paese qualcosa che forse è impossibile, è prigioniero della sua stessa propaganda.
Gli errori si cumulano. In economia il ritorno allo statalismo coincide con un rallentamento della crescita e l'aumento della disoccupazione giovanile. In politica estera l'appoggio a Putin in Ucraina inasprisce la guerra fredda con gli Stati Uniti e accelera una crisi della globalizzazione che penalizza l'economia cinese. Parlare di un'altra Tienanmen per il momento non ha senso, però qualcuno al vertice del partito comincerà a preoccuparsi per i segnali di esasperazione nel ceto medio e tra gli studenti universitari: due constituency finora fedeli al regime.
Articolo di "The Economist" – dalla rassegna stampa estera di "Epr comunicazione" il 30 novembre 2022.
Ma mantenerla assicura una prospettiva economica negativa per il 2023 – scrive The Economist
Non tutte le aziende hanno lottato nell'era del Covid zero in Cina. Andon Health, una società quotata a Shenzhen che produce test e dispositivi medici per il Covid, ad esempio, ha registrato un aumento del 32.000% dei profitti netti nel terzo trimestre dell'anno, rispetto allo stesso periodo del 2021, grazie alla produzione di dispositivi di analisi per la Cina e l'America.
Le 35 maggiori aziende produttrici di test per il covid-19 hanno registrato un fatturato di circa 150 miliardi di yuan (21 miliardi di dollari) nella prima metà del 2022, dando vita a una nuova generazione di magnati della pandemia.
Ma al di fuori del complesso industriale cinese del covid, l'economia sta soffrendo. Le serrate e le onerose restrizioni alla circolazione hanno bloccato la fiducia dei consumatori e la crescita economica. Negli ultimi quindici giorni hanno ispirato proteste in tutto il Paese, con un'escalation di tensioni nel fine settimana. Il 27 novembre, nelle strade di Shanghai, i giovani hanno respinto la prospettiva di test e chiusure infinite, scandendo: "Non vogliamo i covid test, vogliamo la libertà".
Gli effetti economici del tentativo della Cina di liberarsi del virus non sono mai stati così chiari. La circolazione delle persone è stata severamente limitata. Nella settimana del 14 novembre, con l'aumento dei casi di covid, il numero di voli nazionali è diminuito del 45% rispetto all'anno precedente.
Le tre maggiori compagnie aeree cinesi hanno perso complessivamente 74 miliardi di yuan nei primi nove mesi del 2022. Secondo la banca d'affari australiana Macquarie, il traffico della metropolitana nelle dieci maggiori città cinesi è diminuito del 32% rispetto all'anno precedente. Gli incassi al botteghino, un indicatore della disponibilità delle persone a uscire, sono crollati del 64%. Solo il 42% dei cinema cinesi era aperto il 27 novembre. Alcuni dei cinema più grandi hanno chiuso del tutto.
Le chiusure sono ora in atto in città che rappresentano circa un quarto del PIL cinese, superando il precedente picco di circa un quinto a metà aprile, quando Shanghai fu chiusa, secondo un indice compilato da Nomura, una banca d'investimento giapponese. Il tasso di disoccupazione giovanile in Cina ha raggiunto un livello record a luglio (19,9%). Nella settimana del 25 novembre, il volume di merci trasportate su strada è stato inferiore del 33% rispetto all'anno precedente.
Con le infezioni da Covid che hanno raggiunto livelli mai visti prima, i responsabili delle politiche economiche stanno cercando di stimolare l'economia. La banca centrale ha annunciato una riduzione dei coefficienti di riserva obbligatoria degli istituti di credito. I tecnocrati hanno cercato di ridare vita e fiducia al mercato immobiliare cinese, le cui vendite sono crollate nell'ultimo anno.
Le misure di alleggerimento annunciate a metà novembre hanno cercato di aiutare i costruttori in difficoltà ad accedere al credito, in modo da poter continuare a costruire. Si prevede che il sentimento migliorerà un po' col tempo. Ma le continue chiusure e la scarsa fiducia dei consumatori probabilmente impediranno ai potenziali acquirenti di fare acquisti. E le prospettive per l'economia nel suo complesso nel 2023 appaiono sempre più cupe.
Tenere fuori il Covid una volta sembrava un buon piano. Mentre il resto del mondo soffriva per la diffusione apparentemente inarrestabile delle nuove varianti nel 2021, la Cina sembrava essere tornata in gran parte alla vita normale. I suoi decessi legati al virus sono una minuscola frazione dei decessi legati al virus nel resto del mondo.
Ma anche se altri luoghi hanno imparato a convivere con il virus nel 2022, la politica cinese in materia di Covid, a partire dalla chiusura di Shanghai, il principale centro commerciale del Paese, è apparsa del tutto disorganizzata e repressiva. I cittadini sono stati sottoposti a test infiniti. Le aziende e le aree residenziali possono essere chiuse senza preavviso. Gli spostamenti tra città e province sono diventati gravosi, con ogni governo locale che applica la propria versione di restrizioni coercitive.
Le voci di riapertura si sono rincorse per settimane, mandando in tilt i titoli cinesi. L'11 novembre il governo centrale ha emanato un elenco di 20 misure volte ad allentare le restrizioni relative al covid, come l'eliminazione della necessità di quarantena per i contatti secondari e la riduzione della quarantena per i viaggiatori in entrata da sette a cinque giorni. Le misure sono state accolte dai mercati azionari come un segno che la Cina stava pianificando l'eliminazione graduale del virus zero-covid. Ma la leadership cinese non intendeva inviare un simile segnale.
L'allentamento è stato invece solo una messa a punto della politica, volta probabilmente a renderla più sopportabile per un periodo più lungo. E anche in questo caso, gli allentamenti sono stati attuati in modo disordinato. Con l'aumento del numero di casi in molte città, i funzionari locali sono tornati ad applicare misure di blocco ampie e arbitrarie.
Con la pressione che cresce su molti fronti, i leader di Pechino devono fare i conti con l'idea che alla fine perderanno il controllo sia del virus sia della pazienza del pubblico. Il percorso da seguire è oscuro. Pochi analisti ritengono che la Cina si stia preparando a una riapertura imminente. Al contrario, molti vedono un periodo di confusione e di dolorosi errori politici immediatamente a venire. Per almeno i prossimi quattro mesi, o fino a dopo un'importante riunione politica a marzo, i leader di Pechino dovrebbero sostenere il metodo zero-covid, cercando al contempo di perfezionare i propri metodi. Questa situazione potrebbe protrarsi per gran parte del 2023 se le autorità del governo centrale non riusciranno a elaborare una strategia di uscita.
In queste condizioni, le prospettive per l'economia sono pessime. È probabile che le chiusure di aziende, aree residenziali e persino interi quartieri continuino, anche se potrebbero essere evitate le chiusure totali della città. I funzionari locali potrebbero anche farlo senza annunciare formalmente le chiusure, nel tentativo di sembrare in linea con le nuove misure di allentamento. Questo non farà che aumentare la confusione. Molti degli attuali problemi che affliggono le compagnie aeree e cinematografiche probabilmente continueranno e si estenderanno ad altre attività rivolte ai consumatori.
Le multinazionali possono aspettarsi continue perturbazioni. E anche i consumatori americani che acquistano un nuovo telefono avranno un assaggio di zero-covid. La recente chiusura di uno stabilimento cinese che assembla gli iPhone ha causato gravi disagi ad Apple. La fabbrica, che impiega 200.000 persone ed è di proprietà della Foxconn, un'azienda taiwanese, è stata colpita da un'epidemia in ottobre che ha costretto a una chiusura parziale. Il cibo scarseggiava. I rifiuti si sono accumulati. All'inizio di novembre molti dipendenti si sono dati alla fuga, saltando sui muri e percorrendo le autostrade nel tentativo di tornare a casa.
Con la pressione che cresce su molti fronti, i leader di Pechino devono fare i conti con l'idea che alla fine perderanno il controllo sia del virus sia della pazienza del pubblico. Il percorso da seguire è oscuro. Pochi analisti ritengono che la Cina si stia preparando a una riapertura imminente. Al contrario, molti vedono un periodo di confusione e di dolorosi errori politici immediatamente a venire. Per almeno i prossimi quattro mesi, o fino a dopo un'importante riunione politica a marzo, i leader di Pechino dovrebbero sostenere il metodo zero-covid, cercando al contempo di perfezionare i propri metodi. Questa situazione potrebbe protrarsi per gran parte del 2023 se le autorità del governo centrale non riusciranno a elaborare una strategia di uscita.
C'è anche la possibilità di un 2023 ancora più disordinato, in cui i casi si scatenano e le autorità sono costrette ad abbandonare lo "zero-covid". Molti osservatori cinesi sono stati allettati dalle prospettive di una fine - pianificata o forzata - di questa politica. Alcuni hanno immaginato che il Paese passerà dall'attuale stato sclerotico al business as usual, con interruzioni minime tra le due fasi. Questa prospettiva rosea non tiene conto di quello che potrebbe diventare uno dei più grandi sconvolgimenti della sanità pubblica a memoria d'uomo: una vasta recrudescenza di casi in una popolazione quasi del tutto nuova al virus.
Questo periodo potrebbe includere un rallentamento pervasivo delle attività commerciali. Sia i negozianti che gli acquirenti potrebbero scegliere di rifugiarsi a casa. Le fabbriche potrebbero smettere temporaneamente di funzionare quando le infezioni si diffondono nei reparti di produzione. La confusione politica e le incongruenze tra contee, città e province potrebbero bloccare le catene di approvvigionamento per settimane.
Alcuni funzionari locali, che negli ultimi tre anni sono stati addestrati a evitare a tutti i costi i casi di covid, probabilmente si affiderebbero a chiusure furtive per limitare la diffusione. Queste condizioni, se la trasmissione del virus avviene abbastanza rapidamente, potrebbero durare almeno un trimestre. Secondo Ting Lu di Nomura, le regioni interessate dalle chiusure in questa fase potrebbero rappresentare fino al 40% del PIL, con un calo della produzione nell'arco di uno o due trimestri.
Anche se la Cina dovesse porre fine immediatamente al regime di zero-covid, gli effetti economici positivi non si farebbero sentire prima del 2024, sostengono gli analisti della società di consulenza Capital Economics. Il periodo intermedio sarebbe caratterizzato da turbolenze e instabilità. La crescita sarebbe bassa e, a seconda di come le autorità locali attuano le restrizioni sul covid, le proteste potrebbero continuare.
Lockdown: ora Trudeau e Bassetti difendono le proteste in Cina (sconfessandosi da soli). Enrica Perucchietti su L'Indipendente il 30 novembre 2022.
«Tutti in Cina dovrebbero essere autorizzati a protestare. Continueremo ad assicurarci che la Cina sappia che sosterremo i diritti umani e le persone che si esprimono». Così il Primo Ministro canadese Justin Trudeau ha appoggiato martedì i manifestanti in Cina, difendendo il loro diritto di protestare contro la politica di "tolleranza zero" al Covid, che ha visto il susseguirsi di lockdown molto rigidi e i test Pcr quasi quotidiani della popolazione. Trudeau ha aggiunto che è importante che le autorità cinesi rispettino il diritto dei giornalisti a informare, «a fare il loro lavoro».
Dietro l’apparente anelito per la libertà a supporto della libera informazione e delle proteste in Cina, c’è lo stesso leader politico che, pochi mesi fa, ha adottato misure repressive e liberticide contro il Freedom Convoy. Il premier canadese, che ora si appella alla libertà di protesta e di espressione, è lo stesso che tra fine gennaio e febbraio ha schiacciato con la violenza le rivendicazioni dei camionisti contro l’abolizione dell’obbligo vaccinale per i lavoratori transfrontalieri voluto dal governo. Quando la protesta si è diffusa a macchia d’olio oltreoceano ad altri Paesi, Trudeau si è visto costretto a scappare e a invocare l’Emergencies Act, un provvedimento che ha autorizzato il Governo ad adottare "misure temporanee speciali". La polizia ha inoltre represso con la violenza le proteste usando spray urticanti e granate stordenti, arrestando i manifestanti e rimorchiando i veicoli. Come se non bastasse, il governo canadese ha congelato i conti bancari di alcune persone ritenute coinvolte nelle proteste, dimostrando che l’allarme lanciato da ricercatori e attivisti negli ultimi anni era tutt’altro che una paranoia cospirazionista: con l’identità e la moneta digitali si rischia di reprimere il dissenso cancellando con un click la liquidità di coloro che dovessero manifestare contro il Sistema.
Se tali grottesche contorsioni mentali fanno breccia su coloro che hanno la memoria corta e si sono già dimenticati le misure liberticide adottate dal governo canadese che, è bene ricordarlo, sono state tra le più radicali al mondo, a essere vittima di una simile forma di bipensiero orwelliano è, nel nostro Paese, Matteo Bassetti.
A cinguettare un post a sostegno delle proteste cinesi e a parlare di "scintilla di libertà" è lo stesso infettivologo che, non solo non ha mai speso una sola parola a sostegno delle proteste contro il Green Pass nel nostro Paese, ma a dicembre del 2021 invocava l’obbligo vaccinale e auspicava l’intervento dei carabinieri per i No vax: «Per queste persone ci vorrebbe l’obbligo vaccinale, ma quello serio: ti mando i carabinieri a casa a prenderti».
Lo stesso Bassetti, che ora paragona le proteste in Cina a quelle di Piazza Tienanmen del 1989 e su Facebook critica la politica cinese zero Covid, giudicandola «assolutamente sbagliata, antiscientifica, assurda e autoreferenziale», è lo stesso che nell’agosto 2021 equiparava gli scettici del siero a "terroristi": «Vanno trattati come tali, sono un movimento sovversivo, sono dei terroristi». Bassetti, che è stato complice nel processo di criminalizzazione del dissenso, ora, paradossalmente, saluta i manifestanti in Cina come eroi rivoluzionari.
Il popolo del web si è scatenato contro Trudeau e Bassetti, rinfacciando loro, chi con rabbia e chi con ironia, la falsità mostrata e ricordando quanto da questi sostenuto fino a pochi mesi fa.
La schizofrenia delle dichiarazioni di leader ed esperti che si sconfessano da soli, sta manifestando il cortocircuito delle politiche adottate per il contrasto della pandemia, ora che sempre più studi scientifici ne stanno avvalorando non solo l’inconsistenza ma anche gli errori macroscopici che hanno portato alla costituzione di nuove forme di autoritarismo tecno-sanitario fatto di compressione delle libertà, vessazioni e discriminazioni, creando un pericoloso precedente per le democrazie occidentali.
Se cambiare opinione è assolutamente lecito, piegare la verità alle proprie esigenze, falsare il passato, ingannare l’opinione pubblica appare semplicemente un espediente retorico, una tattica propagandistica, una forma di convenienza per ricucirsi un’aura di credibilità e riciclarsi quando il castello di carte inizia a sgretolarsi perché il vento cambia. [di Enrica Perucchietti]
Guido Santevecchi per il “Corriere della Sera” il 29 novembre 2022.
Il Partito-Stato non sta crollando in Cina. Eppure Xi Jinping e compagni tecnocrati sono finiti nel guado di una crisi economica e sociale che si sono inflitti da soli, inseguendo il sogno irrealizzabile di eliminare il Covid-19 dal territorio nazionale, per dimostrare la superiorità del modello autoritario e repressivo al «caos occidentale».
La disobbedienza civile della gente scesa in strada a Shanghai, Pechino, Guangzhou, Wuhan e la mobilitazione simultanea degli studenti in decine di campus universitari durante il fine settimana rappresentano una sfida alle restrizioni sanitarie, che sono una scelta politica di Xi.
Non si può più dire che siano «manifestazioni senza precedenti per la Cina», perché già in primavera Shanghai era stata segnata da proteste e tafferugli, con la gente esasperata per due mesi consecutivi di lockdown, per gli ingressi dei palazzi circondati da gabbie e la difficoltà di ricevere rifornimenti alimentari, per decine di migliaia di cittadini spediti a forza nei lazzaretti. Mentre il resto del mondo si era già riaperto e aveva deciso di «convivere» con gli strascichi della pandemia, soprattutto grazie ai vaccini.
L'altra notte però, a Shanghai centinaia di persone hanno cominciato a scandire «Abbasso il Partito comunista», «Xi Jinping dimissioni», «Basta tamponi, vogliamo lavoro e diritti».
