Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

NOTA BENE

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ABOLIZIONE DEI CONCORSI TRUCCATI E LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI

(pagine) GIANGRANDE LIBRI

WEB TV: TELE WEB ITALIA

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L’ITALIA ALLO SPECCHIO

IL DNA DEGLI ITALIANI

 

 

L’APOTEOSI

DI UN POPOLO DIFETTATO

 

Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2022, consequenziale a quello del 2021. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.

Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.

 

ANNO 2022

L’ACCOGLIENZA

SESTA PARTE

 

 

DI ANTONIO GIANGRANDE

 

 

IL GOVERNO

 

UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.

UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.

LA SOLITA ITALIOPOLI.

SOLITA LADRONIA.

SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.

SOLITA APPALTOPOLI.

SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.

ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.

SOLITO SPRECOPOLI.

SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.

 

L’AMMINISTRAZIONE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.

IL COGLIONAVIRUS.

 

L’ACCOGLIENZA

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA.

SOLITI PROFUGHI E FOIBE.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.

 

GLI STATISTI

 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.

 

I PARTITI

 

SOLITI 5 STELLE… CADENTI.

SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.

SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.

IL SOLITO AMICO TERRORISTA.

1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.

 

LA GIUSTIZIA

 

SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.

LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.

LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.

SOLITO DELITTO DI PERUGIA.

SOLITA ABUSOPOLI.

SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.

SOLITA GIUSTIZIOPOLI.

SOLITA MANETTOPOLI.

SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.

I SOLITI MISTERI ITALIANI.

BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.

 

LA MAFIOSITA’

 

SOLITA MAFIOPOLI.

SOLITE MAFIE IN ITALIA.

SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.

SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.

SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.

LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.

SOLITA CASTOPOLI.

LA SOLITA MASSONERIOPOLI.

CONTRO TUTTE LE MAFIE.

 

LA CULTURA ED I MEDIA

 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI.

SOLITO SANREMO.

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.

 

LA SOCIETA’

 

AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.

I MORTI FAMOSI.

ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.

MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?

 

L’AMBIENTE

 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI.

SOLITO ANIMALOPOLI.

IL SOLITO TERREMOTO E…

IL SOLITO AMBIENTOPOLI.

 

IL TERRITORIO

 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.

SOLITA SIENA.

SOLITA SARDEGNA.

SOLITE MARCHE.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO.

SOLITO ABRUZZO.

SOLITO MOLISE.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.

SOLITA BARI.

SOLITA FOGGIA.

SOLITA TARANTO.

SOLITA BRINDISI.

SOLITA LECCE.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.

 

LE RELIGIONI

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.

 

FEMMINE E LGBTI

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.

 

 

 

 

 

L’ACCOGLIENZA

INDICE PRIMA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

GLI EUROPEI

I Muri.

Quei razzisti come gli italiani.

Quei razzisti come i tedeschi.

Quei razzisti come gli austriaci.

Quei razzisti come i danesi.

Quei razzisti come i norvegesi.

Quei razzisti come gli svedesi.

Quei razzisti come i finlandesi.

Quei razzisti come i belgi.

Quei razzisti come i francesi.

Quei razzisti come gli spagnoli.

Quei razzisti come gli olandesi.

Quei razzisti come gli inglesi.

Quei razzisti come i cechi.

Quei razzisti come gli ungheresi.

Quei razzisti come i rumeni.

Quei razzisti come i maltesi.

Quei razzisti come i greci.

Quei razzisti come i serbi.

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

GLI AFRO-ASIATICI

 

Quei razzisti come i marocchini.

Quei razzisti come i libici.

Quei razzisti come i congolesi.

Quei razzisti come gli ugandesi.

Quei razzisti come i nigeriani.

Quei razzisti come i ruandesi.

Quei razzisti come gli egiziani.

Quei razzisti come gli israeliani.

Quei razzisti come i libanesi.

Quei razzisti come i sudafricani.

Quei razzisti come i turchi.

Quei razzisti come gli arabi sauditi. 

Quei razzisti come i qatarioti.

Quei razzisti come gli iraniani.

Quei razzisti come gli iracheni.

Quei razzisti come gli afghani.

Quei razzisti come gli indiani.

 Quei razzisti come i singalesi.

Quei razzisti come i birmani.

Quei razzisti come i kazaki.

Quei razzisti come i russi.

Quei razzisti come i cinesi.

Quei razzisti come i nord coreani.

Quei razzisti come i sud coreani.

Quei razzisti come i filippini.

Quei razzisti come i giapponesi.

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

GLI AMERICANI

 

Quei razzisti come gli statunitensi.

Kennedy: Le Morti Democratiche.

Quei razzisti come i canadesi.

Quei razzisti come i messicani.

Quei razzisti come i peruviani.

Quei razzisti come gli haitiani.

Quei razzisti come i cubani.

Quei razzisti come i cileni.

Quei razzisti come i venezuelani.

Quei razzisti come i colombiani.

Quei razzisti come i brasiliani.

Quei razzisti come gli argentini.

Quei razzisti come gli australiani.

 

INDICE SECONDA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Fredda.

La Variante Russo-Cinese-Statunitense.

 

INDICE TERZA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Calda.

LA BATTAGLIA DEGLI IMPERI.

I LADRI DI NAZIONI.

CRIMINI CONTRO L’UMANITA’.

I SIMBOLI.

LE PROFEZIE.

 

INDICE QUARTA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Calda.

L’ATTACCO. PRIMO MESE.

 

INDICE QUARTA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Calda.

L’ATTACCO. SECONDO MESE.

 

INDICE QUARTA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Calda.

L’ATTACCO. TERZO MESE.

 

INDICE QUARTA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Calda.

L’ATTACCO. QUARTO MESE.

 

INDICE QUARTA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Calda.

L’ATTACCO. QUINTO MESE.

 

INDICE QUARTA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Calda.

L’ATTACCO. SESTO MESE.

 

INDICE QUARTA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Calda.

L’ATTACCO. SETTIMO MESE.

 

INDICE QUARTA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Calda.

L’ATTACCO. OTTAVO MESE.

 

INDICE QUARTA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Calda.

L’ATTACCO. NONO MESE.

 

INDICE QUARTA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Calda.

L’ATTACCO. DECIMO MESE.

 

INDICE QUINTA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Calda.

LE MOTIVAZIONI.

NAZISTA…A CHI?

IL DONBASS DELI ALTRI.

L’OCCIDENTE MOLLICCIO E DEPRAVATO.

TUTTE LE COLPE DI…

LE TRATTATIVE.

ALTRO CHE FRATELLI. I SOLITI COGLIONI RAZZISTI.

LA RUSSIFICAZIONE.

 

INDICE SESTA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Calda.

ESERCITI, MERCENARI E VOLONTARI.

IL FREDDO ED IL PANTANO.

 

INDICE SETTIMA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Calda.

LE VITTIME.

I PATRIOTI.

LE DONNE.

LE FEMMINISTE.

GLI OMOSESSUALI ED I TRANS.

LE SPIE.

 

INDICE OTTAVA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Calda.

LA GUERRA DELLE MATERIE PRIME.

LA GUERRA DELLE ARMI CHIMICHE E BIOLOGICHE.

LA GUERRA ENERGETICA.

LA GUERRA DEL LUSSO.

LA GUERRA FINANZIARIA.

LA GUERRA CIBERNETICA.

LE ARMI.

 

INDICE NONA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Calda.

LA DETERRENZA NUCLEARE.

DICHIARAZIONI DI STATO.

LE REAZIONI.

MINACCE ALL’ITALIA.

 

INDICE DECIMA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Calda.

IL COSTO.

L’ECONOMIA DI GUERRA. LA ZAPPA SUI PIEDI.

PSICOSI E SPECULAZIONI.

I CORRIDOI UMANITARI.

I PROFUGHI.

 

INDICE UNDICESIMA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Calda.

I PACIFISTI.

I GUERRAFONDAI.

RESA O CARNEFICINA? 

LO SPORT.

LA MODA.

L’ARTE.

 

INDICE DODICESIMA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Calda.

PATRIA MOLDAVIA.

PATRIA BIELORUSSIA.

PATRIA GEORGIA.

PATRIA UCRAINA.

VOLODYMYR ZELENSKY.

 

INDICE TREDICESIMA PARTE

 

La Guerra Calda.

L’ODIO.

I FIGLI DI PUTIN.

 

INDICE QUATTORDICESIMA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Calda.

L’INFORMAZIONE.

TALK SHOW: LA DISTRAZIONE DI MASSA. 

 

INDICE QUINDICESIMA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Calda.

LA PROPAGANDA.

LA CENSURA.

LE FAKE NEWS.

 

INDICE SEDICESIMA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Calda.

CRISTIANI CONTRO CRISTIANI.

LA RUSSOFOBIA.

LA PATRIA RUSSIA.

IL NAZIONALISMO.

GLI OLIGARCHI.

LE GUERRE RUSSE.

 

INDICE DICIASSETTESIMA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Guerra Calda.

CHI E’ PUTIN.

 

INDICE DICIOTTESIMA PARTE

 

SOLITI PROFUGHI E FOIBE. (Ho scritto un saggio dedicato)

Quelli che…le Foibe.

Lo sterminio comunista degli Ucraini.

L’Olocausto.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Gli Affari dei Buonisti.

Quelli che…Porti Aperti.

Quelli che…Porti Chiusi.

Il Caso dei Marò.

Che succede in Africa?

Che succede in Libia?

Che succede in Tunisia?

Cosa succede in Siria?

 

L’ACCOGLIENZA

SESTA PARTE

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        La Guerra Calda.

ESERCITI, MERCENARI E VOLONTARI.

L'Esercito. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

L'esercito (lat. exercitus, "esercizio", in seguito "esercizio militare") è una forza armata creata da uno Stato o da un'organizzazione per svolgere compiti militari principalmente terrestri.

Gli eserciti delle monarchie e degli imperi dell'antico Oriente (IV millennio - VI secolo a.C.) in genere erano costituiti da una parte scelta, permanente, legata da vincoli etnici o di altra appartenenza, e da una parte raccogliticcia, composta dalle masse dei popoli vinti e assoggettati. Nell'età micenea (secc. XV-XII a.C.) gli eserciti della Grecia avevano carattere gentilizio. Solo i sovrani e i loro compagni disponevano dei carri e delle costose armature in metallo, e il loro combattimento spesso risolveva la battaglia; la massa degli altri soldati, armata alla meglio, aveva un ruolo marginale.

Nei secoli successivi, lo sviluppo delle condizioni economiche e il perfezionamento della metallurgia consentirono a un numero sempre maggiore di cittadini di disporre delle armi pesanti; gli eserciti nobiliari vennero sostituiti da nuovi ordinamenti, nei quali gli opliti (fanti con armatura pesante) costituivano la forza principale. Raggruppati a massa, essi componevano la falange, tipica formazione dell'età greca classica, la cui comparsa segnò la decadenza della cavalleria. A Sparta l'esercito era costituito da un nucleo permanente, formato dagli spartiati o eguali (cittadini con pieni diritti civili), i quali, sottoposti a una rigida disciplina fin dall'infanzia, erano obbligati al servizio militare dai 20 ai 60 anni; prestavano servizio nell'esercito anche i perieci (cittadini liberi senza diritti civili) e, in caso di bisogno, gli iloti (schiavi). L'esercito degli opliti spartani era suddiviso in 5 mórai (letteralmente, «divisioni»), che comprendevano da 400 a 900 uomini, a loro volta suddivise in lóchoi, pentecostie, enomotie (queste ultime composte da 15 o 32 o 36 uomini).

Ad Atene, dopo le riforme di Solone, tutti i cittadini, suddivisi in quattro classi a seconda del censo, avevano l'obbligo del servizio alle armi; le prime tre classi fornivano gli uomini per la cavalleria e la fanteria pesante, la quarta, a spese dello stato, quelli per la fanteria leggera. Dopo le riforme di Clistene, ognuna delle 10 tribù territoriali era tenuta a fornire una schiera contingentale di cavalieri. Ogni cittadino era obbligato al servizio militare dai 18 ai 60 anni di età. L'esercito era comandato dapprima da un arconte polemarco e, in epoca classica, dagli strateghi. I corpi forniti dalle tribù territoriali erano agli ordini di un tassiarco, che veniva eletto e che a sua volta nominava i lochagoí, capitani di singole compagnie di 100 uomini. La cavalleria era raggruppata in 2 contingenti, ciascuno fornito da 5 tribù e comandato da un ipparco; il suo impiego si ebbe soprattutto dopo la guerra del Peloponneso (431-404 a.C.); si diffuse inoltre l'impiego di mercenari, che integravano le unità permanenti «nazionali».

Al tempo di Filippo II di Macedonia e di Alessandro Magno (IV secolo a.C.), l'esercito comprendeva la cavalleria pesante dei nobili «compagni del re» (eteri), la cavalleria leggera (peoni), la fanteria pesante (pezeteri) ordinata in compatte falangi armate di lunghe lance (sarisse), la fanteria leggera e altri corpi tra loro organicamente integrati (come gli arcieri). Nonché macchine da guerra. L'esercito macedone fu la più complessa macchina militare fino ad allora costituita. I reparti erano inquadrati da un vero e proprio corpo di ufficiali, istruiti e preparati da apposite scuole (somatofilachie). Sul piano tattico, Alessandro riuscì a sfruttare appieno questo complesso strumento militare, puntando sulla forza d'urto del cavalleria pesante, attaccando con la fanteria in ordine obliquo (tattica peraltro già impiegata da Epaminonda) e sfruttando poi a fondo ogni successo con inseguimento senza respiro.

Caratteristiche generali.

Ci sono, e ci sono stati, molti tipi diversi di esercito in tempi e in luoghi diversi, in tutti però si possono ritrovare alcune costanti fondamentali:

La struttura gerarchica, piramidale: la massa delle truppe è divisa in unità e in sottounità, con un comandante che comanda ciascuna unità e i comandanti delle unità componenti la sua, fino ad un comandante in capo di tutto l'esercito.

La disciplina e l'obbedienza agli ordini come valori fondamentali.

Salvo casi particolari, le operazioni dell'esercito hanno luogo sulla terraferma: le operazioni sul mare e nel cielo vengono delegate alle altre forze armate, la marina militare e l'aeronautica militare, coordinando le azioni delle tre strutture (cooperazione interforze). Questa divisione non è netta: ognuna di queste tre forze ha, solitamente, unità minori in grado di svolgere limitate operazioni al di fuori del suo campo d'azione principale. Per esempio la marina militare ha spesso delle unità di fanteria (come i marines,in italia detti "marò"), l'esercito ha in genere delle unità di aviazione leggera e l'aeronautica,non in tutti gli stati, ha delle unità di terra(paracadutisti)

Tipologia.

Esercito professionale.

Gli eserciti professionali si sono sviluppati - come quelli di leva - durante tutto l'arco della storia, in particolare tra la fine del XX secolo e l'inizio del XXI secolo. A seconda del tipo di società e di civiltà, il servizio militare era svolto o soltanto da alcuni cittadini (caste guerriere) o da tutti i cittadini, che prestavano servizio militare per un tempo ben definito. A seconda del censo e/o delle possibilità economiche, e quindi delle armi che potevano procurarsi, i soldati venivano suddivisi nelle varie armi, fanti leggeri o pesanti, arcieri, frombolieri o cavalieri: quest'ultima arma era destinata ai più ricchi, che potevano permettersi di comprare e mantenere un cavallo. L'esercito per eccellenza considerato ancora oggi il più potente è la legione romana, seguito dalla falange macedone.

Esercito nobiliare

Era costituito soprattutto dai nobili e i loro figli, che in genere combattono a cavallo (essendo gli unici a poterselo permettere), ed era molto diffuso durante l'età feudale. Gli aristocratici erano generalmente accompagnati da fanteria reclutata fra i servi della gleba del feudo, truppe raccogliticce e poco motivate. La cavalleria assume ora un ruolo di primo piano, componendosi di cavalieri con armature in ferro, indossate spesso anche dai cavalli. Le nuove formazioni di cavalleria pesante si dimostrano di una potenza devastante, molto superiori alle formazioni di fanteria dell'epoca: per tutto il medioevo e ancora per buona parte dell'evo moderno fin quasi alla rivoluzione francese, l'esito delle battaglie fu deciso dalle cariche delle unità di cavalleria.

Esercito di leva.

Questo tipo di forza armata è stato il più utilizzato e conosciuto nella storia; sviluppati gradualmente con l'affermazione degli Stati nazionali, tramite l'istituto della coscrizione. Caratteristiche erano il non eccellente equipaggiamento materiale, talvolta poco e/o male addestrato, male equipaggiato ma estremamente numeroso e continuamente rinforzato da nuovi effettivi.

Struttura degli eserciti moderni.

Esistono molti compiti da svolgere in un combattimento moderno: ed inoltre, per la sua stessa estensione un esercito pone dei problemi logistici e gestionali di tutto rispetto, tanto che lo studio dei problemi organizzativi dell'esercito americano durante la seconda guerra mondiale diede vita ad una scienza interamente nuova, la ricerca operativa.

Un esercito è tipicamente organizzato in "armi", cioè in branche di combattenti addetti a diverse classi di armamento, e di diversi tipi di "corpi", cioè di addetti a mansioni logistiche, organizzative e di supporto ai combattenti.

Armi.

L'arma più antica, e la pietra angolare di ogni esercito, è la fanteria, composta da soldati con armi e artiglieria leggere (fucili mitragliatori e mortai): segue la cavalleria, che oggigiorno ha abbandonato i cavalli a favore dei carri armati, l'artiglieria per il supporto al combattimento delle due forze precedenti con cannoni e obici. Oltre a queste forze strettamente impegnate nel combattimento, ci sono il genio per costruire ponti e strade di fortuna, togliere reticolati e campi minati, demolire strutture eccetera, le trasmissioni che si occupa del cosiddetto C3I, cioè le funzioni di Comunicazione, Comando, Controllo e Informazione, vitali per un esercito moderno. Ultima viene l'arma dei trasporti e materiali, che fornisce la logistica con mezzi e materiali per lo spostamento o il dispiegamento delle unità e, infine, l'aviazione che offre supporto alle unità terra, durante le operazioni di pattugliamento o rastrellamento: supporto tattico, supporto di fuoco o anche di artiglieria aerea.

Corpi.

Gli aspetti burocratici della macchina militare sono curati dal Corpo di Commissariato dell'Esercito (il 19 novembre si festeggia l'anniversario della costituzione dell'Intendenza dell'Armata Sarda 1796), mentre il Corpo sanitario dell'Esercito Italiano, che comprende anche eventuali sezioni veterinarie, si occupa delle strutture mediche e delle misure sanitarie. Il Corpo degli ingegneri dell'Esercito invece è deputato a sperimentare e mettere alla prova procedure, armi ed equipaggiamenti allo scopo di trovare carenze e proporre rimedi e nuove soluzioni ad esse, nonché di modificare le procedure inadatte o inefficaci.

Gerarchia, unità e gradi militari.

Gli uomini e i mezzi di qualunque esercito sono suddivisi in unità, comandate da un ufficiale che ne è il comandante e ne ha la responsabilità; a sua volta ogni unità è divisa in più sottounità comandate da ufficiali di grado via via inferiore. L'unità più grande è l'armata, comandata da un generale di corpo d'armata, composta di due o tre corpi d'armata, ciascuno dei quali formato da due-quattro divisioni, per un totale di più di 100.000 uomini, mentre la più piccola è il plotone, composto di 30-50 soldati comandati da un tenente.

Nelle varie unità, a seconda della grandezza e dello scopo, si possono ritrovare sottounità appartenenti ad armi e corpi diversi (fanteria, artiglieria ecc.): più una unità è grande e più armi e corpi diversi saranno presenti al suo interno, rendendola sempre più versatile ed autonoma. Al livello più alto, la divisione è l'unità che contiene sottounità di tutte le armi e di tutti i corpi ed è perciò completamente autonoma sia per il combattimento che per l'amministrazione e la logistica. La divisione è perciò, organizzativamente, la misura di un esercito completo: cioè il numero di effettivi (soldati, ufficiali ecc.) di una divisione segna la dimensione minima al di sotto della quale, in linea di principio, un esercito non può ridursi senza dover rinunciare a qualche funzione.

Suddivisione delle unità e i loro comandanti

Vediamo ora le varie unità e i gradi dei loro comandanti. La composizione esatta delle unità è molto variabile a seconda del tipo di unità, dell'esercito considerato e del periodo storico: quindi i dati forniti qui sotto sono, per forza di cose, solo indicativi.

Gruppo d'armate

Armata (generale d'armata)

Corpo d'armata (generale di corpo d'armata): 50.000-100.000 uomini, due o più divisioni.

Divisione (generale di divisione): 8.000-15.000 uomini, due o più brigate o reggimenti (generalmente tre brigate pluriarma, per gli eserciti occidentali, in altri casi possono esservi tre reggimenti monoarma).

Brigata (generale di brigata): 3.000-8.000 uomini, unità pluriarma con due o più reggimenti o battaglioni di specialità anche diverse.

Reggimento (colonnello): circa 1.500 uomini, unità monoarma con due o più battaglioni (in alcuni eserciti, quali l'italiano ed il francese, il reggimento può essere costituito da più compagnie oppure una compagnia comando ed un battaglione. Alcune unità particolari fanno eccezione, ad esempio alcuni rgt trasmissioni hanno più battaglioni, come pure taluni reggimenti logistici.

Battaglione (tenente colonnello o maggiore): da 300 a 1200 uomini, due o più compagnie (in alcuni eserciti, quali l'italiano ed il francese, il reggimento ha sostituito il battaglione assumendone i connotati e le dimensioni).

Compagnia (capitano o tenente): 100-150 uomini, tre o più plotoni. È affiancato da un Aiutante di compagnia (1º maresciallo o Luogotenente) che esplica le funzioni di sottufficiale di compagnia.

Plotone (sergente maggiore, maresciallo maresciallo ordinario maresciallo capo o tenente): da 20 a 50 soldati, tre o più squadre.

Squadra (sergente): da 5 a 13 soldati.

Inoltre, e questo vale soprattutto per le unità più grandi, alle sottounità componenti possono essere aggiunte sottounità di livello gerarchico più basso, ma allo stesso livello delle sottounità maggiori: una divisione può avere, al primo livello di sottounità, sia le brigate che una compagnia del corpo sanitario e una di polizia militare, per esempio.

Esercito Italiano. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

L'Esercito Italiano (EI) è la componente terrestre delle forze armate italiane, delle quali fanno parte anche la Marina Militare, l'Aeronautica Militare e l'Arma dei Carabinieri, tutte dipendenti dal capo di stato maggiore della difesa e inserite nel ministero della difesa.

Nato come Regio Esercito nel 1861 in occasione dell'Unità d'Italia dal nucleo della Armata Sarda, assunse la denominazione attuale dopo la nascita della Repubblica Italiana avvenuta nel 1946. Terminata la fase di transizione del secondo dopoguerra, periodo durante il quale alcune unità erano ancora sotto il controllo Alleato, l'ingresso dell'Italia nella NATO comportò per l'Esercito una riorganizzazione e un ammodernamento in funzione di contrasto a un'eventuale azione militare da parte delle forze del Patto di Varsavia. I mutevoli scenari a livello internazionale hanno fatto sì che l'Esercito Italiano partecipasse inoltre a varie missioni di pace sotto egida ONU o NATO, quale ad esempio la missione Ibis in Somalia cominciata nel 1992 nell'ambito della missione UNITAF o l'UNMIBH in Bosnia ed Erzegovina, durata dal 1995 al 2002.

Con l'avvento del XXI secolo l'Arma dei Carabinieri che prima faceva parte dell'esercito, nel 2000 ha assunto il rango di forza armata; l'emanazione poi della legge 23 agosto 2004, n. 226 ha determinato la sospensione alle chiamate del servizio militare obbligatorio a partire dal 2005 accanto a un processo di riforma generale accompagnato da una progressiva riduzione di effettivi. 

Subito dopo l'unità d'Italia nel 1861, venne costituito il Regio Esercito italiano, che nacque dalla fusione dell'"Armata Sarda" con gli altri eserciti operativi nei vari stati preunitari italiani; la denominazione venne stabilita il 4 maggio 1861, con decreto (nota n. 76 del 4 maggio 1861) del Ministro della guerra Manfredo Fanti.

Da allora il Regio Esercito ha partecipato alla Terza guerra di indipendenza, alle campagne coloniali, alla prima guerra mondiale, alla guerra d'Etiopia, quindi alla Seconda guerra mondiale, dal 1940 dalla parte dell'Asse e dopo l'8 settembre 1943 dalla parte degli Alleati.

L'esercito cobelligerante e la nascita della Repubblica.

L'esercito repubblicano nacque dall'Esercito cobelligerante italiano, dopo la proclamazione della Repubblica il 2 giugno 1946. La sua base consisteva nel Corpo italiano di liberazione, che aveva partecipato alla campagna d'Italia al fianco delle forze Alleate contribuendo alla liberazione del territorio nazionale. Dopo la cessazione delle ostilità, la Missione Militare Alleata il 14 novembre 1945 stabilì le norme alle quali il nuovo esercito, detto "di transizione", doveva attenersi. La struttura doveva rimanere quella stabilita fino alla firma del trattato di pace. I cinque Gruppi di Combattimento che erano stati costituiti via via che le forze Alleate avanzavano divennero altrettante divisioni binarie, cioè formate da due reggimenti (solo di fanteria): Divisione fanteria "Friuli", "Cremona", "Legnano", "Folgore" e "Mantova".

A queste si aggiungevano tre divisioni di sicurezza interna, la "Aosta", la "Reggio (originariamente "Sabauda") e la "Calabria" cui si aggiungevano altri dieci reggimenti di cui tre alpini, portando la forza complessiva di quelle che venivano denominate "forze mobili e locali" a 90 000 uomini.

Altre componenti dell'esercito di transizione erano l'Organizzazione centrale e undici comandi militari territoriali che dovevano sostituire le funzioni dei preesistenti comandi di corpo d'armata in tempo di pace, per complessivi 9.000 uomini; l'amministrazione, comprendente le unità dei servizi con altri 31.000 uomini; la componente detta "Addestramento e complementi" che raggruppava il Centro Addestramento Complementi di Cesano e le scuole militari, per complessivi 10.000 uomini, che portavano il totale a 140.000 uomini. Alcuni reparti, consistenti in una divisione, sei raggruppamenti e due gruppi di battaglioni (equivalenti a reggimenti) rimanevano ancora sotto il comando Alleato.

L'organizzazione addestrativa di base era affidata ai comandi militari territoriali, attraverso i Centri addestramento reclute (CAR), con un organico a livello di reggimento, mentre l'addestramento avanzato veniva svolto dalle scuole militari. Inoltre ai comandi territoriali veniva assegnato un reggimento operativo in modo da garantire una presenza diffusa sul territorio, tranne in Sicilia nella quale i compiti di vigilanza vennero assegnati a due divisioni di sicurezza, visti i problemi legati alle tendenze separatiste dell'isola.

Nel 1946 le tre divisioni per la sicurezza interna vennero trasformate in unità operative, con l'aggiunta di un gruppo di artiglieria e un gruppo squadroni di cavalleria blindata (con cingolette CV35) della ricostituita Arma di cavalleria, e questa fu la struttura definitiva dell'Esercito di Transizione alla firma del trattato di Parigi nel 1947.

Gli anni cinquanta.

Dopo la fase di transizione, con l'accettazione dell'Italia nella NATO, le forze armate vengono rinforzate e riarmate, con un consistente concorso degli Stati Uniti d'America in termini di mezzi; la dottrina di impiego e l'addestramento vengono uniformati agli standard dell'alleanza, e vengono tenute regolarmente esercitazioni congiunte. 

Bandiera della NATO.

La consistenza dei reparti operativi cresce fino a raggiungere dieci divisioni di fanteria e tre corazzate ("Ariete", "Centauro" e "Pozzuolo del Friuli") cui si aggiungevano cinque brigate alpine. Nel 1954 la struttura di comando fu organizzata su due armate e cinque corpi d'armata, cui si aggiungeva il "Corpo per la sicurezza della Somalia", paese affidato all'Italia per mandato fiduciario dalle Nazioni Unite fino al 1956; di conseguenza, il corpo venne sciolto nello stesso anno.

Con il concretizzarsi della minaccia di invasione da parte del Patto di Varsavia viene definita dalla NATO la dottrina di difesa avanzata, che in Italia portò alla denominazione della "soglia di Gorizia" come linea di difesa alla quale doveva essere idealmente fermata l'eventuale invasione e al miglioramento ed estensione del Vallo Alpino, sistema di fortificazioni inizialmente concepito sotto il fascismo per contrastare una minaccia proveniente dalla Germania e successivamente ripristinato dall'inizio degli anni cinquanta fino al 1992, sotto il presidio di reparti appositamente dedicati allo scopo: Alpini d'arresto e Fanti d'arresto. Nacque la III Brigata missili che, dotata di missili "Honest John" prima (trentadue lanciatori) e "Lance" poi, acquisì la capacità di lancio di testate tattiche nucleari.

Gli anni settanta - la riforma.

Nel 1975 l'Esercito Italiano è stato interessato da una delle più radicali riforme della sua storia. La riforma venne promossa dal generale Andrea Cucino, che diventato capo di stato maggiore dell'esercito il 1º febbraio 1975, ordinò una revisione immediata della struttura della forza armata. Dopo due mesi dal suo insediamento, Cucino e il suo staff presentarono un piano per ristrutturare l'intera forza armata e dopo aver assicurato ulteriori 1.100 miliardi di lire in dieci anni per modernizzare l'equipaggiamento dell'esercito, ordinò che la riforma avesse inizio il 1º settembre 1975; il 31 dicembre 1975 la riforma era conclusa e gli organi, le unità, la dottrina, l'addestramento e l'organizzazione dell'esercito erano stati radicalmente modificati. Tra gli aspetti più rilevanti della riforma l'abolizione del livello reggimentale, con i battaglioni autonomi all'interno delle brigate. Dopo la riforma le unità operative erano pronte al 93%, con la Divisione corazzata "Ariete" pronta al 100% così come il Comando di artiglieria antiaerea.

Gli anni ottanta-novanta e le missioni internazionali.

Con l'inizio degli anni ottanta l'esercito ha affrontato, dal 1980 al 1982, la sua prima missione armata (cioè non limitata alla sola presenza di osservatori) all'estero, la Missione Italcon, durante la guerra in Libano come forza di pace. Durante la missione, effettuata congiuntamente con forze di altri paesi NATO tra i quali Stati Uniti e Francia, il contingente ha guadagnato la fiducia delle parti contrapposte, riuscendo a non essere vittima di disastrosi attacchi che invece colpirono le altre forze multinazionali e perdendo alla fine un solo uomo a causa dell'esplosione di una mina.

Nel 1992, dopo le stragi mafiose in Sicilia, fu utilizzato per l'operazione di polizia Vespri siciliani, che durò diversi anni.

La caduta del muro di Berlino e il dissolvimento del Patto di Varsavia diedero una nuova dimensione alle forze armate italiane, non più in funzione esclusivamente difensiva ma anche e soprattutto in supporto alle iniziative di peacekeeping (come viene denominata internazionalmente un'operazione di mantenimento della pace). L'esercito venne infatti schierato nella missione ONU in Namibia (UNTAG, 1989-1990), in Albania e Kurdistan nel 1991, e in Somalia con l'operazione IBIS dal 1992 al 1994, operando nell'ambito dell'UNITAF, una delle operazioni più complesse in teatro estero dalla fine della seconda guerra mondiale. Il contingente italiano, nello svolgere il suo lavoro sul campo somalo, subì un'imboscata che causò la morte di alcuni soldati (battaglia del pastificio). Seguirono la missione ONU in Mozambico (1993-1995, ONUMOZ) e quelle in Bosnia ed Erzegovina (1995-2002, UNMIBH), Timor Est (1999-2000, UNAMET) e Kosovo (1999, UNMIK).

Le riforme degli anni 2000.

A partire dagli anni 1990 l'esercito italiano cominciò ad attraversare una serie di trasformazioni come l'istituzione del ruolo dei volontari in ferma breve (VFB) prima e dei volontari in ferma annuale (VFA) poi. Dall'anno 2000 poi la partecipazione ai concorsi per l'accesso a tutte le FF.AA fu aperta anche alle donne senza alcuna limitazione di impiego, anche in incarichi di combattimento. In quello stesso anno si ebbe poi la separazione funzionale dell'Arma dei Carabinieri dall'esercito, elevata al rango di forza armata, cessando di essere una specialità dell'esercito, e perdendo la tradizionale provenienza del suo Comandante generale dalle file dell'Esercito.

Con la legge Martino del 2004 e la sospensione delle chiamate al servizio militare in Italia, venne avviata un notevole fase di ristrutturazione e ottimizzazione delle risorse soprattutto umane (la forza operativa passò negli anni da oltre 230.000 a circa 102.000) ne è discesa una concezione delle forze armate e una razionalizzazione del loro impiego completamente nuove e molto più agili.

Nel 2013 l'ultima profonda riorganizzazione, razionalizzando in particolare la componente operativa, e con la nascita del Comando delle forze speciali dell'Esercito.

Armi, Corpi e Specialità dell'Esercito.

Armi e specialità.

Le Armi dell'Esercito Italiano sono sei, mentre tra le specialità attive la più antica è quella dei "granatieri", la più giovane quella dei "lagunari":

Arma di Fanteria, con le seguenti specialità:

Fanteria di linea

Granatieri

Bersaglieri

Alpini

Paracadutisti

Lagunari

Arma di Cavalleria, con le seguenti specialità:

Cavalleria di Linea (Dragoni, Lancieri, Cavalleggieri

Carristi

Arma di Artiglieria, con le seguenti specialità:

Artiglieria terrestre (comprende l'artiglieria semovente e da montagna)

Artiglieria contraerei

Arma del genio, con le seguenti specialità:

Pionieri

Pontieri

Ferrovieri

Guastatori

Arma delle Trasmissioni, con le seguenti specialità:

Telematica

Guerra Elettronica

Arma dei Trasporti e Materiali

L'Arma dei Carabinieri fu, fino al 2000, la prima Arma dell'Esercito, e successivamente fu elevata a rango di quarta forza armata italiana.

Corpi .

I Corpi dell'Esercito Italiano sono i seguenti:

Corpo di Commissariato dell'Esercito Italiano

Corpo Sanitario dell'Esercito Italiano

Corpo degli Ingegneri dell'Esercito

Specialità di forza armata.

Aviazione dell'Esercito: è l'unica Specialità della Forza Armata che non appartiene a nessuna Arma o Corpo dell'Esercito ma è formata da personale altamente qualificato proveniente da qualsiasi Arma, Corpo o altra Specialità.

Personale

Roberto Faben per “La Verità” il 9 agosto 2022.

Di Maurizio Cocciolone, aquilano, classe 1960, oggi generale in congedo dell'Aeronautica italiana, gli italiani conservano un lucido, caloroso ricordo. Nel gennaio 1991, nella guerra del Golfo, il Tornado su cui era in missione, addetto ai sistemi di navigazione e armamento accanto al pilota Gianmarco Bellini, fu colpito dalla contraerea irachena a Kuwait City. Dopo la cattura, seguì un lungo, terribile periodo di prigionia.

Dove vive ora?

«Da qualche anno mi divido tra l'Italia e il Brasile, L'Aquila, Roma e Maceió, capitale dello stato di Alagoas, per stare vicino ai miei figli Andrea, Silvia e Alessandro, alla mia cara mamma Gemma, e alla mia famiglia brasiliana con la mia dolce piccolina, Asia Gemma Nicole, e la sua mamma Willy Rose». 

Da quando si è trasferito in Brasile e perché questa decisione?

«Da quando mi hanno posto in congedo, nel 2012, per le infermità riportate in servizio.

Ho deciso di riunirmi, in Brasile, con mio fratello Paolo, per dargli una mano nelle sue attività. Il mio congedo, purtroppo, è coinciso con la fine del mio matrimonio con la mia cara Adi, la mamma di Andrea, Silvia e Alessandro. 

È stato un momento molto difficile per me, con un distacco precoce dall'Aeronautica, subito dopo una dolorosa separazione quando ero già profondamente avvilito per la quasi totale distruzione della mia amata città (sisma dell'Aquila, 2009, ndr.)». 

Ha in progetto di tornare in Italia in futuro?

«Amo la mia patria e, tra qualche anno, con certezza, tornerò a passare la quasi totalità del mio tempo in Italia, a L'Aquila, con Asia e Willy». 

Come si trova in Brasile?

«Vivo nella regione Nord Est, in area tropicale, una parte povera ma in forte sviluppo.

Una vita semplice, tra le faccende di famiglia e la cura di Asia, dopo qualche anno trascorso nel costruire la nostra casa, letteralmente con le mie mani». 

La decisione di arruolarsi in Aeronautica come nacque?

«Non sono un "figlio d'arte", provengo da una famiglia di operai tutta lavoro, casa e chiesa.

Sin dall'infanzia ho avuto due grandi passioni, l'architettura e il cielo. Mi perdevo tra le facciate di chiese a L'Aquila e le scie degli Starfighters, gli F104 della Lockheed. 

Un giorno vidi su un manifesto l'annuncio di un concorso per entrare in Accademia aeronautica. Era il mio sogno. Senza dire nulla ai miei, feci domanda. Salii sul trenino semivuoto L'Aquila-Napoli, feci visite mediche, test, il concorso. Lo vinsi, uno dei momenti più belli della mia vita. Avevo 19 anni. Nel 1986-87 credo, mi ritrovai anch' io in quel manifesto, perché qualcuno ebbe l'idea di mettere una mia foto, mentre salivo su un Tornado nella base di Ghedi». 

Immaginava che un giorno sarebbe stato coinvolto in un'azione bellica a elevatissimo rischio?

«Guardi, ho sempre preso molto seriamente il mio ruolo di soldato. Ho vissuto i miei primi anni al 6° Stormo di Ghedi in un ambiente da Guerra fredda: allarmi, esercitazioni, attività di volo negli orari più impensati. Finita la Guerra fredda, incredibilmente le cose sono peggiorate e ci siamo ritrovati ad Abu Dhabi. Eravamo motivati, ma pensavamo sarebbe stata solo un'operazione di dissuasione». 

Quanto tempo prima, lei e Bellini, foste avvertiti della vostra missione?

«L'operazione "Locusta", parte aeronautica della "Desert Storm", impegnava tutti e tre gli Stormi caccia bombardieri nazionali, il 6°, il 36° e il 50°. Gli equipaggi avevano lo stesso livello addestrativo.

Pertanto, all'arrivo, dal comando operativo di Riad, del task order, poche ore prima dell'orario di decollo da Abu Dhabi, furono comunicati velivoli, equipaggi e obiettivi della missione. Tutti eravamo pronti». 

Da quanti aerei era composta la squadriglia che doveva colpire il deposito di mezzi militari e vettovagliamenti a nord-ovest di Kuwait City controllato dagli iracheni?

«Quella notte tra il 16 e il 17 gennaio 1991, da poco scaduto l'ultimatum imposto a Saddam Hussein, partimmo in otto velivoli, ma solo sette terminarono le operazioni di decollo in condizioni di procedere e ci ritrovammo subito orfani del capo formazione. Poco dopo anche un altro velivolo ebbe problemi tecnici». 

Nonostante le proibitive condizioni meteo, il vostro Tornado si rifornì in volo di carburante. Come riusciste? Fortuna o abilità?

«Dopo il decollo e il ricongiungimento in formazione, calò un silenzio affogato nel buio pesto, nessuna comunicazione radio. Mi concentrai, certo di essere dalla parte giusta. Le barbarie e atrocità viste ai tg non ammettevano dubbi. 

La missione prevedeva due rifornimenti. Le cisterne volanti erano la nostra sola possibilità. Ma si avvicinavano fulmini e la turbolenza cresceva. 

Eravamo rimasti in due. Il capo coppia si agganciò, ma per poco. La situazione per noi era critica. Dopo alcuni tentativi, Gianmarco riuscì a prendere carburante minimo per toglierci dall'emergenza, pur insufficiente per proseguire la missione. Il capo coppia dovette rientrare alla base. Servirono abilità e fortuna, ma poi seguì la sventura». 

Che successe dopo lo sganciamento delle bombe sull'obiettivo?

«Dopo circa due ore, scesi a bassissima quota, circa 30 metri dalle onde, e poi a pochi metri dalle dune per sfuggire ai radar, colpimmo l'obbiettivo che esplose dietro di noi illuminando a giorno la notte. 

Si scatenò l'inferno e, seppure quasi alla velocità del suono e rasenti la sabbia, le difese antiaeree, guidate dalle fiamme dell'esplosione e dei post-bruciatori dei nostri motori, mitragliarono il cielo dappertutto. A nulla valsero le manovre evasive e i fiotti di chaff eiettati a tutta forza. Un urto violento scosse il velivolo. A quella velocità e a quella quota, 2 o 3 secondi significavano la differenza tra la vita e la morte». 

E a quel punto?

«Non potemmo far altro che azionare i seggiolini eiettabili e sperare nella buona sorte, non ci fu tempo di pregare né di pensare, una forza sette volte la gravità terrestre ci schiacciò le vertebre e il collo e un muro d'aria gelida squassò il viso infiltrandosi sotto la visiera del casco e la maschera d'ossigeno. Per un miracolo non incrociammo ostacoli o proiettili prima dall'apertura dei paracadute». 

Quando foste a terra, che accadde?

«Fummo subito catturati dalle forze irachene, ancora spavalde nel secondo giorno di guerra. Fu l'ultima volta che vidi Gianmarco, da lì in poi sempre in celle separate. Ma lo sentivo urlare, e così mi tranquillizzai. Era vivo». 

Cosa ricorda delle violenze subite?

«Dopo pestaggi e torture, con la punta della lingua e il braccio sinistro penzoloni e inerti, fummo trasferiti prima in una prigione da campo maleodorante, dove mi fu ricucita la lingua e sostituita la tuta da volo con i pigiami gialli marcati Pow. Poi, nel locale delle interviste. Poi, in una fortezza di cemento armato che, seppi dopo, era nel cuore di Bagdad. 

Fummo sempre in isolamento, in una cella senza finestre due metri per tre, al buio e al gelo, con una ciotola di brodaglia e un mestolo d'acqua sporca a giorni alterni. Una notte, allo stremo e ridotto quasi a uno scheletro, quattro bombardieri Stealth centrarono le fondazioni dell'edificio ma la fortezza non collassò e la grata d'acciaio della cella esplose, sfiorandomi la testa. 

Immaginai che stessero evacuando l'edificio, ma non trovarono le chiavi della mia cella. Tentai di salire sul water per fuggire dalla finestra senza grata, ma il water si sbriciolò. Non chiusi occhio, pregai». 

Tutti ricordiamo quell'interrogatorio visto in tv

«Fu una farsa. Le domande erano preannunciate e le risposte provate, prima delle riprese. Speravo solo che i nostri genitori le vedessero, sapendo così che eravamo vivi. Ebbi la sensazione di aver a che fare con personaggi incompetenti, che non sapessero cosa chiedere. In realtà mi apparvero subito come povera gente, vittime di una situazione cui non erano preparati». 

Come avvenne la sua liberazione da quella prigione pericolante?

«Il pomeriggio successivo, un manipolo di soldati scardinò la porta e mi portò via. Ero in stato semicomatoso. Dopo un'ora mi tolsero il cappuccio nero e mi ritrovai in una piccola stanza scura con altri prigionieri americani e un colonnello della forza aerea del Kuwait. Ebbi solo la forza di abbandonarmi sul pavimento. 

Fui nutrito e dissetato e due giorni dopo ci portarono in uno spazio all'aperto dove fummo consegnati alla Croce Rossa e trasferiti in Giordania via pullman, dopo aver attraversato le macerie di Bagdad».

Dopo la guerra del Golfo ha partecipato ad altre operazioni militari?

«Dopo una lunga convalescenza, nonostante i rilevanti danni fisici riportati, superai le visite mediche e ripresi l'attività di volo. Fui trasferito in Germania, per tre anni, sull'Awacs, a supporto delle operazioni nei Balcani. Nel 2005, fui incaricato di pianificare l'attivazione dell'aeroporto e della base Nato di Herat (Afghanistan, ndr.). 

Poi comandante della Task force Aquila, sempre a Herat. Mai come allora, responsabile di centinaia di soldati, sotto i colpi di mortaio, dopo attentati e attacchi suicidi, con il popolo afghano alla fame che ci chiedeva cibo, cure e protezione, ho provato orgoglio per il mio lavoro». 

Come giudica la seconda guerra del Golfo? Che ha pensato quando Saddam Hussein fu giustiziato mediante impiccagione?

«Ancor oggi non sono certo di quale sarebbe stata la cosa giusta da fare, lasciare al popolo iracheno il fardello di liberarsi da una feroce tirannia oppure intervenire. Probabilmente non ci sono risposte giuste. Neppure l'esecuzione di Saddam mi ha aiutato a capire. 

Vedendolo dinoccolarsi verso la forca come un innocuo fantoccio, la pietà per un essere vivente si alternava alla voglia di giustizia per le migliaia di vittime torturate e trucidate senza alcun rimorso». 

In quell'interrogatorio disse che «la guerra è il modo sbagliato per risolvere un problema politico». Cosa pensa della guerra russo-ucraina e della decisione italiana di dare supporto militare e armi all'Ucraina?

«Quella dichiarazione, pur forzata, non mi trovava in disaccordo. La diplomazia è lo strumento da utilizzare nelle varie circostanze, ma purtroppo essa trova un limite nell'aggressività umana. Ritengo sia un dovere assicurare ai popoli oppressi il supporto necessario contro dittatori e aggressori, con Onu, Nato e Ue punti di riferimento per l'Italia». 

"Io, tiratore scelto, vi racconto l'orgoglio nel salvare le persone". Sofia Dinolfo il 15 Luglio 2022 su Il Giornale.

Un'attività piena di rischi che necessita molta preparazione fisica e mentale. Il maresciallo maggiore Massimo Vicini racconta la sua esperienza a IlGiornale.it.

Un lavoro particolare, che diviene fondamentale in quei momenti di estrema delicatezza in cui si gioca tutto. Stiamo parlando dell’attività del tiratore scelto, la cui specializzazione vede questo professionista coinvolto in interventi diretti a interrompere un sequestro oppure azioni di fuoco di un folle o di un terrorista nei confronti di una o più persone.

Il suo ruolo richiede elevate capacità che vanno da una notevole competenza di carattere tecnico a un ottimo equilibrio psico-fisico, necessari per misurare le distanze, dirigere il tiro in condizioni di alta tensione senza mai cedere a stanchezza fisica o mentale. Come si prepara il tiratore scelto per lo svolgimento del suo lavoro? Ce lo spiega su IlGiornale.it il maresciallo maggiore Massimo Vicini il quale puntualizza che “Il possesso di determinati requisiti uniti a un’ottima preparazione fisica sono fondamentali".

Partiamo da una distinzione basilare. Che differenza c’è tra il Police Sniper e il Military Sniper?

“I due compiti hanno certamente in comune le basi che riguardano l’utilizzo e l’impiego dell’arma di precisione in dotazione, ma i differenti impieghi richiedono caratteristiche priorità, responsabilità e rischi diversi. Il Police Sniper opera di massima in un contesto urbano ove vi sono numerosi civili da salvaguardare. Il Military Sniper sovente opera in teatro di guerra a fronti contrapposti. Dunque correndo maggiori rischi”.

Quali sono le attività che un tiratore scelto svolge quotidianamente per tenersi in forma?

“È richiesta una ottima preparazione fisica e il possesso di particolari requisiti. Sicuramente al Military Sniper può essere richiesta maggiore prestanza fisica, vista la necessità di infiltrarsi in ambiente ostile, anche percorrendo lunghe distanze, trasportando anche il necessario al sostentamento per un periodo di permanenza medio lungo”.

Quanta resistenza si può richiedere in termini di ore durante un intervento? Fino a quanto si può arrivare?

“Il primo ricarico chiesto al tiratore scelto è quello di osservazione del proprio settore di tiro, comunicando o ingaggiando quanto prima l’eventuale minaccia individuata. Tale servizio richiede resistenza fisica e mentale che viene incrementata grazie all’addestramento. Il Police Sniper, al fine di garantirne la massima efficienza, ha maggiori probabilità di essere sostituito dopo un periodo di servizio medio lungo pari a 8/10 ore giornaliere. Il Military Sniper, in considerazione del luogo di impiego (teatro operativo sovente infiltrato in territorio nemico), raramente può ricevere il cambio sul posto per motivi tattico/operativi. Quindi il suo impiego nel luogo di osservazione può avere durate maggiori”.

Quanto conta il “peso" della responsabilità durante un intervento? Lo si avverte? O in quel momento si pensa soltanto ad agire?

“Il carabiniere, all’atto dell’arruolamento, viene sottoposto a visite psicoattitudinali al fine di verificare la sua idoneità. Lo stesso, dal momento del suo arruolamento, è cosciente delle proprie responsabilità convivendoci. Allo stesso modo, durante un’operazione, deve gestire le proprie reazioni emotive al fine di rimanere lucido. Il tiratore scelto viene sottoposto a un'ulteriore visita medica e psicoattitudinale per accertarne la specifica idoneità a svolgere tale particolare servizio. Tali selezioni, molto severe, hanno lo scopo di individuare tutta una serie di peculiarità caratteriali che mal si conciliano con l’incarico (impulsività, emotività e così via). Sicuramente, il 'peso' della responsabilità lo si avverte, ma questo rafforza la fermezza e la concentrazione nello svolgere il proprio servizio, con la consapevolezza che un eventuale errore può essere fatale”.

"Il filibustiere del Carnaro”: biografia sul marinaio Gino Pontipò, co-inventore dei MAS.

Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 31 marzo 2022

Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

"Beato quel paese che non ha bisogno di eroi". Difficile trovare una frase storica più stupida di quella di Brecht, dato che gli eroi stanno al culto della Patria come i santi alla religione: sono d egli esempi, dei modelli realmente vissuti da seguire e da cui trarre ispirazione. Quelle vite particolari, estreme, a volte, che ci dicono: "è possibile essere così, potete farlo anche voi". 

Salutiamo quindi con favore una biografia interessante, quella di Marco Montipò, saggista di storia locale che ha scritto il libro "Gino Montipò Il filibustiere del Carnaro" già presentato al Vittoriale di d'Annunzio.

L'autore, incuriosito per l'omonimia, ha ricostruito la storia di questo grande marinaio che purtroppo, per troppo tempo, è rimasto nel dimenticatoio.

Classe 1879 e originario di Sassuolo (MO), allo scoppio della Grande Guerra era un marinaio di professione che, già reduce della Campagna di Libia 1911-1912, nel 1916 venne prescelto per prendere parte a un progetto leggendario: lo sviluppo dei MAS . Il marinaio modenese non solo fu tra i fautori di queste unità navali da guerra, ma fu proprio lui a fornire l'idea di munire i MAS di congegni lanciasiluri trasformandoli, in questo modo, in imbarcazioni per incursioni. Nel febbraio del 1916, infatti, mentre collaudava a Brindisi queste nuove unità navali, Montipò espose agli alti comandi le proprie considerazioni facendo notare quello che doveva essere modificato. Gli armamenti, secondo Montipò, erano la parte carente dei MAS e lanciò quindi l'idea di munirli di congegni lanciasiluri:"Navigavano bene, la velocità era buona, anche l'autonomia era rilevante, di circa otto ore, ma l'armamento appariva insufficiente: un cannoncino, posto lassù sulla copertura della prua, su quei gusci instabili, non dava certo affidamento e non poteva essere preciso". Ne fu interessato il comando in capo e fu approvato la proposta di Montipò di munire i MAS di congegni lanciasiluri, fissati ai bordi ”. Dopo questa sostanziale modifica, i MAS vennero impiegati nelle incursioni nei porti nemici divenendo il terrore dell'Impero asburgico.

Montipò , nel giugno del 1916, salpò con i Mas da Brindisi in direzione di Durazzo. La prima azione di questi “arditi del mare” fu eccezionale e si concluse con l'a fondamento delle navi nemiche. Già da quell'impresa emerse il coraggio e il valore del marinaio modenese che, non solo venne decorato con una medaglia al Valor militare, ma finì citato nel rapporto redatto dal comandante della spedizione, tenente di vascello Alfredo Barardinelli. Si legge: “La condotta degli equipaggi, che già nelle due azioni precedenti avevano dato prova di abilità e calma non comune, è stata questa volta superiore ad ogni elogio. I sottufficiali, comandanti, specialmente il capo timoniere di 1ª classe Montipò Gino, hanno coadiuvato i tenenti di vascello con grande freddezza e perizia”.

Montipò, quindi, fu l'ideatore, il collaudatore, colui che diede il battesimo del fuoco ai MAS , trasportò Rosselli e Paolucci per l'affondamento della Viribus Unitis. Venne così considerato “il primo comandante dei MAS” e il suo legame con queste unità, infatti, fu profondo e costellato di primati.

Dopo il conflitto, nonostante la strada spianata per una brillante carriera militare, volle essere congedato perché sosteneva: “La guerra era finita e non me la sentivo più di fare il crocierista ”. La vita del marinaio, infatti, lo costringeva a stare per mare tantissimo tempo. Solo pochi anni prima, infatti, rimasero lontano dalla terraferma ben due anni. Imbarcato sulla Regia Nave Varese, sotto il comando del Duca degli Abruzzi, in quell'occasione prese parte agli esperimenti di Guglielmo Marconi in cui si distinse per competenza. Il Duca degli Abruzzi, nel momento di congedarlo scrisse: “Ha disimpegnato per 2 anni continui il servizio alla stazione RT tipo Marconi con zelo e intelligenza sia come maneggio degli apparati che come ricezione al rivelatore anche con sovrapposizioni di trasmissioni”.

In quel viaggio marinaresco la Regia Nave Varese venne inviata anche negli Stati Uniti durante l'esposizione in Virginia, prima colonia americana, che festeggiava i suoi 300 anni. I marinai italiani, tra cui Montipò, presero parte a diverse regate internazionali dove si affrontavano le marine degli altri paesi. Anche in quel caso, la Regia Nave Varese vinse queste gare sportive raccogliendo i complimenti del Ministro della Marina italiano Carlo Mirabello: “Ho preso conoscenza con viva soddisfazione dei particolari relativi alla vittoria brillante riportata dalla Varese nelle regate corse ad Hampton Roads” .

Da civile si dedicò fin da subito alla costituzione delle associazioni reducistiche come quella degli ex-combattenti di Modena, fondata nel gennaio del 1919, e quella dei marinai, fondata il giorno di Santa Barbara del 1921.  

Dal 1922 al 1947, Montipò ricoprì la carica di Comandante dei Vigili Urbani di Modena e anche in questa qualità si fece apprezzare tant'è che ricevette encomi solenni e fu trattenuto in servizio anche quando ebbe raggiunto l'età massima di servizio perché, a detta del Sindaco di Modena, nel 1945, a guerra appena conclusa, Montipò "era insostituibile". Anche in questo caso Montipò rappresenta una rarità: è difficile trovare Eroi della Prima e della Seconda Guerra Mondiale che, esaltati durante il Regime Fascista, in epoca repubblicana trovarono nuovi così tanta riconoscenza e ammirazione dai Amministratori che, nel caso di Modena, provenienti dalle file comunista partigiano.

Montipò prese parte, infatti, anche alla Seconda guerra mondiale e, per quanto non più giovane, non volle rimanere seduto in un ufficio o nelle retrovie, bensì al comando di MAS, un caso più unico che raro. Egli, infatti, risulta l'unico marinaio che prese parte ad entrambi i conflitti al Comando di un MAS. Gli venne affidato il comando del MAS 519 che faceva parte della X° squadra inquadrato nella II° Flottiglia MAS. Per un periodo comandò anche l'intera squadriglia. Anche in quel conflitto, nonostante l'età, riuscì a farsi valere e venne nuovamente decorato con una croce di guerra al valore con la seguente motivazione:"Comandante di MAS e per breve tempo Comandante di squadriglia MAS, nel 1° e 2° anno del443 1940- partecipava a numerose missioni di guerra e scorte a convogli in acque ins ogniate dall'avversario. In circostanza dava prova di coraggio, abnegazione ed elevato senso del dovere Mediterraneo 6/10/1940 - 6/9/1942”. 

Una vita eccezionale che attraversò, da protagonista, i due eventi bellici più significativi del XX° secolo.

Guido Olimpio per il “Corriere della Sera”  il 4 agosto 2020. Si apre il portellone posteriore del C-130, il gommone scivola verso l' esterno fino al dispiegamento del paracadute e plana in mare. A seguire il «tuffo» dei militari, pronti a riunirsi nello specchio d' acqua sottostante. Una volta in superficie si raggruppano per la mossa successiva. Diretti verso una piattaforma offshore o una nave in movimento. L' affiancheranno e saliranno usando dei rampini leggeri. A qualche miglio di distanza i subacquei si immergono dopo aver individuato una carica esplosiva, una minaccia alla navigazione. Si avvicinano, la ispezionano a distanza di sicurezza usando delle telecamere. Può nascondere un innesco trappola. La rendono inoffensiva. Ecco la lancia e lo scudo, le missioni per i Comsubin, l' unità della Marina italiana composta dagli incursori del Goi e dai palombari del Gos. La loro base è al Varignano, protetta dalla natura e dalla segretezza, diventata insieme alla preparazione la loro religione. Per tutelare tattiche, non dare vantaggi agli avversari, accrescere il senso di imprevedibilità. Entrare nella vecchia fortezza è un percorso tra presente e passato. Il grande piazzale delle adunate. Il siluro a lenta corsa della Seconda guerra mondiale: noto come «maiale», trasportava due uomini che stavano a cavalcioni ed era usato per infiltrarsi nei porti nemici. Passavano sotto le reti di sbarramento per piazzare cariche sotto la chiglia di una nave. Osavano e colpivano. Ci sono le foto in bianco e nero a ricordare i protagonisti. Come le ricordano, nella sala storica, i battelli speciali realizzati quasi in modo artigianale da industrie italiane, da sempre un passo avanti. La nostra Marina ha inventato questa specialità, ha combinato i suoi team con la creatività dei costruttori. Il filo non si è mai interrotto. I Comsubin sono addestrati ad andare all' attacco e a parare la minaccia. Li preparano con intensità, per questo servono almeno due anni per diventare incursore o palombaro. E poi sono pronti a misurarsi mentre fuori continuano ad accendersi lampi. Nel 2019 le misteriose esplosioni sulle petroliere nel Golfo Persico, poche settimane fa i barchini neutralizzati dai sauditi nel Golfo di Aden e i poi i gruppi che sviluppano tecniche sub. È «lo spazio» dove si muovono Special Forces alleate, entità concorrenti, attori ostili non sempre identificabili con chiarezza. «Anche piccoli Stati oppure organizzazioni criminali sono in grado di compiere azioni strategiche. Il costo operativo è relativo, ma il risultato può diventare pesante», spiega il Contrammiraglio Massimiliano Rossi, comandante dell' unità, un anno con il (Navy) Seal Team 8 americano per un programma di scambio, una lunga carriera in prima linea in un mondo dove non si può raccontare tutto. Ha anche il brevetto di pilota di SDV, acronimo di Submersible Delivery Vehicle, uno dei «veicoli» sub dalle caratteristiche top secret con il quale penetrano le difese. In alternativa gli incursori possono avvicinarsi a bordo di un sottomarino - dal quale partono mezzi ad hoc - oppure piombano dal cielo, in elicottero o in aereo. Sistemi plurimi per fronteggiare situazioni mai uguali. Le mine, i droni, un'imbarcazione piena di esplosivo, l' azione kamikaze rientrano nel modus operandi di chi vuole perturbare il traffico navale, è necessario considerare ogni scenario. «Spesso basta l' atto, non tanto il risultato - spiega Rossi -. Alcune fazioni usano la strategia della presenza, un gesto simbolico vicino ad un target tiene alto il gioco». A volte il rischio è duplice, specie quando si deve mettere fuori uso un ordigno. Si può conoscere il modello, ma anche trovarsi davanti a qualcosa di inedito. Un dispositivo concepito per distruggere il naviglio e uccidere chi è chiamato a disarmarlo. Nella piscina del forte i palombari simulano l' azione. C' è una ricognizione in remoto, poi l' avvicinamento, infine la neutralizzazione. «Di solito viene usato un getto ad acqua potente che danneggia i sistemi elettronici - precisa il capitano di Corvetta Marco Cassetta -. Per ogni uomo che mandiamo sotto ve ne sono cinque in supporto, compreso uno di riserva». Interventi quotidiani, in una routine rischiosa, per eliminare residuati bellici, mettere in sicurezza un porto, indagare su un relitto, come è avvenuto sulla Concordia al Giglio. È un ciclo interminabile. La bomba è analizzata, si scambiano dati con i partner perché spesso è riconoscibile la mano che l' ha confezionata. In parallelo all' azione anti-terrorismo c' è quella convenzionale. Le esercitazioni Nato hanno profili «classici» - devi ingaggiare forze analoghe - e non solo pensare al miliziano jihadista. Non pochi Paesi si stanno dotando di apparati particolari. Da qui l' interazione con gli alleati condividendo esperienze ma proteggendo le «cose» che sono solo nostre. Perché arrivano da lontano. Come l' impresa di Alessandria d' Egitto, nel dicembre 1941, con gli incursori che colpiscono il naviglio britannico usando sempre i «maiali». Pagina affascinante. Il comandante Rossi, che ha a sua disposizione 700 militari, compresi quelli sulle navi d' appoggio, chiede più uomini. La selezione è dura, è fondamentale avere un bacino di reclutamento ampio ma anche contare su ranghi più giovani per una professione dove l' individuo ha un ruolo centrale. Una volta usciti da questa «scuola» li aspetta un Mediterraneo mai così instabile, con interessi nazionali da tutelare e tensioni regionali.

Consegnata la Bandiera di Guerra al G.I.S.- Gruppo di Intervento Speciale dell’Arma dei Carabinieri. Il Corriere del Giorno il 26 Ottobre 2020. Il G.I.S. venne fondato il 16 gennaio 1978 come unità speciale con compiti antiterrorismo inserita all’interno dell’allora 1° Battaglione CC Paracadutisti “Tuscania”. Nel 1984 è stato identificato quale Unità di Intervento Speciale a disposizione del Ministero dell’Interno. Dal 2008 il G.I.S. è stato riconosciuto reparto che può concorrere alla costituzione di task group land e maritime di Forze Speciali, con capacità di operare nell’intero spettro delle operazioni speciali per la liberazione di ostaggi e la cattura di terroristi. Questa mattina a Livorno presso la sede della 2^ Brigata Mobile Carabinieri, alla presenza del Comandante Generale Gen. C.A. Giovanni Nistri, è stata formalmente consegnata al Gruppo di Intervento Speciale (G.I.S.) dell’Arma dei Carabinieri la Bandiera di Guerra, concessa con Decreto del Presidente della Repubblica del 22 aprile 2020. La Bandiera di Guerra costituisce il simbolo dell’onore, delle tradizioni, della storia delle Forze Armate e del ricordo dei Caduti. In particolare, essa accompagna la Forza Armata, il Corpo armato o il reparto cui è stata assegnata per tutta la sua vita operativa e viene difesa fino all’estremo sacrificio. Essa ha anche un altro forte significato simbolico: il militare dinanzi ad essa presta il suo giuramento. Il G.I.S. venne fondato il 16 gennaio 1978 come unità speciale con compiti antiterrorismo inserita all’interno dell’allora 1° Battaglione CC Paracadutisti “Tuscania”. Nel 1984 è stato identificato quale Unità di Intervento Speciale a disposizione del Ministero dell’Interno. Attualmente, il reparto è sempre impiegabile per l’attuazione di azioni speciali, ad elevato rischio, contro il terrorismo, nelle quali possa risultare necessario ricorrere all’uso delle armi. Le ipotesi di utilizzo sono la liberazione di ostaggi, perseguendo al massimo la salvaguardia della loro integrità fisica, la riassunzione del controllo di obiettivi di vitale interesse nelle mani di terroristi, gli interventi risolutivi su aeromobili, treni ed autobus nei casi di dirottamento o di sequestro, e l’operabilità in ambienti NBC, caratterizzati da pericolo di radiazioni nucleari, batteriologico o chimico. Nel 1994 venne proposto, con successo, un ulteriore ampliamento dei compiti del reparto, in operazioni finalizzate alla cattura di latitanti di spicco, in importanti operazioni antidroga e in operazioni finalizzate all’esecuzione di ordini dell’Autorità Giudiziaria in presenza di caratteristiche ambientali che comportassero notevoli difficoltà d’esecuzione. A partire dal 1998 il G.I.S. è stato schierato anche nell’ambito di missioni internazionali per il mantenimento della pace. A partire dal 1º gennaio 2004, il G.I.S. è inoltre entrato a far parte del Comando interforze per le Operazioni delle Forze Speciali dello Stato Maggiore della Difesa, con rango pari a quello delle altre unità incursori e dal 2008 è stato riconosciuto reparto che può concorrere alla costituzione di task group land e maritime di Forze Speciali, con capacità di operare nell’intero spettro delle operazioni speciali per la liberazione di ostaggi e la cattura di terroristi.

Nella tana degli incursori di Marina: ecco le missioni del Comsubin. Paolo Mauri il 2 agosto 2020 su Inside Over. Il mare davanti al porto di Alessandria è calmo: gli echi della guerra sembrerebbero lontani se non fosse per le motovedette della Royal Navy che ne pattugliano l’imboccatura. Nella città vige l’oscuramento, e quella sera di dicembre del 1941 sembrava scorrere pigramente come le precedenti: gli inglesi si sentivano al sicuro nella loro base più importante del Mediterraneo insieme al munitissimo porto di Gibilterra. Se le acque in superficie apparivano quiete, nelle profondità si muoveva qualcosa, uomini si agitavano intorno a un sommergibile che era giunto, furtivo, nelle vicinanze dell’ingresso del porto. Alle 20:47 del 18 dicembre dallo Sciré, comandato dal capitano di fregata Junio Valerio Borghese, tre “maiali” – così erano chiamati i mezzi speciali della Regia Marina – vengono messi in mare dai loro equipaggi. I loro nomi sono entrati nella storia: De La Penne, Bianchi, Marceglia, Schergat, Martellotta, Marino. I sei uomini penetrano silenziosamente nella base navale superando le ostruzioni in immersione, sollevando le reti di protezione, faticosamente, nel freddo delle profondità. Si avvicinano ai loro obiettivi: le corazzate inglesi. La coppia De La Penne/Bianchi si avvicina alla Hms Valiant, Marceglia e Schergat alla Hms Queen Elizabeth, mentre Martellotta e Marino, non trovando il loro obiettivo principale (una portaerei non meglio identificata) si avvicinano alla petroliera Sagona. I sei uomini, temprati da mesi di duro addestramento, si portano sotto le chiglie delle navi ormeggiate, e, non senza difficoltà, piazzano le cariche esplosive. Qualcosa va storto durante la fase di rientro e due vengono catturati immediatamente (De La Penne e Bianchi) e imprigionati proprio nel ventre d’acciaio del loro obiettivo: gli inglesi avendoli riconosciuti per incursori pensano così di costringerli a indicare dove fossero le cariche. Ma i due tacciono. Alle 6 del mattino una potente esplosione sconquassa la Queen Elizabeth, dopo quindici minuti un’altra apre un’enorme falla nella chiglia della Valiant, poco dopo una terza esplosione fa saltare in aria la Sagona che nella sua tremenda esplosione danneggia gravemente il cacciatorpedinere Jarvis. Le corazzate vanno a picco, e se il fondale del porto fosse stato più profondo sarebbero state perse per sempre. Sei uomini misero in ginocchio la Royal Navy nel Mediterraneo. Gli inglesi seppero camuffare questa versa e propria disfatta facendo sembrare le due imponenti navi molto meno danneggiate di quanto in realtà fossero, e la nostra Regia Marina, pertanto, non seppe sfruttare il vantaggio tattico che ne derivò, ma questa è un’altra storia. Oggi gli eredi degli “uomini gamma” autori di quell’impresa storica sono gli incursori del Comsubin, il Comando Subacquei e Incursori, una delle Forze Speciali delle nostre Forze Armate, che ha sede presso il promontorio del Varignano, a La Spezia. Il comando è costituito essenzialmente dal Goi, il Gruppo Operativo Incursori, e dal Gos, il Gruppo Operativo Subacquei, che hanno trasmesso la fiaccola di una tradizione che appartiene alla nostra Marina Militare sin dalla Prima Guerra Mondiale, quando i primissimi rudimentali mezzi d’assalto compirono incursioni nelle basi navali austriache. Entrare al Varignano significa, infatti, ripercorrere la storia non solo del reparto ma anche quella d’Italia: mezzi storici, come i “maiali”, ufficialmente denominati Siluri a Lenta Corsa (Slc) si possono vedere nella base dove si addestrano i nostri incursori insieme ad altri frutto del genio dei nostri ingegneri navali. Perché proprio il Comsubin è un reparto d’élite tra i più eccellenti al mondo, e forse il più eccellente, anche grazie all’inventiva dei progettisti che ha sfornato, nel corso degli anni, mezzi d’assalto che definire all’avanguardia è limitante. Tali mezzi sono coperti dal più stretto riserbo, ma alcuni di essi sono stati osservati dalla stampa in qualche rara occasione e se ne trova traccia nel web anche oggi. Si ricorda, ad esempio, un mezzo semi-sommergibile, con scafo a idroplano e wave-piercing, visto durante la visita del presidente Ciampi nel 2000 e accreditato di una velocità di 30 nodi anche in immersione, oppure quello che è stato definito “Nessie” (dal nomignolo dello sfuggente “mostro di Lochness”) negli anni ’70 e che si ritiene essere stato un altro tipo di mezzo sommergibile. Oggi, tra i vari mezzi a disposizione dei singoli operatori si annoverano quelli chiamati Sdv (Single Delivery Vehicle), ovvero di “microsommergibili” utilizzati per la propulsione sottomarina degli operatori che si ritiene siano di caratteristiche superiori rispetto a quelli dei Navy Seals. Tali sistemi sono in grado di operare dai sottomarini classe Sauro IV o U-212A, compresa la nuova versione Nfs, e sembra che siano capaci di elevate capacità di infiltrazione occulta. Non vanno dimenticati poi gommoni e altre imbarcazioni veloci come i nuovissimi Unpav, concepiti appositamente per essere utilizzati dal Goi. Nuovi mezzi per nuove missioni. Perché nel panorama globale, caratterizzato da diversi tipi di minaccia che vanno oltre quella convenzionale data dalle entità statuali avversarie, è necessario considerare ogni tipo di scenario possibile: dai barchini kamikaze, alle mine improvvisate sino al contrasto ai droni sottomarini (chiamati Uuv) che sempre più sono diventati protagonisti della tattica dei conflitti asimmetrici. Senza dimenticare le missioni “classiche” di intervento proprie di quasi tutte le Forze Speciali, come la liberazione di ostaggi, la ricognizione in territorio ostile, il sabotaggio dei sistemi avversari, con in più un’unica e straordinaria capacità di proiezione dal mare. L’incursore di Marina moderno, rispetto al suo “antenato” entrato in azione nei due conflitti mondiali, deve avere, infatti, una capacità di avvicinarsi e infiltrarsi furtivamente che richiede l’acquisizione di diverse tecniche che non solo sono prettamente marittime: un uomo del Goi, ad esempio, deve conseguire il brevetto di paracadutista ed essere in grado di scalare una parete rocciosa, oltre che avere dimestichezza con le tattiche di combattimento a terra. L’addestramento, forse quello più intenso e difficile al mondo, è pertanto onnicomprensivo pur sempre prediligendo la “fase acqua” che è la caratteristica peculiare del Comsubin, una caratteristica che ci invidiano le altre Forze Armate del mondo (alleate o no), tanto che i nostri incursori spesso si ritrovano negli Stati Uniti per programmi di scambio con la loro controparte della Us Navy, i Seal. Su questi uomini, e su quello che fanno, vige il più alto livello di segretezza, ma sappiamo che nella loro specialità sono tra i migliori al mondo, anzi, ci sentiamo di dire che siano i migliori al mondo senza timori di peccare di superbia.

Il durissimo addestramento degli incursori dell’aria. Inside Over il 20 settembre 2020. I volti stanchi, le facce tirate, l’espressione di chi ha faticato e molto. Si presentano così gli allievi del corso personnel recovery del 17° Stormo incursori di Furbara. Ultima forza speciale in ordine cronologico, il 17° Stormo nasce nel 2003 raccogliendo l’eredita degli Adra (Arditi distruttori regia aeronautica), protagonisti di brillanti operazioni oltre le linee nemiche in Nord Africa ed in Sicilia. Più di recente, nell’agosto scorso, due militari del 17° fuori servizio si sono distinti per il salvataggio in mare di un giovane, feritosi sulla scogliera di Polignano. Il soccorso è degno di un film di Rambo: immobilizzato con i teli da mare, cioè con gli unici “strumenti” che i due incursori avessero a disposizione in quel momento. Ed è su questo aeroporto, a 60 chilometri da Roma, che quella preparazione viene infusa negli operatori Stos (Supporto tattico operazioni speciali), preparati per le missioni Personnel recovery con un durissimo addestramento. Fra le attività di addestramento più comuni c’è quella in ambiente montano, dove gli aspiranti operatori Stos imparano a muoversi ed ad orientarsi in un ambiente nel quale il mutamento delle condi-meteo può essere più veloce e creare maggiori disagi. Ed in effetti, pur essendo nella bella stagione, sentiamo anche noi un freddo velato non appena ci si ferma, per recuperare il fiato…La stanchezza per la marcia e per la notte trascorsa in movimento fanno il resto. Ma, d’altronde, il Colonnello Gino Bartoli (Comandante dello Stormo) (Alla data odierna il Comandante è il Colonnello Andrea Esposito), era stato chiaro sin da subito. Perché, nella realtà: “Questi interventi vengono spesso effettuati in condizioni ambientali non permissive (difficili, nda), per garantire interoperabilità fra gli aeromobili e la Extraction Force.Si rendono dunque necessari addestramenti mirati”. Già perché gli operatori Stos sono decisamente “ogni tempo”, capaci di muoversi in zone innevate e con temperature bassissime come in aree desertiche dove la temperatura può arrivare attorno ai 50 gradi. E lì resistenza fisica, capacità di gestione dello stress, della fatica e nello stesso tempo concentrazione e perizia sono elementi necessari per raggiungere l’obiettivo. Certo è tutt’altro che facile riuscire ad essere lucidi, competenti e freddi specie se l’ambiente circostante è in un’area di crisi popolata da quelle forze che, in gergo tecnico, si chiamano “ostili”. O, ancora, se ci si trova a mollo magari nel bel mezzo del mare, di notte e con l’acqua fredda che blocca le gambe. Ne abbiamo un assaggio nel piccolo canale che sfocia nel tratto di mare antistante l’aeroporto militare di Furbara. Un fiumiciattolo con canneto, a prima vista insignificante fin quando non ci caliamo al suo interno: l’acqua è gelida, i movimenti resi difficili dal fondo melmoso. Ma la situazione si fa peggiore quando, dal canale, ci si sposta nelle acque marine. E lì oltre a restare a galla è necessario darsi da fare per mettere in sicurezza l’Isop (Isolated Personnel). In altre parole, il soggetto da recuperare. Ciò che finora abbiamo notato è che in ogni situazione (dalla montagna all’acqua) gli istruttori fanno riferimento all’Extraction team quale cuore pulsante dell’attività degli Stos. Una squadra composta da soli cinque elementi sulle cui spalle grava l’intero peso della missione. Nel corso della simulazione di recupero a terra abbiamo un’idea più chiara dei compiti di ciascuno. Il gruppo in azione ha due coordinatori (un capo ed un vice capo), due operatori armati che garantiscono la sicurezza del perimetro circostante, un Jtac per il coordinamento con gli assetti di volo ed un sanitario – chiamato in gergo tecnico combat medic – con il compito di valutare le condizioni di salute dell’Isop, di intervenire nel caso in cui avesse bisogno di prime cure e di predisporne l’evacuazione. Ma come si diventa operatori Stos? Va subito detto (e in effetti noi ce ne siamo accorti in prima persona!) che lo Stos non è una alternativa ad essere incursore, semmai una qualifica in più che si aggiunge al già durissimo addestramento sostenuto. Per arrivare a seguire i corsi da Operatore Supporto Tattico Operazioni Speciali bisogna, infatti, aver prima affrontato i corsi Fosam (Forze operazioni speciali aeronautica militare) e il Biam (Corso brevetto incursori aeronautica militare). Ecco spiegata la capacità di saper sopravvivere e muoversi in condizioni così difficili. .. nonché l’essere riusciti a soccorrere e a mettere in salvo un giovanotto sulla spiaggia, con strumenti tutt’altro che tecnologici!

Ecco perché la Folgore si cinge il capo d'amaranto. Da sempre simbolo della specialità delle forze aviotrasportate, il basco amaranto è entrato a far parte della storia della Folgore nell'estate del 1967. Non tutti sanno, però, che quella scelta fu ispirata dal primo "nemico" dei nostri parà. Davide Bartoccini, Giovedì 06/08/2020 su Il Giornale. C'è qualcosa che rimane per sempre nel cuore di un paracadutista italiano, ed è l'onore di cingersi il capo con il basco color amaranto fregiato da ali e gladio sormontate dal paracadute spiegato. Luglio 1967. Al termine di una vasta esercitazione militare denominata "Aquila Rossa" - alla quale prende parte la Brigata Paracadutisti Folgore - il Generale Alberto Li Gobbi, eroe di guerra e comandate di quelli che neanche Winston Churchill ebbe remore a definire "leoni", sfila per la prima volta dalla costituzione della "grande unità" con il basco color amaranto. Un privilegio, anzi, un premio, concesso dall'allora presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, in accordo con il Capo di Stato Maggiore Gen. Guido Vedevato, che rivolgendosi al comandante della Folgore gli aveva confessato: "I tuoi paracadutisti meritano un premio". Il premio era quello di non passare mai più inosservati, quali truppa d'élite del nostro Esercito, che ha portato a termine un durissimo addestramento per potersi fregiare della propria "specialità". Prima di allora infatti, i paracadutisti che entravano a fare parte della divisione aviotrasportata creata nel 1941 e già ricopertasi di gloria nella battaglia di El Alamein, combattuta nel '42, indossavano il basco grigio-verde. Colore che oggi è stato riportato di auge dal Nono Reggimento d’Assalto Paracadutisti “Col Moschin” dato il loro forte legame con quelli che furono invece "gli Arditi" Grande guerra, senza tuttavia perdere il loro forte legame con la Folgore. Strano a dirsi, ma il basco amaranto deriva dalla tradizione di quello che fu il primo grande nemico: poiché erano proprio i paracadutisti britannici, i celebri "Diavoli Rossi" della 1ª Divisione Aviotrasportata comandata dal Maggior Generale Frederick Browning, a indossare quel colore di basco per primi. Tra l'altro su espresso consiglio della moglie del loro comandate, la scrittrice di romanzi Daphne du Maurier. È così che quel copricapo di antico uso militare, che venne impiegato per la prima volta nella storia dagli Chasseurs Alpins francesi del XIX secolo, passato poi alla storia come segno distintivo delle milizie Requeté, ossia i sostenitori di Carlo di Borbone durante le Guerre Carliste - i cosiddetti boinas rojas (baschi rossi, ndr) - , divenne simbolo dei soldati che scendevano dal cielo sulle ali dei loro paracadute di seta bianca che diventavano, almeno a quei tempi, abiti da sposa. Quando i ragazzi della Folgore piovevano da cielo su Bir El Gobi, non portavano l'amaranto sulla nuca provata dal sole che infuoca il deserto libico. E non lo portavano nemmeno i ragazzi della "Nembo", quando l'anno successivo si divisero per combattere chi ancora a fianco dei tedeschi, chi a fianco degli Alleati -" ... e per rincalzo il cuore". Sempre. Lo portavano però i loro avversari - i figli d'Albione -; sia in Tunisia, che in Sicilia, che in Puglia, quando appena un giorno dopo la firma dell'armistizio, presero con un colpo di mano il porto di Taranto. Quando la Folgore venne ricostituita come brigata nel 1963, assieme alla "Nembo" e ai carabinieri paracadutisti della "Tuscania", il basco era ancora grigio-verde. Ma i paracadutisti inglesi, che si fregiavano ancora la spalla con la patch amaranto con Pegaso celeste, erano oramai alleati fidati nella guerra fredda. Fu questione di anni prima che tutti potessero indossare fieramente lo stesso berretto: dello stesso colore del fiore di una pianta che secondo la mitologia greca portava "la protezione e la benevolenza delle dee" e che secondo quella romana aveva il potere di tenere lontana "l'invidia e la sventura". Invidia bonaria forse, ma sempre accesa, per gli uomini che da quasi ottant'anni scendono "Come folgore dal cielo", e ci rendono sempre fieri, quando sfilando il 2 giugno, gridano forte e all'unisono il nome che li ha consegnati cari alla storia e celebri nel mondo.

