Denuncio al mondo ed ai posteri con
i miei libri
tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le
mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non
essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o
di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio
diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli
editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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NOTIZIE VERE DAL POPOLO -
NOTIZIE SENZA CENSURA
L’ITALIA ALLO SPECCHIO
IL DNA DEGLI ITALIANI
L’APOTEOSI
DI UN POPOLO DIFETTATO
Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2022, consequenziale a quello del 2021. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
L’ACCOGLIENZA
TREDICESIMA PARTE
DI ANTONIO GIANGRANDE
IL GOVERNO
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.
LA SOLITA ITALIOPOLI.
SOLITA LADRONIA.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.
SOLITA APPALTOPOLI.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.
SOLITO SPRECOPOLI.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’AMMINISTRAZIONE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.
IL COGLIONAVIRUS.
SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.
L’ACCOGLIENZA
SOLITA ITALIA RAZZISTA.
SOLITI PROFUGHI E FOIBE.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.
GLI STATISTI
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.
I PARTITI
SOLITI 5 STELLE… CADENTI.
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.
LA GIUSTIZIA
SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.
LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.
LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.
SOLITO DELITTO DI PERUGIA.
SOLITA ABUSOPOLI.
SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.
SOLITA GIUSTIZIOPOLI.
SOLITA MANETTOPOLI.
SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.
I SOLITI MISTERI ITALIANI.
BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.
LA MAFIOSITA’
SOLITA MAFIOPOLI.
SOLITE MAFIE IN ITALIA.
SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.
SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.
SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.
LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.
SOLITA CASTOPOLI.
LA SOLITA MASSONERIOPOLI.
CONTRO TUTTE LE MAFIE.
LA CULTURA ED I MEDIA
LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.
SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.
SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.
SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.
SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SOLITO SPETTACOLOPOLI.
SOLITO SANREMO.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.
LA SOCIETA’
AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.
I MORTI FAMOSI.
ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.
MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?
L’AMBIENTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI.
SOLITO ANIMALOPOLI.
IL SOLITO TERREMOTO E…
IL SOLITO AMBIENTOPOLI.
IL TERRITORIO
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.
SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.
SOLITA SIENA.
SOLITA SARDEGNA.
SOLITE MARCHE.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO.
SOLITO ABRUZZO.
SOLITO MOLISE.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.
SOLITA BARI.
SOLITA FOGGIA.
SOLITA TARANTO.
SOLITA BRINDISI.
SOLITA LECCE.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.
LE RELIGIONI
SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.
FEMMINE E LGBTI
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.
L’ACCOGLIENZA
INDICE PRIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
GLI EUROPEI
I Muri.
Quei razzisti come gli italiani.
Quei razzisti come i tedeschi.
Quei razzisti come gli austriaci.
Quei razzisti come i danesi.
Quei razzisti come i norvegesi.
Quei razzisti come gli svedesi.
Quei razzisti come i finlandesi.
Quei razzisti come i belgi.
Quei razzisti come i francesi.
Quei razzisti come gli spagnoli.
Quei razzisti come gli olandesi.
Quei razzisti come gli inglesi.
Quei razzisti come i cechi.
Quei razzisti come gli ungheresi.
Quei razzisti come i rumeni.
Quei razzisti come i greci.
Quei razzisti come i serbi.
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
GLI AFRO-ASIATICI
Quei razzisti come i marocchini.
Quei razzisti come i libici.
Quei razzisti come i congolesi.
Quei razzisti come gli ugandesi.
Quei razzisti come i nigeriani.
Quei razzisti come i ruandesi.
Quei razzisti come gli egiziani.
Quei razzisti come gli israeliani.
Quei razzisti come i libanesi.
Quei razzisti come i sudafricani.
Quei razzisti come i turchi.
Quei razzisti come gli arabi sauditi.
Quei razzisti come i qatarioti.
Quei razzisti come gli iraniani.
Quei razzisti come gli iracheni.
Quei razzisti come gli afghani.
Quei razzisti come gli indiani.
Quei razzisti come i singalesi.
Quei razzisti come i birmani.
Quei razzisti come i kazaki.
Quei razzisti come i russi.
Quei razzisti come i cinesi.
Quei razzisti come i nord coreani.
Quei razzisti come i sud coreani.
Quei razzisti come i filippini.
Quei razzisti come i giapponesi.
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
GLI AMERICANI
Quei razzisti come gli statunitensi.
Kennedy: Le Morti Democratiche.
Quei razzisti come i canadesi.
Quei razzisti come i messicani.
Quei razzisti come i peruviani.
Quei razzisti come gli haitiani.
Quei razzisti come i cubani.
Quei razzisti come i cileni.
Quei razzisti come i venezuelani.
Quei razzisti come i colombiani.
Quei razzisti come i brasiliani.
Quei razzisti come gli argentini.
Quei razzisti come gli australiani.
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Fredda.
La Variante Russo-Cinese-Statunitense.
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
LA BATTAGLIA DEGLI IMPERI.
I LADRI DI NAZIONI.
CRIMINI CONTRO L’UMANITA’.
I SIMBOLI.
LE PROFEZIE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. PRIMO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. SECONDO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. TERZO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. QUARTO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. QUINTO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. SESTO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. SETTIMO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. OTTAVO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. NONO MESE.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’ATTACCO. DECIMO MESE.
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
LE MOTIVAZIONI.
NAZISTA…A CHI?
IL DONBASS DELI ALTRI.
L’OCCIDENTE MOLLICCIO E DEPRAVATO.
TUTTE LE COLPE DI…
LE TRATTATIVE.
ALTRO CHE FRATELLI. I SOLITI COGLIONI RAZZISTI.
LA RUSSIFICAZIONE.
INDICE SESTA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
ESERCITI, MERCENARI E VOLONTARI.
IL FREDDO ED IL PANTANO.
INDICE SETTIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
LE VITTIME.
I PATRIOTI.
LE DONNE.
LE FEMMINISTE.
GLI OMOSESSUALI ED I TRANS.
LE SPIE.
INDICE OTTAVA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
LA GUERRA DELLE MATERIE PRIME.
LA GUERRA DELLE ARMI CHIMICHE E BIOLOGICHE.
LA GUERRA ENERGETICA.
LA GUERRA DEL LUSSO.
LA GUERRA FINANZIARIA.
LA GUERRA CIBERNETICA.
LE ARMI.
INDICE NONA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
LA DETERRENZA NUCLEARE.
DICHIARAZIONI DI STATO.
LE REAZIONI.
MINACCE ALL’ITALIA.
INDICE DECIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
IL COSTO.
L’ECONOMIA DI GUERRA. LA ZAPPA SUI PIEDI.
PSICOSI E SPECULAZIONI.
I CORRIDOI UMANITARI.
I PROFUGHI.
INDICE UNDICESIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
I PACIFISTI.
I GUERRAFONDAI.
RESA O CARNEFICINA?
LO SPORT.
LA MODA.
L’ARTE.
INDICE DODICESIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
PATRIA BIELORUSSIA.
PATRIA GEORGIA.
PATRIA UCRAINA.
VOLODYMYR ZELENSKY.
INDICE TREDICESIMA PARTE
La Guerra Calda.
L’ODIO.
I FIGLI DI PUTIN.
INDICE QUATTORDICESIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
L’INFORMAZIONE.
TALK SHOW: LA DISTRAZIONE DI MASSA.
INDICE QUINDICESIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
LA PROPAGANDA.
LA CENSURA.
LE FAKE NEWS.
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
CRISTIANI CONTRO CRISTIANI.
LA RUSSOFOBIA.
LA PATRIA RUSSIA.
IL NAZIONALISMO.
GLI OLIGARCHI.
LE GUERRE RUSSE.
INDICE DICIASSETTESIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
CHI E’ PUTIN.
INDICE DICIOTTESIMA PARTE
SOLITI PROFUGHI E FOIBE. (Ho scritto un saggio dedicato)
Quelli che…le Foibe.
Lo sterminio comunista degli Ucraini.
L’Olocausto.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Gli Affari dei Buonisti.
Quelli che…Porti Aperti.
Quelli che…Porti Chiusi.
Il Caso dei Marò.
Che succede in Africa?
Che succede in Libia?
Che succede in Tunisia?
Cosa succede in Siria?
L’ACCOGLIENZA
TREDICESIMA PARTE
SOLITA ITALIA RAZZISTA. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Guerra Calda.
Il presidente della Duma russa, Viacheslav Volodin, ha chiesto di dichiarare l’Ucraina «stato terrorista» citando la denuncia dei servizi di intelligence di Mosca, Fsb, in merito al presunto tentativo di assassinio di un giornalista russo filo-Cremlino. I servizi di sicurezza hanno arrestato, secondo quanto riportato dalla Tass, alcuni esponenti, cittadini russi, di un gruppo neonazista denominato Nazionalsocialismo/Potere Bianco, che si apprestavano secondo l’accusa ad attentare alla vita del popolare giornalista della televisione statale Vladimir Solovyev, rispondendo ad un ordine impartito da Kiev.
«A questo porta il sostegno all’ideologia neonazista», ha affermato Volodin, chiedendo che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky sia chiamato «a renderne conto». «I colpevoli dovranno essere puniti», ha aggiunto, concludendo che quanto accaduto conferma «l’adeguatezza dell’avvio dell’operazione militare russa in Ucraina».
DiMartedì, Fulvio Grimaldi scatena l'ira di Giovanni Floris: “Processo di odio, russi come gli ebrei”. Il Tempo il 27 aprile 2022.
Nella puntata del 26 aprile di diMartedì, il talk show serale di La7 condotto da Giovanni Floris, è ospite il giornalista e reporter di guerra Fulvio Grimaldi, che con le sue parole fa scattare l’ira del padrone di casa: “Le decisioni sono prese molto più in alto rispetto a Mario Draghi, che non conta molto. In Ucraina, come confermato mesi fa da tutta la nostra stampa, dall’Osce e dall’Onu, esiste un regime basato su forze politiche e armate naziste, che ne fanno di tutti i colori, che tutto ad un tratto si sono volatilizzate e non esistono più, anzi sono diventate simpatiche. È un processo di odio nei confronti dei russi e del diverso che assomiglia moltissimo all’odio che si nutriva nei confronti degli ebrei alcuni decenni fa, è la stessa rimozione, la stessa categorizzazione di sotto uomini, i putiniani che sono inaccettabili, questo è un dato di fatto sorprendente”.
“Non applaudite perché non trovo una parola da applaudire di quello che ha detto, con tutta la simpatia per Fulvio Grimaldi” la replica secca e piena di scintille di Floris, che interrompe il pubblico in studio che aveva manifestato il proprio apprezzamento per il discorso del giornalista. Ma Grimaldi non fa nessuna retromarcia: “Ci sono i nazisti o no? C’è l’Azov o no?”. “I nazisti ci sono pure in Italia, ma non è che ci invade la Francia”, risponde ancora Floris, che però non riesce a convincere il suo ospite: “Questi nazisti hanno massacrato per otto anni un popolo che non voleva il colpo di Stato”.
L’Ucraina protestò contro la Bulgaria. Scontro sui militari zaristi accolti da Sofia. Annabella De Robertis su La Gazzetta del Mezzogiorno il 27 Aprile 2022.
Il 27 aprile 1922: sul «Corriere delle Puglie» si legge che il commissario per gli affari esteri della Repubblica Ucraina ha indirizzato al Governo bulgaro una nota di protesta in relazione al rifugio offerto da quel Paese agli ex soldati di Wrangel.
Si tratta delle truppe guidate da Petr Nikolaevič Wrangel, soprannominato da Trotski «il barone nero», uno dei generali della guardia imperiale russa che si opposero fermamente alla Rivoluzione bolscevica. Stanziatosi in Crimea, Wrangel aveva assunto il comando supremo dell’armata controrivoluzionaria, la cosiddetta Armata Bianca, e aveva attaccato i corpi bolscevichi del sud. Dopo aver passato il Dnepr, il Barone aveva creato la sua base a Ekaterinoslav, l’attuale Dnipro, ma, costretto a ritirarsi, dalla Crimea organizzò un’imponente evacuazione dei suoi soldati. Parte di queste truppe, dunque, è arrivata nel 1922 in Bulgaria e gli ucraini, con la loro nota di protesta, vogliono accertarsi che non costituisca più una minaccia per il loro Paese.
Il Governo di Sofia ha risposto di aver ammesso quei soldati solo in qualità di profughi e di averli accuratamente disarmati al momento dello sbarco: è nelle sue intenzioni mantenere l’ordine e la sicurezza e soprattutto evitare di intromettersi negli affari altrui. I bulgari hanno, infine, assicurato di essere fermamente decisi a non tollerare nel territorio nessun tipo di organizzazione ostile alla Repubblica Ucraina.
Il territorio ucraino, insanguinato da continui contrasti con la vicina Russia, da cui continuamente cerca l’indipendenza, si costituirà dopo pochi mesi come Repubblica Socialista Sovietica Ucraina ed entrerà a far parte, nel dicembre 1922, dell’Urss guidata da Lenin.
I maestri elementari sono stati esclusi dai benefici apportati dalla modificazione delle tabelle degli organici di tutti gli impiegati. «Quando per i maestri non ci saranno che ossi e briciole? E perché tale diversità di trattamento mentre si parla di equiparazione e uguaglianza?», sono le domande che si pone il cronista del «Corriere». Il fronte degli insegnanti, tuttavia, non è unito nella lotta: «e allora si finisce che nessun partito si preoccupa di loro, perché sanno che, in altre faccende affaccendati, i maestri non sono capaci di difendere se stessi e la scuola». La Sezione magistrale “G. Bovio” di Altamura ha, però, proposto di unire in un’unica falange tutte le varie tendenze per le giuste rivendicazioni della classe degli insegnanti, dal momento che il Governo, cent’anni fa come oggi, non pensa seriamente alla scuola.
Vladimir Putin ci ricorda che in nome dei confini si può ancora fare la guerra. Gogol scriveva in russo. Celan era un poeta ebreo di lingua tedesca. Roth un romanziere sempre di lingua tedesca ma austroungarico. Secondo le mappe, però, erano tutti ucraini. Il presidente russo ha riportato d’attualità il tema delle frontiere e l’illusione della loro estinzione. Wlodek Goldkorn su L'Espresso il 26 aprile 2022
Cominciamo con un elenco di nomi: Mikhail Bulgakov, Nikolaj Gogol, Anna Achmatova, Paul Celan, Joseph Roth. Aggiungiamo qualcuno meno conosciuto: Sholem Alechem, Vladimir Zabotinski e, ancora, Stanislaw Lem. Se volessimo seguire le indicazioni delle mappe geografiche sarebbero tutti quanti scrittori o poeti ucraini, perché in Ucraina sono nati. Però: i primi tre scrivevano in russo e fanno parte della storia di letteratura russa.
L'annuncio del sindaco Vitaly Klitschko. Kiev cancella il passato russo e sovietico, decapitata la statua dell’amicizia: verso lo smantellamento 60 monumenti. Roberta Davi su Il Riformista il 26 Aprile 2022.
Due operai, uno ucraino e uno russo, che sorreggono la stella dell’Ordine sovietico dell’amicizia dei popoli. Una struttura di ‘8 metri di metallo’ che la città di Kiev ha deciso di demolire.
L’immagine dell’operaio russo ‘decapitato’ è stata pubblicata oggi 26 aprile, 62esimo giorno di guerra, sui social del sindaco della capitale, l’ex pugile Vitaly Klitschko.
Via monumenti e targhe
La statua di bronzo posta all’Arco dell’amicizia dei popoli era stata eretta dai sovietici nel 1982 nel centro della capitale ucraina, come simbolo di fratellanza fra russi e ucraini. “Questo posto non rappresenta più l’amicizia tra la Russia e l’Ucraina, la Russia ci sta attaccando. Qui sorgerà il monumento dedicato alla libertà dell’Ucraina“, ha dichiarato Klitschko.
Che ha poi aggiunto: “Lo smantellamento è iniziato oggi e prevediamo di portarlo a termine entro stanotte“, sottolineando come Mosca abbia dimostrato “un barbaro desiderio di distruggere il nostro Stato e i pacifici ucraini“.
Il sindaco di Kiev ha inoltre comunicato che saranno smantellati circa 60 monumenti legati alla Russia e all’Unione Sovietica. Verranno inoltre rimosse le targhe commemorative.
Rinominate anche le strade
Le autorità di Kiev si stanno preparando anche a rinominare le strade i cui nomi sono associati alla Russia e alla Bielorussia. Lo ha riferito il segretario del Consiglio comunale della capitale, Volodymyr Bondarenko, citato dal quotidiano Ukrayinska Pravda. Una decisione ribadita anche dal sindaco Vitaly Klitschko sul suo post.
“Sono stati identificati 279 elementi legati al Paese aggressore e ai suoi alleati che devono essere rinominati. Ma potrebbero essercene di più. Attualmente siamo in attesa di suggerimenti dai residenti“, ha spiegato Bondarenko, evidenziando che i progetti per la modifica dei toponimi dovrebbero essere pronti entro il 9 maggio.
Il segretario ha dichiarato che un certo numero di toponimi dovrebbe essere rinominato in modo ‘inequivocabile’ (ad esempio ‘Moskovskaya Street’ o ‘Amurskaya Square’). Mentre su altri nomi, come ‘Belorusskaya Street’, il dibattito è ancora in corso: il Paese ospita infatti molti bielorussi fuggiti dal regime di Lukashenko, che stanno combattendo come volontari accanto agli ucraini. “Nessuno rimuoverà i libri dei classici russi dalle biblioteche, nessuno vieterà i concerti di Rachmaninoff, ma la questione delle strade e dei monumenti deve essere affrontata“, ha concluso. Roberta Davi
La damnatio memoriae ucraina che cancella ogni traccia russa. Matteo Carnieletto il 26 aprile 2022 su Il Giornale.
Sparire dalla Storia. Non essere mai esistiti. Essere il nulla. Era questo, nella Roma repubblicana, la damnatio memoriae. I nemici dello Stato e i traditori venivano condannati all'oblìo. Lo scalpello, su ordine del senato, cancellava il nome del malcapitato dai monumenti, dalle monete e da tutto ciò che potesse in qualche modo ricordarlo. Ogni colpo sferrato contro il marmo era odio misto a disprezzo. Quell'uomo - o quella donna, come nel caso della moglie di Costantino, Fausta - scompariva. Non era più. La motivazione, dietro alla damnatio memoriae, era politica: ci si voleva sbarazzare di un passato imbarazzante e ingombrante. Si voleva dimenticare la Storia per poi riscriverla. A volte anche per stravolgerla (si pensi a Nerone, "condannato" sia dalla storiografia senatoria sia da quella cristiana). La pratica della damnatio memoriae piacque a molti, tanto che, qualche secolo dopo, venne addirittura riesumato un Papa (Formoso), solamente per esser condannato e, infine, gettato nel Tevere.
Il "Tondo severiano" raffigura Settimio Severo e la sua famiglia. In basso a sinistra si può notare il volto, cancellato, di Geta. Caracalla, suo fratello, lo fece infatti prima ammazzare dai centurioni e poi condannare alla damnatio memoriae
Eliminare gli errori (veri o presunti) della Storia è una tentazione di tutte le età, compresa la nostra. Spesso, il nostro passato, se giudicato con gli occhi del presente, ci imbarazza. Che farne, allora? Negli Stati Uniti, in un revival sanculotto, si è deciso di cancellarlo, facendosi "giustizia" da sé. Le statue dei padri della patria sono state rimosse o, peggio ancora, decapitate. Alcune fasce della popolazione (e della politica) non riescono a tollerare che quegli uomini fossero figli del loro tempo, del quale incarnavano pregi e difetti. Eliminare, in questo caso, è più facile di comprendere.
Via Crucis al Colosseo, il messaggio del Papa: Irina e Albina insieme con le mani sulla croce. Viola Giannoli su La Repubblica il 15 Aprile 2022.
Cambio di programma alla cerimonia del Venerdì santo: ci sono le due infermiere ucraina e russa. Ma salta la meditazione: “Il silenzio è più eloquente delle parole”. Appello di Bergoglio al disarmo.
Quattro mani poggiate sulla croce, quelle di Irina e di Albina, ucraina la prima, russa la seconda, a sorreggere insieme la croce della Via Crucis di Papa Francesco, tornata al Colosseo davanti a 10 mila fedeli, dopo due anni di cerimonie in una piazza San Pietro senza popolo, deserta.
Si guardano negli occhi, occhi lucidi, Irina e Albina, amiche di due popoli oggi in guerra e colleghe al Campus Bio Medico di Roma, infermiera l'ucraina, specializzanda la russa. Si guardano, si sfiorano le dita nel portare il peso della croce, guardano il cielo, l'una di fianco all'altra, non parlano.
E silenziosa, a sorpresa, resta la preghiera della tredicesima stazione della Via Crucis, la loro, cambiata all'ultimo minuto. Orazio Coclite, la voce storica della processione, avrebbe dovuto leggere una meditazione scritta in queste settimane in Vaticano assieme a famiglie ucraine e russe. E invece il testo è stato cancellato, sostituito da poche frasi: "Di fronte alla morte il silenzio è più eloquente delle parole. Sostiamo pertanto in un silenzio orante e ciascuno nel cuore preghi per la pace nel mondo". "Un cambiamento previsto - ha spiegato ieri sera il portavoce vaticano Matteo Bruni - che limita il testo al minimo per affidarsi al silenzio e alla preghiera".
La tredicesima meditazione avrebbe invece dovuto parlare della "morte intorno", della "vita che sembra perdere di valore", di quel tutto che "cambia in pochi secondi: l'esistenza, le giornate, la spensieratezza della neve d'inverno, l'andare a prendere i bambini a scuola, il lavoro, gli abbracci, le amicizie", delle "lacrime finite", della "rabbia che ha lasciato il passo alla rassegnazione". Per poi chiedere: "Signore dove sei? Parla nel silenzio della morte e della divisione ed insegnaci a fare pace, ad essere fratelli e sorelle, a ricostruire ciò che le bombe avrebbero voluto annientare".
Ma quel testo, come la presenza delle due amiche, Irina l'ucraina e Albina la russa, aveva attirato le ire dell'ambasciata di Kiev in Italia prima e della comunità cattolica ucraina poi. Un'idea "inopportuna e ambigua" che "non tiene conto del contesto di aggressione militare russa", aveva tuonato l'arcivescovo Sviatoslav Shevchuk. Ieri sera, con un gesto duro e inedito, i media cattolici ucraini si sono persino rifiutati di trasmettere la Via Crucis, in segno di protesta. E contraria si era detta in questi giorni anche l'associazione dei cattolici ucraini in Italia: "Non dovevano portare insieme la croce - ha spiegato Oles Horodetskyy - perché siamo noi ucraini a essere stati messi in croce".
La presenza invece è stata confermata, nessun passo indietro da parte del Vaticano né delle due donne, nonostante le pressioni. "Noi non c'entriamo niente in tutto questo, i nostri due popoli non c'entrano niente", hanno spiegato. Ma quel testo è stato accantonato e si è lasciato spazio alla preghiera per la pace. Quella pace che Papa Francesco continua a chiedere senza sosta: "Signore, porta gli avversari a stringersi la mano, disarma la mano del fratello alzata contro il fratello" e fa' che "dove c'è odio fiorisca la concordia", ha detto ai fedeli. Lo stesso grido instancabile lanciato in un tweet pochi minuti prima dell'inizio del rito: "Signore, converti al tuo cuore i nostri cuori ribelli, perché impariamo a seguire progetti di pace".
Domenico Agasso per lastampa.it il 12 aprile 2022.
L'Ambasciata ucraina presso la Santa Sede contesta la decisione vaticana di far portare insieme la croce a una famiglia ucraina e una russa alla Via Crucis del Venerdì Santo al Colosseo, presieduta dal Papa.
«L'Ambasciata ucraina presso la Santa Sede - twitta l'ambasciatore Andrii Yurash - capisce e condivide la preoccupazione generale in Ucraina e in molte altre comunità sull'idea di mettere insieme le donne ucraine e russe nel portare la Croce durante la Via Crucis di venerdì al Colosseo». Adesso «stiamo lavorando sulla questione cercando di spiegare le difficoltà della sua realizzazione e le possibili conseguenze».
Nel tradizionale rito presieduto dal Pontefice, in programma il prossimo Venerdì santo alle 21,15, tra gli ultimi a portare la croce, alla XIII stazione, saranno una famiglia russa insieme a una famiglia ucraina.
Lo ha reso noto la Sala stampa vaticana. In occasione dell'anno dedicato alla famiglia, Bergoglio ha affidato la preparazione dei testi delle meditazioni e delle preghiere ad alcune famiglie legate a comunità e associazioni cattoliche di volontariato ed assistenza.
Le altre famiglie che porteranno la croce saranno una coppia di giovani sposi, una famiglia in missione, una coppia di sposi anziani, una famiglia con 5 figli, una famiglia con un figlio con disabilità, una famiglia che gestisce una casa di accoglienza, una famiglia che affronta la malattia, una coppia di nonni, una famiglia con figli adottivi, una donna con figli che ha perso il marito, una famiglia con un figlio consacrato, una famiglia che si confronta con la perdita di un figlio. Le meditazioni per ogni stazione sono ispirate al percorso di vita di ciascuna famiglia.
In particolare, la meditazione che sarà letta durante il tratto delle famiglie ucraina e russa, quando Gesù muore sulla croce, dice: «La morte intorno. La vita che sembra perdere di valore. Tutto cambia in pochi secondi. L'esistenza, le giornate, la spensieratezza della neve d'inverno, l'andare a prendere i bambini a scuola, il lavoro, gli abbracci, le amicizie… tutto. Tutto perde improvvisamente valore.
"Dove sei Signore? Dove ti sei nascosto? Vogliamo la nostra vita di prima. Perché tutto questo? Quale colpa abbiamo commesso? Perché ci hai abbandonato? Perché hai abbandonato i nostri popoli? Perché hai spaccato in questo modo le nostre famiglie? Perché non abbiamo più la voglia di sognare e di vivere? Perché le nostre terre sono diventate tenebrose come il Golgota?”.
Le lacrime sono finite. La rabbia ha lasciato il passo alla rassegnazione. Sappiamo che Tu ci ami, Signore, ma non lo sentiamo questo amore e questa cosa ci fa impazzire. Ci svegliamo al mattino e per qualche secondo siamo felici, ma poi ci ricordiamo subito quanto sarà difficile riconciliarci. Signore dove sei? Parla nel silenzio della morte e della divisione ed insegnaci a fare pace, ad essere fratelli e sorelle, a ricostruire ciò che le bombe avrebbero voluto annientare».
Domenico Quirico per “la Stampa” il 25 marzo 2022.
Lo si sente, cresce, aleggia attorno noi, guadagna terreno ogni ora, ogni giorno di guerra: l'odio. All'inizio si precisava, anche da parte degli ucraini che pure erano aggrediti e percossi: questa è la guerra di Putin, lui l'ha voluta, lui la inferocisce. Non è la guerra dei russi con cui siamo fratelli, in divisa contro di noi ci sono gli ingannati o i costretti, offriamo loro quando si arrendono un pezzo di pane. E per questo coraggio li abbiamo giudicati, gli ucraini, ancor più meritevoli, avvolti in un grande drappeggio di sventura e di pietà. Tutto è rapidamente finito in briciole come le città e le illusioni di tregue e negoziati, l'odio affligge tutto il mondo di questa guerra bruciante e brutale.
Adesso è diventata la guerra dei russi, contro i russi: primitivi, asiatici, barbari, orda che uccide, bombarda, stupra, saccheggia, lupi voraci, mostri, antiuomini. Le parole sono sempre il segno: ormai si vive nell'odio che come una soluzione satura si cristallizza. Il furore che all'inizio è arma per combattere e resistere è scivolato in altra cosa, accecato diventa a sua volta disumano. Ecco: il percorso è quasi completo. Non c'è più distinzione. L'odio non è un errore o un incidente di analisi.
È un desiderio profondo di distruggere, svela un abisso a fior di pelle, non è dietro di noi ma attorno a noi, in noi. È una negazione sovversiva che a poco a poco travolge anche chi è spettatore della guerra, e gli europei lo sono: vogliamo attraverso questa discesa agli inferi nascondere il senso di colpa per esser solo questo e in fondo esserne soddisfatti. È singolare e fa riflettere il fatto che il principale abitatore dell'occidente e dell'Europa del terzo millennio, l'odio, con la sua ancella la paura, non sia stato in fondo oggetto di ampie analisi.
Forse perché non si vuole tornare con la mente a esperienze umilianti e l'odio lo è. E poi esistono molti tipi di odio di cui ognuno richiederebbe una trattazione. Un po' come fa il botanico quando si accinge a una classificazione particolare. Ci scopriamo a parlare e pensare in modo primitivo perché siamo costretti a difenderci contro qualcosa che prima di tutto è primitivo, la guerra. Così la etichettatura animalesca che prima colpiva solo il burattinaio di questo sanguinoso disastro si estende a un popolo intero: che è colpevole, perché non si ribella, non getta le armi, non rinnega e non si rinnega, perché non sciopera rifiutandosi di cooperare con il leader.
Perché ci costringe con la sua inazione a rivestire panni che avevamo riposto in soffitta come anacronistici: la guerra le bombe combattere schierarsi resistere. Russi dannati, combattete per Putin come i tedeschi hanno combattuto per Hitler! La colpa che per il diritto è rigorosamente individuale diventa collettiva. È l'infausto meccanismo della decimazione, della vendetta. Una specialità delle tirannidi.
È quello che Putin forse immaginava e voleva: il suo volto enigmatico sparisce a poco a poco dietro la condanna di tutto e di tutti, la volontà di linciaggio forma, anche in coloro che in Russia forse dubitavano e si astenevano, il legame sociale per eccellenza, quello che nasce dal sentirsi umiliati e vilipesi, accusati e minacciati di punizioni nel mucchio. Stiamo, temo, scivolando su questo pendio insidioso.
Il delitto dell'aggressore non ci appare più come trasgressione, come caso da imputare a un uomo e al suo delirio di potere, ma come forma esistenziale, come comportamento naturale di un popolo intero nei confronti di altri essere viventi, l'aggressione, il delitto come forma del loro mondo. Il processo ai colpevoli (teorico perché prima bisogna sconfiggerli, catturarli per applicare la giustizia, molto ambigua, dei vincitori) che prima riguardava il pugno di cortigiani e complici diretti di Putin, alcune centinaia di persone, ora si allarga: gli ufficiali, i soldati che non hanno disobbedito, quelli che nelle retrovie non hanno preso le distanze, i silenti, i non eroi: tutti.
Punire, togliere la voglia di riprovarci, rieducare questi popoli eternamente asiatici e aggressivi verso la nostra "polis'' perfetta. Siamo al punto chiave del dialogo tra Creonte e Antigone. «Il nemico non diventerà mai un amico neppure dopo la morte» dice il dittatore che nega ai colpevoli perfino il diritto alla sepoltura. E Antigone replica: «Non sono fatta per vivere con il tuo odio».
Ecco. Questo è esattamente quello che ci deve separare dall'aggressore: porre dei limiti all'inaccettabile, mettere in guardia dal pericolo mortale che c'è nell'unificare nella colpa, annunciare il peggio che può ancora accadere senza temere di essere accusati come seminatori di zizzania, di dare una mano "oggettivamente'', terribile avverbio che ha macinato la vita di milioni di uomini, al nemico. Putin e i Califfi gettano nella mischia non solo divisioni corazzate o kamikaze; la posta in gioco è il dominio dello spirito, mobilitano l'odio, un tesoro raro e prezioso, utile al servizio del loro aggrottarsi di ciglia.
Vogliono contagiare le menti prima ancora che occupare territori, imporre l'irrimediabile: noi e loro indissolubilmente separati e nemici . Apparentemente nulla è mutato in questi venti giorni di guerra nella nostra parte del mondo, la gente si muove lavora dà esami si ama fa sport applaude gli oratori che invitano alla ennesima resistenza contro la nuova sventura.
Eppure c'è qualcosa di inafferrabile nell'atmosfera, un fluido collettivo ed è cattivo, un'aura fatta di forza e di rancore, di paralisi interiore, di furia e avversione contro "il nemico". A poco a poco le marce della pace spariranno, gli inviti a distinguere, a non farsi travolgere diventeranno eresia, Come se oppressi, impauriti ci vendicassimo dei colpevoli emettendo liquido nero come la seppia colpita. Di che diavolo ha mai bisogno l'uomo per non commettere gli stessi errori?
La verità della ‘Treccani’. Luciano Scateni su La Voce delle Voci il 16 Marzo 2022.
Odio, sentimento di forte e persistente avversione, per cui si desidera il male o la rovina altrui; amore, sentimento di viva affezione verso una persona, che si manifesta come desiderio di procurare il suo bene. In questa biblica antitesi si colloca lo scenario, che al suo estremo potrebbe avvelenare il pianeta, distruggerlo in dimensione non circoscritta, con una pioggia incrociata di ordigni nucleari, di armi chimiche e convenzionali, tecnologicamente sofisticate, distruttive ben oltre l’arsenale che nei cinque anni della seconda guerra mondiale ha devastato i territori dei contendenti e dimostrato, se ve ne fosse bisogno, che l’ energia atomica, trasformata in ordigno di distruzione e morte dalla fantasia scientifica di Oppenheimer esprime un potenziale pericoloso per la sopravvivenza della Terra. Vero, falso? A immediato ridosso dell’aggressione, Putin, in risposta alla sfida del popolo ucraino alla potenza militare della Russia ha minacciato di piegare la resistenza dei ‘fratelli’ con le armi nucleari.
Aggressività (Treccani), stato di tensione emotiva generalmente espresso in comportamenti lesivi e di attacco.
L’odio del neo zar, che non fa mistero di perseguire l’intenzione di riaggregare alla Russia gli Stati satelliti divenuti indipendenti, fa leva sulle ambizioni di oligarchi rapaci e sul nazionalismo popolare, alimentato dalle menzogne della propaganda di regime e altrimenti incomprensibile considerata l’indegna forbice che separa, come e pochi altri Paesi del mondo ricchezze miliardarie e tragiche povertà.
L’universo dell’arte e dello sport ben raffigura il parallelismo imperfetto dello scontro in famiglia tra russi e ucraini. Al culmine del paradosso incombe l’assurdo del fuoco nemico-amico tra due etnie che non di rado s’incrociano con il vincolo del matrimonio. In pieno nel titolo bipolare odio-amore: a sipario alzato le cantanti liriche Ludmyla Monastyrska, ucraina e Ekaterina Gubanova, russa, emozionano il pubblico del teatro San Carlo di Napoli. Si abbracciano con tenero, commovente affetto; a Lucca, Vlady, giovane russo e Roman, ucraino, gestiscono in perfetta armonia il ristorante Stravinsky e denunciano all’unisono l’assurdità della guerra”: amore.
Atleti russi esclusi dalle Paralimpiadi per colpa di Putin minacciano gli ucraini: “Bombarderemo le vostre famiglie”. Odio. A Mosca i giovani russi manifestano per la pace, contro l’aggressione dell’Ucraina. Amore. Finiscono in manette, rischiano condanne fino a 15 anni di carcere. Il Cremlino definisce ‘teppista’, odio, Marina Osyannikova, di padre russo e madre ucraina, giornalista anti Putin, apparsa alle spalle della conduttrice del Tg con la scritta “No War’ e in un video invita i russi a non credere alla propaganda del Cremlino, “che mente”. Apertamente accusa Putin, unico colpevole di “crimine”. Aggressione. La coraggiosa giornalista è stata arrestata e multata, in attesa di processo. Odio. Il russo Miranchuk dell’Atalanta segna ma non esulta per rispetto del compagno di squadra ucraino Malinovskyi. Amore
Parole d'odio dell'insegnate ucraina a Otto e mezzo: i giornalisti russi dissidenti non sono eroi. Il Tempo il 16 marzo 2022.
L’argomento della disinformazione è al centro della puntata del 16 marzo di Otto e mezzo, programma tv di La7 condotto da Lilli Gruber. La giornalista ospita in collegamento l'insegnante ucraina Alona Kliuieva, che dice la sua sul tema della serata: “La propaganda le fanno tutte le parti in causa. Facciamo doppi e tripli controlli per avere un’immagine più possibile vicina alla realtà. Io ho amici sparsi in tutte le zone dell’Ucraina ho testimonianze dirette. Qui a Leopoli arrivano persone e profughi che stanno scappando dalla guerra e mi raccontano quello che succede. La mia migliore amica è in una delle zone assediate, Kherson, e lì sono stati lanciati canali russi dove raccontano la loro propaganda. Ma noi eravamo stati avvisati all’inizio della guerra che la Russia avrebbe fatto tutto questo. La gente si fida dell’Ucraina e nessuno crede alle varie fake news, come quella della resa di Zelensky. I russi, visto che la gente è senza soldi e cibo, porta aiuti umanitari, ma molta gente rifiuta visto che sanno che questa è propaganda. Io spero che questa guerra finisca, perché una persona stanchissima e affamata prima o poi si arrende, è un fatto psicologico”.
La Kliuieva commenta poi il gesto della giornalista russa Marina Ovsyannikova, che ha ‘invaso’ lo studio del telegiornale di stato di Mosca mostrando un cartello a favore della fine della guerra: “Per me non è un’eroina come viene mostrata dalla stampa. Noi siamo grati a tutti i russi che sono contro la guerra, ma quelli che lo sono davvero, perché non ha fatto questo gesto nel 2014? Visto che ha un padre ucraino. Ci volevano 8 anni per capire le cose?”. La Gruber chiede conto della protesta a Elena Chernenko, giornalista russa: “Io ammiro il suo coraggio, non sono d’accordo con l’idea relativa al 2014 e agli ultimi 8 anni. Prima dicono ‘che cosa facevate per essere contrari?’ ora invece quando qualcuno si espone non bisogna criticarlo. Ci vuole coraggio, ci vuole audacia, non basta dire perché non l’hai fatto prima, ha rischiato tantissimo con questo gesto, è molto molto difficile trovarsi sotto al fuoco di entrambe le parti. Non si può dire alla gente lo dovevi fare prima, io credo meriti tutta l’ammirazione”.
Odiare Putin non è reato. Le deliranti linee guida di Zuckerberg e il diritto di offendere solo i cattivi del momento. Guia Soncini su L'Inkiesta il 12 marzo 2022.
Facebook e Instagram, svela la Reuters, permettono una deroga temporanea al divieto di offendere se le offese sono rivolte a Putin, Lukashenko o ai soldati che stanno invadendo l’Ucraina.
L’unica ragione per cui abbiamo smesso di andare in chiesa, si scopre in questi anni impazziti, è che il Vaticano non ha pensato a inventare il like, l’unico miracolo cui teniamo, più tangibile dei pani e dei pesci teorici, l’unica liturgia che ci permetta non di cibarci del corpo d’un personaggio di fantasia di duemila anni fa ma di dimostrare che abbiamo un corpo, e un’anima, e soprattutto delle opinioni.
Se il cattolicesimo fosse stato meno arretrato (scambiatevi un segno di pace, ma per favore: noi vogliamo apporci dei cuoricini), saremmo ancora tutti lì, giacché avere dogmi e guide morali ci piace tantissimo, lo confermiamo ogni giorno.
Giovedì, per esempio, la Reuters ha raccontato che Facebook, che ogni giorno ci mette in castigo se diciamo cose come «ricchione» a un vecchio amico con cui condividiamo codici comunicativi ignoti agli impiegati di Zuckerberg, adesso ha deciso che dopo aver fatto le regole fa anche le eccezioni.
Quindi il safe place, il posto in cui nessuno si deve sentire messo a disagio figuriamoci in pericolo, in cui è fatto divieto di mettere in discussione le identità percepite figuriamoci quelle reali, è un po’ meno safe se sei russo. Se sei russo posso minacciarti. Sembra una puntata di Black Mirror, e invece.
«Secondo alcune email interne di cui ha preso visione la Reuters, e in deroga temporanea alle proprie politiche sui discorsi d’odio». Non è la frase più bella del mondo? Se domani un gruppo di donne francesi fa un attentato posso scrivere che le francesi sono tutte troie senza che Facebook mi metta in castigo, impedendomi quel diritto umano che è il like? Col razzismo come siamo messi, Bin Laden lo giustifica, in deroga? Commenti etnici su Saddam Hussein ma più in generale su chiunque venga dall’Iraq sono consentiti, in deroga?
«L’azienda di social network sta anche temporaneamente consentendo alcuni post che invocano la morte di Putin o di Lukashenko, secondo alcune email interne dirette ai moderatori di contenuti». Quel «temporaneamente» m’incanta, sento che lì dentro c’è il grande romanzo postmoderno. La scadenza è nota? Se domani firmano una tregua e i poveri utenti non se ne accorgono per tempo, si ritrovano tutti in esilio dalle piattaforme, banditi dalla possibilità di cuoricinare il cognato perché hanno dato del pompinaro sdentato che deve morire a quel Vladimir che un minuto prima era un criminale ma adesso è una creatura fragile che ha diritto di scorrere il proprio profilo Facebook senza turbarsi?
Le specifiche sono altrettanto incantevoli. Se infatti volete minacciare Putin di morte senza che vi venga impedito di postare i vostri penzierini per giorni, dovete attenervi alle linee guida della deroga. Che, ricopia la Reuters dalle mail interne, dicono che la minaccia non dev’essere una minaccia dettagliata. Non deve, cioè, contenere due o più specifiche. Se dite voglio tagliare la testa a Putin con una roncola sulla piazza Rossa, vi mettono in castigo: c’è la specifica di metodo e quella di luogo (non me lo sto inventando, non ci credo neanch’io ma parla proprio di due specifiche). Ma se dite solo «voglio ammazzarlo domani alle otto» va bene: c’è solo la specifica temporale.
L’ambasciata russa a Washington ha – cosa mi tocca dire – dato una risposta molto più razionale e lucida e liberale di quanto lo siano i dirigenti di Meta (adesso Facebook e Instagram si chiamano Meta, come sapete), ma soprattutto di quanto lo siamo noi, che ci facciamo dare regole su quali parole usare e non usare come fossimo cinquenni con genitori severi, col terrore che ci mandino in camera nostra senza più la possibilità di farci mettere i cuoricini da amici e sconosciuti sulle foto della pizza.
Dice la risposta dell’ambasciata: «Gli utilizzatori di Facebook e Instagram non hanno dato ai proprietari di queste piattaforme il diritto di determinare i criteri di verità». Avete ragione, cari diplomatici russi. Anche perché, come dire, l’algoritmo saprà pure tutto di noi, ma è pur sempre quello che ci consiglia di leggere l’articolo che stiamo per twittare perché non gli risulta che l’abbiamo letto – ignaro che l’abbiamo scritto. O che con squisita ottusità censura Helmut Newton o Michelangelo ritenendo siano immagini uguali al porno amatoriale di vostra cognata.
Come possono piattaforme così strutturalmente fesse mettere in piedi linee guida che pretendono d’essere sofisticate? Certo che si possono minacciare i soldati russi, spiega un’email copiata dalla Reuters, ma solo perché in realtà lo si fa intendendo minacciare genericamente l’invasore, quando si è popolazioni stressate dalla guerra (c’è, giuro, una lista di nazionalità autorizzate a minacciare i russi in deroga; incredibilmente, la lista non include i milanesi che giurano di non dormire per la preoccupazione bellica). E comunque, specifica sempre la delirante email, non si possono minacciare quei soldati russi che siano prigionieri di guerra. Voglio proprio vedere i controllori che vagliano un post alla volta per approfondire se Tizior Tiziokov, di cui un utente si augura il decesso stasera alle sette meno un quarto, sia prigioniero di guerra o no.
Il problema siamo noi, che non vediamo l’ora di trovare religioni prescrittive da rispettare, che siamo contenti se ci trattano come cinquenni. Una non vorrebbe citare «Prima di tutto vennero a prendere gli zingari» e quel che segue, perché è tra le citazioni più banali che si possano fare. Però ti ci costringono quando, come un mio conoscente ieri su Facebook, esultano perché Facebook ti tratta come un bambino scemo e ti dice su che articoli cliccare e su quali no: «Questo link è di un editore che Facebook ritiene possa essere totalmente o parzialmente sotto il controllo editoriale del governo russo». Prima decidono chi sono i cattivi, e ne siamo contenti perché siamo sicurissimi che noi siamo e saremo sempre i buoni. È ovvio che sia e sarà sempre così, no? Quindi diamo l’unica copia delle chiavi della morale a dei miliardari in dollari, e – purché non ci vietino l’accesso ai cuoricini – lasciamo che decidano chi sì e chi no. Cosa potrà mai andar storto.
I FIGLI DI PUTIN.
«Tra Trump e Putin un “accordo” per l’invasione dell’Ucraina»: la rivelazione del New York Times. Redazione Esteri su Il Corriere della Sera il 3 Novembre 2022.
Il presidente russo avrebbe offerto a Trump, in cambio del suo avallo all’«operazione militare speciale», il supporto degli hacker di Mosca nella sua campagna elettorale del 2016, che in effetti vinse
Un «accordo», o almeno un intreccio di interessi d’affari tra Donald Trump e Vladimir Putin: sul piatto, da un lato, il provvidenziale intervento degli hacker russi a favore del primo nella campagna presidenziale 2016; dall’altro, nientemeno, l’invasione dell’Ucraina. Un’inchiesta del New York Times sembra unire i puntini, tra Manhattan e Mosca.
È il 28 luglio 2016. Hillary Clinton accetta la nomination dei democratici: correrà per la Casa Bianca. Paul Manafort, lobbista e consulente di Donald Trump per la campagna elettorale, sta per incontrare il russo che dirige la sua sede di Kiev della sua società di consulenza. Konstantin Kilimnik, così si chiama il russo, gli parlerà di un piano: il «Piano Mariupol». Che contiene già tutto: l’invasione dell’Ucraina; la creazione di una repubblica autonoma nell’Est del Paese; la presidenza di quella repubblica assegnata all’ex presidente ucraino Vyktor Yanukovych, deposto dalle rivolte. Per il New York Times il ruolo di Trump in questo patto era quello di «garante»: se il Cremlino gli avesse garantito la vittoria, il «piano Mariupol» sarebbe filato liscio.
Le notizie in diretta sulla guerra in Ucraina
Poi non tutto è filato liscio: la vittoria di Joe Biden alle presidenziali del 2020, per esempio, secondo le ricostruzioni del New York Times avrebbe complicato i piani; e così la condanna di Paul Manafort per bancarotta fraudolenta. Ma l’invasione prevista Putin l’ha compiuta lo stesso, anche senza più amici alla Casa Bianca.
Jim Rutenberg, per il New York Times, ricostruisce a ritroso la genesi del piano, citando documenti che vanno fino al 2005. Il più vecchio, di quell’anno, è una nota inviata a un oligarca russo, Oleg Deripaska, citata in un report della commissione Intelligence del Senato. Già lì Manafort suggeriva di «solidarizzare» con Yanukovych, sostenendone le elezioni «a beneficio di Putin».
Le elezioni ucraine Yanykovych poi le vinse, prima di venire deposto dalla piazza nel 2014. Poi si va avanti, e Trump è presidente: appoggia la Nato solo tiepidamente, considera la possibilità di riconoscere la Crimea russa. Blocca, infine, aiuti militari a Kiev. Mosse che lette ex post sembrano, nell’inchiesta del New York Times, il saldo di un debito.
Spunta il Russiagate 2.0, ma qualcosa non torna. Roberto Vivaldelli su Inside Over il 3 Novembre 2022.
A pochi giorni dal voto delle midterm, il New York Times pubblica la classica “bomba” pre-elettorale: una versione rielaborata del “Russiagate” che vede come protagonisti, manco a dirlo, il presidente russo Vladimir Putin e l’ex presidente Usa Donald Trump, protagonista, quest’ultimo, di queste elezioni di metà mandato per via del suo appoggio a decine di candidati repubblicani. “La storia non raccontata del ‘Russiagate e la strada verso la guerra in Ucraina. Le interferenze russe nella politica dell’era Trump furono più direttamente connesse all’attuale guerra di quello che si era capito prima”: è questo il titolo, come riporta l’Ansa, del lunghissimo articolo in cui il New York Times collega le ingerenze di Mosca nelle presidenziali americane del 2016 con il conflitto in Ucraina, ipotizzando che l’aiuto del Cremlino per l’elezione di Donald Trump mirasse fondamentalmente ad ottenere l’appoggio del tycoon per uno smembramento dell’Ucraina.
La ricostruzione del quotidiano si basa sulla revisione di centinaia di pagine di documenti dell’indagine sul Russiagate del superprocuratore Robert Mueller, della commissione intelligence del Senato, delle udienze di impeachment di Trump, nonché su interviste con quasi 50 persone in Usa e Ucraina. Tuttavia, in questo Russiagate 2.0 c’è più di una cosa che non torna, a cominciare dalla scarsità di prove fornite e di elementi del tutto vaghi e fumosi. Vediamo perché.
Gli hackeraggi russi ai danni del Comitato nazionale dem
Il primo elemento a destare perplessità, nell’articolata tesi del New York Times, riguarda i fantomatici “hackeraggi russi” alla sede del Comitato nazionale democratico del 2016. Tutto nascerebbe la notte del 28 luglio 2016, quando Hillary Clinton stava accettando la nomination dem per la Casa Bianca a Philadelphia: in quelle ore Paul Manafort, presidente della campagna di Trump, ricevette una email dell’amico e socio russo Konstantin Kilimnik, che chiese e ottenne un incontro urgente con lui. I due si incontrarono al Grand Havana Room, un luogo di ritrovo del mondo legato a Trump in cima alla torre a Manhattan di proprietà di Jared Kushner, il genero del tycoon. Qui Kilimnik avrebbe illustrato il ‘Piano Mariupol’, che prevedeva in cambio della pace la creazione di una repubblica autonoma nell’Ucraina dell’est guidata dal deposto presidente Viktor Ianukovich. Da lì in poi ci sarebbero stati gli attacchi hacker russi al server del Comitato Nazionale Democratico. E qua la teoria del New York Times comincia già a vacillare.
Non vi sono prove, tuttavia, del fatto che dietro l’hackeraggio del DNC vi sia effettivamente la Russia e che i due eventi siano legati. In una testimonianza del Congresso risalente al 2020, il presidente di Crowdstrike Shawn Henry ha infatti ammesso che “non ci sono prove concrete” che presunti hacker russi avessero effettivamente preso le e-mail dai server DNC. “Ci sono prove circostanziali, ma nessuna prova che siano stati effettivamente esfiltrati”, ha detto Henry. Per quanto concerne Manafort e i suoi rapporti con i russi, non sembra affatto che l’ex collaboratore di Trump stesse lavorando per il Cremlino. Kilimnik potrebbe tranquillamente aver illustrato il presunto piano a Manafort senza che il faccendiere abbia dato seguito ad alcunché.
Secondo documenti e testimonianze giurate, Manafort avrebbe cercato di spingere il suo cliente, l’allora presidente ucraino Viktor Yanukovich, ad entrare nell’Unione Europea e ad allontanarsi dalla sfera d’influenza della Russia. Come ha testimoniato l’ex partner di Manafort, Rick Gates , Manafort ha elaborato “la strategia per aiutare l’Ucraina a entrare nell’Unione Europea”, in vista della crisi di Euromaidan del 2013-2014. Gli obiettivi, ha spiegato Manafort in diverse note, erano “incoraggiare l’integrazione dell’UE con l’Ucraina “in modo che quest’ultima non “cada alla Russia” e “rafforzare il messaggio geopolitico chiave” di come “l’Europa e gli Stati Uniti non dovrebbero rischiare di perdere l’Ucraina a favore della Russia”. Quando la sua strategia ha preso piede, Manafort ha sottolineato ai colleghi, compreso Kilimnik, l’importanza di promuovere “le azioni costanti intraprese dal governo ucraino per soddisfare le richieste occidentali” e “le modifiche apportate per conformarsi all’accordo di associazione dell’UE”, lo stesso accordo a cui la Russia si è opposta. Come si lega tutto questo al “Piano Mariupol?”: un “particolare” omesso dall’inchiesta del Nyt.
Il Nyt ripesca l’inchiesta flop
L’inchiesta condotta da Robert Mueller fu un vero flop. Attesa dai democratici come la prova che vi fu una “collusione” fra la Federazione russa e l’entourage di Donald Trump, dimostrò semmai il contrario, cioè che non vi fu alcuna “collusione”. Tanto che i democratici, che hanno presentato due richieste di impeachment contro Donald Trump, su quella vicenda non fecero proprio nulla perché non avevano elementi sufficienti per procedere con la messa in stato d’accusa del presidente. L’inchiesta del New York Times mette insieme dunque vecchie notizie e documenti già noti, ipotizzando un accordo di “spartizione” dell’Ucraina che non c’è stato, smentito dai fatti e da ciò che ha fatto Trump durante la sua presidenza.
Che sul dossier Ucraina fu più duro e intransigente del suo predecessore, Barack Obama. Come rilevato da Ted Galen Carpenter su The National Interest, i fatti dimostrano che Donald Trump ha portato avanti una politica estera spesso aggressiva nei confronti della Federazione Russa – che certamente non ha fatto piacere a Putin, come la decisione di ritirare gli Usa dal trattato Inf (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty), siglato a Washington l’8 dicembre 1987 da Ronald Reagan e Michail Gorbacev, a seguito del vertice di Reykjavík. Nel settembre 2019, l’allora Segretario alla Difesa James Mattis ammise che Stati Uniti stavano addestrando unità militari ucraine in una base nell’Ucraina occidentale. Come se non bastasse, Donald Trump approvò la vendita di armi a Kiev e anche un pacchetto di assistenza militare: la prima transazione risaliva al dicembre 2017 ed era limitata alle armi leggere, accordo che includeva l’esportazione di fucili M107A1 e munizioni, per una vendita del valore totale di 41,5 milioni di dollari. La transazione dell’aprile 2018 è ben più seria.
Non solo è più onerosa (47 milioni di dollari), ma include anche armi letali, in particolare 210 missili anti-carro Javelin – il tipo di armi che l’amministrazione di Barack Obama si era rifiutata di fornire a Kiev. Comportamento curioso per un ex presidente dipinto come un “colluso”. Quanto al pacchetto da 250 milioni di dollari in assistenza militare, il Congresso votò per due volte il sostegno militare a Kiev durante gli ultimi anni dell’amministrazione di Obama, ma la Casa Bianca ne bloccò l’attuazione. L’amministrazione Trump, al contrario, lo approvò e la cosa di certo non fece piacere a Putin. Anzi. Faceva anche questo del grande complotto Putin-Trump? Armare l’Ucraina fino ai denti come ha fatto The Donald?
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Tutto quello che c’è da sapere della politica estera russa: intervista a Ivan Timofeev. Emanuel Pietrobon, Roberto Vivaldelli su Inside over il 21 Ottobre 2022.
La posterità giudicherà severamente coloro che non hanno capito il senso storico della (in)evitabile guerra in Ucraina. Confronto, più che tra Mosca e Kiev, fra il morente Momento unipolare e l’albeggiante Ordine multipolare.
L’Ucraina è dove si sta facendo la storia ed è anche un luogo di déjà-vu e déjà-vecu. Trincea lungo la quale si sta consumando la più importante battaglia della transizione verso il multipolarismo. Laboratorio della prima guerra senza limiti e di riproposizioni in chiave contemporanea delle esperienze afgana e irano-iraqena. Fra i teatri della guerra civile islamica e nuovo episodio del bellum perpetuum tra i fratelli coltelli d’Occidente, Stati Uniti ed Europa a guida tedesca.
L’Ucraina è dove finisce il sogno di un’Europa estesa da Lisbona a Vladivostok e dove (ri)sorge il sogno di un’Asia de-occidentalizzata estesa da Murmansk a Shanghai. Luogo del destino che sta accelerando tendenze pre-esistenti, in particolare la fine della Pax americana, e che verrà ricordato come un “super 11 settembre” per l’impronta e l’impatto sugli anni Venti e successivi.
La nostra conversazione con Ivan Timofeev
Abbiamo raggiunto in videoconferenza uno dei più importanti politologi russi in circolazione, Ivan Timofeev, per conoscere la prospettiva russa sulla guerra in Ucraina e discutere di una grande varietà di altri temi – dall’apparente sveltimento della transizione multipolare al caso Dugina.
Timofeev è un influente membro del Consiglio russo per gli affari internazionali (RIAC, Russian International Affairs Council), dal 2015 è direttore del programma “Euro-Atlantic Security” presso il Valdai Discussion Club ed è stato, prima dell’ingresso nel RIAC, a capo del Centro di monitoraggio analitico e professore associato presso l’Università MGIMO (2009–2011), presso il quale ha conseguito un dottorato in scienze politiche. Timofeev è, inoltre, autore di oltre ottanta pubblicazioni pubblicate sulla stampa accademica, sia russa sia straniera, e docente presso l’Accademia di Scienze Militari.
Professor Timofeev, molti analisti erano dell’idea che una guerra su larga scala in Ucraina fosse estremamente improbabile, dato che la Russia, in apparenza, avrebbe avuto più contro che pro. Alla fine, però, è scoppiata. Quello che sappiamo è che, fino a questo momento, la Russia è riuscita a resistere alla cosiddetta “guerra economica totale” lanciata dalla presidenza Biden e dai suoi alleati e che il conflitto, nel complesso, ha tutte le carte in regola per passare alla storia come un “super 11 settembre”: molti paesi non allineati sembra che si stiano allineando – e, tra l’altro, dalla parte della Russia –, i BRICS sono tornati a nuova vita, la dedollarizzazione sta subendo un’accelerazione e molto altro ancora. Ci stiamo chiedendo: ma il cosiddetto Rest, cioè il Resto del mondo, dalla parte di chi sta?
La mia risposta vuole essere coscienziosa. Se da una parte è vero che la reazione del resto del mondo è la prova che non siamo isolati, dall’altra si trova l’Occidente che, tra divieti di viaggio, restrizioni finanziarie, cultura della cancellazione ed altro, sta emarginando in misura critica e crescente la Russia.
Molti paesi si stanno astenendo dal votare [contro la Russia] in sede di Assemblea generale delle Nazioni Unite, così come tanti altri non hanno aderito al regime sanzionatorio. Ma questo non significa, comunque, che Il Resto (The Rest) si stia allineando con la Russia e ne stia supportando le posizioni. Significa soltanto che molti paesi non vogliono compromettere i loro interessi essenziali e che neanche desiderano essere coinvolti nel conflitto. Ma alcuni di loro stanno perseguendo questo obiettivo parteggiando inavvertitamente per gli Stati Uniti, dei quali evitano accuratamente le sanzioni secondarie. Persino paesi come la Cina, se si guarda alle loro imprese, stanno agendo con molta cautela. Restando in materia di Cina, gli affari ordinari vanno avanti come al solito, ma le imprese operanti in ambiti colpiti da sanzioni o non vengono o stanno studiando attentamente i passi da fare.
In breve: avete ragione nel dire che la Russia non è isolata. Ma questo, di nuovo, non significa che Il Resto del mondo stia dalla parte della Russia nella questione ucraina.
È di nuovo l’Occidente contro il Resto del mondo, come durante la Guerra fredda. E alcuni eventi, come il comportamento delle grandi potenze del Sud globale – Argentina, Brasile, Arabia saudita e altre –, sembrano indicare che il Resto stesse aspettando un “grande evento” per disfarsi dell’Occidente e darsi coesione. Qual è la sua opinione in merito?
Beh, di nuovo, vorrei fare una riflessione coscienziosa. L’Occidente è molto consolidato, molto di più del Resto del mondo. L’Occidente ha le sue istituzioni securitarie, come la NATO, un insieme di organizzazioni di partenariato economico, come il G7, e molti altri organismi. Se guardiamo al Resto, però, non si vede una simile infrastruttura.
Si pensi ai BRICS. Che cos’è il gruppo dei BRICS? È un’entità molto informale, con una base infrastrutturale povera, una sorta di club di discussione che non diventerà qualcosa di più grande nel prevedibile futuro. Perciò, non sopravvaluterei il consolidamento del Resto del mondo.
Alcuni paesi del Resto, inoltre, sono agli antipodi l’uno con l’altro. Per esempio, Cina e India sono entrambi membri BRICS, eppure presentano dei forti disaccordi in molti ambiti.
Avete giustamente osservato come Argentina e Brasile sarebbero felici di cooperare con la Russia il più possibile. Ma logistica e distanza geografica, allo stesso tempo, rendono le loro relazioni con noi molto tenui. Per di più, essendo entrambi i paesi pesantemente dipendenti dagli Stati Uniti in termini di transazioni finanziarie, non sacrificheranno i loro interessi sull’altare di una maggiore cooperazione con la Russia.
Dal mio punto di vista, il Resto del mondo sta giocando con cautela. Vero è che si sta distanziando dalla narrativa occidentale sull’Ucraina e che, in generale, è poco interessato a partecipare al conflitto, ma, di nuovo, ciò non significa che l’insieme degli eventi lo stia incoraggiando o stimolando a darsi una maggiore coesione.
Considerato che i riverberi internazionali della guerra in Ucraina stanno mostrando il potenziale di spianare la strada ad un ordine post-americano, si potrebbe affermare che il Cremlino “ha avuto ragione” nel scommettere sull’invasione. Perché ogni guerra è anche una scommessa e, perlomeno in termini di impatto globale, sembra che la Russia la stia vincendo. A parte questo, però, sorge spontanea la domanda “più difficile”: era davvero impossibile proseguire coi negoziati?
La domanda è se stiamo assistendo ad una rivoluzione oppure no. Stiamo indubbiamente attraversando una transizione dell’ordine internazionale, con gli eventi in Ucraina in funzione di acceleratore di tale processo. Ma il punto è che non è stato il conflitto in Ucraina a stimolare, o provocare, questa rivoluzione. La rivoluzione era già in corso e sta ora continuando ad andare avanti, sebbene lentamente.
L’Ucraina è soltanto uno dei fattori che hanno contribuito a catalizzare l’arrivo di un nuovo ordine mondiale. Ma non l’unico. Perché ve ne sono molti altri, quali, ad esempio, la resistenza dell’Iran alle sanzioni occidentali, le relazioni sino-americane in evoluzione, la questione taiwanese, eccetera. Spiegato altrimenti: questa rivoluzione non è il risultato del conflitto, ma di un insieme di fattori.
Riguardo le negoziazioni, beh, io sono dell’idea che si potesse continuare a trattare. Il fatto è che nessuna delle parti era disposta a sacrificare i propri interessi focali nel nome di un qualche compromesso. C’erano delle chiare linee rosse.
Gli Stati Uniti e l’Unione Europea non avrebbero abbandonato la politica delle porte aperte della NATO, non avrebbero dato garanzie sul non ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza, non avrebbero riconosciuto il controllo russo sulla Crimea, per non parlare del riconoscimento di Donetsk e Lugansk. C’erano spazi per il dialogo su altri argomenti, dal controllo degli armamenti al cambiamento climatico, ma nessuno di essi era cruciale per la sicurezza della Russia. Il punto cruciale era – ed è – l’infrastruttura della NATO e il suo sviluppo.
Cambiando per un attimo argomento, che cosa ne pensa dell’assassinio di Daria Dugina? Perché è stata uccisa?
Le autorità che hanno investigato sul caso hanno prodotto diverse dichiarazioni in merito. Ci sono validi motivi per sospettare dei cittadini ucraini di responsabilità diretta nell’assassinio. Abbiamo i loro nomi. Conosciamo i loro volti. E abbiamo anche una versione delle loro attività in Russia.
Sul perché sia stata uccisa, beh, era sicuramente un simbolo. E questo atto può essere chiaramente ritenuto un gesto simbolico contro la Russia, la sua società e i suoi pensatori, in special modo quelli conservatori. Ecco perché persone di ogni estrazione hanno dato i loro omaggi alla famiglia Dugin.
In Occidente è convinzione comune che Aleksandr Dugin, soprannominato “il cervello di Putin” e “il Rasputin di Putin”, sia un pensatore influente. L’attentato a Daria Dugina aveva a che fare con la reputazione del padre? E Dugin è realmente quest’eminenza grigia descritta dalla stampa occidentale?
Non direi che Dugin sia un pensatore popolare in Russia. Non lo è. È abbastanza marginale. È considerato, a torto, una specie di stratega o ideologo di Putin, mentre non lo è. È marginale e non è in alcun modo presente nel mainstream.
Comunque, l’assassinio di sua figlia… poteva avere qualsiasi idea e aveva il diritto costituzionale di averla e promuoverla. Il suo assassinio brutale ha scatenato indignazione e provocato oltraggio per molti, qui in Russia, e questo potrebbe sancire una svolta.
Henry Kissinger ha avvisato l’amministrazione Biden, e in esteso la classe dirigente americana nella sua interezza, come ciò che percepisce come una combinazione di assenza di lungimiranza e perdita di pensiero strategico stia gettando le fondamenta di un confronto militare diretto tra gli Stati Uniti e il blocco russo-cinese. Concorda?
Concordo con la sua affermazione. Ha ragione nel senso che sta aumentando il rischio, in tutto il mondo, della conseguenza indesiderata di confronti diretti tra le grandi potenze. E non è soltanto il rischio di un confronto NATO-Russia alla luce dell’eccessivo supporto NATO all’Ucraina. Sto pensando anche al Baltico, a Kaliningrad e alla Cina, dove il rischio di uno scontro sino-americano per Taiwan sta crescendo.
È vero che Russia e Cina sono sempre più spinte a cooperare l’una con l’altra, ma la domanda è: saranno mai alleate militari o la loro alleanza morirà prima [che ciò avvenga]? Non guardo a tutto quello che sta accadendo come ad un “Russia e Cina contro l’Occidente”, perché il loro partenariato è ancora un lavoro in corso.
Kissinger è uno dei più grandi strateghi che siano mai esistiti. I suoi insegnamenti saranno studiati dalla posterità. La sua eredità sarà per sempre. Ci chiediamo, però, se stavolta non si stesse sbagliando. E se la strategia degli Stati Uniti, per quanto caotica possa sembrare, fosse basata sull’idea di Zbigniew Brzezinski di utilizzare l’Ucraina per espellere la Russia in Asia nell’aspettativa che anneghi nei problemi del continente – terrorismo, scontri interetnici, dispute territoriali, rivalità regionali, eccetera – e che il suo asse con la Repubblica Popolare Cinese imploda a causa della “coabitazione forzata”? Questa potrebbe essere la logica nascosta dell’apparentemente controproducente e antistrategica politica del “doppio contenimento”.
Ricordo di questa vecchia idea, dei concetti esposti nella Grande scacchiera… beh, da un punto di vista logico, gli Stati Uniti avrebbero dovuto attrarre la Russia nel loro campo. Ed erano nelle condizioni di prevedere un avvicinamento della Russia alla Cina in caso di pressioni crescenti [alla Russia] provenienti dall’area euroatlantica. Eppure, gli Stati Uniti non la stanno attraendo nel loro campo.
Da quel che ho capito, nel pensiero dominante americano la Russia non è né un grande problema né un grande portatore di interessi. Gli Stati Uniti continuano a considerare la Russia un opponente pericoloso, ma che non ha potenziale a sufficienza da rendere determinante un’alleanza nella loro competizione con la Cina nell’Asia-Pacifico.
Penso che gli Stati Uniti stiano commettendo un errore e che stiano perdendo più di quanto potrebbero guadagnare. Infatti, avrebbero potuto risolvere molti problemi internazionali e sistemare alcuni sistemi di alleanze accomodando la Russia. Ma, ora, queste opportunità sono state perdute completamente. La Russia sta chiaramente e crescentemente collaborando con la Cina. Non sappiamo quale sarà il fato di questa relazione, ma sappiamo che al momento non esiste possibilità di cambiarne la direzione, anche alla luce di quanto successo in Ucraina.
Estratto dell'articolo di Fabio Tonacci per repubblica.it il 27 Ottobre 2022.
Kiev risponde al leghista Massimiliano Romeo e lo accusa di fare il gioco di Putin. Durante le dichiarazioni di voto sulla fiducia al governo Meloni di ieri, il senatore ha affermato, a proposito della guerra in Ucraina: “Si fa fatica a sentire ‘decideranno gli ucraini’. È la comunità internazionale che deve decidere per loro”. Un passaggio che ha fatto rumore e che non è piaciuto affatto ai ministri di Volodymyr Zelensky, attentissimi in questa fase alle prime mosse della premier Giorgia Meloni e dei suoi alleati.
La replica è stata affidata a Oleg Nikolenko, portavoce del ministro degli Esteri ucraino Dymitro Kuleba. “In precedenza questo senatore ha presentato al Parlamento una richiesta di riconoscimento della Crimea russa”, dice Nikolenko. “Quasi tutti i Paesi troveranno politici che cercheranno di piacere a Putin. Allo stesso tempo, dovrebbero rendersi conto che diffondendo narrazioni russe stanno incoraggiando la Russia a continuare i crimini contro l’Ucraina” […]
Nikolenko, poi, ribadisce che il legame tra Zelensky e Meloni è solido. “La premier ha chiaramente spiegato la posizione dell’Italia, sia sulla necessità di un continuo sostegno all’Ucraina aggredita dalla Russia, sia sul diritto indiscusso degli ucraini a determinare il loro futuro. La posizione di Romeo (capogruppo della Lega in Senato, ndr) è solo un’opinione personale”. […]
Geopoliticanti. Il caso Romeo e i troppi fautori della «pace per procura». Francesco Cundari su L'Inkiesta il 28 Ottobre 2022.
Le parole del capogruppo leghista, secondo il quale non dovrebbero essere gli ucraini a decidere sul negoziato, bensì «la comunità internazionale», hanno suscitato la reazione di Kyjiv. Ma sta anche ai promotori delle manifestazioni per la pace chiarire cosa vogliono
L’incredibile discorso pronunciato mercoledì in Senato dal capogruppo della Lega, Massimiliano Romeo, convinto che sulla pace non bisognerebbe dire «decideranno gli ucraini», bensì «deciderà la comunità internazionale, nell’interesse dell’Ucraina», ha suscitato ieri la comprensibile irritazione di Kyjiv («In quasi tutti i paesi ci saranno politici che cercheranno di compiacere Putin», ha detto tra l’altro il portavoce del ministro degli Esteri). Ma avrebbe meritato maggiore attenzione anche in Italia, anzitutto da Giorgia Meloni, alla quale del resto l’intervento di Romeo era indirizzato, con chiari riferimenti polemici, a partire dall’affermazione, pronunciata poco prima dalla presidente del Consiglio, secondo cui la pace non si otterrebbe «sventolando bandiere arcobaleno» (che in ogni caso non credo piacciano troppo a nessuno dei due).
Limitarsi però a denunciare l’ambiguità della posizione leghista, e di conseguenza le enormi contraddizioni all’interno della maggioranza su questo punto decisivo, vorrebbe dire raccontare solo metà della storia. L’altra metà è infatti rappresentata dai tanti politici, intellettuali, politologi e geopolitologi che da mesi esprimono sostanzialmente lo stesso concetto, che Romeo ha avuto solo la malagrazia di ripetere in un’occasione ufficiale e particolarmente solenne.
L’idea che siano gli Stati Uniti, la Nato, l’Europa, e insomma ciascuno di noi a dover lavorare per imporre all’Ucraina la pace che a noi sembra più giusta e conveniente, cioè la resa, è in effetti la conseguenza più logica e inevitabile della teoria, continuamente ripetuta su giornali e tv, della «guerra per procura». Se gli ucraini non sono che dei pupazzi nelle mani della Nato, come vuole la propaganda putiniana, è evidente che sta ai burattinai, non certo ai burattini, decidere come, dove e quando fermarsi.
Romeo in fondo ha solo esplicitato, con parole non troppo diverse da quelle usate mille volte da Giuseppe Conte e da tanti altri, la teoria della pace per procura.
Coloro che il 5 novembre andranno in piazza a manifestare farebbero bene a chiarire sin d’ora se è questo che intendono, quando invocano la pace. Come hanno fatto Carlo Calenda e gli organizzatori della manifestazione di Milano, ma anche, ad esempio, il gruppo di intellettuali firmatari dell’appello promosso da Micromega, a favore della manifestazione romana. Appello che comincia con queste – sacrosante – parole: «Tutti parlano e straparlano di pace, tutti vogliono la pace. La questione cruciale è in cosa consista la pace. Quando una dittatura imperialista invade con il suo esercito una democrazia, e i cittadini di quest’ultima resistono eroicamente malgrado la schiacciante inferiorità bellica, la risposta, per ogni democratico, è adamantina: pace vuol dire il ritiro dell’aggressore entro i suoi confini, ogni altra soluzione sarebbe un premio a chi la pace l’ha violata, sterminando civili, violentando donne, massacrando e torturando».
Sarebbe bello sentire anche dagli altri promotori e aderenti alla manifestazione di Roma parole così chiare, nella speranza che l’esempio di Paolo Flores d’Arcais e degli altri sottoscrittori del suo appello sia la regola e non l’eccezione.
Gabriele Carrer per formiche.net il 27 Ottobre 2022.
L’unico modo efficace per raggiungere la pace è “fornire le armi e l’assistenza necessarie all’Ucraina e, infine, riconoscere la Russia come sponsor del terrorismo”. Lo scrive Yaroslav Melnyk, ambasciatore ucraino in Italia, in una lettera indirizzata a Giuseppe Conte, presidente del Movimento 5 Stelle, chiedendo di “tenere conto” anche delle posizioni ucraine in vista della manifestazione per la pace del 5 novembre a Roma.
“Ogni voce a sostegno della pace è importante, ma queste voci dovrebbero suonare responsabili ed equilibrate, evitare di confondere ‘l’aggressore’ con ‘l’aggredito’ ed evitare di scaricare la colpa dal criminale alla parte che lo combatte”.
Come raccontato anche su Formiche.net, il nuovo governo di Giorgia Meloni è pronto a mantenere le promesse fatte agli alleati e all’Ucraina dando il via libera al sesto pacchetto di aiuti militari a Kyiv. Conte, leader del Movimento 5 Stelle, ha detto che “non siamo favorevoli”. “L’Italia ha già dato, lo abbiamo fatto per 7 mesi”, ha speigato intervenendo al Salone della Giustizia. “Dobbiamo lavorare per la pace”, ha continuato. Non nuovo a equilibrismi e giravolte sull’assistenza militare all’Ucraina invasa dalla Russia di Vladimir Putin, Conte ha detto no a “scellerate corse al riarmo”.
Nella lettera, l’ambasciatore Melnyk ringrazia l’ex presidente del Consiglio per le “parole di sostegno e solidarietà all’Ucraina sin dai primi giorni dell’invasione russa”. Riconosce poi che “le sfide di oggi sono complesse e le soluzioni sono difficili. E lo capiamo, non meno dei residenti dell’Ue. Ma gli europei si sentiranno più al caldo nelle loro case, sapendo che questo gas è stato pagato con il sangue ucraino?”, chiede a Conte.
La lettera a Conte si fa poi più dura: “È molto triste vedere come alcuni politici occidentali ‘regalano’ i territori ucraini e calpestano l’eroismo della resistenza ucraina per far piacere al tiranno nel Cremlino”, si legge. “Le manifestazioni esclusivamente all’insegna della ‘pace’ e con appelli impersonali a un cessate fuoco non riguardano la giustizia, ma sono una dimostrazione di viltà e ipocrisia. La riluttanza a chiamare la Russia un aggressore e a chiederle il ritiro delle sue truppe dal territorio dell’Ucraina non farà che stimolare l’appetito dello stato aggressore”.
Tutto ciò “non significa che l’Ucraina non parlerà mai con la Russia” ma gli attacchi e i morti “non danno il diritto di rappresentare gli ucraini che non si arrendono come militaristi e radicali. Capiamo tutti che tutte le guerre finiscono con i negoziati, ma proprio per questo è necessario dare una risposta adeguata all’aggressore”.
Estratto dell'articolo di Mario Ajello per “il Messaggero” il 21 ottobre 2022.
Un CamaleConte sul Colle. Come si fa ad andare in piazza il 5 novembre in mezzo a tanti pacifisti, pacifinti e filo-putiniani in nome della pace (non in nome della totale contrapposizione a chi ha scatenato la guerra, cioè il Cremlino) e intanto attaccare il centrodestra accusandolo di putinismo?
Come si fa ad aver votato i decreti per l'invio delle armi agli ucraini e ora non volere più mandare quelle armi di difesa ma i nemici degli ucraini sarebbero Berlusconi e Forza Italia e non Conte e M5S?
Per fare tutto questo, Conte all'uscita dalla consultazione con Mattarella ha dato fondo a tutta la sua tecnica avvocatesca, mischiando le carte e lanciandosi in acrobazie logiche o illogiche a rischio confusione. Ma forse con un obiettivo chiaro: ergersi a leader non solo di M5S ma di tutta la sinistra (e del resto i sondaggi danno i grillini ormai ad un'incollatura dal Pd). (...)
Praticamente, Conte è andato da Mattarella solo, o quasi, per dire che a loro non piace Berlusconi, anche se Berlusconi nelle sue tirate su russi e ucraini - questo Giuseppe a Mattarella lo ha omesso - non è poi così distante dalle posizioni stellate e del pacifismo di sinistra, neutralista e cerchiobottista, che sono la base della manifestazione arcobaleno lanciata da Conte per l'inizio del mese prossimo. Chi ha sentito il discorso contiano, lì sul Colle, ha pronunciato questa battuta: «È uscito dallo studio Alla Vetrata per arrampicarsi sugli specchi».
STILE ARCOBALENO È stata un po' questa l'impressione che ha dato Conte. Il quale, pur in tenuta istituzionale in blu con pochette, ha approfittato dell'occasione per tenere due comizi (anche qui, molto in stile vecchio Berlusconi) da piazza post-elettorale.
Uno, appunto, sul pacifismo. E a chi gli fa notare che anche M5S aveva detto che Putin voleva la pace, lui ribatte: «Non è vero, io non l'ho mai detto. Abbiamo sempre condannato l'invasione dell'esercito russo». E ancora, evviva la pace ma senza dare armi agli ucraini: «Il governo uscente non ha neppure accettato un confronto parlamentare sull'invio di armi a Kiev. (...)
A.Bra. per “la Stampa” il 25 ottobre 2022.
«Storicamente la Crimea è sempre stata russa: da un punto di vista culturale, etnico, economico, religioso», come dimostra il referendum del 2014 in cui anche «molti ucraini hanno votato per l'annessione» a Mosca. E l'Ucraina anti russa? Si riconosce dall'uso di «simboli del nazismo». Parole e scritti di Gennaro Sangiuliano, nuovo ministro della Cultura, che scatenano polemiche sui social.
A pochi giorni dai ragionamenti di Silvio Berlusconi su Putin che hanno messo in allarme i governi di tutto l'Occidente, la rete ripesca da libri e tv opinioni che molto somigliano alla versione russa del conflitto con l'Ucraina. Ospite di La7 nel dicembre del 2018, da poco direttore del Tg2, Sangiuliano ricorda che fu Krusciov a cedere la Crimea all'Ucraina, quindi «chi dice che oggi non è russa avalla una decisione presa da un regime totalitario».
C'è poi il collaborazionismo: «Chi ha studiato la Shoah e la tragica persecuzione degli ebrei sa che in molti campi di sterminio nazisti, oltre ai tedeschi che li guidavano, la bassa forza che sterminava gli ebrei era fatta dagli ucraini. Oggi quei movimenti ucraini che sono fortemente anti russi usano i simboli del nazismo».