Sono le stesse parole che erano state scritte in due striscioni appesi a un ponte di Pechino nel distretto di Haidian a ottobre, pochi giorni prima del Congresso del Partito che ha consegnato a Xi il terzo mandato da segretario generale: quel giorno era stato un contestatore solitario a sfidare la polizia, lo avevano arrestato dopo pochi minuti ed è scomparso in una cella, ma le foto della sua protesta erano state diffuse sul web.
Prima dell'intervento massiccio della censura, sui social mandarini era circolato l'hashtag #HaidianPiccolaScintilla , un riferimento a una frase rivoluzionaria attribuita a Mao: «Una piccola scintilla può incendiare la prateria». Quelle parole sono rimaste nella memoria dei cinesi che domenica notte sono scesi in strada. E quando si muovono i giovani universitari per invocare libertà, il fuoco può correre.
Se a Shanghai e Pechino i dimostranti erano poche centinaia, la settimana scorsa si era ribellata un'intera città operaia: la famosa e famigerata iPhone City di Zhengzhou dove 200 mila lavoratori assemblano gli apparecchi della Apple, confinati da settimane negli impianti per evitare la diffusione dei contagi all'esterno.
Xi Jinping ha ripreso a viaggiare, il 14 novembre è sbarcato al G20 di Bali con la moglie al fianco, senza mascherina dopo l'autoisolamento (sanitario e politico) che si era autoimposto dal gennaio del 2020. L'11 novembre il suo Politburo aveva annunciato un ammorbidimento delle restrizioni per i cinesi, per «ottimizzare l'impatto sull'economia e la vita della gente».
Ma di fronte a una ripresa della circolazione del coronavirus sono subito tornati i lockdown. La classe media è delusa, frustrata e sconcertata. Prima della pandemia 150 milioni di cinesi andavano all'estero in vacanza ogni anno: ora possono al massimo sperare di visitare parchi e musei nazionali, se non sono chiusi per precauzione. Le attività industriali e commerciali, i servizi soffrono: gli economisti prevedono che il Covid Zero porti solo crescita zero nel quarto trimestre di questo 2022.
Sicuramente Xi sta riflettendo sulle proteste simultanee in città e università. Non può illudersi che la censura spazzi via dal web tutte le immagini e le critiche. Le forme di contestazione si rinnovano giorno dopo giorno, con la creatività degli studenti che ora sui social mettono post vuoti o con poche parole di scherno e sfida: «Tutto bene, inutile spiegare, tanto tutti sanno».
E poi ci sono quei fogli bianchi sventolati davanti a funzionari di Partito e poliziotti, per dire che anche cancellare la verità non cambia la realtà. La linea Covid Zero non funziona più, la gente è tanto esasperata da scendere in strada (e ci vuole molto coraggio a Pechino). I tecnocrati comunisti sembrano in stato confusionale, forse non avevano detto a Xi tutta la verità: è questo il rischio principale di un potere piramidale con un uomo solo al comando per molti anni.
Inseguendo l'azzeramento dei contagi, impossibile con tutte le varianti del coronavirus che si sono succedute, la Cina ha sprecato fondi enormi per costituire un sistema di sorveglianza sanitaria che è diventato repressione: obbligo di tampone quotidiano per potersi muovere, lockdown a intermittenza, costruzione di lazzaretti, centinaia di migliaia di vigilanti in tuta bianca. Una formula che all'inizio della pandemia ha evitato molti contagi e morti ma che è insostenibile, un incubo.
È anche probabile che Xi sia nel guado perché gli sono stati riferiti i risultati delle proiezioni degli epidemiologi cinesi e internazionali. Pechino ha perso troppo tempo e troppe risorse senza costruire una strategia di uscita dalla gabbia delle restrizioni sanitarie. Al momento i contagi sono limitati a circa 40 mila al giorno.
Ma se la Cina riaprisse ora, con i suoi vaccini meno efficaci e meno diffusi di quelli occidentali, con i suoi ospedali meno preparati, nei prossimi sei mesi si registrerebbero 363 milioni di contagi e 620 mila morti. Dopo tre anni di sofferenze per i lockdown neanche Xi potrebbe spiegare ai cinesi la gravità del fallimento, ammettendo che il Partito-Stato funziona peggio delle democrazie occidentali.
Estratto dell’articolo di Lo. Lam. per “la Stampa” il 29 novembre 2022.
[…] almeno 16 città cinesi coinvolte in proteste senza precedenti per vastità e contenuti negli ultimi decenni, una battuta d'arresto. I giovani che intonavano l'Internazionale e l'inno cinese, ma anche slogan in cui chiedevano libertà d'espressione e la fine delle restrizioni anti Covid, hanno lasciato posto alle macchine della polizia. […] La censura si è impossessata anche del web: contenuti e parole chiave sono stati bloccati, mentre i social sono stati invasi di messaggi promozionali (spesso a luci rosse) rendendo difficile la navigazione. Altri segnalano come la regia della tv cinese eviti ora di mostrare gli spalti degli stadi dei mondiali di calcio. Non mancano i cinesi che raccontano che vedendo i tifosi senza mascherine si sono sentiti «su un altro pianeta».
[…] Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, ha collegato le proteste a «forze con secondi fini». E un post su Weibo della moglie del diplomatico fa riferimento esplicito a «interferenze straniere». Altri account ultranazionalisti ripescano la teoria del complotto delle armi biologiche americane. […] nella popolazione (soprattutto urbana) si è diffuso un sentimento di sfiducia che non sarà facile dissipare. Anche perché in aiuto non arrivano i dati economici. Apple, nel frattempo, conta i danni: a causa delle proteste nello stabilimento della Foxconn a Zhengzhou, si prevede un calo di produzione di quasi 6 milioni di esemplari di iPhone Pro.
(ANSA-AFP il 28 Novembre 2022) - La polizia ha arrestato due persone oggi a Shanghai, dove i manifestanti si sono riuniti durante il fine settimana per protestare contro le restrizioni sanitarie legate al Covid e chiedere più libertà.
Interrogato dai giornalisti sul motivo dell'arresto, un agente di polizia ha dichiarato che una delle due persone "non aveva obbedito alle nostre disposizioni", rimandando alle autorità locali per maggiori dettagli.
Gli agenti hanno anche rimosso altre persone presenti sulla scena e ordinato loro di cancellare immagini dai loro telefoni. I manifestanti si sono riuniti ieri a Shanghai per protestare contro la rigida politica 'zero Covid' applicata in Cina da quasi tre anni, ma anche per chiedere maggiori libertà politiche.
Sono scoppiati scontri con la polizia e molte persone sono state arrestate. La polizia di Shanghai, interrogata più volte, non ha ancora risposto sul numero di fermi durante il fine settimana.
(ANSA-AFP il 28 Novembre 2022) - L'emittente britannica Bbc ha dichiarato che uno dei suoi giornalisti in Cina, che stava seguendo le proteste a Shanghai contro la politica draconiana del regime 'zero Covid', è stato arrestato e "picchiato dalla polizia". "La Bbc è molto preoccupata per il trattamento del nostro giornalista Ed Lawrence, che è stato arrestato e ammanettato mentre copriva le proteste a Shanghai", ha detto un portavoce del gruppo in una dichiarazione.
Il reporter ha affermato di essere "stato picchiato e colpito dalla polizia" mentre lavorava come giornalista accreditato nel Paese. Centinaia di persone hanno manifestato questo fine settimana in Cina in diverse grandi città, tra cui Shanghai e Pechino, per protestare contro i confinamenti e le restrizioni imposte dalle autorità per combattere l'epidemia di coronavirus.
Il portavoce ha spiegato che la Bbc non ha avuto "nessuna spiegazione ufficiale o scuse da parte delle autorità cinesi, al di là di un'affermazione da parte di funzionari, che successivamente lo hanno rilasciato, che lo avevano arrestato per il suo bene nel caso avesse preso il Covid tra la folla".
Gaia Cesare il 28 Novembre 2022 su Il Giornale.
Da Shanghai a Nanchino, da Pechino a Wuhan. La Cina si ribella alla politica «zero-Covid» del regime, che da tre anni, quasi senza interruzioni, impone durissime restrizioni per contrastare i contagi.
I cittadini scendono in strada contro la linea del governo comunista, in proporzioni che non si erano mai viste nei dieci anni di potere del presidente Xi Jinping. Era successo sabato, si è bissato ieri, con conseguenti tensioni, arresti e disordini con la polizia, tanto che a Shanghai un giornalista della Bbc, Edward Lawrence, è stato bloccato con la forza da diversi agenti mentre stava facendo riprese video e poi arrestato.
«La libertà prevarrà», «Partito comunista dimettiti» e «Xi dimettiti» sono alcuni degli slogan urlati da migliaia di cinesi nelle proteste in diverse città. Parole pesantissime in un Paese che non conosce diritti e libertà civili e in cui si rischia l'arresto per la semplice manifestazione del proprio dissenso contro il Partito comunista e i suoi vertici.
Per evitare di alimentare la rabbia della popolazione, l'emittente di Stato cinese ha deciso nel suo stile, attraverso la censura, di tagliare le immagini dei Mondiali di calcio in Qatar in cui si vedono spettatori senza mascherina. Un sogno per i cinesi, che dal 2019 vivono in perenne stato di emergenza, costretti alla reclusione al minimo contagio, una condizione che ha fatto crescere insofferenza e depressione, nonostante i numeri ufficiali siano bassi: 39.791 casi rilevati dalla Commissione sanitaria nazionale, di cui ben 36.082 sono asintomatici.
A fare la differenza rispetto al resto del mondo è stato l'approccio del regime, che non ha mai cambiato strategia dall'esplosione della pandemia e intende proseguire sullo stesso sentiero, quarantene e lockdown, come ha confermato il presidente Xi all'ultimo Congresso del Pcc. Il malcontento esplode dopo tre anni di insofferenza per le misure draconiane imposte da Pechino, che ancora oggi costringono milioni di cinesi a isolamento, quarantene e chiusure totali, mentre nel resto del mondo si è tornati alla normalità.
Sia nella capitale sia a Shanghai, la città più popolata della Cina e suo principale centro finanziario, si sono svolte veglie in ricordo delle vittime dell'incendio di Urumqi, nella regione dello Xinjiang, costato la vita a 10 persone. La tragedia, secondo molti, si sarebbe potuta evitare se i residenti avessero potuto scappare attraverso parti dell'edificio che erano invece state chiuse a causa delle norme anti Covid.
Le autorità negano che la tragedia sia dovuta alle restrizioni, eppure a Urumqi i funzionari si sono scusati, dopo le proteste e i video che hanno mostrato molte persone bloccate in casa per i controlli anti Covid, e hanno allentato le misure e promesso di punire chi non ha fatto il proprio dovere. Nello Xinjiang 4 milioni di residenti hanno subìto chiusure totali e isolamento per 100 giorni, uno degli stop più lunghi.
Ma la rabbia attraversa l'intera Cina. All'università Tsinghua, uno dei più prestigiosi atenei di Pechino, 300 studenti hanno protestato dopo aver affisso un foglio bianco, il nuovo simbolo delle proteste anti lockdown. Anche a Wuhan, città simbolo da cui si è diffusa la pandemia, centinaia di manifestanti sono scesi in strada.
Sono numerosi i casi che hanno scosso l'opinione pubblica. Il padre di una bimba di 4 mesi è convinto che la figlia non sarebbe morta se avesse ricevuto cure mediche senza un ritardo di 12 ore, motivato da un test «negativo», a causa del quale la piccola è stata giudicata «non urgente». Anche ai familiari di un bimbo di 4 anni, avvelenato da monossido di carbonio, è stato impedito di recarsi in ospedale in tempo, a causa delle restrizioni.
In Cina quella contro le restrizioni sta diventando una vera rivolta. Iris Paganessi su L'Indipendente il 24 Novembre 2022
Questa volta la censura cinese non è riuscita a bloccare i video di Zhengzhou e le immagini, ormai virali, hanno dell’incredibile per un Paese come la Cina, dove proteste di questa portata sono a dir poco inusuali.
Il maxi-stabilimento Foxconn, dove viene assemblato il 70% degli smartphone Apple, è tornato sotto i riflettori a causa dei forti scontri tra i migliaia di dipendenti della fabbrica e il personale di sicurezza. La rabbia degli operai sarebbe stata scatenata dalla frustrazione per le severe restrizioni anti-Covid e dalla richiesta di lavoro extra per il pagamento dei bonus promessi. I disordini poi si sono spostati in strada dove le telecamere hanno ripreso camionette ribaltate, cabine dei test anti-covid distrutte e residenti armati di pali colpire gli agenti che tentavano di proteggersi con gli scudi.
Nelle scorse settimane il colosso cinese, che nel suo complesso di Zhengzhou conta oltre 200.000 dipendenti, era già stato teatro di dissensi quando, in seguito ad una serie di casi Covid nel campus della filiale, centinaia di lavoratori erano scappati dallo stabilimento nonostante le restrizioni imposte dal governo lo vietassero.
Ieri, in seguito alla nuova ondata di proteste, Foxconn si è scusata con i suoi dipendenti e ha dichiarato che il mancato bonus e le nuove assunzioni sarebbero dovute ad un "errore tecnico". Dopo gli ultimi avvenimenti, infatti, il maxi stabilimento starebbe cercando di rimediare alla fuga dei suoi ex lavoratori, ingaggiando nuova forza lavoro.
Rimane incerto il numero dei partecipanti alla protesta, chi l’abbia fatta iniziare, la durata della manifestazione e come si sia conclusa. Alcuni video, tuttavia, hanno mostrato un trasferimento massiccio di forze dell’ordine a Zhengzhou, presumibilmente chiamate per reprimere con forza le manifestazioni.
Nel frattempo Pechino continua a perseguire la politica "Zero Covid" e nuovi lockdown si diffondono in tutto il Paese. Ai residenti dei quartieri interessati è stato imposto di rimanere a casa per cinque giorni a partire da ieri. L’uscita è consentita solo per l’acquisto di cibo, cure mediche e per i test di massa anti-Covid. Il governo ha parlato di "guerra di annientamento" contro il virus, ma le immagini parlano chiaro: la Cina è stanca e la politica "Zero Covid" non è più tollerata. [di Iris Paganessi]
DAGONEWS il 16 novembre 2022.
Caos nella città cinese di Guangzhou dove migliaia di persone sono scese in strada per protestare per le restrizioni e contro la fallimentare strategia Covid zero del governo.
In un filmato si vedono anche alcuni manifestanti che ribaltano l’auto della polizia e buttano a terra le barriere covid.
Guangzhou, che ospita quasi 19 milioni di persone, è al centro di alcuni focolai di Covid: il numero di casi è in aumento negli ultimi giorni e i contagi giornalieri in città hanno superato per la prima volta i 5.000 casi, facendo pensare che potessero essere in arrivo nuove restrizioni.
Dopo le restrizioni, la tensione è aumentata nel distretto di Haizhu, sede di dozzine di mercati tessili all'ingrosso e di migliaia di piccole imprese che danno lavoro a decine di migliaia di lavoratori migranti provenienti da altre parti della Cina.
Le restrizioni sono scattate quando i lavoratori si sono affrettati a raggiungere le fabbriche per garantire le forniture per il festival dello shopping online l'11 novembre.
Prima che la rabbia dell'opinione pubblica ribollisse lunedì notte, residenti e imprenditori avevano aggirato i cordoli del governo avventurandosi fuori dai loro distretti in lockdown e contrabbandando i loro beni, secondo un funzionario della commissione sanitaria di Guangzhou all'inizio di questo mese, che ha denunciato le attività illegali.
Radio Free Asia ha riferito che i lavoratori scontenti hanno protestato anche in diversi centri industriali vicini, tra cui Kangle, sempre nel distretto di Haizhu, e Tangxia, nel distretto di Tianhe.
Diversi post su Weibo hanno denunciato i manifestanti, principalmente lavoratori migranti dalla provincia di Hubei, per la "rivolta", ma un utente ha sottolineato come il lockdown e il divieto ai lavoratori migranti di tornare a casa per le restrizioni protratte per quasi tre anni stavano "facendo impazzire le persone. Alcuni lavoratori si sono suicidati”.
