Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

NOTA BENE

NESSUN EDITORE VUOL PUBBLICARE I  MIEI LIBRI, COMPRESO AMAZON, LULU E STREETLIB

SOSTIENI UNA VOCE VERAMENTE LIBERA CHE DELLA CRONACA, IN CONTRADDITTORIO, FA STORIA

NOTA BENE PER IL DIRITTO D'AUTORE

 

NOTA LEGALE: USO LEGITTIMO DI MATERIALE ALTRUI PER IL CONTRADDITTORIO

LA SOMMA, CON CAUSALE SOSTEGNO, VA VERSATA CON:

SCEGLI IL LIBRO

80x80 PRESENTAZIONE SU GOOGLE LIBRI

presidente@controtuttelemafie.it

workstation_office_chair_spinning_md_wht.gif (13581 bytes) Via Piave, 127, 74020 Avetrana (Ta)3289163996ne2.gif (8525 bytes)business_fax_machine_output_receiving_md_wht.gif (5668 bytes) 0999708396

INCHIESTE VIDEO YOUTUBE: CONTROTUTTELEMAFIE - MALAGIUSTIZIA  - TELEWEBITALIA

FACEBOOK: (personale) ANTONIO GIANGRANDE

(gruppi) ASSOCIAZIONE CONTRO TUTTE LE MAFIE - TELE WEB ITALIA -

ABOLIZIONE DEI CONCORSI TRUCCATI E LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI

(pagine) GIANGRANDE LIBRI

WEB TV: TELE WEB ITALIA

108x36 NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA

 

 

 

 

   

L’ITALIA ALLO SPECCHIO

IL DNA DEGLI ITALIANI

 

ANNO 2022

IL TERRITORIO

SECONDA PARTE

 

 

  

DI ANTONIO GIANGRANDE

 

 

 

 

L’APOTEOSI

DI UN POPOLO DIFETTATO

 

Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2022, consequenziale a quello del 2021. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.

Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.

 

IL GOVERNO

 

UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.

UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.

LA SOLITA ITALIOPOLI.

SOLITA LADRONIA.

SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.

SOLITA APPALTOPOLI.

SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.

ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.

SOLITO SPRECOPOLI.

SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.

 

L’AMMINISTRAZIONE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.

IL COGLIONAVIRUS.

SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.

 

L’ACCOGLIENZA

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA.

SOLITI PROFUGHI E FOIBE.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.

 

GLI STATISTI

 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.

 

I PARTITI

 

SOLITI 5 STELLE… CADENTI.

SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.

SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.

IL SOLITO AMICO TERRORISTA.

1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.

 

LA GIUSTIZIA

 

SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.

LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.

LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.

SOLITO DELITTO DI PERUGIA.

SOLITA ABUSOPOLI.

SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.

SOLITA GIUSTIZIOPOLI.

SOLITA MANETTOPOLI.

SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.

I SOLITI MISTERI ITALIANI.

BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.

 

LA MAFIOSITA’

 

SOLITA MAFIOPOLI.

SOLITE MAFIE IN ITALIA.

SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.

SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.

SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.

LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.

SOLITA CASTOPOLI.

LA SOLITA MASSONERIOPOLI.

CONTRO TUTTE LE MAFIE.

 

LA CULTURA ED I MEDIA

 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI.

SOLITO SANREMO.

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.

 

LA SOCIETA’

 

AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.

I MORTI FAMOSI.

ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.

MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?

 

L’AMBIENTE

 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI.

SOLITO ANIMALOPOLI.

IL SOLITO TERREMOTO E…

IL SOLITO AMBIENTOPOLI.

 

IL TERRITORIO

 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.

SOLITA SIENA.

SOLITA SARDEGNA.

SOLITE MARCHE.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO.

SOLITO ABRUZZO.

SOLITO MOLISE.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.

SOLITA BARI.

SOLITA FOGGIA.

SOLITA TARANTO.

SOLITA BRINDISI.

SOLITA LECCE.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.

 

LE RELIGIONI

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.

 

FEMMINE E LGBTI

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.

 

 

  

 

 

IL TERRITORIO

PRIMA PARTE

 

 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE. (Ho scritto un saggio dedicato)

Succede nel Trentino Alto Adige.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA. (Ho scritto un saggio dedicato)

Succede in Friuli Venezia Giulia. 

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Succede in Veneto.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA. (Ho scritto un saggio dedicato)

Succede in Lombardia.

Succede a Milano.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA. (Ho scritto un saggio dedicato)

Succede a Torino.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA. (Ho scritto un saggio dedicato)

Succede in Liguria.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA. (Ho scritto dei saggi dedicati)

Succede in Emilia Romagna.

Succede a Parma.

È morto Calisto Tanzi.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA. (Ho scritto un saggio dedicato)

Succede in Toscana.

SOLITA SIENA. (Ho scritto un saggio dedicato)

Succede a Siena.

SOLITA SARDEGNA. (Ho scritto un saggio dedicato)

Succede in Sardegna.

SOLITE MARCHE. (Ho scritto un saggio dedicato)

Succede nelle Marche.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA. (Ho scritto un saggio dedicato)

Succede in Umbria.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Succede nel Lazio.

Succede a Roma.

 

SECONDA PARTE

 

SOLITO ABRUZZO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Succede in Abruzzo.

SOLITO MOLISE. (Ho scritto un saggio dedicato)

Succede in Molise.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA. (Ho scritto un saggio dedicato)

Succede in Campania. 

Succede a Napoli.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA. (Ho scritto un saggio dedicato)

Succede in Basilicata.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA. (Ho scritto un saggio dedicato)

Succede in Calabria.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA. (Ho scritto un saggio dedicato)

Succede in Sicilia.

 

TERZA PARTE

 

SOLITA BARI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Succede in Puglia.

Succede a Bari.

La Banca Popolare di Bari. La mia banca è differente…Jacobini story.

SOLITA FOGGIA. (Ho scritto un saggio dedicato)

Succede a Foggia.

SOLITA TARANTO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Succede a Taranto.

Succede a Manduria.

Succede a Maruggio. 

Succede ad Avetrana.

SOLITA BRINDISI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Succede a Brindisi.

SOLITA LECCE. (Ho scritto un saggio dedicato)

Il Tarantismo.

Succede a Lecce.

 

 

 

 IL TERRITORIO

SECONDA PARTE

 

SOLITO ABRUZZO. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        Succede in Abruzzo.

Abruzzo, tra i monti per scorgere il gigante che dorme. Angela Leucci il 3 Gennaio 2022 su Il Giornale. Il gigante che dorme, la ninfa Maja e la bella addormentata: fiabe d'Abruzzo per descrivere la bellezza del Gran Sasso e della Majella. In Abruzzo i massicci del Gran Sasso e della Majella non sono solo monti maestosi. Rappresentano infatti un patrimonio che viene tutelato, mete turistiche di gran pregio ma anche simboli, che raccontano storie colme di sentimenti e pathos.

Una delle storie in questione racconta d’amore, quello di una madre per suo figlio, per sempre insieme come montagne che guardano nella stessa direzione le nuvole, distanti ma per sempre legate alla stessa terra. È questa la bellezza della leggenda del “gigante che dorme". 

Se si guarda il profilo del Corno Grande nel Gran Sasso, sembra quasi di scorgere quello di un gigante addormentato per sempre.

L’origine di questa credenza ha un substrato nella mitologia greca. Ermes, il messaggero degli dei, era figlio di Zeus e della ninfa Maja, la più bella delle Pleiadi. Dopo aver parteggiato per gli dei durante la Gigantomachia, Ermes venne ferito nella battaglia di Flegra. Dopo aver interrogato un oracolo sul da farsi, Maja prese Ermes e fuggì dalla Frigia, navigando fino a giungere a Ortona a seguito di un naufragio. 

Maja scalò il Gran Sasso con Ermes ferito, e madre figlio si rifugiarono in una caverna. Ma lì la vita abbandonò per sempre il messaggero degli dei, lasciando una madre con il proprio dolore inestinguibile: Maja vagò a lungo tra le montagne dell’Appennino abruzzese. Il figlio fu seppellito appunto nel Corno Grande, mentre, dopo aver pianto tutte le sue lacrime, spirò anche lei e venne seppellita sulla Majella, nel monte Amaro, che si chiamerebbe così per ricordare l’amarezza di una madre addolorata. 

Fuori dalla leggenda, il Gran Sasso è il più alto massiccio della catena montuosa appenninica ed è compreso nelle province di Teramo, Pescara e L’Aquila. Le sue cime vanno da un’altezza di oltre 1.300 a poco meno di 3.000 metri sul livello del mare. La Majella invece, compresa tra le province di Pescara, Chieti e L’Aquila presenta cime che vanno da oltre 1100 metri a quasi 2800 metri sul livello del mare.

Ma i freddi numeri non possono illustrare al meglio la suggestione che questo territorio emana. Una suggestione che si è tramutata nel tempo in altre leggende, come quella de la “Bella Addormentata”, che si riferisce ancora una volta al profilo del Gran Sasso.

Secondo una differente vulgata sulle leggende montane d'Abruzzo, si racconta di una fanciulla bionda amata da un coetaneo. I due si incontravano di nascosto, finché lui non perse interesse e smise di andarla a trovare per coprirla di baci. Allora la fanciulla, consapevole che un’incantesimo avrebbe fatto tornare da lei l’amato, cercò un fiorellino d’argento tra i monti e lo conservò nel petto. Mentre lo faceva, la passione si riaccese nell’amato, ma al tempo stesso un genio cattivo la vide e la catturò, tenendola prigioniera nella sua caverna in una montagna.

Il giovane cercò quindi la fanciulla, ma trovò alla fine solo il genio, che lo uccise squarciandone il petto. Alla notizia di quella morte, la fanciulla morì di crepacuore e fu sepolta tra i monti: nel luogo della sua sepoltura, i pastori d'Abruzzo raccontano di una fioritura speciale, quella di tanti fiorellini d’argento.

Angela Leucci. Giornalista, ex bibliotecaria, filologa romanza, esperta di brachigrafia medievale e di cinema.

L'Aquila, incidente all'asilo: un'auto uccide un bambino. Giallo sul freno a mano. Alfio Sciacca su Il Corriere della Sera il 19 Maggio 2022.

Incidente a L'Aquila: un'auto che era parcheggiata sfonda il cancello di un asilo e travolge sei bambini, uccidendone uno e ferendone cinque. La vittima aveva 4 anni. 

Quel macchinone li ha travolti mentre giocavano tra scivoli e giostrine dentro l’asilo. Tutti bambini tra i quattro e i cinque anni che forse non hanno avuto nemmeno il tempo di accorgersi del pericolo. 

In una manciata di secondi l’auto, una Volkswagen Passat station wagon, era già all’interno del cortile, solo in parte frenata da un’inferriata esterna. 

Sei bambini sono stati travolti e per uno di loro, Tommaso, non c’è stato nulla da fare. Aveva 4 anni. 

Anche altre due bambine, sempre di 4 anni, sono ricoverate al «Gemelli» di Roma. Una ha una frattura all’osso temporale, è stabile e respira spontaneamente, ma è in prognosi riservata. L’altra è in condizioni non gravi, come confermato da una Tac. Un altro piccolo è al «Bambin Gesù» con un trauma toracico e prognosi riservata. Due gemellini invece sono sotto osservazione a L’Aquila. 

L’auto impazzita non aveva nessuno alla guida. Era di una mamma appena scesa per andare a prendere il figlio che frequenta lo stesso asilo: il «Primo maggio», che fa parte dell’istituto comprensivo Mazzini a Pile, frazione de L’Aquila. 

L’auto era stata parcheggiata in un rampa in discesa, all’interno dello stesso istituto. A un certo punto, per cause che non è stato ancora possibile accertare, si è sbloccato il freno a mano e la Passat ha preso velocità per i circa venti metri della discesa, travolgendo la recinzione esterna e piombando sui bambini. 

A bordo dell’auto era rimasto un altro figlio della donna di 11 anni. E ciò ha fatto ipotizzare che sia stato lui a sbloccare il freno a mano, facendo scivolare l’auto per la discesa. Un particolare che al momento non viene confermato dagli uomini della Squadra mobile che coordinano le indagini. 

In pochi minuti attorno all’asilo è scoppiato il panico tra le urla dei bambini e genitori terrorizzati. «Sembrava un girone dantesco — racconta un papà —, ambulanze, sirene e tutti quei bimbi in lacrime, con gli insegnanti che cercavano di calmarli». 

I vigili del fuoco hanno dovuto lavorare per liberare alcuni dei piccoli incastrati tra il frontale dell’auto e la recinzione. «Ho visto un bimbo sotto le ruote dell’auto» dice una maestra. Mentre una mamma racconta che la figlia si è salvata «perché in quel momento era dentro la casetta in plastica in cortile». 

Sul posto anche la dirigente del comprensivo Mazzini Monia Lai, sotto choc: «Non ho nulla da dire, per ora ho delle famiglie da supportare». 

«Tommaso era dolcissimo — racconta una mamma —, ho ancora davanti l’immagine di lui e mia figlia che escono insieme dall’asilo abbracciati e sorridenti». 

Gli inquirenti hanno ascoltato i primi testimoni e in serata negli uffici della Mobile è stata convocata, alla presenza di un legale, la proprietaria dell’auto e il figlio. La donna è ora indagata per omicidio stradale. 

«Mi stringo al dolore delle famiglie» dice il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, mentre il sindaco de L’Aquila ha interrotto la campagna elettorale per le amministrative. «Non riesco a trovare le parole — dice Pierluigi Biondi — per esprimere tutto il mio dolore».

Aquila, la tragedia all’asilo e le parole dell’11enne sull’auto: «La macchina è partita, non so perché. Mi fa male la testa». Virginia Piccolillo su Il Corriere della Sera il 20 Maggio 2022.

Oggi nuovi accertamenti. Il commento del papà della vittima dell’incidente: «Non portiamo rancore. Né a quella donna, né al bambino che era nella macchina. Ci rendiamo conto che è una tragedia per tutti». 

«Non ho toccato quel pulsante. Non sono stato io a togliere il freno a mano. La macchina è partita. Ma non lo so perché. Ho provato a fare qualche cosa. Ma non mi ricordo. Mi fa male la testa». Gli accertamenti sull’incidente nell’asilo «Primo Maggio» dell’Aquila, dove mercoledì un bambino di 4 anni è morto e altri cinque sono stati travolti, ripartono dal racconto confuso di un altro bambino, di undici anni e mezzo, ancora sotto choc al centro di un’inchiesta in cui la madre è indagata per omicidio stradale. E da un giallo: perché il freno a mano non ha funzionato? 

«Non portiamo rancore. Né a quella donna, né al bambino che era nella macchina. Ci rendiamo conto che è una tragedia per tutti» dice attraverso il suo avvocato, Tommaso Colella, il papà della vittima, Patrizio D’Agostino. 

Si commuove a quel perdono a distanza la proprietaria dell’auto fuori controllo: «Sono parole bellissime. Ci aiutano in questi momenti terribili in cui siamo tutti distrutti. Un po’ ci sollevano. Ringrazio tanto il papà e la mamma di Tommaso. Il nostro pensiero è sempre a loro. La loro tragedia e anche la nostra. Vorremmo tanto che non fosse mai accaduto», dice attraverso il suo legale Francesco Valentini che ancora non ha ricevuto alcuna convocazione per l’interrogatorio della donna, una casalinga di 38 anni di origini bulgare come il marito, da molto tempo integrata in città.

Stamattina ci saranno nuovi accertamenti nella scuola dove molti portano fiori bianchi e bigliettini dedicati al piccolo Tommaso «volato in cielo». Si cercherà di ricostruire quella manciata di minuti, forse solo secondi, di panico puro nei quali si è consumato il dramma di questo ragazzino, rimasto a bordo della Volkswagen Passat mentre la madre andava a prendere le due sorelline all’asilo.

La proprietaria dell’auto ha riferito al difensore anche quello che il figlio maggiore ha tentato di spiegare allo psicologo che lo ha ascoltato per conto della procura mercoledì sera. E ciò che lei, appena arrivata al parco giochi ha visto con i suoi occhi: l’auto che veniva giù senza controllo dalla rampa troppo breve per concedere il tempo di una sterzata, che l’undicenne è convinto di aver tentato prima di cercare di scappare dal finestrino, ma finiva contro la recinzione e verso i piccoli, dando anche un forte colpo alla testa. «Ho cercato di fermarla. Con le mani. Ma non ce l’ho fatta», ripete. Mentre l’avvocato smentisce la frase attribuita al ragazzo: «L’ho ucciso io quel bambino». «Non l’ha mai detta», assicura.

Anche la madre è ancora sconvolta. «Non me l’aspettavo. Sono tanto dispiaciuta per quel bambino e per tutti gli altri, per le mamme, per le famiglie. Chiedo scusa a tutti», manda a dire. Ma non riesce ad essere più sicura di niente. La marcia sì, l’aveva ingranata. E forse il ragazzo potrebbe avere incidentalmente colpito il cambio mettendola in folle. Ma il pulsante del freno automatico la donna non ricorda se l’ha innescato o no. Una perizia della procura dovrà verificarlo nella memoria del dispositivo.

La procura dell’Aquila vuole accertare anche se ci siano responsabilità della scuola sulla tragedia. Quel cancelletto era stato montato da poco per evitare la fuga dei bimbi. Non era fissato a un muretto. La preside del plesso scolastico, Monia Lai, è stata ascoltata dagli inquirenti, per analizzare se sono state prese tutte le precauzioni necessarie. L’ingresso della scuola è su una strada stretta che non consente la fermata. Le mamme quindi per prendere i bimbi parcheggiavano nel cortile interno. «Io l’ho parcheggiata in piano non in discesa», ripete la trentottenne che deve fronteggiare anche il dramma delle due gemelline più piccole che hanno assistito alla tragedia. Ascoltate anche maestre, dipendenti e mamme presenti in quel momento.

Migliorano intanto le condizioni degli altri bimbi feriti. È uscito dalla terapia intensiva chirurgica quello ricoverato al Bambin Gesù con un trauma toracico. Restano gravi quelle di una delle due piccole ricoverate al Gemelli.

«Ho sentito le urla e mi sono precipitato subito a dare aiuto — racconta al Corriere Enrico, che abita a fianco dell’asilo —. I Vigili del Fuoco sono arrivati immediatamente. Anche un gruppo di universitari. Abbiamo sollevato l’auto. C’erano un maschietto e una femminuccia. Sentivamo i lamenti. Li hanno soccorsi subito. Ma per il bambino non c’è stato niente da fare. Non ho dormito tutta la notte. Avrei voluto fare di più».

Intanto si lavora alla serenità degli altri bimbi. Il sindaco Pierluigi Biondi ha annunciato che in quell’asilo non torneranno, saranno trasferiti in una struttura del post-sisma.

Al piccolo Tommaso, cui oggi si cercherà di evitare l’autopsia, il Senato ha dedicato un minuto di silenzio.