Nel 2015, nel libro "Putin, vita di uno zar", Sangiuliano scriveva del referendum seguito all'invasione russa dell'anno prima, sottolineando il dato del 97,38% di voti favorevoli: «Poiché la popolazione di etnia russa della Crimea è del 58,5% ne risulta che anche molti ucraini hanno votato a favore dell'adesione a Mosca». Seppur il voto «non era stato riconosciuto come legittimo da gran parte della comunità internazionale», per il ministro è ancora più vero che «nessuno «degli osservatori ha mosso «obiezioni sulla regolarità del voto».
Lettera del ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, pubblicata da “La Stampa” il 26 ottobre 2022.
Gentile direttore, contrariamente a quanto riportato ieri sul suo giornale nell'articolo "La Crimea è sempre stata della Russia.
Sangiuliano finisce nel mirino dei social", segnalo che nelle ore immediatamente successive alla brutale aggressione della Russia all'Ucraina ebbi a esprimere, nella mia qualità di giornalista e saggista di geopolitica, una posizione netta e chiara: la Russia e Putin avevano violato il diritto internazionale mettendosi dalla parte del torto e aggredendo una nazione sovrana.
In altre parole, la Russia è l'aggressore e l'Ucraina è la vittima attorno alla quale bisogna stringersi, come nel 1939 ci si strinse attorno alla Polonia aggredita a tenaglia dai nazisti e dai sovietici. Altra cosa è fare un ragionamento storico molto articolato sulle ragioni che portarono Krusciov a cedere la Crimea all'Ucraina. Per quanto mi riguarda, oggi la Crimea dovrebbe tornare nella sovranità di Kiev.
Nel discorso del presidente Fontana le omissioni sono più importanti delle parole lette. GIULIANO CAZZOLA su Il Quotidiano del Sud il 18 ottobre 2022
DA TIFOSO del Verona Hellas, Lorenzo Fontana, il 14 ottobre, ha giocato a Montecitorio la ‘’partita della vita’’. È giovane, plurilaureato, in grazia di Dio, devoto della Madonna; pertanto può aspirare ad un futuro ancor più radioso. Essere stato eletto presidente della Camera ovvero terza autorità dello Stato è comunque un viatico di tutto rispetto.
È in queste circostanze che un leader politico deve dare il meglio di sé preparando, con i suoi collaboratori, un discorso che trapassi le mura di Montecitorio e, attraverso i mezzi di diffusione di massa, trasmetta ai cittadini una visione di futuro per la Repubblica. Non servono parole difficili, citazioni non comuni, perché “di parole che tutti odono sono scritte le frasi che nessuno ha udito mai’’.
Nel caso del discorso del presidente Fontana le omissioni sono molto più importanti e significative delle parole lette. Il neo presidente doveva presentarsi agli italiani smentendo le preoccupazioni che la sua elezione – a torto o a ragione – aveva suscitato. Prima di lui, al Senato, Ignazio La Russa si era accorto di questa esigenza e si era sforzato di riportare la sua storia personale e quella del suo partito all’interno dei valori della Costituzione, che non è mai neutra nei confronti della guerra civile che divise gli italiani tra il 1943 e il 1945, ma è intrisa dei valori che risultarono vincitori e bandisce in modo permanente quelli di coloro che combatterono “dalla parte sbagliata’’.
Fontana sa bene che esiste un’intera letteratura riguardante la sua vicinanza ideale a Vladimir Putin. In tante occasioni ha riconosciuto alla Russia una missione rigeneratrice della decadenza occidentale, con i medesimi argomenti del Patriarca Kirill. Molti italiani – che Fontana dovrà rappresentare – in merito alla sua elezione la pensano come Enrico Cisnetto che nella newsletter settimanale di Terza Repubblica ha scritto: “Vorrei essere una mosca a Mosca. Per poi entrare al Cremlino da qualche finestra lasciata aperta, superare i plotoni di esecuzione – se tanto mi dà tanto, devono farle fuori con la stessa ferocia con cui ammazzano gli ucraini – e infilarmi nelle stanze di Putin e dei suoi tirapiedi, per vedere lo spettacolo delle risa sguaiate e delle mani sfregate fino a consumar la pelle all’ascolto delle notizie provenienti da Roma. Figurati come se la ridono – ha aggiunto Cisnetto – nel vedere che un paese pilastro dell’Europa e della Nato – cioè quelli che Putin considera i suoi arcinemici – manifesta limiti clamorosi di tenuta della maggioranza uscita vincitrice dalle urne solo tre settimane fa, prima ancora che il Capo dello Stato abbia conferito l’incarico di formare il governo. E sai che piacere avrà fatto a quei signori trovarsi eletto presidente della Camera un fido amico della Russia, uno che ha indossato le t-shirt con la scritta “no sanzioni alla Russia”, che al tempo dell’annessione della Crimea bacchettava la Ue cattiva che non capisce la volontà di un popolo che “sente di essere tornato alla casa madre”, e che ancora dieci giorni prima della criminale invasione dell’Ucraina spendeva parole al miele per Putin. Così è, anche se non vi pare. Nel suo discorso il neo presidente non ha mai nominato Putin, non ha fatto riferimenti all’aggressione dell’Ucraina, ma la guerra era ricordata per l’esigenza di cercare la pace, con un occhio attento al Vaticano. «Il Papa sta svolgendo un’azione diplomatica a favore della pace senza uguali».
Poi, ricordando gli impegni iscritti all’ordine del giorno della XIX legislatura, il neo presidente è tornato sull’argomento con toni generici: “la prosecuzione dell’impegno nella ricerca della pace nel generale quadro della comunità internazionale e nei rapporti tra Ucraina e Russia’’. Un auspicio che rimane al di sotto di qualsiasi “minimo sindacale’’, tenuto conto delle critiche nei confronti dello zar del Cremlino, pronunciate in decine di occasioni ufficiali dal capo dello Stato: quel Sergio Mattarella definito da Fontana “perno della nostra nazione e fondamentale garante della nostra Costituzione’’. Poi dopo la più grave delle omissioni sulla guerra, il presidente ha lanciato la ‘’dottrina delle diversità’’, echeggiando vagamente concetti d’antan del Senatur, pubblicamente elogiato come Maestro.
“La ricchezza dell’Italia risiede proprio nella sua diversità e il compito delle istituzioni italiane è proprio quello di sublimare tali diversità, di valorizzarle attraverso le autonomie, nelle modalità previste e auspicate nella Costituzione. Il ruolo del Parlamento – ha proseguito un Fontana ispirato – sia all’interno delle aule che nella rappresentanza esterna, non deve prescindere dalla valorizzazione delle diversità e non deve cedere all’omologazione’’.
Poi il peana. “L’omologazione è uno strumento dei totalitarismi, delle imposizioni centrali sulle espressioni della volontà dei cittadini’’. Come la mettiamo con l’accusa di omofobia, di razzismo, di suprematismo bianco? Anche qui sarebbe stato opportuno fornire dei chiarimenti; chiedere delle scuse. Certo, sui “nuovi diritti civili’’ (che nel pensiero della sinistra hanno incautamente sostituito il marxismo-leninismo), Fontana ha delle opinioni diverse da quelle di Alessandro Zan (il che non è una colpa); ma nel momento in cui si arriva al vertice delle istituzioni sarebbe stato opportuno un po’ di revisione autocritica rispetto ad affermazioni discutibili più volte ribadite. Limitiamoci a riportare alcune performance di Fontana quando era ministro. “Abroghiamo la legge Mancino, che in questi anni strani si è trasformata in una sponda normativa usata dai globalisti per ammantare di antifascismo il loro razzismo anti-italiano”.
E ancora: “I burattinai della retorica del pensiero unico se ne facciano una ragione: il loro grande inganno è stato svelato”. “I fatti degli ultimi giorni – scrisse ancora Fontana – rendono sempre più chiaro come il razzismo sia diventato l’arma ideologica dei globalisti e dei suoi schiavi (alcuni giornalisti e commentatori mainstream, certi partiti) per puntare il dito contro il popolo italiano, accusarlo falsamente di ogni nefandezza, far sentire la maggioranza dei cittadini in colpa per il voto espresso e per l’intollerabile lontananza dalla retorica del pensiero unico. Una sottile e pericolosa arma ideologica studiata per orientare le opinioni’’.
Poi ecco riemergere, sia pure in modo equivoco il demone del sovranismo. “L’Italia deve dare forza alla propria peculiare natura, senza omologarsi a realtà estere più monolitiche e a culture che non diversificano. Vedete la diversità non è rottura, non è indice di superiorità di alcune realtà su altre viste erroneamente come inferiori, ma è espressione di democrazia e di rispetto della storia’’. A questo punto diventa chiaro che “i gravi problemi e le minacce esterne che provano a indebolire il nostro Paese’’, non provengono – secondo Fontana – dal Cremlino, ma da chi attraversa, con mezzi di fortuna, quei confini che Matteo Salvini vorrebbe difendere.
Non solo Fontana: tutte le volte che la Lega si è schierata contro le sanzioni alla Russia. VANESSA RICCIARDI su Il Domani il 19 ottobre 2022
«Bisogna fare attenzione alle sanzioni: potrebbero essere un boomerang. Loro, la Russia erano preparati da tempo, noi in Europa no» ha detto il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, a “Porta a Porta”. Di fatto continua la linea ufficialmente non a favore di Putin, ma nemmeno delle sanzioni che il presidente russo non vuole
«Bisogna fare attenzione alle sanzioni: potrebbero essere un boomerang. Loro, la Russia erano preparati da tempo, noi in Europa no», ha detto il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, a “Porta a Porta”. Comincia così il mandato del leghista appena eletto terza carica dello stato. Il suo curriculum politico e i suoi rapporti con la Russia, sin da subito avevano suscitato perplessità.
Nel 2014 insieme ai colleghi leghisti Matteo Salvini e Gianluca Buonanno si era messo la maglietta per fermare le sanzioni inscenando una protesta a Bruxelles. Da allora la Lega si è detta sempre contraria e, dopo l’invasione del 24 febbraio ha moderato i toni sottolineando solo i disagi che comportano all’Italia e all’Europa.
«Abbiamo rapporti commerciali importanti con la Russia e per questo abbiamo interesse a mediare», diceva lo stesso Fontana a metà di quel mese.
DOPO L’INVASIONE
Salvini nei mesi ha aggiustato la linea del partito nei confronti di Mosca. Né a favore di Putin, ma nemmeno delle sanzioni. Il 23 febbraio si lanciava contro Josep Borrell: «Per il capo della politica estera dell'Unione europea, le sanzioni contro la Russia servono a bloccare lo shopping dei russi a Milano e i loro party a Saint Tropez siamo al ridicolo. O forse al tragico».
In campagna elettorale il tenore è lo stesso: «Ho cambiato idea su Putin? Chi scatena una guerra ha sempre torto». Prima, «tutti, me compreso prima avevano ottima idea. Poi, quando scateni una guerra passi dalla parte del torto. Quello che mi preme è che le sanzioni che l'Ue ha giustamente messo in campo contro la Russia per metterla in ginocchio non siano pagate dagli italiani. Bisogna fermare la guerra con ogni mezzo, ma non possono essere gli italiani a pagare».
Il 7 settembre proseguiva: «La Lega ha votato tutti i provvedimenti per proteggere l'Ucraina e chi fa la guerra ha torto». Ma ribadiva che la Russia stava continuando a raccogliere denaro «mentre l'Italia e l'Europa stanno soffrendo, le sanzioni oggettivamente non servono, noi facciamo parte della squadra internazionale dei paesi liberi democratici occidentali, non decide l'Italia da sola e se si decide di andare avanti così io chiedo solo che a rimetterci non siano gli italiani».
Le sanzioni «stanno mettendo in ginocchio i miliardari a Mosca o i pensionati a Roma? È nei fatti che più che punire Mosca puniscano Milano, Roma, Palermo. Allora io dico: andiamo avanti insieme, non voglio portare l'Italia sul cucuzzolo di una montagna, ma chiedo protezione per gli italiani, perché le bollette della luce e del gas sono un’emergenza nazionale per tutti».
Anche al meeting di Comunione e liberazione, durante il confronto fra i leader inclusa l’atlantista Giorgia Meloni, collega di coalizione, il problema era l’Unione europea: «Non vorrei che le sanzioni stiano alimentando la guerra. Spero che a Bruxelles stiano facendo una riflessione», concludeva.
Il 6 settembre: «L'idea sulla guerra quale sarebbe? Noi continuiamo con le sanzioni; tu ti arrendi, fermi i carri armati, ti ritiri e la smetti di rompere le scatole al mondo. I primi 6 mesi di sanzioni alla Russia hanno provocato questo effetto ? No». La richiesta resta sotto traccia: «Facciamo finta che non sia così? Andiamo avanti con le sanzioni? Andiamo avanti con le sanzioni. Mettiamo al tetto al vostro gas, e ve lo paghiamo quanto diciamo noi. Piccolissimo problema: quello là cosa può fare? Chiudere il rubinetto».
SALVINI AL GOVERNO
«Dal governo spero di potere presto raccogliere l’appello del presidente della Confindustria Russia: via queste assurde sanzioni», si leggeva sul Corriere della Sera quattro anni fa. Il piano per abbattere le sanzioni è stato quasi attuato. Dopo le elezioni del 2018 il contratto di governo tra Movimento e Lega recitava: «Si conferma l’appartenenza all’Alleanza atlantica, con gli Stati Uniti d’America quale alleato privilegiato, con una apertura alla Russia, da percepirsi non come una minaccia ma quale partner economico e commerciale potenzialmente sempre più rilevante. A tal proposito, è opportuno il ritiro delle sanzioni imposte alla Russia, da riabilitarsi come interlocutore strategico al fine della risoluzione delle crisi regionali (Siria, Libia, Yemen)».
Da lì la visita di stato di Vladimir Putin e del leader della Lega a Mosca. Mentre organizzava incontri con gli imprenditori di Confindustria Mosca si parlava addirittura di veto, l’ultima carta da usare nella partita con l'Ue, senza poter «escludere nulla». Il governo con il Movimento si è sciolto poche settimane dopo che si è scoperto che l’ex portavoce di Salvini, Gianluca Savoini, trattava un finanziamento con Mosca per il partito attraverso la compravendita di gasolio.
A febbraio 2020: «Continuo a pensare che la Russia debba essere un partner che non va lasciato nelle braccia della Cina: credo che la politica delle sanzioni sia demenziale. Lo dico da 4 anni e non ho cambiato idea».
Il 20 settembre del 2021 preconizzava: «Ci saranno tanti cambiamenti sulla politica estera penso che avere buoni rapporti con la Russia sia fondamentale, soprattutto dopo il problema in Afghanistan». Quindi «rinnovare a vita le sanzioni contro la Russia non è utile per nessuno», concludeva Salvini.
L’intenzione di togliere le sanzioni è rimasta fino all’inizio della invasione. La delusione per il fatto che la Lega al governo non ci sia riuscita è arrivata direttamente da Silvio Berlusconi, che nel 2019 se la prendeva con lui: «Salvini aveva promesso, una volta al governo, che avrebbe tolto le sanzioni: non l'ha fatto. Bisogna riportare la Russia in Occidente. Non possiamo girare la testa dall'altra parte», aveva sottolineato il leader di Forza Italia nel corso della kermesse #IdeeItalia organizzata dal partito a Milano.
VANESSA RICCIARDI. Giornalista di Domani. Nasce a Patti in provincia di Messina nel 1988. Dopo la formazione umanistica tra Pisa e Roma e la gavetta giornalistica nella capitale, si specializza in politica, energia e ambiente lavorando per Staffetta Quotidiana, la più antica testata di settore.
(ANSA il 18 ottobre 2022) - "I ministri russi hanno detto che siamo già in guerra con loro perché forniamo armi e finanziamenti all'Ucraina. Però sono molto, molto, molto preoccupato. Ho riallacciato un po' i rapporti con il presidente Putin, un po' tanto, nel senso che per il mio compleanno mi ha mandato venti bottiglie di vodka e una lettera dolcissima.
Gli ho risposto con bottiglie di Lambrusco e una lettera altrettanto dolce. Sono stato dichiarato da lui il primo dei suoi cinque veri amici". Lo ha detto il leader di FI, Silvio BERLUSCONI, nell'incontro con i deputati azzurri, come si può ascoltare in un audio pubblicato sul sito di LaPresse.
(9Colonne il 18 ottobre 2022) - Il presidente di Forza Italia Silvio BERLUSCONI smentisce la notizia su una presunta ripresa dei rapporti con Vladimir Putin. Il presidente Berlusconi, spiega una nota, ha raccontato ai parlamentari una vecchia storia relativa a un episodio risalente a molti anni fa.
(LaPresse) - "Putin per il mio compleanno mi ha mandato 20 bottiglie di Vodka e una lettera dolcissima. Io gli ho risposto con bottiglie di Lambrusco e con una lettera altrettanto dolce. Io l'ho conosciuto come una persona di pace e sensata...". Così Silvio Berlusconi secondo quanto apprende LaPresse durante il suo intervento alla riunione dell'assemblea di Forza Italia alla Camera per l'elezione del capogruppo.
(LaPresse il 18 ottobre 2022) - "I ministri russi hanno già detto in diverse occasioni che siamo noi in guerra con loro, perché forniamo armi e finanziamenti all'Ucraina. Io non posso personalmente fornire il mio parere perché se viene raccontato alla stampa viene fuori un disastro, ma sono molto, molto, molto preoccupato. Ho riallacciato i rapporti con il presidente Putin, un po' tanto". Così Silvio Berlusconi secondo quanto apprende LaPresse durante il suo intervento alla riunione dell'assemblea di Forza Italia alla Camera per l'elezione del capogruppo.
(ANSA il 19 ottobre 2022) - "In 28 anni di vita politica la scelta atlantica, l'europeismo, il riferimento costante all'Occidente come sistema di valori e di alleanze fra Paesi liberi e democratici sono stati alla base del mio impegno di leader politico e di uomo di governo. Come ho spiegato al Congresso degli Stati Uniti, l'amicizia e la gratitudine verso quel Paese fanno parte dei valori ai quali fin da ragazzo sono stato educato da mio padre. Nessuno, sottolineo nessuno, può permettersi di mettere in discussione questo". Così il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi.
(ANSA il 19 ottobre 2022) - Per il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi la propria fedeltà ai valori europei e atlantisti non può essere messa in discussione e - chiarisce in una nota - "non può certamente permettersi di farlo la sinistra, che tante volte è stata dalla parte sbagliata della storia. Tantomeno la sinistra del Partito democratico, che anche alle ultime elezioni, meno di un mese fa, era alleata con i nemici della Nato e dell'Occidente".
(ANSA il 19 ottobre 2022) - "La mia posizione personale e quella di Forza Italia non si discostano da quella del governo italiano, dell'Unione europea, dell'Alleanza atlantica né sulla crisi ucraina, né sugli altri grandi temi della politica internazionale. Lo abbiamo dimostrato in decine di dichiarazioni ufficiali, di atti parlamentari, di voti alle Camere". Così il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi in una nota in cui, aggiunge, ha dovuto "ribadire l'ovvio" dopo le dichiarazioni audio diffuse.
(ANSA il 19 ottobre 2022) - "La colpa non è degli organi di informazione, ovviamente costretti a diffondere queste notizie, è di chi usa questi metodi di dossieraggio indegni di un Paese civile". Così il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi riferendosi alla diffusione delle sue dichiarazioni audio.
Berlusconi ha aggiunto: "Tutto questo però non esisterebbe, se non vi fosse in Italia la pessima abitudine di trasformare la discussione politica in pettegolezzo, utilizzando frasi rubate registrate di nascosto, e appunti fotografati con il teleobbiettivo, con un metodo non solo sleale ma intimidatorio. Un metodo soprattutto che porta a stravolgere e addirittura a rovesciare il mio pensiero, usando a piacimento brandelli di conversazioni, attribuendomi opinioni che stavo semplicemente riferendo, dando a frasi discorsive un significato del tutto diverso da quello reale"
(ANSA il 19 ottobre 2022) - "Interrogarsi sulle cause del comportamento russo, come stavo facendo, e auspicare una soluzione diplomatica il più rapida possibile, con l'intervento forte e congiunto degli Stati Uniti e della Repubblica cinese, non sono atti in contraddizione con la solidarietà occidentale e il sostegno al popolo ucraino. Del resto alla pace non si potrà giungere se i diritti dell'Ucraina non saranno adeguatamente tutelati". Così il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, in una nota dopo le sue dichiarazioni audio sul conflitto in Ucraina.
Cav chiama Mentana, "parole su Ucraina frutto preoccupazione". (ANSA il 19 ottobre 2022) - "Era Silvio Berlusconi come avete intuito e ci pregava di riassumere quello che dirò, cercando di essere il più fedele possibile. Le parole registrate vanno inquadrate in un discorso più generale di cui si è preso solo questo aspetto, che era il racconto di una preoccupazione generale, sto citando Berlusconi, riguardo al clima che si è creato nel rapporto tra Russia, Europa ed Occidente, con il governo degli Stati Uniti che ha disatteso le premesse multilaterali date da Donald Trump e con una situazione che è diventata sempre meno favorevole, anche perché dopo 23 anni si è creata una situazione con un solo beneficiario, la Cina". Così il direttore Enrico Mentana, in diretta tv, sintetizza il contenuto di una telefonata appena ricevuta dal Presidente Berlusconi, pochi minuti dopo che lo stesso Tg aveva diffuso il suo secondo audio shock, stavolta contro il Presidente ucraino. "La preoccupazione generale di Berlusconi - prosegue Mentana - era che ci fosse la rottura tra Europa e Russia, che in qualche modo interrompeva una spirale già rallentata dopo gli accordi di Pratica di Mare, con il fatto che la Cina potesse approfittare di tutto questo. Questa è - conclude - la contestualizzazione dell'interessato e che era alla base delle sue parole". "Una posizione che - chiosa Mentana - è diversa da quella del governo italiano e dalla leader del futuro governo di centrodestra".
UCRAINA, BERLUSCONI: “ZELENSKY? NON DICO QUELLO CHE PENSO”. Da lapresse.it il 19 ottobre 2022.
Silvio Berlusconi parla a ruota libera della guerra ucraina durante il suo intervento alla riunione dell’assemblea di Forza Italia alla Camera, ripreso in un audio ottenuto in esclusiva da LaPresse.”Io non vedo come possano mettersi a un tavolo di mediazione Putin e Zelensky. Perché non c’è nessun modo possibile. Zelensky, secondo me… lasciamo perdere, non posso dirlo…”.
“Zelensky ha triplicato attacchi a repubbliche Donbass”. Questa la versione del leader di Forza Italia sullo scoppio della guerra in Ucraina: “Sapete com’è avvenuta la cosa della Russia? Anche su questo vi prego, però, il massimo riserbo. Promettete? (…) La cosa è andata così: nel 2014 a Minsk, in Bielorussia, si firma un accordo tra l’Ucraina e le due neocostituite repubbliche del Donbass per un accordo di pace senza che nessuno attaccasse l’altro. L’Ucraina butta al diavolo questo trattato un anno dopo e comincia ad attaccare le frontiere delle due repubbliche. Le due repubbliche subiscono vittime tra i militari che arrivano, mi si dice, a 5-6-7mila morti. Arriva Zelensky, triplica gli attacchi alle due repubbliche.
I morti diventano (…). Disperate, le due repubbliche (…) mandano una delegazione a Mosca (…) e finalmente riescono a parlare con Putin. Dicono: ‘Vladimir non sappiamo che fare, difendici tu’. Lui – aggiunge – è contrario a qualsiasi iniziativa, resiste, subisce una pressione forte da tutta la Russia.
E allora si decide a inventare una operazione speciale: le truppe dovevano entrare in Ucraina, in una settimana raggiungere Kiev, deporre il governo in carica, Zelensky eccetera, e mettere un governo già scelto dalla minoranza ucraina di persone per bene e di buon senso, un’altra settimana per tornare indietro. È entrato in Ucraina e si è trovato di fronte a una situazione imprevista e imprevedibile di resistenza da parte degli ucraini, che hanno cominciato dal terzo giorno a ricevere soldi e armi dall’Occidente. E la guerra, invece di essere una operazione di due settimane, è diventata una guerra di duecento e rotti anni. Quindi, questa è la situazione della guerra in Ucraina”.
“Non ci sono più leader, né in Europa né negli Usa”
Berlusconi, inoltre, ha aggiunto: “Quello che è un altro rischio, un altro pericolo che tutti noi abbiamo: oggi, purtroppo, nel mondo occidentale, non ci sono leader, non ci sono in Europa e negli Stati Uniti d’America. Non vi dico le cose che so ma leader veri non ce ne sono. Posso farvi sorridere? L’unico vero leader sono io…”.
“Strage di soldati e cittadini, serve intervento forte”
“La guerra condotta in Ucraina è la strage dei soldati e dei cittadini ucraini. Se lui diceva ‘Non attacco più’, finiva tutto (…). Quindi se non c’è un intervento forte, questa guerra non finisce”.
Da lastampa.it il 19 ottobre 2022.
«Su una cosa sono stata, sono, e sarò sempre chiara. Intendo guidare un governo con una linea di politica estera chiara e inequivocabile». Così in una nota, Giorgia Meloni. Per la presidente di Fratelli d’Italia «l'Italia è a pieno titolo, e a testa alta, parte dell'Europa e dell'Alleanza atlantica. Chi non fosse d'accordo con questo caposaldo non potrà far parte del governo, a costo di non fare il governo».
Da open.online il 19 ottobre 2022.
«È una testa di cazzo, in un giorno ha rovinato tutto». «Un povero rimbambito». In questi due commenti attribuiti a dirigenti di Fratelli d’Italia e fedelissimi di Giorgia Meloni dal Fatto Quotidiano c’è tutto lo sconcerto interno al centrodestra per l’ennesimo show di Silvio Berlusconi.
E se la frase del Cavaliere su Andrea Giambruno (il compagno della premier in pectore) che lavora a Mediaset denota, secondo la maggioranza, «una concezione padronale della coalizione», Meloni è arrabbiatissima per il riferimento: «Cos’è, un ricatto? Pensa di minacciarci così? Andrea lavorava a Mediaset prima di conoscerci». Il primo modo per farla pagare al Cavaliere è lasciare Elisabetta Casellati fuori da via Arenula: al ministero della Giustizia andrà Carlo Nordio. Il secondo mette in gioco il ruolo di Antonio Tajani. Che vede in bilico sia il ruolo di vicepremier che la nomina alla Farnesina.
Il ruolo di Tajani
Il nuovo governo è ancora in bilico. Domani, giovedì 20 ottobre, il centrodestra unito è atteso al Quirinale per le consultazioni. L’incarico alla nuova premier potrebbe arrivare già il 21, mentre il week end successivo potrebbe essere dedicato a mettere a punto i dettagli prima del varo ufficiale dell’esecutivo. «L’Italia è e resterà nel solco dell’Unione europea e dell’alleanza atlantica. Berlusconi, come tutti, ha avuto rapporti con Putin per provare ad avvicinarlo alle democrazie liberali. Ma quella fase storica è finita quando Putin ha deciso di invadere l’Ucraina con i carri armati. Ora il solco è incolmabile», è la posizione di Fratelli d’Italia ribadita ieri da Fabio Rampelli.
Per questo La Stampa oggi racconta che adesso Tajani è di nuovo in bilico. «Berlusconi potrebbe averlo ammazzato», sussurrano dentro Fdi. Il ragionamento è semplice. Come può il numero due di Forza Italia essere il rappresentante dell’Italia all’estero quando il numero uno ha rapporti «riallacciati» con Putin? Per ora la linea di Meloni prevede il silenzio. Mentre qualcuno sussurra all’orecchio della presidente di Fdi di evitare una presentazione a tre al Quirinale. Perché l’imprevedibilità di Berlusconi potrebbe riservare altre brutte sorprese davanti alle telecamere.
Silvio, la rana e lo scorpione
Di più. Meloni evoca anche il fantasma di Gianfranco Fini: con l’ex leader di Alleanza Nazionale Giorgia aveva avuto contatti nei giorni precedenti. Ora, è il ragionamento, il trattamento che subì l’ex alleato potrebbe essere riservato anche a lei. Anche se per ora i giornali di destra sembrano piuttosto schierati contro il Cav. E quello di famiglia (“Il Giornale“) getta acqua sul fuoco con evidente imbarazzo.
Il retroscena del Corriere della Sera aggiunge che Meloni scherzando già nei giorni scorsi aveva detto che «Berlusconi è come lo scorpione con la rana: punge anche se sa che morirà anche lui, come lo scorpione è “fatto così”, è più forte di lui». Ma «quando ha parlato con me sembrava molto più ragionevole. Poi torna dai suoi fedelissimi ed ecco qui…». La favola sull’immutabilità degli istinti spinge la nuova premier a rimettere in gioco la lista dei ministri. Oltre a Tajani, che alla fine comunque dovrebbe farcela, è in bilico il ministero dello Sviluppo assegnato a Guido Crosetto. Così come la Salute, per la quale si cerca un tecnico.
Da iltempo.it il 18 ottobre 2022.
"Qui ci sono solo due possibilità - commenta il filosofo ed ex sindaco di Venezia ad affaritaliani.it - o Berlusconi vuole liquidare il governo Meloni ancora prima che nasca o si tratta di problemi senili di chi non riesce a controllare le proprie dichiarazioni". Su Ronzulli capogruppo di Forza Italia al Senato, Cacciari aggiunge che "quelli sono cavoli di un partito.
Però se il leader di una forza politica che fa parte di una coalizione che si appresta a far nascere un esecutivo fa questo tipo di dichiarazioni o è in una situazione precaria di equilibrio psicologico o ha come obiettivo quello di far saltare il governo e Meloni".
Qualora saltasse clamorosamente tutto, secondo il filosofo "verrebbe meno la sceneggiata, come era probabile fin da prima delle elezioni, di un governo di Centrodestra. Attraverso vari passaggi si tornerebbe a Mattarella che darebbe vita a un altro esecutivo di unità nazionale con chi ci sta".
Infine una battuta sull'eventualità di un ritorno di Mario Draghi a Palazzo Chigi. "No, è impossibile - chiude Cacciari - non accetterebbe mai. Avremmo un avatar di Draghi come presidente del Consiglio".
Dagonews il 19 ottobre 2022.
Chi ha passato a LaPresse, l’agenzia di Marco Durante, l’audio in cui Berlusconi sproloquia della "corrispondenza di amorosi sensi" con Putin? E’ stato un deputato di Forza Italia, di tendenza Tajani.
La registrazione nascosta, effettuata nel chiuso dell'assemblea con i deputati forzisti, è stata una ritorsione per l’atto di forza del Cav che, presentandosi a Montecitorio, ha di fatto obbligato i suoi onorevoli a eleggere come capogruppo il ronzulliano Alessandro Cattaneo (con conseguente furia del tajaneo Paolo Barelli).
Prima di uscire dalla Camera dei deputati, Berlusconi si è ritrovato circondato dal solito drappello di adoranti subalterni tra cui c’era anche il deputato "infedele" che ha registrato il vaniloquio del fu Sire di Arcore girandolo subito dopo alla direttrice dell’agenzia LaPresse, Alessia Lautone.
L'azione da guastatore del parlamentare infingardo si è interrotta poco prima di registrare la spacconata più grossa rifilata da Berlusconi: “Tra i primi cinque amici di Putin, io sono il primo”. Una pralina di follia somministrata in piena guerra tra Ucraina e Russia, proprio mentre tutto l’Occidente guarda al futuro governo italiano con apprensione per eventuali sbandante filo-Cremlino.
Alla diffusione dell’audio, Giorgia Meloni s’è infuriata come neanche le Erinni, ha telefonato a Tajani e con quel misto Oxford-Garbatella gli ha urlato: “Col cazzo che vai alla Farnesina!”. D’altronde piazzare il ciambellano del Cav putinizzato al ministero degli Esteri sarebbe vissuto sia Washington che a Bruxelles come un cazzotto nello stomaco.
Se abbiamo fatto uscire tutti gli audio su Berlusconi? “Ci sarà qualcosa più tardi. Di cosa si parla? Vedremo più tardi, posso solo dire che non si parla di donne, non ci sono donne”. A parlare, a Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, è Alessia Lautone, direttrice dell'agenzia La Presse, che ieri ha diffuso gli audio del leader di Forza Italia che hanno provocato un terremoto nel c.destra.
Ronzulli: criminale fare uscire audio Berlusconi. Da repubblica.it il 19 ottobre 2022.
"Trovo vergognoso che all'interno di 45 persone ci sia qualcuno che abbia sfregiato il presidente Berlusconi divulgando l'audio alla stampa. Non si sa in cambio di cosa...". Lo ha detto la capogruppo al Senato di FI, Licia Ronzulli. Secondo Ronzulli far uscire l'audio sarebbe "criminale".
Estratto dell'articolo di Filippo Ceccarelli per “la Repubblica” il 19 ottobre 2022.
Ma Berlusconi è diventato matto? Nel tempo delle semplificazioni la circostanza che ieri si sia prodotto in una serie di esternazioni a capocchia non sembra sufficiente a declinare la giornata politica sotto il segno della psichiatria o, come frequentemente si sente mormorare nel Palazzo, della demenza senile. […]
Ma il caso di Berlusconi è troppo particolare, e non solo perché con il tema della pazzia ha giocato fin dagli esordi in politica. Basti pensare al suo primissimo discorso, alla Fiera di Roma, 6 febbraio 1994. A quei tempi non aveva in volto il sorriso-rictus del joker, ma cominciò con le seguenti parole: "Mentre venivo qui, pensavo, lo penso ancora, che c'era un matto che stava andando a incontrarsi con altrettanti matti!". Applausi.
Camminava su e giù per il palco, il microfono nella mano destra: "Ebbene, pensando a questa follia che sembra aver contagiato tutti noi e tanti altri dietro a noi, io pensavo che si era verificata ancora una volta quell'affermazione che è contenuta in un bellissimo libro, l'abbiamo editato ancora da poco, l'Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam, dove io in una prefazione dicevo: è vera la tesi che viene fuori da queste pagine. Le decisioni più importanti, le decisioni più giuste, la vera saggezza - e qui nuoveva l'altra mano per rafforzare il discorso - non è quella che scaturisce dal ragionamento, dal cervello, ma quella che scaturisce da una lungimirante visionaria follia!".
Hai capito che paravento? Vaglielo a spiegare adesso a Meloni, Salvini, Giorgetti e Lollobrigida quante volte il Cavaliere ha dispensato alle folle e nei momenti più difficili questa storia della visionaria follia, che in lui soltanto è destinata a convertirsi in lungimiranza.
Ecco dunque che, poche ore dopo aver fatto il bravo, ti fa acclamare Ronzulli presidente dei senatori, annuncia la lista dei "suoi" ministri in barba al Capo dello Stato e alla premier in pectore, di nuovo insiste con le sue preoccupazioni per la guerra, racconta di aver fatto pace con Putin rivelando uno scambio di doni alcolici e alla fine, previa mezza smentita del tutto implausibile, come estremo dono di sé invoca "Silenzio!" e dopo nemmeno un mese ripropina la solitissima barzelletta sui potenti nell'aereo in panne.
Domanda: ma non è il Berlusconi di sempre? Quindi l'uomo che ha fatto di sé un personaggio, un po' a somiglianza propria, un altro po' sforzandosi di assomigliare a ciò che gli italiani vogliono che egli sia: l'attore, appunto, del suo personaggio. Forse voleva pareggiare il conto mediatico della Canossa a via della Scrofa, forse adesso prova a tenere la piccoletta sulla graticola, forse intende farle intorno terra bruciata.
Beato chi è convinto che ieri abbia dato i numeri. E se invece, come mille altre volte accaduto per mezzo di gaffe, numeracci clowneschi, fissazioni dissennate e frequentazioni pericolose avesse messo in scena il consueto e lucido azzardo replicando quel suo potere ipnotico, furbastro, piratesco, eppure a suo modo glorioso?
E certo che c'è di mezzo la realtà. Eppure sono ormai trent'anni che Silvione - in questo interprete sublime e assoluto del carattere nazionale - viene a patti con essa, quindi ora l'aggiusta, ora l'abbellisce, ora l'ignora, ora la distorce, ora l'addomestica, ora la nega; e lo fa con tale maestria e selvaggia naturalezza che a volte sembra matto anche solo nel credere che gli si possa credere; ma nel frattempo questa benedetta realtà finisce per confondersi con la sua rappresentazione. Così nessuno è mai in grado di capire "come andrà a finire", eterno e vano interrogativo dell'epoca berlusconiana, col risultato di restare l'imprevedibile Signore della Meraviglia. […]
E se siamo fuoriusciti dalla logica, beh, è pur vero che la politica non è fatta solo di razionalità, ma anche di sogni, simboli, inconscio, suggestioni, effervescenze, allucinazioni, paranoia, nichilismi. La "parte maledetta" è sempre lì, sul bordo, e spesso proprio chi riesce a farsela tornare utile purtroppo vince e rivince, fino a quando qualcuno o qualcuna, col permesso di Erasmo, non gli toglie il fiato e allora addio, addio.
“Colpevoli trovati, ecco chi sono”. Chi ha tradito Berlusconi, arrivano i nomi. Carlantonio Solimene su Il Tempo il 20 ottobre 2022
No, il peggio non era alle spalle. Chi pensava che il pirotecnico martedì romano di Silvio Berlusconi avesse costituito il momento più difficile del centrodestra in questo faticoso avvicinamento alle consultazioni, non aveva fatto i conti col nuovo audio diffuso ieri da LaPresse, se possibile ancora più deflagrante di quelli del giorno prima. La scena è sempre la stessa, il colloquio coi deputati azzurri in occasione dell'elezione del capogruppo. E medesimo è pure l'argomento, la politica estera. Ma se martedì ci si era limitati solo al presunto riavvicinamento personale a Putin - forse più millantato che reale - ieri Berlusconi ha fatto un passo ulteriore: ha esposto la sua idea sull'origine del conflitto ucraino. Una tesi, la sua, del tutto opposta non solo a quella dell'attuale governo. Ma anche a quella della premier in pectore Giorgia Meloni. Questa la trascrizione delle frasi del Cav, partite, ironia della sorte, con la richiesta di «massimo riserbo» puntualmente disattesa: «La cosa è andata così: nel 2014 a Minsk, in Bielorussia, si firma un accordo tra l'Ucraina e le due neocostituite repubbliche del Donbass per un accordo di pace senza che nessuno attaccasse l'altro. L'Ucraina butta al diavolo questo trattato un anno dopo e comincia ad attaccare le frontiere delle due repubbliche. Le due repubbliche subiscono vittime tra i militari che arrivano, misi dice, a 5-6-7mila morti. Arriva Zelensky, triplica gli attacchi alle due repubbliche».
E ancora: «Disperate, le due repubbliche (...) riescono a parlare con Putin. Dicono: "Vladimir non sappiamo che fare, difendici tu". Lui è contrario a qualsiasi iniziativa, resiste, subisce una pressione forte da tutta la Russia. E allora si decide a inventare una operazione speciale: le truppe dovevano entrare in Ucraina, in una settimana raggiungere Kiev, deporre il governo incarica, Zelensky eccetera, e mettere un governo già scelto dalla minoranza ucraina di persone per bene e di buon senso, un'altra settimana per tornare indietro. È entrato in Ucraina e si è trovato di fronte a una situazione imprevista e imprevedibile di resistenza da parte degli ucraini, che hanno cominciato dal terzo giorno a ricevere soldi e armi dall'Occidente. E la guerra, invece di essere una operazione di due settimane, è diventata una guerra di duecento e rotti anni. Quindi, questa è la situazione della guerra in Ucraina». Poi, come se non bastasse, il giudizio tranchant sui partner «atlantici»: «Oggi, purtroppo, nel mondo occidentale, non ci sono leader, non ci sono in Europa e negli Stati Uniti d'America». Infine, un «non mi fate dire quello che penso di Zelensky» accolto, peraltro, da un fragoroso applauso dai deputati azzurri.
La situazione deflagra a livello internazionale. In Russia le dichiarazioni del Cav vengono rilanciate con toni trionfalistici. A Strasburgo i Socialisti attaccano il Ppe. E se i vertici Popolari si trincerano dietro un no comment, il deputato polacco Halicka chiede a Berlusconi di «rimandare la vodka a Putin che è un criminale di guerra e non un amico». In Italia, invece, nel mirino finisce Antonio Tajani. Da Conte a Letta fino a Calenda, tutta l'opposizione chiede che la Farnesina non sia affidata a un uomo di un partito «ambiguo». A poco servono le retromarce forziste. Berlusconi telefona a Mentana in diretta tv per chiedere che le sue dichiarazioni siano «contestualizzate», e in serata pubblica una lunga nota per denunciare l'utilizzo di «frasi rubate» e di un «dossieraggio intimidatorio» che ha «capovolto il suo reale pensiero». Mentre Licia Ronzulli apre il fronte interno al partito: «È spregiudicato, per non dire criminale, che qualcuno tra i 45 eletti alla Camera riferisca parole del presidente, che andavano contestualizzate». Ma che i gruppi siano spaccati è evidente. Al «falco» Giorgio Mulè, eletto vicepresidente della Camera con 217 voti, e a Maurizio Gasparri, scelto al Senato con 90, mancano almeno una ventina di preferenze dal centrodestra. E c'è chi giura che i franchi tiratori vadano cercati proprio trai forzisti. Magari tra quelli vicini a Tajani e Barelli, marginalizzati negli incarichi di partito. Una situazione balcanizzata, sulla quale a gettare ulteriore benzina, in serata, arriverà la durissima nota di Giorgia Meloni.
Audio di Silvio Berlusconi, individuati i responsabili. Forza Italia: “Ecco i colpevoli”. Il Tempo il 19 ottobre 2022
Dopo la diffusione del primo audio di Silvio Berlusconi e le sue parole su Vladimir Putin è subito partita dentro a Forza Italia la caccia ai responsabili che hanno fornito la registrazione a Lapresse. Ieri è stato pubblicato un altro spezzone riguardante i rapporti con Giorgia Meloni, mentre in giornata sono giunte le dichiarazioni sulla guerra tra Russia e Ucraina e su Volodymyr Zelensky, parole che hanno costretto la stessa premier in pectore a fare una precisazione sull’indirizzo di politica estera del nuovo governo.
Ma intanto dentro il partito azzurro sono stati individuati i nomi di coloro che hanno passato il file ai giornalisti. Fonti di Forza Italia all’agenzia Nova fanno sapere che “gli audio sono stati registrati da due parlamentari non ricandidati alle elezioni dello scorso 25 settembre. Il tutto sarebbe stato registrato durante l’assemblea dei deputati e - aggiunge la comunicazione arrivata dai fedelissimi di Berlusconi - ci sarebbe un terzo spezzone ancora non uscito, sempre riguardante l’Ucraina. Il tutto sarebbe stato fatto per ripicca, con Berlusconi furibondo, che sta pure valutando un intervento televisivo a Porta a Porta”.
Ugo Magri per “la Stampa” il 19 ottobre 2022.
L'ultima tecnica del Cavaliere consiste nel farsi credere un po' scordarello e giustificare così certe enormità che gli scappano dalla bocca. Per esempio: non ci sarebbe niente di vero nel racconto ai suoi deputati e senatori circa lo scambio di doni con Vladimir Putin («Per il compleanno mi ha regalato 20 bottiglie di vodka e una lettera dolcissima»).
Altrettanto falso che Silvio abbia ricambiato il pensiero con del lambrusco e un bigliettino mieloso. Lo scambio di alcolici effettivamente ci fu, certo, però risale al 2008: altri tempi altre bevute. Fonti di Arcore lo declassano a un vuoto di memoria che può capitare ai giovani, figurarsi ai nonni come lui.
Quanto ai contatti con Putin («abbiamo riallacciato i rapporti, anche un po' tanto») pure quelle pare sia tutta farina del sacco berlusconiano. Una sparata tanto per sbalordire l'audience, per catturare un po' d'attenzione. A giudicare dal clamore, il Cav c'è riuscito alla grande, sebbene allo staff non risulti alcun filo diretto, nessun contatto recente col Cremlino, al massimo di rimbalzo; comunque nulla di cui le potenze occidentali si debbano preoccupare specie ora che la destra ha sbancato il governo e Forza Italia rivendica la sua quota di bottino.
Viene fatto notare: Berlusconi non comanda dentro il partito, che è ridotto a un Circo Barnum; figurarsi se può imporre una svolta filo-Putin a Giorgia Meloni, leader volitiva dalla quale viene trattato a pesci in faccia. Nemmeno un fedelissimo come Antonio Tajani lo seguirebbe per quella strada, a Mosca lo sanno.
Come sanno che nei passaggi chiave dell'ultimo quarto di secolo l'uomo s' è sempre schierato con gli Usa. Quando lo Zio Sam ha reclamato prove di fedeltà, ha risposto «signorsì»: sull'Afghanistan, sull'Iraq, perfino sulla Libia tradendo il colonnello Gheddafi. Lo Zar non farebbe eccezione.
Però Putin gli manca. Gli manca eccome. In molti si sono meravigliati del legame tra due personaggi talmente agli antipodi, chiedendosi come possa essere sbocciato del tenero tra un tycoon della Brianza e un gelido agente del Kgb. La risposta è racchiusa nella domanda. Silvio rimase affascinato da certi tratti straordinari, da caratteristiche non banali di Vlad tra le quali, insieme all'intelligenza, spiccava la crudeltà.
Mitico il racconto che fece, davanti a testimoni, di una battuta di caccia in cui Putin gli mise in mano un fucile («Non sapevo nemmeno come tenerlo, me la facevo sotto») e lo portò nel bosco, loro due da soli. Quando passò un cervo, Vladimir «fece pumm e lo ammazzò al primo colpo; poi a balzi corse dall'animale morente, con un coltello gli strappò il cuore e me lo diede perché lo portassi a cucinare; io, senza farmi vedere, lo buttai in un cespuglio».
Però poi gli regalò una carabina di precisione Beretta; e per compiacerlo Berlusconi fece l'inqualificabile gesto del mitra a una giornalista russa che, in conferenza stampa, aveva osato chiedere a Putin se stesse per divorziare (giustamente preoccupata la cronista scoppiò in lacrime). Il business, certo, anche quello. Nei loro incontri si scambiavano dossier su energia, petrolio, automotive, progetti aerospaziali. Fiumi di gas e di miliardi. Gli Stati Uniti a lungo hanno sospettato che ben altro si nascondesse dietro quegli affari.
Ma chi ha conoscenza dei fatti li giudica più fumo che arrosto, fantasticherie con poca sostanza (si pensi al gasdotto South Stream mai realizzato); il Cav portò a casa poco al confronto di altri nostri premier che alla Russia, zitti zitti, hanno spalancato vere autostrade. Non è mai stato nei soldi il segreto del loro feeling.
Sta semmai nella sensazione, per Berlusconi impagabile, di avere trovato in Vladimir un partner, un socio, un complice con cui architettare piani grandiosi, mirabolanti, inconcepibili per le menti normali. Nelle interminabili giornate trascorse insieme a Soci sul Mar Nero, o sulle rive del lago Valdai, oppure in Sardegna a Villa La Certosa, qualche volta con figli e consorti, più spesso e volentieri senza, il Cavaliere si sentiva nell'ombelico del mondo. Per questo adesso soffre che l'amico non gli risponda al telefono, trascuri i suoi consigli, faccia a meno di lui proprio mentre vuole conquistare il pianeta. In attesa di una chiamata lo giustifica e gli copre le spalle, come ai vecchi tempi.
Ilario Lombardo per “La Stampa”’ il 19 ottobre 2022.
Tutto è saltato in aria di nuovo, tutto potrebbe tornare in gioco, nomi, ministeri, quote tra partiti. Lo si intuisce dallo sguardo di Antonio Tajani, mentre attraversa lento e preoccupato il Transatlantico semideserto. Il coordinatore di Forza Italia sa che ora, dopo le parole di Silvio Berlusconi, gli audio rubati e le dichiarazioni in chiaro dell'ex premier, c'è in ballo anche il suo di destino. Da ministro degli Esteri e da vicepremier.
«Io sono un chierichetto, so che se uno entra papa, poi esce cardinale». Prova a scherzarci su, Tajani, sui due ruoli di vertice che sembrano a un passo, ma che potrebbero evaporare se le ferite tra Berlusconi e Giorgia Meloni dovessero incancrenirsi di nuovo. Ci scherza su, consapevole però che la cosa è serissima. Se c'è un equilibrio che non va toccato, è quello atlantico. Se c'è un argomento tabù, è la Russia.
È Vladimir Putin, i suoi legami italiani, le simpatie reciproche che fanno inorridire i partner occidentali. Le bottiglie di Vodka rivendicate con orgoglio da Berlusconi non sono un semplice aneddoto godurioso, ma un brindisi che può affogare in culla il governo Meloni.
E infatti. Puntuale arrivano prima lo sgomento, poi la rabbia della premier in pectore. «Berlusconi potrebbe aver ammazzato Tajani», dicono gli uomini della leader di Fratelli d'Italia. La tesi è: come può il numero due del padre-padrone di FI vestire i panni del ministro degli Esteri, o, se dovessero cambiare i piani, di ministro della Difesa, dopo che il suo capo ha rivelato gli amabili contatti riallacciati con Putin, un paria per America, Regno Unito ed Europa, che tale resterà almeno finché non ritirerà le truppe dall'Ucraina?
La linea di Meloni, consegnata in una riunione ristretta, è di non replicare. Silenzio assoluto, evitare di dare altre sponde alle intemperanze di Berlusconi. Il problema però resta. Il leader azzurro è uno dei tre soci della maggioranza e la futura presidente del Consiglio dovrà portarlo con sé alle consultazioni al Colle assieme a Matteo Salvini, per dare l'idea di una compattezza della coalizione che si sta sgretolando. Per questo, qualcuno dei dirigenti avrebbe suggerito a Meloni di valutare l'ipotesi di andare divisi al Quirinale. Sostenendo che l'imprevedibilità di Berlusconi potrebbe riservare altre brutte sorprese davanti alle telecamere.
Meloni non vorrebbe, ma è furiosa. Anche per quel riferimento dell'ex premier al compagno, Andrea Giambruno, padre di sua figlia, dipendente Mediaset, azienda che fa capo al figlio di Berlusconi, Pier Silvio. Meloni ritiene tutto questo molto volgare. Non vuole credere a un ricatto implicito, ma più di uno dentro FdI ha già evocato il trattamento che subì l'ex alleato di An Gianfranco Fini sulla casa di Montecarlo, attraverso le testate giornalistiche della family di Arcore.
La convivenza di Berlusconi si sta rivelando un incubo, su più fronti. I conflitti di interessi, sulla giustizia - visti i processi a suo carico - e sulle tv di famiglia, sono già una scocciatura non da poco. Ma il tema dei rapporti con Mosca è pura dinamite, tanto più che l'altro partner di governo è Salvini, il leader a cui si deve la scelta di nominare presidente della Camera Lorenzo Fontana, che alla prima intervista ha messo in dubbio le sanzioni contro Putin.
Chi le ha parlato la descrive pronta a tutto. Persino a minacciare di tornare al voto, sicuramente pronta a rimescolare la cabala dei ministeri. C'è chi suggerisce di sostituire Tajani agli Esteri con Guido Crosetto, per rassicurare gli alleati americani. Ma è una reazione a caldo, frutto dell'indignazione collettiva verso Berlusconi.
È probabile, invece, che in squadra entrerà Luca Ciriani, capogruppo in Senato di FdI, mentre sulla Giustizia Meloni è decisa a difendere la scelta dell'ex magistrato Carlo Nordio. La smentita, fatta filtrare dal partito, di aver siglato un accordo con Berlusconi per cedere il dicastero di Via Arenula alla ex presidente del Senato Elisabetta Casellati, potrebbe non bastare. Il presidente azzurro lo ha ribadito ieri ai suoi parlamentari: «La Giustizia tocca a noi».
Una pretesa che nelle prossime ore potrebbe fare da inciampo alla voglia di Meloni di chiudere il più in fretta possibile le trattative e giurare davanti al presidente della Repubblica Sergio Mattarella già questo week-end. Ma serve almeno una giornata senza scossoni, però. Bisogna placare Berlusconi, evitare che i suoi show compromettano la nascita dell'esecutivo di destra.
Berlusconi senza freni cerca il palcoscenico. Meloni furiosa sospende le trattative ed anche la nomina Tajani torna in discussione. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 19 Ottobre 2022.
La presenza di Berlusconi nell'alleanza di centrodestra si sta rivelando un incubo, su più fronti. I conflitti di interessi, sulla giustizia (visti i processi in cui il Cavaliere è imputato) e sulle tv di famiglia, costituiscono già una mina vagante pronta ad esplodere.
Tutto è di nuovo in discussione e potrebbe tornare in gioco, nomine, ministeri, quote tra partiti dopo le esternazioni da “prima donna” mancata (o stagionata) di Silvio Berlusconi. Lo si intuisce dalla faccia di Antonio Tajani, intercettato mentre attraversa lento e preoccupato il Transatlantico della Camera dei Deputati semideserto. Il coordinatore di Forza Italia intuisce che adesso, dopo le esternazioni irresponsabili di Berlusconi, gli audio rubati e le dichiarazioni pubbliche dell’ex premier, adesso anche il suo destino politico è in ballo.
Da quasi certo ministro degli Esteri e vicepremier, adesso di certo non c’è più nulla.”Io sono un chierichetto, so che se uno entra papa, poi esce cardinale”. dice Tajani provando a scherzarci su, riferendosi ai due ruoli di vertice che sembravano conquistati, ma che adesso potrebbero svanire se i veleni di Berlusconi con Giorgia Meloni dovessero continuare di nuovo. Antonio Tajani ci scherza su, ma è ben consapevole che a questo punto la vicenda si fa serissima.
Se c’è un punto che non va toccato, è quello dell’alleanza atlantica. E se c’è un argomento da non sfiorare minimamente, è la Russia, Vladimir Putin, i suoi legami italiani, le simpatie reciproche che fanno inorridire i partner occidentali. Le bottiglie di Vodka rivendicate con orgoglio da Berlusconi non sono un semplice aneddoto goliardico, ma un brindisi che può affogare le aspettative dei forzisti.
“Il ministero della Giustizia alla ex presidente del Senato Elisabetta Casellati. L’accordo è stato trovato assolutamente”. Silvio Berlusconi, lasciando la Camera, si è espresso così ‘assegnando’ senza alcun titolo ed accordo la poltrona di ministro della Giustizia all’ex presidente del Senato. Giorgia Meloni ha dunque detto sì sul nome di Casellati ? “Sì, sì”, ha replicato sicuro il Cavaliere aggiungendo: “Nordio lo incontro per conoscerlo e vedere qual è l’apporto che può dare alla riforma della giustizia“. Solo che la Meloni non ha mai detto di si sulla Casellati alla Giustizia, e Nordio non ha mai nè incontrato, nè ricevuto alcuna indicazione o invito ad incontrare Berlusconi.
Puntualmente emergono prima lo sgomento, quindi la rabbia della premier in pectore vincitrice indiscussa delle elezioni politiche. “Berlusconi potrebbe aver ammazzato Tajani”, dicono gli uomini più vicini alla leader di Fratelli d’Italia. Il punto è questo: come può il numero due del padre-padrone di Forza Italia assumere il ruolo di ministro degli Esteri, o, se dovessero cambiare i piani, di ministro della Difesa, dopo che il suo leader ha rivelato gli amabili contatti riallacciati con Putin, il nemico numero uno per America, Regno Unito ed Europa, e che tale resterà sino a quando non ritirerà le truppe dall’Ucraina?
L’indicazione di Giorgia Meloni affidata ai suoi in una riunione ristretta, è quella di non replicare. Silenzio assoluto, evitare di dare altre sponde alle intemperanze di Berlusconi. Ma il problema resta ed è pesante. Il leader azzurro è uno dei tre soci della maggioranza e la futura presidente del Consiglio dovrà portarlo con sé alle consultazioni al Colle assieme a Matteo Salvini, per dare un’immagine di una compattezza della coalizione che in realtà si sta sgretolando per le gelosie di Berlusconi con la Lega e l’invidia con Fratelli d’ Italia. Per questo motivo qualcuno dei dirigenti avrebbe suggerito alla Meloni di valutare l’ipotesi di salire divisi al Quirinale, preoccupati che l’imprevedibilità ormai ingestibile di Berlusconi, a cui inizia a mancare saggezza ed equilibrio politico, davanti alle telecamere potrebbe riservare altre brutte sorprese.
Giorgia Meloni non vorrebbe salire al Colle divisa dagli alleati, ma in realtà è giustamente furiosa. Anche per quel riferimento dell’ex premier al compagno, Andrea Giambruno, padre di sua figlia, “dipendente Mediaset”, azienda che fa capo alla famiglia Berlusconi. La Meloni ritiene tutto questo molto volgare. E secondo noi e non solo, ha più che ragione. Non vuole credere a un ricatto sotterraneo, ma più di uno dentro FdI ha già ricordato il trattamento che l’ex alleato di An Gianfranco Fini subì sulla casa di Montecarlo, attraverso le testate giornalistiche della famiglia di Arcore, ed i Servizi utilizzati a proprio uso e consumo.
Silvio Berlusconi all’uscita del Tribunale di Bari dove è imputato
La presenza di Berlusconi nell’alleanza di centrodestra si sta rivelando un incubo, su più fronti. I conflitti di interessi, sulla giustizia (visti i processi in cui il Cavaliere è imputato) e sulle tv di famiglia, costituiscono già una mina vagante pronta ad esplodere. La questione dei suoi rapporti con Mosca è puro “tritolo”, tanto più che l’altro partner di governo è Matteo Salvini, il leader a cui si deve la scelta di nominare presidente della Camera Lorenzo Fontana, che alla prima intervista ha messo in dubbio le sanzioni contro Putin .
Chi ha parlato in privato con la Meloni la descrive pronta a tutto. Persino a minacciare di tornare al voto, sicuramente pronta a rimescolare la lista dei ministeri. C’è chi suggerisce di sostituire Tajani agli Esteri con Guido Crosetto, per rassicurare l’ alleanza atlantica. Ma è una reazione a caldo, frutto dell’indignazione generale verso Berlusconi. È probabile che in squadra entrerà Luca Ciriani, capogruppo in Senato di FdI, mentre sulla Giustizia Meloni è decisa e rigida a difendere la scelta dell’ex magistrato Carlo Nordio.
La smentita circolata ufficiosamente di aver siglato un accordo con Berlusconi per cedere il dicastero di Via Arenula alla ex presidente del Senato Elisabetta Casellati, potrebbe non bastare. Il presidente azzurro lo ha ribadito ieri ai suoi parlamentari: “La Giustizia tocca a noi”. E non si discute.
La pretesa di Berlusconi data in pasto ai cronisti, come accordo raggiunto con la Meloni (contrariamente al vero) che nelle prossime ore potrebbe fare da ostacolo alla voglia di Meloni di chiudere il più in fretta possibile le trattative e giurare davanti al presidente della Repubblica Sergio Mattarella già durante questo week-end. Serve però almeno una giornata di chiarezza, senza scossoni. Bisogna frenare le esternazioni di Berlusconi, evitare che i suoi show da avanspettacolo, compromettano ancora una volta la nascita dell’esecutivo di destra.
Redazione CdG 1947
I problemi a livello internazionale dai nuovi audio «pro Putin» di Berlusconi. Luciano Tirinnanzi il 19 Ottobre 2022 su Panorama.
Sono stati diffusi nuovi stralci dei discorsi del leader di Forza Italia in cui di fatto si schiera accanto a Putin e contro Zelensky. E scoppiano le polemiche in Italia ed all'estero. Meloni: «O un governo pro Nato o niente governo». Berlusconi in serata: «Io atlantista».
Saranno pure opinioni personali estorte da un incontro riservatissimo. Ma le frasi pronunciate da Silvio Berlusconi – che vengono fatte uscire a singhiozzo in queste ore convulse dall’Agenzia Lapresse – creeranno inevitabilmente un incidente politico nazionale ed internazionale, giusto a poche ore dall’incarico che il presidente della Repubblica dovrebbe conferire a Giorgia Meloni per la formazione di un governo di centrodestra. Anche perché gli audio di quei commenti sono arrivati alla stampa grazie a un parlamentare luciferino, che - vuoi per ragioni personali o perché è in realtà un guastatore doppiogiochista – ha prima registrato e poi girato quel nastro scottante alla stampa, dove il leader di Forza Italia discetta di politica estera e offre la sua visione agli accoliti forzisti, tendendo a giustificare Vladimir Putin praticamente in ogni passaggio della storia recente e attaccando il presidente ucraino («Zelensky? Lasciamo perdere...» seguito dagli applausi e dalle risatine dei presenti)
Il punto più scivoloso, su cui si crogiolano i cronisti politici, attiene all’infelice commento relativo al fatto che l’Ucraina abbia «buttato al diavolo» il trattato di Minsk per porre fine alla guerra nell’Ucraina orientale, e che un anno dopo abbia cominciato «ad attaccare le frontiere delle due repubbliche del Donbass», triplicando le operazioni belliche. Come se non bastasse, Berlusconi rincara la dose, affibbiando al presidente russo addirittura un apostolato salvifico: «Vladimir non sappiamo che fare, difendici tu» avrebbero pigolato i presidenti delle Repubbliche del Donbass di fronte al titolare del Cremlino, secondo Berlusconi. Al che, Putin avrebbe risposto a quell’appello accorato, e si sarebbe deciso a «inventare l’operazione speciale», che poi altro non è se non l’invasione dell’Ucraina. Ecco perché, secondo il capo forzista, Putin in fondo «è una persona per bene», com’ebbe a dire già qualche tempo fa davanti a un compunto Bruno Vespa nel salotto di Porta a Porta. Mentre sul leader ucraino l’opinione di Berlusconi non è delle migliori: «Zelensky secondo me... lasciamo perdere, non posso dirlo...». Almeno su un fatto, però, l’ex premier ha completamente ragione: «Io non vedo come possano mettersi a un tavolo di mediazione Putin e Zelensky. Perché non c'è nessun modo possibile». Ora, di là dalla disamina geopolitica, dalle strumentalizzazioni e dalle facili ironie sul senatore Berlusconi, il fatto che il fondatore del centrodestra assuma una posizione non in sintonia (per usare un eufemismo) con quella che sappiamo essere quella ufficiale – in ordine: di Washington, dell’Unione Europea, del Partito Popolare Europeo, della presidenza della Repubblica, del governo italiano, del partito di maggioranza Fratelli d’Italia, eccetera – è piuttosto grave, soprattutto per le conseguenze internazionali. Giorgia Meloni si sente giustamente sotto ricatto e per questo ha diramato una nota in cui lascia spazio zero ai dubbi, arrivando persino a ipotizzare di far saltare tutto: «"Su una cosa sono stata, sono, e sarò sempre chiara. Intendo guidare un governo con una linea di politica estera chiara e inequivocabile. L'Italia è a pieno titolo, e a testa alta, parte dell'Europa e dell'Alleanza atlantica. Chi non fosse d'accordo con questo caposaldo non potrà far parte del governo, a costo di non fare il governo". L'Italia con noi al governo non sarà mai l'anello debole dell'occidente, la nazione inaffidabile tanto cara a molti nostri detrattori. Rilancerà la sua credibilità e difenderà così i suoi interessi. Su questo chiederò chiarezza a tutti i ministri di un eventuale governo. La prima regola di un governo politico che ha un forte mandato dagli italiani è rispettare il programma che i cittadini hanno votato». Insomma, tutto rimesso in gioco per la terza volta in tre giorni, anche se la sensazione è che alla fine l'accordo si farà, non fosse altro per mancanza di alternative. Dunque, non saranno certo le parole di Berlusconi a minare la nascita del governo o ad allontanare Roma dalla fedeltà all’Alleanza Atlantica e dal sostegno all’Ucraina. Semmai saranno i singoli parlamentari un minuto dopo che il governo sarà nato a dar vita a quelle bagarre, ribaltoni, fughe verso i gruppi misti, che hanno caratterizzato da sempre la vita parlamentare in quel di Montecitorio (e c’è, da giurarci, ancor prima accadeva a Palazzo Carignano a Torino e a Palazzo Vecchio a Firenze). In tutto questo, immediate, sono arrivate sull'Italia le reazioni estere, poco piacevoli. Non è un caso che domani Antonio Tajani (che forse si sta giocando quella che sembrava una certa nomina al Ministero degli Esteri e non a caso con un tweet si è subito schierato a fianco di Zelensky) andrà a Bruxelles per spiegare ai colleghi del Partito Popolare Europeo che la posizione anche di Forza Italia è filo-atlantista e pro Ucraina, come dimostrato dai voti di Forza Italia a fianco e sempre favorevoli alle decisioni del Governo di Mario Draghi. Diversi paesi e cancellerie comunque hanno già colto la palla al balzo per gettare scredito e dubbi sul Governo Meloni, non ancora nato. Difficoltà internazionali e difficoltà interne. Il tutto con sempre meno tempo a disposizione, per Giorgia Meloni e non solo per lei. Ps. Poco fa Silvio Berlusconi ha condiviso una nota: In 28 anni di vita politica la scelta atlantica, l’europeismo, il riferimento costante all’Occidente come sistema di valori e di alleanze fra Paesi liberi e democratici sono stati alla base del mio impegno di leader politico e di uomo di governo. Come ho spiegato al Congresso degli Stati Uniti, l’amicizia e la gratitudine verso quel Paese fanno parte dei valori ai quali fin da ragazzo sono stato educato da mio padre. Nessuno, sottolineo nessuno, può permettersi di mettere in discussione questo. Non può certamente permettersi di farlo la sinistra, che tante volte è stata dalla parte sbagliata della storia. Tantomeno la sinistra del Partito Democratico, che anche alle ultime elezioni, meno di un mese fa, era alleata con i nemici della NATO e dell’Occidente. Tutto questo però non esisterebbe, se non vi fosse in Italia la pessima abitudine di trasformare la discussione politica in pettegolezzo, utilizzando frasi rubate registrate di nascosto, e appunti fotografati con il teleobbiettivo, con un metodo non solo sleale ma intimidatorio. Un metodo soprattutto che porta a stravolgere e addirittura a rovesciare il mio pensiero, usando a piacimento brandelli di conversazioni, attribuendomi opinioni che stavo semplicemente riferendo, dando a frasi discorsive un significato del tutto diverso da quello reale. La colpa non è degli organi di informazione, ovviamente costretti a diffondere queste notizie, è di chi usa questi metodi di dossieraggio indegni di un Paese civile. Senza questo, non sarebbe necessario ribadire l’ovvio. La mia posizione personale e quella di Forza Italia non si discostano da quella del Governo Italiano, dell’Unione Europea, dell’Alleanza Atlantica né sulla crisi Ucraina, né sugli altri grandi temi della politica internazionale. Lo abbiamo dimostrato in decine di dichiarazioni ufficiali, di atti parlamentari, di voti alle Camere. Interrogarsi sulle cause del comportamento russo, come stavo facendo, ed auspicare una soluzione diplomatica il più rapida possibile, con l’intervento forte e congiunto degli Stati Uniti e della Repubblica cinese, non sono atti in contraddizione con la solidarietà occidentale e il sostegno al popolo ucraino. Del resto alla pace non si potrà giungere se i diritti dell’Ucraina non saranno adeguatamente tutelati.
Zar per una notte. Berlusconi precisa e rettifica, ma non si smentisce mai (e noi italiani nemmeno). Francesco Cundari su L'Inkiesta il 19 Ottobre 2022.
Il Cavaliere parla a ruota libera di Meloni e del governo, ma soprattutto di Putin e della guerra. E come al solito dice quello che molti pensano ma non hanno, giustamente, il coraggio di dichiarare. Tranne Fontana, che purtroppo ce l’ha.
Silvio Berlusconi, come al solito, passa un’enorme quantità di tempo a precisare, puntualizzare e rettificare, ma non si smentisce mai. Non ha mai detto che Giorgia Meloni avesse tenuto un comportamento «supponente, prepotente, arrogante, offensivo», come scritto, a caratteri ben leggibili, nel famoso foglietto fotografato in Senato (quelle erano le opinioni degli altri parlamentari di Forza Italia che lui si era diligentemente appuntato; il suo personale giudizio era «su un altro foglio», ed era, ovviamente, «assolutamente positivo»). Non ha mai avuto l’intenzione di non far eleggere Ignazio La Russa presidente del Senato, e la scelta di non partecipare alla prima votazione – compiuta del resto dai senatori di Forza Italia, com’è noto, indipendentemente dalla sua volontà – sarebbe comunque rientrata alla seconda, perché l’unica cosa che intendevano fare era dare un segnale. E mentre questo articolo va in stampa (si fa per dire) scopriremo certamente che non avrà detto nulla neanche sulla lista dei ministri, su Elisabetta Casellati alla Giustizia al posto di Carlo Nordio, sui suoi battibecchi con Meloni e su tutti gli altri argomenti con cui ieri ha riempito agenzie, telegiornali e talk show.
Soprattutto, stando almeno a quanto prontamente spiegato da una nota di Forza Italia, Berlusconi non ha mai detto di avere riallacciato i rapporti con Vladimir Putin, come rivelato dall’agenzia La Presse, essendosi limitato piuttosto a raccontare «una vecchia storia relativa a un episodio risalente a molti anni fa».
Questa la trascrizione dell’audio pubblicato, subito dopo la smentita, da La Presse: «I ministri russi in diverse occasioni hanno detto che noi siamo già in guerra con loro, perché? Perché forniamo armi e finanziamenti all’Ucraina. Io personalmente non posso esprimere il mio parere perché se poi viene raccontato alla stampa o altro, eccetera, viene fuori un disastro, però sono molto, molto, molto preoccupato. Ho riallacciato un po’ i rapporti con il presidente Putin, un po’ tanto, nel senso che per il mio compleanno mi ha mandato venti bottiglie di vodka e una lettera dolcissima, io gli ho risposto con delle bottiglie di Lambrusco e una lettera altrettanto dolce. Io ero stato dichiarato da lui il primo dei suoi cinque veri amici».
Queste le parole che ciascuno può ascoltare dalla viva voce di Silvio Berlusconi, quattro volte presidente del Consiglio, leader di un importante partito della maggioranza impegnato nelle trattative sulla formazione del nuovo governo.
Del resto, non è un caso che quest’uomo abbia dominato come nessun altro la politica italiana per quasi trent’anni: non perché qualcuno abbia mai creduto alle sue smentite, ma per l’esatto contrario. Nessuno dei suoi elettori si è mai bevuto la storia della nipote di Mubarak, il che non vuol dire affatto che non l’abbiano apprezzata, probabilmente perché convinti che fossero sempre altri, gli odiati avversari, a doverla mandar giù.
Berlusconi è Berlusconi anche grazie alle sue storie e alla sua impudenza, ai suoi qui lo dico e qui lo nego, e proprio per questo è stato ed è ancora oggi capace di rappresentare milioni di italiani, persino più di quelli che poi effettivamente lo votano.
Con il suo stile, ancora una volta, dice quello che molti pensano ma non hanno, giustamente, il coraggio di dichiarare. Tranne Lorenzo Fontana, che quel coraggio purtroppo ce l’ha, e da neoeletto presidente della Camera giusto oggi dice che le sanzioni alla Russia «potrebbero essere un boomerang».
Eppure, nonostante tutto, molto più di Matteo Salvini o di Nicola Fratoianni, è Berlusconi a rappresentare il sentimento profondo di tanti italiani che vorrebbero abbandonare l’Ucraina al suo destino, non per ragioni ideologiche e tanto meno geopolitiche, forse nemmeno per timore della bomba atomica, ma perché intendono il pacifismo semplicemente come il diritto di essere lasciati in pace, e lo considerano l’unico diritto davvero inalienabile.
Berlusconi li rappresenta non nonostante, ma grazie alle sue reiterate smentite, così simili a quelle di tanti altri sostenitori della medesima causa, sempre pronti a scattare gonfi d’indignazione al primo che si permetta di definirli putiniani, solo perché ripetono tutte le balle della propaganda putiniana, così come fino a ieri facevano tanti intellettuali, di destra e di sinistra, con i loro dubbi e i loro distinguo sui vaccini o sul green pass, quando qualcuno si azzardava a dar loro di no vax.
Silvio Berlusconi, in realtà, li rappresenta tutti, da sempre, più e meglio di quanto essi stessi siano capaci di rappresentarsi e di riconoscersi per quello che sono. Ed è per questo, forse solo per questo, che è ancora là.
Putiniani per procura. L’insopportabile ipocrisia di chi dice da mesi le stesse cose di Berlusconi, ma s’indigna se le dice lui. Francesco Cundari su L'Inkiesta il 20 Ottobre 2022
Conte, che appena un mese fa invitava a non dire che il leader russo non volesse la pace, si scandalizza perché il Cavaliere lo definisce, per l’appunto, un «uomo di pace». Ma che differenza c’è tra queste parole e i tanti discorsi sulla «guerra per procura» e l’«oltranzismo atlantico»?
Mentre continuano a uscire spezzoni sempre più inquietanti del discorso pronunciato da Silvio Berlusconi davanti ai parlamentari di Forza Italia, la prima domanda che vien fatto di porsi è come qualificarlo: lo si potrà definire putiniano?
Sinceramente, sarei tentato di rispondere di no. Non perché non pensi che attribuire la responsabilità della guerra a Volodymyr Zelensky, che si sta difendendo, anziché a Vladimir Putin, che attacca, non sia più che sufficiente a meritare il titolo. Ma perché non lo abbiamo ritenuto sufficiente finora, accettando che discorsi dal significato assolutamente identico, appena dissimulato in formulazioni soltanto un filo più furbe, cioè più ipocrite, venissero spacciati per qualcosa di diverso da quello che erano. Pura e semplice propaganda putiniana.
Giuseppe Conte, il leader del Movimento 5 stelle che appena un mese fa dichiarava testualmente: «La pace va costruita, nessuno ci dica che Putin non la vuole» (per la precisione il 6 settembre, dagli studi di Telelombardia), s’indigna oggi perché Berlusconi definisce Putin un «uomo di pace». Facendo cioè esattamente quello che aveva chiesto Conte.
Da giorni la Russia utilizza droni iraniani per uccidere quanti più civili possibile a Kiev e in altre città ucraine lontanissime dal fronte. Attacchi privi della benché minima utilità militare, che hanno l’unico scopo di seminare panico e morte tra uomini, donne e bambini. Putin fa sparare su ospedali e ambulanze, ma soprattutto prende di mira le centrali elettriche, con il trasparente obiettivo di far morire di freddo la popolazione.
Ma tutto questo non viene nemmeno notato, come se non avesse alcuna importanza, tanto meno da parte dei tanti che oggi s’indignano per le vergognose parole di Berlusconi.
Di certo, tutto questo non sembra interferire affatto con le loro disquisizioni sulla necessità di fermare subito le armi e portare le due parti al tavolo del negoziato, perché la pace si fa in due, e non possiamo mica rischiare una guerra nucleare, no? Tanto meno scalfisce i loro ragionamenti quello che nel frattempo accade nelle zone occupate, dove ora Putin ha dichiarato la legge marziale.
Che differenza c’è, se guardiamo alla sostanza, alle premesse logiche e alle conseguenze pratiche, tra quanto dichiarato da Berlusconi e quanto dichiarato da chi continua a parlare di «guerra per procura», a parlare di Zelensky come di una marionetta degli americani, a dire o lasciar intendere in mille modi che il vero motivo per cui alla pace non si arriva è «l’oltranzismo atlantico», l’atteggiamento «bellicista» dell’Europa, l’aggressività della Nato o dello stesso Zelensky (che nei giorni pari è la marionetta degli americani e nei giorni dispari è il vero responsabile dell’escalation, contro il volere degli stessi Stati Uniti).
Che differenza c’è, in concreto, tra quanto dichiarato da Berlusconi e quanto dichiarato mille volte da Conte, dai firmatari del recente appello per un «negoziato credibile» pubblicato su Avvenire (tra cui fior di intellettuali di sinistra), da tutta l’eletta schiera degli opinionisti fissi di La 7 e Fatto quotidiano, da tutti quelli che continuano a denunciare la presunta «subalternità» dell’Italia agli Stati Uniti, all’Europa, alla Nato o ai paesi maggiormente impegnati nel sostegno all’Ucraina, squalificandoli come «bellicisti»? Qual è il succo di tutti questi discorsi, se non che il problema non è fermare Putin, ma fermare Zelensky? E quindi, cos’hanno tanto da indignarsi con Berlusconi, se stanno dicendo, in forme neanche tanto diverse, la stessa cosa?
L’unica differenza, molto labile, è che loro non dimenticano mai di premettere che condannano l’aggressione di Putin, che riconoscono il fatto che c’è un aggredito e un aggressore, e che insomma, come suol dirsi, hanno tanti amici ucraini.
Cosa ha detto Berlusconi su Putin e ministri e cosa vuol dire che ha picconato l’accordo con Meloni. Tommaso Labate su Il Corriere della Sera il 19 Ottobre 2022.
Due dichiarazioni che fanno traballare l’accordo da poco trovato per il nuovo governo. Berlusconi prima dice «ho riallacciato i rapporti con Putin» e poi che Casellati sarà la ministra della Giustizia. Due uscite non gradite a Giorgia Meloni.
Inizia e finisce con due cose dolci, l’una in senso lato, l’altra in senso stretto. La prima, entrando alle 13.41 a Palazzo Madama, è il dichiararsi «assolutamente a disposizione» rispetto all’idea di diventare il consigliere di Giorgia Meloni; la seconda sono le crêpes a cui non resiste mentre la compagna Marta Fascina prende un gelato, il tutto suggellato da una foto sui social network pubblicata alle 18.38.
Nelle 4 ore e 57 minuti che separano i consigli dalle crepes, Silvio Berlusconi trasforma in un incrocio tra «drammatico», «giallo» e per certi aspetti «grottesco» il film della costruzione del governo Meloni. Perché candidamente rivela di «a ver riallacciato i rapporti con l’amico Putin». E perché poi rivendica - come acquisita - l’assegnazione del ministero della Giustizia alla forzista Maria Elisabetta Casellati. Una dopo l’altra, in onda o con la sola voce registrata, l’ex presidente del Consiglio infila una serie di dichiarazioni che riportano l’orologio dello scontro con Meloni al drammatico faccia a faccia di giovedì scorso a Montecitorio quasi cancellando l’accordo di pace siglato a via della Scrofa. Torna altissima la tensione nel centrodestra e l’opposizione va all’attacco.
La cifra stilistica con cui il Cavaliere spazia da un campo all’altro, dal censimento sulla distribuzione dei ministeri alle «lettere affettuose» con Vladimir Putin, ricordano le «picconate» del suo vecchio e compianto amico Francesco Cossiga. Ne basterebbe una sola, quella dell’annuncio (smentito) da Fratelli d’Italia sull’«accordo con Meloni sull’ex seconda carica Casellati al ministero della Giustizia», per far tremare tutti i tavoli della trattativa. Ne arriveranno parecchie altre.