Seicentomila cinesi in trappola nella città-prigione degli iphone. La fabbrica di Zhengzhou isolata per le politiche di “covid-zero”. Gli operai tentano la fuga. Alessandro Fioroni su Il Dubbio il 3 novembre 2022.
Foxconn è la multinazionale di Taiwan che produce circa il 70% degli iPhone del mondo, la maggior parte dei quali nello stabilimento di Zhengzhou, in Cina, dove impiega circa 200mila persone. Un colosso enorme che in questo momento sta scontando una gravissima crisi a causa dei casi di Covid 19 che sono stati registrati nella città.
Le misure del governo cinese sono note, Covid zero e lockdown rigidissimo e generalizzato. Un modo per mostrare quanto il partito comunista cinese sia in grado di assicurare la sicurezza dei cittadini ma che blocca praticamente tutte le attività economiche e provoca vere e proprie tragedie come quella che si sta verificando in uno dei più grandi stabilimenti del pianeta. Qui i lavoratori non appena si è diffusa la notizia dei primi casi hanno tentato di scappare dalla fabbrica che si stava trasformando in una prigione. Ma l’esodo si e rivelato una fuga disperata che ha visto migliaia di lavoratori sfondare i blocchi con scene di panico, in molti sono rimasti feriti mentre cresceva il timore di un intervento dell’esercito. Il timore che i lavoratori in fuga potessero diffondere il virus ha infatti portato le autorità a chiudere le principali strade e la via del ritorno e diventato un inferno. In migliaia ammassati all’aperto senza cibo e acqua, praticamente dei clandestini.
Ancora adesso la Cina centrale è percorsa da uomini e donne che viaggiano a piedi e la rabbia contro la quarantena sta aumentando. Dunque nonostante l’approccio inflessibile contro il Covid la paura, e l’ignoranza (il terrore è stato più forte dei vaccini) stanno mettendo alla corda il combinato disposto Stato e impresa. Il governo dovrà quindi assumersi la responsabilità di ciò che sta succedendo così come la Foxconn, che ha eseguito pedissequamente le disposizioni di legge. I lavoratori pensano di perdere l’impiego oppure semplicemente di non recuperare gli effetti personali abbandonati nei dormitori. In molti si aspettano di aver perso i bonus di presenza che aumentano la retribuzione dopo aver fatto un certo numero di giorni di lavoro di fila. La Foxconn ha annunciato, suo malgrado e solo dopo questa tragedia, che coloro che vogliono andare potranno partire su autobus sicuri organizzati in coordinamento con altre città, anche se e stato promesso di quadruplicare i benefit in caso di permanenza nell’impianto.
Ma la vicenda ha anche scoperchiato il lato oscuro della compagnia. La fabbrica di Zhengzhou, è finita sotto la lente d’ingrandimento dell’organizzazione no-profit China Labour Watch che sta portando alla luce, grazie anche alle testimonianze delle persone fuggite, le drammatiche condizioni di lavoro. I salari sono infatti a livelli insufficienti per vivere a Zhengzhou, e alle basse retribuzioni si aggiunge lo sfruttamento di studenti lavoratori per soddisfare gli ordini nei periodi di picco della domanda. Orari massacranti e vessazioni dei capi per una fabbrica che lavora a circuito chiuso senza mai fermarsi. E dove ci sono stati numerosi suicidi. I primi casi nel 2007, ma il picco si è registrato in due mesi, tra marzo e maggio del 2010, con dieci morti. Addirittura l’azienda ha fatto installare enormi reti all’esterno degli edifici per impedire di gettarsi nel vuoto. Nonostante l’ammissione si facevano firmare ai dipendenti carte nelle quali la multinazionale si sollevava dalla responsabilità un possibile suicidio in modo da evitare il risarcimento alle famiglie.
Scene dalla Cina, il Paese dei lockdown senza fine. Iris Paganessi su L'Indipendente il 2 Novembre 2022
Due anni dopo lo scoppio della pandemia da Coronavirus, la Cina continua a rincorrere la folle politica “Zero Covid”, nonostante il malcontento della popolazione. Gli ultimi malcapitati ad aver subito la rigidità di questa politica sono stati i visitatori del resort Disney di Shanghai, i dipendenti della fabbrica Foxconn di Zhengzhou e i clienti di Ikea a Shanghai.
Il blocco del resort Disney di Shanghai
Durante lo scorso fine settimana le immagini, diventate virali sui social, hanno ripreso il panico dei visitatori del resort Disney di Shanghai che – per la seconda volta in dodici mesi – sono rimasti intrappolati all’interno del parco. I video mostravano gli ospiti che si precipitavano ai cancelli chiusi del resort, nel tentativo di sfuggire al blocco annunciato poco dopo le 11:30 dagli operatori, nel rispetto delle normative Covid. Nel frattempo, il governo di Shanghai su WeChat annunciava il divieto di entrata o uscita dal parco a tutte le persone, con quelle ancora all’interno che avrebbero dovuto essere testate (tre volte in tre giorni) e dimostrare di essere negative prima di poter uscire.
Il parco era stato chiuso per due giorni anche lo scorso novembre con oltre 30.000 visitatori bloccati all’interno, dopo l’ordine delle autorità che imponeva che tutti fossero testati.
La fuga dei lavoratori dalla fabbrica Foxconn di Zhengzhou, Henan
A queste scene hanno seguito quelle di una fuga di massa dei dipendenti della fabbrica Foxconn di Zhengzhou, chiusa in seguito ad una serie di casi accertati nel campus della filiale.
I video condivisi sui social mostravano centinaia di persone che scavalcano le recinzioni dello stabilimento, trasportando i loro effetti personali, dopo l’annuncio di un focolaio e della conseguente quarantena per una parte della forza lavoro.
La Foxconn, che nel suo complesso di Zhengzhou conta circa 200.000 dipendenti, non ha rivelato il numero dei lavoratori positivi, né quello di coloro che se ne sono andati ed ha dichiarato che non avrebbe impedito loro di lasciare l’azienda. La fuga dei dipendenti è avvenuta tra le esortazioni delle città vicine a presentarsi alle autorità locali prima di tornare a casa ed il sostegno dei residenti delle stesse che, lungo le strade hanno lasciato loro acqua, provviste e cartelli. “Per i lavoratori Foxconn che tornano a casa”. A dimostrazione del crescente malcontento del popolo cinese nei confronti della politica “Zero Covid”.
Un contatto diretto di un caso Covid scatena il panico all’Ikea di Shangai
Si parla ancora di Shangai, questa volta in un negozio Ikea. Nel weekend la notizia di un “contatto diretto” registrato all’interno del centro commerciale ha scatenato la fuga di centinaia di clienti, che non volevano ricascare nei meccanismi di quarantena forzata che da mesi paralizzano la città cinese. I video, diventati virali sui social, hanno ripreso le urla e le spinte delle persone che, prese dal panico, hanno tentato di uscire dall’edifico prima che le porte venissero chiuse.
Tutti coloro che si trovavano all’interno si sono dovuti sottoporre a due giorni di quarantena e cinque giorni di sorveglianza sanitaria.
Il crescente malcontento cinese
I vari blocchi, che da mesi terrorizzano e paralizzano i cittadini cinesi, sono dovuti alla rigida politica “Zero Covid” che il governo ha imposto. La strategia cinese si basa su test di massa, quarantene infinite e persino il confinamento di interi quartieri o città. Il tutto per realizzare l’irraggiungibile obiettivo del governo: eliminare la totale presenza del covid-19 sul territorio cinese.
A causa di questa politica, all’inizio di quest’anno, Shangai è rimasta bloccata per due mesi e le condizioni di vita che i cittadini si sono trovati ad affrontare hanno provocato un sentimento molto diffuso di rabbia e malcontento. In quel periodo, infatti, oltre ad essere segregati in casa o nei centri adibiti alla quarantena di massa, gli abitanti di Shangai facevano fatica a procurarsi persino cibo, acqua (che a Shangai non è potabile) e medicine.
Molti residenti si aspettavano che con il congresso del Partito Comunista della scorsa settimana la politica “Zero Covid” potesse essere allentata, ma le dichiarazioni di Xi Jinping, il segretario generale, hanno distrutto qualsiasi speranza. Il leader cinese, infatti, ha ribadito il proprio impegno nella risposta alla pandemia per un futuro indefinito; nonostante la politica “Zero Covid” abbia danneggiato l’economia e il tessuto sociale del Paese.
In questi mesi sui social se ne sono viste di tutti i colori. I post raffiguravano clienti, turisti e lavoratori in fuga da edifici di ogni tipo, che schiacciavano la sicurezza per scappare prima di essere rinchiusi, molto spesso per una manciata di contagi. Nonostante questo però il presidente cinese ha esaltato la controversa politica “Zero Covid” che, a suo dire, è stata un grande successo, in quanto ha «privilegiato la vita umana», evitando molti morti. [di Iris Paganessi]
Estratto dell’articolo di Erminia Voccia per “il Messaggero” l'1 novembre 2022.
Le rigidissime restrizioni anti Covid in Cina continuano a mettere sotto pressione cittadini e lavoratori, mentre il resto del mondo sta imparando a convivere con il virus. Lunedì mattina, intorno alle 11:30, il Disney Resort di Shanghai è stato chiuso all'improvviso, come misura precauzionale, lasciando i visitatori intrappolati all'interno dei cancelli.
Il parco aveva appena riaperto dopo quasi 3 mesi di chiusura al pubblico a seguito del severo lockdown iniziato la scorsa primavera. Nessuno poteva entrare o uscire. È stato stabilito che per lasciare il parco divertimenti sarebbe stato necessario mostrare il referto di un test negativo. Dopo l'annuncio, è cominciata la fuga forsennata verso le uscite, le persone hanno abbandonato immediatamente le attrazioni e i negozi delle vie dello shopping ma hanno trovato tutti i gate già bloccati.
Inoltre, chi ha visitato il Disney Resort a partire dal 27 ottobre è tenuto a sottoporsi a 3 test per 3 giorni consecutivi. […] Sabato scorso, a Shanghai, erano stati accertati 10 contagi trasmessi localmente. Tanto è bastato per imprigionare di nuovo i visitatori. Sempre al Disney Resort di Shanghai, un anno fa, a inizio novembre, in 34mila erano stati bloccati fino a notte fonda.
Invece, a Zhengzhou, nello stabilimento della Foxconn, azienda taiwanese dove vengono prodotti gli iPhones per conto di Apple, per quasi 200mila dipendenti è stato deciso il confinamento all'interno della struttura. Così, in tantissimi, lavoratori migranti, hanno scavalcato le recinsioni in ferro per poter tornare a casa nelle città vicine. […] Ad agosto, sempre a Shanghai, dipendenti e clienti del negozio Ikea avevano tentato di scappare dopo l'imposizione di un lockdown immediato dell'edificio. La scorsa settimana, a Zhengzhou, capitale della provincia di Henan, i contagi erano stati 167, 97 in più rispetto a 7 giorni prima. Così, la metropoli da quasi 10 milioni di abitanti è finita in un confinamento parziale.
[…] Foxconn ha fatto sapere che non avrebbe ostacolato queste fughe ma l'azienda si è già messa al lavoro per permettere un rientro ordinato del personale. Un rientro quanto mai necessario perché le stime relative allo stabilimento, dove vengono prodotti anche gli ultimi modelli di iPhone 14, riferiscono di un calo della produzione pari ad almeno il 30% previsto per il mese di novembre. […]
Da leggo.it il 6 settembre 2022.
C'è il terremoto, ma uscire è vietato per il lockdown legato alla pandemia di Covid: e i residenti vanno nel panico, con scene di disperazione immortalate sui social. Ha dell'incredibile quanto sta avvenendo in Cina nella città di Chengdu, capoluogo della provincia sudoccidentale di Sichuan, colpita ieri da una scossa di terremoto di magnitudo 6.6 che ha ucciso almeno 65 persone.
Ad alcuni residenti è stato impedito di fuggire dalle loro abitazioni a causa del lockdown deciso per contenere il Covid: le autorità cinesi hanno imposto il blocco nella città fin dalla scorsa settimana in nome della politica 'Zero Covid', provvedimento che nemmeno il sisma è riuscito ad allentare, suscitando rabbia e incredulità nei cittadini. Alcuni residenti a Chengdu, che ospita 21 milioni di abitanti, affermano che ieri è stato detto loro di rimanere all'interno delle proprie abitazioni - riferisce la Bbc - e quando hanno provato a uscire hanno trovato le porte chiuse.
Secondo quanto previsto dalla politica 'Zero Covid', i condomini in cui almeno una persona è risultata positiva vengono designati come «aree sigillate» e ai residenti è vietato mettere piede fuori dalle proprie case, indipendentemente dal fatto che abbiano o meno il virus. I video condivisi su Douyin, la piattaforma cinese TikTok, mostrano residenti in preda al panico dietro cancelli incatenati, che gridano per uscire.
In uno di questi un uomo urla alle guardie di sicurezza, facendo tintinnare quelli che sembrano essere i cancelli del suo appartamento e cercando di aprirlo: «Sbrigati, apri la porta, è un terremoto!». In risposta, le guardie dicono: «È finita, il terremoto è già passato».
Da rainews.it il 10 maggio 2022.
“Non pensiamo che sia sostenibile” la politica zero-Covid della Cina, "considerando il comportamento del virus". Lo ha detto oggi in una conferenza stampa il direttore dell'Organizzazione mondiale della sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus. Parlando dopo Tedros, il direttore dell'Oms per le emergenze Mike Ryan ha affermato che anche l'impatto delle politiche di contrasto della pandemia sui diritti umani deve essere preso in considerazione, oltre a quello sull'economia
La Cina è sempre rimasta fedele alla strategia intrapresa a inizio 2020, mentre pressoché qualsiasi altro paese al mondo ha scelto la convivenza con il virus per riaprire le proprie economie e ripristinare le libertà personali. Ogni volta che si scatena un focolaio di coronavirus, anche piccolo, le autorità mettono in lockdown aree anche ampie. Shanghai, una città di 25 milioni di persone, è chiusa da quasi sei settimane.
Uno studio pubblicato oggi su Nature Medicine indica che il rischio di salute pubblica conseguente all'abbandono dello “zero-Covid” potrebbe essere notevolmente mitigato concentrandosi su altri interventi come la vaccinazione degli anziani: "Il livello di immunità indotto dalla campagna di vaccinazione del marzo 2022 è insufficiente per prevenire un'ondata Omicron": solo il 50% circa degli ultraottantenni in Cina è vaccinato, avvertono i ricercatori provenienti dalla Università Fudan di Shanghai e dal National Institutes of Health degli Stati Uniti.
"La disponibilità di vaccini e farmaci antivirali offre l'opportunità di abbandonare lo zero-Covid. Non capisco cosa stiano aspettando", ha affermato Ben Cowling, un epidemiologo dell'Università di Hong Kong. Di contro, in una lettera sull'ultimo numero di The Lancet, un team di medici di Shanghai prospetta “conseguenze inconcepibilmente gravi” se il virus fosse lasciato circolare.
Lo scontro tra Oms e Pechino sulla strategia zero Covid. Federico Giuliani su Inside Over il 13 maggio 2022.
Il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus, è stato chiaro: la politica zero Covid perseguita dalla Cina “non è sostenibile”. Pronta la risposta di Pechino che dopo poche ore, per bocca del portavoce del ministero degli Esteri, Zhao Lijian, ha bollato queste critiche “irresponsabili”.
Sembra passata un’eternità dalla visita di Ghebreyesus oltre la Muraglia, avvenuta nel gennaio 2020, quando il mondo intero doveva ancora scoprire gli effetti della pandemia di Sars-CoV-2. In un surreale faccia a faccia con Xi Jinping, un leader abituato ad avere sempre in pugno il controllo degli eventi, il direttore dell’Oms osservò da vicino un capo di Stato preoccupato ma determinato a vincere la battaglia contro il virus. “Il virus è il diavolo. Non gli permetteremo di nascondersi. L’Oms e la comunità internazionale forniranno un’attenta valutazione. La Cina è fiduciosa di poter vincere la battaglia contro il virus”, dichiarò Xi.
Nei mesi successivi la Cina ha sempre agito di concerto con l’Oms, al punto che l’agenzia sanitaria dell’Onu è finita più volte nell’occhio del ciclone, accusata perfino di connivenza con il governo cinese. Oggi i tempi sembrano decisamente cambiati.