Da corriere.it il 20 maggio 2022.

«Non ci sposiamo oggi. La cerimonia era fissata per luglio. Tommaso non c’è e non ci sarà nessun matrimonio». 

È distrutta, affranta, Alessia Angeloni, la madre del bambino morto nel tragico incidente dell’asilo dell’Aquila, e del quale domani pomeriggio saranno celebrati i funerali: proprio in quella Basilica di Collemaggio dove la mamma e il papà avrebbero dovuto sposarsi. 

Ma è soprattutto esausta, esasperata, dalle bugie che stanno dicendo sulla sua famiglia e dalle telecamere che la inseguono fin sotto casa.

«È un dolore privato, sovrumano, al di sopra di ogni sopportazione. Vogliamo viverlo per conto nostro, con le persone che ci vogliono bene. E invece ci troviamo esposti. Quello che stanno facendo è osceno. Quasi pornografia», si sfoga. 

Si conoscono da sempre, lei e Patrizio. I palazzi in cui vivevano erano uno di fronte all’altro. Lo stesso carattere dolce, buono, estroverso. Da anni erano insieme.Tommaso era stato una scelta. Volevano avere un figlio. «E quando era arrivato era stato la gioia più grande. Immensa».

Poi era venuta la voglia di sposarsi. Era tutto preparato. Sarebbe dovuto avvenire il 3 luglio. Ma ora no. Non più. 

«Abbiamo bisogno di elaborare. Di renderci conto di ciò che è avvenuto. Abbiamo bisogno di silenzio intorno a noi. Chiedo a tutti di lasciarci in pace». 

Indignano Alessia anche i tentativi di braccarli attraverso gli amici. «Si è scatenata una caccia su Facebook. A ognuno dei nostri contatti chiedono il mio numero di telefono. Mi sento oggetto di una “caccia alla volpe” orrenda. Non ci si fa a sopportare tutto questo».

La solidarietà e l’affetto che gli è giunta da tutti da Italia li conforta. «Sentiamo l’afflato di tante persone che soffrono con noi. Questo ci fa bene. È quello che è accaduto anche quando c’è stato il terremoto. Aiuta. Ma poi si resta soli e si deve trovare la forza», manda a dire al Corriere, attraverso la prozia Giusy Fonzi.

A lei i bambini piacciono molto. È maestra d’asilo in una scuola diversa da quella che frequentava il piccolo Tommaso. Il papà invece lavora in una catena di negozi di casalinghi. Con Tommaso, oltre ai tratti somatici, condivideva un carattere sempre allegro. Affettuoso e generoso, con tutti.

L’Aquila, l’auto parcheggiata era senza freno: «Poi la marcia tolta per sbaglio». Virginia Piccolillo su Il Corriere della Sera il 21 Maggio 2022.

Il dramma dell’asilo. La donna ai pm: io ero scesa, a bordo c’era l’altro mio figlio.

«Mammaa!!!». Il grido di suo figlio che le ha gelato il sangue. Il tentativo disperato di fermare «con le mani» l’auto che veniva giù senza controllo, rischiando di finirci sotto: «Mi sono scansata solo all’ultimo momento». E poi lo schianto. Il cancello divelto. I bambini schiacciati. Le urla. I pianti. E suo figlio a terra, scappato dal finestrino dell’auto che non sapeva controllare, «anche lui ferito».

Eccola, tra lacrime e singhiozzi, tutta la tragedia della mamma 38enne, di origini bulgare, che era andata a prendere le due figlie nell’asilo dove i piccoli giocavano in giardino, lasciando il figlio maggiore nell’auto parcheggiata sulla rampa interna al cortile della scuola che finiva proprio nel parchetto. Era consentito. Le mamme non riuscivano a parcheggiare all’esterno. E lei doveva riprendere le gemelline. Non avrebbe mai immaginato che quella macchina pochi secondi dopo sarebbe finita contro la recinzione e, quindi, sui bambini: uccidendo Tommaso, di 4 anni, e ferendone altri cinque, tutti in via di miglioramento. Solo una resta in terapia intensiva al Gemelli. Gli altri sono fuori pericolo.

La donna l’ha raccontata in un interrogatorio drammatico ieri, per un’ora e mezzo, ai magistrati, il pm Stefano Gallo e il procuratore capo Michele Renzo, e agli uomini della squadra mobile dell’Aquila che hanno svolto i primi accertamenti. «Disperata» per quello che è accaduto, la donna avrebbe ammesso ciò che più le pesa sulla coscienza: «Non avevo inserito il freno». C’è un pulsante sulla Volkswagen Passat che lo innesca. Lei però ha ingranato la marcia, con il cambio manuale, ed è scesa a prendere le bambine. Erano pochi passi. Sarebbe tornata immediatamente. Ma il figlio ha dato un colpo a quel cambio. Il freno motore non ha retto. E l’auto è venuta giù.

«È stato un errore umano, una marcia tolta inavvertitamente», avrebbe spiegato tra le lacrime la donna agli inquirenti che l’accusano di omicidio stradale. Quindi nessun malfunzionamento, e nessun giallo su quel freno che era saltato. La donna lo avrebbe riferito così: «Ricordo quando ho parcheggiato di aver inserito la prima marcia ma non il freno a mano». E poi avrebbe ripercorso con gli inquirenti quegli istanti di terrore iniziati con l’urlo disperato del figlio dodicenne: il settimo bambino devastato dall’incidente. «Mi ha avvertito mio figlio gridando mamma» chiamata a fronteggiare anche il dramma di suo figlio, sconvolto dalla tragedia, e delle bambine testimoni delle fasi concitate successive all’incidente. Nei giorni scorsi, attraverso l’avvocato Valentini, la donna aveva esternato il dolore suo e dell’intera famiglia per quanto accaduto. E all’apparire di notizie che accreditavano un perdono già avvenuto da parte della famiglia di Tommaso aveva mandato a dire: «Sono parole che un po’ ci sollevano. La loro tragedia è anche la nostra. Vorremmo tanto che non fosse mai accaduto».

«Tutta la famiglia è addolorata, sconvolta. Marito e moglie non riescono a darsi pace. I tre bambini sono sotto choc. È una tragedia nella tragedia. È una colpa, ma ci sono anche circostanze sfortunate e fortuite per una donna che ogni giorno faceva questi movimenti», aggiunge il legale.

Ma l’inchiesta va avanti. La Procura vuole passare al vaglio eventuali responsabilità ulteriori di chi avrebbe dovuto salvaguardare i bimbi. È già stata ascoltata la preside del plesso scolastico, Monia Lai, oltre alle maestre e ai dipendenti presenti quel giorno. E si cerca di capire se sono stati rispettati tutti i criteri di sicurezza. 

Un senso. Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 19 maggio 2022.

«Solo a una domanda, che lo investiva a ondate regolari con affanno, il principe Mishkin non sapeva rispondere: perché, Signore, i bambini muoiono?». (Dostoevskij, L’idiota).

Nella smania di dare un senso a qualcosa «che un senso non ce l’ha» (questo invece è Vasco Rossi), quando un bimbo muore di morte violenta la nostra mente si affanna alla ricerca del Cattivo.

Il maniaco assassino, lo scafista senza scrupoli, il gestore sciatto della funivia, il pirata della strada. Qualcuno a cui addossare la responsabilità dell’evento più inesplicabile e inaccettabile della condizione umana. Se proprio non si trova nessuno, si dà la colpa allo Stato, che sembra messo lì apposta.

Ma nella storia del piccolo Tommaso investito all’Aquila da una macchina parcheggiata mentre giocava nel cortile della scuola, il Cattivo semplicemente non c’è. Possiamo provare a prendercela con la signora che ha parcheggiato l’auto su una rampa senza magari sincerarsi che fosse scattato il freno a mano. Con il figlio rimasto a bordo che peraltro nega di averlo disattivato lui. Con la scarsa robustezza del cancelletto che l’auto ha divelto nella sua corsa o con l’ubicazione della scuola in una strada troppo stretta per consentire parcheggi comodi.

Possiamo prendercela con il mondo intero, ma in cuor nostro sappiamo che è stata una disgrazia. E di fronte alle disgrazie si rimane senza capri espiatori, quindi senza parole. Si può solo andarle a cercare in un libro sacro o in Dostoevskij. 

Da ansa.it il 19 maggio 2022.

"Le mie figlie hanno visto le drammatiche scene e sono sotto shock: siamo distrutti e addolorati, chiediamo e chiederemo ancora scusa alla famiglia del povero Tommaso e dei bambini feriti". 

E' il drammatico racconto all'ANSA della mamma indagata per omicidio stradale per il tragico incidente di ieri pomeriggio all'Aquila nella scuola dell'infanzia di Pile, dove è morto il piccolo Tommaso e sono rimasti feriti altri cinque bimbi. 

"Ho parcheggiato la macchina in pianura, ho inserito la marcia, non mi ricordo di aver inserito il freno a mano", ha poi proseguito la donna madre di tre figli di cui due iscritte alla scuola d'infazia Primo Maggio. La donna verrà ascoltata nei prossimi giorni dal sostituto procuratore Stefano Gallo. Domani intanto in Procura è previsto l'affidamento dell'incariico sulla perizia tecnica sull'auto all'esperto Cristiano Ruggeri, e sempre in mattinata è in programma una riunione alla presenza dell'anatomopatologo Giuseppe Calvisi per verificare l'eventualità chiesta da investigatori ed inquirenti di evitare la autopsia sul corpo di Tommaso effettuando una ricognizione cadaverica.

È in attesa di essere convocata per l'interrogatorio davanti al pm Stefano Gallo la 38enne di origini bulgare che conduceva la Passat, poi parcheggiata davanti all'asilo di Pile, frazione del comune dell'Aquila, con a bordo il figlio 12enne, per andare a riprendere i suoi due gemellini di cinque anni, che ha travolto la recinzione uccidendo un bimbo di 4 anni ferendone cinque.

La donna è indagata per omicidio stradale, reato che prevede l'arresto immediato. Secondo fonti investigative, la donna potrebbe essere ascoltata domani alla presenza del difensore Francesco Valentini, del foro dell'Aquila, per rendere le prime dichiarazioni ufficiali. Finora, non è stata ascoltata proprio perché unica indagata nell'ambito della inchiesta della Procura aquilana. Da fonti investigative emerge che la 38enne e suo figlio sono sconvolti e in stato di shock.

Si potrebbe allagare e vedere altri indagati la inchiesta sul tragico incidente di ieri pomeriggio all'Aquila nella scuola dell'infanzia di Pile, frazione del Comune dell'Aquila, dove una Passat parcheggiata da una donna, indagata per omicidio stradale, con a bordo il figlio 12enne per andare a riprendere i suoi due gemellini di cinque anni, ha travolto la recinzione uccidendo un bimbo di 4 anni ferendone cinque: la Procura della Repubblica e la Squadra Mobile dell'Aquila stanno facendo accertamenti sulla questione della sicurezza all'esterno dell'asilo e negli spazi circostanti. In particolare gli approfondimenti documentali e tecnici tendono a chiarire se le macchine potessero parcheggiare e se a norma e sufficiente la recinzione nel giardino.

Sono stabili le condizioni delle due bambine di circa 4 anni, tra i bimbi feriti nell'incidente nell'asilo dell'Aquila, ricoverate da ieri pomeriggio presso la terapia intensiva pediatrica del policlinico Gemelli, dove proseguono le cure. È quanto si apprende dallo stesso ospedale.

Stefano Dascoli e Marcello Ianni per “il Messaggero” il 19 maggio 2022.

«L’ho ucciso io, l’ho ucciso io!». Il pianto di Luca (nome di fantasia) è inconsolabile. A tal punto che devono gettargli sul capo acqua fresca per placarne i fremiti. C’era lui e solo lui, ad appena otto anni, a bordo della Volkswagen Passat che, a motore spento, si è incanalata con una perfezione tragica nella breve discesa che costeggia la scuola dell’Infanzia I maggio e termina con la cancellata che avrebbe dovuto proteggere il giardino dove i bambini giocano quando, come ieri, sole e caldo la fanno da padrone nei primi vagiti estivi. 

L’auto ha abbattuto quella recinzione e ha travolto sei bambini, dai 3 ai 5 anni, che stavano giocando a caricare un piccolo camion con il brecciolino e, per questo, erano anche accovacciati. Un destino assurdo che ha cancellato a 4 anni la vita di Tommaso D’Agostino e messo a rischio quella di altri cinque piccoli, della stessa età. Tre di loro sono stati trasportati a Roma.

Due femminucce al “Gemelli”. A ieri sera la prima era stabile, in respiro spontaneo e condizioni giudicate non gravi. La seconda è stata ricoverata con frattura osso-temporale ed ematoma sottodurale: anche lei stabile e in respiro spontaneo, ma in prognosi riservata. Un maschietto è stato invece portato, in un secondo momento, al “Bambin Gesù” con traumi multipli: è in prognosi riservata. Due gemellini sono invece rimasti all’ospedale San Salvatore dell’Aquila. Anche questi ultimi tre, stando alle informazioni della serata, non erano in pericolo di morte. L’Aquila è colpita al cuore e scossa: il sindaco Pierluigi Biondi ha proclamato per oggi il lutto cittadino, tutte le principali iniziative della giornata (anche elettorali, visto il voto imminente) sono state cancellate.

La ricostruzione

Il dramma si è verificato una manciata di minuti prima delle 15. A quanto è stato possibile ricostruire la madre di Luca (una straniera indagata per omicidio stradale) ha parcheggiato la sua Passat nel piazzale d’ingresso che sormonta la discesa e ha abbandonato la vettura per entrare a scuola e prendere l’altro figlio. A quel punto è successo qualcosa che dovrà essere accertato dall’indagine aperta dalla Procura dell’Aquila. 

L’unico elemento di certezza è che il bambino è rimasto solo nell’abitacolo. Alcuni testimoni raccontano dal lato del guidatore. L’auto si è mossa, imboccando la discesa. O perché il freno elettrico è rimasto disinserito o perché il bambino, forse per gioco, può aver manovrato con il cambio. C’è anche l’ipotesi, che alcuni inquirenti ventilano, che la vettura si sia sfrenata da sola.

Fatto sta che la Passat ha iniziato a percorrere con sempre maggiore velocità quei metri: una mamma ha raccontato di aver visto il bimbo a bordo provare a girare il volante, ma l’auto è piombata giù con una traiettoria maledetta, incanalata alla perfezione in una sede non certo ampia, tutt’altro, senza colpire uno dei muri laterali che avrebbero, forse, evitato il dramma. Una volta in piano ha abbattuto il cancello e travolto i piccoli. Racconta Gabriele Miconi, funzionario dei vigili del fuoco, che quando è giunto sul posto gli è sembrato di vedere «bambolotti accartocciati».

L'inferno

L’inferno è divampato in un amen: grida disperate, pianti, corse a perdifiato verso il giardino. Gli occhi vitrei degli altri bimbi. I soccorsi sono scattati tempestivamente. Il 118 ha fatto arrivare ambulanze e anche l’elisoccorso. I vigili del fuoco hanno lavorato alacremente per estrarre i sei corpicini: operazione delicatissima perché sollevando l’auto da un lato si rischiava di creare problemi dall’altro. Le condizioni di Tommaso sono apparse subito le più serie. È stata tentata una rianimazione per 40 minuti, ma il piccolo è morto sulla via per l’ospedale.

Una scena atroce: da un lato il capannello per tentare di salvarlo, dall’altro i genitori che quasi disperatamente cercavano i propri figli. La Procura dovrà accertare eventuali responsabilità della scuola, per esempio per quanto riguarda l’accesso delle auto al parcheggio e la vigilanza, per arrivare a tutti gli altri elementi legati alla sicurezza. Si procede per omicidio stradale. 

Nei prossimi giorni la squadra Mobile, sotto il coordinamento del pm Stefano Gallo, ascolterà i testimoni e la dirigenza dell’istituto. Auto e aree sono stati sequestrati. Ieri sera si è tenuto un vertice degli inquirenti alla Questura all’Aquila al quale hanno partcipato il pm Stefano Gallo titolare dell’inchiesta, il capo della Mobile Danilo Di Laura, e gli altri investigatori. «Stiamo facendo il massimo con il massimo dell’impegno», ha detto Gallo.

L'Aquila, tragedia all'asilo, la donna indagata al pm: "Errore umano, marcia tolta inavvertitamente". La Repubblica il 20 Maggio 2022.

L'interrogatorio della 38enne è durato un'ora e mezzo. "Ho cercato di fermare la vettura con le mani". Eseguita oggi l'autopsia sulla vittima. I funerali nella basilica di Collemaggio.

Una tragedia causata da un errore umano. Sarebbe stato "un errore umano, una marcia tolta inavvertitamente", la causa dello sfrenamento della Passat che mercoledì è piombata sull'asilo Primo Maggio uccidendo un bambino e ferendone altri cinque. E' quanto emerso dall'interrogatorio di oggi in Procura alla donna conducente del mezzo. Lo confermano fonti difensive. La donna ha ribadito quanto dichiarato ieri di aver tentato di frenare la macchina con le mani, senza riuscirci. Nell'auto parcheggiata era rimasto il figlio 12enne. "Mi ha avvertito mio figlio gridando mamma!", avrebbe detto la donna in lacrime ai giudici. Il ragazzino si è poi buttato dalla macchina in corsa.

L'interrogatorio della 38enne è durato circa un'ora e mezza. Presenti il sostituto procuratore titolare dell'inchiesta Stefano Gallo, il difensore Stefano Valentini, rappresentanti della Squadra Mobile, e in alcune fasi ha presenziato anche il capo della Procura aquilana Michele Renzo. 

La donna ha rischiato anche lei di essere travolta dalla macchina "e solo alla fine mi sono dovuta scansare", avrebbe detto. "Ricordo quando ho parcheggiato di aver inserito la prima marcia ma non il freno a mano". Si è trattato in alcuni momenti di un interrogatorio drammatico, durante il quale si è detta "disperata", assieme a tutta la famiglia per il dolore provocato per la morte del piccolo Tommaso e il ferimento degli altri cinque bimbi. Piangendo la 38enne, che è indagata per omicidio stradale, ha confessato: "mi ha detto mio figlio di aver inavvertitamente tolto la marcia. Mio figlio si è anche ferito nel gettarsi dall'abitacolo".

I FUNERALI 

Si svolgeranno domani alle 15,30 nella basilica di Collemaggio all'Aquila i funerali del piccolo Tommaso. Le esequie sono state fissate quando l'autorità giudiziaria ha riconsegnato la salma alla famiglia dopo l'autopsia effettuata oggi dall'anatomo patologo dell'ospedale dell'Aquila, Giuseppe Calvisi.