«Se il ministro della Giustizia sarà Nordio? No», risponde Berlusconi a un gruppo di cronisti che lo avvicina al Senato. Quindi non c’è l’accordo? «L’accordo c’è. Meloni mi ha chiesto di incontrare Nordio, “che è bravissimo, magari ti convince”. E io lo incontrerò. Ma sono già convinto sulla Casellati». Sono da poco passate le 15. Il primo dello staff della Meloni che vede il lancio di agenzia sbianca, chiede lumi alla leader e ritorna davanti a un computer con la consegna di smentire. In realtà sarà impossibile correggere in tempo reale tutte le fughe in avanti di un Cavaliere loquace come non mai. Prima di lasciare Palazzo Madama, il leader di Forza Italia - rompendo la consegna del silenzio pubblico sui nomi dei ministri - elenca la sua personalissima lista della delegazione azzurra: Tajani vicepremier e ministro degli Esteri; Saccani all’Università, Bernini alla Pubblica amministrazione, Pichetto Fratin alla transizione ecologica e, per l’appunto, Casellati alla Giustizia. In serata, quest’ ultima riceverà una telefonata di Meloni: «Nulla contro di te ma per la Giustizia ho già deciso».
«Vedo che sopravvivete alle vostre balle. Tutto quello che è stato scritto in questi giorni, compreso l’intervento dei miei familiari, non è vero», argomenta il Cavaliere una volta fuori dal Palazzo. In un pezzo dell’intervista già rilasciata dentro, che però ancora non è stata diffusa, ha dichiarato che «la signora Meloni è amica di mio figlio (Pier Silvio, ndr)», frase che suonerà come una conferma indiretta al lavorio dei familiari per far rientrare le crisi. E ancora: «Anche il suo uomo (Andrea Giambruno, ndr) lavora a Mediaset». Quella formula - «signora Meloni» - ritorna parecchie volte. Tolta, forse, la ricostruzione parziale della vicenda del foglietto con gli aggettivi, «riportavo frasi ascoltate dai miei senatori», versione che il Cavaliere aveva già anticipato a Meloni nel faccia a faccia di lunedì.
Dall’assemblea dei gruppi del Senato arrivano in differita, pubblicati da LaPresse, altri fendenti che Berlusconi indirizza alla «signora Meloni». «Mi ha riso in faccia», spiega il Cavaliere raccontando della trattativa di giovedì scorso, quando chiedeva una compensazione in termini di caselle di governo («Tre ministeri in più») rispetto alle presidenze delle Camere finite a FdI e Lega. Poi il giallo si fa intrigo internazionale: l’amicizia ritrovata con Putin, «mi ha scritto per il compleanno una lettera affettuosa, ho risposto con una lettera altrettanto affettuosa», venti bottiglie di vodka che hanno viaggiato da Mosca ad Arcore, venti bottiglie di Lambrusco che hanno percorso la tratta in senso contrario.
I l prequel del film si gira lunedì sera a cena, a Villa Grande. Presenti, oltre a Berlusconi e Marta Fascina, Licia Ronzulli, Alessandro Cattaneo e Antonio Tajani. Per tutta la sera, il titolare il pectore della Farnesina respingerà attacchi che arrivano da tutti i lati. «Dobbiamo lavorare per arrivare presto al governo», dice lui. «Eccolo, parla già come la Meloni, dice le stesse cose che dice la Meloni», risponderanno a turno gli altri commensali. Sarebbe stata proprio la fidanzata di Berlusconi a suggerire il declassamento della «colomba» Anna Maria Bernini a ministero di fascia B (Pubblica amministrazione) e l’ascesa di Gloria Saccani Jotti, «che sarebbe un ottimo ministro dell’Università». Al momento dei saluti il fronte dei governisti subisce l’annuncio di Ronzulli come prossima capogruppo al Senato. Rimane aperta la possibilità che Paolo Barelli possa fare il capogruppo alla Camera. «Domani vediamo, dai», dice Berlusconi. Ieri mattina l’annuncio che il prescelto è Alessandro Cattaneo. E poi, a seguire, le picconate. Fino alle crepes.
"Se Ucraina entra nella Nato sarebbe la guerra mondiale". L’audio di Berlusconi: “Da Putin lettera dolcissima per il mio compleanno. Meloni? Mi ha riso in faccia, impari a parlare”. Redazione su Il Riformista il 18 Ottobre 2022.
Non c’è pace per Giorgia Meloni e per il centrodestra. Dopo il vertice con Silvio Berlusconi e l’annuncio di salire insieme al Quirinale dal presidente della Repubblica per presentare la nuova, possibile, squadra di governo, è la pubblicazione di un audio esclusivo di LaPresse a creare nuovamente scompiglio nella coalizione che alle scorse elezioni politiche ha ottenuto il 44% dei consensi.
Un audio smentito da Forza Italia che chiarisce le dichiarazioni di Berlusconi su una ripresa dei rapporti con il presidente russo Vladimir Putin. Secondo la versione diffusa dal partito azzurro, l’ex premier “ha raccontato ai parlamentari una vecchia storia relativa a un episodio risalente a molti anni fa”.
LaPresse, tuttavia, ha pubblicato l’audio, relativo all’intervento del Cavaliere alla riunione dell’assemblea di Forza Italia alla Camera per l’elezione dei capogruppo, dove Berlusconi parla al presente, facendo riferimento alla guerra in corso in Ucraina: “I ministri russi hanno già detto in diverse occasioni che siamo noi in guerra con loro, perché forniamo armi e finanziamenti all’Ucraina. Io non posso personalmente fornire il mio parere perché – spiega – se viene raccontato alla stampa viene fuori un disastro, ma sono molto, molto, molto preoccupato. Ho riallacciato i rapporti con il presidente Putin, un po’ tanto”.
Poi racconta il regalo ricevuto per il suo compleanno. Berlusconi è nato il 29 settembre. Non è chiaro se il riferimento è alle 86 primavere festeggiate poche settimane fa o se a un episodio avvenuto in passato. “Putin per il mio compleanno – racconta -mi ha mandato 20 bottiglie di vodka e una lettera dolcissima. Io gli ho risposto con bottiglie di Lambrusco e con una lettera altrettanto dolce. Io l’ho conosciuto come una persona di pace e sensata…”, ha raccontato ancora Berlusconi che parlando del conflitto in Ucraina ha poi aggiunto: “Troppo spesso sentiamo parlare di interventi con bombe nucleari. Dio ci salvi e scampi da questo pericolo. L’Ucraina ha chiesto addirittura di entrare nella Nato. Se entrasse nella Nato la guerra sarebbe guerra mondiale”.
Un passaggio anche sull’incontro di ieri, lunedì 17 ottobre con Giorgia Meloni: “Ieri con la signora abbiamo parlato anche di ministri, che erano quattro e sono saliti a cinque. Ma io ho insistito perché la Lega ha già avuto qualcosa più di noi perché la signora Meloni si è tenuta la presidenza del Senato, e io le ho detto che deve imparare da capo di un governo almeno ad usare il condizionale. Quando parli dei tuoi alleati dovresti dire ‘il Senato mi piacerebbe tenerlo per Fdi’ e non ‘il Senato è mio‘, perché così non si fa”.
Poi aggiunge: “Io ho fatto quattro volte il presidente del Consiglio, e il presidente del Consiglio deve essere aperto e generoso nei confronti degli alleati se vuol tenere unita la coalizione. La presidenza della Camera l’ha data alla Lega e, da che mondo è mondo, in Italia la presidenza del Senato vale due ministeri per chi non ce l’ha, vale un ministero la presidenza della Camera. Quindi noi gli abbiamo chiesto tre ministeri, mi ha riso in faccia, ne ho chiesti due, ha riso ancora, ne ho chiesto uno, ha detto ok. Questa è la situazione che ho trovato“.
Sui rapporti amichevoli con Putin, che da settimane chiede al governo di Zelensky di negoziare la fine della guerra, Berlusconi si era già espresso nel recente passato. Pochi giorni prima del voto dello scorso 25 settembre, il leader di Forza Italia ha dovuto chiarire un suo intervento nella trasmissione “Porta a Porta” su Rai 1 condotta da Bruno Vespa. Le sue parole iniziale sono state: “Putin doveva solo sostituire con un governo di persone perbene il governo di Zelensky”. Poi la precisazione: “Riferivo parole di altri, io contrario ad aggressione Kiev”.
Lo stesso Berlusconi, a poche settimane dall’inizio della guerra, condannò l’invasione di Putin: “Non posso e non voglio nascondere di essere profondamente deluso ed addolorato dal comportamento di Vladimir Putin, che si è assunto una gravissima responsabilità di fronte al mondo intero”. Posizione, almeno inizialmente, contro il governo Draghi anche per quanto riguarda l’invio delle armi: “Siamo in guerra anche noi perché mandiamo le armi” a Zelensky. Poi il dietrofront: “Kiev va aiutata a difendersi”. In altre occasioni Berlusconi, così come Salvini e altri leader politici ed esponenti della classe imprenditoriale, avevano criticato le sanzioni imposte dall’Unione Europea alla Russia a causa delle forti ripercussioni sull’economia italiana.
Berlusconi resta ancora quell’anomalia politica con cui fare i conti. Il Cav vuole esercitare ancora una funzione proprietaria sulla coalizione, reclamando il ruolo di chi decide in ultima istanza. Paolo Delgado su Il Dubbio il 20 ottobre 2022
Non è normale che un papabile ministro della Giustizia venga ricevuto nella villa di un capo partito che con la giustizia ha un conto sempre aperto, presumibilmente per esporgli il suo programma, presumibilmente per ottenere l’approvazione e forse la correzione del medesimo programma e il semaforo verde sulla sua nomina. Non è neppure normale che un leader di partito metta in piazza i propri «dolcissimi» rapporti con un capo di Stato, col quale incidentalmente l’Italia è in quasi guerra, non per invocare un cambio nella politica del suo schieramento ma solo per far valere una minaccia volta a strappare un’importante postazione nel governo. Neppure è normale che, per risolvere una crisi politica, ci si rivolga ai figli del capo riottoso tra cui la pargola che guida le aziende di papà.
Tutto ciò non è normale, più precisamente è in clamoroso contrasto con qualsiasi regola di correttezza politico istituzionale e con ogni chimera di limpidezza politica, e allo stesso tempo è normalissimo, consueto. È la normalità nella quale la politica italiana naviga da tre decenni e dunque quasi non fa più sensazione. È significativo che, nel commentare il braccio di ferro tra Berlusconi e Meloni, nessuno di quelli che avevano strillato a pieni polmoni per decenni denunciando il conflitto di interessi e i criteri di selezione delle cariche in Forza Italia abbia segnalato che proprio quella anomala normalità Giorgia Meloni prova oggi a revocare in dubbio.
Raccontarsi il conflitto Meloni-Berlusconi solo come il braccio di ferro fra un leader in declino che non vuole passare la mano e una giovane in ascesa che fatica a trovare la via diplomatica per far ingoiare all’ex sovrano l’amara pillola non è in sé sbagliato ma non è neppure esaustivo. In ballo c’è molto di più. C’è l’anomalia che, in tandem con l’eterno rifiuto del PdS- Ds- Pd di dotarsi di un’identità politica precisa, ha precipitato il sistema politico italiano nella confusione totale in cui sta annegando. La guerriglia berlusconiana di questi giorni è solo l’ultima incarnazione della anomalia costituita dalla presenza in campo, con ruoli diversi a seconda delle circostanze storiche però sempre determinanti, di un leader sceso in politica per difendere i propri interessi aziendali, costruendosi un partito di cui è sempre stato non solo il leader, per quanto carismatico, ma a tutti gli effetti il proprietario.
Berlusconi non pretende oggi solo il rispetto dovuto al fondatore della moderna destra italiana, rispetto che in ultima analisi gli sarebbe dovuto. Chiede però di esercitare ancora una funzione proprietaria, subordinando la politica ai propri interessi e reclamando il ruolo di chi decide in ultima istanza. La rigidità della leader tricolore si spiega proprio con la consapevolezza di essere impegnata in un braccio di ferro che ha per posta in gioco non questo o quel ministero ma la natura stessa della coalizione che sosterrà il suo governo e dunque i margini di autonomia e la libertà d’azione stessa di quel governo.
In una partita del genere sono possibili tregue, come quella che con ogni probabilità permetterà comunque di formare il governo in tempi brevi. Non è però contemplata una vera pace perché Berlusconi non può permettere che la destra si emancipi dal berlusconismo e perché Giorgia Meloni non può adottare il berlusconismo senza trasformarsi automaticamente in una pedina la cui stella sarebbe destinata a tramontare con la stessa rapidità con cui è sorta.
È dunque facilmente prevedibile che la tensione continuerà a crescere, a tratti in piena vista, in altri momenti sotto pelle, ma a un certo punto, e non in tempi biblici, si dovrà arrivare a una risoluzione, che può passare per un ventaglio limitato di esiti concreti. Il primo è la resa del Cavaliere, che potrebbe rivelarsi inevitabile se l’asse in realtà fragile tra FdI e Lega resistesse ma diventerebbe molto meno probabile ove quell’intesa si spaccasse.
Il secondo è una scissione di Forza Italia che metterebbe fine alla lunga parabola del partito azzurro, anche se in quel caso non è affatto detto che Meloni disporrebbe ancora di una maggioranza. Il terzo esito è un ritorno in tempi piuttosto brevi alle urne e a quel punto tutto tornerebbe in ballo anche se difficilmente Berlusconi potrebbe ripetere il miracolo che lo salvato il 25 settembre. L’ultima ipotesi è un’ennesima formula ambigua, basata su una qualche maggioranza improbabile. È un’eventualità remota nella situazione data. Ma nella politica italiana l’impossibile non esiste.
Berlusconi emulo di Cossiga, fa impazzire i giornali: ma picconare è rischioso. Il leader di Forza Italia dovrebbe sapere che il Quirinale, e quindi Sergio Mattarella, non accetterà un governo dalle basi precarie. Francesco Damato su Il Dubbio il 20 ottobre 2022
Le notizie “da”, ma anche “su” Silvio Berlusconi arrivano ai e sui giornali come le picconate del compianto Francesco Cossiga nell’ultimo anno, all’incirca, del suo settennato al Quirinale: sempre in tempo per sfasciare le prime pagine, far deperire come frutta marcia un bel po’ di articoli, aggiornarli più volte, farne cestinare irreparabilmente alcuni e improvvisarne altri in una rincorsa affannosa fra le redazioni e, spesso, il presidente della Repubblica in persona. Che si compiaceva ogni tanto a telefonare ai quotidiani per verificare gli effetti delle sue sortite, fasi anticipare i titoli e quant’altro.
Alla fine eravamo davvero sfiniti lui e noi, rassegnati a replicare la sera o la notte successiva. Ogni tanto torno a sognarmele quelle notti come in un incubo. E temo che accada anche all’ambasciatore Ludovico Ortona, ottant’anni belli che compiuti, che dalla sua postazione quirinalizia di portavoce doveva paradossalmente assecondare ma al tempo stesso contenere quel fiume in piena che era diventato il Capo dello Stato.
Per sua e nostra fortuna Berlusconi è stato appena rieletto soltanto senatore della Repubblica, ma sta facendo una bella concorrenza, a suo modo, al compianto Cossiga in questo avventuroso avvio della nuova legislatura, montando e smontando tregue più o meno armate, spiazzando persino gli amici, sino a farsi invitare da alcuni di provata fede come Alessandro Sallusti a smetterla per carità, perché – ha stampato Libero in rosso sulla prima pagina- “avanti così finisce male”. Anche per Berlusconi, temo, e non solo per gli altri, a cominciare naturalmente dalla “signora Meloni”, come lui ha ripreso a chiamare con una certa distanza la sua ex ministra della Gioventù in attesa dell’incarico di presidente del Consiglio.
L’attenuante che gli amici del Cavaliere sufficientemente in confidenza come Alessandro Sallusti per invocarlo pubblicamente a fermarsi gli riconoscono in questa piena di sorprese e di rivelazioni, dalla lista dei ministri alle lettere e ai doni di Putin, è che Forza Italia ha ancora bisogno del suo fondatore per non dissolversi. E che il centrodestra, a sua volta, avrebbe ancora bisogno di Forza Italia per non essere tutto e solo destra, costretto dalle circostanze a governare nel passaggio più difficile del Paese, fra emergenze di ogni tipo rispetto alle quali forse impallidiscono anche quelle gestite da Mario Draghi, purtroppo rimosso di fatto anzitempo.
In questa situazione “assicurare entro questa settimana un governo al Paese non è un’opzione, ma un obbligo, un dovere”, ha scritto sul Giornale di famiglia di Berlusconi il direttore Augusto Minzolini ripetendo un po’, se non ricordo male, le parole proprio di Draghi al suo esordio da presidente del Consiglio davanti alle Camere nel 2021.
Ma il problema di Giorgia Meloni in questo avvio – ripeto- di legislatura è di formare appunto un governo, di solida e ben definita maggioranza, dopo un passaggio elettorale col quale si è voluto chiudere la stagione degli esecutivi di una certa anomalia. Il problema non è di formare un governo comunque e di lanciarlo come un oggetto misterioso su un Parlamento dove peraltro una delle due Camere non si è neppure attrezzata alle nuove, ridotte dimensioni con un regolamento aggiornato.
Un simile governo – temo per chi lo volesse mettere nel conto derubricando magari a folclore quello che sta accadendo nel centrodestra non sarebbe permesso da Mattarella, cui spetta di nominarlo, per quanto sollevato – come scrivevo ieri- dalla decisione dello stesso centrodestra di partecipare unito alle consultazioni di rito al Quirinale.
Sul Presidente ucraino: "Lasciamo perdere". Il nuovo audio di Berlusconi sulla guerra in Ucraina: “Putin contrario, ha subito pressioni in Russia: Zelensky aveva triplicato attacchi in Donbass”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 19 Ottobre 2022
“Promettete?”, chiede Silvio Berlusconi ai parlamentari di Forza Italia nel nuovo audio diffuso in esclusiva da Lapresse: chiedeva massimo riserbo ai suoi, riserbo che evidentemente non è stato osservato. La verità di Berlusconi sulla guerra in Ucraina, sulle ragioni dell’amico Vladimir Putin che lo scorso febbraio ha lanciato la sua “operazione speciale” su Kiev. Non una versione inedita tuttavia considerate le parole che l’ex Presidente del Consiglio aveva detto a Porta a Porta in piena campagna elettorale e che già allora avevano scatenato polemiche, e non soltanto in Italia.
“La cosa è andata così: nel 2014 a Minsk, in Bielorussia, si firma un accordo tra l’Ucraina e le due neocostituite repubbliche del Donbass per un accordo di pace senza che nessuno attaccasse l’altro. L’Ucraina butta al diavolo questo trattato un anno dopo e comincia ad attaccare le frontiere delle due repubbliche. Le due repubbliche subiscono vittime tra i militari che arrivano, mi si dice, a 5-6-7mila morti. Arriva Zelensky, triplica gli attacchi alle due repubbliche. Disperate, le due repubbliche mandano una delegazione a Mosca e finalmente riescono a parlare con Putin. Dicono: ‘Vladimir non sappiamo che fare, difendici tu’”.
Lui è contrario a qualsiasi iniziativa, resiste, subisce una pressione forte da tutta la Russia. E allora si decide a inventare una operazione speciale: le truppe dovevano entrare in Ucraina, in una settimana raggiungere Kiev, deporre il governo in carica, Zelensky eccetera, e mettere un governo già scelto dalla minoranza ucraina di persone per bene e di buon senso, un’altra settimana per tornare indietro. È entrato in Ucraina e si è trovato di fronte a una situazione imprevista e imprevedibile di resistenza da parte degli ucraini, che hanno cominciato dal terzo giorno a ricevere soldi e armi dall’Occidente. E la guerra, invece di essere una operazione di due settimane, è diventata una guerra di duecento e rotti anni (sic). Quindi, questa è la situazione della guerra in Ucraina”.
Destinato a far discutere anche il no comment sul Presidente ucraino Volodymyr Zelensky: “Io non vedo come possano mettersi a un tavolo di mediazione Putin e Zelensky. Perché non c’è nessun modo possibile. Zelensky, secondo me … lasciamo perdere, non posso dirlo …”. Il nuovo audio viene pubblicato all’indomani di altre dichiarazioni di Berlusconi sul presumibile prossimo governo di centrodestra e sulla relazione con Putin, amico di vecchia data del Cavaliere, che già avevano fatto discutere.
Berlusconi aveva detto di aver ricevuto bottiglie di vodka e un biglietto “dolcissimo” in occasione del suo compleanno, cui lui aveva risposto a sua volta con bottiglie di Lambrusco e un suo biglietto “altrettanto dolce” – il caso è stato oggetto di discussione questa mattina in Commissione Europea viste le sanzioni per quanto riguarda import ed export con la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina. Parole che rischiano di aumentare le tensioni all’interno della maggioranza: la premier in pectore Giorgia Meloni continua a confermare la sua posizione atlantista.
Il leader di Forza Italia ha descritto nel nuovo audio una mancanza di leadership nel mondo occidentale: “Quello che è un altro rischio, un altro pericolo che tutti noi abbiamo: oggi, purtroppo, nel mondo occidentale, non ci sono leader, non ci sono in Europa e negli Stati Uniti d’America. Non vi dico le cose che so ma leader veri non ce ne sono. Posso farvi sorridere? L’unico vero leader sono io …”.
Berlusconi, dopo la diffusione dell’audio nel corso della trasmissione Diario Politico su La7 ha telefonato in studio chiedendo di precisare “il contesto”, “le parole registrate vanno inquadrate in un contesto più largo di preoccupazione generale, con gli Stati Uniti che hanno disatteso le premesse multilaterali di Trump”. E poi quelle parole erano state pronunciate a una riunione di partito e non un’occasione ufficiale. “Io non posso personalmente esprimere il mio parere perché se viene raccontato alla stampa viene fuori un disastro, ma sono molto, molto, molto preoccupato. Ho riallacciato un po’ i rapporti con il presidente Putin, un po’ tanto”, le dichiarazioni che erano emerse negli audio diffusi ieri.
Berlusconi ha avuto un lungo rapporto di amicizia con Putin. L’ex premier lo andò a trovare nella sua prima visita ufficiale all’estero poco dopo essersi insediato nel 2001. I due si incontrarono poi più volte negli anni successivi e non soltanto per ragioni istituzionali. Numerosi scatti e momenti di quel rapporto sono diventati molto noti, in alcuni casi virali e ricordati ancora oggi. Nel caso delle dichiarazioni rilasciate a Porta a Porta Berlusconi aveva poi precisato di esser stato frainteso per quelle parole. Il nuovo audio si inserisce nelle complicate e turbolente trattative per la formazione di un governo di centrodestra.
Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
Antonio Bravetti per “la Stampa” il 21 ottobre 2022.
Altro che audio «manipolato»: è tutto vero, «un gran pezzo giornalistico». Alessia Lautone, direttrice di LaPresse, difende orgogliosa lo scoop di Donatella Di Nitto, la giornalista che ha pubblicato la registrazione di Silvio Berlusconi. Non fornisce indizi su «finestre aperte» o ex parlamentari rancorosi, ma ragiona: «La leggerezza di Berlusconi è sospetta».
C'è un terzo audio bomba?
«No. Abbiamo il discorso integrale di Berlusconi, venti minuti. Potremmo pubblicarlo solo per dimostrare che non è stato manipolato, come dice qualcuno. Siamo alla follia».
Come lo avete avuto?
«Non lo dirò mai».
Registrato da una finestra, come suggerisce Mulè?
«Non lo dico, ma se davvero ci fossero state delle finestre aperte e tanta gente nella stanza sarebbe stato ancora più surreale per Berlusconi fare quei discorsi».
È la vendetta di qualcuno dentro FI?
«Non lo so. Trovo strano che non si parli del contenuto ma ci si impegni di più per capire da dove viene».
Cosa ha pensato ascoltando l'audio la prima volta?
«Quando ho sentito i passaggi su Putin e quelli sulla vodka e il lambrusco ho capito di avere in mano un grande pezzo giornalistico».
E le risate dei deputati?
«Gli applausi mi hanno lasciato stupita, Berlusconi non lo contraddice mai nessuno. Il grande problema di Forza Italia è che tutti sono scolaretti di Berlusconi, dicono sempre sì».
Perché darlo in due parti?
«Era molto lungo, l'audio era sporco e volevo essere certa che si sentisse bene. Nessuna dietrologia né complotti».
Berlusconi l'ha fatto uscire apposta?
«Quel giorno aveva rilasciato molte dichiarazioni, senza considerare il famoso biglietto su Meloni. Aveva voglia di parlare. Una leggerezza sospetta c'è».
Un disegno per mettere in difficoltà Meloni?
«Lui fa fatica a non dare le carte, gli brucia tanto. Ancora di più con Meloni. La loro è un'incompatibilità caratteriale».
Quante telefonate furiose ha ricevuto da Forza Italia?
«Non ho ricevuto nessunissima pressione».
Qualche politico contento?
«Nemmeno. Hanno paura di finire tra i sospettati».
Jacopo Iacoboni per “La Stampa” il 21 ottobre 2022.
Gazprom, la tv russa, Yukos, i servizi russi. Per capire la connessione tra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin bisogna esplorare questo quadrato e i suoi grandi filoni, alcuni ancora da chiarire nei dettagli, ma certo ogni volta che i due si sono avvicinati, una serie impressionante di alert si è accesa nelle diplomazie e nei servizi internazionali.
Uno, su Gazprom e la rivendita del gas russo in Europa (dall'Austria all'Ucraina, passando per l'Italia) attraverso strati di società complesse che appaltavano una parte dei profitti ad amici personali di Putin. Due, sul ruolo di uomini di Berlusconi nella costruzione della tv di stato del Cremlino e l'infrastruttura di rete delle tv russa. Tre, sull'esproprio putiniano di Yukos, il gigante petrolifero di Mikhail Khodorkovsky, e aziende italiane che ne acquisirono pezzi.
Ma innanzitutto bisogna capire una cosa: i rapporti del Cavaliere con la Russia iniziano da molto prima di questi sciagurati audio contro Zelensky, partono quando l'Urss è ancora in piedi, nella seconda metà degli anni ottanta, e Berlusconi entra a far parte di un network di influenza sovietico, prima che russo.
Secondo Catherine Belton, che ha scritto il libro fondamentale sulla materia, nel 2005 (quando scoppia il caso Centrex, la presunta rivendita di favore di gas russo ad amici del Cavaliere), «gli uomini di Putin stavano ricostruendo relazioni sulla base delle connessioni forgiate tanto tempo prima, nell'era sovietica, quando Berlusconi era stato uno degli intermediari che lavoravano in contatto ravvicinato con il Politburo sovietico».
Belton non è mai stata smentita dal Cavaliere. L'iniziale intento di queste operazioni «era creare una piattaforma dalla quale la Russia poteva cercare di influenzare la politica europea», come ha rivelato a Belton Michel Seppe, un ex capo dell'intelligence austriaca, che un tempo aveva lavorato strettamente con un uomo del Kgb. Di nome Andrey Akimov.
Cosa accade nel 2005? Due uomini di Putin, Andrey Akimov, appunto, e Alexander Medvedev, due finanzieri legati al Kgb (il secondo solo omonimo di Dmitry, il presidente delle esternazioni ultra guerrafondaie di questi mesi), insediati a capo di Gazprombank e del braccio per le esportazioni, Gazpromexport, cominciano a creare una serie di società estere da usare nella rivendita di gas con creazione di fondi offshore e corruzione all'estero. A Berlino Gazprom Germania viene riempita di ex uomini della Stasi. Stessa cosa in Rosukrenergo (piena di ex di Kgb e Stasi), l'azienda a cui viene concessa la rivendita di gas russo in eccesso dall'Ucraina all'Europa.
A Vienna l'uomo chiave del network Akimov-Medvedev è Martin Schlaff, ex agente della Stasi, che aveva lavorato a Dresda (come Putin). In Italia Akimov e i suoi settano una società, Centrex Central Energy Italian Gas Holding, che aveva questa struttura societaria di base: al 41,6 per cento aveva come azionista Centrex e Gas AG (la casa madre a Vienna), al 25 per cento Zmb (la sussidiaria tedesca di Gazprom Export, in pratica il Cremlino), e al 33 per cento due società milanesi, Hexagon Prima e Hexagon Seconda, che avevano il medesimo indirizzo societario a Milano, intestate a Bruno Mentasti Granelli, l'ex patron di San Pellegrino, grande amico di Silvio.
Una commissione parlamentare se ne accorse. L'accordo Centrex, accettato prima dell'estate 2005 dall'Eni (Vittorio Mincato, che non voleva, era stato sostituito con Paolo Scaroni, oggi in pista per il ministero dell'Energia del governo Meloni), a ottobre fu messo in stand by indefinito per i rilievi del Cda e dell'Antitrust. Ma lo schema era chiaro. L'anno successivo Scaroni rinnova fino al 2035 l'appalto di gas da Gazprom, a prezzi non proprio convenienti, se si considera che in quegli anni emergono le potenzialità dello shale gas, e i prezzi si abbassano ovunque.
Parlamentari italiani, anche del partito di Berlusconi se ne lamentarono con l'ambasciata Usa. Tre anni dopo, in un cablo svelato da Wikileaks, l'allora ambasciatore americano a Roma Ronald Spogli scrisse che la vera natura dei rapporti tra Berlusconi e Putin era «difficile da determinare»: «L'ambasciatore georgiano a Roma ci ha detto che il governo della Georgia ritiene che Putin abbia promesso a Berlusconi una percentuale dei profitti da eventuali condotte sviluppate da Gazprom in coordinamento con Eni».
Il Cavaliere ha sempre smentito tutto, ma la cosa arrivò anche al Parlamento europeo, attraverso il report di Roman Kupchinsky. Gli americani lamentavano che le affermazioni putiniane di Berlusconi indebolivano l'alleanza atlantica, e i dialoghi per uno scudo missilistico comune Ue.
Antonio Fallico, il capo di Banca Intesa russa, insignito da Putin della cittadinanza onoraria russa, e uno degli uomini cruciali in varie vicende di influenza del Cremlino in Italia - a partire dal prestito da Banca Intesa a Rosneft per il finanziamento di una tranche della finta "privatizzazione" dell'azienda di Igor Sechin - ha raccontato che Fininvest già a fine anni '80 vinse il lucrosissimo appalto per trasmettere film in prime time sulla tv di stato sovietica. Com' era possibile, senza far parte di un network sovietico?
C'è un uomo poco noto, Angelo Codignoni, che è stato un vero boss di Berlusconi presso Putin, stavolta attorno alla tv e a Yuri Kovalchuk. Un anno fa, da leaks dei Pandora Papers, è emerso che circa due milioni di euro sono finiti dalla Russia su società a Montecarlo di Codignoni. Ma le misteriose consulenze, su cui consorzi di reporter internazionali stanno indagando, sarebbero molte, davvero molte di più.
Massimo Gramellini per il “Corriere della Sera” il 21 ottobre 2022.
Il giallo della non gelida manina che ha diffuso gli audio delle putinate di Berlusconi è già risolto. Sono stato io. Anzi, un po' tutti. Ma davvero, nell'era degli smartphone, esiste ancora qualcuno che, entrando in contatto con qualcosa di interessante, non schiaccia subito il tasto «inoltra» per inviarlo a un amico? Naturalmente a uno solo, e con la promessa che non lo giri a nessun altro: le stesse regole d'ingaggio con cui l'amico lo girerà a qualcun altro.
Fa sorridere questa ricerca spasmodica del colpevole, utilissima a spostare l'attenzione dalle cose che Berlusconi ha detto (e che peraltro aveva già anticipato da Vespa poche settimane prima). «Perché mai un parlamentare di Forza Italia avrebbe dovuto mandare in circolo le esternazioni filorusse del Capo?» si domandano i complottisti. Ma per la stessa umanissima ragione per cui il Capo le aveva pronunciate: illudersi di essere al centro del mondo.
Berlusconi non ha esaltato Putin per far cacciare la Meloni dalla Nato, ma per far sapere a tutti che lui è il miglior amico del leader più temuto del momento. Anche «la manina» ha ragionato allo stesso modo: voleva che tutti sapessero che era lei la depositaria dei segreti di Berlusconi. Dovremmo dunque concludere che, più ancora dei soldi, degli interessi e delle passioni, è il narcisismo a muovere il mondo? Sì. Ormai l'unico modo per non dire una cosa è non pensarla, perché appena la pensi ti viene voglia di dirla. E, appena la ascolti, di condividerla con qualcuno.
(ANSA il 20 ottobre 2022) - "Berlusconi riallaccia con Putin e imbarazza la coalizione": questo il titolo di un articolo che il quotidiano francese Le Monde consacra alla situazione politica dell'Italia, con particolare riferimento alle registrazioni audio dell'ex premier che "perturbano la formazione del governo".
Secondo Le Monde, "questa sequenza potrebbe minare seriamente la credibilità dell'Italia sulla scena europea, in un contesto in cui Giorgia Meloni ha fatto del suo sostegno all'Ucraina e alla Nato una linea forte del suo programma politico".
E ancora: "Antonio Tajani, ex presidente del Parlamento europeo e coordinatore del partito, potrà ottenere il portafoglio degli Affari esteri come era stato previsto? Molti osservatori vedono allontanarsi quest'ipotesi". "Qualunque siano i nomi dei ministri che comporranno il governo di Giorgia Meloni - conclude Le Monde - l'Italia è appena riuscita nell'impresa di un governo non ancora nato ma già in piena crisi".
Annalisa Girardi per fanpage.it il 20 ottobre 2022.
Le ultime affermazioni di Silvio Berlusconi su Vladimir Putin, che stanno causando fibrillazioni all'interno della maggioranza, nono sono passate inosservate all'estero. Diversi giornali stranieri hanno infatti ripreso la notizia. "Berlusconi dice di essersi scambiato una ‘dolce lettera' con Putin", "Berlusconi dice che Putin gli ha mandato della vodka e una dolce lettera", "Berlusconi si è riavvicinato a Putin, gli ha mandato del vino e una dolce lettera": sono solo alcuni dei titoli apparsi nelle principali testate internazionali.
Il Financial Times, ad esempio, ha commentato la notizia scrivendo che queste ultime dichiarazioni del Cavaliere "che suggeriscono il riaccendersi de suo ‘bromance' con Putin, non faranno che riaccendere le ribollenti preoccupazioni sulla direzione della futura politica estera italiana e sull'approccio del Paese alla guerra in Ucraina dopo che il governo di Meloni prenderà il sopravvento".
E ancora, il quotidiano britannico sottolinea come nonostante la leader di Fratelli d'Italia abbia criticato ferocemente l'invasione russa dell'Ucraina, "i due alleati da cui dipende la sua coalizione, Berlusconi e Matteo Salvini della Lega, sono entrambi ammiratori di lunga data di Putin, che hanno messo in chiaro il loro disagio verso la dura posizione dell'Ue nei confronti di Mosca".
Anche Reuters ha riportato la notizia, scrivendo che "Berlusconi spesso si è spesso vantato della sua amicizia con Putin fino all'invasione dell'Ucraina, e ha creato una tempesta il mese scorso quando ha detto che Putin è stato spinto alla guerra per mettere ‘gente decente' al governo a Kiev".
E ancora: "Le relazioni tra la coalizione di destra in Italia e la Russia sono sotto osservazione. Matteo Salvini, leader del partito anti-migranti della Lega, ha spesso elogiato Putin e ha anche indossato una maglietta con stampata la faccia del leader russo". Reuters ha anche citato altre affermazioni di Lorenzo Fontana, neo eletto presidente della Camera, che ha avvertito delle conseguenze che potrebbero avere le sanzioni contro la Russia.
Il quotidiano spagnolo El Pais ha cominciato l'articolo scrivendo che il ritorno di Silvio Berlusconi in Senato dopo nove anni di assenza ha sollevato le polemiche: "Nell'ultima delle sue controversie il protagonista è il presidente russo", si legge. Non solo, il giornale sottolinea come Berlusconi abbia definito il presidente russo come "un uomo di pace".
Infine, il tedesco Die Welt, ha scritto che "l'ex presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, con delle dichiarazioni sull'amico Vladimir Putin ha alimentato ancora una volta i dubbi sulla determinazione del futuro governo ad agire contro Mosca". E ancora: "Alcuni italiani e ucraini sono preoccupati per il sostegno del Paese mediterraneo a Kiev nella guerra contro la Russia, una volta che si sarà insediato il nuovo governo guidato dalla vincitrice delle elezioni Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia, partito di estrema destra. Solo poche settimane fa, Berlusconi aveva affermato che Putin fosse stato spinto ad attaccare".
Da adnkronos.com il 20 ottobre 2022.
"Berlusconi sembra il protagonista di Viva l’Italia. In quel film Michele Placido interpreta un importante politico italiano il quale, dopo una seratina con l’amante, perde qualsiasi freno inibitorio. Così inizia a raccontare verità che mai aveva osato render pubbliche. Tangenti, favori, raccomandazioni, balle raccontate a favore di telecamera". Lo scrive su Facebook Alessandro Di Battista.
"Così Berlusconi, dopo aver mentito per una vita intera, oggi, non solo dice quel che pensa ma osa raccontare alcune verità su quel che è accaduto in Ucraina prima dell’invasione russa che molti altri politici dentro Forza Italia e, più in generale in tutto il centrodestra, pensano ma per la salvaguardia della loro carriera, non hanno il fegato di dire" aggiunge Di Battista.
"Mi piacerebbe adesso ascoltare Tajani (il futuro pessimo ministro degli Esteri) che ultimamente sembra il social media manager di Biden più che un parlamentare della Repubblica italiana. Anche perché l’incontinenza senile di Berlusconi è, paradossalmente, più dignitosa della pavidità di un mucchio di politici che dovrebbero fare gli interessi italiani ma che pensano solo ad ossequiare la NATO", conclude l'ex parlamentare M5S.
(ANSA il 20 ottobre 2022) - "Qualsiasi crisi apre la strada ai leader veri. Mentre il signor Berlusconi è sotto l'effetto della vodka russa in compagnia di 'cinque amici di Putin' in Europa, Giorgia Meloni dimostra quali sono i veri principi e la comprensione delle sfide globali. Ognuno sceglie la propria strada". Lo ha twittato in italiano Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky.
Luca Bottura per “La Stampa” il 20 ottobre 2022.
I prossimi audio di Berlusconi, da oggi nei principali cabaret.
"Zelensky in realtà si chiama Zielinsky e gioca nel Napoli".
"A Putin gliel'avevo detto: butta una bella atomica su Kiev e sono tutti contenti".
"Mio fratello Paolo in realtà non è il vero editore de Il Giornale".
"Non dico la verità dal 1963".
"In confronto a Tajani, Licia Ronzulli è un premio Nobel".
"Non è vero che ho abolito l'Imu".
"I giornalisti cui pago lo stipendio tendono a non essere esattamente aggressivi quando parlano di me".
"Le cene eleganti non è che fossero davvero cene eleganti".
"Il lettone di Putin è arrivato già frequentato".
"Sì, sono io che da 40 anni rincoglionisco gli italiani con le mie televisioni".
"Milano 2 è un posto così noioso che i cigni del laghetto dei cigni si sono tutti suicidati".
"Dell'Utri è quello che pensate voi".
"I miei capelli non sono completamente naturali".
"Salvini in realtà è Davide Mengacci travestito".
"Certe volte il Grande Fratello Vip mette i brividi persino a me".
Dagospia il 20 ottobre 2022. Dall’account facebook di Enrico Mentana
La verità sulle frasi di Berlusconi carpite dagli audio filtrati in questi giorni - per quanto possa sembrare disarmante - è che si tratta semplicemente di quel che il leader di Forza Italia pensa.
Smentite, contestualizzazioni, messe a punto, correzioni sono solo dettate dalle pressanti richieste di collaboratori e alleati, in vista della formazione del governo.
Ma quel che Berlusconi ha raccontato ai deputati di Forza Italia, vincolandoli al più assoluto riserbo, su Putin e Zelensky è parola per parola quello che aveva detto in tv, senza ovviamente vincoli di sorta, da Vespa tre giorni prima delle elezioni.
Nella sostanza - che è ciò che conta - si tratta della narrazione sulla guerra di Ucraina più vicina alla versione russa che si possa ascoltare da un politico europeo, in totale contraddizione con le posizioni del governo ancora in carica e delle deliberazioni parlamentari a cui anche Forza Italia ha dato il suo sostegno.
Poi Berlusconi può rivendicare, atti alla mano, la sua 28ennale adesione ai principi euroatlantici e tutto il resto. Ma nessun altro leader occidentale si vanta di ricevere regali e dolcissimi lettere da Vladimir Putin, e di ricambiare. E nessun altro leader si permette allusioni negative sul presidente di un paese aggredito, dopo averlo accusato di aver provocato la guerra "triplicando gli attacchi alle regioni del Donbass".
Coi riflessi condizionati della politica italiana si prova a ipotizzare quali siano i motivi tattici di queste uscite: contro Meloni, o per andare a un governo a maggioranza diversa, eccetera.
Dovrebbe invece interessare di più il fatto in sé: parlando per la prima volta agli eletti del suo partito, Berlusconi ha fatto un discorso, "impreziosito" dal vincolo di riservatezza, che non avrebbe stonato in quella ormai nota trasmissione del primo canale della tv russa.
Non solo: ha ripetuto tesi che aveva già espresso tre settimane prima, confermando che quella è la sua opinione radicata, altro che sbandamenti o travisamenti.
E fino a prova del contrario quella è la linea di Forza Italia, ascoltati gli applausi e verificata l'assenza di dissensi.
Anche perché quelle tesi, simpatizzanti per Putin, severe con Zelensky, preoccupate per un aiuto agli ucraini che ci porta grandi spese e in cambio un salasso energetico e economico, sono in sintonia con una corrente minoritaria ma ben presente nell'opinione pubblica italiana. In sprezzo a leggi e trattati, in omaggio alla legge del più forte, fedeli a un solo principio, quello del "cosa mi conviene", e magari simulando già il battito di denti per un inverno freddissimo senza gas, nel bel mezzo dell'ottobre più caldo di tutti i tempi.
Estratto dell’articolo di Marco Travaglio per il “Fatto quotidiano” il 20 ottobre 2022.
[…] È dal 2001 che B. è il compare preferito di Putin. E da allora non ha fatto altro che lodarlo come uomo di pace, farci bisbocce nelle sue ville e nelle di lui dacie e asservirci vieppiù al gas russo: prima, durante e dopo l'assassinio Politkovskaja, l'invasione della Crimea, le mattanze in Cecenia, in Siria e in Ucraina.
Il tutto fra gli applausi della stampa di destra e nell'indifferenza di quella "indipendente" (per non parlare di Rep che pubblicava le veline a pagamento del Cremlino nell'inserto Russia Today). Anche il Pd, che ora cade dal pero e si straccia le vesti (anche per le cose vere dette dal fuori di testa nel fuorionda sui rischi mortali che ci fa correre la Nato e sugli otto anni di massacri ucraini in Donbass), era molto distratto: infatti con B. governò tre volte (Monti 2011, Letta 2014, Draghi 2021). Ad agosto, mentre cacciava Conte dal campo largo per lesa draghità e filoputinismo, Letta disse che invece "con Forza Italia abbiamo lavorato bene". […]
(ANSA il 20 ottobre 2022) - "Noi supporteremo qualsiasi governo che abbia un chiaro approccio a favore dell'Ue, a favore dell'Ucraina e a favore dello Stato di diritto. Sono felice che Antonio Tajani sia qui, lui è la garanzia dell'atlantismo di Fi". Lo ha detto il capogruppo e presidente del Ppe Manfred Weber entrando al summit dei Popolari a Bruxelles.
(ANSA il 20 ottobre 2022) - "Incontrerò Tajani, ho parlato con tutti i leader politici italiani e il mio messaggio all'Italia è restare nel cuore dell'Europa, non ho dubbi che lo faccia e sul suo atlantismo" nonché "sul suo supporto all'Ucraina". Lo ha detto la presidente del Pe Roberta Metsola prima di entrare al vertice del Ppe.
(ANSA il 20 ottobre 2022) - "Le parole di Berlusconi non contribuiscono certamente all'unità del Ppe, ho capito che l'audio è stato una fuga di notizie, sarà importante capirne di più". Lo ha detto il premier croato Andrej Plenkovic, arrivando al summit dei Popolari a Bruxelles. Sul punto si è soffermato anche l'ex premier irlandese, Leo Varadkar: "Questo fatto è un problema, ne discuteremo, ho piena fiducia in Tajani", ha detto.
(ANSA il 20 ottobre 2022) - "Conosco Tajani da molti anni, è un convinto europeista e convinto atlantista. E sono convinta che lavorerà per tenere l'Italia al centro dell'Europa". Lo ha detto al presidente dell'Eurocamera Roberta Metsola prima di entrare al summit del Ppe.
(ANSA il 20 ottobre 2022) - L'audio di Berlusconi? "Posso dire che il supporto del Ppe all'Ucraina resta ferreo". Lo ha detto il primo ministro lettone Krisjanis Karins arrivando al summit del Ppe.
(ANSA il 20 ottobre 2022) - "Da quello che sembra, sono convinto che la nuova premier italiana sarà più ragionevole di altri membri della maggioranza...". Lo ha detto il premier lussemburghese Xavier Bettel al suo arrivo al prevertice dei liberali di Renew Europa rispondendo ad una domanda circa le parole di Silvio Berlusconi sull'Ucraina e su Putin. "L'unità" europea nella risposta all'aggressione russa "è stata la nostra forza", ha evidenziato Bettel.
Anais Ginori per repubblica.it il 20 ottobre 2022.
"Non ci stancheremo mai di dire che Putin è un criminale di guerra". Le parole di Manfred Weber sconfessano Silvio Berlusconi e il suo "riavvicinamento" con il leader russo, con tanto di scambio di vodka e lambrusco.
"La Russia ha attaccato nuovamente Kiev con quasi trenta droni, uccidendo innocenti, tra cui una donna incinta", sottolinea il capogruppo del Ppe, di cui fa parte Forza Italia.
"Non passa giorno senza che Putin e il suo regime diano notizie terribili e menzogne" prosegue Weber, intervenendo nella plenaria di Strasburgo, dove il dibattito ha anche toccato le dichiarazioni del Cavaliere. "Putin deve perdere e l'Europa non smetterà mai di sostenere l'Ucraina. Mai. Questo messaggio ci unisce" aggiunge Weber, sancendo di fatto l'esclusione di Berlusconi dalla linea della destra europea di cui fa parte Forza Italia.
Le reazioni nel Ppe
La famiglia del Ppe deve correre ai ripari davanti alle nuove, imbarazzanti dichiarazioni che arrivano da Roma, aggravate dal nuovo attacco a Zelensky diffuso ieri attraverso un nuovo audio. "Penso che le parole di Berlusconi siano tristi per tutti gli europei che soffrono per la tirannia di Putin", commenta il vicepresidente dell'eurogruppo, il portoghese Paulo Rangel, che però le ridimensiona a "opinioni personali" e si appella al "ruolo di garanzia" svolto da Antonio Tajani.
D'altro avviso è un altro deputato del gruppo, l'estone Riho Terras, secondo il quale "è ora che il veterano della politica Berlusconi si ritiri". Il parlamentare polacco Andrzej Halicki è ancora più netto e lancia un invito al Cavaliere: "Rimandi la vodka a Putin che è un criminale di guerra e non un amico".
Il dono di una ventina di bottiglie arrivate da Mosca potrebbero anche, secondo la Commissione, comportare una violazione delle sanzioni che si applicano all'import di beni russi. "Nel quinto pacchetto di sanzioni abbiamo deciso di estendere il bando all'importazione di alcool, che include la vodka" ha spiegato la portavoce Arianna Podestà. "Chiaramente l'implementazione delle sanzioni è responsabilità degli Stati membri e la Commissione lavora con loro in tale implementazione".
La linea della Commissione Ue
Nello scrutare la tormentata formazione del nuovo governo italiano, con il filo putinismo degli alleati di Giorgia Meloni sempre più scoperto, da Bruxelles viene ribadita la linea della Commisione: piena condanna dell'aggressione illegale dell'Ucraina. "Gli Stati membri sono liberi di condurre contatti bilaterali come ritengono opportuno, rispettando però sempre la posizione politica dell'Ue e tra queste c'è il rispetto del diritto internazionale" conclude la portavoce.
Anche il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ricorda: "La posizione dell'Ue è chiara: sosteniamo l'Ucraina, condanniamo la Russia e non accettiamo una guerra ingiustificata". Mentre la capogruppo dei socialisti e democratici europei, Iratxe Garcia Perez, esorta il Ppe a tagliare i legami "con gli amici di Putin, che violano i diritti umani e promuovono movimenti anti-sistema in Europa", la tensione è palpabile nella destra europea.
Berlusconi-Putin, amicizia imbarazzante
L'amicizia rivendicata del Cavaliere per il leader russo diventa sempre più imbarazzante per i vertici del Ppe. E non è un caso che nel giorno in cui si scopre un attacco di Berlusconi a Zelensky, il premio Sakharov sia stato attribuito dal parlamento dell'Ue al popolo ucraino e al leader di Kiev che dal 24 febbraio fronteggia l'aggressione russa. Una decisione annunciata dalla presidente del parlamento Roberta Metsola, dopo la conferenza dei presidenti dei gruppi in cui ha pesato il voto della destra europea decisa a respingere qualsiasi ambiguità nei confronti di Mosca.
Estratto dell'articolo di Micol Flammini per “il Foglio” il 20 ottobre 2022.
[…] Se fino a quel momento i compagni del Ppe erano quasi pronti a chiudere un occhio, le nuove dichiarazioni li hanno costretti a sbarrarli gli occhi, chi incredulo, chi preoccupato, chi furioso. Andreas Schwab, europarlamentare della Cdu, fa parte degli increduli.
L’eurodeputato racconta al Foglio che l’atmosfera in Ue nei confronti dell’esecutivo che deve ancora nascere è di sfiducia, ma lui non è d’accordo: “Devono avere la possibilità di lavorare, per questo mi astengo dal giudicare. Ma con Berlusconi è un’altra questione”.
Schwab dice di aver apprezzato il commento di un collega che “sosteneva che il presidente di FI avesse mandato lambrusco perché non voleva inviare a Putin il miglior vino italiano. Ecco, vorrei poter dire che abbia fatto la scelta del lambrusco perché in qualche modo nutriva dei dubbi sull’opportunità del gesto”.
E forse ci si sarebbe potuti anche fermare a questa battuta se non fossero arrivate le altre dichiarazioni. “Berlusconi non ha parlato per il Ppe in Italia, il partito a Roma ha un altro interlocutore: Antonio Tajani”, dice Schwab per rimarcare che tra i popolari c’è la convinzione che linea di Forza Italia sia diversa da quella di Berlusconi. “Il Ppe è dalla parte della libertà del popolo ucraino, come FI”. […] “Mi piacerebbe poter dire che quelle frasi siano state dette dopo aver bevuto una bottiglia di lambrusco. Ma non va bene, nessuno nel Ppe può condividere certe posizioni”, conclude Schwab.
Silvio Berlusconi, l'imbuto della democrazia italiana. Della "pacifica rivoluzione liberale" annunciata nei suoi governi non si hanno notizie. Né è stata realizzata alcuna riforma delle istituzioni. Assomiglia alla Wanna Marchi della politica italiana: un venditore di nulla a milioni di creduloni. VITTORIO FERLA su Il Quotidiano del Sud il 20 ottobre 2022
QUELLO in corso tra Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni può sembrare, banalmente, il più classico esempio di conflitto generazionale. Un leader anziano ma ancora influente grazie a un manipolo di seggi gioca le sue ultime carte per ostacolare l’ascesa della giovane concorrente che si candida a estrometterlo definitivamente dal suo piedistallo. Ma c’è qualcosa di più.
Silvio Berlusconi è da trent’anni il padre padrone della destra italiana. In virtù di questa primazia, è diventato anche il principale ostacolo allo sviluppo economico e culturale del paese.
Nel 1994 il fondatore di Forza Italia fa il salto in politica con la promessa della ‘rivoluzione liberale’. Nelle sue parole risuona l’eco della rivoluzione condotta dieci anni prima da Margaret Thatcher nel Regno Unito. Durante gli anni 80, il governo conservatore britannico aveva privatizzato la maggior parte delle imprese pubbliche, aveva ridotto drasticamente tasse e spesa pubblica e aveva realizzato un massiccio programma di deregolamentazione del mercato del lavoro e dei servizi finanziari. Thatcher riuscì a resistere per un anno intero allo sciopero dei minatori che si opponevano alla privatizzazione e alla chiusura delle miniere di stato.
E in Italia? Della “pacifica rivoluzione liberale” annunciata da Berlusconi non si hanno notizie. L’obiettivo del capo di Forza Italia è banale: impedire allo Stato di entrare “nella vita privata dei cittadini”. In pratica, dice Berlusconi, lo stato “non ci può chiedere di togliere dai bilanci personali più di un terzo del totale. È un furto se lo stato chiede più della metà. Diventa un’estorsione se chiede più del 60%”. Questa rivoluzione “si può fare solo modificando la struttura dello stato”. La verità è che non se ne fa nulla. Il Cavaliere salva il suo patrimonio personale, ma la pressione fiscale italiana rimane tra le più alte d’Europa.
Né è stata realizzata alcuna riforma delle istituzioni. Nel 1997, la terza Commissione bicamerale per le riforme, frutto del patto tra D’Alema e Berlusconi, prefigura un sistema semipresidenziale ispirato a quello francese con la revisione delle competenze legislative delle due Camere. Dopo aver trovato pure l’accordo sulla riforma elettorale a casa di Gianni Letta (il famigerato ‘patto della crostata’), tutto precipita per il voltafaccia di Silvio Berlusconi. Insomma, dopo decenni di false promesse di liberalismo e di riforme, più che alla lady di ferro Margaret Thatcher, Berlusconi assomiglia, in tutta la sua negativa grandezza, come la Wanna Marchi della politica italiana: un venditore di nulla a milioni di creduloni.
Ma non finisce qui. Le conseguenze delle mancate riforme, sia economiche che istituzionali, appaiono in tutta la loro gravità appena l’Italia deve affrontare le crisi economiche internazionali. Il 4 agosto 2011 lo spread tra BTP-Bund decennali tocca i 389 punti, nell’ambito della crisi finanziaria globale del 2007 e della successiva crisi strutturale italiana del 2011. Così, l’immobilismo conservatore dell’ultimo governo Berlusconi diventa un prezzo troppo alto da pagare per il nostro paese.
Il 5 agosto 2011, al culmine di una drammatica crisi delle borse europee e di un forte ampliamento del differenziale tra i tassi sui titoli italiani e quelli tedeschi, il governatore uscente della Banca centrale europea, Jean Claude Trichet, e quello in pectore, Mario Draghi, scrivono una lettera riservata al governo italiano, indicando una serie di misure da attuarsi al più presto. All’ottemperanza di tali misure viene implicitamente condizionato il sostegno della Bce, attuato attraverso l’acquisto massiccio di titoli di Stato italiani. Sappiamo com’è finita. Il terremoto finanziario globale colpisce l’economia italiana. L’inazione del governo Berlusconi e la perdita di credibilità fa sprofondare l’Italia in un abisso (differenziale dello spread BTp-Bund oltre i 550 punti e titoli pubblici biennali al tasso del 7,25%). Il risparmio degli italiani rischia di andare in malora. Berlusconi diventa un tappo che bisogna far saltare per consentire l’intervento di un governo di emergenza nazionale.
Nonostante il totale fallimento politico e i numerosi guai giudiziari, Silvio Berlusconi si inabissa, ma resiste per dieci anni. E quest’anno ritorna in quell’aula parlamentare dalla quale era stato interdetto. Nel frattempo, molte cose sono cambiate. Tra queste, per esempio, i rapporti di forza tra i diversi partner della coalizione di centrodestra e il rapporto della Russia con l’Europa. Vladimir Putin si rivela per quello che è sempre stato: un despota, refrattario al diritto internazionale e nemico dei valori di libertà dell’Occidente. Così, l’ammirazione e l’amicizia di Berlusconi nei confronti del capo del Cremlino – nate quando il Cav era presidente del consiglio e sospette già da allora – devono essere rilette sotto una nuova luce.
L’atteggiamento del Cavaliere verso lo ‘Zar’ non è – non è mai stato – quello appropriato di un leader liberale e popolare. Popolare, nel senso di membro della famiglia del Partito popolare europeo, erede della tradizione degasperiana. Piuttosto, quella di Berlusconi si rivela oggi sempre meglio come l’attrazione (e, quasi, l’invidia) di un leader populista italiano per un suo omologo più fortunato di lui, in quanto sciolto dai lacci e lacciuoli della democrazia liberale. Le “dolcissime” parole che i due compari si scambiano in questi giorni – con il capo di Forza Italia che denigra la resistenza di Volodymyr Zelensky e ripropone la resa dell’Ucraina alla volontà di potenza del despota di Mosca come unica soluzione alla guerra – ricacciano di nuovo l’Italia indietro di anni. In un colpo solo, Berlusconi spegne i lumi del governo di Mario Draghi, capace di ridare uno standing autorevole al nostro paese. Mentre l’Italia ripiomba nelle tenebre del discredito e del sospetto internazionali.
Dall’altra parte, nonostante la zavorra di una serie di limiti politici e culturali, Giorgia Meloni sta tentando di ricostruire la sua immagine affinché diventi accettabile dai governi dei paesi europei e degli alleati atlantici. La sua posizione sulla guerra in Ucraina è netta: condanna dell’aggressione russa, sostegno al governo di Kiev, solidarietà con le democrazie occidentali, riconferma degli impegni atlantici. Lo sforzo di costruire un esecutivo ispirato alle logiche del buon governo, della competenza e del buon senso vanno apprezzate. L’insieme di questi elementi segnala un tentativo di uscire dal ghetto del populismo di destra più bieco e di intraprendere la strada di un conservatorismo compatibile con il quadro delle alleanze con gli Stati Uniti e con i paesi membri della Unione europea.
Silvio Berlusconi avrebbe l’ennesima occasione per favorire l’evoluzione politico-culturale della destra italiana, accompagnando il processo in corso dentro Fratelli d’Italia, e per non disperdere il patrimonio di credibilità accumulato dal nostro paese durante la breve parentesi del governo uscente. E invece che fa? Sceglie, ancora una volta, di fare il tappo della democrazia italiana, impedendone una positiva evoluzione. Forse, oggi, i “pupazzi prezzolati” svergognati da Mario Draghi hanno finalmente un nome.
Berlusconi-Putin: la dacia, il cuore di cervo. Silvio e il caro «Volodya», quell’attrazione fatale. Goffredo Buccini su Il Corriere della Sera il 21 Ottobre 2022
Il legame ventennale che unisce il Cavaliere Silvio Berlusconi con il leader russo Vladimir Putin
Come nelle favole, si narra a un certo punto addirittura di un cuore di cervo in dono. Tra Silvio e «Volodya», quei due. E insomma è una specie di attrazione fatale: mai spiegata appieno né dalla politica politicante né dagli affari segreti e presunti che pure insospettirono molto il Dipartimento di Stato americano al tempo di Hillary Clinton.
Del resto, per Berlusconi la via più breve tra due punti non è la retta ma il salto mortale: sicché era ineludibile la fascinazione per un maestro della specialità come Vladimir Putin, balzato via Kgb da una sgarrupata kommunalka di Leningrado ai fasti da satrapo del Cremlino. E per l’ex criminale di strada (parole di una delle sue vittime, l’oligarca Mikhail Khodorkovsky) doveva essere irresistibile la malia di un signore italico dalla «coreografia medicea» quale è il Cavaliere, non potendo coglierne il tratto da nouveau riche che tanto fa arricciare il naso ai democratici nostrani e ai loro intellettuali di complemento.
Il resto è razionalità o elogio della follia, dipende dai punti di vista. Nel nuovo eppure eterno putinismo di Berlusconi, fatto di scambi vodka-lambrusco e dolcissime parole, ci sono ragioni forse interne, regolamenti di conti in ciò che resta di Forza Italia: ad usum Ronzulli, per dire, perché Tajani intenda e magari inciampi sulla via della Farnesina. Ma ci sono conseguenze esterne, assai gravi per il governo di Giorgia Meloni che verrà: Tass e Ria Novosti fanno già festa rilanciando le frasi al miele del nostro antico premier sul dittatore moscovita, «amante della pace», con tanti saluti a Zelensky, all’America e alla nostra postura internazionale dell’era di Mario Draghi. Imputare le esternazioni all’età è, oltre che un po’ canagliesco, pure improvvido, perché sempre Berlusconi ha straparlato, a sessanta come a ottantasei anni, sempre mirando però in ogni fuor d’opera a un bersaglio preciso, studiato.
Qui due sfere s’intersecano, come sempre è stato nelle sue relazioni, fatti suoi e fatti nostri, fino a diventare la stessa cosa. Galeotta fu Pratica di Mare, il trattato del 2002 che Silvio rivendica come una Yalta del nuovo millennio, avendo messo attorno a un tavolo un Bush Junior annichilito dall’11 settembre e un Putin ancora stordito dalla vertiginosa caduta della madre Russia a rango di mendicante: ciascuno vedeva nell’altro una scialuppa di salvataggio e il premier italiano si preoccupò di apparecchiarne il desco. Erano i tempi, oggi fantascientifici, in cui il Cavaliere immaginava una Russia nell’Unione europea, «la sua posizione naturale accanto alle democrazie occidentali» (sic): certo non potendo scrutare il buio nell’anima dell’amico Volodya che dall’infanzia portava con sé il ricordo di quel ratto di Leningrado il quale, sentendosi messo all’angolo, gli saltò al collo come una tigre. Putin si è sempre sentito quel ratto, in fondo. E tuttavia l’incontro con Berlusconi ne ha a lungo ammansito la ferocia, è innegabile. Per amore o per soldi.
I due si sono scambiati per vent’anni così tanti ammiccamenti e regalini zuccherosi che, non fossero due maschi affetti da machismo conclamato, farebbero sollevare il sopracciglio al nostro nuovo presidente della Camera. E invece. Eccoli nella dacia di Valdaj assieme a uno che non passava per caso, l’ex cancelliere tedesco Schroeder, presidente pagato a peso d’oro del Consorzio North Stream: ad allietarli, le ragazze dell’Armia Putina, l’Armata di Putin, camicia bianca e slip, torta cioccolato e panna, roba che le Olgettine sarebbero apparse Orsoline. Eccoli a tracannare vino che a noi servirebbe un mutuo per annusarlo. Silvio che dona a Volodya un piumone con la foto di loro due. Putin che ricambia con il lettone reso poi celebre da Patrizia D’Addario. Silvio che spiega urbi et orbi come Volodya sia «un dono del Signore alla Russia». E l’amico che lo difende quando in Italia montano gli scandali: «Fosse gay non lo toccherebbero, è sotto processo per invidia, perché vive con le donne…». Insomma, l’intesa è tale da far superare al nostro «Unto dal Signore» qualsiasi gelosia verso l’amato autocrate che annovera addirittura nella regione di Nizhny Novgorod una setta da cui è venerato quale reincarnazione di San Paolo.
Il dubbio che sotto tanta melassa ci sia ben altro balena nella testa della segretaria di Stato americana Hillary Clinton nel 2009, quando chiede ai suoi ambasciatori «quali investimenti hanno fatto i due che possano in qualche modo guidare le loro scelte politiche ed economiche». Agli atti c’è già lo strabiliante caso di un amico di Berlusconi esperto in acque minerali ma arrivato a un passo dall’intermediare affari miliardari col colosso energetico russo Gazprom nel 2005, il sospetto (mai provato) di affari comuni in Kazakistan, la sponda italiana nella spoliazione degli asset della Yukos, la compagnia di Khodorkovsky rivale di Gazprom. Di certo quelli sono gli anni in cui la nostra dipendenza energetica da Mosca s’impenna. Conosciamo tramite Wikileaks i devastanti cable spediti nel 2010 a Washington dall’ambasciatore a Roma, Reginald Spogli: «La voglia del primo ministro Berlusconi di essere percepito come un importante giocatore europeo in politica estera» sta portando l’Italia a «sostenere gli sforzi russi di danneggiare la Nato (…). Il suo preponderante desiderio è rimanere nelle grazie di Putin e ha frequentemente dato voce a opinioni e dichiarazioni che gli sono state passate direttamente da Putin».
Parole gravi. Che prescindono tuttavia dall’italico genius loci, incomprensibile al candore degli americani: la machiavellica doppiezza, nostra unica speranza in questo pantano. Putin regalò il famoso cuore di cervo ancora grondante di sangue a Silvio, dopo averlo strappato dal petto della povera bestia uccisa in una partita di caccia a due, solo loro, senza scorta: «Per te, amico mio». Pare che il nostro eroe inorridito, al sentiero dopo, lo gettò non visto nel primo cespuglio. Alla fine, non si sa per conto di chi o di cosa, lui li frega sempre, o così si spera. Citofonare Gheddafi.
La manina. Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 20 ottobre 2022.
Il giallo della non gelida manina che ha diffuso gli audio delle putinate di Berlusconi è già risolto. Sono stato io. Anzi, un po’ tutti. Ma davvero, nell’era degli smartphone, esiste ancora qualcuno che, entrando in contatto con qualcosa di interessante, non schiaccia subito il tasto «inoltra» per inviarlo a un amico? Naturalmente a uno solo, e con la promessa che non lo giri a nessun altro: le stesse regole d’ingaggio con cui l’amico lo girerà a qualcun altro. Fa sorridere questa ricerca spasmodica del colpevole, utilissima a spostare l’attenzione dalle cose che Berlusconi ha detto (e che peraltro aveva già anticipato da Vespa poche settimane prima). «Perché mai un parlamentare di Forza Italia avrebbe dovuto mandare in circolo le esternazioni filorusse del Capo?» si domandano i complottisti. Ma per la stessa umanissima ragione per cui il Capo le aveva pronunciate: illudersi di essere al centro del mondo. Berlusconi non ha esaltato Putin per far cacciare la Meloni dalla Nato, ma per far sapere a tutti che lui è il miglior amico del leader più temuto del momento. Anche «la manina» ha ragionato allo stesso modo: voleva che tutti sapessero che era lei la depositaria dei segreti di Berlusconi. Dovremmo dunque concludere che, più ancora dei soldi, degli interessi e delle passioni, è il narcisismo a muovere il mondo?
Sì. Ormai l’unico modo per non dire una cosa è non pensarla, perché appena la pensi ti viene voglia di dirla. E, appena la ascolti, di condividerla con qualcuno.
Cameriere, lambrusco! I social ci hanno privato della capacità, che già era deficitaria, di considerare i contesti (e Berlusconi). Guia Soncini su L'Inkiesta il 21 ottobre 2022
È mai possibile che ci voglia Tajani per ricordarci che se Silvio la spara grossa, anche sul vino regalato a Putin, non va preso alla lettera?
Se vivi abbastanza a lungo, ti ritrovi a dar ragione a Tajani. Se te l’avessero detto quando avevi poco più di vent’anni – e Antonio Tajani era il portavoce di Berlusconi, che a vent’anni ti sembrava il principale problema di questa derelitta nazione – avresti riso fortissimo.
Ho già scritto di avere opinioni che non condivido: in me convivono una tossica delle intercettazioni che legge con bramosia un po’ tutto ciò che non era stato detto per venire ascoltato dal pubblico – da Carlo e Camilla a Falchi e Ricucci – e una moralista che sa che se ti mancano il tono e il contesto e i rapporti tra gli interlocutori non potrai che equivocare ciò che ascolti e leggi e che non era stato detto perché tu lo ascoltassi e lo leggessi.
Quindi in questi giorni sono scissa tra me stessa e Tajani. Me stessa è quella che ascolta con voluttà Berlusconi che racconta d’aver mandato a Putin del lambrusco (quello in offerta al Carrefour a cinque euro e 99, spero), nei monologhi registrati a una riunione di Forza Italia e pubblicati da un’agenzia di stampa. Tajani è quello che fa un tweet che tutti giudicano imbarazzato, e io valuto sia un trattato sul mondo che abitiamo: un mondo in cui tutto l’inedito diventa prima o poi edito, in cui tutti hanno in tasca telecamere e registratori e tutto ciò che dovrebbe essere privato diventa presto o tardi pubblico.
Il tweet di Tajani era questo: «Domani sarò al Summit del @epp per confermare la posizione europeista, filoatlantica e di pieno sostegno all’Ucraina mia e di @forza_italia. In tutte le sedi istituzionali non è mai mancato il nostro voto a favore della libertà e contro l’invasione russa». Vi consiglio di annotarvelo, «in tutte le sedi istituzionali», perché un giorno o l’altro a tutti noi toccherà usarlo come linea di difesa.
Al telefono col tuo amante devi essere impeccabile quanto in diretta sulla Bbc? Conta quel che diciamo a cena o quel che diciamo in parlamento? (Ora mi diranno che era una riunione di partito, mica una cena o una telefonata con l’amante: è faticosissimo scrivere per lettori determinatissimi a non capire mai niente).
Una sera della settimana scorsa ho discusso per lunghi quarti d’ora con un elettore di sinistra davvero convinto che esista il pericolo fascista (è circa la sessantesima volta che ne è convinto negli ultimi trent’anni). Era parecchio su di giri, e continuava ad accusare me e altri di non capire la deriva autoritaria e il fatto che la democrazia sia a rischio. Tuttavia persino lui – molto meno scettico di noialtri convinti di vivere in un posto troppo cialtrone per riuscire ad accroccare una dittatura – a un certo punto è sbottato, ha smesso il tono che avrebbe tenuto in diretta televisiva o in sede istituzionale, e ha detto quel che si dice nelle cene private: «Questi sono talmente stronzi che neanche ci faranno la flat tax».
Anche questo l’ho già scritto (prendetevela con la cronaca, che mi costringe a ripetermi): non c’è convinto elettore di sinistra – tra quelli che frequento io: benestanti – che non si sia preparato alla vittoria della destra rallegrandosi perché almeno ci avrebbe guadagnato la flat tax. Lo direbbero in un’intervista? Certo che no. Potrei io pubblicare gli audio delle cene e sputtanarli? Certo che sì. Verrei, in questo caso, considerata una cafona che non sa valutare i contesti e i toni? Probabilmente no: è sempre più scivoloso il confine tra maleducazione e schienadrittismo, in un posto che quanto a giornalismo è sempre stato così scarso da, quando è arrivato il Gabibbo, scambiarlo agevolmente per Carl Bernstein.
I social questa incapacità di considerare i contesti l’hanno peggiorata. Me ne sono ricordata di recente, a causa di una polemica su Roman Polanski. Sua moglie, Emmanuelle Seigner, ha dato un’intervista in cui ha detto che suo marito non aveva nessun bisogno di stuprare: c’era la fila di donne disposte a dargliela. «La fila» mi ha ricordato il tweet che fece di me lo scandale du jour per tre quarti d’ora nell’autunno 2017.
Il tweet faceva così: «Sogno un pezzo su Weinstein d’una sola riga: quello sarà un vecchio porco, ma voi gliela tiravate con la fionda, finché pensavate servisse». Essendo un tweet, non approfondiva tutto quel che si sarebbe potuto approfondire: che, come sa chiunque andasse ai festival cinematografici negli anni Novanta, le stanze d’albergo di Weinstein erano più assediate di quelle degli attori bellocci; e che quindi, a voler fare un’indagine sociale, non si possa che partire da lì: perché uno con la fila di ragazze disponibili si riduca a violentare le indisponibili, e quanto il condizionamento sociale del MeToo abbia poi indotto anche le già disponibili a urlare tardivamente allo stupratore.
Negli anni successivi qualche articolo che indagava la scivolosità del consenso nel caso Weinstein è uscito, ma in quelle settimane si poteva scrivere solo che quello era un porco schifoso e le donne ontologicamente tutte vittime sempre.
Qualche settimana dopo quel tweet, pubblicai sul New York Times un editoriale sui limiti del femminismo italiano. Fu allora che Asia Argento (vi ricordate il quarto d’ora in cui Asia Argento fu guida morale della nazione? Che tempi meravigliosi abbiamo attraversato) e i suoi accoliti, indignati per il mio tweet, chiesero al NYT di ritirare il mio articolo. Ma non è della meravigliosa ipotesi che un giornale americano facesse ritirare le copie dalle edicole e dicesse «Scusateci, la persona di cui abbiamo pubblicato un’opinione non ha diritto ad avere un’opinione», che voglio parlare ora.
È dell’indignazione con cui un assortimento di Vongola75 mi scriveva «ora non vorrai cavartela dicendo che era una battuta». E cosa ti sembrava, di grazia? Un discorso alla nazione? Una lettera d’amore? Una proposta di legge? Quand’è stato che abbiamo smesso di riconoscere i registri lessicali e i contesti? È su Twitter: certo che è una battuta.
Com’è successo che ci voglia Tajani per ricordarci che uno divenuto famoso per l’arte dello spararla grossa, se racconta ai suoi accoliti di aver mandato a Putin il lambrusco (all’apposita casella postale in cui Putin riceve gli omaggi, immagino), non va preso proprio proprio alla lettera? Quand’è che ha cominciato a contare la tua privata eccitazione per la flat tax, e non il fatto che tu al seggio elettorale, e nei posizionamenti pubblici, e negli editoriali che scrivi, stia dalla parte opposta? È successo prima o dopo che cominciassimo a rinfacciare alla Meloni di non essere sposata come si vorrebbe da una devota cristiana? Siamo proprio sicuri che questo faccia di noi gente seria e coerente, e non la polizia morale?
Da liberoquotidiano.it il 20 Ottobre 2022
Silvio Berlusconi ha un piano in testa. Ne è convinto Vittorio Feltri, che in collegamento con Myrta Merlino a L'aria che tira, a La7, dà la sua lettura su quanto accaduto nelle ultime ore. Gli audio rubati al leader di Forza Italia nel corso dell'incontro con i deputati azzurri a Montecitorio, con le parole pesanti su Putin, Russia, Ucraina e Zelensky, risponderebbero a un disegno ben preciso.
In studio dalla Merlino Goffredo Buccini del Corriere della Sera anticipa il tema: "Berlusconi mira sempre a qualcosa, dietro all'ammuina tiene sempre grande sostanza, non poteva non sapere che su 45 persone e assistenti uno che accenda il cellulare è molto difficile non trovarlo", insinua il cronista politico. E Feltri va dritto al punto: "Berlusconi non è cretino, si è accorto che sui ministri non tocca palla e ha deciso di puntare a qualcosa di più grande".
Cosa? Diventare l'uomo della pace, "una impresa che lo trasformerebbe non in eroe dell'Italia ma eroe del mondo", chiosa Feltri. "Mi sono giunte notizie in questo senso", spiega Feltri: Berlusconi avrebbe intenzione di volare a Mosca e diventare il mediatore con Vladimir Putin, per convincerlo a siglare perlomeno una tregua con Volodymyr Zelensky. Da qui, il sospetto delle sue uscite particolarmente spericolate sulla guerra in Ucraina e i giudizi morbidi sul capo del Cremlino.
Una posizione che non sarebbe dettata solo dalla vecchia amicizia personale. "Sì ma a nome di chi lo farebbe?", chiede Buccini. "A nome di se stesso, è chiaro", conclude il ragionamento Feltri. E le parole del Cav ricordate da Vittorio Sgarbi, "sarei il miglior ministro degli Esteri possibile", suonano oggi tutt'altro che una boutade.
STORIA DELLA «STRANA COPPIA». Berlusconi e Putin, un audio d’amore durato vent’anni. DAVIDE MARIA DE LUCA su Il Domani il 20 ottobre 2022
Non ci sono solo le registrazioni uscite in questi giorni: per tutta la campagna elettorale Berlusconi ha difeso il suo amico Putin e accusato gli ucraini di aver provocato la Russia.
Non è una sorpresa per chi conosce la relazione tra i due: dopo essersi conosciuti al G8 di Genova tra loro è nata un’amicizia personale che ha avuto spesso conseguenze politiche.
È una relazione che nessuna invasione o crimine di guerra sembra poter intaccare: Berlusconi associa a Putin quello che considera il più alto momento della sua carriera politica e questo ha creato tra loro un legame indissolubile.
La pubblicazione degli audio in cui Berlusconi parla in toni amichevoli di Vladimir Putin e accusa il presidente Volodymyr Zelensky di aver provocato l’invasione del suo paese ha suscitato commenti di indignato stupore. È difficile distinguere quanto siano sentimenti genuini e quanto siano dettati dal tentativo di parte di Giorgia Meloni di costringere il suo riottoso partner di coalizione a una serie di umilianti passi indietro.
Ad esempio, sembra che in molti dalle parti di Fratelli d’Italia abbiano dimenticato che il 22 settembre, tre giorni prima del voto, Berlusconi diceva a Porta a porta più o meno le stesse cose riportate negli audio carpiti: Putin avrebbe lanciato l’attacco dopo essere stato informato da una delegazione del Donbass degli attacchi ordinati da Zelensky che avevano causato «16mila morti». La verità è fino ad che Berlusconi non ha mai nascosto la sua ventennale “relazione speciale” con il presidente russo Putin – e fino ad oggi gran parte dei suoi alleati non ha avuto nulla da eccepire.
DALLA PARTE DELL’AGGRESSORE
Berlusconi ha sempre avuto difficoltà a criticare Putin, non importa quanto criminali fossero le sue azioni. Dopo l’invasione dell’Ucraina, ad esempio, ha trascorso 38 giorni giorni in silenzio prima di condannare «la criminale aggressione russa» senza mai nominare suo vecchio amico. C’è voluta la scoperta delle fosse comuni di Bucha per fargli dire di essere «profondamente deluso» dal comportamento di Putin.
In poche settimane, però, è tornato sui suoi passi. A metà maggio, già parlava dei rischi economici delle sanzioni, accusava Stati Uniti ed Europa di intransigenza e l’Italia di essere di fatto entrata in guerra fornendo armi all’Ucraina. Per il resto dell’estate Berlusconi ha continuato a chiedere la pace, in termini altrettanto espliciti di qualsiasi “putinista” inserito nelle famigerate liste pubblicate dai giornali. A maggio, ad esempio, diceva che bisognava «far accogliere agli ucraini le domande di Putin».
È lo stesso canovaccio che Berlusconi ripeteva nel 2014, durante la prima invasione dell’Ucraina. In quell’occasione, Berlusconi è volato nella regione recentemente annessa della Crimea e ha festeggiato il colpo di mano bevendo insieme a Putin una bottiglia di vino vecchia di 260 anni considerata dagli ucraini patrimonio nazionale.
Ancora prima, nel 2008, era stata la Georgia aggredita dalla Russia a ricevere questo trattamento. In quell’occasione, il ministro degli Esteri del suo governo, Franco Frattini, aveva pronunciato la memorabile frase: «Noi diciamo cessate il fuoco subito, integrità territoriale della Georgia, ma diciamo anche rifiuto delle armi per difendere l'integrità territoriale».
«LA STRANA COPPIA»
Berlusconi si schiera da sempre con la Russia per via del suo fiuto per la politica interna, ci sono molti più italiani scettici sulla posizione ufficiale sulla guerra di partiti che li rappresentano, per ragioni di realpolitik internazionale, che vanno dalle forniture energetiche agli effetti delle sanzioni sulle imprese italiane, ma almeno ci sono almeno altrettante ragioni umanissime e personali.