Chi sono i Ranger del Quarto reggimento alpini paracadutisti “Monte Cervino”. Paolo Mauri il 30 dicembre 2019 su Insider Over. Il Quarto reggimento alpini paracadutisti “Monte Cervino” è uno dei reparti speciali delle Forze Armate italiane ed è di base a Montorio Veronese (Vr) presso la caserma “Duca” ed è comandato attualmente dal colonnello Marco Manzone. Il reggimento fa capo a sua volta al generale Ivan Caruso, comandante delle forze speciali dell’Esercito (Comfose), che è dipendente, come gli altri reparti di Forze Speciali delle Forze Armate, dal Cofs (il Comando interforze per le operazioni delle forze speciali) istituito il primo dicembre 2004 con sede presso l’aeroporto di Roma-Centocelle e comandato oggi dal generale di divisione aerea Nicola Lanza de Cristoforis. Il Quarto reggimento “Monte Cervino” provvede a fornire personale ed equipaggiamenti per le missioni speciali stabilite del Cofs che, a livello istituzionale, è la struttura di comando che regola l’impiego delle Forze Speciali delle quattro Forze Armate che sono, oltre al Quarto, il 185esimo reggimento paracadutisti ricognizione acquisizione obiettivi “Folgore” e il Nono reggimento reggimento d’assalto “Col Moschin” per l’Esercito, gli incursori di Marina del Goi per la Marina militare, il 17esimo stormo incursori per l’Aeronautica e il Gis (Gruppo Intervento Speciale) dei Carabinieri.

La storia del Quarto reggimento. Il Quarto reggimento alpini paracadutisti “Monte Cervino” affonda le proprie radici nell’omonimo reggimento alpini formatosi nel 1882. Durante la Prima Guerra Mondiale, più precisamente nel 1915, vede la luce il battaglione di milizia mobile, formatosi dal deposto Quarto reggimento alpini. Nel corso del primo anno di vita, il battaglione è costituito esclusivamente dalla 133esima compagnia, alla quale si aggiungono, nel 1916, l’87esima e la 103esima , provenienti dal battaglione “Aosta”. Il battaglione ebbe modo di scrivere il proprio nome sulle pagine di storia della Grande Guerra, distinguendosi nelle battaglie di Passo della Borcola sul Pasubio (maggio 1916), sul Monte Vodice (maggio 1917) e nella zona del Grappa. Terminato il Primo Conflitto Mondiale il battaglione viene sciolto, per la precisione nel 1919. Il reparto fu ricomposto nell’inverno del 1940, come battaglione alpini sciatori, con due compagnie (Prima e Seconda). Prese quindi parte alle operazione di guerra sul fronte greco-albanese. Nel maggio 1941 venne nuovamente sciolto per poi riformarsi nell’ottobre dello stesso anno con due compagnie sciatori e l’80esima compagnia armi d’accompagnamento. Prese parte alla Campagna di Russia ove si distinse particolarmente in diverse operazioni. Nel 1943 rientrò in Italia e venne assegnato al XX raggruppamento alpini sciatori, ma non venne impegnato in nessuna operazione bellica. L’armistizio dell’8 settembre 1943 colse il battaglione in Francia dove venne catturato dalle truppe tedesche ad eccezione dell’80esima compagnia. Nell’immediato dopoguerra, a seguito dell’esigenza di disporre di truppe in grado di effettuare operazioni di inserimento montano tramite paracadute, viene costituito, il primo settembre 1952, presso la brigata alpina “Tridentina” di Bressanone, il primo plotone di alpini paracadutisti, cui faranno seguito plotoni similari nelle brigate “Julia”, “Taurinense”, “Cadore” e “Orobica”. Il primo aprile 1964, su decisione dello Stato Maggiore dell’Esercito, i plotoni delle brigate diedero vita, presso la caserma “Cadorna” di Bolzano, alla compagnia alpini paracadutisti del Quarto corpo d’armata alpino. Il primo gennaio del 1990, la compagnia alpini paracadutisti assunse la denominazione “Monte Cervino”, che rimase sino ai nostri giorni. Il 14 luglio del 1996, anno in cui viene concessa la Bandiera di Guerra al reparto (28 novembre), avvenne l’elevazione a battaglione della compagnia alpini paracadutisti, assumendo la denominazione di battaglione alpini paracadutisti “Monte Cervino”. L’unità, a partire dal 1999, diventa un’unità “Ranger” ed entra a far parte di diritto delle Fos (Forze per Operazioni Speciali). Il 25 Settembre 2004 il battaglione rientra a far parte del ricostituito Quarto reggimento alpini, alle dipendenze del Comando Truppe Alpine. Da sempre basato a Bolzano, l’unità cambia sede nel 2011, spostandosi in quella attuale di Montorio Veronese. A gennaio del 2018 il reparto passa ufficialmente nel novero delle Forze Speciali delle Forze Armate italiane.

I Ranger del Quarto. Il Quarto reggimento alpini paracadutisti è l’unica unità in Italia a potersi fregiare del titolo di “Ranger” e, come si legge nel sito ufficiale dell’Esercito, è un reparto di Forze Speciali composto da personale specificatamente selezionato e formato, particolarmente addestrato ed equipaggiato per condurre l’intero spettro dei compiti tipici delle operazioni speciali. Il Quarto reggimento, unico nel suo genere per aver coniugato le capacità tipiche della specialità da montagna (alpini) e delle aviotruppe (paracadutisti), è l’unica unità di Forze Speciali dell’Esercito specificatamente designata e qualificata per condurre operazioni in ambiente montano e artico.

L’addestramento. Le selezioni degli aspiranti Ranger avvengono nel corso di due settimane, durante le quali i candidati vengono sottoposti ad una prima “scrematura”. Tali prove di selezione hanno luogo unitamente a quelle per i candidati del Nono “Col Moschin” e del 185esimo Reggimento paracadutisti “Folgore”. Al termine di queste due settimane, i selezionati verranno chiamati ad un tirocinio, della durata di altre due settimane, che è finalizzato ad accertare non solo le caratteristiche psicofisiche e la resistenza fisica e mentale allo sforzo prolungato del candidato, ma anche le sue qualità morali e caratteriali, le motivazioni profonde che lo spingono ad affrontare pericoli e disagi e la sua capacità di reagire con calma e lucidità alle difficoltà, anche in presenza di forti fattori di stress. Successivamente i candidati vengono inviati al corso Obos (Operatore Basico per Operazioni Speciali) della durata di 24 settimane che si tiene presso il Rafos (Reparto Addestramento Forze Speciali) del “Col Moschin”, superato il quale sono indirizzati verso i corsi di specializzazione presso enti addestrativi sia nazionali che esteri. In particolare il corso prevede 4 settimane dedicate al conseguimento del brevetto di paracadutismo con la fune di vincolo, per chi non ne risulta titolare, presso il Capar di Pisa; 5 settimane dedicate alla formazione teorico pratica sulla topografia, alle marce topografiche, all’apprendimento delle tecniche di orientamento e di navigazione terrestre, 12 settimane sulle Procedure Tecnico Tattiche (Ptt) delle Fos (Forze per Operazioni Speciali); 3 settimane di addestramenti tecnici specifici riguardanti le trasmissioni, le procedure di Ps (Pronto Soccorso) ecc. Infine il corso Obos si conclude con una esercitazione continuativa di due settimane e con gli esami finali. Gli allievi ritenuti idonei (meno del 50% degli aspiranti iniziali) iniziano la fase di specializzazione, diversa per ogni reparto di destinazione finale. A questo punto comincia la specializzazione Ranger vera e propria con un addestramento che dura 47 settimane. Questa fase della formazione dell’operatore viene svolta internamente al Quarto reggimento, presso la Terza compagnia e consiste in: il corso Ranger della durata di 15 settimane suddiviso in 5 moduli; il corso di addestramento montano invernale (10 settimane); il corso di addestramento montano estivo (10 settimane); il corso di difesa personale (due settimane); il corso Advanced Combat Life Saver (due settimane); il corso Sere (Survival Evasion Resistance and Escape) della durata di 3 settimane; il corso anfibio e quello Nbc (Nucleare Batteriologico Chimico) entrambi della durata di due settimane. A seguito del conferimento della qualifica Ranger, il personale del plotone Recon è chiamato a svolgere i seguenti corsi: quello di paracadutismo e tecnica della caduta libera (a Pisa) dove si effettuano lanci ad apertura comandata da un’altezza massima di 3-4000 metri e senza ossigeno ed il corso Cqb (Close Quarter Battle) che dura tre settimane presso l’International Special Training Center di Pfullendorf (Germania). A questo punto il personale viene brevettato Ranger. Tutti gli operatori del Quarto reggimento possono inoltre conseguire diverse qualifiche tra cui: Patrol Medical Course (tre settimane), Combat Medical Training Course (3 settimane), istruttore militare scelto di sci e istruttore militare di alpinismo, corso tiratore scelto, corso operatori scorte e protezione ravvicinata Vip, corso Fac (Forward Air Controller), corsi Eor, Eod e Iedd sugli ordigni esplosivi e improvvisati, corso avanzato di paracadutismo con tecniche Halo e Haho, corsi di lingue.

Compiti. Il Quarto reggimento alpini paracadutisti “Monte Cervino” nasce con l’esigenza di affiancare al Nono reggimento incursori paracadutisti “Col Moschin” un reparto in grado di supportarne le operazioni. Al “Monte Cervino” è quindi richiesto di effettuare (sia a livello unitario, che di aliquote di compagnia o più semplicemente di squadra) azioni dirette in profondità, incursioni, e sabotaggi a danni di obiettivi di elevato valore. Allo stesso è anche richiesto di assolvere compiti di fanteria leggera specializzata, in situazioni ad elevato rischio, quali le operazioni di supporto alle Forze Speciali e di assicurare una prontezza operativa con preavvisi minimi ed in presenza di ogni tipologia di terreno nonché condizione meteorologica. Onde portare a termine le missioni di cui sopra, il reparto effettua l’infiltrazione in zona operazioni (e l’esfiltrazione dalla stessa) con metodi terrestri, aerei o anfibi ed è l’unico addestrato ad operare in ambiente artico.

L'organizzazione del Quarto Ranger. L’esatto numero degli operatori del Quarto reggimento “Monte Cervino” così come le loro idendità non sono note. Possiamo comunque ipotizzare, visto l’ordinamento simile a quello di altri reggimenti di Forze Speciali, che sia composto da 100 a 200 uomini. Il reparto è strutturato come segue:

Un comando, articolato nelle sezioni maggiorità e personale, Oai, logistica e amministrazione.

Una compagnia comando e servizi, che dispone anche di un plotone trasmissioni e uno ricognizione.

Due compagnie fucilieri organizzate ciascuna da un comando, un plotone comando (squadra comando + squadra trasporti), tre plotoni fucilieri, un plotone armi di supporto.

I mezzi e le armi dei Ranger. I mezzi in dotazione al Quarto reggimento alpini paracadutisti “Monte Cervino” sono quelli generalmente in uso presso le altre Forze Speciali italiane. Tra di essi si ricordano i Vm-90, i Vtlm Lince, i Vbl Puma, i Defender 90 oltre ai mezzi in dotazione alle truppe alpine come il Bandvagn 206. Per quanto riguarda i natanti utilizzano gli onnipresenti gommoni Zodiac Commando e a scafo rigido. Per quanto riguarda le armi individuali gli operatori Ranger del Quarto utilizzano una vasta gamma di armamenti che spaziano dalle pistole Beretta 92FS alla Glock 17, le pistole mitragliatrici Mp5 e 7 nella versione silenziata (Sd), il fucile d’assalto Beretta Arx 160, lo Steyr Aug (in fase di dismissione) ed il Colt M4 SopMod e l’H&K G36. Per quanto concerne il fuoco di squadra sono ancora utilizzate le mitagliatrici Mg 42 oltre alla Minimi mentre per il fuoco di precisione viene utilizzato in ambiente montano/artico l’Accuracy International Arctic Warfare, il Sako TRG, l’H&K G3SG/1 ed il ben noto M82 Barrett. Il plotone armi di supporto ha in dotazione sistemi d’arma controcarro a media gittata Mbda Milan, lanciarazzi controcarro Dynamit Nobel Panzerfaust 3-T, TOW e mortai Hirtenberger Mod. M6C 210 da 60 millimetri.

La Giornata degli Alpini diventa un caso. Gli storici: «Data sbagliata». Angelo Picariello su Avvenire il 14 aprile 2022.

Diventa un caso l’istituzione della Giornata nazionale dell’Alpino per il 26 gennaio. Le associazioni storiche scrivono ai presidenti di Senato e Camera, Maria Elisabetta Alberti Casellati e Roberto Fico, contestando sia la data scelta, troppo a ridosso della Giornata della Memoria, sia il riferimento che contiene alla battaglia di Nikolajewka, episodio di grande eroismo degli alpini, durante la ritirata di Russia, celebrato da grandi scrittori e artisti, alcuni testimoni diretti, come Mario Rigoni Stern, che vide all’opera, da cappellano militare fra le truppe italiane stremate e decimate, anche il beato don Carlo Gnocchi.

E tuttavia, notano gli storici, quella battaglia si inserisce in una guerra di aggressione sciagurata decisa dal regime fascista.

La Giornata fu approvata dalla Camera il 25 giugno 2019, ed è diventata legge al Senato lo scorso 5 aprile con 189 voti a favore, nessun contrario e un astenuto. Sarà celebrata per la prima volta nel 2023 riconoscendo il 26 gennaio quale «Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini», per ricordare «l’eroismo dimostrato dal Corpo d’armata alpino nella battaglia di Nikolajewka», e promuovere «i valori della difesa della sovranità e dell’interesse nazionale nonché dell’etica della partecipazione civile, della solidarietà e del volontariato, che gli alpini incarnano».

Un voto «che ci riempie di un orgoglio» aveva commentato Sebastiano Favero, Presidente dell’Associazione Nazionale Alpini, «non solo per il consenso praticamente unanime, ma anche per la data individuata, che coincide con la battaglia di Nikolajewka, il drammatico ed eroico episodio del 1943 assurto a simbolo del valore e dello spirito di sacrificio delle penne nere».

La Società italiana per lo studio della storia contemporanea presieduta da Agostino Giovagnoli (e la Società italiana degli storici medievisti, Sismed) notano «la crescente e spesso casuale attività legislativa volta a riscrivere, infittendolo, il calendario civile italiano», spesso con l’esito discutibile di stabilire verità di Stato che nuocciono al libero esercizio della ricerca storica», dando luogo a «decisioni non sempre pienamente meditate», o «potenziali problemi all’immagine, anche internazionale».

In questo caso la data scelta (26 gennaio) «oltre a essere contigua alla Giornata della Memoria, non si collega all’intera storia e all’impegno anche umanitario del Corpo, bensì ne isola, celebrandola, un’impresa militare – la battaglia di Nikolajewka – condotta all’interno di una guerra di aggressione dell’Italia fascista, per di più in regioni oggi sconvolte da un’altra invasione».

Per la SissCo, la Sisem e la SisMed «sarebbe stato opportuno scegliere altre date», come il 15 ottobre (1872), giorno di fondazione del corpo. «Si sarebbe così sottratto un Corpo cui tanto deve l’Italia a dannose logiche di strumentalizzazione, che non giovano alla sua memoria e alla sua immagine», e al «profondo e duraturo legame degli Alpini con la società nazionale e internazionale».

La richiesta, per il futuro, è che «il Parlamento si avvalga nella fase istruttoria del parere delle Società scientifiche delle discipline storiche», in modo da «permettere alle forze politiche di prendere le loro libere decisioni giovandosi di pareri informati sulle implicazioni culturali e non solo politiche».

Il mea culpa del Pd sugli Alpini: “Errore celebrarli il 26 gennaio”. Giovanna Vitale su La Repubblica il 16 Aprile 2022.  

Il Partito democratico ammette: "E'giusto riconoscere il valore e il sacrificio delle nostre truppe di montagna, è invece sbagliato far coincidere la ricorrenza con la campagna di aggressione a Est ordita dal regime fascista insieme alla Germania nazista. 

Fa mea culpa, il Partito democratico. Votare prima alla Camera e poi al Senato la Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini - istituita su proposta della Lega per celebrare "l'eroismo dimostrato nella battaglia di Nikolajewka" - si è rivelato "un errore grave, si doveva scegliere una data diversa", ammettono al Nazareno. Se infatti "è giusto riconoscere il valore e il sacrificio" delle nostre truppe di montagna, è invece sbagliato far coincidere la ricorrenza con la campagna di aggressione a Est ordita dal regime fascista insieme alla Germania nazista.

La portaerei Cavour, l’ammiraglia della flotta italiana. Davide Bartoccini su Inside Over il 14 ottobre 2020. Nave Cavour è una portaerei configurata per “decollo corto e atterraggio verticale” di aeromobili ad ala fissa, progettata all’alba del XXI secolo ed entrata in servizio – sebbene non pienamente operativa – nel 2009. Divenuta ammiraglia della flotta nel 2011, è intitolata al patriota, politico e imprenditore italiano Camillo Benso conte di Cavour – nome in precedenza dato alla corazzata Conte Cavour -, mentre il suo identificativo ottico “550” proviene dall’incrociatore Vittorio Veneto, ex nave ammiraglia della Marina Militare. Al fianco dell’incrociatore portaerei Giuseppe Garibaldi – e presto dalla portaeromobili Trieste – rappresenta la punta di diamante della flotta italiana; e la capacità di proiezione di potenza che il nostro Paese può esercitare nel Mar Mediterraneo e nelle zone più “calde” che necessitano l’intervento, ma soprattutto la sorveglianza e la protezione, dei membri della Nato. Le caratteristiche.

Lunghezza: fuori tutto 244 metri

Larghezza: massima 39 metri

Pescaggio: 8,7 metri

Velocità massima: più di 28 nodi (51 km/h)

Autonomia: 7.000 miglia marine ad una velocità di 16 nodi

Dislocamento: 28.000 tonnellate pieno carico

Equipaggio: 1.210 divisi in 452 marinai, 203 del gruppo aereo imbarcato, 140 comando complesso e fino a 400 fanti di marina del Reggimento San Marco

Descrizione: La Cavour, quale unico vascello della sua classe, è una portaeromobili Stovl sviluppata su un ponte di volo lungo 234 metri e provvisto di “sky jump“. La nave è dotata di sei punti di decollo ed appontaggio per aerei ed elicotteri, due aree di parcheggio aeromobili e due elevatori da 30 tonnellate che collegano il ponte di volo con l’hangar sottostante. Sul ponte vi è un’unica isola di comando, sul lato di dritta del ponte di volo. Con un dislocamento di oltre 28mila tonnellate, è propulsa da un apparato motore convenzionale basato su quattro turbine a gas Avio da 22 mw ciascuna. Esso le garantisce di raggiungere una velocità massima di 28 nodi, e un’autonomia di 7mila miglia marine ad una velocità di 16/18 nodi di media. Come unità portaeromobili, la maggiore in linea con la Marina Militare prima del varo della Trieste, può imbarcare un gruppo di volo misto di oltre 20 aeromobili tra aerei ed elicotteri e può fungere come piattaforma di lancio e logistica di operazioni anfibie, avendo previsto al proprio interno gli spazi adatti ad accogliere non solo oltre 400 fucilieri di marina del Reggimento San Marco, ma anche i mezzi anfibi preposti alle operazioni di sbarco nell’apposito garage sottostante all’hangar. Stiamo parlando di almeno 50 veicoli medi anfibi Lvtp 7 e/o mezzi corazzati Vcc 80 Dardo. In altre configurazioni può trasportare fino a 24 veicoli corazzati pesanti Mbt Ariete. Il costo complessivo dell’unità, compreso il refitting del 2018 e l’implementazione del gruppo aereo imbarcato, ha superato, secondo le stime generali, 1,5 miliardi di euro.

I sistemi elettronici:

La portaerei Cavour è dotata di una serie di sistemi radar e sensori elettronici che le consentono di svolgere un’ampia gamma funzioni nell’ambito di azioni navali, operazioni di volo, per la comunicazione e per l’autodifesa da qualsiasi genere di minaccia. Essi sono, nel dettaglio:

Spy-790 Empar: radar volumetrico 3d capace di tracciare 300 tracce e 12 bersagli contemporaneamente con portata superiore ai 100 km

Sps-798 Ee: radar 3d “early warning” in grado di rilevare minacce ad elevatissima distanza dalla nave (500 tracce simultanee a 300 km di distanza)

Sps-791 Rass: radar di sorveglianza e di superficie in grado di scoprire unità navali, velivoli a bassissima quota e missili in avvicinamento

Spn-753: radar nautico di ricerca

Spn-720: per guidare gli aeromobili in fase appontaggio

Spn-41 A e Tacan Srn-15 A: in grado di far eseguire avvicinamenti di precisione e di fornire informazioni agli aerei in navigazione

Sna-2000: sonar di scoperta

IR St Sass: rilevatore infrarosso

Ewss: scanner radio in grado di analizzare lo spettro e rilevare eventuali emissioni radio (e quindi anche eventuali radar attivi)

Slat: rilevatore di siluri in arrivo (vedi armamenti)

Iff Sir R/S: identificazione certa di bersagli

I sistemi d'arma:

Oltre alla forza aerea imbarcata, principale asset offensivo di questa unità di superficie della Marina Militare italiana, la Cavour è dotata di una serie di sistemi di difesa a corto/medio raggio:

3 mitragliatrici Kba 20/80 mm, 2 poste lateralmente e 1 a prua

2 cannoni Cwis Oto Melara 76/62 mm super rapido

Sistema Saam/It 32 celle in blocchi da 4 (8 celle ciascuno) del tipo Sylver A-43 con missili Aster-15 (corto raggio, 30 kg e carica da 13 kg)

2 contromisure Sclar-H da 20 tubi per razzi da 105/118 mm posizionati lateralmente a prua

2 contromisure anti-siluro Slat

Il gruppo imbarcato: La Cavour prevede un gruppo imbarcato di aeromobili ad ala fissa e rotante di 22 unità. Ma in caso di necessità ed emergenza, può trasportare in un teatro operativo fino a 36 velivoli. Numero che prevedrebbe il completo carico degli hangar e di tutti gli spot sul ponte di volo; benché questa viene considerata un’eventualità remota, analoga alla necessità della Royal Navy di trasportare più velivoli possibili nelle terre d’oltremare durante il conflitto delle Falkland. I velivoli in forza al gruppo aeromobili imbarcati dell’Aviazione Navale comprende gli aerei d’attacco al suolo Av-8B Harrier Plus e una combinazione di elicotteri imbarcati, in funzione antisommergibile, ricerca e soccorso e utility come gli Sh-3D, gli Nh-90 e Eh-101. La Cavour è stata inoltre configurata per accogliere i nuovi caccia di 5ª generazione F-35 Lightning II nella versione “B”, ossia la configurazione “Short Take-Off and Vertical Landing” che il nostro Paese, parte integrante del programma Joint Strike Fighter, ha acquisito. Dei quindici ordinati, 3 sono già stati consegnati. Gli F-35 andranno a sostituire gradualmente i più antiquati Harrier.

La storia della Cavour, l'ammiraglia: La prima nave a fregiarsi del titolo del patriota risorgimentale fu una nave da trasporto a vela in servizio nei primi anni del Regno d’Italia. La seconda fu una corazzata varata nell’anno 1935 e affondata dai bombardieri e dagli aerosiluranti inglesi nella famigerata “notte di Taranto” del 1940. La portaerei Cavour è il secondo vettore aeronavale della storia della nostra Marina – dato che non possiamo considerare di fatto la portaerei Aquila, sviluppata a partire dal 1938, pronta al varo del 1944 ma smantellata dai tedeschi nel 1945, come la prima portaerei italiana. Dopo l’entrata in servizio della nave Garibaldi nel 1985, la Marina Militare Italiana ha vagliato la pianificazione per lo sviluppo di una portaerei che rispondesse a determinate specifiche: ponte più grande e maggiore dislocamento. Questo in un momento che vedeva l’Italia come attore politico non di secondo piano nel teatro della Guerra Fredda, quale membro attivo se non “decisivo” dell’Alleanza Atlantica. Con il progressivo disgelo tra il blocco occidentale e quello sovietico, il progetto venne abbandonato per essere ripreso – con caratteristiche differenti – all’alba nel nuovo millennio. Il 22 Novembre 2000 la Direzione Generale degli Armamenti Navali firmò infatti un contratto con Fincantieri per la costruzione di una “nuova portaerei” che avrebbe visto impegnati i cantieri di Riva Trigoso e quelli Muggiano. L’obiettivo era quello di varare, entro un lustro da allora, un vettore aeronavale che raggiunga quasi 30mila tonnellate di dislocamento per un dispiegamento “dual use”. La nuova portaerei, che ha solcato il mare per la prima volta nel 2006, ricevendo la bandiera di combattimento nel 2009. La prima missione è stata un’operazione congiunta con la Marina brasiliana per la crisi di Haiti nel 2010 e ha raggiunto la piena capacità operativa al termine esercitazione Mare Aperto nel 2011, diventando lo stesso anno ammiraglia della flotta sotto il motto di “In arduis servare mentem”. Da allora prende parte a numerose missioni di pattugliamento e addestramento nel Mediterraneo. Divenendo dal 2015 la nave comando dell’Operazione Eunavfor Med. Dopo il refitting del 2018, la Cavour rappresenta, insieme alle portaerei britanniche della classe Queen Elizabeth e alle portaerei americane classe Nimitz e Ford, l’unico vettore navale che possa vantare la capacità di operare con il caccia di ultima generazione F-35: punta di diamante delle forze aeree occidentali. La Cavour, quale vettore aeromobile pienamente al passo con i tempi, consente all’Italia non solo di essere annoverata tra le poche nazioni dotate di portaerei “operative” (Usa, Regno Unito, Francia, Russia, Cina, India, Giappone), ma di proiettare la propria potenza ben oltre i confini nazionali; per missioni di umanitarie, e per essere di supporto a qualsiasi genere operazione militare nazionale o interforze.

Domenico Quirico per “La Stampa” il 23 maggio 2022.

La guerra è una attività paradossale. Da un lato è la più assoluta forma di coercizione ed esige quindi disciplina, gerarchia, obbedienza. Dall'altro chiede ad ogni individuo fedeltà, devozione entusiasmo, tutti elementi altrettanto necessari per arrivare alla vittoria. La guerra in Ucraina, scatenata dalla aggressione russa, è stata presentata, con una enfasi forse eccessiva e talora strumentale, come lo scontro emblematico, quasi apocalittico tra le autocrazie e le democrazie. È naturale.

Poiché sono pochissime le cause che costituiscono uno scopo legittimo della guerra e per cui gli uomini sono disposti a morire ognuno crea le sue: gli ucraini rivendicano di esser la trincea avanzata e impavida contro l'avanzare delle tirannidi, Putin incita i russi a sgominare una eterna, subdola congiura occidentale che punta a strangolarli, privandoli del loro "posto al sole".

Tra i paradossi della guerra allora constatiamo che proprio sul piano militare questa contrapposizione democrazia-tirannide trova un concreto riscontro: l'esercito russo è organizzato secondo una idea autocratica della società e quello ucraino invece sulla base di un principio più democratico. E questa differenza spiegherebbe molte sorprese di questo conflitto, ad esempio i successi nella prima fase dell'aggressione delle truppe di Kiev nel fermare e respingere il nemico.

Le guerre hanno molto a che fare con la politica delle identità, forse oggi ancor più di un tempo quando prevalevano obbiettivi ideologici o geopolitici. La guerra sta assicurando, dolorosamente, alla Ucraina una identità fino a ieri molto liquida e incerta. 

L'esser democrazia e occidente contrapposto alla tirannide asiatica ne è la parte essenziale. L'identità che Putin cerca da 20 anni di cucire attorno al corpo russo è un misto di millenarismo e soddisfazione della potenza. Gli eserciti, perfino nel modo di combattere, ne sono il riflesso. Le identità del passato erano legate a un'idea di interesse nazionale o al sogno di un futuro. Oggi spesso non sono che rivendicazioni di potere in base a semplici etichette. Fomentare odio e paura, sbarazzarsi di chi ha una identità diversa.

Per questo non bisogna fare dell'antagonismo militare democrazia-tirannide una spiegazione assoluta e permanente. Non è detto che gli eserciti democratici, solo per questo, siano destinati a vincere.

Sparta alla fine dell'interminabile conflitto del Peloponneso, primo terribile modello di guerra infinita, annientò la democrazia ateniese e le sue imprendibili lunghe mura.

L'esercito, rifatto e rivisto dalle arroganze putiniane, assomiglia a quello zarista e poi sovietico-staliniano. Come potrebbe essere diversamente vista la natura assolutistica della società da cui è tratto?

Non bastano le armi nuove di zecca a cambiare le anime. È dunque basato sulla rigorosa centralità del comando, lo specchio di una oligarchia quasi patologica nella diffidenza verso gli inferiori, sospettosissima sulla autonomia di giudizio dei gradi più bassi della scala gerarchica. Pone rimedio a questi rischi con l'obbligo assoluto di una pianificazione matematica delle operazioni. Tutto deve essere stabilito in anticipo e controllato dai Capi; ufficiali e soldati, il popolo sempre disprezzato o potenziale traditore, devono soltanto eseguire senza discutere.

La guerra è come sempre una attività sociale. Comporta la mobilitazione e la organizzazione di uomini con lo scopo di infliggere una violenza fisica ad altri uomini. Esige sempre la regolazione di alcuni tipi di relazioni sociali. Su queste si modellano le sue forme, ovvero la tipologia delle forze militari, le tecniche e le strategie, i mezzi di combattimento, dalla Rivoluzione francese fino alle guerre totali della prima metà del secolo scorso e alla guerra immaginaria, ovvero la guerra fredda della seconda metà del novecento. 

Autocrazia e democrazia erano le due forme di Stato centralizzato, razionalizzato, con un territorio e una gerarchia ordinata, che ha combattuto queste guerre feroci. Un modello sostanzialmente europeo ai cui margini gli uomini morivano per altri tipi di conflitti, definiti ribellioni, guerre coloniali, guerriglie, insurrezioni. La guerra in Ucraina è un conflitto classico, tra armate di due nazioni.

L'esercito russo ha una storia particolarmente intrisa di sangue: e di centralizzazione. Dunque grandi offensive pianificate su fronti vasti, poche manovre operative sofisticate che richiedono ai subordinati fantasia e autonomia di giudizio come, almeno in teoria, è richiesto negli eserciti occidentali. Si attende sempre l'ordine dall'alto, la firma e la controfirma perchè in uno Stato assoluto l'errore può costare molto caro.

L'esercito russo è concepito come uno sterminato stabilimento metallurgico mobile, mille gru, mille castelli di acciaio, mille ruote dentate e ingranaggi che avanzano, una acciaieria distruttiva a cui una moltitudine di operai-soldato presta una attività automatica e anonima da catena di montaggio. Il piano è fissato in modo ferreo, bisogna tradurlo in produzione, ovvero rovine fumanti e nemici eliminati. 

L'armata russa scarseggia di sottufficiali che la saggezza e l'esperienza militare indicano come la colonna vertebrale degli eserciti: vicini ai soldati, alle loro paure e ardimenti e con l'esperienza del terreno e delle nebbie della battaglia. L'esercito autocratico ha pagato caro queste sue caratteristiche nella prima parte della guerra, quella della avanzata su Kiev. A un certo punto, misteriosamente, i russi che sembravano inarrestabili con le loro colonne corazzate, si sono fermati. Forse non era stato fissato con chiarezza l'obiettivo: bisognava assaltare la capitale (ma mancavano gli uomini e i rifornimenti) o semplicemente si doveva fare pressione per far crollare il governo ucraino?

Nessuno ha osato. Si aspettavano gli ordini dalla gerarchia. Che non sono arrivati. E le vittorie si giocano sul tempo, spesso sulle ore, sugli attimi. Gli ucraini, che pure discendono dal meccanismo militare sovietico, hanno una struttura più agile, dispongono di più autonomia tattica e di molti sottufficiali giovani e vicini al campo di battaglia, ben addestrati dagli americani e dagli inglesi in questi otto anni. In più hanno sperimentato la guerra vera nel Donbass, aspra, spietata. Hanno approfittato con prontezza dell'occasione, inventato contro mosse, messo in crisi i russi.

I generali di Putin hanno allora cambiato tattica, cercando di adeguarla ai vantaggi che offre la loro struttura autocratica. Ora impongono la guerra integralmente industriale, quella dell'artiglieria: annientare tutto e poi avanzare. Si distrugge e si occupano i ruderi, gli uomini sono solo pedine che segnano il procedere in avanti. Gli ucraini perdono a poco a poco, giorno dopo giorno la presa sul Donbass. Le loro linee di rifornimento si sono allungate e sono sotto tiro dei russi, che al contrario combattono a ridosso del confine e dei loro depositi. L'esercito del tiranno avanza, lento e inesorabile nel deserto dell'uomo.

Forze armate dell'Ucraina. Angelo Allegri per “il Giornale” il 26 aprile 2022.

In un verso dell'inno ucraino si parla dei nemici del Paese che spariranno «come rugiada al sole del mattino». E poi si prosegue: «Mostreremo, fratelli, che siamo la nazione cosacca». La regione della Zaporizhzhia, quella dove si trova una delle centrali nucleari prese di mira dalle truppe di invasione, è, insieme alle rive del Don in Russia, la culla del cosaccato.

Mito russo per eccellenza, mito ideale e letterario da Gogol a Tolstoj, i cosacchi hanno in realtà un ruolo molto più importante nell'identità ucraina che in quella del vicino orientale., la popolazione seminomade di diversa provenienza che si muoveva a suo piacimento nelle immense pianure a Nord di Mar Nero e Mar Caspio: una comunità autonoma di guerrieri, a cui si univano avventurieri e servi della gleba in fuga, basata sull'elezione democratica del capo, l'atamano (o etmano, dal tedesco Hauptmann). 

Della Zaporizhzhia  (il nome vuol dire oltre le rapide, in riferimento al fiume Dnepr) è il cosacco più famoso della letteratura: Taras Bulba, creato dall'ucraino russificato Nicolaj Gogol, o Mykola Hohol per dirlo in lingua originale, reso famoso da Hollywood in un film degli anni Sessanta («Taras Il Magnifico») interpretato da Yul Brynner e Tony Curtis. Più a est si svolgono, invece, le vicende dei cosacchi del «Placido Don» di Michail olochov (Premio Nobel nel 1965), un'altra opera letteraria che ha contribuito a consolidare la leggenda.

Tra cosacchi russi e ucraini c'è però una differenza non da poco: i primi non riuscirono mai ad esprimere la propria indipendenza politica in contrapposizione alla potenza degli zar. I secondi, per almeno tre secoli, dal XIV al XVII, rimasero autonomi e grazie alle capacità degli atamani che si susseguirono alla loro guida furono in grado di giostrarsi tra le superpotenze dell'epoca: il nascente impero russo, il regno polacco-lituano, il Khanato della Crimea, erede delle orde di Gengis Khan, il Sultano di Costantinopoli. 

Alleandosi a volte con gli uni a volte con gli altri, i cosacchi ucraini riescono alla metà del XVII secolo a creare un abbozzo di stato indipendente, che nel 1654 firma un trattato con lo zar. Sarà quest' ultimo, alla fine, ad avere il sopravvento riconducendo alla propria sovranità tutti i territori a est del Dnepr. Fino a quando nel 1775, Caterina di Russia non farà distruggere definitivamente la Zaporizhzhia Sich, la capitale-accampamento degli ultimi cosacchi del Dnepr.

Quando, alla fine dell'800, il sentimento nazionale ucraino diventa forza politica, uno dei «padri» della patria, lo storico Mykhailo Hrushevsky, dichiara che i cosacchi non sono altro che i predecessori dell'Ucraina moderna. E ancora, quando tra il 2013 e il 2014 a Kiev esplode la protesta di EuroMaidan contro il presidente filo-russo Yanukovich, i manifestanti accampati per settimane in piazza si organizzano spontaneamente secondo le antiche usanze cosacche: formano una starshina, un consiglio dei capi, si dividono in centurie, sòtni, alla cui guida c'è un leader dal nome cosacco, sòtnik.

Il passato influenza la mentalità del Paese, ha scritto sull'Economist il sociologo e filosofo Volodymyr Yermolenko. Se i russi tendono al rispetto dell'autorità, gli ucraini hanno una visione anti-autoritaria fino all'anarchia: «La cultura politica in Ucraina è basata su valori repubblicani, democratici e anti-tirannici. La maggior parte dei russi approva quello che fa lo zar, gli Ucraini si identificano sempre con l'opposizione», sostiene Yermolenko.

 Il potere non cade dall'alto ma ha all'origine un rapporto di tipo contrattuale: «È un riflesso di quando i guerrieri cosacchi si accordavano ed eleggevano i propri leader in cambio del riconoscimento dei propri diritti e delle proprie libertà. È una mentalità profonda e impossibile da sradicare. Il Cosacco, libero guerriero della steppa selvaggia, è uno dei simboli dell'identità ucraina».

Di questa mentalità cosacca, anarchica e insofferente all'autorità (da questo punto di vista non c'è molta differenza tra Russia e Ucraina) sono testimonianza le molte ribellioni che li hanno visti contrapporsi al potere dello zar.

Sten'ka Razin, nato lungo il corso del Don, è passato nella tradizione popolare (alimentata in questo caso anche in epoca sovietica), come il rivoluzionario che ribellandosi ad Alessio I, cercò di liberare i servi della gleba. Eroe dei poveri e degli oppressi, finì per essere tradito dai suoi e consegnato allo zar, che secondo i costumi dell'epoca lo fece torturare orribilmente e poi squartare in pubblico. 

Chiedeva la liberazione dei servi della gleba anche Emel'jan Ivanovic Pugacëv, immortalato nella Figlia del capitano di Pushkin. Fu Pugacev a capeggiare tra il 1773 e il 1775 la più grande rivolta contadina della storia zarista (in carica allora c'era Caterina II). Anche in questo caso la sua fine fu orribile: tradimento e morte in mezzo ad atroci sofferenze.

La violenza è tra gli elementi più caratteristici della storia cosacca. Quando Hollywood decide di fare un film del libro di Gogol Taras Bulba, prende come spunto la trama ma cambia completamente i toni e il finale, creando dal nulla un lieto fine adatto ai gusti «soft» del moderno pubblico cinematografico. Il libro è al confronto una specie di Grand Guignol: il protagonista uccide personalmente un figlio, colpevole di aver tradito la propria gente, e assiste all'esecuzione pubblica dell'altro; tra un capitolo e l'altro non si contano morti, torture e squartamenti.

Allo stesso tempo, tipicamente cosacco è il gusto della sfida e della beffa. Il quadro più famoso che li riguarda, quello pubblicato nella pagina precedente, opera di Il'ia Repin, il più noto tra i realisti russi della seconda metà dell'Ottocento, ha un nome che dice già tutto: «I cosacchi della Zaporozhzhia scrivono una lettera al Sultano». La tela racconta un episodio leggendario: alla metà del XVII secolo, durante una delle periodiche guerre russo-turche, il Sultano chiede agli avversari cosacchi di sottomettersi. Gli interessati gli rispondono imitando lo stile aulico delle missive ufficiali, ma arricchendolo di beffardi e sanguinosi insulti.

Lo stesso gusto per lo sfottò irridente, per l'impudente coraggio si è visto in un episodio ormai famoso come quello dell'Isola dei serpenti, quando una sparuta pattuglia di ucraini ha mandato a quel paese (con termini molto più coloriti) la nave russa che li invitava ad arrendersi. Il francobollo commemorativo dell'evento (un soldato che alza il dito medio alla nave russa ritratta sullo sfondo) è andato a ruba, in un Paese che, comprensibilmente, potrebbe avere tutt' altro a cui pensare.

 Oggi il mito dei cosacchi viene sbandierato da entrambe le parti impegnate nell'attuale conflitto. Se gli ucraini ne rivendicano origini e valori, i russi con una legge del 2005 hanno ricreato una milizia paramilitare ispirata al passato. Secondo l'associazione che li rappresenta «L'Unione delle forze cosacche», 5mila tra loro, cittadini ucraini, hanno già combattuto per le milizie separatiste in Donbass a partire dal 2014.

Altri 30mila provenienti dalla Russia li hanno affiancati. Tutti i morti sono stati sepolti in Ucraina, ha dichiarato Viktor Vodolatsky, deputato della Duma di Mosca ed ex atamano, perché «volevano riposare nella terra dei loro antenati». 

Custodi delle tradizioni e legatissimi alla religione ortodossa i Cosacchi russi (impiegati come cavalleria specializzata dagli zar, fuori legge ai tempi del comunismo e rinati con la perestroika) sono stati schierati già negli anni Novanta in Transnistria e in Abkazia, area ribelle della Georgia. Più spesso vengono impiegati con compiti di ordine pubblico. Hanno contribuito a soffocare le proteste dei seguaci di Alexey Navalny e sono stati mobilitati in gran numero per il referendum in Crimea sull'annessione alla Russia. A loro, dicono gli ucraini, era stato affidato il lavoro «sporco»: picchiare e mettere in galera chi protestava.

Guerra, l'arma segreta degli ucraini sul campo: così Kiev sta stupendo il mondo. Libero Quotidiano il Maurizio Stefanini 27 aprile 2022.

«Nel fango insanguinato della schiavitù mongola e non nella gloriosa rudezza dell'epoca normanna è nata quella Moscovia di cui la Russia moderna non è che una metamorfosi», scrisse Karl Marx nel 1857. «Non è ancora morta la gloria dell'Ucraina, né la sua libertà,/ a noi, giovani fratelli, il destino sorriderà ancora./ I nostri nemici scompariranno, come rugiada al sole,/ e anche noi, fratelli, regneremo nel nostro Paese libero./ Daremo anima e corpo perla nostra libertà,/ e mostreremo che noi, fratelli, siamo di stirpe Cosacca», sono le parole dell'inno nazionale ucraino Sce ne vmerla Ukrajiny: composto nel 1862 dall'etnografo ucraino Pavlo Chubynskyj, e musicato l'anno dopo dal sacerdote greco-cattolico Mychajlo Verbyc'kyj. Sono due testi quasi contemporanei, risalenti a quel periodo cruciale in cui vennero a fuoco molte identità nazionali: compresa l'Italia risorgimentale. Anche Vladimir Putin nel momento in cui ha iniziato questa guerra si è rifatto a quelli russi della Rus di Kiev: nata dall'incontro tra una élite guerriera vichinga (i vareghi) e gli slavo, poi illuminata dall'incontro col cristianesimo bizantino di cui dopo la caduta di Costantinopoli i Granduchi di Mosca si proclamano eredi - Terza Roma - come Zar: "Cesari". L'Ucraina è dunque rivendicata come culla di cui la Russia non può fare a meno, e la fede ortodossa è buttata in faccia alla "decadenza" dell'Occidente.

IL GIOGO MONGOLO - Marx però ricordava quell'altra tesi, secondo cui nel 1240 quando la Rus di Kiev è abbattuta dai mongoli quel legame si spezza. La Russia è appunto la zona che finisce sotto il dominio dei conquistatori asiatici, che le danno un micidiale imprinting di autoritarismo da cui non sarebbe in pratica mai riuscita a liberarsi. L'eredita dei normanni, creatori dei più antichi parlamenti del mondo tra Islanda e Inghilterra e Sicilia, resta invece in quelle zone che si sottraggono all'invasione mongola mettendosi rispettivamente sotto la protezione della Polonia (l'Ucraina) e della Lituania (la Bielorussia). Direttore dell'Osservatorio Ucraina all'Istituto Gino Germani e autore di cinque libri sull'Ucraina, Massimiliano Di Pasquale è anche lui dell'idea che l'unione a Polonia e Lituania significhi «l'apertura a una cultura europea dove esiste il Diritto». La fede ortodossa, è vero, mantiene sia in Ucraina che in Bielorussia una identità separata rispetto al cattolicesimo dei dominatori, anche se in Ucraina occidentale questi favoriscono la formazione di una chiesa cattolica di rito orientale. Però in quella Confederazione Polacco-Lituana che all'inizio dell'era moderna è il più grande Stato d'Europa, appunto, le particolarità locali sono salvaguardate dal Sejm: un parlamento che semmai eccede in garantismo. Prevede infatti un voto unanime che paralizza le decisioni, e favorisce tre successiva spartizioni.

LA FINE DEGLI IMPERI - L'Ucraina è così divisa tra una parte orientale integrata nell'Impero zarista, dove il "cattolicesimo greco" è vietato; e una parte occidentale integrata nell'impero asburgico, dove è invece favorito. Tra 1917 e 1918 con lo sfasciarsi dei due imperi si formano le due repubbliche della Ucraina Occidentale e Orientale, che per breve tempo si riunificano, per poi venire di nuovo spartite: l'Est all'Urss; l'Ovest tra Polonia, Cecoslovacchia e Romania. Insomma, l'Ucraina Occidentale non viene integrata nel mondo russo che dopo la Seconda Guerra Mondiale. A tal punto i 47 anni di sovietizzazione non sono riusciti a cancellarne la marcata impronta mitteleuropea, che lo stesso Putin le riconosce quando dice che quella non è «vera Ucraina», e che bisogna «ridarla a Polonia, Ungheria e Romania». Attenzione, però: anche l'Ucraina orientale è integrata nel mondo zarista solo dal XVIII secolo. Pur scritto nella parte mitteleuropea del Paese, l'inno ucraino si ricollega a quel mito cosacco che invece nasce a Est, e che è alla base di quell'immaginario di guerrieri libertari ora riportato in auge dalla resistenza popolare contro l'invasione. Un gruppo di soldati ucraini si è perfino fatto una foto riproducendo in divise moderne "I cosacchi dello Zaporozh' e scrivono una lettera al sultano di Turchia": famoso quadro di Ilya Repin in cui si vedono i cosacchi ucraini rispondere a una intimazione di sottomissione con una serie di insulti.

TRACCE DI OCCIDENTE - Servi della gleba fuggiti nella steppa per recuperare la loro libertà, «rifiutando di riconoscere l'autorità di qualsiasi sovrano, i Cosacchi Zaporoghi si autogovernavano secondo le tradizioni e le abitudini che si erano evolute nel corso delle generazioni», spiega Orest Subtelny nel suo "Ukraine. A History". «Tutti avevano uguali diritti e potevano partecipare ai frequenti e chiassosi consigli (rady) in cui solitamente la spuntava la fazione che gridava più forte. Questi incontri estemporanei eleggevano la leadership cosacca (...). Durante le campagne militari, l'autorità di questi ufficiali (hetman), era assoluta. Ma in tempo di pace il loro potere era limitato». Rady, da cui il termine Rada che oggi designa il parlamento ucraino, viene dal tedesco Rat: "Consiglio". E hetman è dal tedesco Hauptmann: "Capitano". Segnali ulteriori di una mediazione tra cultura slava e mondo mitteleuropeo, che è la scommessa che l'Ucraina di oggi cerca di riproporre.

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Le Forze armate dell'Ucraina (in ucraino: Збройні сили України, Zbroyni syly Ukrayiny) sono le forze armate dell'Ucraina. Sono la principale forza deterrente contro qualsiasi aggressione che può essere sferrata allo stato sovrano dell'Ucraina. Tutte le forze militari e le forze di sicurezza sono sotto il comando del Presidente dell'Ucraina, e soggette alla supervisione di una commissione parlamentare della Verchovna Rada.

Le forze armate Ucraine sono composte dalle Forze Terrestri Ucraine, dalla Marina militare ucraina, dall'Areonautica militare ucraina, dalle Forze speciali ucraine e dalle Forze d'assalto aereo ucraine. A loro volta anche le forze navali mantengono una loro piccola fanteria di marina e una loro forza aeronavale.

La Guardia costiera ucraina e la forza di polizia marina dell'Ucraina non sono subordinate alla marina.

Nel 2014 a seguito della Guerra del Donbass, venne ristabilita, la Guardia nazionale dell'Ucraina come principale componente di riserva delle forze armate ucraine.

Unità militari di altri stati partecipano ad esercitazioni multinazionali insieme alle forze ucraine in Ucraina regolarmente. La maggior parte delle esercitazioni sono tenute sotto il programma di cooperazione della NATO Partenariato per la pace.

Dal 3 giugno del 2016, è stato permesso anche alle donne di servire in unità di combattimento delle Forze armate Ucraine.

Al 2021, secondo Global Fire Power, l'Ucraina si trova al 25° posto nel mondo per la forza bellica.

Componenti principali.

Forze terrestri ucraine.

Lo stesso argomento in dettaglio: Forze terrestri ucraine.

Le forze terrestri dell'Ucraina sono state costituite come parte delle forze armate dell'Ucraina sulla base del decreto del Presidente dell'Ucraina nel 1996.

Il personale arruolato al 2016 risulta di 169.000 unità.

Le forze terrestri ucraine sono costituite delle seguenti unità:

carri armati (832 unità) di cui T-64, T-64BM, T-80; T-84

mezzi corazzati per trasporto personale di cui BTR-70, BTR-80, SBA "Novator", BTR-4 

SBA Novator veicoli da combattimento di fanteria (10,135 unità) BMP-1, BMP-2, BM-27 ed altri.

Aeronautica militare Ucraina.

Essa ha il compito principale del controllo dello spazio aereo, fornire attacchi aerei contro unità e strutture nemiche, fornire il supporto aereo alle forze di terra e alla marina.

La forza aerea ucraina è costituita da circa 300 unità di cui:

aerei: MiG-29, Su-27, Su-25, Su-24, Su-24МР, L-39, Il-76, An-26, An-24, An-30, Tu-134;

elicotteri (155 unità): MI-8, MI-9

sistemi missilistici antiaerei: S-300 e Buk con diverse modifiche

droni: Furia, Bayraktar

Marina Militare Ucraina.

La Marina militare ucraina ha lo scopo di proteggere la sovranità e gli interessi statali dell'Ucraina in mare, sconfiggere i gruppi nemici nella loro area operativa in modo indipendente e in cooperazione con altri tipi delle forze armate ucraine, per aiutare le forze di terra ucraine nella zona costiera. La zona operativa della Marina militare dell'Ucraina comprende le acque del Mar Nero e del Mar d'Azov, i fiumi Danubio, Dniester, Dnipro e altre aree del mare, facenti parte degli interessi dello stato.

A partire dal 2013, la Marina militare delle forze armate ucraine era di 14.700, composta da 22 navi da guerra e barche, 11 aerei ed elicotteri antiaerei, 40 carri armati, 199 veicoli da combattimento corazzati e 54 sistemi di artiglieria con un calibro di oltre 100 millimetri.

A seguito dell'intervento russo del 2014, la Marina militare ucraina ha perso la maggior parte delle sue navi da guerra e gran parte del personale. Inoltre, sono state perse le infrastrutture militari situate nel territorio della Repubblica autonoma di Crimea temporaneamente occupata.

Per funzione, la Marina militare ucraina è suddivisa nella componente navale della Forza di risposta rapida congiunta e delle forze di difesa principali delle forze armate ucraine, che, a loro volta, hanno pertinenti componenti navali, aeronautiche e costiere. La base principale della Marina è Odessa, dove si trova l'Accademia delle forze navali.

Forze speciali ucraine.

Le Forze speciali ucraine sono unità di specialisti appositamente addestrati con capacità specifiche nei settori della raccolta informazioni, dell'azione diretta e del sostegno militare per eseguire operazioni complesse, pericolose e talvolta politicamente sensibili, condotte dal comando dell'MTR.

Organi di controllo militare e unità di intelligence militari, le forze speciali delle forze armate ucraine ai sensi della legge possono essere coinvolti in misure di raccolta di informazioni di intelligence ai fini della preparazione dello stato alla difesa, preparazione e realizzazione di operazioni speciali e/o azioni speciali, garantendo la prontezza delle forze armate ucraine per la difesa dello stato. Le forze speciali delle forze armate ucraine svolgono indagini speciali.

Truppe d'assalto ucraine.

Le truppe di d'assalto altamente mobili (fino a luglio 2012 chiamata Forza aeromobile ucraina) è un tipo separato di truppe che è destinato all'attacco verticale del nemico e alle azioni interne al paese, che comprende le unità aviotrasportate e aeronautiche delle Forze armate dell'Ucraina.

Sono progettati per eseguire missioni di combattimento che non possono essere eseguite da altre forze e mezzi di combattimento armato nella parte tattica e operativa del nemico. Le truppe si stanno preparando a pieno regime per il combattimento attivo contro il nemico - in particolare nello svolgimento di operazioni di difesa (controffensiva), speciali (antiterrorismo) e di mantenimento della pace.

Forze armate della Federazione Russa. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Le Forze armate della Federazione Russa (in russo: Вооружённые силы Российской Федерации?, traslitterato: Vooružënnye sily Rossijskoj Federacii) sono costituite dall'insieme dei corpi delle Forze terrestri, Forze Aerospaziali, Forze missilistiche strategiche, dalle Truppe aviotrasportate e dalla Marina militare.

Istituite nel 1992, hanno rilevato l'eredità materiale e giuridica delle Forze armate sovietiche.

Ritenute la seconda potenza militare del pianeta dopo gli Stati Uniti d'America, al 2020 contano circa 900.000 effettivi, che giungono a circa 2.000.000 se inclusivi dei riservisti.

Il Comandante in capo è il Presidente della Federazione Russa, carica ricoperta, al 2021, da Vladimir Putin. Sempre al 2021, la carica di Ministro della difesa è occupata dal generale d'armata Sergej Šojgu mentre la carica di Capo di Stato maggiore generale è occupata dal generale Valerij Gerasimov.

Il fucile d'ordinanza è l'AK-74M, anche se a partire dal 2017 ne è stata pianificata la sostituzione con gli AK-12[3] ed AK-15.

Anni 2010.

Attuata la terza fase del piano di riforma voluto dalla presidenza della federazione, inizia la consegna seriale di numerosi sistemi d'arma.

In seguito ai fatti del 2014 nella penisola crimeana, tali consegne subiscono un rallentamento dovuto all'applicazione di sanzioni economiche da parte della comunità internazionale relative alla fornitura di apparecchiature elettroniche, propulsori ed ulteriori componenti di fabbricazione estera. Viene avviata a livello federale, il programma di sostituzione di tali componentistiche con equivalenti di fabbricazione domestica.

Il 1° ottobre 2015, è dato avvio alle operazioni russe in territorio siriano a supporto del governo di Damasco contro lo Stato Islamico e nel corso delle quali prendono parte tutti i corpi delle forze armate.

Nel 2017, il porto siriano di Tartus viene ceduto in leasing alla Federazione Russa per 49 anni e per il suo ampliamento ed adeguamento sono stanziati fino a 500 milioni di dollari. Allo stesso modo, anche la base aerea di Khmeimm, quartier generale del distaccamento delle forze aeree russe in Siria, viene ceduta in leasing per 49 anni ed ulteriormente ingrandita e riequipaggiata negli anni successivi fino a renderla idonea per i velivoli dell'aviazione a lungo raggio.

Nel 2019 viene conseguito, come preventivato, un tasso di modernizzazione dei sistemi d'arma consegnati alle truppe non inferiore al 70%.

Anni 2020.

Nel 2020 sono pubblicati nuovi piani di espansione dell'influenza russa nel continente africano. La Russia ha raggiunto accordi per l'apertura di basi militari russe all'interno dei confini dei seguenti paesi: Sudan, Eritrea, Madagascar, Egitto, Repubblica Centrafricana, Mozambico.

A seguito dell'aumento della pressione politico-militare sui confini occidentali, aumenta il ritmo di ammodernamento dell'equipaggiamento delle truppe. L'attenzione è maggiormente rivolta al riarmo delle truppe dedite alla difesa aerea ed antimissile (in particolare anti-balistica) nei cui ranghi è stata dichiarata dal dicastero russo la volontà di raggiungere, tra il 2025-27, un tasso di modernizzazione dei sistemi d'arma non inferiore all'80%.

Nel 2021 in occasione della pubblicazione del rapporto di fine anno delle performance conseguite, il ministro della difesa ha dichiarato che il tasso di ammodernamento delle forze armate si attesta al 71,2% mentre nelle forze nucleari strategiche è pari all'89%. Il tasso di prontezza al combattimento dei mezzi e dei sistemi d'arma è mantenuto al 95% in tutti i corpi delle forze armate.

Organizzazione.

Il ruolo dello Stato Maggiore (STAVKA) è ridotto a reparto del Ministero per la Pianificazione Strategica, sebbene il Ministro stia guadagnando Autorità di comando. Il ministero della difesa ha il ruolo di amministrazione centrale dell'apparato militare.

I posti di comando per lo Stato Maggiore e il Presidente, secondo Globalsecurity.org sono Čechov/Šarapovo approssimativamente a 80 chilometri a sud di Mosca, Čaadaevka Penza vicino a Voronovo a Mosca, una base a Lipeck e il monte Jamantav negli Urali. I posti di comando per il comando nazionale delle Forze Strategiche Missilistiche sono a Kuncevo a Mosca (primario) e nel monte Kosvinskij negli Urali (alternativo). Molti dei bunker di Mosca sono collegati tra loro dalla linea speciale numero 2 della metropolitana di Mosca.

Le forze armate russe sono suddivise come segue: Esercito, Marina militare e Forze Aerospaziali le quali comprendono pure la difesa aerea e l'Aeronautica Militare. Esistono anche due servizi indipendenti: Forze Missilistiche Strategiche, Forze Militari e le truppe aerotrasportate e le Forze Ausiliarie di Supporto che comprendono la sanità militare, il vettovagliamento e il genio ferrovieri. Le Forze della Difesa Aerea, in precedenza indipendenti e note come Vojska PVO sono state unificate con l'aeronautica militare nel 1998, il 1º agosto 2015 le forze spaziali sono state unificate con l'aeronautica.

Esercito.

Sistema di combattimento della fanteria Ratnik in variante di ricognizione e kit di protezione individuale dell'equipaggio AFV Ratnik-ZK

Le forze dell'esercito sono composte da 774.500 soldati e 45.000 mezzi corazzati o blindati (2012). Il quartier generale è a Mosca. Attualmente risultano suddivise in sei distretti militari.

Distretto militare occidentale: quartier generale a San Pietroburgo. Il nome "Leningrado" è stato mantenuto in onore del milione e mezzo di caduti durante l'assedio tedesco della città nel 1941-1944. Vi militano oltre 34.000 soldati e circa 300 carri armati, inquadrati in una divisione paracadutisti e una decina di brigate (due di artiglieria, due motorizzate, una missilistica, quattro della difesa aerea ed una di forze speciali).

Distretto militare meridionale: quartier generale a Rostov. L'unità principale del distretto è la 58ª Armata. In totale, i militari del distretto sono oltre 100.000, con circa 2.800 tra carri armati e mezzi blindati. Tali forze sono inquadrate in quattro divisioni (una di paracadutisti e tre motorizzate) e dieci brigate (due di artiglieria, due motorizzate, due missilistiche, tre della difesa aerea ed una di forze speciali), oltre a varie unità minori. Gran parte di queste unità ha preso parte alla guerra in Cecenia.

Distretto militare centrale: quartier generale ad Ekaterinburg. L'unità principale del distretto è la 2ª Armata. In totale, le forze del distretto ammontano ad oltre 30.000 soldati e circa 1.200 tra carri armati e mezzi blindati. Tali forze sono inquadrate in tre divisioni (due motorizzate ed una corazzata), nove brigate (tre di artiglieria, una motorizzata, una di paracadutisti, due missilistiche, una della difesa aerea ed una di forze speciali) ed in altre unità minori. Anche in questo caso, molte unità hanno preso parte al conflitto ceceno.

Distretto militare orientale: quartier generale a Chabarovsk. Le unità principali sono la 5ª e la 35ª Armata. Risulta dotata di oltre 4.500 carri armati.

Marina Militare.

La Marina militare risulta suddivisa in quattro flotte ed una flottiglia. Composta da circa 160.000 uomini (2000), con circa 850 navi (incluse quelle d'appoggio).

Flotta del Baltico (quartier generale a Baltijsk nell'enclave dell'Oblast di Kaliningrad).

Comprende mezzi di superficie e subacquei, con base principale a Kaliningrad, difesa da una brigata di fanteria di marina; basi secondarie Kronstadt, la storica base navale vicino a San Pietroburgo, e Baltijsk.

Flotta del Nord (quartier generale a Severomorsk).

Basata sui vari porti del Mar Bianco, tra cui Murmansk e Severodvinsk. Un'altra importante infrastruttura basata nell'interno della penisola di Kola è la stazione radio ELF (Extremely low frequency) Zevs (Zeus), che trasmette segnali in codice per i SSBN, visto che i suoi segnali possono arrivare alla profondità di 200-300 metri. Comprende una nutrita flotta di superficie, tra cui l'incrociatore da battaglia a propulsione nucleare Piotr Veliki (Pietro il Grande) della classe Kirov e la portaerei Admiral Kutznezov, l'unica in dotazione alla marina Russa. Inoltre, comprende anche una quindicina di sottomarini nucleari d'attacco (SSN) delle classi Akula, Victor III, Sierra, cinque sottomarini convenzionali Kilo, oltre ad un paio di SSGN della classe Oscar II (alla quale apparteneva il Kursk). Vi sono anche una decina di sottomarini lanciamissili balistici delle classi Delta III e IV e Typhoon. Dipendono dalla Flotta del Nord anche alcuni reggimenti dell'Aviazione di Marina, dotati di Tupolev Tu-22M Backfire, di Tupolev Tu-16 Badger nelle versioni antinave (radiati o prossimi alla radiazione) e jammer (guerra elettronica, oltre che di ricognitori strategici Tupolev Tu-95 e Ilyushin Il-38 May antisommergibile, basati sugli aeroporti intorno a Murmansk, tra cui Umbozero e Babozero. Si tratta di una delle due principali flotte della marina russa (l'altra è quella del Pacifico).

Flotta del Pacifico (quartier generale a Vladivostok).

Ha come altro porto importante Petropavlovsk-Kamčatskij. Comprende mezzi di superficie e sottomarini, tra i quali quattro SSBN Delta III, vari sottomarini nucleari d'attacco classe Akula (anche dotati di missili da crociera), ed SSGN della classe Oscar II. Inoltre, è previsto che l'incrociatore da battaglia missilistico Admiral Nakhimov (appartenente alla classe Kirov), attualmente in fase di aggiornamento e riparazione a Severodvinsk, sia assegnato alla Flotta del Pacifico. In effetti, le enormi distanze non permettono una agevole gestione della flotta del Pacifico, e si è parlato anche di un suo scioglimento in passato.

Flotta del Mar Nero (quartier generale a Sebastopoli. Nel 2005 il governo ucraino ha firmato un accordo per l'affitto alla Russia di aree per l'installazione di basi militari nella vicinanza di Sebastopoli (Sevastopol') (attualmente unica città al mondo ad essere sede di due flotte militari di due Paesi diversi) con durata fino al 2017. In tutti i modi, una nuova base navale è in costruzione a Novorossik. In seguito alla spartizione della vecchia flotta sovietica del 1997 tra Russia ed Ucraina, ha subito un notevole ridimensionamento dal punto di vista numerico.

Flottiglia del Caspio (quartier generale ad Astrachan'). Composta da neanche un centinaio di unità (comprese quelle per compiti di appoggio), è in fase di riequipaggiamento. Non vi sono sottomarini.

Vi è anche la Regione Speciale di Kaliningrad, alle dipendenze del comandante della Flotta del Baltico che ha un quartier generale per le forze di terra precedentemente noto come 11ª Armata Guardie, con una divisione di fucilieri meccanizzata, una brigata di fucilieri meccanizzata e un reggimento di aviazione da caccia basato su Sukhoi Su-27 Flanker ed altre forze. La Federazione russa dispone inoltre anche della Guardia Costiera.

Alle dipendenze della marina russa vi è anche l'aviazione di marina (Aviacija Voenno-Morskogo Flota) ed il Corpo della Fanteria di Marina.

Aeronautica Militare.

Dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica in quindici Repubbliche nel 1991, gli uomini ed i mezzi facenti parte dell'Aviazione Militare sono stati suddivisi tra i nuovi Stati. La Russia ha ricevuto la maggioranza di queste forze, approssimativamente il 40% del materiale ed il 65% del personale. Al momento il comandante in capo dell'Aeronautica Militare Russa è il Generale Aleksander Zelin. Con le truppe antiaeree conta all'incirca 185.000 uomini.

Secondo il sito russo warfare.ru le forze aeree possono contare su più di 4.000 mezzi, tra bombardieri, caccia ed elicotteri.

Per quanto riguarda l'organizzazione, il quartier generale è a Mosca. In generale, l'aviazione russa risulta divisa in nove armate.

Sei di queste corrispondono, dal punto di vista operativo, ai Distretti Militari. Nello specifico:

Distretto Militare del Caucaso Settentrionale: 4ª Armata aerea, con quartier generale a Rostov;

Distretto Militare Volga-Urali: 5ª Armata aerea, con quartier generale ad Ekaterinburg;

Distretto Militare di Leningrado: 6ª Armata aerea, con quartier generale a San Pietroburgo:

Distretto Militare dell'Estremo Oriente: 11ª Armata aerea, con quartier generale a Chabarovsk;

Distretto Militare Siberiano: 14ª Armata aerea, con quartier generale a Čita;

Distretto Militare di Mosca: 16ª Armata aerea, con quartier generale a Kubinka;

Le restanti tre, invece, hanno compiti operativi più “specifici”.

61ª Armata aerea da trasporto: con quartier generale a Mosca, è equipaggiata principalmente con aerei cargo Il-76. Si occupa del trasporto strategico nell'ambito delle forze aeree della Federazione Russa.

37ª Armata aerea strategica: con quartier generale ad Engels, questa unità raggruppa tutti i bombardieri strategici della VVS.

Forza aerea C3: con quartier generale a Mosca, comprende unità sperimentali, si occupa del trasporto presidenziale (o comunque di alte personalità) e raggruppa gli aerei radar A50 (equivalenti russi degli AWACS).

Corpi militari indipendenti[modifica | modifica wikitesto]

Raketnye vojska strategičeskogo naznačenija (Ракетные войска стратегического назначения), Forze Missilistiche Strategiche

Vozdušno-desantnye vojska (Воздушно-десантные войска), Truppe Aviotrasportate

Kosmičeskie vojska (Космические войска), Forze Spaziali

Altri corpi.

Altre corpi militari non alle dipendenze del Ministro della Difesa includono:

L'FSB, il Servizio federale di sicurezza interna erede del KGB, (per la sicurezza esterna l'erede del KGB è l'SVR) ha alle proprie dipendenze anche la Guardia di Frontiera per un totale di 66.200 militari.

le Guardie di Frontiera (Pograničnaja Služba Rossii)

i servizio di informazione e sicurezza militare GRU.

la Guardia Nazionale della Federazione Russa: formata sulla base delle Truppe Interne, posta alle dirette dipendenze del Presidente della Federazione e indipendente dalle forze armate.

il Servizio di Protezione Federale

L'Agenzia Federale di Comunicazioni ed Informazione

i Servizi di Sicurezza presidenziali.

Le spese militari.

Nel 2005 le spese per la difesa ammontavano a 573 miliardi di rubli, oltre il 3% del PIL. Nel 2006 la spesa è aumentata a 666 miliardi di rubli, equivalenti a circa 24,9 miliardi di dollari, mentre fonti governative hanno dichiarato una spesa di circa 32 miliardi di dollari per il 2007. Secondo diverse fonti di stampa, attualmente il governo russo ha avviato un piano di ammodernamento delle forze armate con un budget stimato in più di 200 miliardi di dollari dal 2006 fino al 2015. Dopo un'esponenziale e continuo aumento del budget delle Forze Armate della Federazione Russa tra il 2008 e il 2016, nel 2017 si è verificata una sensibile riduzione del 17% (del 20% se si tiene conto di fenomeni macroeconomici come inflazione e fluttuazione del cambio). Questa controtendenza è da attribuirsi agli effetti delle sanzioni internazionali durante la crisi ucraina e alla diminuzione del prezzo del petrolio, asset estremamente rilevante nella composizione del PIL.[14] La Federazione Russa cede in tal modo il terzo posto nella lista degli stati per spesa militare all'Arabia Saudita. Tuttavia, sebbene il recente programma di modernizzazione decennale 2017-2027 (in sostituzione del precedente 2007-2027) preveda una sostanziale stabilità delle spese militari in rubli (19 trilioni di rubli, analogamente al decennio precedente), la svalutazione della valuta della Federazione (19 trilioni di rubli valevano circa 600 miliardi di USD all'avvio del decennio precedente, contro il cambio a circa 300 miliardi USD di quello in corso) permette di prospettare un piano decennale sicuramente meno ambizioso, concentrato nella modernizzazione di armamenti già sviluppati, nel miglioramento delle capacità di comando e controllo, nella standardizzazione di sistemi d'arma esistenti e nella ricerca e sviluppo.

L’oscuro mondo dei contractors. Lorenzo Vita l'1 gennaio 2020 su Inside Over.  Un sistema in crescita, che può rivoluzionare, se non l’ha già fatto, il modo di fare la guerra. I contractors non sono più semplici mercenari al soldo di qualche piccolo emirato o qualche signore della guerra. Queste organizzazioni paramilitari sono diventate delle vere e proprie forze armate parallele, sempre più utilizzate dalle superpotenze per gestire i conflitti in cui non vogliono (o non possono) impiegare i propri soldati ma anche per controllare aree di interesse strategico in cui le autorità degli Stati alleati hanno difficoltà (economiche, logistiche o anche semplicemente belliche). Non c’è nulla di romantico, se mai ce ne fosse stato, nelle logiche delle società di contractors. Ma sgombrato il campo da questioni di natura etica (che ogni utilizzo di questi uomini implica) va ormai compreso che non possano più essere ritenuti secondari nella comprensione delle guerre. Il loro uso è ormai non solo assodato ma anche estremamente consistente. E l’industria che è stata creato con il loro impiego (Repubblica parla di un giro d’affari vicino ai 400 miliardi di dollari) conferma l’assoluta importanza  di un mondo che ha assunto ormai un valore politico, diplomatico ed economico che è assimilabile a quelli di vere e proprie forze parallele rispetto a quelle delle autorità nazionali.

I contractors al soldo di Mosca. La questione ha assunto particolare importanza in queste settimane perché numerose inchieste hanno portato alla luce la presenza di cittadini russi (non si possono definire soldati perché non appartenenti alle forze armate) tra le file del generale Khalifa Haftar. L’uomo forte della Cirenaica ha da sempre un rapporto privilegiato con il Cremlino confermato dalle visite a Mosca e anche dalle relazioni di interesse intessute non solo con i colossi energetici russi ma anche con vari settori dell’intelligence e della diplomazia russa (e degli alleati di Vladimir Putin). E questo rapporto è stato confermato appunto nell’assedio di Tripoli quando, con l’annuncio della cosiddetta “ora zero” da parte del maresciallo si è anche palesata la presenza di “mercenari” russi, in particolare del Gruppo Wagner. Presenza che era stata già paventata a suo tempo dai servizi segreti britannici i quali avevano segnalato la possibile presenza di uomini russi a Derna ben prima dell’avanzata su Tripoli e la contemporanea possibilità di uno scenario siriano per la Libia. Ipotesi che evidentemente all’MI6 avevano analizzato a fondi, dal momento che la realtà, a quanto pare, non è così lontana dall’allarme di Londra. La presenza di contractors russi in Libia è naturalmente solo una parte della strategia del Cremlino riguardo la Libia e tutti i conflitti in cui è direttamente o indirettamente coinvolta. Perché se è vero che la Wagner opera insieme al maresciallo Haftar nel controllo della guerra che sconvolge la Libia dalla caduta di Muhammar Gheddafi, è anche vero che la Cirenaica (e ora anche la Tripolitania) sono solo due delle molte aree in cui la Wagner opera per gli interessi di Mosca. Mercenari russi sono stati uccisi in Mozambico a novembre con un’operazione che ha destato non poche perplessità nella comunità internazionale. Non solo per la violenza con cui sono stati uccisi i russi, ma anche per la presenza (confermata purtroppo dalla loro morte) fisica di combattenti al servizio del Cremlino in un Paese con cui la Russia ha un forte collegamento politico dai tempi dell’Unione sovietica. Soldi, armi e energia – i binari su cui corre la strategia russa in Africa – hanno coinvolto anche il Mozambico. E la presenza di miliziani russi ha certificato la necessità di Mosca di controllare che i suoi interessi fossero tutelati. Interessi che non sono molto diversi da quelli che la Russia ha nella Repubblica centrafricana, dove non a caso sono presenti altri contractors, sempre della Wagner, saliti alla ribalta delle cronache per la morte di alcuni giornalisti (Orkhan Dzhemal, Aleksandr Rastorguyev e Kirill Radchenko) che viaggiavano da Bangui a Bambari. Il governo russo parlò di una rapina. Ma gli stessi media locali e africani puntarono il dito contro la Wagner e sui presunti traffici dell’organizzazione con le autorità locali. Quell’episodio è rimasto avvolto dal mistero. Ma quello che è certo è che nessuno ha più smentito la presenza di mercenari russi nel Paese, mentre le autorità locali si sono trincerate dietro l’autorizzazione della Russia da parte dell’Onu a sostenere gli sforzi della Repubblica centrafricana nel controllo del territorio.

Siria e Ucraina. Dall’Africa al Medio Oriente, la presenza di contractors russi della Wagner (generalmente ex soldati dell’esercito ed ex membri del Gru) è invece assolutamente certa nel territorio della Siria. Anzi, i combattenti mercenari sono stati spesso sfruttati dal Cremlino proprio per evitare che le forze regolari di Mosca intervenissero in scenari difficili o comunque dove fosse lecito attendersi un rischio molto elevato per le truppe. La guerra in Siria è stata (ed è) un impegno enorme per Putin: soldati uccisi non sono mai accettati dall’opinione pubblica. Ma anche in questo caso, rischi non sono mai stati pochi. Le foto di “civili” russi in mimetica, abbronzati dal sole cocente del deserto, che sbarcavano in Russia con voli spesso anonimi provenienti dal Medio Oriente hanno più volte fatto comprendere il loro impiego in teatri operativi. E nel febbraio 2018, per quattro interminabili ore, soldati americani e forze aeree Usa hanno avuto un pesantissimo scontro con i combattenti della Wagner, probabilmente 500. I caduti tra le file dei mercenari nella piana di Deir Ezzor sono state decine: nessuna cifra ufficiale. Ma quello che è certo è che per la prima volta forze statunitensi e russe (sebbene paramilitari) si sono fronteggiate in Siria provocando decine di morti. Come non si sa con esattezza quanti siano stati i morti tra i contractors russi in Ucraina, dove invece è da anni certa la presenza di queste forze negli eserciti delle repubblica filo-russe del Donbass e di tutto il fronte orientale ucraino. In particolare, l’uso dei contractors in battaglia è stato confermato nella battaglia di Debaltseve e in quella di Starobesheve. Anche in questo caso, i caduti in conflitto non hanno mai avuto un numero ufficiale. Tutto avvolto nel mistero.

Mercenari e Pentagono. La Russia non è chiaramente l’unica forza a usare i contractors. Anzi, in realtà gli Stati Uniti da tempo hanno impostato una strategia che prevede un sempre maggiore uso delle forze delle compagnie militari private nella gestione degli scenari di guerra dove Washington non ha più interesse ad avere una presenza massiccia di truppe. Il primo e più importante scenario in cui esiste questa strana convivenza tra contractors e soldati è quello dell’Afghanistan. Nella guerra più lunga degli Stati Uniti, i combattenti delle agenzie private che vengono impiegati dal governo americano sono stati migliaia. E migliaia sono stati soprattutto i morti: segno che quando si parla di mercenari è sempre sbagliato darne una lettura di parte per cui li utilizzano solo potenze o Stati non occidentali. Un’inchiesta del Washington Post ha addirittura confermato che il numero di vittime tra i contractors al servizio degli Stati Uniti è superiore (e di molto) a quella dei militari, raggiungendo la cifra record di 3.814 caduti. Un numero enorme se si pensa alla pochissima pubblicità che viene data allo sfruttamento di queste compagnie da parte del Pentagono, ma che dimostra come quella strategia pensata da Donald Trump (e Erik Prince) riguardo alla “privatizzazione” della guerra afghana non sia qualcosa da considerare avulso dalle strategia statunitensi. Al contrario, i contractors sono da sempre una componente essenziale dei piani strategici dei militari Usa in una guerra che l’opinione pubblica da tempo considera del tutto fallimentare e priva di alcuna utilità. Ma quella guerra, se non si può vincere, sicuramente non si può abbandonare. Ed è per questo che dalla Casa Bianca è arrivato l’ordine di provare a privatizzarla. Del resto, una compagnia privata cosa meno rispetto alle forze regolari (decine di milioni di dollari di meno) e un soldato morto vale, in termini di percezione sociale, molto più di un civile che va in guerra con un’azienda. Come ricorda Repubblica, The Congressional Budget Office ha chiarito che “un battaglione di fanteria in guerra costa 110 milioni di dollari all’anno, mentre un’unità militare privata 99 milioni”. Va da sé che 20 milioni in meno, ogni volta, rappresentano un risparmio non di poco conto. Ed è un investimento su cui l’America ha puntato talmente tanto che il governo federale ha speso in cinque anni (tra il 2007 e il 2012) circa 160 miliardi di dollari in queste aziende. I cui servizi possono essere usati anche in vari contesti, dall’addestramento delle truppe regolari fino ai conflitti dove gli Stati Uniti non vogliono far capire di essere pienamente coinvolti, pur avendo interesse a sostenere l’alleato sul campo.