Tragedia all'asilo dell'Aquila, lutto cittadino per il piccolo Tommaso

A celebrare la funzione funebre sarà il cardinale Giuseppe Petrucci e il rettore della Basilica di Collemaggio, don Nunzio Spinelli. Il luogo sacro, simbolo della città dell'Aquila, può ospitare fino a 2mila persone. Il conferimento degli incarichi tecnici, in particolare l'autopsia e la perizia tecnica sulla Passat, è stata l'occasione per fare un summit stamani in Procura all'Aquila alla presenza del titolare della inchiesta, il pm Stefano Gallo, degli avvocati delle parti coinvolte nella tragedia tra cui anche un genitore di uno dei cinque bambini feriti.

Francesco Valentini, legale della mamma proprietaria della Passat partita in discesa dopo che la donna aveva parcheggiato davanti all'asilo di Pile e che ha investito sei bambini uccidendo il piccolo Tommaso, ha nominato consulente di parte Francesco Massimi. La donna indagata per omicidio stradale sarà interrogata nei prossimi giorni.

Nel corso del summit, la Procura della Repubblica ha invitato a non dare notizie ai media e non rilasciare dichiarazioni. Infine si confermano sostanzialmente stabili, in un quadro di progressivo miglioramento, le condizioni delle due bambine di circa 4 anni rimaste ferite nell'incidente all'asilo e ricoverate al Policlinico Gemelli di Roma.

Una delle due, riferiscono i sanitari, è stata trasferita dalla terapia intensiva in un reparto pediatrico dove proseguirà le cure. La seconda bimba, che necessità di assistenza intensivistica in ragione di una delicata frattura cranica, resta sotto osservazione in prognosi riservata, dove proseguono i trattamenti.

Dramma all'asilo: l'auto precipita, travolti i bimbi che giocano. Laura Cataldo il 18 Maggio 2022  su Il Giornale.

Grave incidente in una scuola dell'infanzia a L'Aquila dove un'automobile, appartenente a un genitore che stava andando a prendere il figlio, ha travolto i bambini che stavano giocando.

Poco dopo le 14.30 un'automobile è finita nel giardino di una scuola dell'infanzia a L'Aquila sfondando la recinzione: almeno 5 o 6 bambini sarebbero rimasti feriti. Non ce l'ha fatta il piccolo più grave: è morto dopo poco il suo arrivo in ospedale.

La scuola in cui è avvenuta la drammatica vicenda è la "Primo Maggio", in via Salaria Antica Est. Al suo interno si trova un cortile dove i bambini si ritrovano per giocare all'aria aperta dopo pranzo. Oggi, una macchina che si trovava parcheggiata nelle vicinanze, ha sfondato la recinzione di protezione che divide il giardino dal marciapiede ed è entrata all'interno travolgendo i piccoli alunni dai 3 ai 5 anni. Sul posto sono accorsi il personale del 118, i vigili del fuoco e l'elisoccorso. Secondo le prime indiscrezioni pare che l'auto abbia investito in tutto cinque bambini di cui quattro feriti mentre il quinto, che era stato portato in codice rosso, non ce l'ha fatta ed è morto nonostante il rapido soccorso all'ospedale San Salvatore. Una bambina si è aggravata in un secondo momento ed è stata trasportata in gravi condizioni al Gemelli di Roma.

Gli agenti stanno lavorando per capire cosa è accaduto. Pare che nella macchina si sia tolto il freno a mano e dopo aver percorso ad alta velocità la discesa per alcune decine di metri, il mezzo si sia fiondato verso la scuola causando il drammatico incidente. Secondo le prime voci pare che l'auto fosse di a una mamma che era andata a prendere il figlio lasciando l'altro in auto. Probabilmente si tratta di un adolescente, come sostiene il Centro. Sarebbe stato proprio il fratello che giocando avrebbe sbloccato il freno a mano. Ipotesi non ancora confermata dagli inquirenti.

Intanto da parte della comunità piena vicinanza alle famiglie. "Abbiamo appreso questa tragica notizia paradossalmente mentre stavamo festeggiando il primo bambino nato a Fontecchio, siamo tutti sconvolti", ha commentato il presidente della Regione Marco Marsilio.

Intanto le maestre del Primo Maggio hanno cercato di gestire al meglio la situazione, accogliendo i genitori dei piccoli, a partire da quelli rimasti coinvolti nell'investimento: "La priorità - spiega all'Ansa una insegnante della primaria - è evitare che i bambini che hanno assistito alla scena restino traumatizzati, sia dall'incidente, con l'auto che ha sfondato il cancello del giardino, sia dal viavai di ambulanze e mezzi di soccorso".

Anche il sindaco de L'Aquila, che ha proclamato il lutto cittadino, è arrivato sul posto:"Sono profondamente addolorato, non riesco neppure a immaginare il dolore che stanno provando i genitori dei bambini feriti. Da padre e da rappresentante delle istituzioni sono sgomento. È una notizia terribile: speriamo e preghiamo che il bilancio non si aggravi" . Subito dopo si è recato all'ospedale San Salvatore dell'Aquila dove sono ricoverati i bambini feriti.

Il freno a mano, il bimbo a bordo, la discesa: così l'auto ha travolto i piccoli nell'asilo. Francesca Galici il 18 Maggio 2022  su Il Giornale.

Pare che a bordo dell'auto ci fosse un ragazzino di 8/10 anni: cosa è successo a L'Aquila.

Un bambino è morto e altri cinque, di cui uno grave, sono rimasti feriti nell'asilo de L'Aquila dove un'auto si è schiantata all'improvviso per cause ancora da accertare. In queste ore gli investigatori stanno raccogliendo le testimonianze ed effettuando i rilievi del caso per effettuare una ricostruzione di quanto accaduto. Dalle prime indiscrezioni che trapelano dal luogo dell'incidente sembrerebbe che a bordo della vettura, che si trovava parcheggiata senza il conducente a bordo, si trovasse un bambino.

La vettura era di proprietà della mamma di uno dei bambini che frequentavano l'asilo di Pile, che come sempre era andata a scuola a prendere il più piccolo dei suoi figli. L'altro, invece, era rimasto nell'auto parcheggiata in discesa nei pressi dell'istituto. Una prassi comune a molti genitori, che stavolta si è trasformata in tragedia. Secondo le prime testimonianze raccolte sul posto la donna avrebbe lasciato nella vettura, una Volskwagen Passat, il figlio più grande, di 8-10 anni circa e, questa l'ipotesi, il bambino sarebbe riuscito a togliere il freno a mano. Al momento questa è solo un'ipotesi, che dovrà essere confermata dalle successive indagini. Non è escluso un guasto all'impianto frenante.

Trovandosi in discesa, la vettura ha preso rapidamente velocità e quando si è schiantata contro la cancellata della scuola non ha dato scampo ai piccoli che in quel momento si trovavano a giocare nelle vicinanze del confine del cortile scolastico. I soccorritori hanno dovuto liberare nel più breve tempo possibile alcuni bimbi rimasti incastrati tra il vano motore dell'auto e la cancellata. Sul posto, per accertamenti, il procuratore Stefano Gallo che sta ascoltando i vari testimoni alla presenza di Monia Lai, dirigente scolastico dell'istituto comprensivo Mazzini di cui fa parte la scuola.

Sono emersi anche alcuni dettagli sulla piccola vittima del tragico incidente. Si tratterebbe di un bambino di 4 anni, nato nel 2008, anno di nascita anche del bambino rimasto gravemente ferito. Il piccolo è stato trasportato in ospedale a Roma con una eliambulanza e si trova ora in prognosi riservata.

Nel rispetto della tragedia, è stato annullato a L'Aquila un evento elettorale che vedeva protagonista Giorgia Meloni. Il leader di Fratelli d'Italia ha espresso il suo cordoglio con una nota: "La dolorosa tragedia accaduta all'Aquila ci lascia sgomenti. Non possiamo che esprimere profondo cordoglio e tutta la nostra vicinanza alle famiglie coinvolte e alla comunità aquilana".

"Aveva solo 4 anni". Chi è il bimbo morto nell'asilo. Valentina Dardari il 18 Maggio 2022  su Il Giornale.

Un altro bambino, nato sempre nel 2018, è ricoverato in gravi condizioni in un ospedale della Capitale.

Aveva solo quattro anni il bimbo morto nell'incidente avvenuto verso le 14.30 di oggi, mercoledì 18 maggio, nel giardino di una scuola dell’infanzia a L’Aquila, dove un’automobile è precipitata nel cortile investendo alcuni bambini che stavano giocando. Uno di questi è deceduto durante il tragitto in elisoccorso in codice rosso per raggiungere l’ospedale dell’Aquila. Le sue condizioni erano apparse subito drammatiche. I medici hanno fatto tutto il possibile per rianimarlo ma alla fine il suo cuoricino non ha retto. La piccola vittima era nata nel 2018, così come il bimbo che si trova ancora ricoverato in gravi condizioni in un ospedale a Roma, dopo essere stato trasportato anche lui in elicottero nella struttura ospedaliera. Per il bimbo la prognosi è ancora riservata. Due bambini sono stati trasferiti a Roma, al Gemelli e al Bambin Gesù.

Cosa è successo

L'ipotesi principale è che il bambino che era stato lasciato da solo sull’auto della madre, la quale era scesa per andare a prendere l’altro figlio all’asilo, abbia inavvertitamente tolto il freno a mano. Secondo quanto emerso, l'auto, una Volkswagen Passat, che ha travolto i piccoli alunni dell'asilo di Pile Primo Maggio che comprende un asilo e una materna e che si trova in via Salaria Antica Est, nell'immediata periferia de L'Aquila, provocando la morte di uno e il ferimento di altri cinque, apparteneva a una mamma che era andata a prendere il figlio più piccolo all'asilo, lasciando il maggiore a bordo della vettura che aveva parcheggiato in discesa.

Dramma all'asilo: l'auto precipita, travolti i bimbi che giocano

L'auto ha preso velocità

Secondo le prime testimonianze raccolte dagli investigatori la donna avrebbe lasciato nella vettura il figlio più grande, di circa 8-10 anni di età e, questa l'ipotesi, il bambino sarebbe riuscito a togliere il freno a mano dell’automobile. L'auto, che ripetiamo era parcheggiata in discesa, avrebbe quindi preso subito velocità. Si tratta di una tragica ipotesi che dovrà comunque essere confermata dagli inquirenti.

I soccorritori hanno dovuto liberare nel più breve tempo possibile alcuni bambini che erano rimasti incastrati tra il vano motore della vettura e la cancellata dell’asilo. Sul posto, per accertamenti, è giunto il procuratore Stefano Gallo che ha ascoltato i vari testimoni alla presenza di Monia Lai, il dirigente scolastico dell'istituto comprensivo Mazzini di cui fa parte la scuola. Sembra che al momento della tragedia ci fosse più di una decina di bambini nel giardino dell'asilo. Oltre ai piccoli che sono stati investiti, altri bambini sono adesso sotto choc e hanno sul corpo dei graffi che si sono procurati durante la fuga al momento dell'incidente.

Il bollettino medico

La Direzione medica dell'ospedale San Salvatore dell'Aquila, "all'esito della grave tragedia che si è verificata oggi pomeriggio dinanzi alla scuola dell'infanzia Primo Maggio della frazione di Pile" ha inviato un bollettino medico delle 17.45. Nel documento si legge: "I bambini coinvolti sono 6. Il servizio 118 è accorso subito con quattro ambulanze ed un'eliambulanza. Purtroppo un bimbo è deceduto durante il trasporto in ospedale per il grave trauma subito nonostante le manovre rianimatorie eseguite tempestivamente. Una bimba è in gravi condizioni è stata già trasferita tramite elisoccorso al policlinico Gemelli". Viene inoltre reso noto che è già in corso il trasferimento con eliambulanza sempre al policlinico Gemelli per un altro bimbo. Un altro bambino sarà invece trasferito all'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù tramite ambulanza. "Per due gemellini si stanno tuttora completando gli accertamenti. Al Pronto Soccorso pediatrico, oltre ad ulteriore personale della Pediatria richiamato in servizio sono intervenuti tutti gli specialisti rianimatori, neurochirurghi, ortopedici, chirurghi generali, chirurghi maxillo-facciali e tutto il personale a supporto. Il "San Salvatore" sta offrendo ai familiari il supporto psicologico necessario", viene infine precisato.

La testimonianza di una mamma

La mamma di una bambina della scuola ha raccontato: "Ho chiesto a mia figlia, super lucida e non apparentemente sotto shock, tutta la dinamica. Con la massima delicatezza. Lei mi ha risposto che si è salvata, perché in quel momento stava dentro la casetta del giardino. Riposa in pace, piccolo angelo, amico della mia bambina. Preghiamo per gli altri bimbi feriti, sto piangendo come se fossero miei figli. Siete tutti nostri figli". La giovane mamma ha pi ricordato che ieri avevano festeggiato il compleanno di uno degli amichetti. Tutti erano felici e spensierati. "Oggi, come ogni mattina, ho mandato la mia principessa a scuola. Una scuola meravigliosa, con delle maestre e delle collaboratrici pazzesche per quanto sono brave. Con tutti i bambini molto uniti, con i genitori come si deve. Questo non doveva succedere. Questo non è giusto", ha infine detto la mamma con le lacrime agli occhi.

"Dolore e sgomento". L'Aquila sotto choc per la tragedia all'asilo. Federico Garau il 18 Maggio 2022  su Il Giornale.

Sgomento in tutta Italia e nel mondo della politica. Il cordoglio della Camera dei Deputati. Giorgia Meloni annulla l'evento all'Aquila.

Tutta Italia sotto choc per quanto accaduto nelle prime ore di questo pomeriggio nel giardino della scuola d'Infanzia Pile Primo Maggio a L'Aquila, dove un'auto impazzita ha sfondato la recinzione, travolgendo diversi bambini e ferendone alcuni (almeno 4), anche in modo grave. È notizia recente, infatti, che uno dei piccoli, un bimbo di soli 4 anni, non ce l'abbia fatta e sia morto in ospedale.

Sgomento alla Camera

Una vera e propria tragedia che ha colpito nel profondo anche il mondo della politica, tanto che oggi tutti i deputati della Camera hanno voluto esprimere il loro cordoglio alla famiglia.

"Esprimiamo il nostro cordoglio più forte a tutta la comunità dell'Aquila, alla scuola dell'infanzia, alle famiglie e ovviamente alla mamma e al papà del bimbo deceduto", ha detto il deputato dem Paolo Siani, al quale hanno fatto eco molti altri parlamentari, di tutti i colori politici. "Ringraziamo le insegnanti che in queste ore stanno facendo un lavoro straordinario per tentare di evitare che questa tragedia lasci nelle menti dei bimbi una cicatrice profonda. Ci stringiamo con vivo cordoglio a tutti loro", ha concluso il rappresentante del Partito democratico.

Per il Movimento 5 Stelle si tratta di una notizia terribile. "Ci stringiamo attorno a tutta la comunità e a chi ha subito una perdita così drammatica. Questa è una tragedia che ci lascia sgomenti e senza parole", ha dichiarato Sara Marcozzi, capogruppo M5s nel Consiglio regionale dell'Abruzzo.

Dramma all'asilo: l'auto precipita, travolti i bimbi che giocano

Lutto cittadino

Dopo la terribile tragedia è stato dichiarato il lutto cittadino, mentre gli inquirenti stanno già indagando sull'intero episodio. Il sindaco Pierluigi Biondi ha espresso dolore e sgomento. "Una notizia che nessun genitore vorrebbe ricevere, una tragedia che la città non merita. Cercheremo, con l'aiuto delle istituzioni competenti, di comprendere la dinamica dell'accaduto", ha commentato.

"Abbiamo appreso questa tragica notizia paradossalmente mentre stavamo festeggiando il primo bambino nato a Fontecchio, nelle aree interne, dopo l'approvazione della legge sullo spopolamento; il primo nato che ha ricevuto il contributo alla natalità", ha dichiarato dichiarato il presidente della Regione Abruzzo Marco Marsilio, come riportato da Agi. "Siamo tutti sconvolti e vicini al dolore delle famiglie. Speriamo che questa tragedia non si aggravi, siamo in contatto con i sanitari per seguire costantemente l'evolversi della situazione", ha aggiunto.

Palore di dolore anche da parte dell'assessore regionale Guido Liris, che si dice vicino alle famiglie colpite da questo terribile incidente. "Anche da genitore mi risulta inimmaginabile cosa stiano provando i familiari dei piccoli, un dolore troppo grande, una sorte ingiusta", ha affermato.

Condoglianze anche da parte di Michele Fina, segretario del Pd Abruzzo. "Siamo vicini e in apprensione per i piccoli feriti e auguriamo loro una pronta guarigione. Cercheremo di capire presto come tutto ciò è potuto accadere", ha commentato.

Ad unirsi al cordoglio Francesco Boccia, deputato e responsabile Regioni e Enti locali della segreteria nazionale Pd, Carmela Grippa, deputato abruzzese del MoVimento 5 Stelle e Gaetano Quagliariello, senatore del collegio L'Aquila-Teramo.

Annullato l'evento di FdI

Giorgia Meloni, che domani avrebbe dovuto tenere un incontro all'Aquila in vista delle elezioni amministrative, ha deciso insieme al suo partito di annullare l'evento. "Di fronte a questo gravissimo incidente, dove risulta morto un bimbo e altri sono feriti, non possiamo che esprimere tutta la nostra vicinanza alle famiglie coinvolte e alla comunità", ha dichiarato la presidente di Fratelli d'Italia. "La dolorosa tragedia accaduta all'Aquila ci lascia sgomenti. Non possiamo che esprimere profondo cordoglio e tutta la nostra vicinanza alle famiglie coinvolte e alla comunità aquilana", ha aggiunto.

Una madre e la condanna del rimorso. Valeria Braghieri il 19 Maggio 2022  su Il Giornale.

Nei pochi istanti di lucidità di queste ore, le sembrerà un insulto essere viva.

Nei pochi istanti di lucidità di queste ore, le sembrerà un insulto essere viva. Le sembrerà un insulto perfino il fatto che lo siano i suoi figli. Cosa che, propriamente, tra i vivi non la colloca. Si resta vivi quando ci si pente di esserlo? Nel momento in cui le imprudenze altrui prendono la forma della tragedia è facile discostarsene indignati. Sentirsi profondamente distanti da certe condotte. La realtà è che le giornate di tutti sono costellate di istanti di imprudenze che, con un po' di fortuna rimangono tali. Ma quando, per una manciata di minuti si percorrono pochi metri, affannati, in ritardo, carichi di gesti automatici e nervosi e la vita smette di aiutarti, allora diventa drammaticamente chiaro cosa una leggerezza è in grado di scatenare. Alla mamma dell'Aquila che ha parcheggiato l'auto su quella salita, nulla è andato in aiuto. Il tempo, le mosse, la posizione della macchina, l'altro figlio lasciato nell'abitacolo che forse ha toccato il freno a mano. E quella scommessa dissennata è andata tutta storta. Ha scommesso, non si sa con quanta consapevolezza, e ha perso tutto. Facendo perdere tutto anche ad altri: un bimbo di quattro anni morto, due in prognosi riservata trasportate d'urgenza al Gemelli di Roma, altri feriti. Stavano giocando nel parchetto dell'asilo quando gli è arrivata addosso la morte. O attorno, accanto, davanti agli occhi. Lo scivolo da un lato e il compagno a terra dall'altra. E le mamme... Quelle mamme chiamate a casa o raggiunte chissà dove per essere avvisate di ciò per cui mancano le parole. Ci sono pochi momenti e pochi luoghi grazie ai quali, pensando ai tuoi figli, allontani l'idea del pericolo, almeno in parte. Tra questi ci sono di sicuro l'asilo o la scuola o quei pochi luoghi fatti apposta per loro, pieni di cose minuscole come loro, colorate come loro, innocue come loro. Perché dal momento in cui li metti al mondo, i figli diventano un'attenzione perenne, costante, silente. Si inizia a vivere in uno stato di allerta continuo e si diventa deboli perché quando si dipende da qualcun altro si è deboli. E non importa quanto crescano o dove vadano, c'è purtroppo una sola, tragica circostanza in cui si smette di preoccuparsi per i figli. Ed è un disimpegno che mai qualcuno vorrebbe. Il dolore peggiore. Ecco. Il dolore è la debolezza che se ne va.