Nel 2015, dopo aver intervistato Putin, Berlusconi e una serie di loro importanti collaboratori, il giornalista Alan Friedman li ha battezzati «la strana coppia»: l’imprenditore playboy e l’austero ex agente del Kgb (nel frattempo, la scoperta dei giganteschi palazzi che Putin si è fatto costruire hanno rivelato che forse i due hanno in comune anche il gusto per gli eccessi kitsch).
Nella sua biografia di Berlusconi, Friedman scrive che i due si sono incontrati per la prima volta al G8 di Genova nel 2001. Già nel 1994 Berlusconi si era dimostrato uno dei leader europei più filo-russi, un orientamento che non dispiaceva affatto alla diplomazia italiana. Il nostro paese ha una lunga tradizione italiana di collaborazione con l’Unione sovietica (nella città russa di Togliatti c’è ancora l’impianto costruito dalla Fiat negli anni Settanta) che dopo la caduta del muro di Berlino si è trasformata nell’asse italo-tedesco per una maggiore integrazione internazionale della Russia in cambio di forniture di energia a buon prezzo. Ma a Genova nel 2001 gli interessi nazionali si sono mischiati con l’amicizia personale. In 19 mesi tra 2001 e 2003, Friedman ha contato otto incontro tra i due, a cui si aggiungono le vacanze delle figlie di Putin a Villa Certosa e la tradizione dello scambio di regali in occasione dei reciproci compleanni (distanti solo un paio di settimane) che, come confermano i famigerati audio, è proseguita anche quest’anno.
Il culmine dell’amicizia tra i due è l’ormai mitologico incontro nella base militare romane di Pratica di Mare, dove Berlusconi ha fatto incontrare Putin con George W. Bush in occasione del primo storico accordo di collaborazione tra Nato e Russia. Come Berlusconi ha ripetuto un numero ormai incalcolabile di volte, quell’incontro simboleggerebbe la fine di cinquant’anni di Guerra fredda. Più modestamente, gli storici lo ritengono il punto più alto raggiunto nelle relazioni tra Russia e Nato, quando sembrava se non probabile, almeno possibile l’ingresso della Russia nella Nato. La storia poi, come sappiamo, ha preso un altro corso.
Ma per Berlusconi, quel momento non è mai finito. «Di tutte le cose che ho fatto nella mia vita, questa è probabilmente quella di cui sono più orgoglioso», ha raccontato Berlusconi a Friedman. E questa è probabilmente la chiave di tutta la storia. Le fondamenta della strana coppia non affondano nella geopolitica o nella realpolitik, nemmeno nei loschi affari o nei party selvaggi insinuati dai messaggi dei diplomatici americani rivelati da Wikileaks. Non è chiaro nemmeno quanto davvero il rapporto sia reciproco se è vero quanto raccontato da Berlusconi, ossia che da febbraio Putin non gli ha mai risposto al telefono nonostante molteplici tentativi. Probabilmente, alla base del rapporto c’è la più grande ossessione di Berlusconi: sé stesso. E di fronte a questo, non ci sono Meloni, governi, Nato o ucraina che tengano.
DAVIDE MARIA DE LUCA. Giornalista politico ed economico, ha lavorato per otto anni al Post, con la Rai e con il sito di factchecking Pagella Politica.
Concetto Vecchio per repubblica.it il 21 Ottobre 2022
Paolo Guzzanti, ha capito quale è il disegno di Berlusconi?
"Azzoppare Giorgia Meloni direi".
Ma non devono fare il governo insieme?
"Non è detto".
Come non è detto?
"Meloni, con l'elezione di La Russa, ha dimostrato che può fare a meno dei voti di Forza Italia".
Pensa a un'altra maggioranza?
"Più in là potrebbe accadere. C'è una riserva indiana pronta a correre in soccorso".
E Berlusconi?
"Non è disposto ad inghiottire un simile rospo. Perdipiù lei gli ride in faccia".
Quanto possono durare?
"Non avranno vita lunga. Il governo nasce morto o gravemente malato. È già pieno di rancori".
Oggi sono tutti al Quirinale
"I ministri decisivi alla fine li suggerirà Mattarella".
Lei Berlusconi lo conosce bene.
"Non sono mai stato uno del suo cerchio magico, ma mi considero un suo amico. Ho fatto il parlamentare del Pdl e scritto un libro intervista Guzzanti vs Berlusconi.
L'anno prima dell'uscita di quel libro avevo però lasciato Forza Italia".
Perché?
"Nel 2008 Putin invase la Georgia. Il Cavaliere ci riunì nella sala del Mappamondo e disse che "Putin avrebbe attaccato per le palle il presidente georgiano"".
E lei?
"Gli spiegai che ero sconvolto. Da presidente della Mitrokhin ero stato attaccato dai russi. "Guarda che Vladimir è un uomo dolcissimo", mi disse lui". (Guzzanti imita la voce di Berlusconi)
Nell'audio dice che Putin gli ha scritto una lettera dolcissima.
"Ha usato lo stesso aggettivo di allora. Non dubito della sua sincerità emotiva".
Politicamente non è devastante?
"Mette una zeppa sul cammino della Meloni, per renderle difficile la vita".
Ma perché?
"Penso che lui si sia sentito offeso che lei non abbia accettato i suoi ministri".
Non è stupito dell'audio?
"Ma no, è un canone della sua comunicazione: lui sa bene che poi esce fuori. Escludo che sia stato un incidente".
Cosa glielo fa dire?
"La psicologia di Berlusconi mira all'approvazione anche da un punto di vista emotivo, così ottiene un grande ascolto e ruba la scen a tutti".
Bisogna fare ancora i conti con lui?
"Quante volte è stato scritto che il berlusconismo è morto? Ed eccolo ancora in prima pagina".
Però Forza Italia può stare al governo?
"Lui si fa forte del fatto che ha sempre votato i provvedimenti pro Ucraina".
Berlusconi soffre il decisionismo di Meloni?
"Si capisce. La volle nel suo governo quando lei era una ragazza. C'è anche l'elemento dell'ingratitudine".
Sono compatibili?
"Meloni discende dalla destra sociale, è una statalista, non ha nulla di liberale".
Berlusconi lo è?
"Si vanta di averli tolti dalla polvere. È geloso di un patrimonio ideologico ed elettorale svanito. Gli brucia ancora l'esclusione dal Parlamento nove anni fa".
È una ferita aperta?
"Sì, lo vedo dalle espressioni del viso".
Sull'Ucraina ha taciuto per mesi.
"Poi ha rotto il silenzio affermando che nel 2008 sconsigliò Putin di aggredire l'Ossezia. Era un modo per dire: se mi avessero coinvolto lo avrei dissuaso anche stavolta".
Berlusconi è in affari con Putin?
"Quando ruppi divenni molto popolare coi georgiani, loro erano convinti che fosse in affari con Putin sul gas. Provarono ad indagare ma non trovarono niente".
È ricattabile, insinua Meloni.
"I tempi del lettone e di Silvio col colbacco mi sembrano finiti".
Perché l'ha detto?
"Andrebbe chiesto a lei, che però si guarda bene dal dirlo. Perché non spiega a cosa allude?".
Il caso degli audio del Cav. Cosa accadde con la commissione Mitrokhin: quando ruppi con Berlusconi per l’amicizia con Putin. Paolo Guzzanti su Il Riformista il 20 Ottobre 2022
Di questo passo in Italia non si farà alcun governo e in mancanza di altre maggioranze andremo a votare a gennaio. Intanto, le dichiarazioni di Berlusconi che hanno fatto trasalire molti e con grande risonanza in Europa e nel mondo, disegnano un quadro politico e non delle esuberanze inopportune. Berlusconi irrompe sulla scena mediatica parlando dell’amico recuperato Putin e poi subito dopo dichiarandosi pubblico nemico del presidente ucraino Zelensky in un momento particolare e drammatico della guerra in Ucraina, e cioè quando si accredita la voce specialmente presso i servizi di intelligence inglese, che Putin starebbe seriamente pensando ad una esplosione atomica dimostrativa nelle acque del Mare nero usando un ordigno a bassa intensità fatto brillare allo scopo di mettere il fronte occidentale di fronte all’alternativa di una guerra totale.
Ieri, Berlusconi ha messo in onda il secondo tempo delle sue opinioni spiegando la sua assoluta disistima per il presidente ucraino Zelensky, del tutto colpevole di aver provocato le giuste reazioni di Putin, in difesa dei russofoni del Donbass che si dicevano perseguitati. Naturalmente queste parole oltre ad aver fatto un grandissimo clamore sull’opinione pubblica sia italiana che europea, determinano un evento politico che è sotto gli occhi di tutti: uno dei tre componenti dell’alleanza è schierato in politica estera dalla parte opposta a quella maggioritaria di una Meloni atlantica, e non in un momento di stasi della guerra, ma quando si profila la possibilità di una escalation militare.
Io ho un’esperienza personale e unica, da quando nel 2002 proprio mentre il Parlamento approvava la legge che istituiva la Commissione Mitrokhin di cui sarei stato eletto presidente, il capo del governo Silvio Berlusconi inaugurò l’eccezionale rapporto con il presidente Vladimir Putin, ex tenente colonnello del KGB di stanza a Dresda nell’allora Repubblica democratica tedesca. Fu l’anno del celebrato incontro di Pratica di Mare con Berlusconi, come il Dio romano Giano, a stringere le mani del presidente americano George Bush e di quello russo Putin dichiarando chiusa la guerra fredda. Ciò che forse Berlusconi ignorava, o forse lo seppe quando ormai non c’era nulla da fare, è che Putin odiava la commissione Mitrokhin perché non tollerava che qualcuno all’estero, per non dire in patria, investigasse su ciò che la polizia segreta sovietica aveva combinato sia all’estero che in Russia.
Da allora cominciò una sofferenza pesantissima nella commissione perché arrivavano continui messaggi sotto forma di articoli dei giornali russi riciclati su insospettabili giornali italiani in cui una commissione del Parlamento della Repubblica veniva dileggiata, additata al disprezzo insieme al suo presidente e ai più attivi dei quaranta commissari che rappresentavano tutti i partiti in Parlamento. Putin era furioso e mandava messaggi rabbiosi in tutti i modi possibili perseguitando alcuni amici russi fuggiti a Londra che si preoccupavano delle sorti della nostra commissione. Il più importante di tutti fu Alexander Litvinenko anche lui ex tenente colonnello del KGB e per un breve periodo di tempo collega d’ufficio del suo parigrado Putin. Litvinenko che fu assassinato orrendamente con un veleno radioattivo, a quei tempi, non rintracciabile.
“Vladimir è un uomo dolcissimo, caro Paolo”, mi disse Berlusconi con un sorriso luminoso quando io gli chiesi aiuto per capire che cosa si muovesse dietro quelle quinte e quelle matrioske. E aggiunse: “Guarda, se qualcuno mi venisse a dire che tu, Paolo, hai assassinato o potresti assassinare qualcuno io proverei la stessa incredulità se fosse detto a proposito di Putin.” Ciò accadeva nel 2006 quando la commissione parlamentare da me presieduta concluse i suoi lavori nei tempi prefissati dalla legge. Qualche anno dopo il governo inglese ordinò a un procuratore speciale della regina, Sir Robert Owen, di condurre un’istruttoria sulla morte di Litvinenko che terminò con una sentenza di responsabilità diretta di Vladimir Putin.
Fu dopo l’invasione della Georgia nel 2008 che io completamente sopraffatto dall’indignazione per la generale acquiescenza di fronte alla prima invasione di un paese europeo da parte di un altro paese europeo capii troppo tardi di aver sbagliato strada. Anche perché Berlusconi, che più tardi rivelerà di aver fermato l’amico un po’ troppo disinvolto nel lanciare carri armati e fanteria, durante una riunione plenaria dei gruppi di maggioranza, rivelò di aver ricevuto una telefonata in cui Putin si riprometteva di “inchiodare per le palle su un albero il presidente georgiano Shakasvilij”. E fu così che io interruppi i miei rapporti con il presidente del consiglio tirandomi dietro qualche anno di insulti. Nel frattempo, ero diventato vicesegretario del partito liberale italiano e ricevetti in quel partito la visita del presidente georgiano che era venuto a Roma per ringraziarmi.
Poi passò molta acqua sotto i ponti e anche la mia amicizia personale con Silvio Berlusconi sì rigenerò con molto affetto anche perché io non cessai di combattere la stessa battaglia liberale in cui era compresa la mia solidarietà per una persecuzione giudiziaria mai conosciuta in una democrazia occidentale e che si concluse con la cacciata di Berlusconi dal Parlamento. Un Parlamento che anziché difendere un suo membro come nel codice delle democrazie parlamentari, consegnò il senatore Berlusconi agli esecutori di giustizia. Di Putin con Berlusconi non ho mai più parlato, ma certo che in questi ultimi due giorni sono avvenuti dei fatti nuovi di cui sfugge spesso la sostanza, sommersa dagli aspetti scenici tra cui l’uso generoso dell’aggettivo “dolce” e del suo superlativo “dolcissimo”, riemersi con il riemergere dichiarato dell’affetto di Silvio.
Ma ieri mattina una delle prime notizie che ho letto è stata quella dell’improvvisa e non preannunciata visita del ministro della Difesa del Regno unito Ben Wallace a Washington per discutere urgentemente con gli americani la notizia, che si era diffusa nella notte precedente, secondo cui Vladimir Putin starebbe valutando di far esplodere un ordigno nucleare nelle acque del Mar Nero, un ordigno “a basso rendimento”. Inoltre, il ministro della Difesa di Mosca avrebbe annunciato di lì a poco l’istituzione della legge marziale nelle quattro province ucraine dichiarate annesse alla Federazione russa, giustificando tale decisione come una dolorosa necessità, amara e indispensabile.
L’Occidente, intendendo per esso Unione europea, Regno Unito e Stati Uniti, hanno da tempo notificato anche per via diplomatica a Mosca che qualsiasi uso di armi nucleari nella guerra in Ucraina avrebbe messo in moto una reazione militare di fortissimo impatto dissuasivo ovvero, detto in parole semplici, una guerra. Qui siamo e non è ancora chiaro se qui saremo ancora domani a quest’ora, benché è ciò che speriamo tutti per quanto le nostre vite possano essere deludenti o tormentate. Come spiegava un plebeo romanesco in un sonetto del Gioachino Belli “stamo tutti attaccati a st’ammazzata vita”, dove curiosamente quella “ammazzata” sta per amatissima.
Sono otto mesi che viviamo sull’orlo dell’abisso e da ieri quell’abisso si è fatto più vicino, almeno come minaccia che provoca una catena di conseguenze sia politiche che militari capaci di mettere il governo della Repubblica di nuovo di fronte alla scelta: o di qua o di là. Il Cavaliere ha giocato di sorpresa ed ha reso pubblico il fatto di essere in contatto con Putin e questa ripresa si è tradotta immediatamente, immaginiamo, in dichiarazioni, certamente non sfuggite di labbra, dall’immediato effetto politico e militare.
Paolo Guzzanti. Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.
(ANSA il 30 ottobre 2022) - Si può arrivare a una trattativa di pace nel conflitto ucraino? "Forse: solo se a un certo punto l'Ucraina capisse di non poter più contare sulle armi e sugli aiuti e se, invece, l'Occidente promettesse di fornirle centinaia di miliardi di dollari per la ricostruzione delle sue città devastate dalla guerra. In questo caso Zelensky, forse, potrebbe accettare di sedersi al tavolo per una trattativa". Lo ha detto intervistato da Vespa per il suo ultimo libro, il leader di Fi, Silvio Berlusconi.
"In questa situazione - spiega Berlusconi a Vespa nel libro "La grande tempesta" - noi non possiamo che essere con l'Occidente nella difesa dei diritti di un Paese libero e democratico come l'Ucraina". Sullo stop alle armi, preferendo l'invio di massicci aiuti economici per la ricostruzione, Vespa obietta che Putin dovrebbe almeno lasciare le due regioni (Kherson e Zaporizhzhia) occupate e annesse dopo le altre due del Donbass (Donetsk e Luhansk).
Berlusconi sembra d'accordo, pensa però che non si dovrebbe discutere l'appartenenza alla Federazione Russa della Crimea e fare un nuovo referendum nel Donbass con il controllo dell'Occidente. E' convinto che Putin sia 'un uomo di pace', confessa a Vespa che ha provato a chiamarlo due volte senza esito all'inizio della guerra e dopo non ha più insistito.
Sulle venti bottiglie di vodka e di lambrusco, ricorda che dopo aver raccontato ai suoi deputati delle lettere di auguri, uno di loro gli chiese: "E vi siete fatti anche dei regali?" E lui sorridendo rispose divertito: "Si certo, venti bottiglie di vodka e venti di lambrusco". Ma tutti , dice, avevano capito che scherzava"
Alla domanda, infine, di Vespa se si senta più vicino all'America o alla Russia, Berlusconi ricorda che una delle cinque standing ovation riservategli dal Congresso degli Stati Uniti il 19 giugno 2011 fu quando raccontò del giuramento di fedeltà agli USA chiestogli dal padre quando dopo la maturità classica lo portò a visitare il cimitero militare americano di Anzio.
(ANSA il 30 ottobre 2022) - "Nessun disagio" nel vedere per la prima volta dopo 28 anni un leader del centrodestra diverso da lui. "Era logico e naturale che andasse a Palazzo Chigi il leader del partito che ha ottenuto più voti di quelli di Forza Italia e della Lega messi insieme. D'altra parte avevo già detto più volte che Giorgia Meloni aveva tutti i requisiti per guidare il governo".
Lo dice Silvio Berlusconi nel libro di Bruno Vespa "La grande tempesta". Perché Giorgia Meloni ha avuto questo successo? "Perché rappresenta il nuovo ed è stata molto brava nelle sue apparizioni televisive". Berlusconi parla del ministro della giustizia Carlo Nordio, definendolo "uno straordinario professionista. Condivido le sue posizioni sulla riforma della giustizia. La priorità assoluta è la riduzione della durata dei processi" anche se "il no al Ministro della Giustizia ci ha deluso…. Ci è stato chiesto quali sarebbero stati i nostri ministri e noi abbiamo risposto: Tajani agli Esteri, Casellati alla Giustizia e Bernini all'Università. Poi si è parlato dei ministri senza portafoglio E io ero certo che ci fosse l'accordo". Infine, parlando del governo, "il mio intervento per la fiducia al Senato ha garantito una partecipazione appassionata e leale a sostegno del Governo per i prossimi 5 anni di lavoro". (ANSA).
Berlusconi e la ricetta per far trattare Kiev: miliardi per ricostruire invece che dare armi. Adriana Logroscino su Il Corriere della Sera il 30 Ottobre 2022.
Le dichiarazioni sulla guerra rilasciate da Berlusconi a Bruno Vespa suscitano l’immediata e aspra reazione delle opposizioni, che contestano al leader di Forza Italia una visione putiniana del conflitto
Basta armi, meglio fornire aiuti economici all’Ucraina. Crimea alla Russia e sorti del Donbass da decidere con un referendum. Qualche settimana dopo le polemiche per gli audio rubati sul conflitto, emerge una nuova strategia di Silvio Berlusconi per risolverlo. Questa volta si tratta di dichiarazioni ufficialmente rilasciate a Bruno Vespa per il libro che il giornalista darà alle stampe a breve «La grande tempesta». Immediata e aspra la reazione delle opposizioni che contestano a Berlusconi una visione putiniana del conflitto, e a Meloni di non avere una maggioranza sull’Ucraina.
Al presidente di Forza Italia, Vespa chiede se si possa avviare una trattativa di pace: «Solo se a un certo punto l’Ucraina capisse di non poter più contare sulle armi e sugli aiuti e se, invece, l’Occidente promettesse di fornirle centinaia di miliardi di dollari per la ricostruzione delle sue città devastate dalla guerra. In questo caso Zelensky, forse, potrebbe accettare di sedersi al tavolo per una trattativa». Vespa obietta che Putin dovrebbe almeno lasciare le due regioni (Kherson e Zaporizhzhia) occupate e annesse insieme alle altre due del Donbass. Berlusconi concorda ma ribatte che fuori discussione dovrebbe essere l’appartenenza alla Russia della Crimea e che per il Donbass si potrebbe decidere con un referendum sotto il controllo dell’Occidente.
Quindi il Cavaliere ribadisce la definizione di Putin «uomo di pace» anche se, confessa a Vespa, ha provato a chiamarlo senza esito all’inizio della guerra. Riguardo al recente scambio di doni — venti bottiglie di vodka da parte del capo del Cremlino alle quali l’ex premier avrebbe ricambiato con il lambrusco — trapelato attraverso l’audio rubato durante un confronto con i neodeputati di Forza Italia, chiarisce che «tutti avevano capito che scherzavo».
Per Benedetto Della Vedova, segretario di +Europa, la misura è colma: «Meloni e Tajani non possono più fare finta di nulla, sull’Ucraina la maggioranza non c’è». Per una volta sulla stessa linea Italia viva-Azione, attraverso il capogruppo alla Camera, Matteo Richetti: «La presidente del Consiglio ha un problema non più tollerabile per le nostre istituzioni. Si chiama Berlusconi». Il leader di Azione, Carlo Calenda, chiosa: «Non esiste maggioranza di governo senza una linea di politica estera comune. Berlusconi fa propaganda per Putin incurante delle conseguenze».
E parole non molto diverse usa il Pd. «Per Berlusconi — osserva Lia Quartapelle — la pace in Ucraina passa dalla resa, togliendo gli aiuti militari a Zelensky e riconoscendo Donbass e Crimea come Russia. Un bel problema per Meloni». L’eurodeputata Pina Picierno sollecita Meloni, attesa a Bruxelles a breve, a prendere «immediate distanze» dalle «parole vergognose» dell’alleato.
Nel libro di Vespa Berlusconi parla anche del rapporto con chi ne ha ereditato il ruolo, assicurando di non provare «alcun disagio» per l’avvicendamento. «Era logico e naturale che andasse a palazzo Chigi il leader del partito che ha ottenuto più voti di FI e Lega messi insieme. Giorgia Meloni ha tutti i requisiti per guidare il governo. Ha avuto successo perché rappresenta il nuovo ed è stata molto brava in tv». Nonostante la «delusione» per la scelta di un ministro della Giustizia diverso da Casellati, che Berlusconi avrebbe voluto in quel ruolo, il Cavaliere assicura «partecipazione appassionata e leale a sostegno del governo per i prossimi cinque anni».
Da “Un giorno da Pecora – Radio1” il 31 ottobre 2022.
“Ho votato Terzo Polo perché mi stanno sulle palle sia il Pd che Salvini e Berlusconi, l'ultima versione di Berlusconi specialmente, quella con la deriva filo putinista”. A parlare, ospite di Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, è l'ex parlamentare di Forza Italia Fabrizio Cicchitto, intervistato da Giorgio Lauro e Geppi Cucciari. ”
Berlusconi e Putin si amano e si ammirano sul piano psicologico”, la lettera 'dolcissima' che l'uno avrebbe scritto all'altro “è una cosa di omosessualità psicologica, in cui non c'entra il sesso ma una sorta di invidia: Putin fa quel che vuole in Russia e il Cavaliere avrebbe voluto fare quello che gli pare in Italia”. Insomma, oggi ha definitivamente 'rotto' col leader di FI. “A me Berluscono continua a rimanere simpatico, dal '94 al 2000 ha evitato che l'Italia fosse dominata dal Pd, da un gruppo di giornali e di magistrati. Questo è il suo merito storico. Poi però - ha concluso a Un Giorno da Pecora Cicchitto - ha combinato una serie di puttanate”.
Il Cavaliere Arcobaleno. Berlusconi, Conte e l’irritante doppiezza del putinismo italiano. Francesco Cundari su L'Inkiesta il 31 Ottobre 2022
Il leader di Forza Italia sostiene che per fermare la guerra bisognerebbe togliere le armi all’Ucraina, che è esattamente quanto chiede Conte. Non si capisce perché il 5 novembre non dovrebbero marciare uniti
L’ennesima sfilza di dichiarazioni filo-putiniane pronunciate da Silvio Berlusconi, questa volta dalle pagine del nuovo libro di Bruno Vespa, confermano quello che tutti avevano capito sin dall’inizio. E cioè che il leader di Forza Italia ha sempre inteso dire esattamente quello che ha detto, prima nell’intervista a Porta a Porta del 22 settembre e poi nella riunione con i suoi parlamentari del 18 ottobre, da cui erano filtrati i famigerati audio.
Anche stavolta Berlusconi ripete che Vladimir Putin è «un uomo di pace», sostiene che quella dello scambio di Vodka e Lambrusco fosse una risposta ironica alla domanda di un parlamentare (dimenticandosi probabilmente che l’audio è tutt’ora disponibile on line), ma soprattutto spiega qual è secondo lui l’unico modo di fermare il conflitto: «Forse, solo se a un certo punto l’Ucraina capisse di non poter più contare sulle armi e sugli aiuti e se, invece, l’Occidente promettesse di fornirle centinaia di miliardi di dollari per la ricostruzione delle sue città devastate dalla guerra. In questo caso Zelensky, forse, potrebbe accettare di sedersi al tavolo per una trattativa».
Se qualcuno avesse ancora dei dubbi sulla provenienza di una simile paccottiglia, dovrebbe concentrarsi sul passaggio più grottesco, ma proprio per questo più rivelatore. E cioè la proposta di togliere agli ucraini le armi con cui si difendono dai bombardamenti che stanno radendo al suolo le loro città in cambio dei soldi per ricostruirle, presumibilmente dopo che siano state occupate dai russi. Un miscuglio di spudoratezza e illogicità che possiamo considerare il vero marchio di fabbrica della propaganda putiniana. Non per niente, l’offerta di un simile piano di ricostruzione era anche l’unica concessione all’Ucraina, se di concessione si può parlare, contenuta nell’assurdo appello degli intellettuali rosso-bruni pubblicato su Avvenire qualche settimana fa.
La posizione di Berlusconi rappresenta con ogni evidenza un problema gigantesco per la maggioranza, tanto più grave perché si tratta di una posizione tutt’altro che isolata, come ci hanno recentemente ricordato le primissime dichiarazioni da presidente della Camera pronunciate dal leghista Lorenzo Fontana, a proposito delle sanzioni alla Russia e il rischio che si rivelino un «boomerang». Certo è che il problema non riguarda soltanto il centrodestra.
Può apparire un episodio minore, ma è forse degno di qualche attenzione il fatto che il 27 ottobre sulla pagina facebook di Unione popolare, il partito di Luigi de Magistris, sia apparso un post sulla manifestazione per la pace del 5 novembre in cui si diceva: «Condanniamo l’aggressione di Putin, rispettiamo la resistenza ucraina, siamo a fianco delle vittime, ma più armi, più distruzione, più morti non sono la soluzione». E che poco dopo dallo stesso post siano scomparse sia la condanna dell’aggressione sia il rispetto per la resistenza ucraina e la solidarietà con le vittime. Adesso infatti il paragrafo comincia direttamente con le parole «Più armi». Evidentemente la condanna dell’aggressore e il rispetto per la resistenza – espressioni riprese dalla piattaforma della manifestazione del 5 novembre – non sono condivise da tutti i partecipanti.
Questo infatti il passaggio che si trova nell’appello pubblicato dagli organizzatori: «Condanniamo l’aggressore, rispettiamo la resistenza ucraina, ci impegniamo ad aiutare, sostenere, soccorrere il popolo ucraino, siamo a fianco delle vittime». Ma a leggerne il resto, onestamente, viene quasi voglia di dar ragione al curatore delle pagine social di Unione popolare, o a chi per lui abbia deciso di espungere quelle espressioni, perché evidentemente fuori contesto. Tanto almeno quanto le reiterate professioni di atlantismo e solidarietà con l’Ucraina che anche oggi, inevitabilmente, pioveranno da tutti i dirigenti di Forza Italia e del centrodestra.
La verità è che la linea esposta da Berlusconi non differisce in nulla da quella di Giuseppe Conte, un altro che certamente rispetta moltissimo la resistenza ucraina ed è stato tra i primi a promuovere la manifestazione del 5 novembre. Non per niente, Conte ha fatto esattamente quel che dice il leader di Forza Italia, chiedendo al governo di smettere di inviare agli ucraini le armi con cui resistono, e senza le quali non ci sarebbe nessuna resistenza. Non si capisce dunque per quale motivo in piazza dovrebbe esserci Conte e non Berlusconi.
Resta invece da stabilire se sia peggiore il sospetto che una larga parte della politica e dell’informazione italiana sia direttamente influenzata da Putin o l’impressione che molti politici, intellettuali e giornalisti aderiscano sinceramente e spontaneamente alle tesi del Cremlino.
Berlusconi contro Meloni, Sallusti: "Questo è troppo, non la riconosco più". Alessandro Sallusti su Libero Quotidiano il 19 ottobre 2022.
Caro presidente Berlusconi, ieri ci ha informato, tra l'altro, di uno scambio di "dolcissime lettere" tra lei e Vladimir Putin in occasione del suo compleanno. Dal basso dell'affetto e della riconoscenza che nutro nei suoi confronti mi permetto, nel mio piccolissimo, anche io di inviarle una letterina, spero altrettanto dolce. Per dirle una cosa molto semplice: non la capisco più, e non essendo l'unico penso che il problema non sia mio.
Lei, presidente, poche settimane fa ha compiuto l'ennesimo miracolo della sua vita tenendo - i voti raccolti sono tutti suoi personali - Forza Italia in vita e al centro dell'arena politica. Chapeau, e se la pattuglia parlamentare non è risultata all'altezza del consenso raccolto lo si deve immagino esclusivamente a errori da voi fatti al tavolo dovevi eravate spartiti i seggi con gli alleati.
Lei ora dice, uso parole mie: Giorgia Meloni non ci rispetta. Non entro nel merito, ma certo svelare a due giorni dalla nascita di un governo già nel mirino di suo l'affettuoso carteggio tra lei e Putin non agevola certo il compito che aspetta la futura premier, e quindi l'Italia, nei consessi internazionali occidentali, né il lavoro del suo Antonio Tajani nel caso, come probabile, andasse a ricoprire il ruolo di ministro degli Esteri.
So bene poi che quando lei dice che "l'uomo della Meloni" è un suo dipendente a Mediaset non intende offendere nessuno, né si può leggere come una malignità di cui so non esserne capace. Ma sta di fatto che, al netto che quell'uomo era suo dipendente ben prima di conoscere Giorgia, più d'uno userà quelle parole per costruire castelli di sabbia che rischiano solo di mettere in imbarazzo la famiglia Meloni.
Ovvio infine che lei è Silvio Berlusconi, che lei può fare e dire ciò che crede come del resto ha sempre fatto. Ma chi non la conosce come ho avuto io l'onore e il privilegio di conoscerla potrebbe equivocare ogni sua parola e pensare che davvero lei in questo momento voglia affossare il sogno non di Giorgia Meloni ma di una buona parte di italiani. Ecco, caro Presidente, questo sarebbe troppo anche per Silvio Berlusconi. Se a lei fosse concesso di incontrare la sua gente, i suoi imprenditori che ancora la seguono, lo verificherebbe di persona. Tanto le dovevo, con affetto.
L'Italia non è né carne né pesce. Zelensky vuole uccidere tutti i russi e c’è chi lo candida al Nobel per la Pace: l’appello del Papa non è a senso unico. Paolo Liguori su Il Riformista il 3 Ottobre 2022.
Siamo in uno stato di guerra, e non abbiamo la vocazione alla guerra, e non siamo nemmeno pronti ad essere in un’economia di guerra. Quindi rischia di abbattersi su di noi una serie enorme di conseguenze che solo in parte prevediamo. Ma a parte la questione economica o l’impegno bellico italiano questa situazione è un disastro perché le uniche parole serie, severe e razionali sono state dette dal Papa. E ancora una volta si tende a dimenticare che sono state dette e a farle passare sotto silenzio.
Le parole del Santo Padre sono state chiare: la guerra è un errore e un orrore e deve finire. Certo, i giornali di propaganda italiana titolano “Il Papa ha detto: Putin si deve fermare”, è ovvio lo Zar è l’aggressore e questa è stata la sua prima frase. Però ha pure detto che Zelensky deve ragionevolmente avviare un percorso di trattativa, perché non è possibile che il leader ucraino dica ai russi: “Vi uccideremo uomo per uomo”, e c’è pure chi lo candida al Premio Nobel per la Pace. Queste frasi non fanno parte dei nostri valori e della nostra cultura che è diversa da questi intenti bellici, militaristi e sanguinari di Zelensky.
Noi, l’Italia, non siamo né carne né pesce, anche se teniamo la difesa ucraina. Le parole del Papa tengono conto di queste differenze e dicono qualcosa all’umanità, non si può tollerare la prosecuzione della guerra. C’è chi guadagna sul conflitto come alcuni nostri alleati: gli Stati Uniti, la Norvegia, l’Olanda e altri stati hanno già deciso che sui costi dell’energia faranno per conto proprio a cominciare dalla Germania. Noi siamo presi in una trappola e dobbiamo capire che al di là degli interessi italiani, le parole del Papa vanno ben oltre, sono interessi del Mondo, dell’Umanità. L’ipotesi dell’uso di armi atomiche è terrificante per tutti.
Poi ci sarà una fine della guerra, certo, ma può essere la fine della guerra la distruzione dell’Ucraina? No. Può essere la distruzione della Russia? No. Possiamo pensare a un’Europa del futuro senza la Russia? No. È assurdo, perché in quei Paesi vivono migliaia di cristiani, e il Papa guarda a quello, e proprio guardando a quello capisce che non può esserci una cancellazione né dell’Ucraina né della Russia. Chi è insensibile? Chi guarda da oltreoceano, ma noi le parole del Papa le dovremmo valorizzare non tacere come si sta facendo nei giornali di propaganda italiani.
Paolo Liguori. Direttore editoriale di Riformista.Tv e TgCom
La crisi e le responsabilità di chi tace. Zelensky è un sanguinario, il ruggito del coniglio degli imprenditori italiani: chiedono bonus e non la fine della guerra. Paolo Liguori su Il Riformista il 4 Ottobre 2022
Ad Assisi il presidente Mattarella ha parlato della necessità della pace e delle responsabilità di tutte le religioni nel difenderla. Un discorso importante ma anche ovvio. Il Papa aveva parlato qualche giorno fa con parole molto incisive ma la stampa è riuscita – diciamo – a silenziarlo. Dicono ce l’avesse con Putin, non è vero, ha fatto un appello anche a Zelenski.
Poi c’è un modo molto ‘annacquato’ di dire “siamo tutti per la pace”, e poi, come i laici, c’è chi dice che bisogna parlare d’altro. Vediamo che cos’è questo altro. E’ viltà. Oggi gli imprenditori italiani dicono “non ci possiamo permettere in questa situazione economica di parlare di pensioni, di tasse, non abbiamo le risorse economiche per parlarne”. Io dico che questo è il ruggito del coniglio perché non abbiamo mai sentito in questi mesi dire da loro “noi non possiamo permetterci di continuare una guerra come questa perché le aziende chiuderanno”. E’ inutile parlare delle conseguenze se non arriviamo alla causa. E la causa è la guerra.
Gli imprenditori americani, olandesi, norvegesi, ci guadagnano. Il resto dell’Europa ci sta rimettendo ed anche tanto. Gli imprenditori dovrebbero dire che l’unico modo per mettere un freno a tutto questo è fermare la guerra. Ma per fermare la guerra è necessario che non si vendano più le armi. E non è che noi siamo la stessa cosa di Zelenski. Lo vorrei ripetere perché qui si dice che la Russia è un Paese invasore e totalitario (e io sottoscrivo). Però dire che l’Ucraina ci rappresenta non è vero.
Quando un presidente dice ‘uccideremo tutti’ è un sanguinario e non mi rappresenta e soprattutto non rappresenta gli interessi del popolo europeo. Noi siamo stati zitti sul fatto che tutti i maschi sopra i 18 anni in Ucraina sono stati costretti a prendere le armi, coscritti obbligatoriamente. E c’è la legge marziale. Zelenski non ha gli stessi valori di un Occidente liberale. Non stiamo dalla sua parte perché abbiamo gli stessi valori, ma solo perché ce lo impongono gli Stati Uniti. Con gli Usa è diverso perché lori sì, hanno i nostri stessi valori. Però gli imprenditori tacciono, ma se tacciono gli imprenditori e poi chiudono le imprese, noi possiamo continuare a dire che ci vogliono i bonus, i ristori? Abbiamo il coraggio di dire che c’è bisogno che finisca la guerra. Tranne il Papa nessuno ha il coraggio di dirlo.
Paolo Liguori. Direttore editoriale di Riformista.Tv e TgCom
Luca Bottura per “la Stampa” il 4 ottobre 2022.
Elon Musk, il miliardario sudafricano che ha fatto fortuna con le auto elettriche ma ha la sensibilità ecologica di un portapenne in alabastro, l'uomo che acquistò Twitter ma lo restituì perché è pieno di profili falsi, non prima di aver promesso che avrebbe fatto rientrare Donald Trump, che è falso anche visto di fronte, l'imprenditore che sta alla geopolitica come qualunque sindaco di Roma a un cassonetto immacolato, ha pubblicato ieri proprio su Twitter un sondaggio col quale proponeva un suo piano di pace a Putin e alle sue vittime:
1) Rifare i referendum in Donbass sotto la supervisione dell'Onu;
2) Cedere la Crimea ai russi "per sanare l'errore di Krusciov";
3) Neutralità dell'Ucraina in cambio delle forniture d'acqua.
Nel concerto di pernacchie social che ne ha ricavato - molte delle quali incentrate sul fatto che un referendum vero c'è già stato, e lo vinse chi non voleva stare coi russi persino dalle parti di Sebastopoli - va rilevato l'ambasciatore ucraino in Germania, Andry Melnyk, che ha così postato: "La mia risposta molto diplomatica a Elon Musk: fottiti". Analizzata la vicenda, il turpiloquio gratuito, il fatto che la proposta di Musk abbia comunque ottenuto il 37 per cento dei consensi e cioè oltre 400.000 voti, spieghi il lettore con chi sta dei due contendenti e perché proprio Melnyk.
L'insolenza di Musk che ignora la storia. Roberto Fabbri il 5 Ottobre 2022 su Il Giornale
Come tutti gli uomini di genio, il concretissimo Elon Musk certe volte stupisce per astrattezza. Il numero uno di Tesla, finora molto apprezzato a Kiev per averle messo a disposizione il suo sistema satellitare Starlink, si è messo in testa di fare il mediatore con Mosca. Ma la brillantezza con cui ha permesso all'Ucraina di aggirare i tentativi di hackeraggio dei russi non è la stessa che ha dispiegato nella sua bizzarra proposta, che ha indignato Zelensky ma è piaciuta subito al Cremlino, con tanto di complimenti al miliardario americano da parte del superfalco Dmitry Medvedev.
Secondo Musk che in passato ha ammesso di prendere decisioni sotto l'effetto di droghe e che per buona misura ha sottoposto i quattro punti del suo «geniale» piano ai suoi 107 milioni di follower su Twitter come un Beppe Grillo qualsiasi la pace si raggiungerebbe se Zelensky si decidesse una buona volta a riconoscere formalmente la sovranità russa sulla Crimea che Mosca ha strappato a Kiev nel 2014 e se venissero nuovamente tenuti sotto supervisione Onu dei referendum popolari nelle province ucraine occupate che Putin ha appena annesso alla Russia in base a consultazioni truccate. Kiev, inoltre, dovrebbe scordarsi Ue e Nato, impegnarsi alla neutralità e a garantire l'approvvigionamento idrico alla Crimea (russa).
Musk ricorda agli ucraini che fu «una erronea decisione presa nel 1955 dall'allora leader dell'Urss Nikita Krusciov» (che era un ucraino) a trasferire la Crimea dalla Russia all'Ucraina, all'epoca entrambe Repubbliche sovietiche. Il fatto che Putin se la sia ripresa usando la forza, esattamente come ha fatto nel Donbass e nelle altre due regioni ucraine appena annesse, non pare importante all'improvvisato mediatore.
Il quale forse ignora oltre ai principii del diritto internazionale - che se oggi l'Alaska è uno dei 50 Stati degli Usa lo si deve a una decisione presa nel 1867 dall'allora Zar Alessandro, che svendette agli americani quello che all'epoca sembrava un inutile e remoto possedimento coperto di ghiacci per una cifra ridicola pari a 140 milioni di dollari di oggi. Chissà cosa proporrebbe il signor Musk se Putin lo invadesse e se lo annettesse richiamando l'antica sovranità russa e una «decisione erronea» presa nel XIX secolo.
Federico Capurso per “la Stampa” il 4 ottobre 2022.
Questa mattina il ministro della Difesa Lorenzo Guerini si recherà in audizione al Copasir per illustrare - secondo quanto filtra da fonti di governo - i dettagli dell'ultimo decreto per l'invio di nuovi aiuti militari in Ucraina. Decreto che, con ogni probabilità, verrà firmato entro la fine di questa settimana da palazzo Chigi.
Caso vuole, però, che l'audizione di Guerini cada proprio nel giorno di san Francesco, scelto tredici anni fa da Beppe Grillo per festeggiare la fondazione del Movimento 5 Stelle. La coincidenza mette in fibrillazione Giuseppe Conte, che riunisce i suoi fedelissimi a Campo Marzio, sede del partito, per preparare la controffensiva nel giorno dell'anniversario pentastellato.
Il leader è deciso a sollevare una nuova polemica contro il quinto decreto armi del governo Draghi (il primo ottenne il via libera nel marzo scorso). Vuole contrapporre «l'esempio pacifista» del santo di Assisi a quello di un governo che, a suo dire, non si sarebbe speso a sufficienza per riaprire la via del dialogo e della diplomazia, «l'unica in grado di condurre a una soluzione pacifica del conflitto», come ripete da settimane.
Conte oggi tornerà dunque ad alzare la sua voce contraria all'invio di armi a Kiev. Il leader M5S è convinto che il contributo italiano, a differenza di quello americano e inglese, non sia decisivo per i progressi fatti dall'esercito ucraino, che continua a riconquistare territori occupati illegittimamente dalle forze di invasione russe. Per questo, l'ex premier spinge perché sulla necessità di inviare ulteriori aiuti militari il governo torni a confrontarsi con il Parlamento e si sottoponga a un voto dell'Aula.
Il governo è però stato autorizzato proprio da Camera e Senato, nella scorsa primavera, a inviare armi in Ucraina senza dover necessariamente passare da un voto per ogni nuovo decreto, almeno fino alla fine di quest' anno. La posizione di contrarietà del Movimento 5 stelle, poi, era minoritaria prima delle elezioni e rischia di esserlo ancor di più nel nuovo Parlamento che si insedierà il prossimo 13 ottobre.
Il Parlamento tedesco vota contro l’invio di nuove armi all’Ucraina. Giorgia Audiello su L'Indipendente il 2 ottobre 2022.
La compattezza del fronte europeo sulla crisi ucraina si sta progressivamente sfaldando non solo per quanto attiene la questione energetica, ma anche per quanto riguarda il sostegno incondizionato a Kiev, che si traduce soprattutto in finanziamenti e invio di materiale bellico: pochi giorni fa, infatti, i deputati del Bundestag tedesco hanno respinto la proposta di risoluzione dell’Unione Cristiano Democratica della Germania e dell’Unione Cristiano Sociale in Baviera (CDU/CSU) per dare un «contributo determinato» al rafforzamento delle forze armate ucraine attraverso la consegna di nuove armi tedesche, compresa la fornitura di carri armati. 179 parlamentari hanno votato a favore, mentre 476 hanno votato contro e un parlamentare si è astenuto. Nella risoluzione, il blocco dei partiti di centrodestra (CDU/CSU) ha insistito per «un’immediata e significativa intensificazione delle forniture militari in termini di quantità e qualità delle armi», aggiungendo anche che «è necessario decidere rapidamente sulle proposte dell’industria della difesa per organizzare la fornitura di veicoli da combattimento di fanteria e carri armati». Da notare che, ad oggi, nessun Paese Nato ha fornito all’Ucraina carri armati di progettazione occidentale. L’Unione riteneva necessario aumentare l’invio di armi a seguito dell’annuncio del Presidente russo Vladimir Putin di mobilitazione parziale dell’esercito moscovita. Tuttavia, il deputato del Partito Socialdemocratico tedesco (SDP), Ralf Stegner, si è mosso per ottenere la maggioranza dei voti contrari, ritenendo la mozione «non necessaria».
Il rifiuto da parte del Bundestag tedesco di rifornire l’Ucraina di nuovi armamenti non arriva a caso, ma in un momento cruciale della vita politica ed economica di Berlino in cui una parte della Germania è ben consapevole che la crisi innescata dalla rottura delle relazioni economiche e diplomatiche con la Russia e l’adesione incondizionata alla “strategia atlantista” potrebbe comportare non solo una gravissima recessione del motore economico dell’Ue – con il fallimento di centinaia di imprese, da cui la decisione di stanziare 200 miliardi contro il caro energetico – ma anche il rischio concreto dell’ampliamento del conflitto che vedrebbe come principale teatro di guerra proprio i Paesi Nato. Inoltre, la risoluzione contraria alla mozione è arrivata in concomitanza con alcuni interventi dell’ex cancelliera Angela Mekel sulla questione russo-ucraina, dai quali è emerso indirettamente il suo dissenso verso l’appiattimento del governo tedesco in carica sulle posizioni statunitensi. La Merkel ha insistito sull’importanza di rilanciare i canali diplomatici e il dialogo con la Russia, in quanto – ad un evento della fondazione Helmut Kohl – ha detto che le parole di Putin «andrebbero prese sul serio»: «Prendere sul serio le sue parole, non liquidarle a priori come se fossero un bluff ma confrontarcisi seriamente non è affatto un segnale di debolezza, ma di saggezza politica. Una saggezza che aiuta a mantenere un margine di manovra o a svilupparne di nuovi». Il riferimento è ovviamente all’avvertimento di Putin sul fatto che intende utilizzare tutte le armi e gli strumenti a sua disposizione per difendere i territori della Federazione.
L’ex cancelliera ha anche parlato della necessità di costruire un’architettura di sicurezza paneuropea insieme alla Russia e questo è il punto che evidenzia meglio di altri la neonata volontà di smarcarsi, almeno parzialmente, dal sistema di sicurezza dell’Alleanza atlantica: «Dobbiamo lavorare a un’architettura di sicurezza paneuropea con la partecipazione della Russia nel quadro dei principi del diritto internazionale. Fino a quando non riusciremo a raggiungere questo obiettivo, come è emerso dall’amara constatazione del 24 febbraio, la guerra fredda non avrà fine» ha affermato. Una possibilità che susciterebbe certamente la reazione ostile degli Stati Uniti, i quali hanno sempre lavorato per separare Russia ed Europa e in particolar modo Mosca e Berlino, poiché la cosiddetta “Gerussia” rappresenta una delle principali minacce per la potenza a stelle e strisce e la questione del Nord Stream 2, sabotato fin dagli inizi da Washington, ne costituisce la riprova più lampante.
Il recente voto del Bundestag contro l’invio di ulteriori armamenti e le dichiarazioni della Merkel, dunque, potrebbero essere interpretati come il segnale dell’inizio di un cambio di approccio della politica tedesca verso il conflitto in Ucraina, sebbene i Partiti dell’Unione abbiano accusato il governo federale di non avere rispettato il mandato del Bundestag tedesco, lamentando la mancanza di determinazione nel «dedicarsi all’imperativo umanitario di sostenere pienamente l’Ucraina contro la guerra di annientamento russa». Hanno quindi affermato che «Questo comportamento non dovrebbe più essere proseguito e deve essere corretto immediatamente secondo la risoluzione del Bundestag del 28 aprile 2022». In ogni caso, non si può non rilevare come il dibattito sulla questione nella politica tedesca sia ormai aperto – a differenza di quanto accade in Italia – e come altresì i rapidi sviluppi della crisi russo-ucraina stiano fornendo nuovi potenziali impulsi per ripensare gli assetti internazionali e gli equilibri geopolitici europei. [di Giorgia Audiello]
Ombre russe. Abbiamo informazioni sui partiti italiani pagati dal Cremlino, dice il consigliere di Zelensky. Linkiesta il 30 Settembre 2022
«A noi non sfugge il comportamento di certi partiti, a volte proprio quelli italiani, che prendono posizioni apertamente filo-Putin», spiega Mykhailo Podolyak. «Ma non possiamo parlare pubblicamente di chi ha ricevuto soldi russi a scopo di lobbying», precisa, «perché significherebbe interferire con la politica del vostro Paese». Oggi Putin annuncerà l’annessione delle quattro regioni ucraine in cui si sono tenuti i referendum farsa
(Sergei Kholodilin/BelTA Pool Photo via AP)
«Abbiamo elementi per affermare che qualcuno in Europa, anche tra i partiti italiani, ha preso soldi dal Cremlino, ma non possiamo svelarlo perché significherebbe interferire con la politica del vostro Paese». Mykhailo Podolyak, consigliere dell’Ufficio del presidente ucraino Zelensky e capo del team di negoziatori con i diplomatici russi, lo dice a Repubblica.
«È ormai noto che la Federazione ha speso 300 milioni di euro negli ultimi anni per finanziare alcuni movimenti politici nell’Unione europea e, così facendo, ha cercato di influenzare sia le politiche nazionali sia quelle dell’Unione», spiega. Nel famoso report americano, però, l’Italia non appare. Ma «a noi non sfugge il comportamento di certi partiti, a volte proprio quelli italiani, che prendono posizioni apertamente filo-Putin, sostenendo per esempio che, per un motivo o per un altro, la Russia aveva il diritto di attaccare l’Ucraina», prosegue Podolyak.
Il consigliere del governo ucraino però non va oltre: «Cerchi di capirmi, non possiamo interferire negli affari interni dell’Italia e non possiamo parlare pubblicamente di chi ha ricevuto soldi russi a scopo di lobbying. Certamente, a livello di intelligence, i nostri due Paesi cooperano. Ho motivo di ritenere che i dati fondamentali ci siano tutti: chi ha preso e quanto».
Oggi, intanto, il presidente russo Vladimir Putin annuncerà ufficialmente l’annessione delle quattro regioni ucraine – Kherson, Zaporzhizhia, Lugansk e Donetsk – in cui negli scorsi giorni si sono tenuti i referendum farsa. Per Kyjiv, dice, non cambia niente. «I referendum non hanno valore legale, per il diritto internazionale le regioni sono e rimangono territori dell’Ucraina. E l’Ucraina è pronta a tutto per riprenderle. Il nostro popolo ce lo chiede. Sono stati voti farsa, a cui hanno partecipato poche persone. A chi andava a votare puntavano il fucile in faccia ordinando: “Vota!”. Le nostre controffensive, quindi, vanno avanti»
Ma secondo Podolyak ormai non c’è più spazio per la via diplomatica: «La Russia non vuole negoziare, lancia solo ultimatum. Se l’esercito russo abbandonasse l’intero territorio dell’Ucraina, Crimea compresa, la trattativa potrebbe riprendere».
E quanto alla minaccia energetica, spiega che «Gazprom sta facendo di tutto perché l’Europa non riceva il gas residuo necessario per la stagione invernale. E c’è la Russia dietro gli incidenti ai gasdotti North Stream: molto probabilmente un’azione pianificata». Le prove? «Ci sono dati di intelligence e ci sono alcune analisi, in termini di cosa è stato fatto e chi è il beneficiario. Non ha senso discuterne qui, ci sono indagini in corso. Ma la chiusura dei rubinetti di Gazprom e gli attentati nel Baltico fanno parte della stessa strategia».
Fiorenza Sarzanini per corriere.it il 22 settembre 2022.
È l’ennesimo avvertimento, l’ultima minaccia che arriva dalla Russia contro l’Italia. Dopo le prese di posizione dell’ambasciatore a Roma delle scorse settimane, il livello di attacco contro la politica Italiana si alza ulteriormente, con la scelta di mettere in fila i politici italiani e la provocazione di additarli come “traditori” rispetto ai buoni rapporti precedenti.
Sull’account Facebook, l’ambasciata russa ha pubblicato le foto del presidente Vladimir Putin con alcuni leader politici italiani incontrati nel corso di questi anni. Matteo Salvini, Giuseppe Conte e Luigi Di Maio. Poi si vede Putin con Enrico Letta, con Silvio Berlusconi, una foto della stretta di mano tra il presidente russo e Sergio Mattarella. E ancora, con Giorgio Napolitano, Putin e Matteo Renzi, con Paolo Gentiloni, Mario Draghi e Sergei Lavrov e poi il leader del Cremlino con Massimo D’Alema.
È eloquente l’intimazione: «Dalla recente storia delle relazioni tra la Russia e l’Italia. Ne abbiamo da ricordare». Parole che suonano sia come un’esortazione a non dimenticare le relazioni precedenti e forse - secondo alcuni analisti- l’avviso che qualcosa di segreto potrebbe essere rivelato sui rapporti tra questi leader e l’establishment di Mosca.
Gia nelle scorse settimane, sempre nei momenti chiave della guerra contro l’Ucraina, esponenti russi avevano esternato contro l’Italia e la sua scelta di schierarsi con la NATO e al fianco delle autorità ucraine. Ora che la minaccia di Vladimir Putin di nuove conseguenze è stata esplicita, anche la rappresentanza diplomatica a Roma ha deciso di allinearsi, in vista del voto che porterà in carica un nuovo governo.
Il leader del M5S Giuseppe Conte reagisce: «Sono stato da Putin a Mosca in visita di Stato, lui è venuto in Italia. L’ho incontrato sempre come rappresentante del popolo italiano. Quando ho smesso l’incarico, nonostante un rapporto cordiale che era stato costruito, ho sempre pensato che non fosse un rapporto personale. Tant’è che dopo allora non ho mai cercato Putin, mai parlato col suo entourage e neppure con l’ambasciata russa».
Replica anche il leader di Italia Viva Matteo Renzi: «Credo che il problema della Russia oggi non sia il post dell’ambasciata o il tweet ma sia ciò che ha detto Putin ieri, che pone un problema internazionale. Il problema è come risponderà la comunità internazionale all’escalation verbale, che c’è già. Cerchiamo di lavorare per evitare l’escalation politica. Noi siamo stati e siamo favorevoli alle sanzioni e all’invio delle armi all’Ucraina, ma da sempre diciamo che debba essere lasciato aperto un canale di dialogo. Non siamo come quelli che cambiano idea una volta al giorno, e penso a Giuseppe Conte».
Estratto dell’articolo di Stefano Vergine e Valeria Pacelli per il “Fatto quotidiano” il 22 settembre 2022.
Il 24 febbraio, subito dopo l'annuncio dell'invasione dell'Ucraina da parte di Vladimir Putin, Matteo Renzi ha fatto sapere di essersi dimesso il giorno stesso dal consiglio d'amministrazione della Delimobil. Si tratta di un'azienda russa di servizi di car-sharing […] fondata e controllata da Vincenzo Trani […] capo della Camera di Commercio italo-russa, Delimobil ha come suo secondo azionista il gruppo Vtb, seconda banca di Stato russa, considerata la più vicina a Putin e anche per questo finita sotto sanzioni di Usa e Ue già nel 2014 in seguito all'annessione della Crimea.
[…] Renzi è entrato nel board di Delimobil nell'agosto del 2021, quando la società, registrata in Lussemburgo, stava cercando di ottenere il via libera dalla Sec (la Consob americana) per quotarsi a Wall Street. Ma quanto ha guadagnato lecitamente il senatore italiano nei sette mesi circa in cui ha rivestito il ruolo di consigliere d'amministrazione di Delimobil?
Un'informazione rilevante, visto che Renzi è un politico che avrebbe ricevuto denaro russo, lecito e tracciabile, e la società privata per cui ha lavorato è partecipata da un'azienda di Stato straniera.
Né il leader di Italia Viva né Delimobil hanno fornito informazioni utili […] il mandato di Renzi scadeva nel 2024. Tre anni di lavoro che avrebbero assicurato al leader di Italia Viva un incasso complessivo compreso tra 200 e 230 mila euro […] […] la somma annua lorda per ognuno di loro è compresa tra i 66 mila e 77 mila euro.
Il senatore Renzi non ha incassato, però, tutti questi soldi, visto che ha fatto parte del board di Delimobil da agosto del 2021 al febbraio del 2022. Sono sette mesi, equivalenti a una indennità complessiva lorda compresa tra 38.500 euro e 45.500 euro. Questo è quanto il politico italiano dovrebbe aver guadagnato da Delimobil. Non molto rispetto a quanto avrebbe potuto ricevere se fosse rimasto nel cda fino alla scadenza.
Articolo del “Le Monde” – dalla rassegna stampa estera di “Epr comunicazione” il 22 settembre 2022.
La battaglia per l'influenza tra il presidente russo e i capi di Stato occidentali potrebbe cristallizzarsi al vertice del G20 di Bali, in Indonesia, a metà novembre, alla presenza di Xi Jinping e dei leader "neutrali" o "non allineati".
Mercoledì 27 luglio a Cotonou, in Benin, Emmanuel Macron ha accusato la Russia di essere "una delle ultime potenze imperiali coloniali" dopo aver lanciato una "guerra territoriale" in Ucraina. Per il capo di Stato, impegnato in un tour africano in contemporanea con il capo della diplomazia russa, Sergei Lavrov, "la Russia ha iniziato un nuovo tipo di guerra mondiale ibrida".
"Ha deciso che l'informazione, l'energia e il cibo erano strumenti militari messi al servizio di una guerra imperialista continentale contro l'Ucraina", afferma, come per convincere il suo interlocutore del giorno, il presidente beninese Patrice Talon, presente al suo fianco, ma soprattutto i leader e i cittadini africani, a non cedere alle sirene russe.
Lontano dai combattimenti – leggiamo su Le Monde - l'appello del presidente francese dà un'idea della battaglia diplomatica che si sta giocando a margine della guerra in Ucraina, con i molti Paesi che si rifiutano di scegliere da che parte stare in un conflitto che considerano "regionale" ed "europeo".
La posta in gioco è alta sia per la Russia, che è ansiosa di dimostrare di non essere isolata nonostante le massicce sanzioni adottate dagli Stati Uniti e dall'Unione Europea, sia per l'Occidente, che teme che il divario tra "l'Occidente e il resto del mondo" si stia allargando. Dal 24 febbraio, infatti, Washington e le capitali europee sono consapevoli delle loro difficoltà a raccogliere consensi.
A poco più di una settimana dall'inizio dell'invasione russa, mentre il Consiglio di Sicurezza è paralizzato, una prima votazione all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite (UNGA) ha rivelato la portata del fenomeno in un mondo più che mai fratturato, dove l'influenza occidentale è in declino: il 2 marzo, solo quattro Stati (Corea del Nord, Siria, Eritrea e Bielorussia) hanno votato con la Russia contro il testo che chiedeva a quest'ultima di "cessare immediatamente l'uso della forza contro l'Ucraina". Tuttavia, trentacinque Paesi su 193 membri si sono astenuti, così come Cina, India, Pakistan, Iran e le ex repubbliche dell'Unione Sovietica.
Diciassette Stati africani su 35 hanno fatto lo stesso, tra cui Sudafrica, Senegal, Angola, Algeria, Mali, mentre altri, come Camerun e Marocco, non hanno nemmeno partecipato al voto. Alcuni Stati hanno votato a favore della risoluzione ONU, ma nel corso del processo si sono espressi contro le sanzioni occidentali, con il rischio di ridurne l'impatto o addirittura di essere tentati di cortocircuitarle.
È il caso della Turchia, membro della NATO, l'Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, e del Brasile. Poche settimane dopo, alla fine di aprile, il campo degli astensionisti si è ulteriormente allargato, quando la Russia è stata esclusa dal Consiglio dei diritti umani. Appena 93 Paesi hanno votato a favore del testo, 24 si sono opposti insieme a Mosca, tra cui la Cina, e 58 si sono astenuti.
Per Jean-Marie Guéhenno, ex sottosegretario generale delle Nazioni Unite responsabile delle missioni di pace, questo "non allineamento" di una parte del mondo ha diverse cause, in una comunità internazionale ancora divisa dalle operazioni occidentali in Iraq nel 2003 e in Libia nel 2011.
"In primo luogo, la sensazione che ci sia una sorta di doppio standard nel rispetto della Carta delle Nazioni Unite tra l'Occidente e il resto del mondo. In secondo luogo, la preoccupazione di non schierarsi, mentre il conflitto è percepito come una guerra regionale europea; infine, i legami di lunga data instaurati dalla Russia con alcuni Paesi del Terzo Mondo", analizza questo diplomatico, oggi professore alla Columbia University. Una posizione che, secondo lui, non ha nulla di ideologico, a differenza del movimento dei non allineati ancorato alla Guerra Fredda.
"La Russia non è la Serbia o la Cina. È l'undicesima economia mondiale, ma esporta gas, petrolio, armi, energia nucleare civile e grano", osserva Thomas Gomart, direttore dell'Istituto francese per le relazioni internazionali (IFRI). "Ha preso atto del fatto che è soggetto a sanzioni ed è in grado di adottare controsanzioni", ad esempio nel campo dell'energia e degli alimenti. "
Questa posizione della Russia ha creato una nuova geografia attorno a tre grandi gruppi di Paesi: una zona OCSE che la condanna e la sanziona; i Paesi dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, che non condannano né sanzionano, e gli altri, che sono piuttosto indifferenti al conflitto, tranne quando sono interessati da uno dei cinque pilastri delle esportazioni strategiche russe", afferma Gomart. La Russia sta cercando di trarre vantaggio da questa frammentazione, sia giocando sulle armi energetiche e alimentari, sia sostenendo, con la Cina, la creazione di un nuovo ordine internazionale.
La questione è presa in seria considerazione dalle cancellerie occidentali, poiché i "non allineati" rappresentano più della metà della popolazione mondiale. "Dobbiamo intensificare il nostro lavoro diplomatico per riportare tutte le potenze neutrali verso di noi", afferma una persona vicina a Emmanuel Macron: "Si tratta di evitare una divisione del mondo" e "una sorta di isolamento degli europei accanto agli ucraini". Oltre all'Africa, gli sforzi si concentrano sui Paesi del Golfo, ma anche sull'Asia. "Se India e Cina cambiassero la loro diplomazia nei confronti della Russia, sarebbe molto complementare alle nostre sanzioni", ha suggerito l'Eliseo.
Nel frattempo, a metà settembre Vladimir Putin ha partecipato, insieme al presidente cinese Xi Jinping, a un vertice dell'Organizzazione per la cooperazione di Shanghai a Samarcanda, in Uzbekistan, alla presenza dei leader indiano, turco e iraniano. L'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che si riunisce lunedì 19 settembre a New York, conferma l'intensità di questa battaglia per l'influenza.
Così come il vertice del G20 che si terrà a Bali, in Indonesia, a metà novembre. Vladimir Putin è stato invitato dal Paese ospitante contro il parere iniziale degli Stati Uniti e degli alleati europei dell'Ucraina. Potrebbe essere il primo confronto diretto tra il presidente russo e le sue controparti occidentali, alla presenza del presidente cinese Xi Jinping e dei leader rimasti "neutrali" o "non allineati".
Secondo l’ Intelligence Usa, Mosca ha finanziato partiti in oltre 20 Paesi. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 13 Settembre 2022.
Secondo un rapporto dell'intelligence dal 2014 a oggi la Russia ha versato oltre 300 milioni di dollari a partiti e candidati per accrescere la propria influenza. Gli Stati Uniti forniranno ai singoli governi le informazioni “classificate” sui politici coinvolti
A dodici giorni dalle elezioni in Italia, Washington accusa la Russia di aver distribuito più di 300 milioni di dollari, fin dal 2014, per influenzare politici e rappresentanti di governo in più di venti Paesi, tra cui molti in Europa. L’informazione è contenuta in una nota interna inviata lunedì dal Dipartimento di Stato USA alle ambasciate e consolati americani in Europa, Asia del Sud e nord Africa. Palazzo Chigi è stato informato dagli americani, sollecitati dall’intelligence italiana, che il rapporto esiste.
Il messaggio era classificato come “sensitive”, cioè con informazioni importanti, ma non “classified“, dunque non da tenere strettamente riservato, come riferisce il Washington Post. E quindi in poche ore la notizia ha fatto il giro del mondo . Nel cablogramma, firmato dal segretario di Stato Antony Blinken, non si fanno nomi di politici e Paesi individuati dagli 007 americani ma si dice che Washington informerà direttamente le nazioni coinvolte. I primi Paesi coinvolti, i cui nomi circolano negli Stati Uniti, sono quelli della Bosnia e dell’ Ecuador.
In molti si chiedono se anche l’Italia è coinvolta e quindi citata nel cablo di Blinken. Secondo alcuni media americani questa notizia conferma la linea del presidente Joe Biden, deciso a togliere il velo della segretezza alle manovre di Mosca per influenzare politicamente gli altri Paesi, ma secondo altri può essere un tentativo di inserirsi nelle vicende elettorali di Paesi dell’Alleanza Atlantica.
Che la notizia rivelata dal Washington Post sia una vera e propria bomba mediatica-politica è ormai chiaro a tutti i livelli politici e istituzionali. La caccia ai nomi sarebbe già di per sé capace di stravolgere equilibri e bruciare carriere politiche. Un potenziale scandalo di questa portata che promette di diventare pubblico a undici giorni dalle elezioni politiche rende il tutto letteralmente esplosivo. E lo sa molto bene anche Mario Draghi, che viene investito della gestione di questo caso. E ne sono altrettanto consapevoli
Una volta uscita la notizia l’Italia i vertici dei Servizi italiani, hanno passato il pomeriggio di ieri avendo continui contatti con gli interlocutori americani depositari della linea e delle informazioni dell’amministrazione Usa, chiedendo conto tramite i canali ufficiali di intelligence della veridicità della notizia e dei dettagli. In un primo momento, i rappresentanti dell’intelligence americana presenti in Italia hanno risposto di non essere a conoscenza di nulla e di non aver ricevuto comunicazioni ufficiali da Washington.
La logica istituzionale sarebbe quella di investire il Copasir, vale a dire la commissione parlamentare di vigilanza sui Servizi segreti italiani. L’intelligence può infatti comunicare in quella sede al Parlamento i dettagli eventualmente ricevuti dal Paese alleato. Non è ancora una scelta già assunta, perché come rilevano le stesse fonti esiste “un margine di discrezionalità” che è prerogativa di Palazzo Chigi.
In alcuni ambienti di Washington la posizione della Lega di Matteo Salvini viene vista con preoccupazione per le sue posizioni sovraniste e la vicinanza al premier ungherese di destra Viktor Orbàn, tra i pochi interlocutori del presidente russo Vladimir Putin. Salvini infatti non aveva convinto neanche l’amministrazione guidata da Donald Trump durante la sua visita ufficiale da rappresentante del governo italiano.
E’ possibile che, nelle prossime ore, vengano fuori i nomi dei Paesi finanziati e coinvolti dalla pressione di Mosca ma anche i nomi dei politici a “libro paga” del Cremlino. Funzionari dell’amministrazione americana non hanno fornito, al momento, altri dettagli, limitandosi a ricordare l’influenza russa nelle recenti elezioni avvenute in Albania, Bosnia e Montenegro, che una volta facevano parte del blocco sovietico. Secondo il Washington Post, un membro dell’amministrazione Usa ha evidenziato che il presidente russo Vladimir Putin ha speso ingenti somme “nel tentativo di manipolare le democrazie dall’interno“.
Il dipartimento di Stato sostiene che il flusso di denaro uscito da Mosca sia entrato in Europa attraverso ‘think tank‘ politici e in Asia, Medio Oriente, Africa e Centro America attraverso aziende statali.
La cifra di 300 milioni elargita dalla Russia sarebbe peraltro calcolata per difetto. I soldi sarebbero molti di più. Nel messaggio interno del dipartimento non ci sono, invece, riferimenti alla possibilità che Mosca possa di nuovo intromettersi nelle elezioni americane. Il quotidiano Washington Post ha chiesto, un commento all’ambasciata russa a Washington, senza ottenerlo. Sotto i riflettori, in particolare, le attività russe in Ucraina: la fonte consultata non ha chiarito quanto denaro Mosca abbia speso nel paese guidato dal presidente Volodymyr Zelenskyy ed invaso lo scorso febbraio dalle forze armate russe.
Un alto funzionario Usa ha infatti spiegato che “la decisione di gettare luce sulle azioni segrete russe serve a mettere in allerta i partiti che se accettano segretamente soldi dai russi, possiamo svelare” la loro identità. Ed ha fornito l’esempio di un Paese dell’Asia (senza nominarlo) in cui un candidato alla presidenza ha ricevuto soldi dall’ambasciatore russo.
Non è la prima volta che i Servizi segreti USA denunciano una campagna di influenza da parte russa alimentata da soldi recapitati essenzialmente a partiti nazionalisti e antieuropei che rappresentano un quinto di quelli dell’Europarlamento. Nel 2016 la National Intelligence guidata da James Clapper ricevette l’incarico dal Congresso di controllare i finanziamenti russi degli ultimi dieci anni, e la ricerca è tutt’ora in corsa. Già nel 2016 Washington evitò di menzionare i nomi dei partiti e dei movimenti coinvolti nelle donazioni di Putin, ma nel mirino finirono i partiti di destra in Francia, Paesi Bassi Ungheria (Jobbik, non la Fidesz di Orban) ed Italia. A quell’epoca le attenzioni si spostarono sulla Lega di Matteo Salvini il quale negò ogni coinvolgimento.
Le reazioni e commenti della politica italiana
Il segretario nazionale del PD ha commentato: “Secondo fonti americane ben informate, la Russia in questi anni ha pagato partiti politici occidentali. Chiedo che ci sia in Italia la dovuta informazione e la dovuta chiarezza prima del voto“. Sono state queste le parole di Enrico Letta intervenendo nel programma “Cartabianca” (RAITRE) . “Chiedo che gli italiani, quando andranno al voto il 25 settembre, sappiano se partiti politici del nostro paese sono stati finanziati da una potenza, la Russia, che ha invaso l’Europa” aggiungendo “Vogliamo chiedere al governo italiano di dare le informazioni e che il Copasir intervenga: credo sia fondamentale che l’opinione pubblica sappia se ci sono partiti politici che hanno preso posizione di sostegno alla Russia perché sono stati pagati dalla Russia stessa“.
Immediata la reazione di Matteo Salvini , considerato “filorusso”: “Gli unici che hanno preso soldi dalla Russia in passato sono stati i comunisti e qualche quotidiano italiano. Liberi di farlo… Io non ho mai chiesto soldi e non ho mai preso soldi. La Lega querela? Ci credo… L’emergenza di chi è davanti al televisore sono le bollette… Dicano nomi e cognomi: chi hanno pagato? Se la Russia ha pagato il Pd, è giusto che si sappia“. Sono le parole di Matteo Salvini, leader della Lega, anche lui a “Cartabianca“: “L’unico paese straniero che nella mia attività politica mi ha offerto un viaggio tutto pagato e spesato, che poi non feci, furono gli Stati Uniti. Io non ci andai, altri ci andarono pagati dal governo americano, liberi di farlo”. Una nota della Lega aggiunge “L’unica certezza è che a incassare denaro dal Cremlino è stato prima il Partito Comunista Italiano e in epoca recente ‘la Repubblica’ che per anni ha allegato la rivista ‘Russia Oggi’. La Lega ha dato mandato ai propri legali di querelare chiunque citi impropriamente il partito e Matteo Salvini come è già accaduto in alcuni contesti televisivi con particolare riferimento al sindaco del Pd Matteo Ricci. Non saranno più tollerate falsità e insinuazioni: ora basta“.
Guido Crosetto, co-fondatore di Fratelli d’Italia ha commenta su Twitter: “Dicono che la Russia abbia finanziato partiti in 20 nazioni, dal 2014, con oltre 300 milioni di dollari. La cosa non mi stupisce perché c’era una tradizione antica da parte loro. Però vorrei sapere i nomi, se esistono, di eventuali beneficiati italiani. Perché è alto tradimento”, ma incredibilmente il tweet subito dopo la pubblicazione è scomparso ? Redazione CdG 1947
Da ansa.it il 13 settembre 2022.
La Russia ha trasferito segretamente oltre 300 milioni di dollari a partiti politici, dirigenti e politici stranieri in oltre una ventina di Paesi a partire dal 2014: lo affermano alti dirigenti Usa sulla base di accertamenti dell'intelligence americana.
Si tratta di informazioni declassificate di un report dell'intelligence Usa, ha spiegato un alto dirigente dell'amministrazione Biden in una conference call.
Informazioni che sono state condivise con altri Paesi.
I fondi segreti sono stati usati nell'ambito degli sforzi di Mosca di guadagnare influenza all'estero. Gli 007 ritengono che gli oltre 300 milioni trasferiti segretamente da Mosca a partiti e politici stranieri siano cifre minime e che Mosca abbia trasferito probabilmente altri fondi in modo coperto: lo riferisce un alto dirigente Usa.
Da adnkronos.com il 13 settembre 2022.
"Dicano nomi e cognomi: chi hanno pagato?". Matteo Salvini, segretario della Lega, a Cartabianca risponde alle domande sulle notizie basate su informazioni dell'intelligence Usa, secondo cui la Russia avrebbe finanziato partiti di altri paesi con 300 milioni di dollari dal 2014.
"Gli unici che hanno preso soldi dalla Russia in passato sono stati i comunisti e qualche quotidiano italiano. Liberi di farlo... Io non ho mai chiesto soldi e non ho mai preso soldi. La Lega querela? Ci credo... L'emergenza di chi è davanti al televisore sono le bollette... Dicano nomi e cognomi: chi hanno pagato? Se la Russia ha pagato il Pd, è giusto che si sappia", dice Salvini. "L'unico paese straniero che nella mia attività politica mi ha offerto un viaggio tutto pagato e spesato, che poi non feci, furono gli Stati Uniti. Io non ci andai, altri ci andarono pagati dal governo americano, liberi di farlo".
Gli Usa: dai russi 300 milioni per interferire in 24 Paesi. Giuseppe Sarcina su Il Corriere della Sera il 13 Settembre 2022.
Il documento inviato dal dipartimento di Stato chiede agli ambasciatori di sollevare il problema nelle varie Nazioni. L’Italia non è stata contattata
Il governo russo ha speso, o meglio, investito almeno 300 milioni di dollari dal 2014 in avanti per cercare di «influenzare» i politici di almeno 24 Paesi. È il messaggio inviato lunedì 12 settembre dal segretario di Stato Antony Blinken alle ambasciate e ai consolati Usa con sede soprattutto in Europa, ma anche in Africa e nel Sud-Est asiatico. Non ci sono i nomi, però, né dei Paesi interessati, né dei partiti o di singoli dirigenti politici che avrebbero beneficiato dei finanziamenti «coperti» distribuiti dal Cremlino.
La notizia riapre la polemica sulle manovre pianificate da Mosca per condizionare le dinamiche politiche e sociali in altri Stati, specie quelli schierati con l’Alleanza atlantica. E chiaramente la mossa americana cade in un momento delicato per l’Italia, in piena campagna elettorale.
Il documento firmato da Blinken è stato concepito come un atto interno alla diplomazia americana. Anche se il segretario di Stato invita gli ambasciatori a «sollevare il problema» con le autorità dei Paesi che li ospitano. Il governo guidato da Mario Draghi fa sapere di non essere stato contattato.
Le informazioni provengono da un nuovo rapporto dei servizi segreti Usa e si inseriscono in un filone di indagine iniziato almeno 7-8 anni fa. In un primo tempo gli analisti americani hanno ricostruito le manovre del Cremlino per disturbare la campagna presidenziale del 2016 negli Stati Uniti. I democratici accusarono Donald Trump di aver cospirato con Putin per danneggiare Hillary Clinton.
L’inchiesta venne affidata al super procuratore Robert Mueller che il 22 marzo 2019 consegnò un mastodontico rapporto, sostanzialmente con due conclusioni. Primo: il Cremlino aveva cercato di favorire Trump. Secondo: non c’erano prove di una collusione tra l’allora candidato repubblicano e il vertice russo.
In parallelo si mosse anche la commissione Affari esteri del Senato americano. Era il 2017, i repubblicani, allora in maggioranza, si rifiutarono di partecipare alle indagini. I democratici, comunque, completarono un dossier, un «minority report», datato 10 gennaio 2018. Titolo: «L’assalto asimmetrico di Putin alla democrazia in Russia e in Europa, implicazioni per la sicurezza Usa».
Il testo dedica largo spazio ai tentativi di destabilizzazione o di condizionamento nei Paesi baltici, in Ucraina, Georgia, Montenegro, Serbia, Bulgaria ed Ungheria. Ci sono anche tre pagine dedicate all’Italia. I parlamentari puntano l’attenzione sulle «posizioni anti-establishment» e favorevoli alla Russia del Movimento 5 Stelle. Ma osservano che «non ci sono prove di finanziamenti corrisposti al Movimento 5 Stelle da fonti legate al Cremlino».
Viceversa si riportano «i sospetti» di «alcuni osservatori» a proposito della Lega: «Potrebbe aver ricevuto fondi dai servizi segreti del Cremlino». Come è noto il vertice leghista, a cominciare da Matteo Salvini, ha sempre negato qualsiasi legame economico con Putin.
In ogni caso il rapporto firmato dai senatori democratici, oggi in maggioranza, si concludeva con queste parole: «L’Italia può essere un bersaglio per il Cremlino», favorendo quelle posizioni «che possono indebolire l’unità europea sulle sanzioni (quelle del 2014, ndr) contro la Russia»
L’ombra delle ingerenze agita la politica, la Lega minaccia querele. Stefano Montefiori e Fiorenza Sarzanini su Il Corriere della Sera il 13 Settembre 2022.
Il Pd: intervenga il Copasir, si faccia chiarezza prima del voto. L’Ungheria sembra essere destinazione privilegiata di investimenti da Mosca
La notizia del dossier americano irrompe sulla campagna elettorale italiana come una bomba. Tanto che il leader della Lega Matteo Salvini reagisce subito: «L’unica certezza è che a incassare denaro dal Cremlino è stato prima il Partito Comunista Italiano e in epoca recente La Repubblica che per anni ha allegato la rivista Russia Oggi . La Lega ha dato mandato ai propri legali di querelare chiunque citi impropriamente il partito e Matteo Salvini come è già accaduto in alcuni contesti televisivi con particolare riferimento al sindaco del Pd Matteo Ricci. Non saranno più tollerate falsità e insinuazioni: ora basta».
Al momento nessuna comunicazione ufficiale risulta arrivata per via diplomatica. Ma non si può escludere che nei prossimi giorni possano essere trasmessi dettagli sul contenuto dell’informativa dell’intelligence statunitense. Per questo già da oggi anche il Copasir potrebbe aprire una pratica per accertare quali dati siano stati acquisiti, se ci siano «canali» economici verso il nostro Paese e soprattutto che tipo di verifica sia stata effettuata. Lo ha chiesto il segretario del Pd Enrico Letta: «Si deve fare chiarezza prima del voto, intervenga subito il Comitato parlamentare». E Giuseppe Conte si è allineato: «Il M5S come sempre agisce in piena trasparenza: ci auguriamo che il Copasir indaghi con il sostegno di tutte le forze parlamentari. Non possiamo non esprimere preoccupazione sul fatto che la campagna elettorale possa essere inquinata da fattori esterni». «Dicono che la Russia abbia finanziato partiti in 20 nazioni, dal 2014, con oltre 300 milioni di dollari. La cosa non mi stupisce perché c’era una tradizione antica da parte loro. Però vorrei sapere i nomi, se esistono, di eventuali beneficiati italiani. Perché è alto tradimento», ha scritto su Twitter Guido Crosetto, co-fondatore di Fratelli d’Italia.