I contractors al servizio di Pechino. Anche al Cina non è immune dall’utilizzo dei contractors. Anzi, i dati mostrano che il business delle compagnie militari private è in netto aumento a tal punto che ormai sono aziende con un fatturato enorme che Pechino sfrutta per controllare tutte le aree in cui non vuole usare le forze regolari. Lo stesso obiettivo di Russia e Stati Uniti è così stato assunto dal Dragone che, con la Nuova Via della Seta, sa di non poter lasciare i suoi interessi e le infrastrutture che costruisce in giro per il mondo in mano al controllo di forze che, soprattutto in Paesi in via di sviluppo, non garantiscono un chiaro monitoraggio del territorio. E non garantiscono soprattutto fedeltà all’alleato cinese né i suoi interessi. Per questo motivo, non deve stupire che in questi nani vi è stata una netta presa di posizione da parte della Cina nell’utilizzo delle Pmc. Anzi, il governo cinese ha anche fatto un ulteriore passo in avanti. Mentre prima i colossi del Paese utilizzavano in larga parte aziende private estere, perché, come riportato da Eastasia, i contractors cinesi erano considerati inesperti, ora viene preferito l’impiego di compagnie private cinesi che in questo modo si addestrano sul campo e soprattutto evitano che i dollari investiti dalle autorità cinesi finiscano in un fiume generalmente collegato ad altre potenze (appunto Stati Uniti e Russia in primis). Come dimostrato anche dai contratti siglati dalla Blackwater con la Cina per operazioni che Pechino ha voluto sempre mantenere nel più stretto riserbo. Ma soprattutto questo rende anche più facile la possibilità che gli interessi cinesi siano tenuti in qualche modo più coperti e nel grande calderone della burocrazia dell’Impero. Il governo cinese ha inviato compagnie private di contractors a tutela dei lavoratori inviati in Sud Sudan come in Iraq, ma ha anche blindato gli interessi del corridoio con il Pakistan così come i porti della Nuova Via della Seta e la cosiddetta “Collana di perle” dell’Oceano Indiano. Del resto, come riportato anche da Xinhua, gli investimenti sulla sicurezza all’estero per le autorità cinesi ammontano già a decine di miliardi di dollari. E questo business non può che crescere con l’aumentare degli interessi cinesi fuori dal suo territorio. La riluttanza di Pechino a non inviare truppe fuori dal Paese rende poi tutto più chiaro.

Da Focus.it. La Legione straniera tra storia e leggenda. In passato nella Legione straniera francese si entrava spesso per sparire dalla circolazione senza lasciare traccia. Quando è nata? E perché?

Il 10 marzo 1831 veniva fondata la Legione straniera. Ancora oggi si dice che solo tre cose sopravvivano nel deserto: i serpenti, gli scorpioni e i legionari. Il riferimento è ai soldati della Legione straniera francese, o semplicemente Légion étrangère, corpo militare d'élite composto da uomini "senza patria". L'avventura della Legione straniera iniziò nel XIX secolo tra le dune del Sahara algerino e il suo controverso mito, amplificato dalla letteratura e dal cinema, non è ancora passato.

ARRUOLARE GLI STRANIERI. La Legione nacque in Francia nel 1831 per ordine del re, Luigi Filippo d'Orléans (1773-1850). Il Paese usciva da un periodo difficile. Dopo l'esilio di Napoleone, nel 1815, i Borbone avevano ripreso il trono ed erano riusciti ad assicurare un periodo di relativa pace. Ma nonostante ciò all'interno del Paese persisteva un clima di instabilità sociale. L'Europa, nel 1830, era stata sconvolta da una serie di moti rivoluzionari.

Nella stessa Francia le "tre gloriose" giornate di Parigi (27, 28, 29 luglio 1830) avevano costretto il re Carlo X a lasciare il trono, poi passato al moderato Luigi Filippo di Borbone Orléans. Nel Paese ormai "pacificato" trovarono rifugio molti stranieri (italiani, polacchi e spagnoli) in fuga dai loro Paesi e in cerca di occupazione. A questa folla di sbandati si aggiungevano fiumi di soldati stranieri: ex mercenari o soldati semplici che avevano fatto parte dell'esercito francese nel periodo delle rivolte e che ora si trovavano senza lavoro.

Fu allora, probabilmente con l'intento di dare un inquadramento a tutti questi irregolari che potevano creare problemi di ordine pubblico, che nel marzo del 1831 l'Assemblea nazionale francese votò una legge che permetteva la creazione di un nuovo reggimento in cui si potevano arruolare solo gli stranieri. «Le autorità concepirono la Legione come soluzione a una minaccia d'ordine pubblico, ma c'era anche un'altra ragione per crearla», spiega il saggista canadese Jean-Vincent Blanchard, autore del volume Legione di eroi (Piemme). «Nel 1830 la Francia si era imbarcata in un'impresa coloniale in Algeria e aveva bisogno di un corpo militare in cui la perdita di vite umane non suscitasse il contraccolpo che avrebbero scatenato eventuali vittime francesi».

PER CHI NON AVEVA NIENTE DA PERDERE. La Legione nacque così, quasi come una specie di "discarica umana", con uomini che non avevano nulla da perdere, da impiegare come forza da combattimento nelle colonie. Uomini della cui eventuale morte non importava a nessuno. Così, per rimpolpare le file della Legione, fin dal principio furono arruolati non solo ex combattenti in cerca di una seconda possibilità ma anche individui che si erano macchiati di qualche crimine, intenzionati a "scomparire" dalla circolazione.

Al momento dell'arruolamento, infatti, era sì necessario dare le vere generalità, ma queste rimanevano segrete e chi voleva poteva usare un nome falso. La Legione diveniva così una nuova patria: Legio Patria Nostra recita non a caso il motto del corpo. E in questa patria si parlava tutti la stessa lingua, il francese (e chi non lo sapeva era costretto a impararlo). Tuttavia la cosa più difficile che dovevano affrontare gli aspiranti legionari era la durissima preparazione psicofisica, che portava molte reclute, anche le più motivate, a mollare.

«L'addestramento del legionario era innanzitutto noto per le lunghe ed estenuanti marce nel deserto, durante le quali le reclute erano gravate sulle spalle da zaini dal peso insopportabile», dice in proposito Blanchard. Sui metodi di addestramento non si facevano sconti a nessuno: chi rimaneva indietro, era lasciato al proprio destino (marciare o morire, si usava dire). La disciplina era inflessibile e il grado di obbedienza richiesto verso i superiori assoluto ("la missione è sacra e la eseguirai fino in fondo, se necessario [...] perdendo la vita" recita il codice d'onore dei legionari).

FATICHE QUOTIDIANE. Ma i compiti non finivano sul campo di addestramento (o di battaglia). Il legionario doveva anche gestire la routine quotidiana, in totale autonomia, per cui alle lunghe camminate di allenamento alternava momenti dedicati alla manutenzione delle armi e alla pulizia di caserme e fortini, i cui locali erano quasi sempre invasi dalla sabbia.

Tuttavia erano organizzati anche rari momenti di svago, come per esempio feste in caserma (ma solo sporadicamente). E se nelle fasi di addestramento gli uomini della Legione erano sostanzialmente interdetti dai rapporti con il mondo esterno, durante il periodo di ferma avevano diritto a qualche libera uscita. Molti dei legionari non avevano però affetti familiari e amavano passare le ore libere in qualche bettola a sbronzarsi o in compagnia di prostitute, dimenticando per un po' la dura disciplina.

«Gli ufficiali chiudevano di solito un occhio di fronte a tali comportamenti poco "eroici", sapendo che uno stato depressivo dei legionari poteva avere effetti ben peggiori», aggiunge l'esperto. E se qualcuno non si trovava bene non poteva dimettersi su due piedi dal reggimento, il rischio era quello di essere processati come disertori ed essere condannati al carcere militare. Ancora oggi è così.

DI GUERRA IN GUERRA. Dopo la conquista dell'Algeria (dove fu collocata la sede centrale della Légion étrangère, a Sidi bel Abbès), i legionari furono inviati in Crimea (1853-1856), dove vinsero la battaglia dell'Alma contro i russi (1854). Poi fu la volta del Messico, ex possedimento spagnolo dove le forze francesi erano penetrate nel 1862 e dove il 30 aprile 1863 i legionari furono impiegati nella battaglia di Camerone. «Il capitano Jean Danjou, 62 legionari e altri tre ufficiali, ritrovatisi bloccati in una fattoria circondata dalle truppe messicane, rifiutarono di arrendersi e seguitarono a combattere finché pochi di loro rimasero in piedi, mentre gli avversari esclamavano che quelli non erano uomini, ma "demoni"», racconta lo storico. «Questo episodio fu considerato emblematico della tenacia in combattimento della Légion, la cui festa annuale fu fissata proprio al 30 aprile, "giorno di Camerone"».

Nel 1870 combatterono contro i Prussiani (sul suolo francese), per poi tornare a occuparsi delle colonie africane, destinate ad aumentare. Le imprese di questi uomini, in grado di combattere in ogni ambiente e con ogni clima, iniziarono intanto a fare il giro del mondo, ispirando romanzi, canzoni e, più tardi, anche film.

ALL'INFERNO. Dopo tanti successi, anche la Légion conobbe però un periodo di crisi, corrispondente all'ondata anticolonialista che travolse i possedimenti francesi, dopo la Seconda guerra mondiale. Nel 1954 il corpo combatté in Indocina nella feroce battaglia di Dien Bien Phu, dove a imporsi furono le forze vietnamite. Perduti i domini indocinesi, la Francia cercò di non dire "addio" anche all'Algeria, luogo in cui era iniziata la storia della Légion e dove le forze del Fronte di liberazione nazionale (Fln) avevano intrapreso, proprio nel 1954, una grossa battaglia per l'indipendenza.

«Ancora scossi dalla sconfitta subita a Dien Bien Phu, i legionari parteciparono alla battaglia di Algeri del 1957 e condussero poi operazioni antiguerriglia in tutto il Paese, giocando infine un ruolo di primo piano nel putsch dei generali che nell'aprile 1961 tentò di rovesciare il presidente Charles de Gaulle, reo di aver avviato negoziati col Fln». Nella Guerra di Algeria la Legione perse ogni aura romantica: i legionari organizzarono squadroni della morte che si resero responsabili di torture e brutalità d'ogni sorta, anche contro i civili.

La notizia delle violenze indignò l'opinione pubblica e deteriorò l'immagine della Légion, i cui ranghi, dopo l'indipendenza algerina (1962), furono ridotti e sottoposti a un maggior controllo. «Il 24 ottobre 1962 gli ultimi legionari lasciarono il comando di Sidi bel Abbès e si trasferirono in Francia, stabilendo il nuovo quartier generale ad Aubagne, vicino a Marsiglia, dove si trova tuttora», afferma ancora Blanchard.

Un'epoca era finita, ma dopo la batosta algerina la Legione seppe pian piano ritrovare parte dello smalto perduto impegnandosi in operazioni di peacekeeping, monitoraggio di infrastrutture in aree a rischio, lotta al narcotraffico e al terrorismo. E infatti, ancora oggi, attira nuove leve. Per ciascun aspirante legionario, il momento più atteso è quello in cui, superato il tirocinio, riceve il képi blanc, caratteristico copricapo bianco visto in mille film e divenuto simbolo del corpo. È a quel punto che finalmente inizia la vera avventura, che per molti consiste, come un tempo, nel ricominciare da zero una seconda vita.

Questo articolo è tratto da "L'armata degli stranieri", di Matteo Liberti, pubblicato su Focus Storia 147 (gennaio 2019) disponibile in formato digitale. Leggi anche il nuovo numero di Focus Storia ora in edicola.

Estratto dell'articolo Giuliano Foschini e Corrado Zunino per “la Repubblica” il 10 marzo 2022.

Ci sono i nazisti che combattono accanto agli antagonisti di sinistra. Forza Nuova contro Casa Pound. Sessanta italiani, almeno, dicono le ultime analisi della nostra intelligence che sparano. Per lo più accanto all'esercito di Putin. Ma anche con i resistenti di Zelensky. 

«Ventimila cittadini di 52 stati diversi hanno chiesto di entrare nella legione» ha detto il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba con numeri che sono, però, al momento impossibili da verificare. Il conflitto ucraino non è soltanto orrore su orrore. Ma sta diventando anche una palestra di un nuovo terrorismo europeo.

Una scuola di foreign fighters, filo russi principalmente, a 600 euro al mese. Che, teme l'intelligence europea, si potranno trasformare in pochissimo tempo in cattivi maestri. O in lupi solitari pronti a colpire in casa nostra. 

«Perché l'Europa, per i soldati di Putin, è la nuova nemica». Già da settimane, il quadro dei combattenti del nostro Paese è abbastanza chiaro. Le ultime rilevazioni del nostro Antiterrorismo contano, ormai da anni, circa 60 persone attive nei combattimenti in Donbass.

Sono tutti uomini di chiara estrazione di destra, in alcuni casi neonazisti, che combattevano per lo più al fianco per lo più dei russi. Ma anche degli ucraini. Antonio Cataldo, campano di Nola, sta con i soldati di Putin: addestrato nella Federazione, ha combattuto come mercenario in Libia, poi in Siria con l'esercito di Al-Assad. 

È con la Russia anche Arkhangel, nome di battaglia di Gabriele CarugatI. Fa parte del battaglione "Vostok", sua madre è stata dirigente della Lega a Cairate. Ed è uno dei latitanti italiani del Donbass.

Su di lui e altre quattro persone la procura di Genova ha spiccato infatti un mandato di cattura (in Italia è vietato combattere all'estero) finito però nel vuoto perché da allora non hanno mai più rimesso piede in territorio italiano. Carugati come Andrea Palmeri, "il generalissimo" ultras della Lucchese. 

Nazista che combatte al fianco de "Il comandante Nemo", esponente romano del coordinamento "Donbass antinazista", figura apparentemente senza volto (ma si tratterebbe di un giornalista), a conferma come attorno a Putin si siano saldati nazisti ed esponenti della sinistra antagonista.

A combattere con gli ucraini ci sono invece Valter Nebiolo e Giuseppe Donini con un passato da guerriglieri in Medio Oriente e una simpatia esplicita fascista. D'altronde la spaccatura interna della destra eversiva italiana è abbastanza chiara anche nel nostro Paese: da un lato c'è Forza Nuova che attribuisce agli Stati Uniti e alla Nato la responsabilità del conflitto (come fanno anche gli antagonisti da sinistra). 

Dall'altro Casa Pound che si è apertamente schierata, ha osservato la nostra intelligence, a favore dell'Ucraina e dei popoli europei in nome di una difesa dall'imperialismo straniero.

(ANSA il 10 agosto 2022) - C'è il primo Italiano indagato per essere andato a combattere in Ucraina con la resistenza. E' un genovese di 19 anni, Kevin Chiappalone, simpatizzante del movimento di estrema destra CasaPound. 

Il sostituto procuratore Marco Zocco della Direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo genovese lo accusa di essere un mercenario arruolato nella Brigata internazionale ucraina e rischia una condanna da due a sette anni. 

L'indagine della Digos era partita dopo le dichiarazioni del giovane al settimanale Panorama in cui annunciava di volere partire per difendere l'Ucraina dopo avere sentito Putin che parlava di "denazificare il Paese". 

Secondo quanto appreso, il ragazzo, senza alcuna esperienza in ambito militare o nell'uso delle armi (se non la passione per il softfair), è partito a maggio, entrando nel Paese probabilmente attraverso il confine polacco. Dopo una fase di addestramento, come mostrano anche alcune foto sui social, ora si troverebbe in Donbass.

Al momento il giovane è l'unico indagato ma gli investigatori stanno cercando di capire se vi siano altri mercenari e se vi sia una rete di reclutatori. La Digos ha interrogato diverse persone di CasaPound. Da quanto emerso avrebbe fatto tutto da solo tramite internet. Sarebbe arrivato in Polonia con l'aereo e da lì in pullman ha raggiunto il fronte. 

A Genova era stata avviata una inchiesta su un giro di mercenari filorussi, partiti dopo il conflitto del 2014. Tra questi figura Andrea Palmieri, "il generalissimo": per l'Italia è un latitante che deve scontare 5 anni per aver fatto da reclutatore. Ex capo ultrà dei Bulldog della Lucchese, estremista di destra, è in Donbass.

Altri veterani del Donbass sono Massimiliano Cavalleri detto 'Spartaco', e Gabriele Carugati, soprannominato 'Arcangelo', un ex addetto alla sicurezza di un centro commerciale in Lombardia figlio di Silvana Marin, ex dirigente della Lega a Cairate. Dovrebbero essere ancora lì a combattere al fianco dei russi. A fine marzo era stato ucciso l'ultrà del Venezia Edy Ongaro, dal 2015 tra le fila dei separatisti filorussi. Tra i filo ucraini invece c'è Giuseppe Donini, 52enne di Ravenna che era con il battaglione Azov. 

Con lui c'era Valter Nebiolo, che invece è rientrato in Italia. Nei conti degli italiani rientra anche Volodymyr Borovyk, che dal 2004 vive a Roma dove lavora in un Caf. Il trentottenne, moglie e tre figli piccoli nati nella capitale, è tornato nel suo paese, a Chernivtsi, e si è arruolato nella difesa territoriale. A fine aprile era tornato in Italia Ivan Luca Vavassori, l'ex calciatore di 29 anni andato a combattere nelle brigate internazionali, a fianco dell'esercito di Kiev

(ANSA il 10 agosto 2022) - "Triste, arrabbiato ma felice". E' come si definisce su Facebook Kevin Chiappalone, lo studente di 19 anni andato a combattere in Ucraina con la resistenza e indagato dalla procura di Genova perché ritenuto un mercenario. 

Le ultime tracce risalgono all'1 agosto quando pubblica una foto su Instagram in cui mostra il dito medio al fotografo, quasi certamente un altro giovane combattente nella Brigata internazionale Ucraina, imbraccia una mitragliatrice leggera, indossa un elmetto e ha il volto nascosto da un paio di occhiali scuri e da un passamontagna. In un altro scatto, nascosto in un bosco osserva con i binocoli un punto all'orizzonte.

Il 6 giugno aveva pubblicato una foto dove teneva in braccio un cucciolo di pastore tedesco citando Charles M. Schulz, l'autore di Linus: "La felicità è un cucciolo caldo". Sotto il post tuttavia, a un amico che gli chiedeva come stava ha risposto: "L'altro ieri ho perso un amico". 

E ancora, in un’altra è con due amici, con abiti militari, a volto scoperto e sorridente a Cracovia in Polonia il 29 aprile, pochi giorni prima che i volontari (con lui c'è un ragazzo spagnolo) varcassero il confine con l'Ucraina. 

Sempre dai social emerge la passione del ragazzo per le partite di softair e la sua militanza in Casapound con la partecipazione a manifestazioni neofasciste non solo a Genova, la rabbia di un ragazzino di periferia sfogata in una nota palestra popolare a Cornigliano, quartiere dove abitava con la madre prima di decidere di andare a fare la guerra vera in Ucraina per combattere contro Putin. 

Estratto dell'articolo di M.L. per “la Repubblica” l'11 agosto 2022.

Kevin Chiappalone, 19 anni, contattato in territorio ucraino da Repubblica si dice «stupito da tutto questo. Mi aspettavo azioni legali, non di vedere la mia foto ovunque e di trovarmi mille messaggi, i miei genitori mi scrivono di giornalisti che li cercano da tutte le parti. Sto cercando di realizzare ». 

Genovese, studente di estrema destra, simpatizzante se non militante di CasaPound, per la Direzione distrettuale antiterrorismo del capoluogo genovese è un foreign fighter, arruolato nella Legione internazionale di difesa territoriale dell'Ucraina, impegnato sul campo contro i russi. E come tale il suo nome è stato iscritto sul registro degli indagati dal pm Marzo Zocco.

[...] Con ogni probabilità si trova a Kharkiv anche se lui, in una stringatissima conversazione, non rivela sua esatta posizione: «Sono in zona di combattimento, sono dispiegato, ma non sono in Donbass come ho letto in alcuni articoli». 

Alla richiesta di altre informazioni taglia corto: «Prima ho bisogno dell'autorizzazione dei miei superiori ». Eppure l'inchiesta di Genova è nata proprio da una sua intervista, pubblicata dal settimanale Panorama a marzo in forma anonima.

Allora sosteneva che «Putin ha promesso di voler denazificare l'Ucraina. Diciamo che in quel momento ci siamo sentiti chiamare in causa». [...]

Marco Lignana per “la Repubblica” l'11 agosto 2022.  

«Noi ci chiediamo come sia possibile che l'Italia consegni armi all'Ucraina, e poi nostro figlio che ha scelto di combattere laggiù non possa rimettere piede qui, sennò finisce in prigione». Tiziana Chiappalone e Filippo Moramarco, genitori del 19enne Kevin, non volevano che il figlio partisse per la guerra: «Ci aveva detto che sarebbe andato a fare del volontariato a Sanremo... quando ormai a cose fatte ci ha raccontato la verità, ci siamo sentiti crollare il mondo addosso».

Adesso che il volto del ragazzo cresciuto con loro nel ponente genovese è comparso su siti e televisioni di tutta Italia, i due sembrano persino dimenticare che al centro di tutto c'è un conflitto, e rivendicano con orgoglio: «Kevin è una brava persona, non sta facendo male a nessuno. Ha le sue idee, certo di destra, ma è andato ad aiutare l'Ucraina, non l'invasore russo.

È dalla parte giusta e qui non è una questione di destra o sinistra, visto che fra ucraini e russi tutto è mischiato, trovi da una parte e dall'altra gente di ogni idea politica».

[...] Insomma per la madre Tiziana, che di mestiere fa la collaboratrice domestica, «è stata una scelta di vita che non condivido ma che rispetto, resterò per sempre sua mamma e di certo non lo abbandono nel momento del bisogno. Quando mettiamo al mondo delle creature cerchiamo di crescerle insegnando loro ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, io sono orgogliosa che mio figlio faccia qualcosa per gli altri. Lui un mercenario? Impossibile, non prenderà un euro, sono le sue idee che lo guidano ». [...]

Kevin Chiappalone indagato e gli altri italiani sul fronte Russia Ucraina. Claudio Del Frate su Il Corriere della Sera il 10 Agosto 2022.

Giulia Schiff ex pilota dell’Aeronautica, è l’unica donna al fronte. Andrea Palmieri. estremista di destra, deve scontare 5 anni in Italia. Edy Ongaro è il primo italiano morto. 

Kevin Chiappalone, 19 anni, di Genova, è il primo indagato dalla magistratura italiana per essersi arruolato con le milizie filo ucraine. Giovanissimo simpatizzante di estrema destra non è in realtà l’unicoitaliano a trovarsi, armi in pugno sul fronte della guerra. Sia dalla parte di Kiev che di quella di Mosca. Ecco chi sono e quali sono le loro storie.

* Kevin Chiappalone è indagato dalla procura di Genova è iscritto al registro degli indagati in base a una legge del 1995 che punisce gli italiani che partecipano a un conflitto armato per conto di stati stranieri. Un «foreign fighter» in piena regola, dunque: rischia una condanna tra 2 e 7 anni. Giovanissimo, privo di qualunque addestramento militare, il giovanissimo Kevin è finito sotto la lente della magistratura per una intervista rilasciata al settimanale «Panorama» in cui annunciava la sua partenza per l’Ucraina. «Ho sentito che Putin vuole denazificare l’Ucraina e allora sono partito per impedire che ciò avvenisse» ha detto. Sui social ha postato alcune foto che lo ritraggono in mimetica e fucile mitragliatore in braccio con altri combattenti. Non è chiaro però dove si trovi in questo momento. Ha raggiunto l’Ucrina arrivando prima in aereo a Varsavia e poi proseguendo in autobus. Da lì ha postato qualche foto sui suoi profili social (su Instagram si fa chiamare «Milza Zena») in una delle quali lo si vede con in spalla un bazooka. Un’arma potente in netto contrasto con la sua espressione di adolescente . «È un bravo ragazzo, si è sempre schierato dalla parte dei deboli» dice di lui la madre.

* Giulia Schiff è un ex pilota dell’aeronautica militare. Veneziana, 23 anni, era stata espulsa dopo aver denunciato episodi di nonnismo e molestie da parte dei colleghi maschi. Nel marzo del 2022 è partita volontaria per l’Ucraina e si è arruolata nella «Legione internazionale» voluta da Zelensky. «Non vedo da parte dell’Europa la reazione che meriterebbe lo scempio che sta subendo l’Ucraina da parte di Putin. Non ci sono giustificazioni per non reagire» aveva scritto a marzo suyl suo profilo Instagram.

* Andrea Palmieri, 42 anni, di Lucca, è invece schierato con i miliziani filorussi . Si troverebbe in Donbass dal 2014 dopo anni di militanza con Forza Nuova e tra gli ultras della squadra di calcio della sua città. In Italia deve scontare una condanna a cinque anni proprio per la sua attività di reclutatore di miliziani da inviare sul fronte russo-ucraino.

* Gabriele Carugati, milanese, detto «Arcangelo», era un addetto alla sicurezza di un centro commerciale. é figlio di una militante della Lega della provincia di Varese. Combatte a fianco dei russi.

* Riccardo Sotgia , di Sassari, è stato invece un militante di estrema sinistra: ha deciso di partire per il Donbass schierandosi dalla parte di Mosca perché considera l’Ucraina uno «stato nazista».

* Edy Ongaro, 46 anni, di Portogruaro, è invece il primo italiano morto in Donbass. Anche lui si mera arruolato con i filorussi, anche lui viene da una militanza nei centri sociali di estrema sinistra e come ultrà del Venezia. Nome di battaglia «Bozambo», il 30 marzo scorso è morto dilaniato da una bomba a mano che lui stesso stava maneggiando.

Da open.online il 31 agosto 2022.

Nella guerra tra Russia e Ucraina Giulia Schiff, ex pilota dell’Aeronautica militare, è in prima linea a combattere come volontaria nelle Forze Speciali della Legione Internazionale. Secondo il suo avvocato Schiff non è una mercenaria e può quindi combattere con Kiev. E lei oggi in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera racconta che ha rischiato due volte di morire. «Una volta eravamo in missione in direzione Cherson, il nostro veicolo blindato è finito sotto attacco ed è finito in un canale. Il casco si è strappato e ho battuto la testa. Senti? Ho ancora il bozzo».

L’altra volta è successo «di notte, stavamo tentando di infiltrarci in un villaggio occupato, i russi ci hanno individuato e hanno iniziato a bombardare. Io ero calma e ho aiutato i colleghi in difficoltà. Buttandomi a terra, ho sbattuto i denti sul mio fucile. La bomba di artiglieria più vicina mi è caduta a due o tre metri. In questa operazione sono morti 4 dei miei colleghi, uno era un caro amico e ho dovuto dire alla sua fidanzata che non c’è più. Vorrei poter tornare indietro a recuperare il suo corpo». 

Schiff dice di avere paura («se non l’avessi sarei psicopatica). E aggiunge che la madre le chiede ogni giorno di tornare a casa, mentre il padre è orgoglioso della sua scelta. Poi fa sapere di aver trovato l’amore al fronte: «È un ragazzo metà ucraino e metà israeliano. Combattiamo nella stessa brigata. Ha 29 anni, è il miglior soldato che abbia incontrato e anche il miglior uomo. Siamo compagni anche sul campo e ci guardiamo le spalle l’un l’altro. Il suo nome di battaglia è Wolf e allora scherzando a volte ci chiamano Mrs e Mr Wolf, anche se in realtà il mio soprannome è Kida».

Infine, racconta che tipo di addestramento ha ricevuto: «All’inizio mi sono appoggiata a una famiglia di attivisti a Zytomyr. Lì ho parlato con il sindaco e poi con l’ex ministro della Difesa. Mi hanno portata al quartier generale dell’intelligence a Kiev dove mi hanno sottoposta alla macchina della verità. Ero incaricata anche delle pubbliche relazioni. Mi sono addestrata con membri delle forze speciali di tutto il mondo, al poligono e sul campo. Sono stata a Irpin e Bucha. Dopo poco mi sono unita a Masada e sono stata a Kharkiv, poi con base a Dnipro nel Donbass: Bakhmut e Kramatorsk. Ora la nostra area è Mykolaiv».

Domenico Quirico per “la Stampa” l'8 marzo 2022. 

La guerra si complica, si gonfia come un tumore. Accade sempre così. Il segno che sarà difficile sgomitolare la ingarbugliata matassa è l'irrompere anche dei mercenari, i combattenti stranieri. Hanno sentito odore di cancrena, fiutano l'odore della guerra molto prima di vederlo. È il loro momento. Mentre milioni di ucraini cercano di fuggire in una miserabile confusione, in un intrico di fagotti, di auto stracariche, di disperazione, c'è chi risale baldanzoso la corrente nel senso opposto, ha paura di non arrivare in tempo a prendersi la sua parte di guerra.

Legione straniera di fanatici che credono nel nudo cinismo della forza o brigate internazionali di idealisti decisi a non limitarsi alle chiacchiere, come nella Spagna del '36 quando le democrazie blaterarono molto ma si limitarono a guardare i fascismi trionfare? Forse ci sono gli uni e gli altri, anche una minoranza di idealisti, illusi di poter, in una guerra smisurata come quella ucraina, esser utili con la buona volontà e un fucile. Tutti costoro hanno molti motivi per essere qui ma purtroppo la maggioranza sono ingiusti.

Il ministro degli Esteri ucraino ha lanciato un appello perché si arruolino e in America l'ambasciata di Kiev ha messo a disposizione anche un sito per iscriversi. Putin ha meno difficoltà: fa arrivare i volontari ceceni del suo complice nel massacro di Grozny, Ramzan Kabirov, e offre denaro ai siriani che hanno combattuto per l'alleato Bashar al Assad perché si ingaggino come «operatori della sicurezza». Ne ho conosciuti alcuni di questi mercenari in guerre più piccole ma non meno feroci in altre parti del mondo.

Mi ha sempre impressionato il loro cinismo, così assoluto che toglieva il fiato. Era gente che aveva trent' anni ma era già morta. Credo non avessero paura di essere uccisi ma solo perché non volevano più niente dalla vita. Era come se dentro fossero decrepiti, infatti a loro restava solo il passato. La guerra era il culmine della loro esistenza e fino a che andava bene, ogni volta combattendo la vivevano. La cosa migliore, la più luminosa della loro vita era la guerra. Non prevedevano di avere niente di meglio. Ma per la stessa ragione non poteva esserci niente di peggio. La vita era stata vissuta. I ceceni, i combattenti di Kabirov, «il khoziain» il padrone, sono già serviti a Putin.

Perché ai suoi ventimila uomini che deve rendere grazie, se ha preso in mano davvero il potere ventidue anni fa. È grazie agli spietati ceceni con cui ha vinto la impossibile guerra agli insoggiogabili indipendentisti convertiti al jihad se ha convinto i russi che era lui l'uomo adatto a tirarli fuori dal pantano eltsiniano: un post-comunismo subito fradicio, lebbroso di miseria, senza dignità, in cui la democrazia consisteva nel diventare con ogni mezzo, soprattutto illecito, milionario.

Il mediocre burocrate del Kgb che non era riuscito nemmeno a diventare colonnello manteneva le promesse: i ceceni annientati, la sconfitta ignominiosa nel '96 vendicata. È Kabirov che gli ha insegnato il baedeker delle guerre senza pietà, che solo chi è più feroce vince, che bisogna massacrare in modo spettacolare anche i civili senza badar se sono colpevoli, serve a terrorizzare gli altri. Grozny è la prova generale di Mariupol.

E i ceceni di Kabirov son di nuovo lì. Sanno come si fa. Le città bisogna ucciderle come gli uomini che ci vivono; tra le rovine nessuno meglio di loro sa lavorare di mitra, di lanciarazzi e alla fine, di baionetta. Sono uomini con cui è pericoloso mescolarsi, a cui non chiederesti mai cosa facevano prima, nella vita civile. Si troveranno come a casa: i palazzi in cui si uccide sono gli stessi, l'antico sciupato barocco zarista e i falansteri della stagnazione sovietica. Il cemento esplode, si sbriciola, diventa trincea: bisogna avere esperienza per dar lì dentro la caccia agli uomini come fossero topi, dell'uccidere, per non restarne prigionieri.

Loro sanno che nel terzo millennio ancor più che in passato, la innocenza è un delitto che deve essere severamente punito. E poi arriveranno i siriani, il regalo di Bashar all'uomo che gli ha conservato il potere. Verrebbero offerti trecento dollari per un ingaggio di sei mesi preceduto da un periodo di riaddestramento in Russia. Costano poco questi sicari. In Siria si muore di fame, trecento dollari sono un tesoro. Anche loro possono essere utili per la seconda fase dell'invasione, quando bisognerà dare l'assalto alle città e le perdite saranno elevate. Si sono allenati per anni ad Aleppo, Homs, annientate quartiere per quartiere, casa per casa. 

Dall'altra parte Zelensky annuncia le sue brigate internazionali, addirittura sedicimila sarebbero coloro che si sono arruolati per aiutare l'Ucraina a resistere. Forse le cifre sono gonfiate. Molti devono essere addestrati, saranno i primi ad essere spazzati via. Quelli che invece scorrono in alcuni filmati ben equipaggiati e inneggiando alla vittoria sono già combattenti esperti. Negli otto anni di piccola guerra nel Donbass erano in prima linea, seppure in minor numero, anche tra gli ucraini. Molti tra loro appartengono a movimenti di estrema destra occidentale, cercano una guerra qualunque per esistere.

I «foreign fighter» di un estremismo totalitario speculare a quello della guerra santa islamista. C'è il rischio che anche si portino dietro i veleni della guerra come è accaduto ai jihadisti che in Afghanistan ad esempio si addestrarono per poi mettere in pratica quanto avevano imparato nelle guerre civili dei Paesi di origine. 

In Ucraina era di casa anche il padrone della «Blackwater», la multinazionale dei mercenari che dal '97 al 2010 ha firmato contratti con il dipartimento di Stato Usa per due miliardi di dollari, aveva grandi progetti sull'Ucraina, accademie per addestratori e reclute ma anche rilevare la proprietà di alcuni dei grandi complessi dell'industria militare. Promettendo di sottrarli a russi e cinesi. Questa guerra è l'ennesimo affare?

Fabio Tonacci per “la Repubblica” il 10 Giugno 2022. 

«Puoi aver fatto cinque missioni di fila in Iraq, essere un veterano dell'Afghanistan o aver combattuto nel Mali con la legione straniera francese Credimi, non c'è niente che ti prepara a questa guerra, niente che ti insegna a difenderti dall'artiglieria e dall'aviazione della Russia». Nella sua carriera di soldato professionista, il "Lupo del Nord" ne ha viste tante ma non le aveva viste tutte.  

È un italo-americano di 35 anni di cui pubblichiamo solo il nome di battaglia, vive nel nord-est degli Stati Uniti e si è unito come volontario alle forze di Kiev. «Sono stato nell'esercito americano dal 2006 al 2011, ho prestato servizio in Iraq e in Germania. Ho anche lavorato per delle società private in Afghanistan». Il Lupo si presenta così con Repubblica, parlando dal fronte di Donetsk dove si trova da due settimane. 

Qual è la situazione della sua unità?

«Immaginatevi dieci stranieri in una casa che aspettano la missione e vengono bombardati tutto il giorno, mentre si domandano: "ma che cazzo stiamo facendo?": ecco, questa è la situazione».

Perché ha deciso di venire qui?

«Per porre fine al conflitto. Ho un senso di colpa per il mio servizio in Iraq e in Afghanistan, due guerre piene di bugie e corruzione. Anche l'Ucraina non è un posto perfetto, ma la causa è pura: siamo qui per difendere la sicurezza dell'Europa».

Nel Donbass il tribunale dei separatisti ha condannato a morte tre stranieri, l'ha saputo?

«Certo. Sono stati catturati nella battaglia di Mariupol e sono formalmente nell'esercito ucraino, quindi coperti dalla Convenzione di Ginevra. Non sono mercenari, dovrebbero essere trattati come prigionieri di guerra. Credo che abbiano emesso questa sentenza di morte per poi concedere la grazia all'ultimo minuto, è una messinscena. Ma se li uccidono davvero, i britannici manderanno più armi a Kiev».

Cambia qualcosa per lei?

«No, farmi catturare non è nei miei piani. Nelle guerre moderne il 70 per cento delle vittime è causato all'artiglieria. Se esco da questo conflitto vorrà dire che sono stato fatto a pezzi dalle schegge di una bomba. Per la verità, è probabile che morirò prima di dissenteria».  

Quali sono i suoi piani, allora?

«Rimanere vivo, intanto. Nel Donbass meridionale il rumore dei cannoni non si attenua mai, l'intensità del combattimento è molto più alta che in Iraq o in Afghanistan. I russi si affidano ai droni e alla distruzione totale attraverso l'artiglieria, non gliene frega niente di questa terra, basta vedere che hanno fatto con Mariupol. Gli occidentali hanno un'immagine distorta dell'Ucraina, la considerano un posto squallido post-sovietico: invece ha più terreni seminabili di Italia e Spagna messe insieme, ha risorse infinite. Se non è un Paese ricco è solo per colpa della Russia che l'ha usato come Stato cuscinetto». 

Quali opzioni hanno gli stranieri che vogliono combattere per l'Ucraina?

«Cinque strade: la legione straniera ucraina, le forze armate regolari, le unità combattenti di etnia russa e bielorussa composte dai disertori, la legione georgiana del comandante Mamuka e la Brigata Normand fatta dai volontari occidentali». 

Società di contractor ce ne sono?

«Non ci sono gruppi stile Blackwater. Ci sono alcune Ong che navigano nella zona grigia e molti truffatori che si fingono della Cia per arruolare miliziani, come se fossimo nell'Afghanistan del 2001. Non ci sono lavori mercenari ben pagati in Ucraina, credimi, li ho cercati. E non perché io sia qui per i soldi: volevo inserirmi in una struttura di alto livello». 

L'impressione è che nel gruppo dei volontari internazionali ci siano persone qualificate ma anche molta improvvisazione. 

«All'inizio si è presentato chiunque gente che non aveva esperienza militare e che voleva fare il soldato perché gioca con i fucili ad aria compressa o a Call of Duty. Il 99 per cento di costoro è scappato appena ha sentito l'artiglieria russa. Chi è rimasto è più esperto, ma, ripeto, questa guerra è qualcosa di diverso, non è possibile essere pronti. I veterani dell'Afghanistan si aspettavano unità come quelle degli Stati Uniti, dove la logistica e la struttura di comando sono macchine perfettamente oliate che consentono di condurre più guerre su vari fronti. Le unità ucraine sono un'altra cosa». 

Quindi, come combattete? 

«Attendiamo i bombardamenti sperando di non saltare in aria. Poi prepariamo l'imboscata e aspettiamo di vedere se i comandanti russi mandano a morte i loro soldati demotivati».  

Questa è una guerra per procura? 

«L'Italia non dovrebbe vederla come un'espansione della Nato a Est. È una guerra di difesa in cui gli ucraini stanno proteggendo la patria. La Russia ha bisogno delle risorse della regione del Donbass, che è ricca di gas neon vitali per la produzione di semiconduttori, attualmente dominata da Taiwan e Stati Uniti. Ecco perché ha invaso».

Estratto dell’articolo di Monica Perosino per “la Stampa” il 10 Giugno 2022.

[…] Dopo Azovstal, dopo le decine di testimonianze di civili e soldati, i militari ucraini conoscono il destino dei prigionieri di guerra, oggetto di scambio nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore condannati a morte come i tre "mercenari" stranieri, due britannici e un marocchino, che ieri, dopo un "processo" lampo e senza prove, sono stati condannati alla fucilazione. 

La corte suprema dell'autoproclamata Repubblica Popolare del Donetsk ha stabilito che Aiden Aslin, 28 anni, del Nottinghamshire, Shaun Pinner, 48 anni, del Bedfordshire, e Saaudun Brahim, cittadino marocchino, che combattevano per l'esercito ucraino, sono colpevoli di "terrorismo" per aver combattuto come mercenari. Il processo, che si è svolto a porte chiuse, era iniziato martedì.

Aslin e Pinner si sono difesi affermando di essere soldati dell'esercito regolare ucraino e rivendicando quindi il diritto di venire trattati come prigionieri di guerra in base a quanto prevede la Convenzione di Ginevra. 

Gli analisti hanno già parlato di "processo farsa" per "crimini inventati", finalizzato piuttosto a fare pressione sulla Gran Bretagna e a chiedere uno scambio di prigionieri con soldati russi accusati di crimini di guerra. È stato Pinner, ex soldato della Royal Anglian Regiment, in un videomessaggio alla televisione russa, ad annunciare la cattura sua e di Aslin a Mariupol mentre combatteva con i marines ucraini.

Il messaggio che Mosca ha inviato all'Occidente è chiaro: russi e filorussi non guardano in faccia nessuno. La titolare del Foreign Office, Liz Truss, ha espresso «totale condanna» per la sentenza, ribadendo che sono «prigionieri di guerra, imputati in un processo farsa che non ha assolutamente alcuna legittimità». 

Perché tali sono, anche se la propaganda putiniana finge di ignorarlo. Aslin, 28 anni, originario di Newark nel Nottinghamshire, si è trasferito in Ucraina, a Mykolaiv, nel 2018 e si è arruolato come marine nell'esercito ucraino. Anche Pinner, 48 anni, originario del Bedfordshire ed ex militare nell'esercito britannico, vive in Ucraina da quattro anni, è sposato con una cittadina ucraina e fa, anzi faceva, l'istruttore delle forze armate di Kiev. Gli altri combattenti che hanno resistito per settimane nell'acciaieria Azovstal, gli ucraini del battaglione Azov, 2.439 soldati, «saranno processati entro la fine dell'estate, ha comunicato il leader del Donetsk Denis Pushilin».

Antonello Guerrera per “la Repubblica” il 10 Giugno 2022. 

Il suo "nom de guerre" è "Rojhat Rojava", adottato quando combatteva tra Turchia e Siria per le milizie curde Ypg e contro l'Isis: «Una scelta di libertà, di tutto l'Occidente », aveva detto Aiden Aslin appena rientrato in patria inglese nel 2016. 

Allora, questo 28enne del Nottinghamshire, da ieri uno dei 3 combattenti volontari in Ucraina condannati a morte da una presunta "corte suprema" del Donbass filorusso, fu il primo foreign fighter a essere arrestato dalla polizia inglese dallo scoppio della guerra civile in Siria.

Alla fine venne assolto. E Aslin tornò a combattere sul fronte curdo. Dopo la battaglia in Medio Oriente contro l'Isis, Aiden Aslin, di Newark, è da diversi anni in Ucraina, che da tempo considera la sua patria di adozione. Precisamente dal 2018, quando, stando al racconto della sua famiglia, si è trasferito a Mykolaiv. Qui si sarebbe arruolato con la marina militare ucraina dopo essersi fidanzato con una donna del luogo. In passato, il giovane avrebbe lavorato come "caretaker" in una clinica in Inghilterra, per poi passare alle armi, e infine unirsi all'esercito ucraino contro i russi.

Il mondo ha conosciuto il volto giovane, pugnace e barbuto di Aslin a fine aprile scorso, quando i russi lo hanno catturato a Mariupol, dove si è arreso dopo settimane di assedio insieme a un altro connazionale e combattente volontario, Shaun Pinner. Da allora, i due sono stati mostrati e umiliati più volte in tv e in pubblico dai russi. La prima volta, Aslin e Pinner sono apparsi feriti, con lividi ed evidenti segni di percosse o torture: «Non avevamo più niente da mangiare né munizioni, non avevamo altra scelta se non arrenderci », dissero allora i due.

Shaun Pinner, invece, 48 anni, è un ex soldato britannico di Watford, molto rispettato dai superiori. In passato, ha prestato servizio anche in Irlanda del Nord e in Bosnia, sotto l'egida dell'Onu. Anche lui, come Aslin, quattro anni fa si è trasferito in Ucraina, dove si è unito ai militari locali, per addestrarli con la sua esperienza. Pinner ha una moglie ucraina e, secondo la famiglia dell'uomo, prima della guerra sarebbe stato in procinto di abbandonare l'esercito (dopo una permanenza di almeno tre anni) ed entrare nel settore umanitario.

Poi c'è il cittadino marocchino Saaudun Brahim, apparso anche lui dietro le sbarre con i due inglesi, tutti rasi a zero, in alcune foto apparse su Telegram. Di lui si sa poco, tanto che il governo di Rabat non si era nemmeno espresso fino a ieri sera. 

Di certo, Brahim dovrebbe avere circa 25 anni, si è unito ai militari ucraini lo scorso febbraio e si trovava a Kiev per studiare all'Istituto politecnico aerospaziale. Quando è stato arrestato, ha fatto sapere alla famiglia di essere "terrorizzato" dai militari di Mosca.

Per i tre, l'accusa è di essere "mercenari", il che negherebbe loro la protezione e i diritti della Convenzione di Ginevra per i prigionieri di guerra.

Una ricostruzione smentita con forza sia dalle loro famiglie che dal governo britannico, che considera quello di Mosca un barbaro processo farsa. Ma lo stesso esecutivo in passato si è spaccato sulla questione dei combattenti volontari britannici, tanto che la ministra degli Esteri Liz Truss a inizio invasione aveva detto: «Se i volontari britannici vogliono andare in Ucraina a combattere contro Putin ben venga», per poi essere censurata dallo stesso Foreign Office. Oggi in Ucraina, tra almeno centinaia di combattenti volontari britannici, c'è anche Ben Grant, 30 anni, ex militare, veterano della guerra in Afghanistan e figlio nientemeno della deputata conservatrice Helen.

(ANSA il 9 giugno 2022) – La corte suprema della sedicente Repubblica Popolare del Donetsk ha condannato a morte i "mercenari" britannici Aiden Aslin, 28 anni, del Nottinghamshire, Shaun Pinner, 48 anni, del Bedfordshire, e Saaudun Brahim, cittadino marocchino, che combattevano per l'esercito ucraino. Lo fanno sapere le agenzie russe. 

I militari sono accusati dai filorussi di essere "mercenari" ma le famiglie dei britannici, sostiene la Bbc, affermano che erano nell'esercito ucraino. Entrambi i britannici sono membri in servizio delle forze armate ucraine e il Regno Unito, spiega sempre Bbc, ha chiarito che sono da considerarsi come prigionieri di guerra che non dovrebbero essere perseguiti per aver preso parte alle ostilità. Quella pronunciata oggi dalla corte di Donetsk, non riconosciuta internazionalmente, è la sentenza di primo grado contro la quale gli imputati potranno fare appello.

(ANSA il 9 giugno 2022) - Le famiglie dei due ex militari britannici condannati a morte come mercenari in primo grado da una corte dell'autoproclamata Repubblica del Donetsk, denunciano il processo come uno show condotto "in violazione della Convenzione di Ginevra" sui prigionieri di guerra. Lo riporta il Guardian. 

Mentre l'ex ministro Tory Robert Jenrick, deputato del collegio di uno dei due, accusa "le autorità russe" di averne strumentalizzato "in modo completamente vergognoso" la cattura e di "oltraggio al diritto internazionale". Ma spera comunque che "in un prossimo futuro" essi possano essere oggetto di uno scambio di prigionieri.

Un tribunale filorusso ha condannato a morte due cittadini britannici e un marocchino. DAVIDE MARIA DE LUCA su Il Domani il 09 giugno 2022

La ministra degli Esteri britannica «processo farsa senza nessuna legittimità». I tre combattevano con le forze armate ucraine e sono stati catturati in Donbass. Il processo si è svolto in un tribunale della cosiddetta repubblica popolare di Donetsk

Tre combattenti stranieri arruolati nelle forze armate ucraine sono stati condannati a morte da un tribunale della cosiddetta Repubblica popolare di Donetsk, lo stato fantoccio creato dalla Russia nell’Ucraina orientale. Si tratta dei cittadini britannici Sean Pinner e Aiden Aslin e del cittadino marocchino Saadoun Brahim.

Dopo la sentenza, il governo britannico ha detto di essere «profondamente preoccupato». Un portavoce del primo ministro ha ricordato che «in base alla Convenzione di Ginevra i prigionieri di guerra hanno diritto all’immunità e non dovrebbero essere perseguiti per aver partecipato alle ostilità». Il portavoce ha poi aggiunto che il governo britannico «continuare ad agire insieme alle autorità ucraine per assicurarci il rilascio di qualsiasi cittadino britannico che ha servito nelle forze armate ucraine e che è detenuto come prigionieri di guerra». La ministra degli Esteri britannica Liz Truss ha definito il giudizio «una farsa senza nessuna legittimità».

Sono diversi i giornalisti ed esperti che in queste ore scrivono che la sentenza ha soprattutto un valore di scambio e pressione diplomatica e che, con ogni probabilità, non sarà messa in pratica.

I tre sono stati condannati per le loro attività di «mercenari» e per aver compiuto «attività terroristiche». Secondo l’accusa, avrebbero sparato sui civili e causato danni alle infrastrutture della Repubblica popolare.

Si tratta dei primi membri delle forze armate ucraine ad essere condannati per eventi relativi all’invasione iniziata il 24 febbraio. Tribunali ucraini hanno già condannato tre miliari russi per crimini di guerra a pene detentive di varia lunghezza.

Secondo il sito Dna-News, i tre imputati si sarebbero dichiarati colpevoli nel corso del processo, iniziato il 6 giugno. Ora hanno un mese di tempo per ricorrere in appello contro la sentenza, una decisione che tutti e tre avrebbero già preso.

DAVIDE MARIA DE LUCA. Giornalista politico ed economico, ha lavorato per otto anni al Post, con la Rai e con il sito di factchecking Pagella Politica.

Prigioniero britannico condannato a morte a Donetsk. Report Rai PUNTATA DEL 13/06/2022

Un tribunale militare della Repubblica popolare di Donetsk (DNR) ha condannato a morte un cittadino marocchino e due britannici, fatti prigionieri durante la battaglia di Mariupol. Sono accusati di essere mercenari stranieri, ma l'esecuzione è per ora sospesa: hanno un mese di tempo per ricorrere in appello. Il nostro inviato Manuele Bonaccorsi a fine aprile era stato il primo occidentale a intervistare uno di loro, Aiden Aslin, proprio nel suo carcere a Donetsk, dopo aver preteso che nessun militare della DNR fosse presente durante l'incontro. Durante l'intervista Aslin si è proclamato un mercenario, ma ha specificato di non essersi arruolato tramite una società privata e di essere pagato come un normale soldato di leva ucraino. Questa autoaccusa è proprio ciò che lo ha esposto alla condanna a morte (cancellata in Russia ma ancora presente nel codice della DNR) avvenuta dopo un processo di primo grado durato appena un giorno. A spingerlo in guerra, afferma Aslin, è stata la sua visione del mondo (il militare si autodefinisce "leftist" ed era già stato a combattere coi curdi sul fronte siriano) e una relazione sentimentale con una donna ucraina, che lo aveva portato a trasferirsi nel Paese prima dello scoppio del conflitto. L'obiettivo dell'intervista di Aslin, evidentemente voluta anche su pressione dei suoi carcerieri, era di chiedere uno scambio di prigionieri con Viktor Medvedčuk ex capo dell'opposizione a Zelensky in Ucraina, arrestato prima dello scoppio della guerra e attualmente detenuto a Kiev. Per questo Aslin si è rivolto direttamente al premier inglese Boris Johnson, chiedendogli di farsi portavoce dello scambio presso le autorità ucraine. Conclusa l'intervista Aslin ha chiesto di parlare con un giornalista della BBC, e l'inviato di Report gli ha passato il proprio telefono.

Antonello Guerrera per “la Repubblica” il 17 giugno 2022.

«Due combattenti volontari americani in Ucraina sono stati catturati dai russi». A sostenerlo è il Telegraph , che sottolinea come i due sarebbero i primi statunitensi a finire nelle mani dell'esercito di Mosca. 

Secondo il quotidiano britannico, che ne pubblica anche le foto, i due militari si chiamerebbero Robert Drueke, 39 anni, e Andy Huynh, 27. Sarebbero ex marine, apparentemente catturati a nord-est della città ucraina di Kharkiv, nel nord del paese non lontano dal Donbass a pochi chilometri dove da settimane si combatte una battaglia decisiva tra ucraini e russi. Kharkiv è stata di recente riconquistata dai soldati di Kiev, ma ora è di nuovo sotto attacco dei nemici. 

Il comandante del battaglione dei due americani, che ha parlato in maniera anonima al Telegraph , ha raccontato quanto accaduto la settimana scorsa. «C'è stato un problema di intelligence. Ci avevano detto che l'area era stata liberata, invece siamo finiti presto sotto il fuoco dei russi, arrivati con due tank T-72, diversi veicoli armati BPM-3 e 100 soldati di fanteria».

Drueke e Huynh sono andati dispersi durante la dura battaglia esplosa. I superiori dell'esercito ucraino sono convinti che siano in mano dei russi, come sarebbe confermato anche da alcuni messaggi su canali Telegram legati a Mosca. «Altrimenti li avremmo ritrovati», sostiene l'anonimo comandante. 

Drueke è originario di Tuscaloosa, Alabama, ha combattuto in Iraq per l'esercito americano prima di lasciare i marines. Secondo sua madre Lois, soffrirebbe di disturbi mentali post guerra. Poi però, avrebbe deciso di andare a combattere per Kiev, anche perché non avrebbe trovato un lavoro decente negli Stati Uniti. «L'ambasciata mi ha detto che lo stanno cercando e che sarebbe vivo», ha dichiarato la donna. 

Huynh, pure lui ex soldato americano, è invece nato in California ma avrebbe risieduto negli ultimi in Alabama, nella Tennessee Valley. La moglie Joy Black è stata avvertita dai commilitoni: «Non hanno più trovato mio marito dopo l'assalto dei russi, e le ricerche dei droni non hanno dato riscontri. Andy non mi aveva detto niente di questa operazione, probabilmente per non spaventarmi. Sin dall'inizio dell'invasione di Mosca, era tormentato dall'idea di andare a combattere in Ucraina».

Continua la donna al quotidiano inglese: «All'inizio non l'ho preso troppo sul serio. Ma quando ha visto tutti quei giovani ucraini costretti a prendere le armi appena maggiorenni, ha deciso di partire e dare una mano. Ho provato a dissuaderlo ma lui: "Scusami, devo davvero andare"». 

La notizia arriva a pochi giorni dall'annuncio della condanna a morte di due combattenti volontari britannici catturati dai russi all'inizio della guerra in Ucraina e un altro giovane cittadino marocchino residente a Kiev, Saaudun Brahim. 

Una decisione da parte della fittizia Corte Suprema dell'oblast di Donetsk, nell'est della Ucraina occupato da Mosca. Un caso che ha fatto infuriare il Regno Unito e il governo di Boris Johnson, che hanno sempre chiesto che a Aiden Aslin, 28 anni del Nottinghamshire, e Shaun Pinner, 48 e originario del Bedfordshire, venisse applicata la convenzione di Ginevra, e dunque l'immunità per i prigionieri di guerra. Invece, per tutti l'accusa è quella di essere "mercenari" contro l'esercito russo.

John Kirby, del National Security Council della Casa Bianca, non ha confermato il caso di Drueke e Huynh. Il Dipartimento di Stato americano ha dichiarato di essere a conoscenza delle voci a riguardo ma si è astenuto da ulteriori commenti per "ragioni di privacy". Poi ha ribadito: «Esortiamo i cittadini americani a non andare a combattere in Ucraina, perché sarebbero nel mirino dei soldati russi, e coloro già nel Paese di partire immediatamente in maniera sicura».

Luigi Guelpa per “il Giornale” il 14 luglio 2022. 

«Quando si tratta di prigionieri dell'esercito nemico si può sempre aprire una trattativa per uno scambio, ma per i mercenari non esiste altra strada che la condanna a morte». Ricercato dalle autorità ucraine per separatismo, alto tradimento e terrorismo, il capo dell'autoproclamata repubblica del Donetsk, Denis Pushilin, si esprime così sulla sorte dei due combattenti britannici, Shaun Pinner e Aiden Aslin, e del marocchino Saaudun Brahin, catturati dai filorussi e condannati a morte dal tribunale locale lo scorso 9 giugno. 

Si attende a questo punto la sentenza della Corte suprema dopo l'appello presentato dai tre miliziani, anche se Pushilin sembra quasi conoscere in anticipo il verdetto: «Saranno fucilati da un plotone d'esecuzione».

Stessa sorte che potrebbe toccare al cittadino americano Suedi Murekezi, 35 anni, arrestato il mese scorso a Kherson, città portuale occupata dalla Russia nel sud dell'Ucraina, dove viveva da circa tre anni. Della sua detenzione ha parlato il Guardian, intervistando il fratello Sele: «Siamo preoccupati per il suo stato di salute. Si trova in pericolo, mi auguro che le autorità americane possano intervenire per fermare un destino che purtroppo sembra già segnato». 

Intanto nel Donbass la guerra procede incessante. Secondo gli analisti dell'MI6 britannico la Russia riuscirà a conquistare diverse piccole città della regione orientale nella prossima settimana, tra cui Siversk e Dolyna, ma le aree urbane di Slovyansk e Kramatorsk rimarranno gli obiettivi principali per questa fase dell'operazione.

Non si esclude che Putin possa chiedere un sostegno più massiccio da parte della sua aviazione per facilitare l'avanzata via terra delle milizie e chiudere la partita entro la fine di luglio. Soprattutto dopo che un sondaggio commissionato dal sito indipendente russo Meduza vede il 30 per cento degli intervistati favorevoli a un immediato cessate il fuoco. 

Zelensky dal canto suo parla di «vittoria ucraina», ma l'impressione che i soldati di Kiev siano sempre più in difficoltà è tangibile. Dall'inizio dell'invasione su vasta scala, Mosca ha lanciato quasi tremila missili contro l'Ucraina. 

Lo ha affermato lo stesso Zelensky durante un discorso ai partecipanti alla conferenza «Asian Leadership» di Seul. Nel 140° giorno di combattimenti, l'esercito ucraino ha respinto un assalto russo contro gli insediamenti di Dovhenke e Dolyna, in direzione di Sloviansk, nella regione di Donetsk.

Gli uomini del comandante Viktor Muzenko hanno anche fatto saltare in aria un deposito di armi a Nova Kakhovka, controllato dagli invasori, a circa 55 chilometri a est della città di Kherson. I soldati di Mosca hanno risposto con attacchi missilistici su varie località. Sono state bombardate le città di Kharkiv, dove un civile è morto e altri 5 sono rimasti feriti, e Bakhmut, oltre a numerosi insediamenti nell'est del Paese. Colpito per 60 volte in 24 ore l'Oblast nord-orientale di Sumy. 

Durante la notte il corpo di un'altra vittima è stato recuperato dai soccorritori tra le macerie a Chasiv Yar, nel Donetsk, dove il 9 luglio un attacco russo aveva sbriciolato un edificio residenziale. Il bilancio delle vittime è salito a 47.

I russi hanno lanciato tre missili contro Kostiantynivka: una persona è stata ferita. Un edificio industriale e una casa privata sono stati danneggiati, le finestre rotte in diversi edifici residenziali vicini. Le forze d'invasione hanno inoltre colpito con razzi un'area vicina a un asilo nido e continuato a bombardare la comunità territoriale di Zvanivka, danneggiando parecchie case. Martellata ieri mattina anche la zona industriale e la fascia forestale di Kramatorsk nel Donetsk. 

L'esercito di Mosca sfonda nel Donbass, ma non rinuncia al sud. È di 5 morti il bilancio parziale di un raid missilistico a Zaporizhzhia, non molto distante dall'impianto nucleare.

Gli invasori hanno lanciato almeno trenta missili in diverse località della regione di Mykolayiv uccidendo sette civili e provocando il danneggiamento di un ospedale e di alcuni edifici residenziali. Nel Mar Nero il nemico continua a tenere in stato d'allerta 4 navi portamissili Kalibr con una raffica di 24 ordigni pronti per attacchi missilistici e continua a controllare le comunicazioni marine nel mare di Azov. 

Attività militari si segnalano anche nell'Oblast di Kiev e nell'area centrale dell'Ucraina. Le truppe russe hanno lanciato due ordigni a Bila Cerkva e bombardato il distretto di Nikopol due volte durante la notte e una terza nel tardo pomeriggio. Oltre alla stessa Nikopol, altre due comunità sono state attaccate: Chervonogrigorivska e Myrivska. Non risultano al momento civili coinvolti, ma in tutta l'I filorussarea manca la corrente elettrica.

Ucraina, americani catturati dai russi? Spunta la foto con le mani legate. Libero Quotidiano il 17 giugno 2022.

Una foto che toglie ogni dubbio, quella che ritrae i due americani catturati dai russi in Ucraina. Trasmesso dalla Cnn, lo scatto mostrerebbe i due con le mani legate dietro la schiena nel retro di un camion militare di Mosca. Nel tentativo di fare chiarezza su quanto sarebbe accaduto, il dipartimento di Stato americano sta lavorando per trovare conferme sulla veridicità della foto diffusa ieri su Telegram da un blogger russo, Timofey Vasilyev. L'uomo ha voluto mostrare la prova dell'avvenuta cattura da parte delle forze russe a nord di Kharkiv la scorsa settimana. 

A dichiararlo alla Cnn è stata la madre di uno dei due, Bunny Druecke. I prigionieri sarebbero Alexander John-Robert Drueke, 39 anni, di Tuscaloosa, Alabama, e Andy Tai Ngoc Huynh, 27 anni, di Hartselle, Alabama. "Hanno detto che c'è una fotografia che sta circolando sui media russi. E stanno lavorando a fondo per verificarlo", ha subito commentato Drueke per poi aggiungere che "siamo molto fiduciosi".  

Nel frattempo c'è un terzo americano sparito da giorni. Di Grady Kurpasi, veterano dei marine, non si hanno più notizie dallo scorso 23/24 aprile dopo che aveva deciso di unirsi agli ucraini. Ci sono notizie di un altro americano disperso. Non posso discutere i dettagli di questo caso", ha dichiarato il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Ned Price durante una conferenza stampa. Al momento sono stati contattati i parenti dei tre cittadini scomparsi mentre l'amministrazione Biden non ha ancora parlato con il governo russo della loro scomparsa, perché non dispone di prove che indichino che i cittadini siano sotto la loro custodia. A cambiare la situazione però ci sarebbe l'ultima foto diffusa.

Da il corriere.it il 18 giugno 2022.  

È vivo l'ex sergente dell'esercito Usa Alexander Drueke, che sarebbe prigioniero dei russi dopo essere scomparso in Ucraina. In un video su Telegram trasmesso dalla tv russa il soldato si rivolge alla mamma: "Voglio solo farti sapere che sono vivo e che spero di tornare a casa al più presto". Dal militare anche un saluto al suo cane Diesel.

Da "Il Messaggero" il 18 giugno 2022.

Un terzo americano, il veterano dei Marine Grady Kurpasi, è sparito in Ucraina. L'ultima volta che si sono avute sue notizie è stato fra il 23 e 24 aprile. Kurpasi è stato per venti anni nei marines e aveva deciso di andare volontario a fianco dei soldati di Kiev. A confermare la notizia della sua scomparsa è stata la moglie Heeson Kim. 

È stato ancora una volta un amico del combattente Usa, George Heath, a lanciare l'allarme e a spiegare che da quasi due mesi non si hanno più sue notizie. «Voleva mettere a disposizione la sua esperienza per aiutare il popolo ucraino. Non aveva intenzione di combattere - ha dichiarato Heath -, ma solo di dare il suo contributo a un popolo che sta soffrendo».

Il portavoce del Dipartimento di Stato Usa, Ned Price, ha spiegato che l'uomo risulta «disperso dalle ultime settimane», non ha fornito ufficialmente il suo nome, ma ha detto che è in contatto con la famiglia. 

«Kurpasi è arrivato in Ucraina il 7 marzo e ha raggiunto Kiev il 21», ha detto ancora Heath. Il marine e altri membri della legione straniera sono stati incaricati di presidiare un posto di osservazione militare alla fine di aprile vicino a Kherson, più o meno nel periodo in cui Kurpasi ha smesso di comunicare con la moglie e gli amici negli Stati Uniti. 

L'APPELLO La sua scomparsa si va ad aggiungere a quella di altri due ex soldati americani, volontari nell'esercito ucraino, dei quali, però, si sa, che sono stati catturati da forze russe durante una battaglia a est di Kharkiv la settimana scorsa. Anche il presidente Joe Biden è stato messo al corrente del sequestro degli americani e ha ribadito il suo appello ai cittadini statunitensi a non stare in quel Paese a causa della guerra in corso.

I due uomini sono Alexander Drueke, 39 anni, e Andy Huynh, 27. Se la notizia sarà confermata, si tratterebbe della prima cattura di soldati di nazionalità americana in Ucraina da parte russa, in quello che potrebbe diventare un caso diplomatico con richieste di importanti concessioni agli americani in cambio della loro liberazione. 

E, infatti, da qualche giorno gli Stati Uniti stanno esortando Mosca a trattare i combattenti americani come prigionieri di guerra e a garantire quindi un loro trattamento umano. Anche se la Russia ha detto di «non sapere nulla» dei due volontari scomparsi. E ieri un blogger russo ha pubblicato su Telegram una fotografia che ritrae i due ex marine americani sul cassone di un veicolo con le mani dietro la schiena come se fossero legati. 

Secondo la testimonianza di un compagno dei due americani, Drueke e Huynh sono stati catturati la scorsa settimana dopo che la loro unità di dieci uomini si è trovata circondata da una importante forza di russi. L'unità si era diretta verso una città che doveva essere libera ma in realtà era sotto attacco dei russi. I due si uniscono a un numero crescente di volontari militari occidentali catturati dalle forze russe, inclusi almeno due britannici.

LE STORIE Drueke è di Tuscaloosa in Alabama e aveva precedentemente prestato servizio con l'esercito americano in Iraq. Sua madre, Lois, 68 anni, ha detto che aveva lottato per mantenere un lavoro da quando era tornato dal servizio militare a causa di un disturbo da stress post-traumatico. 

«L'ambasciata degli Stati Uniti mi ha assicurato che stanno facendo tutto il possibile per trovarlo e che lo stanno cercando vivo, non morto. Sto facendo del mio meglio per non cadere a pezzi, rimarrò forte. Sono molto fiduciosa che lo terranno in cambio di prigionieri di guerra russi», le sue parole. 

La cattura degli statunitensi si prevede che sarà diplomaticamente delicata: il Cremlino potrebbe cercare di usarla come prova che gli Stati Uniti sono direttamente coinvolti nella guerra.

Marco Bruna per corriere.it il 9 giugno 2022.

La Corte suprema dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk ha condannato a morte, in primo grado, tre uomini che hanno combattuto con la legione straniera in Ucraina: sono i britannici Shaun Pinner e Aiden Aslin e il marocchino Saadoun Brahim, accusati di avere partecipato al conflitto come «mercenari» delle formazioni armate ucraine. 

La notizia è stata riportata dall’agenzia di stampa russa Tass. Secondo le leggi della Repubblica popolare, i condannati saranno fucilati. Sulla tv russa si è acceso il dibattito sulle modalità dell’esecuzione da riservare ai tre condannati: «Gli si potrebbe sparare, potrebbero essere impiccati, fatti a pezzi o rilasciati dietro riscatto», discutono gli ospiti di Vladimir Solovyov. 

Le famiglie dei due ex militari britannici denunciano il processo come uno show condotto «in violazione della Convenzione di Ginevra» sui prigionieri di guerra, scrive il Guardian. L’ex ministro Tory Robert Jenrick, accusa «le autorità russe» di averne strumentalizzato «in modo completamente vergognoso» la cattura e di «oltraggio al diritto internazionale». Ma spera comunque che «in un prossimo futuro» essi possano essere oggetto di uno scambio di prigionieri. L’agenzia russa Tass annuncia che gli uomini possono presentare appello entro un mese.

Arriva anche la replica delle autorità britanniche: «Abbiamo detto continuamente che i prigionieri di guerra non dovrebbero essere sfruttati per scopi politici», ha dichiarato il portavoce del premier Boris Johnson in una nota. «Ai sensi della Convenzione di Ginevra, i prigionieri di guerra hanno diritto all’immunità dei combattenti e non dovrebbero essere perseguiti per partecipazione alle ostilità. Continueremo a lavorare con le autorità ucraine per cercare di ottenere il rilascio di qualsiasi cittadino britannico che prestava servizio nelle forze armate ucraine». 

La ministra degli Esteri del governo di Boris Johnson, Liz Truss, ha espresso «totale condanna per la sentenza di morte inflitta ai due ex militari britannici additati come mercenari: sono prigionieri di guerra, imputati in un processo farsa che non ha assolutamente alcuna legittimità. I miei pensieri sono per loro e le loro famiglie, continueremo a fare tutto ciò che possiamo per sostenerli».

Luigi Ippolito per corriere.it il 2 luglio 2022.

Ci sono altri due britannici che rischiano la pena di morte nel Donbass dopo essere stati arrestati dalle milizie filo-russe e accusati di combattere come mercenari a fianco delle forze ucraine. Ma in almeno uno dei due casi si tratta di una menzogna palese: Dylan Healy, uno chef di 22 anni, è infatti un volontario della cooperazione che è stato fermato ad aprile a un posto di blocco russo, non lontano dalla città meridionale di Zaporizhzhia, mentre stava aiutando a evacuare una donna ucraina i suoi due bambini. 

Dominyk Byrne, direttore delle operazioni di Presidium Network, l’organizzazione per la quale Dylan lavorava, ha fatto sapere che «abbiamo fornito prove al governo britannico e alla famiglia di Dylan che chiaramente dimostrano che lui era un volontario umanitario in Ucraina al momento della sua cattura.

Dylan non era aggregato a nessuna unità militare o paramilitare e in nessun momento ha partecipato ad azioni militari. Le accuse mosse contro di lui dalla Repubblica di Donetsk (i separatisti del Donbass) non sono sostenute da nessuna prova e dunque possono essere spiegate solo come azioni politicamente motivate da parte del governo russo».

Diversa la posizione dell’altro britannico, Andrew Hill: lui era un combattente che si era unito alle forze ucraine ed è stato catturato ad aprile nella regione sud-occidentale di Mykolaiv. Già allora il ministero della Difesa di Mosca aveva reso pubblico un video in cui truppe russe interrogavano un uomo ferito che si era identificato come Andrew Hill e che parlava con un accento britannico.

Secondo la Tass, l’agenzia di stampa russa, i due uomini sono detenuti in attesa del processo e al momento «non intendono testimoniare né cooperare». Già il mese scorso un tribunale dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk aveva condannato a morte mediante fucilazione due britannici, Shaun Pinner e Aiden Aslin, assieme al marocchino Brahim Saadoun, con l’accusa di essere mercenari. Per Londra si tratta di una violazione della Convezione di Ginevra in quanto questi due britannici sono anche cittadini ucraini regolarmente aggregati alle forze di Kiev e non mercenari stranieri.

«Condanniamo lo sfruttamento di prigionieri di guerra e civili per scopi politici», ha detto una portavoce del Foreign Office. Il governo britannico si rifiuta di trattare direttamente con le cosiddette autorità del Donbass, perché implicherebbe riconoscerle, e vuole evitare che la questione dei propri cittadini catturati diventi un affare bilaterale con la Russia: piuttosto, si affida a Kiev per una mediazione nella speranza di uno scambio di prigionieri con i russi.

Ma è evidente che da Mosca stanno esercitando una pressione particolare su Londra, che è in prima fila in Europa nel fornire assistenza militare all’Ucraina: il premier Boris Johnson ha di recente esortato gli alleati a non cedere alla tentazione di una «cattiva pace» che finirebbe per premiare l’aggressione russa.

Marco Ventura per “Il Messaggero” il 19 aprile 2022.

Compaiono alla tv di Stato Russia 24 i due prigionieri britannici Sean Pinner e Aiden Aslin, e chiedono al premier Boris Johnson di favorire lo scambio con Viktor Medvedchuk, oligarca amico di Putin e presidente del partito filo-russo Scelta Ucraina, detenuto dagli ucraini. 

Lo stesso chiede, sempre in tv a Mosca, la moglie di quest' ultimo, Oksana Marchenko. Nei giorni scorsi, Medvedchuk prigioniero aveva invece sollecitato Mosca a scambiarlo con i militari e residenti di Mariupol assediata. Inevitabile che prima o poi qualche occidentale cadesse nelle mani dei russi.

Nella brigata internazionale e tra i volontari delle diverse formazioni, mercenari o solo militanti per la libertà dell'Ucraina, vi sarebbero canadesi, olandesi, estoni, britannici, francesi, italiani, svedesi, polacchi, americani... 

«Signor Boris Johnson, sono Sean Pinner», esordisce uno dei britannici. «Sono successe molte cose nelle ultime 5-6 settimane, non sono aggiornato ma per quel che ne so Medvedchuk è in custodia. Aiden Aslin e io vorremmo essere scambiati con lui. Grati per l'aiuto».

In Ucraina opera un arcipelago di decide e decine di migliaia di paramilitari da una parte e dell'altra della barricata: mercenari e volontari russi e occidentali, nazionalisti, estremisti religiosi, neonazisti, cetnici, comunisti, cosacchi, ex minatori militarmente inquadrati, ceceni pro-Mosca e altri pro-Ucraina, osseti, georgiani, siriani, gruppi criminali, terroristici... La paga va dai mille ai 2.500 euro.

Per il direttore della Scuola di giornalismo dell'Università Cattolica di Milano, Marco Lombardi, grande esperto di guerra ibrida, «se anche Putin e Zelensky dovessero stringere oggi un accordo per il cessate il fuoco, è dubbio che tutti questi miliziani smobilitino e accettino di non esser più pagati, difficile. Avremo anni e anni di combattimenti sul campo in Europa, indipendentemente dagli accordi tra Ucraina e Russia».

Il problema è duplice. «Nell'immediato, nessuna di queste formazioni, per entrambe le parti, risponde alle poche regole di guerra sopravvissute a decenni di ibridazione dei conflitti». Per questo sono le principali indiziate dei crimini.

«Nel futuro perché è incerto che riconoscano una catena di comando che possa imporgli di cedere le armi». Con l'eccezione, forse, di gruppi ormai inseriti negli eserciti regolari.

Il reggimento d'Azov, una milizia originariamente neonazista impegnata nel Donbass contro i ribelli russi, che ostentava lo stemma della divisione delle Waffen SS Das Reich e ha dato il pretesto a Putin di definire neonazista l'intera Ucraina, negli anni è stato via via epurato degli elementi più estremisti e attualmente conta fino a 4mila soldati d'élite che operano a Mariupol e Kharkiv, divisi in un battaglione di ricognizione e un altro di ricognizione e sabotaggio.

Ultranazionalisti ucraini di destra sono i partigiani di Pravyj Sektor, formazione nata nel novembre 2013 con le proteste di Euromaidan. 

La brigata internazionale (o Legione straniera) conta circa 12mila uomini. C'è poi una Legione georgiana a cui ha aderito un ex ministro della Difesa georgiano.

A favore dell'Ucraina si battono perfino due battaglioni ceceni, Dzhokhar Dudaev e Sheikh Mansur, nemici dei ceceni di Kadyrov che invece sostengono i russi e sono il perno della sicurezza personale di Putin.

Il comandante del battaglione Sheikh Mansur, Muslim Cheberloevsky, filo-ucraino, ha sulla testa una taglia di Kadyrov da 500mila dollari e tra le sue fila ha ingusci, balcari, azeri, daghestani, cabardini, circassi, osseti... 

La sua bandiera è quella anti-russa della Repubblica cecena di Ichkeria. Sul fronte opposto, oltre ai ceceni di Kadyrov militano decine di gruppi paramilitari ultranazionalisti russi e religiosi ortodossi, e i contractor del gruppo neonazista Wagner, finanziati dallo chef di Putin, Prigozhin, amico dello Zar e proprietario del suo catering.

Il sermone del Patriarca ortodosso Kirill di Mosca e di tutte le Russie, pronunciato lo scorso 6 marzo nella Cattedrale di Cristo Salvatore, attribuisce un valore fisico e metafisico alla guerra di Putin. Molte milizie sono nate dal Movimento Pamyat, cristiano-ortodosso, dal Fronte patriottico nazionale all'Esercito ortodosso russo, al Movimento imperiale russo con migliaia di volontari, alleato del Partito nazionale e socialista siriano che ha combattuto pure in Libia, al Battaglione Sparta attivo a Donetsk, fondato da Arsen Pavlov detto Motorola, ucciso nel 2016, e il cui capo carismatico, Vladimir Zhoga, è morto lo scorso 5 marzo nella battaglia di Volnovakha (Putin lo ha insignito del titolo di Eroe della Federazione russa). Il suo posto è stato preso dal padre, Artem. Il simbolo è la bandiera imperiale russa nero-giallo-bianca.

Il Battaglione Svarozich schierava, invece, 1.200 adoratori pagani del dio slavo Svarog assorbiti poi dalla Brigata Vostok, che arruola pure italiani, sia comunisti sia di estrema destra. 

Pro-Putin i Cosacchi registrati della Federazione russa (che in patria sono guardie forestali), il Battaglione Alba dei bolscevichi, i bulgari di Alba ortodossa, gli spagnoli della Brigata Carlos Palomino, i cetnici del Distaccamento Jovan Sevic, gli ungheresi ultranazionalisti della Legione di Santo Stefano, oltre a più di 16mila volontari arruolati in 14 centri di reclutamento siriani, e a quelli ingaggiati in Libia e Centro Africa.

Marco Ventura per "il Messaggero" il 19 giugno 2022.

«Sono italiano, il mio nome di battaglia è Spartaco, sono arrivato nel 2014 e sono riuscito a entrare nel battaglione Vostok». Spartaco al secolo è Massimiliano Cavalleri da Palazzolo, Brescia, ha 48 anni e da 8 combatte con la milizia filo-russa del Donbass contro l'esercito ucraino. È uno dei foreign fighters che compaiono nel documentario di un canale youtube che racconta la guerra dalla parte russa del fronte.

Massimiliano-Spartaco, che si presenta solo col nome di battaglia e ha il volto coperto, si aggira tra i banchi di scuola di una classe devastata dai bombardamenti e spiega che a bombardare sono stati i «battaglioni nazionalisti ucraini» che dal 2014 «hanno - dice - maltrattato i civili usandoli come scudi umani, dicendogli di restare nelle cantine senza muoversi, senz'acqua e senza cibo». Indica sui muri i segni dei proiettili, nel pavimento un buco creata da una bomba, neanche lui capisce da dove piombata: «Forse dalla finestra, non saprei». E aggiunge: «Quando finirà la guerra, ricostruiremo tutto».

Nei sottotitoli si legge che «Spartaco si è unito alla milizia del Donbass per combattere il neo-nazismo in Ucraina, in Italia dovrà affrontare un processo ma non vuole lasciare il Donbass, qui ha trovato casa». 