Auto sull'asilo: "Marcia tolta per errore". Tiziana Paolocci il 21 Maggio 2022 su Il Giornale.

La donna ai pm: "Non c'era il freno a mano". Il figlio avrebbe "sbloccato" il mezzo.

Sono ore terribili per le famiglie dei bimbi che frequentano l'asilo Primo Maggio, all'Aquila.

Ore in cui le indagini della squadra mobile, coordinate dal pm Stefano Gallo, dovranno valutare il sistema di frenaggio della Volkskswagen Passat, guidata da Radostina Zhorova Balabanova, la mamma 38enne di origini bulgare, scesa per prendere a scuola i gemellini di cinque anni, lasciando l'altro figlio di dodici in auto. Ma ormai è certo che a scatenare la tragedia sia stato un errore umano.

La donna da mercoledì fa i conti con i rimorsi e i sensi di colpa e ieri è stata interrogata dagli investigatori. «Ha ribadito di aver inserito la prima marcia, ma non il freno - ha detto il suo legale, l'avvocato Francesco Valentini - in auto c'era il figlio 12enne. Lei non si spiega come la marcia possa essersi tolta inavvertitamente. Di quello che stava avvenendo l'ha avvertita proprio il ragazzino gridando mamma. Lei ha tentato di frenare la macchina con le mani, senza riuscirci. Lui si è buttato in corsa dall'abitacolo dall'auto e si è ferito». La bulgara in lacrime ha parlato per un'ora e mezza, travolta dal dolore che ha involontariamente procurato. Anche lei ha rischiato di finire sotto la Passat. «Solo alla fine mi sono dovuta scansare» ha detto. Sembrerebbe che sia stato proprio il figlio ad aver inavvertitamente tolto la marcia e la Procura lo sentirà nelle prossime ore.

Patrizio D'Agostino e Alessia Angelone, i genitori del piccolo Tommaso, si sono estraniati da mondo. Ieri, per bocca dei loro legali, Tommaso Colella e Katiuscia Romano, hanno chiesto rispetto per il loro dolore. Oggi alle 15.30 nella basilica di Collemaggio il cardinale Giuseppe Petrocchi e il rettore, don Nunzio Spinelli, celebreranno i funerali del figlioletto, alla presenza di maestre, compagni di scuola e di chi quel sorriso se lo porta nel cuore. «In un momento come questo non credo che i genitori di Tommaso stiano pensando se perdonare o meno, molte notizie riportate fino a oggi non corrispondono a quanto accaduto», ha detto l'avvocato Romano, riferito al fatto il papà del bimbo morto in un'intervista si sarebbe detto pronto a perdonare la mamma bulgara.

«È una tragedia nella quale tutti sono coinvolti, non solo la famiglia della vittima, che ha subito il danno più grave, ma anche il soggetto agente - ha aggiunto l'avvocato Colella -. Ci troviamo in fase processuale delicata nella quale si cerca di capire come si siano svolti i fatti, quale sia stata la dinamica e le concause che hanno interagito al verificarsi dell'evento. È una fase coperta dal segreto istruttorio».

Fondamentali gli accertamenti non solo sulla Passat, che il pm dell'Aquila ha conferito all'esperto Cristiano Ruggeri, ma anche quelli che sta svolgendo la squadra mobile sulla sicurezza e lo stato dei luoghi, per chiarire se le macchine potessero parcheggiare lì e se la recinzione nel giardino della scuola fosse a norma. In caso contrario l'inchiesta potrebbe allargarsi. «Sono stati già svolti gli accertamenti sul corpo del bambino - hanno aggiunto i legali della famiglia -. Insieme ai risultati sapremo anche quale strumento, meno invasivo possibile, sia stato scelto dall'anatomopatologo Giuseppe Calvisi». Intanto migliorano le condizioni dei feriti. Una bimba di 4 anni è già stata trasferita dalla terapia intensiva alla pediatria del Gemelli, mentre l'altra è ancora in prognosi riservata a causa di una delicata frattura cranica. 

Auto sull’asilo, parla la mamma di Lavinia investita a 16 mesi fuori la scuola a Velletri: “Nessuno può riportarti indietro tuo figlio”. Rossella Grasso su Il Riformista il 19 Maggio 2022. 

Un’auto che investe un piccolo indifeso davanti alla scuola. Quella drammatica scena che si è verificata fuori l’asilo di Pile, frazione de L’Aquila, apre una ferita enorme per Lara Liotta, mamma di Lavinia Montebove. Il 17 agosto 2018 la sua piccola fu investita nel parcheggio del suo asilo a Velletri dalla mamma di un altro bambino dell’asilo: aveva 16 mesi quando gattonando uscì da sola, lontano dagli occhi della maestra, nello spazio antistante la scuola e fu investita da un’auto. Da allora la piccola Lavinia è in stato vegetativo di semi coscienza. Lara conosce bene il dolore che sta vivendo la mamma del piccolo Tommaso, il piccolo di 4 anni morto nell’incidente all’L’Aquila: “Io e mio marito ci siamo immedesimati in quel dolore. Anche noi abbiamo celebrato i funerali di nostra figlia che non c’è più sotto molti punti di vista”.

Per Lara la vicenda dell’asilo abruzzese riapre una ferita mai rimarginata. “Ho sentito tutto il dolore e lo sgomento della prima notte per tutte le persone coinvolte – dice Lara – Ci sentiamo vicini ai genitori del piccolo Tommaso e dei bimbi feriti, colpiti mentre stavano giocando. Oggi per la mamma di Tommaso è il giorno del dolore e del silenzio. La sentiamo tanto vicina. Al di là di ogni responsabilità nessuno può riportarti indietro tuo figlio”.

Racconta che la notte in cui Lavinia fu investita ricevette la solidarietà di altri genitori che avevano vissuto il suo stesso dramma. Le dissero una frase che lei si porta nel cuore da allora: “Adesso non vedi futuro, ma il futuro c’è e lo vivrai giorno per giorno perché c’è ancora da vivere. Col tempo ho capito quanto fossero vere quelle parole. Ed è questo che oggi vorrei dire alla mamma di Tommaso”.

Lavinia uscì da sola dall’asilo, dove i genitori la portavano tutti i giorni accordando alla maestra tutta la loro piena fiducia. Furono rinviate a giudizio la maestra, accusata di abbandono di minore e la mamma che era al volante dell’auto che ha investito Lavinia, accusata di lesioni colpose gravissime. A L’Aquila, secondo una prima ricostruzione una Volkswagen Passat, di proprietà di una mamma che stava andando a prendere due gemelli proprio nell’asilo in cui è avvenuto l’incidente, è piombata nel cortile e ha investito sei bambini, tra cui il piccolo Tommaso. Si indaga per capire cosa sia successo e se il freno a mano fosse inserito nell’auto lasciata vicino alla scuola e con all’interno il figlio 11enne della donna. Una cosa è certa: un drammatico incidente stradale ha provocato vittime tra i più piccoli proprio fuori scuola, in un’area che dovrebbe essere assolutamente sicura e libera da ogni pericolo.

“Tutto questo non dovrebbe mai succedere – continua Lara – E invece succedono ai bambini ed è sempre colpa degli adulti. C’è bisogno di maggiore sicurezza e consapevolezza dei rischi di questo tipo. Bisogna fare tanta attenzione nei luoghi dove possono esserci bambini. Per esempio noi prima che Lavinia fosse investita non avevamo mai fatto caso a una serie di dettagli che sarebbero potuti essere pericolosi per i bimbi. A L’Aquila non si capisce bene perché l’area gioco fosse vicino al passaggio delle auto. C’era una recinzione per proteggere i bambini ma non abbastanza resistente da proteggerli da un’auto”.

Per Lara Liotta bisognerebbe fare molte cose per impedire che tragedie come quelle capitate a Tommaso e Lavinia possano succedere ancora. “Innanzitutto bisogna rispettare le regole sulla sicurezza nei luoghi per i bambini – dice – Qualcosa in più con le leggi si può fare. Servono spazi recintati o interdetti al traffico in prossimità delle scuole. E poi gli adulti, i genitori, devono avere maggiore buon senso: basterebbe avere meno fretta quando si accompagna un figlio a scuola, parcheggiare più lontano e fare a piedi pochi passi in più per evitare qualsiasi pericolo e tutelare i bambini. Questo lo dico da mamma che magari tutti i giorni fa errori anche dentro casa. Ma bisogna farci caso e fare attenzione. Troppo spesso a certe cose si fa caso solo dopo che succedono le tragedie”.

Lara, insieme a suo marito Massimo Montebove, si fanno in quattro tutti i giorni, seguono Lavinia 24 ore su 24, è dura ma loro sono felici di avere ancora accanto la loro piccola. E ogni minimo stimolo, ogni piccolo gesto o sorriso di Lavinia gli riempie il cuore e gli dà la forza per sperare e lottare ancora. Una lotta che non è solo quotidiana ma è anche un calvario giudiziario per avere giustizia per Lavinia che dura da tanto tempo. Su di loro aleggia l’ombra della prescrizione, e questo addolora ancora di più i due genitori. “Recentemente la procura ha accelerato i tempi”. E intanto attendono con il fiato sospeso le prossime udienze del 30 maggio e del 6 giugno, data in cui le imputate avrebbero chiesto di poter essere ascoltate.

Rossella Grasso. Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Tra le varie testate con cui ha collaborato il Roma, l’agenzia di stampa AdnKronos, Repubblica.it, l’agenzia di stampa OmniNapoli, Canale 21 e Il Mattino di Napoli. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. E’ autrice del documentario “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.

L'inchiesta sulla tragedia dell'Aquila. Incidente all’asilo, una perizia per il ‘giallo’ del freno a mano dell’auto. La mamma indagata: “Marcia inserita, provato a fermarla con le mani”. Carmine Di Niro su Il Riformista il 19 Maggio 2022. 

Una perizia tecnica per stabilire l’esatta dinamica dell’incidente che nel pomeriggio di ieri a L’Aquila è costato la vita al piccolo Tommaso, il bambino di 4 anni investito da una vettura che ha travolto la recinzione e colpito Tommaso e altri cinque bambini, rimasti feriti.

A disporla è stata la Procura della Repubblica dell’Aquila che indaga sulla vicenda avvenuta nella scuola dell’infanzia di Pile, frazione del capoluogo. È lì che la Volkswagen Passat guidata da B.R.Z., 38enne bulgara che da anni vive a L’Aquila assieme al marito e alla famiglia, si è improvvisamente messa in moto mentre era parcheggiata in una strada in discesa, travolgendo i bambini.

Per il pm Stefano Gallo, titolare della inchiesta, e gli agenti della Squadra Mobile dell’Aquila guidati dal dirigente Danilo Di Laura, la perizia deve chiarire il motivo per il quale l’auto si è mossa: se c’è stato un guasto tecnico, se la donna si sia dimenticata di azionare il freno a mano o se il figlio 12enne, rimasto a bordo mentre la madre era andata a prendere i due gemellini di 5 anni nella scuola, abbia inavvertitamente disattivato il freno, elettronico e non manuale, dunque ‘a pulsante’.

La questione del freno a mano elettronico è fondamentale: mentre per quelli di tipo meccanico non rimane traccia dell’utilizzo, per quello elettronico si potrà verificare tramite la centralina di controllo.

Oggi inoltre dovrebbe essere affidato l’incarico dell’autopsia sul corpo del piccolo Tommaso: solo dopo saranno fissati i funerali, in una comunità sconvolta e col sindaco che ha indetto il lutto cittadino per ricordare Tommaso.

Domani dovrebbe essere ascoltata anche la 38enne che ha ‘provocato’ l’incidente: indagata per omicidio stradale, sarà interrogata dai magistrati alla presenza dell’avvocato di fiducia Francesco Valentini, del foro dell’Aquila. Per ora il pm Gallo non ha richiesto l’arresto della donna, casalinga, in attesa dei riscontri tecnici.

B.R.Z. era alla guida dell’auto che gli aveva prestato un parente: la sua famiglia da anni vive all’Aquila dove è perfettamente integrata e stimata, col marito operaio nella zona.

Il Corriere della Sera scrive che il figlio 12enne rimasto in auto avrebbe spiegato di essersi sporto dal finestrino della Passat, forse per scendere o chiamare la madre, e avrebbe anche testimoniato di averlo effettivamente visto affacciarsi. Ricostruzione diversa invece viene riferita da Il Messaggero, che riporta una frase che sarebbe stata pronunciata dal figlio 12enne della donna in lacrime: “l’ho ucciso io, l’ho ucciso io“, lasciando intendere di avere delle responsabilità dirette nell’incidente. Una versione che, riporta sempre il giornale, sarebbe confermata anche da altri testimoni che avrebbero riferito di aver visto il ragazzino al posto di guida tentare di muovere il volante della Passat mentre si avvicinava al cancello dell’asilo.

Le parole e le scuse dell’indagata

All’indomani della tragedia anche la donna indagata per omicidio stradale ha raccontato all’Ansa quei momenti. “Le mie figlie hanno visto le drammatiche scene e sono sotto shock: siamo distrutti e addolorati, chiediamo e chiederemo ancora scusa alla famiglia del povero Tommaso e dei bambini feriti“, sono le parole riportate dall’Agenzia.

Quanto all’incidente, la 38enne di origini bulgare ha spiegato di aver parcheggiato l’auto “in pianura, ho inserito la marcia, non mi ricordo di aver inserito il freno a mano”.

Auto, una Volkswagen Passat di proprietà di un parente, che ha visto quindi “passare avanti, ho provato a fermare la macchina con le mani ma non ci sono riuscita. Ed ha colpito i bambini rompendo la recinzione”.

Dopo aver parlato con il suo avvocato, Francesco Valentini, la donna ha chiarito anche il ruolo del figlio 12enne nella vicenda, dato che il ragazzino era all’interno del veicolo quando ha travolto i bambini nel cortile dell’asilo. “Mio figlio durante la corsa ha cercato di uscire dalla macchina sbattendo la testa dentro l’abitacolo. Io e tutta la mia famiglia non riusciamo a darci pace, questa tragedia segnerà per la vita. Siamo sconvolti, addolorati”, ha spiegato la mamma.

L’allargamento dell’inchiesta alla ‘sicurezza’

Ma l’indagine sull’incidente e sulla morte di Tommaso nella scuola dell’infanzia di Pile potrebbe presto allargarsi e vedere altri indagati.

Procura de L’Aquila e Squadra Mobile hanno infatti iniziato degli accertamenti anche sulla questione della sicurezza all’esterno dell’asilo e negli spazi circostanti, in particolare per chiarire se le vetture potessero parcheggia nei dintorni e se la recinzione del giardino fosse a norma.

L’Ansa scrive che l’immobile che ospita la scuola, di proprietà comunale, risale agli anni ’80 ma avrebbe subito degli interventi dopo il sisma 6 aprile 2009. La gestione è invece ‘mista’: nel piano terra c’è il nido (bambini da 0 a 3 anni), che + gestito dall’amministrazione comunale, mentre nel seminterrato, dove è avvenuto l’incidente, c’è la Materna (3-6 anni) la cui competenza è dell’Istituto comprensivo “Mazzini”. Per questo anche i piani di sicurezza sono diversi.

Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia

"Sono parole bellissime. Ci aiutano in questi momenti terribili in cui siamo tutti distrutti". “Nessun rancore, è una tragedia per tutti”: la lezione del padre di Tommaso, il bimbo travolto all’asilo a L’Aquila. Antonio Lamorte su Il Riformista il 20 Maggio 2022. 

“Non portiamo rancore. Né a quella donna, né al bambino che era nella macchina. Ci rendiamo conto che è una tragedia per tutti”, ha detto tramite il suo avvocato il padre di Tommaso D’Agostino, il bambino di quattro anni morto dopo essere stato travolto da un’automobile all’asilo Primo maggio de L’Aquila mercoledì scorso. La vettura era parcheggiata su una rampa ed è partita all’improvviso sfondando l’inferriata della scuola e investendo alcuni bambini. Cinque feriti, tre maschi e due femmine.

Per Tommaso non c’è stato niente da fare. La madre di un altro bambino di 11 anni e mezzo, che in quel momento si trovava sull’automobile, è indagata per omicidio stradale. “Sono parole bellissime. Ci aiutano in questi momenti terribili in cui siamo tutti distrutti. Un po’ ci sollevano. Ringrazio tanto il papà e la mamma di Tommaso. Il nostro pensiero è sempre a loro. La loro tragedia è anche la nostra. Vorremmo tanto che non fosse mai accaduto”, la replica della donna tramite il legale Francesco Valentini a il Corriere della Sera.

La madre – 38 anni, origini bulgare come il marito – non ha ancora ricevuto la convocazione per l’interrogatorio. Stamattina ci saranno altri accertamenti nella scuola per continuare a indagare, ricostruire la tragedia che si è consumata in pochi secondi. Il punto da chiarire è quello del freno a mano. “Non ho toccato quel pulsante. Non sono stato io a togliere il freno a mano – ha detto il bambino di 11 anni rimasto a borgo della Volkswagen Passat mentre la madre andava a prendere le due sorelline all’asilo – La macchina è partita. Ma non lo so perché. Ho provato a fare qualche cosa. Ma non mi ricordo. Mi fa male la testa”.

La donna ha raccontato al suo avvocato di aver visto la macchina scendere dalla rampa. Il bambino ha detto anche di aver provato una sterzata all’ultimo momento: troppo poco spazio. Smentita dall’avvocato l’ammissione – “l’ho ucciso io quel bambino” – attribuita all’11enne. È sconvolto, come la madre. Una perizia della procura dovrà accertare se quest’ultima aveva inserito il freno automatico. Così come saranno accertate eventuali responsabilità della scuola sul montaggio del cancelletto da poco montato.