Le critiche di Ghebreyesus
“Quando si parla di strategia zero Covid, non pensiamo che sia sostenibile, considerando il comportamento del virus in questo momento e quello che ci aspettiamo in futuro. È molto importante passare a una strategia diversa”, ha detto il direttore dell’Oms durante una conferenza stampa dell’Organizzazione mondiale della sanità a Ginevra.
Per un certo periodo questa strategia – che consiste, come dice il suo nome, nel registrare zero casi di Covid – ha consentito alla Cina di rilevare un numero molto ridotto di morti rispetto alla sua popolazione. Eppure, ha aggiunto Michael Ryan, direttore per le Emergenze Oms, “tutte queste azioni, come abbiamo ripetuto dall’inizio, devono essere intraprese nel rispetto delle persone e dei diritti umani”.
Chiaro il riferimento al pugno durissimo recentemente adottato dalla Cina per stroncare sul nascere la diffusione del virus a Shanghai e Pechino. Ryan ha chiesto “politiche dinamiche, adattabili e flessibili”, perché la mancanza di adattabilità ha dimostrato durante questa pandemia che può causare “molti danni”.
La replica della Cina
Dicevamo della risposta cinese. Le annotazioni fatte dall’Oms non sono affatto piaciute a Pechino. La Cina – questo il riassunto della posizione cinese – auspica che la comunità mondiale possa guardare al suo modello di prevenzione e controllo delle epidemie in modo “obiettivo e razionale”, astenendosi dal formulare “osservazioni irresponsabili”, ha affermato il portavoce Zhao Lijian, secondo cui le misure cinesi derivano da calcoli razionali e scientifici.
Durante un incontro con la stampa, Ghebreyesus ha affermato, tra le altre cose, di aver affrontato la questione anche con gli esperti cinesi, evidenziando l’importanza di procedere ad un aggiornamento del protocollo sanitario. Le dichiarazioni di Tedros Adhanom Ghebreyesus sono state rilanciate oggi anche dalle Nazioni Unite tramite un post sul social Weibo, oscurato dalla Repubblica popolare.
E pensare, come detto, che il direttore dell’Oms è stato ripetutamente accusato dagli Stati Uniti, in particolare durante la presidenza di Donald Trump, di essere molto vicino a Pechino e di aver ostacolato le indagini sull’origine del coronavirus. Il punto è che le parole del capo dell’Oms risultano essere in contrasto con la linea Covid zero confermata la scorsa settimana dai membri del Comitato Permanente del Politburo cinese, tra cui Xi Jinping. La promessa della leadership cinese è chiara, così come l’obiettivo: vincere la battaglia di Shanghai contro il virus adottando il modello cinese.
(ANSA l'11 aprile 2022) - Il Dipartimento di Stato americano ha ordinato a tutto il personale non essenziale di lasciare la città di Shanghai a cause dell'emergenza Covid-19. Lo si legge in una nota sul sito del dipartimento.
Tre giorni fa aveva soltanto autorizzato lo staff non essenziale del consolato e le loro famiglie a partire e sconsigliato ai cittadini americani di recarsi nella metropoli dove da cica due settimane è in vigore un rigidissimo lockdown.
Gli Stati Uniti hanno ordinato a tutti i dipendenti non essenziali del consolato americano a Shanghai di lasciare la metropoli a causa di un picco di casi di Covid, si legge nella nota. I diplomatici statunitensi hanno sollevato "preoccupazioni per la sicurezza e il benessere dei cittadini americani con i funzionari cinesi", ha detto il portavoce del dipartimento di Stato, Ned Price.
Guido Santevecchi per corriere.it il 23 aprile 2022.
Risalgono i casi di Covid-19 a Shanghai (23.370 oggi) e la fine del lockdown si allontana di nuovo. Dal punto di vista biologico la sottovariante Omicron BA.2 che ha aggredito Shanghai e l’ha spinta in lockdown non è differente da quella che circola nel resto del mondo.
Nelle nostre città, come nella megalopoli cinese, prevalgono i casi asintomatici. Simile anche l’andamento dell’ondata: una impennata dei contagi, poi una stabilizzazione dei numeri e infine una discesa senza curva. Però, se si guardano i numeri, Shanghai e la Cina stanno affrontando una pandemia diversa da quella che il resto del mondo ha deciso di gestire senza più blocchi e chiusure. L’ondata a Shanghai è cominciata l’1 marzo e fino al 17 aprile, quando i contagi avevano superato quota 350 mila, le autorità non avevano riscontrato alcun decesso, solo una decina di pazienti in condizioni critiche.
Da giorni, però, sui social media circolavano voci su decine di morti causate dal Covid-19 in ospedali geriatrici: testimonianze dettagliate sono state raccolte dal Wall Street Journal e dalla Bbc. Ma i funzionari politici tacevano. Pochi contagi sintomatici, nessun morto. Xi Jinping che chiedeva di ridurre al minimo l’impatto del Covid-19 sulla ripresa dell’economia. Eppure, dopo aver escluso la possibilità di fermare Shanghai, cuore finanziario e commerciale della Cina, il 28 marzo le autorità hanno deciso il lockdown.
Il lockdown di Shanghai sarebbe dovuto durare otto giorni in tutto, ma prosegue a oltranza da quasi un mese. La mancanza di decessi e l’altissima percentuale di asintomatici hanno alimentato i dubbi degli shanghaiesi su una strategia sanitaria estrema: 26 milioni di cittadini chiusi in casa, carenze nell’approvvigionamento di generi di prima necessità, condizioni da lazzaretto nei centri di quarantena. Sui social network sono stati fatti circolare video di contestazioni senza precedenti per Shanghai.
Forse per convincere la gente della pericolosità della situazione virale, il 18 aprile la Commissione sanitaria di Shanghai ha comunicato i primi decessi: tre malati tra gli 89 e i 91 anni che soffrivano di gravi patologie pregresse. Dal 18 aprile il conto dei decessi è arrivato a 48, sempre descritti come pazienti tra i 65 e i 101 anni e con malattie croniche sulle quali si sarebbe innestato il Covid-19. Quindi, dall’1 marzo quando furono registrati i primi contagi di questa ondata (32) a oggi, quando il totale dei positivi individuati è salito a 466.000, i morti sono solo 48. Per fare un paragone, ieri in Lombardia sono stati contati 9.195 casi e 36 morti.
I numeri della pandemia in Cina sono controversi: per i primi due anni le autorità hanno censito solo i casi sintomatici. In questa nuova ondata hanno deciso di comunicare anche quelli asintomatici, che sono circa il 95% del totale. Per quanto riguarda i morti, dal 2020 a inizio 2022 la Cina ne aveva contato 4.600: 3 morti per milione di abitanti; gli Stati Uniti 970 mila morti: 2.900 per milione di cittadini.
Per mesi, il governo di Pechino ha propagandato la superiorità del modello di controllo «Tolleranza Zero» rispetto al «caos occidentale». Dopo il disastro di Wuhan (dove tra gennaio e fine marzo del 2020 sono stati registrati quasi tutti i 4.600 morti cinesi), solo Hong Kong è stata aggredita da un’ondata letale di questa pandemia. È stata probabilmente l’enorme impressione creata dall’esempio di Hong Kong a spingere il governo centrale della Cina a imporre il primo lockdown a Shanghai il 28 marzo e a mantenerlo a tempo indeterminato. Tra i 7,2 milioni di abitanti di Hong Kong l’ondata di febbraio-marzo ha causato circa 1,2 milioni di contagi e 9.000 morti, il sistema ospedaliero è stato sopraffatto.
Shanghai è la città più ricca della Cina continentale, vanta uno sviluppo e un tenore di vita paragonabile a quello di Hong Kong; anche la percentuale di anziani e quella dei vaccinati in tutte le fasce di età sono simili tra le due metropoli, sono uguali i tipi di vaccino somministrati (quelli sviluppati dall’industria farmaceutica di Pechino, che offrono una protezione di alcuni punti percentuali al di sotto di quelli occidentali).
Possibile una differenza così pronunciata nella curva di letalità del Covid-19? A Hong Kong 9.000 morti; a Shanghai che ha oltre il triplo degli abitanti solo 48. Uno studio appena pubblicato dalla rivista scientifica “The Lancet” ha rilevato che dal gennaio 2020 e fino allo scorso novembre nel mondo sono state registrate in media 195 morti da SARS-CoV-2 per 100.000 unità di popolazione (298 negli Stati Uniti; 376 in Russia; 188 in Germania; 168 in Gran Bretagna; 375 in Italia; 315 in Spagna; 76 in Giappone). Ci sono differenze nel conteggio dei decessi, com’è noto si discute su «morti per Covid» e «morti per i quali il Covid sia stato un fattore aggiuntivo». Ma comunque si conti, il dato cinese risulta sorprendente: 1 morto su 100.000.
Covid, quaranta persone in lockdown su un autobus a Shanghai. Virale il video della donna che chiede cibo e acqua. Il Tempo l'11 aprile 2022.
Più di quaranta persone sono rimaste bloccate in un autobus a Pudong nella zona di Shanghai. Il veicolo sarebbe stato bloccato a causa del lockdown per il Covid. Il video di una donna che ha dato in escandescenze è diventato virale. La cinese si è messa a gridare dicendo che i passeggeri sono bloccati dalla scorsa notte, senza cibo e senza niente da bere.
La rabbia dei residenti di Shanghai sottoposti a lockdown dal 28 marzo scorso sta crescendo ogni giorno di più. Scene di caos e tensioni tra i cittadini e il personale sanitario e di sicurezza della metropoli dove vivono 26 milioni di persone. I video circolanti sui social media hanno ripreso scene di saccheggio dei residenti di alcune aree, mentre in altri casi i cittadini si sono recati direttamente davanti alla sede di una stazione di polizia, violando quindi l’isolamento domiciliare: davanti al personale in tuta bianca e ai funzionari in divisa, hanno urlato la loro rabbia per le condizioni a cui sono sottoposti da settimane, e per l’assenza di consegne di generi alimentari e di prima necessità, uno dei maggiori problemi con cui le autorità della metropoli cinese hanno avuto a che fare in questi giorni.
L’ondata di contagi a Shanghai ha mandato in tilt i gruppi di delivery, oberati dalle richieste, e neppure l’intervento delle autorità locali è riuscito a soddisfare la domanda di beni essenziali di milioni di persone che non possono uscire di casa per la quarantena sanitaria anti-Covid. La protesta si è fatta sentire anche dalle finestre dei compound della città. Un video mostra i condomini di un complesso residenziale che urlano il proprio incoraggiamento agli altri residenti, con scene che ricordano quelle viste a Wuhan all’inizio del 2020, quando il virus del Covid-19 si è manifestato per la prima volta.
Dagotraduzione dal New York Post l'11 aprile 2022.
Da oltre due settimane la capitale finanziaria della Cina, Shanghai, è chiusa a chiave. Circa 26 milioni di persone languiscono nei loro appartamenti, fissando i loro frigoriferi ormai vuoti, incapaci di mettere piede fuori per cercare cibo per paura di essere arrestati e incarcerati.
Gli stranieri sono nella stessa situazione, come si è lamentato su Twitter questo utente: «Oggi è il giorno 16 del nostro blocco COVID a Shanghai e il cibo è la cosa fondamentale nella mente delle persone. Non ci è permesso uscire di casa, quindi la consegna è l'unico modo. Ieri mi sono alzato alle 6 del mattino per cercare di prenotare un qualsiasi tipo di consegna ma niente è stato disponibile tutto il giorno. Stessi risultati oggi».
E quelli che sono chiusi in casa sono fortunati.
Gli sfortunati sono quelli che ogni giorno risultano positivi al COVID, come i 17.077 contagiati individuati venerdì. Sintomatici o meno - e nove su 10 non mostrano segni di malattia - vengono trascinati in campi di quarantena frettolosamente eretti.
Il blocco di Shanghai, il più grande dal primo blocco di Wuhan due anni fa, è l'ultimo tentativo della Cina di raggiungere il COVID Zero. Un esercito di operatori sanitari, circa 38.000 in tutto, è stato inviato a Shanghai, con le istruzioni per eliminare completamente il coronavirus all'interno della città. Stanno freneticamente testando e ritestando tutti.
Incapaci di protestare in altri modi, le persone hanno iniziato a sfogare la loro rabbia urlandola dalle finestre del loro appartamento. La maggior parte delle loro lamentele hanno a che fare con il cibo. «Non abbiamo cibo da mangiare», urlano. «Non mangiamo da molto tempo. Stiamo morendo di fame».
Un prigioniero affamato ha trovato un modo più tranquillo per protestare contro il suo stomaco ringhiante. Ha portato il frigorifero sul balcone e ha lasciato le porte aperte. L'interno è completamente vuoto.
Altre proteste hanno assunto forme più tragiche. Come a Wuhan due anni fa, le persone si buttano giù dai grattacieli. Un video che circola in Cina mostra una coppia mentre si lancia. Si dice che lui fosse sconvolto perché il lockdown gli era costato gli affari.
Coloro che sono così disperati da avventurarsi fuori alla ricerca di cibo vengono braccati dai "Big White" - membri delle forze di sicurezza che devono il loro soprannome alle tute bianche ignifughe che indossano. Pattugliando le strade giorno e notte, i "Big White" arrestano e imprigionano chiunque sia stato sorpreso a rompere la quarantena.
Quelli inviati ai campi di quarantena di massa per essere risultati positivi al COVID non hanno una vita migliore. In queste strutture improvvisate spesso mancano delle necessità di base. Un video dal campo di Nanhui a Shanghai mostra persone che litigano per le limitate scorte di coperte, acqua e cibo.
Nessuno, nemmeno i bambini piccoli, è esentato dalla regola della quarantena. Centinaia di neonati e bambini piccoli sono stati separati dai genitori dopo essere risultati positivi. Sui social media una madre si è lamentata: «Sono così sconvolta... Questo è disumano».
Come i precedenti sforzi della Cina per contenere la variante altamente contagiosa dell'Omicron, anche questo è destinato a fallire, ma ad un costo enorme. Le dimensioni della sofferenza umana si manifestano in alcuni dei video postati dai residenti sofferenti.
Come suggeriscono queste storie, la Cina ha scatenato un altro COVID Horror Show sulla sua popolazione. Ma perché?
Praticamente ogni persona sul pianeta ora riconosce che d'ora in poi dovrà semplicemente convivere con il coronavirus, nello stesso modo in cui abbiamo imparato a convivere con l'influenza stagionale. Anche i paesi che si sono aggrappati al modello di contenimento di massa della Cina fino al 2021, come Australia, Nuova Zelanda e Germania, lo stanno abbandonando.
Eppure il Partito Comunista Cinese continua a perseguire il sogno impossibile di COVID Zero.
Ora, si potrebbe dire che a nessuna organizzazione politica piace ammettere di aver sbagliato. Infatti, quando di recente è stato chiesto alla Cina il motivo per cui si rifiuta di riconoscere che il COVID è ormai endemico, un alto funzionario della Commissione sanitaria nazionale ha semplicemente detto: «Se fermiamo tutte le misure di contenimento ora, significa che tutti gli sforzi precedenti sono stati inutili».
Ma a un livello ancora più profondo, l'insistenza del Partito Comunista Cinese sui blocchi potrebbe essere espressione della sua spinta al controllo totale.
Mi viene in mente il funzionario del PCC che, nel 1980, proprio all'inizio della politica del figlio unico, proclamò con sicurezza: «Siamo un paese socialista. Possiamo controllare la riproduzione nello stesso modo in cui controlliamo la produzione: secondo un piano statale».
Ora l'atteggiamento di Xi Jinping sembra essere: «Siamo un Paese socialista. Possiamo controllare la replicazione di un virus nello stesso modo in cui controlliamo la produzione: secondo un piano statale».
Dagotraduzione da India Today l'11 aprile 2022.
Il governo cinese non mostra segni di allentamento del rigoroso blocco che ha imposto Shangai, città di 26 milioni di abitanti. Secondo quanto riferito, le persone nel centro finanziario stanno finendo il cibo, l'acqua e altri beni di prima necessità, e molti sono sull'orlo della fame.
I video stanno facendo il giro dei social media, mostrando la gente di Shanghai che si lamenta della mancanza di cibo e di cure mediche. Costretti a restare nelle loro case, si sono messi sui balconi per urlare, cantare e dare voce alla loro rabbia, alle loro paure e alle loro sofferenze.