L’Italia è il Paese più al centro delle attenzioni vista l’imminenza del voto del 25 settembre, che potrebbe spostare gli equilibri in Europa e — nelle speranze del Cremlino — indebolire la coesione del fronte pro-Ucraina. Ma ci sono sospetti su ingerenze russe nel processo democratico di molti Paesi, primo fra tutti la Francia, dove Marine Le Pen ha finanziato le campagne elettorali grazie a prestiti russi. Nel 2014 l’allora Front National ha contratto un prestito di 9,4 milioni di euro presso la First Czech-Russian Bank (FCRB), che ha concesso anche un finanziamento di due milioni per il micro-partito Jeanne di Jean-Marie Le Pen. Fallita la banca due anni più tardi, il credito viene rilevato da una società formata da ex militari russi con la quale nel 2020 il Rassemblement national trova un accordo per un rimborso scaglionato fino al 2028. In occasione della campagna presidenziale del 2017, poi, il partito viene di nuovo aiutato dal prestito dell’uomo d’affari Laurent Foucher — legato a Mosca secondo il giornale Mediapart —, che fornisce otto milioni di euro benché sia insolvente e sotto inchiesta a Ginevra per truffa e riciclaggio. Nel 2022, visto che la legge francese ormai proibisce finanziamenti ai partiti da Paesi fuori dell’Unione europea, Marine Le Pen si rivolge a una banca ungherese che le assicura 10,6 milioni di euro.
L’Ungheria sembra essere una destinazione privilegiata degli investimenti di Mosca. Anche tramite la «International Investment bank», nuovo nome della banca del Comecon di era sovietica, che nel 2019 ha spostato la sua sede da Mosca a Budapest. Il suo direttore è Nikolai Kosov, figlio dell’allora capo del Kgb in Ungheria.
Fiorenza Sarzanini per il “Corriere della Sera” il 15 settembre 2021.
Il dossier sui 300 milioni di dollari elargiti dalla Russia a venti Paesi è stato confezionato qualche mese fa, quando alla Casa Bianca c'era già Joe Biden. Le informazioni e le verifiche sarebbero state affidate a funzionari del ministero del Tesoro sulla base dei dati raccolti dalla Cia ma senza coinvolgere la National Security.
Sono le prime informazioni trasmesse al governo italiano per via diplomatica e di intelligence . Un report che però non scioglie il nodo cruciale sulla presenza dell'Italia nella lista degli Stati dove ci sarebbero stati partiti e uomini politici «a libro paga».
«Al momento non risulta ma le cose potrebbero cambiare», dichiara il presidente del Copasir Adolfo Urso in trasferta a Washington. E in serata twitta: «Ho appena concluso un positivo incontro al Dipartimento di Stato», con la foto delle due bandiere. La tensione in una campagna elettorale già segnata dal sospetto di interferenze straniere rimane però altissima. Perché dopo la notizia sull'esistenza del report filtrata martedì sera, nessuna comunicazione ufficiale è arrivata dagli Stati Uniti sui Paesi coinvolti. Anzi, nelle note informali di queste ore si specifica che il dossier non sarà consegnato ai governi stranieri perché «classificato». E questo aumenta i dubbi su modi e tempi di diffusione delle informazioni.
Il warning
Gli analisti ritengono che la «bomba» sganciata due giorni fa possa essere in realtà un avviso, una sorta di warning per chi vincerà le elezioni italiane rispetto all'atteggiamento da tenere nei confronti di Washington. Motivo in più per spingere l'esecutivo in carica a sollecitare informazioni chiare sugli elementi raccolti dagli analisti statunitensi. E soprattutto su eventuali dettagli italiani. Finora si è parlato genericamente di fondi ai partiti stranieri. Quali? Si tratta di finanziamenti diretti? Ci sono triangolazioni? Sono coinvolte società o altre istituzioni? Interrogativi al momento senza risposta.
«Fondi dal 2014»
Nessun chiarimento è stato fornito anche sul motivo per cui l'indagine avrebbe riguardato le elargizioni di Mosca a partire dal 2014. È l'anno dell'invasione della Crimea e del Donbass, nel febbraio ci fu la rivoluzione ucraina culminata con la fuga del presidente Viktor Yanukovich.
Date cruciali rispetto alla guerra in corso tra Russia e Ucraina che potrebbero aver spinto l'amministrazione Biden - schierata al fianco del presidente Volodymyr Zelensky - a sollecitare indagini mirate sulla rete tessuta da Putin. Ma la scelta di far filtrare i risultati in maniera parziale proprio in questi giorni in Italia fa presto a trasformarsi in accusa di ingerenza sulla campagna elettorale in vista del voto del 25 settembre. Anche tenendo conto che negli Stati Uniti sono circolate indiscrezioni sul condizionamento del voto in Albania, Montenegro, Ecuador, Madagascar, ed è stato specificato che «si stanno contattando le ambasciate degli Stati interessati» ma non risultano contatti con la nostra sede diplomatica o con la Farnesina.
Al Copasir
Domani mattina il sottosegretario con delega ai Servizi Franco Gabrielli riferirà al Copasir l'esito delle istanze presentate in queste ore agli interlocutori di Washington. «Perché - ribadisce il deputato del Pd Enrico Borghi - siamo in un momento delicatissimo, non possiamo permetterci di rimanere in una situazione di incertezza e sospetto». La prossima settimana il presidente del Consiglio Mario Draghi sarà negli Stati Uniti e incontrerà Biden. Sembra difficile che possa essere quella l'occasione per un chiarimento, ma nessuno può escluderlo. E il timore di rivelazioni con il contagocce in grado di avvelenare questi ultimi giorni di campagna elettorale continua a salire.
Soldi russi, la mossa del premier Draghi e quella mail Usa che per ora chiude il caso. Giuseppe Sarcina e Fiorenza Sarzanini su Il Corriere della Sera il 16 Settembre 2022
Ma già si parla di altri dossier in arrivo nelle prossime settimane su finanziamenti russi. Il Dipartimento di Stato americano: il nostro allarme è sul piano globale. Proroga del Copasir fino alla scelta dei nuovi componenti (è la prima volta)
Mario Draghi lo dirà pubblicamente. Già oggi — nella conferenza stampa convocata a Palazzo Chigi dopo il Consiglio dei ministri — il premier potrebbe confermare che nel dossier sui 300 milioni di dollari distribuiti dalla Russia a venti Stati non c’è l’Italia. Le fibrillazioni che avevano segnato le ultime 48 ore con le notizie fatte filtrare negli Stati Uniti su finanziamenti a partiti e uomini politici stranieri, lo avevano convinto sulla necessità di ottenere un chiarimento con l’amministrazione di Joe Biden. E così, ieri mattina, il capo del governo ha chiamato il segretario di Stato Antony Blinken per avere informazioni dirette sul contenuto del dossier. E la risposta è stata esplicita: «Nulla su di voi».
La mail Usa
Il rapporto sui fondi russi ai partiti occidentali, risponde il Dipartimento di Stato al Corriere, va interpretato come «un’allerta globale». Non sono indicati alcuni Paesi in particolare, né forze politiche o singoli leader. È la stessa spiegazione fornita da Blinken a Draghi. E nelle stesse ore il Dipartimento di Stato ha inviato una mail ai governi: «Noi non entriamo nelle informazioni specifiche di intelligence , ma siamo stati molto chiari nell’esporre la nostra preoccupazione sulle interferenze della Russia nel processo democratico in diversi Paesi del mondo, compreso il nostro. A questo proposito non concentriamo il nostro allarme nei confronti di nessuno Stato in particolare, ma sul piano globale, poiché dobbiamo fronteggiare le sfide contro le società democratiche. Continueremo a lavorare con i nostri alleati e partner per mettere in luce i tentativi di influenza pericolosa della Russia, aiutando gli altri Paesi a difendersi contro tali attività».
Il Copasir
Mercoledì sera Adolfo Urso, presidente del Copasir per Fratelli di Italia, ha ottenuto più o meno le stesse risposte nella sua ultima giornata a Washington. Accompagnato dal numero due dell’ambasciata italiana, Alessandro Gonzales, ha avuto una serie di incontri al Dipartimento di Stato. Poi, scortato dall’ambasciatrice Mariangela Zappia, ha visto il presidente della Commissione Intelligence al Senato, il democratico Mark Warner, nonché il repubblicano Richard Burr, componente dello stesso organismo. E in tutti i colloqui ha ricevuto rassicurazioni sull’esclusione dell’Italia. Del resto poco dopo la divulgazione delle notizie, gli Stati Uniti avevano fatto sapere che le ambasciate interessate sarebbero state contattate. Ma né gli addetti diplomatici negli Usa, né la Farnesina, né gli apparati di intelligence — subito allertati dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Franco Gabrielli — hanno ricevuto informazioni specifiche sull’inserimento dell’Italia nel dossier. Resta il dubbio che nel rapporto compilato dai servizi segreti e dal Consiglio di sicurezza nazionale, diretto da Jake Sullivan, il più stretto collaboratore di Joe Biden, possano esserci dei riferimenti risaputi, attinti dalle cosiddette «fonti aperte», cioè notizie già pubblicate.
Avviso al governo
Le informazioni fatte filtrare da Washington — che gli analisti leggono come un warning per il prossimo governo — potrebbe comunque essere il preludio all’invio di altri dossier. Le parole del ministero degli Esteri Luigi Di Maio, che conferma di essere «in contatto con gli americani per tutti gli ulteriori aggiornamenti», dimostrano che nelle interlocuzioni di queste ore della diplomazia e dell’intelligence è stato spiegato che ci sono numerosi report preparati dal Tesoro e dagli 007 Usa sui finanziamenti di Mosca a partiti, imprese, uomini politici stranieri e per questo non è affatto escluso che nelle prossime settimane possano emergere altri documenti che coinvolgano anche italiani.
La proroga
I timori per quello che potrà accadere in materie così delicate sembrano dimostrati dalla norma, votata all’unanimità e inserita nel decreto Aiuti, che — per la prima volta — proroga il Copasir. E stabilisce che «fino alla nomina dei nuovi componenti dello stesso Copasir le relative funzioni sono esercitate da un comitato provvisorio costituito dai membri del comitato della precedente legislatura che siano stati rieletti in una delle Camere».
Da lastampa.it il 13 settembre 2022.
Quasi alla vigilia delle elezioni, il rapporto con la Russia torna al centro del dibattito elettorale. Un rapporto dell'intelligence statunitense denuncia, infatti, che dal 2014 – anno dell'occupazione della Crimea – a oggi Mosca ha finanziato con 300 milioni di dollari partiti politici e candidati in oltre 20 Paesi per accrescere la propria influenza. «Vorrei sapere i nomi, se esistono, di eventuali beneficiati italiani – incalza Guido Crosetto –, perché è alto tradimento». Il Pd ha chiesto «a tutti i partiti politici italiani di assicurare la propria estraneità a questi finanziamenti». L'informativa non indica specifici 'target' russi ma chiarisce che gli Stati Uniti stanno fornendo informazioni classificate a singoli paesi specifici.
Intanto, dopo il confronto Letta-Meloni di ieri, da cui son emerse due Italie contrapposte su tanti temi, dal Pnnr ai diritti, fino all’immigrazione, oggi la leader di FdI ha parlato di sé in un'intervista al Washington Post: «Qualora gli italiani decidessero che vogliono Meloni premier, sarò premier», ha sottolineato, spiegando il programma del suo partito che definisce «conservatore» e il suo rapporto con l'Europa: «Non mi considero una minaccia, una persona mostruosa o pericolosa».
Aggiornamenti ora per ora
20.46 – Bonelli: “Quali partiti italiani hanno preso soldi dalla Russia?”
«Quali partiti italiani hanno preso soldi dalla Russia per condizionare le elezioni? Secondo intelligence Usa 300 mln di dollari sono stati trasferiti a partiti di Paesi esteri. Esistono atti declassificati di cui il governo è a conoscenza ? Se si, li renda pubblici». Così Angelo Bonelli, leader dei Verdi.
21.05 – Russia: Crosetto, fuori i nomi. E' alto tradimento
«Dicono che la Russia abbia finanziato partiti in 20 nazioni, dal 2014, con oltre 300 milioni di dollari. La cosa non mi stupisce perché c'era una tradizione antica da parte loro», scrive Guido Crosetto su Twitter. «Però - riprende l'ax parlamentare FdI - vorrei sapere i nomi, se esistono, di eventuali beneficiati italiani. Perché - incalza - è alto tradimento».
21.18 – Pd, tutti partiti assicurino estraneità finanziamenti
«Dal 2014 la Russia inquina la democrazia pagando partiti e candidati che ne difendono gli interessi. La nostra democrazia è troppo preziosa per metterla in vendita. Chiediamo a tutti i partiti politici italiani di assicurare la propria estraneità a questi finanziamenti». Lo scrive su Twitter Lia Quartapelle, responsabile Esteri del Partito Democratico.
21.37 – Borghi: solo Pd garantisce di non prendere soldi esteri
«Il Pd è stato l'unico partito sin qui a dire che mai prenderemo soldi dall'estero. Abbiamo chiesto a tutti i partiti di fare altrettanto (e finora non abbiamo avuto risposte). Alla luce di queste notizie tutti i partiti garantiscano che nessuno rientra nella fattispecie». Così su Twitter Enrico Borghi, responsabile Politiche per la sicurezza nella segreteria nazionale del Pd.
21.40 – Salvini: basta falsità, ora querelo
«L'unica certezza è che a incassare denaro dal Cremlino è stato prima il Partito comunista italiano e in epoca recente 'la Repubblica' che per anni ha allegato la rivista 'Russia Oggi'». È quanto si legge in una nota della Lega che prosegue annunciando di avere «dato mandato ai propri legali di querelare chiunque citi impropriamente il partito e Matteo Salvini, come è già accaduto in alcuni contesti televisivi, con particolare riferimento al sindaco del Pd Matteo Ricci». «Non saranno più tollerate falsità e insinuazioni: ora basta», conclude la nota della Lega.
21.49 – Ricci: da anni rapporto Salvini-Putin sotto occhi tutti
«Sono anni che la Russia cerca di influenzare le elezioni in occidente e in Italia aveva scommesso particolarmente sulla Lega». Lo ha detto il presidente di Ali - Autonomie Locali Italiane - e coordinatore dei sindaci del Pd, ospite di Stasera Italia, su Rete4. «Ora vedremo anche se c'è qualche partito italiano che ha preso i soldi, ma che ci sia un rapporto tra il partito di Salvini e quello di Putin è sotto gli occhi di tutti», ha aggiunto Ricci, come riferisce una nota, sostenendo poi che «Putin è stato il capitano e l'esempio dei sovranisti italiani, basta guardare quello che è successo negli ultimi anni. Ora bisogna prendersi le proprie responsabilità. Quelle del 25 settembre sono elezioni politiche dove ci si gioca il posizionamento dell'Italia in Europa e nel Mondo, in un cambiamento geopolitico molto delicato. È evidente - ha concluso - che le posizioni internazionali sono molto importanti quando ci si rivolge agli elettori. Il Partito democratico sta con l'Europa e occidente, senza se e senza ma».
Jacopo Iacoboni per “La Stampa” il 15 settembre 2021.
È difficile stabilire un punto d’inizio delle storie più oscure delle operazioni di interferenza russa in Italia, siamo pur sempre il Paese che ha avuto il partito comunista più grande d’Occidente, vent’anni di governo di Silvio Berlusconi – un amico personale di Putin che il Dipartimento di Stato sospettava di «affari personali» con il presidente russo, attorno a Gazprom e usando suoi presunti prestanome – e in anni recenti la più grande esplosione di partiti populisti-sovranisti in Europa, il M5S e la Lega. Ma forse è il 2014, l’anno di annessione illegale della Crimea alla Russia, il punto di svolta. E gli uomini vicini all’oligarca ortodosso Konstantin Malofeev e a Alexander Babakov (menzionato anche nell’ultimo cablo Usa) giocano un ruolo decisivo.
È una storia che si può far partire da Torino. La Lega nel 2013 deve eleggere il nuovo segretario, che sarà Matteo Salvini. Arrivano in Piemonte Aleksey Komov, collaboratore dell’oligarca ortodosso ultranazionalista russo Konstantin Malofeyev, e il deputato di “Russia Unita” Viktor Zubarev. Entrambi legati anche a Babakov, oligarca nel settore dell’energia. Nel 2015 un convegno di Lombardia-Russia a Milano sarà pagato con i soldi di Malofeev, secondo il racconto di uno dei collaboratori del Carroccio. Babakov sarà intermediario dei nove milioni “prestati” dai russi a Marine Le Pen.
Nei primi mesi del 2014 era nata l’associazione Lombardia-Russia, di Gianluca Savoini e Claudio D’Amico. Nella primavera 2014 Lombardia-Russia si lega alla “Gioventù Russa Italiana”, un’organizzazione fondata nel 2011 da Irina Osipova, figlia di Oleg Osipov, capo del potente ufficio italiano di Rossotrudnichestvo, che nel 2016, si candida persino con Fratelli d’Italia al Comune di Roma.
Partono andirivieni trasversali con Mosca. Nell’ottobre 2014 un gruppo di leghisti vola prima in Crimea, a sostenere i russi. Ci vanno anche due volte delegazioni parlamentari M5S, la star è Alessandro Di Battista. Grillo diventa special guest di RT, oggi bannata in Europa, come Assange e come Michael Flynn, il primo consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump. Sappiamo che Flynn riceve compensi da RT. RT paga anche per quelle interviste grilline?
Dopo la Crimea i leghisti vanno a Mosca, dove incontrano anche Sergey Naryshkin, oggi capo del Svr, i servizi segreti esteri. L’operazione d’influenza, per i russi, si lega fin dall’inizio allo spionaggio. I leghisti lo sanno? Anni dopo, a Roma, a parlare con gli emissari leghisti per un «viaggio di pace» di Salvini a Mosca sarà Oleg Kostyukov (figlio del capo del Gru), vicario dell’ambasciata russa a Roma, che arriva a domandare ai leghisti, il 27 maggio 2022, se sono «orientati a ritirare i leghisti dal governo Draghi». Mosca ha tramato per abbattere Draghi?
Secondo Newslinemag, che ha ottenuto delle mail del gruppo “Tsaargrad” – del filosofo Alexander Dugin e di Malofeev – il 17 ottobre 2018 Salvini ha un appuntamento con Malofeev, così scrive per mail il braccio destro dell’oligarca. Il giorno dopo, all’hotel Metropol a Mosca, Savoini discute un accordo: il colosso petrolifero Rosneft, guidato da Igor Sechin (in tutti questi anni portato in palmo di mano in Italia dal capo di Banca Intesa Russia, Antonio Fallico), avrebbe venduto gasolio all’Eni con uno sconto del 4%, 65 milioni, destinato alla Lega. Esce l’audio. È ancora aperta a Milano un’inchiesta, ma i soldi non sono mai stati trovati.
Nell’ultimo cablo Usa – dove non si fanno nomi specifici – si legge che spesso «il finanziamento politico russo è stato eseguito da organismi come il Fsb». E con un meccanismo di «società di comodo, think tank, università». Le ombre russe in Italia hanno spesso riguardato presunti finanziamenti a dipartimenti universitari. O alla Link University, l’università cara ai 5 Stelle e a pezzi dei servizi. O a riviste di geopolitica più o meno gialloverdi e anti-atlantiche.
Il ministro degli esteri Luigi Di Maio ha detto «io me ne sono andato dal M5S perché Conte stava flirtando con Putin». Conte ieri ha assicurato: «Io posso parlare del M5S, non c’è nessuna possibilità che possa essere coinvolto e subire interferenze». Da anni i 5S, soprattutto con Vito Petrocelli, poi espulso, hanno flirtato con uomini di Putin, per esempio Konstantin Kosachev, o Leonid Slutsky, o Serghey Zeleznyak.
Nel marzo 2020 l’allora premier grillino concesse a Putin una sfilata di mezzi militari e intelligence e generali russi in Italia, dai russi rivenduta come «missione di aiuti». Fu quello, o una missione di propaganda, con uomini dello spionaggio militare su suolo Nato, seguita da pressioni per far adottare il vaccino Sputnik in Italia? Un alto dirigente dello Spallanzani rivelò a La Stampa che due funzionari di stato russi gli proposero 250 mila euro per spingere lo Sputnik, lui rifiutò e informò carabinieri e Servizi. Cosa ruotò attorno a quella grigia storia? I russi ottennero in cadeaux la coltura virale del coronavirus dal potenziale valore commerciale miliardario?
Le domande sulle zone oscure del caso italiano si moltiplicano. Le spie russe in Italia proliferano, arrivando quasi a un centinaio. Lunedì scorso una nota del Dipartimento di Stato inviata alle ambasciate Usa in più di 100 Paesi – compresa Roma – ha suggerito le misure per reagire: sanzioni, divieti di viaggio e l’espulsione di presunte spie russe coinvolte in finanziamento. Chissà se dopo Draghi ne vedremo più qualcuna.
Da lastampa.it il 16 settembre 2022.
Davide Casaleggio attacca duramente Giuseppe Conte, sulla vicenda del presunto finanziamento dal Venezuela di Chavez-Maduro a Gianroberto Casaleggio – finanziamento che Davide Casaleggio ha sempre negato, querelando il giornale spagnolo che per primo aveva diffuso la notizia riportando un documento dei servizi segreti spagnoli.
Ora però Casaleggio sostiene che Conte, in quella storia, ebbe un ruolo. A pochi giorni dal voto del 25 settembre, con un video su Facebook, il figlio del cofondatore del M5S attacca il leader del Movimento, l’avvocato del popolo: «Aveva questo documento da oltre anno, non disse nulla. Fece finta di nulla».
E avanza il dubbio, tra l'altro, che dietro quel caso ci fosse la volontà di cambiare il corso del Movimento 5 Stelle. «Devo raccontarvi un fatto grave che è successo in questa legislatura. Molti di voi lo conosceranno come il "caso Venezuela". Un'infamia che è stata condotta contro mio padre - esordisce Casaleggio - Bene, in questi anni ho condotto diverse ricerche e questo mi ha permesso di farmi un'idea di cosa sia successo.
E anche di quali sono gli attori che sono stati coinvolti in questa vicenda. Anche i servizi segreti italiani, anche persone nel governo italiano sono state coinvolte in questa vicenda. Speravo che la giustizia avesse già fatto il suo corso per la fine di questa legislatura, ma così non è stato. Credo sia quindi importante condividere alcune informazioni pubblicamente».
«Molti di voi ricorderanno il "caso Venezuela" perché è finito su tutti i giornali. Tutte le televisioni, tutte le inchieste di approfondimento in televisione parlavano del “caso Venezuela”. Una valigetta con 3,5 milioni di dollari - ricorda Davide Casaleggio - che sarebbe arrivata nelle mani di mio padre per cambiare il corso delle idee del governo italiano tramite il Movimento 5 Stelle che a suo tempo - si parla del 2010 almeno dalla storia raccontata - era fuori dal Parlamento, fuori dal Governo e quindi sostanzialmente parliamo di una storia irrealistica, che però molti giornali hanno sposato comunque. Ma cosa ho scoperto in questi anni?
Beh, innanzitutto i tempi. Questo documento falso è arrivato al giornale spagnolo, che poi lo pubblicò, proprio nel momento in cui il capo politico del Movimento 5 Stelle si era dimesso. Un momento delicato per il Movimento 5 Stelle. L'inchiesta esce sul giornale sei mesi dopo. Proprio nel momento in cui si sta discutendo del fatto di fare o meno il voto per il capo politico che doveva essere rivotato. Proprio in quel periodo in cui - come molti di voi ricorderanno - io sostenevo la necessità di fare un voto aperto a candidature multiple con il voto degli iscritti, per poter avere un nuovo capo politico».
«Questo non successe mai - rimarca Casaleggio - perché nel frattempo è stato cambiato lo statuto. È stato nominato sostanzialmente un monocandidato, che alla fine è stato ratificato da alcuni iscritti. Ora questo per quanto riguarda i tempi. Chi era invece a conoscenza di questo documento prima che arrivasse nelle mani del giornalista spagnolo?
Bene, questo documento era custodito in un cassetto del governo italiano già da un anno. Tra l'altro prima della pubblicazione, il 27 di aprile del 2019 i servizi segreti italiani con in mano questo documento vanno da Giuseppe Conte - sostiene il foglio del cofondatore del M5S - vista la gravità del fatto denunciato dal documento e lo sottopongono per una sua valutazione. Quello che è stato fatto? Nulla». «Non si fece né un'indagine su un fatto che effettivamente poteva essere molto grave, parliamo di corruzione, riciclaggio, cercare di pagare una forza politica per indurre il governo a fare qualcosa per un Paese straniero.
È qualcosa di molto grave ma il Presidente del Consiglio al tempo non fece nulla. Non fece nulla neanche nell'altro senso. Se pensava che questo documento fosse falso, era una chiara calunnia. Un tentativo di calunnia perché al tempo il documento era segreto, ma non fece nulla neanche quando questo documento uscì sui giornali. Tutti i giornali italiani ne hanno parlato e Conte aspettò ben due giorni per fare la sua dichiarazione in cui sostanzialmente faceva finta di non saperne nulla».
«Ora tutto questo usciva, e il governo? Nulla. Conte che aveva questo documento da oltre anno, non disse nulla. Fece finta di nulla. Ora io spero che nel prossimo governo, che nella prossima legislatura, tutte le persone che avranno a che fare con i servizi segreti: sia le persone che controlleranno i servizi segreti, sia le persone che li gestiranno, abbiano il senso dello Stato. Perché io non tollero che si infanghino le persone che non possono difendersi. Non tollero che si infanghi mio padre. E quindi spero che si faccia chiarezza su un'operazione di calunnia pubblica che è stata portata avanti contro mio padre».
Estratto dell’articolo di Giuliano Ferrara per il Foglio il 16 settembre 2022.
La cosa grave, per quanto riguarda i finanziamenti russi a partiti italiani, è che le ombre sono poche, riguardano dettagli scabrosi ma non l’essenziale. Tutto si è svolto alla luce del sole. (...)
Salvini nella sua ingenua furbizia ha pensato, e ha manifestato apertamente nelle forme più primitive, perfino infantili, che il suo impulso verso il regime dei pieni poteri, dell’uomo forte, della soluzione risolutiva, dell’odio per le élite euroatlantiche, dell’ideologia del risentimento e della frustrazione contro la democrazia liberale, si identificasse con la Russia di Putin (...)
Non è questione di insinuazioni o accuse, di prove, di ulteriori accertamenti, di passaggi di rubli, tutte cose in ombra ma non poi così tanto, è questione direi quasi gratuita, solare, evidente, di infatuazione per un modello che è venuto alla luce per quel che è e per quel che costa in termini di equilibrio, sviluppo, libertà, pace e comune umanità.
Il Salvini invotabile, pericoloso, spiazzato in modo grottesco dalla storia di questi anni, non è uno sconosciuto agente del Kgb, non è un politico corrotto dai rubli, è il leader che ha scommesso apertamente su un modello insopportabile per il nostro modo di concepire la vita e l’esercizio dei diritti civili in un paese democratico. (...)
Il putinismo, che per Berlusconi è un’amicizia personale, ma l’uomo ha anche pianto la notte per Gheddafi, come raccontò mentre veniva bombardato e spento, per Meloni è una tentazione apparentemente rifiutata, per Salvini, che sta nel tridente elettorale della destra, è una seconda, macché una prima pelle. Altro che ombre russe
Marcello Sorgi per la Stampa il 17 settembre 2022.
Il lungo (forzatamente lungo) addio di Draghi si colora a tinte forti in una conferenza stampa in cui, prendendo spunto dal legittimo orgoglio di presentare un nuovo decreto Aiuti da 14 miliardi, il premier mette a posto i suoi ex-alleati e avversari. Ce n’è per tutti, con toni ora sornioni (più consoni a Draghi) ora risentiti, ora superiori, tanto che a un certo punto SuperMario accetta anche di sentirsi definire «sceso dall’alto», per dire che non ha mai avuto bisogno, né ha voluto, fare i conti con le miserie della politica quotidiana. E conferma il suo «no» a un secondo mandato.
Il primo ad affacciarsi nel mirino è Salvini, a cui sembra rivolto quel «pupazzo prezzolato» che continua a «parlare di nascosto» con Mosca. Draghi si prende la soddisfazione di far notare che l’ammontare degli ultimi due decreti è superiore, 31 contro 30 miliardi, all’ammontare dello scostamento di bilancio chiesto ogni giorno dal leader leghista. E di precisare che grazie ai suoi contatti con Blinken e l’amministrazione Usa il governo è stato in grado di scagionarlo completamente dal Russiagate. Della serie “So’ ragazzi”.
Il secondo, ma sempre associato a Salvini, è Conte per lo scetticismo sulle sanzioni per Mosca, «che invece funzionano», e quell’ipocrita plauso alla resistenza dell’Ucraina «che avrebbe dovuto difendersi a mani nude».
La terza è Meloni, alla quale, dopo il voto a favore di Orban, Draghi ricorda che la tradizionale collocazione dell’Italia in Europa con Francia, Germania e i maggiori membri dell’Unione è scelta di pragmatismo: sono Paesi che hanno gli stessi nostri problemi, in cerca di una soluzione comune. Consiglio non richiesto.
Il limite di queste considerazioni, sollecitate dalle domande dei giornalisti, è che sono state tutte senza fare nomi. Sassolini, o pietre, tolte dalle scarpe fuori tempo limite.
Draghi ovviamente rifiuta di dare un giudizio sulla campagna elettorale in corso, anche se è evidente che non gli è piaciuta, e fa un solo appello: al voto. Rivolto a tutti i cittadini, perché in fondo, anche se non lo ha detto apertamente, il premier pensa che gli italiani siano meglio dei partiti che li rappresentano, e il meglio del meglio forse si annidi tra quelli astensionisti, che potrebbero cambiare le cose facendo uno sforzo per andare alle urne.
Mattia Feltri per la Stampa il 17 settembre 2022.
Forse sono io a essere inadeguato agli arabeschi logici del mio tempo. Per esempio, ora Matteo Salvini pretende delle scuse. Come sapete, qualche giorno fa il Dipartimento di Stato americano ha diffuso una nota secondo cui da anni il Cremlino paga partiti di altri paesi per sovvertirne l'ordine democratico.
Con una deduzione particolarmente precipitosa, molti hanno dato per certo che fossero coinvolti pure dei partiti italiani e, una volta compiuto questo passo, la deduzione successiva era fatale: chi potrà mai essere stato retribuito da Mosca, se non quel tizio incline a indossare felpe con l'immagine di Putin sulla Piazza Rossa, promotore di una collaborazione politica fra il suo partito e quello di Putin, di cui è un tale ammiratore da averlo definito il garante della pace in Europa, il miglior leader al mondo insieme a Donald Trump, il presidente di un paese molto migliore dell'Unione europea, uno che vale il doppio di Obama, il triplo di Mattarella, il quadruplo di Renzi, un modello di lucidità e lungimiranza, uno senza difetti, un grande, un amico (tutto testuale)? Chi, dunque, se non Matteo Salvini?
Salta però fuori che il documento di tutto parla fuorché di partiti italiani, e tantomeno di Salvini, circostanza confermata ieri da Franco Gabrielli, sottosegretario delegato per la sicurezza della Repubblica. Ecco, ora Salvini indignato vorrebbe che i suoi avventati accusatori gli porgessero le scuse. Lui non è - per usare le parole di Mario Draghi - un pupazzo prezzolato. No, lui ha fatto tutto gratis. E a me, inadeguato agli arabeschi logici contemporanei, pare una terribile aggravante.
Leon Panetta ex capo della CIA: “Chi parla delle sanzioni come Salvini è stato influenzato da Mosca”. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 17 Settembre 2022.
Leon Panetta ex capo della CIA e del Pentagono sotto la presidenza Obama, parla di Putin, Salvini, Berlusconi, e sa di cosa parla...
“Sentire da chiunque quelle cose sulle sanzioni a Mosca mi dice che è stato influenzato dalla Russia”. È netto il giudizio di Leon Panetta, quando gli ricordi l’intervento di Matteo Salvini a Cernobbio. Subito dopo il capo di Cia e Pentagono nell’amministrazione Obama, quando Biden era vice presidente, aggiunge: “Fatico a pensare che chiunque verrà eletto in Italia non capisca come il ruolo del vostro paese nel mondo sia rafforzato dall’alleanza con Nato e Usa, e facendo altro minerebbe l’economia e la politica italiana“.
Vista la denuncia del segretario di Stato Blinken, può dirci cosa sa lei della corruzione russa in Italia e in Europa?
“Abbiamo sempre avuto intelligence sugli sforzi dei russi per aggirare le sanzioni e dirigere fondi verso coloro che sono vicini a Putin e nemici degli Usa. Usa i soldi come farebbe un tiranno, per complicare l’applicazione delle sanzioni“.
il segretario di Stato USA Blinken
Cosa sa della corruzione dei politici in Europa?
“Normali operazioni di intelligence russa. Usano i fondi per convertire alla loro linea, piazzare spie e alleati nel mondo. È quello che Putin ha fatto per anni, sfruttare ogni leva di potere per minare stabilità e Usa“.
Ha informazioni sull’Italia?
“Non mi sorprenderebbe che stessero usando fondi per influenzare chi sarebbe più favorevole alla Russia. In Italia e in altri paesi”.
Silvio Berlusconi e Vladimir Putin in Sardegna
Lei ha conosciuto Berlusconi nel 1994 durante la visita del presidente Clinton. L’apprezzamento che ha espresso in varie occasioni per Putin è politico, o legato al business?
“Non sarei sorpreso se Berlusconi avesse una relazione stretta con Putin. Risale ai tempi in cui il capo del Cremlino era più rispettabile come leader, sono sicuro che il loro rapporto vada indietro negli anni. Filosoficamente Berlusconi e Putin la pensavano allo stesso modo, ciò è probabilmente vero anche oggi“.
L’episodio del Metropol dimostra che la Lega è un target?
“Dobbiamo capire che Putin e la Russia sono in un angolo, a causa dell’Ucraina. Proveranno ad usare ogni mezzo per costruire un qualche tipo di sostegno“.
Salvini , l’ambasciatore russo in Italia e SavoiniSalvini e Savoini a Mosca
Tra una settimana in Italia si vota. Si aspetta operazioni di disinformazione?
“La Russia ha lanciato un attacco sfacciato contro gli Usa durante le nostre elezioni, e continua a farlo, per minarne l’integrità. È un approccio standard per aiutare chi pensano sosterrebbe le loro posizioni. Sta accadendo in Italia e altrove“.
Anche la corruzione?
“Sì. Non escluderei nulla, in particolare quando sono in un angolo come oggi. Putin era e resta prima di tutto un agente del Kgb, ed userà le tattiche che conosce per spingere gli altri a sostenere la Russia“.
Vladimir Putin
L’Ucraina può vincere la guerra?
“Putin non può vincerla, e dovrà affrontare la difficile decisione di salvare se stesso, oppure muovere verso l’escalation“.
C’è il rischio che usi le armi nucleari tattiche?
“Resta sempre una possibilità. Quando metti una tigre all’angolo, non sai mai come risponderà“.
Quindi Putin ora ha un incentivo ad influenzare le elezioni italiane per dividere la coalizione occidentale?
“Assolutamente. Usano queste tattiche quando le circostanze sono favorevoli, immaginiamoci ora che sono in difficoltà per guerra e sanzioni. Putin non ha ottenuto neppure il sostegno della Cina, e ciò dice tutto sulla sua posizione. È molto vulnerabile ora. Perciò cercherà di colpire comunque potrà“.
Quanto importante sarebbe sfilare l’Italia dalla coalizione?
“Punta a cercare di favorire questo risultato. Ma fatico a pensare che chiunque verrà eletto non capisca come il ruolo dell’Italia nel mondo sia rafforzato dall’alleanza con Nato e Usa, e facendo altro minerebbe tanto l’economia, quanto la politica del vostro paese“.
Salvini che a Cernobbio chiede di togliere le sanzioni è l’effetto di una posizione politica o delle pressioni russe?
“Non sei mai sicuro di cosa ci sia dietro a quel genere di commenti. È chiaro che Mosca si trova in una posizione molto difficile, non solo militarmente in Ucraina ma anche economicamente a causa delle sanzioni, sentire da chiunque quelle cose mi dice che è stato influenzato dalla Russia”.
Leon Panetta ex capo della CIA e del Pentagono
Quando era alla Cia ha visto informazioni sulla corruzione russa in Italia?
“Ogni giorno vedevo intelligence sugli sforzi dei russi per corrompere, spiare e minare la stabilità mondiale“.
È ciò che fanno. Il popolo italiano deve sapere che, ci piaccia o no, siamo impegnati in una guerra che dirà molto sul futuro della democrazia nel Ventunesimo secolo. Se vogliamo che sopravviva, dobbiamo fare tutto il possibile per fermare tiranni come Putin».f
“La Russia si ritrova ormai in un angolo a causa dell’Ucraina e proverà a usare ogni mezzo anche la corruzione“
*intervista di Paolo Mastrolilli, corrispondente dagli USA de La Repubblica
Russia, altro che i regali di Putin: ecco il peccato originale della sinistra comunista. Iuri Maria Prado su Libero Quotidiano il 18 settembre 2022
Le simpatie che negli anni, a destra e a manca, si sono coltivate in favore del regime russo devono essere giudicate per quel che sono dal punto di vista di ciascuno: inoffensive o pericolose, scriteriate o ragionevoli, comprensibili o condannabili. Ma farne la materia di una specie di Mani Pulite transazionale e geopolitica - per combinazione in concomitanza con un appuntamento elettorale - rappresenta il solito trattamento italianamente imbecille e profondamente disonesto con cui si pretende di affrontare e risolvere una vicenda con etichettatura para-giudiziaria.
Per farsi un'idea del vignettista che raffigura il presidente degli Stati Uniti e Volodymyr Zelens' kyj con baffetti hitleriani e braccia fasciate di svastica non occorre verificare se la bella trovata ha ricevuto o no remunerazione. E quel giornalista democratico che descriveva l'operazione speciale come la cauta iniziativa di chi «punta sui suoi obiettivi, e intanto cerca di non spaventare la popolazione», propinava questa sua chicca - c'è da esserne sicuri- senza che fosse retribuita: e a farla condivisibile o infame non era la presenza o l'assenza del corrispettivo. E la pretesa di investigazione sulle cause interessate e monetizzate delle simpatie verso le gesta di quel regime ha poi questo doppio effetto pericoloso: che si va alla ricerca delle bustarelle dove verosimilmente non ci sono, magari tirando in mezzo chi non c'entra, e magari lasciando fuori chi non aveva bisogno nessun bisogno di riceverne. I comunisti italiani che ricevevano i soldi sporchi dell'aguzzino sovietico eran quel che erano a prescindere da quel rifornimento.
Felice Manti per il Giornale il 16 settembre 2022.
Dottor Jekill o Mister Hyde? Dove finisce l'Enrico Letta politico che vuole guidare (di nuovo) il Paese e dove inizia l'Enrico Letta lobbista? Domanda legittima che il Giornale pone al segretario Pd in campagna elettorale, finora senza risposta. Abbiamo ricostruito gli interessi e i legami di Letta con la Cina, solida alleata della Russia di Putin, attraverso la sua nomina nel Cda della holding del lusso cinese Liberty Zeta Ltd e nella società Tojoy, legata al presidente Xi Jinping di cui è stato co-presidente per l'Europa occidentale fino a marzo 2021.
Un intreccio di relazioni costruite nell'interregno tra l'addio di Letta alla politica con le dimissioni da parlamentare - dopo lo strappo su Palazzo Chigi orchestrato da Matteo Renzi col suo tweet #Enricostaisereno - e il suo rientro al Nazareno come salvatore della patria. Sette anni in cui si è dato da fare. Si chiama élite capture. Si assume o si coopta un ex politico in un'impresa privata che opera sotto le direttive di uno Stato straniero «in cambio delle loro conoscenze e a discapito degli interessi dei cittadini dell'Ue e degli Stati membri», scrive il Parlamento europeo che il 9 marzo scorso ha approvato la risoluzione contro «le ingerenze straniere in tutti i processi democratici nell'Ue», realizzate non solo attraverso i fantomatici rubli in nero ai partiti di cui parlano gli Usa ma soprattutto attraverso parcelle (e influenze) in chiaro.
Lo ha sottolineato anche il Copasir nella relazione del 19 agosto scorso.
Adesso che Letta è tornato a far politica, come si concilia il suo lobbismo filocinese, la tutela dell'Europa e la fedeltà al modello atlantico? Nel suo magico mondo è tutto ok, tutto si può conciliare.
Quando nel 2019 il ministro degli Esteri Luigi Di Maio spalancò le porte dell'Italia a Pechino, dall'esilio il leader Pd commentò: «Non c'è alcuna contraddizione tra la nuova Via della Seta, le regole europee e la fedeltà agli Stati Uniti». Ma solo se la fedeltà agli americani di cui parla Letta è quella ai paradisi fiscali, dal Delaware al New Jersey, in cui hanno sede le società per cui l'ex premier ha lavorato.
Che così fanno dumping a scapito del gettito italiano (6,4 miliardi di euro il danno calcolato) e danneggiano il made in Italy. Privilegi che a parole il politico Letta dottor Jekill vorrebbe abolire, mentre il lobbista Letta Mister Hyde ne approfitta. A quale dei due credere?
Poi c'è un potenziale conflitto d'interessi. In questi sette anni, lo scrive nel suo curriculum, Letta è stato advisor di Equanim, società francese che ha contribuito attraverso la controllata Usa a ripulire l'immagine del regime saudita di Mohammad bin Salman dopo l'omicidio del giornalista Usa Jamal Kashoggi e che ha tra i suoi clienti anche Facebook, Disney, Google, la Monsanto e i big della farmacia mondiale, da Astrazeneca a Bayer.
Ma ha anche lavorato nella società di head hunting Spencer Stuart, di cui di recente si è servito anche Mario Draghi. È stato nominato nell'advisory board di Amundi, società specializzata nell'asset management, controllata dal gruppo Credit Agricole che in Italia ha inglobato Cariparma e che potrebbe scalare Banco Bpm.
È stato advisor di Tikehau Capital, società che nel 2020 ha favorito un'operazione Italia-Cina attraverso l'acquisizione del 30% di un'azienda di motori elettrici e una linea di credito accordata da Cassa depositi e prestiti per sostenere gli investimenti in nuovi impianti e macchinari ad alta tecnologia per il mercato automotive cinese. C'è anche il Letta presidente dell'associazione Italia-Asean dietro?
Plausibile, ma non è questo il punto. Quando Letta dice che il mercato delle auto elettriche è il futuro parla il politico dottor Jekill o il lobbista Mister Hyde?
Soldi russi ai partiti. Il ricatto degli 007 americani all’Italia. Piero Sansonetti su Il Riformista il 16 Settembre 2022
È molto inquietante la vicenda delle rivelazioni-non-rivelazioni dei servizi segreti americani sui finanziamenti russi a 24 paesi stranieri. E quello che preoccupa di più non è la Russia ma l’America. Le ipotesi, evidentemente, sono solo due. O le rivelazioni sono false oppure sono vere. I servizi segreti americani non sempre sono attendibili, quindi l’ipotesi-bufala non è da escludere. Se invece le rivelazioni sono vere, se cioè gli americani possiedono le prove dei finanziamenti e se – come è molto probabile – alcuni di questi finanziamenti riguardano l’Italia (non è ragionevole che la Russia abbia finanziato paesi vari e non l’Italia) allora bisogna capire perché la notizia (che è vecchia di cinque anni) è uscita solo oggi, quanto ha a che fare con la guerra in Ucraina e quanto con le future elezioni italiane.
È probabile che se i finanziamenti russi ci sono stati, siano stati distribuiti, più o meno equamente, tra diversi partiti, forse tutti i principali partiti. Dunque sarebbe nelle mani degli americani la decisione di come usarle e contro di chi. Che le rivelazioni possano influire sul risultato elettorale è improbabile. Potrebbero però influire sulla formazione e la composizione del futuro governo, spingendo ad escludere dal governo i partiti che si decide di denunciare come fedeli a Mosca. Oppure, ipotesi ancora più inquietante, potrebbero essere usate come minaccia e ricatto verso alcuni partiti, o verso tutti i partiti, per assicurarsi una politica filoamericana, sia nelle scelte di politica esteri sia in quelle di politica economica. Gli americani probabilmente sono preoccupati dal probabile abbandono di Draghi, che era una garanzia per loro, e potrebbero aver deciso di prendere le contromisure. L’Italia si troverebbe in una condizione di ricatto.
Piero Sansonetti.
Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.
Ci sono dati sensibili sull’Italia: il report Usa sui soldi ai partiti secretato a Washington. Paolo Mastrolilli su La Repubblica il 15 Settembre 2022.
Esiste un rapporto del “National Security Council” classificato. Il Dipartimento: “Non daremo dettagli ma c’è preoccupazione sull’attività della Russia”
L’Italia c’è, nel dossier americano sulla corruzione russa nel mondo. E non poteva essere altrimenti, considerando i rapporti con Mosca costruiti negli ultimi decenni da diversi partiti rilevanti. Non è un segreto, del resto, che forze come Lega o M5S frenano apertamente sulle sanzioni alla Russia e le armi all’Ucraina.
Lo conferma a Repubblica una fonte molto autorevole, con diretta conoscenza dei fatti, che ne ha discusso con i vertici del dipartimento di Stato.
Anna Macina: “Fondi esteri, così nel 2018 fermammo lo strano emendamento del Carroccio”. Matteo Pucciarelli su La Repubblica il 14 Settembre 2022.
Intervista alla sottosegretaria alla Giustizia, ex 5 Stelle. Nella legge Spazzacorrotti c'era un comma che vietava i finanziamenti ai partiti da altri paesi. Ma la Lega propose di cancellarlo. "La richiesta era assurda"
La sottosegretaria alla Giustizia Anna Macina, ex 5 Stelle e oggi in Impegno civico, durante il governo Conte uno era capogruppo alla commissione Affari costituzionali della Camera. Lega e Movimento discutevano il varo della legge cosiddetta “spazzacorrotti”. Sono i giorni che seguono l’incontro moscovita del 18 ottobre 2018 tra Gianluca Savoini e misteriosi emissari vicini al presidente Putin.
FABIO TONACCI,GIULIANO FOSCHINI per la Repubblica il 16 settembre 2021.
Un dossier madre redatto a inizio anno, da cui è germinato un secondo dossier dato in pasto alle cancellerie dei più importanti paesi dell'Occidente. Per capire le fibrillazioni della campagna elettorale italiana delle ultime 48 ore - cominciate quando dagli Stati Uniti qualcuno ha voluto soffiare sulla brace del sospetto trasformandolo in un incendio - è necessario fare un salto indietro nel tempo e tornare a sette mesi fa, tra gennaio e febbraio del 2022, alla vigilia dell'invasione russa in Ucraina.
È allora che il National security council, il Consiglio per la sicurezza nazionale che consiglia e assiste l'inquilino della Casa Bianca, consegna nelle mani del presidente Joe Biden e al Dipartimento di Stato un corposo report (il "dossier madre"), che mette insieme informazioni confidenziali di intelligence, fonti aperte e dati raccolti dalle diverse amministrazioni del governo americano, prima tra tutti il dipartimento del Tesoro. È un lavoro che ha l'ambizione di disegnare la mappa dell'influenza occulta della Russia di Putin sugli Stati dell'Occidente, Europa compresa. Un paragrafo è dedicato anche all'Italia.
Il warning alle Cancellerie Sette mesi dopo, settembre 2022, il Dipartimento di Stato decide di informare 200 ambasciate in tutto il mondo dell'esistenza del dossier. Ne declassifica alcune parti, per segnalare ai governi esposti l'allarme interferenze russe. In Italia, Palazzo Chigi scopre dell'esistenza del dossier dalla stampa americana. Dopo due giorni di lavoro serrato a livello di intelligence e di diplomazia, a seguito di una telefonata tra Mario Draghi e il segretario di Stato, Antony Blinken, fornirà oggi alcune risposte certe: al Copasir, prima, per voce del sottosegretario Franco Gabrielli.
E poi alla stampa, con il premier in persona. Stando alle informazioni che gli americani hanno fornito fino a questo momento, diranno i due, non ci sono evidenze che la Russia abbia finanziato direttamente alcun partito politico o leader del nostro paese.
Il documento classificato Come detto, tutto comincia quindi sette mesi fa quando il National Security Council stila il lungo report classificato. Repubblica - in un articolo di Paolo Mastrolilli - ha rivelato ieri che si tratta di una combinazione di informazioni di intelligence, cablo diplomatici e notizie open source. Si ripercorrono fatti e circostanze che vanno tra il 2014 e il 2022: gli analisti americani mettono in fila una serie di operazioni compiute dai russi in diversi paesi occidentali ed europei. E anche in Italia, della quale si parla diffusamente.
Di ciò il nostro governo ha chiesto conto in queste ore ricevendo però un secco no. Lo chiede anche Draghi a Blinken, si apprende da fonti di governo italiane, spiegandogli la delicatezza della fase pre-elettorale, ma ottenendo in cambio un inevitabile: esiste, ma si tratta di informazioni classificate e dunque non divulgabili. Almeno al momento, è la chiosa. A sera, il Dipartimento di Stato fa anche sapere che «Blinken ha detto a Draghi che gli Stati Uniti non vedono l'ora di lavorare con qualsiasi governo uscirà dalle prossime elezioni».
Il documento pubblico Ma perché allora, se tutto è segreto, la questione diventa pubblica? Succede martedì 13 settembre quando un lancio della Associated Press parla dell'esistenza di un report (il secondo dossier, nato dal primo) nelle mani del Dipartimento di Stato americano che dà conto di finanziamenti del Cremlino tesi a influenzare partiti ed esponenti politici occidentali: si citano 300 milioni di euro, spesi a partire dal 2014 e confluiti in una una ventina di paesi, tra cui alcuni in Europa. È stato inviato da Blinken alle ambasciate americane di almeno duecento paesi.
In Italia nessuno del governo è stato avvisato. Gabrielli (Autorità delegata alla sicurezza della Repubblica) chiede conto all'intelligence Usa di cosa stia accadendo. Si muove personalmente il numero uno dell'Aise, Giovanni Caravelli. Poche ore dopo alla Farnesina viene notificata la famosa annotazione. Si tratta di un testo generico che mette in allerta le ambasciate delle operazioni di influenza russa. È in sostanza una sintesi del "dossier madre" classificato.
Nel documento si fa riferimento a venti paesi in cui sono stati certamente compiuti investimenti russi per influenzare la politica interna. Ma l'Italia non c'è. A conferma della veridicità, l'ambasciata deposita alla Farnesina il cablogramma originale mandando in confusione il ministro degli Esteri, Luigi di Maio. Che parla di nuovi file in arrivo. Ma in realtà si tratta sempre dello stesso: una sintesi di quello originale.
Le ripercussioni politiche Con la telefonata a Draghi, Blinken circoscrive - almeno al momento - l'effetto della campagna Usa sugli equilibri italiani, a pochi giorni dalle elezioni. Il premier, invece, si garantisce la possibilità di non dover gestire un dossier - quello principale - che potrebbe potenzialmente chiamare in causa leader e partiti. Resta però un enorme punto interrogativo attorno al contenuto e alla forza delle rivelazioni del testo secretato. Sarà il nuovo esecutivo a dover lavorare con questa spada di Damocle pendente. Certamente finendo per esserne condizionato, visto che potrebbe essere declassificato in qualsiasi momento.
Paolo Mastrolilli per “la Repubblica” il 15 settembre 2021.
C'è un documento che sembra la fotocopia del "cable" del segretario di Stato Blinken sulla corruzione russa, e include l'Italia. È il rapporto "Covert Foreign Money", scritto dall'Alliance for Securing Democracy del German Marshall Fund of the United States nell'agosto del 2020, quindi alla fine dell'amministrazione Trump.
L'autore principale è Josh Rudolph, Fellow for Malign Finance , che nel Consiglio per la Sicurezza Nazionale si era occupato di coordinare il lavoro delle agenzie federali sulle sanzioni contro la Russia. La Lega e il caso Metropol occupano un ampio spazio in questo studio di oltre cento pagine, dove compare anche il Movimento 5 Stelle.
Ancora una volta quindi è la Casa Bianca repubblicana a mettere sotto la lente il partito guidato dall'alleato ideologico Matteo Salvini, attraverso questa analisi realizzata da un suo ex alto funzionario.
Il testo comincia così: «Oltre a strumenti più ampiamente studiati come attacchi informatici e disinformazione, i regimi autoritari tipo Russia e Cina hanno speso oltre 300 milioni di dollari per interferire nei processi democratici più di 100 volte in 33 paesi nello scorso decennio. La frequenza degli attacchi finanziari è aumentata in modo aggressivo, da due o tre all'anno prima del 2014, fino a 15 o 30 ogni anno dal 2016 in poi».
Sembra di leggere i rapporti di intelligence che hanno ispirato Blinken, a conferma di quanto bipartisan sia l'emergenza, con la differenza che qui si scende nei dettagli: 11 milioni di dollari a Marine Le Pen; 16 milioni stanziati dall'oligarca Oleg Deripaska per sovvenzionare il blocco europeo anti Nato, scoperti dai procuratori del Montenegro.
«Noi chiamiamo questo strumento di interferenza straniera "finanza maligna", definita come "il finanziamento di partiti politici stranieri, candidati, campagne, élite ben collegate o politicamente influenti, gruppi, spesso attraverso strutture non trasparenti progettate per offuscare i legami con uno stato nazione o i suoi delegati».
Quindi l'ex consigliere di Trump aggiunge: «Un 17% particolarmente aggressivo dei casi di finanza maligna non opera principalmente attraverso scappatoie legali. Gli esempi includono i profitti petroliferi russi destinati a finanziare la Lega in Italia».
Il rapporto rivela che il Cremlino pretende dagli oligarchi di «destinare parte delle loro ricchezze ad attività "patriottiche all'estero». Salvini ha sempre ripetuto di non aver mai ricevuto un rublo da Mosca, ma secondo il documento originato nei corridoi della Casa Bianca repubblicana il punto non è questo, perché ci sono «tre diverse sottocategorie di contributi stranieri a campagne, candidati e funzionari eletti: benefici tangibili, come prestiti finanziari o regali; servizi mediatici, come la manipolazione dei social media su misura; e informazioni preziose, come le ricerche sull'opposizione».
Il rapporto si concentra sul "Commodity enrichment", ossia «concedere ai donatori privilegiati lucrose posizioni nei mercati corrotti, oscuri e bizantini per le materie prime».
Ciò «può essere visto con tre esempi in Europa: il presunto contrabbando di diamanti dall'Africa, esportazioni scontate di petrolio in Italia, e transito di gas attraverso l'Ucraina».
Un altro strumento sono «le organizzazioni non profit, spesso segretamente sfruttate da poteri autoritari per trasferire finanziamenti agli attori politici; sovvenzionare i partiti che la pensano allo stesso modo; raggiungere specifici risultati politici o catturare le élite».
L'inchiesta inquadra la vicenda del Metropol in un mutamento strategico del Cremlino: «Prima del 2014, Putin aveva costruito legami politici con l'Europa occidentale attraverso capi di stato amichevoli come Schröder, Berlusconi e, in misura minore, Sarkozy». Ma «la sua convinzione che la Russia abbia "interessi privilegiati" per violare la sovranità nazionale delle sue precedenti conquiste imperiali si è rivelata fondamentalmente in contrasto con l'ordine del dopoguerra».
Perciò, deluso, «Putin ha iniziato a promuovere in modo aggressivo politici e partiti non tradizionali. Ciò era fatto in parte per sviluppare alleati alternativi, fungendo da organizzazioni di facciata che sostengono l'accettazione da parte occidentale delle politiche russe aggressive. Tuttavia, tali alleati possono anche essere visti come combattenti in una forma di guerra politica: beni umani acquistati e pagati, destinati a servire, consapevolmente o meno, come misure attive per destabilizzare il consenso liberaldemocratico».
Con questa logica si arriva al Metropol, che l'ex consigliere di Trump viviseziona nei dettagli: «Sembra che l'accordo sia stato scoperto dai giornalisti prima che fosse chiuso.
Se fosse stato completato, probabilmente sarebbe stato illegale, in quanto lo sconto sul prezzo di circa 130 milioni di dollari superava il limite di 100.000 euro per i contributi politici in Italia al momento».
Descrivendo il ruolo di Savoini da intermediario di Salvini, come Aleksandr Babakov, Vladimir Kornilov e Manuel Ochsen avevano fatto per Marine Le Pen, Thierry Baudet e Markus Frohnmaier, il rapporto nota che «ciò mostra come le relazioni del governo russo con l'estrema destra dell'Europa occidentale non siano più centralizzate all'interno del Kgb, come durante la Guerra Fredda, ma invece gestite da individui che sperano di impressionare il Cremlino».
Savoini è «lo sherpa di Salvini a Mosca. È presidente dell'Associazione Culturale Lombardia-Russia, domiciliata dal febbraio 2014 nella sede della Lega, che spinge costantemente la propaganda pro-Cremlino e ha legami con gruppi dell'estrema destra in Russia e in Europa. Il suo presidente onorario è Alexey Komov, rappresentante russo del Congresso mondiale delle famiglie, che funge da collegamento con Konstantin Malofeev». Il rapporto ricorda gli incontri di Savoini con Alexander Dugin, definito «l'ideologo fascista di Putin».
Così si arriva al 17 ottobre 2018, quando Salvini va a Mosca, partecipa ad una conferenza, «e poi secondo quanto riferito esce da una porta laterale per vedere segretamente il vice primo ministro russo Dmitry Kozak, uomo del circolo ristretto che sovrintende al settore energetico. L'incontro tra i due avrebbe avuto luogo nell'ufficio di Vladimir Pligin, potente membro del Partito Russia Unita di Putin con stretti legami con Kozak».
Savoini la mattina dopo partecipa all'incontro al Metropol con Ilya Andreevich Yakunin, che rappresenta Pligin, Andrey Yuryevich Kharchenko, che lavora per Dugin, e un terzo uomo identificato come Yuri. La delegazione italiana comprende Gianluca Meranda, che rappresenta la banca d'investimenti Euro-IB e dovrebbe fare da intermediario tra Rosneft ed Eni, che ha negato qualsiasi ruolo.
Poi c'è «Francesco Vannucci, che sembra essere il responsabile dei meccanismi per incanalare lo sconto concordato del 4% sul prezzo alla Lega tramite gli intermediari ». Il resto lo raccontano le registrazioni dell'incontro, dove si parla di fornire diesel e kerosene russo a prezzi di favore. Il rapporto dice che i negoziati erano continuati fino a febbraio, e non erano andati a buon fine solo perché i media li avevano rivelati. Quindi cita anche i documenti del giornale spagnolo ABC sui presunti 3,5 milioni di euro regalati nel 2010 dal Venezuela a M5S.
Il consigliere di Trump però non chiude qui la sua analisi, passando alla legge "Spazzacorrotti": «L'incontro a Mosca si è svolto il 18 ottobre 2018. All'epoca, l'unico limite ai finanziamenti esteri delle elezioni italiane era di 100.000 euro. Tuttavia il partner della coalizione della Lega (M5S ndr) stava spingendo una nuova legge anticorruzione che vietava completamente il finanziamento estero di partiti e candidati italiani. Nelle settimane successive all'incontro di Mosca, nove deputati della Lega hanno proposto un emendamento che avrebbe rimosso il divieto. Il testo è stato infine ritirato e la legge anticorruzione contenente il divieto di finanziamento estero è stata approvata nel dicembre 2018.
La Lega però è riuscita alla fine ad indebolire le restrizioni nell'aprile 2019. In quell'occasione ha aggiunto una disposizione in un disegno di legge economico non correlato, che ha modificato la legge in modo da escludere "fondazioni, associazioni e comitati" dal suo campo di applicazione », come rivelato da Repubblica. Ora però gli analisti americani si chiedono: l'obiettivo era consentire agli italiani emigrati di fare donazioni politiche, oppure riaprire la porta alle ingerenze appena denunciate da Blinken?
Sandro De Riccardis per “la Repubblica” il 15 settembre 2021.
Un finanziamento nascosto dietro un'operazione commerciale, destinato alla Lega attraverso intermediari e società autonome vicine al Carroccio. Fondi per sostenere il partito alle elezioni, per prime le Europee 2019. Se c'è una storia che rispecchia il meccanismo - svelato ieri dall'intelligence Usa - dei trecento milioni russi arrivati negli anni a politici e candidati di Paesi stranieri, questo è lo schema Metropol. O meglio, il "sistema Savoini".
Quello teorizzato dall'ex portavoce di Matteo Salvini e fondatore dell'associazione Lombardia-Russia, seduto al tavolo del lussuoso albergo moscovita, il 18 ottobre 2018, insieme agli altri cinque protagonisti di una trattativa che avrebbe dovuto portare nelle casse leghiste circa 65 milioni di dollari.
Il livello "superiore" del patto Una fornitura da oltre un miliardo di dollari di gas dal colosso petrolifero Rosneft su cui la procura di Milano indaga da almeno tre anni, da quando l'incontro è stato svelato dall'Espresso , prima che la testata americana Buzzfeed pubblicasse anche l'audio della trattativa. Indagini finite nel vicolo cieco di una probabile richiesta di archiviazione, il prossimo dicembre, da parte dei pm di Milano Giovanni Polizzi e Cecilia Vassena.
Le rogatorie inviate a Mosca per chiarire il ruolo dei tre russi del Metropol e anche il silenzio dei tre italiani opposto alle domande dei pm e degli investigatori della Guardia di Finanza di Milano hanno impedito di scavare e ricostruire il tentativo di finanziamento milionario. Anche se dai cellulari sequestrati sono emersi i rapporti con il livello politico superiore che garantiva la trattativa coi russi.
"Europa vicina alla Russia" A cosa servisse quel denaro, però, lo spiega proprio Savoini, registrato al Metropol. «È molto importante che in questo periodo storico e geopolitico l'Europa stia cambiando - dice - Il prossimo maggio ci saranno le elezioni europee. Vogliamo cambiare l'Europa. Una nuova Europa deve essere vicina alla Russia come prima, perché vogliamo avere la nostra sovranità (..) Vogliamo davvero iniziare ad avere una grande alleanza con questi partiti che sono pro Russia, ma non pro Russia per la Russia ma per i nostri paesi».
Savoini parla nella hall del grande albergo. Seduti con lui ci sono l'avvocato Gianluca Meranda e il broker finanziario Francesco Vannucci, che avrebbero dovuto occuparsi degli aspetti tecnici di un'operazione naufragata dopo la pubblicazione degli articoli. I tre italiani sono indagati per corruzione internazionale.
Dall'altro lato i tre russi Ilya Yakunin, Yury Burundukov, Andrey Kharchenko. Il filo diretto Lega-Cremlino Tutti e tre i russi sono vicinissimi alle stanze del potere di Mosca. Ilya Yakunin è legato all'avvocato e parlamentare Vladimir Pligin e al ministro dell'Energia Dmitry Kozak; Yury Burundukov è un fedelissimo dell'oligarca Konstantin Malofeev; Andrey Kharchenko è un ex agente dei servizi segreti russi, vicino - come Yakunin - a Aleksandr Dugin, il filosofo russo scampato a fine agosto a un attentato in cui ha perso la vita sua figlia. Di Dugin parla proprio Savoini al Metropol. «Abbiamo creato questo triumvirato, io, te e lui, che deve lavorare in questo modo - dice a Miranda - Solo noi tre.
Un compartimento stagno. Anche ieri Aleksander ha detto che la cosa importante è che siamo solo noi tre.
Tu, io, rappresentiamo il collegamento con entrambi, l'italiano e il loro "lato politico", e tu - con me - siete i miei partner. Solo noi. Tu, Francesco e io. Nessun altro».
Anche Salvini a Mosca Ma c'è di più. Poche ore prima della trattativa al Metropol, anche Matteo Salvini - in quel momento vicepremier e ministro degli Interni - è a Mosca. Al Lotte Plaza Hotel, nel centro della capitale russa, prende la parola al convegno di Confindustria Russia. «Io qua mi sento a casa mia, in alcuni Paesi europei no», dice alla platea di imprenditori, diplomatici e politici russi. Tra di loro anche l'allora vicepremier e ministro dell'Energia russo Dmitry Kozak, che all'incontro con i tre italiani al Metropol aveva come suo uomo Yakunin. Dopo il convegno, è la sera prima della trattativa sul gas russo, Salvini e Kozak avrebbero avuto un incontro riservato nello studio di Pligin. Anche su questo i pm hanno indagato a lungo, convocando a Milano una giornalista russa, Irina Afonichkina, che sarebbe stata presente al vertice.
I soldi per la campagna Il giorno dopo è Meranda che riassume i termini dell'accordo raggiunto coi russi. «L'idea, come concepita dai nostri ragazzi politici, è che con uno sconto del quattro per cento, 250.000 più 250.000 al mese per un anno, possono sostenere (mandare avanti) una campagna». Poi uno dei russi fa riferimento a una «commissione» che potrebbe essere garantita ai tre italiani. «Perché no? - risponde Miranda - . Ma sai, finora non è una questione professionale, è solo una questione politica. Quindi noi non contiamo lui non conta di farci dei soldi. Contiamo di sostenere una campagna politica, che è di beneficio direi di reciproco vantaggio per i due Paesi».
Estratto dell’articolo di Stefano Vergine per “il Fatto quotidiano” il 16 settembre 2022.
"Il governo americano ha detto che prevede l'arrivo da Mosca di altre centinaia di milioni di dollari nei prossimi mesi. Siccome il rapporto in questione […] non riguarda gli Stati Uniti e quindi sono escluse le elezioni di medio termine, mi chiedo: cos' altro succederà di importante nel mondo nei prossimi mesi se non le elezioni italiane?".
Josh Rudolph […] è l'autore di uno studio che due anni fa anticipava il tema emerso con le recenti dichiarazioni della Casa Bianca. In passato è stato consigliere del governo Usa con Obama, Trump e Biden.
[…] I suoi calcoli su che tipo di informazioni si basano?
Sono basati su articoli di giornalismo investigativo pubblicati nei Paesi dove questi fatti sono accaduti. Li abbiamo analizzati, abbiamo valutato la credibilità dei media. Così abbiamo ricostruito 120 casi.
Quindi questi 300 milioni non sono necessariamente arrivati a destinazione?
Per lo più i soldi sono arrivati, ma nel rapporto sono incluse anche vicende come quella della Lega e del Metropol, in cui non abbiamo prove che il denaro sia giunto a destinazione, anche perché la notizia è uscita sui giornali quando la trattativa era in corso.
[…] Quali sono state le operazioni condotte in Italia?
Il caso più evidente è quello del Metropol Hotel. Dai miei calcoli il finanziamento promesso era di 130 milioni di dollari. Nel report ho incluso anche la notizia, riportata dalla testata spagnola Abc, di 3,5 milioni di dollari del Venezuela al M5S.
Notizia smentita dall'ex capo dei servizi segreti venezuelani, poi uscito dal Paese. Ritiene affidabile il rapporto Usa?
È credibile: la mia ricerca è arrivata alla stessa conclusione.
Certo, gli anni presi in considerazione sono leggermente diversi: i calcoli dell'intelligence vanno dal 2014 al 2022, i miei dal 2010 al 2020, ma c'è da dire che il governo Usa ha accesso a documenti classificati.[…]
DAGOREPORT il 16 settembre 2022.
E’ chiaro che non sia stato un caso il rapporto dell’intelligence statunitense che rivela i 300 milioni di finanziamenti russi a forze politiche in due dozzine di paesi, allo scopo di influenzare e interferire nei loro processi politici. Una bomba, per i nostri Salvini, a undici giorni dalle elezioni.
In attesa che il segretario di Stato Antony Blinken, gran frequentatore dei salotti parigini (ha studiato in Francia) scodelli la lista, la caccia ai nomi beneficiati da Mosca, è cominciata.
Oltre ai putiniani risaputi come Marine Le Pen e Orban, da fonti autorevoli Dagospia apprende che il primo nome della lista è quello di Jimmie Akesson, leader dei Democratici Svedesi, nati dalle ceneri dei neonazisti, con una solida alleanza con Fratelli d'Italia all'Europarlamento.
In mezzo c’è l’Italia, starring la Lega. A partire da Gianluca Savoini, l’ex portavoce di Matteo Salvini, dominus dell’operazione petrolifera del Metropol di Mosca, accusato di aver fatto da tramite per far arrivare alla Lega un finanziamento illecito da 65 milioni di euro dalla Russia di Vladimir Putin. A proposito, che fine hanno fatto le indagini del tribunale di Genova su Savoini? E’ stato prosciolto? E’ ancora sotto indagine? Non si sa nulla.
Sottolineano Giuliano Foschini e Tommaso Ciriaco oggi su “la Repubblica”: “Il nodo dei rapporti tra i russi e Matteo Salvini era stato sollevato pochi giorni fa su Repubblica da un'ex analista della Cia, Julia Friedlander, ai tempi di Trump consigliere per l'Europa nell'Office of Terrorism and Financial Intelligence del dipartimento al Tesoro e dal 2017 al 2019 Director for European Union, Southern Europen and Economic Affairs al Consiglio per la Sicurezza Nazionale”.
"Penso che Matteo Salvini abbia un interesse politico personale nel suo rapporto con la Russia. Assolutamente", afferma la Friedlander. E aggiunge: “Il problema è che non è facile tracciare questi collegamenti economici. Usano le shelf company, compagnie inattive che offrono donazioni alle campagne politiche, o lobbisti informali che spingono certi contratti, che riflettono gli interessi russi. Quindi è difficile provare che il Cremlino abbia staccato un assegno per Marine Le Pen, ma è interessante studiare connessioni e intermediari".
Dagospia il 16 settembre 2022. Riceviamo e pubblichiamo da Gianluca Savoini, in riferimento all’articolo
Quanto affermato nell'articolo pubblicato sul sito internet di Dagospia il 14 settembre 2022 è privo di qualsivoglia fondamento. Il dott. Gianluca Savoini non ha infatti mai percepito alcun finanziamento da Mosca, né in proprio, né per conto della Lega". Resta inteso che il dott. Savoini si riserva comunque di agire in giudizio in ogni competente sede per i gravissimi danni reputazionali che ha subito e sta tuttora subendo in seguito alla pubblicazione oggetto di contestazione e alla permanenza online della stessa.
Prendiamo atto della rettifica che ci ha inviato Gianluca Savoini, ex portavoce di Matteo Salvini, ma precisiamo altresì che non abbiamo mai scritto, né ci saremmo sognati di farlo, che ha “percepito” finanziamenti da Mosca. Semplicemente, come hanno scritto più volte molti altri organi di stampa, (per citarne solo alcuni, “l’Espresso”, “Domani”, “Repubblica”, “Stampa”), ci siamo limitati a riportare che è stato coinvolto nell’operazione Metropol.
Ecco il passaggio “incriminato” del nostro Dagoreport: “A partire da Gianluca Savoini, l’ex portavoce di Matteo Salvini, dominus dell’operazione petrolifera del Metropol di Mosca, accusato di aver fatto da tramite per far arrivare alla Lega un finanziamento illecito da 65 milioni di euro dalla Russia di Vladimir Putin. A proposito, che fine hanno fatto le indagini del tribunale di Genova su Savoini? E’ stato prosciolto? E’ ancora sotto indagine? Non si sa nulla”. Dove avremmo scritto che ha percepito finanziamenti da Mosca?
Dagospia il 15 settembre 2021. LE TANTE VITE DEL GRILLINO MANLIO DI STEFANO – NEL 2016 VOLAVA IN RUSSIA PER BACIARE LA PANTOFOLA DI PUTIN SOSTENENDO CHE “L'UCRAINA FOSSE UNO STATO FANTOCCIO DEGLI USA” MA DOPO UN RUSSO RISVEGLIO L'EX PUTINIANISSIMO SOTTOSEGRETARIO DEGLI ESTERI ORA È DIVENTATO IL MIGLIORE AMICO DI BIDEN E RILANCIA LA PROPOSTA DI INSTITUIRE UNA COMMISIONE D’INCHIESTA CHE INDAGHI I RAPPORTI TRA RUSSIA E PARTITI ITALIANI (INIZIAMO DA LUI?) - MA IL WEB NON DIMENTICA IL SUO PASSATO E LO SPERNACCHIA
Manlio di Stefano per blogdellestelle.it (28 giugno 2016)
Ne ha parlato la stampa di tutto il mondo e, in Italia, solo il Corriere della Sera. Domenica ho avuto il piacere di rappresentare il M5S al congresso di Russia Unita, il partito di Putin. Erano presenti circa 40 delegazioni internazionali delle quali solo 10 hanno avuto parola, io sono stato il quarto in assoluto e l’unico italiano. Sinceramente ho apprezzato questo segnale. Noi, che ad oggi rappresentiamo solo una forza di opposizione, abbiamo avuto parola prima o al posto di vice presidenti di Parlamento e segretari di partiti di maggioranza.
Evidentemente in Russia hanno già capito che siamo prossimi al Governo se ci danno tutto questo peso e hanno apprezzato un lavoro onesto e sincero in questi due anni contro le sanzioni imposte dalla UE. Qualcuno pensava che fossi andato a inchinarmi ai piedi del potente di turno come hanno sempre fatto i nostri politici, oggi in USA domani in Russia dopo domani chissà, invece no, sono andato a ribadire che il nostro unico obiettivo è difendere gli interessi nazionali italiani.
Per farlo dobbiamo immediatamente bloccare le sanzioni alla Russia e intraprendere un dialogo sull’antiterrorismo. Credo abbiano apprezzato la fierezza e chiarezza con cui ho pronunciato la frase “noi non siamo né filo russi né filo statunitensi, siamo filo italiani” spiegando cosa significhi dover ristabilire una serie di relazioni, convenienti per l’Italia, interrotte per via della miope sudditanza a forze esterne.
Non ho potuto fare il video del mio intervento per questioni logistiche ma ho registrato l’audio e, in massima trasparenza, vi invito ad ascoltarlo. Una politica estera differente è possibile, puntare ad una vera sovranità è possibile, serve solo una classe politica degna e fiera. Noi lo siamo. Ed è solo questione di tempo…
Manlio di Stefano per ilblogdellestelle.it (12 gennaio 2017)
Bassezze e scorrettezze fanno parte della quotidianità politica nazionale e, in fondo, ogni Paese si piange le sue. Quando però la voglia di pestare i piedi al tuo successore mette a rischio la stabilità di altri popoli, allora occorre prestare attenzione.
Mi riferisco, in particolare, al Presidente uscente Obama ed al suo patetico addio alla presidenza americana fatto di sgambetti a Trump di cui l’ultimo, però, rischia di essere molto pericoloso per l’Europa tutta.
87 carri armati, obici semoventi e 144 veicoli da combattimento Bradley sono stati scaricati pochi giorni fa nel porto tedesco di Bremerhaven e, nelle prossime settimane, si aggiungeranno oltre 3.500 truppe della 4° Divisione di Fanteria di Fort Carson, una brigata di aviazione da combattimento che “vanta” circa 10 Chinook, 50 elicotteri Black Hawk e 1.800 membri del personale da Fort Drum nonché un battaglione con 24 elicotteri d’attacco Apache e 400 membri del personale da Fort Bliss, tutti destinati all’Est Europa come riporta l’Independent.
Si tratta del più grande trasferimento di armamenti e truppe americane in Europa dalla caduta dell’Unione Sovietica.
L’obbiettivo? Militarizzare l’Europa orientale con lo scopo, dichiarato, di “sostenere un’operazione della NATO per scoraggiare l’aggressione russa“, la cosiddetta “Operazione Atlantic Resolve” nata dopo la crisi ucraina.
Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia si sentono “minacciate” dalla Russia e Obama che fa? Come un giocatore di Risiko preso dalla smania di conquistare la Kamchatka decide di sommergerci di carri armati.
Sia chiaro, Obama dopo due mandati sa perfettamente che non sarà la Russia di Putin a fare il primo passo per destabilizzare ancora di più l’est Europa e i Paesi Baltici e allora, l’unica ragione plausibile, è la stessa che accompagna da settimane questa triste chiusura di sipario su Obama: minare la ripresa dei rapporti tra Stati Uniti d’America e Russia, destabilizzare i rapporti tra Trump e Putin.
Ci ha provato cacciando i 35 ambasciatori russi dagli USA, ci ha provato con la storia dello spionaggio russo contro la Clinton, ci ha provato con la gigantesca bufala del ricatto su Trump e le prostitute russe (generato dall’area mediatica e di intelligence sotto l’influenza dei democratici) e ci prova, adesso, portando la tensione militare alle stelle ai confini con la Russia.
Ad oggi Trump, fortunatamente, ha rassicurato gli animi e parlato di ottime relazioni con la Russia e di stupidità da parte di chi alimenta tensioni e odio e, sinceramente, aspettiamo con ansia il 20 Gennaio per capire se alle parole seguiranno i fatti.
Da tempo la NATO (tanto per non dire gli Stati Uniti?) sta giocando con le nostre vite. Vite che hanno già conosciuto due guerre mondiali e sanno cosa si provi ad essere un vaso di coccio tra due d’acciaio.
Il M5S si oppone da sempre a questa immonda strategia della tensione e chiede, con una proposta di legge in discussione alla Camera dei Deputati, che la partecipazione italiana all’Alleanza Atlantica sia ridiscussa nei termini e sottoposta al giudizio degli italiani.
Il nostro territorio, le nostre basi, i nostri soldati (che saranno inviati in Est Europa) e la salute dei nostri connazionali non possono essere ostaggio di giochi di potere e degli umori del presidente americano di turno.
Rapporto intelligence Usa sui finanziamenti russi ai partiti europei, Urso: «Non c’è notizia dell’Italia». VANESSA RICCIARDI su Il Domani il 14 settembre 2022
Il Washington Post martedì ha rivelato che la Russia avrebbe segretamente finanziato per almeno 300 milioni di dollari partiti e candidati politici stranieri in più di due dozzine di paesi. La Lega ha dato «mandato ai propri legali di querelare chiunque citi impropriamente il partito e Matteo Salvini». Fratelli d’Italia chiede la lista dei nomi
Il Whashington Post martedì ha rivelato che la Russia avrebbe segretamente finanziato per almeno 300 milioni di dollari partiti e candidati politici stranieri in più di due dozzine di paesi dal 2014 nel tentativo di influenzare la politica. Il quotidiano statunitense cita un documento dei servizi segreti commissionato quest’estate dall'amministrazione del presidente degli Stati uniti Joe Biden che spiega come Mosca abbia pianificato di spendere altre centinaia di milioni di dollari nella sua campagna segreta per indebolire i sistemi democratici e promuovere le forze politiche di tutto il mondo viste come allineate con gli interessi del Cremlino.
Il presidente del Copasir Adolfo Urso ha detto di essersi confrontato con i servizi italiani: «Mi sono confrontato con l'Autorità delegata alla sicurezza della Repubblica Franco Gabrielli» sul rapporto «e al momento non esistono notizie che ci sia l'Italia» tra i paesi coinvolti. Palazzo Chigi non commenta, a quanto risulta a Domani non avrebbe ancora informazioni di dettaglio.