Gli altri bimbi feriti ieri sono stati trasportati a Roma: restano gravi le condizioni di una delle due bambine ricoverate al Gemelli mentre è uscito dalla terapia intensiva chirurgica il bambino ricoverato al Bambin Gesù con un trauma toracico. Il sindaco de L’Aquila Pierluigi Biondi ha annunciato che i bimbi in quell’asilo non torneranno: saranno trasferito in un’altra struttura del post-sisma.

Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

L’Aquila, il racconto del bimbo rimasto sull’auto finita nel giardino dell’asilo. Asia Angaroni il 19/05/2022 si Notizie,it.

Il bambino di 11 anni che era a bordo dell'auto ha raccontato di non aver toccato il pulsante del freno a mano. La mamma è indagata per omicidio stradale. 

Non avrebbe toccato il pulsante del freno a mano, ma l’auto si è messa in marcia. Lo racconta il bambino di 11 anni rimasto a bordo del mezzo che ha sfondato la recizione della scuola e investito un gruppo di bimbi che giocava in cortile.

Resta da fare luce su quanto accaduto a L’Aquila, provocando la tragedia che ha sconvolto l’intera comunità. Il sindaco ha già proclamato lutto cittadino per la morte del piccolo Tommaso, il bimbo di 4 anni che è morto investito dal veicolo.

L’Aquila, il racconto del bimbo rimasto sull’auto

Sono stati ascoltati come testimoni maestre, dipendenti della scuola e altre mamme che erano sul posto per prendere i propri figli.

Convocata anche la preside della scuola per capire se fossero state prese tutte le precauzioni necessarie. L’ingresso della scuola è affacciato su una strada stretta, che non consente la fermata. Le auto possono essere parcheggiate nel cortile interno e sulla rampa che finiva con un cancelletto, per evitare che i bambini uscissero dal giardino. Ora è stato prelevato dalla polizia scientifica, a cui spetta il compito di effettuare tutti i rilievi del caso.

A raccontare negli uffici della squadra mobile la sua versione dei fatti, affiancato da uno psicologo, è anche il ragazzino di 11 anni rimasto a bordo della Volkswagen Passat che la mamma aveva parcheggiato lungo la strada in discesa per poi recarsi all’asilo a recuperare gli altri due figli (due gemelli rimasti illesi).

Stando a quanto raccontato dal giovane rimasto sull’auto, lui non avrebbe toccato il pulsante del freno a mano.

La manovra tra l’altro è piuttosto complessa. L’auto, tuttavia, si è messa in moto e resta da fare luce sull’accaduto, comprendendo come ciò sia potuto accadere. Il figlio maggiore si è accorto di quello che stava succedendo, ma non ha potuto fare niente per evitare il peggio.

Convocata anche la madre, che si è presentata insieme al marito. Sono due cittadini bulgari perfettamente integrati nella comunità cittadina, da tempo residenti in Italia e senza precedenti. La donna è accusata di omicidio stradale. Sono stati nominati alcuni periti per capire se il freno fosse stato davvero innescato dalla madre prima di scendere dalla sua auto. Il comando resta in memoria, quindi sarà possibile fare chiarezza sulle responsabilità. “Siamo distrutti”, ripetono i genitori.

Tragedia de L’Aquila, il bimbo rimasto in auto: “Non ho toccato niente”. Giampiero Casoni il 20/05/2022 su Notizie.it.

Primi adempimenti giudiziari dopo la terribile tragedia de L’Aquila, il bimbo rimasto in auto spiega alla polizia: “Io non ho toccato niente”. 

Tragedia de L’Aquila e primi adempimenti giudiziari, con gli inquirenti ha parlato il bimbo rimasto in auto ed ha detto: “Non ho toccato niente”. Accompagnato dalla madre indagata il ragazzino è stato interrogato con cautela dalla polizia in ordine al dramma con cui la vettura in cui si trovava si era “sfrenata” e dopo aver sfondato un cancello aveva investito sei bambini, uccidendo il piccolo Tommaso di soli 4 anni.

Il dato a verbale è che il bambino, di poco più di 11 anni, non ha toccato il pulsante del freno a mano.

Il bambino: “Non ho toccato niente”

Tuttavia la vettura è partita e lui ha cercato invano di evitare la tragedia. Il ragazzino era a bordo della Volkswagen Passat nella giornata terribile di mercoledì 18 maggio. Il bambino, come spiega il Corriere della Sera, è stato ascoltato nella serata di quel tragico giorno in presenza di uno psicologo negli uffici della squadra mobile della Polizia.

Lì ci era arrivato assieme al papà ed a sua madre, che è indagata per omicidio stradale. Si tratta di una coppia di cittadini bulgari che vivono da tempo in Italia, persone di condotta specchiata.

La consulenza sul freno a mano

La donna ha ribadito di essere scesa dall’auto per prendere i fratelli, due gemellini che al momento dell’incidente erano nei locali interno. E il loro fratello maggiore ha spiegato di non aver tolto il freno a mano.

Nelle more delle verifiche procedurali la procura ha nominato alcuni consulenti. Lo scopo è comprendere se il freno, del tipo a pulsante, fosse stato innescato dalla madre prima di scendere oppure no. Il varco cognitivo è quello per cui anche un comando errato di blocco resta in memoria e la eventuale responsabilità della madre dipenderà da quella perizia.

SOLITO MOLISE. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        Succede in Molise.

Regioni, sta scomparendo il Molise ma il governatore è in buona salute. CLAUDIO MARINCOLA su Il Quotidiano del Sud il 17 marzo 2022.

Per anni è andato avanti il tormentone: “il Molise non esiste”. Un meme alimentato da un magma emotivo: le dimensioni della regione, il numero degli abitanti, il senso di emarginazione economico e culturale. Allo smarrimento lessicale si sono poi aggiunti gli scherzi del web: una falsa documentazione geografica e il (fantastico) paragone con il Regno di Narnia.

Per fortuna i molisani sono più ironici e ingegnosi dei loro detrattori e hanno trasformato la presunta inesistenza in un brand turistico. Il problema ora però è un altro. Che questi 36 chilometri di fascia costiera, montagne, colline, boschi, laghi, fiumi, cascate e borghi bellissimi che si chiamano Molise, rischiano di scomparire davvero. La popolazione è scesa ai minimi storici. Negli ultimi 4 anni si sono persi quasi 18 mila residenti. L’ultimo rilevamento Istat, sono scesi a 290. 769, meno abitanti del VII Municipio di Roma che ne ha 307 mila circa. Tra pandemia, immigrazione, cervelli in fuga e giovani che se ne vanno, negli ultimi 2 decenni hanno traslocato in 30 mila.

Che cosa è rimasto? E’ rimasto il presidente della Regione, il Consiglio regionale, i 20 consiglieri, gli assessori, le varie commissioni etc, etc. Idem per le due provincie di Campobasso e Isernia e per i loro rispettivi organi istituzionali. Una moltiplicazione di poltrone e poltroncine che in rapporto alla popolazione tocca un livello in percentuale altissimo. Specie se alla Regione e alle due Province aggiungiamo senatori e deputati del territorio, consiglieri dei municipi, sindaci e giunte varie. Una platea sterminata di cariche istituzionali dove rappresentati e rappresentanti, votati e votanti, si fondono e si confondono.

DATECI BENEVENTO E LA DAUNIA

Un delirio di rappresentanza in uno dei territori – dati Eurostat – tra i più poveri d’Europa per reddito pro-capite. Ha un senso? “La situazione rispetto a 20 anni fa non è cambiata, anche allora il Molise aveva meno abitanti di un municipio di Roma – osserva il governatore molisano Donato Toma (Forza Italia) – ma non voglio negare il problema e sono pronto a discutere. Ma a quel punto questo discorso deve valere fare anche per gli altri, per la Basilica e la Calabria: il problema è comune a tutti”. “Qui non si nasce più – riprende Toma -: questo è il vero problema. L’immigrazione c’è sempre stata, per fermarla servono investimenti e infrastrutture”.

E i costi istituzionali di questo surplus di rappresentanza chi li paga? “Le rispondo con una domanda: siamo troppo piccoli noi o ci sono ancora troppe regioni sovrappopolate? Esempio la Campania, Noi siamo il Sannio ma il Sannio è anche Benevento. I nostri confini arrivano fino alla Daunia che però fa parte della Puglia. Non sarebbe più giusto che queste province facessero parte del Molise?”

Andare via. Nel Mezzogiorno è una condizione obbligata. La mancanza di lavoro spinge i giovani a cercare un “altrove”. L’Istat, oltre ai dati aggiornati al 31 dicembre 2020, ha pubblicato l’andamento demografico dell’ultimo anno. Il grafico di una desertificazione continua. Nel 2018 hanno lasciato il Molise e cambiato residenza in 4.703; nel 2019 oltre 3.000; 6.000 nel 2020.

Un esodo senza fine, un tasso migratorio che sta spopolando gran parte dei 136 comuni della regione, la più piccola se si esclude la Val d’Aosta. Dopo la seconda guerra mondiale Il Molise conobbe il suo periodo demograficamente più fecondo: 406 mila abitanti, censiti nel 1956 (fonte Treccani) . Da quel momento iniziò una contrazione pressoché ininterrotta, a parte una brevissima parentesi. Come del resto è avvenuto ovunque anche in questo caso si è verificata una forte immigrazione interna, dalle zone rurali verso le zone costiere e le aree industriali.

LA SEPARAZIONE DALL’ABRUZZO

Tutto si fa risalire al 27 dicembre del 1963 quando, dopo aver modificato l’articolo 131 della Costituzione, la Regione “Abruzzo e Molise” scomparve per trasformarsi in due regioni distinte. Non bastò modificare la Carta, si dovette anche procedere in deroga alla legge Marracino del 1957: stabiliva che per costituire una regione ci dovessero abitare almeno un milione di persone. Nacque così la 20° regione italiana, la più giovane, ma con una sola provincia-capoluogo, Campobasso. Sette anni dopo si aggiunse anche Isernia.

Motivazione di questa separazione se ne potrebbero trovare tante. Geografiche, identitarie, culinarie ma sarebbero forzature. Piccole differenze dialettali, sfumature. In realtà, il vero motivo per cui ci fu la scissione si fa risalire a fini chiaramente elettorali. Collegi in concorrenza tra loro, questioni spesso tutte interne alla Democrazia cristiana e alle sue correnti fratricide.

Non a caso, proprio in quegli anni, la vicina Lucera, capitale della Daunia, con il bel Castello Di Federico II che affaccia sulla Capitanata, cercò di affrancarsi dalla Puglia e sottrarsi alla sfera del distretto Foggia-Bari ,dove spadroneggiavano i morotei. Il tentativo non riuscì e l’annessione sfumò. Alla periferia dell’impero le cose all’epoca andavano in questo modo.

Agnone, il paese delle campane molisane. Angela Leucci il 16 Febbraio 2022 su Il Giornale.

Ad Agnone, in Molise, esiste una lunga e secolare tradizione relativa alla produzione di campane sacre: ecco le bellezze di un borgo ricco di storia. 

Agnone è piccolo borgo in provincia di Isernia, in cui il sacro e il profano si mescolano indissolubilmente. L’artigianato locale è infatti ricco di storie e di legami con il cattolicesimo, dalla produzione di campane alle ostie ripiene. Sono questi infatti i motivi principali per cui si visita Agnone, tuttavia il centro è ricco di un certo interesse storico, architettonico e paesaggistico, con le sue case di spioventi che si stagliano contro le morbide e verdi montagne in lontananza. 

Le campane ad Agnone sono legate in particolare al nome della famiglia Marinelli, che da tempi antichissimi produce campane per scopi sacri. Come molti sanno, realizzare campane di grandi dimensioni in bronzo è una tradizione italiana nata in Campania. Non è per niente facile: questi prodotti devono rispondere a caratteristiche acustiche ben precise oltre che riportare icone da uno a quattro santi protettori sul proprio “guscio”.

Secondo più fonti, la più antica testimonianza dell’arte campanaria ad Agnone si fa risalire al 1339, quando il campanaro Nicodemo Marinelli realizzò una campana di due quintali per una chiesa del Frusinate. Ma è molto probabile che la tradizione artigiana sia nata molto prima.

Un’altra certezza è che nel 1924 il papa Pio XI concesse alle campane Marinelli l’utilizzo dello stemma papale per le proprie produzioni, tanto che la famiglia molisana realizzò le campane per i giubilei della Chiesa Cattolica che da allora ci furono. E dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando la produzione si dovette fermare perché i materiali erano impiegati tutti nello sforzo bellico, nel 1949 ci fu per i Marinelli una commissione prestigiosa: la realizzazione delle campane dell’abbazia di Montecassino distrutta nel conflitto. Pochi anni dopo, nel 1954, i Marinelli ricevetterlo la medaglia d’oro del presidente della Repubblica.

Accanto alla fabbrica, alla fine del secolo scorso, è sorto un museo colmo di memorabilia, tra bronzi sacri e manoscritti: tra essi l’edizione olandese del 1664 del “De tintinnabulis”, il più antico e importante trattato sulle campane.

La storia di Agnone 

Se dal Regno delle Due Sicilie in poi il borgo di Angione conobbe una storia molto comune a tutto il Meridione d’Italia, con l'avvicendamento di varie dominazioni e l'annessione al Regno d'Italia, è la sua storia antica ad apparire molto interessante. La zona fu infatti abitata dai sanniti, che vi costruirono la città di Aquilonia, conquistata e distrutta dai Romani. Ed esistono in loco anche varie testimonianze che appartengono al popolo degli osci. Alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente, il luogo fu molto fiorente grazie alla dominazione longobarda, mentre nel XII secolo giunsero in zona molti artigiani e marinai da Venezia, che tra l’altro “contaminarono” il dialetto locale, facendolo diventare molto affine al proprio.

I prodotti tipici di Agnone 

Sono diversi i prodotti alimentari tipici della zona di Agnone. Ad esempio non si può dimenticare leccellenza del caciocavallo, un formaggio simile a una grossa pera che viene prodotto con latte bovino: affonderebbe le sue radici addirittura nelle tradizioni legate alla Magna Grecia. Viene salato, come un tempo, in salamoia per 20 ore, appeso ad asciugare e poi stagionato fino a 2 anni.

Molto celebri sono anche le ostie ripiene, nate nel locale convento delle Clarisse: si tratta di grandi ostie, naturalmente non benedette, che vengono ripiene con frutta secca, miele e cioccolata.

Il più celebre dolciume di Agnone è invece probabilmente il confetto riccio: si tratta di mandorle di Avola avvolte nello zucchero sciolto in un calderone di rame. I confetti ricci però non hanno una superficie liscia e sono molto più morbidi rispetto ai confetti classici.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        Succede in Campania. 

L'Italia da scoprire. Piatti tipici della Campania. Ragù napoletano, spaghetti alla Nerano, pizza e baccalà fritto. Per non dimenticare la sfogliatella e il babà. Tutti i piatti tipici e i prodotti gastronomici della tradizione culinaria Campana. Rosa Scognamiglio il 25 Ottobre 2022 su Il Giornale.

Tabella dei contenuti

 Prodotti tipici

 Primi piatti

 Secondi piatti

 Contorni e piatti unici

 La pizza

 Dolci

La cucina campana vanta una lunga e antichissima tradizione culinaria. Non solo la pizza, nelle sue infinite declinazioni e varianti, ma anche un patrimonio di primi piatti, secondi e dolci che l’hanno resa celebre in tutto il mondo. Dal ragù napoletano agli gnocchi alla sorrentina: una lunga carrellata di preparazioni ricche e succulente.

Prodotti tipici 

Quando si parla di Campania il riferimento alla mozzarella, vaccina o di bufala, è quasi implicito. Si tratta di una vera e propria eccellenza diffusa in moltissime aree del territorio: da Napoli a Caserta passando per Battipaglia. Quest’ultima è nota soprattutto per la “zizzona”, una mozzarella che può arrivare fino a 5 chili e rimanda alla forma di un seno prosperoso (da cui il nome).

La penisola sorrentina, invece, è famosa per le scamorze che, talvolta, vengono infarcite con salumi di vario tipo e olive. Nella rosa delle eccellenze casearie non può mancare un riferimento al provolone del monaco: un formaggio a pasta semidura ottenuto dalla lavorazione del latte della vacca agerolese. Vi sono poi i formaggi di fossa, come il mantecato del Matese, e il caciocavallo Silano.

Notevole è anche la produzione di ricotta: quella salata, tipica del Salernitano, si consuma soprattutto in occasione della Pasqua. Quanto agli insaccati, non vi è dubbio che il salame napoletano vanti una tradizione secolare. La grana è piuttosto grossolana mentre il sapore è dolce e leggermente speziato.

Altre eccellenze regionali sono: le noci di Sorrento, le nocciole di Giffoni, i fichi bianchi del Cilento, le castagne di Montella e il marrone di Roccadaspide. Per non dimenticare i pomodorini del piennolo del Vesuvio, i pomodori dell’Agro-Sarnese Nocerino, le olive di Gaeta e la preziosissima colatura di alici di Cetara.

Primi piatti 

Per passare in rassegna tutti i primi piatti della tradizione campana, non basterebbe un solo ricettario o manuale di cucina. Per certo il ragù napoletano, una preparazione a base di carne e salsa di pomodoro che viene fatta cuocere a lungo, è il non plus ultra delle eccellenze regionali. Lo si usa per condire ziti o paccheri (rigorosamente lisci), o per preparare i famosissimi gnocchi alla sorrentina.

Un altro fiore all’occhiello della cucina partenopea è la genovese. Si tratta di un condimento per pasta preparato con la cipolla (ramata, bianca e/o dorata) tagliata a fette, il sedano, la carota e qualche pomodorino. Vi si aggiunge poi il lacerto, il pezzo corrispondente al primo taglio della coscia del manzo, tra il girello e il soccoscio. La cottura deve essere lenta e a fiamma moderata.

Nel menu dei primi piatti campani non può mancare un riferimento agli spaghetti alla Nerano, bandiera della Costiera Amalfitana. Si preparano con le zucchine fritte tagliate a rondelle e, da ultimo, dopo aver impiattato la pasta, si aggiunge il provolone del monaco in scaglie.

Nel napoletano, invece, la tradizione impone ricette con molluschi e, più in generale, il pescato. Oltre agli spaghetti alle vongole veraci o lupini, un piatto d’eccellenza è sicuramente la calamarata. Si tratta di un piatto preparato con una pasta a forma di anello, calamari e pomodorini. Chiudono la carrellata la pasta con patate e provola e quella mista con fagioli o ceci.

Secondi piatti 

Nella tradizione campana, il secondo è quasi un plus e sovente viene servito in accompagnamento alle verdure locali. Come, ad esempio, le salsicce con i friarelli (simili alle cime di rapa pugliesi o ai broccoli laziali) o le polpette di macinato (rigorosamente fritte) con le melanzane a funghetto. Fa eccezione il coniglio all’ischitana: una ricetta dell’isola d’Ischia che si consuma in vista di occasioni speciali e festività.