Mentre i residenti di Shanghai urlano le loro frustrazioni dai loro balconi e dalle finestre, il governo ha risposto alla protesta schierando droni per avvisare la popolazione: «Controlla il desiderio di libertà dell'anima e non aprire la finestra per cantare. Questo comportamento rischia di diffondere l'epidemia».
La frase «controllare il desiderio di libertà dell'anima» è un riferimento a un'osservazione controversa fatta da un legislatore cinese durante la prima ondata di pandemia nel 2020, quando il governo ha imposto rigorose misure di blocco a Wuhan, il punto zero dell'epidemia di coronavirus.
In alcune zone di Shanghai, la situazione di tensione è andata fuori controllo e sono scoppiate rivolte. I video mostrano un folto gruppo di persone che sollevano slogan e mettono all'angolo funzionari che indossavano tute ignifughe, prima di saccheggiare un supermercato.
I video formano un raro montaggio di rabbia pubblica e respingimento contro le ferree misure anti-Covid del governo totalitario.
Tutta Shanghai è stata bloccata dal 1 aprile. Il terzo orientale della città è rimasto chiuso ancora più a lungo, dal 28 marzo. Il governo nazionale ha inviato 2.000 medici militari e 10.000 operatori sanitari di altre province per aiutare a combattere l'ondata di Covid alimentata dalla variante Omicron.
La pressione dei test e del trattamento sta mettendo a dura prova anche gli operatori sanitari. Un video condiviso su Twitter mostra un medico che viene portato d'urgenza fuori da una struttura di isolamento, trasportato dai pazienti, dopo che è crollato mentre svolgeva le sue funzioni.
Shanghai ha riportato 25.000 infezioni da Covid-19 domenica, un altro picco giornaliero nella peggiore epidemia di Covid in Cina in due anni. Per fermare la diffusione della malattia, la città è stata posta sotto la rigida strategia Covid «zero dinamico».
Dal “Financial Times” - dalla rassegna estera di “Epr comunicazione” l'11 aprile 2022.
Lunedì il produttore di auto elettriche Nio ha guidato i mercati cinesi verso il ribasso, mentre i commercianti sono alle prese con gravi interruzioni della catena di approvvigionamento in Cina causate dalle autorità che hanno isolato Shanghai dal resto del paese. Lo scrive il Financial Times.
Nio è crollato fino al 14,4 per cento nel commercio mattutino a Hong Kong dopo aver annunciato nel fine settimana che i fornitori a Shanghai, la vicina provincia di Jiangsu e Jilin avevano sospeso la produzione "uno dopo l'altro" e che avrebbe rinviato le consegne.
L'indice Hang Seng China Enterprises degli stock della Cina continentale è sceso del 3,6 per cento e l'indice di riferimento cinese CSI 300 delle azioni quotate a Shanghai e Shenzhen ha perso il 2,8 per cento.
Il più ampio indice Hang Seng è sceso fino al 3 per cento e l'Hang Seng Tech è calato fino al 5 per cento.
I crolli del mercato segnalano il crescente impatto finanziario ed economico di un'ondata di blocchi in tutta la Cina e specialmente a Shanghai, il centro della peggiore epidemia di coronavirus del paese in due anni che è diventata un test della politica zero-Covid di Pechino.
Le interruzioni delle catene di approvvigionamento cinesi si sono intensificate in seguito al blocco completo del centro finanziario dal 1° aprile, esacerbando le tensioni sui trasporti e la logistica, poiché le misure rigorose hanno portato l'attività nel più grande hub finanziario onshore della Cina e nella città più grande ad una brusca frenata.
«Shanghai è economicamente importante sia per l'economia interna cinese che per il commercio con il resto del mondo», ha detto Johanna Chua, capo economista asiatico di Citigroup. Ha aggiunto che i tempi di attesa per le consegne di semiconduttori sono già aumentati e che «con i significativi legami commerciali di Shanghai con l'Asia orientale, questo potrebbe avere impatti di ricaduta sulle catene di approvvigionamento regionali», in particolare in Corea del Sud, Taiwan e Vietnam.
La Cina ha riportato più di 27.000 nuovi casi giornalieri, con la stragrande maggioranza a Shanghai, secondo i dati ufficiali. Le autorità nel fine settimana hanno indicato che alcune comunità della città sarebbero state riaperte se non fossero stati segnalati casi per 14 giorni, ma la maggior parte della metropoli di 25 milioni di persone rimane sotto stretta sorveglianza che ha provocato lamentele sull'accesso al cibo e alle medicine.
La città meridionale di Guangzhou ha detto durante il fine settimana che avrebbe anche iniziato a testare in massa i suoi 18 milioni di residenti dopo che sono stati segnalati nuovi casi.
Zhenro Properties Group, che è diventato l'ultimo sviluppatore immobiliare cinese ad essere inadempiente durante il fine settimana, ha incolpato i suoi mancati pagamenti delle obbligazioni a causa della «portata e durata imprevista del blocco a Shanghai», che ha detto di aver fermato alcune operazioni e ritardato sia le vendite che le cessioni di beni.
I dati sull'inflazione rilasciati lunedì hanno mostrato che i prezzi al consumo sono aumentati di quasi l'1% rispetto a un anno fa, guidati principalmente da un salto nei costi del carburante e nei prezzi degli alimenti.
Dagotraduzione dal Guardian il 15 aprile 2022.
Mentre a Shanghai prosegue il lockdown che sta stremando la città, i residenti iniziano a far sentire la loro voce. Ieri sui social sono diventati virali i video ripresi per la strada in cui si vedono cittadini a cui è stato chiesto di lasciare i loro appartamenti ai pazienti Covid litigare con la polizia. Gli agenti, completamente bardati con tutte ignifughe e mascherine, hanno risposto effettuando numerosi arresti.
Shanghai, una città di 25 milioni di abitanti e cuore dell’economia della Cina, è diventata il cuore del più grande focolaio del Paese dal picco della prima ondata di virus a Wuhan oltre due anni fa. I residenti bloccati dall'inizio di aprile si sono lamentati della carenza di cibo e di funzionari troppo zelanti che li hanno costretti alla quarantena statale, mentre le autorità si affrettano a costruire decine di migliaia di letti per ospitare i pazienti Covid-19 con infezioni giornaliere che superano i 20.000 casi.
Verso la fine di giovedì, sui social media sono circolati video che mostravano i residenti all'esterno di un complesso mentre urlavano contro schiere di funzionari in possesso di scudi, etichettati come "polizia", che cercavano di sfondare la loro linea. In una clip, la polizia sembra effettuare diversi arresti dopo che i residenti li hanno accusati di «colpire le persone».
L'incidente si è innescato dopo che le autorità hanno ordinato a 39 famiglie di trasferirsi dal complesso «per soddisfare le esigenze di prevenzione e controllo delle epidemie» e di ospitare i pazienti affetti da virus nei loro appartamenti, secondo Zhangjiang Group, lo sviluppatore del complesso residenziale.
I video girati hanno fornito una rara finestra sulla rabbia pubblica in Cina, un paese in cui le autorità comuniste tollerano poco dissenso e la censura cancella regolarmente le informazioni relative alle proteste da Internet alla stessa velocità con cui vengono caricate.
In un video trasmesso in live streaming, si può sentire una donna piangere e chiedere «perché portano via una persona anziana?» quando i funzionari sembravano mettere qualcuno in un'auto.
Il gruppo Zhangjiang ha affermato di aver risarcito gli inquilini e di averli trasferiti in altre unità nello stesso complesso. In un altro video, che è stato trasmesso in live streaming, si sente una donna gridare «Il gruppo di Zhangjiang sta cercando di trasformare il nostro complesso in un luogo di quarantena e consentire alle persone positive al Covid di vivere nel nostro complesso».
Il gruppo ha commentato i video del complesso che erano «apparsi su Internet» giovedì e ha affermato che «la situazione si era ora stabilizzata» dopo che «alcuni inquilini hanno ostacolato la costruzione» di una recinzione di quarantena.
La censura cinese è intervenuta rapidamente per cancellare le prove dello scontro dai siti di social media cinesi - come hanno fatto con molti altri video apparsi nelle ultime settimane – e i risultati di ricerca per il nome del complesso di appartamenti sono scomparsi da Weibo.
I residenti di Shanghai hanno sfogato la loro rabbia sui social media per la carenza di cibo e i controlli pesanti. Le autorità hanno promesso che la città «non si rilasserà minimamente», e sta preparando più di 100 nuove strutture di quarantena per accogliere ogni persona che risulta positiva, indipendentemente dal fatto che mostri o meno sintomi.
Erminia Voccia per “Il Messaggero” il 16 aprile 2022.
Grida disumane, scontri con la polizia, trasferimenti forzati nei centri per la quarantena, cani e gatti abbattuti per timore del contagio. Shanghai, il centro della finanza, la finestra della Cina sul mondo, è un totale disastro. La mega città da 25 milioni di abitanti è alla terza settimana di lockdown, imposto ai residenti a seguito delle prime restrizioni introdotte a inizio marzo. Misure estreme ma necessarie, secondo le autorità, a frenare la nuova ondata di Covid dovuta a una mutazione della già più contagiosa variante Omicron.
Le infezioni giornaliere in città sono più di 20mila. Un pericolo troppo grande per la Cina non adeguatamente coperta dai vaccini prodotti in loco. A inizio aprile, le infezioni nella Repubblica Popolare hanno raggiunto livelli che non si vedevano dal 2020, quando la correzione apportata al sistema di conteggio aveva determinato il superamento della soglia dei 15mila casi giornalieri, stando alle cifre dichiarate allora dai funzionari cinesi, la maggior parte dei quali riscontrati a Wuhan. A Shanghai in queste ore i cittadini sono stremati e protestano perché da giorni sono costretti in casa, non riescono a procurarsi il cibo e vengono trasferiti di forza nei centri di quarantena se risultano positivi al virus. Qualcuno cerca di procurarsi il necessario grazie al baratto e agli scambi di informazioni via chat.
LA CENSURA Nella capitale cinese i supermercati sono presi d'assalto. Nonostante la censura di Pechino, sui social si moltiplicano i messaggi critici verso il governo e la brutale gestione della pandemia da parte dei funzionari, chiamati in teoria a proteggere la salute e il bene pubblici. Le immagini e i video postati più che riportare alla mente quanto visto a Wuhan più di due anni fa, ricordano la violenza delle proteste pro democrazia di Hong Kong del 2019.
In entrambi i casi una lotta per la libertà. In un video, un poliziotto con addosso schermo facciale e tuta protettiva sembra eseguire diversi arresti mentre le persone intorno a lui lo accusano di aver picchiato degli innocenti. Sullo sfondo, la gente si dispera. Degli anziani vengono trascinati via. Alcuni a poca distanza filmano tutto con i cellulari. C'è chi scrive sui social che ci sarebbero stati dei suicidi per le condizioni troppo difficili da sopportare, chi si affaccia al balcone e implora aiuto, chi si ribella alla polizia.
I SOCIAL La decisione di requisire per l'isolamento degli infetti alcune case nel complesso residenziale di Zhangjiang Nashi ha causato un'onda di proteste.
Tuttavia, internet sembra l'unico luogo dove esprimere la propria voce.
Ancora sui social, è tornata la canzone Do You Hear the People Sing?, tratta dal musical Les Misérables e presa di mira dalla censura cinese proprio durante le manifestazioni di Hong Kong. Nei centri per la quarantena, di solito sale congressi o palestre riconvertite, non va certo meglio: mancherebbero i letti e le docce e le condizioni igieniche lascerebbero molto a desiderare.
La luce è accesa giorno e notte. Ha fatto discutere nei giorni scorsi il trattamento inumano riservato ai bambini positivi al virus, spesso molto piccoli, probabilmente lasciati soli a piangere dopo essere stati strappati ai genitori risultati negativi. Le autorità cinesi avevano difeso la misura. Ma diversi diplomatici europei di stanza a Shanghai avevano inviato una lettera al governo locale lo scorso 31 marzo per richiedere l'annullamento di varie disposizioni, in particolare che i bambini non fossero allontanati dai genitori, in nessun caso. Risultato: i funzionari pare si siano ammorbiditi.
Diodato Pirone per “il Messaggero” il 21 aprile 2022.
Cinquecento navi in fila per entrare in un porto non si sono mai viste. Un ingorgo pantagruelico che sta facendo diminuire la produzione di farmaci in India (maggior produttore di medicine al mondo) e calare il numero di vetture sfornate dalle linee di montaggio americane e europee.
Come se non bastasse la guerra in Ucraina, lo spettacolare collo di bottiglia che si è formato davanti allo scalo di Shanghai, il principale porto cinese e del mondo dove ogni anno transitano ben quattro milioni di tonnellate di merce, sta scatenando una sorta di tempesta perfetta sulle filiere produttive di mezzo mondo. La causa? Il Covid-19, cos' altro?
Il virus in Cina continua a imperversare anche perché le autorità di Pechino mantengono una linea anti-Covid durissima, articolata su un lockdown micidiale che ha bloccato nelle loro case 25 milioni di persone a Shangai (12 in realtà possono muoversi solo nel loro quartiere), nonostante una mortalità ridottissima di appena 7 morti da Omicron.
EFFETTO DOMINO Risultato? La Cina sta facendo tremare le principali filiere produttive mondiali. Fra le 477 navi mercantili contate l'11 aprile davanti alla costa di Shanghai, a decine sono cariche di metalli raffinati e altre sono in attesa di caricare materiali pronti per la distribuzione commerciale: il blocco dello scarico e del carico sta innescando un gigantesco domino. I ritardi nelle consegne cominciano ad essere imprevedibili e stanno impedendo alle imprese di rispettare i termini di consegna dei beni lavorati o dei componenti e ai negozi di avere alcune merci in vetrina.
L'intera logistica mondiale ne soffre, con treni che partono dai porti degli altri continenti mezzo vuoti, e prezzi dei containers e dei trasporti che salgono e scendono non più secondo la classica legge della domanda e dell'offerta ma in base a logiche imprevedibili legate alla loro semplice disponibilità. Per avere un'idea della fase di follia che affligge la logistica basta dire che affittare un container da 40 piedi da Shanghai a Rotterdam fino all'estate scorsa costava non più di 2.000 dollari, poi nell'autunno le tariffe sono schizzate fino a 13.000 dollari e oggi oscillano su cifre analoghe.
E così trovare componenti per i farmaci sta cominciando ad essere un grosso grattacapo perché la Cina gestisce il 70% della produzione mondiale di molecole (il principio attivo di ogni medicina). Non solo. Il dramma della mancanza di semiconduttori per le auto sta toccando livelli impensabili.
Non c'è stabilimento automobilistico in tutto il mondo, ma in particolare in Usa e in Europa, che non abbia dovuto sospendere la produzione per qualche settimana. Anche in Italia Stellantis ha dovuto fermare la produzione della mega-fabbrica di Melfi che produce le Jeep Compass e Renegade e la 500X, per mancanza di componenti elettronici.
La scarsezza di merci sta lentamente plasmando quella che gli economisti chiamano crisi da offerta. In pratica i beni prodotti dall'industria sono molto meno di quelli richiesti e questo fenomeno alimenta l'inflazione. Oltre all'aumento dei prezzi delle materie prime, stanno lievitando ad esempio i listini delle automobili perché la domanda resta forte ma nessun costruttore riesce a produrre di più e così la pressione della concorrenza sui prezzi si è dissolta, mentre gli utili delle aziende automobilistiche non sono mai stati così pingui.
Un po' ovunque nelle fabbriche di mezzo mondo sta spuntando la scritta chiuso per virus. Il che è ancora più paradossale se si pensa che sia l'Europa che gli Stati Uniti stanno rapidamente abbandonando la fase dell'emergenza Covid.
I DUE MOTIVI Già, ma perché la Cina continua a tenere la linea dei lockdown pesanti che in Occidente è stata abbandonata da tempo? Gli osservatori forniscono due spiegazioni. La prima è tecnica: il vaccino cinese, il Sinovac, anche se somministrato a larga parte della popolazione, è molto meno efficace degli analoghi prodotti occidentali. La seconda spiegazione è legata all'imminente rielezione di Xi Jinping alla guida del Paese. Un passaggio che nella mentalità cinese è sinonimo di stabilità.