SCELTA DI VITA Casa e famiglia. Nel 2019 la madre è andata a trovarlo per il suo matrimonio ed è l'ultima volta che l'ha visto, lo stesso anno la Procura di Genova lo ha accusato di terrorismo nell'àmbito di un'inchiesta sull'arruolamento di elementi di estrema destra nel Donbass. In un'intercettazione telefonica dei carabinieri, Cavalleri avrebbe detto di essere considerato a Kiev «un terrorista, ho una taglia sulla testa». E sul ritorno in Italia, di cui dice di sentire la mancanza: «Se torno indietro mi viene voglia di prendere la pistola e cominciare a sparare a destra e a sinistra adesso c'ho anche il grilletto facile».

«Ha sempre avuto la passione per il combattimento», racconta la madre al Giornale di Brescia all'inizio di aprile. «Ha fatto il paracadutista e il volontario degli alpini nel Kosovo, voleva entrare nell'esercito ma non aveva più l'età, ed è partito volontario al fianco delle milizie russe». Nel 2017 il suo nome era stato censito dall'organizzazione ucraina Prava Sprava insieme a quello di altri combattenti italiani, spiccava la citazione da una sua intervista: «Quando sparo a un soldato ucraino, immagino di colpire uno dei nostri politici a Bruxelles». 

Assieme a lui Gabriele Carugati di Cairate (Varese), nome di battaglia Arkhangel, pure lui nel battaglione Vostok guidato da Alexander Khovakosky, gruppo nato per volere del GRU, la direzione dell'Intelligence russa, per combattere originariamente in Cecenia. Adesso è composto da un migliaio di miliziani delle forze speciali di Donetsk, per l'80 per cento dell'Ucraina orientale, ma aperto a stranieri dalla Colombia agli Stati Uniti.

CAPO ULTRÀ Nel Donbass si troverebbe Andrea Palmeri, estrema destra, ultras della Lucchese ed ex capo dei Bulldog. Per lui i magistrati genovesi hanno chiesto 5 anni di carcere, l'ultima apparizione da un ospedale del Lugansk. Ma accanto al filone neo-fascista ce n'è uno comunista. Rossi e neri fianco a fianco. Comunista era Edy Ongaro, ucciso in questa guerra e commemorato dal Collettivo Stella Rossa del Veneziano. E l'altro ieri si è speso in un'intervista a favore dei separatisti russi Vincenzo Bellantoni, comunista senza tessera, censito da Prava Sprava nel suo dossier come membro della Carovana antifascista con quelli che Bellantoni definisce «i compagni della Banda Bassotti».

Sul fronte opposto, il ministero della Difesa russo ha appena pubblicato un censimento dei mercenari stranieri in Ucraina, pro-Kiev. In tutto, dall'inizio della guerra, ne sarebbero arrivati quasi 5mila (4866) da 64 Paesi, 1250 già eliminati e 1101 ripartiti, ve ne sarebbero 2515 in armi. Quanto agli italiani volontari contro i russi, Mosca ne ha contati finora 71, ma 21 sarebbero stati uccisi e 26 avrebbero lasciato l'Ucraina. Ne resterebbero 24 operativi. 

Per loro, si pone il problema del trattamento che riceverebbero in caso di cattura. La linea di Mosca è che non possano essere considerati militari regolari, non beneficerebbero della protezione garantita dalle Convenzioni di Ginevra sui prigionieri di guerra.

Foreign fighters, eroi oppure mercenari? Di certo illegali…In Italia chiunque arruoli o armi cittadini per combattere all’estero senza approvazione del governo è punito con la reclusione da 4 a 15 anni. Rocco Vazzana su Il Dubbio il 22 marzo 2022.

Costruire un identikit preciso del potenziale foreign fighter italiano pronto ad arruolarsi nella legione straniera ucraina è praticamente impossibile. Sono ancora troppo poche le informazioni verificabili in merito per poter tracciare un primo bilancio. Fonti di parte parlano di circa 20 mila soldati stranieri, provenienti da 52 paesi diversi, Italia compresa. O almeno così ha dichiarato al Corriere della sera Damien Magrou, caporale dell’esercito ucraino che si occupa proprio dell’arruolamento.

«Abbiamo alcuni italiani. Non ho in mente l’intero elenco. Ma non stiamo parlando di uno dei gruppi più grandi». Già, ma chi sono questi nostri connazionali pronti a immolarsi per la causa ucraina? «Sappiamo chi erano quelli partiti nel 2014 verso il Donbass», spiega Francesco Marone, docente di Relazioni internazionali presso l’Università di Pavia e presso l’Università della Valle d’Aosta e ricercatore associato dell’Ispi. Otto anni fa almeno una sessantina di connazionali partì per combattere su entrambi i fronti: una parte al fianco di Kiev, un’altra con i separatisti filo- russi. «Sicuramente alcuni di questi foreign fighters sono ancora sul territorio ucraino», dice Marone.

«Qualcuno è andato per ragioni economiche- professionali, non tanto per lo stipendio (300- 400 euro al mese) ma per la possibilità di accumulare esperienza da rivendere poi come contractors in altri teatri di guerra. Molti di loro lavoravano già nel campo della sicurezza e in quel contesto hanno avuto l’opportunità di stringere nuove relazioni», argomenta il docente di Relazioni internazionali, che poi prosegue: «Un’altra parte dei foreign fighters, invece, era mossa certamente da motivazioni squisitamente politiche: esponenti dell’estrema destra e neofascisti, soprattutto, andati a combattere su entrambi i fronti».

Tra loro, il più “famoso” è senza dubbio Andrea Palmeri, detto il “generalissimo”, capo ultrà dei Bulldog, gruppo di estrema destra della Lucchese, accusato di aver arruolato e addestrato combattenti filoputiniani da inviare in Donbass. E filo-russi sono anche i pochi militanti dell’ultrasinistra partiti al fianco dei separatisti nel 2014, foreign fighters che, ha differenza dei neofascisti, hanno scelto compattamente un solo fronte: quello di Mosca.

Mercenari, neofascisti o nostalgici dell’Urss poco conta. Per la legge italiana sono tutti perseguibili. Come già successo ad altri italiani arruolati al fianco dell’Isis o, all’opposto, contro il Califfato, insieme alle brigate curde. Il corpus giuridico è vasto: l’articolo 18 della Costituzione vieta espressamente la formazione di associazioni che perseguono scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare; la legge 210 del 1995 punisce tanto il mercenario quanto il reclutatore con pene fino a 14 anni; anche l’articolo 270 quater del Codice penale colpisce l’arruolamento; e, infine, l’articolo 288 del Codice che recita: «Chiunque nel territorio dello Stato e senza approvazione del governo arruola o arma cittadini, perché militino al servizio o a favore dello straniero, è punito con la reclusione da quattro a quindici anni».

Chiunque arruoli senza l’autorizzazione del governo italiano è dunque perseguibile. Autorità ucraine comprese, che in queste settimane, su impulso del presidente Volodymyr Zelensky, hanno lanciato una campagna internazionale per la creazione di una legione straniera per «difendere la libertà e la democrazia europea». Devono essersi resi conto del problema al Consolato ucraino di Milano, costretto due giorni fa a rimuovere l’appello all’arruolamento dai propri canali social. E non è più possibile aderire dall’Italia alla Legione internazionale nemmeno dal sito fightforua.org, lo spazio web creato appositamente per convogliare i volontari da tutto il mondo. Per aderire all’appello di Zelensky basta cliccare sul nome del proprio Paese, chiamare il numero di telefono indicato e seguire tutte le procedure illustrate passo passo dalle autorità ucraine. È possibile arruolarsi persino dal Vaticano (c’è un numero da contattare), ma l’Italia è stata rimossa dall’elenco. E il motivo è semplice: è illegale.

Domenico Quirico per “la Stampa” il 15 marzo 2022.

La crudeltà non ha bisogno di grandi capi. Le bastano aiutanti volenterosi, esecutori di mediocre livello, oppressori dall'identikit quasi impiegatizio. Per questo Ramzan Kadyrov, «il proprietario» della Cecenia come si fa chiamare, prima o poi doveva arrivare con i suoi miliziani a Kiev. Perché qui, per questa guerra sporchissima, per chiuderla con una vittoria, a Putin occorre una violenza abituale, che avanza ripetitiva, indifferente, statica. Quella in cui Ramzan ha dato prova di essere maestro.

Occorre qualcuno che non abbia bisogno di ricorrere alla violenza eruttiva, emozionale e quindi intermittente perché procede a folate e poi si placa. Per «pacificare» Kiev come è stata pacificata Grozny le emozioni che si impadroniscono dell'uomo e lo tengono in pugno sono inutili, sono un fardello. Occorre qualcuno che abbia già sperimentato la crudeltà e sappia in questo andare al di là di sé stesso, ma senza pensarci, come avviando un macchinario. 

E che sappia conservare dentro di sé questa condizione tremenda di euforia nella durata, nel tempo. Gente che può decidere un delitto mangiando tranquillante un piatto di «manti», i deliziosi ravioli ceceni; per cui la vita delle persone - perfino quelle del proprio clan - non vale un copeco, li si può disperdere come la cenere al vento. Se sei ceceno, ribelle o lealista, hai imparato che la realtà è morire con due pallottole in testa.

Non ci puoi far nulla, è così. Per questo puoi diventare solo jihadista e andare a combattere le guerre del califfato. O essere un killer di Ramzan, con la divisa nera, e il logo «Tzentoroi», il villaggio in cui è nato. Putin e Kabyrov: dovevano necessariamente incontrarsi l'ex spia che cercava una leva, uno slogan per diventare zar e il figlio di Akhmad, il capo tradizionale della confraternita dei kuntas - khadzhi, prima indipendentista poi alleato dei russi in odio ai fautori del jihad, a cui era stato chiesto di «cecenizzare» una guerra che Mosca non riusciva a vincere.

Quando il 9 maggio del 2004 una bomba nascosta sotto la poltrona nel nuovo stadio di Grozny dove si festeggiava la vittoria contro i ribelli fece a pezzi il padre, Ramzan aveva appena compiuto 28 anni ed era a Mosca. Per decifrarlo, con la violenza, il cinismo, l'ignoranza, le stravaganze, bisogna immergersi in quei 28 anni, riempirli di immagini, urla, torture, guerra, orrore. 

Dal 1996 prima guerra russo-cecena: potevi essere ucciso perché avevi incrociato un soldato russo ubriaco, le donne venivano violate e gettate via come oggetti usati, rotti, i ragazzi ceceni catturati durante le retate venivano legati al filo spinato e bruciati vivi e le famiglie quando non tornavano a casa raccoglievano freneticamente del denaro per cercare di riscattarli prima che fosse troppo tardi, e quando era troppo tardi usavano la stessa somma per avere indietro almeno il cadavere; le «vedove nere» si facevano esplodere cercando di portar con sè qualche soldato russo, ma non perché cercavano il martirio del jihad, per la disperazione senza fondo del vivere senza più nulla, sogni, amori, vita.

Se non sapete questo non potrete mai capire perché esista Kadyrov, perché esistano gli innumerevoli Kadyrov che abbiamo incontrato nel nostro bel mondo. È affogati in questo odio puro che costoro hanno scoperto l'esperienza della distruzione comune, della caccia all'uomo, della uccisione. Solo alcuni sanno però passare dalla violenza emozionale, lacunosa, dissipatrice, spietata nei mezzi ma limitata nel raggio di azione a quella pianificata, stabile, intensiva, produttiva. La violenza che regge il potere. 

Putin non ha scelto subito Ramzan come erede del padre come per finire il lavoro in Cecenia che l'esercito russo ancora sbandato, umiliato, riflesso del derelitto ed ebbro termidoro eltsiniano non sapeva vincere. C'è una foto di quel loro incontro il 9 maggio al Cremlino: un ragazzo quasi in lacrime, in jeans, e un capo un po' annoiato alle prese con l'ennesima seccatura nella turbolenta colonia caucasica. Non si fidava, voleva metterlo alla prova, se era in grado come il padre di trasformare i selvaggi e inutili «zatchiski», le operazioni di pulizia condotte dai russi, in una selettiva, metodica macelleria dei «chaitany», i diavoli, della guerra santa islamista. 

Ramzan era capace di uccidere come si vuota una pattumiera? Putin lo nominò vice primo ministro, la presidenza la affidò a un uomo del padre, sbirro di carriera, Alkhanov. Per essere il capo doveva dimostrare di saper uccidere. Ramzan che disponeva solo di qualche centinaio di fedelissimi del suo clan, iniziò con i capi di una congiura che con a capo Alkhanov voleva decapitare la successione del «giovanotto». Il cervello si chiamava Baissarov, un gangster che comandava un'unità speciale del Fsb, i Servizi russi. Braccato fuggì a Mosca sperando nella protezione dei colleghi.

Un commando di Kadyrov lo eliminò sulla prospettiva Lenin, in centro. Invano cercò di difendersi con granate e pistole. Un altro dei congiurati fu braccato fino a Dubai. Il fratello fu ammazzato a poche centinaia di metri dall'ufficio di Putin. Sì, Ramzan era un uomo utile. Il padrone di Grozny ha ereditato il metodo della violenza, le camere di tortura hanno continuato a funzionare ma sono diventate le sue, non più dei russi.

Il suo terrore si è fatto mirato, selettivo perché sa che uccidere decine di persone non è necessario. Basta eliminarne uno perché gli altri capiscano. I parenti dei terroristi sono stati avvertiti: uccideremo voi, se non si consegnano. Crudelmente ha funzionato. Ha imposto una pace del cimitero, poi ha avviato la «ricostruzione» che con un islam arcaico e tribale è l'altro suo grande argomento di propaganda. Ma Ramzan non è un suddito. Certo senza Putin non esisterebbe. Ma in Cecenia la Russia ha perso, il padrone è davvero lui e la sua nomenklatura di corrotti con grossi orologi d'oro e anelli di diamanti. La missione a Kiev è la consacrazione di questa realtà, il suo atto finale. Adesso è Putin che ha bisogno di lui, della sua violenza pianificata e indifferente. Gli regalerà, ripulendola come ha ripulito Grozny, la capitale ucraina e chiuderà il cerchio del potere. Il suo potere.

Foreign Fighters. Chi sono (e quanto incidono) i soldati stranieri che combattono in Ucraina. Michelangelo Freyrie su L'Inkiesta il 9 Marzo 2022.

Kiev e Mosca stanno allargando i loro eserciti reclutando civili e militari da Stati terzi. Una chiamata alle armi che ha già coinvolto migliaia di persone: una dinamica già vista in Georgia e Siria 

La guerra russo-ucraina non è mai stata una questione privata fra Kiev e Mosca. La mobilitazione delle forze in campo ha delle implicazioni profonde per tutto il mondo, e i difensori si sono impegnati parecchio per rappresentare il conflitto come uno scontro fra mondo libero e autocrazia.

Il presidente ucraino è arrivato a lanciare un appello agli stranieri, invitandoli a unirsi a una nuova Legione Internazionale (LI) per la difesa «dell’Ucraina, dell’Europa e del mondo» di fronte all’aggressione russa.

La chiamata alle armi di Zelenksy non è rimasta inascoltata. Il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba sostiene che 20mila cittadini di 52 Stati diversi avrebbero fatto domanda per entrare nella Legione, un numero impossibile da verificare e che comunque non indicherebbe il numero di stranieri che verranno effettivamente reclutati. Per dare un senso della scala, il personale attivo nelle forze armate ucraine si attesta sui 245mila uomini, a cui si aggiungono 220mila riservisti.

La partecipazione di stranieri a guerre civili e conflitti fra Stati terzi non è nulla di nuovo. I volontari stranieri, che in Europa sono soprattutto associati ai foreign fighters dell’Isis e le brigate internazionali del YPG curdo, sono da secoli una presenza fissa del panorama bellico. Secondo lo studioso David Malet, fra il 1815 e il 2005 quasi la metà dei conflitti non a sfondo etnico (la categoria a cui si applica anche la guerra fra «i popoli fratelli» ucraino e russo) ha visto la partecipazione di soldati stranieri.

Anche nel caso specifico dell’Ucraina, la presenza di combattenti internazionale non è certo inedita. È stimato che dal 2014 circa 17mila cittadini di altri Paesi abbiano partecipato ai combattimenti in Donbass. Di questi, 15mila sarebbero cittadini russi, e circa 13mila si sarebbero arruolati nelle diverse milizie pseudoseparatiste sostenute da Mosca.

In questo campo, la Russia ha da anni affinato una strategia d’impiego piuttosto efficace. Avendo per anni negato il proprio coinvolgimento nella guerra nell’est dell’Ucraina, l’invio di veterani ed ex uomini dei servizi di sicurezza come presunti volontari ha permesso al regime di sostenere e mantenere il controllo sulle repubbliche autoproclamatesi a Luhansk e Donetsk senza un intervento ufficiale delle forze armate russe.

Al di là dei volontari di facciata, le due repubbliche hanno anche attirato numerosi suprematisti bianchi e aspiranti neofalangisti utili alla strategia del Cremlino.

Oltre alle implicazioni giuridiche di una presenza formale, la potenziale morte di reclute e soldati di carriera è stata considerata troppo impopolare domesticamente e politicamente costosa in un momento in cui la Russia era soprattutto interessata a garantirsi flessibilità sul palcoscenico globale.

Dalla Georgia alla Siria

Da parte ucraina si è invece fatto molto poco per attirare combattenti stranieri. Secondo ricerche di Buzzfeed, fra i volontari internazionali arrivati prima del 2022 ci sono qualche centinaio di combattenti provenienti dall’Unione europea e 40 statunitensi, inquadrati nelle unità di difesa territoriale di Kiev e, dal 2015, anche nell’esercito regolare.

Ma l’invasione russa ha cambiato profondamente l’approccio ucraino all’attrazione di soldati stranieri, sia in termine di metodo di reclutamento che di potenziale utilizzo militare. Le autorità hanno messo in piedi un sistema di arruolamento centralizzato che cerca di superare l’accozzaglia di milizie autonome che per anni sono servite come punto d’ingresso per gli stranieri: corpi come la Legione Nazionale Georgiana, composta soprattutto da veterani del piccolo Paese caucasico e delle guerre in Cecenia, ma anche il battaglione neonazista Azov (2.200 uomini nel 2017).

Gestendo l’arrivo di volontari stranieri attraverso la rete di ambasciate sparse per il mondo permette alle autorità ucraine di dare priorità ai veterani e impedire che nel medio termine le formazioni straniere si sgancino dalla catena di comando governativa.

In questo, il reclutamento di stranieri è molto più vantaggioso rispetto alle unità “pre-organizzate”, come gang o appunto formazioni paramilitari come Azov. La dipendenza dal governo centrale diminuisce di molto il rischio di interessi divergenti fra Kiev e le unità che combattono in suo nome, un insegnamento che i russi hanno dovuto imparare loro malgrado nella prima parte della guerra in Donbass.

Dopo essersi affidati a gangster locali e la criminalità organizzata per la creazione delle due repubbliche, i servizi di sicurezza del Cremlino hanno dovuto lanciare una campagna di assassinii mirati contro i comandanti di battaglioni “volontari” divenuti troppo indipendenti da Mosca.

Perfino l’utilizzo dei mercenari della compagnia militare privata Wagner, creata sotto impulso del Cremlino e affidata a un fedelissimo di Putin, ha causato diversi problemi di comando in passato. Nel 2018, a Deir ez-Zor, in Siria, i mercenari della compagnia avevano tentato di impossessarsi di diversi pozzi di petrolio, verosimilmente senza approvazione esplicita di Mosca. Il risultato è stato uno scontro con le forze curdo-arabe sostenute dagli americani, conclusosi con la distruzione di buona parte dell’unità paramilitare russa in un massiccio bombardamento americano.

Da allora le autorità russe hanno preferito guardare altrove per reclutare soldati stranieri per i propri scopi. L’associazione Syrians for Truth and Justice e il governo americano affermano che gli alleati assadisti di Mosca avrebbero iniziato a compilare liste di potenziali reclute siriane da assoldare per il conflitto ucraino tramite agenzie di sicurezza privata.

Se le informazioni fossero corrette, rivelerebbero un cambio di paradigma nel metodo russo: piuttosto che arruolare carne da cannone, le autorità siriane sarebbero alla ricerca di uomini con esperienza nel combattimento urbano e che abbia già servito sotto comandanti russi. La guerra civile che semina miseria nel Paese da oltre un decennio ha generato un immenso bacino di potenziali reclute, già utilizzate anche dalla Turchia in Azerbaijan e Libia.

Volontari identitari

Un discorso diverso rispetto ai volontari intenzionati a unirsi alle forze di Kiev. Uno dei pochi studi condotti su questo tipo di reclute nel contesto iracheno e afghano indica che le motivazioni per l’arruolamento sono quasi sempre da ricondursi a una questione identitaria, a una ricerca di status sociale e a un desiderio di vendetta contro il nemico (con solo il 5% interessato all’ebrezza del conflitto in sé).

Anche se si tratta di contesti estremamente diversi, è facile immaginare come l’apparente entusiasmo degli stranieri per la lotta ucraina sia soprattutto frutto di un senso di appartenenza che lega Kiev agli altri Paesi del campo democratico. Non è neanche difficile immaginare le conseguenze di un grande afflusso di stranieri al fronte: da un lato, la diffusione di capacità di combattimento fra uomini e donne che, prima o poi, torneranno in patria; dall’altro, il rischio di radicalizzazione in chiave antirussa anche in caso di demobilitazione.

Paolo Brera per “la Repubblica” il 13 aprile 2022.

Dicono che dopo la stretta di mano nei negoziati a Istanbul, quando i russi annunciarono «una significativa riduzione delle operazioni militari a nord nelle regioni di Kiev e Chernihiv», il presidente ucraino Volodymyr Zelensky abbia mandato il suo fido capo di gabinetto, l'amico e produttore cinematografico Andriy Yermak, a lisciare il pelo al generale Valerii Zaluzhnyi, che nove mesi fa aveva nominato capo delle forze armate. Che ne dice, generale, di fare altrettanto? Di mettere in atto «un cessate il fuoco di fatto» per favorire le trattative? Zaluzhnyi gli sorrise, lo salutò cordialmente e diede l'ordine opposto: picchiare duro sui russi in rotta, prima di ritrovarseli davanti nel Donbass.

In effetti è lì che erano diretti. Ci siamo, la "fase due" di questa guerra che strazia e demolisce è alle porte dell'Est; e se ci sono due presidenti poco disposti a far pace, per certo hanno schierato due generali molto pronti a far guerra. 

Vladimir Putin ha affidato le redini della battaglia ad Aleksandr Dvornikov, ribattezzato "il macellaio" per i precedenti nella seconda guerra cecena e in Siria: civili massacrati, obiettivi raggiunti. Zelensky ha consegnato le chiavi delle forze armate a Zaluzhnyi, che combatte nel Donbass dal 2014 e ha più volte ribadito di ritenere necessario «condurre operazioni offensive per liberare i territori occupati».

Decisamente non è uno stratega di pace. Ma ha respinto l'avanzata dei russi a nordovest impedendo che prendessero Kiev «in due giorni», e si è conquistato il soprannome di generale «di ferro». 

Le due biografie divergono sul campo: entrambi hanno ottenuto la patente di "eroe", ma Dvornikov l'ha bagnata nel sangue dei civili siriani e ceceni massacrati senza pietà. Zaluzhnyi è nato in una cittadina 240 chilometri a ovest di Kiev, Novohrad-Volynskyi. Ha 48 anni, è figlio di un militare, laurea a Odessa e accademia a Kiev con medaglia d'oro: nel 2014 guidava una brigata motorizzata a Debaltseve, dove si combatté una delle battaglie più drammatiche e sanguinose per le forze armate ucraine.

Ha scalato tutti i gradi della carriera senza mai apparire, parlando pochissimo e mettendo a tacere i politici invadenti. Non ha mai cercato di essere una star. Per Zelensky era un partner perfetto: al generale pieni poteri sulle forze armate, a lui nessun ostacolo in politica. E così è stato ed è. 

Putin invece ha scelto un 60enne nato a Ussuriysk, a 50 chilometri dalla Corea del Nord. Primo comando nell'estremo oriente, da lì una scalata fino al vertice del Distretto militare Sud da cui dipende la Crimea, il Caucaso e il Mar Nero. È accusato di avere usato spudoratamente ogni arma ibrida pur di ottenere l'obiettivo: collaborare con Assad per le partite sporche, la tortura, le armi chimiche, distruggere ogni forma di resistenza costi quel che costi. Spiana la Cecenia, demolisce Aleppo. Ma sa come ottenere ciò che vuole, e Putin ne ha un dannato bisogno.

Zaluzhnyi ha lavorato fianco a fianco con gli addestratori Nato, e fonti militari italiane assicurano che i progressi nella gestione della catena di comando ucraina sono stati decisivi. Hanno imparato «la flessibilità del comando invece della rigidità di stampo sovietico», che è costata la sconfitta nella prima parte dell'invasione. 

Per Hanna Shelest, capo analista militare del think tank ucraino Prisma , «avendo realizzato che l'Ucraina non si arrenderà, il Cremlino ha scelto Dvornikov per l'esperienza di guerra e l'assenza di limiti. E purtroppo dobbiamo aspettarci un numero crescente di atrocità».

ESERCITO RUSSO.

Marina Palumbo per lastampa.it il 29 settembre 2022.

La capitale ucraina doveva cadere nel giro di pochi giorni, secondo i piani del Cremlino. Ma afflitta da errori tattici e sorpresa dalla resistenza ucraina, l'avanzata distruttiva dell’esercito di Vladimir Putin si è rapidamente bloccata e le sue forze si sono impantanate per la maggior parte di marzo alla periferia di Kiev. Da trincee, rifugi e nelle case occupate nell'area intorno a Bucha, un sobborgo occidentale di Kiev, i soldati russi hanno disobbedito agli ordini effettuando chiamate non autorizzate dai loro cellulari a mogli, fidanzate, amici e genitori a centinaia di chilometri dalla prima linea. Qualcun altro stava ascoltando: il governo ucraino.

Lo racconta il New York Times che ha ottenuto in esclusiva le registrazioni di migliaia di chiamate effettuate durante tutto il mese di marzo e intercettate dalle forze dell'ordine ucraine. I giornalisti hanno verificato l'autenticità di queste chiamate incrociando i numeri di telefono russi con le app di messaggistica e i profili dei social media per identificare soldati e familiari. Il Times ha trascorso quasi due mesi a tradurre le registrazioni, che sono state modificate per chiarezza e lunghezza.

Le chiamate, fatte da dozzine di combattenti delle unità aviotrasportate e della Guardia nazionale russa, non sono state precedentemente rese pubbliche e offrono una visione dall'interno di un esercito allo sbando a poche settimane dall'inizio della campagna. I soldati descrivono una crisi di morale e una mancanza di equipaggiamento e affermano di essere stati ingannati sulla missione in cui si trovavano, tutte condizioni che hanno contribuito alle recenti battute d'arresto per la campagna russa nell'est dell'Ucraina.

Ecco alcune delle loro frasi: 

«Siamo posizionati a Bucha»

«Putin è pazzo. Vuole prendere Kiev. Ma non riusciamo a farlo» 

«La nostra offensiva è bloccata. Stiamo perdendo questa guerra»

«Metà del nostro reggimento è andato» 

«Ci hanno dato ordine di uccidere chiunque vediamo» 

«Quando torno a casa, lascio. Fanculo l’esercito» 

«Cazzo. Ci sono cadaveri dappertutto sulla strada. Civili a terra ovunque. Siamo fottuti» «Sulla strada?» «Si»

«Tutto è stato maledettamente saccheggiato. Tutto l’alcool è stato maledettamente bevuto. E tutto il denaro preso. Lo sta facendo chiunque qui»

«Nessuno ci ha detto che stavamo andando in guerra. Ci hanno avvisato un giorno prima di partire»

«Dovevamo andare a fare una esercitazione per due o tre giorni»

«Non sapevo che sarebbe successo questo. Ci hanno detto che dovevamo partire per una esercitazione. Questi bastardi non ci hanno detto niente»

«Mamma, questa è la decisione più stupida che il nostro governo abbia mai preso, penso» 

«Che cos’altro dicono? Quando finirà tutto questo Putin? Cazzo» «Lui dice che tutto sta andando secondo i piani e i tempi prestabiliti» «Si sbaglia gravemente». 

«Non possiamo prendere Kiev, prendiamo solo dei villaggi e basta». 

«Volevano fare tutto in un colpo qui e non ha funzionato così, cazzo» 

«Vogliono solo fregare la gente in tivù, tipo: “va tutto bene, non c’è nessuna guerra, solo una operazione speciale” ma nella realtà è una fottuta guerra» 

«Siamo in una posizione di merda, per così dire. Ci siamo spostati in difesa. La nostra offensiva è in stallo». 

«Un sacco di paracadutisti si muovevano davanti a noi. Sono stati fottutamente colpiti» 

«Le nostre forze armate ci hanno bombardato. Pensavano fossero dei fottuti khokhol... Pensavamo di essere finiti». 

«Vanya, le bare continuano ad arrivare. Stiamo seppellendo un uomo dopo l’altro. Questo è un incubo» 

«Li abbiamo detenuti, spogliati e abbiamo controllato tutti i loro vestiti. Poi si è dovuto decidere se lasciarli andare. Se li avessimo lasciati andare, avrebbero potuto rivelare la nostra posizione... Così è stato deciso di sparargli nella foresta». «Gli avete sparato?» «Naturalmente, gli abbiamo sparato». «Perché non li avete presi prigionieri?» «Gli avremmo dovuto dare da mangiare e non abbiamo abbastanza cibo neanche per mangiare noi, quindi…»

«Mamma, non abbiamo visto un solo fascista qui... Questa guerra è basata su un falso pretesto. Nessuno ne aveva bisogno. Siamo arrivati qui e le persone vivevano una vita normale. Molto bene, come in Russia. E ora devono vivere negli scantinati. La vecchia signora che abitava vicino a noi doveva abitare in cantina. Riesci a immaginare?».

Anna Zafesova per la Stampa il 20 luglio 2022.

La Lada Granta bianca scorre sullo sterrato. Il suo primo viaggio è al cimitero, disordinato quanto la campagna intorno, con le croci di legno che spuntano dai cespugli e dall'erba che nessuno taglia. L'uomo anziano al volante racconta alla telecamera che l'auto è bianca, «come la sognava Aleksey». Aleksey è suo figlio, morto «come i nonni e i bisnonni, combattendo il fascismo», comunica una voce fuori campo, e spiega che l'auto è stata comprata grazie al risarcimento del governo per i caduti in Ucraina: «Il popolo chiama questi soldi "i soldi per la bara"».

Il servizio trasmesso dalla Tv pubblica russa è talmente mostruoso da sembrare quasi una denuncia. Ma la storia di una famiglia della regione di Saratov che ora ha una auto nuova grazie alla morte del figlio è uscita nel programma del propagandista Dmitry Kiselyov, ed è invece uno spot pubblicitario della guerra. Il servizio è stato tagliato dalla versione del programma destinata a Mosca, mentre è rimasto nelle versioni trasmesse per l'Estremo Oriente e la Siberia (in Russia lo stesso palinsesto televisivo esce più volte in base ai fusi orari).

Non è la prima volta che la trasmissione di Kiselyov censura reportage su famiglie felici di avere un figlio in guerra. I ragazzi delle capitali non vengono mandati al fronte, le liste dei caduti si riempiono di nomi di soldati e ufficiali di zone remote e povere, e spesso abitate da minoranze etniche non slave: dalla mappa del Institute for the Study of War, a mandare più soldati sono la Buriazia e la Tyva, al confine con la Mongolia, la Chuvashia, sul Volga, il Caucaso musulmano, dalla Cecenia al Dagestan. Il calcolo è cinico e semplice: laggiù, l'esercito è uno dei pochi datori di lavoro, e un livello di cultura più basso rispetto alle grandi metropoli promette un livello più alto di obbedienza alle autorità.

È la Russia ideale sognata da Vladimir Putin, dove padri, madri, sorelle e vedove ripetono alle telecamere - seduti in cucine e tinelli arredati con mobili ancora sovietici, con i tappetini con le renne sulla parete e un'icona di carta sopra il frigorifero - le bugie della propaganda sugli ucraini che «si bombardano da soli», e non nascondono che il risarcimento per il figlio caduto gli ha permesso di comprare un'auto, chiudere un mutuo, fare una vacanza. È in quelle case che i soldati russi mandano i frullatori e la biancheria saccheggiati nelle case ucraine. Ma anche nella Russia più povera la quantità di ragazzi pronti a diventare carne da macello è sempre più bassa.

Aleksandra Garzhamapova del fondo "Buriazia libera" in un'intervista alla Bbc ha sfatato il mito della sua regione: da quella con il più alto numero di caduti in Ucraina è ora quella dove più militari si rifiutano di venire mandati al fronte. Almeno 500 soldati buriati si sono dimessi nelle ultime settimane, di cui 150 sarebbero «saltati giù dai camion quando hanno capito dove li portavano», e 78 parà d'assalto dell'11sima divisione sono stati chiusi in un garage e minacciati.

I servizi ucraini pubblicano intercettazioni di occupanti russi che raccontano episodi simili. A giudicare dai "muri della vergogna" installati in molte guarnigioni, si parla di centinaia di "disertori", che formalmente non sono tali: la Russia non ha dichiarato guerra all'Ucraina, e quindi un militare a contratto può rifiutare una missione. Un problema «sempre più acuto», secondo l'Intelligence britannica che vede un'avanzata russa nel Donbass in difficoltà «per mancanza di soldati».

Una dichiarazione che Mosca smentisce come disinformazione occidentale, ma che trova conferma, per esempio, nella dichiarazione del colonello Oleg Korotkevich, comandante ad interim della 41sima armata, che ha cercato di persuadere i familiari dei militari che la guerra deve andare avanti: «Putin può ordinare di farla finire domani, ma significa che ce ne dovremo andare come cani bastonati».

Che non tutte le famiglie sono felici di mandare figli e mariti al fronte lo si era già capito da numerose proteste di mogli e madri trapelate nei media regionali russi, e il fatto che Korotkevich sia costretto a incontrarle e a cercare di convincerle che la guerra va persa almeno con una parvenza di onore, è rivelatorio. Anche perché il rifiuto ad andare a combattere in Ucraina spesso non è dettato da ideali di pacifismo, ma più banalmente a un razionale calcolo delle probabilità di venire uccisi: se la 41sima armata è comandata da un colonnello, è perché tutti i suoi generali sono stati uccisi già a marzo.

Un rischio che non vale la pena correre, anche perché la Lada bianca è un premio che molti hanno visto soltanto in Tv: diverse famiglie non hanno ricevuto ancora i risarcimenti promessi. Lo stesso Korotkevich a giugno aveva firmato una richiesta di aiuti al sindaco di Novosibirsk, nella quale chiedeva aiuti umanitari: caffè, sigarette, sapone e perfino calzini e mutande da donare ai soldati mandati da Putin al fronte.

Da repubblica.it il 7 giugno 2022.

Matrimoni finti per sfuggire alla guerra. Secondo l'Intelligence di Kiev i militari russi per tentare di lasciare il fronte e tornare a casa stanno organizzando finte cerimonie. Gli 007 di Kiev su Telegram hanno reso nota una conversazione intercettata fra due militari di Mosca dove uno spiegava all'altro lo stratagemma. La sua idea però sarebbe stata bocciata dal comando secondo cui gli unici motivi per lasciare l'area dei combattimenti sono "ferimento, morte o decesso di un parente stretto".

Ucraina, storia di Aleksej, il soldato russo che non voleva andare in guerra. Il Corriere della Sera il 7 Giugno 2022.

«Sono vivo — dice alla madre —. Presto ci rispediranno al fronte ma possiamo rifiutare, basta presentare domanda». Le richieste di esonero sono moltissime, e da comandanti e agenti dei servizi arrivano le prime intimidazioni

di Maria Serena Natale / CorriereTv

Guadagnano l’equivalente di 460 euro al mese, a marzo 2020 ne risultavano 400 mila: i contrattisti dell’esercito russo si sono trovati al fronte in Ucraina senza preavviso e spesso senza capire perché. Come Aleksej, vent’anni, soldato a contratto dal novembre 2021 che ha smesso di rispondere al telefono il 23 febbraio 2022, vigilia dell’invasione. Da quel momento per sua madre Svetlana è cominciata l’attesa.

Putin manda a morire le minoranze etniche. Chi sono i Buriati, i Kazaki, i Tuvani. Federico Fubini su Il Corriere della Sera il 24 Giugno 2022.  

Putin evita di arruolare i giovani delle grandi città perché teme le proteste delle famiglie. La ricercatrice Maria Vyushkova: «Chi si accorge di queste minoranze?» 

Un gruppo di soldati buriati dell’Armata rossa in Ucraina prega sotto la guida di un monaco buddista

Vladimir Putin paragona sé stesso a Pietro il Grande e dall’inizio la guerra è stata concepita dentro il Cremlino da una ristretta cerchia di uomini bianchi, in età avanzata, legati al sogno di un grande impero slavo che riconquisti le sue antiche regioni europee. Ma il tributo di sangue lo stanno pagando, fuori da ogni proporzione, giovani uomini dall’aspetto completamente diverso: occhi a mandorla, alti zigomi mongoli o carnagioni olivastre del Caucaso.

Province sperdute

Spesso sono musulmani dell’Ossezia del Nord o del Daghestan o buddisti tibetani della Buriazia o della Repubblica di Tuva, alle frontiere della Mongolia. Oppure vengono da qualche provincia sperduta dell’Estremo Oriente non lontana dai confini con la Cina e con la Corea del Nord, come la Provincia ebraica autonoma dove Stalin aveva cercato di deportare un’intera minoranza scomoda. In nome del sogno imperiale di Putin — numeri alla mano — questi giovani delle terre più lontane hanno una probabilità di morire in Ucraina centinaia di volte più alta dei coetanei di Mosca o di San Pietroburgo. La testarda ricerca e l’analisi dei dati dicono che loro per primi sono stati gettati nella fornace della guerra nelle settimane più cruente. I buriati per esempio sono appena lo 0,3% della popolazione, ma erano il 4,5% dei morti nelle prime tre settimane di guerra.

Ucraina Russia, news sulla guerra di oggi

«Otto morti a Mosca»

La quota di kazaki etnici travolti nella macina della guerra è sette volte superiore al loro peso nella popolazione russa. È gente come loro e delle altre minoranze a trovarsi esposta molto più dei russi slavi, bianchi e originari delle grandi città europee. Di Mosca da oggi si conoscono appena otto morti in guerra, in una popolazione di venti milioni nell’area metropolitana. Di Tuva si conoscono con certezza sei volte più morti, malgrado una popolazione oltre sessanta volte più piccola: la probabilità di morire è centinaia di volte superiore, se si è è fra quelli venuti dalla parte sbagliata della Russia. Spinti contro il fuoco nemico tanto quanto questi russi asiatici o caucasici finora sono stati solo gli ucraini dei territori occupati, arruolati a forza a fianco dell’esercito di Mosca: coscritti con minacce e violenza nelle «repubbliche indipendenti» di Donetsk e Lugansk o mandati a morire sotto il fuoco ucraino da Sebastopoli che solo pochi anni fa è stata sottratta da Putin al controllo di Kiev. Esiste in Russia una rete clandestina che tiene ogni giorno la contabilità dei caduti, perché anche questo è un atto di resistenza civile sotto un regime che mente: il governo di Mosca aveva parlato di 1.351 caduti il 25 marzo e poi da allora più nulla, al punto che il presidente della commissione Difesa della Duma Andrei Kartapolov si è spinto a dire questo mese che sui morti in Ucraina regna il silenzio «perché non ce ne sono più».

Silicon Valley

Maria Vyushkova sa che non è così. Come rivelano i suoi tratti asiatici, viene dalla Buriazia, è espatriata dalla Russia nel 2010, oggi è una ricercatrice di calcolo quantistico al centro di ricerca computazionale di Notre Dame a Silicon Valley ed è fra pochi nodi visibili della rete. La sua competenza la rende utile nella gestione della banca dati creata per smontare la grande menzogna di Putin sui morti. «Non avrei mai immaginato di trovarmi in un ruolo simile — dice Maria Vyushkova, 40 anni —. Siamo la sola organizzazione che conta i caduti anche per origine etnica». Gli aderenti della rete sono centinaia distribuiti sugli undici fusi orari russi: ciascuno cooptato su presentazione di altri elementi fidati della rete, ciascuno autorizzato a conoscere solo pochissimi altri in modo che un arresto o un tradimento non rischi di compromettere l’intera struttura. Lavorano come possono. Tengono d’occhio i giornali locali per gli annunci mortuari o i necrologi, sorvegliano i social media russi come VKontakte o Odnoklassniki («Compagni di classe»), scorrono le chat di Telegram se qualcuno parla di un amico morto in guerra. Solo così hanno individuato circa 4 mila, divisi per etnia e regioni.

La conta dei caduti

Ma alcuni muoiono senza che nessuno parli di loro da qualche parte e per individuare queste persone i membri della rete visitano i cimiteri, contano le tombe fresche e controllano se su di esse campeggia la foto di un ragazzo in divisa. Così hanno individuato altri 4 mila caduti. C’è poi l’enorme numero di dispersi, spesso quasi sempre morti taciute, che fa salire il conto a 12 mila e infine i morti di Wagner e delle altre forze a contratto. «Il nostro conto totale dei decessi dal lato russo non è lontano dai 15 mila di cui parla il Pentagono», dice Vyushkova. A suo avviso le minoranze vengono mandate avanti a morire «per disprezzo, non per il disegno di una purga nello stile di Stalin». In parte sono sempre i più poveri delle periferie che si arruolano, come accadeva ai latinos dell’esercito americano in Iraq. «Ma Putin è attento a preservare le famiglie di Mosca e San Pietroburgo perché teme le proteste nelle grandi città — aggiunge Vyushkova —. Se muore qualche buriato in periferia, chi vuole che se ne accorga?». 

IL CASO DEI TUVANI LONTANI DA MOSCA. Putin manda al macello le minoranze che si arruolano per evitare la miseria. SELVAGGIA LUCARELLI su Il Domani il 23 aprile 2022

Tra le foto della guerra, quella di un sacerdote buddista mentre celebra una cerimonia religiosa per i numerosi soldati “russi” in Ucraina. Quei soldati russi, nello specifico, provengono dalla Buriazia, dalla Calmucchia e da Tuva, tre regioni buddiste della Federazione russa.

La questione del massiccio arruolamento di soldati tra le minoranze etniche del paese da parte della Russia è stata discussa fin dalle prime fasi della guerra, tanto da ispirare battute sarcastiche da parte di account ucraini sui social, quali «Sembra quasi che la prima pulizia etnica Putin la stia facendo nel suo paese».

Ironia a parte, Tuva ha una storia affascinante e dolorosa, la storia di un popolo con radici nomadi, che per secoli ha vissuto nelle yurte di feltro e che ha praticato lo sciamanesimo.

La foto della guerra in Ucraina che più è circolata in questi giorni ritrae la truppa cecena di Ramzan Kadyrov che festeggia la presa di Mariupol tra palazzi in fiamme. “I mercenari di Putin al grido di Allah Akbar” sono stati definiti i soldati, con quell’immagine sgangherata in cui sembravano catapultati lì, in un paesaggio apocalittico, direttamente da un altro mondo.

Ma di soldati arrivati letteralmente da altri mondi, nell’esercito russo, ce ne sono molti e tra le foto più bizzarre dal fronte, nell’ultima settimana, è impossibile non notare anche quella che immortala un sacerdote buddista nella sua tunica rossa fiammeggiante mentre celebra una cerimonia religiosa per i numerosi soldati “russi” in Ucraina. Quei soldati russi, nello specifico, provengono dalla Buriazia, dalla Calmucchia e da Tuva, tre regioni buddiste della Federazione russa.

MINORANZE SFRUTTATE

La questione del massiccio arruolamento di soldati tra le minoranze etniche del paese da parte della Russia è stata discussa fin dalle prime fasi della guerra, tanto da ispirare battute sarcastiche da parte di account ucraini sui social, quali «Sembra quasi che la prima pulizia etnica Putin la stia facendo nel suo paese». In realtà, i motivi per cui si attinge da queste regioni per infoltire le fila dell’esercito sono cinicamente semplici: sono aree in cui la situazione socio-economica è disastrosa, dove si registrano i peggiori tassi di povertà e disoccupazione.

Gli abitanti vivono sotto la soglia della povertà e la carriera militare è l’unico modo per affrancarsi dalla miseria. Inoltre, in Russia, le persone che hanno conoscenze e mezzi (possibilità di procurarsi falsi certificati medici, di svolgere studi all’estero) riescono a evitare il servizio militare, i più poveri non hanno scampo. E se moriranno in battaglia, le modeste famiglie di villaggi sperduti a cinquemila chilometri da Mosca non protesteranno facendo rumore.

Non stupisce dunque che, sebbene non esista una lista ufficiale dei soldati morti, secondo la Bbc e altre indagini sulla composizione dell’esercito russo e le perdite subite, il maggior contributo di sangue verrebbe, in proporzione alla popolazione, da Buriazia, Abkhazia, Daghestan, Calmucchia, Ossezia del sud, ma anche dalla sconosciuta e misteriosa Tuva, di cui poco si è parlato in questa guerra.

IL RECLUTAMENTO DEI TUVANI

Eppure, i tuvani, sono presenti in Ucraina e buona parte delle loro truppe è stata chiamata alle armi proprio in questa seconda fase (erano per esempio a Yahidne, vicino a Chernihiv, e hanno rinchiuso 370 persone del villaggio nel seminterrato di una scuola senza farle uscire, ha raccontato la giornalista Nataliya Gumenyuk).

La cerimonia con cui due settimane fa si è dato il via al reclutamento e alla partenza per la missione speciale dei tuvani in Ucraina è diventata virale su canali Telegram ucraini, con vari richiami anche su Twitter. E per un motivo tragicomico: il momento solenne è stato immortalato e nel video si vede la truppa che giunge nella piazza della capitale Kyzyl.

Ci sono i soldati tuvani pronti a partire, le madri, le famiglie lì a salutarli, la cerimonia. I soldati hanno una divisa che appare modesta, inappropriata, da alcuni primi piani si nota che l’età media dei soldati è molto alta, un soldato dai tratti mongoli sembra avere almeno 60 anni. Sotto le divise hanno tutti degli stivali di gomma. Nascono meme sarcastici, i commenti sono impietosi: «La loro vita vale meno dei loro stivali di gomma». «Putin ha una nuova riserva di carne da cannone», «Sembrano vestiti da raccoglitori di funghi». E poi «Il ministro della Difesa Shoigu è tuvano, sono i suoi pretoriani». E tra i commenti sarcastici degli ucraini, purtroppo, nel cercare di capire meglio cosa sia Tuva e cosa rappresenti, si scopre che c’è molta verità.

Tuva ha, per certi versi una storia tristemente affascinante. La Repubblica della Federazione Russa di Tuva è a 4.600 km a est di Mosca, nella Siberia meridionale, al confine con la Mongolia. Fino a pochi anni fa non esisteva neppure un volo diretto da Mosca alla capitale Kyzyl e ancora oggi ci sono pochi aerei a settimana che coprono la tratta.

Non esiste ancora una rete ferroviaria nella regione. In alcuni mesi dell’anno si toccano i -32 gradi e buona parte del paese è ricoperto dal permafrost. Dominata dai nomadi mongoli e dai cinesi, poi integrata nell’Impero russo, ha avuto una breve indipendenza (1921-1944) prima di fare parte dell’Urss e poi della Federazione russa dopo il 1991.

La Repubblica popolare di Tuva fu il primo stato a schierarsi con l’Urss nella Seconda guerra mondiale dichiarando guerra alla Germania e leggenda vuole che Hitler non rispose alla provocazione perché non riuscì neppure a individuarla sulla mappa.

UN POPOLO NOMADE 

Ironia a parte, Tuva ha una storia affascinante e dolorosa, la storia di un popolo con radici nomadi, che per secoli ha vissuto nelle yurte di feltro e che ha praticato lo sciamanesimo. Un popolo che abbracciò gli spiriti della natura e il buddismo lamaista, pagando un prezzo altissimo in termini di libertà: con le purghe staliniane, i templi buddisti furono rasi al suolo e un patrimonio culturale di immensa importanza venne distrutto. Oggi, su 300mila abitanti, due terzi della popolazione appartiene all’etnia tuvana.

A Tuva, nonostante il processo di russificazione, si parla il tuvano, lingua di ceppo turco, mentre il russo è utilizzato dai russi e come lingua franca. Oltre al buddismo si pratica lo sciamanesimo tuvano, segno che le purghe nulla hanno potuto contro una storia di secoli e una spiritualità che vuole i tuvani strettamente legati alla natura e in comunicazione con gli spiriti della terra e di altri mondi.

LE VACANZE DI PUTIN

Non è un caso che Vladimir Putin ami trascorrere proprio a Tuva le sue vacanze. Certo, sarà senz’altro affascinato dai paesaggi selvaggi e infiniti in cui sia nel 2017 che nel 2018 è stato immortalato mentre pescava e faceva rafting proprio con quel ministro della Difesa, Sergei Shojgu, che è un tuvano. Ma, soprattutto, puntava e punta a risolvere il problema della disomogeneità etnica, religiosa e culturale della Russia, ben consapevole del fatto che - tra le altre cose - da regioni come Tuva può attingere le riserve più preziose per l’esercito.

Perché Tuva non è solo sciamani e paesaggi da cartolina. È la regione più povera della Russia, con problemi enormi di criminalità, alcolismo, disoccupazione, ma con uno dei tassi di natalità più alti del paese. È facile capire perché da qui i giovani (e a quanto sembrava dal video della cerimonia di reclutamento anche i meno giovani) vedano nell’esercito l’unico ascensore economico e sociale possibile. E perché in fondo, mandare questi soldati a morire - soldati che non hanno alternative e che combattono contro un paese che dista migliaia di km da casa loro - è la scelta più comoda. Soldati i cui corpi forse non verranno neppure reclamati, con genitori che si accontenteranno di comunicazioni sbrigative.

Tra l’altro, oltre al ministro della Difesa Sergei Shoigu anche il vicepresidente della Duma Sholban Kara Ool è di Tuva, conferma che la povera, sperduta regione ai confini con la Mongolia è fortemente sovrarappresentata sia nell’esercito che nel governo, per ragioni di evidente convenienza. Il tutto, con un governo centrale che dà a Tuva l’impressione di contare molto all’interno della Federazione. E non è forse un caso che dopo la misteriosa sparizione di due settimane del tuvano ministro Sergei Shoigu ritenuto colpevole del parziale fallimento della guerra in Ucraina, il suo ritorno sia stato battezzato anche da quella cerimonia a Tuva, con l’arruolamento solenne di nuovi soldati così vicini di casa a Gengis Khan, ma “con degli stivali di gomma che valgono meno delle loro vite”.

SELVAGGIA LUCARELLI. Selvaggia Lucarelli è una giornalista, speaker radiofonica e scrittrice. Ha pubblicato cinque libri con Rizzoli, tra cui l’ultimo intitolato “Crepacuore”. Nel 2021 è uscito “Proprio a me", il suo podcast sulle dipendenze affettive, scaricato da un milione di persone. Ogni tanto va anche in tv.

Dalle navi agli aerei, l'arsenale "sovietico" di Mosca. Lorenzo Vita il 15 Aprile 2022 su Il Giornale.

I russi dispongono di mezzi vecchi ma aggiornati. I piani di rinnovo frenati nel 2014 dalle sanzioni.

Secondo il generale Helmuth Karl Bernhard von Moltke, «nessun piano operativo si estende con certezza oltre il primo contatto con la principale forza ostile». Una frase che viene parafrasata in questi termini: nessun piano sopravvive dopo il primo contatto col nemico. Il significato è che si può progettare qualsiasi tipo di guerra, ma sarà poi la prima battaglia a decidere come si condurrà quella successiva e a far comprendere la piega del conflitto.

Il presidente russo Vladimir Putin, dopo 50 giorni di «operazione militare speciale», ha probabilmente capito bene quella lezione. Perché la guerra in Ucraina, che secondo il Cremlino doveva durare meno e con perdite decisamente inferiori, si è rivelata un pantano che molti, ora, paragonano alla guerra in Afghanistan dell'Unione Sovietica. L'ultima immagine, quella del danneggiamento all'incrociatore Moskva, ammiraglia della Flotta del Mar Nero, sembra avere inciso in modo profondo sull'immagine delle forze russe. Ma i primi segnali di questa difficoltà da parte di Mosca si erano già visti con le colonne di convogli ferme per strada, i mezzi abbandonati, i soldati catturati e con le poche vittorie sul campo. E in tanti cominciano a domandarsi se non sia stato sopravvalutato il dispositivo militare schierato dal Cremlino.

Sul punto, diversi analisti sottolineano che la Russia sembra avere schierato mezzi non particolarmente nuovi, ma rodati. Lo si è visto con gli aerei, che infatti hanno dimostrato di non avere ottenuto quella superiorità che si pensava avessero già dopo le prime ore di conflitto. Ma lo si nota in particolare a terra, con mezzi di produzione sovietica o semplicemente aggiornati successivamente. Diverse unità utilizzano carri armati T-72B3, aggiornamento del vecchio T-72B, e non i nuovi T-14 Armata. Sono utilizzati i semoventi 2S19 Msta, i 2S3 Akatsiya, i 2S7 Malka, i sistemi aggiornati Grad, gli Uragan o i Buratino. La flotta russa ha utilizzato molte unità vecchie, per quanto alcune modernizzate. Basti pensare che una delle navi colpite dalle forze ucraine nelle scorse settimane, il Saratov, è stata varata nel 1966. Le classi Ropucha, le navi da sbarco anfibio che secondo molti avrebbero dovuto attraccare vicino Odessa, sono tutte di epoca sovietica. E il Moskva, per tornare all'ammiraglia colpita nel Mar Nero, è entrato in servizio nel 1983 ed ha subito importanti lavori di ammodernamento per molti anni.

A questo, si deve aggiungere che in molti casi l'esercito russo ha dimostrato di non avere mezzi di comunicazione adeguati alle nuove capacità tecnologiche degli avversari, che infatti stanno armando gli ucraini con strumenti in larga parte decisamente più sofisticati. Molte conversazioni tra militari vengono decrittate con estrema facilità. E per finire, all'obsolescenza dei mezzi e alla giovane età di tantissimi soldati, si deve unire a un problema strutturale delle forze russe che è quello della strategia impiegata nel conflitto. L'armata di Mosca appare impostata ancora sul modello sovietico, con avanzate massive di mezzi pesanti e artiglieria. Le forze russe, dopo il 2008, hanno subito un importante processo di modernizzazione, con ingenti investimenti. Tuttavia, dal 2014, essendo sotto sanzioni, Mosca ha dovuto mettere un freno a molteplici (e ambiziosi) piani. E il programma tecnologico in ogni caso non può incidere in modo sensibile sul modo di condurre la guerra.

Ucraina, Putin schiera nel Donbass il generale Surovikin: vuole prendere anche Lysychansk. Corrado Zunino su La Repubblica il 25 giugno 2022.   

Il comando russo a inizio giugno ha ruotato alti ufficiali operativi e cambiato l'andamento della guerra. Il militare è stato accusato in patria di brutalità e sanzionato dall'Unione europea per la guerra. Severodonetsk presa dai ceceni, civili deportati in Russia. Ora è in corso l'attacco alla città gemella

La presa di Severodonetsk è figlia della volontà del comando militare ucraino di non perdere centinaia di uomini in uno scontro impari, ma anche delle ultime scelte del governo Putin nel proprio campo militare. I servizi segreti britannici, nel  quotidiano rapporto in chiaro che offrono sulla guerra in Ucraina, sottolineano come dall'inizio di giugno - proprio in vista dell'attacco in forze dell'esercito invasore a Est - l'Alto comando russo ha "molto probabilmente" rimosso numerosi generali da ruoli di comando operativi.

Vittorio Sabadin per “il Messaggero” il 26 giugno 2022.

Accade spesso nelle guerre che, se le cose non vanno come previsto, chi le ha decise scarichi la colpa sui generali dell'esercito, i quali sono facili da rimuovere e sostituire. Il presidente russo Vladimir Putin ne ha già silurati più di qualunque altro autocrate guerriero della storia, ma l'ultima purga, decisa pochi giorni fa, sta causando molte preoccupazioni nelle intelligence occidentali.  

Secondo il ministero della Difesa britannico, al comando delle operazioni in Ucraina ci sarà ora il colonnello-generale Sergei Surovikin, i cui modi sbrigativi sono già stati sperimentati in Siria con ampia soddisfazione del Cremlino. Secondo il rapporto dei servizi britannici, dall'inizio di giugno Putin ha rimosso dai ruoli di comando operativo in Ucraina alcuni altri ufficiali, tra i quali il generale Alexander Dvornikov, comandante dell'esercito meridionale, e il colonnello-generale Andrei Serdyukov, comandante delle forze aviotrasportate. 

Quando un capo di stato non si fida più dei suoi generali, deve mettere al comando qualcuno di più simile a lui, con il quale possa capirsi al volo. Sergei Surovikin, la cui carriera è costellata di brutalità e di accuse di corruzione, è stato dunque scelto secondo quanto riferisce il ministero della Difesa britannico per sostituire Dvornikov e guidare le attuali operazioni sulle coste del Mar Nero.

Se Putin vuole chiudere in fretta il conflitto, Surovikin sembra l'ufficiale più adatto. Nel 2017 in Siria aiutò le truppe di Assad a riprendere in pochi mesi il controllo del 50% del territorio del Paese e le sue campagne militari impressero una svolta alla guerra. Di certo, se si vuole fare in fretta, non bisogna andare tanto per il sottile. Nell'agosto del 1991, nel pieno del golpe contro Michail Gorbaciov, comandò un battaglione che doveva fermare i manifestanti in un tunnel di Mosca: i soldati spararono e ne uccisero tre. Arrestato dopo il fallimento del golpe, fu poi graziato dal nuovo presidente Boris Eltsin perché «stava solo eseguendo gli ordini».

Nel 1995 Surovikin fu condannato dal tribunale militare a un anno di libertà vigilata per vendita illegale di armi, condanna poi annullata perché si poté accertare che si trattava solo di una pistola prestata ad un amico. In molti altri casi è riuscito a evitare processi e condanne: nel 2004 un colonnello, Vktor Chibizov, lo accusò di averlo picchiato dopo una discussione politica, e nello stesso anno il colonnello Andrei Shtkal si sparò in sua presenza esasperato dalle continue critiche che riceveva.  

In entrambi i casi, il procuratore militare non trovò addebiti da muovere a Surovikin.

Brillante anche nelle azioni militari in Cecenia, il nuovo comandante delle operazioni sul Mar Nero ha nel suo curriculum anche la creazione della polizia militare russa ed è stato nominato nel 2017 comandante delle forze aerospaziali, la nuova importante branca dell'esercito con la quale si combatteranno le guerre del futuro.

Alle parate sulla Piazza Rossa, la divisa di Surovikin è quella con più medaglie: è Eroe della Federazione Russa, ha ricevuto tre volte l'Ordine della Stella Rossa, l'Ordine del Merito Militare e l'Ordine del Coraggio. La nomina in Ucraina rafforza le voci secondo le quali sarà presto lui a prendere il posto del Capo di Stato Maggiore delle forze armate Valery Gerasimov, messo in naftalina da Putin insieme a tanti altri generali: Serhiy Kisel, sospeso per non aver preso Kharkiv, il viceammiraglio Igor Osipov, rimosso dopo la perdita dell'incrociatore Moskva, il comandante della Sesta armata, Vladislav Ershov, quello della Ventiduesima, Arkadij Marzoev, e il vice-ammiraglio Sergej Pinchuk, che figura ancora sotto inchiesta.

È sparito dalla circolazione anche Sergei Beseda, il capo dei servizi segreti colpevole di avere fatto credere che Kiev sarebbe caduta in poche ore. La mancanza di scrupoli di Surovikin potrebbe avere successo dove altri hanno fallito, ma anche lui sa che l'Ucraina non è la Siria, e dovrà stare in equilibrio su un filo dal quale è molto facile cadere.

Vladimir Alekseyev al comando. Putin, colpo di spugna sugli 007: ha scelto il nemico dell'Occidente. Libero Quotidiano il 10 maggio 2022.

Il colpo di spugna di Vladimir Putin sui suoi 007. Il Cremlino ha messo il servizio di intelligence militare del Gru a capo delle operazioni di intelligence in Ucraina al posto dell'Fsb. Lo scrivono i giornalisti investigativi Andrei Soldatov e Irina Borogan, tra i massimi esperti di intelligence russa, gli stessi che a metà marzo avevano raccontato come il presidente, furente perché "l'operazione speciale" non andava come previsto, avesse operato una purga di massa "stalinista" ai vertici dell'intelligence.

Ora Putin avrebbe rimosso la più grande agenzia di intelligence russa, l'Fsb, erede del Kgb e fucina della classe dirigente, dal suo ruolo di principale agenzia di spionaggio per la guerra e affidato la responsabilità a un ramo dell'intelligence militare pesantemente militarizzato, il Gru. Al vertice, Vladimir Alekseyev, il primo vice capo del Gru, considerato l'uomo dietro molti dei più gravi attacchi di Putin all'Occidente negli ultimi dieci anni: è accusato, per esempio, dal Regno Unito e dall'Unione Europea di aver supervisionato l'attacco con armi chimiche a Salisbury nel 2018, con l'avvelenamento della spia britannica Sergei Skripal e della figlia Yulia; ed è anche sanzionato dagli Stati Uniti per il suo coinvolgimento negli attacchi informatici al Partito Democratico degli Stati Uniti e per l'interferenza nelle elezioni presidenziali statunitensi del 2016.

Il segnale pubblico del cambiamento sarebbe arrivato la scorsa settimana, quando un canale televisivo pro-Cremlino, Tsargrad, ha pubblicato un articolo intitolato "Generali della vittoria: chi è a capo dell'operazione speciale russa?". E tra i nomi suggeriti c'era appunto il temibile Alekseyev. 

 Jacopo Iacoboni per lastampa.it il 28 giugno 2022.

Da due giorni, anche ufficialmente, la Russia ha sostituito l’ennesimo generale (anzi, ne ha sostituiti diversi), ma questa volta si tratta di un passaggio particolarmente simbolico, per il regime putiniano.

Togliendo ad Alexandr Dvornikov il comando del Distretto meridionale, e affidandolo a Sergey Surovikin, si compie uno spostamento ulteriore verso la nomenklatura chekista e para golpista della Russia che transitò dall’Unione sovietica al mercato. Sentite come.

Di Surovikin il ministero della Difesa britannico ha scritto: «Per oltre trent'anni, la carriera di Surovikin è stata perseguitata da accuse di corruzione e brutalità». E tutti ricordano il suo periodo brutale di comandante in Siria. 

«Dall'inizio di giugno – si legge nell’ultimo assessment della Difesa del Regno Unito – l'Alto Comando russo ha molto probabilmente rimosso numerosi generali da ruoli di comando operativi nella guerra in Ucraina.

Fra questi vi sono il comandante delle truppe aviotrasportate (Vdv), generale-colonnello Andrei Serdyukov, e il comandante del Raggruppamento delle Forze Meridionali, generale di armata Alexandr Dvornikov, il quale è stato probabilmente per un periodo comandante di tutte le operazioni». 

Ma Surovikin non è un generale qualunque, fu molto più che brutale. E la Siria non è il solo inquietante precedente della sua carriera. Fu incarcerato due volte: una per presunta vendita illegale di armi, l’altra per aver guidato una colonna militare durante il tentato (e fallito) colpo di stato dell'agosto 1991 che uccise tre manifestanti a Mosca, che difendevano la Casa Bianca nella caotica stagione di trapasso eltsiniana. Fu Surovikin a lanciare i mezzi corazzati sulla folla. Questo curriculum è stato un problema quando Surovikin è stato nominato capo della polizia militare.

L’analista Rob Lee ha ricordato altre circostanze, per esempio Surovikin avrebbe spinto un colonnello in servizio sotto di lui a suicidarsi dopo un violento rimprovero. E ha comandato due volte le forze russe in Siria guadagnandosi a tal punto un legame personale con il dittatore siriano Bashar Assad, che Assad stesso chiese di prolungargli l’incarico.

È anche abbastanza inusuale che un ufficiale di terra venga incaricato delle forze aerospaziali russe (il ruolo precedente di Surovikin), e poi «è alquanto sorprendente che non sia stato inserito prima in un ruolo più operativo in questa guerra». 

Forse Putin stesso ci ha voluto pensare bene, rendendosi conto di quanto questo passo sia ricco di risonanze terribili. Il ritorno anche simbolico agli apparati che lottarono contro l’aspirazione alla democrazia della Russia.

Il motivo è semplice: guidando una delle colonne del tentato putsch del 1991 contro la nascente democrazia russa, Surovikin rimane chiaramente legato a quella parte delle strutture militari russe che, sia nell’esercito sia nel Kgb, ostacolarono ogni tentativo di apertura democratica nella stagione post-sovietica e poi, fallito il piano, si riadattarono e mimetizzarono, aiutando a piazzare un loro emissario – Vladimir Vladimirovich Putin – al Cremlino.

Curiosamente, Surovikin fu promosso generale proprio da Putin in una data non casuale, il 16 agosto 2021: esattamente nel ventennale del fallito golpe a cui Surovikin partecipò. E Putin, com’è noto, è uno che tiene molto alle date e a una sua re-interpretazione della storia. 

Tornando ai fatti di quella ominosa notte dell’agosto1991, l’attivista Alexander Cherkassov – del Memorial Center, la più antica ong russa appena messa fuorilegge da Putin – ricorda: «Nella notte tra il 20 e il 21 agosto 1991, il 1° battaglione di fucili a motore della 2a divisione Taman di fucili a motore della Guardia, per ordine del Comitato di emergenza statale, fu inviato a stabilire dei presidi sul Garden Ring.

I compiti del comandante del battaglione furono svolti da Sergei Surovikin. Secondo la versione ufficiale, nel tunnel sotto Novy Arbat, “la colonna fu fermata dalla folla, erano stati costruiti dei blocchi sulla strada”. 

Poi, con parte della colonna, [Surovikin] ha sfondato le macerie e ha lasciato il luogo dello scontro, e durante i continui attacchi della folla ai restanti veicoli da combattimento, tre giovani sono rimasti uccisi». 

Forse conviene ricordare i nomi di quei tre giovani russi uccisi: Dmitry Komar, morto sotto le ruote di un veicolo da combattimento di fanteria, Ilya Krichevsky e Vladimir Usov.

Surovikin fu arrestato. Passò appena sei mesi in custodia cautelare. Poi le accuse furono miracolosamente ritirate: lo stato disse che l’allora capitano stava eseguendo gli ordini. Fu riferito che Boris Eltsin in persona disse: «Rilasciare immediatamente il maggiore Surovikin». 

Lo chiamò “maggiore”. Non lo stava solo liberando, lo stava nominando maggiore: per l'esemplare adempimento del dovere militare. Putin ha completato l’opera facendolo generale e, adesso, mandandolo a sterminare gli ucraini. La storia di una tragedia che viene da molto lontano.

Chi è Valery Gerasimov, il capo di stato maggiore delle forze armate. Mauro Indelicato su Inside Over il 9 maggio 2022.

Valery Gerasimov è l’attuale capo di stato maggiore dell’esercito russo. Assume questa carica nel novembre del 2012, pochi mesi dopo l’inizio del terzo mandato alla presidenza della federazione russa da parte di Vladimir Putin. Viene considerato l’ideatore dell’omonima “dottrina Gerasimov”, per la verità delle considerazioni sul nuovo tipo di guerra del XXI secolo pubblicate dallo stesso generale nel 2013.

La nascita e la formazione di Gerasimov

Valery Gerasimov nasce l’8 settembre 1955 a Kazan, capitale della Repubblica del Tatarstan, una delle entità che attualmente compone la federazione russa, abitata in maggioranza dalla popolazione turcofona dei tatari. Nella sua biografia viene specificato che la famiglia di Gerasimov è di “origini umili” e di lavoratori. Lui da subito propende per un’educazione di tipo militare.

La sua formazione si svolte in primo luogo proprio a Kazan. Si diploma infatti nel 1973 presso la scuola militare Suvorov della sua città natale, successivamente si iscrive presso la “Scuola Superiore per il Comando dei Carri”, sempre a Kazan. Diplomatosi qui nel 1977, procede con la Scuola Superiore per il Comando dei Carri Unità per i successivi cinque anni.

Dal 1984 al 1987 risulta poi inserito all’interno dell’Accademia Militare delle Forze Armate Malinovsky. Completa la sua formazione, quando è già nei ranghi dell’esercito, frequentando tra il 1995 e il 1997 l’Accademia Militare dello stato maggiore delle forze armate della Federazione Russa.

La scalata all'interno dell'esercito

Il primo incarico di Gerasimov si ha nel 1982, quando con il grado di ufficiale inferiore è comandante di plotone presso l’80esimo reggimento carri della sesta divisione meccanizzata delle Guardie, inquadrata all’interno del Gruppo delle Forze del Nord. Successivamente diventa, sempre all’interno del medesimo gruppo, comandante di compagnia e aiutante maggiore.

Gerasimov diventa poi maggiore nel 1984, mentre assume i gradi di tenente colonnello nel 1987 e di colonnello quando l’Urss risulta già caduta, nel 1992, e l’esercito in cui è inquadrato è adesso quello della Russia. Così come si legge nella sua biografia, una volta assunti i gradi di maggiore viene mandato nell’estremo oriente russo, all’interno del distretto militare dell’Estremo Oriente. Qui rimane fino al 1993, quando viene promosso a maggiore generale e viene nominato comandante della 144esima divisione fucilieri meccanizzata, inquadrata nel distretto militare del Baltico.

Un incarico che ricopre per due anni, quando poi ultima la formazione all’interno dell’accademia Militare dello stato maggiore. Nel 1999 Gerasimov inizia una delle avventure professionali che, in seguito, gli garantiscono un’importante fama all’interno del mondo militare russo: viene infatti nominato capo di stato maggiore della 58esima armata combinata, inquadrata nel distretto militare del Caucaso Settentrionale. Si è alla vigilia della seconda guerra di Cecenia, quella avviata dal neo premier Vladimir Putin, ed è qui che emergono le doti militari di Gerasimov.

Viene quindi promosso nel 2003 nel grado di tenente generale e viene nuovamente inviato in oriente, dove fino al 2005 ricopre l’incarico di capo di stato maggiore del distretto militare dell’Estremo Oriente. In quell’anno è promosso colonnello generale e diventa capo del Direttorato Principale per l’Addestramento al Combattimento delle forze armate.

La sua scalata prosegue poi nel 2006, quando ritorna nel Caucaso con la nomina di capo di stato maggiore del distretto militare del Caucaso Settentrionale. Nel 2007 e fino al 2009 è capo di stato maggiore del Distretto Militare di San Pietroburgo, dal 2009 al 2010 invece è capo di stato maggiore del distretto militare di Mosca. Il 23 dicembre del 2010 è nominato vice capo di stato maggiore delle forze armate. È l’ultimo passo prima della definitiva consacrazione: dopo un breve passaggio al distretto militare centrale, nel novembre 2012 Vladimir Putin, su suggerimento del ministro della Difesa Sergei Shoigu, lo nomina capo di stato maggiore della difesa. Incarico ricoperto ancora oggi.

La guerra cecena

Come detto, la fama militare di Gerasimov si forma soprattutto durante la seconda guerra cecena. In quel momento la piccola repubblica caucasica è fuori dal controllo delle forze di Mosca. La crescente pressione militare dei separatisti e gli attentati compiuti dai terroristi ceceni all’interno del territorio russo, convincono l’allora presidente Boris Eltsin a usare il pugno duro. Viene quindi chiamato ad assumere l’incarico di primo ministro Vladimir Putin, fino a quel momento capo dell’Fsb, il servizio segreto russo.

È il 1999 e proprio in quell’anno Gerasimov è nominato capo di stato maggiore della 58esima armata combinata, inquadrata nel distretto militare dove ricade la Cecenia. Quando Putin decide di intervenire contro i separatisti con l’intento di riconquistare la repubblica caucasica, Gerasimov è quindi chiamato a recitare un ruolo di protagonista.

Il buon andamento della guerra, che permette all’esercito russo di arrivare a Grozny già nei primi mesi del 2000, contribuisce ad accrescere la buona nomina di Valery Gerasimov. Ma il suo nome inizia a circolare prepotentemente in occasione dell’arresto del colonnello Yuri Budanov, accusato proprio nel marzo del 2000 di aver abusato e brutalmente ucciso una ragazza cecena. Gerasimov appare direttamente coinvolto nell’arresto di Budanov e questo gli fa guadagnare la fama di integerrimo. Di lui parla bene la giornalista Anna Politkovskaya, notoriamente contraria alle azioni del Cremlino in Cecenia: “Gerasimov – scrive la cronista – è un uomo capace di preservare il proprio onore di ufficiale”.

La nomina a capo di stato maggiore

Finita la sua esperienza in Cecenia, il militare prosegue la sua carriera all’interno dell’esercito. La svolta si ha nel 2010, quando Gerasimov viene nominato a capo del distretto militare di Mosca. Dirigere il distretto della capitale è spesso l’ultimo passo prima di arrivare alla direzione generale delle forze armate.

Tuttavia Valery Gerasimov non sembra essere particolarmente benvoluto dall’allora capo di stato maggiore Nikolay Makarov. Per questo nell’aprile del 2012 viene mandato a dirigere il distretto militare centrale, un incarico che sembra sbarrargli le porte al comando dello stato maggiore delle forze armate. I pessimi rapporti con Makarov sono per la verità tutti da dimostrare. Ad ogni modo sembra che quest’ultimo fosse molto vicino, come sottolinea DifesaOnLine, al ministro della Difesa Anatoly Serdyukov. Quando però a capo del ministero, sul finire del 2012, arriva Sergej Shoigu, cambiano le nomine nella direzione dell’esercito.

Makarov si dimette, forse su pressione dello stesso Cremlino, e nel novembre 2012 è lo stesso Shoigu a suggerire la nomina Gerasimov. In tal modo il generale diventa nuovo capo di stato maggiore.

La dottrina Gerasimov

Uno dei motivi per i quali da allora in poi la fama di Gerasimov si spinge oltre i confini russi, riguarda la dottrina che da lui prende il nome. Si tratta di un insieme di considerazioni con le quali Gerasimov esprime il suo punto di vista sulle guerre del nuovo secolo, conflitti cioè non più combattuti sul campo ma sul fronte della cosiddetta “guerra ibrida”.

Valutazioni che partono da quanto accaduto nel 2011 nel mondo arabo, la cui “primavera” altro non è che la dimostrazione di come sia possibile, secondo il capo di stato maggiore russo, colpire uno Stato florido e in pace avviandolo verso una destabilizzazione. Disinformazione, armi psicologiche, difesa degli interessi fuori dal proprio territorio sono le nuove parole d’ordine nel quadro di una cosiddetta “autodifesa attiva”.

“Le regole della guerra sono cambiate e il ruolo degli strumenti non militari nel conseguimento di obiettivi strategici e politici […] in molti casi ha superato in efficacia la forza delle armi”, si legge nelle considerazioni di Gerasimov. Frasi che sono racchiuse nell’articolo “Il valore della scienza nella previsione”, scritto sul Corriere Militare-Industriale nel febbraio 2013.

Per la verità quella di Gerasimov non è una vera dottrina. A specificarlo è anche colui che per primo alla stampa occidentale l’ha presentata come tale, ossia Mark Galeotti. Il suo è un “mea culpa”, in quanto specifica che soltanto per un errore di traduzione il testo di Gerasimov viene interpretato come dottrina offensiva ma, nella realtà, è un compendio su come la Russia deve difendersi nel nuovo contesto internazionale. Le frasi del capo di stato maggiore russo sono comunque importanti per comprendere il suo operato e il suo livello di influenza all’interno del Cremlino.

La guerra in Ucraina

Da capo di stato maggiore Gerasimov ovviamente è pienamente coinvolto nelle due missioni più importanti della Russia negli ultimi dieci anni: la Siria e l’Ucraina. Su quest’ultimo fronte a lui viene attribuita buona parte dell’architettura della strategia di Mosca in Crimea, quando la penisola viene annessa alla federazione il 18 marzo 2014, all’indomani delle proteste di Euromaidan a Kiev.

La paura di perdere influenza nel Mar Nero e di perdere la base di Sebastopoli, inducono la Russia a una guerra in cui però non un solo colpo viene sparato. La Crimea è infatti annessa dopo l’azione degli “omini verdi”, militari in divisa senza insegne che favoriscono le dichiarazioni di secessione dall’Ucraina e il referendum di annessione alla Russia.

Il ruolo di Gerasimov è certificato anche dalle sanzioni approvate contro la sua persona dall’Unione Europea sempre nel 2014. Le tensioni con l’Ucraina tornano ad acuirsi nel dicembre 2021. In quell’occasione è lo stesso Gerasimov a lanciare il 9 dicembre un monito a Kiev: “Le consegne di elicotteri, velivoli senza pilota e aerei in Ucraina stanno spingendo le autorità ucraine verso passi improvvisi e pericolosi – dichiara Gerasimov – Kiev non rispetta gli accordi di Minsk.”.

Quando il 24 febbraio Putin decide di attaccare l’Ucraina, su Gerasimov si diffondono diverse voci contraddittorie. Il 26 febbraio sarebbe stato infatti allontanato da una riunione dallo stesso Putin, alcune fonti parlano addirittura di un “commissariamento” dell’esercito e di una destituzione de facto di Gerasimov.

Il 29 aprile invece, al contrario, il capo di stato maggiore viene segnalato da alcune fonti ucraine presente nel Donbass, a coordinare le operazioni sul campo di battaglia e non invece da Mosca.

Davide Casti per il corriere.it il 9 aprile 2022.

La Russia avrebbe cambiato la guida delle operazioni militari in Ucraina. Secondo quanto comunicato da diverse fonti occidentali, al comando delle truppe russe, nella guerra scatenata contro l’Ucraina, ci sarebbe ora il generale Alexander Dvornikov, un veterano delle operazioni russe in Siria. 

La notizia è stata confermata da un funzionario di alto livello, che ha chiesto l’anonimato, alla Bbc. 

«Dvornikov ha una enorme esperienza derivante dalle operazioni russe in Siria - quindi ci aspettiamo di veder migliorare il comando e il controllo generale delle truppe russe in Ucraina», ha detto la fonte all’emittente britannica.

Il cambio al vertice arriva dopo che - dopo settimane di battaglie feroci - l’esercito russo non è riuscito a completare la conquista di alcuna grande città ucraina, e dopo aver subito «pesanti perdite» (come riconosciuto dal portavoce del Cremlino). 

Nei 44 giorni passati dall’inizio dall’invasione - come sottolineato dal Pentagono giorni fa - Mosca non solo non è riuscita a rovesciare il governo ucraino, ma nemmeno a sferrare l’assalto a Kiev, o a conquistare alcuna grande città ucraina.