Quanto ai secondi di pesce, l’elenco è davvero lungo e succulento. A fare da apripista c’è sicuramente l’impepata di cozze (che si potrebbe considerare anche un piatto unico) e il sauté di vongole. Seguono poi le alici ammollicate, i polpi veraci affogati, il baccalà fritto, lo stoccafisso con le patate, i calamari ripieni e il capitone fritto (un’anguilla di grosse dimensioni).

Contorni e piatti unici 

I contorni sono considerati alla stregua di piatti unici dal momento che sono abbondanti e particolarmente infarciti. Un grande classico è sicuramente la parmigiana: una preparazione in cui si alternano strati di melanzane e sugo di pomodoro ad altri di provola o mozzarella. Alcune versioni prevedono anche l’aggiunta di prosciutto cotto. Lo stesso si dica per i peperoni ‘mbuttunati (ripieni ndr) che vengono infarciti con mollica di pane, provola e fondi dei salumi. Oppure i crocchè di patate e mozzarella che, di solito, si servono come antipasto.

Vi sono poi le scarole con pinoli, noci e uvetta, i carciofi indorati e fritti, le melanzane a scarpone, e le zucchine alla scapece. Infine, il gattò (dal francese gateau) di patate: un modo furbo per riciclare gli avanzi di insaccati e formaggi.

La pizza 

La pizza merita un paragrafo a parte. Il 5 febbraio 2010 è stata ufficialmente riconosciuta come Specialità tradizionale garantita (STG) dell'Unione europea e, nel 2017, l'arte del pizzaiuolo napoletano è stata dichiarata dall'UNESCO come patrimonio immateriale dell'umanità.

Oltre alla margherita, tra quelle tradizionali, vi sono anche la marinara e la cosacca. Quest’ultima è condita con il pomodoro di Corbara e il pecorino di Bagnoli: la leggenda narra che fosse quella preferita dai pizzaioli. Non meno nota è la pizza fritta con cicoli (ciccioli ndr) e ricotta oppure quella con salame e provola.

Un altro grande classico è la pizza di scarole (erroneamente chiamata "torta") che si prepara soprattutto in occasione del Natale. Restando in tema di festività, vi sono poi il tortano, il casatiello e le pizzette di sciurilli (i fiori delle zucchine piccole).

Dolci 

I dolci sono la punta di diamante della tradizione culinaria campana. La sfogliatella, sia riccia che liscia (frolla), preparate con strutto, semolino e ricotta, sono apprezzatissime in tutto il mondo. Le rivisitazioni contemporanee prevedono l’aggiunta di cioccolato in scaglie e altri ingredienti alla farcia originaria. Inoltre, si possono trovare anche in versione salata: al pomodoro o con provola e salame.

Immancabile, specialmente quando si parla di dolci partenopei, una menzione d’eccezione al babà. Si tratta di un lievitato, dalla forma allungata o smerlata, che viene imbibito nel rum prima di essere servito.

Non meno degni di nota sono le preparazioni natalizie o pasquali come la pastiera, la cassata al forno, i roccocò, le cartine napoletane e i mostaccioli. Chiudono la carrellata altre specialità tra cui la polacca di Aversa, le zeppole di San Giuseppe e i taralli dolci di Castellammare.

Abbiamo scoperto la vera data dell’eruzione di Pompei. LUIGI BIGNAMI, divulgatore, su Il Domani il 31 luglio 2022

A quasi 2mila anni dall’episodio che distrusse gran parte del territorio e delle città circostanti, un gruppo internazionale di ricercatori ha analizzato nuovamente l’evento.

L’eruzione sarebbe dunque avvenuta nell’autunno del 79 d.C., e non il 24 agosto come si è ipotizzato in passato.

Un piccolo gruppo di ricercatori italiani, francesi e statunitensi ha scoperto che la maggior parte delle foreste nel mondo sta diventando meno resiliente ai cambiamenti ambientali.

LUIGI BIGNAMI, divulgatore. Giornalista scientifico italiano, laureato in scienze della terra a Milano

Emanuela Minucci per lastampa.it il 2 agosto 2022.

Pompei a portata di divano. Sembra un sogno ma da oggi basterà uno smartphone per visitare il parco archeologico. C’è voluto parecchio tempo, ma gli archivi digitali di «Open Pompeii» (un immenso patrimonio di dati raccolti in decenni) da oggi saranno alla portata di tutti con un click, per consultazione, studio e approfondimento. Un archivio di vetro trasparente, disponibile e accessibile a tutti, non solo a studiosi e con possibilità di interagire e integrare informazioni utili.

E' una «rivoluzione» nella consultazione dei dati sul patrimonio archeologico del Parco, nell'ottica della massima accessibilità e interattività nella ricerca e nella fruizione, spiega una nota. Disponibili on line dati, informazioni, immagini e video su ciascuna struttura archeologica, case e edifici, reperti, affreschi presenti o distaccati, con indicazione della loro provenienza e attuale dislocazione, ad esempio in un museo o in deposito, con connessa bibliografia e possibilità di incrociare dati. Un passo avanti nella ricerca, a disposizione di visitatori, studiosi, operatori turistici, guide o anche semplicemente appassionati, che potranno accedere al sistema da qualsiasi dispositivo. Il sistema sarà anche accessibile attraverso l'App My Pompeii.

«Un'operazione che si può definire radicale e coraggiosa e che si inserisce nello sforzo più ampio del Ministero della Cultura - sottolinea il direttore del Parco archeologico Gabriel Zuchtriegel - Attraverso il Piano nazionale di digitalizzazione del patrimonio culturale dell'Istituto centrale per la digitalizzazione del patrimonio culturale - Digital Library, il Ministero sta attuando un processo di trasformazione digitale, di tutti i luoghi della cultura statali che possiedono, tutelano, gestiscono e valorizzano i Beni Culturali, nell'ottica oltre che della piena accessibilità anche del miglioramento della tutela e della conoscenza del patrimonio. Con Open Pompeii raggiungiamo un importante traguardo in questo ambito, ma non è assolutamente un punto d'arrivo: la digitalizzazione continuerà anche nei prossimi anni e proprio per questo il feedback degli stessi utenti sarà preziosissimo».

La consultazione delle informazioni è basata su un'interfaccia semplice e intuitiva che, mediante una mappa, permette all'utente di interagire con il sistema e visualizzare i vari livelli informativi, navigando tra regioni, insule, unità catastali e vani. Utilizzando il motore di ricerca integrato, è possibile ricercare le informazioni desiderate circa unità catastali o reperti archeologici. La banca dati che alimenta il sistema informativo Open Pompeii è frutto di un'aggregazione di dati provenienti dai principali sistemi gestionali in uso a Pompei.

Gimmo Cuomo e Chiara Marasca per il Corriere della Sera il 6 Agosto 2022.   

Un armadio di legno rimasto chiuso per duemila anni con tutto il suo corredo di stoviglie. E poi un letto, un tavolino, un baule svuotato e lasciato aperto nella fretta degli ultimi istanti. Nuova scoperta a Pompei, dove dagli Scavi emergono altri particolari di quella che si rivela come una casa del ceto medio, cinque piccole stanze più bagno e cucina affacciate però su uno splendido giardino dipinto. 

Mobili modesti insieme a oggetti più preziosi. «Una realtà diffusa e poco raccontata», dice il direttore Zuchtriegel. La casa si trova nell’area nord nella cosiddetta Regio V, uno dei grandi quartieri della città antica, già interessata da scavi nel 2018, nell’ambito del più ampio intervento di manutenzione e messa in sicurezza dei fronti di scavo lungo il perimetro dell’area non scavata della città, previsto dal Grande Progetto Pompei.

Il Larario decorato

In quest’area, con accesso dal vicolo di Lucrezio Frontone, nel 2018 emerse un lussuoso larario riccamente decorato, sul quale affaccia anche la Domus recentemente scoperta. Si tratta di un ambiente adibito al culto, che presentava su una parete una nicchia sacra ai «Lari», numi tutelari della casa e al di sotto due grandi serpenti «agatodemoni» (demone buono), simbolo di prosperità e buon auspicio.

La Domus

«Nell’impero romano», spiega il direttore del Parco archeologico, Gabriel Zuchtriegel, «c’era un’ampia fetta della popolazione che lottava per il proprio status sociale e per cui il “pane quotidiano” era tutt’altro che scontato. «Un ceto vulnerabile durante crisi politiche e carestie, ma anche ambizioso di salire sulla scala sociale. Nella casa del Larario a Pompei, si riuscì a far adornare il cortile con il larario e con la vasca per la cisterna con pitture eccezionali, ma evidentemente i mezzi non bastavano per decorare le cinque stanze della casa, una delle quali fungeva da deposito.

Nelle altre stanze, due al piano superiore e raggiungibili tramite un soppalco, abbiamo trovato un misto di oggetti, alcuni di materiali preziosi come il bronzo e il vetro, altri di uso quotidiano. I mobili di legno di cui è stato possibile eseguire dei calchi sono di estrema semplicità. Non conosciamo gli abitanti della casa ma sicuramente la cultura dell’ozio a cui si ispira la meravigliosa decorazione del cortile per loro era più un futuro che sognavano che una realtà vissuta», ha aggiunto. 

Franceschini: Pompei non finisce di stupire

«Pompei davvero non finisce di stupire ed è una bellissima storia di riscatto», commenta il ministro della cultura Dario Franceschini. «È la dimostrazione- sottolinea il ministro- che quando in Italia si lavora in squadra, si investe sui giovani, sulla ricerca e sull'innovazione si raggiungono risultati straordinari». Per il dg musei Osanna la nuova scoperta è «la prova che è importante continuare scavare».

Marisa Ranieri Panetta per “L’Espresso” il 30 luglio 2022.

L’affascinante viaggio nell'antico continua. Le case di Pompei che stanno per aprirsi al pubblico, dopo lunghe chiusure e restauri, ampliano le nostre conoscenze su usi, arte e gusti della vita quotidiana: volti, paesaggi, minute descrizioni che si rincorrono sulle pareti di domus aristocratiche. 

Entro l'estate, come anticipa L'Espresso, sarà accessibile la casa delle "Nozze d'argento", scoperta nel 1893 e così denominata per l'anniversario in quell'anno dei reali d'Italia Umberto e Margherita di Savoia. Molte abitazioni infatti prendono il nome da ricorrenze, visite illustri, ritrovamenti particolari; a volte, in occasione della presenza di un sovrano o di un personaggio altolocato, come il pontefice Pio IX, si faceva finta di trovare reperti già venuti alla luce, che venivano poi offerti in regalo.

La domus di cui parliamo, risalente nella prima fase al II sec. a.C., è un esempio di come si presentavano le case delle nobili famiglie pompeiane prima che la città diventasse municipio romano. La maestosità dell'atrio, come una cattedrale, con le alte colonne in tufo disposte agli angoli della vasca centrale, suggerisce l'importanza sociale anche dell'ultimo proprietario Albucio Celso, candidato all'edilità tra il 76 e il 79 d. C. Una tenda, rivelata da un disco di bronzo con rostro, lo separava dal tablino, dove il padrone di casa riceveva clienti, scriveva lettere, conservava documenti.

Subito dietro, si apre un giardino porticato e, sulla destra, si trova la cucina con un gabinetto adiacente: una rarità, quest' ultimo servizio, manca pure in domus lussuose e ampie. Dopo la cucina, ecco un altro giardino, che esibiva tre statuine smaltate di animali a tema egizio, ora al Museo nazionale di Napoli insieme al mosaico dell'ingresso, dove è raffigurata una città turrita con il porto e il faro. 

Nel corso della sua storia, la casa aveva subito vari rifacimenti, assicurando sempre un'esistenza più che confortevole: fontane ovunque, un bagno fornito di acqua calda, vasche all'aperto, ambienti piccoli e grandi dalle decorazioni accurate.

Un'altra particolarità contraddistingue l'edificio, finora non evidenziato: sulla sinistra dell'atrio, esisteva un orto. Non tutte le zone destinate al verde erano adibite ad accogliere piante fiorite, statue e fontane, per il godimento dei proprietari e come status symbol da ostentare agli ospiti; già sono stati identificati alberi da frutto, vigneti e piante di ulivo sparsi in città.  Ma ci sono molte zone destinate a coltivazioni, non indagate o abbandonate.

Gabriel Zuchgrietel, direttore del Parco archeologico, vuole andare avanti in questa ricerca, con un progetto che riguarda anche Stabia e Oplontis, perché «da un censimento effettuato, le zone agricole a ridosso delle mura e negli abitati sono circa cento ettari: un patrimonio che deve essere riscoperto, reintegrato con le coltivazioni originarie». 

E riferisce in anteprima a L'Espresso: «Sta per partire un bando per coinvolgere partner privati nella produzione del vino e di altri alimenti, così come avveniva in antico. Si tratta di un nuovo approccio di conoscenza, all'interno di una visione articolata del Parco: storia, arte, alimentazione e paesaggio, in grado di restituirci nel suo complesso la vita reale degli ultimi abitanti. Nello stesso tempo, si potranno generare sviluppo e occupazione attraverso la valorizzazione dei prodotti».

Sono state già riaperte altre dimore, ma in autunno si conosceranno domus pregiate e un intero isolato (2300 mq), lungo la centrale via dell'Abbondanza, che comprende botteghe, giardini, e due case principali. Quella dei "Casti Amanti" a più livelli, dà il nome ai fabbricati e si riferisce a una pittura murale che raffigura un banchetto con una coppia che si scambia un bacio non volgare.

Decora il triclinio del quartiere residenziale e inneggia a incontri conviviali innaffiati dal vino, ribaditi in altre scene con comportamenti diversi. Entrando, si incontra prima un grande panificio, che costituiva la notevole risorsa economica del proprietario. Si vedono il forno, le mole per macinare il grano e gli scheletri dei muli che le azionavano. Erano sette; evidentemente, utilizzati anche per il trasporto del pane.

L'altra abitazione, dei "Pittori al lavoro", documenta invece un cantiere in piena attività, rivelando in un salone le suddivisioni dei compiti. Pompei continuava a subire terremoti e ovunque c'erano operai per riparare tubazioni, rinforzare murature, ripristinare affreschi. Qui, era stata portata a termine una bella decorazione di soffitti (crollati in migliaia di pezzi, li stanno ricomponendo), ma c'erano tante pareti da risistemare. Appena si è scatenata l'eruzione, i pittori hanno abbandonato la casa, lasciando disegni preparatori, figure in attesa del collante finale, coppette con i pigmenti da polverizzare. Nessuno si aspettava quel cataclisma; sul focolare della Casa dei Casti amanti stavano arrostendo un volatile e un piccolo cinghiale.

L'isolato si presenterà alle visite con una novità assoluta per Pompei: una copertura in pannelli di alluminio con lucernai in vetro stratificato e l'installazione di una passerella sospesa in acciaio che consentirà di conoscere dall'alto tutti gli ambienti. 

Archeologi, tecnici e restauratori sono impegnati anche nella domus dei Vettii, una delle più note, aperta in passato per poco tempo e non interamente. Apparteneva ai fratelli Conviva e Restituto, ricchi liberti nell'ultimo periodo di vita della città, che avevano fatto fortuna con attività mercantili e agricole. Come simbolo beneaugurante di prosperità, nell'ingresso avevano raffigurato il dio Priapo, che poggia il suo enorme membro sul piatto di una bilancia, mentre sull'altro è posta una borsa piena di monete.

Dall'augurio alla reale sostanza economica: nell'atrio, centro focale della casa, si notavano subito due "arche" sostenute da basamenti in muratura: bauli come casseforti, serrati da chiodi e ornamenti bronzei, per salvaguardare i beni preziosi della famiglia. 

In asse con l'entrata, visibile dalla strada col portone aperto, si allungava il giardino circondato da portici che traboccava di tavoli, piante e zampilli d'acqua provenienti da tante statue di marmo e di bronzo.

La ricca borghesia pompeiana seguiva, nella decorazione delle proprie dimore, la moda che si diffondeva a Roma; appaiono così le pitture con motivi fantastici, protagoniste della Domus Aurea neroniana ("grottesche"), che occupano tutto il campo lasciato libero dai grandi quadri sulle pareti. Le pitture murali a Pompei, come altrove, erano la seconda pelle dell'abitazione e ne costituivano l'arredamento vero e proprio. I mobili erano pochi ed essenziali, le stanze da letto piccole, ma le pareti erano dipinte a vivaci colori; quando lo spazio era ridotto, affreschi illusori ampliavano i volumi con architetture e paesaggi.

A caratterizzare le sale che si affacciano sul giardino dei Vettii sono racconti di episodi mitologici dal contenuto moralistico, come il Supplizio di Dirce, cattiva matrigna; il re Issione, punito da Giove perché si era invaghito di Era; Pasifae, la moglie del re cretese Minosse, invaghita di un toro, col quale aveva generato il Minotauro. Più che storie a lieto fine, erano gli amori infelici, gli atti di empietà, a ispirare tragediografi, poeti, artisti: esemplari per indicare il limite tra umano e divino da rispettare.

E Conviva, che ricopriva una carica sacerdotale, si adeguava all'intento didascalico. Gli affreschi più celebrati della casa appartengono al triclinio posto al centro del portico settentrionale, e non si tratta di ampie partiture, bensì di un fregio a sfondo nero che corre nella parte inferiore delle pareti. In sequenza, sfilano scenette che, con grande abilità e grazia, rimandano ad attività quotidiane.

Ad interpretare orafi, profumieri, lavandai, fabbri, sono deliziosi amorini in compagnia di psychae, il loro corrispondente femminile, e ogni singolo racconto lascia incantati. I visitatori degli scavi hanno intanto un'altra occasione per comprendere il vissuto del sito: la mostra "Arte e sensualità nelle case di Pompei", allestita nella Palestra Grande, di fronte all'anfiteatro (a cura di Gabriel Zuchtriegel e Maria Luisa Catoni, fino al 15 gennaio 2023). 

L'arte e l'immaginazione si fondono nelle settanta opere esposte, provenienti dai depositi del Parco archeologico, e rimandano a comportamenti privi di inibizioni. I quadretti dipinti, le statue, gli oggetti quotidiani che raffigurano amplessi, o alludono ad incontri amorosi, non facevano parte soltanto della quotidianità di Pompei; ma furono gli scavi dell'area vesuviana a svelare una realtà lontana da come appariva il mondo classico, lasciando stupiti i primi scopritori.

Nell'esposizione sono presenti anche ritrovamenti recenti, come i due medaglioni con raffigurazioni erotiche del carro cerimoniale di Civita Giuliana, e viene spiegato il contesto di riferimento per ogni opera, e il loro significato. Con l'app My Pompeii, è anche possibile rintracciare gli edifici che si riferiscono al tema della mostra. Un racconto intrigante, per una corretta comprensione storica.  

Laura Larcan per "il Messaggero" il 30 luglio 2022.