Dunque cambiare linea sulla gestione dei contagi non è ammesso perché sinonimo di instabilità: la popolazione potrebbe convincersi che la linea dura tenuta fin dall'inizio del contagio non era corretta. Con conseguenze imprevedibili in un Paese che sostiene la superiorità del proprio solido sistema politico rispetto alle continue oscillazioni delle democrazie occidentali. La globalizzazione, che tanto ha aiutato la Cina, per ora è stata messa in stand by. Per ora.
QUANTI SONO DAVVERO I MORTI? I misteri dell’epidemia di Covid a Shanghai. ANDREA CASADIO su Il Domani il 22 aprile 2022.
Lunedì 18 aprile, le autorità cinesi hanno annunciato che tre persone erano di morte di Covid a Shanghai, le prime vittime ufficiali dal 27 marzo, giorno in cui la megalopoli da 26 milioni di abitanti, cuore finanziario del paese, è entrata in lockdown.
Eppure Shanghai da fine marzo è tormentata da una brutale ondata di Covid che provoca decine di migliaia di contagi al giorno, tanto che le autorità sanitarie hanno costretto al lockdown l’intera popolazione di 26 milioni di abitanti.
Qual è la verità? Non la sapremo mai. Ma è probabile che ora a Shanghai i morti da Covid siano migliaia, perché altrimenti non si spiegherebbero le strettissime misure imposte dal governo. Il governo cinese non potrebbe mai ammettere pubblicamente i suoi errori. La sua cosiddetta strategia Zero Covid – solo lockdown e pochi vaccini – ha fallito.
Cosa sta succedendo in Cina? Lunedì 18 aprile, le autorità cinesi hanno annunciato che tre persone erano di morte di Covid a Shanghai, le prime vittime ufficiali dal 27 marzo, giorno in cui la megalopoli da 26 milioni di abitanti, cuore finanziario del paese, è entrata in lockdown. Anzi, sono stati i primi decessi da Covid riconosciuti dalle autorità nell’intera Cina dal marzo 2020.
La Commissione Sanitaria di Shanghai ha precisato che le vittime avevano un’età tra gli 89 ed i 91 anni, ed erano tutte non vaccinate. A Shanghai, solo il 38 per cento dei cittadini sopra i sessant’anni è vaccinato. Martedì 19 aprile, la Commissione ha annunciato altri nove decessi da Covid, che portano il conto totale a 12.
Ma a questi dati non crede nessuno. E’ impossibile che in una città di 26 milioni di abitanti colpita da una feroce epidemia provocata dalla nuova variante Omicron, che è arrivata ad infettare - secondo i dati ufficiali del governo - 20.000 persone al giorno per quasi due mesi, fino all’altro ieri non ci sia stato neanche un morto per Covid.
Qualcosa non torna. «So per certo che almeno diverse decine di anziani malati di Covid, tutti ricoverati in uno degli ospedali di Shanghai, sono morti nelle ultime settimane dopo aver contratto il Covid – scrive Robin Brant, corrispondente da Shanghai della Bbc – Però non sono stati registrati dalle autorità come decessi ufficiali da Covid. Apparentemente, sono morti per patologie preesistenti».
Perché lunedì scorso finalmente le autorità hanno deciso di rendere pubblica la notizia che tre anziani erano morti per il Covid? In Cina nessuna notizia viene divulgata se prima non viene approvata dalle autorità, e se una notizia viene divulgata c’è sempre un motivo.
Fino ad ora le autorità di Shanghai avevano avvertito la cittadinanza che la nuova ondata provocata da Omicron poteva decimare la popolazione, e per questo da fine marzo hanno messo in lockdown l’intera città. Tutti i ventisei milioni di cittadini hanno dovuto obbligatoriamente sottoporsi a un tampone, e chi risultava positivo veniva messo in isolamento forzato in centri di quarantena allestiti nelle scuole o in sale di esposizione.
Ospedali di emergenza sono stati ricavati da altri edifici pubblici. Nessuno può uscire di casa, l’esercito consegna cibo e altri mezzi di sostentamento di porta in porta. In breve tempo i cittadini sono stati presi dall’ansia, dalla rabbia e dalla disperazione. E tuttavia secondo le autorità ufficiali il Covid fino a lunedì non aveva ucciso nessuno. Possibile? Ovviamente no.
Poi lunedì scorso improvvisamente la Commissione Sanitaria di Shanghai ha annunciato che il giorno prima “tre persone ricoverate in ospedale sono decedute per il Covid” nonostante i sanitari abbiano fatto “tutti gli sforzi possibili per rianimarli”, e ha aggiunto che le tre vittime soffrivano di altre patologie preesistenti e, significativamente, che nessuna di loro era vaccinata.
Perché il governo cinese ha fatto trapelare questa notizia, seguita dall’annuncio che altre nove persone erano morte il giorno seguente? Forse perché adesso vuole mettere in guardia la popolazione contro il pericolo Covid, e spingere a vaccinarsi chi non lo ha ancora fatto? Probabile.
Finora, il governo cinese ha adottato una strategia “Zero Covid”, basata sull’introduzione di severi lockdown, il tracciamento capillare della popolazione e l’isolamento dei contagiati, per soffocare i focolai epidemici sul nascere: in questo modo, secondo le statistiche ufficiali, da inizio pandemia il Covid ha fatto registrare meno di 5.000 vittime, che sono pochissime per una nazione di un miliardo e 400 milioni di persone.
Però, non ha mai avviato una seria campagna di vaccinazione di massa perché non la riteneva necessaria - in Cina è vaccinato solo il 59 per cento della popolazione totale, e meno del 50 per cento delle persone sopra i sessant’anni. Oltretutto, i vaccini sviluppati dalle aziende di stato - come il Sinopharm ed il Sinovac - sono molto meno efficaci dei moderni vaccini a RNA sviluppati in Occidente.
Così ora il coronavirus in Cina si trova di fronte una immensa popolazione che non è immunizzata – perché non ha mai contratto il virus a causa dei lockdown ripetuti- e che se è vaccinata non è protetta a sufficienza: una catastrofe. Come quella che probabilmente sta accadendo a Shanghai.
«Ho potuto visionare documenti ufficiali che dimostrano che nella scorsa settimana almeno 27 pazienti, tutti non vaccinati, ricoverati in un singolo ospedale, qui a Shanghai, sono morti per quelle che sono stati definite “patologie concomitanti” – mi confessa Robert Brant –Un’infermiera e un manager sanitario della Casa di Ricovero per Anziani Donghai mi hanno raccontato che nelle ultime settimane hanno lottato come disperati per tenere in vita decine e decine di anziani ricoverati nel loro ospedale, molti dei quali sono morti. Sui social media molti cittadini hanno scritto che in almeno altri dodici ospedali di Shanghai centinaia di pazienti erano stati contagiati dal virus, così ho provato a contattarli, ma nessuno mi ha risposto», dice.
«Una parente di un anziano ricoverato in un'altra casa di riposo mi ha confidato che i dottori e gli infermieri le avevano confessato che gli oltre 300 anziani degenti erano risultati tutti positivi al coronavirus. Un manager dell’ospedale di Donghai al telefono mi ha detto sconsolato: “Mi chiede se abbiamo avuto molti decessi per il Covid? Ovviamente sì. A Shanghai la situazione è questa. Come fa a pensare che non ci siano morti a causa del Covid?”. I parenti di uno degli anziani deceduti all’ospedale Donghai hanno ricevuto una lettera firmata dai dirigenti della struttura nella quale si scusavano per la perdita del loro caro, ammettevano “la nostra mancanza di professionalità», ed esprimevano alla famiglia «il loro più profondo senso di colpa».
Per adesso, le autorità cinesi fanno di tutto per nascondere la realtà. Per esempio, i casi – e i decessi – da Covid possono essere confermati solo sulla base di criteri strettissimi stabiliti dal governo: è malato di Covid solo chi risulta positivo al test e mostra una polmonite bilaterale confermata da una Tac; in caso di decesso, prima di attribuire ufficialmente la morte al Covid bisogna scartare le altre patologie preesistenti. «Un uomo la cui sorella settantaduenne è deceduta all’ospedale di Donghai il 3 aprile ha cercato invano di ottenere spiegazioni sulle cause della sua morte», mi spiega Brant.
«Una settimana prima era risultata negativa, ma poi cinque dei sei pazienti suoi compagni di stanza sono morti in pochi giorni. Quell’uomo mi ha detto: “L’epidemia in quell’ospedale era terribile. Ufficialmente mia sorella è morta negativa al Covid, ma cosa l’abbia uccisa realmente non lo so». Un’altra donna di 99 anni ricoverata nello stesso ospedale è morta il primo aprile, dopo essere risultata positiva al Covid. «Ho richiesto più volte spiegazioni ufficiali dall’ospedale di Donghai ma nessuno mi hai mai risposto», mi racconta Brant.
I media controllati dal governo di Pechino hanno riferito che il presidente Xi Jimping ha affermato: «La prevenzione e il lavoro di controllo non può subire rilassamento». Qualche giorno fa sulla prima pagina dell’organo ufficiale del partito comunista cinese, il quotidiano Il Giornale del Popolo, troneggiava questo titolo: «La persistenza è vittoria».
Qual è la verità? Non la sapremo mai. Ma è probabile che ora a Shanghai i morti da Covid siano migliaia, perché altrimenti non si spiegherebbe come le strettissime misure di lockdown imposte dal governo continuano tuttora. Il governo cinese non potrebbe mai ammettere pubblicamente i suoi errori. La sua cosiddetta strategia Zero Covid- solo lockdown e pochi vaccini- ha fallito. E questa è una ulteriore conferma del fatto che solo vaccinando l’intera popolazione – dagli anziani ai bambini – il coronavirus verrà debellato per sempre. ANDREA CASADIO
Morti e contagi, tutto quello che non torna a Shanghai. Alessandro Ferro il 23 Aprile 2022 su Il Giornale.
La metropoli cinese di Shanghai vive il lockdown più rigido di sempre ma i numeri dei positivi e dei decessi sono in contrasto con quanto succede realmente: ecco le verità nascoste.
I conti non tornano. A Shanghai, da ormai alcune settimane, la situazione legata alla variante Omicron del Covid-19 è sfuggita di mano alle autorità cinesi. Se l'ultimo bollettino recita dodici morti e 2.988 nuovi contagi in una metropoli composta da 26 milioni di abitanti, qualcosa nel conteggio non funziona. Perché mai ci sarebbe un lockdown così rigido per numeri, con tutto il rispetto per ogni singola vita umana e ogni singolo contagio, così bassi? È impossibile che sia questa la verità, specialmente in una popolazione poco vaccinata come quella cinese che aveva schivato la fase dura delle precedenti ondate con chiusure sistematiche, continuative e a tappeto e che ha sponsorizzato molto poco la campagna di vaccinazione.
Qual è la verità di Shanghai
Che la Cina non ci racconta tutto lo sappiamo ormai da Wuhan, non è certo una novità. Tra l'altro, i dati ufficiali del governo di Shanghai stanno anche abbassando i numeri dei casi giornalieri che, se fino a pochi giorni fa erano circa 20mila al giorno, adesso sarebbero di poche migliaia e sempre con pochissimi morti, tutti di età compresa tra 89 e 91 anni non vaccinati. Nella metropoli, soltanto il 38% degli abitanti over 60 è vaccinato, un numero esiguo. Tra l'altro, questi decessi stanno iniziando a spuntare soltanto adesso perché, fino ad alcuni giorni fa, si parlava soltanto di contagi. "So per certo che almeno diverse decine di anziani malati di Covid, tutti ricoverati in uno degli ospedali di Shanghai, sono morti nelle ultime settimane dopo aver contratto il Covid", ha affermato Robin Brant, corrispondente da Shanghai della Bbc. "Però non sono stati registrati dalle autorità come decessi ufficiali da Covid. Apparentemente, sono morti per patologie preesistenti", riporta il Domani.
Il fallimento della politica "zero Covid"
Il regime cinese è ferreo: nessuna notizia viene divulgata se non approvata in precedenza dalle autorità: se viene divulgata, però, c'è sempre un motivo. Quanto succede a Shanghai da fine marzo è incredibile: lockdown durissimo e il più restrittivo da quando esiste il Covid, popolazione forzata a rimanere in casa, tampone obbligatorio per 26 milioni di cittadini, isolamento forzato in centri quarantena allestiti in fretta e furia, droni e cani robot che passano per le strade intimando alla gente di non lasciare le proprie abitazioni. Una situazione paradossale se questo virus non facesse morti e solo qualche migliaio di contagi al giorno.
Cosa sta cambiando in Cina
Per la prima volta da quando c'è Sars-CoV-2, probabilmente (finalmente), il governo cinese sta provando a dire alla popolazione di vaccinarsi, suggerimento mai dato in maniera esplicita da quando esistono i vaccini. La strategia "zero Covid" non ha portato da nessuna parte visto che il Paese è in ginocchio come e peggio di due anni fa con la differenza che il virus attuale è senz'altro meno mortale ma è più contagioso e trova terreno fertile per la mancanza di difese immunitarie adeguate dal momento che solo il 59% della popolazione ha ricevuto il vaccino, meno del 50% tra gli over 60 che è la categoria maggiormente a rischio. A proposito di vaccini, Sinopharm e Sinovac sono senz'altro meno efficaci dei vari Pfizer e Moderna a Rna messaggero: lo dicono gli esperti mondiali del settore. Se facciamo la somma di tutte queste cose non ci stupiamo di cosa stia accadendo.
"Decine di morti Covid"
Il giornalista della Bbc spiega che, tra i documenti ufficiali degli ospedali, tantissimi decessi vengono considerati per "patologie concomitanti" e non per Covid. "Un'infermiera e un manager sanitario della casa di ricovero per anziani Donghai, mi hanno raccontato che nelle ultime settimane hanno lottato come disperati per tenere in vita decine e decine di anziani ricoverati nel loro ospedale, molti dei quali sono morti". In una casa di riposo, poi, circa 300 anziani erano risultati tutti positivi al Covid. "Mi chiede se abbiamo avuto molti decessi per il Covid? Ovviamente sì", risponde un medico a Robin Brant. Insomma, la situazione cinese è assolutamente diversa da come viene raccontata.
Quali sono i criteri del governo
Le autorità cinesi hanno deciso di considerare decessi Covid soltanto "chi risulta positivo al test e mostra una polmonite bilaterale confermata da una Tac; in caso di decesso, prima di attribuire ufficialmente la morte al Covid bisogna scartare le altre patologie preesistenti". "Un uomo la cui sorella settantaduenne è deceduta all'ospedale di Donghai il 3 aprile ha cercato invano di ottenere spiegazioni sulle cause della sua morte", afferma Brant, che raccoglie la testimonianza di chi ha perso un familiare. "L'epidemia in quell'ospedale era terribile. Ufficialmente mia sorella è morta negativa al Covid, ma cosa l'abbia uccisa realmente non lo so". Sappiamo tutti che il virus colpisce più aree del corpo umano e non diventa necessariamente polmonite ma può causare, e causa, numerose altre complicazioni nei non vaccinati. Il governo cinese tutto questo lo sa ma preferisce raccontare una realtà assolutamente distorta dei fatti.
Covid, le 2 balle che ci rifilano sfruttando Shanghai. L’ipocrisia dei chiusuristi di casa nostra di fronte agli orrori della dittatura comunista cinese. Max Del Papa su Nicolaporro.it il 21 Aprile 2022.
Shangai, oltre che un massacro, è un lavacro: nel Gange della virtù pelosa s’immergono le coscienze lebbrose di chi non conosce vergogna. Cosa stia succedendo nella metropoli cinese, polo avanzato di tecnologia e glamour, ventisei milioni, praticamente la metà dell’Italia tutta, è noto (anche se i media di regime cercano di ovattare): la dittatura cinese si è scatenata, l’obiettivo del Covid zero viene applicato alla lettera fino a coincidere con la popolazione zero: se li fai fuori tutti, il virus sparisce. Così ragionano le tirannie, e non c’è globalizzazione, non c’è modernizzazione che tenga: alla prima occasione, la voglia di tabula rasa torna fuori, tra il balzo culturale di Mao e il Covid zero di Xi non c’è soluzione di continuità. Neanche da noi c’è soluzione di continuità nell’ipocrisia e nella stupidità.