Giorni fa, la Russia ha comunicato di aver modificato i propri obiettivi di breve termine in Ucraina, e di voler concentrare le proprie operazioni nel Donbass, nell’Est del Paese. Da allora, le forze russe si sono progressivamente ritirate dal Nord dell’Ucraina, anche se i bombardamenti continuano in diverse aree del Paese (a Odessa, nel Sud Ovest dell’Ucraina, è stato imposto un coprifuoco nell’attesa di possibili attacchi missilistici russi). 

«Ma a meno che la Russia non cambi le sue tattiche, è difficile che possa avere successo anche solo negli obiettivi che si è data», ha detto la fonte britannica alla Bbc.

Secondo le stesse fonti, ora Mosca sembra avere fretta - e per ragioni più politiche che militari: l’obiettivo potrebbe essere quello di arrivare a una qualche forma di successo militare entro il 9 maggio, data in cui la Russia celebra la vittoria nella Seconda guerra mondiale. 

In Siria, la Russia ha combattuto seguendo schemi che ricalcavano in parte la brutale guerra in Cecenia - e che alcuni analisti rivedono ora in azione in Ucraina. Come scriveva Guido Olimpio raccontando le operazioni russe in Siria, Mosca agiva schierando caccia e pezzi d’artiglieria, bombe guidate e bombe a grappolo, sistemi missilistici termobarici e ideati per «saturare» larghe porzioni di territorio: «Fanno terra bruciata, devastano. Hanno anche un effetto psicologico su chi subisce il tiro».

L’obiettivo: «colpire gli avversari più temuti; logoramento dell’avversario; distruzione di depositi e raid sulle vie di rifornimento; azioni per testare le difese; costituire punti da dove poi lanciare manovre in profondità».

(ANSA il 3 giugno 2022) - Il generale Alexander Dvornikov non sarebbe più al comando dell'operazione militare russa in Ucraina. Ad affermarlo è il Conflict Intelligence Team, ong investigativa russa. 

Al suo posto sarebbe stato nominato il generale Gennady Zhidko, ex comandante del distretto militare orientale e viceministro della difesa di Mosca per gli affari politici. Secondo quanto indicato dall'analista Ruslan Leviev, la rimozione potrebbe essere legata a un "processo di rotazione" dei vertici operativi delle forze armate, "come quello visto in Siria", dato che non risulta al momento che sia la conseguenza di una gestione ritenuta deludente. 

La Russia cambia il generale alla guida della guerra: chi è Alexander Dvornikov, e perché Mosca ora sembra avere fretta. Davide Casati su Il Corriere della Sera il 9 aprile 2022.

Secondo fonti occidentali, il comando delle operazioni in Ucraina passa al generale Alexander Dvornikov, veterano delle operazioni in Siria: Mosca deve arrivare a una qualche forma di successo entro il 9 maggio. 

La Russia avrebbe cambiato la guida delle operazioni militari in Ucraina. Secondo quanto comunicato da diverse fonti occidentali, al comando delle truppe russe, nella guerra scatenata contro l’Ucraina, ci sarebbe ora il generale Alexander Dvornikov, un veterano delle operazioni russe in Siria. 

La notizia è stata confermata da un funzionario di alto livello, che ha chiesto l’anonimato, alla Bbc. 

«Dvornikov ha una enorme esperienza derivante dalle operazioni russe in Siria — quindi ci aspettiamo di veder migliorare il comando e il controllo generale delle truppe russe in Ucraina», ha detto la fonte all’emittente britannica. 

Il cambio al vertice arriva dopo che — dopo settimane di battaglie feroci — l’esercito russo non è riuscito a completare la conquista di alcuna grande città ucraina, e dopo aver subito «pesanti perdite» (come riconosciuto dal portavoce del Cremlino). 

Finora, le forze russe in campo venivano organizzate e comandate separatamente: e questo causava un mancato coordinamento tra diversi comandi. Dvernikov dovrebbe invece ora essere al comando dell’intera «operazione speciale». 

Nei 44 giorni passati dall’inizio dall’invasione — come sottolineato dal Pentagono giorni fa — Mosca non solo non è riuscita a rovesciare il governo ucraino, ma nemmeno a sferrare l’assalto a Kiev, o a conquistare alcuna grande città ucraina. 

Giorni fa, la Russia ha comunicato di aver modificato i propri obiettivi di breve termine in Ucraina, e di voler concentrare le proprie operazioni nel Donbass, nell’Est del Paese. Da allora, le forze russe si sono progressivamente ritirate dal Nord dell’Ucraina, anche se i bombardamenti continuano in diverse aree del Paese (a Odessa, nel Sud Ovest dell’Ucraina, è stato imposto un coprifuoco nell’attesa di possibili attacchi missilistici russi). L’Ucraina ritiene che Mosca possa concentrarsi nell’immediato su città dell’Est del Paese (Mariupol, Kharkiv) per poi eventualmente lanciare l’offensiva finale contro Kiev.

«Ma a meno che la Russia non cambi le sue tattiche, è difficile che possa avere successo anche solo negli obiettivi di breve termine che si è data», ha detto la fonte britannica alla Bbc. 

Secondo le stesse fonti, ora Mosca sembra avere fretta — e per ragioni più politiche che militari: l’obiettivo potrebbe essere quello di arrivare a una qualche forma di successo militare entro il 9 maggio, data in cui la Russia celebra la vittoria nella Seconda guerra mondiale. 

«C’è una tensione tra la logica militare di riorganizzare le forze, imparare dagli errori commessi e mettere in campo tattiche migliori, e l’imperativo politico di agire più in fretta». 

In Siria, la Russia ha combattuto seguendo schemi che ricalcavano in parte la brutale guerra in Cecenia — e che alcuni analisti rivedono ora in azione in Ucraina. Come scriveva Guido Olimpio raccontando le operazioni russe in Siria, Mosca agiva schierando caccia e pezzi d’artiglieria, bombe guidate e bombe a grappolo, sistemi missilistici termobarici e ideati per «saturare» larghe porzioni di territorio: «Fanno terra bruciata, devastano. Hanno anche un effetto psicologico su chi subisce il tiro». L’obiettivo: «colpire gli avversari più temuti; logoramento del l’avversario; distruzione di depositi e raid sulle vie di rifornimento; azioni per testare le difese; costituire punti da dove poi lanciare manovre in profondità».

Fabrizio Dragosei per il "Corriere della Sera" il 10 aprile 2022.

Ci sono voluti 44 giorni e alla fine il Cremlino sembra aver deciso di nominare un comandante unico dell'Operazione militare speciale in Ucraina. 

Da tempo gli esperti occidentali facevano notare come le varie forze impegnate sui differenti fronti sembrassero non agire in maniera coordinata. Segno evidente della mancanza di un solo centro di supervisione generale. Adesso, secondo una fonte della Bbc, al generale Aleksandr Dvornikov, ex capo del corpo di spedizione in Siria, sarebbe stata assegnata la guida di tutte le truppe in vista della battaglia che dovrebbe portare Mosca a controllare l'intero Sud-Est dell'Ucraina.

Le truppe alle quali era stato affidato il tentativo di conquista di Kiev, poi abortito, e quelle schierate nel Donbass o sulla costa del Mare d'Azov «sembravano competere per ottenere le risorse necessarie, invece di agire in maniera univoca», ha commentato un analista americano parlando con la Cnn. 

«Invece uno dei princìpi della guerra è l'unità del comando, nel senso che una persona deve avere la responsabilità di tutto: deve coordinare gli attacchi, dirigere la logistica, adoperare le forze di riserva, misurare i successi e gli insuccessi delle differenti ali del fronte e, in base a quello che vede, modificare la strategia».

Questa situazione ha portato probabilmente molti generali russi a doversi impegnare direttamente quasi in prima linea per tenere sotto controllo l'azione dei vari reparti. Da qui le fortissime perdite tra gli alti gradi denunciate dagli ucraini che affermano di aver ucciso almeno sei generali russi. 

E la morte in combattimento di un altissimo ufficiale è un evento che di solito è estremamente raro, secondo David Petraeus, ex comandante delle forze statunitensi in Afghanistan e in Iraq nonché ex direttore della Cia. 

Non è del tutto certo che prima di Dvornikov i russi non avessero una guida unica delle operazioni, il cui nome, magari, non era stato rivelato. Nel caso, sostengono gli analisti occidentali, si sarebbe trattato di un comandante non molto efficiente, visti i risultati. 

Dvornikov, sessant'anni, è attualmente alla guida del Distretto militare del Sud, dopo essere stato a capo delle forze in Siria. In quell'occasione i russi adoperarono la cosiddetta «tecnica Grozny», vale a dire bombardamenti massicci e indiscriminati per spianare la strada alle forze di terra mandate poi ad occupare i centri cittadini.

Quella strategia comportò un ampio uso di bombe a grappolo e di armi termobariche, che provocano un alto numero di morti tra i civili. Si teme che lo stesso metodo stia per essere adottato nelle città tenute dall'esercito di Kiev e dai volontari. Il generale, che ha studiato alla prestigiosa accademia Frunze di Mosca, è stato insignito del titolo di Eroe della Russia proprio per la sua attività in Siria.

In vista di quella che dalla prospettiva di Mosca dovrebbe risultare l'offensiva definitiva, i russi continuano a tentare di fermare i rifornimenti di armi alle forze di Kiev. Anche con rinnovate minacce. Ieri è stata la volta dell'ambasciatore negli Usa Anatolij Antonov: «I Paesi occidentali seguitano a rifornire di armi l'Ucraina. Sono azioni provocatorie e pericolose che possono portare gli Stati Uniti e la Russia sulla strada del confronto diretto». Antonov ha detto ancora una volta che i convogli sono considerati «obiettivi militari legittimi». 

Un veterano della Siria al fronte ucraino: Putin chiama Dvornikov. Mauro Indelicato il 9 Aprile 2022 su Il Giornale.

La sua nomina, secondo fonti russe citate dalla Bbc, costituirebbe un "cambio di passo" nella strategia di Mosca in Ucraina.  

Per il momento non ci sono state conferme ufficiali da Mosca, ma stando a diverse fonti occidentali definite “accreditate e affidabili” dalla Bbc, dal Cremlino è arrivato l'ordine del cambio ai vertici della missione in Ucraina. Dai prossimi giorni dovrebbe essere il generale Alexander Dvornikov a guidare i militari russi impegnati in guerra.

Lo sguardo sarebbe caduto su di lui in primo luogo per la sua esperienza in Siria. Dvornikov è infatti indicato come tra i principali veterani dell'operazione condotta da Mosca al fianco dell'esercito siriano a partire dal settembre 2015. Un'operazione che è ancora in corso ma che ha raggiunto il suo principale scopo: mantenere il presidente Bashar Al Assad al potere.

Una missione quindi coronata da successi e che ha permesso ai russi di preservare l'integrità di un governo alleato nella delicata regione mediterranea. Mosca adesso, dopo le gravi perdite subite e dopo il ritiro da Kiev, vorrebbe ricalcare i successi siriani in terra ucraina.

“Dvornikov ha una enorme esperienza derivante dalle operazioni russe in Siria – ha dichiarato una fonte russa alla Bbc – da lui ci aspettiamo un miglioramento nella fase di comando e il controllo generale delle truppe russe in Ucraina”.

E in effetti una delle preoccupazioni più importanti dei russi in questo primo mese e mezzo di guerra ha riguardato proprio la struttura di comando delle operazioni, giudicata troppo dispersiva e poco funzionale. Il numero così elevato di generali morti sul campo non sarebbe casuale. Una volta messo piede in Ucraina, i russi avrebbero eccessivamente “allungato” le linee costringendo molti generali a fare la spola tra il fronte più avanzato e le retrovie.

Questo ha creato, tra le altre cose, una dispersione della catena di comando e una comunicazione tra le linee e i vari reparti giudicata poco funzionare. Dvornikov è quindi stato chiamato per mettere in qualche modo “ordine” all'interno delle truppe.

La sua esperienza in Siria per il Cremlino sarebbe una primaria fonte di garanzia. Qui il generale ha operato per diversi anni ed è stato tra gli artefici dell'organizzazione della macchina militare russa nel Paese mediorientale. Nel marzo 2016, proprio per il suo ruolo in Siria, è stato insignito del titolo di “eroe della federazione russa”.

Un riconoscimento giustificato soprattutto per le sue doti mostrate al comando. La qualità quindi principale richiesta da Putin per un cambio di passo delle operazioni in Ucraina. La nomina di Dvornikov potrebbe essere un segno di come per Mosca adesso è tempo di pensare alla missione in Ucraina come a una guerra.

Un termine censurato in Russia, ma che è stato indubbiamente evocato al Cremlino nel momento di nominare Dvornikov. Un generale che ha già guidato delle truppe in guerra e che ha già fatto una guerra e che adesso deve riorganizzare un esercito che in Ucraina era quasi convinto di non dover combattere.

La missione del generale è molto chiara: accelerare sui piani militari e portare a casa significativi risultati nel Donbass in vista del 9 maggio. Il giorno cioè della parata in ricordo della vittoria militare nella seconda guerra mondiale. Una parata in cui Putin vorrà celebrare almeno un successo.

Domenico Quirico per “la Stampa” il 6 giugno 2022.

Chissà se nell'ufficio di Putin al Cremlino, dopo l'avvio della operazione speciale Ucraina, è stato collocato un enorme tabellone come quello che campeggiava al comando supremo di Cadorna ad Udine, fino a quando i tedeschi non lo fecero traslocare di alcune centinaia di chilometri. 

C'erano impilati i nomi dei generali e dei colonnelli impegnati nella operazione speciale carsica e anti-austrungarica. I nomi erano scritti a matita, come raccontavano tremebondi quelli che erano ammessi alla scrivania del Capo. Il capoufficio della anagrafe ufficialesca spiegava che così era più facile eliminare quelli che erano sottoposti al frenetico movimento quotidiano del «siluramento».

Nell'elenco putiniano l'ultimo nome defunto amministrativamente al servizio della patria è di gran peso, Dvornikov, il normalizzatore, a cannonate della Siria. Gli era stata affidata, due mesi fa, l'operazione Donbass con la raccomandazione di tornare ai cari vecchi metodi delle armate russe, annientare tutto e poi occupare i susseguenti deserti. Metodo in cui lo si voleva giustamente maestro. Rimosso, silurato si dice senza nemmeno due parole, senza spiegazioni. Mosca tace. Brutto segno. Strano.

Al contrario dei colleghi di cui aveva preso il posto, poteva vantare risultati: avanzate frutto di bestiali spallate, resa di Mariupol, esercito ucraino messo alle strette con le cannonate tanto da dover ammettere dopo mesi di propaganda all'insegna di «abbiamo vinto» di essere in serie difficoltà. Il suo marchio di fabbrica, distruggere tutto compresi i civili perché le macerie non oppongono resistenza funzionava, c'era abbastanza materiale in ruderi per soddisfare gli appetiti di vittoria del suo comandante supremo. E invece...

Non si è prestato al siluramento dell'uomo che conquistò Aleppo riducendola in briciole con l'aviazione, il giusto peso. E se fosse l'anticamera di quello scricchiolio che, a orecchie tese, l'Occidente da più di cento giorni spera di avvertire nell'aria primaverile di Mosca, ovvero il tintinnar di sciabole, i mugugni degli alti comandi, ebbene sì il golpe aggiusta tutto? 

Perché questo ci resta, dopo sanzioni e presunte aspirazioni alla rivolta della società civile e malattie a decorso assai lento. A rovesciare lo zar non saranno certo i cosiddetti oligarchi, una minutaglia troppo pavida e interessata per alzar la testa contro il padrone. Meno ancora i servizi di sicurezza, che, da vecchia spia, Putin maneggia come se fossero coltello e forchetta. Restano loro, i generali, che dispongono dell'unico arnese davvero indispensabile per rovesciare governi e tiranni, ovvero i carri armati.

È stato un errore imbastire delle iliadi sui generali russi uccisi in combattimento, traendone vaticini di collasso militare. Diciamo la verità: se i generali cadono in battaglia è un buon segno per la salute dei rispettivi eserciti. Vuol dire che non erano burocrati da scrivania, collezionisti di decorazioni e gradi a sbafo, frequentatori, più che di trincee, di anticamere ministeriali. A mieter vittime in questi stati di servizio sono apoplessie e implacabili tassi di colesterolo.

I generali italiani dei tempi delle guerre mondiali, ad esempio, erano celebri tra gli stati maggiori stranieri soprattutto per l'altissima qualità dei loro cuochi. Gli eserciti in cui muoiono solo dai colonnelli in giù non sono in genere efficienti. Quando i marescialli di Napoleone non risultarono più negli elenchi degli eroi caduti in battaglia accanto ai «grognard» ma solo in quelli di contee e marchesati l'orizzonte del poverino si restrinse rapidamente all'Elba e a Sant' Elena. 

I generali di Putin muoiono perché si arrabattano a comandare reggimenti e battaglioni per gli acciuffamenti quotidiani: già, scarseggiano gli ufficiali intermedi o non sono all'altezza, e quindi con fregi e medaglie devono avanzare anche loro in prima linea a controllare che i macelli si facciano a puntino.

Storia più ricca di seguiti importanti invece è quella dei liquidati, caduti sotto il fuoco implacabile dell'equivalente russo del nostro collocamento a riposo. Che sono ormai un bel gruppo. 

Prendiamo Dvornikov, biografia e faccia interessante, significativa. Un classico militare non inceppato da sentimenti morali, un sinfoniarca del cannone e del plotone di esecuzione, il volto di quei re assiri scolpiti nei bassorilievi di Ninive per cui soldati e civili non erano altro che materiale da gettare nella fornace. A guardarlo in fotografia l'uomo fa paura, ha nello sguardo una specie di vibrazione fredda che mette la tremarella perfino a collaboratori e sottoposti. Sulla «libretta rossa» di questo sessantenne sta scritto un abc tattico in poche parole: annientiamoli tutti.

 Un tipo così lo immaginate, ora, a spasso per i vialetti di San Pietroburgo o del parco Gorki a spettegolare con qualche altro incartapecorito pensionato e rinvangare i bei tempi della Siria? Laggiù ha lavorato soprattutto con le forze speciali e i finti mercenari tipo Wagner. Negli anni passati a eliminare gli oppositori di Bashar assai più che i jihadisti deve aver saldato fedeltà personali con questi centurioni fracassatori e dai mediocri scrupoli. Li può chiamare a raccolta per afferrare il potere. E la Russia di oggi non più quella sovietica dove era il partito che controllava i fucili.

Ci ammaestrano Malaparte che compilò un prontuario per il colpo di stato che, pare, affascinò anche Lenin, e i sudamericani che ne hanno fatto quasi una scienza esatta: il golpista perfetto, efficiente non ha una ideologia o dei sogni politici. Semplicemente lo muovono o il rancore o la paura.

Putin ha commesso forse un errore, non ha applicato la lezione di un maestro forse insuperato in tirannide, Stalin. Il georgiano i generali, anche solo per un sospetto, non li mandava in pensione, li consegnava agli artigli dell'Nkvd e ai sotterranei della Lubianka. Con le «purghe» in un colpo solo furono eternamente collocati a riposo tre marescialli si cinque, tutti gli ammiragli, l'80 per cento dei generali di corpo d'armata e di divisione. Così mancava la materia prima per aspirare a un golpe. Inaridita alle radici.

A vincere la guerra, poi, bastarono qualche superstite e raccomandato come Zukov e Rokossovskij (ammaestrato da galera e percosse). Un colpo di stato è una operazione complicata, soprattutto in un posto come la Russia putiniana, se fallisci l'unica via di uscita è la morte. Il sospettoso Putin, oltre che sul suo fiuto nello scovare i traditori, può puntare su una constatazione: per ammutinarsi occorrono truppe fedeli, i generali da soli non bastano. E forse i soldati russi odiano più i generali, corrotti e incapaci, che lui. 

Dagotraduzione da Daily Mail il 6 giugno 2022.

Il presidente russo Vladimir Putin ha perso due dei suoi comandanti più anziani in un solo giorno in un'imboscata su un ponte nell'Ucraina orientale. Lo ha affermato un gruppo di giornalisti indipendenti che lavorano su entrambi i fronti della guerra. 

La Russia ha confermato la morte del maggiore generale Roman Kutuzov domenica, ma nuovi rapporti di lunedì affermano che il tenente generale Roman Berdnikov è stato ucciso lo stesso giorno in un attacco effettuato dalle forze di Kiev.  

La morte di Kutuzov è stata confermata da Mosca con insolita celerità, un fatto che è stato interpretato come un tentativo di coprire la perdita del 47enne Berdnikov. 

Meno di un mese fa, Berdnikov era comandante della task force delle forze armate russe in Siria ed è stato spostato al comando delle forze di Putin e di quelle della Repubblica popolare di Donetsk [DPR] nel Donbas.

Se la sua morte sarà confermata, sarà il 12° generale ucciso in guerra.

Ciò significherebbe che due dei più alti comandanti russi a Donetsk sono stati eliminati in un colpo solo, un colpo durissimo per Putin.

Sia la notizia della morte di Berdnikov che quella di Kutuzov provengono dal canale Volya Telegram, da giornalisti di guerra indipendenti che lavorano su entrambe i fronti del conflitto.

"La mattina del 5 giugno, il tenente generale Roman Berdnikov, che guidava le truppe russe e le unità della DPR da Donetsk, è partito per un viaggio di lavoro", si legge nel post. "Durante il tragitto, presumibilmente su un ponte, i veicoli sono stati attaccati da un gruppo di sabotaggio e ricognizione ucraino". 

Parte del convoglio è stato "distrutto o immobilizzato", ma alcuni veicoli, "dopo aver subito gravi danni e aver risposto al fuoco, sono riusciti a sfuggire all'imboscata e ad andarsene", si legge nel post.

"Dopodiché, le nostre fonti hanno riferito che Roman Berdnikov è morto nello scontro", continuava il rapporto. "Poco dopo, altre due fonti lo hanno confermato, specificando che altri alti ufficiali potrebbero essere morti durante lo scontro." 

Rapporti successivi sono emersi secondo cui il secondo in comando di Berdnikov, Kutuzov, era morto. Volya ha dichiarato di fidarsi delle sue fonti sul fatto che entrambi i generali siano stati uccisi: Kutuzov su un ponte nella regione di Donetsk, e non nel luogo nella regione di Luhansk specificato nei primi rapporti russi.

"È logico che entrambi viaggiassero nello stesso convoglio ed entrambi siano caduti in un'imboscata", afferma il rapporto. «Una parte del convoglio è riuscita a fuggire. Partiamo dal presupposto che Berdnikov fosse su una delle auto sopravvissute, ma che sia morto durante i bombardamenti. 

«Coloro che sono scampati al fuoco non hanno potuto conoscere la sorte di coloro che sono rimasti sul ponte. Hanno comunicato l'attacco e la morte di Berdnikov al quartier generale mentre quella parte del convoglio è rimasta isolata ed era sotto tiro. 

«E’ diventato subito chiaro che il maggiore generale Kutuzov era tra quelli rimasti sul ponte. E non appena l'esercito russo è arrivato sul campo di battaglia, è stato trovato anche il suo corpo.'

Il rapporto afferma: "Quello che i comandanti russi avevano nelle loro mani [erano] due generali morti, uno dei quali guidava un intero raggruppamento dell'esercito in Siria [fino a maggio], e poi ha svolto un ruolo importante nel comandare l'intero raggruppamento nell'Ucraina orientale.

'Le forze armate russe non avevano ancora perso due generali in un giorno in Ucraina.

'E' chiaro che i 'sabotatori' ucraini non taceranno e parleranno del successo dell'attacco.

"Non sanno che sono riusciti a uccidere anche Berdnikov, perché hanno visto il corpo dell'unico maggiore generale Kutuzov." 

Il canale ha ipotizzato che la Russia abbia annunciato la morte di Kutuzov, nel tentativo di mascherare la perdita del "molto più famoso e importante Berdnikov".

Bernikov, che in precedenza ha prestato servizio in Siberia, è apparso in un video meno di un mese fa, alla parata del Giorno della Vittoria del 9 maggio alla base aerea russa di Hmeimim in Siria. 

Nel video si spiegava: "Soldati e ufficiali delle forze armate russe hanno difeso con onore gli interessi della Russia nella lotta al terrorismo internazionale nella Repubblica araba siriana e durante l'operazione militare speciale in Ucraina, continuando degnamente le tradizioni vittoriose degli eroi in prima linea".

La Russia ha perso generali a un ritmo allarmante, con rapporti non confermati che suggeriscono che l'intelligence occidentale - in particolare quella degli Stati Uniti - ha aiutato l'Ucraina a prendere di mira le figure militari più importanti di Putin in Ucraina. 

Perdere anche due generali in una guerra sarebbe considerato eccessivo nella maggior parte dei conflitti dalla seconda guerra mondiale. Se la morte di Berdnikov sarà confermata, Putin avrà visto uccidere una dozzina di suoi generali.

Inoltre, almeno 49 colonnelli sono stati uccisi finora nella guerra con l'Ucraina.

Ucciso un altro colonnello russo: ecco chi era. Alessandro Ferro su Il Giornale il 29 Maggio 2022.  

Un altro comandante russo è stato ucciso dagli ucraini nella guerra contro Putin entrata ormai nel suo terzo mese: si tratterebbe del tenente colonnello Alexander Dosyagaev, capo del 104esimo reggimento d’assalto aereo. L’annuncio lo ha dato su Facebook direttamente il Dipartimento per le comunicazioni strategiche delle Forze armate ucraine. Si tratta dell'ennesima perdita di un esponente di rilievo dell'esercito di Putin che in quesi mesi ha già perso numerosi generali e colonnelli sorprendendo gli stessi analisti che non si aspettavano un'escalation così negativa.

Chi era Dosyagaev

"Il comandante di un battaglione d'assalto aereo del 104° reggimento d'assalto aereo, il tenente colonnello Alexander Dosyagaev, è diventato un fan VIP delle opere di Kobzon. Alexander ha vinto la nomination 'Fanteria alata' al festival 'Esercito russo 2021', ma questo non lo ha aiutato durante l'incontro con i guerrieri ucraini", si legge nella nota pubblicata dal Dipartimento di Zelensky. All'inizio del mese di maggio, il generale David Petraeus, ex direttore della Cia ed ex comandante del comando centrale degli Stati Uniti, ha affermato che almeno dieci generali russi erano già stati uccisi in Ucraina ma il numero è ancora più alto. Alla fine della nota si legge una certa soddisfazione ucraina per aver eliminato un altro esponente importante per le forze di Putin: "Credi nelle forze armate dell'Ucraina! L'Ucraina vincerà!"

La notizia è stata riportata (stavolta) anche dai media russi come Vk, che ha confermato la scomparsa del colonnello pubblicando alcune foto d'archivio. La morte risalirebbe al 24 maggio anche se ne è stata data notizia soltanto oggi. "Il 24 maggio 2022, durante una battaglia offensiva come parte di un gruppo d'assalto, il comandante del battaglione ha ricevuto ferite multiple incompatibili con la vita", commentano i russi.

La morte dei generali russi

Come detto, quindi, la guerra in Ucraina si sta rivelando fatale per le alte cariche di Mosca che contano almeno 16 generali uccisi oltre numerosi colonnelli e capitani. Il Cremlino non ha mai commentato apertamente queste perdite ma è sempre stato "molto irritato" per numeri impensabili alla vigilia del conflitto. Analizzando le ragioni, ci sono almeno due considerazioni da fare: la tecnologia di comunicazione non ha aiutato, fin qui, più di tanto i soldati russi esponendo anche i loro strateghi ad essere particolarmente esposti all'esercito di casa e poi perché gli stessi soldati, a volte, non sarebbero stati in grado di eseguire gli ordini impartiti costringendo i grandi capi ad andare in prima linea e guidarli.

Lo Stato maggiore ucraino ha appena aggiornato i numeri relativi alle perdite che Kiev ha contato fino ad oggi: come scrive Ukrinform, avrebbero appena superato quota 30mila (30.150) le perdite dei soldati di Putin, 150 nelle ultime 24 ore. Per non parlare dei carri armati, veicoli, razzi, sistemi di guerra antiaerei, elicotteri e navi fin qui distrutti.

Generali russi localizzati e uccisi con l'aiuto degli Usa. Mauro Indelicato il 5 Maggio 2022 su Il Giornale.

L'alto numero di generali russi morti in Ucraina dipenderebbe dall'aiuto dei servizi segreti americani fornito a Kiev.

Una degli elementi più importanti della guerra in Ucraina ha riguardato l'alto numero di generali russi morti sul fronte. Una cifra, stando alle rivelazioni dell'intelligence di Washington e Londra, molto alta. Almeno dodici sarebbero infatti gli alti graduati russi deceduti sul campo di battaglia.

Il motivo di questa situazione è da ricercare, in primo luogo, nell'errata tattica portata avanti da Mosca soprattutto nelle prime settimane di guerra. Fronti troppo lunghi, mancanza di una precisa comunicazione tra i vari reparti, con generali costretti a muoversi tra la posizione più avanzata e le retrovie, hanno rappresentato delle trappole per gli stessi comandi russi.

Ma c'è dell'altro. Al netto infatti di strategie confuse e di errori tattici importanti di un esercito, quale quello di Mosca, che ha sottovalutato la resistenza avversaria, un così alto numero di generali uccisi è dipeso anche da informazioni di intelligence in mano all'Ucraina.

"Uccisi altri due generali": continua la caccia di Kiev agli ufficiali russi

Kiev, in particolare, ha avuto modo in queste settimane di sapere e conoscere gli spostamenti dei generali e di personalità importanti dell'esercito russo. Lo si è visto di recente con il caso di Valery Gerasimov, capo di stato maggiore dell'esercito di Mosca. La scorsa settimana si era diffusa la notizia di un suo ferimento a Izyum, località strategica attigua Donbass conquistata dai russi il mese scorso.

La notizia non era vera, ma è stata realmente tuttavia accertata la sua presenza sul terreno. Con gli ucraini che hanno colpito un posto di comando russo nell'area attorno Izyum. Kiev era dunque a conoscenza degli spostamenti di Gerasimov e delle sue sortite in territorio ucraino.

"È stato ferito". Qual è la verità su Gerasimov

Un'informazione del genere è possibile averla solo grazie a una dettagliata attività di intelligence. I sospetti sono stati in parte confermati nelle scorse ore su un articolo del New York Times. In particolare, secondo il quotidiano della grande mela i servizi segreti Usa avrebbero aiutato gli ucraini a conoscere la posizione di molti generali, permettendo quindi alle forze locali di colpirli in più occasioni.

In poche parole, non è affatto un caso che sul campo di battaglia siano morti più di dieci generali. Un numero veramente alto e che dal 24 febbraio, giorno di inizio della guerra, preoccupa e non poco gli alti comandi di Mosca.

Funzionari della Difesa Usa al New York Times hanno specificato che i servizi segreti degli Stati Uniti sono in grado di sapere con diversi giorni di anticipo gli spostamenti dei graduati dell'esercito di Mosca. Le informazioni sono state quindi costantemente girate a Kiev, le cui truppe hanno potuto individuare e colpire molti dei generali poi uccisi.

Per la Russia si tratta di un doppio smacco. Non solo infatti l'esercito lamenta la morte di tanti graduati, ma evidentemente il Cremlino deve fare i conti con un'intelligence avversaria in grado di avere informazioni riservate e delicate circa le attività delle proprie truppe. Talpe interne e documenti riservati non così ben nascosti potrebbero turbare i sonni degli alti comandi di Mosca. Un'insidia in più in una guerra che per il momento per la Russia sta riservando più insidie del previsto.

Da leggo.it il 27 marzo 2022.

Putin perde un altro generale nel trentaduesimo giorno di guerra in Ucraina. Il generale russo Yakov Rezantsev, 48 anni, è stato ucciso in un attacco vicino alla città meridionale ucraina di Kherson. 

La conferma dell’uccisione è arrivata dal ministero ucraino della Difesa citato dalla Bbc. Secondo una fonte occidentale si tratterebbe del settimo generale dell’esercito russo rimasto ucciso in Ucraina.

Il militare 48enne era il comandante della 49esima armata combinata del distretto militare meridionale, e il quarto giorno dell'invasione avrebbe detto ai suoi soldati che la loro campagna di "smilitarizzazione e denazificazione" dell'Ucraina sarebbe stata vittoriosa nel giro di poche ore, secondo alcune comunicazioni intercettate rilasciate dall'esercito di Kiev.

Le soffiate degli 007 americani dietro l’uccisione dei generali di Vladimir Putin. Paolo Mastrolilli su La Repubblica il 6 Maggio 2022.

Le rivelazioni del New York Times sul ruolo dell’intelligence Usa nel conflitto in Ucraina: presi di mira 12 alti ufficiali del Cremlino.

C'è l'intelligence americana, dietro all'uccisione di una dozzina di generali russi in Ucraina. La rivelazione del New York Times non sorprende più di tanto, perché era chiaro che l'assistenza militare fornita da Washington a Kiev includesse le informazioni raccolte dai servizi segreti sugli spostamenti delle truppe di Mosca. Quello che colpisce invece è la volontà degli Usa di farlo sapere, perché nonostante le dichiarazioni della Casa Bianca per ridimensionare il proprio ruolo nella morte degli alti ufficiali russi, è presumibile che le varie fonti ufficiali citate dal Times non abbiano parlato solo per iniziativa personale.

Lo scoop del New York Times. La Cia ha fatto uccidere 12 generali russi, la guerra in Ucraina a rischio escalation. Piero Sansonetti su Il Riformista il 6 Maggio 2022. 

Il New York Times ha rivelato che l’uccisione di ben 12 generali russi durante questi due mesi di guerra è opera degli agenti segreti americani. Diciamo della Cia. È stata la Cia a scovarli e a dare all’esercito ucraino le indicazioni necessarie per colpirli. La Casa Bianca ha reagito immediatamente, ma non per smentire la notizia, al contrario per accusare il quotidiano di “irresponsabilità”, e dunque, di fatto, confermando lo scoop. Naturalmente la rivelazione del Nyt non è un dettaglio ma ha conseguenze enormi.

Se son stati gli americani a pianificare e realizzare gli attacchi ai massimi vertici militari russi, è chiaro che di fatto gli Stati Uniti possono essere considerati in guerra. Gli aiuti concessi a Kiev non hanno più niente a che fare con l’azione di difesa. Mosca ha accolto la notizia con una certa prudenza, perché anche per i russi prendere atto del fatto che l’America è entrata in guerra sarebbe un passo molto pericoloso. Che potrebbe rendere inevitabile una escalation dagli effetti imprevedibili. Perciò il Cremlino invece di replicare direttamente all’attacco americano si è limitato a rilanciare una propria provocazione, simulando un attacco nucleare all’Ucraina con bombe atomiche tattiche.

Chiaro che la tensione è sempre più alta e che Washington e Mosca fanno, ciascuno per la sua parte, tutto il possibile per incendiare il clima e allontanare il rischio delle trattative. La pace sembra sempre più lontana e non interessare nessuno. Qualche ammaccatura la rimedia anche la libertà di stampa. In alcuni paesi, come l‘America, la libertà di stampa ancora esiste (da noi un po’ meno…) tanto che il Nyt smaschera la Cia. Però fa una certa paura l’intervento a gamba tesa della Casa Bianca, che in modo evidente intima al quotidiano di New York di sospendere le sue denunce.

Piero Sansonetti. Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.

Lo specchio dei Times. Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 6 Maggio 2022.

Contrariamente a quanto trovate scritto anche sul nostro giornale, è del tutto improbabile che il New York Times abbia rivelato un segreto militare (l’intelligence americana aiuta gli ucraini a localizzare i generali russi da colpire), provocando le ire di Biden e del Pentagono. Certi lussi possono concederseli soltanto le democrazie, mentre ogni giorno ci viene ampiamente ricordato da fior di democraticissimi postfascisti e poststalinisti che gli Stati Uniti sono un regime liberticida. Non essendoci, secondo costoro, alcuna differenza sostanziale tra la Casa Bianca e il Cremlino, se il New York Times avesse davvero pubblicato una notizia scomoda per il governo, il suo direttore Dean Baquet sarebbe già agli arresti o alle prese con la difficile digestione di un hamburger al polonio, mentre è stato visto aggirarsi tranquillamente tra i talk show come un Santoro qualsiasi. Anche il furibondo scontro in materia di aborto tra la Corte Suprema e il Presidente suonerà a certi orecchi come una fandonia palese, dal momento che nella dittatura gemella, quella di Putin, se un giudice osasse contraddire il suo Presidente rischierebbe di finire denazificato in un gulag. 

Possiamo onestamente immaginare che negli Stati Uniti le cose vadano diversamente? Perché se così fosse, e se il New York Times avesse davvero pubblicato quell’articolo, significherebbe che le libertà, per quanto «borghesi» e formali, da qualche parte esistono ancora e non fanno nemmeno poi così schifo.

Giuseppe Sarcina per il “Corriere della Sera” il 6 maggio 2022.

Il New York Times rivela che l'intelligence americana ha aiutato gli ucraini a localizzare e a uccidere i generali russi sui campi di battaglia. L'esercito di Kiev, scrive il quotidiano, «ne avrebbe eliminati circa 12». La Casa Bianca reagisce con durezza.

Adrienne Watson, la portavoce del Consiglio di sicurezza guidato da Jake Sullivan, ha dichiarato: «È da irresponsabili scrivere queste cose; gli Stati Uniti forniscono informazioni per aiutare gli ucraini a difendere il loro Paese, non con l'obiettivo di uccidere i generali russi».

In serata è intervenuto anche John Kirby, portavoce del Pentagono: «Il governo ucraino dispone già di proprie informazioni sul terreno che mette insieme con le nostre e con quelle in arrivo da altri partner; noi non abbiamo alcun ruolo nell'identificazione degli obiettivi». Il New York Times ha poi precisato che i rapporti dell'intelligence Usa «individuavano i comandi mobili dei russi sul terreno», senza indicare i generali come possibile bersaglio. Come dire: la responsabilità delle azioni militari ricade interamente sugli ucraini.

Ma tutta la vicenda lascia molti dubbi. Fin dall'inizio della crisi, prima ancora dell'invasione, il 24 febbraio, l'Amministrazione Biden aveva scelto di condividere non solo con i governi alleati, ma anche con l'opinione pubblica le notizie raccolte dai servizi segreti.

E ancora martedì scorso, in un'audizione al Senato, il capo di Stato Maggiore, il generale Mark Milley, aveva detto ai parlamentari: «il Pentagono ha aperto i rubinetti; abbiamo passato informazioni importanti a Kiev». Nei primi giorni della guerra, per esempio, gli americani avevano avvertito il comando ucraino che le truppe speciali russe si sarebbero paracadutate all'aeroporto di Hostomel, vicino alla capitale, per tentare di catturare il presidente Volodymyr Zelensky. Che cosa è cambiato allora? 

Nelle ultime settimane Joe Biden ha aumentato in modo esponenziale la fornitura di armi, chiedendo al Congresso di stanziare altri 20 miliardi di dollari. Nello stesso tempo il segretario alla Difesa, Lloyd Austin, ha fatto sapere che l'obiettivo degli Stati Uniti è «indebolire la Russia al punto che non possa più aggredire altri Paesi». Finora, la diffusione delle notizie riservate faceva parte di questa strategia.

Ma, evidentemente, le cose sono andate troppo in là. Il segnale di allarme è arrivato nel fine settimana, quando il generale Valery Gerasimov, appena nominato comandante in capo da Vladimir Putin, è sfuggito a un blitz degli ucraini. Casa Bianca e Pentagono hanno subito preso le distanze dall'operazione. Biden non vuole essere accusato di fomentare l'allargamento del conflitto e il coinvolgimento sempre più diretto degli Stati Uniti. In questo senso l'uccisione dei capi militari equivarrebbe all'istituzione della «no-fly zone» sui cieli dell'Ucraina.

Le sfumature Sono sfumature che sembrano difficile conciliare con quella che è la strategia complessiva: appoggiare la resistenza ucraina fino alla vittoria. Nel Congresso, in particolare, cresce la spinta per spazzare via quelle che sono percepite come «ambiguità». Ma Biden resiste: gli Stati Uniti non stanno facendo una «proxy war», una guerra per procura contro Putin.

G. Sar. per il “Corriere della Sera” il 6 maggio 2022. 

Biden «ha aumentato il suo impegno in Ucraina, ma vuole a tutti i costi evitare un'escalation. Probabilmente per questo la Casa Bianca ha reagito così duramente con il New York Times ». È un problema soprattutto politico, osserva Charles Kupchan, 63 anni, già consigliere di Barack Obama e oggi, tra l'altro, docente di Relazioni internazionali alla Georgetown University di Washington.

L'attacco dell'Amministrazione al «New York Times» segnala un cambiamento di strategia? Finora il governo Biden ha diffuso i report dell'intelligence...

«Non so se sia un cambio strutturale. Però siamo in una fase molto pericolosa della guerra. Ci stiamo avvicinando al 9 maggio, quando la Russia celebrerà la vittoria della Seconda guerra mondiale. Qui a Washington ci aspettiamo che Putin possa annunciare qualcosa di clamoroso, per esempio l'annessione del Donbass, oppure la mobilitazione di altre truppe. Insomma, c'è il potenziale per un'ulteriore escalation».

E quindi la Casa Bianca è più prudente?

«Probabilmente ritiene che quell'articolo, scritto in quei termini, cioè con l'affermazione che il governo americano avrebbe aiutato gli ucraini a eliminare i generali russi, possa diventare un ostacolo per prevenire l'ulteriore escalation». 

Ma non pensa che gli Stati Uniti si siano già spinti molto in avanti?

«Gli Usa e gli alleati hanno aumentato la consegna di armi, dopo aver visto quanto l'esercito ucraino sia stato capace di respingere l'iniziale avanzata russa. Sappiamo, e lo sa anche Putin naturalmente, che gli americani stanno fornendo armi, sostegno economico e anche informazioni di intelligence. Tuttavia credo che l'impegno iniziale a evitare l'allargamento della guerra rimanga intatto. Biden non vuole mandare soldati a combattere sul campo, non vuole istituire la "no-fly zone"».Non è una posizione che sta diventando sempre più ambigua?

«La Casa Bianca deve reggere anche la pressione politica del Congresso. Nancy Pelosi è andata a Kiev e ha parlato di "vittoria". A questo punto penso che Biden dovrebbe avere un confronto con gli alleati e con gli ucraini per stabilire quali siano gli obiettivi della guerra. Perché ora non lo sappiamo».

I 12 generali russi uccisi: mai tanti caduti dai tempi di Stalingrado. Michele Farina su Il Corriere della Sera il 5 Maggio 2022.

Il primo era un fedelissimo del dittatore ceceno Kadyrov, l’ultimo un esperto di cyber war. Il confronto con gli alti ufficiali americani morti in Vietnam: 9 in vent’anni di guerra.  

Il primo è caduto nell’imboscata a una colonna di carri armati verso Kiev: Magomed Tushayev era un fedelissimo del dittatore Ramzan Kadyrov in Cecenia, dove aveva fama di «persecutore di omosessuali». L’ultimo è stato ucciso il 2 maggio vicino a Izyum, in una scuola diventata comando avanzato della Seconda Armata in Donbass: Andrei Simonov, 55 anni, esperto di cyber war, ha perso la vita quando missili ucraini hanno centrato un convoglio di 30 mezzi corazzati; l’obiettivo principale del blitz era la missione in prima linea di Valery Gerasimov, massimo comandante russo; il «mascellone» che compare accanto a Vladimir Putin al Cremlino aveva appena lasciato la scuola. Tra il primo e l’ultimo, una decina di altri generali russi sono morti nell’«operazione speciale». «È quasi finita», aveva assicurato il comandante della 49ma armata Yakov Rezantsev alle sue truppe a fine febbraio. Per lui tutto è finito un mese dopo, quando il generale a due stelle è saltato in aria in un raid dell’artiglieria ucraina nei pressi dell’aeroporto di Kherson.

Seconda guerra mondiale

Per ritrovare una moria di alti ufficiali come questa, bisogna tornare indietro di 80 anni: durante la Seconda guerra mondiale, circa 235 generali sovietici morirono in combattimento secondo i dati raccolti dallo storico Aleksander Maslov. Ma anche nel periodo peggiore, dal giugno 1941 al novembre 1942 quando l’Armata Rossa circondò la Wehrmacht a Stalingrado, la media delle perdite tra gli alti gradi mandati da Mosca fu di sei al mese. Più o meno le cifre di oggi.

Il paragone con l’Afghanistan

Gli americani in vent’anni di conflitto in Vietnam persero nove generali, la maggior parte a bordo di elicotteri abbattuti dal nemico. E persino nell’occupazione dell’Afghanistan, cominciata nel 1979, l’Urss contò nei primi sei mesi non più di sei generali morti. In Ucraina i russi possono affidarsi alle moderne comunicazioni criptate delle radio Azart, ma il problema è che non hanno abbastanza apparecchi. E per anni la Cia ha addestrato i paramilitari ucraini sul fronte del Donbass (compresi i cecchini) a intercettare il nemico. Il maggiore generale Andrei Sukhovetsky, 48 anni, pluridecorato paracadutista, è stato ucciso dal proiettile di un tiratore scelto a Hostomel, fuori Kiev, quattro giorni dopo l’inizio dei combattimenti. La sua morte è stata certificata ai funerali, nella città portuale di Novorossiysk sul Mar Nero. Il vice sindaco ha detto che Sukhovetsky «è morto da eroe». Altre conferme sono indirette: la scomparsa di Vitaly Gerasimov, comandante della 41ma Armata, era stata annunciata dall’intelligence di Kiev a inizio marzo. Pochi giorni dopo una conversazione tra agenti dei servizi di sicurezza russi, intercettata e resa pubblica, ha provato la morte del loro superiore, già veterano di molte campagne dalla Cecenia alla Siria, passando per l’annessione della Crimea nel 2014.

Bersagli

Il generale Oleg Mytyaev , 46 anni, anch’egli veterano della Siria, è stato ucciso a Mariupol, dopo che le forze ucraine avevano intercettato una comunicazione che lo localizzava. I russi sul campo si ritrovano spesso a usare i telefonini, rendendo più agevole l’individuazione di «bersagli grossi». Ufficialmente le autorità di Mosca non hanno mai fatto parola di queste perdite, che testimoniano le difficoltà incontrate sul terreno dall’armata di Putin. Ma forse al Cremlino non deve dispiacere troppo se queste notizie filtrano alla popolazione. Come dire: vedete, non muoiono soltanto i coscritti; anche i generali sono in prima linea e sacrificano la vita con i loro soldati.

Alexander Chirva, morto tra atroci sofferenze il comandante russo: battaglia navale, altro colpo ucraino. Libero Quotidiano il 18 aprile 2022.

Un altro durissimo colpo per le forze di Mosca e per Vladimir Putin. Come se l'affondamento dell'incrociatore Moskva nel Mar Nero, un caso avvolto ancora da un inquietante mistero soprattutto per quel che riguarda il vero numero delle vittime (potrebbero essere più di 500). Si apprende infatti che la Flotta di Mosca perde anche uno degli ufficiali più alti in grado in assoluto.

Oggi, lunedì 18 aprile, è infatti morto il comandante della nave da sbarco russa "Caesar Kunikov", Alexander Chirva. A darne la notizia su Telegram il governatore di Sebastopoli, Mikhail Razvozhayev. Il capitano della nave, che faceva parte della 197esima brigata da sbarco della flotta russa del Mar Nero, si apprende essere morto a causa delle ferite riportate lo scorso 24 marzo, verosimilmente nell'attacco alla Saratova, altra nave da sbarco russa distrutta dalla resistenza ucraina.

In quell'occasione la "Casera Kunikov" e la sua nave gemella, la "Novocherkassk", erano state avvistate mentre salpavano insieme dal porto di Berdiansk. Successivamente, in una fotografia, la Kunikov - nave in grado di trasportare tank e reparti di fanteria - era stata ritratta in fiamme, alla deriva. Chirva, si suppone, è stato ferito a morte in quell'occasione ed è deceduto nelle ultime ore dopo un'agonia durata più di 25 giorni. Chirva era capitano di terzo grado, nato a Sebastopoli, in Crimea. Nel suo passato anche la Siria, dove aveva combattuto nel biennio 2015-2016.

Vladimir Frolov, ucciso l'ottavo generale russo: "Un sacrificio eroico", voci misteriose sulla sua morte. Libero Quotidiano il 16 aprile 2022.

Un altro generale russo è morto sul campo in Ucraina: si chiamava Vladmir Petrovich Frolov ed era vice comandante dell'ottava armata del distretto meridionale. Lo ha riferito l'ufficio stampa del governatore di San Pietroburgo Alexander Beglov, il quale poi ha spiegato che Frolov è stato sepolto oggi in città. Le circostanze della sua morte, in ogni caso, non sono state chiarite. 

Nel discorso tenuto al funerale, Beglov ha detto che Frolov "è morto in maniera eroica sul campo di battaglia con i nazionalisti ucraini" e che "ha sacrificato la sua vita in modo che i bambini, le donne e gli anziani del Donbass non potessero più sentire le esplosioni delle bombe". Parole in linea con quello che è lo scopo (solo apparente) dell'operazione speciale in Ucraina secondo Putin: liberare il Paese dai neonazisti.  

Stando a quanto afferma l'Ucraina, finora sarebbero otto i generali russi morti in battaglia. Diversa la versione di Mosca, che invece - oltre a Frolov - avrebbe confermato solo la morte del maggiore generale Andrei Sukhovetsky. Se i caduti fossero davvero otto, però, si tratterebbe di un numero elevato e inusuale, visto che in genere i ranghi militari più importanti non combattono in prima linea. In ogni caso, stando ad alcune teorie, generali e comandanti russi sarebbero stati costretti a scendere in campo per via della scarsa preparazione degli altri soldati. O forse di mezzo ci sarebbero le falle nei sistemi di comunicazione tra i russi.  

Alexander Bespalov ucciso in Ucraina. Vladimir Putin perde il suo nono colonnello. Libero Quotidiano il 09 aprile 2022.

Un altro duro colpo è stato inferto dalla resistenza ucraina all'esercito di Vladimir Putin che ha perso il suo nono colonnello in battaglia da quando ha invaso l'Ucraina a febbraio. Venerdì 8 aprile, infatti, si è tenuto il funerale del colonnello Alexander Bespalov nella città russa chiusa di Ozersk, secondo un annuncio locale riportato dal Daily Mail, che comunica che l'alto militare è stato ucciso "durante l'operazione militare speciale in Ucraina", il termine usato da Mosca per evitare di dire "guerra". 

Bespalov era il comandante del 59esimo reggimento della forza armata russa ed è l’ultimo alto ufficiale militare russo a essere ucciso dalla resistenza ucraina. Come si può notare dall'unica foto che circola di lui, Bespalov era pluri-decorato, con due file di medaglie blasonate sul petto. I tributi al comandante sono stati condivisi con l'annuncio che è stato pubblicato sulla bacheca locale chiamata "Overheard Novogorny", una piccola città vicino a Ozersk. 

Da allora l'annuncio del suo funerale è stato cancellato. Ozersk peraltro è una città russa "chius"a, il che significa che i viaggi in entrata e in uscita sono fortemente limitati. Nome in codice Città 40, Ozersk è stata la culla del programma di armi nucleari sovietiche dopo la seconda guerra mondiale.

Nel tributo della sorella si leggeva: "È impossibile esprimere a parole il dolore che si prova quando perdi una persona cara", ha scritto Tatyana Karsakova. "Caro fratello, sarai sempre vivo nei nostri cuori". 

Muore l’ottavo comandante di Putin: chi era Denis Kurilo. Alessandro Ferro su Il Giornale il 30 marzo 2022.

L'esercito russo continua a perdere pezzi tra i suoi condottieri: due battaglioni russi e gruppi tattici (Btg) sono stati distrutti nelle battaglie vicino a Kharkiv dove ha perso la vita il comandante della 200esimama brigata di fucilieri a motore, il colonnello Denis Kurilo. Come fa sapere lo Stato maggiore ucraino, soltanto in questa brigata le perdite sono state di oltre 1.500 soldati. Kurilo è l'ottavo ufficiale russo morto da quando è iniziata la guerra in Ucraina, colui il quale ha la funzione di comando sull'unitià militare che gli è stata assegnata.

Chi era il comandante

L'agenzia di stampa ucraina Unian.net ha condiviso una foto del comandante con una croce rossa su di lui a indicarne la morte. La 200esima brigata da lui condotta era considerata come una delle unità da combattimento più "d'élite" dell'esercito russo e si diceva fosse equipaggiata con le armi più moderne che la Russia avesse nel suo inventario. I soldati russi, sempre più ridotti ai minimi termini e con la perdita di ufficiali di alto rango, hanno il morale a pezzi e accusano mancanza di cibo e carburante oltre all'allarme "rasputitsa", le condizioni fangose dovute alla pioggia e allo scioglimento della neve che rallentano il cammino dei mezzi di combattimento, soprattutto quelli in gomma ma anche i carri armati.

Le perdite dei leader russi

Nel linguaggio militare, ormai lo sappiamo, sono svariate le figure che ricoprono posti di comando. Kurilo fa parte dei comandanti ma sono state anche le numerose perdite di generali a mettere a repentaglio l'intera operazione di Putin. Come abbiamo visto sul Giornale.it, l'ultimo generale russo ucciso dagli ucraini è stato il 48enne Yakov Rezantsev, comandante della 49esima armata del distretto militare meridionale. La sua morte, unita a quella di Kurilo, significa che l'esercito russo ha perso l'incredibile cifra di 8 generali uccisi in azione, 9 generali arrestati, 14 colonnelli uccisi in combattimento oltre a 15 tenenti colonnelli e un vice comandante ucciso come viene riportato dal giornale militare specializzato Sofrep.

Prima di Rezantsev, appena cinque giorni prima, era stato il turno di Andrei Mordvichev, comandante dell'ottava Armata del Distretto Militare meridionale delle Forze armate della federazione russa, quinto generale a morire per mano ucraina ucciso da colpi di artiglieria nella città di Chernobayevka, nei pressi di Kherson. Il nome di Mordvichev si era aggiunto a quello di altri quattro generali di lungo corso: si tratta di Vitaly Gerasimov, Andrei Kolesnikov, Oleg Mityaev e Andrei Sukhovetsky, tutti veterani delle guerre combattute negli ultimi trent'anni dalla Federazione russa contro Cecenia, Georgia, Siria e Donbass.

Guerra Ucraina, generale russo ucciso dall'esercito ucraino. Ai soldati diceva: "In poche ore vinciamo". Il Tempo il 27 marzo 2022.

Un altro generale russo ucciso dall'L'esercito ucraino. Kiev lo annuncia ma Mosca non conferma: si tratterebbe di Yakov Rezantsev, caduto in un attacco in un aeroporto vicino a Kherson, in una zona di pesanti combattimenti. Il militare 48enne era il comandante della 49esima armata combinata del distretto militare meridionale, e - secondo alcune comunicazioni intercettate rilasciate dall'esercito di Kiev - il quarto giorno dell'invasione aveva rassicurato i suoi soldati che la loro campagna di "smilitarizzazione e denazificazione" dell'Ucraina sarebbe stata vittoriosa nel giro di poche ore.

All'inizio di questa settimana - riporta il Times - era stata resa pubblica una telefonata tra un soldato russo demoralizzato e il suo ufficiale in comando, con il primo che dipingeva un quadro desolante della vita in prima linea, dicendo che la sua unità era addirittura finita sotto fuoco amico e che metà delle sue forze avevano i piedi congelati. "Rezantsev è al comando qui", raccontava il soldato nell'audio pubblicato. "Sai cosa ci ha detto? Non è un segreto che mancano solo poche ore alla fine di questa operazione speciale. Stiamo ancora contando quelle ore".

Così la lista delle pesanti perdite russe si allunga. Si tratterebbe del sesto generale russo ucciso in Ucraina dall'inizio della guerra il 24 febbraio, secondo Kiev che finora ha rivendicato l'uccisione dei generali Andrei Sukhovetsky, Andrei Kolesnikov, Vitali Guerassimov, Oleg Mitiayev e Andrei Mordvichev. La Russia però ha finora confermato solo la morte in Ucraina del generale Sukhovetsky, vice comandante della 41a armata e che aveva prestato servizio in Siria nel 2018-19, nonché del numero due della flotta del Mar Nero, il capitano Andrei Palii.

"Reclute spedite in guerra alla cieca, come me". Matteo Sacchi il 26 Marzo 2022 su Il Giornale.

Lo scrittore russo: "Ero di leva: mi hanno sequestrato i documenti e mandato in Cecenia".

Nicolai Lilin, classe 1980, è la «voce» russa forse più conosciuta in Italia. È diventato famoso con i suoi romanzi, a partire da Educazione siberiana (trasformato in film da Gabriele Salvatores), Caduta libera e il Respiro del buio. Raccontano la sua giovinezza criminale in Transnistria, il suo arruolamento nell'esercito russo per la Seconda guerra cecena e il difficile reinserimento a Bender, la sua città d'origine. Lilin però è anche tatuatore e disegnatore, le sue opere reinterpretano l'antica iconografia della malavita siberiana, una società criminale ma anche di opposizione al regime comunista. E tra i suoi libri c'è una biografia per niente autorizzata del presidente russo, appena ripubblicata con un capitolo aggiuntivo sull'Ucraina: Putin. L'ultimo zar (Piemme). Abbiamo incontrato Lilin mentre presentava alcune delle sue ultime opere artistiche, realizzate con la Originale Multiplo, su Tesory Channel. 

Nicolai Lilin, lei ha avuto un'esperienza militare terribile nella Seconda guerra cecena. 

«Sono stato chiamato per il servizio militare, mi sono presentato per cercare di spiegare che volevo rinviarlo di qualche mese. Nonostante non avessi avuto una educazione regolare e avessi precedenti criminali volevo trovare il modo di dedicarmi alla mia passione, il disegno... Mi hanno detto: Non preoccuparti entra entra, ci pensiamo noi. Poi mi hanno sequestrato i documenti e chiuso in una stanza. Sono uscito da lì con altri coscritti che sono arrivati solo per essere caricati su un mezzo ed essere spediti in un gigantesco campo di addestramento vicino a Mosca... Dopo tre mesi ho capito che sarei stato inserito nelle forze speciali. Ho cercato di scappare due volte. Mi hanno ripreso e il mio capitano mi ha fatto fare un giro in una prigione militare... Ho deciso che meglio qualunque cosa che finire là dentro. Poi hanno iniziato a parlarci di esercitazioni, ma ad addestrarci è arrivato un signore ceceno ed è proprio là che siamo finiti». 

Quindi quando si parla di soldati di leva mandati in Ucraina senza sapere è credibile... 

«Certo. Il modello di esercito professionale provato in Siria secondo me è fallito e questo conflitto è anche un modo di addestrare a prezzo di altissime perdite un gran numero di personale. Alla fine hanno fatto così anche con la Cecenia. Mandano i giovani con una percentuale di soldati esperti che gli insegnino il mestiere... Spietato ma funzionale». 

Molti parlano di un ritorno sovietico di Putin... Lei no. 

«Il modello a cui si rifà è un modello imperiale, messianico, il suo modello è Alessandro III. Forse all'inizio ha pensato di avvicinarsi alle democrazie occidentali, non certo a un vero Stato liberale, ma si muoveva in quel senso. Poi ha prevalso l'idea di tornare all'Impero, si è trasformato quasi in un personaggio shakespeariano». 

Una sorpresa per l'Occidente. 

«Non abbiamo voluto guardare. Il percorso era chiaro. E quanto all'Ucraina, Putin ha mandato un sacco di segnali. Io sono per la condanna netta di qualsiasi aggressione. Chi mette solo lo stivale di un suo soldato in un'altra nazione ha torto. Però bisogna essere onesti: l'Occidente non si è occupato del fatto se i protocolli di Minsk venissero rispettati o no. E non si può fingere che in Ucraina non ci siano neonazisti. Anche il modo in cui Zelensky, che è ebreo, è stato accolto in Israele è indicativo. Ora purtroppo siamo a questo punto e mandare armi per me non è la soluzione...». 

Qual è allora? 

«La diplomazia. La sola soluzione passa dalla trattativa ed in questo senso l'Europa deve trovare un ruolo. Doveva trovarlo anche prima» 

In Russia c'è chi si ribella a Putin. Nei suoi libri la ribellione è un tema forte... 

«A partire da Tolstoj, tutta la letteratura russa è caratterizzata da questa dualità tra regime e desiderio di libertà. Non solo la donna che abbiamo visto con il cartello in televisione. Sono moltissimi quelli che non la penseranno come Putin. E i più dovranno pensarlo in silenzio. Ma non si può pensare che Putin cada per una rivoluzione, i russi hanno già provato le rivoluzioni e temono più di tutto il caos. Se ci sarà un cambiamento partirà all'interno del sistema». 

E gli oligarchi ribelli? 

«Dipendono dalle sue concessioni. Non sono come i capitalisti occidentali, Non sono come Elon Musk che è per molti versi un oligarca ma deve i soldi a se stesso. Putin li usa come portafogli per mettere dei soldi. Il portafoglio si rompe? Tu lo cambi».

Antonio Palma per fanpage.it il 25 marzo 2022.

Si infittisce ancora di più il mistero della sorte del ministro della difesa russo Sergei Shoigu, sparito improvvisamente nel nulla da circa due settimane dopo essere stato al centro dell'attenzione mediatica di Mosca a seguito dell'attacco all'Ucraina e della guerra.

Scomparso da ogni trasmissione o video pubblico, Shoigu è riapparso giovedì, dopo 13 giorni, durante un briefing in video conferenza con Putin e altri dirigenti russi. 

Un'apparizione che però invece di fugare i dubbi emersi in questi giorni, ne ha aggiunti altri visto che Shoigu è apparso per pochissimi secondi seduto in un angolino di un ufficio sconosciuto per poi sparire di nuovo improvvisamente. Il ministro ha fatto in tempo ad alzare la mano confermano che non si trattava di una foto ma l'audio non era attivo e poi il video è rimasto nero e non è escluso che potesse trattarsi di un video preregistrato.

Secondo il Cremlino, durante la teleconferenza con Putin di giovedì Shoigu, ha riferito delle operazioni militari in Ucraina, spiegando al presidente russo "i progressi nell'operazione militare speciale e gli sforzi compiuti dai militari per fornire aiuti umanitari, garantire la sicurezza e ripristinare le infrastrutture vitali su i territori liberati”. 

Affermazioni che però non hanno placato le voci di un allontanamento forzato di Shoigu da parte dello stesso Putin proprio per l'andamento della guerra. A gettare acqua sul fuoco delle voci incontrollate sulla sorte di Shoigu ci aveva provato in precedenza anche il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov. 

A chi gli chiedeva che fine avesse fatto il ministro in un momento tanto delicato per il paese, Peskov ha affermato semplicemente che  "Il ministro della Difesa ha molto si cui occuparsi in questo momento". “È in corso un'operazione militare speciale. Certamente, ora non è proprio il momento giusto per le attività mediatiche. Questo è abbastanza comprensibile” ha sostenuto Peskov.

Secondo l'informazione di opposizione russa, molto probabilmente, la riunione del Consiglio di sicurezza ha avuto luogo, ma Shoigu non c'era e a sua immagine è stata semplicemente montata. Altre fonti sostengono che sia malato di cuore e che la situazione abbia aggravato il suo stato di salute.

Non è escluso però che lo stesso Putin lo abbia allontanato, sia perché potrebbe essersi sentito minacciato da un uomo che ha l'appoggio dell'esercito sia per la  guerra in Ucraina che si è prolungata oltre il previsto . Del resto il Presidente russo non è nuovo a simili gesti e  già nelle settimane scorse aveva umiliato pubblicamente il capo dei servizi segreti esteri del paese, Sergei Naryshkin, durante un incontro televisivo sul destino dei territori del Donbass controllati dalla Russia nell'Ucraina orientale.

Dal “Corriere della Sera” il 27 marzo 2022.  

Dopo un'assenza di 12 giorni che aveva dato adito ad ogni sorta di congetture sulla sua sorte, il ministro della Difesa russo Sergei Shoigu è riapparso in immagini diffuse dalla televisione. Ma ciò ancora non basta a fugare tutti i dubbi, mentre il governo ucraino parla di un infarto che lo avrebbe colpito di recente.

Nel video non è indicata alcuna data, ma a far pensare che si tratti di una registrazione delle ultime ore è il fatto che il ministro fa riferimento ad un incontro avuto al dicastero delle Finanze venerdì. Shoigu afferma che gli ordini e le consegne avvengono secondo il programma, «nonostante le difficoltà del momento» dovute alle sanzioni imposte dall'Occidente alla Russia per la sua azione militare in Ucraina.

Marco Ventura per “il Messaggero” il 27 marzo 2022.

Compare, scompare e ricompare il ministro della Difesa, Sergei Shoigu. Ieri per la prima volta dopo ben quindici giorni lontano dai media, lo strettissimo collaboratore e amico del presidente Putin, col quale va pure a caccia e pesca in Siberia, si materializza in un video postato sul sito del suo dicastero con i vertici dello staff tra cui il capo di Stato maggiore, generale Gerasimov (lui stesso da giorni fuori dai radar dei media). 

Volto pallido e respiro lievemente affaticato, Shoigu impartisce ordini e cita un incontro dell'altroieri presso il ministero delle Finanze: «Alla luce dell'operazione militare speciale bisogna mantenere l'attuale ritmo nella fornitura di armi avanzate compresi i sistemi robotici, i mezzi di acquisizione delle informazioni, la guerra elettronica, e naturalmente i mezzi di sostegno materiale e tecnico alle forze armate, come sempre». E poi elenca le priorità.

«Armi a lungo raggio guidate di precisione, hardware per l'aviazione, e mantenere la prontezza al combattimento delle forze nucleari strategiche». Shoigu è uno dei tre detentori dei codici nucleari a Mosca, dopo Putin e con Gerasimov. Ieri ha anche annunciato che i reduci dell'Ucraina avranno agevolazioni fiscali e assistenza sanitaria come quelli di Siria e Afghanistan. 

I contenuti sono quelli dello Shoigu di sempre, da dieci anni ministro della Difesa, ma prima capo della Protezione civile, del partito di Putin Russia Unita e ministro per le Situazioni di emergenza. È lui che ha sviluppato le tecnologie d'avanguardia militari, il concetto di guerra ibrida, e dato ali all'apparato militar-industriale.

È famoso per aver guidato la macchina da guerra russa in scenari come la Siria e il Donbass (prima dell'invasione), oltre a aver avuto la responsabilità ultima delle non perfette operazioni per avvelenare Skripal a Salisbury e Navalny in Siberia. Un paio di giorni fa era apparso tra i membri del Consiglio per la sicurezza nazionale collegati con Putin, senza parlare.

Non si vedeva in pubblico dall'11 marzo, quando il capo del Cremlino aveva ordinato a lui e a Gerasimov l'allerta da combattimento delle unità per la deterrenza nucleare. Dal 24 febbraio, una settimana prima dell'invasione, il Pentagono inutilmente cerca entrambi. Il giallo continua, anche perché nella conferenza stampa a un mese dall'inizio della guerra non c'erano Shoigu o Gerasimov a fare il punto, ma un semplice vicecapo.

Al 23 del mese scorso risale invece l'immagine che ha fatto il giro del mondo, di Putin a capotavola di una stretta e lunga scrivania in fondo alla quale, di lato, a metri di distanza siedono ancora Shoigu e Gerasimov. Al primo viene attribuita la complicità nel decidere l'attacco all'Ucraina a dispetto della contrarietà dei servizi d'Intelligence, e la paternità insieme a Putin dell'ideologia che la sottende.

Proprio per questo, la sua assenza dai media aveva fatto discutere. Circolava voce di problemi al cuore. Il governo ucraino è arrivato a sostenere che Shoigu era stato colpito da infarto perché incolpato da Putin dei fallimenti della campagna militare.

Voci smentite dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov: «Il ministro della Difesa ha molto da fare essendoci un'operazione militare speciale in corso, non è il momento per lui di dedicarsi ai media». 

L'assenza da news e programmi aveva colpito per via del ruolo e della popolarità, seconda forse soltanto a quella di Putin. Originario della Repubblica di Tuva, nella Siberia centro-meridionale al confine con la Mongolia, figlio di un giornalista e politico tuvano e di una contadina russa di origini ucraine, è il titolare della Difesa di una grande potenza che destina oltre il 4.6 per cento del Pil alle spese militari e conduce una politica di espansione imperialista, senza aver lui stesso fatto il militare.

Sua è la decisione di ripristinare per gli alti ufficiali l'uniforme sovietica del 1945. A un mese dall'invasione, i limiti della capacità bellica di Mosca sono sotto gli occhi di tutti. Internamente, pesa l'altissimo numero di vittime tra i soldati (più di 1350 è la cifra ufficiale di Mosca, oltre 16mila secondo gli ucraini), oltre alla morte di diversi generali sul campo e alla girandola di voci su epurazioni nell'Intelligence. Gli esperti di affari russi individuavano in Shoigu il possibile successore di Putin, ma ora che le cose vanno male in Ucraina, la domanda è fino a che punto Putin possa non farne ricadere la responsabilità sul ministro della Difesa. E viceversa. Marco Ventura

Sergei Shoigu in terapia intensiva: grave infarto per cause non naturali. La rivelazione dell'oligarca. Il Tempi il 15 aprile 2022.

Sergei Shoigu sarebbe in fin di vita a causa di un grave infarto, le cui cause non sarebbero naturali. La notizia sul ministro della Difesa russo è stata resa nota da Leonid Nevzlin, oligarca di 52 anni con la cittadinanza russa ed israeliana che è finito in esilio per essersi opposto a Vladimir Putin, vicenda che lo ha costretto a lasciare la proprietà del colosso petrolifero Yukos. "Shoigu è fuori dai giochi, potrebbe diventare disabile se sopravvive. Improvvisamente ha avuto un grave infarto. È in terapia intensiva, collegato ai dispositivi medici. Si dice che l'infarto non possa essersi verificato per cause naturali” le parole di Nevzlin rilanciate dal Daily Record in Inghilterra.

Inoltre, sempre secondo l’acerrimo nemico di Putin, addirittura 20 generali del ministero della Difesa sono stati arrestati nell'ambito di un caso di "corruzione" da 7,6 miliardi di sterline, quasi 10 miliardi di euro, con altri 150 agenti del Servizio di sicurezza federale (FSB) che erano stati già arrestati con le stesse motivazioni. Al centro ci sarebbero fondi per la guerra in Ucraina distratti dai membri dell’élite militare. La notizia, ha fatto sapere l’oligarca, è stata trasmessa dalle sue fonti anonime a Mosca, ma non è ancora stata confermata da fonti indipendenti. Già nelle scorse settimane si erano diffuse più volte voci inquietanti sul destino di Shoigu, che era sparito dalle apparizioni pubbliche in Russia. Ora questa sul grave infarto e sul pesante pericolo di vita. 

Sergej Shoigu «rimosso» dalla propaganda: i dubbi sulla compattezza dello Stato Maggiore russo. Marco Imarisio su Il Corriere della Sera il 16 Aprile 2022.  

Il ministro della Difesa, defilato da settimane, non viene più menzionato dall’organo ufficiale del ministero. Dopo i generali morti o silurati, è l’ennesimo segnale di crisi

Negli ultimi due numeri della rivista del Ministero della Difesa russo, il nome del ministro della Difesa russo è stato citato zero volte. Neppure una menzione di sfuggita. Come se non esistesse. Krasnaja Zvedzva, ovvero Stella rossa, venne fondato nel 1923, concepito per essere l’organo di stampa dell’Unione sovietica per gli affari bellici. Ancora oggi è forse il periodico più diffuso del Paese. Ogni soldato e ogni famiglia con un militare ha diritto a riceverlo per posta. Ma in quello che è lo strumento di propaganda bellica per eccellenza, il nome di Sergej Shoigu compare di rado.

Nelle ultime settimane i canali Telegram dei media indipendenti hanno ricominciato a chiedersi dove sia finito il potente ministro nonché capo delle Forze armate. Lo scorso 13 aprile, Leonid Nevzlin, ex socio di Mikhail Khodorkovsky nel gigante petrolifero Yukos e anche ex senatore, che dal 2003 vive in Israele, ha rivelato sui social una serie di notizie apprese da sue «fonti a Mosca». Secondo lui, il ministro sarebbe «ormai fuori gioco» dopo un infarto che lo costringe da tempo alla degenza in un ospedale di Mosca. «E forse rimarrà anche invalido» aggiunge con una nota di perfidia.

La fonte è dubbia, per quanto informata. L’ex oligarca Nevzlin è pur sempre stato condannato in Russia per una serie di omicidi. Ma quello stesso giorno il Cremlino si è sentito in dovere di pubblicare un breve video di una non meglio precisata riunione, dove Shoigu appare per un breve momento. A capo chino, intento a prendere appunti mentre il professor Vladimir Putin sta tenendo lezione. E anche questa immagine, a voler pensare male, ha un certo peso.

All’inizio della guerra, tutti gli osservatori internazionali erano concordi nel considerare Shoigu come il falco che sussurrava all’orecchio del presidente, mentre il ministro degli Esteri Serghey Lavrov era identificato come la colomba che si opponeva all’operazione militare speciale. Adesso, dopo più di cinquanta giorni, appare vero il contrario. Così come appare certificata la posizione precaria del ministro della Difesa all’interno del cerchio ristretto del potere putiniano.

A tenerli insieme è sempre stata la reciproca convenienza. Nell’autunno del 1999, l’opposizione di sinistra ha il vento in poppa per le imminenti elezioni del Parlamento russo. Boris Eltsin è molto impopolare, e il suo primo ministro Putin, che già si è candidato a presidente, teme di subirne le conseguenze. A venirgli in soccorso è Shoigu, giovane e popolare ministro delle Emergenze, una specie di capo della Protezione civile. Gli mette a disposizione il suo partito Edintsvo, ovvero Unità, che adotta come simbolo l’orso tanto amato dai russi. In cambio, vuole la conferma. Il voto del 19 dicembre 1999 vede la vittoria dei comunisti, ma il risultato di Edintsvo consente la formazione di una maggioranza liberale conservatrice. E l’Orso diventerà ben presto il simbolo di Russia Unita, il partito-nazione di Putin.

Non è mai stata amicizia, bensì un accordo di potere tra i due uomini che fino al 24 febbraio riscuotevano il maggiore consenso tra i russi. Poi, uno di loro è sparito dai radar. Ma non è questo l’unico mistero incombente sull’esercito russo, una entità monolitica, circondata da un’aura di sacralità che lo stesso Putin ha contribuito ad alimentare durante il suo ventennio al Cremlino. Sempre Nevzlin, una fonte da prendere con le molle, parla di 20 generali «non di campo ma delle stanze di comando» arrestati con l’accusa di essersi appropriati del denaro destinato a preparare «la dirigenza ucraina e la popolazione a una solenne accoglienza dei liberatori russi». Dal 2014 sarebbero stati sottratti dieci miliardi di dollari, una cifra così alta da sembrare inverosimile.

A oggi, gli unici fatti accertati sono la decisione improvvisa di affidare il comando generale della cosiddetta operazione speciale all’ex capo delle truppe in Siria, Aleksander Dvornikov, e il licenziamento del generale Roman Gavrilov, che dirigeva la Guardia nazionale, uno dei reparti che hanno subito le maggiori perdite in Ucraina. Ma insieme alle notizie che giungono dal fronte e all’eclissi continua di Shoigu, dimenticato anche dal «suo» giornale, tanto basta a far venire qualche dubbio sull’effettiva compattezza dell’esercito russo. O meglio, dei suoi vertici.

Shoigu, voci di infarto: "Avvelenato". Roberto Fabbri il 17 Aprile 2022 su Il Giornale.

Attacco cardiaco non naturale per il ministro della Difesa. "Menomato per sempre".  

Sergei Shoigu come Navalny e Litvinenko? La clamorosa ipotesi di un avvelenamento del ministro della Difesa russo è stata fatta da un noto uomo d'affari israeliano di origini russe, l'ex oligarca Leonid Nevzlin, citato dal Daily Mail. Secondo Nevzlin, che ha abbandonato la Russia nel 2003 dopo che i suoi beni erano stati sequestrati con quelli della compagnia petrolifera Yukos di Mikhail Khodorkovsky, il 66enne Shoigu avrebbe sofferto nelle scorse settimane «un grave attacco cardiaco non di origini naturali» e si troverebbe ricoverato in ospedale in condizioni talmente serie che, anche qualora venisse in futuro dimesso, rimarrebbe menomato. Nevzlin, che cita sue fonti russe, conferma i forti dubbi già espressi da osservatori internazionali sulle recenti immagini che mostrerebbero Shoigu partecipare in presenza a riunioni al Cremlino: si tratterebbe di filmati risalenti a momenti precedenti, spacciati per attuali. Ieri il ministero russo della Difesa ha smentito queste affermazioni. L'assenza prolungata di Shoigu dalla scena pubblica è già stata liquidata con frasi del tipo «il ministro ha ben altro da fare in questi giorni», ma manca un'inequivocabile sua dichiarazione che faccia chiarezza. I sospetti paiono dunque fondati e la notizia è rilevante per due ragioni: da una parte perché Shoigu non è un qualsiasi pezzo grosso del Cremlino, ma uno degli uomini più vicini a Putin, dall'altra perché la sua caduta in disgrazia altro non sarebbe sempre secondo Nevzlin che quella di maggior spicco in un gruppo di una ventina di generali: personaggi che non solo potrebbero essere stati «purgati» per aver criticato la scelta di attaccare l'Ucraina, ma più probabilmente perché considerati responsabili di corruzione e ruberie a un livello tale (si parla di 10 miliardi di dollari) da aver danneggiato la stessa capacità militare della Russia. In entrambi i casi, le denunce di Nevzlin evidenziano una frattura profonda tra Putin e i suoi vertici militari. Un tentativo di Putin (o forse di qualche suo gerarca) di liquidare Shoigu sarebbe clamoroso perché lo zar lo ha sempre considerato non solo uno dei pochi degni di ascolto, ma anche un amico personale: Shoigu è tra i pochissimi del giro ristretto del vero potere putiniano a non provenire dall'ex Kgb, ed è ministro della Difesa dal 2012. È anche il solo a non avere origini russe (viene dalla provincia di Tuva ai confini con la Mongolia), e con lui Putin ha spesso condiviso periodi di vacanza in Siberia. La fine traumatica dei rapporti personali tra i due avrebbe a che vedere con il secondo punto: il ministro della Difesa (uno degli uomini cui Putin ha concesso ricchezze e potere in cambio di fedeltà assoluta) potrebbe aver osato muovere critiche esplicite alla scelta strategica del capo di invadere l'Ucraina, magari informandolo solo a decisione presa e qui ci si ricorda dell'espressione tra il cupo e il perplesso di Shoigu e del capo delle forze armate generale Gerasimov in una foto ufficiale al Cremlino diffusa in occasione dell'avvio della «operazione militare speciale». Ma più probabilmente, fa intendere Nevzlin, Putin avrebbe lanciato su Shoigu i suoi fulmini perché non gli perdona di aver coperto (magari partecipandovi di persona) il saccheggio da parte della già citata ventina di generali del ricco budget destinato al rinnovamento delle forze armate nazionali. I vertici militari avrebbero continuato a garantirgli che quei soldi erano stati ben spesi per una macchina moderna e ben oliata, ma l'amara verità è emersa sul campo in Ucraina. Da qui una purga in schietto stile staliniano.