I NOMI
Un alto funzionario statunitense ha spiegato alla stampa che il governo ha deciso di declassificare alcuni dei risultati del file nel tentativo di contrastare le influenze del presidente russo Vladimir Putin nei sistemi politici nei paesi europei, Africa e altri. Negli schemi di finanziamento sarebbero stati coinvolti i due oligarchi Yevgeniy Prigozhin e Aleksandr Babakov. Nessun nome di stati coinvolti e di politici è stato fatto, ma gli Usa hanno inviato il report al oltre cento delle loro ambasciate.
LEGA
Nel passato della Lega pesa il caso del Metropol, quando Gianluca Savoini, ex portavoce di Salvini, come rivelato dall’Espresso nel 2019 trattò per un finanziamento da parte di Mosca attraverso una partita di gasolio da vendere alla compagnia italiana Eni.
Matteo Salvini si è a più riprese dimostrato amichevole con il Cremlino e negli anni passati, quando non ricopriva incarichi di governo, ha personalmente incontrato Vladimir Putin con la mediazione di Claudio D’Amico, oggi consigliere leghista a Sesto San Giovanni e in rapporti d’affari con Mosca.
L’ultimo capitolo che ha fatto discutere sono stati il mancato viaggio a Mosca che il leader della Lega stava organizzando a maggio con il consulente Antonio Capuano e gli incontri con l’ambasciatore russo Sergej Razov senza avvisare Palazzo Chigi. Di fronte a queste circostanze, dopo le rivelazioni di Washington il leader della Lega ha immediatamente minacciato querele: «L’unica certezza è che a incassare denaro dal Cremlino è stato prima il Partito Comunista Italiano e in epoca recente la Repubblica (il quotidiano) che per anni ha allegato la rivista “Russia Oggi”».
La Lega «ha dato mandato ai propri legali di querelare chiunque citi impropriamente il partito e Matteo Salvini come è già accaduto in alcuni contesti televisivi con particolare riferimento al sindaco del Pd Matteo Ricci. Non saranno più tollerate falsità e insinuazioni: ora basta», recita una nota del partito divulgata mercoledì sera.
Il leader della Lega intervistato da Rtl dice di non aver ricevuto denaro: «Mai presi rubli, euro o altro». Da Mosca, ha detto, «ho portato solo una cosa di Masha e Orso per mia figlia».
FRATELLI D’ITALIA
«Ora il ritornello costante è che anche Fratelli d'Italia abbia ricevuto qualche aiuto», ha detto a Repubblica Kurt Volker, ex ambasciatore Usa alla Nato col presidente Bush e inviato speciale per l'Ucraina con Trump: «Sapevamo da anni che i russi spendono per influenzare le elezioni in tutto l'Occidente. Cercano di promuovere la divisione nelle nostre società e fra i nostri paesi. Questi 300 milioni non hanno fruttato molto, però hanno migliorato le prospettive di alcuni partiti, come quello di Le Pen in Francia e Fratelli d'Italia da voi». Per il fondatore del partito di Giorgia Meloni Guido Crosetto ricevere soldi da Putin è «alto tradimento». Meloni a Radio 24 ha detto sui soldi che «penso che non risulterà, sono mesi che sentiamo dire cose e poi non c'è niente».
IL COPASIR
In questa situazione, il Pd torna a chiedere l’intervento del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica che opera in Parlamento. Il segretario del Pd Enrico Letta lo ha sottolineato con un tweet: «Gli italiani devono sapere i nomi prima del voto».
VANESSA RICCIARDI. Giornalista di Domani. Nasce a Patti in provincia di Messina nel 1988. Dopo la formazione umanistica tra Pisa e Roma e la gavetta giornalistica nella capitale, si specializza in politica, energia e ambiente lavorando per Staffetta Quotidiana, la più antica testata di settore.
Giovanni Tizian per “Domani” il 15 settembre 2021.
Alle tre e mezza del pomeriggio del 13 settembre il quotidiano americano Washington Post pubblica la notizia destinata a provocare molte ore più tardi un terremoto nella politica italiana. Titolo: «La Russia ha speso milioni per finanziare partiti e politici stranieri in tutto il mondo». La fonte della notizia è un documento desecretato dall'amministrazione Biden e ormai solo classificato come "sensibile".
I milioni di cui si parla sono circa 300. Un numero che ritorna in un report del 2020, letto da Domani, sui finanziamenti coperti messi sul piatto da Russia, Cina e paesi arabi, destinati all'Europa e al resto del mondo. Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha inviato a oltre cento paesi il dossier, che sarebbe approdato anche presso alcuni governi europei. Quali? Non è dato saperlo. Chi sono i leader coinvolti? La risposta è la stessa, nessun nome, nessun riferimento concreto.
Almeno pubblicamente, perché un elenco esiste ma è stato consegnato ai paesi interessati. L'Italia per ora non è compresa, questo dicono da palazzo Chigi, salvo poi specificare: «Le segnalazioni da parte degli Stati Uniti non è detto che siano concluse e che sia escluso che possano arrivare entro venerdì poiché il lavoro dell'intelligence americana è ancora in corso e le segnalazioni per vie diplomatiche vengono fatte solo quando si ritiene certa l'azione russa».
Sulla stessa linea il Copasir, il comitato di sorveglianza parlamentare sull'attività dei nostri servizi segreti. «Nessuna notizia che riguarda l'Italia, ma le cose possono cambiare», ha dichiarato il presidente dell'organismo di controllo, Adolfo Urso. Il Copasir ha comunque convocato una riunione sul tema venerdì 16 settembre. Alla notizia sono seguite le reazioni dei leader nostrani, alcune scomposte non sono mancate a destra, dove si trovano i principali sospettati di vicinanza a Putin.
La Lega in particolare, che ha gridato al complotto. Matteo Salvini ha definito «fake news» la faccenda e ha promesso querele contro chi osa accostare il nome Lega a finanziamenti occulti del Cremlino. Curiosa reazione, nel documento finora non è citato né lui né il suo partito.
Il leader leghista ha messo le mani avanti, perché sa bene che la storia recente dei suoi rapporti con Mosca non svanisce così all'improvviso. È certo che il suo partito sarà il primo sospettato. Sospetti, legittimati dai fatti accaduti in questi ultimi anni, che ricadono sul suo partito prima di altri per motivazioni concrete, per eventi documentati quando lui era da poco al governo con i Cinque stelle.
Come i suoi fedelissimi beccati con le mani nella ciotola russa dei soldi destinati ai sovranisti europei. Fatti, appunto, per i quali Salvini non ha mai neppure denunciato i giornalisti autori dello scoop sul caso Metropol, l'hotel di Mosca dove il 18 ottobre si è tenuta la trattativa tra l'ex portavoce di Salvini, Gianluca Savoini, e una banda di tre russi (tutti legati a oligarchi e politici vicini a Putin) durante la quale hanno negoziato un finanziamento alla Lega per sostenere la campagna elettorale delle europee 2019.
Uno schema usuale
Finanziamento milionario mascherato con un'operazione di compravendita di milioni di tonnellate di gasolio. Schema che viene citato anche dall'intelligence americana come usuale nei metodi usati dalle truppe di Putin per elargire soldi agli amici politici della Russia in giro per il mondo.
Questo schema del sostegno elettorale camuffato da scambio commerciale, emerso per la prima volta pubblicamente con il negoziato del Metropol, prevede l'utilizzo di società estere fittizie attraverso le quali far transitare la somma ufficiale e quella destinata allo scopo politico dell'operazione.
Quel 18 ottobre con Savoini si è parlato anche di questo aspetto. Un caso scuola potremmo definirlo, seppure la transazione non sia avvenuta. L'esperta di intelligence Julia Friedlander, in una recente intervista, cita le «shelf company» per un quali strumento per veicolare soldi russi verso gruppi politici dell'Unione.
Si tratta di società cartiere, di comodo o dormienti, create in uno stato estero rispetto all'obiettivo da finanziare. Friedlander, alto funzionario di stato con Donald Trump, è stata analista della Cia, consigliere per l'Europa nell'Office of Terrorism and Financial Intelligence del dipartimento al Tesoro, e dal 2017 al 2019 direttrice per l'Europa al consiglio per la sicurezza nazionale. Friedlander nel dialogo con La Repubblica ha parlato espressamente di Lega e Salvini, il quale sulla Russia «penso abbia un interesse politico personale... Ci sono connessioni ideologiche, ma anche obiettivi economici», ha detto.
Otto giorni dopo l'intervista, ecco la notizia sui milioni distribuiti dalla Russia a partiti e leader di tutto il mondo pubblicata dal Washington Post. E che in Italia ha avuto più eco rispetto ad altri paesi proprio perché tra una settimana si terrà il voto che deciderà il prossimo governo, con la destra unita data in netto vantaggio dai sondaggi. In questa coalizione c'è la Lega, la principale indiziata non da oggi ma dall'inizio dell'era Salvini (2013) di avere stretto con Mosca un rapporto che va oltre la condivisione di ideali comuni.
Il manifesto del Metropol
Per capire il motivo di tanta attenzione internazionale sulle ingerenze russe in Italia è necessario partire ancora una volta dal Metropol e da Savoini seduto al tavolo con gli uomini vicini al presidente Putin. L'ex portavoce di Salvini è chiamato in Russia il consigliere di Matteo pur non ricoprendo già all'epoca ruoli ufficiali nel partito.
Savoini prima di entrare nel clou dei dettagli tecnici della trattativa ha pronunciato parole che diventano una sorta di manifesto politico dell'incontro segreto, fanno da cornice ideale allo scambio commerciale dietro il quale si celava un finanziamento reale: «La nuova Europa deve essere vicina alla Russia. Non dobbiamo più dipendere dalle decisioni di illuminati a Bruxelles o in Usa. Vogliamo cambiare l'Europa insieme ai nostri alleati come Heinz-Christian Strache in Austria, Alternative für Deutschland in Germania, la signora Le Pen in Francia, Orbán in Ungheria, Sverigedemokraterna in Svezia».
Attenzione alle sigle dei partiti nominati: sono quasi tutti stati coinvolti in scandali con alla base fondi russi. Va ricordato, inoltre, che un anno prima (2017) La Lega aveva siglato un patto politico con il partito di Putin, Russia Unita. Accordo di collaborazione ancora in vigore. Nel discorso introduttivo, in pratica, l'uomo di Salvini garantisce ai russi che solo i sovranisti, di cui la Lega è in quel momento forza trainante in Europa, possono cambiare gli equilibri.
In altre parole destabilizzare l'Unione, secondo i desideri e le strategie del presidente Putin. Dopo aver presentato il manifesto sovranista-leghista, Savoini ha lasciato la parola ai tecnici italiani e russi seduti al tavolo del Metropol. Iniziava così la trattativa vera e propria, fatta di cifre e luoghi, sconti sul carburante e società estere tramite le quali far passare i soldi.
Tre anni prima del Metropol, invece, è accaduto un fatto curioso. Come raccontato da Domani nei mesi scorsi, c'è stato uno strano giro di contanti, segnalato dall'antiriciclaggio italiano, che ha riguardato un alto funzionario dell'ambasciata russa nei giorni in cui Putin era in visita a Milano e ha incontrato il leader della Lega, accompagnato da Savoini.
Si trattava di un prelievo in banca di 125mila euro, giustificato dal diplomatico russo con la necessità di soddisfare le esigenze della delegazione in arrivo da Mosca per il vertice nel capoluogo lombardo il 17 ottobre 2014. Quel giorno Salvini ha incontrato Vladimir Putin. Un saluto rapido, un caffè al volo dopo un importante convention sull'Eurasia.
Forse il primo incontro tra il capo della Lega e il presidente della federazione russa. È interessante il nome del funzionario dell'ambasciata che ha ritirato i contanti per la delegazione russa: Oleg Kostyukov. Lo stesso che in questi mesi ha curato le relazioni con Matteo Salvini e il suo consulente improvvisato, Antonio Capuano, l'avvocato di Frattaminore (Napoli), che ha accompagnato il capo leghista durante gli incontri segreti con l'ambasciatore di Putin a Roma per parlare del piano di pace in salsa sovranista.
Marine e Vladimir
È interessante da analizzare il periodo in cui i russi sostengono, o tentano di farlo, i sovranisti europei. Savoini organizza decine di incontri prima del Metropol a partire dal maggio precedente con un oligarca di nome Konstantin Malofeev, rappresentato da un suo emissario al tavolo dell'hotel moscovita e artefice di alleanze tra Cremlino e destre europee. In quel periodo la Lega aveva fatto il pieno di voti, aveva il vento in poppa, si apprestava ad andare al governo dell'Italia.
Era di fatto il primo partito dichiaratamente sovranista al governo di un paese fondatore dell'Unione Europea. Il più importante e forte nel 2018. Quattro anni prima lo scenario era decisamente diverso. La Lega era una forza residuale, Salvini era diventato segretario da un anno e la metamorfosi sovranista era appena cominciata. All'epoca all'apice dell'ascesa c'era Marine Le Pen con il Front national, che stava riorganizzandosi in vista delle elezioni del 2017 con sondaggi molto favorevoli sopra il 30 per cento.
Perciò al tempo se il Cremlino doveva sostenere un partito anti europeista con buone possibilità di vittoria, questo era sicuramente il Front national. A fine novembre 2014 la testata francese Mediapart pubblica lo scoop sul prestito da 9 milioni di euro dato al Front national dalla First Czech Russian Bank. Le Pen si era giustificata seguendo il protocollo caro ai sovranisti, il vittimismo: «Nessuna banca francese ce lo avrebbe concesso».
Aggiungendo che il denaro non ha influenzato le sue posizioni politiche. Di certo in Europa Le Pen, insieme a Salvini, la più strenua paladina della Russia e di Putin. La banca aveva accordato il finanziamento dopo l'inizio delle ostilità in Ucraina e nello stesso periodo Le Pen aveva annunciato di riconoscere il referendum sull'annessione russa della Crimea.
Anche in questo caso, come per l'affare Metropol, non si trattava di spedire borse zeppe di contanti o portare fuori dalle ambasciate buste farcite di rubli. Il sostegno è mascherato da un'operazione finanziaria con tutti i crismi della legalità. A fornire indizi di opacità però è il nome stesso della banca: di proprietà di una società di costruzioni russa, a sua volta controllata da società riconducibile a Gennady Timchenko, amico stretto di Putin e da tempo sotto sanzioni per la guerra in Ucraina.
«Questa banca è un noto ufficio di riciclaggio di denaro di Putin» aveva scritto Aleksej Navalny, l'oppositore più noto del presidente. La banca ha chiuso i battenti nel 2016 ed è stata rilevata da una società di ex militari russi, pure questa colpita da sanzioni. L'accordo per la restituzione del debito aveva fissato il 2019 come data ultima. Alla fine si sono accordati per il 2028 con una ristrutturazione rivelata dal Wall street journal ad aprile 2022, nei giorni caldi delle ultime presidenziali francesi.
Non vanno dimenticati, poi, i 2 milioni di euro ricevuti nel 2014 dall'associazione di raccolta fondi di Jean Marie Le Pen (padre di Marine) sostenitrice del Front national. Il denaro era partito da una società di Cipro connessa a un banca del Cremlino. A favorire l'operazione sarebbe stato l'oligarca Malofeev, ancora lui, l'amico di Savoini e della Lega. Germania russa In Germania Putin ha puntato tutto sui sovranisti di Alternative für Deutschland (Afd).
Negli anni ci sono state tracce di relazioni politiche e finanziarie tra gli uomini del Cremlino e il gruppi di estrema destra tedesco. I casi più eclatanti sono certamente due: nel 2017 a tre leader di Afd è stato pagato un volo per Mosca su un jet privato da un donatore russo; nel 2019, invece, la Bbc ha pubblicato alcuni documenti in cui emergeva il sostegno del Cremlino a Markus Frohnmaier, membro del parlamento tedesco di Afd, «avremo il nostro parlamentare assolutamente controllato nel Bundestag».
Una frase contenuta in uno scambio di mail tra un ex ufficiale del controspionaggio navale ed ex membro della camera alta del parlamento russo, e un alto funzionario dell'amministrazione del presidente Putin.
Il trappolone di Ibiza
Di tutt' altra fattura è il caso Ibizagate che ha coinvolto Heinz Christian Strache, l'ex leader della Fpoe, la destra radicale e sovranista austriaca.
Anche loro citati da Savoini nel discorso del Metropol. Lo scandalo austriaco ha provocato la caduta del governo, è considerato tuttavia una trappola tesa a Strache, ripreso in un video sull'isola spagnola mentre prometteva appalti a una donna, che recitava la parte di figlia di oligarca, in cambio di soldi per sostenere la campagna elettorale. I video sono stati pubblicati da Der Spiegel e Suddeutsche Zeitung.
E seppure l'incontro sia stato costruito ad arte, il caso Strache evidenzia la sensibilità sovranista alle sirene russe. Il report del 2020 Il report non più segreto rivelato dal dipartimento di stato americano ricorda in molti passaggi un dossier dettagliato pubblicato nell'agosto 2020 dal think tank americano "The Alliance for Securing Democracy".
Nel consiglio consultivo troviamo pezzi grossi un tempo ai vertici dell'intelligence statunitense: Da Rick Ledgett, già vice direttore della National Security Agency, a Michael Morell, ex direttore ad interim della Cia tra il 2011 e il 2013. Il report rilasciato due anni fa si intitola Covert foreign money ed è un viaggio nelle ingerenze russe, cinesi e arabe che hanno come obiettivi l'Europa e il resto del mondo. I casi citati sono numerosissimi: da Le Pen al Metropol della Lega fino al caso tedesco.
Ma c'è molto altro: si parla dell'estrema destra svedese, citando casi concreti, della Polonia, della Nuova Zelanda, dell'Australia. Gli analisti spiegano i vari metodi per celare i finanziamenti. E sono quelli scoperti con i casi Le Pen e Metropol. Oppure l'utilizzo di associazioni, fondazioni, onlus. «Oltre a strumenti più ampiamente studiati come attacchi informatici e disinformazione, regimi autoritari come Russia e Cina hanno speso più di 300 milioni di dollari per interferire nei processi democratici più di 100 volte in 33 paesi nel scorso decennio», è l'incipit del report 2020, che prosegue: «Chiamiamo questo strumento di interferenza straniera "finanza maligna", definita come il finanziamento di partiti politici stranieri, candidati, campagne elettorali, élite ben collegate o gruppi politicamente influenti». La cifra e i meccanismi citati da "The Alliance for Securing Democracy" sono identici a quelli emersi in questi giorni dopo la pubblicazione del documento desecretato dal dipartimento di stato sulle interferenze russe nel mondo. L'ennesima conferma, se mai dovesse servire.
Da globalist.it il 15 settembre 2021.
«L’intelligence americana quando ci racconterà quanto spende per i politici italiani?». È il commento all’AGI della portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, alla notizia del rapporto degli 007 Usa secondo cui, dal 2014 a oggi, la Russia ha versato oltre 300 milioni di dollari a movimenti politici e candidati in diversi Paesi del mondo, per accrescere la propria influenza.
“Non dobbiamo perdere di vista il modo in cui gli autocrati stranieri prendono di mira i nostri stessi Paesi. Le entità straniere sono istituti di finanziamento che minano i nostri valori. La loro disinformazione si sta diffondendo da internet nelle aule delle nostre università” ha dichiarato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “Abbiamo introdotto una legislazione per controllare gli investimenti diretti esteri nelle nostre aziende per problemi di sicurezza.
Se lo facciamo per la nostra economia, non dovremmo fare lo stesso per i nostri valori? Dobbiamo proteggerci meglio dalle interferenze maligne. Questo è il motivo per cui presenteremo un pacchetto di Difesa della Democrazia. Porterà alla luce l’influenza straniera nascosta e finanziamenti loschi. Non permetteremo ai cavalli di Troia di nessuna autocrazia di attaccare le nostre democrazie dall’interno”, ha aggiunto nel suo discorso sullo stato dell’Unione.
DAGOREPORT il 14 settembre 2022.
E’ chiaro che non sia stato un caso il rapporto dell’intelligence statunitense che rivela i 300 milioni di finanziamenti russi a forze politiche in due dozzine di paesi, allo scopo di influenzare e interferire nei loro processi politici. Una bomba, per i nostri Salvini, a undici giorni dalle elezioni.
In attesa che il segretario di Stato Antony Blinken, gran frequentatore dei salotti parigini (ha studiato in Francia) scodelli la lista, la caccia ai nomi beneficiati da Mosca, è cominciata.
Oltre ai putiniani risaputi come Marine Le Pen e Orban, da fonti autorevoli Dagospia apprende che il primo nome della lista è quello di Jimmie Akesson, leader dei Democratici Svedesi, nati dalle ceneri dei neonazisti, con una solida alleanza con Fratelli d'Italia all'Europarlamento.
In mezzo c’è l’Italia, starring la Lega. A partire da Gianluca Savoini, l’ex portavoce di Matteo Salvini, dominus dell’operazione petrolifera del Metropol di Mosca, accusato di aver fatto da tramite per far arrivare alla Lega un finanziamento illecito da 65 milioni di euro dalla Russia di Vladimir Putin. A proposito, che fine hanno fatto le indagini del tribunale di Genova su Savoini? E’ stato prosciolto? E’ ancora sotto indagine? Non si sa nulla.
Sottolineano Giuliano Foschini e Tommaso Ciriaco oggi su “la Repubblica”: “Il nodo dei rapporti tra i russi e Matteo Salvini era stato sollevato pochi giorni fa su Repubblica da un'ex analista della Cia, Julia Friedlander, ai tempi di Trump consigliere per l'Europa nell'Office of Terrorism and Financial Intelligence del dipartimento al Tesoro e dal 2017 al 2019 Director for European Union, Southern Europen and Economic Affairs al Consiglio per la Sicurezza Nazionale”.
"Penso che Matteo Salvini abbia un interesse politico personale nel suo rapporto con la Russia. Assolutamente", afferma la Friedlander. E aggiunge: “Il problema è che non è facile tracciare questi collegamenti economici. Usano le shell company, compagnie inattive che offrono donazioni alle campagne politiche, o lobbisti informali che spingono certi contratti, che riflettono gli interessi russi. Quindi è difficile provare che il Cremlino abbia staccato un assegno per Marine Le Pen, ma è interessante studiare connessioni e intermediari".
Soldi russi, in Italia quante "excusatio non petita". GIULIANO CAZZOLA su Il Quotidiano del Sud il 15 Settembre 2022.
In quali tasche è finito l’oro di Mosca? Secondo l’intelligence Usa sono venti i partiti finora accertati (in Europa, in Africa, in Asia) che ricevono un finanziamento dal Cremlino allo scopo di portare avanti nei rispettivi Paesi una linea politica favorevole alla Russia. In Italia, sui soldi russi, sono piovute le smentite a titolo di excusatio non petita. Giacchè, a quanto si conosce in merito ai documenti messi in circolazione dagli 007 americani, non sono stati resi noti i nomi dei partiti interessati, né quello dei loro leader.
Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno annunciato querele nei confronti di chiunque li chiamasse in causa. Il che è singolare, dal momento che nessuno l’aveva ancora fatto. Addirittura Guido Crosetto, il ‘’gigante buono’’ di FdI, si è spinto fino a chiedere «i nomi, se esistono, di eventuali beneficiati italiani. Perché è alto tradimento».
Sul versante del centrosinistra, la notizia viene commentata con il fair play del gatto che è in procinto di avventarsi sul topo. Anche se per ora i dirigenti si limitano a chiedere la pubblicazione dei documenti.
SOLDI RUSSI E ITALIA, L’AVVISO DI URSO
Adolfo Urso, il deus ex machina del Copasir, mantiene una condotta corretta sul piano istituzionale, riservandosi di approfondire la questione con il sottosegretario Franco Gabrielli (il quale esclude la presenza di partiti italiani). Nello stesso tempo, però, il presidente del Copasir rilascia in tv delle dichiarazioni inquietanti.
«L’ingerenza straniera esiste – ha detto Urso – Cina e Russia cercano di delegittimare e sottomettere la nostra democrazia, ma noi dobbiamo garantire una campagna elettorale serena».
«Noi dovremmo contrastare il gioco di Russia e Cina che vogliono far credere che il voto nei nostri Paesi conti nulla, che loro sono in grado di condizionarlo», ha insistito Urso, spiegando poi che chiederà conto delle rivelazioni degli 007 Usa anche negli incontri che ha in programma a Washington, dove tra l’altro incontrerà il presidente della Commissione Intelligence del Congresso. Vedremo, allora, nei prossimi giorni, man mano che si avvicina il 25 settembre, se verranno rese note, in maniera attendibile, altre informazioni.
Senza mettere troppo le mani avanti, sembra comunque pacifico che i finanziamenti – ammesso e non concesso che abbiano viaggiato in percorsi bancari oscuri e coperti o attraverso le classiche valigette diplomatiche – anche per la loro consistenza non siano finiti ai partiti della Repubblica del Titano o ad Andorra o in qualche piccolo Stato di analoghe dimensioni.
SOLDI RUSSI IN ITALIA? LE CONSEGUENZE SUL VOTO
Ma se si scoprisse che alcuni partiti italiani hanno messo le mani nell’insalata russa, si potrebbero ipotizzare conseguenze sul voto, tanto da cambiarne l’esito? La risposta che ci sentiamo di dare è negativa. L’opinione pubblica è molto preoccupata per i costi dell’energia (che rappresentano gran parte della vita quotidiana delle loro famiglie).
I media – al solito – danno spazio alle peggiori notizie: nessuno è informato del ristoro, sia pur modesto, determinato dallo stanziamento, in circa un anno e al netto dell’ultimo decreto Aiuti, di una cinquantina di miliardi da parte del governo. Nella prospettiva di un avvenire prossimo molto cupo (anche per l’erosione dei redditi provocato dall’inflazione) è facile abboccare all’amo delle narrazioni populiste: perché fare tanti sacrifici quando basterebbe presentarsi da Putin con il cappello in mano? Se questa potrebbe essere la soluzione dei nostri problemi, perché prendersela con i partiti che, grazie ai loro rapporti con il Cremlino, sarebbero in grado di liberarci dagli incubi del razionamento?
Io mi sono convinto che noi, e in generale l’Occidente, abbiamo un debito di riconoscenza immenso nei confronti dell’Ucraina. La resistenza eroica di quel popolo ci ha salvato tante volte. Se l’operazione militare speciale russa fosse andata a buon fine, l’Occidente ne avrebbe preso atto, come aveva già fatto dopo le aggressioni nei confronti della Georgia e della Crimea.
Ma la lotta di un popolo ha risvegliato quel po’ di etica sopravvissuta al cinismo e all’opportunismo. Anche perché – e del resto Putin non lo ha mai negato – la crisi sarebbe andata ben oltre l’invasione dell’Ucraina. Come hanno capito subito le repubbliche baltiche, la Svezia e la Finlandia, la stessa Polonia, la Bulgaria e le altre nazioni confinanti con la Federazione russa.
L’UCRAINA CI HA SVEGLIATI
Un altro motivo di gratitudine sta nell’esserci resi conto, in conseguenza del conflitto, della dabbenaggine che ci aveva portati, in un tempo relativamente breve, a dipendere dalla Russia anche per fare la doccia.
Infine, i successi sul campo di battaglia dell’esercito ucraino possono condurre a uno scenario imprevisto. Un scenario in cui venga tolto di mezzo o almeno ridimensionato non tanto il problema della crisi energetica, ma l’autocrate che l’ha creata per motivi politici, perseguendo un disegno imperialista. Si direbbe, quasi, che gli ucraini abbiano fretta di mettersi al sicuro con i mezzi di cui dispongono proprio perché non si fidano della nostra fermezza.
L’esito delle votazioni in Svezia (neofita della Nato) manda un segnale sinistro. Biden ha i suoi guai interni e internazionali con la Cina. Macron è un’anitra azzoppata. In Italia, ormai, le nostre speranze per una politica internazionale coerente sono affidate (sic!) a Giorgia Meloni, perché Salvini e il Cav continuano a essere amici del giaguaro.
"Da Mosca 300 milioni a politici e partiti esteri". Gli 007 Usa: dal 2014 fondi per accrescere la propria influenza. "Informeremo i governi". Marco Liconti il 14 Settembre 2022 su Il Giornale.
La «bomba» è arrivata inattesa, al pari dell'offensiva lanciata dalle forze ucraine contro gli invasori russi. E potrebbe avere gli stessi imprevedibili effetti. A partire dal 2014, Mosca ha finanziato partiti politici, singoli candidati, funzionari e think tank stranieri con oltre 300 milioni di dollari in una ventina di Paesi. La fonte non è un anonimo funzionario di intelligence, ma il dipartimento di Stato degli Stati Uniti. La firma in calce al «cablo» riservato e inviato alle ambasciate Usa è quella del segretario di Stato, Antony Blinken. L'«investimento» di Mosca per garantirsi un atteggiamento benevolo da parte di forze politiche, intellettuali e perfino aziende di Stato, copre ogni latitudine: dall'Europa, all'America Centrale, dall'Asia, al Medioriente, al Nordafrica.
Nel documento del dipartimento di Stato non si fanno nomi, né di Paesi specifici, di personalità coinvolte, ma la tempistica, per quanto vasta sia la portata dell'operazione russa, non può non far pensare alla data fatidica del 25 settembre e alle tante polemiche che, dall'inizio dell'invasione russa, hanno visto al centro proprio l'Italia e la presunta «Quinta Colonna» filorussa che agirebbe all'interno di partiti politici, istituzioni, redazioni giornalistiche. A rafforzare il ragionamento, il fatto che Washington fa sapere che «informazioni classificate» verranno fornite a una serie di «Paesi selezionati». Non solo, secondo fonti del Giornale, i nomi dei partiti e delle personalità coinvolte potrebbero essere resi noti la prossima settimana, attraverso il consueto canale dei «leak» alla stampa, praticamente alla vigilia del voto italiano.
Nel «cablo» firmato da Blinken sono contenute anche una serie di istruzioni, «talkin points», secondo il linguaggio del dipartimento di Stato, per i diplomatici Usa impegnati nei Paesi in oggetto: in pratica, le questioni da sollevare con gli interlocutori stranieri a livello governativo, per esprimere la preoccupazione di Washington e minacciare con «sanzioni» e perfino «rivelazioni ai media» chi non prenderà provvedimenti per arginare e fermare i tentativi russi di influenzare la politica di questi Paesi. Il contesto nel quale è stato reso noto il documento ha per gli Usa un risvolto interno. Si tratta del lungo lavoro compiuto dall'intelligence statunitense per svelare i tentativi russi di influenzare le elezioni presidenziali del 2016 e del 2020, fino alle anticipazioni della Cia sull'intenzione di Mosca di invadere l'Ucraina, al tempo ampiamente inascoltate. Ma è chiaro che l'obiettivo della bomba sganciata dal dipartimento di Stato è soprattutto al di là dei confini nazionali. Putin ha speso ingenti risorse «nel tentativo di manipolare le democrazie dall'interno», riferisce un alto funzionario dell'Amministrazione, che ha chiesto di rimanere anonimo per la delicatezza delle questioni trattate.
Nel cablo firmato da Blinken e fatto trapelare ai media, classificato come «sensibile», gli 007 Usa affermano di ritenere che la Russia aveva piani per trasferire «almeno altre centinaia di milioni» in giro per il mondo a partiti politici e funzionari «amici». Non è chiaro come l'intelligence sia arrivata alla cifra, finora dichiarata, di 300 milioni di dollari spesi da Mosca per penetrare all'interno di governi e democrazie straniere. «Stiamo promuovendo una collaborazione con i nostri pari democratici. Ci scambieremo quanto abbiamo imparato, tutto per il bene della sicurezza collettiva dei nostri processi elettorali», afferma l'alto funzionario dell'Amministrazione. Ora, non resta che aspettare la prossima bomba.
Francesco Curridori per “il Giornale” il 15 settembre 2021.
«Noi ci meravigliamo perché siamo dei provinciali, ma la politica estera si fa non solo con le armi, ma con i soldi, con i trattati commerciali e, persino, col sostegno ad alcuni partiti politici». Il generale Carlo Jean, esperto di strategia militare e di geopolitica, commenta così la notizia arrivata da Washington sui finanziamenti di Putin destinati ad alcuni partiti occidentali per accrescerne l'orientamento filo-russo.
Generale, ma, quindi, non la stupisce minimamente questa rivelazione?
«Mi stupisce il fatto che i fondi segnalati siano troppo ridotti perché 300 milioni di dollari dal 14 ad oggi sono niente».
Niente?
«Sì, niente rispetto a quello che le grandi potenze usano per sostenere le proprie ragioni attraverso la disinformazione oppure attraverso i finanziamenti ai partiti, agli uomini politici e ai giornali o social network».
Perché oggi sembra più facile scoprire determinanti flussi di denaro?
«Il controllo dei flussi finanziari è cominciato ad essere più stretto quando è stato esteso al finanziamento del terrorismo di Al Qaeda o Isis che funziona con quantità di denaro molto ridotte e, perciò, deve essere molto capillare. Verosimilmente, le grandi potenze o medie come l'Italia hanno degli infiltrati nel sistema finanziario che informano i servizi segreti su quel che sta capitando. Queste, però, sono notizie che generalmente rimangono solo all'attenzione dei governi».
Passiamo alla guerra. Gli ucraini stanno vincendo?
«Gli ucraini hanno avuto un grande successo. La situazione in Ucraina sul fronte Est e sul fronte Sud sta volgendo a favore degli ucraini, ma vittoria è una parola grossa. Il 20% del territorio è in mano ai russi e quello riconquistato dagli ucraini è il 3-4%».
Com' è stata possibile questa rimonta?
«I russi hanno creduto che lo sforzo principale degli ucraini sarebbe stato verso Kherson, ma, in realtà, una gran quantità di forze di Kiev erano dirette in segreto verso Kharkiv. I russi non se ne sono accorti e sono stati travolti. Il successo tattico degli ucraini è merito degli Himars, i lanciarazzi multipli usati non più per colpire la controbatteria, ma contro le forze avanzate russe che sono dovute scappare. È stata una Caporetto».
Quali sono gli errori della Russia?
«L'errore strategico è stato invadere un Paese di 600mila km e 44 milioni di abitanti con 200mila uomini e una scarsissima fanteria, pensando che gli ucraini non avrebbero combattuto. I primi successi, invece, hanno rafforzato il morale delle forze ucraine consentendo a Zelensky di ordinare la mobilitazione generale».
Ma sono stati utili anche gli aiuti militari dell'Occidente?
«Sono stati determinanti. Ora, l'Occidente ha un dilemma: intensificare questi aiuti, col rischio che Putin ricorra alle armi nucleari, oppure avanzare con una guerra di logoramento, consapevole che il capo del Cremlino non può ordinare la mobilitazione generale».
Perché non può farlo?
«La Russia di oggi è diversa da quella contadina in cui le famiglie avevano 8 figli: due morivano per la patria e gli altri lavoravano la terra. Putin non chiama la mobilitazione generale per tenere buona l'opinione pubblica».
"I comunisti hanno preso soldi dalla Russia". Ora Salvini minaccia querele. Il pensiero di Matteo Salvini si discosta da quello di Giorgia Meloni, che tiene la barra sull'impostazione di Mario Draghi e dice no allo scostamento. Francesca Galici il 13 Settembre 2022 su Il Giornale.
Sfilata di politici a Cartabianca, dove da Bianca Berlinguer si sono presentati, uno dietro l'altro, Enrico Letta, Matteo Salvini e Giuseppe Conte. Matteo Salvini ha esordito replicando a Enrico Letta sulle accuse mosse dal segretario del Partito democratico e ha rilanciato: "Gli unici che hanno preso soldi in passato dalla Russia sono i comunisti e qualche quotidiano come Repubblica. Io non ho mai chiesto né preso soldi. Dicano nomi e cognomi. Ha pagato il Pd? Se la Russia ha pagato il Pd è giusto che si sappia".
Il segretario della Lega ha rimarcato: "L'unico Paese straniero che nella mia attività politica mi offri un viaggio pagato e spesato all'estero furono gli Stati Uniti. Io non ci andai. Altri ci andarono, liberi di farlo". Durante la giornata, è arrivata anche una nota della Lega: "Ennesime insinuazioni, zeppe di dubbi e condizionali, contro la Lega e Matteo Salvini che si difenderanno in ogni sede opportuna contro le parole di Julia Friedlander e il quotidiano che le ha pubblicate". Quindi, nella nota si aggiunge: "A differenza del gruppo editoriale che per anni ha diffuso in allegato 'Russia Oggi', la Lega non ha ricevuto finanziamenti da Mosca".
Matteo Salvini è ritornato anche sul tema dello scostamento di bilancio, della necessità di mettere 30 miliardi per supportare le famiglie e le imprese in questo momento così particolare: "La Lega chiede di mettere 30 miliardi a debito, che è debito buono perché salva posti di lavoro". Una mossa che non è condivisa "dall'amica Giorgia", che si trova in linea con la decisione di Mario Draghi non procedere in questo senso. "Gli altri governi europei sono intervenuti, anche il nostro dovrebbe farlo per aiutare famiglie e lavoratori. Questa è un'altra forma di Covid, non riempie gli ospedali ma svuota le fabbriche. È un errore parlarne più avanti", ha dichiarato il segretario della Lega, sottolineando come ci siano importanti differenze in questo senso con Giorgia Meloni, sebbene i due alleati, come più volte sottolineato, vadano d'accordo su quasi tutti i punti condivisi del programma di centrodestra. "Meloni sbaglia, l'emergenza di questo momento non è il presidenzialismo, ma le bollette", ha rimarcato il segretario della Lega.
Salvini, quindi, ha aggiunto: "La riforma pensioni è da fare tra sei mesi ed è già calibrata, poi ci sono la riforma della giustizia, il presidenzialismo, l'autonomia, tutte cose che faremo una volta al Governo. Ma il problema di domani mattina non è il fascismo o la Russia, ma che è arrivata una bolletta che non puoi pagare". Ed è un provvedimento che deve prendere il governo in carica, senza aspettare quello nuovo: "C'è un governo in carica, ha trovato 13 miliardi per aiutare alcune famiglie, non sono sufficienti. Il governo italiano in carica deve intervenire, sbagliano sia Letta che Meloni: l'amica Giorgia dice che non è il momento di aiutare milioni di italiani? Allora è un errore".
Fondi russi, il Copasir: "Nessun partito italiano". Lorenzo Vita il 14 Settembre 2022 su Il Giornale.
Il presidente del Copasir afferma di avere parlato con Franco Gabrielli e di non avere avuto indicazioni di fondi russi a favore di partiti o personalità italiane nel dossier presentato dall'intelligence Usa.
"Al momento non esistono notizie che riguardano il nostro Paese in questo dossier". Le parole del presidente del Copasir, Adolfo Urso, colpiscono come un macigno le accuse nei confronti di alcuni partiti italiani accusati di essere legati a doppio filo a Mosca.
Il presidente del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica, parlando alla trasmissione "Agorà" in onda su Rai 3 del dossier statunitense riguardante i finanziamenti dati dalla Russia a esponenti politici e partiti dal 2014, ha mandato un messaggio molto chiaro: "Mi sono confrontato con il sottosegretario con delega ai servizi segreti, Franco Gabrielli" e "al momento al governo è stato escluso che l'Italia compaia in questo dossier". Dichiarazioni che dunque confermerebbero che al momento le accuse nei confronti di partiti italiani risulterebbero frutto di altre ipotesi non affatto collegate alle inchieste dei servizi segreti statunitensi.
In ogni caso, il Copasir vuole vederci chiaro, ed è lo stesso Urso ad affermare che il Comitato si riunirà nei prossimi giorni, probabilmente venerdì, per discutere del dossier di Washington riguardo i 300 milioni di dollari utilizzati da Mosca per finanziare partiti in varie parti del mondo. "Il Comitato si riunirà con l'audizione di Gabrielli e in quella sede verificheremo, se le avremo, altre notizie in merito", ha detto il presidente del Copasir. Ieri i media americani avevano parlato di questo dossier senza che però trapelasse alcuna informazione riguardo i Paesi coinvolti. Come riportato dalla Cnn, un alto funzionario dell'amministrazione Biden ha detto che la Russia avrebbe utilizzato questi soldi in tutti i continenti, coinvolgendo più di venti Paesi. "La comunità dell'intelligence statunitense sta informando in via riservata i Paesi individuati" ha detto il funzionario ai giornalisti, "manteniamo riservati questi briefing data la sensibilità dei dati e per consentire a questi paesi di migliorare la loro integrità elettorale in privato".
Le parole di Urso rispondono anche alle accuse rivolte dall'ex ambasciatore Usa alla Nato, Kurt Volker, che in un'intervista a Repubblica sottolinea come i partiti del centrodestra, in particolare ora Fratelli d'Italia, sarebbero affini alla Russia al punto da essere oggetto di un presunto finanziamento e supporto esterno. "Sapevamo da anni che i russi spendono per influenzare le elezioni in tutto l'Occidente. Cercano di promuovere la divisione nelle nostre società e fra i nostri paesi. Questi 300 milioni non hanno fruttato molto, però hanno migliorato le prospettive di alcuni partiti, come quello di Le Pen in Francia e Fratelli d'Italia da voi", queste alcune delle frasi di Volker, abbastanza sorprendenti dal momento che quanto detto dall'ex inviato di Donald Trump in Ucraina non appaiono verificate.
Accuse che sono state rispedite al mittente da parte della stessa leader di Fdi, Giorgia Meloni, che a Radio 24 ha annunciato di voler querelare Repubblica e l'ex ambasciatore per quanto detto sui finanziamenti nei confronti del suo partito. "Sono tutte verificabili le nostre forme di finanziamento. Sono certa che Fratelli d'Italia non prende soldi da stranieri", ha detto Meloni, "Repubblica e Volker ci portino le prove. Siccome non ci sono penso che la querela sia inevitabile".
Fondi russi, Paolo Guzzanti: "Quel dossier è una vera patacca". Francesco Specchia su Libero Quotidiano il 16 settembre 2022
Giorgia Meloni pagata dai comunisti, Matteo Salvini ingoiato dal Kgb e finito nel grande ventre del Cremlino. Fantastico. Questo è John Le Carré prigioniero di una pochade. C’è qualcosa di nuovo, anzi d'antico, c'è un retrogusto da propaganda elettorale nella doppia rivelazione americana che i russi abbiano foraggiato «300 paesi» (fatta dal segretario di Stato dem Antony Blinken); e che lo stesso Putin abbia finanziato Fratelli d'Italia e Lega (pubblicata da Repubblica organo dem, che riporta un commento di Kurt Volker ex ambasciatore americano alla Nato). Sono due dichiarazioni che non c'entrano un piffero tra loro, l'una avulsa dal contesto dell'altra. Eppure stanno diventando materia infiammabile.
Caro Paolo Guzzanti, da cronista, ex senatore, ex presidente della Commissione Mitrokhin, tra i massimi esperti di cose russe: che succede?
«Mi suona tutto molto strano, che Blinken spari una dichiarazione pubblicamente e priva di corredo probatorio (un generico "fonti d'intelligence"), be' è contrario alle procedure. Se un governo amico vuole avvertirti di qualcosa, di solito si parlano i capi di Stato, o comunque si va per via diplomatica. C'è una sciatteria sospetta. E, tra l'altro la Russia, storicamente, da noi non ha neanche bisogno di corrompere».
Nel senso che siamo, di natura, moralemente fragili?
«Guarda, io mi ricordo che Kolosov, capo della Presidentura di Roma mi diceva che "da noi c'è sempre stata la fila di chi voleva collaborare." Ne arruolavamo parecchi, di solito evitavamo i comunisti per un accordo col Pci che prevedeva di tenerli fuori; ma c'erano i Dc, i socialisti. Un comportamento pro-russo, qui è assolutamente naturale. Ma li vedi anche tu quando vanno in televisione, no?».
Cioè allora ha ragione Blinken: i comunisti vivono tra noi e nessuno ci ha avvertito?
«Dai, li vedi. Sono quelli che iniziano con "premetto che c'è un paese aggressore e uno aggredito", però poi sbracano nel filoputinismo.
Quelli che - giornalisti, politici, imprenditori - "le sanzioni alla Russia fanno più male a noi", e quindi forse è meglio lasciargli invadere la Georgia e la Crimea. Che tra l'altro, dal punto di vista meramente degli affari, era pure comprensibile».
Vabbè, stiamo divagando. Torniamo alle due dichiarazioni, rigorosamente separate. Quella di Blinken c'entra con le elezioni?
«C'entra di sicuro. Ma, se ben guardiamo, quali sono le fonti ufficiali americane della notizia? Esistono davvero? E di cosa si tratta? Di un documento certificato, di un rapporto della Cia, di un "me l'ha detto mi cuggino", o di una semplice illazione?».
Be' Blinken non sarà mica il primo cazzaro che passa, no?
«Mi pare che, nello specifico di questo fantomatico rapporto, siano indicati un pugno di paesuncoli di Asia e Africa. L'Italia, a quanto dice anche il Copasir, non è neanche citata. Cioè: non c'è nulla di ufficiale da Washington, anzi...».
Poi c'è l'intervista a Volker di Repubblica. Tra le tante cose, sono credibili i finanziamenti a Fratelli d'Italia?
«Ma è tutto illogico politicamente. La Meloni, gli Stati Uniti, in questo momento se la stanno coccolando, le danno spazio, e non tanto perché gli è simpatica, ma perché è quella che probabilmente vincerà le elezioni nel rispetto delle regole democratiche. Lei è atlantista nei fatti e nelle parole e soprattutto non mi ricordo sue sospette simpatie comuniste, neppure in gioventù...».
L'ex ambasciatore Terzi di Sant' Agata, canditato per FdI, ha scritto, all'ex collega Volker: «Vorrei quindi pregarti di chiarirmi su quali fatti e circostanze concrete si basino le insinuazioni riportate da La Repubblica, se effettivamente corrispondono alle tue parole». Gli è partito l'embolo...
«Terzi ha ragione a incazzarsi. Ma poi, 'sto Volkov, ripeto: per conto di chi parla. Coinvolgere, proprio in questo momento, Lega e Fratelli d'Italia sui finanziamenti russi senza riscontri, mi pare perfino sciocco. Finora abbiamo solo Repubblica che mette in bocca a un ex ambasciatore delle dichiarazioni contro il centrodestra, senza che l'ex ambasciatore lo ripetain tv».
Però che gli italiani siano sempre stati non ostili alla Russia, non è vero?
«Be' che l'Italia, tra i paesi occidentali sia storicamente il più vicino alla Russia (mi pare in una misura del 60% tra fan e non dichiaratamente ostili) è risaputo. Tra l'altro ti ricordo che la vera dipendenza dal gas russo l'abbiamo avuta da 'mo, dai tempi del governo Letta».
E del governo Berlusconi, per essere precisi.
«Sì. certo. Valter Bielli, capogruppo del Pds ai tempi in cui ero presidente della Commissione Mitrokhin, mi diceva: "Guzzanti, noi tutti di sinistra qui siamo da sempre filorussi, ora ci si sono messi anche quelli di destra pro Putin: a lei chi glielo fa fare di andare a schiantarsi?"».
Tutto questo potrebbe incidere sul risultato delle elezioni?
«Ma ti pare che la notizia dei soldi russi possa scuotere l'Italia? Il vecchio Cossiga mi raccontava che il Pci fino a Berlinguer aveva sempre un compagno preposto che, da Mosca, tornava con la valigetta: in aeroporto era controllata da due agenti del tesoro Usa e dal ministero degli Interni, per poi passare allo Ior dove si cambiavano i rubli, e per accertarsi che non fossero falsi. Tutti sapevano tutto. Quand'è finita la pacchia hanno dovuto vendere Botteghe Oscure».
Cioè mi stai dicendo che l'elettore medio non diserterà, schifato, le urne?
«Ma va'. Dirà:"Embè?" e poi "Ecchisenefrega". Dimenticandosi magari di Di Maio che la spara grossa su una commissione apposita da organizzare in quattro e quattr' otto; il quale, a sua volta, si dimentica che a portare l'ultima Armata Rossa in Italia coi camici e le siringhe per il Covid era stato Conte».
Guido Crosetto invoca l'alto tradimento per chi s' è preso i soldi dei russi.
«Ma, ad occhio, non c'è lo stato di guerra. Se fosse accertato tutto -"se"- ci starebbe magari il finanziamento illecito, al limite l'evasione fiscale. Ma, al limite...».
I fiumi di soldi dal Cremlino tollerati se vanno a sinistra. Paolo Guzzanti il 15 Settembre 2022 su Il Giornale.
Oggi i dem si indignano, ma fu il Pci a introdurre la corruzione della politica con i fondi illegali dell'Urss.
Troppe cose non quadrano nella storia dei finanziamenti russi a partiti e politici accennata dal ministro della Difesa americano, poi rafforzata da indiscrezioni senza padre né madre. La storia, se non sono pronte altre scatole cinesi, sarebbe questa: il ministro americano Blinken davanti alle telecamere svela il contenuto di un rapporto dei servizi segreti americani secondo cui la Russia avrebbe speso centinaia di milioni per corrompere politici e partiti di paesi stranieri per favorire si suppone - la sua bellicosa politica estera. Poi un funzionario di rango minore afferma che fra questi Paesi c'è l'Italia e che i partiti beneficiati dai russi sarebbero quello della Meloni, di Salvini e il Movimento Cinque Stelle. Queste dichiarazioni provocano il prevedibile putiferio senza né capo, né coda perché manca sia la logica, il movente, che la fonte. È bizzarro, per non dire ridicolo, che i più indignati per questo fumosissimo scandalo, siano proprio gli uomini del Pd a partire dall'intrepido suo segretario. Enrico Letta è al timone di un partito fatto per metà dal vecchio Pci e per metà dalla vecchia Dc. E anche se lui non proviene dalla metà comunista, non può far finta di non conoscere il codice genetico del partito, quello comunista, che ha introdotto la corruzione della politica attraverso gli illegali e sontuosi finanziamenti russi, costringendo i partiti democratici ad approvvigionarsi in maniera altrettanto illegale. Ogni anno un funzionario del Pci andava a Mosca con una valigetta vuota e la riportava piena di milioni di dollari che venivano controllati al ritorno da due agenti del Tesoro americano che volevano controllare che le banconote non fossero false. Poi la banca vaticana dello Ior cambiava i dollari in lire. Alla fine, tutti i partiti democratici che avevano praticato il finanziamento illegale furono condannati a morte e sono scomparsi, mentre soltanto Il PCI si è salvato per il rotto della perché nel 1989 una provvidenziale amnistia cancellava tutti i gravissimi peccati di corruzione del sistema democratico commessi con sfacciato candore dal PCI. Oggi si alza un gran polverone su un possibile finanziamento russo a partiti e politici. Se fosse vero sarebbe gravissimo, ma con poco senso. Che gli americani vogliano danneggiare Giorgia Meloni è in aperta contraddizione con lo stile e la diligenza con cui il Dipartimento di Stato ha cercato di capire la figura e il progetto politico della Meloni. Lo hanno fatto non solo con lei ma probabilmente ha giocato a suo favore il fatto di essere una possibile candidata alla guida del governo italiano con una posizione nettamente filoatlantica, anche se sostenendo che l'Italia deve essere risarcita dai costi derivati da una scelta netta senza se e senza ma.
Quanto alla Lega, le note e passate simpatie di Matteo Salvini per Vladimir Putin non spiegherebbero il movente perché è universalmente nota l'alleanza politica fra la Lega, il partito di Putin, quello della Le Pen e dell'ungherese Orban in un contesto che non è più da tempo quello attuale dal momento che oggi Salvini si è riposizionato a causa dall'aggressione all'Ucraina. Perché, dunque, come e quando il Cremlino avrebbe speso una somma di denaro per investirlo in una incomprensibile «operazione simpatia»? Non solo mancano le prove, ma manca il senso. Ma, ammesso e non concesso, perché? Per creare una superflua turbolenza che non raggiungerebbe mai le proporzioni dello scandalo, in mancanza assoluta di prove e logica. Per quanto riguarda i Cinque Stelle si potrebbe capire il senso, ma non l'attualità. È un dato di fatto che Conte abbia ordito l'abbattimento del governo Draghi per incassare i voti dell'elettorato contrario all'invio di armi agli ucraini con una giravolta sull'invio delle armi a chi sta resistendo. Nel suo caso la logica ci sarebbe ma manca comunque qualsiasi prova.
Francesco Storace: tutti gli affari della sinistra con Cina e Putin. Francesco Storace su Libero Quotidiano il 16 settembre 2022.
Ma quanto sono ipocriti a sinistra. Si riparano dai venti fragorosi sui finanziamenti russi al Pci con l'alibi del tempo trascorso («Siamo un'altra cosa»), dicono adesso. Come se sull'ambiguità delle relazioni internazionali dei figliocci di quel partito si debba solo risalire al tempo del Togliattismo. No, anche gli idoli di adesso hanno peccati da farsi perdonare e persino i loro cuginetti a Cinque stelle. Nel gioco delle relazioni pericolose spiccano tutti, a sinistra, e suscita davvero indignazione il loro accanimento su colpe inesistenti a destra. Spesso si sono fatti fare anche fessi da Mosca. Accadde a Romano Prodi e Massimo D'Alema, per la crisi energetica del 2007. All'epoca fu siglata un'intesa Eni-Enel con Gazprom, che in realtà ci mise in condizioni di sudditanza verso Mosca. E la partita la condusse con mano di spregiudicato mazziere l'ex cancelliere tedesco Schroeder. Sai che gliene fregava della fratellanza progressista...Venne poi il tempo di Enrico Letta.
Era il 2013 e nel giro di una giornata, nel freddo polare di Trieste, l'allora premier siglò con Vladimir Putin una serie di accordi a raffica sicurezza compresa dai quali non si evinceva un giudizio così definitivamente negativo sull'uomo di Mosca. Anzi, Letta uscì da quella radiosa giornata davvero tanto contento. Ma gli autogol della sinistra italiana non hanno riguardato solo la Russia, dopo la grande stagione dell'Urss in cui i comunisti di allora almeno ammettevano i legami con i fratelli del Pcus. Anche la Cina è tutt' ora protagonista di dubbie relazioni. Nei giorni scorsi, per merito de Il Giornale, è emersa la fitta collaborazione di sodali di Enrico Letta con paradisi fiscali nei quali occultare denaro evidentemente accumulato in maniera illecita. Al segretario del Pd è stata sollecitata chiarezza, senza accusarlo di fatti specifici. Ma dalla sua bocca non è uscita una parola. E la grande stampa gli ha riservato il trattamento di riguarda che di solito è omesso quando si tratta della Meloni, di Salvini o di Silvio Berlusconi.
SOSPETTI
Per non parlare poi dei compari di merenda pentastellati. Ancora è fresco nella memoria di molti il caso di Vito Petrocelli, ex presidente della commissione esteri del Senato. Da quella postazione è stato cacciato a furor di popolo per il suo esplicito sostegno all'invasione russa in Ucraina, arrivando anche a votare "no" alla risoluzione del governo Draghi sulla guerra in Ucraina, in difformità rispetto alla indicazioni del partito (dove pure fiorivano altri sotterranei distinguo). In quel caso, le polemiche furono davvero feroci, con l'imbarazzo di un Movimento politico in cui i filoPetrocelli stavano acquattati pur condividendone le posizioni a sostegno di Mosca. Ma altrettanto clamore hanno suscitato nel tempo i sospetti rapporti del M5s con il Venezuela. Tra Chavez e Maduro c'è stata una fitta rete di relazioni che sono arrivate a far partire un'indagine giudiziaria su un presunto versamento di discrete quantità di quattrini che sarebbero addirittura arrivate in valigetta a Gianroberto Casaleggio.
Una questione ancora non chiara. Ma che aldilà del presunto maneggio di denaro si parlò di ben 3,5 milioni di dollari campeggia sulla politica internazionale dell'Italia proprio perché i pentastellati non hanno mai voluto assumere posizioni di netta condanna del regime rosso di Caracas. Va detto anche che il figlio di Casaleggio, Davide, non ha esitato a denunciare il giornalista spagnolo che aveva realizzato lo scoop. Il che, se vale per tutelare l'onorabilità e la memoria del padre, nulla sposta rispetto alla linea filovenezuelana del Movimento cinque stelle. In Italia c'è comunque un'inchiesta della Procura di Milano. Il paradosso, per un Movimento come quello di Beppe Grillo, è che tutto possa finire in prescrizione. Salvando quelli che non la volevano per i processi. Sono quelli che strillano contro la destra per non far parlare dei peccatucci di casa loro.
Fondi russi, il foglio che incastra la sinistra: ferie pagate, cosa state vedendo. Libero Quotidiano il 16 settembre 2022
C'è stato un tempo in cui l'Urss non si limitava a finanziare il Pci con operazioni politiche. Ma agiva come la più grande agenzia di viaggio nazionale per i compagni italiani che si guadagnavano gite premio in aereo a Mosca o crociere sul Mar Nero, per veder realizzate le promesse del sol dell'avvenire e consolidarsi nella propria fede filo-sovietica, magari con relativa delusione al ritorno.
A occuparsi di questi tour con l'avallo del Pci e del Pcus era l'Italturist, un'agenzia di viaggio operativa per circa un trentennio, dall'inizio degli anni '60 fino alla fine degli anni '80, e presieduta all'inizio da Armando Cossutta, che raccontava quell'esperienza con entusiasmo e la presentava come strumento di servizio al popolo, a cui consentiva di visitare «Paesi proibiti»: l'Urss, ma anche la Cina e Cuba, tutti rigorosamente comunisti.
Una prima svolta ci fu all'inizio degli anni '70 allorché l'Italturist, fino ad allora di proprietà del Pci, fu ceduta alla Lega delle cooperative immobiliari, partecipata anche dal Psi, della cui sezione milanese era stato presidente Francesco Siclari. Lo stesso Siclari fu "promosso" a presidente dell'Italturist, che di fatto continuava ad agire nell'orbita del Pci: sotto la sua gestione, come ci dicono le nostre fonti, professionisti che lavoravano per Italturist in vari settori, «si consolidò quel criterio "meritocratico" che permetteva a tre categorie, sindacalisti e militanti del partito, dirigenti del Pci, e villeggianti generici provenienti dalla classe operaia, di prendere il volo in direzione Mosca o Leningrado per una vacanza su mezzi sì scassati ma a prezzi ridottissimi. Talmente bassi, se non nulli, che l’agenzia turistica non riusciva a coprire le spese ed era cronicamente in perdita. I debiti venivano poi gentilmente ripianati non solo da Italturist e dagli organismi collegati, ma anche dal fornitore, cioè l’Urss».
Se consideriamo che la Italturist organizzava un volo a settimana verso la Russia, che su ogni volo c’erano un centinaio di passeggeri e che solo il volo costava circa 100mila lire (non pagate dai passeggeri), «possiamo affermare», continuano le fonti, «che tra anni ’60 e ’70 l’Urss abbia tappato le falle di Italturist, versando qualche miliardo di lire». Vacanze a carico del Cremlino che offriva lo svago al proletariato italico, all’insegna di Falce e Martello... All’inizio degli anni ’80 Italturist iniziò a contemplare, tra le sue mete, anche posti turistici come Santo Domingo. Solo che a metà del decennio un Jumbo della compagnia restò piantato a terra nell’aeroporto di New York, tra le proteste dei viaggiatori che avrebbero dovuto raggiungere Santo Domingo e quelli che avrebbero dovuto tornare in Italia. Fu il punto di non ritorno: l’Italturist passò sotto il controllo dell’Unipol, trasformandosi in un’azienda di mercato. Da allora forse gli aerei cominciarono ad arrivare in orario, non come quando c’era Breznev...
Le rivelazioni americane e il polverone italiano. Americani e russi irrompono come al solito in campagna elettorale. Paolo Guzzanti su Il Riformista il 15 Settembre 2022
La storia si ripete e spesso nelle forme più cretine. Basta non avere memoria e il gioco è fatto. Adesso siamo tutti impegnati a fingere di voler sapere immediatamente, a tutti i costi, senza fare sconti a nessuno – vada come deve andare – che cosa e chi si nasconde dietro le sibilline parole del ministro della Difesa americano, il quale ha dichiarato che i russi avrebbero speso parecchi milioni per corrompere politici, partiti, giornalisti, influencer e chiunque possa portare loro dei vantaggi.
Poi, dopo questa prima generica affermazione, arriva la notizia sotto forma di indiscrezione secondo cui due partiti italiani del centrodestra, se non tutti e tre, sarebbero coinvolti insieme ai Cinque Stelle il cui leader ed ex presidente del Consiglio fece entrare in Italia un distaccamento dell’Armata Rossa per portare siringhe e medici. È certamente stata una mano santa per il dibattito televisivo che non riusciva a liberarsi dalla noia dei funerali regali e del tetto sul prezzo del gas. Così, “er dibbbattito” si è arricchito del chiacchiericcio con cui si finge di accusare e difendere chi forse ha preso i soldi di Putin. Il lettore mi perdonerà se parlo in prima persona, ma di queste faccende ne so qualcosa avendo vissuto la terribile avventura di presiedere tra il 2002 e il 2006 una Commissione parlamentare bicamerale di inchiesta che aveva il compito di scoprire se e come i nostri servizi segreti avessero utilizzato le informazioni dei colleghi inglesi sugli agenti russi durante la guerra fredda. Quella commissione (la più ostacolata, diffamata, derisa, e dimenticata anche se gli atti del Parlamento dimostrano che scoprì molto di più del previsto) fu varata dal Parlamento in seguito alle voci, insinuazioni, accuse, seguite alla pubblicazione del libro L’Archivio Mitrokhin scritto dall’ex archivista del Kgb Vasili Mitrokhin e da Christopher Andrew, storico di fiducia del servizio segreto inglese.
In Italia scoppiò una guerra civile delle parole tra i comunisti che si accusavano l’un l’altro di essere stati al soldo del Kgb mentre un’altra parte li accusava di essere stati al soldo della Cia. Fu fatto un drammatico polverone nel corso del quale almeno 5 persone persero la vita nell’indifferenza generale. L’ultimo fu Sasha Litvinenko, quello avvelenato con il polonio visto isu tutti gli schermi del mondo prima che morisse E non gliene frega assolutamente niente a nessuno della verità di come andarono realmente le cose, di chi era colpevole e di che cosa: oggi sembra che si voglia giocare di nuovo la stessa carta sussurrando un segreto – non poi troppo segreto perché si tratta solo di una informativa – in cui si rivelerebbe che i russi hanno speso una modestissima quantità di denaro per influenzare le politiche di paesi stranieri. Ma i russi non hanno nessun bisogno di spendere e spandere per ottenere questo risultato. Ci sono paesi – e certamente tra questi l’Italia – in cui una parte della dirigenza e dell’intellighenzia si trova naturalmente e gratuitamente dalla parte dei russi sia in versione sovietica che putiniana senza alcuna soluzione di continuità.
Io nella mia vita giornalistica che ha ormai superato i sessant’anni ricordo benissimo tutte le spie russe che venivano a trovare i giornalisti nelle redazioni di quasi tutti i giornali in cui ho lavorato. Ed è facilissimo vedere sugli schermi, o sulle pagine, soltanto osservando le omissioni, le riduzioni di evidenza, le esaltazioni laddove ti aspetteresti un tono basso, la manina e la luna russa che suona con agevolezza tutte le musiche che vuole sia nel la politica parlamentare che sulla stampa stampata. E non parliamo poi della comunicazione televisiva che conta molto più dei social totalmente sopravvalutati per la mania del correre dietro a personaggi insignificanti come gli influencer. Questo modo di agire ricorda quello dei guardiani dello zoo che vanno a portare il cibo ai grandi felini in gabbia. Quando arrivano col secchio della carne le bestie si agitano, ruggiscono, frustano l’aria con la coda, poi mangiano i loro bocconi e se ne tornano tranquille nelle loro tane. Non esiste e non esisterà mai alcuna lista di coloro i quali agiscono perché pagati dai russi. Come mi disse davanti a tutta la commissione il capo dello spionaggio sovietico a Roma, «noi non abbiamo mai avuto bisogno di spendere un centesimo per avere informazioni perché dietro la nostra porta c’è la fila dei volontari che corrono al nostro soccorso e non si tratta solo dei comunisti, anzi i comunisti li teniamo alla larga perché non vogliamo che si compromettano con noi». Si riferiva evidentemente al periodo in cui il partito comunista esisteva e aveva l’obbligo tassativo di non consentire ai suoi iscritti di lavorare per i sovietici proprio per evitare possibili scandali.
Oggi è evidentissimo che in Italia agisce, come sempre ha agito, un partito filorusso a prescindere che non ha a che vedere né col comunismo né col capitalismo ma semplicemente con gli interessi della Russia. Da anni e anni assistiamo alla pantomima delle continue richieste di abrogare le sanzioni comminate alla Russia per avere riportato la guerra in Europa dopo la fine della Seconda guerra mondiale aggredendo paesi europei come la Georgia e poi l’Ucraina, prima nel 2014 occupandone la Crimea con un’armata di soldati senza mostrine senza gradi e poi con l’operazione militare speciale del 24 febbraio scorso. In Italia la reazione però è sempre stata e resta del tutto automatica: una gran parte dei nostri opinion makers hanno protestato vivacemente soltanto per contestare l’invio delle armi agli aggrediti, quelle armi che oggi permettono agli stessi aggrediti di difendersi con efficacia dagli aggressori. Ma soltanto in Italia accade che seriamente si finga che ci sia un approfondito dibattito fra chi vuole schierarsi con gli aggrediti e chi con gli aggressori. Naturalmente questa operazione non viene condotta in maniera così rozza e non c’è filorusso che non inizi la sua perorazione contro l’invio di armi all’Ucraina senza premettere con voce contrita che “naturalmente condanniamo nel modo più deciso l’aggressione di Putin all’Ucraina”.
Ora il fatto che la Russia spende una ragionevole quantità di soldi per alimentare la propaganda a suo favore, è non solo previsto e banale, ma rende piuttosto ridicolo anche chi finge di scandalizzarsi. Avendo svolto molte inchieste giornalistiche sulle influenze della Cia in Italia a partire dal 1947 so come tutti che gli americani hanno finanziato largamente giornali, politici e partiti e hanno fatto a mio parere benissimo perché permettevano di contrapporre una spesa ingente a quella che i comunisti potevano spendere. In Italia si sono già viste commissioni d’inchiesta e procedimenti giudiziari nati e abortiti per indagare sugli agenti e gli anni della vecchia Guerra fredda che sembra oggi sempre la stessa. Le dichiarazioni americane, finora prive di qualsiasi corredo, finiscono per fare il gioco del nemico proprio per la fragilità e la vaghezza con cui sono state formulate, tanto che le stesse fonti americane hanno indicato una dozzina di lontanissimi Paesi extraeuropei, mentre in Italia salivano all’onore della cronaca i nomi di due partiti di centrodestra e del Movimento Cinque stelle.
Risultato? Molte banali levate di scudi di chi grida allo scandalo, simmetriche e altrettanto inutili rispetto a quelle di chi pretende la verità (da chi? dagli americani che hanno preso l’iniziativa di rivelare senza rivelare?) e chi – con raffinatezza intellettuale – si delizia all’idea che l’Italia cada preda di un nuovo maccartismo, una nuova “caccia alle streghe”, seguendo il titolo della commedia di Arthur Miller che dette il nome a un’epoca: quella della persecuzione degli intellettuali sospettati di essere agenti sovietici e oggi di Putin. Avendo compiuto i miei sessanta anni da giornalista, più quattro dedicati all’insabbiata inchiesta sugli influencer russi, mi viene il sospetto che il Segretario di Stato americano sia caduto nel gioco di specchi in cui i russi sono davvero i maestri assoluti.
Paolo Guzzanti. Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.
Fondi russi, gli altarini di Repubblica: cos'ha pubblicato per sei anni. Francesco Storace su Libero Quotidiano il 16 settembre 2022
L'Italia s' è desta, La Repubblica no. Fanno i segugi nel quotidiano di Maurizio Molinari, masi sono scordati i loro precedenti specifici. Recenti, recentissimi. Ogni giorno ci raccontano di quattrini arrivati da Mosca, mai quelli che sono passati dalle loro parti. La memoria tocca rinfrescarla nei nostri archivi o anche su Google. Mica c'è solo - se c'è, anche se Gabrielli e Urso, sottosegretario ai servizi e presidente del Copasir smentiscono- la politica. I finanziamenti opachi li prendeva ieri chi li denuncia oggi. Se li sono scordati quei soldi dalla Russia, i signori di Repubblica. Prima della guerra all'Ucraina sono arrivati con certezza anche a loro. No, non ci passa per la testa di dire che stanno con Kiev perché Mosca non caccia più moneta, ma davvero le lezioni di etica, fasulle, potrebbero risparmiarcele. Ieri, ad esempio, ci hanno raccontato la bufala dei finanziamenti russi a Lega e Fdi, ma senza uno straccio di prova, di indizio. Voci, che chiunque può far circolare. Tanto in Italia non ci sarà un solo magistrato pronto a sanzionare le balle da campagna elettorale.
LINEE POLITICHE
Ma intanto il puzzo arriva. Lo porta Kurt Volker, ex ambasciatore Usa alla Nato, che si fa intervistare dal quotidiano della Gedi: «Sapevamo da anni che i russi spendono per influenzare le elezioni in tutto l'Occidente. Cercano di promuovere la divisione nelle nostre società e fra i nostri paesi. Questi 300 milioni non hanno fruttato molto, però hanno migliorato le prospettive di alcuni partiti, come quello di Le Pen in Francia e Fdi da voi». Alè, pure la Meloni adesso. La domanda è obbligata: «Davvero l'allarme riguarda anche Fratelli d'Italia?», chiede Repubblica. «Non ho prove dirette personali, ma è un ritornello costante che c'è stata qualche assistenza. Se guarda bene la loro linea politica, alcuni aspetti riflettono le posizioni russe». Ma complimenti per lo scoop, senza «prove dirette personali»: intanto lo diciamo. Improvvisamente dalla "home" di Twitter spunta un messaggio di aprile del Fatto quotidiano: «Quando chiuse con la Repubblica, Russia Today offrì 1,5 milioni di euro l'anno al Sole 24 ore. Ripetiamo la domanda a Rep: quanto vi dava Mosca per gli spot?». Forse non hanno "prove dirette" sui soldi alla Gran casa della sinistra editoriale. E però non si può fare la morale, "senza prove", da una testata che le "prove" invece se le può far contestare agevolmente.
FINANZIATO DA MOSCA
Perché sono stati sei anni belli ed evidentemente generosi, quelli dal 2010 al 2016. Ogni mese i lettori di Repubblica erano deliziati da un supplemento intitolato Russia Oggi. Era il derivato di Russia Today, poi messo al bando in Occidente sotto l'accusa più pesante: emanazione mediatica dei voleri di Vladimir Putin. Ricordiamo che il quotidiano allora lo dirigeva Ezio Mauro che non nascondeva il suo legame con il supplemento impacchettato ogni trenta giorni dal Cremlino. Perché c'era un annuncio a "spiegare" la pubblicazione dell'inserto, «realizzato senza la partecipazione dei giornali e dei redattori di Repubblica. È finanziato dai proventi dell'attività pubblicitaria e dagli sponsor commerciali, così come da mezzi di enti russi». E chi lo realizzava quel giornale ospitato non gratis da Repubblica? La redazione si chiamava Rossiyskaya Gazeta, quotidiano a sua volta finanziato da Mosca. Insomma, per sei anni uno dei maggiori quotidiani del nostro paese ha concesso spazio alle tesi di Putin attraverso una rivista megafono della Russia. Avrebbero potuto chiedere a uno dei colleghi di Rossiyskaya Gazeta un editoriale su «quanto ci costa la politica italiana». Non conveniva, sennò il flusso dei soldi di Mosca in redazione sarebbe stato immediatamente bloccato. Nel nome della democrazia e della libertà di stampa.
La rivelazione degli 007 americani. Dalla Russia almeno 300 milioni ai partiti di 24 Paesi, l’Italia chiede chiarimenti. Linkiesta il 14 Settembre 2022.
Non sono stati rivelati al momenti i nomi coinvolti. Roma ha chiesto maggiori informazioni, soprattutto in vista delle elezioni del 25 settembre. La Lega, intanto, ha già fatto sapere di voler querelare chiunque associ il nome del Carroccio a questa vicenda. L’ex ambasciatore Volker punta il dito contro Salvini, Meloni e Berlusconi
La Russia ha speso almeno trecento milioni di dollari, a partire dal 2014, cioè dall’anno dell’annessione della Crimea, per finanziare partiti politici, think tank e candidati di 24 Paesi e influenzare così i risultati elettorali. La rivelazione è contenuta in un report dell’intelligence americana di cui ha parlato in un briefing con i giornalisti un alto funzionario dell’amministrazione Biden. Mentre il Dipartimento di Stato rendeva noto un cablogramma inviato dal segretario di Stato Antony Blinken a numerose ambasciate e consolati Usa all’estero – molti dei quali in Europa, Africa e Asia del Sud – manifestando le preoccupazioni americane e spiegando ai funzionari come rispondere, con misure che vanno dalle sanzioni economiche al bando dei viaggi.
Non sono stati resi pubblici né le nazioni bersaglio del soft power russo, né i partiti o i dirigenti coinvolti in questo schema. Ma gli Stati Uniti ritengono che i 300 milioni siano una parte di uno sforzo economico più esteso da parte russa.
Il Washington Post, citando fonti anonime del governo americano, riporta che tra i partiti coinvolti ci sono anche candidati alla presidenza. Tra gli oltre venti paesi interessati ci sarebbero Albania, Montenegro, Madagascar e forse anche l’Ecuador. Si parla anche di un Paese asiatico non identificato, in cui l’ambasciatore russo avrebbe dato milioni di dollari in contanti a un candidato. Gli altri Paesi e politici coinvolti non sono stati rivelati, ma sono concentrati soprattutto in Europa.
«Facendo luce sul finanziamento politico segreto russo e sui tentativi di minare i processi democratici, stiamo avvisando questi partiti e candidati stranieri che se accettano segretamente denaro di Mosca, noi possiamo denunciarli e lo faremo», dice una fonte dell’amministrazione al quotidiano americano. I funzionari, sempre secondo il Washington Post, hanno affermato che le forze legate al Cremlino hanno utilizzato società di comodo, think tank e altri mezzi per influenzare gli eventi politici, a volte a beneficio di gruppi di estrema destra. Il cablo nomina gli oligarchi russi coinvolti negli «schemi di finanziamento», tra cui Yevgeniy Prigozhin e Aleksandr Babakov.
Materiale potenzialmente esplosivo soprattutto in Italia, che tra 11 giorni andrà alle urne. Roma – come spiega Repubblica – ha chiesto a Washington tramite i canali ufficiali di intelligence se l’Italia è parte del dossier e l’identità degli eventuali politici finiti nella rete. Ma gli Stati Uniti mantengono ancora una certa riservatezza. È più probabile quindi che i nomi escano prima da fonti americane che da canali italiani ufficiali. O che magari vengano rilanciati dai media statunitensi.
Palazzo Chigi avrebbe preso molto sul serio la questione, soprattutto in vista del 25 settembre. Unanime la reazione dei partiti italiani, che hanno chiesto al Copasir di fare chiarezza e comunicare eventualmente al Parlamento le informazioni che arrivano dal Paese alleato.
Ieri, in serata, intanto la Lega in una nota ha già fatto sapere di voler querelare chiunque associ il nome della Lega a questa vicenda.
Ma nell’intervista rilasciata a Paolo Mastrolilli di Repubblica, l’ex ambasciatore americano alla Nato Kurt Volker fa esplicitamente i nomi di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. «Sapevamo da anni che i russi spendono per influenzare le elezioni in tutto l’Occidente. Cercano di promuovere la divisione nelle nostre società e fra i nostri Paesi. Questi 300 milioni non hanno fruttato molto, però hanno migliorato le prospettive di alcuni partiti, come quello di Le Pen in Francia e Fratelli d’Italia da voi», dice.
Come? «Per promuovere la loro narrazione. A volte i fondi vanno ai partiti in Europa, o anche ai singoli politici, con pagamenti diretti oppure affari conclusi da compagnie russe che beneficiano questi politici, creando in loro un interesse diretto ad aiutare Mosca».
L’ambasciatore ammette di non avere prove dirette personali, «ma è un ritornello costante che c’è stata qualche forma di assistenza». E poi, aggiunge, «la Lega è in circolazione da parecchio tempo ed era noto che riflettesse le prospettive russe. Fratelli d’Italia è una formazione più recente, anche se erede di altri partiti, ed è cresciuta in maniera straordinaria nell’ultimo anno. Ciò obbliga a porsi domande su quali sono le fonti dei loro finanziamenti, delle posizioni prese e dell’aumento della popolarità».
E secondo l’ambasciatore, ci sono sospetti anche riguardo Forza Italia. «È interessante che Berlusconi non fosse così filo russo, quando aveva fatto il premier la prima e la seconda volta, ma alla terza è completamente cambiato. Ha sviluppato uno stretto rapporto personale con Putin, e forti relazioni di business con la Russia», sostiene Volker.
Mosca Connection. Ci sarebbe anche l’Italia nel dossier americano sui soldi russi ai partiti. Linkiesta il 15 Settembre 2022.
Secondo quanto scrive Repubblica, citando «una fonte molto autorevole, con diretta conoscenza dei fatti, che ne ha discusso con i vertici del dipartimento di Stato», ci sarebbero informazioni anche sul nostro Paese nel report redatto dagli 007 Usa. Ma per il momento i nomi dei politici che hanno preso soldi da Mosca non vengono divulgati. Secondo Di Maio, potrebbero arrivare presto altri dettagli
Con la nota del segretario di Stato americano Antony Blinken recapitata a Palazzo Chigi e alla Farnesina sulla penetrazione dell’influenza russa nei Paesi europei, a Roma è iniziata la caccia ai nomi. Al momento, non filtra nulla. Il documento con i dettagli è secretato. Ma, secondo quanto scrive Repubblica, citando «una fonte molto autorevole, con diretta conoscenza dei fatti, che ne ha discusso con i vertici del dipartimento di Stato», l’Italia ci sarebbe eccome nel dossier americano sulla corruzione russa nel mondo. E non poteva essere altrimenti, considerando i rapporti con Mosca costruiti negli ultimi decenni da diversi partiti rilevanti. E questo alimenta molti dubbi sulle elezioni del 25 settembre e il futuro assetto del governo italiano.
È possibile che il nostro governo e i servizi di intelligence non siano ancora stati informati dei dettagli perché, dopo l’annuncio dei giorni scorsi, Washington ha deciso di procedere per passi, in base a necessità e circostanze. Ieri però il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Ned Price, ha confermato che «condivideremo con i Paesi alleati le informazioni classificate di intelligence raccolte sulle attività della Russia per influenzare i processi politici nelle democrazie». Quindi se ci sono nomi di politici o partiti che hanno ricevuto favori, e magari violato la legge, prima o poi Roma verrà informata.