Covid, gli orrori del regime comunista
Inorridiscono, ma per pura posa, davanti ai macelli di Shangai, ai bambini sequestrata, alla gente presa e fatta sparire, o impacchettata, o imprigionata nelle case o nei laogai, alla strage di animali domestici, alla carestia di ritorno, alla polizia che spara e picchia, alla follia di una ideologia inestirpabile e inetta; ostentano brividi umanitari e dicono, i paraculi sbiancati, che così non si fa, che il Covid zero è un obiettivo feroce e irraggiungibile, che loro mai, per carità, mai si sono sognati di inseguirlo. E invece non hanno fatto altro. Ministri allucinati, consigliori di Seta, viroclown, scienziati della mutua, puttane di regime, propagandisti a tariffa, succhiatori d’involtini riconvertiti: eccoli tutti lì, a sposare il delirio italiano di ispirazione pechinese, anche noi, anche noi, avete visto la Cina, così si fa, così si procede.
Immunità di gregge, un fallimento
“La libertà non è più un dogma”, dicevano. “Prima la salute pubblica”, scandivano. “Un altro lockdown totale, di qualche settimana, sul modello cinese, e tutto sparisce”: questo lo diceva Ricciardi, lo diceva la cosca del Cts, lo ripetevano gli influencer del vaccino. Basta una ricerca lampo su Google. Il 60 percento di vaccinati? Meglio il 70, col 70 avremo l’immunità totale. No, meglio l’80, così avremo l’immunità di massa. No, arriviamo a 90, così raggiungiamo il Covid zero. Sono tutti lì, le loro ricette miserabili, le loro profezie portasfiga, i loro auspici di nuove stragi restano, aleggiano. E a 90 ci siamo arrivati, nel senso dei gradi, ma non è bastato e non è servito: “Ci vuole il 100%” e poi ricominciare con la quarta, la quinta dose, con la dose annuale, con la dose a vita. Effetti collaterali? Efficacia ridotta? Oh, quante storie, volete i condizionatori o il contagio zero?
Scienziati da operetta
Sono tutti lì e ancora continuano, basta scorrere un giornale, sintonizzarsi su un canale. Non vogliono tornare nei ranghi questi scienziati da operetta, che fuori dai confini davvero nessuno sospetta, e che prima di due anni fa neanche qui sapevamo esistessero: adesso sono drogati duri di vanità e se passa l’ondata benefica della pandemia mediatica, restano completamente privi di sovvenzioni. Invece vogliono fare i ministri, i parlamentari, i capiparanza dei partiti, gli influencer da prima serata. E il Covid zero deve essere perennemente inseguito, dietro garanzia che non si acchiapperà mai.
L’altra cialtronata dura, invereconda, sta nel minimizzare gli effetti devastanti qui da noi: ah, avete visto cosa è davvero il regime sanitario, provate un po’ a stare a Shangai. Come a dire: qui nessuno ha toccato niente, qui il governo ha salvaguardato la salute e la libertà di tutti per quanto possibile. Allora perché si scavalcavano, come scarafaggi immondi, nel predicare che la libertà non era più necessaria? A Shangai una dittatura comunista usa i cani robot, rinchiosi e spietati, deporta e distrugge – e lo stesso i cittadini insorgono, si ribellano, perché non ne possono più, non hanno più niente da perdere e lo sanno; e dunque? Per quale logica dovremmo concludere che qui tutto ha funzionato e sta funzionando nel più legittimo dei modi? È forse il bilancino quantitativo quello che si usa per testare la democrazia?
Economia a pezzi
Davvero non rilevano due anni di coprifuoco a intermittenza, l’ossessione mediatica, il terrorismo sanitario, le feste deserte, le estati uccise, i Natali deportati, l’alienazione, la divisione nel segno dell’odio, la depressione che ha portato milioni al tabagismo e alla bottiglia, la violenza di ritorno dei giovani, l’insanità condivisa nelle scuole, un green pass che è stato la miseria del mondo, il più pervasivo, il più carogna, il più prolungato sotto gli occhi di una opinione pubblica internazionale che non ci crede? Non contano le seicentomila attività chiuse, il degrado dei centri storici, la resa dei borghi e dei villaggi, la scomparsa di intere filiere produttive? Come nel distretto calzaturiero Fermano, tremila microaziende, ventimila addetti, che significa altrettante famiglie, all’incirca ottantamila persone che bene o male di manifattura vivono, uno su due considerato che il Fermano conta centocinquantamila abitanti.
E adesso le sanzioni rischiano di distruggerlo, dopo sei anni dal terremoto e due di pandemia, perché il mercato russo-ucraino, che fattura 100 milioni l’anno, era il più redditizio, un polmone per una economia monosettoriale in crisi endemica.
Accanimento continuo
Ma Draghi non se ne cura, lui punta alla presidenza della Nato, così scappa dai disastri fatti in casa. Intanto già infuria la propaganda per una quarta dose che gli italiani non vogliono e per questo si ritrovano demonizzati dai telegiornali come nella migliore tradizione delle dittature orientali; le mascherine “forse” restano e il green pass “forse” viene sospeso ma mantenuto, “così se succede ancora siamo pronti” sibila il nostro presidente del Consiglio per dire: non vedo l’ora che arrivi un’altra pandemia per rifare tutto da capo, però questa volta duro sul serio.
Molti fingono di provare orrore per Shangai, ma, sotto sotto, godono oscenamente e vorrebbero lo stesso anche qui. Per questo dicono che in Italia il regime sanitario non c’è. Perché non gli pare mai abbastanza, perché la libertà li offende come sempre offende i malati di un virus chiamato ideologia. Shangai è un massacro, un lavacro, un simulacro. Max Del Papa, 21 aprile 2022
La follia della dittatura cinese. Shanghai, il “modello cinese” delle prigioni quarantena. Vigilanza capillare e lockdown senza cibo per 26 milioni di abitanti. Matteo Milanesi su Nicolaporro.it il 15 Aprile 2022.
Mentre George Orwell scriveva la sua celebre opera “1984”, non avrebbe potuto pensare che, settant’anni più tardi, quella realtà fosse così vicina alla sua fantascienza. I caratteri totalitari, che il grande scrittore britannico descriveva, raccontava e criticava con la sua penna distopica, paiono più che mai attuali nella Shanghai cinese del 2022. La macchina del Grande Fratello di Xi Jinping è costituita da cani-robot, droni, case sigillate con lucchetti, bimbi strappati dalle proprie famiglie perché positivi, magari anche asintomatici. L’intera struttura organizzativa permette la capillare vigilanza di 26 milioni di abitanti rinchiusi, segregati, privati della loro vita sociale.
Shanghai peggio di Wuhan
I contagiati non possono rimanere in quarantena nelle loro case. Per ordini del governo centrale, devono essere trasferiti in strutture apposite, presumibilmente adibite alla circoscrizione del contagio. Il blocco del settore logistico sta causando notevoli difficoltà nel ricercare acqua e cibo nei supermercati online; i medicinali scarseggiano; in alcune zone della città, sono iniziate le prime rivolte. Shanghai 2022 rappresenta uno spettro ancora più inquietante di Wuhan 2020. Non solo perché, a distanza di più di due anni, stiamo ancora raccontando nuovi casi di quarantene, restrizioni e smanie da “Covid zero”; ma, soprattutto, perché le nuove misure adottate dal regime di Xi manifestano più che mai i tratti di un confinamento. Se cerchiamo sul dizionario il vero significato della parola “confinamento”, non denotiamo una semplice – seppur sempre preoccupante – “limitazione”. Piuttosto, si parla di relegazione, segregazione, reclusione. Insomma, si tratta di una formula con una carica emotiva ben più intensa, nonché ben più liberticida e autoritaria.
“Condizioni igieniche pessime”
Ecco, le misure che la Cina comunista sta applicando, calzano a pennello. Gran parte dei media nazionali italiani hanno riportato il racconto di Alessandro Pavanello, produttore musicale di 31 anni, chiuso da alcuni giorni in un centro espositivo a Shanghai, dopo essere risultato positivo al Covid. Egli parla di “condizioni igieniche pessime”, dove “non ci sono docce, ciascuno ha un catino per lavarsi, tutti tossiscono e sputano in un grande secchio”. Un lettore qualsiasi potrebbe presumere che queste scene avvengano nelle trincee o nelle zone assediate dell’Ucraina. E invece no: è la vita di uno dei più grandi fulcri economici mondiali, di un Paese che molti politici, osservatori ed analisti elogiavano sotto l’eloquente formula “modello cinese”.
In nome della vita, si è limitata la vita. In nome della libertà, si sta limitando la libertà. Propter vitam vivendi perdere causas ricordava il grande poeta romano Giovenale. Per salvare la vita, gli esseri umani perdono le cause che rendono quella vita degna di essere vissuta. Lo scrittore Marcello Veneziani, inoltre, evidenziava come l’esperienza che abbiamo vissuto con il Covid, e che i cinesi stanno tutt’ora vivendo alle estreme forme, non dovrebbe neanche essere definita “vita”; piuttosto, la parola adatta sarebbe “biologia”: la disciplina che si occupa delle semplici regole che disciplinano l’esistenza dei viventi, senza alcun rischio calcolato.
Dittatura comunista
Le misure restrittive apocalittiche vengono attuate in una città in cui i positivi sono poco più di 26 mila, di cui circa 25 mila asintomatici. I morti registrati ieri sono solo 7. La possibilità di convivere con un virus che, grazie ai vaccini ed alle continue mutazioni, diventa sempre meno letale, pare essere l’opinione proibita in Cina, nonché la più politicamente scorretta in Occidente, almeno fino a poche settimane fa. Nel frattempo, la polizia governativa cinese intima i cittadini a “combattere la pandemia con un cuore solo”. Per tutti coloro che dovessero violare le disposizioni, le autorità garantiscono un trattamento “in conformità alla legge da parte degli organi di pubblica sicurezza. Se costituisce reato, saranno indagati a norma di legge”, si legge in una nota.
A Shanghai, la Cina ha presentato il vero lato di una dittatura comunista. Il volto dell’unanimismo, del totalitarismo, della disperazione; troppe volte mascherato da un’economia vibrante, in continuo sviluppo, e da una classe dirigente occidentale che strizza l’occhio ad un sistema intrinsecamente comunista. Il Dragone ha posto le basi affinché le misure anti-Covid diventino un nuovo credito sociale, odierne forme di controllo decisamente più repressive ed invasive della sfera personale. Chissà se qualcuno avrà ancora il coraggio di plaudire a quel modello… Matteo Milanesi, 15 aprile 2022
Luigi Lupo per true-news.it il 20 aprile 2022.
Robot che intimano i cittadini a tornare a casa, cani picchiati perché si pensa possano aver contratto il Covid-19, positivi prelevati di casa e portati in hangar in attesa che si negativizzano. E ancora proteste per i bimbi allontanati dai genitori negativi.
A Shanghai è in corso un lockdown durissimo, la testimonianza di un italiano
Quarantena preventiva per tutti nonostante il numero di positivi sia ridicolo: meno di 200mila su una popolazione di 26 milioni di abitanti. Ma il Governo teme soprattutto per la popolazione di anziani non vaccinati e costringe l’intera città a una vita da reclusi.
Carlo Dragonetti, 28 anni, pugliese con un passato a Milano, vive nella città cinese da 8 anni. Anche lui, nonostante sia negativo, è chiuso in casa da 24 giorni, come racconta a true-news.it collegato dalla sua cameretta: “Non si può uscire di casa. Il Governo ha centralizzato tutte le risorse alimentari: ogni due giorni ci arrivano robe da mangiare. Il sapone, l’olio, la carta igienica ci vengono consegnati da funzionari del governo”. Se è vero che il numero di morti è ridotto, le libertà personali sono assolutamente limitate.
“Il lockdown ci manda fuori di testa”
“Non è più la vita che si faceva prima: Shanghai è una città super all’avanguardia, dove si vive bene, tecnologicamente avanzata. Questo lockdown ci sta mandando fuori di testa”. E cozza con quanto accade in Occidente: “Il cinese medio che guarda la Champions League o vede i Maneskin al Coachella, dove il pubblico sta gomito a gomito, si fa due domande”.
La strategia elettorale di Xi Jinping
Il lockdown stringente della città cinese si lega, secondo Carlo, a motivi politici:” Tra sei mesi, secondo voci corridoi, dovrebbe esserci la terza rielezione consecutiva del presidente Xi Jinping che vuole continuare a portare avanti la strategia Zero Covid. Il governo vuole dimostrare che questo modello sia vincente rispetto a quello adottato dall’Occidente che ha registrato milioni di morti”. “La pandemia globale è ancora grave quindi non possiamo allentare i controlli ora”, ha detto Xi durante una visita alla provincia meridionale di Hainan.
La Cina, ormai una superpotenza mondiale, vive una forte contraddizione: da un lato innovazione e tecnologie corrono verso il futuro, e Shangai è uno degli snodi fondamentali della finanza mondiale, dall’altro le strutture sanitarie delle città rurali, di quarta e quinta fascia, non possono reggere una grande ondata di positivi. Da qui i timori del Governo che, però, sembra più puntare a una strategia propagandistica.
“Saltato il patto sociale tra Stato e cittadini”
Il patto sociale su cui si basa la vita politica dei cinesi prevede che lo Stato si occupi della crescita del welfare mentre i cittadini debbano sottostare alle decisioni che arrivano dall’alto. Senza proteste.
“Ma questa promessa – spiega Carlo – non è mantenuta. Il problema principale dello shanghainese medio era dove andare in vacanza in una città europea e spendere i soldi guadagnati durante l’anno”. Adesso l’esigenza è un’altra: “Il problema principale ora è trovare un’applicazione da cui comprare cibo che non sia la cipolla che ci manda lo Stato”. I cittadini di Shangai stanno organizzando “spese di condominio”, “in modo che ci sia solo un ordinazione collettiva da parte di un condominio per limitare il numero dei rider in giro”, spiega ancora Dragonetti.
“Accadono cose assurde”
Per i positivi, lo Stato ha previsto un hangar dove vengono raccolti sintomatici e asintomatici. Li tengono lì e, tra medicina cinese, acqua calda e altre medicine che non si conoscono, sperano e aspettano che diventino negativi”.
“Accadono cose assurde, che hanno poco senso – continua Carlo: ci sono quelli che hanno ammazzato i cani perché, fino a prova contraria, si crede che gli animali possano contrarre il virus. Diversamente da quanto sappiamo in Occidente. Ci sono video di gente che va a fare il covid-test alle galline. C’è un alto livello di disinformazione scientifico”.
Giada Messetti per “La Stampa” il 27 aprile 2022.
Angoscia, rabbia, delusione sono i sentimenti che si avvertono quando si parla con chi vive a Shanghai, metropoli che fino a poco più di un mese fa era percepita come un centro economico e finanziario all'avanguardia, che non aveva nulla da invidiare a città americane come New York e San Francisco. Da fine marzo è costretta al lockdown più severo e caotico che la Cina abbia mai sperimentato. Che cosa non ha funzionato?
Dall'inizio della pandemia la Cina ha scelto di sigillare i confini e adottare la politica «zero covid». Mentre il resto del mondo era alle prese con il protrarsi di lunghe chiusure, i cittadini cinesi hanno vissuto come se il covid non esistesse, se si escludono alcuni focolai presto circoscritti. Il Celeste Impero non ha accettato di convivere con un virus da noi nel frattempo divenuto endemico, ha scelto di annientarlo e ha difeso le sue scelte, anche a livello propagandistico, nella convinzione che rappresentassero un modello più efficace rispetto a quello occidentale.
L'apice della celebrazione della strategia di Pechino è stato raggiunto durante le Olimpiadi Invernali, andate in scena con gli impianti pieni grazie al sistema delle «bolle». Il duro approccio del gigante asiatico ha potuto far leva sul senso di collettività caratteristico del confucianesimo e il Partito comunista ha giocato la carta della «mobilitazione» del popolo: ogni cinese ha fatto la sua parte, accogliendo direttive per noi inaccettabili. In ballo c'erano la vita delle persone, la tutela del bene collettivo e la conservazione dello status di potenza raggiunto dalla nazione.
L'arrivo della variante Omicron, troppo contagiosa per essere debellata, ha però fatto saltare il banco. In una metropoli come Shanghai, la situazione è sfuggita di mano.