Da iltempo.it il 19 aprile 2022.

Ricompare il ministro della Difesa Sergei Shoigu, da settimane assente dalla scena pubblica russa, secondo alcune fonti per ragioni di salute - avrebbe avuto un infarto - secondo altre isolato perché ritenuto colpevole del fallimento della guerra in Ucraina da parte della Russia. 

Parlando durante la riunione del consiglio del ministero della Difesa, ha ricordato che oggi si celebra il 239° anniversario dell’annessione della Crimea, chiesta dai suoi abitanti nel 1783 sotto l’impero di Caterina II.

«Oggi è una data memorabile», ha detto Shoigu, ricordando che il referendum del marzo del 2014 per l’annessione della Crimea, nel frattempo passata alla sovranità ucraina, alla Russia è la logica continuazione della storia della penisola. «Con una maggioranza assoluta di voti, gli abitanti della Crimea hanno sostenuto la riunificazione con la Russia, che ha permesso di mantenere la stabilità e la pace nella penisola», ha sottolineato. ancora il ministro.

Shoigu ha poi fatto sapere che la Russia sta «sistematicamente attuando» i piani per la liberazione di Donetsk e Luhansk: «Nel corso dell’operazione militare speciale l’Esercito russo sta attuando i compiti identificati dal comandante in capo supremo. Il piano per la liberazione delle Repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk viene attuato sistematicamente e sono prese le misure per ripristinare la vita normale».

Il ministro ha poi sottolineato «il coraggio e l’eroismo» dimostrato dai militari nell’operazione in Ucraina. Gli Stati Uniti e i paesi occidentali, la denuncia del (ex?) fedelissimo di Vladimir Putin stanno facendo di tutto per prolungare il più possibile l’operazione militare speciale. 

Il crescente volume di forniture di armi straniere dimostra chiaramente le loro intenzioni di provocare il regime di Kiev a combattere «fino all’ultimo ucraino». Il discorso di Shoigu è stato trasmesso dal canale televisivo statale russo Rossiya 24: non è però chiaro se l'incontro fosse preregistrato o trasmesso in diretta dalla tv russa.

Shoigu e Gerasimov spariti dalla circolazione, dove sono i due generali di Putin con i codici nucleari. Il Tempo il 26 marzo 2022.

Che fine hanno fatto il ministro della Difesa Sergei Shoigu e il capo di stato maggiore delle forze armate russe Valery Gerasimov, Scoppia il giallo sui due fedelissimi di Vladimir Putin spariti dalla circolazione. La voce sul caso del ministro della Difesa russo, scomparso dall'11 marzo scorso con la guerra in Ucraina in corso, circolava già da giorni tra preoccupazione e smentite. Un fatto che ha destato subito interesse, lui così presenzialista in tv e molto attivo con i media. Dalle apparizioni quasi quotidiane al nulla.

Secondo Dmitri Peskov, la voce del Cremlino, non ci sarebbe però da preoccuparsi perché il ministro della Difesa russo sarebbe molto impegnato a causa dell'operazione militare in Ucraina. Qualcuno avrebbe messo addirittura in giro la voce che il generale soffrirebbe di problemi cardiaci. Ma ieri l'agenzia Ria Novosti ha riferito che il ministro della Difesa era presente alla riunione del Consiglio di Sicurezza nazionale presieduta dal presidente della Russia, Vladimir Putin, postando anche un video. Nel filmato Shoigu è apparso in videocollegamento vestito in giacca e cravatta e non con la divisa militare d'ordinanza. Un'immagine che ha tutt'altro fugato i dubbi: la rapida comparsata del funzionario più popolare del Paese sembrerebbe studiata a tavolino per mettere a tacere le voci. Ma Shoigu non sarebbe l'unico militare scomparso.

Anche Valeri Gerasimov, capo di stato maggiore, sarebbe sparito. I due architetti dell’invasione fedelissimi dello zar sono gli unici ad avere i codici per azionare l’arsenale nucleare della Russia.

Sei generali russi sarebbero stati uccisi dalle forze armate di Kiev e fra questi proprio Gerasimov. Scriveva il 20 marzo sui social il consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Mykhailo Podolyak: "Colpisce l'elevata mortalità degli alti ufficiali della Russia. Già uccisi 6 generali: Tushayev, Gerasimov, Kolesnikov, Sukhovetsky, Mityaev e Mordvichev. Decine di colonnelli e altri ufficiali. L'esercito russo è completamente impreparato e combatte solo con numeri e missili da crociera", 

Il generale Mizintsev, il «macellaio» russo che conduce il massacro di Mariupol. Andrea Nicastro su Il Corriere della Sera il 25 Marzo 2022.

Mikhail Mizintsev è considerato il responsabile dell’attacco barbaro alla città di Mariupol: è stato coinvolto nelle guerre più violente, dal Caucaso alla Siria. Ad affrontarlo il maggiore ucraino Denis Projipenko, uno dei fondatori del Battaglione Azov. 

La battaglia per Mariupol è barbara. Si combatte tra morti insepolti, palazzi ridotti a teschi e civili che muoiono di fame, sete, freddo e paura. Ce ne sarebbero ancora centomila tra le macerie della città, in cerca di cibo e riparo tra bombe che esplodono senza pausa. Putin vuole quelle macerie a ogni costo . Potrà così riunificare lo storico Donbass e congiungere la Russia alla Crimea. Esattamente come ha fatto con la capitale cecena Grozny.

Per strappare la città di Maria agli ucraini ha incaricato due uomini: il secondo più alto in comando delle sue Forze Armate, il generale Mikhail Mizintsev, e il «ragazzo» che pacificò per suo conto la Cecenia a forza di stermini e ricatti, il presidente Ramzan Kadyrov.

I due leader dell’assedio hanno a disposizione circa 15 mila uomini e tutte le bombe e i cannoni che vogliono. 

A difendere quel che resta della città ci sono invece 3 mila soldati, forse meno. Hanno ancora artiglieria e qualche mezzo corazzato. Sanno che difficilmente potranno arrendersi senza essere passati per le armi, cioè uccisi a sangue freddo. Perché i tremila di Mariupol sono il simbolo di quel pericolo nazista che sventola Putin davanti alla sua opinione pubblica. Li guida un maggiore di neanche 40 anni, Denis Projipenko, comandante della Brigata Azov.

«I miei ragazzi comunicano via radio di aver preso il municipio di Mariupol. La nostra bandiera sventola sul comune». Il ceceno Kadyrov si è attribuito così ieri sera la conquista attraverso un messaggio su Telegram. Non è arrivato a sostenere che la città assediata fosse caduta, ma solo di avere le mani su uno degli edifici più simbolici. Quel «via radio», poi, fa pensare che lui sia lì, poco lontano a guidare l’offensiva.

È un imbroglio, sostiene Meduza , il sito d’informazione che ha spostato la sua sede fuori dalla Russia per poter continuare ad informare libero dalla censura putiniana. La foto del «comune» che mostra Kadyrov non è di Mariupol, ma del quartiere satellite sulla riva sinistra del fiume Kalmius già sotto controllo russo da giorni.

Non è il primo bluff del leader ceceno in questa guerra. Pochi giorni fa aveva detto di essere in combattimento a pochi chilometri da Kiev e invece se stava tranquillo nel cortile di casa in Cecenia, di fianco alle gabbie delle tigri dove finiscono i suoi oppositori. 

Anche senza le bravate kadyroviane, Mariupol non può resistere a lungo. Secondo i servizi segreti ucraini a supervisionare l’assedio c’è Mizintsev. 

Da 10 anni il generale è a capo del centro nazionale di comando della Difesa e su tutti i fronti caldi del revanscismo putiniano, dal Caucaso alla Siria. Sulla carta un ufficiale troppo alto in grado per una specifica area di conflitto, ma forse l’importanza dell’assedio per il successo dell’«operazione speciale» russa giustifica il coinvolgimento diretto del numero due delle Forze Armate. 

Sarebbe quindi stato Mizintsev, da Mosca, ad ordinare di colpire le infrastrutture civili (luce, gas, riscaldamento, telecomunicazioni) per inasprire le condizioni dell’accerchiamento, lui ad aumentare via via la potenza e il numero dei raid aerei, lui ad ordinare il bombardamento dei rifugi dei civili (l’ospedale ginecologico, il teatro, la scuola d’arte, oltre a innumerevoli condomini). Lui ora a dover schiacciare la resistenza del contingente del maggiore Projipenko. 

I social ucraini fanno rivivere, a ragione, per l’assedio di Mariupol la storia di Davide contro Golia, dei pochi contro i tanti. Davide è, in questo caso, Denys Projipenko, «eroe dell’Ucraina» e già leggenda, e Golia è il «macellaio» Mizintsev. Tre anni fa un neopresidente Zelensky dovette piegare il collo indietro per riuscire a guardare in faccia il gigante Projipenko, prima di decorarlo. 

I suoi uomini e la 36° Brigata di marines ucraini riescono ancora a rallentare l’attacco. Ieri la sua brigata Azov avrebbe distrutto quattro blindati russi e anche fatto dei prigionieri. Su Projipenko il sospetto di neonazismo. Il governo ucraino sostiene che Azov è ripulito da elementi d’ultradestra da quando è entrato a far parte della Guardia Nazionale. Nelle condizioni attuali, però, è poco rilevante. Sono tremila uomini in trappola e nessuno sembra in grado di evitare il loro massacro.

La strage degli ufficiali russi, morti 77 comandanti e generali. EMILIANO FITTIPALDI su Il Domani il 25 marzo 2022.

La strage degli ufficiali russi viene aggiornata dai servizi segreti dei paesi Nato quasi ogni giorno. E, al 22 marzo, la lista che Domani ha potuto ricostruire arriva a quasi 80 nomi.

Qualche giorno fa un giornale vicino al Cremlino, la Komsomolskaya Pravda, ha pubblicato (probabilmente per errore, la notizia è stata subito rimossa) il numero complessivo dei soldati russi morti in battaglia, parlando di quasi 10mila decessi.

Il massacro di alti ufficiali, più ancora delle gravi perdite della fanteria, sta creando sconcerto tra le gerarchie dell’esercito di Putin, che i comparti di sicurezze degli Usa e della Ue considera fondamentale nel caso di un rovesciamento del regime russo. 

EMILIANO FITTIPALDI. Nato nel 1974, è vicedirettore di Domani. Giornalista investigativo, ha lavorato all'Espresso firmando inchieste su politica, economia e criminalità. Per Feltrinelli ha scritto "Avarizia" e "Lussuria" sulla corruzione in Vaticano e altri saggi sul potere.

Andrea Marinelli e Guido Olimpio per il “Corriere della Sera” il 15 maggio 2022.

Il capo di Stato maggiore russo Valerij Gerasimov è sempre al centro delle speculazioni. Qualche settimana fa raccontavano che fosse sfuggito ad un attacco ucraino, quindi lo hanno dato per ferito. 

Ora da Kiev sostengono che lo avrebbero sospeso, messo in punizione per non essere riuscito a riorganizzare le operazioni, e citano la sua assenza alla parata del 9 maggio. Le medesime fonti parlano di altri ufficiali sollevati dall'incarico: i generali Vladislov Ershow, Sergei Kisel e Arkady Marzoev, responsabili di reparti corazzati ai quali hanno addebitato errori e troppe perdite.

Sono informazioni che vengono dalla trincea nemica, per dimostrare che l'invasore è nella tempesta, quindi richiedono cautela: basta ricordare le parabole dei gerarchi nordcoreani dati per morti e poi riemersi ossequiosi davanti a Kim Jong-un. Non possiamo escludere siluramenti reali, ma anche rotazioni e avvicendamenti: capita nei conflitti, quando il piano è messo in discussione dal campo. 

E a proposito di resurrezioni, vere o presunte, c'è quella di Sergei Beseda, uno dei dirigenti dell'Fsb, il servizio segreto. Era stato incaricato di preparare l'invasione con gli uomini del Quinto Dipartimento, ma ha fallito clamorosamente.

Per questo giravano voci di un suo arresto, seguito dalla sua partecipazione - per smentirlo - alle esequie di una celebre spia. Ora sarebbe tornato in ufficio - ha scritto il giornalista investigativo russo Andrei Soldatov - con un ruolo depotenziato. 

Farlo sparire avrebbe significato, agli occhi del grande apparato, l'ammissione di gravi sbagli: meglio quindi tenerlo alla scrivania, a leggere rapporti o magari neppure quello. Una caduta relativamente «morbida», in attesa di altri ordini o magari della pensione. Sempre secondo Soldatov, il regime ha affidato il dossier Ucraina al Gru, l'intelligence militare.

Il vice direttore del Gru

A guidare la missione sarà il numero due Vladimir Alekseyev, figura ben nota alle spie occidentali in quanto coinvolto in azioni in Europa, compreso il tentativo di uccidere con il veleno l'agente doppio Skripal a Salisbury, in Gran Bretagna. 

Nato nel 1961 a Holodky, a sudest di Kiev, quando l'Ucraina era parte dell'Urss, è entrato nelle unità aviotrasportate per poi diventare parte dei commandos, gli Spetsnaz. 

Successivamente è passato nelle intelligence ricoprendo incarichi nella Russia Orientale e nel 2011 ha assunto la carica di vice direttore del Gru.

Alekseyev ha fatto carriera in quel mondo, si è misurato con i nemici in Siria e Donbass, ha seguito a lungo il dossier ucraino, gestito attività speciali. Conosce il mestiere, lo attende una prova non facile. 

La decisione di affidarsi al Gru rispecchia il giudizio del leader che si è formato come quadro del Kgb. Putin preferisce gli 007 militari a quelli civili perché sono devoti alla causa e alle disposizioni, non importa il prezzo da pagare.

Questo spiegherebbe perché in alcuni casi siano stati scoperti: hanno fatto errori, ma l'importante è conseguire i risultati. 

In questa fase critica, alle prese con avversari tenaci, il Cremlino ha bisogno di personaggi che uniscano la fedeltà alla determinazione. 

L'intelligence Usa

Se il capo del servizio estero dell'Fsb Beseda ha pagato gli errori di valutazione sull'Ucraina, negli Stati Uniti le agenzie di intelligence hanno avviato una revisione interna dopo aver sbagliato due volte in un anno, e in modo clamoroso. 

Prima hanno sopravvalutato la capacità di resistenza degli afghani contro i talebani, dopo il ritiro americano, poi sottovalutato quella degli ucraini all'inizio dell'offensiva russa: pensavano che Kiev sarebbe caduta in 3 o 4 giorni. 

Martedì, la commissione intelligence del Senato ha inviato una lettera classificata all'ufficio della direttrice dell'intelligence nazionale Avril Haines, al Pentagono e alla Cia, chiedendo di riesaminare le proprie metodologie. 

Le 17 agenzie che compongono la United States Intelligence Community - sostengono i critici - devono verificare il metodo di valutazione gli eserciti stranieri e, soprattutto, chiarire ai propri funzionari che ogni errore può avere conseguenze enormi.

Putin liquida i suoi pretoriani Gerasimov e Beseda: le risposte gradite (ma sbagliate) pagate care. Marco Imarisio su Il Corriere della Sera il 21 Marzo 2022. 

Gerasimov, responsabile dell’esercito, è sparito. Ed è finito agli arresti domiciliari Beseda, il dirigente degli 007 incaricato di seguire la guerra in Ucraina. 

«Bisogna ricordare che la vittoria si raggiunge sempre non solo con la forza materiale di un singolo Stato, ma anche dalle risorse spirituali del suo popolo, dall’unità e dal desiderio di opporsi con tutta la sua volontà all’aggressione». Nel marzo del 2017, Valerij Gerasimov, a quel tempo capo di Stato maggiore da otto anni, scrisse un articolo su come il suo esercito si stava trasformando «per fare una guerra moderna». Sembrano uno scherzo del destino, queste parole che si applicano in modo perfetto a quanto sta accadendo in Ucraina, con una completa inversione di ruolo. Perché finora non è certo mancata la «forza materiale», ma tutto il resto. 

Le informazioni sul campo sono di competenza del Quinto servizio, il settore esteri dell’Fsb, il servizio segreto russo erede del Kgb che ne ha mantenuto il quartier generale nell’enorme palazzo della Lubianka. L’espansione del ruolo dell’ex Kgb oltre i confini nazionali venne decisa alla fine degli anni Novanta dal suo capo di allora, un certo Vladimir Putin. Ma a partire dal 2004, questo nuovo ramo così strategico ha avuto al vertice Sergey Beseda, che fino ad allora aveva guidato il dipartimento dell’Fsb addetto alla sicurezza del presidente. Era un uomo di fiducia. Come Gerasimov, sopravvissuto alla rimozione del precedente ministro della Difesa Anatolij Serdyukov proprio per portare a termine la riforma dell’esercito russo. L’ultima apparizione in pubblico del generale risale allo scorso 27 febbraio, quando non diede l’impressione di essere entusiasta dell’ordine di mettere in stato d’allerta le forze di deterrenza nucleare. Da allora, è sparito dai radar. A Beseda è andata anche peggio. Agli arresti domiciliari, come hanno rivelato i giornalisti Andrei Soldatov e Irina Borogan, che da anni si occupano dei servizi di sicurezza russi.tana

Le interferenze

Esiste un filo comune che lega questi due destini. Il Quinto servizio, spiegano Soldatov e Borogan, nasce per «spingere» i candidati graditi al Cremlino nelle elezioni dei Paesi confinanti, e ha sempre avuto l’Ucraina come priorità assoluta. Nel giugno del 2010 alcuni documenti classificati rivelarono come questo settore indirizzasse i suoi report direttamente a Putin, circostanza che Beseda rivendicava con orgoglio. Nell’aprile del 2014, il ministero degli Esteri di Kiev chiese addirittura di poterlo interrogare, per conoscere i motivi della sua presenza durante la rivolta filoccidentale di piazza Maidan. Beseda se la cavò motivando la sua presenza con la necessità di garantire la sicurezza dell’ambasciata russa. I primi a non credere a questa versione furono l’Unione Europea e gli Usa, che lo inserirono tra le persone fisiche colpite dalle sanzioni dell’epoca. Ma da allora apparve chiaro come fosse lui l’uomo di Putin addetto alla raccolta di notizie sull’Ucraina. Al presidente sono bastate due settimane per capire che il suo amato Fsb non ci aveva capito poi molto. Quelle informazioni non corrette costituiscono però la base dell’intervento armato.

La riforma mancata

Ma Gerasimov non è certo una vittima del suo collega. La dottrina che porta il suo nome prevedeva una modernizzazione, cominciata nel 2009 con l’abbandono dell’impostazione «sovietica» dell’esercito, che si basava su un alto numero di soldati e scontava l’arretratezza delle sue strutture, a favore di forze armate dai numeri più ridotti composte da militari di professione. I 34 miliardi di dollari messi a disposizione ogni anno dal Cremlino a partire dal 2009 sono stati spesi nel settore tecnologico delle cyber-guerre e in parte nell’aviazione. «Esistono ormai strumenti di natura non militare più efficaci della semplice forza delle armi» scriveva Gerasimov. Secondo l’intelligence americana, anche lui avrebbe fornito una rappresentazione della realtà falsata. In questo caso sullo stato di salute dell’esercito russo, ormai impantanato in una guerra da combattere con le forze di terra, sulle quali si è scelto di disinvestire.

Le prime crepe

Il capo dell’esercito e quello del Fsb sono entrambi Siloviki, termine che indica «gli uomini della forza» e in senso esteso identifica la colonna vertebrale del sistema di Putin. Erano garanti di quel potere di Stato considerato un contrappeso al crescente potere economico rappresentato dagli oligarchi. L’intelligence ucraina, certo non una fonte imparziale, sostiene che le élite della società russa tramano per rimuovere il presidente il prima possibile e ripristinare così i legami economici con l’Occidente. Sono informazioni da prendere con le molle. Ma se confermate, queste due rimozioni dimostrano che Putin sta divorando i suoi figli. E che il vincolo di fedeltà con esercito e servizi segreti potrebbe non essere così stretto come viene descritto. Alla fine, sia Beseda e Gerasimov sono colpevoli di aver dato a Putin le risposte che lui desiderava sentire. Peccato che fossero tutte sbagliate.

Dagotraduzione dal Daily Star il 18 marzo 2022.

Secondo il media bielorusso Nexta, il morale dei soldati russi è così basso che gli uomini si sparano alle gambe per finire in ospedale ed evitare di combattere in Ucraina. Il giornale, che pubblica le sue notizie su Telegram e Youtube, ha intercettato una conversazione delle forze russe in cui i soldati dicevano di essere in «cerca di munizioni ucraine per spararsi alle gambe e andare in ospedale». 

In un’altra conversazione pubblicata sabato si sente un soldato russo dire: «Ci sparano da 14 giorni. Abbiamo paura. Stiamo rubando cibo, irrompendo nelle case. Noi stiamo uccidendo dei civili». E ancora: «Gli ufficiali russi si sparano alle gambe per tornare a casa. Ci sono cavaderi dappertutto».

Secondo i rapporti americani, le truppe russe sono così demoralizzate che abbandonano i loro veicoli e scappano nei boschi. Per questo la Russia avrebbe deciso di avvicinare al fronte ucraina 20 generali, in modo da risollevare il morale dell’esercito. 

 Ma la mossa si è rivelata un boomerang: almeno quattro generali sono stati uccisi nei combattimenti insieme ad un’altra dozzina di comandanti. Evelyn Farkas, alto funzionario del Pentagono per Russia e Ucraina durante la presidenza Obama: «Perdite come questa influiscono sul morale e sulla coesione delle truppe, soprattutto perché questi soldati non capiscono perché stanno combattendo».

Da ilmessaggero.it il 19 marzo 2022.

Sale il conto dei generali russi morti in Ucraina. Il ministero della Difesa di Kiev ha rivendicato l'uccisione di Andrei Mordvichev, comandante dell'ottava armata generale del distretto militare meridionale. Si tratta del quinto generale russo morto dal giorno dell'invasione di Putin, ormai 24 giorni fa. Una sua fotografia è stata postata su Twitter dallo Stato Maggiore della Difesa ucraina.

Nei giorni scorsi sono stati già uccisi il generale Oleg Mityaev, il generale Andriy Kolesnikov, Vitaly Gerasimov e Andrei Sukhovetsky.

La Russia perde un quinto generale. Redazione il 20 Marzo 2022 su Il Giornale. 

Il comandante dell'ottava armata caduto sotto i colpi dell'artiglieria vicino a Kherson . Abbattuti 210 velivoli.

L'esercito russo perde un'altra testa importante. Tra le migliaia di vittime delle tre settimane di conflitto c'è un quinto generale, Andrei Mordvichev, comandante dell'ottava Armata del Distretto Militare meridionale delle Forze armate della federazione russa, quella responsabile dei cosiddetti «distretti separati delle regioni di Donetsk e Luhansk», ucciso da colpi di artiglieria nella città di Chernobayevka, nei pressi di Kherson.

La notizia arriva dalla Bbc, che cita fonti della Difesa ucraina dopo la pubblicazione su Facebook di un'immagine dell'alto ufficiale mentre passa in rassegna le truppe, sfregiata con una grossa X rossa che non lascia adito a dubbi. Il nome di Mordvichev si aggiunge a quello di altri quattro generali di lungo corso caduti sotto i colpi ucraini. Si tratta di Vitaly Gerasimov, Andrei Kolesnikov, Oleg Mityaev e Andrei Sukhovetsky, tutti veterani delle guerre combattute negli ultimi trent'anni dalla Federazione russa contro Cecenia, Georgia, Siria e Donbass. Un fatto inusuale questa moria tra gli alti ranghi dell'esercito. Un motivo, secondo l'ammiraglio Giampaolo Di Paola, ex ministro della Difesa ed ex capo di Stato maggiore, è che «tra i bassi ranghi c'è meno libertà di azione, meno preparazione, soprattutto meno capacità di leadership e intraprendenza e questo può portare i livelli di comando superiori a essere impiegati più vicini alla linea del fronte». Inoltre, dal momento che «l'avanzata russa non sembra procedere come inizialmente stimato, può essere che ci sia stato bisogno di impiegare generali più vicino alla linea del fronte per guidare con maggiore determinazione l'attacco». Infine, spiega sempre Di Paola, c'è da considerare che «i posti di comando mobili si trovano su mezzi che sono abbastanza vicini alla linea del fronte» e tenuto conto che «le forze ucraine hanno attaccato molto le retrovie» con raid «mordi e fuggi», è «ragionevole pensare che tra i vari mezzi abbiano distrutto anche posti di comando».

Nei primi venti giorni di conflitto l'esercito di Mosca ha subito molte perdite. Il ministero della Difesa ucraino nel suo bollettino quotidiano, postato su Twitter, afferma di aver ucciso finora 14.400 soldati russi, di aver abbattuto 210 velivoli militari (95 aerei e 110 elicotteri), distrutto 466 carri armati e 1.470 veicoli corazzati e blindati, 914 veicoli militari e 60 cisterne di carburante, oltre a 213 pezzi d'artiglieria e di avere affondato tre imbarcazioni.

Le «purghe» di Putin: licenziato il generale Roman Gavrilov per «fuga di informazioni militari». Fabrizio Dragosei su Il Corriere della Sera il 19 marzo 2022.

Tre fonti indipendenti riportano la notizia del siluramento del vice comandante della Rosgvardia ed ex addetto della sicurezza dei capi di Stato russi. 

Prima è toccato ai servizi segreti colpevoli di non aver dato le notizie giuste su quello che l’esercito russo si sarebbe trovato di fronte in Ucraina. Poi alla Guardia nazionale, Rosgvardia, che avrebbe subìto perdite eccessive e non avrebbe svolto i suoi compiti di sorveglianza sulle località occupate durante quella che in Russia si chiama «Operazione militare speciale». Naturalmente dall’alto sono venute solo smentite. Ma in maniera tale da far ritenere del tutto verosimili le notizie diffuse da siti d’opposizione posizionati all’estero.

Dopo quella su due agenti dell’Fsb, principale successore del Kgb, giovedì è arrivata la notizia del siluramento di Roman Gavrilov, vice comandante della Rosgvardia ed ex addetto della sicurezza dei capi di Stato russi. Immediatamente è intervenuto il presidente della commissione della Duma per le comunicazioni Alexander Khinshtein che è anche vice segretario del partito putiniano Russia Unita. «Fake assoluta», ha tuonato. Precisando poi che Gavrilov, col quale ha detto di aver parlato, si è dimesso, dice, perché aveva raggiunto il minimo di 20 anni di servizio dopo i quali si può andare in pensione.

Spiegazione che sembra più una conferma del siluramento: figuriamoci se in mezzo a una guerra, anzi, a una «operazione speciale» con migliaia di suoi uomini impegnati oltrefrontiera, un generale pensa di andarsene. La notizia era stata data da Christo Grozev del sito investigativo internazionale Bellingcat al quale sarebbe stata confermata da tre fonti indipendenti: «è stato fermato dall’Fsb o per fuga di informazioni militari o per furto di carburante». Già l’11 marzo la scure è caduta sulla testa di due super-spie che sembra siano agli arresti domiciliari, secondo quanto afferma un quotato esperto di cose militari russe, Andrei Soldatov, ripreso dal sito informativo meduza.io.

Vladimir Putin sarebbe stato furioso perché il quadro sbagliato della realtà ucraina è stato alla base dell’impantanamento dell’esercito di invasione. Secondo diverse fonti, le aspettative all’avvio dell’«Operazione militare speciale» erano ben altre. In poche ore il Paese invaso avrebbe dovuto collassare e i militari ucraini non avrebbero dovuto quasi reagire all’«amichevole» missione dei colleghi russi. Sergej Beseda è il capo del quinto servizio dell’Fsb, principale successore del Kgb. Anatolij Bolyukh è o era il suo vice. Si tratterebbe del Dipartimento di informazione operativa (Doi) creato dallo stesso Putin quando era a capo dell’Fsb negli anni Novanta.

Lo spionaggio estero era già appannaggio dell’Svr (ex primo direttorato del Kgb) e del Gru, servizio di informazione militare. Ma Vladimir Vladimirovich volle avere suoi «occhi» diretti soprattutto per operazioni di intelligence nelle ex repubbliche sovietiche diventate indipendenti a partire dalla fine del 1991. Dopo le cosiddette rivoluzioni colorate dell’inizio di questo secolo (quella delle rose in Georgia, poi arancione in Ucraina, e dei tulipani in Kirgizistan) Putin avrebbe iniziato a fidarsi solo degli uomini dell’Fsb.

Il siluramento del generale Gavrilov specchio di un'invasione mal riuscita. Angelo Allegri il 19 Marzo 2022 su Il Giornale.

"Dimissionario" il vice comandante della Guardia nazionale, finita in prima linea in Ucraina ma protagonista di un fallimento.

Non è un alto ufficiale come gli altri. E i suoi guai dicono parecchio sull'operazione ucraina e sul clima tra gli uomini più vicini a Vladimir Putin. Ufficialmente il generale Roman Gavrilov è dimissionario, ma sui giornali si è parlato di messa in stato d'accusa e addirittura di arresto. Le accuse trapelate: aver diffuso informazioni e sprecato materiale (combustibile) che ha condotto alla perdita di vite umane. Questo almeno secondo le indiscrezioni che davano conto del malcontento del Cremlino per l'andamento dell'«operazione militare speciale».

Gavrilov non è un generale dell'esercito ma della Rosgvardiya, la Guardia nazionale, la milizia che Putin si è costruito su misura nel 2016, facendola dipendere direttamente dal Cremlino e affidandola alla sua ex guardia del corpo dei tempi di San Pietroburgo, Viktor Zolotov.

Gavrilov è uno dei vice di quest'ultimo. Anzi, è l'«addetto alle pulizie», come l'ha definito Andrei Soldatov, uno dei maggiori conoscitori delle forze di sicurezza russe, incaricato di intervenire nei casi più delicati e nel portare a termine le «epurazioni» più dolorose.

Da braccio destro del capo, Gavrilov ha avuto un incarico di primo piano anche in Ucraina. Ma proprio la presenza massiccia della Guardia nazionale nell'invasione mette in luce le contraddizioni dell'operazione. La Guardia nazionale (circa 400mila uomini) è specializzata in compiti di ordine pubblico (è lei che nelle città russe reprime le proteste contro la guerra) e anti-terrorismo, anche se al proprio interno ha alcuni reparti di assalto (come Omon o le cosiddette Sobr, Unità speciali a risposta rapida). In linea di massima, però, il suo impiego poteva essere giustificato soprattutto nella gestione di disordini tra la popolazione civile. È quello che è successo nei giorni scorsi a Kherson, conquistata dall'esercito e poi affidata alla Rosgvardiya, che ha effettuato tra la popolazione ucraina circa 400 arresti.

Nei primi giorni della guerra, però, in prima linea è finita anche la Guardia Nazionale. La mancanza di addestramento, i mezzi inadeguati, e, secondo alcuni, una mancanza di coordinamento con il resto delle forze armate (che dipendono dal Ministero della Difesa) ha finito per provocare perdite altissime (emerse in un filmato comparso sulla Rete in cui i parenti di alcuni soldati se la prendevano con il governatore di una regione siberiana in cui la Rosgvardiya ha uno dei centri di coordinamento). «L'impiego della Rosgvardiya è stato un completo fallimento in termini di strategia militare», ha spiegato Ruslan Leviev del Cit, Conflict Intelligence Team. Da notare, tra l'altro, che il militare più alto in grado fatto prigioniero dagli ucraini e mostrato in una confessione pubblica di fronte alle telecamere, un tenente colonnello, appartiene proprio alla Guardia nazionale.

Gli errori compiuti dalla Rosgvardiya in Ucraina, sono ancora più significativi se si considerano i suoi compiti interni. La Guardia nazionale e il suo capo, Zolotov, ha scritto in questi giorni su Gulagu.net il dissidente Vladimir Osechkin, sono «una sorta di scudo contro i colpi di Stato a palazzo». Uno dei motivi della stabilità di Putin è la moltiplicazione delle forze di sicurezza ottenuta anche grazie alla creazione di una struttura come Rosgvardiya, gestita senza alcuna mediazione ministeriale o burocratica. Tanto più se a guidarla è un «signorsì» da 30 anni fedele sino al fanatismo come Zolotov. Nella riunione del Consiglio di sicurezza ripresa dalla tv prima dell'invasione pronunciò le parole più dure: «gli ucraini sono solo vassalli degli americani, li stanno riempiendo di armi ... dobbiamo muoverci per difendere il nostro Paese». Ora le dimissioni di Gavrilov toccano anche lui.

Ucraina, Putin fa arrestare il "ministro dell'Interno" di Lugansk. I servizi segreti di Kiev: prime epurazioni nel Donbass. Il Tempo il 20 aprile 2022

Di pari passo alle epurazioni e alle purghe tra i funzionari russi che hanno consigliato Vladimir Putin per l'intervento militare in Ucraina, proseguono anche le rimozioni e gli arresti degli ufficiali di Mosca al fronte. La guerra non va come previsto dal Cremlino, e nomi fino a ieri importanti ne fanno le spese. L'ultimo caso è quello che fa trapelare l’intelligence del ministero della Difesa dell’Ucraina, secondo cui la Russia ha iniziato a "fare pulizia" tra le proprie fila anche nelle aree occupate del Donbass. Il Kyiv Independent scrive che il servizio segreto interno di Mosca, FSB, ha arrestato il maggiore Igor Kornet nell’Oblast di Lugansk. L'ufficiale e politico sarebbe attualmente detenuto in un centro a Rostov sul Don in Russia.

Secondo le fonti ucraini Kornet sarebbe il leader del "Ministero degli affari interni della LPR", la sedicente repubblica separatista e filorussa di Lugansk, insomma un uomo di primo piano per i russi nella regione ora occupata dalle forze di Mosca. L'arresto "ha provocato una reazione negativa da parte delle forze dell'ordine e della leadership politica della 'repubblica', che lo valutano come l'inizio di cambiamenti nel blocco di potere del quasi-stato”, afferma l'intelligence ucraina citata dal quotidiano di Kiev. 

Il cambio di generali e vertici militari anche nel Donbass, secondo gli 007 di Kiev, è un segnale che la Russia sta cercando di mobilitare risorse umane nei territori intorno a Lugansk "per compensare rapidamente le perdite" militari "e continuare le ostilità contro l'Ucraina".

La furia del Cremlino per le difficoltà in Ucraina. Putin fa arrestare il generale Gavrilov, altre purghe a Mosca: giallo sulla sorte del vice capo della Guardia nazionale. Carmine Di Niro su Il Riformista il 17 Marzo 2022. 

Le difficoltà incontrate dai militari russi in Ucraina fanno una nuova ‘vittima’ nelle alte gerarchie delle forze armate. Il generale russo Roman Gavrilov, vice capo della Guardia nazionale russa, la Rosgvardia, è stato arrestato dall’Fsb, i servizi di sicurezza della Federazione russa erede del Kgb sovietico.

La notizia è stata resa nota da Christo Grozev, giornalista del sito investigativo Bellingcat, che cita “tre fonti indipendenti”. La Rosgvardia è una delle unità dell’esercito che ha subito maggiori perdite nel corso del conflitto in Ucraina, in corso ormai da 22 giorni.

Soltanto pochi giorni fa il capo di Rosgvardia, Viktor Zolotov, aveva ammesso durante una funzione religiosa in presenza del patriarca ortodosso di Mosca Kirill che l’operazione militare speciale in Ucraina “non sta andando alla velocità prevista”.

Quanto a Gavrilov, i motivi dietro l’arresto non sono ancora chiari: stando ad una fonte riportata da Grozev sarebbe stato arrestato dal dipartimento di controspionaggio militare dell’FSB per “fughe di informazioni militari che hanno portato alla perdita di vite umane“, mentre altre due fonti sottolineano invece che l’accusa sarebbe di “sperpero dispendioso di carburante“.

La notizia dell’arresto è stata ovviamente smentita da Mosca. Il deputato della Duma Aleksandr Khinshtein ha definito l’arresto un “falso assoluto“, mentre l’agenzia di stampa russa ‘Ura.ru’ parla di licenziamento e non arresto. Un provvedimento che sarebbe stato avviato personalmente dal direttore del Servizio federale delle truppe della Guardia nazionale russa, Viktor Zolotov.

Con l’arresto di Gavrilov salgono a tre i vertici militari arrestati dall’inizio del conflitto. Nei giorni scorsi era emersa, anche se ad oggi non è mai stata confermata ufficialmente, la notizia dell’arresto di Serghei Beseda e Anatoly Bolukh, numero uno e numero due della Quinta divisione dell’Fsb, la ‘filiale’ dei servizi segreti specializzata nei Paesi dell’ex Urss.

Dietro la ‘purga’ ci sarebbe l’accusa nei loro confronti di aver deliberatamente fornito notizie errate sulla situazione in Ucraina e rubato denaro destinato ad arruolare agenti e organizzare operazioni sovversive.

Beseda, 68 anni, è un pezzo da novanta dell’Fsb con grande esperienza in Ucraina: fu lui infatti a guidare gli sforzi (falliti) da parte Russa di fermare la rivoluzione di Euromaidan nel 2014, nel tentativo da parte del Cremlino di tenere alla guida del Paese il presidente filo-russo Viktor Yanukovich, in predicato di tornare al governo di Kiev in caso di rovesciamento del potere e caduta dell’attuale presidente Volodymyr Zelensky.

Proprio per il suo ruolo nel tentativo di reprimere la rivolta popolare contro il governo Yanukovich, Beseda fu anche inserito nella lista di persone colpite da sanzioni da parte dell’Unione Europea.

Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia

Marco Ventura per “il Messaggero” il 18 marzo 2022.  

Un'altra epurazione, forse un altro arresto, a riprova delle preoccupazioni di Vladimir Putin e della stretta sugli organismi direttamente responsabili della fallimentare campagna di Ucraina. Stavolta, il siluramento colpisce i vertici della Guardia nazionale russa, istituita personalmente da Putin nel 2016, storica erede del Corpo delle Guardie interne creato nel 1811 dallo Zar Alessandro I.

Il generale Roman Gavrilov, vicecomandante della Rosgvardia, sarebbe stato arrestato dall'Fsb (i servizi di sicurezza della Federazione russa, l'ex Kgb), secondo altri solo «rimosso dall'incarico», con l'accusa di fuga di notizie e abusi amministrativi. A divulgare la notizia è Christo Grozev, giornalista investigativo del sito Bellingcat, che rimanda a tre «fonti indipendenti». Puntuale anche la smentita, tramite il deputato della Duma, Aleksandr Khinstein, per il quale l'arresto è «un falso assoluto».

La testata Ura.ru si limita a parlare di «licenziamento» e cita fonti anonime «a conoscenza della vicenda». A silurare Gavrilov è stato, a quanto pare, personalmente il direttore della Guardia Nazionale, e almeno fino agli ultimi giorni suo amico, Viktor Zolotov. Gavrilov non è una figura di secondo piano. Ha fatto parte della Guardia personale di Yeltsin, di Putin e di Medvedev. Se non un esponente del cerchio magico del Cremlino, comunque un alto ufficiale che aveva accesso al gotha della Federazione.

E numero 2 della Rosgvardia, corpo militare di 380mila unità che ha competenza fra l'altro sulla protezione dei confini della Federazione russa, sull'ordine pubblico interno, e il cui comando risponde a Putin. Lo si potrebbe paragonare ai nostri carabinieri. È uno dei corpi che hanno subìto il maggior numero di perdite in Ucraina. Nei giorni scorsi l'agenzia Tass ha sottolineato che unità della Rosgvardia svolgono nel conflitto «un ruolo speciale per la protezione della rete di trasporti e infrastrutture vitali, comprese le centrali nucleari di Chernobyl e Zaporozhye, cadute sotto il controllo delle forze di Mosca». 

Inoltre, il dipartimento di cui era responsabile Gavrilov è attivo nelle operazioni militari, nel mantenere la sicurezza e l'ordine pubblico, nella difesa dal crimine e dal saccheggio negli insediamenti liberati, parole della Tass, dalla presenza dei nazionalisti ucraini. In più, scorta i convogli di aiuti umanitari.

In pratica, funziona come polizia militare. La purga non può essere stata decisa se non su indicazione o dietro avallo personale di Putin. Di recente il capo di Gavrilov, Zolotov, ha ammesso durante una funzione religiosa con il patriarca ortodosso di Mosca, Kirill, che la cosiddetta operazione speciale militare in Ucraina «non procede alla velocità prevista». A Gavrilov sarebbero imputate «fughe di informazioni militari che hanno portato alla perdita di vite umane», secondo altri invece «sperpero inutile di carburante».

Potrebbe essere il segno di un crescente nervosismo al Cremlino. Durissime le parole del presidente: «La Russia sa distinguere i veri patrioti, sarà purificata e più forte: dobbiamo sputare fuori come i moscerini dalla bocca i traditori». Mai confermata ufficialmente è la notizia di qualche giorno fa circa l'arresto di Sergei Beseda e Anatoly Bolukh, capo e vice della quinta divisione dell'Fsb, che si occupa dei Paesi dell'ex Unione Sovietica e che aveva il compito di fornire al Cremlino tutte le informazioni sulla resistenza che i battaglioni russi avrebbero incontrato in Ucraina. Beseda aveva guidato anche le operazioni per tenere in sella nel 2014 il presidente filo-russo Yanukovich, rovesciato in una notte dalla rivolta di Euromaidan.

E proprio per questo, era finito tra i destinatari delle sanzioni Ue. Gli osservatori cercano adesso di analizzare i comportamenti di Putin, in particolare l'apparente fissazione della distanza nelle riunioni coi suoi più stretti collaboratori. Impressionanti le foto e le immagini video di alcuni meeting con il ministro della Difesa, Shoigu, e il capo di Stato maggiore delle Forze Armate, Gerasimov.

Lo Zar sa di doversi guardare più dai signori del Palazzo, che dalle manifestazioni di piazza. I suoi fedelissimi provengono quasi tutti dai servizi, alcuni erano al suo fianco a Leningrado e lo hanno accompagnato fino a Mosca. Shoigu è suo amico e insieme fanno battute di caccia e pesca in Siberia. Ma crepe nel cerchio magico sono evidenti nelle prese di posizione sui social, per esempio, di moglie e figlia del portavoce Peskov. E tutti ricordano l'impietoso show di Putin con il capo dei Servizi esterni, Sergey Naryshkin, balbettante prima di allinearsi alla decisione di invadere l'Ucraina.

Ucraina, ucciso il quarto generale russo: è Oleg Mityaev, aveva guidato le truppe nel 2014 nel Donbass. Redazione Online su Il Corriere della Sera il 16 marzo 2022.

In 20 giorni di combattimento le forze di difesa dell’Ucraina hanno ucciso dieci membri del comando delle truppe russe, tra cui quattro generali.

Un funzionario del ministero dell’Interno ucraino, Anton Gerashenko, ha annunciato l’uccisione in battaglia a Mariupol del generale russo Oleg Mityaev. Lo riferisce la Bbc. Non c’è al momento alcuna conferma né da parte russa né di fonti indipendenti. Nel suo appello via video notturno il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, aveva annunciato l’uccisione di un altro generale russo, il quarto dall’inizio del conflitto, senza specificarne il nome. Veterano della Siria, Mityaev, 47 anni, era al comando della centocinquantesima divisione motorizzata fucilieri.La foto del suo cadavere è stata postata dal reggimento ucraino Azov, che avrebbe ucciso il generale insieme ad altri sette membri di un commando delle forze speciali russe. Il giornale ucraino Telegraf ricorda che il generale Mityaev aveva guidato le truppe russe nel 2014 nel Donbass.

Le ultime notizie sulla guerra in Ucraina

In 20 giorni di combattimento le forze di difesa dell’Ucraina hanno ucciso dieci membri del comando delle truppe russe. Tra di loro sono morti in combattimento quattro generali (oltre a Mityaev, Vitaly Gerasimov, Andriy Kolesnikov e Andriy Sukhovetsky), tre colonnelli e tre tenenti colonnelli. A riferirlo è il Center for Countering Disinformation del National Security and Defense Council dell’Ucraina. Il governo ucraino sostiene inoltre che i russi «hanno deciso di coinvolgere nel conflitto anche i primi cadetti degli istituti di istruzione militare superiore», perché «hanno perso il 40% delle unità impiegate sul terreno» e «hanno problemi a fornire munizioni alle truppe».

Strage di generali, ritardi e disfattismo. E l'Armata richiama le truppe dal Pacifico. Francesco De Remigis il 17 Marzo 2022 su Il Giornale.

L'avanzata di terra sembra incagliata, frenata dalla resistenza ucraina. Altri soldati pure dall'Armenia e mercenari dalla Siria. In supporto i droni kamikaze. Ma la guerra-lampo ormai è solo un lontano ricordo.

Carri armati letali ma ormai superati: T-72 e T-80. Soldati mandati allo sbaraglio. Verrebbe da dire: «Che succede...? Dov'è il milite russo?». Al 21° giorno di guerra, l'avanzata dell'Armata rossa in terra ucraina appare incastrata. Non tanto sui cieli contesi da cui continuano a piovere missili da crociera a 950 km orari, i temibili 3M-54 Kalibr con un carico bellico da mezza tonnellata, che distruggono scuole, asili, palazzi, mercati, e ieri una chiesa, a Chernihiv. Ma a terra, dove più di qualcosa sembra andar storto per Mosca.

«L'appetito dell'autocrate», per citare Joe Biden, costringe Mosca a cercare in ogni angolo terrestre altra carne da mandare al macello; per rimpolpare trincee prosciugate, spaesate, colte alla sprovvista dalla resistenza ucraina. E' l'intelligence militare britannica a sostenere che le forze russe starebbero dislocando altri uomini per superare lO stallo in cui sono cadute le truppe: soldati in arrivo dai distretti dell'est russo, dal Pacifico. Londra parla anche di militari dall'Armenia (dal Nagorno-Karabakh). E dell'impiego di 15mila mercenari siriani e africani.

In Armenia, Mosca aveva piazzato 1.960 soldati per una missione quinquennale dopo l'accordo di pace siglato con la sua mediazione, e quella di Ankara (che oggi sgambetta l'Armata rossa con i suoi droni a Kiev). Circa una metà di quelle truppe sarebbe chiamata a mobilitarsi. Ma Vladimir Putin, che ha già ufficializzato la morte di un generale 47enne, Andrei Sukhovetsky, ucciso il 3 marzo da un cecchino in un luogo imprecisato (ed era in forza a una divisone strategica, capo della 7a paracadutisti), ieri è intervenuto spiegando che in Ucraina "l'operazione militare speciale sta procedendo con successo".

A bombardare le città e far fuoco anche sui giornalisti sono finiti coscritti, mercenari, persino migranti. E se la censura russa sul fronte è totale, la lista delle sepolture si allunga ogni giorno; e in patria le madri scrutano Telegram per avere notizie sui figli caduti. Per Kiev, già 14 mila da inizio invasione; più caute le stime Usa, 5-6 mila. Venti 20 generali russi schierati. Ben 4, fedelissimi di Putin, sarebbero deceduti: l'ultimo ieri, smentito da Mosca. Si tratterebbe di Oleg Mityaev, 46 anni, comandante della 150esima divisione motorizzata, veterano già schierato in Siria, poi a Rostov, ucciso con 7 unità delle forze speciali.

Nel ciclone ci sono gli apparati dei servizi di sicurezza, dov'è partita la caccia alle "talpe". Tanto a Mosca, quanto al fronte. Una nuova lettera inviata da una gola profonda dell'Fsb all'attivista dei diritti umani in esilio Vladimir Osechkin conferma infatti come nell'ex Kgb si stimi allo "0% la realizzazione del piano, pensavamo che i politici di Kiev avrebbero fatto la fila per sostenerci".

Sul campo, solo pochi giorni fa sono arrivate armi più sofisticate da Mosca. I mini-velivoli telecomandati tristemente noti col nome di "droni kamikaze". A marchio di garanzia di letalità: Kalashnikov. Esplodono il colpo, bruciano l'obiettivo e aumentano la devastazione con sfere d'acciaio. E' però una superiorità potenziale. Continuano infatti a vedersi carri armati russi distrutti, mostrati anche ieri dagli ucraini: le "Z" in bella vista, sfregiati, inceneriti.

Difficile bollare i video soltanto come propaganda. Dietro c'è l'aeroporto di Kherson, la città che i russi hanno annunciato di aver preso. Sempre ieri, le immagini di un altro mezzo segnato "Z", russo, distrutto a Mariupol (dove Mosca accusa invece il battaglione Azov d'aver distrutto il teatro). Informazioni complesse da sminare: forse plateali, ma danno l'idea di come "Azov" abbia azionato con successo i droni arrivati dall'estero. Mosca al palo?

Il battaglione Aidar, integrato nella guardia nazionale ucraina al grido di patria e fucile, diventa quindi il capro espiatorio per ogni crimine commesso da Mosca. Il loro profilo neonazi è parte integrante della resistenza ucraina che rallenta l'Armata Rossa. I russi sembrano ancora in grado di prevalere. Ma l'aspetto psicologico colpisce soprattutto i militari di leva russi; anch'essi chiamati a combattere in Ucraina nonostante le smentite di Putin. Forse la prima gaffe mediatica-militare che ha segnato il passo del conflitto.

L'Orso è ferito, e per questo è più pericoloso. Da ipotetica guerra "lampo", l'escalation è dietro l'angolo. Sapendo di non poter vincere alla lunga, il premier ucraino è categorico: "Non abbiamo mai pensato alla resa". E via con la notizia di due caccia russi abbattuti dalla contraerea sui cieli di Odessa, dove Mosca sembra però pronta all'accerchiamento.

Anna Zafesova per la Stampa il 12 marzo 2022.

«Mamma, sono io. Mamma, sono prigioniero. In Ucraina, ci hanno mandato a liberarli, ma invece siamo invasori, mamma, non ho fatto nulla di male, non ho sparato». Il soldatino biondo singhiozza nel cellulare offertogli da un militare ucraino. Il video è uno dei tanti, decine e decine, pubblicati sul canale Telegram Ishi Svoikh, cerca i tuoi, istituito dai militari di Kiev per informare le famiglie russe che i loro figli erano caduti uccisi, o prigionieri, in Ucraina. 

Ovviamente può essere propaganda, ma tanti, troppi soldatini russi raccontano la stessa storia: avanzavano con una colonna di blindati, è finito il carburante, sono stati abbandonati. 

Anche se fosse una storia per impietosire il nemico, non fanno la figura degli eroi della seconda armata più potente del mondo. Piangono. Si lamentano. Accusano i loro comandanti di averli ingannati e piantati nel fango dei campi ucraini. Le scene dei trattori dei contadini ucraini che trainano carri armati, blindati o addirittura batterie di artiglieria russe sono ormai uno dei simboli di questa guerra, riprese su t-shirt e murali, in una iconografia da Davide contro Golia.

L'analista militare Stijn Mitzer ritiene di aver verificato informazioni su 1100 mezzi russi abbattuti o catturati dagli ucraini, o anche semplicemente abbandonati nelle foreste (contro circa 300 mezzi ucraini): carri, camion, cannoni, e perfino aerei ed elicotteri. Ieri, un'intera colonna è caduta in mano agli ucraini, munizioni comprese. 

E la famosa colonna di mezzi militari lunga 60 chilometri che puntava su Kiev è ancora lì, dopo diversi giorni, ma non è più una colonna: «Alcuni veicoli sono scesi dalla strada per ripararsi tra gli alberi, ma non per avanzare, per nascondersi mentre gli ucraini continuano a bersagliarli», dice un esperto militare americano alla NBC. 

«Nessun stratega militare avrebbe mai permesso a un distaccamento così grande di affidarsi a una sola strada, circondata da campi troppo soffici per permettere ai blindati di scendere», si stupisce sul Telegraph il tenente-generale britannico Ben Hodges. 

Le strade ucraine non sono larghissime, e l'ambiziosa avanzata russa, da tre fronti contemporaneamente, ha finito per intasarle bloccando anche il trasporto di rifornimenti alle avanguardie russe. «Un disastro logistico, una pianificazione che poteva andare bene solo nel caso di una operazione lampo, con Kiev che cadeva in pochi giorni», commenta Hodges.

Ma così non è stato: i droni di produzione turca Bayraktar stanno colpendo metodicamente le colonne russe, mentre le comunicazioni russe vengono intercettate per mancanza di trasmettitori criptati. L'impressione, a volte, è che i generali di Putin stiano combattendo ancora una guerra novecentesca, dove si scommette su numero soverchiante di mezzi di terra, e di soldati, una sorta di riedizione della battaglia di Kursk nell'epoca delle tecnologie.

Il mito della ex Armata Rossa sta cedendo all'immagine dì una armata rotta, i cui soldati saccheggiano supermercati e si perdono nei boschi. L'ex ministro degli Esteri russo Andrey Kozyrev non si stupisce: «La maggior parte del budget militare russo è stata rubata è trasformata in mega yacht a Cipro. Ma i consiglieri militari non potevano dirlo al presidente». Già qualche anno fa la procura militare russa aveva parlato di un quinto dei finanziamenti finiti in corruzione. 

Sono i "militari Potiomkin", come li chiama Kozyrev, che hanno mostrato a Putin per anni prototipi di armi potenti, fino a che non gli ha chiesto di usarli in una guerra vera. Una guerra di una portata che la Russia non aveva sperimentato dal 1945: oltre alla disastrosa avventura in Afghanistan, Mosca ha perso la prima guerra cecena, ha "vinto" la seconda dopo anni di bombardamenti, e in Siria ha impiegato tre anni a piegare un nemico sprovvisto di aviazione. Nel Donbass, nel 2014, l'esercito russo era stato costretto a fermarsi, e molti esperti militari russi avvertivano già all'epoca che, escluse alcune divisioni aviotrasportate, ben addestrate ed equipaggiate, il grosso dell'esercito era ancora molto sovietico, cioè povero, arretrato e disorganizzato. 

Il risultato è che in una settimana sono caduti sul fronte ucraino già tre general-maggiori russi, comandanti di ranghi che raramente vengono uccisi sul campo di battaglia. La chiamata alle armi di volontari siriani e non meglio identificati soldati della Repubblica centroafricana potrebbe essere propaganda per mostrare la solidarietà internazionale con Mosca. 

Ma il vero segnale inquietante giunge dal gruppo Wagner, che annuncia un reclutamento «senza filtri» per tutti i mercenari scartati in precedenza: secondo la BBC, l'invito ai tagliagole dì «andare a mangiare il lardo», tipica specialità Ucraina, è un segno che i soldati del Cremlino non bastano più.

Gian Micalessin per “il Giornale” l'11 marzo 2022.

«Chiederemo all'esercito di dare informazioni». Le parole del portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, risuonate dopo il disgraziato bombardamento della maternità di Mariupol non lasciano dubbi. A Mosca tira aria di tempesta. 

La decantata macchina militare «ibrida» del ministro della difesa Sergej Sojgu e dal Capo di stato maggiore Valery Gerasimov non sembra più girare al meglio. Lo dimostrano le cantonate strategiche, con conseguenti perdite di uomini e mezzi, inanellate nei primi quindici giorni di campagna ucraina.

Errori inaccettabili alla luce degli oltre 1.400 miliardi di euro investiti nell'ultimo decennio per ammodernare l'inadeguato esercito ereditato dall'Unione Sovietica. Prendiamo l'aviazione. Dove sono finiti i 440 aerei da combattimento messi in linea tra il 2009 e il 2020 fondamentali per annientare i centri di comando e comunicazione ucraini? Fin qui non si sono praticamente visti. 

I moderni bombardieri

Su 34 sono stati avvistati solo nei cieli di Kharkiv, distante appena 40 chilometri dal confine russo. Il tutto mentre i 700 missili impiegati contro installazioni radar, aeroporti e centri di comunicazione sembrano aver mancato gli obbiettivi.

Un insuccesso che ha permesso alle anti-aeree di Kiev, rimaste in gran parte operative, di abbattere, si dice, almeno quattro Su 34. Ai caccia Su 30 e Su 35 e agli elicotteri Mi 28, equivalenti in teoria agli Apache americani, non sta andando meglio. 

Quando vengono impiegati per difendere le lunghe colonne di mezzi russi dispiegate sul terreno finiscono troppo spesso nel collimatore degli Stinger americani, i missili anti aerei a spalla che già negli anni '80, in Afghanistan, facevano strage di velivoli russi.

Ma il disgraziato bombardamento di Mariupol riserva anche altre domande. La principale riguarda il mancato ricorso alle bombe intelligenti. A differenza di quanto avvenuto in Siria l'aviazione di Mosca sta ricorrendo quasi esclusivamente alle antiquate bombe gravitazionali. 

Una scelta che, oltre a moltiplicare il rischio di colpire obbiettivi civili, costringe i piloti a sganciare a bassa quota esponendosi ai missili Stinger. Il limitato impiego dell'aviazione e dei droni rende, tra l'altro, ancor più vulnerabili le colonne di carri armati e blindati russi.

Affidate a personale di leva scarsamente motivato, poco esperto e incapace di reagire agli assalti, le colonne sono un facile bersaglio per le unità ucraine pronte a martellarle ai fianchi e nelle retrovie grazie ai missili anticarro Javelin forniti da Stati Uniti e Gran Bretagna.

E a rendere più lento e vulnerabile questo mastodontico dispositivo militare s'aggiungono inadeguatezze logistiche e usura dei mezzi. La colonna lunga sessanta chilometri ferma alla periferia di Kiev si ritrova, di fatto, intrappolata in un gigantesco ingorgo causato dai mezzi paralizzati da guasti meccanici o bloccati, più banalmente, da fango e mancanza di carburante.

In quel girone infernale sono prigionieri oltre 15mila soldati alla mercé dei Bayraktar TB-2 i micidiali droni venduti a Kiev dal presidente turco Recep Tayyp Erdogan. E a rendere la situazione più tragica s'aggiungono le temperature scese, da ieri, a meno venti.

Uno scenario da incubo per un'armata priva di alloggiamenti e di pasti caldi, ma esposta a continui attacchi. E a far montare la rabbia del Cremlino s'aggiungono le ingenti perdite. L'uccisione di 12mila russi rivendicata da Kiev è sicuramente una smisurata esagerazione. Tuttavia anche i 498 caduti, ammessi una settimana fa da Mosca, rappresentano soltanto parte di un bilancio stimato ormai intorno alle 2mila unità.

Una cifra da incubo se paragonata ai 15mila uomini persi in 10 anni di Afghanistan dall'Armata Rossa. Ma il segnale peggiore è forse l'uccisione del generale a due stelle Andrei Sukhovetsky. 

Una morte seguita, una settimana dopo, da quella del generale di pari rango Valery Gerasimov. Due caduti di alto rango che segnalano come la confusione del fronte costringa i comandanti a spingersi in prima linea per governare un'offensiva destinata, altrimenti, a naufragare nel caos.

Ecco chi è Andrey Kolesnikov, il terzo generale russo che gli ucraini avrebbero ucciso. La Stampa l'11 marzo 2022.

Un terzo maggior generale russo è stato ucciso in Ucraina. Lo affermano funzionari occidentali citati dal Guardian, secondo cui i generali impiegati per guidare le truppe nel conflitto sono circa 20. Stando alle forze armate di Kiev, si tratta del generale Andrey Kolesnikov. Secondo i funzionari citati dal quotidiano britannico, si tratta di una cifra sorprendentemente alta di generali schierati vicino alla linea del fronte e potrebbe indicare che «le truppe non sono in grado di prendere decisioni da sole e non hanno consapevolezza della situazione». Nel 2021 Kolesnikov è diventato il comandante della 29esima armata del distretto militare orientale. In precedenza ha servito come capo di stato maggiore dell'esercito. Kolesnikov sarebbe il terzo alto militare russo ucciso nel conflitto dopo il generale Andrey Aleksandrovich Sukhovetsky e il comandante della 41esima armata Vitalij Petrovič Gerasimov. «L'eliminazione dei leader militari sul campo sta diventando davvero catastrofica per la Russia», scrive su Twitter ul reporter di guerra ucraino Ilia Ponomarenko, che per primo ha rilanciato la notizia.

Anna Guaita per “Il Messaggero” il 9 marzo 2022.

«Scusi se disturbo...». Una voce rotta dal pianto arriva fievole da una lontana provincia della Russia. A Kiev, nel cuore dell'Ucraina dilaniata, le risponde un'altra voce femminile, con un tono quasi materno. In quelle due voci che dialogano con dolcezza, tutte e due con il pianto a mala pena trattenuto, si riassume la follia di questa guerra. 

La voce che chiama è quella di una donna russa che non riesce più ad avere notizie del marito, partito per la guerra credendo di andare a fare esercitazioni militari. La voce che le risponde è di una volontaria ucraina che aiuta le russe a trovare informazioni sui loro cari: «Quando gli ha parlato l'ultima volta? E dov'era suo marito?».

L'iniziativa è stata voluta dal presidente Zelensky, come gesto di buona volontà nei confronti delle mamme in Russia. La linea verde si chiama «Trova il tuo caro» ed è stata annunciata sui social, poi il passaparola ha fatto il resto. 

Migliaia di telefonate sono arrivate al numero di Kiev, voci di madri, nonne, mogli, fidanzate, sorelle. Talvolta sono i padri a parlare: «Stanno usando i nostri figli come carne da cannone», si è sfogato il papà di un povero ragazzo di campagna, soldato di leva.

E non mancano le telefonate da altri Paesi, come lo zio che ha chiamato dagli Usa quando la sorella, mamma di un giovane soldato al fronte, gli ha spiegato che aveva paura di telefonare: «Tutti hanno paura in Russia - dice l'uomo che chiama dagli Usa -. Sono tutti controllati. Ci provo io allora. Ogni cosa ci fa pensare che Nikolai sia morto, ma se fosse possibile vorremmo ritrovarne il corpo».

Oramai i morti sono tanti. Il Cremlino dice che sono solo 498, gli ucraini sostengono che si arriva addirittura a 11 mila, il Pentagono ieri ha calcolato che siano un numero imprecisato fra 2 e 4 mila. 

I primi funerali di giovani caduti nella guerra in Ucraina fanno la loro comparsa sui social e non c'è censura che tenga. Le foto di lunghe file di auto dietro il feretro di un soldato spingono le mamme russe a cercare notizie dei propri figli.

Una ha provato a contattare la caserma del figlio: «Mi hanno risposto che era a fare esercitazioni al confine con l'Ucraina. Ho risposto che era impossibile, perché nell'ultimo messaggio diceva che si stava muovendo dalla Bielorussia verso l'interno dell'Ucraina. Mi hanno attaccato il telefono in faccia».

Gli ucraini hanno anche stampato volantini per incoraggiare i soldati russi ad arrendersi pacificamente, le foto e i video apparsi sulla pagina Facebook del ministero della Difesa di Kiev mostrano numerosi soldati di Mosca prigionieri di guerra.

Sono quasi tutti soldati di leva giovanissimi, con un'aria molto poco bellicosa. Ha fatto il giro del mondo il video di un ragazzo che accetta un tè caldo da una madre ucraina e usa il telefono della donna per avvertire la famiglia in Russia che è vivo e sta bene. 

Non è detto che questa disposizione umanitaria verso il nemico sia solo dettata da un cuore d'oro: il telefono amico, i volantini e le immagini con il tè aiutano l'Ucraina a vincere la guerra dell'informazione e a conquistare la simpatia del mondo.

La Russia non ha simili immagini da condividere e anzi una nuova legge di censura vieta a chiunque di commentare la guerra se non secondo la linea ufficiale del Cremlino. E quel che dicono le mamme e i familiari che trovano il coraggio di chiamare la linea di Kiev non echeggia la propaganda di Putin: «Non volevamo questa guerra, glielo giuro», piange un'altra madre disperata. «Lo so, le credo - risponde la voce amica, anch'essa in lacrime -. Ma non sapete che distruzione avete portato nel nostro Paese». 

Vladimir Putin vieta i funerali per le vittime russe, "usate forni crematori portatili": le ragioni dell'orrore. Renato Farina su Libero Quotidiano il 09 marzo 2022

Questo che propongo è un esercizio pericoloso. Può essere fatto passare per intelligenza con il nemico, per una forma di assoluzione degli aggressori. Ma non posso farci niente. È consentito avere pietà, guardare con pena e compassione i soldati russi morti? Certo erano pedine di un piano criminale. Ma questo ci autorizza a buttarli fuori dal recinto del rispetto che si deve a chi fa parte di un esercito nemico del bene e della civiltà? Dico di no. 

Lo dico adesso, tardivamente, perché la paura di una guerra che ci coinvolgesse, l'evidenza di chi fosse il predatore e chi la preda, rendeva esecrabile ai miei stessi occhi, nel pieno di una ondata sacrosanta di indignazione, qualsiasi forma di commozione per "i cattivi". Impossibile davanti al terribile filmato della mamma e del bambino carbonizzati da un missile russo, e a quello di donne con i fagotti e le valige, i cui bambini tiravano loro la gonna perché il papà restava. Accanto a questi, che chiamava il nostro pianto, ne è circolato un altro. Ma è sparito subito, per impedire la confusione dei sentimenti, di quelli consentiti e di quelli vietati in guerra, in cui - piaccia o no - anche noi siamo coinvolti. 

Nelle prime ore dell'invasione il cellulare di un combattente ucraino ha registrato e diffuso sul web la scena di una vittoria del debole contro il forte. Alcuni cadaveri di soldati russi giacevano presso il loro carro armato fatto saltare per aria, corpi disarticolati, carne senz' anima, nessun lenzuolo che li coprisse, mentre si odono le voci dei loro nemici che li scherniscono. La guerra è così. Fa schifo. Probabilmente quei soldati russi non sapevano neppure dove fossero. Un ordine e si parte, direzione Sud, si va a impedire il massacro dei russi del Donbass. Questo forse - o neanche - gli deve esser stato detto. E chi avesse il diritto di ammazzarli è chiaro da quale parte stesse. Tardivamente lo dico e mi accuso. Quei militari dell'Armata Rossa meritano anch' essi un segno di croce, un istante di silenzio, o il classico R.I.P dei social. Ovvio. Sarebbe una pretesa ridicola pretendere la pietà per il nemico da chi se l'è visto venire addosso con il cannone puntato. 

Ma è qualcosa che a noi tocca, pena la rinuncia all'umano che dovrebbe essere il fondamento dei famosi valori dell'Occidente illuminista e cristiano. È un esercizio ammesso solo in privato, nel segreto della stanza e dei propri pensieri notturni. Ma in pubblico è un tabù, non si fa, ti fa iscrivere sull'elenco dei putiniani o peggio ancora dei buonisti, per cui anche il male va cosparso di fiori. Ma no, non il male, ma quelli che sono coinvolti in una guerra, qualsiasi essa sia. Ci sono anche i cimiteri degli sconfitti, non li ricorda nessuno. I soldati non sono colpevoli di essere dalla parte sbagliata della storia o semplicemente da quella perdente. Ho in mente i nostri alpini, eroici, ma invasori alleati dei nazisti, non bisogna essere nazionalisti nella pietà per i disgraziati chiamati a far la guerra. Quanti sono i morti sul campo di questo conflitto? L'Onu parla di 1200 ucraini, tra cui 27 bambini. Non si sa quanti di questi siano militari o civili. Il presidente Zelensky ha ordinato con tracotanza a tutti i cittadini di armarsi e difendersi, di fatto indicendo una «guerra di popolo». Tutti soldati, e questo rende difficile e un po' ipocrita la distinzione (non quella tra l'aggressore e l'aggredito, ovvio). In compenso i soldati russi morti sono secondo Kiev circa 12mila. Il Pentagono ridimensiona le perdite a 4mila al massimo. 

Ma questi poveri soldati russi morti non hanno il diritto a un nome nella loro Redipuglia, hanno ricevuto l'ordine dal Cremlino di non esistere. Infatti Putin non ha dichiarato guerra a un altro Stato, ma ha ordinato un'operazione speciale dentro un'unica nazione russo-ucraina. Dunque non valgono le regole antiche. Secondo una legge approvata dalla Duma nel 2015, chi muore non ha diritto all'onore pubblico e neppure al fiore della mamma e della fidanzata. L'intelligence britannica ha fatto trasmettere sui siti il filmato di forni crematori tascabili, perfettamente mimetizzati come camion frammezzo alle colonne di carri armati e mezzi blindati. Alzi la tendina però, e vede questa specie di grossa botte d'acciaio capace di contenere un cadavere e trasformarlo in cenere. Le immagini sono datate 2013, ma il ministro della Difesa Ben Wallace al Daily Telegraph conferma che il sistema funziona ancora: «Se fossi madre o padre di un figlio soldato, e il mio governo pensasse che il modo per coprire le perdite sia un forno per bruciarlo, sarei profondamente preoccupato». Tu non esisti come persona. 

In un capitolo di "Imperium", il libro nel quale Ryszard Kapucinski (1932-2007) ha raccontato lo sfaldarsi dell'Urss, appare un esercito invincibile. Era fatto dalle madri dei soldati mai tornati dall'Afghanistan, si ostinavano a tenere in vista, qualunque generale o ministro passasse, la foto del figlio così bello, con quegli occhi azzurri: «Dov' è? Ditemi almeno dov' è la sua tomba!». Non contò poco questa sollevazione della madri a distruggere la credibilità dei comunisti nell'Urss, con il triplice funerale in sequenza: Breznev-Cernenko-Andropov. Morire sì, ma togliere la tomba, seminare le ceneri senza avvertire dove, facendo firmare alle madri, previo indennizzo, l'impegno di tacere, non lo meritano neppure i soldati dello Zar. Da come sono trattati i morti si capisce la differenza tra barbarie e umanesimo. Facciamoli almeno esistere noi questi poveri morti che non dovevano morire nella follia della guerra.

Il dolore delle famiglie. La Russia vieta i funerali dei soldati morti in Ucraina, l’ultima censura di Putin: “Non vogliono scatenare il panico”. Fabio Calcagni su Il Riformista il 9 Marzo 2022. 

Se una guerra ufficialmente non c’è, dato che dall’inizio del conflitto in Ucraina dal Cremlino si parla esclusivamente di una “operazione militare speciale”, perché svolgere funerali ai soldati morti in battaglia?

È il paradosso russo, dove i funerali dei militari morti durante la guerra che sulla carta è tesa a difendere le popolazioni russofone del Donbass e a “denazificare” l’Ucraina, sono vietati dal governo.

“Ci hanno detto che non avremo il corpo del nostro caro indietro finché tutto non sarà finito”, ha confidato una donna alla Novaja Gazeta, uno dei pochi giornali indipendenti russi, che ha dovuto rinunciare agli articoli riguardanti la guerra per il timore del carcere per i propri giornalisti.

Lyudmila, la donna che parla col quotidiano russo, spiega infatti che la tomba del figlio Maxim, soldato di leva 22enne morto in battaglia il 24 febbraio scorso, è vuota perché il governo “non vuole scatenare il panico”.

Una possibilità, quella di impedire i funerali dei militari morti in battaglia, che nasce proprio dal mancato riconoscimento da parte del Cremlino della guerra in Ucraina. Come conseguenza il governo può applicare un decreto sulla secretazione delle perdite nei combattimenti in tempo di pace, che è stato legittimato nel 2015 dalla Corte suprema russa.

In questo modo vengono di fatto nascosti all’opinione pubblica i morti provocati dal conflitto, ulteriore modo per ‘silenziare’ le poche voci contrarie al regime di Vladimir Putin, che d’altra parte ha già “messo la mordacchia” alla libera informazione con leggi che prevedono fino a 15 anni di carcere per chi prova solamente a scrivere o parlare di “invasione” in Ucraina. 

La storia di Maxim, il figlio di Lyudmila caduto in guerra, è simile a quella di tanti altri giovani che all’improvviso si sono ritrovati in prima linea nella guerra in Ucraina.

Il 22enne aveva parlato con la famiglia il 23 febbraio, il giorno prima di morire nei combattimenti. “Siamo qui per delle esercitazioni, appena mi ridanno un telefono ti chiamo“, aveva promesso a sua madre. “Non potevamo nemmeno immaginare che un soldato di leva sarebbe stato inviato lì. Ha tenuto la mitragliatrice in mano due volte!”, accusa oggi la madre. Una denuncia che è simile da parte di tanti genitori che hanno perso i propri figli, mandati in guerra senza esperienza e senza essere a conoscenza delle reali intenzioni dello Zar Vladimir Putin.

Soltanto oggi, dopo due settimane di combattimenti, il ministero della Difesa della Federazione Russa ha riconosciuto ufficialmente la partecipazione dei soldati di leva alla guerra in Ucraina, smentendo così lo stesso Putin che solo pochi giorni fa lo aveva negato pubblicamente.

“Purtroppo, sono stati scoperti diversi soldati di leva nelle unità delle forze armate russe che partecipano a un’operazione militare speciale sul territorio dell’Ucraina. Quasi tutti sono già stati riportati nel territorio della Russia“, ha spiegato  il Ministero della Difesa russo, che ha sottolineato come “si stanno adottando misure esaustive” per impedire l’invio di ulteriori soldati di leva nelle aree di combattimento.

Quanto ai numeri del fronte, anche se di difficile verifica, restano drammatici: per il direttore della Defence Intelligence Agency americana, Scott Berrier, i soldati russi caduti in Russia sarebbero “2mila o 4 mila”, numero che sale a 12mila per lo Stato Maggiore delle Forze Armate ucraine. Ben più basso il numero fornito dalla Difesa russa, che parla di 498 vittime.

Fabio Calcagni. Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.

Sergej Shojgu fatto fuori, le indiscrezioni-choc sul generale: perché cala la mannaia di Vladimir Putin. Libero Quotidiano il 10 marzo 2022.

Vladimir Putin sta mandando al fronte pure i ragazzini di leva, nonostante le assicurazioni alle famiglie che non lo avrebbe fatto. Una bugia che, con l'andamento disastroso della campagna in Ucraina, potrebbe portare presto alla caduta di teste nell'entourage del presidente. Ieri rimbalzava su account Twitter baltici con contatti in Russia la voce che starebbe per cadere la testa del potente ministro della Difesa, Sergej Kuzhugetovi Shojgu,fautore dell'invasione e della svolta dittatoriale di Putin. 

Sarebbe lui il capro espiatorio per il disastro. La menzogna sui ragazzi di leva è stata scoperta perché un certo numero di coscritti russi sono stati catturati dagli ucraini. Lo ha ammesso proprio il portavoce del ministero della Difesa russo, Igor Konashenkov, dopo che due giorni fa il presidente Vladimir Putin aveva assicurato che in Ucraina «non combattono e non combatteranno» né riservisti, né militari di leva. Solo professionisti.  

E invece... «Purtroppo, sono stati scoperti diversi fatti sulla presenza di coscritti nelle unità delle Forze armate russe che partecipano all'operazione militare speciale sul territorio dell'Ucraina (come Mosca chiama la guerra nel Paese vicino, ndr). Quasi tutti questi militari sono già stati riportati in territorio russo», ha detto Konashenkov durante un briefing. Subito il Cremlino ha fatto ricorso allo scaricabarle: su istruzione del presidente Putin, la Procura generale militare «verificherà e valuterà le azioni legali da intraprendere per punire i funzionari responsabili dell'invio in Ucraina di soldati di leva», ha annunciato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov. In Russia il servizio militare è obbligatorio e dura dodici mesi. Putin ha dichiarato di volerlo abolire ma si è limitato per ora a ridurne la durata. Due giorni fa, il presidente aveva escluso l'impiego di soldati di leva. 

«Prima dell'inizio dell'operazione militare speciale, su istruzione del presidente Vladimir Putin, tutti i comandanti delle unità delle Forze armate sono stati incaricati di escludere categoricamente il coinvolgimento di coscritti per svolgere qualsiasi compito sul territorio dell'Ucraina», ha ricordato Peskov.

L’uomo dei disastri. Chi è Sergej Šojgu, l’ingegnere che ha pianificato l’invasione russa in Ucraina. Alessandro Cappelli su L'Inkiesta il 10 marzo 2022.

È laureato in ingegneria civile, ha costruito la sua carriera politica negli anni ‘90 ed è uno dei siloviki più vicini al capo del Cremlino. Il ministro della Difesa non ha una vera formazione militare, ma la sua carriera è segnata da successi importanti in Crimea e in Siria 

Nelle prime due settimane dall’inizio dell’invasione l’esercito russo non è riuscito a sbaragliare le difese ucraine. Nonostante la differenza tra le forze militari di Mosca e Kiev, l’invasore ha trovato sulla sua strada una resistenza validissima che ne ha fermato l’avanzata. E non solo: come avevamo raccontato nei giorni scorsi, la potenza militare russa è limitata da problemi e contraddizioni – come la dipendenza dai semiconduttori stranieri e le difficoltà finanziarie – che la rendono meno temibile.

L’intera offensiva russa, però, da un punto di vista interno rappresenta una vittoria per l’esercito russo: il Cremlino ha affidato i suoi piani d’attacco al comparto militare anziché al Servizio di sicurezza federale (Fsb), l’agenzia di sicurezza e spionaggio russa erede del Kgb.

«Fino a poco tempo fa l’esercito non era coinvolto nel processo decisionale russo ed era subordinato ai servizi di sicurezza, dai cui ranghi proveniva lo stesso Putin. Ma negli ultimi anni l’esercito ha assunto una nuova importanza, anche a livello politico», scrive Foreign Affairs, indicando un radicale cambiamento nella gerarchia della sicurezza russa.

A guidare questa transizione è stato uno dei membri più ambiziosi della cerchia ristretta di Vladimir Putin: Sergej Kužugetovič Šojgu, ministro della Difesa dal 2012.

Šojgu è nato il 21 maggio 1955 a Čadan, in Siberia, nella repubblica buddista di Tuva, territorio che confina con la Mongolia. Dopo una laurea in ingegneria civile è entrato nel settore delle grandi costruzioni e all’inizio degli anni Novanta ha ottenuto il primo grande incarico pubblico: la vicedirezione del Comitato di architettura e costruzione della Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa.

Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, Šojgu è diventato capo del ministero delle Situazioni di emergenza – una posizione nata proprio per inquadrare lui –, che si occupa soprattutto di persone e territori colpiti dai disastri naturali.

Il suo successo viene notato da Putin, che nel 1999 lo sceglie tra i leader del suo partito, Russia Unita: a quel punto, per Putin, Šojgu un volto spendibile a livello nazionale per alimentare la narrazione populista che cerca.

Da quel momento in poi, l’attuale ministro della Difesa diventa uno dei più affidabili nella cerchia ristretta del presidente. «Oggi Putin e Šojgu fanno regolarmente brevi batture di caccia e pesca in Siberia, dove possono dialogare su qualsiasi argomento. In questo momento, c’è solo un membro del gabinetto che fa parte del Politburo 2.0: questo è Šojgu», scriveva il Guardian a inizio febbraio.