Un portavoce del dipartimento di Stato spiega così la logica a Repubblica: «Non entreremo in specifiche informazioni di intelligence, ma siamo stati chiari sulla nostra preoccupazione per l’attività della Russia per influenzare il processo democratico in vari paesi del mondo, inclusi gli Stati Uniti. La nostra preoccupazione per l’attività di Mosca in questo senso non riguarda un Paese, ma è di natura globale, mentre continuiamo ad affrontare le sue sfide contro le società democratiche». La fonte quindi ha chiarito così la strategia: «L’influenza politica segreta russa rappresenta una sfida importante per gli Usa e altre democrazie in tutto il mondo. Abbiamo lavorato per esporla mentre la scopriamo. Abbiamo, e continueremo a lavorare con i nostri alleati e partner in tutto il mondo, per denunciare gli sforzi di influenza maligna della Russia e aiutare altri paesi a difendersi da questa attività». Quanto alla pubblicazione di nomi e cognomi, «non abbiamo ulteriori informazioni da discutere sui Paesi specifici, in merito a questo argomento». E «si tratta di una decisione deliberata», ha spiegato Ned Price, perché ora era importante denunciare la minaccia di Mosca a livello globale, ma nel dettaglio dei singoli Paesi coinvolti l’intelligence lavorerà con discrezione.
Il rapporto inviato a Roma è stato redatto dal Consiglio per la sicurezza nazionale della Casa Bianca ed è composto da un mix di informazioni di intelligence e “open source”, ossia già disponibili pubblicamente. Però non può essere divulgato nella sua interezza, perché contiene diversi capitoli classificati. La ragione per cui Washington ha deciso di procedere con la denuncia è simile a quella che ha portato alla progressiva declassificazione e pubblicazione delle manovre militari russe, alla vigilia e dopo l’invasione dell’Ucraina. I servizi americani, tra l’altro, hanno raccolto negli anni una grande quantità di informazioni sulla corruzione condotta dal Cremlino. Ora quindi le pubblicano, e soprattutto le condividono con i Paesi alleati più colpiti, allo scopo di metterli in condizione di reagire e fermare Mosca.
Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha spiegato che dopo la nota potrebbero arrivare altre rivelazioni, accennando alla possibilità che almeno un altro dossier venga recapitato all’esecutivo italiano.
La notizia, chiaramente, ha messo in subbuglio i partiti italiani a pochi giorni dal voto. E in particolare la coalizione di destra. Il leader della Lega Matteo Salvini è stato il primo a esporsi, dopo aver minacciato querele: «Mi hanno processato come bieco spione russo e invece non era vero niente. Abbiamo chiacchierato sul nulla». Giorgia Meloni ha chiesto «chiarezza» sul caso e Guido Crosetto ha evocato addirittura «l’alto tradimento».
Mentre Adolfo Urso, capo del Copasir di Fratelli d’Italia, dall’America, dove si trova in missione per Giorgia Meloni, inizialmente ha detto: «Non ci sono italiani nel dossier americano». E ha convocato in tutta fretta per domani l’audizione di Franco Gabrielli al Copasir. Poi Urso a Washington ha incontrato il presidente democratico della Commissione intelligence del Senato, Mark Warner, e il repubblicano Richard Burr. Al termine dei colloqui, il suo tono è cambiato, fa notare Repubblica. «L’amministrazione Usa fornisca immediate ed esaurienti informazioni al governo italiano sul dossier sui finanziamenti russi a partiti ed esponenti politici di alcuni Paesi», ha detto. «È necessario fare subito assoluta chiarezza. Siamo in campagna elettorale e abbiamo il dovere di tutelare le istituzioni democratiche e di evitare ogni forma di delegittimazione».
Unfit to lead. Salvini è inadeguato a governare, ma risparmiamoci il processo alle intenzioni sui soldi dalla Russia. Andrea Cangini su L'inkiesta il 16 Settembre 2022
Finora la notizia sui presunti finanziamenti del Cremlino ai partiti europei non ha portato a elementi concreti di colpevolezza. Non bisogna indulgere nella cultura del sospetto. Basta guardare la storia politica del leader della Lega per capire la sua mediocrità
Ci sono ottime ed evidenti ragioni politiche interne e internazionali per considerare Matteo Salvini inadeguato a ricoprire funzioni di governo, ragioni che rischiano di essere eclissate dal fuoco di sbarramento mediatico innescato dalle rivelazioni sui finanziamenti russi.
Rivelazioni che, per il momento, non hanno rivelato nulla. Nulla di concreto: né un nome, né un fatto, né una circostanza. Per ora si tratta di un processo alle intenzioni. Un processo mediatico ispirato dalla cultura del sospetto.
Un sospetto legittimamente dovuto alle passate scelte politiche filoputiniane di Matteo Salvini e alle sue ambiguità presenti sull’Ucraina. Ma comunque un processo alle intenzioni. Intenzioni criminali, per giunta. Un metodo oggettivamente scorretto, poco garantista e nella realtà destinato a puntellare il sempre più precario segretario della Lega Salvini premier, un tempo “Lega Nord”.
In attesa di eventuali prove sui soldi russi e sulla eventuale ricattabilità di Matteo Salvini, il metodo liberale imporrebbe di attenersi ai fatti. Ai fatti della politica interna e ai fatti, mai come oggi qualificanti, della politica internazionale. Ne abbiamo già a sufficienza per esprimere un giudizio lapidario.
Rublodollari e moralismi. Gratuito o mercenario, il sostegno a Putin è un alto tradimento. Carmelo Palma su L'inkiesta il 16 Settembre 2022
Al di là di stucchevoli processi mediatici sulle presunte mazzette del Cremlino ai partiti italiani, è così rilevante sapere se l’amore dichiarato per il dittatore russo di Salvini e Berlusconi sia stato sincero o pagato? O se il pacifismo anti-ucraino del Movimento 5 stelle sia stato fatturato? È una questione di responsabilità politica, non solo penale
Scommetto un euro che dei trecento milioni di rublodollari, di cui i servizi americani seguono le tracce in Europa e rendono noto di avere una contabilità abbastanza precisa, neppure una mazzetta sarà trovata in Italia nelle tasche o nei conti dei molti indiziati speciali della benevolenza del Cremlino.
Non lo dico – sia chiaro – per fiducia nell’onestà degli amici italiani di Putin, che sono tanti e pure tanto bisognosi, né per sfiducia nelle buone intenzioni dell’intelligence Usa. Non è in discussione, ovviamente, che il regime putiniano, alla pari di qualunque organizzazione mafiosa, usi la corruzione economica, quanto il ricatto e l’intimidazione, come strumento di infiltrazione, reclutamento e condizionamento politico.
A essere in discussione è che queste operazioni speciali possano essere contestate, accertate e sanzionate in sede giudiziaria come se fossero le bustarelle di Mario Chiesa. Per quanto malconciati siano gli apparati russi, c’è da dubitare che ignorino le tecniche, alla portata di qualunque organizzazione criminale transnazionale, per movimentare montagne di soldi invisibili.
Per altro verso, sia detto in generale, varrebbe la pena di essere prudenti circa il vantaggio di montare processi mediatici usando a spizzichi e bocconi gli stralci dei dossier degli apparati di sicurezza, come altri fanno con le intercettazioni ricettate nelle segrete stanze delle procure. Anche perché al gioco dei veri o finti dossier potrebbero iniziare a giocare anche i russi. Così, in ogni caso, non si fa una buona giustizia, ma neppure una buona politica, meno che mai antitotalitaria.
A partire da questa vicenda, è invece più interessante e secondo me urgente riflettere sul fatto che a suscitare interesse e riprovazione e a far gridare al tradimento non sia la militanza apertamente collaborazionistica di una grande parte della politica italiana con l’avvelenatore in chief di Mosca, ma il possibile emolumento per il servizio prestato.
Davvero è così rilevante sapere se l’amore dichiarato per Putin di Salvini e Berlusconi sia stato sincero o mercenario, se il pacifismo anti-ucraino del Movimento 5 stelle e della sinistra senza se e senza ma, prima e dopo il 24 febbraio 2022, sia stato pro bono o fatturato e se il ruffiano relativismo sulla complessità della questione russa, che ha portato la meglio gioventù e i venerati maestri della politica italiana, a destra come a sinistra, a tenere bordone al macellaio del Cremlino e a menare scandalo per le sanzioni e per l’isolamento di Mosca, sia stato remunerato o l’unica remunerazione concessa sia stata la considerazione e l’amicizia del grande capo della satrapia cekista?
In un Paese come l’Italia, abituata al voyeurismo giudiziario e quindi a eccitarsi e indignarsi solo guardando la politica dal buco della serratura delle inchieste e dei processi, sembra che l’accusa di putinismo, che oggi la generalità dei putiniani rigetta sdegnosamente, possa essere dimostrata unicamente portando le prove di una corruzione economica o di un guadagno colpevole.
Il che conferma che la cultura di Tangentopoli non ha solo imbarbarito, ma anche instupidito l’Italia, stabilendo l’equivalenza tra lo scandalo e l’illecito e tra la responsabilità politica e quella penale. Quindi, alla fine, se non c’è un reato, se non si trovano i piccioli, se non si trovano ad esempio le piste, cancellate proprio da parte russa, del dopo Metropol, allora non c’è nulla di cui rispondere, vero?
Se Salvini eleggeva Mosca a Gerusalemme della diaspora sovranista, se Meloni esecrava le «folli sanzioni» alla Russia dopo l’invasione del Donbass e l’annessione della Crimea, se Berlusconi giurava in mondovisione sulla caratura democratica del suo amico particolare, se Prodi denunciava l’errore dell’ostracismo di Putin e ostentava ricambiato familiarità col capobanda moscovita, sdilinquendosi in complimenti sulla sua abilità economica e politica, se insomma accadeva tutto questo e moltissimo altro di uguale o di simile, possiamo dire che in realtà non è successo niente e non si è consumato alcun oltraggio alla causa della verità e della libertà, della pace e della sicurezza, se questa difesa di Putin non è stata contraccambiata almeno da un piccolo cadeau?
Possibile che pure sugli affari internazionali, cioè sulle questioni più radicalmente esistenziali per la nostra democrazia, la misura della qualità, dell’onestà e della lealtà patriottica della classe politica sia misurata da un metro così stupidamente moralistico
Strumenti di pressione. La lunga storia dell’influenza esercitata da Putin per destabilizzare l’Occidente. Maurizio Stefanini Linkiesta il 15 Settembre 2022.
Le rivelazioni del Dipartimento di Stato americano sui soldi dati da Mosca alle formazioni politiche europee non sono una sorpresa perché accompagnano una fitta e variegata serie di operazioni, anche social, che da tempo abbiamo purtroppo imparato a conoscere
La Russia di Putin usa i finanziamenti, ma i suoi strumenti di influenza sono soprattutto altri. Lo stesso alto funzionario dell’amministrazione Biden, che in una conference call ha riferito di come all’intelligence americana risultino almeno 300 milioni di dollari in trasferimenti segreti a partiti politici, dirigenti e politici stranieri in 24 Paesi a partire dal 2014 ha subito aggiunto come gli Stati Uniti si aspettino comunque nei prossimi mesi un utilizzo sempre maggiore dei mezzi di influenza coperta da parte dei russi. Con l’obiettivo di minare le sanzioni internazionali per la guerra in Ucraina e mantenere la sua influenza nel mondo.
Quando si parla delle operazioni con cui in passato il Cremlino è stato accusato di avere influenzato la politica straniera, come con la Brexit, l’elezione di Trump, la protesta separatista in Catalogna, la sconfitta del referendum di Renz, l’agitazione No Vax o la richiesta di impeachment a Mattarella per favorire la formazione del governo giallo-verde, il riferimento è essenzialmente a un lavorio fatto sulle piattaforme social. In particolare, attraverso quella Internet Research Agency di San Pietroburgo che si è meritata il soprannome di «fabbrica dei troll», e il cui finanziatore è Yevgeny Prigozhin. Il «cuoco di Putin» che – su un altro campo – sempre per rafforzare l’influenza russa ha inventato la compagnia di ventura Wagner.
Il Dipartimento di Stato ha fatto sapere di avere inviato la relativa documentazione alle ambasciate e ao consolati nei Paesi interessati, ma a quanto pare secondo i servizi americani sarebbe solo la punta dell’iceberg. Quei 300 milioni, spiegano, non sono che una cifra minima, e probabilmente Mosca ha preferito trasferire probabilmente altri fondi in modo coperto. Non vengono fatti nomi o citati Paesi, ma il Dipartimento di Stato è sicuro di poterli fornire presto. Non è chiaro se ci sia un problema di accertamenti o decrittazione, o se piuttosto i nomi vengano tenuti in sospeso per tenere qualcuno sotto pressione.
Ma il fatto che i finanziamenti non siano neanche il principale strumento di influenza di Putin, ad esempio, era stato espresso dal politologo ucraino Anton Shekhovtsov quando nel 2017 era venuto a Roma per un convegno sulla strategia di influenza della Russia in Europa organizzato dall’Atlantic Council e dall’Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici.
Visiting Fellow all’austriaco Institute for Human Sciences, tra i massimi esperti nei rapporti tra Putin e i movimenti populisti di destra e di sinistra, autore di un libro sulla storia dell’attrazione reciproca tra la Russia sovietica e post-sovietica e il fascismo e radicalismo di destra, Shekhovtsov spiegò in particolare che all’epoca «l’evidenza più forte per un finanziamento vero e proprio dalla Russia riguarda solo un gruppuscolo di estrema destra polacco non molto influente».
In effetti, ci sarebbero anche i 9 milioni di euro che nel 2017 il partito di Marine Le Pen ottenne in prestito dalla First Czech Russian Bank: fondata nel 1996 con capitali di Praga e di Mosca, acquisita nel 2002 dalla StroyTransGaz , la società russa che costruisce i gasdotti per la Gazprom. Lo scorso 20 aprile il presidente francese Emmanuel Macron glielo rinfacciò durante un dibattito elettorale, e lei rispose: «Se sono stata costretta ad andare a fare un prestito all’estero è perché nessuna banca francese ha accettato di concedermelo. Sono una donna assolutamente libera». L’idea di Shekhovtsov era che «non è corretto dire che è stata finanziata dalla Russia. Ha ricevuto soldi in prestito, ma dovrà restituirli». Va detto che secondo successive inchieste di Le Monde e Mediapart la Le Pen avrebbe chiesto a banche russe 40 milioni.
Poi, nel febbraio del 2019, fu rivelata la la storia dell’incontro che il 18 ottobre 2018 ci sarebbe stato all’hotel Metropol di Mosca tra tre italiani e alcuni russi non identificati. Tra gli italiani c’è Gianluca Savoini, esponente leghista proveniente dall’estrema destra, presidente dell’associazione Lombardia Russia, già portavoce di Salvini, e grande tessitore di rapporti tra la Russia e la Lega. Si parla di una trattativa per la vendita di petrolio dalla quale, secondo gli accordi, dovrebbero risultare dei fondi neri per il finanziamento della campagna elettorale della Lega in vista delle elezioni europee: 3 milioni di tonnellate di gasolio da far arrivare all’Eni, per un valore di 1 miliardo e mezzo di dollari, 65 milioni dei quali per le casse della Lega.
Savoini, in particolare, fornisce il contesto politico della trattativa, spiegando che la Lega insieme all’alleanza sovranista vuole «cambiare l’Europa. La nuova Europa deve essere molto vicina alla Russia». Il giorno prima, il 17 ottobre, sempre a Mosca, l’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini aveva partecipato a un incontro organizzato da Confindustria al Lotte Hotel, al quale era presente anche Savoini. In realtà, molti analisti si dissero subito certi che sotto dovessero esserci i servizi russi, per il fatto che l’Hotel Metropol è notoriamente sotto stretto controllo del Fsb. Ma nessuno si sbilanciò se fosse on regolamento di conti nei servizi russi stessi, o piuttosto un «avvertimento» a Salvini, che in quel momento si stava avvicinando a Trump, e aveva anche proposto al Cremlino di fare una «prima mossa» in Ucraina.
In realtà, un rapporto organico tra Lega e regime di Putin esiste nella forma di un patto di cooperazione col partito putiniano Russia Unita. Firmato a Mosca il 6 marzo del 2017, scadeva il 6 marzo 2022, ma in mancanza di comunicazione è stato rinnovato automaticamente fino al 6 marzo 2027. Come ricordava sempre Shekhovtsov, la Lega ha poi votato sistematicamente posizioni pro-Putin al Parlamento Europeo all’interno di un gruppo in cui fa parte di un nucleo duro filo-Cremlino, assieme al partito di Marine Le Pen e all’Fpö austriaco. Di quest’ultimo partito si può ricordare come il 18 maggio 2019 Heinz-Christian Strache diede le dimissioni da presidente, oltre che da vicecancelliere e ministro del Servizio Civile e dello Sport, in seguito alla pubblicazione da parte della Suddeutsche Zeitung e dello Spiegel di un video girato nel 2017 a Ibiza in cui Strache accettava offerte di corruzione dalla sedicente nipote di un oligarca russo, che in realtà era una giornalista d’inchiesta. Insomma, come la Lega anche la Fpö si è mostrata filo-Putin, è apparsa disposta a prendere soldi dalla Russia, ma non c’è evidenza che li abbia presi. Da ricordare che accanto a Strache a dirsi disposto a prendere 250 milioni di euro era il compagno di partito Johann Gudenus; noto come «uomo dei russi», e figlio di un colonnello negazionista dell’Olocausto.
Nello stesso gruppo figura anche Alternative für Deutschland (Afd). In un’inchiesta congiunta del 2019 dello Spiegel, della Zdf e della Bbc sui tentativi del Cremlino di influenzare le Legislative del 2017 saltò fuori un documento russo sul deputato Afd Markus Frohnmaier come «uno dei parlamentari che sarà sotto assoluto controllo». Secondo un’informativa di un’intelligence dell’Ue in mano all’emittente britannica, Frohnmaier avrebbe chiesto aiuto ai russi per la campagna del 2017 in cambio della fedeltà poi in politica estera. Sempre durante quella campagna tre esponenti della Afd sarebbero volati a Mosca con biglietti pagati dai russi. Effettivamente in questi mesi Afd sta facendo una campagna durissima contro le sanzioni, al punto che il cancelliere Scholz la ha definita «partito della Russia».
Insomma, ci sono sospetti di finanziamenti, e ci sono evidenze di appoggi. In Italia riguardano non solo la Lega ma anche i Cinque Stelle e Forza Italia. In passato anche Fratelli d’Italia, che però sembra avere ora cambiato linea in modo radicale. È possibile che le due cose siano state collegate? Tutti e tre i partiti del centrodestra sono stati in realtà tirati in ballo in una intervista dell’ex-ambasciatore Usa presso la Nato di Bush, Kurt Volker. «Le simpatie per la Russia della Lega e di Berlusconi erano note, ma ora il ritornello costante è che anche Fratelli d’Italia abbia ricevuto qualche aiuto», ha detto. «Sapevamo da anni che i russi spendono per influenzare le elezioni in tutto l’Occidente. Cercano di promuovere la divisione nelle nostre società e fra i nostri paesi. Questi 300 milioni non hanno fruttato molto, però hanno migliorato le prospettive di alcuni partiti, come quello di Le Pen in Francia e Fratelli d’Italia da voi».
Ovviamente, la cosa ha provocato minacce di querela e smentite, e si è detto addirittura che l’Italia tra i 24 Paesi non ci sarebbe. Lo stesso Volker ammette che non ha «prove dirette personali, ma è un ritornello costante che c’è stata qualche assistenza. Se guarda bene la loro linea politica, alcuni aspetti riflettono le posizioni russe».
Ma forse la cosa interessante è che pure secondo Volker «il Cremlino cerca di promuovere da anni la divisione nelle nostre società: l’uso più semplice dei fondi è coi social media». Era appunto anche la tesi di Shekhovtsov. «A volte i fondi vanno ai partiti in Europa, o anche ai singoli politici, con pagamenti diretti oppure affari conclusi da compagnie russe che beneficiano questi politici, creando in loro un interesse diretto ad aiutare Mosca», ha aggiunto Volker. Ma la sua domanda di Volker su come Fratelli d’Italia sia «cresciuta in maniera straordinaria nell’ultimo anno» e dunque «su quali sono le fonti dei loro finanziamenti, delle posizioni prese e dell’aumento della popolarità» trova però come prima risposta proprio il fatto che Fratelli d’Italia come unico grande partito di opposizione alla compagine di unità nazionale di Draghi ha raccolto un vento di protesta di cui è stata componente quell’agitazione No Vax che la «fabbrica dei troll» ha pompato.
Così come per far eleggere Trump aveva pompato la storia di «Hillary Clinon pedofila» o per favorire la Brexit aveva pompato fake anti-Ue.
DAGONEWS il 12 agosto 2022.
Steven Seagal è apparso sui media statali russi per difendere la sua visita nella prigione dove i prigionieri di guerra ucraini sono stati bruciati vivi il mese scorso.
L'ex attore, cittadino russo dal 2016, ha detto di essere andato a vedere le "prove" di quello che è successo, prima di ripetere a pappagallo la propaganda del Cremlino, ripetendo che la colpa dei morti era di Kiev.
Seagal, 70 anni, ha continuato a parlare di sé stesso come un "diplomatico" e ha detto che sta producendo un documentario "imparziale" sulla guerra in Ucraina nonostante professi il suo amore e la sua ammirazione per Vladimir Putin. La prigione di Olenivka, in un'area del Donbass occupata dalle forze filo-russe, è stata incendiata il 29 luglio con la morte di circa 50 prigionieri di guerra ucraini. Intervistato da Vladimir Solovyov, Seagal ha detto: «Posso dirtelo con la certezza del miliardo per cento, non era una bomba che poteva esplodere da terra».
Esperto di arti marzial, buddista, ha recitato in decine di film d'azione negli anni '90, ma la sua carriera è andata in pezzi quando è stato accusato da più co-protagoniste di violenza sessuale e di aver maltrattato diversi stuntman sul set.
Dopo una breve carriera in una band soul, ha iniziato a frequentare la Russia intorno al 2014 - l'ultima volta che Putin ha invaso l'Ucraina - definendo l'attacco "molto ragionevole".
Più o meno nello stesso periodo ha bollato Putin come "uno dei più grandi leader mondiali", per poi diventare cittadino russo due anni dopo.
Nel 2017 gli è stato vietato l'ingresso in Ucraina, considerato una "minaccia alla sicurezza nazionale" e nel 2018 è stato nominato dallo stesso Putin inviato speciale della Russia per migliorare i legami con gli Stati Uniti. Ora vuole fare un documentario “imparziale” sulla guerra.
Da rainews.it l'8 agosto 2022.
"Taiwan non è circondata dalla Cina, Taiwan è parte della Cina: è scritto in un trattato riconosciuto a livello internazionale sin dal 1948, prendilo e leggilo!", risponde piccato Roger Waters durante un'intervista esclusiva alla Cnn. Il breve video che riprende la leggenda del rock sottolineare le ragioni cinesi sulla questione Taiwan, viene molto commentato sui social.
Il cofondatore dei Pink Floyd attualmente impegnato nel suo tour ‘This Is Not A Drill’ aveva già scritto post su Twitter in merito alla guerra in Ucraina. Nell'intervista integrale rilasciata a Michael Smerconish della Cnn non esita a commentare anche la guerra in Ucraina e la posizione americana con chiari riferimenti alla linea intrapresa dal presidente Joe Biden. La conversazione si sposta poi sulla Cina e Taiwan.
Durante l’intervista, il conduttore ha messo in discussione gli elementi apertamente politici dello spettacolo di Waters, in particolare il momento in cui Waters mostra un montaggio di “War Criminals” con una foto di Joe Biden. “Beh, tanto per cominciare sta alimentando il fuoco in Ucraina“, ha risposto Waters. “È un crimine enorme. Perché gli Stati Uniti d’America non incoraggiano [Volodymyr] Zelensky a negoziare, evitando la necessità di questa orribile, orrenda guerra?”.
“Ma lei sta dando la colpa alla parte che è stata invasa“, ha risposto Smerconish. “Ha invertito le cose“.
“Beh, per qualsiasi guerra si può dire…quando è iniziata? Bisogna guardare alla storia e si può dire: ‘Beh, è iniziata in questo giorno’. Si può dire che è iniziata nel 2008… Questa guerra riguarda fondamentalmente l’azione e la reazione della NATO che si spinge fino al confine russo, cosa che aveva promesso di non fare quando Gorbaciov negoziò il ritiro dell’URSS dall’intera Europa orientale“.
“E il nostro ruolo di liberatori?“. Ha replicato Smerconish.
“Non abbiamo alcun ruolo di liberatori“, ha risposto Waters, poi i due hanno continuato a discutere della storia della Seconda guerra mondiale. “Ti suggerirei, Michael, di andare a leggere un po’ di più e poi cercare di capire cosa farebbero gli Stati Uniti se i cinesi mettessero missili con armamento nucleare in Messico e Canada…“.
“La prossima volta che senti i guerrafondai tintinnare e affilare le sciabole sull'Ucraina o da qualche parte, leggi questi "ricordi di famiglia della seconda guerra mondiale”, di questo tipo russo. "La vita è una cosa così semplice, ma crudele" di Vladimir Putin - Ricordi di famiglia della seconda guerra mondiale, ha scritto il chitarrista tra i più famosi della storia del rock su Twitter.
Dietro alla caduta del governo Draghi c’è la manona di Putin? È quello che si chiede anche il Financial Times, in un articolo di Amy Kazmin che analizza lo “spettro” delle interferenze russe sulle elezioni in Italia.
Scrive Kazmin: “Da quando il governo di Draghi è imploso il mese scorso, gli italiani hanno speculato sul fatto che Vladimir Putin abbia contribuito a preparare la cacciata del primo ministro come vendetta per la sua dura posizione sull'invasione dell'Ucraina da parte della Russia.
Il trio di politici che hanno staccato la spina a Draghi - l'anti-establishment Giuseppe Conte del Movimento Cinque Stelle, Matteo Salvini della Lega, di destra e lo stesso Berlusconi - sono noti per i loro rapporti storicamente amichevoli con Putin e il suo partito Russia Unita.
Sebbene gli analisti sostengano che tutti e tre i leader avessero motivazioni politiche interne convincenti per le loro decisioni, ciò non ha placato le speculazioni secondo cui Mosca avrebbe colluso con i membri scontenti della coalizione di Draghi per far cadere il primo ministro.
Nel suo ultimo discorso al Parlamento prima delle dimissioni, lo stesso Draghi ha avvertito che l'Italia deve "intensificare gli sforzi per combattere le interferenze della Russia e di altre autocrazie nella nostra politica, nella nostra società", anche se non ha fornito dettagli - né ha esplicitamente suggerito un complotto straniero contro di lui.
Eppure questa idea è ora al centro della retorica della campagna elettorale per le elezioni lampo di settembre. [...]
Conte era agitato da una recente scissione del partito e desideroso di rafforzare le sue credenziali da ribelle anti-establishment. Salvini e Berlusconi stavano tenendo d'occhio i sondaggi che li davano entrambi in perdita di consensi a vantaggio del sempre più popolare Fratelli d'Italia di estrema destra di Giorgia Meloni, ma anche in bilico per una vittoria elettorale decisiva se si fossero alleati con la Meloni.
Ma secondo gli analisti italiani, in mezzo ai calcoli di politica interna, incombevano anche fattori geopolitici.
"È un dato di fatto che Draghi sia stato fatto fuori dai tre partiti che hanno i legami più stretti con il Cremlino", sostiene Nathalie Tocci, direttore dell'Istituto Affari Internazionali di Roma. "È anche un fatto che Draghi non era esattamente amato dal Cremlino", ha aggiunto.
Dopo l'invasione dell'Ucraina da parte della Russia, Draghi ha voltato le spalle ai legami tradizionalmente stretti dell'Italia con Mosca. È stato in prima linea nella dura risposta dell'UE al Cremlino, spingendo le sanzioni contro la banca centrale russa e sostenendo l'Ucraina come paese candidato a entrare nell'UE, una posizione che ha scontentato i membri del suo governo di unità nazionale.
"Politici importanti come Salvini e Berlusconi hanno chiaramente sentimenti di amicizia e legami con la Russia, soprattutto con la Russia di Putin", dice Stefano Stefanini, ex ambasciatore italiano alla Nato. "Il loro sostegno alla posizione italiana, europea e della NATO sull'Ucraina è stato, nel migliore dei casi, debole".
A maggio, Salvini aveva annunciato un suo "viaggio di pace" a Mosca organizzato dall'ambasciata russa a Roma, che aveva confermato di aver acquistato i biglietti aerei del politico. Il viaggio è stato annullato tra la rabbia dell'opinione pubblica e le proteste di altri membri del governo. Ma la scorsa settimana La Stampa, un importante quotidiano italiano, ha riportato che le discussioni della Lega con Mosca non si sono fermate lì.
In un articolo in prima pagina, La Stampa ha citato documenti di intelligence che sostengono che il diplomatico russo con sede a Roma Oleg Kostyukov abbia chiesto a maggio a un alto rappresentante della Lega se il partito avrebbe ritirato i ministri dal gabinetto di Draghi.
"Ciò che è strano è che a maggio nessuno - nessun osservatore - in Italia parlava della caduta del gabinetto Draghi - non così rapidamente almeno", ha dichiarato al Financial Times Jacopo Iacoboni, autore dell'articolo.
Iacoboni, autore di “Oligarchi. Come gli amici di Putin stanno comprando l'Italia”, ha aggiunto: "Non credo che i russi abbiano da soli il potere di far cadere Draghi, ma di sicuro hanno la capacità di amplificare, di seminare zizzania e di usare utili idioti".
Salvini ha liquidato il servizio de La Stampa come "fake news". Anche Mosca ha respinto la notizia. "Non è vero. La Russia non ha nulla a che fare con i processi di politica interna in Italia", ha dichiarato al Financial Times il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov. Ma diversi partiti rivali italiani e analisti indipendenti hanno chiesto che si indaghi sulla questione.
Le probabilità di un'inchiesta sulle presunte interferenze russe sono scarse. Il comitato parlamentare italiano per la sicurezza nazionale è presieduto da un deputato di Fratelli d'Italia (Adolfo Urso) che ha già escluso un'indagine sulla Lega, che ora è un suo alleato elettorale.
"Penso che questo meriti un'indagine adeguata", ha detto Tocci. In che misura questi ministri sono stati incoraggiati dal Cremlino a votare contro il governo o a far dimettere i loro ministri...". È in corso una guerra contro l'Europa e c'è uno Stato nemico che cerca di intromettersi nel vostro processo democratico. Che abbiano successo o meno, dovreste essere preoccupati".
Da la7.it il 30 Agosto 2022.
PD. Elly Schlein: "Non è con le armi che si risolve il conflitto. Ho visto il protagonismo di Usa e Cina, vorrei vedere un ruolo più forte dell'Unione europea. Rapporti tra Lega e Putin? Sono preoccupata, anche delle interferenze nella campagna elettorale"
Estratto dall'articolo di Paolo Mastrolilli per “la Repubblica” il 7 Settembre 2022.
"Penso che Matteo Salvini abbia un interesse politico personale nel suo rapporto con la Russia. Assolutamente". È interessante che questo giudizio non venga dall'amministrazione Biden, ma da un ex alto funzionario nella Casa Bianca di Donald Trump. Già analista della Cia, Julia Friedlander era stata consigliere per l'Europa nell'Office of Terrorism and Financial Intelligence del dipartimento al Tesoro, e dal 2017 al 2019 Director for European Union, Southern Europe, and Economic Affairs al Consiglio per la Sicurezza Nazionale. Oggi è il ceo di Atlantik-Brücke, associazione non-profit al servizio dell'amicizia tra Germania e Usa, e da Berlino segue attentamente gli sviluppi geopolitici in Europa e le relazioni con Mosca.
Come giudica i rapporti fra i politici europei e la Russia?
"Ci sono due categorie. Quelli che vedono un beneficio per il loro Paese mantenendo buone relazioni con Mosca, e quelli che invece lo fanno per guadagni politici personali. Cioè sono pronti a dare alla Russia, in cambio di quello che è quasi certamente un supporto finanziario. Qui si va a Salvini, Orbán e altri.
Il problema è che non è facile tracciare questi collegamenti economici. Usano le shelf company, compagnie inattive che offrono donazioni alle campagne politiche, o lobbisti informali che spingono certi contratti, che riflettono gli interessi russi. Quindi è difficile provare che il Cremlino abbia staccato un assegno per Marine Le Pen, ma è interessante studiare connessioni e intermediari".
Salvini a quale categoria appartiene?
"Penso che abbia un interesse politico personale. Assolutamente".
Basandosi su cosa?
"Ci sono connessioni ideologiche, ma anche obiettivi economici".
Quali sono i meccanismi?
"Usano le shelf company, quelle che agiscono a nome degli interessi russi, gli oligarchi, o direttamente il Cremlino; oppure lavorano attraverso intermediari finanziari, o parti terze in Europa. Così sembra che ricevi una donazione da un Paese europeo, una corporation italiana che dà soldi, ma non è davvero italiana. Può essere un'azienda italiana, ma registrata da qualche parte in Europa. Ciò rende difficile capire che è il beneficiante e il beneficiato. Sono donazioni anonime o semi-anonime, non necessariamente perché sentono che il candidato non vuole si sappia da dove vengono i soldi, ma perché complicano il lavoro delle autorità per tracciarle".
Un'ipotesi è l'uso di compagnie agroalimentari che conducono affari formalmente legittimi, ma poi donano parte dei profitti.
"Certo, è credibile".
Ha sentito le registrazioni del braccio destro di Salvini per la Russia, Gianluca Savoini, all'Hotel Metropol di Mosca?
"Ho letto i rapporti. Forse parlavano di un side deal, un accordo sottobanco in cui usavano l'industria energetica come mezzo per riciclare soldi per la Lega, o Salvini stesso, ad esempio con falsi contratti. È un modo molto comune di riciclare i soldi, si chiama 'trade based money laundering'. Usi quello che sembra un contratto legittimo, con i soldi per i finanziamenti attaccati ad ogni tipo di attività economiche". [...]
Giorgia Meloni ha promesso che se sarà premier l'Italia non diventerà l'anello debole con Mosca. Riuscirà a mantenere l'impegno, se dipenderà dalla Lega per governare?
"Mi pare un modo, se vuole essere premier, di dimostrare che l'Italia non diventerà un pariah in Europa abbandonando le sanzioni, e presentarsi come un candidato di estrema destra accettabile".
È credibile, considerando ad esempio la sua alleanza con Orbán?
"L'Italia non è l'Ungheria. È nel G7, ha forti legami militari con Nato e Usa. La mia impressione è che anche se sarà soggetta alle pressioni dei partner, difficilmente seguirà l'Ungheria".
Perché Salvini è andato a Cernobbio con le slide contro le sanzioni? Idea sua, o ne ha parlato con i russi?
"Forse. Oppure voleva dire: ci ho provato. Mostrare che cerca di opporsi alle sanzioni, ma tutti gli fanno pressione, e deve cedere perché l'intera Ue lo stringe, e l'Italia ha bisogno dei soldi di Bruxelles. Serve ad avere una scusa, almeno ha baciato l'anello".
Perché i russi si aspettano che adempia?
"Certo, si aspettano che dai. Ma, se confronti i soldi e il supporto che l'Italia riceve dalla Ue, credo che quanto offre Mosca non sarà mai sufficiente".
Estratto dall'articolo di Fernando M. Magliaro per “Il Messaggero” il 7 Settembre 2022.
«Non temo il fascismo, temo il dilettantismo, il dare risposte semplicistiche a problemi complessi». Non usa la diplomazia Pier Ferdinando Casini intervenendo al convegno L'influenza del quadro internazionale sulle elezioni italiane organizzato nella prestigiosa sede della Fondazione don Luigi Sturzo a Roma. Insieme a Bruno Tabacci, Lucio D'Ubaldo, Claudio Mancini e Simona Colarizzi, Casini è stato molto netto: «Le forze politiche che chiedono oggi l'intervento di Draghi sulle bollette sono le stesse che hanno fatto cadere Draghi rendendo l'Italia debole ed ingovernabile in questa tempesta e sono gli stessi che guardano a Putin. Credo che la gente debba riflettere. È una cosa di irresponsabilità totale. A causa di questi atteggiamenti dilettanteschi rischiamo tra qualche mese di trovarci in una tempesta perfetta. A fronte di questo il Pd è l'unico argine».
Poi l'affondo secco contro il leader della Lega, Matteo Salvini: «Ogni volta che Salvini dice una cosa, il giorno dopo il Cremlino interviene per avallare. Il gioco è così grave che la Meloni non sa come districarsi perché il rischio vero non è solo per l'Italia ma anche per lei, che sia la vittima designata». […]
“Lega e M5S sono soci: hanno un asse segreto filo-Putin”, la rivelazione di Vincenzo Presutto. Aldo Torchiaro su Il Riformista il 6 Settembre 2022
Vuota il sacco il senatore Vincenzo Presutto, braccio destro di Luigi Di Maio e co-fondatore di Impegno Civico (di cui è capolista per il Senato in Campania). Vuole fare luce sul mistero di quella nottata politicamente buia, democraticamente scivolosa – quella tra il 27 e il 28 gennaio – quando la giostra impazzita dei nomi proiettò quello di Elisabetta Belloni sul Quirinale. «L’accordo sul capo del Dis sembrava fatto, fu proposto all’unisono da Matteo Salvini e Giuseppe Conte e fatto accettare prima a Giorgia Meloni e poi a Enrico Letta, sembrò fatta tanto che perfino Grillo twittò per metterci il cappello», ricostruisce. «Era una trappola per la tenuta delle istituzioni. Serviva a produrre un terremoto: far cadere il governo Draghi, andare alle urne subito e rimettere in discussione la posizione atlantica italiana». Una manovra organizzata in quell’asse mai scisso tra Lega e M5S che secondo il Senatore, che ha rappresentato il Movimento in commissione Bilancio a Palazzo Madama fino a quattro mesi fa, doveva scardinare la storia e gettare alle ortiche Draghi e Mattarella in un colpo solo.
Perché parla adesso?
Perché è tutto più chiaro, a bocce ferme. Nitido.
Il M5S e la Lega sono più uniti di quanto sembra, ci dice?
Salvini e Conte hanno stabilito un’intesa profonda proprio dagli albori della legislatura, che è iniziata con la fine della coalizione di centrodestra e l’accordo forte e inaspettato tra i due partiti.
I russi dietro la caduta di Draghi, l’incontro tra il diplomatico di Putin e l’uomo di Salvini: “I vostri ministri si dimettono?”
Inchiesta della Stampa su rapporti con Putin e terremoto giudiziario a Terracina: chi c’è dietro gli scandali di Lega e FdI
Come è emerso Conte in quel frangente?
Lo ha presentato Alfonso Bonafede, che l’aveva conosciuto a Firenze. Non ha mai convinto davvero Beppe Grillo, mentre con Salvini l’asse è stato subito forte. Tanto che Conte si presentò inizialmente dicendo di avere una posizione intermedia tra Lega e Movimento, di essere esattamente a metà tra i due, e per questo fu indicato come Premier”.
Di Maio lo ha voluto e appoggiato a lungo, in una prima fase.
Di Maio ha preso coscienza piuttosto presto che qualcosa non andava. Anche nella gestione della pandemia, con l’arrivo dei militari russi e le continue aperture di credito alla Cina, alla tecnologia cinese nelle istituzioni. Da ministro degli Esteri, Di Maio ha potuto verificare che certe scivolate su Europa e Nato di Conte e Salvini non erano dettate solo dal populismo come matrice ma come matrioska.
E così hanno ricostruito un’intesa non per Belloni al Colle ma per andare al voto in primavera, proprio all’inizio della guerra tra Mosca e Kiev.
Esattamente. Una intesa segreta che voleva usare il Quirinale come grimaldello per un Parlamento nuovo e dunque una maggioranza filorussa o comunque meno schiacciata su Nato e Usa.
Un momento, l’invasione dell’Ucraina avviene il 24 febbraio.
A volerle vedere, c’erano informazioni sulle intenzioni di Putin. C’era chi sapeva cosa stava per accadere. Anche la nostra intelligence – per quanto mi è stato detto – aveva contezza dei movimenti di truppe al confine, degli arruolamenti straordinari a Mosca, dei treni carichi di mezzi militari: tutti segnali che gli analisti avevano registrato e che da noi qualcuno voleva interpretare con una maggioranza dall’orientamento opposto a quello di Mario Draghi.
Poi alla fine ce l’hanno fatta, Draghi a casa e tutti al voto.
Mesi dopo, ma con lo stesso asse. Noncuranti dell’emergenza gas, del Pnrr, della legge di bilancio.
Il M5S era un’isola, nella politica italiana. Questo di Conte cos’è?
Il M5S non esiste più, in realtà. È stato annientato dalla gestione fallimentare di Conte, che adesso ne ha fatto un suo partitino personale. Con il suo arrivo è iniziato un processo di involuzione serio e strano. Caratterizzato dall’estirpare tutti i principi fondativi del Movimento, fino a richiedere il 2 per mille. Che sono comunque contributi pubblici, per chi non lo avesse capito.
E Impegno Civico, come lo definisce?
Una forza stabilizzatrice. Di centrosinistra moderato. Europeista, atlantista. Orgogliosa del lavoro fatto con il governo Draghi e impegnata per darvi continuità anche nel futuro, e per tenere l’Italia lontana da tentazioni pericolose.
È vero che Di Maio ha ricevuto input e garanzie istituzionali per fare l’operazione scissione?
Va chiesto a lui. Posso dire che nel governo erano informati per tempo e che auspice della scissione fu senz’altro Bruno Tabacci, che ha seguito l’iniziativa dal principio è sempre stato vicino a Draghi e a Mattarella.
Aldo Torchiaro. Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.
L’accordo Salvini-Mosca: i retroscena sulle posizioni della Lega in campagna elettorale. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 5 Settembre 2022.
Il quotidiano La Stampa svela l’accordo aveva durata quinquennale, quindi fino allo scorso marzo, ma alla scadenza si è rinnovato tacitamente per altri 5 anni, visto che nessuna delle due parti ha manifestato la volontà di recedere. Dunque, è tuttora in vigore.
Quello riprodotto qui sotto è il testo pubblicato oggi dal quotidiano La Stampa, dell’accordo politico sottoscritto dalla Lega di Matteo Salvini con Russia Unita, il partito del presidente russo Vladimir Putin: lo stesso accordo che sabato sera il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha indicato come una delle ragioni della contrarietà del leader leghista alle sanzioni contro il Cremlino. È stato siglato a Mosca il 6 marzo 2017, poco più di un anno prima che la Lega arrivasse al governo.
A firmarlo con Salvini è stato Sergei Zheleniak, vice segretario generale per le relazioni internazionali di Russia Unita. Il quale già all’epoca era sotto sanzioni da parte di Ue e Stati Uniti, per il suo ruolo nell’occupazione della Crimea nel 2014, come lo è ora per l’invasione dell’Ucraina. L’accordo aveva durata quinquennale, quindi fino allo scorso marzo, ma alla scadenza si è rinnovato tacitamente per altri 5 anni, visto che nessuna delle due parti ha manifestato la volontà di recedere. Dunque, è tuttora in vigore.
Salvini sulla piazza Rossa con la t-shirt di Putin Salvini con Gianluca Savoini sulla piazza Rossa
Il Contratto Lega-Russia Unita
Il partito politico nazionale russo “Russia Unita” rappresentato dal Vice Segretario Generale del Consiglio per le Relazioni Internazionali S.V. Zhelezniak che agisce a titolo dello Statuto del Partito e della deliberazione del Presidium del Consiglio Generale del Partito del 28 Novembre 2016 da una parte, e dall’altra parte il partito politico “Lega Nord”, nella persona di Presidente del partito Matteo Salvini di seguito denominate “Parti”
– basandosi su un partenariato paritario e confidenziale tra la Federazione Russa e la Repubblica Italiana;
– esprimendo la volontà di facilitare l’espansione e l’approfondimento della cooperazione multilaterale e la collaborazione tra la Federazione Russa e la Repubblica Italiana;
– tenendo conto che i rapporti tra i partiti sono una parte importante delle relazioni russo-italiane e sono finalizzate al loro pieno sviluppo;
– sulla base dei principi di sovranità statale, rispetto reciproco, non interferenza reciproca negli affari interni di ciascuno, partenariato paritario, affidabile e reciprocamente vantaggioso;
Hanno concordato quanto segue:
1 Le Parti si consulteranno e si scambieranno informazioni su temi di attualità della situazione nella Federazione Russa e nella Repubblica Italiana, sulle relazioni bilaterali e internazionali, sullo scambio di esperienze nella sfera della struttura del partito, del lavoro organizzato, delle politiche per i giovani, dello sviluppo economico, così come in altri campi di interesse reciproco.
2 Le Parti si scambieranno regolarmente delegazioni di partito a vari livelli, per organizzare riunioni di esperti, così come condurre altre attività bilaterali.
3 Le Parti promuovono attivamente le relazioni tra i partiti e i contatti a livello regionale.
4 Le Parti promuovono la creazione di relazioni tra i deputati della Duma di Stato dell’Assemblea Federale della Federazione Russa e l’organo legislativo della Repubblica Italiana, eletti dal partito politico nazionale russo “Russia Unita” e il partito politico “Lega Nord”, e anche organizzano lo scambio di esperienze in attività legislative.
Matteo Salvini e Vladimir Putin
5 Le Parti organizzeranno sotto gli auspici di seminari bilaterali e multilaterali, convegni, “tavole rotonde” sui temi più attuali delle relazioni russo-italiane, invitando una vasta gamma di professionisti e rappresentanti della società civile.
6 Le Parti promuovono attivamente lo sviluppo di una cooperazione reciprocamente vantaggiosa e la collaborazione di organizzazioni giovanili, femminili, culturali, umanitarie, ecc. al fine di rafforzare l’amicizia, la formazione giovanile nello spirito di patriottismo e di operosità.
7 Le Parti promuovono la cooperazione nei settori dell’economia, del commercio e degli investimenti tra i due Paesi.
8 Il presente accordo entra in vigore all’atto della firma dei rappresentanti autorizzati delle Parti e ha una validità di 5 anni. L’accordo è automaticamente prorogato per successivi periodi di cinque anni, a meno che una delle Parti notifichi all’altra Parte entro e non oltre 6 mesi prima della scadenza dell’accordo la sua intenzione alla cessazione dello stesso.
9 L’accordo è concluso a Mosca il 6 marzo 2017, ed è redatto in due copie, in due esemplari autentici, in lingua russa e italiana.
10 Il presente accordo non è legalmente vincolante ed è solo una manifestazione di interesse delle Parti nella interazione e cooperazione. Redazione CdG 1947
Da “La Stampa” il 5 settembre 2022.
Quello riprodotto qui sotto è il testo dell'accordo politico sottoscritto dalla Lega di Matteo Salvini con Russia Unita, il partito del presidente russo Vladimir Putin: lo stesso accordo che sabato sera il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ha indicato come una delle ragioni della contrarietà del leader leghista alle sanzioni contro il Cremlino.
È stato siglato a Mosca il 6 marzo 2017, poco più di un anno prima che la Lega arrivasse al governo. A firmarlo con Salvini è stato Sergei Zheleniak, vice segretario generale per le relazioni internazionali di Russia Unita. Il quale già all'epoca era sotto sanzioni da parte di Ue e Stati Uniti, per il suo ruolo nell'occupazione della Crimea nel 2014, come lo è ora per l'invasione dell'Ucraina.
L'accordo aveva durata quinquennale, quindi fino allo scorso marzo, ma alla scadenza si è rinnovato tacitamente per altri 5 anni, visto che nessuna delle due parti ha manifestato la volontà di recedere. Dunque, è tuttora in vigore.
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Il partito politico nazionale russo "Russia Unita" rappresentato dal Vice Segretario Generale del Consiglio per le Relazioni Internazionali S.V. Zhelezniak che agisce a titolo dello Statuto del Partito e della deliberazione del Presidium del Consiglio Generale del Partito del 28 Novembre 2016 da una parte, e dall'altra parte il partito politico "Lega Nord", nella persona di Presidente del partito Matteo Salvini di seguito denominate "Parti" - basandosi su un partenariato paritario e confidenziale tra la Federazione Russa e la Repubblica Italiana;
- esprimendo la volontà di facilitare l'espansione e l'approfondimento della cooperazione multilaterale e la collaborazione tra la Federazione Russa e la Repubblica Italiana;
-tenendo conto che i rapporti tra i partiti sono una parte importante delle relazioni russo-italiane e sono finalizzate al loro pieno sviluppo;
- sulla base dei principi di sovranità statale, rispetto reciproco, non interferenza reciproca negli affari interni di ciascuno, partenariato paritario, affidabile e reciprocamente vantaggioso; Hanno concordato quanto segue:
1 Le Parti si consulteranno e si scambieranno informazioni su temi di attualità della situazione nella Federazione Russa e nella Repubblica Italiana, sulle relazioni bilaterali e internazionali, sullo scambio di esperienze nella sfera della struttura del partito, del lavoro organizzato, delle politiche per i giovani, dello sviluppo economico, così come in altri campi di interesse reciproco.
2 Le Parti si scambieranno regolarmente delegazioni di partito a vari livelli, per organizzare riunioni di esperti, così come condurre altre attività bilaterali.
3 Le Parti promuovono attivamente le relazioni tra i partiti e i contatti a livello regionale.
4 Le Parti promuovono la creazione di relazioni tra i deputati della Duma di Stato dell'Assemblea Federale della Federazione Russa e l'organo legislativo della Repubblica Italiana, eletti dal partito politico nazionale russo "Russia Unita" e il partito politico "Lega Nord", e anche organizzano lo scambio di esperienze in attività legislative.
5 Le Parti organizzeranno sotto gli auspici di seminari bilaterali e multilaterali, convegni, "tavole rotonde" sui temi più attuali delle relazioni russo-italiane, invitando una vasta gamma di professionisti e rappresentanti della società civile.
6 Le Parti promuovono attivamente lo sviluppo di una cooperazione reciprocamente vantaggiosa e la collaborazione di organizzazioni giovanili, femminili, culturali, umanitarie, ecc. al fine di rafforzare l'amicizia, la formazione giovanile nello spirito di patriottismo e di operosità.
7 Le Parti promuovono la cooperazione nei settori dell'economia, del commercio e degli investimenti tra i due Paesi.
8 Il presente accordo entra in vigore all'atto della firma dei rappresentanti autorizzati delle Parti e ha una validità di 5 anni. L'accordo è automaticamente prorogato per successivi periodi di cinque anni, a meno che una delle Parti notifichi all'altra Parte entro e non oltre 6 mesi prima della scadenza dell'accordo la sua intenzione alla cessazione dello stesso.
9 L'accordo è concluso a Mosca il 6 marzo 2017, ed è redatto in due copie, in due esemplari autentici, in lingua russa e italiana. l10Il presente accordo non è legalmente vincolante ed è solo una manifestazione di interesse delle Parti nella interazione e cooperazione.
Ora Salvini querela sulle "ombre russe". Pd e Di Maio insistono. Replica alle "insinuazioni" dell'ex Cia. Ma la sinistra vuole una commissione. Francesco Boezi l'8 Settembre 2022 su Il Giornale.
Matteo Salvini e la Lega continuano a non avere intenzione di far passare le accuse di filo-putinismo senza reagire: il Carroccio annuncia la difesa «in ogni sede opportuna contro le parole di Julia Friedlander e il quotidiano che le ha pubblicate». «Penso che Matteo Salvini abbia un interesse politico personale nel suo rapporto con la Russia. Assolutamente», ha detto l'ex analista Cia, attraverso un'intervista rilasciata a Repubblica. «Ci sono connessioni ideologiche, ma anche obiettivi economici», ha aggiunto la Friedlander, che si è occupata anche del Vecchio continente per la Casa Bianca ai tempi della gestione Trump.
La nota del partito guidato dall'ex ministro dell'Interno è incisiva: «Ennesime insinuazioni, zeppe di dubbi e condizionali, contro la Lega e Matteo Salvini che si difenderanno in ogni sede opportuna contro le parole di Julia Friedlander e il quotidiano che le ha pubblicate. A differenza del gruppo editoriale che per anni ha diffuso in allegato Russia Oggi - osservano da via Bellerio - , la Lega non ha ricevuto finanziamenti da Mosca».
La narrativa della sinistra è ormai monolitica: la ricerca di argomenti reali in grado di mettere in crisi la coalizione di centrodestra non è andata a buon fine. La narrativa impostata per provare a battere l'avversario, compresa questo topos delle «ombre russe», è fallimentare ma ormai bisogna seguirla. Tant'è che dal Pd insistono: «I rapporti tra Salvini e Putin sono pieni di ombre inquietanti. La sicurezza nazionale non è uno scherzo. Se sarò eletto ripresenterò subito, opportunamente aggiornato, il ddl 1587 a mia prima firma volto a istituire su questo tema una commissione bicamerale d'inchiesta», ha twittato il senatore Dem Dario Parrini, allegando proprio l'intervista dell'ex analista Cia al quotidiano diretto da Maurizio Molinari. In gergo si direbbe un tentativo di crocifissione, peraltro basata sul nulla.
L'eco alla richiesta della formazione di Enrico Letta proviene dalla fonte più scontata: Luigi Di Maio, che non è neppure certo di riconquistare un seggio in Parlamento. «Io chiedo l'istituzione di una commissione di inchiesta parlamentare che accerti legami tra partiti e russi. La Lega ha un accordo con Russia unita, il partito di Putin. Queste cose vanno accertate, nel nostro paese ci sono più ombre che luci», dichiara il ministro degli Esteri e leader del neo-partitino Impegno civico a Radio 24. La coalizione di centrosinistra parla all'unisono. E non potrebbe essere altrimenti, se non altro perché è lo stesso Letta a usare le medesime tonalità. «Le parole di Putin oggi confermano che le sanzioni sono la strada giusta e funzionano. Questo distrugge la retorica di Salvini che difende il suo amico Putin. Mi chiedo che interessi difenda Salvini, se quelli della Russia o dell'Europa» annota a Cagliari il segretario, durante una conferenza stampa. Per la replica il Carroccio schiera l'artiglieria pesante, ossia i tre ministri del governo d'unità nazionale: «Letta è troppo nervoso, si dia una calmata. Farebbe meglio a parlare di problemi concreti della gente e non di sceneggiature di fantasia. Le elezioni si vincono con le proprie idee e non sperando in qualche aiutino esterno», si legge in una nota firmata da Giancarlo Giorgetti, Erika Stefani e Massimo Garavaglia.
«Da lui, alleato in Europa di Schroeder, principale lobbista del Cremlino, non accettiamo alcuna lezione: il partito che in Ue più volte ha votato a favore di Mosca è il Pd, come certificato da studi indipendenti», chiosa Marco Zanni, europarlamentare e presidente del gruppo Id.
Estratto dall'articolo di Luciano Capone per “Il Foglio” l'8 settembre 2022.
Non è possibile stabilire se ci sia un coordinamento a livello europeo, ma di sicuro c’è una coincidenza. Negli ultimi giorni Matteo Salvini ha intensificato le sue critiche alle sanzioni occidentali contro il regime di Vladimir Putin: “Non stanno facendo male alla Russia, che sta guadagnando centinaia di migliaia di miliardi in più. Stanno facendo male a noi, per cui è evidente che ci sia qualcosa da ripensare”, ha dichiarato.
Le uscite del leader della Lega non sono un caso isolato, ma si inseriscono in un fenomeno europeo che si è intensificato praticamente in simultanea tra i partiti del gruppo europeo “Identità e Democrazia”, quello di cui fa parte la Lega. Il gruppo euroscettico di estrema destra, attualmente presieduto dal leghista Marco Zanni, è quello che storicamente in Europa ha manifestato più vicinanza alla Russia di Putin. […]
In simultanea. Pochi giorni prima che il leader della Lega partisse con le sue dichiarazioni a raffica contro le sanzioni, si era mossa in Germania Alternative für Deutschland, il partito di estrema destra che esprime il vicepresidente del gruppo ID. Tino Chrupalla, il leader di AfD, ha invitato i membri del proprio partito a prendere parte alle manifestazioni antigovernative – la più importante si terrà l’8 ottobre a Berlino – per chiedere la rimozione delle sanzioni alla Russia (“Prima gli interessi tedeschi della guerra economica”) e l’apertura del gasdotto Nord Stream 2, che è stata sospesa a causa dell’invasione dell’Ucraina.
Proprio ieri, dal forum economico di Vladivostok, Putin ha dichiarato che “c’è solo un modo” per l’Europa per avere il gas: “In Germania ci sono manifestazioni che chiedono l’attivazione del Nord Stream 2. Siamo pronti a farlo domani, basta premere un pulsante. Ma non siamo stati noi a imporre le sanzioni a Nord Stream 2”.
Sulla stessa linea di pensiero c’è Marine Le Pen, l’altra grande leader della destra filorussa europea. Qualche settimana fa, in una conferenza stampa, la presidente del Rassemblement National ha detto che le sanzioni “sono un fallimento”, “fanno soffrire gli europei” e pertanto vanno tolte.
Gli alleati austriaci della Fpö, il partito che come la Lega aveva siglato un accordo con il partito di Putin, a fine agosto hanno chiesto un referendum contro le sanzioni: “Non hanno alcun effetto sulla guerra, ma stanno alimentando l’inflazione e danneggiano l’economia nazionale”.
Il 3 settembre, a Praga c’è stata un’importante manifestazione contro le sanzioni alla Russia a piazza San Venceslao, la stessa invasa dai carri armati sovietici nel 1968, organizzata dal partito di estrema destra Spd, alleato della Lega in Europa, contro il governo di Petr Fiala, che a Bruxelles è alleato di Giorgia Meloni. […]
Ma in questo scenario l’Italia è un’anomalia. Perché se nel resto d’Europa i partiti della destra filorussa sono ovunque all’opposizione, la Lega di Salvini è l’unico che molto probabilmente andrà al governo. Il posizionamento rispetto alla Russia è diventato una discriminante in Europa, ed è anche ciò che divide, da un lato, la destra conservatrice guidata da Meloni e dai polacchi del Pis, e dall’altro la destra filorussa di Salvini e Le Pen. Per l’Italia avere al governo un partito che sostiene l’agenda Putin sarebbe un problema di credibilità internazionale, e quindi di interesse nazionale.
Estratto dell'articolo di Valerio Valentini per “Il Foglio” l'8 settembre 2022.
(...) “Lascio la Lega dopo trenta anni”. Raffaele Volpi. Fuori dal Carroccio. Si stenta a crederlo. “Lo faccio ora perché nell’esaurirsi dell’impegno parlamentare finisce il vincolo più sacro della democrazia ovvero quello con gli elettori che mi hanno votato. E ancora lo faccio ora perché voglio togliere qualsiasi equivoco su mie eventuali aspettative derivanti dal voto del 25 settembre”.
Leghista di lunghissimo corso, ma di estrazione democristiana. E’ stato sottosegretario alla Difesa nel Conte I, quello di marca gialloverde: il primo leghista nella storia a varcare coi galloni di uomo di governo Palazzo Baracchini. Poi presidente del Copasir nel Conte II. “In entrambi i miei incarichi ho cercato di dare autorevolezza e credibilità alle istituzioni che rappresentavo e sempre nell’interesse dell’Italia. Da presidente ho guidato il Copasir in uno dei momenti più bui della nostra storia, quello della pandemia, portando il Comitato a essere centrale tra i presìdi democratici del paese”.
Una stagione, quella dei lockdown, che Volpi ha trascorso con un certo disagio, nel suo partito. “Da bresciano ho vissuto il Covid nel suo epicentro perdendo anche alcuni amici. Ho sostenuto i provvedimenti difficili e a volte impopolari ma che ho ritenuto utili per arginare il virus. Proprio in quel frangente non ho potuto apprezzare le posizioni, a volte opache, del mio partito, che non ha mai voluto arginare alcune voci interne, minoritarie ma rumorose, che ammiccavano a No vax e negazionisti fino al punto di partecipare alle loro manifestazioni”. Poi il precipizio della guerra in Ucraina, il suo sforzo nel cercare di tenere dritta la barra del Carroccio sul terreno della geopolitica. Anche qui con molta fatica, anche qui con la sensazione che tutto fosse un po’ inutile.
“Dall’osservatorio privilegiato del Copasir ho cercato di trasferire ai vertici del partito, sempre nel perimetro del lecito, valutazioni di scenario, dalla Libia al Mediterraneo, dai rapporti con gli alleati alla guerra in Ucraina, fornendo elementi per analisi di geopolitica. Purtroppo nelle poche brevi occasioni in cui ho potuto avanzare le mie tesi, sempre con spirito di servizio, ho percepito solo un distaccato disinteresse”. Che poi forse sta qui, l’elemento politico più rilevante, alla base delle scelte di Salvini.
Al di là delle riconoscenze tradite, delle promesse non rispettate, degli sgarbi che sempre s’accompagnano alla definizione delle liste elettorali, è difficile non notare come dagli elenchi delle candidature della Lega siano stati sacrificati molti degli atlantisti del partito. Quelli, per capirci, che le dichiarazioni di stima a Putin, o i viaggi a Mosca con Antonio Capuano e Sergej Razov, non li hanno mai graditi. “Io non posso che confermare la mia convinta visione atlantista. Una visione che non si limita, come pensa qualcuno, all’acronimo Nato, ma investe una ampia condivisione di valori che sono l’essenza stessa dello spirito dell’occidente e che non possono essere negoziabili. Sulla feroce aggressione della Russia all’Ucraina non ho quindi potuto apprezzare certe ambiguità e certi distinguo, a partire da quelli sugli aiuti militari da inviare a Kyiv. Tentennamenti incomprensibili, essendo convinto che lì vi sia una frontiera di valori, di libertà e di legalità che vada difesa”.
Inutile chiedere un giudizio, allora, sulla decisione di sfiduciare Draghi da parte di Salvini. “Ho sostenuto l’ingresso della Lega nel governo Draghi convinto che oltre a essere una necessità per l’Italia fosse anche una occasione per dimostrare che il partito avesse raggiunto una spendibile autorevolezza nazionale ed internazionale. Ma mai mi sarei immaginato che fin da subito si sarebbe palesato, in modo più o meno evidente, un atteggiamento dicotomico tra segreteria e delegazione al governo: sino al punto di non pubblicizzare quasi le attività e i corposi provvedimenti varati dai nostri ministri..." (...)
Stefano Iannaccone per tpi.it l'8 settembre 2022.
L’Enit parla ancora russo. L’agenzia nazionale del turismo, che agisce sotto l’egida del Ministero del leghista Massimo Garavaglia, continua a pagare in rubli, perché non potrebbe essere altrimenti: la sede di Mosca risulta tuttora aperta. Nel secondo trimestre 2022 risultano varie operazioni economiche, portate ovviamente a termine con la moneta russa.
In particolare ci sono tre diversi pagamenti effettuati alla GlavUpDK pri MID Rossii, sigla di una società di proprietà statale che gestisce, con il controllo del ministero degli Esteri, le proprietà pubbliche. Secondo quanto riferisce il sito ufficiale, nel dettaglio fornisce «una serie di servizi molto ricercati alla comunità diplomatica, ai clienti aziendali e privati».
Il primo bonifico di 94.500 rubli è datato 22 aprile, il secondo è del 17 maggio e ammonta invece a 123.480 rubli, mentre a giugno il saldo è stato di 82.320 rubli. Il totale della spesa, alla voce «servizi generali» è di 300mila rubli.
Inevitabilmente poi, proseguono i pagamenti dei canoni per la società che fornisce il servizio di telecomunicazione, la moscovita Pao Mts, che da marzo a giugno sono stati di oltre 60mila euro. L’Enit, interpellata da TPI, spiega che «nel secondo trimestre non sono stati effettuati pagamenti dall’Italia in Russia» in quanto «la sede ha funzionato con i residui dall’inizio dell’anno».
E sulla decisione di non chiudere la struttura a Mosca, l’agenzia ribadisce che «l’area di competenza di Enit Mosca comprende 15 Paesi dell’area post-sovietica tra cui l’Azerbaijan, l’Armenia, la Georgia, l’Uzbekistan, il Kazakistan e Paesi Baltici». Quindi a Mosca ci si occupa di altro. E si va avanti così, anche perché lo stesso fanno gli altri Paesi competitor. Mal comune, mezzo gaudio.
Il ventre molle. Vittorio Macioce su Il Giornale il 7 settembre 2022.
La realtà è che Putin non sta vincendo questa guerra senza senso. Nulla è andato come davvero sperava. L'Ucraina doveva essere il suo capolavoro strategico, una mossa intravista dietro le debolezze dell'impero americano, spaccato dalla variabile Trump e dall'incapacità di non riconoscersi più come uno, pure nelle sue mille diversità. È da lì che un po' viene l'azzardo di Mosca, solo che adesso non solo la Russia ha un presente di miseria, ma ogni giorno che passa perde pezzi del suo futuro, perché le sanzioni qualcosa hanno fatto. La Russia è fuori dal mondo e deve raccattare la carità cinese. È un prezzo più alto di quanto si pensi. È chiaro che la discussione pubblica guarda invece ai costi occidentali della guerra. La controffensiva di Putin ha incrementato l'inflazione in Europa e ci pone davanti a una crisi energetica che evoca l'austerità del 1973. Da lì però l'Italia è riemersa, la grande Russia invece rischia un inverno molto più lungo. Le difficoltà di Putin non si vedono solo sul campo militare ed economico. Si leggono anche nella smania, ormai smaccata, della propaganda spicciola per destabilizzare le odiate democrazie europee. Putin è convinto che in questo momento il ventre molle sia l'Italia. È lì che vede il fronte politico e sociale più instabile. Le parole via Telegram di Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri, assomigliano al lancio di biglietti aerei sulle città alla fine delle due grandi guerre mondiali. Il tema come sempre è quello del complotto. «Quando la laboriosa economia italiana crollerà, gli yankees la compreranno a buon mercato». Vi state sacrificando per nulla. È un pensiero che punta alle viscere e serve a creare paura e sospetti. Ora l'Italia sembra il terreno adatto per questo genere di cose. Siamo un Paese che deve comprare energia e siamo nel pieno di una campagna elettorale dove già si evoca la paura di una sorta di apocalisse ideologica. La propaganda spicciola è merce di tutti i giorni. Non è difficile spacciarne altra. Di chi è la colpa di un inverno a bassa energia? La Russia può giocare su un sentimento anti americano che ha radici profonde e su chi da anni predica contro il capitalismo e sogna un passo indietro: l'etica della decrescita. È un sentimento che si respira nella sinistra nostalgica, in una certa destra e che per anni è stato la bandiera del grillismo. Non è un caso che Giuseppe Conte, che in realtà non viene da questa cultura, negli ultimi tempi stia cercando di incarnarla, mettendoci di suo una spolverata di vecchio assistenzialismo. Trump, che sta giocando una partita tutta sua, lo indica da lontano come un punto di riferimento. Putin lo vede come una speranza. Conte, peraltro, si affretta a smarcarsi: se fossi capo del governo chiederei sanzioni più pesanti. Putin, però, non si aspetta una risposta strettamente politica, ma sociale e di piazza. Quello che invece non sa è che Conte ha molte facce, sa come promuoverle, ma di certo non è, al di là delle sue stesse parole, un avvocato del popolo.
I finti atlantisti rossi anti Nato. Dal dopoguerra in avanti la politica estera è stata uno dei temi principali delle campagne elettorali italiane. Francesco Giubilei il 9 Agosto 2022 su Il Giornale.
Dal dopoguerra in avanti la politica estera è stata uno dei temi principali delle campagne elettorali italiane. Già dalle elezioni del 48, la Democrazia Cristiana sottolineava il pericolo di votare per il Partito Comunista per i suoi legami con l'Unione Sovietica («nella cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no»). Un argomento che ha tenuto banco fino alla caduta del muro di Berlino contrapponendo le forze politiche garanti del collocamento occidentale e atlantista dell'Italia a chi invece non solo intratteneva rapporti con l'Urss ma riceveva finanziamenti. Anche in questa campagna elettorale la politica estera, complice il conflitto in Ucraina, è entrata a pieno titolo nel dibattito, non tanto per parlare di proposte e idee utili al ruolo internazionale dell'Italia, quanto per avanzare critiche ai propri avversari. Una tendenza iniziata, ca va sans dire, dalla sinistra che si è fatta promotrice di una serie di virulenti attacchi nei confronti del centrodestra (peraltro senza risparmiare nessuno dei partiti, da Forza Italia alla Lega passando per Fratelli d'Italia) colpevole di essere filo russo, putinista, nemico dell'Europa.
A ciò si aggiunge il mantra del centrodestra isolato in Europa e a livello internazionale nato da un equivoco di fondo: per la sinistra italiana essere attaccati da giornali e leader internazionali progressisti equivale a non avere relazioni e rapporti europei e occidentali.
La realtà è ben diversa e, a giudicare dai partiti che compongono le coalizioni, chi può garantire una maggiore affidabilità internazionale dell'Italia è proprio la destra, non solo a parole ma anche a fatti a partire dai voti parlamentari e dal posizionamento atlantista avuto durante gli ultimi governi di centrodestra.
Al contrario, il Pd si è alleato con Sinistra italiana e Fratoianni che, proprio pochi giorni fa, ha votato contro l'adesione di Svezia e Finlandia alla NATO. Come si concilia questa posizione con la tanto sbandierata agenda Draghi è un mistero ma lo stesso si può dire sui temi economici, energetici e sociali della sinistra radicale del no a tutto.
Non vanno meglio le cose in casa Movimento Cinque Stelle la cui linea in politica estera garantisce tutt'altro che affidabilità, non a caso fu Giuseppe Conte a firmare il memorandum d'intesa sulla via della seta con la Cina durante il suo governo. Il pericolo di uno sbandamento filo-cinese dell'Italia sembra per il momento scongiurato ma non sono ancora ben chiari i rapporti tra molti esponenti di spicco della sinistra e il governo di Xi Jinping.
Invece di puntare il dito contro i propri avversari, bisognerebbe parlare di temi concreti e su questo dovrebbe concentrarsi il centrodestra realizzando un programma basato sul perseguimento dell'interesse nazionale e su tre aree d'azione prioritarie: Mediterraneo, Balcani e Nord Africa. Un programma da portare avanti avendo ben chiaro il nostro collocamento internazionale: in Europa e Occidente.
Se ne andranno in Russia i «putinetti» d’Italia? Beppe Severgnini su Il Corriere della Sera il 6 Agosto 2022.
L’invito diffuso dall’ambasciata di Mosca in Spagna è in rete. Magnifica donne, cibo e economia del Paese, ma è poco probabile che convinca qualcuno a trasferirsi
Uno scorcio di Mosca
Mio nonno Paolo e mio zio Mauro — entrambi medici condotti — erano rilegatori compulsivi ed ecumenici. Per cinquant’anni, prima l’uno e poi l’altro, hanno conservato riviste e rotocalchi, senza preclusioni sociali o politiche. «Il Borghese» e «Oggi», «Panorama» e «Grazia», «Vie d’Italia» e «Il Tempo», «La Domenica del Corriere» e «La Difesa della Razza». C’è anche la rivista «Unione Sovietica», tra tutte la più recente.
Sfogliare oggi «Unione Sovietica» — «Pubblicata in 22 lingue!», informa lo strillo in copertina — fa tenerezza. Annate 1989 e 1990: l’ultimo, disperato tentativo dell’Urss di dare un senso alla propria esistenza. C’è lo sforzo, quasi commovente, di dipingere i successi di un regime in liquidazione. Nel 1991 ho vissuto a Mosca, e ho assistito al gran finale. Le bandiere rosse venivano vendute in saldo, e i ragazzi ci facevano i jeans.
Per quale motivo sono andato a riprendere la raccolta «Unione Sovietica», che riposava dentro la sua rilegatura scarlatta? Perché mi sono imbattuto nello spot diffuso dall’ambasciata russa in Spagna, nel quale s’invitano gli europei a trasferirsi in Russia. Il video fa tenerezza: come quella rivista di trent’anni fa.
Forse qualcuno di voi l’ha intercettato in rete. Una voce maschile fuori campo esclama, in inglese: «Cucina deliziosa! Donne meravigliose! Gas a buon mercato! Letteratura di livello mondiale! Balletto! Suolo fertile! Acqua ed elettricità in abbondanza! Taxi e consegne a basso costo! Valori tradizionali, cristianità, no cancel culture! Vodka! Un’economia in grado di sopportare migliaia di sanzioni! È tempo di trasferirsi in Russia. Non aspettate, l’inverno sta arrivando».
La Russia, in effetti, è affascinante. E i propagandisti hanno tralasciato altre eccellenze (la metropolitana di Mosca, i cetrioli in salamoia, il gelato alla crema, i treni della notte). Ma possiamo dirlo? Ascoltando lo spot di regime vengono in mente slogan alternativi, più realistici: «Una guerra in corso! Inflazione e recessione! Censura ubiqua! Oppositori arrestati o soppressi! Religione al servizio del potere! Alcolismo diffuso, la più bassa aspettativa di vita in Europa! Corruzione endemica! Arricchimenti strabilianti dei leader!».
Comunque: lo spot è in rete, l’invito in Russia è aperto. Lo accetteranno i putinetti d’Italia, quelli che hanno aggiunto la bandierina russa sul profilo social e applaudono lo stupro dell’Ucraina? Sarebbe coerente, ma non accadrà. Resteranno qui. Continueranno a scrivere stupidaggini e crudeltà dalle loro pensioni sul mare, mentre digeriscono gli spaghetti con le vongole.
L'Orso incontra il Dragone: alle radici dell'amicizia tra Cina e Russia. Andrea Muratore il 24 Luglio 2022 su Il Giornale.
Federico Giuliani ed Emanuel Pietrobon nel saggio L'Orso e il Dragone (La Vela, 2022) parlano delle prospettive e delle radici storiche dell'amicizia politica tra Cina e Russia. Ma anche di ciò che può minarne l'incedere
Quella tra Cina e Russia è una partnership strategica a tutto campo, una "non-alleanza" tra due importanti attori che stanno trovando però in un'amiciza politica consolidata una via per cooperare attivamente nell'ordine del mondo globalizzato. Anche dopo l'invasione russa dell'Ucraina la Cina, pur non prendendo apertamente posizione contro Kiev, non si è unita al coro di chi accusava la Federazione Russa di crimini o gravi errori geopolitici, limitandosi a perorare la causa del dialogo e a farsi portavoce dell'idea secondo cui nulla nei rapporti con Mosca sarebbe mutato.
Il rapporto tra Cina e Russia si è scongelato, dopo i decenni di tensioni dell'era della Guerra Fredda tra le due grandi potenze comuniste, tra il 1989 e il 1991. Erano gli anni di Buonanotte, Signor Lenin, delle prime crociere congiunte sull'Amur narrate da Tiziano Terzani, del ritorno di fiamma del "Grande Gioco" centroasiatico. Erano gli anni, soprattutto, in cui i demiurghi americani del Project for a New American Century in campo repubblicano e gli economisti democratici figli di BlackRock e Goldman Sachs costruivano da presupposti diversi il mito del mondo unipolare, della globalizzazione plasmata intrinsecamente attorno a Washington. In trent'anni la crisi di rigetto ha iniziato a plasmare il nuovo rapporto sino-cinese. Di cui scrivono, con grande competenza, Federico Giuliani ed Emanuel Pietrobon nel saggio L'Orso e il Dragone (La Vela, 2022).
Quello di Giuliani e Pietrobon, arricchito dalla prefazione dell'analista geopolitico Salvatore Santangelo e dalla postfazione del direttore di Vision and Global Trends Tiberio Graziani, è un libro coraggioso per un'ampia serie di motivi. In primo luogo, perché frutto del lavoro complementare di due analisti con focus differenti: Pietrobon è esperto principalmente di spazio post-sovietico, mentre Giuliani ha un'attenzione primaria alla Cina. In secondo luogo, perché legge il rapporto sino-russo in termini pragmatici e senza filtri. In altre parole, sfatando sia gli allarmisti che pensano a un asse sino-russo in grado di trasformarsi in alleanza militare capace di minacciare l'Occidente che i fan della "Nuova Eurasia" desiderosi di cercare nella partnership sino-russa il seme di un nuovo Sol dell'Avvenire. Infine, perché offrono un primo tentativo di sistematizzare il rapporto sino-russo nel quadro del grande caos generale, segnato da transizione multipolare e Guerra Fredda 2.0, del mondo della globalizzazione.
Ed è alla luce della globalizzazione che Giuliani e Pietrobon leggono il rapporto sino-russo, accelerato a partire dal 1999, definito "anno del destino": l'anno in cui la globalizzazione si mostrò come processo di matrice economica, geopolitica e militare statunitense con i bombardamenti della Jugoslavia, che colpirono al cuore il territorio della Serbia storicamente legata alla Russia e furono caratterizzati anche dall'ambiguo caso della distruzione dell'ambasciata cinese di Belgrado. Il meccanismo di azione-reazione partì lì e si dipanò mano a mano che le basi dell'ordine globale venivano meno: le Guerre al Terrore portarono all'esaltazione della valenza geopolitica dell'Asia Centrale, cuore comune degli interessi geopolitici dei due Paesi; la crisi finanziaria del 2007-2008 ha visto la Russia resistere anche in virtù del rapporto con una Cina rampante; dal 2014 in avanti, inoltre, energia, accordi tecnologici e commerci hanno plasmato il rapporto Mosca-Pechino nel quadro di un costante deterioramento delle relazioni con l'Occidente.
Russia e Cina plasmano un rapporto che cambia l'Eurasia perchè capace di governare le sue numerose contraddizioni: è presentato come paritario pur presentandosi come frutto dell'intesa tra una nazione rampante come la Cina e un impero in declino come la Russia; si dà una sostanza di organizzazione internazionale (come ad esempio l'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai) pur essendo un patto di interessi bilaterale; dribbla le aree di comune confronto, ad esempio in aree come il Kazakistan, presentando progetti di cooperazione e sviluppo come volano della crescita delle relazioni; si presenta come intesa costruttiva pur essendo, in fin dei conti, nata sulla scia del timore comune per l'egemonia americana. In nuce, l'asse russo-cinese è il perno di una transizione multipolare molto contrastata e che da tempo prende piede ma che in diversi contesti regionali sta vedendo muoversi verso una crescente assertività attori come India, Turchia, Iran, Etiopia, Nigeria.
"Quella tra Cina e Russia", scrivono gli autori, "non è un'alleanza: è un'intesa". Risulta "l'equivalente contemporaneo dell'intesa amichevole franco-britannica in chiave antitedesca di inizo Novecento". Xi Jinping e Vladimir Putin hanno portato alla massima tensione questo rapporto superando "incomprensioni, diffidenza e paure ancestrali" che non possono che riemergere quando si toccano gli scenari di confine. La "paura gialla" russa, il timore di uno straripamento demografico dei cinesi della Manciuria nella semispopolata Siberia, si somma alla percepita minaccia di una trasformazione in satellite economico e, dunque, geopolitico.
La Cina, al contempo, teme che l'aggressività e il realismo offensivo di Mosca possano indirettamente sabotare i suoi piani di sviluppo attraverso il commercio, minare le Nuove Vie della Seta, financo compattare una "Nato mondiale" alle sue porte di casa. Vi è poi, in sostanza, il fattore umano: Xi Jinping e Putin hanno portato all'estremo il loro rapporto, rinverdendo la relazione diplomatica tra i due Paesi grazie a una totale intesa personale, ma non è detto che chi gli succederà farà altrettanto. E il grande paradosso è questo: il rapporto tra due Stati-civiltà è oggi più che mai appeso all'intesa tra due uomini. Forse rappresenta questo lo scoglio più importante, come Pietrobon e Giuliani fanno notare. Ma solo la storia saprà dire se quello percorso dall'Orso e il Dragone è destinato a essere un tratto di strada comune per due potenze di grande peso o l'iniizio di una lunga marcia capace di accelerare la transizione verso un sistema multipolare.