Chi è chiuso in casa appare oggi sempre più rassegnato. I compound residenziali, in cui spesso coabitano migliaia di individui, hanno cominciato ad organizzare unità di distribuzione di cibo autonome o mini mercati di frutta e verdura nei cortili, perché ormai è svanita la speranza che la normalità possa tornare presto.
Gli shanghaiesi si sentono traditi dal governo che aveva promesso un lockdown di pochi giorni e adesso non sa indicare una data precisa in cui quella che è a tutti gli effetti una reclusione potrà finire. La parola d'ordine è diventata incertezza, un concetto che non trova spazio nel patto non scritto - molto difficile da accettare nella nostra fetta di mondo - in vigore tra opinione pubblica e partito unico: la garanzia del benessere economico in cambio della rinuncia ad alcune libertà personali.
Il PCC fonda la sua legittimità sul controllo della società, ma anche, che ci piaccia o no, sul credito acquisito negli ultimi decenni. In soli quarant'anni ha trasformato un paese povero e rurale nella seconda potenza del pianeta, sollevando dalla soglia di povertà seicento milioni di persone e migliorando giorno per giorno la vita dei suoi cittadini. La maggior parte dei cinesi tende a essere pragmatica quando si tratta di rapportarsi con il potere. Il benessere materiale, il progresso nelle condizioni di vita, la stabilità, il rispetto guadagnato dalla nazione compensano la censura di Internet, la durezza contro chi dissente, il divieto di affrontare in pubblico determinati temi politici.
A Shanghai questo meccanismo sembra essersi inceppato: dopo decenni di sviluppo, si è sperimentata nuovamente la fame (i cinesi di una certa età ricordano le carestie durante le quali ci si cibava delle cortecce degli alberi per non morire di stenti) e si è toccato con mano il peso dell'autoritarismo del Partito. Il malcontento è palpabile, la tensione è evidente, eppure, il governo non dà segno di voler abbandonare la politica «zero covid», anzi. I media e gli esperti la rilanciano in continuazione e le voci dissonanti vengono silenziate, proprio nelle ore in cui Omicron bussa alle porte di Pechino.
Perché la Cina non si lascia alle spalle questa modalità di gestione della pandemia? La risposta è tutta politica. Shanghai da sempre è la città di riferimento della fazione del PCC vicina all'ex presidente Jiang Zemin. La cosiddetta «gang di Shanghai» si contrappone alla corrente dello Zhejiang, guidata dall'attuale presidente Xi Jinping.
Durante i suoi dieci anni al potere, il leader cinese ha fatto piazza pulita dei suoi avversari e si è circondato di fedelissimi. In autunno, si svolgerà a Pechino il XX Congresso nazionale del PCC, che dovrebbe confermare Xi alla guida del paese per il terzo mandato: dichiarare la sconfitta della strategia attuata fino ad ora e passare alla convivenza con il virus, arrendendosi all'uso dei vaccini stranieri, costituirebbe un suo personale fallimento. Inammissibile in una fase delicata come questa, segnata anche da fragilità economiche e dagli effetti della guerra in Ucraina, che gli avversari potrebbero sfruttare per recuperare posizioni nella sfida per il potere.
Diventa quindi fondamentale osservare se Pechino andrà incontro allo stesso destino di Shanghai. Le speculazioni - questo possiamo permetterci ora - sostengono che la capitale non sarà ridotta nelle condizioni della metropoli portuale proprio per scaricare il fallimento della gestione di Omicron sugli errori e sull'incapacità organizzativa delle autorità locali, salvando così l'approccio zero covid e di conseguenza la leadership di Xi Jinping.
IL RACCONTO DI UN’ITALIANA IN CINA. «Il governo nasconde il nostro lockdown infinito a Shanghai». SELVAGGIA LUCARELLI su Il Domani 09 aprile 2022
Duecento milioni di cinesi in lockdown, bambini positivi al Covid separati dai genitori, animali domestici soppressi, mancanza di comunicazione da parte del governo, difficoltà nel procurarsi il cibo mentre si è chiusi in casa.
la Cina è alle prese con una guerra interna non meno folle di quella contro l’Ucraina: la guerra al Covid nella sua variante Omicron, con l’ambizione del solito traguardo cinese “contagi zero”.
Lucia, un’italiana che lavora nel settore manifatturiero e vive a Shanghai da sette anni, mi racconta la situazione che sta vivendo.
Duecento milioni di cinesi in lockdown, bambini positivi al Covid separati dai genitori, animali domestici soppressi, mancanza di comunicazione da parte del governo, difficoltà nel procurarsi il cibo mentre si è chiusi in casa. Mentre l’amica Russia è impantanata in una guerra dagli esiti imprevedibili, la Cina è alle prese con una guerra interna non meno folle di quella contro l’Ucraina: la guerra al Covid nella sua variante Omicron, con l’ambizione del solito traguardo cinese “contagi zero”. Un’ambizione insensata, tenendo conto dell’altissima contagiosità di Omicron, della scarsa efficacia del vaccino cinese, della bassa diffusione del virus nel paese durante le precedenti ondate e, soprattutto, della limitata copertura vaccinale (in Cina il vaccino non è obbligatorio).
Il disastro della vicina Hong Kong poi, sta terrorizzando il paese, soprattutto dopo i 20mila contagi registrati a Shanghai pochi giorni fa. Ed è proprio Shanghai, assieme ad un’altra ventina di città, a pagare il prezzo più alto. Lucia, un’italiana che lavora nel settore manifatturiero e vive a Shanghai da sette anni, mi racconta la situazione che sta vivendo.
«Qui la situazione è allucinante, da uscire di testa. Hanno iniziato con un lockdown a macchia di leopardo più o meno un mese fa, palazzi e compound chiusi per un numero di giorni diverso a seconda della situazione».
Cioè?
Dipendeva dal grado di separazione con un positivo. Io per esempio ero già in lockdown assieme a tutto il mio palazzo quando si è deciso per il lockdown in tutta la città perché nel mio condominio era stato trovato un positivo. Bastava questo per ritrovarsi chiusi in casa pure se non lo avevi mai incontrato nemmeno in ascensore.
È vero che sopprimono gli animali domestici di chi risulta positivo e viene portato in strutture apposite?
Sta succedendo. L’altro giorno sui social di qui, Weibo e WeChat, girava ovunque il video di un addetto sanitario del governo in tuta bianca che picchiava a sangue un cane corgi per strada (secondo una delle ricostruzioni più attendibili il proprietario, prelevato dal suo appartamento perché positivo, lo aveva liberato in strada confidando nel fatto che qualcuno dei vicini si sarebbe occupato di lui in sua assenza, ndr.).
Quanti lockdown hai fatto fino ad oggi?
La prima ondata qui a Shanghai si è sentita poco, siamo stati chiusi per un po’ ma poi rispetto al resto del mondo abbiamo passato un anno tranquillo. A novembre del 2021 ho fatto il vaccino cinese e per la prima volta sono uscita dalla Cina per andare trovare i miei cari. Avevo una forte ansia perché sapevo che se mi fossi ammalata il rientro sarebbe stato difficile, considera che per rientrare in Cina si fanno test molecolari, analisi del sangue e anche una lastra al torace in alcuni casi.
Sei rientrata tranquillamente?
No, mi hanno respinta. Ho buttato 4000 euro di volo, prezzi folli ormai. Avevo gli anticorpi troppo alti a causa del vaccino Pfizer che avevo fatto fuori dalla Cina. Quindi sono andata a Hong Kong dove ho passato tre settimane di quarantena in hotel per poi farne altre tre arrivata a Shanghai, e siamo già a gennaio di quest’anno.
Quindi stai passando la vita in quarantena.
Ero già stremata, poi a marzo imi arrivano notizie allarmanti dal mio team di lavoro, ho iniziato a capire che la strategia della città di Shanghai non funzionava. Qui c’è un governo centrale, quello di Pechino, e un governo locale, che prende alcune decisioni. Questo aiuta lo storytelling di Xi Jinping perché se le cose vanno male può dire che Shanghai l’ha gestito male…
Cosa succede a marzo?
Quando si registrava un positivo in un palazzo, vedi il mio caso, si veniva rinchiusi in casa e testati. Poi ognuno aveva l’obbligo di quarantena per un numero variabile di giorni, io per esempio 14.
Finché non inizia il lockdown per tutta la città.
La dividono in due blocchi. Il lockdown nella parte est è iniziato il 28 marzo e doveva durare fino al primo aprile. Considera che si avevano 4/6 ore al massimo per organizzarsi perché nessuno ci aveva avvisati. Dunque la città era divisa dal fiume, 10 milioni da una parte e 11 milioni a ovest dall’altra che invece aveva il lockdown dal primo aprile al 5 . Alla fine non hanno più riaperto né a est né a ovest.
Immagino quanti problemi…
Ci testano continuamente, alcuni sono testati tutti i giorni. Ci hanno distribuito i test rapidi, e questo accade per la prima volta in Cina. Ognuno ha una app con un qr code assegnato che contiene tutti i dati sanitari. I problemi sono enormi, i medici per altre patologie lavorano in remoto, i pediatri sono indisponibili. Non c’è cibo a sufficienza, le persone si svegliano alle 5 del mattino sperando di potersi accaparrare qualcosa tramite app. Il procurarsi cibo e acqua è diventato un lavoro giornaliero.
Come fate?
Su Wechat ci si mette d’accordo magari col palazzo per organizzare acquisti collettivi, io oggi stavo gestendo l’acqua per il palazzo cercando di non aver contatti fisici con nessuno. Per il cibo il governo ha fatto consegne a quasi tutte le unità familiari, io ho ricevuto pacco vegano, ma non è sufficiente. Sono in una chat con 400 italiani a Shanghai, ci siamo arresi. Gioiamo per un baratto tra una zucchina e un cetriolo nel palazzo.
Cosa provoca questa mancanza di comunicazione del governo?
Che siamo in balia di pettegolezzi, girano voci di tutti i tipi. Nessuno vuole essere portato negli hangar, siamo terrorizzati dalla politica zero contagi, non dal Covid. Ci ritroviamo senza dignità, non abbiamo accesso al cibo e all’acqua e ignoriamo il futuro. Non capiamo la politica intrapresa, se non ci sono morti come sembra è tutto ridicolo. Se ci sono morti vogliamo saperlo.
Dovresti aver imparato come funziona in Cina la comunicazione..
Certo. A novembre ci sarà il congresso del partito comunista, probabilmente Xi Jinping sarà rieletto per il terzo mandato e la situazione gli sta sfuggendo di mano. Qui per la prima volta ci sono rivolte, io non avevo mai visto i cinesi reagire da quando sono qui.
Pensi di rimanere a Shanghai in futuro?
Da Hong Kong pare siano scappate 70.000 persone nell’ultimo periodo, e lì hanno Pfizer. Qui Pfizer non c’è, abbiamo un vaccino di dubbia efficacia, quindi non so che futuro ci aspetta. Tra l’altro si parla tanto di Shanghai perché è internazionale, ha il porto, la borsa... ma ci sono vari disastri col Covid anche in tante città popolose nel nord della Cina. Ora lasciare il paese è impossibile, tra palazzi in quarantena e test da superare in aeroporto, ma capisci che succedono cose al di là dell’umana ragione?
Cioè?
Questa cosa dei figli separati dai genitori e portati in hangar ammucchiati con altri bambini, in condizioni sanitarie oscene è terribile. Pare che ora i genitori negativi li possano accompagnare, ma si sono dovuti muovere i media internazionali.
È anche difficile far trapelare informazioni.
Noi nella chat degli italiani ci mandiamo video che vengono censurati subito dal sistema, un nostro amico ci ha mandato un video delle rivolte ed è sparito non appena ha premuto invio.
Ti dispiace l’ipotesi di non lavorare più in Cina, di lasciarla?
So solo che è una situazione troppo snervante ormai. Qui di stranieri siamo rimasti in pochissimi, hanno fatto di tutto per mandarci via. Questa politica di controlli soffocanti è iniziata tre anni fa, prima del Covid, con assurdi rastrellamenti nei ristoranti e nei locali dove ti chiudevano all’improvviso e ti costringevano a fare pipì per indagare su droga e altro. In alcuni casi ti tenevano 10 giorni in galera prima di espellerti. Ormai restavo 15 minuti in un bar e uscivo per la paura di venire rinchiusa.
Poi sono arrivati i controlli per il Covid.
Si è saputo poco ma qui quando è scoppiata l’epidemia alcune persone sono rimaste per settimane chiuse in ristoranti o uffici se trovate positive. Quando sono uscita dalla quarantena io avevo paura di entrare ovunque. So di gente rimasta chiusa dentro la sede Adidas, c’era un piano intero di persone adibito a dormitorio o di altri costretti a dormire nei parcheggi dei centri commerciali, o per 48 ore all’ikea. Dopo tutto questo e mentre accade tutto questo è difficile immaginare un futuro qui, credo capirai.
SELVAGGIA LUCARELLI. Selvaggia Lucarelli è una giornalista, speaker radiofonica e scrittrice. Ha pubblicato cinque libri con Rizzoli, tra cui l’ultimo intitolato “Crepacuore”. Nel 2021 è uscito “Proprio a me", il suo podcast sulle dipendenze affettive, scaricato da un milione di persone. Ogni tanto va anche in tv.
Alessandra Ziniti per “la Repubblica” il 12 aprile 2022.
Ventisette casi di Covid (9 dei quali asintomatici) in una città di 18 milioni di abitanti. E un'altra metropoli cinese torna a "chiudere". Dopo Shanghai tocca a Guangzhou, grande distretto manifatturiero della Cina meridionale, il più grosso aeroporto a nord ovest di Hong Kong, dove, secondo le autorità sanitarie, si sta espandendo la nuova ondata di Omicron che Pechino intende affrontare con misure rigidissime nonostante il numero dei positivi (26.000, la maggior parte dei quali asintomatici a Shanghai), se parametrato con quelli che si registrano ormai da mesi in Occidente, sia assolutamente modesto.
Degli appena 1.184 casi nelle ultime 24 ore registrati dalla Commissione sanitaria, i 27 di Guangzhou hanno aperto un nuovo fronte nella politica della "tolleranza zero" con cui da sempre le autorità cinesi hanno affrontato il coronavirus. E l'attuale ondata di Omicron sta comunque facendo registrare nelle regioni orientali del Paese un numero record di infezioni che non si vedeva dalla prima metà del 2020.
I 27 casi di Covid sono stati sufficienti a chiudere (intanto per una settimana) tutte le scuole primarie e secondarie di Guangzhou dove le autorità hanno subito ordinato test di massa per i 18 milioni di abitanti. Vietato entrare e uscire dalla Regione senza un tampone negativo fatto nelle 48 ore precedenti. Eventi pubblici sospesi e un centro espositivo immediatamente trasformato in ospedale per far fronte alla nuova "emergenza".
In lockdown restano i 17 milioni di abitanti della vicina Shevchenko e i 26 milioni di Shanghai, dove su 26.100 casi solo 914 presentano dei sintomi. Rigoroso isolamento (con centinaia di migliaia di persone costrette nelle strutture dedicate alla quarantena) e test di massa sono gli strumenti sui quali le autorità sanitarie cinesi non transigono nonostante le proteste a Shanghai per carenza di cibo e servizi medici anche se le autorità cittadine affermano di avere assicurato forniture giornaliere. Visto l'isolamento, molti condomini hanno deciso di fare una sorta di spesa collettiva per rifornire interi edifici dai quali è vietato uscire.
La rigida linea di contenimento del virus ha innescato una nuova polemica tra Cina e Stati Uniti. L'Ambasciata statunitense in Cina ha emesso un avviso in cui chiede ai propri connazionali di "riconsiderare" eventuali viaggi in Cina, a causa dell'ondata di contagi e delle restrizioni in atto e dell'applicazione "arbitraria" delle leggi locali. La Cina, con il portavoce del ministero degli Esteri Zhao Lijian, ha ritenuto «infondate» le accuse sulla politica sanitaria.
Ma anche la Camera di commercio dell'Unione europea in Cina ha fatto le sue rimostranze per le misure che stanno costringendo molte aziende a sospendere la produzione o a ritardare le consegne per le restrizioni in atto e la difficoltà negli spostamenti.
· Succede in Corea del Nord.
Kim Jong Un dice di aver liberato la Corea del Nord dal Covid. DANIELE ERLER su Il Domani l'11 agosto 2022