Più sorprendente è stata la decisione di Putin nel 2012 di nominare Šojgu ministro della Difesa, dal momento che questi non aveva mai prestato servizio nell’esercito e non aveva una reputazione nella gerarchia militare.

Ma i risultati sono giudicati, da tutti, Putin per primo, molto soddisfacenti. «Šojgu è sempre pronto alla battaglia, ha provato a modernizzare l’esercito, ha anche aumentato gli stipendi per il corpo degli ufficiali. Allo stesso tempo, ha reso quasi impossibile per i giovani russi evitare il servizio militare», si legge su Foreign Affairs.

Due successi militari hanno cementato la reputazione di Šojgu ad altissimo livello. Il primo è l’invasione della Crimea del 2014, una delle cause all’origine dell’attuale conflitto in Ucraina. Il secondo è arrivato subito dopo, con la guerra civile siriana. L’esercito del dittatore siriano Bashar al-Assad, alleato del Cremlino, era in enorme difficoltà contro i ribelli, e solo l’intervento decisivo dell’esercito russo nel settembre 2015 ha permesso al dittatore mediorientale di conservare la sua posizione. Tra l’altro si è trattato di un successo a un costo relativamente molto basso per le truppe russe.

Nell’ultimo anno, quando Putin ha iniziato a pianificare la sua campagna in Ucraina, è stato chiaro fin da subito che non avrebbe considerato la Fsb per guidare l’avanzata. L’enorme dispiegamento di truppe al confine ucraino, durato diverse settimane, dimostra la forza e la considerazione politica di Šojgu in questo momento alla corte di Putin – anche se questo non gli è risparmiato quel senso di instabilità che accompagna tutti i rappresentanti delle istituzioni del Paese: se l’autocrate dovesse cambiare idea, anche Šojgu salterebbe, su questo non c’è dubbio.

Intanto però il ministro della Difesa procede alla sua maniera, distinguendosi anche dagli altri siloviki. Lo si è visto ad esempio nella riunione del Consiglio di Sicurezza che ha preceduto l’inizio dell’invasione: mentre tutti gli altri si sono limitati a dire che, ovviamente, erano d’accordo con Putin nell’approvare il riconoscimento dell’indipendenza delle due repubbliche separatiste – qualcuno tremando di paura, come il capo dei servizi segreti Sergej Naryškin – Šojgu è andato oltre, arrivando ad accusare Kiev di voler diventare una potenza nucleare. «In Ucraina ci sono più tecnologie, specialisti e capacità produttive che in Iran e nella Corea del Nord», ha detto.

A proposito di nucleare: Šojgu è l’uomo che ha tra le mani uno dei codici nucleari necessari per lanciare i razzi atomici russi. La prima chiave è ovviamente nelle mani del presidente, le altre due valigette sono in dotazione al capo di stato maggiore interforze Gerasimov e allo stesso ministro della Difesa.

Prima dell’invasione dell’Ucraina, un attacco su larga scala sembrava improbabile, per più di un motivo: lo schieramento di truppe aveva fatto perdere del tutto l’effetto sorpresa; la reazione del mondo occidentale sarebbe (ed è) stata immediata; i problemi interni della Russia sarebbero (e sono) stati un fattore. Ma il nuovo peso dell’esercito nella politica del Cremlino e il credito guadagnato negli anni da Šojgu devono aver convinto Putin a fare la mossa più azzardata.

«Ora che l’assalto è in corso – scrive Foreign Affairs – la campagna militare è guidata da un capo che non vedeva l’ora di fare la guerra, un uomo che finora ha avuto solo successi e che non ha un l’addestramento militare adeguato per capire che anche una vittoria sul campo di battaglia a volte può portare a una sconfitta politica ancora più grande».

Alberto Simoni per “la Stampa” il 6 marzo 2022.

«Putin contava su una guerra breve, pensava di raggiungere il suo obiettivo rapidamente ma ha sovrastimato il suo esercito e soprattutto sottostimato la resistenza ucraina. Quindi ora è costretto a cambiare strategia perché la catena logistica russa non è stata ben allestita». 

Il generale Philip M. Breedlove è stato il comandante delle forze Nato in Europa durante il conflitto nel Donbass e l'annessione della Crimea del 2014 e conosce il modo di pensare dei russi e le loro tattiche come pochi.  

Generale, quando dice cambio di strategia cosa intende? 

«Gli ultimi movimenti e i bombardamenti con missili su infrastrutture civili ci riportano a quanto i russi hanno fatto in Cecenia e nel deserto orientale siriano».  

Sta dicendo che Kiev rischia di essere azzerata come Grozny? 

«In Cecenia Putin mandò migliaia di uomini e mezzi militari a radere al suolo la città. Quello che vediamo adesso è che da giorni - e lo ha detto anche il segretario di Stato Blinken - ci sono attacchi brutali contro i civili. Come fu in Cecenia appunto e in Siria. Quando Mosca vuole chiudere una questione, bersaglia i civili in modo indiscriminato».

 Sono crimini di guerra per i quali c'è la Corte di giustizia internazionale 

«Io credo che Putin meriterebbe di finire davanti a un tribunale del genere, ma se le nazioni un domani avranno la forza di portare avanti una causa contro Putin, non lo so. Io sono un pilota dell'Air Force non un giurista. Comunque, ora è prematuro».  

Mosca invierà altri mercenari, 1000 pare, sul terreno di guerra che si aggiungeranno a ceceni e alla compagnia Wagner. Cosa significa? 

«Non ho informazioni dirette ma se è così questo rientra nella strategia di alzare il livello degli scontri, di portarli a un livello di violenza e brutalità terrificante. E l'obiettivo diventano i civili. Quel che han fatto in passato le brigate di ceceni non lo scopriamo certo adesso, ci sono montagne di documenti». 

Cosa può fare la Nato se la guerra dovesse degenerare ulteriormente? 

«Dobbiamo continuare a fare quel che si facendo ora, far arrivare più armi possibili agli ucraini. Poi l'Alleanza deve rafforzare le sue frontiere, difendere i propri spazi in maniera forte e mandare messaggi di compattezza e unità alla Russia».  

Questo però non cambia quel che succede sul campo di battaglia, ovvero nella pianura ucraina non trova? 

«La resistenza ucraina si sta battendo bene grazie all'addestramento americano e alle armi che gli alleati hanno consegnato e continuano tutt' ora a far arrivare».  

Si può fare qualcos' altro senza arrivare alle no fly zone ormai fuori dal ventaglio delle opzioni? 

«Serve istituire delle no-fly zone umanitarie, fasce di cielo e di terra dove i velivoli possono portare medicinali, cibo, materiale vario dove è necessario. E nel contempo aiutare i feriti e le persone più deboli e senza protezioni a uscire dal Paese». 

Putin accetterebbe questa idea? Non potrebbe considerarla un atto di guerra alla stregua delle sanzioni e degli armamenti occidentali a Kiev? 

«Ha bombardato la gente durante il cessate il fuoco, sparato sui corridoi umanitari, la tregua ieri è durata un attimo. Non mi aspetto cedimenti, ma bisogna lavorare per evitare una crisi umanitaria - già in corso - di proporzioni immani». 

Siamo arrivati al decimo giorno di scontri e gli ucraini resistono in modo inaspettato. Come sono organizzati? 

«Anzitutto più che l'aspetto tattico, ce ne è uno diciamo così morale che conta quasi di più: la loro prima risorsa sono lo spirito, la volontà e la determinazione di combattere. Non tutti avrebbero scommesso su questo. A partire da Putin che pensava gli ucraini avrebbero accolto a braccia aperte i suoi soldati e ora invece si trova a fronteggiare una nazione intera che non vuole essere russa ed è fieramente ucraina».  

Alla volontà bisogna dare un po' di concretezza. Come hanno fatto a bloccare il convoglio che si stava dirigendo verso Kiev? 

«Anzitutto non tutta l'aviazione è stata distrutta. Il Pentagono continua a dire che i cieli sono "contesi", significa che i russi non sono riusciti a imporre la loro superiorità. Poi gli ucraini sono stati abili a usare missili anti-tank e anti-aerei come gli Stinger che hanno rallentato se non bloccato i russi in alcune zone. Sono stati addestrati dagli americani e dagli alleati, d'altronde sono anni che nella base di Yavoriv, cinquanta chilometri a Ovest di Leopoli, Nato e ucraini collaborano e tengono esercitazioni congiunte». 

Quanto potrà resistere l'Ucraina? 

«Non voglio fare previsioni, quando si va in guerra ci sono scenari studiati a tavolino che poi si ribaltano. Però bisogna essere realisti: se la resistenza ucraina finora è stata efficace e ha avuto successo, Putin ha ammassato tantissime truppe e ha molte forze - dai soldati ai mezzi militari alle apparecchiature - cui attingere per spostare le sorti del conflitto».

DAGONEWS il 7 marzo 2022.

Un comandante russo fatto prigioniero in Ucraina ha chiesto "misericordia" per le forze di Putin, dicendo che sono state indotte a invadere con l'inganno nella falsa convinzione che il governo fosse stato rovesciato dai nazisti e che il Paese avesse bisogno di essere liberato. 

L'uomo, che ha raccontato di essere un tenente colonnello, ha detto che i suoi connazionali sono stati sottoposti al "lavaggio del cervello" per sostenere la guerra ma, avendo visto di persona la situazione in Ucraina, ora si “vergogna" di aver preso parte a un "genocidio".

Astakhov Dmitry Mikhailovich ha detto che i suoi dubbi sono aumentati quando ha visto due dei suoi pugili preferiti - Oleksandr Usyk e Vasiliy Lomachenko - accettare di combattere per la resistenza: «Ragazzi, siate coraggiosi. Questo è un genocidio, le persone vengono semplicemente uccise. Mi vergogno di essere venuto in questo Paese, in questo territorio, il territorio dell'Ucraina. I russi a casa non hanno idea della realtà della guerra».

Mikhailovich ha chiesto un rilascio sicuro per i prigionieri in modo che, al loro ritorno in Russia, possano spiegare la vera situazione ai loro connazionali. 

Ovviamente, trattandosi di prigionieri, non si sa se le dichiarazioni siano state rese in maniera libera o sotto costrizione. L’unica certezza è che diversi soldati catturati in Ucraina hanno raccontato la stessa versione.

Gerasimov, la morte del generale e l’auto-sabotaggio dei russi del loro sistema criptato di comunicazioni. Paolo Ottolina su Il Corriere della Sera il 9 Marzo 2022.

Che cos’è il sistema Era citato nelle intercettazioni ucraine sull’alto ufficiale ucciso a Kharkiv, da dove salta fuori e com’è possibile che i servizi segreti di Mosca facciano telefonate su una linea “civile” non protetta. 

La morte del generale russo Vitaly Gerasimov, capo di stato maggiore della 41esima armata, è un piccolo mistero nella più ampia tragedia della guerra d’invasione in Ucraina. Com’è possibile che i militari russi utilizzino comunicazioni non criptate in territorio nemico, al punto da mettere a rischio le operazioni in corso e da svelare la perdita sul campo di un capo d’armata? E tutto è accaduto proprio per un clamoroso errore degli stessi russi, che per annientare la capacità di comunicazione ucraina hanno fatto terra bruciata anche dei propri sistemi sicuri?

Facciamo un passo indietro.

La morte di Gerasimov è stata confermata, con doppia fonte, dai reporter e “fact cheker” di Bellingcat e in particolare, su Twitter, dal direttore esecutivo Christo Grozev, più volte premiato negli anni scorsi per i suoi lavori di giornalismo investigativo. Secondo quanto rivelato da Grozev, la notizia è uscita perché è trapelata una telefonata di un ufficiale dell’Fsb (i servizi segreti russi) aggregato alla 41esima armata. Questi ha chiamato il suo capo, individuato come Dmitry Shevchenko, nella città di Tula, affermando che «sono state perse tutte le comunicazioni sicure». Da cui una chiamata usando una banale Sim card locale. E di conseguenza ecco l’intercettazione da parte dei servizi ucraini, con Grozev che ne viene in possesso e la divulga, previa ulteriore verifica.

Nella chiamata tra i due ufficiali dei servizi russi, oltre alla morte del generale, si menziona il “sistema Era” per le chiamate sicure. Da Tula, il più alto in grado dice che «Era non funziona».

Nei film di guerra e di spionaggio siamo abituati a vedere personaggi che dicono «Apriamo una linea sicura» oppure chiedono «Questa linea è protetta?». Sulle difficoltà della macchina militare russa in Ucraina sono stati pubblicati molti articoli, anche se alcuni esperti sottolineano come la propaganda di Kiev abbia fatto bene il suo lavoro ingigantendo i problemi del nemico. Tuttavia, lascia a bocca aperta pensare a uomini dei servizi costretti a chiamare su una linea civile, tanto più per parlare di notizie estremamente riservate come la morte di un alto ufficiale.

Ma che cos’è il sistema Era e com’è possibile che non abbia funzionato?

Parlare di “sistema Era” rimanda al polo tecnologico Era, costituito a partire dal 2018 nella città russa di Anapa, sul Mar Nero. Si tratta di una vera e propria cittadella della scienza, un campus di laboratori e centri di ricerca che accoglie una “banca delle idee”: oltre 100 imprese del complesso militare-industriale che lavorano su progetti congiunti e che coinvolge a vario titolo nomi quali Kalashnikov (che non è solo un celebre fucile d’assalto ma è tuttora il più grande produttore russo di armi leggere, proiettili di artiglieria guidati e armi di alta precisione), Sukhoi (aerei) o Sozvezdie (sistemi di guerra elettronica e contromisure elettroniche).

I temi su cui è specializzato il centro Era sono quelli legati alla ricerca avanzata, in particolare in 14 campi che spaziano dalla robotica alle biotecnologie, dai nanomateriali alle armi innovative basate su “nuovi principi fisici”. E nell’elenco c’è anche la “sicurezza delle informazioni”. Nella cittadella Era negli ultimi anni si sono aggiunte non a caso aziende come Mikran (il principale produttore russo di dispositivi microelettronici) e la società di cybersicurezza Rostelecom-Solar. 

Nel 2021, il ministero della Difesa della Russia aveva annunciato, attraverso l’agenzia Tass, che sarebbero stati creati smartphone prodotti in Russia e app speciali per il personale militare e le loro famiglie. I dispositivi «funzioneranno in varie modalità, comprese quelle che garantiranno una comunicazione sicura». E si menziona proprio il centro scientifico Era Technopolis, dove si lavora a «un ecosistema digitale per le attività quotidiane dei militari».

L’apparato militare-governativo russo si è dotato di un proprio sistema operativo mobile. Si chiama Aurora Os ed è uno “spinoff” di Sailfish Os, piattaforma nata in Finlandia sulle ceneri di MeeGo, idea Nokia mai decollata. A occuparsi di Aurora Os è la russa Omp (Open Mobile Platform), azienda che ha distribuito almeno 400 mila dispositivi, tra smartphone e tablet, al governo russo e ad aziende private. È stato creato un ecosistema software basato su Aurora OS, con un’infrastruttura server/cloud che gestisce Vpn, messaggistica sicura, software ad uso aziendale.

La vicenda della morte di Gerasimov coinvolge questa piattaforma e questi dispositivi, con i loro legami al centro Era sul Mar Nero.

Ma perché il sistema criptato Era non è stato usato per chiamare la base dell’Fsb a Tula? A quanto pare proprio perché i bombardamenti dei russi avevano danneggiato troppo in profondità la rete 3G/4G a Kharkiv. Inoltre, alcuni ripetitori erano stati sostituiti con “stingray”, ovvero simulatori di siti cellulari (noti anche come IMSI catcher): dispositivi per intercettazioni che si mascherano da punti di trasmissione legitimi per carpire informazioni e dati.

Insomma, troppe antenne erano ko per poter usare il sistema russo protetto. «Non è possibile sapere esattamente come funzioni — dice Antonio Capone, docente di Telecomunicazioni al Politecnico di Milano —, ma possiamo ipotizzare che la cifratura necessiti della rete dati. Una telefonata, non protetta, invece può partire anche con un segnale debole». Una situazione che molti di noi hanno sperimentato quando ci sono poche «tacche» e a malapena prende il 3G: una chiamata con WhatsApp o Skype non è possibile, ma una normale telefonata invece sì (per altro le reti 4G Lte prevedono un meccanismo detto “CS Fall Back”, in cui lo smartphone passa da Lte a 2G o 3G per effettuare una chiamata vocale). 

Il problema dei russi avrebbe potuto essere aggirato utilizzando un telefono satellitare, ma evidentemente nessun personale russo sul campo in quel momento ne era provvisto (o l’ufficiale Fsb è stato frettoloso e incauto).

Finora la Russia ha preso di mira alcune infrastrutture Internet in Ucraina, oltre a danneggiarle con i bombardamenti, ma non ha cercato di disconnettere completamente il Paese invaso, come invece avrebbe potuto.

Un’altra spia del fatto che anche l'esercito russo sta facendo uso delle infrastrutture. Ne ha bisogno perché, altro aspetto paradossale che la morte del generale rivela, Mosca ha dovuto ricorrere in corsa ai telefoni cellulari e al sistema Era (forse da perfezionare, visto il risultato…).

Gli ucraini si sono infatti accorti in fretta che molti soldati di Mosca comunicavano attraverso radio e “walkie talkie” facilissimi da intercettare, come dimostrano i tanti audio divulgati in rete su social come Clubhouse. Testimonianze ucraine in rete parlano di apparecchi addirittura di provenienza sovietica, senza crittografia moderna: «Noi in Ucraina lo abbiamo scoperto rapidamente e abbiamo iniziato a bloccare le trasmissioni con rumore e stupidaggini. Stanco di essere ‘trollato’, il Ministero della Difesa russo ha annunciato di aver risolto il problema».

La soluzione stava nel sistema Era, ma in questo caso è stata la foga nel distruggere a beffare la macchina bellica russa.

Vitaly Gerasimov, auto-sabotaggio russo dietro alla morte del generale fedelissimo di Putin: l'intercettazione-choc. Libero Quotidiano il 09 marzo 2022

La morte del generale russo Vitaly Gerasimov svela il gravissimo problema dei soldati di Vladimir Putin in Ucraina: tecnologie obsolete o, peggio, un clamoroso errore umano. Il sospetto è rilanciato dal Corriere della Sera, che ricostruisce le ultime ore sul campo di battaglia del Capo di Stato maggiore della 41esima armata russa. "Com’è possibile che i militari russi utilizzino comunicazioni non criptate in territorio nemico?", si domanda il Corsera ricordando come la notizia della scomparsa di Gerasimov sia stata intercettata nel corso di una conversazione al telefono tra l'ufficiale dei Servizi segreti russi aggregato all'armata di Gerasimov e Dmitry Shevchenko, il suo responsabile, nella città di Tula. "Sono state perse tutte le comunicazioni sicure", spiega l'agente, costretto ad affidarsi a una banale carta Sim ucraina, immediatamente intercettata dagli 007 locali. A questo punto Christo Grozev, famoso giornalista investigativo, ha pubblicato tutto sul profilo fact checker di Bellingcat, esponendo l'esercito russo a una colossale figuraccia mondiale. 

Il sistema Era, ricorda il Corsera, era nato nel 2018 nella cittadella tecnologica di Anapa ed era il fiore all'occhiello dell'alta tecnologia russa non solo in campo bellico, spaziando dalla robotica alle biotecnologie, dai nanomateriali alle armi innovative basate su "nuovi principi fisici". E poi, ovviamente, "la sicurezza delle informazioni", con il coinvolgimento di settori come i dispositivi microelettronici e la cybersicurezza, con l'obiettivo di arrivare alla creazione di smartphone e app riservati ai militari russi e alle loro famiglie. La guerra in Ucraina ha però rivelato alcuni limiti gravissimi: i bombardamenti avrebbero infatti danneggiato la rete 3G/4G a Kharkiv, mentre alcuni ripetitori erano stati sostituiti con "stingray", simulatori di siti cellulari. "Insomma - chiosa il Corriere -, troppe infrastrutture erano ko per poter usare il sistema russo protetto (mentre una banale Sim “civile”, in qualche modo, era riuscita a prendere la linea)". Sarebbe bastato un normale telefono satellitare, ma nessuno ce l'aveva. O non ha pensato di usarlo.

Putin ha estromesso il suo capo di Stato maggiore Gerasimov? Paolo Mauri su Inside Over il 26 febbraio 2022.

Negli ultimi minuti si sono rincorse voci sulla possibile estromissione, da parte del presidente russo Vladimir Putin, del generale Valery Vasilyevic Gerasimov, attuale capo di Stato maggiore delle Forze armate della Federazione russa. Gerasimov, uno dei maggiori strateghi militari di Mosca, è noto per il suo famoso articolo sulla Hybrid Warfare pubblicato nel 2013 su Voenno-Promyshlennyj Kuryer (traducibile come “il corriere militare-industriale”) The value of science is in the foresight: new challenges demand rethinking the forms and methods of carrying out combat operations che dettaglia ulteriormente il modello di Guerra Ibrida precedentemente messo a punto dai generali Gareev e Slipcenko aggiungendo un mix di componenti diplomatiche, pressione economica e politica e altre ingerenze non militari (facendo tesoro quindi della metodologia occidentale) per riuscire ad annientare il nemico, magistralmente messo in atto durante il colpo di mano in Crimea (ma molto meno riuscita in Donbass).

Media ucraini riportano che Oleksiy Goncharenko, deputato di European Solidarity, ha affermato, citando una fonte, che Putin avrebbe paura che la sua cerchia ristretta possa rimuoverlo dal potere. “Ci sono informazioni da una buona fonte. Putin ha licenziato il capo di stato maggiore russo. Putin è isterico. Si è trasferito nel bunker. Non comunica con la sua cerchia ristretta per paura che cercheranno di rimuoverlo dal potere”, ha scritto Goncharenko su Telegram.

Se davvero fosse confermato che il generale Gerasimov è stato estromesso, sarebbe un pessimo segnale per quanto riguarda i rapporti di forza al Cremlino: da parte occidentale verrebbe interpretato come la mancanza di coordinamento e unità tra il leader di Mosca e le sue forze armate, ma soprattutto come un tentativo di accentramento di potere. Non abbiamo modo di confermare l’indiscrezione, che proviene sempre da una fonte di parte, anche perché il Cremlino è sotto attacco informatico e i siti di alcuni uffici, tra cui quello del Ministero della Difesa, non sono online attualmente. Soprattutto potremmo pensare che sia una mossa per incrinare il morale dei russi, e anche per gettare ombre sulla lucidità del Cremlino in queste ore.

Mosca ha infatti fatto sapere che si prepara alla stretta finale su Kiev: alle truppe, che combattono in città da stanotte, potrebbe venire dato ordine di procedere con decisione per conquistare la città, aprendo così uno scenario di guerra urbana che, probabilmente, trasformerebbe la capitale ucraina in una Grozny o Aleppo.

L’agenzia stampa russa Interfax riporta che Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, ha affermato poco fa che “siccome, in effetti, la parte ucraina ha rifiutato di negoziare, l’avanzata delle principali forze russe è ripresa questo pomeriggio secondo il piano operativo”. Parlando coi giornalisti riuniti in conferenza stampa, Peskov ha anche affermato che l’avanzata delle truppe era stata sospesa il giorno prima per ordine del comandante supremo (Putin). Mosca quindi ha ordinato di riprendere l’offensiva “a tutto campo” dopo che – afferma Mosca – il governo di Kiev ha rifiutato i negoziati. “Attualmente, tutte le unità hanno ricevuto l’ordine di ampliare l’offensiva in tutte le direzioni, in accordo con il piano di attacco” ha dichiarato il Ministero della Difesa russo in un comunicato

L’offensiva russa prosegue non solo nella capitale: arrivano notizie che Melitopol, anche grazie allo sbarco anfibio avvenuto nella notte, sia caduta in mani russe, mentre Mariupol continua a resistere. Sul fronte nord la direttrice russa, dopo aver accerchiato la capitale, si sta spostando verso Lviv, evidentemente per tagliare le linee di rifornimento ucraine da occidente, mentre nel settore centrale e orientale è avvenuto un sostanziale sfondamento delle linee che sta portando a una fusione dei vari fronti. Dalla Crimea la puntata oltre la foce dello Dnepr continua, sebbene incontri resistenza, pertanto si sta configurando una manovra generale che dai confini, anche marittimi, si spinge verso l’interno.

La situazione, a livello internazionale, continua a peggiorare: quasi tutti i Paesi dell’Europa Orientale hanno chiuso i loro spazi aerei ai voli russi, e anche la Finlandia sta per fare lo stesso. Quest’oggi un comunicato del Ministero della Difesa Russo ha affermato, per la prima volta, che durante un attacco di motovedette e motomissilistiche ucraine effettuato contro navi della Flotta del Mar Nero avvenuto ieri – molto probabilmente per cercare di contrastare l’operazione anfibia – , i veicoli aerei senza pilota strategici statunitensi RQ-4 Global Hawk e MQ-9A Reaper che pattugliavano l’aerea “è molto probabile” che siano stati utilizzati per dirigere “le barche ucraine contro le navi della flotta russa”.

È la prima volta da quando è cominciata questa guerra che Mosca chiama in causa direttamente gli Stati Uniti e la Nato: un segnale da non sottovalutare. Si ricorda, infatti, che quando l’Iran abbatté un drone da ricognizione statunitense, nel giugno del 2019, la reazione militare statunitense fu fermata quasi all’ultimo minuto.

Cosa succederebbe, oggi, se i russi dovessero abbattere volontariamente uno degli RQ-4 che, quotidianamente, pattugliano i cieli del Mar Nero? La risposta è di quelle che fa paura. Su tutto si aggiunge il giallo di un possibile blocco del Bosforo da parte turca: il presidente Zelensky afferma di essere riuscito a strappare ad Ankara questa possibilità, ma la Turchia, che già ieri aveva affermato che non potrebbe proibire alla Russia il ritorno delle sue navi alle basi secondo il documento di Montreux – un modo per dire che non intendono farlo – per ora non ha smentito ufficialmente quanto affermato dal leader ucraino.

Guido Olimpio per corriere.it il 5 marzo 2022.  

Dalla nebbia di guerra un’altra notizia: il generale russo Andrei Sukhovetsky sarebbe stato ucciso sul fronte di Gostomel, nella regione di Kiev, area contesa. Una storia in bilico tra mezze conferme e interrogativi. 

Veterano dei conflitti in Abkhazia, Nord Caucaso e Siria, 47 anni, parte delle unità aerotrasportate, l’alto ufficiale era il vice comandante di un contingente di forze miste ed aveva anche il ruolo di coordinatore tra le diverse componenti. Per questo era nella località presa d’assalto fin dal primo giorno con una missione elitrasportata. 

Inizialmente i russi (insieme a ceceni) hanno avuto la meglio, poi hanno incontrato una resistenza tenace da parte degli ucraini. Molte le perdite. Durante gli scontri – racconta una versione – il generale è stato ucciso dal tiro di un cecchino.

L’informazione è stata rilanciata da fonti locali, da qualche sito specializzato (come The Aviationist) e da un articolo della Pravda da Mosca che ha citato un’associazione di reduci. «Con grande dolore abbiamo appreso della tragica morte del nostro amico, il generale Sukhovetsky, in territorio ucraino durante l’operazione speciale. Esprimiamo le nostre condoglianze alla famiglia».

I media hanno cercato di trovare riscontri nelle fonti militari americane che però si sono rifiutate di confermare i particolari e la circostanza stessa. Christov Grozev, del sito Bellingcat, ha ripescato una vecchia intervista dove Sukhovetsky sottolineava l’addestramento per gli ufficiali dell’Armata fosse intenso: tu vedi (in prima linea, ndr), tu distruggi. E poi ha aggiunto un commento sferzante per sostenere che lo avevano preso in parola. 

Come in ogni conflitto c’è una componente di propaganda, i due schieramenti usano le loro munizioni e dunque è obbligatoria la cautela. L’eliminazione di una figura così prestigiosa potrebbe servire a dare morale ai difensori, a confermare quanto sia complessa la missione, a evidenziare le difficoltà.

Un colpo da 1.500 metri: così è stato ucciso il generale di Putin. Alessandro Ferro il 5 Marzo 2022 su Il Giornale.

Un cecchino ucraino ha ucciso uno tra i più importanti generali russi, il 47enne Andrey Sukhovetsky. La conferma della scomparsa dei media russi rappresenta una "vittoria tattica" per gli ucraini, ecco perché.

Grave perdita per la Russia nel conflitto contro l'Ucraina: è stato infatti ucciso uno dei più alti generali russi, Andrey Sukhovetsky. Secondo quanto riportato da Kiev e confermato da un'organizzazione di ufficiali locali nella regione di Krasnodar, nella Russia meridionale, la morte sarebbe stata causata da un cecchino che ha scagliato il colpo da 1.500 metri di distanza. Il generale, 47 anni, aveva preso parte alla campagna russa in Siria.

Il duro colpo per la Russia

Secondo gli esperti, si tratta di un duro colpo per Putin. Come riporta l'Independent, Andrei Sukhovetsky era il comandante generale della settiva divisione aviotrasportata russa e uno dei vicecomandanti della 41esima armata di armi combinate. Era considerato, di gran lunga, la figura russa più importante ad essere deceduta finora nel conflitto con l'Ucraina. Nella sua carriera, oltre a essere un rispettato paracadutista, ha praticato numerosi in missioni in "territorio ostile" e, secondo quanto si apprende, era stato decorato per il suo ruolo nell'annessione della Crimea alla Russia. Sergey Chipilev, un deputato del gruppo di veterani russi della Combat Brotherhood, ha espresso il suo cordoglio sui social media. "Con grande dolore abbiamo appreso la tragica notizia della morte del nostro amico, il maggiore generale Andrey Sukhovetsky, sul territorio dell'Ucraina durante l'operazione speciale. Esprimiamo le nostre più sentite condoglianze alla sua famiglia".

"Notizia che scoraggia"

Il contraccolpo sulla scomparsa del generale aveva frenato inizialmente i media gestiti di Putin a dare la notizia, tacendo sulla sua morte. Però, dopo che la notizia è venuta inevitabilmente a galla, il lungo silenzio è stato interrotto dalla conferma. Il quotidiano russo Pravda ha affermato che Sukhovetsky si è laureato alla Ryazan Higher Airborne Command School nel 1995 dopo aver iniziato come comandante di plotone prima di diventare capo di stato maggiore dell'unità d'assalto aviotrasportata della Guardia. Christo Grozev, direttore esecutivo del sito web di giornalismo investigativo Bellingcat, ha twittato che la conferma della sua morte sarebbe un "importante demotivatore" per l'esercito russo, in pratica una notizia scoraggiante per i militari.

"Se è vero, è importante", aveva affermato al NYpost Dan Hoffman, un ex ufficiale della Cia quando ancora la morte di Sukhovetsky non era stata confermata. Secondo gli esperti, quanto accaduto potrebbe rafforzare la determinazione dell'esercito ucraino rappresentando una vittoria tattica. Fino a questo momento, la Russia ha affermato di aver perso 498 dei suoi soldati uccisi in Ucraina e altri 1.597 sono stati feriti. Tuttavia, i funzionari britannici affermano che il numero effettivo di persone uccise e ferite sarà quasi sicuramente considerevolmente più alto e continuerà ad aumentare.

Andrey Sukhovetsky, chi e come ha ammazzato il super generale di Putin: beffa atroce e colpo durissimo per i russi. Libero Quotidiano il 04 marzo 2022.

La Russia ha perso un pezzo grosso nel corso dell’invasione dell’Ucraina ordinata da Vladimir Putin. Dopo ore di silenzio, anche in Russia non è stato possibile tacere sulla scomparsa di uno dei più alti generali presenti sul territorio. Dopo Kiev, anche da Mosca è arrivata la conferma che Andrey Sukhovetsky è morto: fatale un colpo partito da 1.500 metri di distanza da parte di un cecchino ucraino.

Un compagno d’armi lo ha salutato con un post pubblicato sui social: “Con grande dolore abbiamo ricevuto la tragica notizia della morte del nostro amico, il maggiore generale Andrey Alexandrovich Sukhovetsky, sul territorio dell’Ucraina durante un’operazione speciale. Esprimiamo le nostre più sentite condoglianze alla famiglia”. Si tratta di un duro colpo per la Russia, dato che Sukhovetsky era un uomo di grande esperienza sul campo: aveva preso parte alle missioni nel Caucaso settentrionale, in Abkhazia e in Siria.

Era anche stato premiato dopo il primo attacco all’Ucraina, terminato con l’annessione della Crimea alla Russia. Lo scorso autunno era stato nominato vicecomandante, ma in precedenza era stato a capo per tre anni della settima divisione d’assalto aviotrasportato a Novorossijsk. Si tratta di un duro colpo per la Russia e di un successo per l’Ucraina, che con un suo cecchino è riuscito ad eliminare uno dei più alti generali nemici.

(ANSA il 3 marzo 2022) - Un tycoon di origine ucraina, immigrato nel Regno Unito oltre 20 anni fa, è stato trovato impiccato nel garage della sua villa nel Surrey, Inghilterra meridionale, e il Sun avanza sospetti sulla sua morte, collegandola al conflitto in corso in Ucraina. Il 66enne Mikhail Watford (il cui cognome originario era Tolstosheya, cambiato nel 2000) prima d'immigrare aveva fatto affari nel settore della raffinazione del petrolio proprio in Ucraina, riferisce il tabloid, citando i sospetti attribuiti a fonti a lui vicine che Watford possa essere stato in qualche "lista nera" del Cremlino.

Altri giornali, come il Guardian, riprendono la ricostruzione del Sun, mentre la polizia locale fa sapere di stare indagando con "grande attenzione" sul ritrovamento del corpo avvenuto lunedì scorso. In passato il Cremlino è finito sotto accusa diverse volte per le morti di esuli o transfughi nel Regno Unito considerati sgradito o invisi al sistema di potere che ruota attorno al presidente russo Vladimir Putin.

Un collaboratore di Watford ha detto al giornale: "La sua morte solleva una serie di interrogativi". Fra questi la motivazione del suicidio difficile da individuare, in quanto l'imprenditore viveva con la moglie estone, Jane, i loro due figli e un terzo avuto da un precedente matrimonio, in una villa da 18 milioni di sterline e non sembrava avere particolari problemi.

Domenico Quirico per “la Stampa” il 5 marzo 2022.

È difficile fissare il momento del fallimento della guerra. Non tutti gli uomini che la combattono, anche quelli dell'esercito che forse vincerà, quello russo, si sono alzati insieme nel mezzo della guerra. Alcuni non l'hanno scavalcata, o spinta fino in fondo. Non tutti hanno sopportato, con la loro ferraglia più o meno scientifica e tutta perversa, di diventare inumani. L'hanno mancata, la guerra. Per fortuna. E da questa guerra sono stati vinti. Questa guerra d'Ucraina è cattiva perché vince gli uomini. Questa guerra moderna, di ferro e di bugie. Questa guerra scientifica, implacabile in cui non c'è più nulla, nemmeno l'illusione o la forma, di quello che un tempo si bestemmiava come «arte».

I vinti dalla guerra sono i soldati russi che telefonano alle madri, per piangere insieme. Entrati nella guerra non urlando ma a capo chino, spesso ingannati. Non dimentichiamo la loro mirabile nudità, non confondiamoli. Attenzione a non farsi illusioni. la Russia vincerà, forse sta già vincendo. Giorno dopo giorno la resistenza ucraina sotto il semplice peso del nemico si flette, lentamente. Poi di colpo si spezzerà. I russi dominano il cielo e la terra, hanno invaso il cielo come hanno invaso la terra con fragore di aerei e missili.

Hanno artiglieria e corazzati spropositati, schiaccianti. Ma l'esercito russo non è un blocco unico, è attraversato da faglie e da strati, come se fosse formato da classi sociali diverse. Perché anche negli eserciti come nella società che li produce si distinguono classi lontane tra loro, ben riconoscibili nell'abbigliamento, nel mondo di comportarsi, nel rapporto con i superiori. La guerra li costringe a ricominciare da capo, a imparare il mondo, li avvicina alle cose, chiarisce i pensieri. E li separa brutalmente.

Ci sono i soldati "d'élite", l'ultima generazione di guerrieri creata da Putin sul modello occidentale, ben armati, addestrati, ben pagati, «gli specialisti» che non hanno bisogno nemmeno di una ideologia. Combattere è la loro ideologia, cercano nel vincere la motivazione sufficiente. Professionisti. Lavorano nella costanza definitiva del loro furore, trionfano. Con loro Putin può mescolare tutti i veleni e attizzare tutti i fuochi del suo inferno. Difficile che lo abbandonino. E poi ci sono gli altri. 

Quelli che pensavano di andare alle esercitazioni al confine e poi hanno scoperto che venivano catapultati in una "operazione militare". I richiamati, la leva, i "poilu" con cui si sono sfamate di carne tutte le guerre grosse: che forse a una guerra così, pur vestendo un'uniforme, non avevano mai pensato. Che nel giorno in cui si sono ritrovati in Ucraina sotto le bombe e le pallottole sembravano metallo che usciva dalla terra e ti esplodeva in faccia, hanno vissuto in un attimo una vita intera.

Perché ci sono avvenimenti che di colpo, in una sola prova, esauriscono tutte le possibilità dell'essere. Siete invincibili, avevano gridato gli ufficiali durante l'addestramento, nessuno ha mai sconfitto l'esercito russo. E poi hanno scoperto che la guerra si faceva grottescamente sdraiati per terra, appiattiti al suolo perché gli altri uccidevano. 

E con il passare delle notti e dei giorni l'avanzata era lenta in quel il paesaggio che si scioglie nella foschia dell'orizzonte come un immenso mare che si è pietrificato. I poveri caseggiati di campagna, i campi marci e deserti, la facce della gente, ah le facce dei contadini! Era come se fossero a casa. Le stesse città e paesi: modesti e quasi domestici, più che vecchi, invecchiati.

Era come se facessero la guerra alle campagne e alle città dove sono nati e vivono le loro famiglie. Non erano afgani o jihadisti con le tuniche e i turbanti, i dialetti aspri e incomprensibili: erano come loro. Erano loro. Allora questi poveri soldati hanno scoperto di aver fame e freddo e di soffrire. Certo sono molto diversi dai compagni che non parlano che di avanzare, che odiano il nemico che la «loro» vittoria rallenta come un fastidioso ostacolo che abbruttisce un lavoro ben fatto, e chiacchierano solo di città distrutte, di chilometri lasciati alle spalle, del confine che si avvicina. Sì. 

La Russia si svuota e in numeri sempre maggiori si ammassa qui nel sud, nel nord, nell'Est dell'Ucraina dove i nonni di questi soldati già avevano combattuto. Ma allora tutto era più chiaro, più semplice: gli invasori erano gli altri parlavano un'altra lingua e soprattutto quella terra era Russia.

Adesso gli invasori sono loro e tutto si confonde. Comincia il momento delle domande. È perchè ora la morte li prende di petto, li prende in tutta la sua larghezza come prima li prendeva la vita. La guerra fa arrugginire gli uomini come i fucili, più lentamente forse ma più in profondità. È successo agli americani in Vietnam, ai sovietici in Afghanistan. 

Spesso è stato proprio il dolore delle madri a scombinare i piani dei pedanti della barbarie bellica. In guerra si è sempre in attesa: attesa del cibo, delle munizioni, della benzina per i camion e i carri. E loro rivelano alle madri che le razioni sono scadute, dimenticate da tempo nei magazzini o rubate dai corrotti; che munizioni e benzina non arrivano e sono riservate prima alle truppe d'assalto. Le belle divise nuove sono già piene di fango in queste pianure ancora intirizzite dall'inverno, sono accartocciati e pieni di sporcizia, emanano un tanfo da gamella mal pulita.

Dal “Corriere della Sera” il 3 marzo 2022.

Un soldato russo in lacrime in mezzo ad alcuni ucraini che gli danno da mangiare e lo aiutano a parlare al telefono con la madre. È quanto si vede nel filmato che gira sui social ed è stato rilanciato dai media internazionali. Nel video, pubblicato dal britannico Sun , si vede il giovane militare, che probabilmente è stato preso prigioniero, mentre beve una tazza di tè e mangia qualcosa. 

Scosso e con gli occhi gonfi. Al suo fianco una donna ucraina cerca di calmarlo. Offrendogli il suo telefono per comunicare con la madre in Russia. Mentre si sente una voce fuori campo che dice in ucraino: «Non è colpa di questi giovani, non sanno perché sono qui».

E aggiunge: «Hanno mappe vecchie, si sono persi». Diversi rapporti di analisti militari occidentali in questi giorni hanno riferito che tra le truppe russe mandate al fronte ucraino non mancano episodi di scoramento.

Guerra in Ucraina, Zelensky: «I soldati russi sono bambini confusi e usati». Il presidente Zelensky nella notte ha assicurato una resistenza feroce da parte dei suoi uomini contro l'invasore russo. «Non avranno pace, li cacceremo». Il Dubbio il 3 marzo 2022.

«Ovunque andranno, saranno distrutti. Qui non avranno calma, non avranno cibo, non avranno un solo momento di tranquillità. Gli occupanti riceveranno solo una cosa dagli ucraini: la resistenza. Una resistenza feroce. Una resistenza tale che ricorderanno per sempre che non rinunciamo a ciò che è nostro, che ricorderanno cos’è una guerra patriottica». Lo afferma il presidente ucraino Volodimir Zelensky in un nuovo messaggio tv.

«Il nostro esercito sta facendo di tutto per spezzare completamente il nemico. Quasi 9.000 russi sono stati uccisi in una settimana. A Nikolaevsk, gli occupanti sono costretti a usare decine di elicotteri per raccogliere i loro morti e feriti – 19 e 20 anni. Cosa hanno visto nella loro vita se non questa invasione? Ma la maggior parte di loro sono lasciati dappertutto. L’Ucraina non vuole essere coperta dai corpi morti dei soldati. Andate a casa. Con tutto il vostro esercito. Dite ai vostri ufficiali che volete vivere. Che non volete morire ma vivere. Dobbiamo fermare la guerra e ristabilire la pace il più presto possibile».

«Sono convinto – conclude Zelensky – che se sono arrivati da qualche parte, allora sarà temporaneamente. Li cacceremo via. Con disonore. Come quella gente comune che scaccia gli occupanti dai negozi di alimentari dove i soldati russi vanno a cercare cibo e qualcosa da mangiare. Questi non sono guerrieri di una superpotenza. Sono bambini confusi che sono stati usati. Portateli a casa».

I soldati-ragazzini russi e l’urlo delle madri che hanno costretto la Difesa a svelare i dati delle perdite: 498 morti. Marco Imarisio su Il Corriere della Sera il 4 Marzo 2022.  

Sono state loro, con il riconoscimento dei prigionieri, con la scelta di rendere pubblica la loro disperazione, ad avere costretto il ministero a raccontare le cifre emerse dalla guerra: 1.540 feriti gravi, una quantità imprecisata di catturati.  Le madri dei soldati russi sono la voce dei figli che non possono parlare. E sanno di poterla usare, sanno che loro rappresentano una zona franca, per quel che stanno patendo, per quanto ancora soffriranno. E quindi parlano, e raccontano di ragazzi mandati al fronte all’inganno, catturati, ridotti in lacrime, esibiti come una prova dell’approssimazione di questa guerra, che doveva durare due giorni e invece è già costata molto in termini di vite umane. Sono state loro, con il riconoscimento dei prigionieri, con la scelta di rendere pubblica la disperazione più grande che si possa immaginare, ad avere costretto il ministero della Difesa a svelare i dati delle perdite subite dall’esercito, che non sono stati nemmeno citati dai telegiornali pubblici, quasi una nota a margine nella narrazione trionfale dell’operazione di mantenimento della pace voluta dal Cremlino.

Ma intanto, questi numeri esistono, 498 vittime, 1.540 feriti gravi, una quantità imprecisata di militari catturati dal nemico ucraino. Grazie alle madri, le uniche persone che non possono essere obbligate a tacere. Sarebbero tutte notizie false, senza di loro. Le fake news, termine che viene utilizzato in lingua inglese, come a rimarcare che si tratta di una invenzione altrui, nel mondo rovesciato della Russia di Vladimir Putin sono molto spesso la verità. Anche il ragazzo protagonista suo malgrado del video che ha fatto il giro del mondo, con una donna ucraina che gli offre un thè caldo e una videochiamata con la madre, non doveva esistere. Il suo spavento, anche la sua inadeguatezza, non hanno diritto di cittadinanza. Ma la sua famiglia lo ha riconosciuto e lo ha comunicato attraverso quei pochi social che ancora sfuggono a un controllo sempre più serrato.

La fake news è diventata pura e semplice realtà. In questa che è anche una guerra di propaganda, il ministero della Difesa ucraino ha dimostrato di conoscere una delle poche debolezze della Russia, diffondendo lo scorso 2 marzo sui social un comunicato nel quale si spiega che «i soldati fatti prigionieri saranno resi alle madri che verranno a prenderli a Kiev». Per sapere, basta chiamare il numero mostrato in un volantino, oppure mandare una mail. Chissà se è tutto vero. In questa guerra così social, l’esercizio del dubbio è un dovere. Ma almeno delle madri, non è lecito dubitare. La donna di Uland-Udè, remota città della Siberia meridionale, che si mostra sotto il monumento di Lenin con il cartello No alla guerra dopo avere riconosciuto in un video il figlio Sergey Ochirov fatto prigioniero in Ucraina, non può mentire. «Voglio che la gente capisca che non si tratta di un falso, il mio ragazzo di diciannove anni è stato spedito a combattere con l’inganno, non sapeva neppure dove era diretto». Non possono essere un caso le facce da bambini di militari russi fatti prigionieri o uccisi. Rivelano qualcosa, che sia la convinzione errata che l’invasione fosse una passeggiata da fare anche con reclute poco esperte oppure un livello di preparazione che non sembra essere all’altezza della fama dell’esercito di Putin.

Comunque, si tratta di una nota stonata. E l’hanno fatta suonare le madri dei soldati, rivolgendosi ai due Comitati che portano il loro nome, uno governativo e l’altro no. Valentina Melnikova, che dirige il primo, almeno riconosce che il problema esiste. La partecipazione ad azioni belliche, questo è il suo ragionamento in punta di diritto, deve essere regolata da ordini precisi. «Ma siccome la guerra in Ucraina non è stata dichiarata secondo la Convenzione di Ginevra, mi chiedo se questi ordini, nel caso esistano, siano anche giuridicamente corretti». Andrej Kurochkin, a capo dell’Organizzazione non governativa quasi omonima dell’altra, è più eloquente. «Il numero mai così elevato di ragazzi giovanissimi mandati al fronte senza preavviso dimostra che qualcosa non sta andando per il verso giusto». Rimangono quei video, e queste testimonianze.

Grazie alle madri. Ai tempi della prima guerra in Cecenia ebbero un ruolo nel convincere Boris Eltsin a ritirarsi da quel carnaio senza senso. Si accamparono alla base russa di Khankala, vicino a Grozny. Girarono per i villaggi con le foto dei figli, chiedendo notizie, proponendo scambi di prigionieri. Dissero che non se ne sarebbero mai andate prima di avere loro notizie, o una tomba sulla quale piangerli. Anche durante le fasi seguenti alla tragedia del sottomarino Kursk, 2 agosto 2000, imposero il recupero a ogni costo dei 107 corpi delle vittime. Quel disastro sembrò un simbolo del declino russo. Le autorità volevano tenerlo nascosto. Non ci riuscirono. Alla fine di quel mese, Putin incontrò una delegazione delle madri dei marinai alla base di Vidyayevo. Fu e la prima e unica volta in cui subì una contestazione durante un evento pubblico.

Dagotraduzione dal Daily Mail il 2 marzo 2022.

In lacrime, i prigionieri di guerra russi confessano che non avevano ''idea di essere stati inviati a invadere l'Ucraina'' e che sono stati usati come «carne da cannone» dai loro comandanti che li hanno lanciati in battaglia contro «persone pacifiche che difendevano il loro territorio» dopo che le forze di Vladimir Putin hanno subito pesanti perdite nei giorni di apertura del conflitto. 

«Questa non è la nostra guerra. Madri e mogli, richiamate i vostri mariti. Non c'è bisogno di essere qui», ha detto un soldato russo ferito seduto davanti a una bandiera ucraina. 

Altri filmati mostrano un prigioniero russo ammanettato che piange, mentre dice: «Non raccolgono nemmeno i cadaveri, non ci sono funerali. Ci hanno mandato a morire». 

L'Ucraina afferma che la Russia ha perso 5.840 soldati nei primi giorni del conflitto: gli uomini di Putin volevano ottenere una rapida vittoria ma invece hanno incontrato una dura resistenza da parte delle forze ucraine e hanno subito una serie di sconfitte imbarazzanti.

Da allora l'avanzata della Russia è stata rallentata per dare modo all'apparato. militare di riorganizzarsi, cambiare strategia e rinnovare il loro assalto in quella che ora dovrebbe diventare una guerra di risorse sempre più sanguinosa con gli uomini di Kiev che affrontano difficoltà schiaccianti. Il ministero della Difesa ha affermato che la Russia ha rinnovato la lotta su "tutti i fronti" e «ha subito perdite». 

Sebbene sia l'intelligence statunitense che quella ucraina ritengano che il morale all'interno dei ranghi russi sia a terra, Putin e i suoi militari non hanno mostrato alcun segno di ritirata e hanno invece promesso di attaccare ancora di più per cercare di raggiungere gli obiettivi chiave. 

Sergey Shoigu, il ministro della Difesa del Paese, ha dichiarato martedì che l'offensiva proseguirà fino al completamento di tutti gli obiettivi.

Volodymyr Zelensky ha affermato che la Russia sta cercando di cancellare l'Ucraina e il suo popolo mentre l'invasione di Vladimir Putin è entrata oggi nel suo settimo giorno con rinnovati attacchi su tutti i fronti, incluso un previsto assalto alla città che ospita la più grande centrale nucleare d'Europa. 

Coscritti e veterani: le due anime che spiegano l’avanzata russa. Lorenzo Vita su Inside Over il 5 marzo 2022.

Una guerra è fatta di immagini. E il conflitto in Ucraina non fa eccezione. Dai territori sottoposti all’invasione russa, continuano ad arrivare immagini di soldati che si arrendono, camion impantanati, blindati distrutti o carri e altri mezzi abbandonati. Questi video che vengono continuamente fatti circolare – naturalmente da parte ucraina – sono il contraltare dell’immagine che viene rilanciata da Mosca: cioè quella di un esercito che non si arrende, di forze che in una settimana hanno cinto d’assedio ogni grande città a est del Dnepr e a sud e si preparano a soffocare Kiev.

In questi casi la propaganda è un elemento fondamentale. Qualsiasi parte in guerra vuole dimostrare di essere prossima alla vittoria e mostrare le debolezze del nemico. Impossibile quindi valutare in modo assoluto queste immagini: perché se prive di un inquadramento in un contesto bellico rischiano di essere mezze verità o non verità.

Chi ha condotto l’offensiva finora

Detto questo, però, è anche possibile estrapolare alcuni elementi che – se uniti ad altri sullo studio della dottrina russa, le motivazioni del conflitto e le analisi dei diversi fronti – possono fornire un quadro interessante o il più possibile completo della prima parte dell’offensiva.

Molti analisti ritengono che la lentezza dimostrata in questa prima parte del conflitto possa essere il frutto dell’utilizzo di personale non preparato alla guerra, soldati richiamati, soldati di leva, persone che credevano che quello che accadeva in Bielorussia o ai confini dell’Ucraina dovesse rimanere solo un’esercitazione. Tanti raccontano che molti tra i più giovani sarebbe stato sostanzialmente ingannati. Altri che non volevano nemmeno combattere. Altri che semplicemente erano impreparati, e lo avrebbero dimostrato proprio quelle prime giornate di guerra in cui l’avanzata di Mosca è apparsa lenta e quasi inadeguata.

La questione è stata analizzata soprattutto dagli esperti statunitensi, che da diverso tempo studiano il fattore “morale” come chiave per capire le mosse russe. Secondo alcuni, il problema nascerebbe da un massiccio utilizzo dei coscritti in una guerra che fondamentalmente non sanno combattere né perché. Mark Cancian, del Center for Strategic and International Studies, ha spiegato alla Nbc che il problema che fino a questo momento è stato fondamentale nella lentezza di Mosca è il fatto che l’invasione in Ucraina “costringe le forze russe a creare lunghe linee logistiche che non sono state addestrate a mantenere e pone anche una maggiore dipendenza dai soldati coscritti”. I soldati dunque più giovani, più impreparati e certamente meno motivati sono quelli che di fatto hanno costruito il grosso della prima avanzata. Ed è un tema che ha “sorpreso” lo stesso Ciancian.

Un funzionario della Difesa americana, invece, ha detto che le ultime osservazioni su quanto sta avvenendo in Ucraina indicherebbero che le tattiche russe sarebbero cambiate dopo circa sei giorni. Nella prima settimana di guerra, spiega l’ufficiale del Pentagono, vi sarebbero state prove “di un certo comportamento avverso al rischio da parte dell’esercito russo”. E questo comportamento si sarebbe confermato sia nello sbarco di Mariupol avvenuto lontano dalla città e in una zona protetta, sia con gli aerei, che sembrano essere particolarmente restii a correre rischi troppo elevati. Mentre sul tema dei coscritti, anche qui si dà la lettura di una sostanzia impreparazione: “Ad alcuni di loro, crediamo, non è stato nemmeno detto che sarebbero stati in guerra”. Questo avrebbe poi portato anche a quella scelta da parte degli ucraini di impegnarsi non solo nel mandare sempre più immagini dei soldati russi catturati, specialmente quelli più giovani, ma anche nel aprire canali di dialogo per convincere proprio le prime linee. Una vera e proprio guerra psicologica per fiaccare l’armata russa al suo arrivo nel Paese, demoralizzando le truppe una volta fatto il loro ingresso nei primi centri abitati.

Le truppe più preparate

Se gli analisti concordano in parte su questa lettura, che sarebbe confermate anche dalle testimonianze che sono necessariamente solo di parte ucraina, dall’altra parte in molti ritengono che la differenza di passo negli ultimi giorni sia data proprio dall’impiego delle forze di veterani e di volontari. Dove combattono truppe più preparate, la situazione si sarebbe evoluta in maniera nettamente diversa: come per esempio è stato possibile osservare a nord della Crimea, con la presa di Cherson. La seconda ondata, come ha chiamato qualcuno questa parte appena iniziata della guerra, sarebbe il frutto pertanto non solo di un naturale e progressivo cedimento di un Paese invaso, ma anche dall’impiego di forze diverse. Qualcuno parla di veterani della Siria e del Donbass, altri sottolineano la presenza di combattenti ceceni o di chi ha già combattuto proprio nel Caucaso.

Il Times ha parlato di 400 mercenari del gruppo Wagner che sarebbero già presenti in Ucraina. Secondo il quotidiano britannico avrebbero come obiettivo addirittura l’uccisione del presidente Voldymyr Zelensky, ma al netto di queste ipotesi è possibile che l’armata dei contractor possa diventare cruciale per gestire una nuova fase del conflitto o anche quella immediatamente successiva. Wagner è composta in larga parte proprio da ex militari delle forze armate russe, veterani che hanno combattuto in tutti gli ultimi teatri di guerra in cui è stata coinvolta Mosca. E sono impegnati anche tutti quei conflitti in cui il Cremlino vuole far vedere di esserci senza impiegare direttamente i propri “boots on the ground”, gli “stivali sul campo”. Insieme ai soldati d’élite, quelli che Domenico Quirico su La Stampa la definisce “l’ultima generazione di guerrieri creata da Putin sul modello occidentale, ben armati, addestrati, ben pagati, ‘gli specialisti’ che non hanno bisogno nemmeno di una ideologia”, c’è quindi tutto un sistema di forze pronto a prendere il sopravvento se la guerra dovesse continuare nello stallo. La corsa contro il tempo di Putin per giungere alla fine della guerra nei tempi che il Cremino pensava di avere stabilito (forse il 6 marzo come svelano alcuni documenti) nasce anche da questa duplice anima delle forze russe. Una strategia che è parte della dottrina russa e che sembra essersi rivelata esatta.

Dagotraduzione dal Daily Mail il 2 marzo 2022.

Secondo le registrazioni vocali ottenute da una compagnia di intelligence britannica, i soldati russi che prendono parte all'invasione dell'Ucraina sono "allo sbando". I messaggi radio intercettati fanno pensare che le truppe si rifiutino di obbedire agli ordini del comando centrale di bombardare le città ucraine e si lamentino dell'esaurimento delle scorte di cibo e carburante. 

Le registrazioni fanno parte di circa 24 ore di materiale ottenuto dalla società di intelligence ShadowBreak dall'inizio dell'invasione dell'Ucraina. In una delle conversazioni intercettate, ascoltata da The Telegraph, un soldato sembra piangere.

In un altro, si sente un soldato perdere la pazienza quando chiede quando arriverà cibo o carburante. Dice: «Siamo qui da tre giorni! Quando diavolo sarà pronto?». 

Un terzo messaggio rivela uno scambio teso in cui lo stesso soldato deve ricordare a un collega che parla da un centro di comando che non possono usare l'artiglieria in un'area finché i civili - che vengono etichettati come "oggetti" - non se ne saranno andati.

Il fondatore di ShadowBreak, Samuel Cardillo, 26 anni, ha detto al Telegraph: «Quello che abbiamo scoperto è che gli operativi russi stanno operando in completo disordine». «Non hanno la più pallida idea di dove stanno andando e di come comunicare davvero tra loro in modo corretto». 

Ha aggiunto: «Ci sono stati periodi in cui li abbiamo sentiti [soldati russi] piangere in combattimento, un periodo in cui si insultavano a vicenda, ovviamente non un segno di morale alto». Cardillo ha affermato che alcuni dei messaggi erano anche "prove di crimini di guerra" perché rivelavano l'ordine di lanciare missili nelle aree urbane. 

Altre video mostrano soldati russi che si ritirano, mentre un soldato avrebbe inviato un sms alla madre: «L'unica cosa che voglio in questo momento è uccidermi».

In un ulteriore segno che il morale potrebbe essere tetro, martedì  un alto funzionario della difesa degli Stati Uniti ha detto al New York Times che alcune truppe hanno «deliberatamente fatto dei buchi» nei serbatoi di benzina dei loro veicoli nella speranza di evitare il combattimento. 

Parti dell'esercito russo stanno ancora utilizzando radio ricetrasmittenti analogiche "walkie talkie", rendendole più vulnerabili alle intercettazioni. Si dice anche che le forze ucraine non abbiano avuto problemi a disturbare le comunicazioni russe e ad interromperle con il suono del loro inno nazionale. 

Invece, le forze ucraine sono ora al nono giorno di resistenza all'attacco russo e diversi video rivelano civili che affrontano le truppe e i convogli invasori. 

Anna Zafesova per “la Stampa” il 3 marzo 2022.  

Il manifestino è stato affisso alla porta di legno del commissariato militare di una città siberiana, la porta che devono varcare le reclute e i riservisti che oggi vengono richiamati dall'esercito russo. Recita: «L'ingresso è qui. Per uscire, bisogna passare dall'Aja». La mano ignota che l'ha scarabocchiato rischierà tra pochi giorni fino a 15 anni di prigione, in base alla legge sulle «fake news sull'operazione militare» che la Duma sta discutendo con procedura d'urgenza.

Ma sembra ormai che la paura non riesca a spegnere la rivolta dei russi contro la guerra, sui campi di battaglia in Ucraina come nelle vie delle città russe. Ieri centinaia di persone sono di nuovo scese nella prospettiva Nevskij di Pietroburgo, sapendo di stare andando a raggiungere quei quasi ottomila manifestanti arrestati nell'ultima settimana. Nei social si moltiplicano intanto le dichiarazioni di protesta, e sempre più lettere aperte delle più svariate categorie di persone raccolgono centinaia di firme: dai medici ai geografi, dai deputati dei consigli municipali ai rapper, sacerdoti e addirittura oligarchi.

Roman Abramovich ha annunciato che i proventi dalla vendita del Chelsea - il cui acquisto, vent' anni fa, aveva segnato l'ingresso dei magnati russi nel jet set internazionale - andranno alle vittime della guerra in Ucraina, una dichiarazione che al Cremlino verrà senz' altro equiparata ad alto tradimento. Ma la defezione più clamorosa dal fronte putiniano è quella di Natalia Poklonskaya, ex procuratrice della Crimea annessa e testimonial del revival nazionalista, che ha chiamato a fermare le ostilità: «Siamo andati troppo oltre».

Se non un senso di sconfitta imminente, almeno uno shock per la mancata vittoria, e perfino il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ammette che la Russia è stata «scossa» dalla reazione unanime del mondo contro l'aggressione. Perfino nei media ufficiali la «operazione militare speciale» in Ucraina all'improvviso ha smesso di essere così vittoriosa: l'ammissione ufficiale da parte del ministero della Difesa di 498 caduti, dai due menzionati ufficiosamente qualche giorno fa, apre ai russi una dimensione nuova di un conflitto che il governo proibisce di chiamare "guerra".

Dal fronte intanto arrivano voci di soldati russi che si arrendono, o che cercano di sabotare i mezzi per rallentare l'avanzata. Fonti del Pentagono hanno confermato a New York Times e Cnn che ci sono stati casi di militari di Mosca che hanno bucato i serbatoi dei blindati e dei carri per rimanere indietro. 

Potrebbe essere una campagna di disinformazione, naturalmente, ma l'offensiva russa sembra rallentare, e le associazioni dei madri dei soldati da diverse città russe denunciano il coinvolgimento nella guerra anche di militari di leva, trasformati con una rapida firma di un contratto in "professionisti" e inviati sul fronte. I russi sanno benissimo leggere tra le righe dei comunicati ufficiali, e a moltiplicare per due o per tre i numeri dichiarati, come avevano già fatto durante la pandemia di Covid.

E il fatto che ieri Vladimir Putin ha esentato dalla leva i giovani professionisti dell'informatica ha segnalato chiaramente a tutti che la guerra non è una passeggiata, e che probabilmente ormai nemmeno il Cremlino conta di finirla in pochi giorni. Molti, soprattutto i giovani, stanno mettendo in atto piani di fuga, anche perché gira voce che il Cremlino potrebbe proclamare la legge marziale e chiudere i confini. Che sono comunque già difficili da varcare: i voli per l'Europa e l'America sono stati sospesi, e per quelli verso Istanbul, Erevan o Dubai c'è una corsa ai biglietti. 

Chi decide di scappare, rischia di farlo con quello che ha addosso: Putin ha proibito di portare via più di 10 mila dollari in contanti e di trasferire denaro all'estero, anche sui conti propri. Le carte di credito delle banche sotto sanzioni non funzionano più, e bisogna superare anche controlli al confine: diversi russi hanno raccontato di essere stati interrogati da agenti dell'Fsb che li costringono a mostrare le chat dei messenger sul telefono, e li sospettano di voler disertare dal fronte, per il momento soltanto quello ideologico, della guerra contro l'Ucraina.

La fuga però non è possibile per tutti, e lo sgretolarsi improvviso del benessere abituale - alcuni oligarchi hanno perso fino all'80% del loro patrimonio in titoli, mentre i russi comuni si sono ritrovati in poche ore senza Apple, Netflix, Bmw e Visa, senza viaggi all'estero e senza tutto quello che rappresentava per il ceto medio e l'intellighenzia il premio (e l'evasione) per il silenzio - ribaltano il rapporto rischio-beneficio della ribellione. 

L'ex parlamentare Dmitry Gudkov, ora alleato del movimento di Alexey Navalny, esorta dal suo esilio all'estero la nomenclatura ad abbandonare il regime: «Avete paura di essere i primi, ma se sarete gli ultimi non se ne accorgerà più nessuno, mentre i primi avranno una chance di sopravvivere nella nuova Russia, e in quel mondo nel quale dovrà rientrare faticosamente, dalla catastrofe che ha creato con le sue mani», ha scritto in un post, rivolto ai suoi conoscenti nell'élite russa. «Dissociarsi dai crimini contro l'umanità è la garanzia di una tranquilla vecchiaia, a casa, e non in tribunale». 

Ucraina, ammutinamento dell'esercito russo: "Bucati i serbatoi per non combattere". Le intercettazioni: rivolta contro Putin. Libero Quotidiano il 03 marzo 2022.

Soldati in lacrime, arresi. Tank bloccati nel fango e abbandonati dalle truppe russe in fuga. Mezzi senza più benzina. L'invasione in Ucraina delle truppe di Vladimir Putin ha contorni tragicomici. Soprattutto, al di là dei tanti video e foto pubblicate sui social dalla resistenza ucraina (video e confessioni dal chiaro sapore propagandistico, e dunque da prendere con le molle come in ogni conflitto), filtrano indiscrezioni sul senso di "scoramento e delusione" degli stessi soldati dell'Armata rossa. "Questa non è la nostra guerra. Madri e mogli, richiamate i vostri mariti. Non c'è bisogno di essere qui", ha detto un soldato russo davanti a una bandiera ucraina. Ma non sono questi filmati la prova decisiva di quanto sia infuocato il clima dentro l'esercito di Putin.

Il britannico Daily Mail ha pubblicato le registrazioni vocali ottenute da una compagnia di intelligence britannica, la ShadowBreak: a parlare sono soldati russi, ma non quelli finiti nelle mani degli ucraini. Sfoghi interni, non confessioni a uso e consumo di Twitter. Ne emerge l'immagine di un corpo d'armata "allo sbando". "Siamo qui da tre giorni! Quando diavolo sarà pronto?", chiedono i soldati a proposito dell'arrivo dei rifornimenti di cibo e carburante. "Quello che abbiamo scoperto è che gli operativi russi stanno operando in completo disordine". sottolinea al Telegraph il 26enne Samuel Cardillo, giovanissimo fondatore di ShadowBreak.

"Non hanno la più pallida idea di dove stanno andando e di come comunicare davvero tra loro in modo corretto". Nelle intercettazioni, si sentono soldati russi "piangere in combattimento", "insultarsi a vicenda", a conferma di quanto il morale tra le truppe di Mosca non sia alto. Alcuni messaggi sarebbero addirittura "prove di crimini di guerra" in quanto rivelerebbero l'ordine impartito di colpire con missili aree urbane.  

Ci sarebbe addirittura il sospetto di ammutinamento: un alto funzionario della difesa degli Stati Uniti ha rivelato al New York Times che alcune truppe russe avrebbero "deliberatamente fatto dei buchi" nei serbatoi di benzina dei loro mezzi militari per evitare il combattimento. Una situazione di delusione mista a improvvisazione, visto che le truppe russe utilizzerebbero ancora "walkie talkie", che rendono le comunicazioni facilmente intercettabili dal nemico.

Da lastampa.it il 2 marzo 2022.  

L'ambasciatore ucraino all'Onu, Sergiy Kyslytsya, durante la riunione speciale di emergenza dell'Assemblea generale, ha letto i messaggi dallo smartphone di un soldato russo morto in guerra. 

Alla madre che gli chiedeva delle esercitazioni in Crimea, rispondeva «Mamma ma che Crimea, sono in Ucraina, qui c'è una guerra. Bombardiamo anche i civili» e prosegue «Ci chiamano fascisti mamma, è così difficile, ho paura». 

“I nostri figli mandati in guerra con l’inganno”, le proteste delle madri dei soldati russi contro Putin. Vito Califano su Il Riformista l'1 Marzo 2022. 

Secondo il sito indipendente OVD-Infogruppo che si occupa della tutela dei diritti umani in Russia sono quasi seimila le persone arrestate nel Paese per le proteste contro l’invasione dell’Ucraina. Non solo: anche le madri dei militari spediti in guerra manifestano contro il Cremlino e il Presidente Vladimir Putin. “Li hanno ingannati – dice Andrey Kurochkin, vicepresidente del Comitato delle madri dei soldati russi, a Il Corriere della Sera – Fanno sempre così. I tempi cambiano, ma la guerra è sempre uguale”.

L’organizzazione era nata alla fine degli anni ’80 dopo che l’Armata Rossa era rimasta impantanata in Afghanistan dopo l’invasione alla fine degli anni ’70. Secondo quanto scrive il quotidiano molti ragazzi si sono ritrovati in guerra a loro insaputa: erano partiti per una esercitazione in Bielorussia della durata di un mese. “Mio figlio è partito per il servizio militare nel dicembre del 2021, e ora sta combattendo in Ucraina”, si legge sul canale Telegram del Comitato. Tanti sarebbero quindi militari di leva, non professionisti. “Due bambini”, i primi due militari russi fatti prigionieri dopo l’invasione del 24 febbraio. Così li aveva descritti Anton Gherascenko, consigliere del ministro ucraino degli Interni. Uno era Rafik Rakhmankulov, 19 anni, di Petrovka.

L’arresto era stato subito bollato come fake news dai media russi. I genitori dei due hanno invece raccontato a BBC e media indipendenti che i loro figli non sapevano di essere destinati all’Ucraina, nonostante la legge russa consenta l’invio dei soldati in zone di combattimento solo dopo quattro mesi dall’inizio del servizio professionale nell’esercito. “Non so se qualcuno ci ascolterà, ma è certo che questa mobilitazione così improvvisa di ragazzi ancora impreparati alla guerra non si era mai vista”, ha commentato Kurochkin che con l’organizzazione raccoglie i dati dei soldati di leva da trasmettere alla procura militare e al ministero della Difesa.

Secondo pareri tecnici militari i russi non hanno ancora spinto al massimo la propria macchina armata. Probabilmente la resistenza ucraina e le forze di Kiev erano stata sottovalutate da Mosca. Si procede al momento soprattutto con l’artiglieria. Al momento un convoglio di circa 60 chilometri delle forze russe è in colonna verso la capitale stamattina. Si potrebbe andare verso un vero e proprio assedio di Kiev. Dopo le sanzioni imposte dall’Unione Europea e dell’Occidente, il Presidente russo Putin ha messo in stato d’allerta le forze di deterrenza russe, vale a dire le forze strategiche dell’esercito che comprendono mezzi e sistemi militari di attacco e di difesa, tra cui le armi nucleari. Secondo le Nazioni Unite dall’inizio del conflitto, sei giorni fa, sono oltre 400 le vittime civili.

Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.

Le madri russe: «I nostri figli spediti in guerra con l’inganno». Marco Imarisio, inviato a Mosca, su Il Corriere della Sera il 28 Febbraio 2022.

La denuncia del Comitato: «I coscritti vengono in qualche modo obbligati alla firma del contratto militare, e subito dopo vengono spediti al confine con l’Ucraina»

«Li hanno ingannati». Andrej Kurochkin fa una lunga pausa. Poi aggiunge che non si tratta di una novità. «Fanno sempre così. I tempi cambiano, ma la guerra è sempre uguale».

L’ultimo domicilio conosciuto del Comitato delle madri dei soldati russi era appena dietro il palazzo della Lubjanka che fu sede del Kgb. In fondo a un vicolo fangoso, al pianoterra di un cortile, accanto ai bagni comuni. Già non se la passavano bene, poi li hanno anche mandati via, bollati come agente straniero, accusati di ricevere denaro dagli Stati Uniti, infine costretti anch’essi alla diaspora tra Lettonia e Germania. L’organizzazione non governativa, della quale Kurochkin è vicepresidente operativo, è nata alla fine degli anni Ottanta, ai tempi della ritirata dell’esercito sovietico dall’Afghanistan. Arruolamento forzato degli studenti, casi di nonnismo, assistenza ai reduci, lasciati soli da un impero in disfacimento.

Sono rimasti un punto di riferimento. E fin da subito hanno cominciato a ricevere messaggi di famiglie preoccupate per la sorte dei loro figli, militari di leva, non certo soldati professionisti, e in molti casi neppure intenzionati a diventarlo, che all’improvviso si sono ritrovati in prima linea. «I coscritti vengono in qualche modo obbligati alla firma del contratto militare, e subito dopo vengono spediti al confine con l’Ucraina». Molti di loro sono entrati in guerra senza saperlo. Gli era stato detto che il loro ultimo servizio sarebbe stato una esercitazione in Bielorussia della durata di un mese. I ragazzi da poco sotto le armi vengono mandati al confine per le esercitazioni, e all’improvviso chiamano a casa per dire che il loro status di soldato è cambiato, così come la loro missione. Alcune conferme affiorano anche dal web. «Mio figlio è partito per il servizio militare nel dicembre del 2021, e ora sta combattendo in Ucraina» scrive una donna sul canale Telegram del Comitato.

A far crescere l’angoscia e il panico delle famiglie c’è anche l’inevitabile propaganda di guerra al tempo dei social. Il 24 febbraio, primo giorno dell’invasione, Anton Gherascenko, consigliere del ministro ucraino degli Interni, ha pubblicato su Facebook la foto dei primi due militari russi fatti prigionieri. «Due bambini» ha commentato. E non aveva torto. Uno di loro si chiamerebbe Rafik Rakhmankulov, diciannovenne di Petrovka, nella regione di Saratov. I canali federali della televisione russa hanno subito bollato come fake news questa notizia. Ma le televisioni indipendenti hanno parlato con il padre del ragazzo, mentre il servizio russo della Bbc ha intervistato una donna che sostiene di essere la madre del secondo soldato, anche lui diciannovenne. Entrambi hanno detto che i loro figli non sapevano di essere destinati all’Ucraina. La legge russa consente l’invio dei soldati in zone di combattimento solo dopo che sono trascorsi quattro mesi dall’inizio del loro servizio professionale nell’esercito. Quindi, né i coscritti né i soldati di prima firma dovrebbero trovarsi al fronte. Altre testimonianze raccontano di un avvicinamento repentino a quello che sarebbe diventato il fronte. Due giorni prima dell’invasione, sarebbe stato trasferito nella regione di Belgorod, vicino al confine ucraino. E da lì, sono entrati.

«Stiamo raccogliendo i dati dei soldati di leva per trasmettere queste informazioni alla procura militare, al ministero della Difesa, e ad altri ministeri» dice Kurochkin con un tono di voce poco convinto. «Non so se qualcuno ci ascolterà, ma è certo che questa mobilitazione così improvvisa di ragazzi ancora impreparati alla guerra non si era mai vista». Anche lui si chiede se sia dovuta a una guerra decisa in fretta, oppure se sia un segno di debolezza del sistema militare. L’unica certezza è che le voci delle famiglie dei coscritti cadranno nel vuoto. Le autorità russe hanno problemi più urgenti. Ieri il comando generale dell’esercito ha dovuto ammettere di aver subito perdite umane in Ucraina. Un comunicato di poche righe, senza alcuna cifra, senza alcun riferimento a morti o feriti.

ESERCITO UCRAINO.

L’altro esercito. Come i cittadini ucraini stanno respingendo gli invasori russi. L'Inkiesta il 13 Agosto 2022.

Lo sforzo dei civili nelle città per contrastare i soldati del Cremlino. Un lavoro volontario e spontaneo, come raccontato da Anne Applebaum in un lungo articolo sull’Atlantic

Da quasi sei mesi le notizie in arrivo dall’Ucraina popolano le cronache quotidiane. Operazioni militari, contromisure, strategie improvvisate. Poi le ricadute, raccontate da ogni angolazione: le persone in fuga dal fronte, la crisi energetica e quella alimentare.

Le vite dei cittadini ucraini sembrano descritte solo come collettività: la paura e la resistenza, la quotidianità spezzata e la vita che riparte. È tutto troppo grande e macroscopico per raccontare il punto di vista dei comuni cittadini. Ha provato a farlo Anne Applebaum in un lungo articolo pubblicato sull’Atlantic intitolato “L’altro esercito ucraino”, in cui racconta le vite di un presente in cui tutto sembra effimero e nessuno sa cosa accadrà dopo.

L’autrice ha scelto come punto di osservazione Odessa, «una città sospesa tra grandi eventi» dove il panico che ha travolto la città a febbraio sembra ormai appartenere a un’epoca distante nel passato: in estate la città è calda, semivuota e si sta preparando per ciò che verrà dopo.

«Alcuni si stanno abituando al peggio», scrive Applebaum. «Odessa ha subito un assedio di 10 settimane da parte di tedeschi e rumeni durante la Seconda guerra mondiale, poi un’occupazione di tre anni; l’attuale sindaco, Gennadiy Trukhanov, mi ha detto che la città ora sta riempiendo i magazzini di cibo e medicine, nel caso la storia si ripeta».

L’11 luglio scorso, i servizi di sicurezza ucraini hanno catturato una spia russa che cercava potenziali obiettivi nella città; il 23 luglio le bombe russe hanno colpito i moli di Odessa.

Nella quotidianità che si sta ricreando in città i pedoni passeggiano davanti alle facciate italiane nel centro storico di Odessa e bevono un caffè sotto l’ombrellone. Ma la gente presta attenzione alla guerra, un’attenzione ossessiva e per certi versi rassegnata.

Qualcuno ha installato sul telefono un’app che fa eco alle sirene antiaeree, poi però disattiva l’audio quando partono gli allarmi: un segnale che dopo tanto tempo la paura si confonde, diventa rumore di fondo. «Il mio hotel aveva un rifugio antiaereo – si legge nell’articolo – una stanza senza finestre, ma nessuno ci andava durante i raid aerei. “Sarai fortunato o sfortunato”, mi ha detto il custode. Non ha senso cercare di sfuggire al destino».

Non tutti sono afflitti dall’apatia, dall’ansia o dalla paura. In tutta la città, studenti, contabili, parrucchieri e altri professionisti hanno aderito a quello che Applebaum definisce «un movimento sociale senza precedenti»: sono volontari che, con campagne di crowdfunding e attivismo, aiutano a spiegare perché l’esercito ucraino ha combattuto così duramente e così bene, perché un tentativo russo decennale di cooptare e assimilare lo Stato ucraino è quasi del tutto fallito, anche in una città come Odessa, in cui c’è una grande diffusione della lingua russa.

Sono queste persone ad aprire una finestra sul futuro in un paesaggio altrimenti paralizzato, in un’economia in stallo, in una città in cui nessuno può più pianificare nulla.

Un esempio è il Servizio di volontariato ucraino (Uvs) creato da Anna Bondarenko (26 anni): un’organizzazione nata per fare formazione alle persone che volevano essere volontari o promuovere il volontariato in diversi settori.

Da quando è iniziata la guerra, le richieste di adesione si sono moltiplicate. Nessuno nel team dell’Uvs ha più di 30 anni e alcuni ne hanno meno di 20. I volontari, distribuiti in tutto il Paese, hanno aiutato a distribuire pacchi alimentari alle persone che hanno perso la casa, ripulire le macerie dopo i bombardamenti e, per coloro che sono disposti a correre rischi reali, per guidare auto o autobus nelle zone di guerra e tirare fuori le persone.

Ormai la rete creata da Bondarenko è tentacolare. Anne Applebaum ha citato nel suo articolo Lisa, una volontaria di Melitopol, che all’inizio dell’invasione russa era responsabile della distribuzione di cibo in una parte della città tagliata fuori dal centro, e così è rimasta finché qualcuno di un’organizzazione partner ha chiamato Bondarenko per avvertirla che Lisa era su una lista per essere arrestata o rapita. Uvs ha aiutato Lisa ad andarsene in poche ore.