L’ombra di Henry Kissinger e la natura dell'intesa Russia-Cina. Federico Giuliani e Emanuel Pietrobon il 24 Luglio 2022 su Il Giornale.
Per gentile concessione dell'editore La Vela pubblichiamo un estratto del libro "L'orso e il Dragone. Russia e Cina, un'intesa per cambiare il mondo" di Federico Giuliani ed Emanuel Pietrobon
Quella tra Russia e Cina non è un’alleanza: è un’intesa. È l’equivalente contemporaneo dell’Intesa amichevole franco-britannica in chiave antitedesca di inizio Novecento. La storia insegna che poche alleanze durano all’erosione del tempo, ai machiavelli mefistofelici dell’Uomo, e che facilmente si sfaldano dopo che l’obiettivo fondativo è stato raggiunto. Se Mosca e Pechino riusciranno a essere l’eccezione alla regola, diventando i configuratori di una relazione speciale inossidabile simile a quella angloamericana, potrà stabilirlo soltanto la storia.
Il futuro cela un numero di insidie finanche maggiore a quelle del presente, e le prospettive di vita dell’Intesa sino-russa sono complicate dallo spettro sempreverde di Henry Kissinger, lo Stratega del xx secolo e l’autore di quella celebre “diplomazia triangolare” che permise agli Stati Uniti di vincere la guerra fredda mettendo sovietici e cinesi gli uni contro gli altri. Se Russia e Cina vogliono che il loro asse non imploda su se stesso, dovranno lavorare ai limiti e alle debolezze che ne rendono fragile la base e tenere in considerazione la plausibilità di nuovi tranelli kissingeriani da parte americana. Perché, come affermava il genio della diplomazia Henry Palmerstone, nessun equilibrio è realmente eterno: solo l’interesse nazionale lo è. E l’interesse nazionale degli Stati Uniti, eredi dell’Impero britannico, è il boicottaggio degli assi strategici tra le grandi potenze tellurocratiche dell’Eurasia al fine dell’egemonia sulla stessa.
L’esigenza cinese
La Cina non può fare a meno dell’Occidente. È grazie al commercio con il mondo occidentale che Pechino è diventato il gigante asiatico che conosciamo oggi. Pur senza democratizzarsi, come invece pensavano erroneamente i leader statunitensi ed europei, il Dragone ha sfruttato al massimo il contatto con Stati Uniti ed Unione europea. In un certo senso, possiamo affermare che la Cina ha mantenuto intatto il proprio hardware, modernizzandolo anno dopo anno in base alle esigenze del momento, adottando il software occidentale. Fuori di metafora, il Partito Comunista cinese non ha concesso quelle improbabili aperture che, secondo una credenza diffusa nell’opinione pubblica dei primi anni Duemila, avrebbero gradualmente trasformato la Repubblica Popolare in una democrazia. L’hardware, ovvero il sistema valoriale-politico, è rimasto sempre lo stesso: ovvero quel “socialismo con caratteristiche cinesi” piantato da Mao Tse-Tung, coltivato da Deng Xiaoping, perfezionato dai vari Jiang Zemin e Hu Jintao, e reso un pilastro assoluto da Xi Jinping. A cambiare, semmai, è stato il software. Pechino ha preso confidenza con certi concetti occidentali quali capitalismo e libero mercato, finanza ed economia globalizzata, Borsa e multinazionali, e in pochi decenni ha superato il “maestro” senza tuttavia snaturarsi più di tanto. In tutto questo, Pechino offre al mondo un modello ben diverso rispetto a quello incarnato dagli Stati Uniti, ma allo stesso tempo non ha alcuna intenzione di muovere guerre contro chicchessia. Al contrario, il governo cinese ha tutto l’interesse di non chiudere la porta (economica ma non solo) a una buona parte dell’Occidente, Europa in primis. È in un contesto del genere che prende forma la “triangolazione necessaria” tra Cina, Russia e Occidente. Pechino è l’ago della bilancia.
Imparare dal passato: dove sbagliarono i russi
Nikita Krusciov, successore di Josif Stalin, si fece promotore di un nuovo corso politico, incardinato sulla dottrina della “coesistenza pacifica” e avente come meta la “destalinizzazione”, sin dall’assunzione del comando. La linea Krusciov era pragmatica, in quanto mirante al recupero dei rapporti con la Iugoslavia e alla costruzione di un rapporto basato sulla prevedibilità con gli Stati Uniti: per questo si sarebbe scontrata con gli ultramontanisti dello stalinismo, capitanati dalla Repubblica Popolare Cinese, che accusavano il Cremlino di “revisionismo”. Mao Tse-Tung credeva che l’apertura agli Stati Uniti di Krusciov avrebbe inevitabilmente comportato un raffreddamento delle relazioni sino-sovietiche e, per di più, aveva accolto con un certo disagio la brutale soppressione dei moti ungheresi del 1956, intravedendo in quell’intervento la possibilità di future interferenze sovietiche in aree di interesse comune, perché sotto influenza comunista, ma magari localizzate in Asia orientale. Il fragoroso silenzio sovietico durante la crisi di Taiwan del 1958, poi, deteriorò ulteriormente le relazioni tra le due potenze-guida del mondo comunista. Mao e Krusciov non riuscivano a comprendersi, perché l’uno ideologizzato e impulsivo e l’altro pragmatico e, per certi versi, ambiguo. Questa incompatibilità caratteriale fu il principale motivo alla base della rottura sino-sovietica. Kissinger non creò nulla: si limitò ad alimentare le incomprensioni esistenti, trasformando una palla di neve in una valanga. Il Cremlino, inoltre, ebbe alcuni atteggiamenti ambigui in alcuni fascicoli, dall’immobilismo a Taiwan al presunto appoggio ai moti antigovernativi in Tibet, che giocarono un ruolo-chiave nell’incoraggiare Mao a “rompere”. La Cina, Mao ne era convinto, sarebbe stata sacrificata da Krusciov se si fosse presentata l’occasione al tavolo dei negoziati con gli Stati Uniti. Trattare con Kissinger, alla luce del crescendo di conflitti con l’Unione Sovietica – sfociati brevemente in guerra nel 1969 –, fu visto come essenziale nell’ottica di prevenire un tradimento ritenuto alle porte.
Non è tutto oro quello che luccica
Incomprensioni, diffidenza e paure ancestrali. I limiti dell’Intesa cordiale di oggi sono gli stessi di ieri, quelli, cioè, che causarono la lenta deflagrazione dell’Amicizia sino-sovietica. È vero che Xi e Putin sono due pragmatici, che tra l’altro hanno saputo sviluppare un ottimo e intenso rapporto extralavorativo, ma il dilemma dell’incomprensione non riguarda loro. Riguarda chi li succederà. I due capi di stato stanno commettendo l’errore tipico dei monarchi illuminati, quello di non pensare alla trasmissione del potere, all’istituzionalizzazione del carisma, e questo peserà tanto sulle dinamiche domestiche dei loro paesi quanto sulle loro relazioni con il mondo. Non è detto, in breve, che gli eredi di Putin e Xi saranno all’altezza dei predecessori, così come non è detto che vorranno seguire le loro orme. La storia insegna che tutto è possibile, che l’amico di oggi è il nemico di domani, e Russia e Cina non sono l’eccezione a questa regola.
La diffidenza è tipica delle grandi potenze, che non conoscono il significato della parola “alleanza” ma sono alla ricerca costante di “vassalli”. Gli Stati Uniti come la Russia. La Turchia come la Cina. È una condizione che lo stratega Edward Luttwak ha definito l’“autismo delle grandi potenze”, che non ha risparmiato l’Intesa cordiale russo-cinese. La diffidenza, come si è visto, ha sinora rallentato in maniera significativa l’espansione della collaborazione all’Artico, dove la Russia si è limitata ad accettare iniezioni di renminbi nel settore del gas naturale liquefatto ma guardandosi bene dall’amalgamare le teoricamente complementari Rotta del Mare del Nord e Via della Seta Polare – cosa, invece, non accaduta in Asia centrale, dove uee e bri costituiscono crescentemente un tutt’uno integrato.
E dietro la vetrina luccicante, inoltre, non va dimenticata né sottovalutata l’esistenza del fenomeno dello spionaggio, in ogni sua forma – politico e industriale –, come ricordato dall’arresto eclatante di Valery Mitko, il presidente dell’Accademia artica delle scienze di San Pietroburgo tradotto in carcere nel 2020 per aver passato segreti di stato ai servizi cinesi. Le paure ancestrali sono dure a morire, resistono allo scorrere del tempo, al passare dei secoli, e non potrebbe essere altrimenti: l’Intesa amichevole è un mezzo per un fine, non è tattica ma strategica, ed è intrinsecamente antistorica, dato che Russia e Cina rivaleggiano e guerreggiano per l’egemonia su Asia centrale ed Estremo Oriente sin dal xvii secolo.
Non è soltanto lo spettro di Kissinger l’unica incognita nel futuro delle relazioni tra le due potenze: è anche, e soprattutto, l’ombra dell’Amur. L’ombra dell’Amur è la paura della Russia di diventare socio di minoranza del partenariato, di diventare satellite del pianeta Cina, con tutto ciò che questo comporta: dalla perdita di influenza nell’estero vicino alla “colonizzazione” dei territori ad est degli Urali. La “paura gialla” in salsa russa ha natura primordiale, in quanto risalente all’epoca delle guerre tra gli zar e la dinastia Qing, ed è tanto bistrattata dalla classe dirigente della Russia europea quanto percepita da quei nove milioni di siberiani contermini naturalmente e costantemente ad oltre novanta milioni di cinesi. Una pressione demografica enorme, sorgente di timori comprensibili, che negli anni recenti ha significato la crescita dirompente di partiti nazionalisti e l’arretramento di Russia Unita e che ha assunto anche altre forme, come le dimostrazioni popolari contro il disboscamento selvaggio della Siberia – le cui foreste soddisfano il 30% del fabbisogno di legname del mercato cinese – e per la protezione del lago Baikal – la cui trasformazione in fonte d’acqua per il mercato cinese fu bloccata da un forte moto di protesta nel 2019.
L’aquila americana sorpresa dall’alleanza dell’orso col dragone. Stefano Magni su Inside Over il 24 luglio 2022.
Esiste già, di fatto, un blocco sino-russo. La Russia ha invaso l’Ucraina con il beneplacito della Cina. Pechino tuttora sta fornendo all’alleato materie prime, materiali dual use e chip, aiutandone di fatto lo sforzo bellico. Il nuovo libro di Federico Giuliani ed Emanuel Pietrobon, L’Orso e il Dragone – Russia e Cina, un’intesa per cambiare il mondo, descrive genesi e motivazioni di questa alleanza “empia”, tattica, rivolta contro l’Occidente. Come mai gli Usa non se ne sono accorti? Il riavvicinamento fra le due potenze è iniziato nel 1999, secondo i due autori ed è stato formalizzato la prima volta nel 2001. Effettivamente, basta guardare i voti all’Onu, per accorgersi che Mosca e Pechino, nell’ultimo ventennio, hanno sempre parlato con una sola voce. E allora perché gli Usa si sono fatti cogliere impreparati?
Dall’11 settembre 2001, gli Usa hanno considerato solo la guerra al terrorismo e si sono preparati, nella peggiore delle ipotesi, a scontrarsi con “rogue states”. Lo scenario più grave a cui gli Usa pensavano era quello di un eventuale conflitto con l’Iran, o con la Corea del Nord. Il Pentagono non si è attrezzato per un confronto mondiale contro due potenze continentali. Non sono mai stati varati, negli ultimi trent’anni, nuovi programmi paragonabili a quelli della Guerra fredda con l’Urss. Il deterrente nucleare è ridotto ai minimi termini e si basa ancora sui vecchi armamenti della Guerra fredda. Il nuovo scudo anti-missile potrebbe intercettare, al massimo, poche decine di ordigni (dalla Corea del Nord, eventualmente dall’Iran). Le forze convenzionali, limitate e altamente professionalizzate, sono utili a combattere piccole guerre lontane. Il punto è che, fino a tempi recentissimi, le amministrazioni Usa non hanno mai considerato seriamente la Russia e la Cina come potenziali nemici.
Dopo la fine del confronto ideologico con l’Urss, gli Usa hanno cercato di costruire un ordine internazionale liberale basato sulla sicurezza collettiva, sui diritti umani e su regole condivise, nel quale inserire, una volta riformate, sia la Cina che la Russia. Ed hanno considerato queste ultime come potenze “in transizione” dal comunismo alla democrazia liberale, dunque integrabili in futuro.
Il blocco sino-russo nasce da un duplice fallimento della democrazia che non è stato compreso in tempo. Il primo è il fallimento della rivoluzione in Cina, il 4 giugno 1989: mentre in Polonia si votava per la prima volta in un sistema multi-partitico, a Pechino i carri armati schiacciavano la protesta di studenti e operai che chiedevano la democrazia. La Cina è rimasta comunista: il Partito ha saputo adattarsi ai tempi nuovi, adottando elementi di economia di mercato, pur mantenendo le leve del potere politico. Il secondo è il fallimento della transizione della Russia dal comunismo al liberalismo, dopo la dissoluzione dell’Urss. Il processo riformatore si arrestò bruscamente con la crisi costituzionale dell’autunno 1993, la lotta fra potere presidenziale e parlamentare conclusasi con il cannoneggiamento del parlamento. Eltsin, il presidente riformatore filo-occidentale, vinse la battaglia contro il blocco parlamentare nazional-comunista, ma si rese conto che non avrebbe potuto permettersi una guerra civile e da allora in poi rallentò le riforme che avrebbero dovuto traghettare la Russia fuori dal sistema sovietico. La classe dirigente nostalgica dell’Urss riprese il sopravvento in men che non si dica.
Nonostante la retorica del Cremlino sulle “umiliazioni” occidentali, gli Usa hanno sempre aiutato la Russia post-sovietica a completare la sua transizione: incoraggiandone le riforme, sostenendola economicamente, ammettendola nel G7 (pur non avendo un’economia all’altezza) e considerandola come partner per la sicurezza sia nella firma del Nato-Russia Founding Act (1997), sia soprattutto nella fondazione del Nato-Russia Council (2002). Gli Usa chiusero un occhio di fronte alla massiccia violazione di diritti umani in Cecenia, così come sulla svolta autoritaria del governo, diventata evidente soprattutto sotto Putin. Le mosse più “aggressive”, come l’accoglimento nella Nato dei Paesi dell’ex Patto di Varsavia e poi tre della stessa ex Urss (Estonia, Lettonia e Lituania), sono state compiute in modo da evitare di provocare Mosca: fino al 2014, non sono neppure state stanziate truppe alleate nei nuovi territori, tuttora non vi sono schierate armi nucleari. L’intervento della Nato nel Kosovo, nel 1999, era inteso come il primo esperimento di sicurezza collettiva europea, per prevenire un nuovo bagno di sangue quando la memoria del massacro di Srebrenica (1995) era ancora viva. L’opposizione russa all’intervento non venne vista come una “nuova guerra fredda”, ma solo come una divergenza politica risolvibile pacificamente.
L’ottimismo americano sulla transizione russa crollò solamente nel 2008, quando, ad una prima apertura della Nato a Georgia e Ucraina, Putin rispose invadendo la Georgia. Tuttavia, il presidente Barack Obama già dall’anno successivo varò una politica di distensione (il “reset” e “restart”) dando ancora credito alla volontà russa di entrare a far parte del mondo delle democrazie. La Russia divenne una potenza avversaria, agli occhi degli Stati Uniti, solo nel 2014, quando alla rivoluzione del Maidan in Ucraina, Putin rispose con l’annessione della Crimea e con l’appoggio della guerriglia separatista nel Donbass.
Per quanto riguarda la Cina, gli Usa furono ancora più ottimisti: credettero di renderla più incline alle riforme solamente inserendola nelle istituzioni dell’economia internazionale. Dopo il massacro di piazza Tienanmen, nel 1989, l’amministrazione Bush aveva imposto dure sanzioni, ma il successore Bill Clinton iniziò a lavorare, sin da subito, per introdurre il regime di Pechino nei salotti buoni della globalizzazione. Il culmine di questa politica, ereditata dalla prima amministrazione Bush, fu l’ammissione della Repubblica Popolare nel Wto, nel 2001. Come la Russia non avrebbe avuto il diritto di entrare nel G7, nemmeno la Cina aveva i numeri per entrare nel Wto, non essendo neppure un’economia di mercato.
Nell’arco del decennio successivo divenne abbastanza chiaro che la Cina avrebbe sfruttato l’arricchimento della globalizzazione, non per riformarsi in senso democratico, ma per rilanciare la sua potenza militare e di farlo a scapito degli Stati Uniti. Nonostante nel mondo accademico si parlasse sempre più frequentemente della “guerra fredda del futuro”, il mondo della politica americana continuò a trattare la Cina come un partner, al massimo come un concorrente economico. Nemmeno il “Pivot to Asia” di Obama (2011), dunque il ri-orientamento della politica estera e di sicurezza statunitense verso il Pacifico, produsse un sensibile aumento della presenza militare americana per il contenimento della Cina. Solo con l’amministrazione Trump, nel 2017, si incominciò a vedere qualcosa di simile ad una nuova alleanza militare, con il Quad (dialogo quadrilaterale, con Giappone, India e Australia) per contenere l’espansionismo di Pechino.
L’assertività della Cina divenne evidente con la repressione di Hong Kong. L’ex colonia britannica, restituita alla Cina nel 1997, avrebbe dovuto mantenere piena autonomia fino al 2047, ma, violando i patti, la Cina l’ha assorbita nel 2019. A nulla servirono le proteste oceaniche dei poveri abitanti della ricca città portuale, passati di colpo dal vivere in un angolo britannico in Asia al regime comunista cinese. Per Taiwan si teme tuttora l’aggressione militare. Al processo di centralizzazione segue anche un inasprimento della repressione interna, soprattutto ai danni della minoranza degli uiguri e una retorica ideologica e bellicosa che non ha precedenti nella Cina post-maoista. Di fronte a questi sviluppi gli americani stanno appena incominciando a prepararsi ad un confronto con Pechino. Ma in Asia orientale non esiste alcun equivalente della Nato.
Russia e Cina sono rimaste questioni separate agli occhi di tutte e cinque le amministrazioni che hanno governato nell’ultimo trentennio. A Washington, fino a tempi recentissimi, nessuno le ha considerate come un “blocco” militare avversario. La Russia, appunto, è stata inserita nell’agenda di politica europea come problema di transizione dal comunismo alla democrazia. La Cina nell’agenda economica come concorrente di primo piano e (forse) anche avversario militare, ma solo nel futuro.
Sicuramente, nessun presidente del passato ha mai pianificato una strategia per contenere, su due fronti, un “blocco sino-russo”. Uno scenario simile non è mai esistito, neppure nella fiction. Biden sarà in grado di cambiare passo? Lo vuole fare?
Piccola Mosca. L’atteggiamento ambiguo della Svizzera sulle sanzioni alla Russia. Alessandro Cappelli su L'Inkiesta il 15 Luglio 2022.
Le banche nazionali elvetiche gestiscono circa 150 miliardi di dollari di clienti vicini al Cremlino. Berna dice di volersi accodare all’Ue, ma non sta facendo abbastanza contro la cerchia ristretta di Vladimir Putin
La Svizzera è impegnata a punire la Russia per l’invasione dell’Ucraina così come fanno gli altri Paesi europei. Almeno all’apparenza. Nei fatti, le promesse di sanzioni da parte di Berna non si sono tradotte in grossi movimenti contro le aziende russe che operano sul territorio. E la sensazione è che la piccola nazione alpina non stia facendo abbastanza contro il Cremlino e la cerchia ristretta di Vladimir Putin.
«Ancora oggi infatti l’80% delle materie prime russe arriva sul mercato attraverso la Svizzera, soprattutto passando da Zug. Le banche svizzere gestiscono circa 150 miliardi di dollari di clienti russi, secondo l’associazione bancaria del Paese», scrive il Wall Street Journal. Mentre per il gruppo di trasparenza Public Eye di Zurigo, 32 degli oligarchi più vicini a Putin hanno proprietà, conti bancari o attività commerciali in Svizzera.
Molti hanno case o aziende a Zug. Al punto che il partito di opposizione cittadino da qualche tempo ha iniziato a portare i visitatori in un tour delle proprietà degli oligarchi e i giornali nazionali hanno soprannominato Zug la “Piccola Mosca”.
I legami del regime di Putin con la Zug risalgono ai primi giorni della sua presidenza e a una cerimonia nel tentacolare palazzo in stile art nouveau del Canton Zugo, il Teatro Casino. Nei giorni in cui l’esercito russo bombardava la repubblica cecena, nel 2002, Putin ricevette il “Premio per la pace di Zug” dal Forum per il disarmo nucleare.
Non è un caso che quest’anno molti degli oligarchi che investono a Zug non siano stati toccati dalle sanzioni. Tra questi c’è anche Roman Abramovich, maggiore azionista di Evraz Plc, un’azienda siderurgica e mineraria russa che ha una filiale commerciale nel cantone. Evraz è stata sanzionata nel Regno Unito, dove è quotata alla Borsa di Londra, ma non è stata sanzionata in Svizzera.
Nei primi quattro mesi dall’inizio dell’invasione, le autorità svizzere hanno congelato 6,8 miliardi di dollari di beni finanziari russi e 15 tra case e altre proprietà, secondo la Segreteria di Stato per gli Affari Economici, nota anche come Seco, l’ente incaricato dell’attuazione delle sanzioni stesse.
Sembrano numeri enormi, anche perché il resto dell’Unione europea ha congelato 14 miliardi di dollari di beni di oligarchi, tra cui fondi, barche, elicotteri e proprietà immobiliari, e altri 20 miliardi di dollari di riserve della banca centrale russa. Ma in più i Paesi dell’Unione hanno bloccato circa 200 miliardi di dollari di transazioni finanziarie. E, come detto, per la Svizzera passa una grossa quota del mercato russo.
Per questo motivo gli Stati Uniti hanno chiesto ai funzionari svizzeri di fare di più per individuare il denaro e le proprietà russe. «Invece di permettere alla Russia di abusare del sistema finanziario globale, dovrebbero opporsi», ha detto il senatore Roger Wicker, presidente della Commissione statunitense per la sicurezza e la cooperazione, che promuove i diritti umani, la sicurezza militare e la cooperazione economica.
Il governo di Berna ha respinto ogni tipo di critica sottolineando che sta facendo tutto il possibile per dare la caccia alle attività inserite nella lista nera da parte di Bruxelles. «È chiaro che il volume delle sanzioni contro la Russia e la Bielorussia, così come la velocità con cui sono state adottate, crea alcune sfide per le autorità che devono porle in opera, in Svizzera e altrove», ha dichiarato una portavoce della Seco.
La Svizzera ha uno status riconosciuto di hub finanziario globale, eppure le sue autorità di regolamentazione lavorano con risorse piuttosto limitate: fino a poco tempo fa la Seco aveva solo 10 funzionari dedicati alle sanzioni, poi il governo ne ha assunti altri cinque.
C’è anche un problema legato alla segretezza dei documenti relativi alle grandi società: «Banchieri svizzeri e attivisti per la trasparenza sostengono che negli ultimi anni miliardi di dollari di beni di clienti russi sono stati trasferiti a nome di coniugi e figli, un fenomeno che si è accelerato nel periodo precedente la guerra», scrive il Wall Street Journal.
Un esempio che spiega questa dinamica è quello di Andrey Melnichenko, uno dei più ricchi oligarchi russi, da tempo residente in Svizzera. Berna lo ha sanzionato a inizio anno, mettendosi in scia dell’Unione europea.
Lo scorso 9 marzo, Bruxelles ha aggiunto il nome di Melnichenko alla sua lista nera, descrivendolo come membro della «cerchia più stretta di Vladimir Putin», spiegando che è coinvolto in attività vitali per il governo di Mosca. In Italia, ad esempio, la polizia ha sequestrato il suo yacht, il più grande del mondo.
Tra le sanzioni a Melnichenko però non rientra la EuroChem Ag, un’azienda fondata da lui nel 2001 che è cresciuta fino a diventare uno dei principali produttori di fertilizzanti al mondo, con un fatturato 2021 di 10,2 miliardi di dollari.
L’azienda non è stata toccata perché il giorno prima dell’annuncio delle sanzioni, secondo un documento firmato dal direttore finanziario di EuroChem, il magnate ha rinunciato ai suoi interessi presenti in un trust cipriota che deteneva il pacchetto azionario della società. E la moglie di Melnichenko, Aleksandra, un’ex popstar serba, è rimasta l’unica beneficiaria del trust.
«Dal momento che Melnichenko non possiede, detiene né controlla più alcun fondo o risorsa economica del Gruppo EuroChem, il Gruppo EuroChem e i membri del Gruppo EuroChem non sono soggetti alle misure di congelamento dei beni dell’Unione europea», scrive il Wall Street Journal, citando come fonte un documento del Gruppo. Poi il 28 marzo, la Seco a sua volta ha stabilito che non ci sarebbe stato bisogno di congelare i beni o conti bancari di Eurochem.
La situazione è cambiata a giugno, quando la Commissione europea ha contrastato la decisione della Seco, stabilendo che la moglie di Melnichenko traeva indebiti vantaggi dal marito e doveva essere sanzionata.
La Svizzera ci ha messo un po’ ma ha seguito l’esempio inserendo Aleksandra Melnichenko nella lista nera, ma rinunciando ancora una volta a sanzionare EuroChem.
Zitti e…Mosca.
"Putin si sta solo difendendo": la follia comunista. Giuseppe De Lorenzo il 10 Maggio 2022 su Il Giornale.
Dopo le polemiche per il volantino con la "Z" dell'invasione russa in Ucraina, gli esponenti del Pci non fanno marcia indietro.
Alla parete ci sono Lenin e Stalin, due "pilastri della dottrina marxista". Ovunque sventolano bandiere rosse del Partito Comunista Italiano, falce e martello di memoria sovietica, addirittura le mascherine Ffp2 sono marchiate col simbolo della compianta (per loro) Unione Sovietica. Non è un caso, evidentemente, se il volantino delle polemiche, quello con la "Z" simbolo dell'invasione russa in Ucraina, sia uscito da queste stanze di un circolo comunista di Zagarolo.
Storia nota, forse ricorderete. In occasione della "festa della vittoria", domenica 8 maggio, la sezione del Pci Monti Prenestini-Casilina ha organizzato una commemorazione dei soldati che hanno liberato "l'Europa dal nazifascismo". E poco importa se buona parte del merito va dato ai soldati americani e inglesi, qui il punto è che il volantino con cui la sezione locale ha pubblicizzato l'evento mostra al posto della "Z" di "Zagarolo" il marchio apposto sui carri armati di Putin, con tanto di coccarda di San Giorgio.
Dopo la feroce polemica, e lo sdegno del Comune, dal circolo non rinnegano ma cercano di arrampicarsi sugli specchi. Intervistati da Quarta Repubblica, spiegano che "la Z sta anche sui veicoli che portano viveri e aiuti alla popolazione, non solo quella del Donbass ma anche quella ucraina". Sull'origine del conflitto, invece, non ci sono dubbi: "Questa è una guerra dichiarata chiaramente e apertamente dalla Nato". Un conflitto alimentato dal "capitalismo" mentre "Putin è uno che si deve difendere". Ognuno ha la sua teoria: "I genocidi? Dove sono? Fateceli vedere, documentateceli". E ancora: "Io voglio le immagini vere, non quelle finte".
Il segretario Pci, Mauro Alboresi, lo spiega chiaramente: "Quel nastro è il simbolo che da sempre ricorda la vittoria dell'Unione Sovietica nei confronti della Germania nazista". Ed era opportuno metterlo sui volantini, con tanto di "Z"? "Non è e non era una provocazione". O forse sì. Ma poco importa: pugni chiusi, e via.
IL POPOLO COMUNISTA IN QUATTRO GENERAZIONI. Da la Repubblica.it il 27.09.1991
"Quando ero piccolo mi dicevano 'Stai lontano dai comunisti' . Poi ho scoperto che in casa mia tutti erano iscritti al Pci, tranne il nonno, che era socialista. Non sono ancora riuscito a capire perchè mi dicevano così...". Alessandro Benvenuti conserva l' aria stralunata di quando era nei Giancattivi con Francesco Nuti e Athina Cenci. Nel suo ultimo film, Zitti e Mosca, che ha scritto con Ugo Chiti, e di cui è regista e interprete, racconta il travagliato passaggio dal Pci al Pds. La storia, interpretata da 50 personaggi, è ambientata durante una Festa dell' Unità a Campiobbi, in luglio. "Il mese è importante" spiega "e ho messo una scritta subito dopo i titoli con la data, per non creare equivoci. Dopo il golpe di Mosca tutti mi dicevano che avevo avuto una gran fortuna, che era una bella pubblicità per il film. Ma come si può essere così cinici?". Il film esce la prossima settimana, dopo l' anteprima al festival ' Europacinema' di Viareggio. "Zitti e Mosca è soprattutto un film sull' amicizia, sulla mia gente. Per noi, in Toscana, una festa dell' Unità resta sempre un luogo d' incontro. Infatti ci vengono tutti, anche i socialisti vanno a mangiare da quelli del Pds. E' l' affresco di un paese, visto da quattro generazioni; l' aspetto politico c' è, ma è marginale". Nel film ci sono i sentimenti, le delusioni e le speranze del popolo comunista. C' è Corpo (Novello Novelli), il vecchio partigiano deluso dal partito, stanco delle chiacchiere di Botolo, Smith e Bacci, compagni di un tempo ormai troppo lontano. Chiama Occhetto ' Occhialino' , tiene in casa una gigantografia di Berlinguer. E' un uomo deluso, che in un momento buio penserà anche al suicidio. "E' vero che ha perso un partito" spiega Benvenuti, che ci tiene molto a restituire una loro autonomia ai personaggi "ma avrà un regalo più bello dalla vita, diventerà nonno". Ci sono poi Setto, Kinder, Brioss, il gruppo dei giovani che della politica se ne infischiano e sono vagamente vitelloni; la terza storia, la più intimista, racconta i riflessi delle scelte politiche nella vita privata. Qualcuno si riconoscerà nella coppia formata da Athina Cenci e Massimo Ghini (un po' D' Alema e un po' Veltroni), ex fidanzati che si rincontrano nel paese: lei è Mara, una compagna all' antica, cossuttiana, che continua ad archiviare scritti e documenti del padre, comunista importante, eroe della Resistenza; lui è Massimo, è un dirigente del Pds che arriva da Roma per il comizio di chiusura della festa. Il quarto filo conduttore è quello dei bambini, che fantasticano sul 'mostro rosso' venuto dall' Unione Sovietica per colpire i comunisti "buoni". Benvenuti dice di "votare se c' è da votare" e di essersi occupato "suo malgrado" di politica: con i Giancattivi e poi lavorando per l' Arci. I dirigenti del Pds hanno fornito le strutture per allestire il set della Festa dell' Unità, ma non hanno condiviso alcune battute colorite della sceneggiatura. "Nel film c' è un grande rispetto per i militanti, per le vecchie generazioni, per i partigiani, per i giovani che credono nel Pds" dice Benvenuti "Spero di aver saputo raccontare con grazia, con la giusta leggerezza: il film non è un saggio politico". Massimo Ghini e Athina Cenci hanno vissuto da militanti il doloroso passaggio dal Pci al Pds. Ghini ha costruito con cura il suo dirigente del Pds, che ha un bel sorriso aperto e guarda al futuro; ha incontrato Walter Veltroni, si è ispirato a lui, ne ha studiato i toni e il modo di fare. "Ci ho messo tutto me stesso, il momento politico che racconta il film mi appartiene, l' ho vissuto in prima persona. Ma quando giravamo alla Festa dell' Unità non mi sembrava più neanche un film, tutto era naturale, vero. Anche il ristorante vegetariano vuoto: i vecchi compagni preferiscono le tagliatelle al ragù...". Athina Cenci è combattiva e ironica: "In genere sono svelta, mi basta girare un solo ciak. Ma la scena in cui mi scontro con Massimo l' ho dovuta ripetere dieci volte, non ce la facevo proprio. Credo che per molti sarà una vera tragedia. Simbolicamente rappresenta il figlio che uccide il padre, proprio perché lo ama. Per me Gorbaciov e Occhetto sono due eroi, ma in molti non la pensano così. Posso capirlo: odiamo chi ci costringe a non essere più figli, a diventare autonomi". Il film si chiude con un' immagine simbolica: Ghini non potrà finire il suo comizio, partono prima i fuochi d' artificio. "In fondo è giusto così" dice Benvenuti "nessuno può dire l' ultima parola su un momento storico in continua evoluzione". SILVIA FUMAROLA il 27 settembre 1991 sez.
Zitti e Mosca di Marco Travaglio il 25 Febbraio 2022
L’attacco criminale di Putin all’Ucraina è un post scriptum degli imperialismi del XX secolo, totalmente fuori sincrono rispetto al comune sentire delle opinioni pubbliche mondiali. Non solo per le nuove generazioni che la guerra, fredda o guerreggiata che fosse, l’hanno letta sui libri di storia, ma anche per quelle che l’hanno vissuta e poi archiviata. Per questo lascia la gente senza parole e rende false e vuote le parole dei governanti che ne sono prodighi. Quelli che menano le danze, Putin e Biden, sono due cascami del Novecento che stanno per compiere 70 e 80 anni, formattati mentalmente nel vecchio mondo che ora rispunta dalla tomba come gli zombi. Con una differenza: Putin parla a un popolo che non dimentica nulla, tantomeno la sua vocazione nazionalista ancora frustrata dal crollo dell’Urss e dalle provocazioni dell’Occidente che ha fatto di tutto per umiliarlo, violando l’impegno di non allargare la Nato a Est; Biden parla a un popolo che non ricorda quasi nulla, salvo i tributi di sangue pagati a far guerre in giro per il mondo, perdendole drasticamente tutte dal 1945. Quindi la guerra non toglie consensi a Putin (a meno che la perda), ma ne toglierebbe parecchi a Biden (che già ne ha pochi) col rischio che ne approfitti la terza potenza, quella tragicamente più al passo coi tempi: la Cina. Quanto a noi, cittadini della cosiddetta Europa, pagheremo il solito tributo di soldi per conto terzi, passando da uno stato d’emergenza (sanitario) a un altro (bellico). Con l’aggravante - per noi italiani - di doverci pure sorbire il cinepanettone delle Sturmtruppen in servizio permanente effettivo, che trasformano le peggiori tragedie nell’eterna commedia all’italiana.
“Noi l’avevamo detto”. È il mantra dei Nando Mericoni a mezzo stampa (“Pronto-Amerega-me-senti?”), che da tre mesi si calano l’elmetto sul capino e rilanciano ogni giorno le veline della Cia sull’invasione russa “tra oggi e domani” e ora, dopo aver fatto e rifatto lo stesso titolo fasullo, si vantano di averci azzeccato. Come se il compito dell’informazione fosse ripetere cento volte una fake news sotto dettatura (“oggi piove”) e poi, quando la centunesima volta si avvera, fingere che fosse sempre stata vera (“visto che oggi piove?”). E come se drammatizzare urlando “Al lupo! Al lupo!” non fosse il modo migliore per sdrammatizzare: un regalo al lupo che, quando arriva, non ci crede o non si scandalizza più nessuno. Ora semmai qualcuno si chiede come mai l’amico americano, se sapeva tutto da mesi, ha lasciato l’Ucraina così impreparata e sola dinanzi all’attacco.
“Legalità internazionale”. Bei tempi quando qualche governo poteva insegnarla agli altri.
Oggi non ci sono “buoni” titolati a dare lezioni ai “cattivi” russi, visto che Usa e Ue si sono macchiati di guerre illegali e criminali (peggio ancora se avallate dall’Onu) in ex-Jugoslavia, Afghanistan, Iraq, Libia, Somalia e via bombardando.
“Ci vorrebbe l’Europa”. Fa il paio col “non ci sono più le mezze stagioni”. L’Europa politica e militare non è mai nata per non dispiacere al residuato bellico della Nato (a 31 anni dalla fine del Patto di Varsavia), con alleati indecenti come la Turchia (impegnata a sterminare i curdi nel silenzio degli atlantisti). Finché accetteremo che lo Zio Sam faccia casini in giro lasciandoci il conto da pagare, in termini di migranti (Libia e Afghanistan), terrorismo (Iraq), affari mancati (Cina) e bollette (Ucraina), resteremo il vaso di coccio fra due potenze che si rafforzano a scapito nostro. E piangere sull’Europa che non c’è non sarà solo inutile: sarà ridicolo.
“Tremenda vendetta!”. Posto che, in base ai trattati, la Nato non può inviare truppe in Ucraina, la reazione sarà in forma di parole e di sanzioni. Le parole abbondano e mettono tutti d’accordo. Ma Putin le snobba, anzi le capitalizza agli occhi del suo popolo e del suo establishment (che l’altroieri era tutt’altro che allineato e coperto). Altra cosa sono le sanzioni, che per la Ue escludono gas e banche, per gli Usa no. Su questo conta Mosca: quando si passerà dalle parole ai fatti, il fronte occidentale si rivelerà pura finzione.
“Abbasso i putiniani!”. La caccia agli amici di Putin scatenata dai giornaloni e dal Pd c’entra poco con la guerra in Ucraina e molto con le guerricciole da buvette di Montecitorio: serve a screditare Salvini (che con e sulla Russia ne ha dette e fatte di tutti i colori, ma Putin manco lo conosce) e Conte (reo di un approccio multilaterale in politica estera, peraltro in linea con la tradizione diplomatica italiana, da Moro ad Andreotti, da Prodi a D’Alema allo stesso Frattini). Altrimenti sul banco degli imputati ci sarebbe anzitutto B., quello dei festini con l’amico Vlady nella dacia e a villa Certosa, delle sceneggiate a base di lettoni e plaid trapuntati, delle leccatine alle democrazie-modello di Putin e Lukashenko. Invece è tutto prescritto, in vista del campo largo di Letta (zio e nipote).
“Finché c’è guerra non si tratta”. È la linea di Biden, dunque di Draghi. Ma quando si dovrebbe trattare: in tempo di pace? I negoziati servono quando si combatte, per ottenere tregue e poi trattati. E a mediare non è adatto chi è intruppato in una fazione. Perciò servirebbe, in Europa, qualcuno che tenga una postura più terza e meno appiattita sugli Usa. O almeno che si levi l’elmetto, guardi al di là del proprio naso e scopra ciò che è ovvio dalla notte dei tempi: gli amici te li puoi scegliere, i nemici no.
Tratto da: Il Fatto Quotidiano
Zitti e Mosca. Se Grillo preferisce Putin a Draghi. Mattia Soldi il 31/03/2021 su formiche.net.
Il fondatore del Movimento Cinque Stelle rilancia su Facebook un post del suo blog che tuona contro il “maccartismo” Usa verso Cina e Russia. Intanto il governo Draghi è nel mezzo di un’escalation diplomatica con Mosca e Di Maio ha appena cacciato due spioni russi. Non solo Xi, anche Putin fa vedere “le stelle” al Movimento
Che dire, il tempismo è da campioni. Probabilmente non casuale. Beppe Grillo tuona contro il “maccartismo” degli Usa contro la Russia. A poche ore dall’arresto di una spia russa che stava rubando segreti militari a Roma. Dalla sua espulsione disposta dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Dalla convocazione dell’ambasciatore russo Sergei Razov. Insomma, da un clamoroso calcio del governo Draghi a Vladimir Putin.
Mentre la diplomazia e l’intelligence italiana fanno i conti con la vendita di segreti militari a un ufficiale russo da parte di un capitano di fregata della Marina italiana arrestato martedì sera, piovono fulmini e saette dal guru e fondatore del Movimento Cinque Stelle. Contro gli Stati Uniti, ovviamente.
Su Facebook grillo posta un articolo del suo blog (onore riservato ai contributi più amati dal leader) firmato da Fabio Massimo Parenti, vecchia conoscenza del portale, professore alla China Foreign Affairs University di Pechino. “Se molti pensavano che il duo Trump-Pompeo fosse pericoloso, che dire di Biden-Blinken? – scrive l’ “Elevato” a corredo del post – invece di costruire nuove fondamenta per una più ampia cooperazione internazionale – soprattutto considerando che stiamo vivendo un periodo di molteplici crisi globali – Biden-Blinken identificano nemici – con toni bellicosi nei confronti di Russia e Cina – attribuendo responsabilità sempre e solo agli “altri””.
Dunque l’analisi di Parenti, esperto di Cina e firma spesso ospitata sul giornale ufficiale del Partito comunista cinese, il Global Times. “Gli Usa sono i benvenuti nella costruzione di un destino condiviso e di una cooperazione tra pari finalizzata a creare beni comuni e risolvere problemi comuni. Si parta dal prendere atto che il mondo è già cambiato e non accetta più i diktat di Washington (o di qualsiasi altro egemone) che insieme a pochi sodali suole autodefinirsi ‘comunità internazionale”.
In verità l’articolo in bella vista sul blog è una lunga giaculatoria contro la politica cinese di Biden. Le accuse di “genocidio” degli uiguri in Xinjiang rivolte dal segretario di Stato Antony Blinken, sentenzia Parenti, si basano “fonti inaffidabili e dati inverificabili” e il loro vero obiettivo è “destabilizzare lo Xinjiang per colpire la Bri (Belt and Road Initiative, ndr)”.
È Grillo, forse non a caso, a specificare nel cappello che la difesa a spada tratta riguarda “Russia e Cina”, quando ormai le agenzie italiane battono da ore sull’escalation diplomatica fra Roma e Mosca.
E pensare che proprio il volto più noto del Movimento, Di Maio, ha deciso questa volta di alzare l’asticella convocando l’ambasciatore russo e ordinando l’immediata espulsione di due funzionari coinvolti, con tanto di post al vetriolo per confermare la “ferma protesta del governo italiano” per una “vicenda gravissima”.
Zitti e Mosca. Prima o poi bisognerà fare i conti coi danni fatti dal putinismo in Italia. Carmelo Palma su L'Inkiesta il 5 Marzo 2022.
Prodi e Berlusconi hanno legittimato il dittatore russo, malgrado ammazzasse i suoi oppositori come un capomafia. Poi sono arrivati i politici tifosi che hanno eletto il gerarca come alfiere dei valori cristiani contro il relativismo. Per rimediare dovrebbero fare un voto del silenzio tutti coloro che hanno definito inique le sanzioni al Cremlino dopo il 2014.
Ai servi sciocchi e volenterosi del Cremlino, che da anni spiegano che Putin è un bene o comunque non è tutto il male che si vorrebbe far credere, la flessibilità trasformistica della politica italiana darà modo, ovviamente, di redimere l’amore e l’amicizia passata in una dolorosa compunzione, esibita come prova di resipiscenza. Tutti, ora, delusi o sorpresi o sconvolti dal Grande Dittatore e desiderosi di pace.
Ai più fortunati, cioè ai più presentabili, sarà possibile anche contestualizzare le aperture di credito all’avvelenatore di Mosca, alla luce di quanto è successo, come tentativo di arginarne la ferocia vellicandone l’orgoglio e il narcisismo o ingolosendone l’interesse. Insomma, come un malriuscito esercizio di necessitato realismo.
Sbaglia però chi pensa che il putinismo italiano sia stato concentrato nelle suburre populiste e sovraniste dei Manlio Di Stefano e Gianluca Savoini, Alessandro Di Battista e Matteo Salvini, Vito Rosario Petrocelli e Maurizio Marrone, e sia destinato a estinguersi con l’emarginazione di queste frange e l’istituzionalizzazione atlantica ed europeista di grillini, leghisti e post-fascisti.
Il putinismo italiano non è stato affatto un fenomeno da sbandati, svitati e avventurieri, o di estremisti ora ai margini della politica che conta.
Il putinismo è stato il cuore della politica internazionale dell’Italia per due decenni ed è stato impersonato dai massimi rappresentanti del bipolarismo italiano, Silvio Berlusconi e Romano Prodi, in due versioni diverse, ma non opposte e neppure alternative.
Al di là degli aspetti di folclore e di colore che hanno compromesso assai più fortemente il Cavaliere – dalle feste di compleanno, al lettone regalato dal leader russo per le sue notti magiche – Prodi e Berlusconi hanno condiviso nelle relazioni con Putin il principio della imprescindibilità e per certi versi della “provvidenzialità” della leadership putiniana, come forma d’ordine politica preferibile, perché più caratteristicamente russa, al disordine seguito al disfacimento sovietico.
Ancora più radicalmente, Prodi e Berlusconi hanno ritenuto che per gli interessi dell’Europa e dell’Italia il putinismo fosse un fattore di stabilità (di stabilità!) e che la causa della democratizzazione della Russia e della sua emancipazione dai fantasmi e dalle frustrazioni del fallimento dell’Urss e dei sogni imperiali fosse in sé pericolosa per la libertà e sicurezza e dell’Europa. Putin è la Russia, e la Russia è Putin, al bando le fantasie democratiche. Di qui i colloqui ripetuti, le interviste comprensive, lo sforzo di dialogo ininterrotto e regolare e anche mediaticamente rivendicato, da parte di entrambi i campioni del bipolarismo all’italiano. Entrambi amici, confidenti e consiglieri del capopalazzo del Cremlino e orgogliosi di esserlo.
Sia Prodi che Berlusconi sono stati convinti che legittimare Putin, malgrado ammazzasse i suoi oppositori come un capomafia, pure vantandosene, era il modo migliore per non fare esplodere né la Russia, né l’Europa. «L’Ue sta sbagliando» e «abbiamo bisogno della Russia»: anche dopo l’invasione del Donbass e l’annessione della Crimea.
A far divergere Berlusconi e Prodi non è stato quindi il giudizio su Putin ma la strategia di legittimazione da seguire, che per Berlusconi era quella dell’inglobamento surrealistico della Russia nella Nato per un unico governo militare del mondo e per Prodi quello della contestuale amicizia con Mosca e Washington, a suggello della centralità di un’Europa equidistante ed equivicina, amica di tutti e nemica di nessuno.
Lasciamo pure da parte il razzismo implicito nella persuasione che i russi siano immeritevoli di libertà politica e stato di diritto e per destino storico debbano essere sudditi di un potere assoluto. Ma il putinismo adulto di Prodi e Berlusconi, a differenza di quello infantile e sperticato della teppa populista e sovranista, è stato il sostrato su cui si è appoggiata la strategia di ricatto e di condizionamento del Cremlino, con la sua infiltrazione nei gangli del sistema accademico, dell’informazione e della comunicazione, perfettamente raccontata da Massimiliano Di Pasquale e Luigi Sergio Germani ne L’ influenza russa sulla cultura, sul mondo accademico e sui think tank italiani.
A valle e non in contraddizione con tutto questo si è sviluppato il putinismo para-squadristico dei «Forza Putin», che, mischiando i vecchi riflessi anti-atlantisti della sinistra comunista e post-comunista e le fobie antimondialiste della destra fascista e post fascista, ha eletto il gerarca maggiore di tutte le Russie ora a difensore del mondo libero contro il dominio americano, ora ad alfiere dei valori dell’Occidente e della Cristianità contro il relativismo e l’immoralismo Lgbt.
In Italia, a essere state attivamente antiputiniane in questo ventennio sono state piccole minoranze intellettuali liberal-progressiste e liberal-conservatrici senza nessuna vera influenza politica. Non hanno toccato palla e hanno fatto per vent’anni la figura delle Cassandre sfigate, continuamente schernite dai realisti amici del Cremlino, che ancora pochi giorni prima dell’invasione di massa dell’Ucraina irridevano l’isteria degli allarmi americani e cianciavano di un fantomatico negoziato europeo.
Insomma, con il putinismo, presto o tardi (speriamo prestissimo), dovrà fare i conti la Russia. Ma, da subito, i conti bisogna iniziare a farli anche in Italia.
Si potrebbe partire dal lodo, per così dire, del silenzio: tutti quelli che hanno dichiarato eccessive, sbagliate e inique le sanzioni alla Russia dopo la prima fase dell’invasione dell’Ucraina del 2014, auspicandone o reclamandone il superamento, da adesso in poi stanno zitti, fino alla fine di Putin. Una fine auspicabilmente civile, da imputato al Tribunale penale internazionale dell’Aja, non la fine incivile e barbara che lui ha fatto fare da sempre ai suoi oppositori. La fine di Slobodan Milosevic, non quella di Anna Politkovskaja.
D’accordo Berlusconi, Prodi, Salvini, Conte, D’Alema, Di Maio, Meloni, Emiliano, Zaia… (l’elenco potrebbe lungamente continuare)? Fate tutti un bel silenzio bipartisan?
«Mai con…»: a sinistra si schifano tutti. Ma non era il regno dell’inclusione e della tolleranza? Michele Pezza sabato 23 Luglio 2022 su Il Secolo d'Italia.
Chi l’avrebbe mai detto: quelli che ci fracassano i timpani con la ineluttabilità della open society (non c’entra nulla George Soros), la società inclusiva, aperta e senza confini ora si fracassano la testa a colpi di veti, minacce e dispetti. Li sentite pure voi, no? Letta che dice «mai con Renzi», il quale aggiunge «mai con Conte», che a sua volta avverte «mai con Calenda», che per non essere da meno intima «mai con Di Maio». Benvenuti nella sinistra ex-post e neodraghiana, apoteosi della discriminazione, del rifiuto, del pregiudizio. Un allucinante babele politica che ove mai diventasse coalizione di governo ci riporterebbe di colpo ai tempi epici dell’Unione prodiana disintegrata in un amen dai distinguo dei vari Rossi, Turigliatto e Malavenda.
A sinistra impazzano veti e dispetti
Per sfortuna loro e per fortuna nostra (e dell’Italia) i sondaggi dicono altro. Ma l’abuso del «mai con…» è fenomeno interessante da osservare proprio perché impazza a sinistra, patria di elezione (almeno a chiacchiere) della virtù della tolleranza, dell’accoglienza e della fraternità. Baggianate. Le cronache politiche di questi giorni di introduzione alla campagna elettorale ci dimostrano quanto invece i suoi esponenti siano in realtà soprattutto arcigni custodi del proprio orticello. Ironia della sorte è stato proprio Mastella, il re degli ortolani, a sottolinearlo: «Così – ha avvertito – non andiamo da nessuna parte». Ha ragione: il problema esiste.
L’effetto-spocchia è un boomerang
D’altra parte, puoi inventarti tutti i fascismi della storia e della preistoria, ma quale credibilità potrebbe avere uno schieramento che va da Brunetta e Fratoianni, passando per Calenda e Speranza? Nessuna, evidentemente. Al confronto, la proposta di dare 1000 euro ad ogni pensionato e ad ogni casalinga già lanciata da Berlusconi ha quanto meno il pregio di dirottare l’attenzione dalle formule ai programmi. Ma tant’è: la sinistra è talmente inzuppata di spocchia, è talmente sicura di poter intortare tutti (o quasi) con le sue menate sull’agenda-Draghi da non rendersi conto del penoso teatrino che ha allestito in queste ore. Meglio così. Meglio, soprattutto, osservare in silenzio. E da lontano. Come diceva Napoleone: «Non interrompere mai il tuo nemico mentre sta facendo un errore». Perciò, zitti e mosca!
Crisi di governo, Mosca esulta: «Fuori un altro». New York Times: «Draghi è un titano». Il Cremlino spera ora di «ripristinare buoni rapporti» con l'Italia. Il Nyt riporta le preoccupazioni occidentali sulla possibilità che l'uscita di Draghi apra le porte in Italia a forze solidali con Putin. GIULIANO CAZZOLA su Il Quotidiano del Sus il 16 Luglio 2022.
Le foto pubblicate da Medvedev di Johnson e Draghi con accanto il punto interrogativo: chi sarà il prossimo premier che "salterà"?
A FESTEGGIARE le dimissioni (‘’in sonno’’ fino a mercoledì) del governo Draghi non sono stati soltanto i cinghiali, i gabbiani e i topi, preoccupati di non potersi procurare il cibo a buon mercato, qualora il Comune di Roma riuscisse a costruire un termovalorizzatore.
Probabilmente anche le associazioni più intransigenti dei tassinari (quelle più responsabili hanno sottoscritto accordi di convivenza con Uber) hanno sperato che, saltando anticipatamente la legislatura, non venisse approvato il ddl sulla concorrenza recante il contestato articolo 10.
SALONI DEL CREMLINO IN FESTA
Ma i toni più festosi sono risuonati nei saloni del Cremlino. Il primo ad esultare sui social è stato Dmitrij Medvedev, ex colomba divenuto implacabile falco del regime, che ha postato una foto del recente vertice dei leader del G7 con due vistose croci di colore rosso sulle effigi di Boris Johnson e di Mario Draghi, corredate da un punto di domanda maligna su chi sarà il prossimo (con la speranza che si tratti di Joe Biden, sconfitto alle elezioni di medio-termine).
Poi ieri ha preso una posizione ufficiale lo stesso Cremlino, augurandosi un superamento della crisi in Italia in grado di ripristinare buoni rapporti con la Federazione russa. D’altra parte, chi ha potuto seguire ieri mattina la rassegna della stampa internazionale si è accorto che sia i principali quotidiani europei che quelli americani hanno dato un gran rilievo al caso Italia.
L’agenzia Ansa ha riportato ampi brani di un articolo del New York Times che rappresentano adeguatamente le preoccupazioni presenti in tutte le Cancellerie del mondo occidentale. «Mario Draghi, da quando è entrato in carica come presidente del Consiglio all’inizio del 2021 – ha scritto il New York Times – ha guidato il Paese fuori dai giorni peggiori della pandemia di Covid e ha inserito nel governo tante persone altamente qualificate ed esperti che hanno scosso l’Italia dal suo malessere politico ed economico».
NYT: «DRAGHI UN TITANO»
Il quotidiano della Grande Mela definisce il premier un «titano d’Europa, spesso chiamato Super Mario per aver salvato l’euro da presidente della Banca centrale europea, ha immediatamente rafforzato la posizione internazionale dell’Italia e la fiducia degli investitori».
«La promessa della sua mano ferma al volante – prosegue il Nyt – ha aiutato l’Italia a ricevere più di 200 miliardi di euro dall’Europa, una somma che ha dato all’Italia le migliori possibilità di modernizzazione degli ultimi decenni. Draghi ha portato una crescita moderata in Italia, ha apportato riforme al suo sistema giudiziario e a quello fiscale, ha snellito la burocrazia e ha trovato diverse fonti di energia lontano dalla Russia, comprese le rinnovabili».
Durante il suo governo, aggiunge l’autorevole quotidiano, Draghi «ha reso fuori moda il populismo e la competenza un fattore da ammirare, e ha riposizionato l’Italia come forza affidabile per i valori democratici in Europa».
Poi, sempre secondo il quotidiano americano, «forse la cosa più cruciale fatta da Draghi è stata spingere l’Italia, che ha spesso mantenuto una relazione stretta e ambigua con la Russia, nel mainstream europeo sulle questioni del sostegno all’Ucraina e delle sanzioni contro la Russia».
Infine il Nyt ricorda che «l’Italia è stata la prima grande nazione occidentale a sostenere pubblicamente l’eventuale adesione dell’Ucraina all’Unione europea».
L’INCOGNITA “GIUSEPPI”
Ma il commento non si limita a parlare del passato prossimo; il Nyt ipotizza anche un futuro altrettanto prossimo, prevedendo che a questo punto che un’uscita di Draghi dal governo «aprirà le porte a forze che sono molto più solidali con Putin».
Che dire? C’era bisogno di varcare l’Oceano per leggere un’analisi di quanto sta succedendo in Italia? In queste ultime ore più o meno tutti gli osservatori hanno descritto la mossa di “Giuseppi’’ come un’avventura, una sorta di suicidio assistito, incomprensibile e controproducente per la stessa grama prospettiva di ciò che resta del M5S. Di Conte si è detto di tutto, fino a trattarlo come un poveretto che non capisce ciò che fa e si lascia trascinare dai sentimenti rancorosi dei primi “terrapiattisti’’ del movimento, i quali – l’applauso al Senato lo confermerebbe – si sentono finalmente liberi di tornare alle barricate contro il sistema.
Polonio, il cortigiano della reggia di Elsinore, invitava sempre a cercare una logica nella follia. Giuseppe Conte è pur sempre un personaggio che, provenendo dal nulla, è riuscito a diventare presidente del Consiglio in ben due governi sostenuti da maggioranze diverse. È stato in grado di accreditarsi a livello internazionale in breve tempo come non era mai riuscito a Matteo Renzi.
Dopo la caduta del suo secondo governo, il Pd di Nicola Zingaretti tentò in ogni modo di trovare una maggioranza – anche raccogliticcia – che gli consentisse di restare in sella, come possibile federatore di uno schieramento progressista. È stato il principale alleato di Enrico Letta nella costruzione del cosiddetto “campo largo” Nei giorni scorsi, quando ormai erano evidenti le intenzioni del M5S al Senato, Pierluigi Bersani ha sostenuto che Conte era stato disarcionato da una congiura di palazzo e che errori e limiti da parte dei grillini c’erano stati, ma che loro «hanno percepito ostilità o disprezzo ovunque si voltassero. Esiste un concetto che si chiama dignità: non è la fase in cui si sta attaccati alla sedia, ma la fase in cui c’è da difendere la dignità».
LE CHANCE DI CONTE
Le cronache, poi, hanno raccontato di un diverbio nell’ultima riunione del Consiglio dei ministri tra Andrea Orlando e Roberto Cingolani, da cui si potrebbe supporre che la sinistra del Pd sia accusata di aver lavorato per Conte. Col passare delle ore, però, alcuni passaggi che sembravano incomprensibili, si rivelano meditati.
Gli apprezzamenti del Cremlino non vi sarebbero mai stati se quel regime non riconoscesse a Conte di avere delle chance. Se proviamo a mettere insieme i pezzi del puzzle non possiamo non utilizzare ciò che ha dichiarato lo scorso 1° luglio Michele Santoro in una intervista a Il Foglio.
«La prima cosa da fare sarebbe liberarsi dall’incubo della variante Grillo – ha detto Santoro – Mettersela alle spalle. Chiudere con il grande comico inafferrabile, che a volte emerge dall’ombra per poi reimmergersi a seconda dei suoi sbalzi umorali. Questo periodo va chiuso. Altrimenti non si va avanti. La seconda cosa da fare sarebbe poi quella di uscire da questa coalizione di governo, perché è la condizione necessaria per poter svolgere un ruolo politico importante anche sulla questione della guerra. E intorno alla questione della guerra si può ricostruire un’offerta politica a sinistra. Ma Conte deve dimostrare che ci crede veramente. Non come ha fatto con la risoluzione sull’invio delle armi». Sono esattamente le cose che Conte ha eseguito.
La politica internazionale – dopo la guerra in Ucraina – è tornata a essere divisiva e a condizionare l’azione dei governi. Esistono le condizioni in Italia, nella prospettiva di un progressivo logoramento del quadro geopolitico, per la costruzione di un polo filo putiniano o comunque – come ha scritto il Nyt – per la discesa in campo di «forze che sono molto più solidali con Putin».
Conte sarebbe più credibile se conducesse una campagna elettorale “pacifista’’ e, soprattutto, potrebbe entrare in sintonia con forze potenti che si muovono e si muoveranno sempre più sullo scenario internazionale. Ma questi sono di converso i motivi che indurranno Mario Draghi a bere il calice amaro della permanenza al governo, sia pure in una condizione più logorata che difficile.
Il tweet di Navalny e l'attacco di Kiev: "L'amico di Putin fa cadere Draghi". Roberto Fabbri il 17 Luglio 2022 su Il Giornale.
Messaggio social di Vladimir Milov, braccio destro dell'oppositore russo. Il consigliere di Zelensky: "Non lasciamo che Mosca usi lo scontro politico per minare le democrazie e fermare l'invio di armi".
Mario Draghi è un capofila della dura - e soprattutto coesa, il che non era affatto scontato all'inizio - reazione europea all'aggressione russa all'Ucraina. Senza compromessi sulle sanzioni a Mosca, deciso in favore dell'ammissione di Kiev nell'Unione Europea e sull'invio delle armi necessarie al Paese attaccato per difendersi. Senza dimenticare il suo ruolo politico attivo e determinato per fissare un prezzo massimo per il gas. Tutte cose che il Cremlino non ha apprezzato. Nello scintillante palazzo del potere putiniano hanno ben presente che Draghi, con l'azione del suo governo, ha fatto piazza pulita di quel filorussianesimo più o meno sotterraneo che aveva caratterizzato le scelte dell'Italia nel passato, in particolare ai tempi del gialloverde «Conte I» in cui non ci si faceva problemi a esprimere simpatie e a stendere tappeti rossi reali e virtuali per dittatori euroasiatici.
Nel resto d'Europa e in America dove a differenza che da noi la partecipazione alla Nato e alla stessa Ue non viene vissuta da troppi sia a sinistra che a destra come un obbligo mal sopportato si percepisce più chiaramente la rilevanza del cambiamento di rotta che Draghi ha saputo imporre e che non si vuole veder svanire: un cambio di sentimento, prima ancora che di sostanza politica. Che pure c'è stata eccome, e basterebbe ricordare che su quel treno diretto a Kiev il mese scorso era stato il premier italiano a insistere con Emmanuel Macron e Olaf Scholz, argomentando lucidamente fino a persuaderli della necessità di esprimere una comune, concreta e inequivocabile posizione di sostegno a Kiev da parte delle tre principali potenze dell'Unione.
Ora, checché ne dicano al Cremlino e al ministero degli Esteri russo, le difficoltà politiche di Macron, del premier britannico Boris Johnson e adesso quelle di Draghi in Italia non vengono affatto vissute con il distaccato rispetto per gli affari interni altrui. Piuttosto, come ha fatto notare il ministro degli Esteri Di Maio, nei palazzi del potere di Mosca si brinda ad esse più che volentieri. E Di Maio (fresco di addio al mondo ambiguo dei Cinquestelle, che ben conosce e che secondo fonti dell'entourage di Joe Biden avrebbe goduto di finanziamenti russi in nero) non è il solo a notare la solare evidenza di ciò che ha definito l'offerta a Putin da parte di Giuseppe Conte della testa di Draghi su un piatto d'argento: il leader del M5S avrà certamente come priorità quella di salvare le fortune del suo partito in agonia, ma se appena si solleva lo sguardo dalle miserie dei tatticismi politici italiani giocati sulla tolda del Titanic, è impossibile non accorgersi del favore colossale che egli ha fatto a Vladimir Putin. Ed è legittimo chiedersi nell'interesse di chi, e su eventuale input di chi, abbia ritenuto di infliggere proprio adesso un tale danno al fronte occidentale.
In Russia e in Ucraina simili preoccupazioni vengono espresse più direttamente. Vladimir Milov, che vent'anni fa fu giovanissimo viceministro russo dell'Energia ai tempi della prima presidenza Putin per poi passare nei ranghi di Scelta Democratica con l'oppositore Aleksei Navalny, scrive secco e chiaro in un tweet che «l'amico di Putin Giuseppe Conte sta cercando di far cadere il governo di Mario Draghi in Italia». E da Kiev dove si è ben capito cosa ci sia realmente in ballo arriva l'accorato appello-denuncia di Mikhaylo Podolyak: «La tradizionale lotta politica interna nei Paesi occidentali non deve toccare l'unità su questioni fondamentali per il bene e per il male come la fornitura di armi all'Ucraina. Non possiamo permettere al Cremlino scrive il primo consigliere del presidente Volodymyr Zelensky di usare la competizione politica come arma per minare le democrazie».
Sebastiano Messina per “la Repubblica” il 18 luglio 2022.
Meno male che c'è il subcomandante Dibba. Perché mentre noi ce ne stiamo qui tranquilli a occuparci di banali faccenducole - governi che cadono, inflazione che galoppa e contagi che dilagano - Alessandro Di Battista viaggia senza sosta per «comprendere il mondo e raccontarlo».
Oddio, non tutto il mondo: in questo momento sta girando la Russia (uno dei pochi timbri mancanti sul suo passaporto, dove ci sono già quelli di Argentina, Panama, Nicaragua, Cile, Guatemala, Cuba, Costa Rica, Colombia, Belize, Ecuador, Iran, Bolivia e Paraguay). Raccontarci l'impero di Putin.
Impresa ammirevole, perché parliamo dello Stato più grande del pianeta, con 11 fusi orari diversi. E lui lo fa, generosamente, per conto di noi pigroni stanziali. Per farci conoscere «quello che pensano dall'altra parte». Rivelandoci una realtà sorprendente.
Per esempio, lui che era partito da Roma convinto che le sanzioni hanno fallito e che il popolo russo è con Putin, una volta a Mosca ha scoperto - e ce lo ha raccontato in un memorabile reportage - che le sanzioni hanno fallito e il popolo russo è con Putin. Ma siccome lui è un instancabile cercatore di verità, non si è fermato qui.
E senza farsi intimorire da quel regime che sbatte in cella chiunque osi mostrare in pubblico anche un cartello bianco senza alcuna scritta, l'esploratore Di Battista ha trovato le prove che «le sanzioni hanno messo d'accordo persone che prima non lo erano affatto», e che «più ci si allontana da Mosca più aumentano i supporter di Putin».
Così lui è andato il più lontano possibile. Ieri è arrivato a Irkutsk, una delle più grandi città della Siberia: la terra del gelo dove prima gli zar e poi Stalin deportarono milioni di polacchi, ceceni, caraci, ingusci, balcari, tedeschi e cabardi, e dove oggi finiscono gli ucraini trascinati via dal Donbass. Ma non sono loro, quelli che lui sta cercando a Irkutsk, dove l'Unione Sovietica sembra sopravvivere surgelata nei palazzi staliniani.
No, lui cerca qualcosa di più importante. Se a Mosca le sanzioni hanno messo d'accordo gli avversari di prima, avrà pensato lui che conosce il mondo, qui che siamo a cinquemila chilometri devono essere accaduti miracoli. Lui, ne siamo sicuri, li scoprirà presto. E li rivelerà a noi uomini di poca fede: nella prossima puntata del Dibba Tour.
Da Pechino a Caracas, i flirt grillini col "nemico". Francesco Maria Del Vigo il 17 Luglio 2022 su Il Giornale.
I grillini flirtano con i putiniani e venerano lo zar? C'è poco da stupirsi.
I grillini flirtano con i putiniani e venerano lo zar? C'è poco da stupirsi. Nulla di nuovo sotto il cielo stellato di un Movimento che, fin dai suoi albori, ha sempre subito l'irresistibile fascino delle dittature e delle autocrazie. Non c'è niente da fare, loro, di fronte alle limitazioni delle libertà personali, a regimi e regimetti, dittatori e presunti tali, si sciolgono. Da Chavez a Morales, dalla Cina di Xi agli ayatollah iraniani. E, giusto per non farsi mancare nulla, hanno anche strizzato l'occhio ai terroristi islamici.
Il numero uno delle sbandate è Di Battista, che è un po' come il compagno di classe del Liceo che s'innamora sempre delle ragazze sbagliate. Nel 2014, sul blog di Grillo, si sdilinquisce per gli jihadisti mozza teste e suggerisce di trattare con loro e «smetterla di considerarli come disumani».
Ineffabile.
L'anno dopo il Che Guevara di Roma Nord organizza un convegno a Montecitorio in cui si esaltano i regimi chiavisti. Nel 2017 una delegazione grillina (della quale fanno parte Manlio Di Stefano e Vito Petrocelli) vola in Venezuela per le commemorazioni dei quattro anni dalla scomparsa di Chavez. I rapporti tra Caracas e i pentastellati sono così stretti che nel 2020 il quotidiano spagnolo Abc pubblica una indiscrezione secondo la quale il Movimento, nel 2010, avrebbe ricevuto dal regime un finanziamento da 3,5 milioni di euro. Tutto assolutamente smentito da Casaleggio. Ma tutto altamente verosimile. D'altronde Maduro spendeva elogi per il partito dell'ex comico, ritenendolo «promotore di un movimento di sinistra, rivoluzionario e anticapitalista nella Repubblica italiana». Tutto torna, i compagni della decrescita (in)felice, l'asse internazionale rosso di chi detesta la finanza, pensa che il capitalismo sia solo predatorio e idolatra lo stato e lo statalismo è ben saldo.
Ma le liaisons dangereuses con i «cattivi» non finiscono qui. Storica l'intervista di Beppe Grillo a un giornale israeliano, nel 2012, nella quale difende il modello Ahmadinejad in base alle testimonianze del suocero e del cugino (che sono iraniani). Mitologici i reportage dell'immarcescibile Di Battista che, inviato in una iperuranica Persia felix, descrive Teheran come la capitale mondiale della sicurezza e del benessere. D'altronde ha avuto un'impressione molto simile anche in Russia, da dove ha inviato i suoi più recenti articoli. Ultima, ma non per importanza, la corrispondenza di amorosi sensi con la Cina di Xi Jinping, che ha portato, durante il primo governo Conte, alla celeberrima Via della Seta. Ora tocca alla Russia di Vladimir Putin. Ma - ne siamo certi - appena salterà fuori un nuovo autocrate, loro saranno già lì, pronti ad adularlo e a farsi manovrare.
Roberto Fabbri per il Giornale il 16 luglio 2022.
Perfettamente indifferenti ai massacri di civili ucraini perpetrati dalla loro «operazione speciale» (guai a chiamarla guerra: Vladimir Putin non gradisce, dunque è galera immediata per chi si azzarda, ma sotto le bombe si muore lo stesso), ai piani alti di Mosca se la ridono. E ridono di noi italiani, purtroppo.
Ridono delle pene in cui si dibatte il nostro premier, spinto a un passo dal gettare definitivamente la spugna dalla inqualificabile iniziativa del suo predecessore, che pur di recuperare (ed è tutt' altro che detto) qualche punticino nei sondaggi elettorali non esita a mettere a repentaglio non solo il prezioso e faticoso lavoro di questo governo d'emergenza assoluta, ma l'immagine e il ruolo stesso del nostro Paese sulla scena internazionale.
A Mosca se la godono un mondo a vedere Mario Draghi, l'uomo che ha restituito all'Italia stabilità, credibilità e una inequivocabile posizione atlantista così sgradite a Putin, alle prese con le beghe di un partito di dilettanti allo sbando, con i ricatti di un leader mediocre e incapace di indicare una linea coerente che non sia appunto quella di distruggere con i più vari pretesti quella stabilità, quella credibilità e quell'atlantismo.
E mentre si ascolta la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova augurarsi fin d'ora che il prossimo governo italiano sia finalmente meno asservito agli interessi degli Stati Uniti, non si può fare a meno di farsi qualche preoccupata domanda, rileggendo le pagine di un'autrice informata come Catherine Belton in Gli uomini di Putin, in cui si ricorda citando fonti americane come il Movimento Cinque Stelle fosse incluso nella lista dei partiti europei anti sistema che la Russia sosterrebbe con fondi neri.
Senza dimenticare la «passione cinese» della leadership pentastellata culminata nella misteriosa visita di Beppe Grillo nel giugno dell'anno scorso all'ambasciata cinese a Roma a cui un imbarazzato Giuseppe Conte aveva preferito, all'ultimo momento, non partecipare.
Che sia vero (come sostenne apertis verbis Giorgia Meloni) o falso che il M5S sia la quinta colonna della Cina e forse anche della Russia di Putin che con la Cina va a braccetto in Italia, rimane il fatto che a Mosca l'iniziativa di quel partito che ha quasi disarcionato Mario Draghi è piaciuta tantissimo.
L'eterno numero due di Putin Dmitry Medvedev, che già gli aveva dato rozzamente del mangiaspaghetti per aver partecipato con gli omologhi francese e tedesco a una visita ufficiale a Kiev per esprimere sostegno all'Ucraina, non aveva perso tempo due giorni fa a chiedersi beffardo sui social chi sarebbe stato il prossimo leader occidentale a seguire la strada del declino già imboccata da Boris Johnson e Mario Draghi.
Poi è arrivata, immancabile, la Zakharova. La quale, con il suo innato senso del rispetto per chi non la pensa come Cremlino comanda, ha detto papale papale del nostro ministro degli Esteri che «non capisce niente di ciò di cui si occupa».
Luigi Di Maio si era permesso di osservare (cosa in cui è finalmente diventato bravissimo) un'evidenza, e cioè che Conte ha offerto a Putin su un vassoio d'argento la testa di Draghi e che a Mosca si brinda per le sue dimissioni. Ma la portavoce di Sergei Lavrov (che invece è un maestro nel nasconderle, le evidenze, e la lista è chilometrica) pretende che questa ovvietà sia un'invenzione della Farnesina. Al Cremlino avrebbero invece ben chiaro che si tratti di un affare interno italiano, «limitandosi» ad auspicare che il nostro prossimo governo prenda finalmente le distanze da Washington: il che poi significa che dovremmo rompere l'unità della Nato come il suo boss tanto gradirebbe. Alla faccia del limitarsi.
A completare la trinità dei commenti dei vertici russi è arrivato il più vicino di tutti a Putin, ovvero il suo portavoce Dmitry Peshkov. Anche per lui, il destino di Draghi è affare interno italiano. Chiaro il messaggio sottinteso: non siamo i mandanti di niente e di nessuno.
Dagospia il 21 luglio 2022. CHE COINCIDENZA: IL GIORNO DOPO LA CADUTA DI DRAGHI PER MANO DEI FILO-PUTINIANI SALVINI, BERLUSCONI E CONTE, LE FORNITURE DI GAS RUSSO ALL’ITALIA AUMENTANO DEL 71% - IACOBONI: “PUTIN STA GIOCANDO AL GATTO COL TOPO CON LA POLITICA ITALIANA” – DI MAIO SULLA STESSA LINEA DI CALENDA: “NON È UN CASO CHE IL GOVERNO SIA STATO BUTTATO GIÙ DA DUE FORZE POLITICHE CHE STRIZZANO L’OCCHIOLINO AL PRESIDENTE RUSSO”
Tornano a aumentare le forniture di gas di Gazprom all'Italia, +71% rispetto al giorno precedente.
(da 21 a 36 milioni di metri cubi)
Putin sta giocando al gatto col topo con la politica italiana
— jacopo iacoboni (@jacopo_iacoboni) July 21, 2022
(ANSA il 21 luglio 2022) - "Non è un caso che il governo sia stato buttato giù da due forze politiche che strizzano l'occhiolino a Vladimir Putin". Lo ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, leader di Ipf.
Le forniture di gas russo attraverso il Nord Stream 1, riaperto stamane, sono arrivate al livello del 40%, come prima che il gasdotto fosse chiuso per manutenzione, l'11 luglio scorso.
Lo riferisce la Tass citando il consorzio Nord Stream AG. Il gasdotto ha riaperto come previsto alle 07.00 ora di Mosca (le 06.00 ora italiana). Secondo l'operatore ucraino per il trasporto del gas Ogtsu, continuano anche le forniture della Gazprom attraverso l'Ucraina, che oggi dovrebbero arrivare a 42,4 milioni di metri cubi.
Tornano ad aumentare le forniture del gas dalla Russia verso l'Italia, con una crescita rispetto al giorno precedente del 71,4%. A comunicare il cambiamento del flusso è l'Eni sul proprio sito.
"Gazprom ha comunicato per la giornata di oggi la consegna di volumi di gas pari a circa 36 milioni di metri cubi, a fronte di consegne giornaliere pari a circa 21 milioni di metri cubi effettuate nei giorni scorsi - afferma la società energetica italiana - Eni si riserva di comunicare eventuali aggiornamenti nel caso in cui vi fossero ulteriori variazioni significative nelle quantità in consegna comunicate da Gazprom".
Carlo Nordio, interferenza russa sulla crisi? "Inorridito da Berlusconi e Salvini". Libero Quotidiano il 22 luglio 2022
Clamoroso (e inatteso) strappo di Carlo Nordio con il centrodestra di governo. Il magistrato, ospite della War Room di Enrico Cisnetto, riflette sulla crisi di governo che ha portato alla caduta di Mario Draghi e ai sospetti, avanzati soprattutto da sinistra, di "interferenza russa" in quanto accaduto negli ultimi 2 giorni in Parlamento. "Non abbiamo prove - premette Nordio - ma le coincidenze sono diventate indizi gravi, precisi e concordanti". Parole clamorose, per diversi motivi. Primo fra tutti, perché Nordio è considerato dai retroscenisti e commentatori della politica italiana molto vicino a Fratelli d'Italia, il partito che da mesi chiede agli alleati Lega e Forza Italia di togliere la fiducia al governo di unità nazionale. Secondo, proprio Nordio è stato inserito da vari indiscreti nel novero del toto-ministri del possibile, futuro governo di Giorgia Meloni, favorita per Palazzo Chigi con l'appoggio (più o meno lieto) di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi.
"Sono rimasto inorridito dalle parole di Berlusconi e Salvini che rappresentavano una sorta di endorsement a Putin. L'aggressione russa all'Ucraina è folle, criminale e ingiustificata, e sarebbe inammissibile un governo che non sostenesse, in politica estera, la linea di Draghi, ovvero un sostegno all'Ucraina senza se e senza ma", incalza Nordio, il "ministro della Giustizia" in pectore di un "governo Meloni".
Si intrecciano di nuovo, dunque, le pulsioni anti-guerra e la realpolitik di governo. Peraltro, va detto per non generarle ulteriori equivoci, Fratelli d'Italia si è subito schierata senza se e senza ma con la fornitura di armi italiane a Kiev in una chiave pienamente atlantica e filo-Nato. Un problema che, probabilmente, si potrebbe riproporre anche nel caso il centrodestra andrà al governo.
«Non capisco Berlusconi. La fine di questo esecutivo è opera del putinismo». Intervista a un ex "colonnello" del Cavaliere, che critica la scelta di far cadere il Governo Draghi. «Silvio ha perso l'occasione per riaffermarsi come leader politico moderato». Giacomo Puletti su Il Dubbio il 22 luglio 2022.
Fabrizio Cicchitto, ex colonnello berlusconiano e presidente di Riformismo& Libertà, giudica «incomprensibile» la scelta di Forza Italia di non votare la fiducia a Draghi, spiega che «un’area di centro draghista come ispirazione si può formare, anche a causa della incredibile perdita di peso per l’Italia dopo questo disastro» e sulla fine del campo largo è netto: «la razionalità vorrebbe che l’alleanza Pd- M5S sia ormai tramontata, ma tra la razionalità e la realtà, purtroppo, spesso c’è differenza».
Presidente Cicchitto, che idea si è fatto della crisi di governo?
Abbiamo assistito a un atto di assoluta follia, irrazionalità e nichilismo. In questo momento gravano una serie di questioni già di per sé terribili: la pandemia non si è risolta, la guerra è tuttora in corso, ci sono inflazione e il rischio recessione. Per questo Draghi garantiva a tutti, destra, centro e sinistra, una guida forte e sicura. E in più era un ombrello per l’Italia, nel senso che le condizioni del debito pubblico e della scarsa qualità della classe dirigente sono chiare a tutta l’Europa, che a s