L'ultimo segreto di Villa Ada sta nascosto nelle fitte trame della boscaglia, sulla cresta del versante che affaccia verso via Anna Magnani e la Moschea. Non altro che uno dei colli più remoti e selvaggi, del tutto estraneo ai flussi del pubblico. È qui che si può intercettare uno spettrale rudere monumentale, una torretta in muratura a pianta esagonale. 

Una struttura enigmatica, avvolta da quell'impietoso strato di abbandono che ne ha oscurato ogni pregio. Stava lì, dimenticata, nell'oblio del tempo, toccata solo dalla mano di qualche vandalo inconsapevole e irrispettoso. Come spesso accade ai tanti gioielli di Villa Ada.

Per fare luce su questa torretta di cui s'era persa memoria c'è voluto un lungo lavoro di indagine tra carta d'archivio, libri di storia, mappature del terreno. 

IL TEAM L'Osservatorio Sherwood ha mobilitato un piccolo team di ricercatori, composto dall'ingegnere Romano Moscatelli di Sotterranei di Roma e dal naturalista Flavio Tarquini dell'Orto Botanico di Roma, struttura d'eccellenza de La Sapienza. A poco a poco si è svelato così il segreto del Roccolo del Re.

Per capirne la storia bisogna andare indietro nel tempo fino al primo sovrano d'Italia, Vittorio Emanuele II che «per la sua leggendaria passione venatoria si era guadagnato l'appellativo di Re cacciatore», racconta Lorenzo Grassi che ha coordinato l'impresa storica. 

«Nel 1872, dopo la presa di Roma e il trasferimento della corte Savoia nella nuova Capitale - continua Grassi - il Re aveva acquistato diverse proprietà sulla via Salaria per formare una tenuta di 200 ettari, ricca di animali selvatici, dove poter continuare a praticare il suo passatempo preferito. Tra i lavori della nascente Villa Savoia il sovrano ordinò la realizzazione di alcuni laghetti per favorire la presenza di selvaggina».

Ed è proprio nella parte nord-occidentale della villa che intorno al 1875 circa sorse l'originale struttura venatoria ad opera dell'Ufficio del Gran Cacciatore di Sua Maestà. 

LA TECNICA VENATORIA «Quella del Roccolo era una pratica di caccia con postazione e reti che veniva usata per catturare uccelli migratori vivi», sottolinea Grassi. L'équipe di studiosi è riuscita a ricostruire nel dettaglio tutta la struttura, un esempio raffinatissimo di architettura vegetale, formata da costruzioni artificiali ed elementi naturali. 

Strategico è stato il lavoro incrociato con autobiografie e libri storici, come quello di Enrico d'Assia, nel libro Il lampadario di cristallo, in cui annotava le sue emozioni infantili. E scriveva: «Al Roccolo si arrivava attraversando un fitto bosco che a noi bambini metteva un po' di paura: sulla sommità c'era un padiglione a torretta, in cima al quale si saliva con una scaletta a chiocciola esterna. Da lassù si godeva una bellissima vista della piana del Tevere».

E sempre da Enrico D'Assia sappiamo quanto fosse forte l'attaccamento di Vittorio Emanuele II alla caccia, tanto che un freddo giorno d'inverno rimase così a lungo appostato nel parco per stanare una lontra che finì per ammalarsi di polmonite e morirne poco dopo il 9 gennaio del 1878. 

ARCHITETTURA VEGETALE «Ad un'analisi ravvicinata, il Roccolo di Villa Ada ha mostrato delle raffinatezze - avverte Lorenzo Grassi - dalle lastre in ardesia delle scale esterne alle ingegnose staffe d'angolo, dai colori brillanti come il rosso che incornicia le finestre, al balcone panoramico, sino al camino realizzato nel piano interrato, fino all'elegante tetto spiovente in legno e al parafulmini».

Facevano parte del Roccolo il casello, una torretta in posizione elevata, il tondo, un prato con al centro alberi da frutto per attirare gli uccelli, e il colonnato, un doppio filare di alberi con le reti ben nascoste. Nelle foto aeree di Villa Ada degli anni '40 è ancora visibile la conformazione del Roccolo, con il prato del tondo e il colonnato di alberi. «Proprio qui abbiamo trovato dei grandi alberi di frassino, possibile memoria vegetale di quel lontano passato», riflette Grassi.

Ad aggiungere mistero al mistero di questa torre, poi, sono le tracce di buchi lasciati da sei colpi di arma da fuoco. Cosa può essere successo qui? «Sarebbe auspicabile - commentano gli studiosi - un intervento urgente di restauro da parte del Comune, anche perché le strutture sono a rischio crollo».

Gli affreschi erotici di Pompei, dove l’amore è eterno. Le opere al centro di una mostra. Nuove domus aperte al pubblico. Vini e cibi prodotti tra gli scavi. Si ravviva il fascino della città sepolta più famosa al mondo. Marisa Ranieri Panetta  su L'Espresso il 25 Luglio 2022. 

L’affascinante viaggio nell’antico continua. Le case di Pompei che stanno per aprirsi al pubblico, dopo lunghe chiusure e restauri, ampliano le nostre conoscenze su usi, arte e gusti della vita quotidiana: volti, paesaggi, minute descrizioni che si rincorrono sulle pareti di domus aristocratiche.

Entro l’estate, come anticipa L’Espresso, sarà accessibile la casa delle “Nozze d’argento”, scoperta nel 1893 e così denominata per l’anniversario in quell’anno dei reali d’Italia Umberto e Margherita di Savoia. Molte abitazioni infatti prendono il nome da ricorrenze, visite illustri, ritrovamenti particolari; a volte, in occasione della presenza di un sovrano o di un personaggio altolocato, come il pontefice Pio IX, si faceva finta di trovare reperti già venuti alla luce, che venivano poi offerti in regalo.

La domus di cui parliamo, risalente nella prima fase al II sec. a.C., è un esempio di come si presentavano le case delle nobili famiglie pompeiane prima che la città diventasse municipio romano. La maestosità dell’atrio, come una cattedrale, con le alte colonne in tufo disposte agli angoli della vasca centrale, suggerisce l’importanza sociale anche dell’ultimo proprietario Albucio Celso, candidato all’edilità tra il 76 e il 79 d. C. Una tenda, rivelata da un disco di bronzo con rostro, lo separava dal tablino, dove il padrone di casa riceveva clienti, scriveva lettere, conservava documenti.

Subito dietro, si apre un giardino porticato e, sulla destra, si trova la cucina con un gabinetto adiacente: una rarità, quest’ultimo servizio, manca pure in domus lussuose e ampie. Dopo la cucina, ecco un altro giardino, che esibiva tre statuine smaltate di animali a tema egizio, ora al Museo nazionale di Napoli insieme al mosaico dell’ingresso, dove è raffigurata una città turrita con il porto e il faro.

Nel corso della sua storia, la casa aveva subito vari rifacimenti, assicurando sempre un’esistenza più che confortevole: fontane ovunque, un bagno fornito di acqua calda, vasche all’aperto, ambienti piccoli e grandi dalle decorazioni accurate.

Un’altra particolarità contraddistingue l’edificio, finora non evidenziato: sulla sinistra dell’atrio, esisteva un orto. Non tutte le zone destinate al verde erano adibite ad accogliere piante fiorite, statue e fontane, per il godimento dei proprietari e come status symbol da ostentare agli ospiti; già sono stati identificati alberi da frutto, vigneti e piante di ulivo sparsi in città. Ma ci sono molte zone destinate a coltivazioni, non indagate o abbandonate.

Gabriel Zuchgrietel, direttore del Parco archeologico, vuole andare avanti in questa ricerca, con un progetto che riguarda anche Stabia e Oplontis, perché «da un censimento effettuato, le zone agricole a ridosso delle mura e negli abitati sono circa cento ettari: un patrimonio che deve essere riscoperto, reintegrato con le coltivazioni originarie». E riferisce in anteprima a L’Espresso: «Sta per partire un bando per coinvolgere partner privati nella produzione del vino e di altri alimenti, così come avveniva in antico. Si tratta di un nuovo approccio di conoscenza, all’interno di una visione articolata del Parco: storia, arte, alimentazione e paesaggio, in grado di restituirci nel suo complesso la vita reale degli ultimi abitanti. Nello stesso tempo, si potranno generare sviluppo e occupazione attraverso la valorizzazione dei prodotti».

Sono state già riaperte altre dimore, ma in autunno si conosceranno domus pregiate e un intero isolato (2300 mq), lungo la centrale via dell’Abbondanza, che comprende botteghe, giardini, e due case principali. Quella dei “Casti Amanti” a più livelli, dà il nome ai fabbricati e si riferisce a una pittura murale che raffigura un banchetto con una coppia che si scambia un bacio non volgare. Decora il triclinio del quartiere residenziale e inneggia a incontri conviviali innaffiati dal vino, ribaditi in altre scene con comportamenti diversi. Entrando, si incontra prima un grande panificio, che costituiva la notevole risorsa economica del proprietario. Si vedono il forno, le mole per macinare il grano e gli scheletri dei muli che le azionavano. Erano sette; evidentemente, utilizzati anche per il trasporto del pane.

L’altra abitazione, dei “Pittori al lavoro”, documenta invece un cantiere in piena attività, rivelando in un salone le suddivisioni dei compiti. Pompei continuava a subire terremoti e ovunque c’erano operai per riparare tubazioni, rinforzare murature, ripristinare affreschi. Qui, era stata portata a termine una bella decorazione di soffitti (crollati in migliaia di pezzi, li stanno ricomponendo), ma c’erano tante pareti da risistemare. Appena si è scatenata l’eruzione, i pittori hanno abbandonato la casa, lasciando disegni preparatori, figure in attesa del collante finale, coppette con i pigmenti da polverizzare. Nessuno si aspettava quel cataclisma; sul focolare della Casa dei Casti amanti stavano arrostendo un volatile e un piccolo cinghiale.

L’isolato si presenterà alle visite con una novità assoluta per Pompei: una copertura in pannelli di alluminio con lucernai in vetro stratificato e l’installazione di una passerella sospesa in acciaio che consentirà di conoscere dall’alto tutti gli ambienti.

Archeologi, tecnici e restauratori sono impegnati anche nella domus dei Vettii, una delle più note, aperta in passato per poco tempo e non interamente. Apparteneva ai fratelli Conviva e Restituto, ricchi liberti nell’ultimo periodo di vita della città, che avevano fatto fortuna con attività mercantili e agricole. Come simbolo beneaugurante di prosperità, nell’ingresso avevano raffigurato il dio Priapo, che poggia il suo enorme membro sul piatto di una bilancia, mentre sull’altro è posta una borsa piena di monete. Dall’augurio alla reale sostanza economica: nell’atrio, centro focale della casa, si notavano subito due “arche” sostenute da basamenti in muratura: bauli come casseforti, serrati da chiodi e ornamenti bronzei, per salvaguardare i beni preziosi della famiglia.

In asse con l’entrata, visibile dalla strada col portone aperto, si allungava il giardino circondato da portici che traboccava di tavoli, piante e zampilli d’acqua provenienti da tante statue di marmo e di bronzo.

La ricca borghesia pompeiana seguiva, nella decorazione delle proprie dimore, la moda che si diffondeva a Roma; appaiono così le pitture con motivi fantastici, protagoniste della Domus Aurea neroniana (“grottesche”), che occupano tutto il campo lasciato libero dai grandi quadri sulle pareti. Le pitture murali a Pompei, come altrove, erano la seconda pelle dell’abitazione e ne costituivano l’arredamento vero e proprio. I mobili erano pochi ed essenziali, le stanze da letto piccole, ma le pareti erano dipinte a vivaci colori; quando lo spazio era ridotto, affreschi illusori ampliavano i volumi con architetture e paesaggi.

A caratterizzare le sale che si affacciano sul giardino dei Vettii sono racconti di episodi mitologici dal contenuto moralistico, come il Supplizio di Dirce, cattiva matrigna; il re Issione, punito da Giove perché si era invaghito di Era; Pasifae, la moglie del re cretese Minosse, invaghita di un toro, col quale aveva generato il Minotauro. Più che storie a lieto fine, erano gli amori infelici, gli atti di empietà, a ispirare tragediografi, poeti, artisti: esemplari per indicare il limite tra umano e divino da rispettare. E Conviva, che ricopriva una carica sacerdotale, si adeguava all’intento didascalico.

Gli affreschi più celebrati della casa appartengono al triclinio posto al centro del portico settentrionale, e non si tratta di ampie partiture, bensì di un fregio a sfondo nero che corre nella parte inferiore delle pareti. In sequenza, sfilano scenette che, con grande abilità e grazia, rimandano ad attività quotidiane. Ad interpretare orafi, profumieri, lavandai, fabbri, sono deliziosi amorini in compagnia di psychae, il loro corrispondente femminile, e ogni singolo racconto lascia incantati.

I visitatori degli scavi hanno intanto un’altra occasione per comprendere il vissuto del sito: la mostra “Arte e sensualità nelle case di Pompei”, allestita nella Palestra Grande, di fronte all’anfiteatro (a cura di Gabriel Zuchtriegel e Maria Luisa Catoni, fino al 15 gennaio 2023).

L’arte e l’immaginazione si fondono nelle settanta opere esposte, provenienti dai depositi del Parco archeologico, e rimandano a comportamenti privi di inibizioni. I quadretti dipinti, le statue, gli oggetti quotidiani che raffigurano amplessi, o alludono ad incontri amorosi, non facevano parte soltanto della quotidianità di Pompei; ma furono gli scavi dell’area vesuviana a svelare una realtà lontana da come appariva il mondo classico, lasciando stupiti i primi scopritori. Nell’esposizione sono presenti anche ritrovamenti recenti, come i due medaglioni con raffigurazioni erotiche del carro cerimoniale di Civita Giuliana, e viene spiegato il contesto di riferimento per ogni opera, e il loro significato. Con l’app My Pompeii, è anche possibile rintracciare gli edifici che si riferiscono al tema della mostra. Un racconto intrigante, per una corretta comprensione storica.

Dagotraduzione dall’Ap il 21 Febbraio 2022.  

Nel 79 d.C., in poche tremende ore, Pompei è stata trasformata da una vivace città in una terra desolata imbalsamata di cenere, soffocata da una furiosa eruzione vulcanica. 

Poi, in questo secolo, la città romana è apparsa in modo allarmante vicino a una seconda morte, assalita da decenni di abbandono, cattiva gestione e scarsa manutenzione sistematica delle rovine pesantemente visitate. Il crollo nel 2010 di una sala dove si allenavano i gladiatori è quasi costato a Pompei la sua ambita designazione di patrimonio mondiale dell'UNESCO.

Ma in questi giorni Pompei sta vivendo i presupposti di una rinascita. 

Gli scavi intrapresi nell'ambito delle strategie ingegneristiche di stabilizzazione per prevenire nuovi crolli stanno producendo una serie di rivelazioni sulla vita quotidiana dei residenti di Pompei, poiché la lente dell'analisi della classe sociale viene sempre più applicata alle nuove scoperte. 

Sotto il nuovo direttore del parco archeologico, una tecnologia innovativa sta aiutando a ripristinare alcune delle glorie quasi cancellate di Pompei e a limitare gli effetti di una nuova minaccia: il cambiamento climatico.

Gabriel Zuchtriegel, archeologo nominato direttore generale 10 mesi fa, paragona il rapido deterioramento di Pompei, a partire dagli anni '70, a «un aeroplano che cade a terra e rischia davvero di rompersi». 

Il Great Pompeii Project, un'infusione di circa 105 milioni di euro (120 milioni di dollari) in fondi dell'Unione Europea, deliberati a condizione che venissero spesi tempestivamente ed efficacemente entro il 2016, ha contribuito a salvare le rovine da un ulteriore degrado.

«È stato tutto speso e speso bene», ha detto Zuchtriegel in un'intervista su una terrazza con il Grande Teatro all'aperto di Pompei come sfondo. 

Ma con futuri problemi di conservazione inevitabili per i resti edilizi scoperti per la prima volta 250 anni fa, la nuova tecnologia è cruciale in questa "battaglia contro il tempo", ha detto il 41enne all'Associated Press. 

Gli estremi climatici, comprese precipitazioni sempre più intense e periodi di caldo torrido, potrebbero minacciare Pompei. «Alcune condizioni stanno cambiando e possiamo già misurarlo», ha affermato Zuchtriegel.

Affidarsi agli occhi umani per discernere i segni del deterioramento causato dal clima sui pavimenti a mosaico e sulle pareti affrescate in circa 10.000 stanze scavate tra ville, officine e umili case sarebbe impossibile. Quindi l'intelligenza artificiale e i droni forniranno dati e immagini in tempo reale. 

Gli esperti saranno avvisati di «dare un'occhiata più da vicino ed eventualmente intervenire prima che le cose accadano, prima di tornare a questa situazione in cui gli edifici stanno crollando», ha detto Zuchtriegel.

Dall'anno scorso, l'IA e i robot stanno affrontando quelli che altrimenti sarebbero compiti impossibili: rimontare affreschi che si sono sbriciolati in minuscoli frammenti. Tra gli obiettivi c'è la ricostruzione del soffitto affrescato della Casa dei Pittori al Lavoro, distrutta dai bombardamenti alleati durante la seconda guerra mondiale. 

I robot aiuteranno anche a riparare i danni agli affreschi nella Schola Armaturarum, la caserma dei gladiatori, un tempo simbolo del moderno deterioramento di Pompei e ora celebrata come prova della sua rinascita. Il peso di tonnellate di sezioni non scavate della città che premono contro le rovine scavate, combinato con l'accumulo di precipitazioni e lo scarso drenaggio, ha provocato il crollo della struttura.

Diciassette dei 66 ettari di Pompei rimangono non scavati, sepolti in profondità sotto la pietra lavica. Un dibattito di lunga data ruota sul fatto che debbano rimanere lì. 

All'inizio del 19° secolo, l'approccio era «scaviamo… tutta Pompei», ha detto Zuchtriegel. 

Ma nei decenni precedenti il Grande Progetto Pompei, «c'era qualcosa come una moratoria, perché avevano così tanti problemi che non hanno scavato più», ha detto Zuchtriegel. «Ed era quasi, psicologicamente parlando, una depressione».

Il suo predecessore, Massimo Osanna, ha adottato un approccio diverso: scavi mirati durante le misure di stabilizzazione volte a prevenire ulteriori crolli. «Ma era un diverso tipo di scavo. Faceva parte di un approccio più ampio in cui avevamo la combinazione di protezione, ricerca e accessibilità», ha affermato Zuchtriegel. 

Dopo il crollo della sala dei gladiatori, ingegneri e paesaggisti hanno creato pendii graduali fuori dal terreno che fronteggia rovine scavate con reti, impedendo che i "pendii collinari" di nuova forma si sgretolassero.

Verso la fine di Via del Vesuvio, una delle strade lastricate in pietra di Pompei, i lavori del 2018 hanno rivelato una domus, o casa, di lusso con una parete della camera da letto decorata con un piccolo e sensuale affresco raffigurante il dio romano Giove travestito da cigno e Leda incinta, la mitica regina di Sparta e madre di Elena di Troia. 