Ma il lavoro dei volontari non è solamente umanitario, va molto oltre e diventa anche parte integrante dello scontro militare. «Serhiy Lukachko, dell’Uvs, gestisce un sito web chiamato My City, che un tempo era dedicato al sostegno di eventi culturali e altri progetti a Odessa», si legge nell’articolo. «Ora lui e un collega hanno messo le loro conoscenze al servizio di una brigata dell’esercito ucraino. Attraverso il crowdfunding, acquistano giubbotti antiproiettile, uniformi extra e i suv a quattro ruote motrici che sono molto richiesti al fronte».

Gli esempi di aiuti militari non sono finiti. In molti modi i cittadini che non vanno direttamente al fronte imbracciando un fucile o facendo fischiare un lanciarazzi possono ricoprire un ruolo decisivo in una battaglia.

Dmytro Milyutin gestisce una profumeria in centro a Odessa, ma all’inizio della guerra preso un prestito per fornire sofisticati abiti militari ai soldati ucraini che combattevano vicino a Odessa: l’esercito ucraino distribuisce le divise, ma non dà i giubbotti con molte tasche appositamente disegnati per trasportare armi e kit di pronto soccorso, o gli zaini leggeri che ad esempio i soldati americani hanno in dotazione.

L’ufficio di Olexander Babich, uno storico originario di Odessa, oggi ospita mucchi di sacchi a pelo, materassini, binocoli e visori notturni acquistati grazie a donazioni: presto o tardi verranno distribuiti ai militari. Con l’aiuto di alcuni storici suoi colleghi di Kherson – che ora vivono nel suo appartamento – rintraccia, importa e distribuisce l’attrezzatura all’esercito.

Questa storia, spiega Applebaum, rivela anche un lato oscuro, da ricercare nelle storiche difficoltà e nei problemi che affliggono l’Ucraina da anni. «Se l’esercito ucraino fosse stato meglio equipaggiato, o se l’Ucraina fosse un Paese più ricco, o se non ci fosse così tanta corruzione, il movimento sociale nato in questi mesi non sarebbe stato necessario: i volontari sono emersi proprio perché i soldati ucraini non hanno kit di pronto soccorso, i cecchini ucraini non hanno le divise giuste e nemmeno lo Stato ha la capacità di distribuire queste cose».

I volontari diventano fondamentali perché lavorano nelle pieghe di un Paese che per tre decenni è cresciuto su un’impalcatura amministrativa piuttosto instabile, fragile.

C’è ovviamente anche la mano di Vladimir Putin dietro questa condizione di infinita precarietà: seguendo le orme dei leader sovietici che lo hanno preceduto, il capo del Cremlino ha sistematicamente distrutto qualunque spirito civico emerso dopo il crollo dell’Unione Sovietica.

«Per impedire alle persone di organizzarsi, per convincere le persone che non ha senso fare o cambiare qualcosa, lo Stato russo e la sua macchina propagandistica hanno promosso per due decenni la paura, l’apatia e il cinismo», scrive Applebaum.

Ovviamente la partecipazione al movimento di volontariato, sebbene diffusa, non è universale. E l’Ucraina non è una nazione di santi. Non tutti stanno combattendo mettendo in gioco la propria vita per le sorti del Paese. Molti sono già andati via con scarsa intenzione di tornare.

«L’Ucraina del dopoguerra, però, sarà forgiata da chi è rimasto – si legge ancora nell’articolo – e da chi si è offerto volontario, da chi ha fatto lo sforzo di collegare fornai, tassisti e medici allo sforzo bellico: loro creeranno la cultura ucraina del dopoguerra, ricostruiranno le città e guideranno il Paese in futuro resistendo all’influenza russa, all’occupazione e a chi minaccia la loro identità. Loro sono emersi in opposizione a un’autocrazia russa che reprime la spontaneità e la creatività, e continueranno a farlo anche dopo la fine della guerra».

Ucraina, scoop di Deborah Haynes: "Soldati inglesi schierati a Kiev". Il governo conferma: "Li perseguiremo". Putin che farà? Libero Quotidiano il 10 marzo 2022.

Ci potrebbero essere dei soldati inglesi tra i militari che combattono per fermare l'avanzata russa. A rivelarlo Deborah Haynes. La giornalista, editrice di Sky News per la sicurezza e la difesa, ha fatto sapere su Twitter che "il Regno Unito conferma: un 'piccolo numero di soldati' potrebbe essere andato AWOL a combattere in Ucraina. Il portavoce dell'esercito britannico: 'Siamo a conoscenza di un piccolo numero di singoli soldati che hanno disobbedito agli ordini e sono andati via senza permesso, e potrebbero essersi recati in Ucraina a titolo personale'". 

E ancora, sempre riportando le parole del portavoce dell'esercito inglese: "Li stiamo incoraggiando attivamente e con forza a tornare nel Regno Unito". Infatti, era stato l'avviso, "a tutto il personale di servizio è vietato recarsi in Ucraina fino a nuovo avviso. Ciò vale indipendentemente dal fatto che la persona di servizio sia in congedo o meno. Il personale che si recherà in Ucraina dovrà affrontare conseguenze disciplinari e amministrative". Ma la notizia di soldati britannici sul campo in Ucraina, al Cremlino, potrebbe determinare reazioni drammatiche. Insomma, lo scoop rischia di avere pesanti conseguenze sul conflitto. 

Al momento infatti Boris Johnson non intende inviare uomini, evitando nuove e più tragiche conseguenze. Diverso discorso invece sulle armi. Dopo l'Unione europea, è il Regno Unito a equipaggiare gli ucraini. È stato dunque valutato l'invio di missili anti-aerei Starstreak. A dare l'annuncio è stato il capo della Difesa britannica Ben Wallace. "Possiamo tutti vedere l'orribile devastazione inflitta alle aree civili dall'artiglieria russa e dagli attacchi aerei, indiscriminati e assassini - ha premesso dopo il bombardamento all'ospedale pediatrico di Mariupol -. È quindi fondamentale che l'Ucraina mantenga la sua capacità di volare e di sopprimere l'attacco aereo russo. Ma la capacità deve essere rafforzata, quindi in risposta alle richieste ucraine, il governo ha preso la decisione di esplorare la donazione di missili anti-aerei portatili ad alta velocità Starstreak". 

Otto e mezzo, Caracciolo e la verità sugli ucraini: "Addestrati da americani e britannici". Come finisce la guerra. Giada Oricchio su Il Tempo il 10 marzo 2022

“Putin pensava a una guerra lampo. Non sapeva che gli ucraini militarmente sono stati attrezzati da americani e britannici”. La rivelazione è di Lucio Caracciolo, direttore della scuola di "Limes" e direttore dell’omonima rivista. La Russia è a un passo dal default per la scellerata decisione di invadere l’Ucraina, mentre i negoziati falliscono, la propaganda la fa da padrona sul campo e l’Occidente teme la crisi energetica e il rallentamento economico dopo la già devastante pandemia. A “Otto e Mezzo”, il talk politico preserale di LA7, giovedì 10 marzo, Lilli Gruber cerca di capire l’oggi e il domani con Lucio Caracciolo.

Il direttore sottolinea: “La guerra di propaganda è parte essenziale della guerra stessa e sta a noi capire cosa è vero e cosa è falso. Alcune cose sono evidenti però: questo conflitto non può che finire con una forma di compromesso. La Russia non si ritirerà spontaneamente e l’Ucraina non può vincere contro l’esercito russo, qualche compromesso si troverà”. La via della diplomazia, con concessioni da una parte e dall’altra, sembra l’unica percorribile anche se Caracciolo individua una seconda strada alla luce degli errori di Putin e dei suoi sodali: “L’alternativa è che qualcuno in Russia spieghi a Putin che è ora di andare a ritirarsi, ma questo non può avvenire durante la guerra. Ma le voci che ci dicono di malumori all’interno della nomenclatura, anche quella militare, si fanno sempre più evidenti”.

Ed ecco il passaggio più interessante: “I russi hanno sbagliato completamente i calcoli, hanno sbagliato tutto nelle operazioni militari. Non hanno capito che c’era una resistenza forte e militarmente attrezzata in questi anni soprattutto da americani e britannici che avrebbe dato filo da torcere”.

Parole che ricordano e quasi ricalcano quanto dichiarato pochi giorni fa da Mike Repass, ex comandante del Comando delle operazioni speciali degli Stati Uniti in Europa, alla CNN: “La NATO e gli Stati Uniti hanno fatto un lavoro magnifico nell'addestrare l'esercito ucraino. Quando ho visitato un'unità delle forze speciali ucraine a settembre, ho percepito immediatamente che questi ragazzi erano ben addestrati; sembravano i nostri ragazzi. Avevano gli stessi automatismi, gli stessi processi di pianificazione”.

Il generale che guida la resistenza ucraina: «Non esiste il diritto all’arroganza». Andrea Nicastro su Il Corriere della Sera il 5 Marzo 2022.

Valerij Zaluzhny è il primo capo di stato maggiore ucraino a non essere uscito da un’accademia sovietica. Ha trasformato un corpo improvvisato in un’armata. Uomo dell’ovest, falco pro-Nato. L’arma preferita il Javelin: sarà lo stringer «afghano»?

Nel 2014 l’Ucraina ha perso la Crimea quasi senza sparare un colpo. Gli ufficiali di Kiev davanti all’arrivo dei soldati russi cambiarono bandiera. L’intera catena di comando era cresciuta nelle accademie dell’Unione sovietica. I loro vicini di branda, i giovani con cui avevano combattuto in Afghanistan o in Cecenia erano diventati i nemici. Difficile, difficilissimo per gli ucraini combattere ex commilitoni. Valery Fyodorovich Zaluzhny, il capo di stato maggiore che sta guidando la resistenza del Paese contro l’invasione russa è l’esatto opposto di quelli che allora tradirono la nuova patria.

Primo, Zaluzhny è un uomo dell’ovest. È nato a Novohrad-Volynskyi, una città di tradizione cattolica e influenza polacca. Se Ucraina significa confine, frontiera tra mondo ortodosso e cattolico, tra la steppa e il continente urbanizzato, lui è figlio del mondo di qua. Se potesse scegliere dove stare, come cultura, impostazione politica, relazioni sociali, non avrebbe dubbi, sceglierebbe l’Europa, non l’Asia. «Le stellette sulla manica non danno diritto di essere arroganti», ha detto.

Fa ancora parte di una generazione a metà strada tra il suo presidente attore, disinvolto, maglietta e selfie, social e pr, e le mummie targate Urss. Ma è un generale che sa sorridere ai soldati. È entrato in carica meno di un anno fa quando il presidente Zelensky ha capito di dover avere in quella posizione qualcuno di cui fidarsi.

Secondo, è il primo capo di stato maggiore ucraino a non essere uscito da un’accademia sovietica. Il tessuto rigido della divisa resta quello, così la passione per una smisurata quantità di medaglie, persino la struttura di comando del suo esercito è d’impostazione sovietica. Ma lui non ha amici e conoscenti dall’altra parte. Anzi. Il suo battesimo del fuoco da giovane ufficiale è stata proprio la secessione pro-russa del Donbass nel 2014. È per merito suo e di tanti altri giovani ucraini se le prime conquiste russe si sono limitate a una frazione del territorio della regione. Ha sparato, ha combattuto, ma soprattutto ha saputo animare un esercito improvvisato, fatto più da volontari e miliziani che da professionisti.

È diventato leggendario in Ucraina il reparto di giovani ribelli di Maidan, universitari di Kiev dai capelli lunghi e la passione per il rock, che Zaluzhny ha portato nel Donbass. È con soldati così che allora l’Ucraina fermò l’avanzata dei separatisti filorussi. «A volte è stato difficile con loro. Non erano come c’è scritto nel manuale del soldato. Ma con le loro vite, il loro sangue, il loro coraggio, hanno fatto quello che andava fatto. Abbiamo fermato il nemico, siamo rimasti in piedi a difendere la nostra terra». Il modello è lo stesso che le sue Forze Armate stanno cercando di replicare anche in questa guerra, a dimensione nazionale.

Terzo, è un modernizzatore senza rimpianti. «I giovani che entrano in Accademia oggi, sono diversi da come eravamo noi. Sono migliori. Conoscono le lingue, passano dalla scrivania al campo di battaglia portandosi dietro l’abilità con i gadget elettronici che sono entrati nell’equipaggiamento».

È un falco pro Nato. È stato lui ad insistere perché l’Ucraina partecipasse a campi di addestramento con americani e britannici. Lui a chiedere la compatibilità tra gli armamenti e i sistemi di comunicazione della Nato, pur sapendo che entrarci sarebbe stato difficilissimo.

Le sue liste per la spesa sono fatte di droni, elettronica, sensori. È innamorato del Javelin, un razzo anti carro a spalla Usa micidiale e facile da usare: il carro armato nemico non ha scampo. Il Javelin potrebbe diventare per l’Ucraina quello che lo stinger è stato per l’Afghanistan.

Quarto, è un combattente di prima linea. E l’Ucraina ha tantissimo bisogno di coraggio.

Chi è il generale che preoccupa Putin. Alessandro Ferro su Il Giornale il 6 marzo 2022.

È l'uomo da cui dipende la strategia operativa ucraina nei confronti della Russia e uno degli uomini di cui si fida maggiormente il presidente Zelensky: il suo nome è Valery Fyodorovich Zaluzhny, Capo di stato maggiore che sta guidando la resistenza del Paese contro l’invasione russa. Il generale ucraino è un uomo tutto d'un pezzo e l'esatto opposto di chi, nel 2014, si arrese praticamente senza combattere regalando la Crimeai ai russi.

Al quarto giorno di combattimento, il tenente generale Zaluzhny ha inviato un forte messaggio ai suoi per motivarli e caricarli pur sapendo di combattere contro uno degli eserciti più grandi del mondo, sottolineando come in soli due giorni fossero stati mobilitati quasi 100mila cittadini, la metà dei quali riservisti delle Forze armate. "Siamo osteggiati da uno dei più grandi eserciti del mondo. Ma siamo più forti! E ogni giorno le nostre panchine diventano più forti". A parte il discorso motivazionale e strategico, Zaluzhny è un uomo dell’occidente: è nato a Novohrad-Volynskyi, città con fortissima tradizione cattolica e influenza polacca. Se dovesse idealmente indossare una maglia, la sua impostazione culturale, politica e sociale è europea, non asiatica. "Le stellette sulla manica non danno diritto di essere arroganti", ha affermato durante un suo intervento alla stampa.

Chi lo conosce dà sempre lo stesso giudizio: il generale entrato in carica meno di un anno fa e uomo di fiducia di Zelensky, è una via di mezzo tra il "presidente attore" e i musoni russi. Il suo carattere è ben apprezzato dai suoi sottoposti che hanno dichiarato come "sappia sorridere", quasi un ossimoro quando si parla di un militare che occupa la sua posizione. Secondo punto a suo favore: come riporta il Corriere, si tratta del primo capo di stato maggiore ucraino che non proviene da una formazione in un’accademia sovietica ma non ha nulla a che spartire con i russi. Grazie a lui, nel 2014, i danni nel Donbass sono stati limitati aiutando e armando un esercito composto non certo da professionisti ma da volontari spesso e volentieri alle prime armi, senza esperienza né formazione.

Nel reparto dei giovani ribelli di Maidan, in Ucraina, è considerato una leggenda. Gli universitari disinvolti e ancora frivoli devono molto a Zaluzhny. "A volte è stato difficile con loro. Non erano come c’è scritto nel manuale del soldato. Ma con le loro vite, il loro sangue, il loro coraggio, hanno fatto quello che andava fatto. Abbiamo fermato il nemico, siamo rimasti in piedi a difendere la nostra terra". Terzo, stiamo parlando in modernizzatore al passo con i tempi, non di certo un austero e compassato uomo di un'altra epoca. "I giovani che entrano in Accademia oggi - ha dichiarato - sono diversi da come eravamo noi. Sono migliori. Conoscono le lingue, passano dalla scrivania al campo di battaglia portandosi dietro l’abilità con i gadget elettronici che sono entrati nell’equipaggiamento".

Infine, ama la Nato: ha insisto affinché l’Ucraina partecipasse ai campi di addestramento con americani e britannici. È stato lui a domandare se ci fosse compatibilità tra gli armamenti e i sistemi di comunicazione della Nato anche se l'impresa sarebbe stata improba. Moderno e tecnologico, se ne intende di droni, elettronica e sensori. Insomma, fin quando sarà al comando, l'Ucraina ha sicuramente un "centravanti", un attaccante di altissimo livello.

MERCENARI FILO RUSSI.

Francesco Battistini per il “Corriere della Sera” il 27 settembre 2022.

Non che non l'avessimo capito. Solo due giorni fa, dal podio dell'assemblea generale dell'Onu, il colonnello golpista maliano Abdoulaye Maiga era salito a ringraziare pubblicamente i mercenari di Wagner che Putin ha inviato in Africa, «esemplare e fruttuosa collaborazione fra Mali e Russia». E in Siria la stampa araba parla di «vuoto russo», da quando il Cremlino ha richiamatogli uomini di Wagner per spostarli nel Donbass.

E nel Donetsk che domani verrà annesso alla Russia coi finti referendum, nelle acciaierie ucraine Yenakiieve e Steel Works, 500 operai sono stati arruolati a forza e portati ad addestrarsi con gli istruttori di Wagner. Non che non si sapesse. Però a dircelo ieri è stato l'uomo che ha fondato Wagner, Evgeny Prigozhin, 61 anni, il famoso «cuoco di Putin», che per la prima volta l'ha ammesso pubblicamente: i miei soldati, altro che semplici patrioti, altro che omini verdi di buona volontà, sono mercenari bell'e buoni. E dipendono direttamente dal Cremlino.

«E ora, una confessione», ha detto Prigozhin. La domanda gliel'ha fatta un giornalista che s' era stupito del video circolato giorni fa, dove si vedeva l'amico di Putin arringare un gruppo di detenuti d'un carcere per convincerli a combattere: Evgeny Viktorovic, gli ha chiesto, non neghi più d'essere l'arruolatore per conto del Cremlino? Ebbene, ha ammesso lui, «nel 2014 ho fondato il Gruppo tattico Wagner proprio per poter inviare soldati capaci nel Donbass».

Come andò? «Il primo maggio, nacque il primo gruppo di patrioti. Questi ragazzi hanno difeso i russi dal genocidio, il popolo siriano dagli altri arabi, hanno combattuto i demoni africani e latinoamericani. Sono diventati il pilastro della nostra patria». Un lavoro da imprenditore, lo descrive lui: «Nel 2014 andai nei centri d'addestramento dei nostri cosacchi, per investire soldi e reclutare uomini armati che potessero muoversi rapidi a protezione dei russi. 

Ma vidi che i cosacchi non funzionavano. Allora formai un gruppo mio, andando in un poligono e rimboccandomi le maniche. Gettai via le vecchie armi, selezionai le persone che potessero aiutarmi. E in poco tempo fummo pronti a liberare l'aeroporto di Lugansk e a cambiare il destino del Donbass». 

L'ammissione ha un suo peso. Il legame fra il «cuoco» e Putin dura dai tempi di San Pietroburgo, da quando Prigozhin accoglieva nel suo ristorante il futuro presidente.

In questi otto anni, i due son sempre stati ben attenti a tenere il Cremlino fuori dalle attività di Wagner: a Mosca c'è una sede ufficiale, si pubblicano bandi d'arruolamento, ma ai media finora era vietato nominare il gruppo armato. 

Figurarsi indagare. Qualche «cane giornalista» che l'ha fatto, «sputando, cercando elementi negativi, trovando i panni sporchi» (parole di Prigozhin), è morto. Alle famiglie dei mercenari caduti, il silenzio viene pagato da Putin fino a 50 mila dollari. Le decorazioni sono conferite con cerimonie segrete. E pochi mesi fa, lo Zar negava quel che tutti sanno: che gl'invisibili di Prigozhin fanno ovunque il lavoro sporco che le truppe di Mosca non possono rivelare. 

«Se prima facevamo tutti finta che non esistessero - svela Special Task Channel, un blog vicino al Cremlino -, ora è diverso. Loro non sono più indefiniti volontari che combattono. Sono gli uomini di Wagner!». Le sconfitte di queste settimane stanno lasciando ferite. E se il leader ceceno Ramzan Kadyrov contesta la strategia, qualcosa sembra muoversi anche nei palazzi: il responsabile della Difesa, Sergej Shoigu, soffre il ruolo del «cuoco», ormai il ministro-ombra della campagna militare. Prigozhin s' è conquistato i meriti sul campo, «ho difeso gl'interessi del Paese e protetto gli svantaggiati» dal Centrafrica al Venezuela, dalla Libia alla Crimea, sollevando spesso invidie e sospetti.

All'inizio dell'Operazione speciale - rivela un corrispondente militare russo - i generali moscoviti avevano tagliato fuori i mercenari di Wagner, pensando di prendere Kiev in pochi giorni: «Quando però è iniziata la guerra di trincea, sono dovuti ricorrere» a loro. E anche ora che le cose si complicano, i wagneriani vengono indicati, citati, esaltati. «Sono i primi musicisti della nostra orchestra!», dice un po' retorico un inviato tv di Rossiya1: chiamati a cambiare spartito.

Estratto dell’articolo di Marco Ventura per “il Messaggero” il 9 agosto 2022.

«Patria, onore, sangue, coraggio. WAGNER». Il manifesto è comparso a sorpresa, gigantesco e ammiccante con l'immagine di tre paramilitari in uniforme, per le strade di Ekaterinburg, la quarta città della Russia per numero di abitanti e il principale centro industriale degli Urali. Un altro recita: «L'orchestra Wagner ti aspetta». 

Chi voglia entrare nel gruppo di musicisti mercenari della guerra può rivolgersi a una sfilza di agenti reclutatori in tutta la Federazione russa, a partire da San Pietroburgo che della compagnia di contractors privati è insieme culla e base.

Oppure può andare sul sito dell'azienda e scoprire un appello più esplicito, accanto all'immagine degli incursori e combattenti al soldo dell'organizzazione: «Hanno già liberato Popasna, unisciti a noi per liberare l'intero Donbass. Vai alla tua prima campagna militare con le leggende viventi del settore».

[…] La notizia […] è che in questo modo Wagner esce dal silenzio, se non addirittura dall'illegalità. Le Pmc (Private military company, o aziende private militari) sarebbero fuori legge in Russia, per quanto almeno dal 2014, cioè proprio dall'inizio della guerra del Donbass prima dell'invasione russa di febbraio 2022, venivano tollerate anche al livello più alto. Su fino al Cremlino.

Fino a non molto tempo fa ogni attività dell'organizzazione, dal reclutamento alle campagne militari alle aree di impegno, era avvolta in un fitto mistero caldeggiato dall'alto. Per entrare bisogna firmare una clausola di riservatezza, che si estende ai familiari in caso di morte del loro caro. Segretezza che non ha impedito però al Cremlino di insignire ufficiali mercenari di prestigiose onorificenze patriottico-militari.

Quando l'aviazione americana, in Siria nel 2018, uccise circa 200 mercenari tra cui uomini di Wagner, a domanda di Washington il Cremlino rispose che non sapeva nulla della presenza di privati in armi. 

Sempre negati contatti e collegamenti con Wagner e col suo fondatore, Dmitry Valeryevich Utkin, nato nel 1970, un ex tenente colonnello del GRU, il servizio d'informazione delle forze armate russe, che lasciando l'esercito nel 2013 aderì al gruppo Moran, una società di contractors sciolta poi nello Slavonic Corps, da cui infine sarebbe nato, sotto la sua guida, il Wagner Group, dal nome del compositore più amato da Hitler.

[…] Neo-nazista dichiarato, Utkin si è fatto ritrarre con elmetti della Wermacht, ha una venerazione per le SS e per il loro creatore, Himmler, ed è vicino al neopaganesimo russo che esalta i Rus (scandinavi stanziati nel Medioevo tra Ucraina e Russia Occidentale). Ma dalla leggenda si è passati poi all'industria, secondo molti osservatori grazie anche al suo presunto principale finanziatore, e uomo-cerniera col Cremlino, Yevgeny Prigozhin, classe 1961, venditore di hot dog diventato ricchissimo oligarca della ristorazione e, naturalmente, chef di Putin. Celebre una sua foto nella quale scopre la campana su una pietanza servito allo Zar, che ricambia il gesto con una smorfia di piacere. […] 

Dagotraduzione dal Daily Mail il 7 giugno 2022.

Un mercenario russo diventato noto per aver massacrato prigionieri di guerra e civili nel Donbass è stato ucciso in Ucraina. Secondo i media russi, Vladimir Andonov, 44 anni, del gruppo Wagner, è stato colpito da un cecchino vicino a Kharkiv durante una missione di ricognizione il 5 giugno. 

In patria Andonov era conosciuto come “Vakha” o “il volontario della Buriazia”, la regione da cui proveniva, mentre per gli ucraini era “il boia” per via dei massacri che ha contribuito a compiere durante la prima invasione russa nel 2014. La sua morte è stata confermata da Zhambal-Zhamso Zhanaev, capo della regione da cui proveniva Andonov, che ha parlato al quotidiano russo Moskovskij Komsomolets.

Andonov ha prestato servizio nell'esercito regolare russo dal 1997 al 2005, poi si è trasferito nella città di Ulan-Ude dove ha studiato in una scuola di insegnamento. Ha abbandonato la scuola prima di completare gli studi e ha ottenuto un lavoro nel commercio, prima di arruolarsi volontario per andare a combattere in Ucraina nel 2014. 

Andonov è stato arruolato nella compagnia delle forze speciali di Olkhon che combatteva nel Donbass e all'inizio del 2015 ha preso parte alla battaglia di Debaltseve, una delle ultime grandi battaglie della guerra del 2014. A quel tempo, è apparso in un video girato nella regione presto diventato uno dei primi elementi di prova che i volontari della Buriazia erano in Ucraina. 

L'Ucraina lo accusa di aver partecipato personalmente al massacro di prigionieri di guerra nella città di Logvinovo all'indomani della battaglia e di aver ucciso civili in altre parti del Donbass.

Andonov è rimasto in Ucraina anche dopo gli accordi di Minsk del 2015, ed è tornato in Russia nel 2017. Ma alla fine di quell'anno è scomparso: ha cancellato le sue tracce online, e negli anni successivi ha combattuto con le unità Wagner in Siria e in Libia. 

I mercenari Wagner si sono guadagnati la loro reputazione di assassini per aver combattuto battaglie che l’esercito regolare russo non poteva intraprendere - partecipando a massacri, torture e uccisioni indiscriminate lungo il percorso. 

Andonov è tornato poi in Ucraina a seguito dell'ordine di Putin di invadere nuovamente il Paese, il 24 febbraio. Non è chiaro dove avesse combattuto esattamente prima della sua morte nei pressi della città ucraina di Kharkiv domenica.

Chi è il boia della Wagner ucciso dagli ucraini. Alessandro Ferro il 7 Giugno 2022 su Il Giornale.

Un cecchino ucraino avrebbe ucciso uno degli uomini più temuti dei mercenari Wagner: ecco chi era Vladimir Andonov e perché aveva acquisito la nomea di "boia".

A inizio aprile avevamo visto che Putin, per la sua "operazione speciale" in Ucraina, aveva arruolato anche i mercenari Wagner, un’organizzazione paramilitare russa che agisce come un esercito privato in aggiunto a quello ufficiale che ha subìto pesantissime perdite dal 24 febbraio ad oggi. Ecco la necessità di chiamare in combattimento questi militari di varia nazionalità alle dipende dello Zar. È notizia delle ultime ore che, dopo aspri combattimenti in Donbass epicentro della guerra, è stato ucciso quello che era soprannominato "il boia", ossia uno dei soldati più forti e temuti della Wagner. Il suo nome è Vladimir Andonov, 44 anni, deceduto a causa di un cecchino dell'esercito di Zelensky.

Chi era Andonov

Conosciuto per essere stato uno spietato killer con un curriculum che affonda le radici già nel 2014, la notizia è stata data dal giornale di Mosca Moskovsky Komsomolets: "È morto la scorsa notte durante la ricognizione della zona insieme al suo amico". Andonov era conosciuto dai russi come "Vakha" o "il volontario della Buriazia", regione da cui proveniva, ma dagli ucraini come "il boia" per i massacri che ha iniziato a compiere ormai otto anni fa. Di origini mongole, ha prestato servizio nell'esercito russo dal 1997 al 2005, quando poi ha deciso di trasferirsi nella città di Ulan-Ude, in Siberia orientale, dove ha studiato in una scuola per diventare insegnante. Gli studi, però, non erano il suo futuro e ha lavorato nel commercio prima di arruolarsi tra i volontari per combattere in Ucraina nel 2014.

Andonov è stato arruolato nella compagnia delle forze speciali di Olkhon, combattenti in Donbass, e ha preso parte alla battaglia di Debaltseve (nel Donetsk) all'inizio del 2015, una delle ultime grandi battaglie di inizio guerra. In quel periodo, il suo volto era anche apparso in un video girato nella regione diventato uno dei primi elementi di prova che i volontari della Buriazia si trovassero in Ucraina. Kiev lo ha accusato di aver preso parte in prima persona al massacro di alcuni prigionieri di guerra nella città di Logvinovo oltre ad aver ucciso numerosi civili.

Un passato misterioso

Come ricorda il DailyMail, Andonov sarebbe rimasto in Ucraina in prima linea anche dopo che la guerra su vasta scala che era terminata con la firma degli accordi di Minsk nel 2015 e prima di tornare nella sua regione d'origine nel 2017. Alla fine di quell'anno, però, di lui non si è saputo più nulla, ha fatto sparire ogni traccia di se stesso anche dai social: gli esperti ritengono che abbia combattuto con la Wagner in Siria e Libia. I mercenari Wagner si sono guadagnati la loro nomea di assassini e sanguinari per essere ancora più spietati del "regolare" esercito russo e uccidere chiunque incontrino lungo il noro percorso oltre ad aver partecipato a massacri e torture.

Sembra un ossimoro, e in realtà lo è, ma il nome del gruppo deriverebbe da quello di Richard Wagner, il famoso compositore tedesco in tutto il mondo le cui opere, che costituiscono un patrimonio immenso, avrebbero ispirato l’ideologia degli stessi mercenari.

(ANSA il 26 marzo 2022) - Hezbollah ha accettato di inviare 800 combattenti in Ucraina per prendere parte alle ostilità a fianco della Federazione Russa. Lo riporta il quotidiano russo dell'opposizione Novaya Gazeta citato da Unian. 

Ai combattenti sono stati promessi 1.500 dollari al mese. Secondo alcune fonti, i rappresentanti della compagnia militare privata russa Wagner si sono incontrati con i militanti di Hezbollah. Sarebbe stato raggiunto un accordo per assumerne 800 e 200 di questi saranno inviati in Bielorussia entro la fine del mese.

 Riccardo De Palo per “Il Messaggero” il 15 maggio 2022.

«Non volevo più combattere contro i miei fratelli. Soprattutto, avevo capito che l'Ucraina era lontana dall'aver completamente torto e la Russia dall'essere irreprensibile». 

È stato nell'estate del 2015, in missione come mercenario a Lugansk, nel Donbass, che Marat Gabidullin comincia a porsi delle domande.

Sta per salire sull'Iliushin che lo riporterà a Mosca, quando si rende conto «di quanto fosse falsa e illusoria la presunta nobile causa che sosteneva di difendere gli interessi della Russia di fronte alle ingerenze di una potenza straniera ostile». 

Gabidullin, 50 anni, è il primo e unico mercenario del Gruppo Wagner - l'armata segreta e privata di Putin di cui nessuno a Mosca riconosce l'esistenza, accusata di ogni sorta di violenze nel mondo - che abbia deciso di raccontare le sue esperienze in un libro (Io, comandante di Wagner, Libreria Pienogiorno, 288 pagine, 18,90 euro), senza trincerarsi dietro l’anonimato.

«Difficile prevedere cosa sarà del mio Paese, e di me - scrive - Temo forse per la mia vita o la mia libertà? Non sono una figura di spicco come Aleksey Naval'nyi o Boris Nemcov (il primo il capo del dissenso incarcerato, e il secondo il politico assassinato nel 2015 vicino al Cremlino, ndr). Non lancio appelli per salire sulle barricate e non dirigo alcun movimento di opposizione. Non faccio altro che parlare apertamente e con conoscenza di causa».

In servizio presso un ospedale di Lugansk, il mercenario scopre che il reparto più impegnato non è la traumatologia, come ci si potrebbe aspettare, ma la chirurgia maxillo-facciale. «Quando il marito torna dal fronte di pessimo umore - gli spiegano - si imbottisce di alcol, e comincia a picchiare tutto ciò che si muove». Così trova «camere piene di donne, con delle stecche alle mandibole e delle bende a coprire le ferite».

«Questa guerra noi non la volevamo, siete stati voi a scatenarla e ad alimentarla», gli dice un ragazzo a cui vende una stecca di sigarette al mercato. Così promette a se stesso: «Se mi spediranno di nuovo nel Donbass, per di più magari per combattere, allora no, non andrò».

Gabidullin ha tenuto fede a questo suo proposito. Nel 2019, ha lasciato la divisa di un'organizzazione che, ufficialmente, non esiste. Oggi sostiene, in dichiarazioni alla Reuters, che il fallimento delle forze russe in ucraine si poteva prevedere: «L'esercito non era all'altezza del compito».

Lui la chiamata per tornare al fronte l'aveva ricevuta, ma aveva rifiutato di tornare a combattere, e aveva avvertito che stavano sottovalutando il nemico. «Sono stati colti di sorpresa dal fatto che l'esercito ucraino abbia resistito così ferocemente». 

L'ex mercenario nel libro spiega di essersi accorto che la Russia stava preparandosi a questa guerra da molto tempo, investendo miliardi di dollari mentre nel suo Paese «le persone anziane sono costrette a vivere di pensioni umilianti».

Oggi, scrive, sono tre distaccamenti di Wagner a partecipare ai combattimenti, a Mariupol e Kharkiv. «La nuova tendenza è scambiare il patriottismo con i dollari». Ma Gabidullin non è un pentito, né un delatore, come spiegano i curatori del volume, Ksenia Bolcharova e Alexandra Jousset. È un soldato, che si porta dietro tutte le contraddizioni dei russi contemporanei, che ha cominciato a scrivere ispirato dalla lettura dei Racconti di Sebastopoli di Tolstoj. Ex militare, poi passato alla criminalità, e infine alle operazioni militari segrete.

Nel suo libro racconta la gavetta, la nomina a comandante, gli assalti alle città mentre le truppe di Assad restavano nelle retroguardie, la ferita provocata da una granata, proprio mentre stavano liberando Palmira dall'Isis. Tutti i fatti - sostiene - sono veri, solo i nomi sono cambiati. Così, il capo dell'organizzazione, il tenente colonnello Dimitrij Utkin, detto Wagner, è diventato Beethoven. 

Jacopo Iacoboni per “La Stampa” il 14 maggio 2022. 

«La Russia non aveva le informazioni e l'intelligence giuste sull'Ucraina. Non ha un Comando centrale unificato sul campo. Ha un miscuglio di gruppi che non si coordinano tra loro, l'esercito, la Rosgvardia, i kadyroviti, e i generali del Cremlino si fanno belli con le morti di chi si sacrifica sul campo. Alla fine la guerra la Russia la perderà, ma le vittime civili saranno ancora tante, le vittime militari saranno ancora tante, la guerra non sarà breve». 

Chi parla così, in una città europea, è Marat Gabidullin, 50 anni, ex dell'aeronautica russa e soprattutto ex comandante del Wagner Group, il più temuto gruppo mercenario al mondo, finanziato dall'oligarca Evgheny Prigozhin (il "cuoco di Putin", proprietario tra l'altro della troll factory di San Pietroburgo, e ovviamente in cima alle sanzioni americane e europee, ha sempre negato).

La "Wagner" è stata per anni il terrore negli scenari di guerra ibrida, mercenari russi che hanno combattuto nelle situazioni più sporche del pianeta, in Siria, Libia, Centroafrica, e adesso, checché ne dica Serghey Lavrov, sono presenti anche in Ucraina. Gabidullin ha scritto un libro, Io, comandante di Wagner (Libreria Pienogiorno), che ora esce in italiano, ampliato rispetto all'edizione russa (dove c'erano state molte omissioni «per sfuggire alla censura»). Non è il libro di un pentito, questo bisogna saperlo. Piuttosto di uno che vuole difendere i suoi compagni dicendo la verità sul Cremlino, sui suoi generali, sulla «assurda guerra in Ucraina».

Lei nel libro scrive che ormai Wagner è male armata e male addestrata. Cosa è successo?

«Nel 2016, contro l'Isis in Siria, avevamo più munizioni e eravamo meglio equipaggiati, avevamo anche carri armati T-90.

Dal 2017 abbiamo cominciato ad avere una quantità molto limitata di munizioni. A Hama gli americani sapevano tutte le nostre mosse in anticipo, e fu un massacro. Alla fine della battaglia di Palmyra, gli unici carri armati che avevamo erano cinque T-72 sottratti ai siriani». 

Lei dice che i morti di Wagner vengono taciuti e ignorati dal Cremlino. Ormai la brigata viene mandata allo sbaraglio?

«Non esattamente allo sbaraglio, almeno fino al 2017 erano combattenti addestrati molto bene. Oggi non più. Non c'è training, non c'è coordinamento delle azioni. Lo si è visto anche all'Isola dei Serpenti. Le vittorie in Siria furono dovute principalmente ai morti della Wagner, mentre i generali del Cremlino si fanno belli e vengono promossi. Ma l'Isis non aveva artiglieria, droni turchi, mezzi corazzati. In Ucraina è tutto completamente diverso». 

Il ministro degli esteri russo Lavrov dice che Wagner non è in Ucraina.

Gabidullin sorride. «I politici non mentono mai: diciamo che non dicono mai tutta la verità.

Io penso che veramente Wagner non ci sia in quanto tale, ci sono tantissimi contractor di Wagner con qualcun altro che dirige le loro azioni». 

Un'altra società rispetto a quella per cui lavorò lei (la Evro Polaz di Prigozhin)?

«Sicuramente i combattenti di Wagner oggi in Ucraina non vengono comandati da una società qualsiasi ma dalle forze ufficiali russe. Altrimenti sarebbe il caos». 

Nel canale Telegram di Wagner, "RSODM", sono state scritte alcune verità sgradite alla propaganda russa. Per esempio che a Snake Island i russi si ritiravano, e era stata colpita una nave, un elicottero. Come lo spiega?

«Uno, evidentemente gli è permesso, si prendono un certo grado di libertà. E due, mandano, diciamo così, degli avvisi, un memento ai dirigenti russi: signori, ricordatevi che noi siamo qua, stiamo combattendo per voi». 

Quanti russi sono morti in Siria, e quanti della Wagner? E quanti in Ucraina?

«In Ucraina non lo so, in Siria non voglio rivelarlo. Ma tutta la propaganda di Mosca è basata sul mentire sui morti, e dire che le vittorie sono ottenute con minimi sacrifici».

Come giudica militarmente il Comando delle Forze armate in Ucraina? Il generale Valery Gerasimov è stato duramente criticato.

«Non lo giudico bene. Pensavano a una guerra veloce, ma avevano cattiva intelligence sull'Ucraina. Non erano preparati, erano male infornati. Tre giorni dopo l'inizio della guerra quel c di Lukashenka - che non è russo ma parla solo su mandato di Mosca - fece un'intervista a Solovyov per dire che la Russia avrebbe vinto in tre giorni, "perché di là non c'è nessuno a fronteggiarli". Che c». 

Alcuni membri della Wagner sono accusati di stupri, violenze sui civili, lei ha mai assistito a crimini del genere?

«Un contractor privato in Russia è una persona non riconosciuta, che per la legge non esiste, è fuorilegge, nessuno è responsabile per il suo destino.

D'altra parte, lui sa che potrà evitare qualunque responsabilità criminale per le sue azioni.

Una zona grigia tremenda, in cui ognuno è solo con i suoi demoni. Io non ho visto gli stupri, ma so che non tutti riescono a seguire le regole e l'etica, e trattenere la violenza».

Cosa pensa dell'invasione di Putin in Ucraina?

«Credo che sia un errore tragico. Non si poteva assolutamente attaccare l'Ucraina, sono nostri fratelli. Questa guerra va contro qualunque senso, contro il popolo ucraino, ma anche contro quello russo, sarà la rovina dell'economia e dello stato russo. So che la guerra sarà lunga. E so che se i russi riuscissero a tenere i confini degli oblast di Donetsk e Luhansk, si fermerebbero: non perché vogliono, ma perché non hanno assolutamente le forze per andare oltre. Ma hanno le forze per tenere eventualmente Kherson, Mariupol, Melitopol, Berdyansk? Da quello che mi dicono i miei compagni, no. Dopo questo disastro una Russia esisterà ancora, ma come? In che modo? Non sono una figura di spicco come Navalny o Nemtsov. Non dirigo alcun movimento di opposizione.

Non faccio altro che parlare apertamente, e con cognizione di causa. Ormai basta questo in Russia a essere accusato come nemico del popolo. Putin vive ormai in un suo mondo parallelo, è cocciuto e non cederà mai, sappiate che se non viene fermato potrebbe andare avanti all'infinito, lo dico ai tanti putiniani d'Italia, potrebbe inventarsi di dover invadere l'Italia perché un secolo fa eravate andati a combattere contro la Russia. Lo so, è fantascienza, ma fino a un certo punto».

Francesco Palmas per “Avvenire” il 22 aprile 2022.

L'influenza del Cremlino in molti Paesi del Continente e i legami con l'attività bellica in corso Soldati irregolari che si sono spesso macchiati di crimini, vengono portati nel nuovo teatro di conflitto. Un inquietante intreccio tra interessi militari, petroliferi e di controllo politico Impantanata nel conflitto ucraino, Mosca sta attingendo a tutte le risorse disponibili per dipanare una matassa dai bandoli finora inestricabili.

Da settimane sta rafforzando gli effettivi già in teatro con mercenari e suppletivi, molto bellicosi. Secondo l'intelligence militare britannica, almeno un migliaio di contractor del gruppo privato Wagner sarebbe stato richiamato dall'Africa e dalla Siria per essere proiettato nell'est ucraino. Molti di questi uomini sarebbero stati già ingaggiati a Mariupol e Kharkiv, due snodi cruciali di questa guerra barbara. Fra loro ci sono criminali di guerra, noti per i loro metodi sbrigativi nel Vicino Oriente, in Libia, in Centrafrica e in Mali.

Una fonte anonima libica, citata dal quotidiano Al-Araby Al Jadeed, afferma che i russi avrebbero sguarnito la città di Sukna e altri centri mediani e orientali della Cirenaica, radunando i mercenari nella base aerea di Al-Jufrah e imbarcandoli su un cargo militare. Destinazione: Ucraina. 

Già all'inizio della guerra, alcuni scherani della Wagner sarebbero stati impegnati nella cattura fallimentare del presidente ucraino Zelensky. Se ne sa poco. Alcune fonti stigmatizzano gli irregolari russi anche per il massacro di Bucha. Non sarebbe una novità, visti i crimini da loro commessi altrove. Il via vai di mercenari dall'Africa al nuovo teatro di guerra è confermato anche da un responsabile militare egiziano e dalla giornalista Alexandra Jousseto, autrice del documentario 'Wagner, l'esercito dell'ombra di Putin'. Secondo lei, molti quadri della società militare privata hanno lasciato nei giorni scorsi anche il Centrafrica.

Dal 2015 Mosca ha investito moltissimo sul 'continente nero'. Vanta, nel soft power africano, il successo della campagna siriana, presentata come prova di quanto possa giovare il sostegno di Mosca nel garantire sovranità e indipendenza, a dispetto delle sanzioni occidentali. La manovra le ha già permesso di ottenere contratti per i suoi mercenari in una dozzina di paesi africani. 

Opera con 6-7mila irregolari in Guinea Conakry, in Guinea Bissau, in Ruanda, in Angola, in Botswana, in Zimbabwe, nel Madagascar, in Sudan e nel Regno dello Eswatini (l'ex-Zwaziland). Tramite i buoni uffici della società militare privata Wagner, ha guerreggiato in Libia, in Mozambico e in Centrafrica. Sta facendo altrettanto in Mali e ha prospettive pure in Burkina Faso. Il Cremlino interviene surrettiziamente. 

Smentisce legami ufficiali con Wagner, una società senza personalità giuridica in Russia, con sede legale in Argentina.

Ovunque intervengano, i mercenari di Mosca sono accompagnati da geologi dei colossi energetici. Il motivo è presto detto. Per pagare i servizi dei contractor, molti paesi africani, dalle casse vuote, offrono in cambio diritti minerari. Avverrà così anche in Mali, visto che Wagner è cara: si parla di un contratto da 11 milioni di dollari al mese con Bamako.

Lo schema è mutuato dal vicino Centrafrica e copiato dal modus operandi della famigerata Executive Outcomes. A Bangui girano non meno di 2.500 mercenari russi. La geografia fisica delle loro zone di combattimento combacia come una goccia d'acqua con le aree di massima concentrazione di risorse minerarie. 

La società Lobaye Invest Ltd, controllata dal gruppo di San Pietroburgo M-Invest, ha ottenuto la licenza di sfruttamento di una miniera d'oro presso Ndassima, in una regione presidiata dai ribelli musulmani della Séléka. M-Invest non è un gruppo qualsiasi.

Fa capo a Eugenyi Prighozin, fedele di Putin e finanziatore di Wagner. Prighozin, da ex criminale comune, ha fatto fortuna con le sue catene di catering di lusso a Mosca e San Pietroburgo. Ha diversificato le attività. Ha una holding mediatica, Media Patriot, possiede compagnie di genio civile, ha attivi nell'industria del petrolio e in quella mineraria.

I l suo modello di sviluppo in Africa affianca le ambizioni geopolitiche di Mosca. Si offre come un fornitore di servizi, specie in materia di consulenza politica e di campagne d'influenza, ottenendo in cambio partecipazioni azionarie in compagnie minerarie. Inutile dire che l'uomo e le sue società sono sotto sanzioni americane ed europee. 

Ma altre due sono le figure chiave di Lobaye in Centrafrica: Eugenii Khodotov, un ex ufficiale russo di polizia, ora direttore generale della compagnia, e Dimitri Alexandrov, che cura la strategia mediatica russa in Centrafrica. Mosca punta però ancora più in alto. Più che le risorse minerarie, di cui è già ricchissima e di cui il Centrafrica non abbonderebbe troppo, al Cremlino interessano la geopolitica regionale e la stabilità del paese, che verrebbero sfruttate come un trampolino di lancio verso zone più attraenti economicamente.

Un alto responsabile dell'Onu, che si occupa di questioni di sicu- rezza, non esclude che «i russi si siano stabiliti in Centrafrica per creare un duplice asse d'influenza, attraverso il Sudan a nord e verso l'Angola a sud». Per molti esperti conservatori russi, fra cuiVyacheslavTetekina, membro del comitato di difesa della Duma, citato dall'Ifri, «Mosca ha ormai escluso Parigi dal gioco centrafricano» e punta ad estrometterla anche dal Burkina Faso, dopo averla defenestrata dal Mali. 

A fine gennaio, Alexandre Ivanov, uno dei capi degli 'istruttori' russi in Centrafrica, ha elogiato su Twitter i golpisti burkinabé, offrendo loro «l'esperienza dei suoi uomini in Centrafrica per la formazione dell'esercito del Burkina». Il problema è che i mercenari russi sono accusati di crimini di guerra. In Centrafrica avrebbero commesso esecuzioni arbitrarie, stupri e saccheggi. C'è il rischio che il modello sia esportato anche in Burkina, in Mali e ora in Ucraina.

E il tutto potrebbe avvenire nel silenzio delle Nazioni Unite. Sembra di essere tornati agli anni 70, quando Mosca sosteneva governi filosovietici in Madagascar, in Benin, in Burkina Faso, in Angola, in Mozambico, in Guinea-Bissau, a CapoVerde, in Algeria, in Libia, in Mali e in Kenya. All'epoca, l'influenza russa in Africa era all'apogeo del suo splendore, con quasi 40mila consiglieri militari all'opera, cui si sommavano le truppe socialiste cubane.

E rano legami preziosi, che permettevano di piazzare in tutto il continente le armi fabbricate dal Patto di Varsavia. Ancora oggi mercenari e armi viaggiano a braccetto, tant' è che l'export di armi russe verso il Continente nero è cresciuto del 23% nell'ultimo quadriennio. Mosca sta correndo. Ambisce a galvanizzare ulteriormente la sua impronta africana. Per ora, fatica a competere con Pechino. Ma sta ripartendo da un lungo letargo e sta scommettendo sui settori in cui primeggia: le armi e gli irregolari, dando battaglia su tutti i fronti. Un affare imbarazzante. Ma se il Cremlino uscirà con le ossa rotte dal pantano ucraino, come prevedibile economicamente e sul piano di immagine, le sue ambizioni africane saranno compromesse per i decenni a venire. Un effetto collaterale della sua ingordigia.

Mosca, "reclutati con 1500 dollari". Russi? Non proprio: chi chiama Putin a combattere in Ucraina. Guerra giá segnata? Maurizio Stefanini su Libero Quotidiano il 27 marzo 2022.

1500 dollari al mese per andare a combattere e forse morire in Ucraina. In Italia non sarebbe allettante neanche con questi chiari di luna, ma in un Libano dove a una crisi già gravissima si aggiunge ora anche il rischio di carestia innescato dalla fine dell'export provocato proprio dalla guerra può diventare una cosa allettante. 800 uomini di Hezbollah avrebbero dunque accettato l'invito del Gruppo Wagner di venire al fianco dei russi appunto per quella cifra. La notizia viene data da Novaya Gazeta, testata russa di opposizione, mentre è Nexta Tv a specificare l'ammontare dello stipendio. Il primo gruppo di 200 combattenti dovrebbe arrivare in Bielorussia martedì, per poi andare al fronte. Nato nel giugno 1982 il Partito di Dio, questo è il significato del suo nome, è un'organizzazione libanese di sciiti filo -iraniani creata durante la guerra civile, e che ha molti versanti. Innanzitutto è infatti un partito politico, presente al parlamento libanese con 14 deputati su 128: 13 trai 27 riservati agli sciiti, ma anche un musulmano sunnita. Nel meccanismo consociativo per cui tutti i principali partiti sono rappresentati nel governo ha anche due ministri: Lavori Pubblici e Cultura. Nel contempo è però anche una sorta di holding, stimata nel 2014 da Forbes della capacità di incassare mezzo miliardo di dollari di utili all'anno: da at tività legali, da finanziamenti iraniani, da contribuiti della diaspora libanese nel mondo, ma anche da una quantità di attività illegali, incluso il narcotraffico. Così riesce a gestire una specie di Stato sociale fa-da-te, con scuole, ospedali e perfino il pagamento di pensioni. Ma Hezbollah è anche un apparato militare. Non solo giudicato terrorista in molti Paesi: inventore degli attentati kamikaze, è accusato in particolare dei due attentati anti-ebraici che nel 1992 e 1994 a Buenos Aires fecero 115 morti e quasi 600 feriti, e giusto il 10 marzo il tribunale speciale del Libano ha condannato due suoi militanti per l'omicidio del 2005 dell'ex primo ministro libanese Rafic Hariri. Ha anche una milizia convenzionale capace di mettere in campo 65.000 combattenti. Nella guerra civile siriana ha schierato al fianco di Assad, degli iraniani e dei russi tra i 6.000 e gli 8.000 uomini, e ne sarebbero caduti 1.705. Proprio in Siria i comandi russi avrebbe appreso a apprezzare Hezbollah e Hezbollah avrebbe iniziato a considerare i russi come alleati.

IL BANCO DI PROVA

Sempre secondo la Novaya Gazeta, uffici di reclutamento di Hezbollah sarebbero attivi in Siria nelle città di Qusayr, Aleppo, Yabrud e Sayyida-Zeynab, oltre che in Libano in quel sobborgo meridionale di Beirut in cui Hezbollah ha una roccaforte. Stando a quanto rivelato dal canale Al-Hadas, della società Al-Arabiya, l'incontro tra Hezbollah e Wagner sarebbe avvenuto qualche giorno fa, e a provarlo ci sarebbero dei documenti Non solo Hezbollah, in effetti. Nei giorni scorsi si era parlato dell'arruolamento di almeno 16.000 siriani, e anche di libici e centroafricani. «È bene aiutare tutti coloro che dal medio oriente vogliono aiutare le nostre forze armate nel Donbass», una frase pronunciata da Putin l'11 marzo, che è sembrata confermare queste voci. Ma il Pentagono pochi giorni fa ha chiarito che per ora i siriani in Ucraina non sono ancora arrivati. Scelte del genere sono evidentemente da fare con molta attenzione, visto il ruolo di mediatore che Israele sta provando a esercitare. Però la Russia ha un bisogno disperato di combattenti, e nei giorni scorsi era stato denunciato anche l'arruolamento di immigrati centroasiatici in cambio della promessa di cittadinanza.

LE FORZE IN CAMPO

La controffensiva che gli ucraini stanno portando avanti attorno a Kiev e verso Kherson dimostrerebbe un ripiegamento di reparti russi, che secondo alcune stime avrebbero ormai perso la metà degli effettivi. La cifra Nato di 30-40.000 perdite russe tra morti, feriti, dispersi e prigionieri non è troppo controllabile, i 10.000 caduti ammessi sul sito web del giornale filo-Cremlino Komsomolskaya Pravda e poi subito scomparsi con accuse di attacchi hacker sono un mistero, ma i 7 generali russi morti sembrano confermare un terribile logorio. Come pure il fatto che dopo oltre un mese la guerra continua ancora, e il governo di Mosca sembri aver rinunciato all'obiettivo massimo di distruggere l'Ucraina, per concentrarsi sulla semplice occupazione del Donbass. Insomma, il logorio c'è, e il bisogno di buttare nuove forze al fronte è indubitabile. Il Pentagono ha detto che i Russi avrebbero tra l'85 e il 90% della forza iniziale ancora disponibile. Significa che tra il 10 e il 15% sarebbe stata distrutta. Sempre il Pentagono afferma che la Russia starebbe per far entrare in Ucraina altri 10 battaglioni. Sicuramente arriveranno anche altre truppe del ministero dell'Interno, la Rosgvardiya. Anche le repubbliche secessioniste del Donbass hanno incrementato la leva. Rimangono comunque molto pochi rispetto agli ucraini, in base a quel principio base della tattica secondo cui a parità di altri fattori gli attaccanti dovrebbero essere almeno in rapporto 3 a 1 rispetto ai difensori. Sembra invece che, tenendo conto della mobilitazione generale ucraina, i 150-200.000 russi si siano trovati invece ad attaccare in rapporto 1 a 3.

Il flop della legione straniera di Putin. Mauro Indelicato su Inside Over il 25 marzo 2022.

I volontari siriani non sono arrivati. La Russia, almeno per il momento, non disporrà dei sedicimila combattenti pronti ad arrivare dalla Siria. Da Washington hanno smentito le previsioni fatte soprattutto da parte ucraina nei giorni scorsi: “Non abbiamo prove di un piano di reclutamento dei siriani da portare in Ucraina – ha dichiarato nei giorni scorsi in audizione al Senato Usa il generale Kenneth Frank McKenzie, comandante delle truppe Usa in medio oriente – Questo non significa che non possa avvenire in futuro”.

In futuro per l’appunto. Il presente parla di tutt’altra situazione rispetto a quanto trapelato nel recente passato. Possibile una marcia indietro del Cremlino nei suoi piani oppure un semplice rinvio a un altro momento.

Perché si era parlato dei sedicimila siriani in Ucraina

Tutto era partito da una dichiarazione del presidente russo Vladimir Putin: “Se ci sono combattenti che dal medio oriente vogliono venire a combattere in Ucraina – ha dichiarato l’11 marzo scorso – allora è bene aiutarli a raggiungere il fronte”. Una dichiarazione resa durante un incontro con il ministro della Difesa, Sergej Shoigu. Peraltro quella è stata l’ultima uscita in pubblico proprio di Shoigu, da allora non più apparso in Tv o nelle riunioni con Putin. Subito dopo questo discorso, sui social sono apparse le immagini di combattenti siriani in uniforme sventolanti bandiere della Russia e inneggianti alla guerra che il Cremlino ha lanciato contro l’Ucraina.

Una prova di come qualcosa si stesse muovendo in tal senso. Da Kiev poi sono arrivate ulteriori conferme. L’intelligence militare ucraina sarebbe entrata in possesso di documenti in grado di attestare piani russi per spostare sedicimila siriani lungo i fronti del Donbass. Non “volontari” quindi, bensì combattenti già ben conosciuti da Mosca, addestrati dai russi durante le fasi più calde della guerra in Siria, dove il Cremlino ancora oggi è impegnato ad appoggiare il presidente Bashar Al Assad.

Sono passate due settimane da allora, ma al momento non ci sono prove che la “legione siriana” pro Putin sia effettivamente arrivata in Siria. Anzi, come detto, dal Pentagono hanno categoricamente smentito. Nessuna grande manovra, né grandi spostamenti in vista dal medio oriente all’Ucraina. E questo vale anche per la Libia. Sempre da Kiev sono emerse informazioni secondo cui le forze russe avrebbero stretto un’intesa con il generale Haftar, da tempo supportato da Mosca, per l’invio di combattenti libici nel Donbass.

Tuttavia non ci sono elementi che confermino un accordo del genere. Anche perché l’uomo forte della Cirenaica da tempo viene visto con diffidenza dal Cremlino, essendo stato in passato un “alleato scomodo” nella partita libica. Il trasferimento della guerra civile siriana e libica in Ucraina potrebbe essere stato però solo rimandato: “Al momento non c’è stato alcun afflusso di mercenari – ha spiegato ai media Usa il portavoce del segretario alla Difesa, John Kirby – Ma non escludiamo che Putin ci stia effettivamente pensando”.

Mosca pesca dal Caucaso

La smentita dell’arrivo di una legione siriana in Ucraina è una buona notizia. L’indiscrezione sui sedicimila siriani pro Mosca aveva già fatto attivare un’attività di reclutamento tra le fila dell’opposizione siriana, in cui molti gruppi sono intenzionati a prendersi una vendetta contro i russi. Ad Afrin membri ricollegabili a milizie del Free Syrian Army (costituito in gran parte da forze islamiste sostenute, in funziona anti curda, dalla Turchia) si dicevano pronti a trasferire uomini e mezzi per aiutare Kiev. Lo scenario di uno scontro mediorientale in terra ucraina era in grado di aggiungere ulteriori problemi a un conflitto già devastante per la popolazione civile. Tuttavia una “legione straniera” pro Cremlino esiste già. Anche perché Mosca deve rispondere a Kiev, supportata da diverse centinaia di volontari stranieri provenienti soprattutto dall’Europa e dagli Stati Uniti. Nei giorni scorsi ad esempio alcuni video hanno mostrato volontari americani in azione ad Irpin, la cittadina a nord della capitale ucraina dove l’esercito ucraino è riuscito ad attuare un importante contrattacco.

La Russia però al momento non ha pescato dal medio oriente, bensì da “casa sua”, ossia dal Caucaso. Gli stranieri presenti nei fronti ucraini sarebbero in gran parte ceceni, osseti e abcasi. Si tratta cioè di combattenti che hanno già nazionalità russa. La Cecenia è parte integrante della federazione, è stata ripresa da Mosca nelle guerre combattute tra gli anni ’90 e 2000 ed è attualmente retta da Ramzan Kadyrov. L’Ossezia del Sud e l’Abcasia sono due repubbliche separatiste de jure in territorio georgiano, ma de facto indipendenti e protette da Mosca. I loro cittadini hanno anche cittadinanza russa. Stranieri sì quindi, ma pur sempre russi. E, come tali, più facilmente inquadrabili tra le proprie fila. I ceceni sono arrivati ricevendo direttamente ordini da Kadyrov, osseti e abcasi invece sarebbero presenti più su base volontaria.

Mercenari e guerra: gli Stati che appaltano il lavoro sporco.  Francesco Battistini, Milena Gabanelli e Andrea Nicastro su Il Corriere della Sera il 4 Marzo 2022.

Dicono che sia il secondo lavoro più antico del mondo, di sicuro negli ultimi 20 anni ha avuto un boom di fatturato. È il mestiere del mercenario e la ditta per cui lavorano sono società di sicurezza. Si tratta di decine di migliaia di soldati capaci, a seconda dei casi, di addestrare, proteggere o combattere. Ma il vantaggio della privatizzazione è soprattutto nella nebbia. Pochi controlli pubblici e contratti senza appalto. I soldati a noleggio sono i co.co.co. della guerra, licenziabili a fine contratto e senza problemi di reinserimento a carico del bilancio pubblico. Gli Stati esternalizzano sempre di più il lavoro sporco nei conflitti: costa meno e non li espone politicamente, perché questi soldati non indossano divise. Nella definizione di David Isenberg del Peace Research Institute di Oslo i moderni soldati di ventura colmano il gap tra gli obbiettivi geopolitici e gli strumenti che il pubblico può accettare. Quando muore uno di loro è un incidente sul lavoro, quando muore un milite in divisa è un dramma nazionale. I casi di violenza e violazione delle regole internazionali non si contano.

Gli Stati esternalizzano sempre di più il lavoro sporco nei conflitti: costa meno e non li espone politicamente, perché questi soldati non indossano divise.

Russia: dove opera la Wagner

Putin ha a disposizione gli uomini della Wagner, società di sicurezza, perfetta estensione del suo rinnovato senso imperiale: Ucraina, Siria, Sahel sono i teatri più attivi. Per la Wagner lavorano russi ed ex sovietici delle repubbliche dell’Asia Centrale. Il Codice penale italiano e una legge del 1995 vietano di combattere all’estero per soldi e un messinese di 28 anni, Giuseppe Russo, che su Facebook si vanta di sparare «per Putin» è ricercato dal 2016. La Procura di Genova ha mandato a processo 21 mercenari italiani, per lo più neonazi filorussi, che rispondono agli ordini d’un ex iscritto a Forza Nuova, Andrea Palmeri, un hooligan di Lucca che tutti chiamano «il generalissimo». 

L’Africa paga con miniere d’oro e pozzi di petrolio

L’ondata di colpi di Stato di questi mesi in Africa Occidentale è stata salutata con soddisfazione da Evjeny Prigojne, fondatore della Wagner e soprannominato il «cuoco di Putin». I successi della Nigeria contro Boko Haram dipendono dall’aiuto dei «carri armati volanti» Mi-24 Hind della Wagner. Con quel biglietto da visita, in Sudan la Wagner ha aiutato i militari golpisti. In cambio Mosca potrebbe ottenere dal nuovo governo la sua prima base navale africana dalla caduta dell’Urss. In Centrafrica la Wagner ha ottenuto una miniera di diamanti. In Ruanda una d’oro. In Siria un pozzo di petrolio. A metà febbraio i soldati francesi lasciavano il Mali e i mercenari russi li rimpiazzavano come consiglieri militari dell’esercito nazionale. Il maggiore successo russo in Africa resta forse il salvataggio nel 2019 del generale Haftar dall’offensiva dell’esercito nazionale libico appoggiato dai turchi. Mille mercenari e 8 cacciabombardieri hanno impedito la riunificazione del Paese. In cambio ora controllano due pozzi petroliferi e Mosca punta alla concessione di un altro porto sul Mediterraneo dopo aver salvato quello siriano dallo Stato Islamico. La chiave dei successi del binomio Wagner-Putin è che non pesano sulle casse pubbliche di Mosca. La Wagner punta a farsi pagare dai Paesi che «aiuta», Mosca dà solo semaforo verde. Un’eccezione è l’Ucraina. Lì Mosca paga di tasca sua. 

Crimea e Donbass

Il 26 febbraio 2014 in Crimea, paramilitari con anonime divise – «omini verdi» li chiameranno – occupano i palazzi del potere ucraino a Sinferopoli e a Sebastopoli, imponendo un governo filorusso e aprendo la via all’annessione della penisola da parte di Putin. Sono sempre gli uomini della Wagner. Pochi mesi dopo, non appena scoppia la guerra nel Donbass, l’Ucraina orientale diventa terra di conquista per mercenari d’ogni parte. Ceceni, cechi, moldavi, kazaki. Molti vengono dai Balcani: i serbi ad aiutare i «fratelli russi», i croati in sostegno degli ucraini. I soldati di ventura dell’organizzazione serba «Jovan Šević» si vantano sui giornali di Mosca d’avere distrutto molti tank ucraini. Il governo di Kiev cattura un volontario di Belgrado, Dejan Berić, cecchino della società «Vento del Nord», che combatte coi separatisti di Donetsk. Lo stesso dall’altra parte: nel 2015 si scopre che 25 croati reclutati dall’organizzazione «Misanthropic Division» di Zagabria sono inquadrati nel Battaglione Azov, una formazione paramilitare ucraina, e s’addestrano agli ordini d’un cecchino svedese di nome Mikael Skilt, in arte «Viking». Uno di questi mercenari, Denis Šeler, è noto alle questure di mezza Europa come capo degli hooligan della Dinamo Zagabria, i Bad Blue Boys. Di recente un’operazione internazionale ha fatto arrestare e processare nella Repubblica Ceca un reclutatore bielorusso, Aleksey Fadeev, in affari con un rappresentante dell’autoproclamata repubblica di Donetsk che aveva in agenda 26 mercenari di vari Paesi, pagati 5mila dollari al mese. Dall’altra parte anche i filorussi denunciano la presenza dei contractor della compagnia privata Lancaster-6, base a Dubai, e dell’ex Blackwater americana. Gli accordi di pace di Minsk, firmati fra il 2014 e il 2015, al punto 10 esigevano il «ritiro dei mercenari stranieri». Non è mai avvenuto. 

Usa: Le società di sicurezza fedelissime

Anche gli Stati Uniti hanno le loro «società di sicurezza»: tre o quattro (delle decine attive) fedelissime e super pagate. Quelle dai fatturati più consistenti sono registrate in Gran Bretagna, Australia, Usa e Sud Africa, ma il cliente geopolitico resta Washington. In Nord Carolina c’è un poligono di addestramento per soldati di ventura da 28 chilometri quadrati con 20 aerei, blindati, trasposta truppe, lanciarazzi, artiglieria. È la base della Academi, ex Blackwater. I bilanci arrivano a essere miliardari, ma neppure il Congresso Usa rilascia le cifre di quanto gli costano. Per le società occidentali lavorano soprattutto americani, britannici, australiani, sudafricani, cileni, colombiani, nepalesi, filippini, europei. Utilizzati in Afghanistan e soprattutto in Iraq, dove durante l’occupazione tre compagnie di mercenari sono arrivate ad avere più di 250 mila dipendenti non iracheni nel Paese e offrivano servizi ai soldati regolari: pulizia latrine e mense per l’85% dei casi, ma scorte ai convogli, guardia alle infrastrutture petrolifere, contrasto al terrorismo, interrogatori per il restante 15%. Sembra poco, ma non lo è visto che, nei momenti più caldi in Iraq, morivano in combattimento più mercenari che soldati regolari. Nel 2003 in Iraq c’era 1 mercenario ogni 10 soldati; a fine missione nel 2017, invece, il rapporto era invertito: 3 a 1. Gli Stati Uniti hanno «esternalizzato» molti compiti per non aumentare gli arruolamenti. Ogni 5 dollari spesi in Iraq per l’occupazione uno andava alle compagnie di sicurezza, ogni 4 militari Usa uccisi uno era di ventura. 

Dalla Turchia all’Iran: per fede e per denaro

Turchia, Sudan, Afghanistan, Iran e persino la galassia jihadista hanno (o hanno avuto) «società di sicurezza» create da loro veterani che mantengono legami privilegiati con i rispettivi governi. Ci sono afghani, siriani, libanesi e iracheni al servizio dell’Iran: oltre a combattere per soldi hanno il collante della fede sciita. Sono stati fondamentali per battere lo Stato Islamico. Sudanesi offrono i loro mitragliatori sin dai tempi di Gheddafi in Libia e altri Paesi africani, ma senza un disegno geopolitico cambiano spesso datore di lavoro. Per Isis e Al Qaeda la società Malhama Tactical ha curato l’addestramento dei volontari. È composta da uzbeki, ceceni e daghestani rigorosamente sunniti, ma comunque indisponibili senza finanziamenti, al massimo possono aspettare l’esito di campagne online di crowdfunding, ma vogliono essere pagati. La Turchia offre i suoi droni bombardieri con istruttori privati annessi. Ankara ha arruolato nella dissoluzione dello Stato Islamico siriani ed ex volontari del jihad e li sta impiegando in Libia. Secondo l’Armenia sono stati gli artefici nella sua sconfitta nella guerra con l’Azerbaijan per il Nogorno Karabach. Droni turchi (e relativi piloti) combattono in questi giorni in Ucraina contro Mosca. 

Quanto sono pagati

Ci sono soldati in cerca di guadagno in Libia, Egitto, Algeria, Repubblica Democratica del Congo, Sudan, Repubblica Centrafricana, Nigeria, Burkina Faso, Mali, Guinea Bissau, Mozambico, Ruanda, Eritrea, Ciad, Zimbabwe, Israele, Yemen, Kurdistan iracheno, Venezuela, Ecuador, Panama, El Salvador, Cile, Indonesia. I loro stipendi variano di molto. I più alti passano dalle impermeabili banche delle Isole Vergini. Si dice che ex Navy Seal prendano 10 mila dollari al giorno dagli Emirati per i loro interventi in Yemen. In Libia sembra che i 1.200 russi siano pagati 3600 euro al mese, ma un pilota da caccia ne prenderebbe 18 mila; secondo diverse interviste, i turchi pagano 2 mila dollari i loro 7 mila mercenari arruolati in Siria e mandati a combattere in Libia; per gli operatori di droni arrivano a 5 mila contro i 10 mila mensili che ricevono i piloti privati dei droni di sorveglianza della Cia. Somali e ciadiani si accontentano di 1,5 mila; i colombiani della Academi viaggiano sui duemila dollari mensili, la metà i gurka nepalesi che difendevano l’Onu in Iraq; i più economici restano gli afghani hazara che hanno combattuto in Siria contro la Stato Islamico ricevendo appena 600 dollari al mese dall’Iran. La Convenzione Internazionale Onu del 1989 vieta «il reclutamento, il finanziamento, l’addestramento, l’uso di mercenari», ma solo la Svizzera ha deciso nel 2015 di non accettare più società di sicurezza nel suo registro delle imprese.

Ucraina, le "bestie" di Putin: "Stuprano e giocano a calcio con le teste dei bimbi", cosa succede a un'ora e mezza da Roma. Libero Quotidiano il 12 marzo 2022.

Andrea Margelletti è stato ospite di Tiziana Panella nello studio di Tagadà. Il consigliere del ministero della Difesa ha parlato sempre in maniera chiara e anche piuttosto cruda, mettendo tutti davanti alla durissima realtà della guerra in Ucraina e delle ultime mosse di Vladimir Putin. Quest’ultimo ha ingaggiato circa 16mila mercenari siriani pronti a combattere per la Russia.

“Vengono pagati col diritto al saccheggio e allo stupro - ha dichiarato Margelletti - le regole di ingaggio ce le hanno i militari, queste persone invece vanno lì, si ‘divertono’ con chi trovano e rubano quello che trovano per portarselo a casa. Abbiamo il dovere di sapere e di dire che cosa faranno queste persone se entrano nelle città. Lo fanno a un’ora e mezzo di volo da Roma, questo deve essere chiaro, ci sono persone vere che muoiono, partite di calcio fatte con la testa dei bambini, questo abbiamo visto da queste persone”.

Inoltre Margelletti ha sottolineato che i soldati siriani “sono abituati a combattere a 40 gradi, in Ucraina invece sono sotto zero, si tratta di un ambiente completamente diverso. Ma d’altronde i russi nei confronti dei combattenti siriani hanno un disprezzo: sono carne da cannone, soprattutto se si dovessero utilizzare armi chimiche, che colpirebbero i civili ma anche truppe di prima linea, che in quel momento potrebbero non essere russe ma siriane”.

Volontari o mercenari? Ecco chi sono i 16 mila miliziani arruolati dai russi. Davide Frattini su Il Corriere della Sera l'11 marzo 2022. 

I reclutatori di Mosca si muovono nei villaggi della Siria: cercano combattenti esperti. «Così Assad vi perdonerà». Per Zelensky sono «killer pagati per distruggere Kiev».

I reclutatori passano nei villaggi e cercano di convincere chi «abbia esperienza di combattimenti» a lasciare il nome nella lista. Non è difficile trovarne in un Paese dove «esperienza di combattimenti» significa una guerra civile che ancora va avanti da undici anni. C’è chi accetta per fame e perché la paga non è male, a qualcun altro viene promesso che così si guadagnerà l’amnistia, il dittatore Bashar Assad gli perdonerà di esser stato dall’altra parte, di aver lottato contro il suo potere.

Il fronte in Ucraina invece della miseria o della prigione. La rivista Al Monitor ha raccolto per prima le testimonianze di organizzazioni indipendenti siriane: raccontano che già da una settimana gli ufficiali del regime stanno mettendo insieme gruppi di uomini, gli elenchi vengono presentati ai comandanti russi dispiegati dal 2015 per sostenere l’alleato nel Levante, chi viene accettato dovrebbe sottoporsi a un breve addestramento. Ieri Vladimir Putin – in una riunione del consiglio di sicurezza trasmessa dalla televisione di Stato – li ha chiamati «volontari», ha sottolineato che «si arruolano per loro scelta». Sergei Shoigu, il ministro della Difesa, ha spiegato che ci sono 16 mila miliziani pronti a trasferirsi dal Medio Oriente in Donbass. E da lì in marcia verso Kiev.

Ucraina-Russia: le ultime notizie sulla guerra

In realtà si tratta soprattutto di mercenari, spesso forzati. I russi hanno già utilizzato in Libia questi fanti induriti dalle primavere arabe diventate conflitti sanguinosi. In quel caso a reclutare i siriani – combattenti sciiti o alauiti vicini al regime – erano i contractors del gruppo Wagner, con una supervisione a distanza dello Stato Maggiore russo. Per sostenere il leader libico Khalifa Haftar, in opposizione al governo di Tripoli, Putin aveva dato il via libera all’invio di 1200 paramilitari di quello che gli analisti considerano il suo esercito privato. Sono soprattutto russi, ma anche ex soldati di eserciti stranieri: combattono sotto il nome del musicista che ispirava Hitler e sotto gli ordini di Dimitrij Utkin, colonnello in congedo che si ispira ai nazisti.

I "macellai" di Aleppo per conquistare le città. Gian Micalessin il 12 Marzo 2022 su Il Giornale.

Violenti e pronti alla guerriglia. Così Mosca riduce le perdite, ma rischia la faccia. Nella guerra civile spagnola lo scontro tra le Brigate Internazionali rappresentò il prologo della Seconda guerra mondiale. In Ucraina lo scontro tra mercenari e volontari pronti a battersi da entrambe le parti promette un'insolita e tragica replica della Storia. Secondo il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba almeno 20mila volontari e mercenari, provenienti da 52 paesi, sono già pronti a imbracciare le armi al fianco degli ucraini. E tra questi moltissimi occidentali grazie anche al via libera concesso ai «volontari» da due donne ai vertici della politica europea: la segretaria agli esteri di Sua Maestà Liz Truss e la premier danese Mette Frederiksen. 

Ma il Cremlino è pronto a rispondere alla pari. O peggio. Proprio ieri il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha annunciato di avere a disposizione 16mila volontari, reclutati in Siria e in altri paesi mediorientali, pronti a combattere in Ucraina. Secondo Peskov la decisione di arruolare i volontari mediorientali è arrivata dopo il via libera pronunciato dal presidente Vladimir Putin durante l'ultima riunione del Consiglio Presidenziale. La notizia ha una doppia valenza. Dal punto di vista politico il Cremlino, come ha già fatto reagendo punto per punto alle sanzioni e all'invio di armi occidentali, vuole dimostrare di saper rispondere ad ogni mossa avversaria. Così se Europa e Stati Uniti inviano i loro volontari, la Russia è pronta a dispiegare i propri. Ma poi c'è il lato militare. Su questo versante l'impiego di mercenari tempratisi nel conflitto siriano o in altre guerre mediorientali ha una doppia valenza. Da una parte consente di schierare delle truppe da sfondamento addestrate ai sanguinosi combattimenti urbani indispensabili per piegare la resistenza di città come Kiev, Karkhiv o Mariupol. Dall'altra consente di limitare il già elevato numero di caduti russi evitando pericolose perdite di consenso sul fronte interno. 

Ma la scelta ha anche evidenti controindicazioni. Spedire nella gelida steppa ucraina combattenti abituati a misurarsi con la polvere e il deserto degli scenari mediorientali può comprometterne seriamente l'efficienza. Per non parlare delle conseguenze dal punto dell'immagine internazionale. Schierare manipoli di feroci combattenti abituati a non andare troppo per il sottile nè con i soldati, nè con i civili rischia di compromettere ulteriormente l'immagine di una Russia già costretta a misurarsi con un'opinione pubblica internazionale pronta a condannarla e ad accusarla di crimini contro l'umanità. Una controindicazione già emersa quando il Cremlino ha avvallato l'arrivo di migliaia di combattenti ceceni messi a disposizione dal discusso leader Ramzan Kadyrov. 

Ma da dove arrivano i 16 mila volontari mediorientali citati da Peskov? Il principale e scontato campo di reclutamento è ovviamente la Siria. Qui la Russia dispone del cosiddetto «Quinto Corpo d'Armata» un'unità di circa14mila uomini fondata nel novembre 2016 abituata a coordinarsi esclusivamente con i comandi russi evitando le interferenze dell'Iran, secondo ingombrante alleato di Bashar Assad nella guerra civile siriana.

Impiegato con successo negli assedi di Homs e Aleppo e su tutti gli altri fronti siriani il Quinto Corpo opera agli ordini del quartier generale russo della base di Al Khmeimim e non risponde alle direttive dei comandi siriani. Considerati dei privilegiati in virtù di una paga di 110 dollari mensili, tre volte quella dei soldati governativi, i militari siriani del Quinto Corpo ricevono un miglior addestramento, contano su equipaggiamenti garantiti dal Cremlino, hanno a disposizione i carri armati e i blindati di Mosca e possono contare sull'appoggio tattico dell'aviazione di Mosca. 

Grazie a questa esperienza e alla capacità di coordinarsi con i militari russi alcune centinaia di uomini del Quinto Corpo sono già stati impiegati in Libia dalle forze del Wagner Group, l'unità di contractor fedele agli interessi di Mosca presente in molti paesi africani. E proprio dagli effettivi del Wagner Group potrebbero arrivare combattenti reclutati in Iraq, Egitto e altri paesi mediorientali.

Sebastiano Messina per la Repubblica il 13 marzo 2022.

Putin ha deciso di avviare l'importazione di mercenari dalla Siria. Costano poco e sono spietati. Poi però li esporterà subito in Ucraina, con il compito di fare il lavoro sporco a Kiev. Se mai ce ne fosse stato bisogno, è la conferma che oggi lui è il numero uno, nell'import-export di sicari.

Marco Ventura per il Messaggero il 13 marzo 2022.  

Ingaggio di mercen