Ma se i visitatori stanno in punta di piedi per guardare oltre il meraviglioso affresco sopra le pareti frastagliate della casa, vedranno come le stanze sul retro rimangono incastonate sotto il bordo non scavato di Pompei appena "stabilizzato".

Nelle vicinanze si trova la scoperta più piacevole per la folla, emersa dal progetto di puntellamento: un "termopolio" d'angolo con una configurazione del piano di lavoro simile agli attuali arrangiamenti di insalate e zuppe. 

Questo fast-food è l'unico scoperto con affreschi in vivaci tonalità di giallo senape e l'onnipresente rosso Pompei che decorano la base del bancone, dove sembra pubblicizzare le specialità dello chef ed esibire un graffito osceno. A giudicare dai resti organici trovati nei contenitori, il menu prevedeva intrugli con ingredienti come pesce, lumache e carne di capra.

I pasti veloci di strada erano probabilmente un pilastro della stragrande maggioranza dei pompeiani non abbastanza ricchi da avere una cucina. 

Gli archeologi utilizzano sempre più analisi di classe sociale e di genere per aiutare a interpretare il passato. 

Quando hanno esplorato un'antica villa alla periferia di Pompei, è emersa una stanza di 16 metri quadrati. Era utilizzata come magazzino della villa e camera da letto per una famiglia di schiavi. Stretti nella stanza c'erano tre letti, fatti di corda e legno. A giudicare dalle dimensioni, il letto più corto era per un bambino.

Quando la scoperta è stata annunciata l'anno scorso, Zuchtriegel l'ha descritta come una «finestra sulla realtà precaria di persone che raramente sono apparse nelle fonti storiche» su Pompei. 

Le ambizioni del parco si estendono oltre: la vicina Napoli e la sua periferia tentacolare che circonda il Vesuvio soffrono della criminalità organizzata e dell'elevata disoccupazione giovanile, che spinge molti giovani a emigrare.

Così il parco archeologico sta riunendo studenti delle istituzioni più elitarie della zona e dei quartieri popolari che frequentano le scuole professionali per esibirsi in uno spettacolo greco classico al Gran Teatro. 

«Noi... possiamo provare a contribuire a un cambiamento», ha detto Zuchtriegel.

È inoltre prevista la creazione di aree pedonali pubbliche in una sezione non scavata dell'antica Pompei che, fino a poco tempo fa, era stata utilizzata come discarica illegale e persino come fattoria di marijuana.  

Pompei, la città perduta distrutta dal Vesuvio. Angela Leucci il 3 Febbraio 2022 su Il Giornale.

Gli scavi archeologici di Pompei sono cristallizzati nella Storia: raccontano di quando nel 79 d.C. la città fu distrutta dal Vesuvio 

Pompei è un luogo interessante e misterioso. Teatro della più grande tragedia della storia italiana antica, qui il tempo è fermo, cristallizzato al modo in cui apparve la città dopo l’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.

Gli scavi di Pompei, nei pressi di una città successivamente risorta in un nuovo nucleo abitativo, rappresentano un documento interessante che racconta come si svolgesse la vita nell’Impero Romano d’Occidente. È la testimonianza di una vita che si potrebbe definire molto simile a quella contemporanea, fatta di passione politica, emancipazione femminile e una cultura dalle radici ancor più antiche, in cui la bellezza era nel quotidiano di affreschi, capitelli, mosaici. 

L’eruzione del Vesuvio 

Quella dell'eruzione del Vesuvio è una storia che ha colpito l'immaginario collettivo di tutti gli italiani. Nell’anno 79 il Vesuvio, il vulcano nei pressi della città di Napoli, eruttò lava, lapilli e una pioggia di cenere, che travolsero e distrussero Ercolano, Stabia, Oplontis e naturalmente Pompei. Quest’ultima è la città che meglio testimonia il momento tragico, ma anche la quotidianità degli abitanti.

La questione della datazione rappresenta da sempre un problema storico. L’eruzione del Vesuvio viene narrata per la prima volta di un testimone oculare: si tratta di Plinio il Giovane, che si trovava a una trentina di chilometri di distanza e descrisse tremante l’avvenimento apocalittico nelle sue epistole. In base all’archetipo manoscritto della narrazione di Plinio, gli studiosi hanno da sempre datato l’eruzione al 24 agosto, ma diversi dettagli suggeriscono una data differente.

A Pompei sono stati infatti ritrovati combustibile per bracieri (frutta secca), mosto non ancora pronto e una moneta, che deve essere stata coniata dopo l’8 settembre, perché vi è un riferimento all’imperatore Tito. L’eruzione dovrebbe essere quindi avvenuta tra il 23 e il 24 ottobre 79, teoria sostenuta anche da Alberto Angela nel suo volume “I tre giorni di Pompei”.

I luoghi di Pompei che raccontano la Storia 

Visitare Pompei per la prima volta è qualcosa di magico, è come penetrare nelle pieghe della Storia e vederne i misteri rivelati con i propri occhi. Sicuramente il luogo più celebre che viene visitato è l’anfiteatro romano, dove tra l’altro nel 1971 i Pink Floyd tennero un celeberrimo concerto, confluito in un documentario uscito l’anno successivo.

C’è poi il foro, la grande piazza dove si svolgevano le attività commerciali, religiose e politiche dei pompeiani. E ancora il tempio di Apollo, che si ritiene datato addirittura all’VIII oppure al VII secolo a.C. Oppure la villa del Fauno, dove si trova la statua bronzea che ritrae la creatura mitologica. 

Al di là delle bellezze artistiche in senso stretto, ci sono anche beni culturali che raccontano molto della civiltà dell’epoca. Come il Lupanare, dove esistevano camere diverse per classi sociali diverse in cui dedicarsi all’amore fisico, con tanto di affreschi che ritraggono scene licenziose.

C’è anche il cosiddetto Orto dei Fuggiaschi, dove gli scavi archeologici rinvennero 13 corpi perfettamente conservati dalla lava indurita: erano alcune persone che cercavano di sfuggire disperatamente all’eruzione, invano.

È davvero difficile dire da quale parte iniziare la propria visita: gli scavi di Pompei sono un luogo in cui tornare ancora e ancora, magari nel tempo e con occhi sempre diversi.

I graffiti antichi che parlano di modernità 

Una delle testimonianze più interessanti di Pompei sono i graffiti, che si trovano un po’ dappertutto: basta aguzzare la vista. Esattamente come oggi i writer lasciano un segno della loro presenza nelle città, a Pompei esistono oltre 10.000 graffiti. Questi, oltre a costituire una fonte preziosa per i linguisti e i latinisti, rappresentano delle “pillole” di vita quotidiana dei pompeiani.

Su essi c’è chi annuncia la nascita di una figlia, chi se la prende con l’oste che ha annacquato il vino, chi racconta imprese erotiche, c’è chi annota quadrati palindromi come il più celebre del Sator, chi cita Lucrezio e Virgilio, e non mancano proverbi e scioglilingua.

Alberto Angela riporta nel suo volume una selezione esemplificativa di graffiti, tra cui spicca un presagio di morte in quattro pentametri: "Nulla può durare in eterno. Il sole dopo aver brillato si rituffa nell'Oceano, decresce la luna che poco fa era piena. La furia dei venti sovente si tramuta in brezza leggera".

Angela Leucci.  Giornalista, ex bibliotecaria, filologa romanza, esperta di brachigrafia medievale e di cinema.

Benevento, tra le streghe ai piedi di un noce. Angela Leucci il 26 Gennaio 2022 su Il Giornale.

Le streghe di Benevento tra storia e leggenda: chi erano le janare, che si riunivano ai piedi di un noce per i loro sabba, e i malefici.

Su Benevento aleggia da sempre la leggenda delle streghe, che in realtà rappresenta anche un pezzo di storia. La storia è quella della caccia alle streghe scaturita dall’Inquisizione e dettata dal “Malleus Maleficarum”, un libro che forniva le istruzioni su come annientare i fenomeni demoniaci. Le leggenda racconta invece i malefici come fossero reali nella credenza popolare. E nella cultura enogastronomica quello della strega è diventato una tipologia di liquore, utilizzato in gran parte della pasticceria campana e dell’intero Mezzogiorno.

Se in tutto il Sud Italia le streghe erano immaginate e temute, particolarmente vivida è la figura della strega di Benevento, ossia la janara. L’etimologia del termine è incerta. Alcuni credono che il nome sia legato al culto di Diana, portato dalla dominazione longobarda in queste zone insieme a un intero sistema di fede politeista che dapprima resistette, poi si compenetrò e infine fu sostituito dal Cristianesimo. Per altri il culto è più antico e legato alla venerazione sannitica e magnogreca di Cibele.

Altri pensano che il nome venga invece dal latino “ianua”, cioè porta. Come la porta delle stalle delle giumente, dove gli allevatori erano soliti cospargere grani di sale o lasciare una scopa sull’uscio per impedire l'ingresso alle "figlie della notte". Secondo la leggenda, le streghe, che rapivano di notte le giumente per cavalcarle e stremarle, non potevano resistere alla tentazione di contare i grani di sale oppure i fili della scopa di saggina. Ma c’è anche un’immagine letteraria legata ai sabba, le riunioni rituali, delle streghe: quella della porta del solstizio di inverno che scricchiola sui cardini, nella notte più lunga dell’anno, luogo di transizione tra bene e male, tra il mondo terreno e quello infernale. C’è anche chi ritiene che l’etimologia sia legata all’usanza delle janare di penetrare nelle case passando sotto le porte chiuse.

Dal XV secolo furono estorte con la tortura molte confessioni di stregoneria a donne beneventane, che poi furono mandate al rogo. Non resta molto di quelle testimonianze, parte delle quali furono distrutte volontariamente in epoca unitaria per evitare rigurgiti contro la Chiesa di Roma, e parte bruciarono nei bombardamenti nel corso della Seconda Guerra Mondiale.

Le leggende sulle janare

Esistevano delle sottotipologie di janare, tra cui le zoccolare, che di notte terrorizzavano le persone tra i vicoli di Benevento, correndo tra il rumore dei propri zoccoli. C’era anche una janara chiamata Manolonga: era una donna morta cadendo in un pozzo, che tirava giù con lei tutte le persone che vi si affacciavano.

Secondo la leggenda, le janare potevano volare: reclutate dall’Arcistrega, si spalmavano addosso un unguento che glielo permetteva, dato che diventavano incorporee e potevano essere trasportate da venti di tempesta. A cavallo di una scopa, si riunivano nei sabba dove evocavano il diavolo e si dedicavano ad attività come succhiare il sangue ai bambini, provocare malefici sui neonati e sulle donne fertili, opprimere le persone dormienti sedendosi sul loro petto.

Le janare utilizzavano come saluto una filastrocca, che recitava: "‘Nguente ‘nguente, manname a lu noci’ ‘e Beneviente, sott’ ‘ll’acque e sotto’ ‘o viente, sott’ a ogne malentiempe".

Il noce di Benevento, un antico e maestoso albero consacrato dai longobardi a Odino, era il luogo deputato per i sabba, come riporta nel suo volume in sei libri “De nuce maga” Pietro Piperno del 1647. L’albero doveva trovarsi secondo alcuni sulla riva del fiume Sabato, tanto che Piperno indicò che si poteva trattare del cosiddetto noce di San Barbato, mentre altri pensavano che l’arbusto dovesse trovarsi tra Benevento e Avellino in una gola chiamata Stretto di Barba.

Estratto dell’articolo di Dario Sautto per ilmessaggero.it il 6 agosto 2022.

Ad appena otto e undici anni, i bambini vengono mandati in strada a consegnare «pallini» di cocaina ai tossicodipendenti […] E una delle mamme arrestate pubblica, fiera, sui social network la foto del figlio con una pistola in mano e una posa da camorrista: «Sei uguale a papà».  

Un degrado senza fine, quello che viene raccontato nelle pagine dell’inchiesta coordinata dalla Procura di Torre Annunziata e condotta dai carabinieri della sezione operativa della compagnia oplontina[…] . Diciotto persone sono state arrestate, tra queste ci sono sette donne. Sette mamme, alcune delle quali hanno insegnato ai figli minorenni che quello è il «mestiere» di famiglia, tra droga, armi e malavita. […]

Ma è Gomorra? No, è la realtà. Una sequenza allarmante di rapine, stile Gomorra, fa tremare il capoluogo campano. I malviventi minacciano spesso le loro vittime impugnando una pistola. Hanno sempre i volti coperti. Valentina Dardari il 6 Agosto 2022 su Il Giornale.  

Una sequenza allarmante di rapine, stile Gomorra, fa tremare il capoluogo campano. A testimoniare cosa avviene in città c’è anche un filmato registrato dalle telecamere di sicurezza di un bar-tabaccheria situato nella zona orientale. Come riportato da Repubblica, alle 6.34 del mattino di giovedì si vedono tre malintenzionati vestiti di nero, con giubbotti, guanti e i visi coperti da passamontagna, che fanno irruzione nel locale. Uno di loro è armato di pistola e minaccia il barista con l’arma in pugno, uno dei complici spinge violentemente all’interno un cliente della ricevitoria, e subito dopo esce velocemente sul marciapiede, forse allarmato da qualche rumore, strattonando anche un complice. Una volta tranquillizzatosi rientra nel locale e termina la rapina. Il titolare del bar-tabacchi di Barra che ha segnalato l'episodio girando il filmato ripreso dalle telecamere al consigliere regionale di Europa Verde Francesco Emilio Borrelli, ha raccontato: “In pieno giorno ho subito l'ennesima rapina, in un territorio oramai fuori controllo. Non possiamo più vivere in questo modo barbaro. Chiediamo aiuto alle istituzioni sul territorio. Siamo alla canna del gas”.

La situazione a Napoli ormai ingestibile

Lo stesso Borrelli ha affermato che ormai a Napoli c'è un'emergenza e questo è sotto gli occhi di tutti. Ha inoltre aggiunto che, continuare a non prenderne atto e non intervenire in modo drastico, è da irresponsabili. Il consigliere regionale ha quindi chiesto “più agenti e una fittissima rete di sistemi di videosorveglianza. Che si metta in atto finalmente un nuovo piano sicurezza. Purtroppo i criminali sono sempre di più e sempre più pericolosi e violenti. Serve la tolleranza zero”. In seguito alle indagini condotte dai carabinieri del Vomero, due ragazzi poco più che ventenni, Alessandro Onorato e Gennaro Conte, rispettivamente di 20 e 24 anni, sono stati raggiunti dall'ordinanza cautelare chiesta dal pubblico ministero Maurizio De Marco. La coppia era stata arrestata in flagranza lo scorso 6 luglio, dopo che avevano rapinato, aiutati da un terzo complice, un minorenne che è stato denunciato a piede libero, una coppia di fidanzati in via Solimena.

Baby pusher e messaggi in codice: blitz antidroga a Torre Annunziata

Anche altre due rapine erano state prese in esame, una effettuata il 30 giugno in via Torrione San Martino e l’altra il 4 luglio, sempre in via Solimena. Le vittime hanno riconosciuto Onorato per entrambi i fatti, mentre Conte solo per quello del 4 luglio. Le rapine sono state particolarmente violente, in stile Gomorra. Come ha ricordato una delle vittime: “Uno dei malviventi mi ha puntato la pistola e ha scarrellato l'arma, proprio come nella serie televisiva "Gomorra". Sentivo proprio il rumore del metallo stridere, mentre l'avvicinava alla mia tempia dove avvertivo la sensazione di freddo metallico”. Anche l’amico che era accanto a lui ha raccontato di essere stato schiaffeggiato dal rapinatore prima di scappare. L’aggressione solo per un bottino di qualche decina di euro e cellulari.

Minacciati e derubati con armi

L’altra rapina è avvenuta invece alle 3.30 di notte, tra giovedì 4 e venerdì 5 agosto, quando tre rapinatori a bordo di uno scooter, questa volta con ii volti coperti da mascherine anti- Covid, hanno preso di mira Marechiaro, uno dei posti maggiormente frequentati dalla movida napoletana. La vittima, un uomo di 44 anni appena uscito da un ristorante con la sua compagna, stava raggiungendo la macchina parcheggiata vicino a un bar. Con una pistola in mano i rapinatori gli hanno ordinato di consegnare loro il Rolex che aveva al polso. L’uomo ha però avuto il coraggio di sfilarsi l’orologio e lanciarlo in mezzo ai tavolini, salvando il prezioso oggetto. A quel punto i banditi gli hanno strappato la catenina e si sono dati alla fuga. Gli agenti del commissariato Posillipo sono sulle loro tracce.

L’ultima rapina è avvenuta ieri in pieno giorno, verso le 13, in via Enrico Cosenz, non lontano da via Marina. La vittima, un cittadino bengalese che stava portando una somma di denaro in Posta, è stato avvicinato da due persone in sella a una moto e costretto a consegnare loro il denaro, sempre sotto minaccia di una pistola. A Torre Annunziata i militari della Sezione Operativa hanno messo in atto un blitz che ha portato all’arresto di 18 persone. Le accuse sono soprattutto detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Coinvolti anche baby-pusher di circa 11 anni, che venivano usati per consegnare la droga e destare, vista l'età, meno sospetti.

L'inchiesta sullo spaccio al Rione Poverelli di Torre Annunziata. Posta sui social la foto del figlio con la pistola: “Così sei uguale a tuo padre”. Vito Califano su Il Riformista il 6 Agosto 2022 

La zia, in casa con la madre e il padre, chiede al nipote di appena 11 anni di consegnare una dose di cocaina. Il ragazzino risponde: “Mi scoccio”. E i genitori, intercettati dalle cimici nascoste nell’appartamento: “Che bastardo”, la madre. “Com’è infame”, il padre. È la scena più clamorosa e surreale delle 420 pagine di ordinanza di custodia cautelare che ieri i militari hanno indirizzato a 18 residenti del “Rione Poverelli” di Torre Annunziata, provincia di Napoli. E non finisce così.

Che fine ha fatto quella dose? Della consegna se ne incarica la sorella dell’11enne, a sua volta minorenne. Prima di uscire però riceve una telefonata dal fidanzato, detenuto a Poggioreale. Allora torna dal fratellino e gli offre 10 euro per effettuare la consegna. Il bambino in quel caso accetta.

Il padre, la madre e la zia dei Baby Pusher sono tra i destinatari delle misure cautelari. Erano già noti alle forze dell’ordine. Le 18 persone sono accusate a vario titolo di spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione, detenzione e porto in luogo pubblico di armi comuni da sparo. In tutto 60 capi di imputazione, 58 concernenti lo spaccio. Cinque erano già in carcere, in quattro percepivano il reddito di cittadinanza, che verrà a questo punto revocato.

L’inchiesta coordinata dal procuratore di Torre Annunziata, Nunzio Fragliasso, e dal sostituto Andreana Ambrosino era partita alla fine del 2018 dopo il ferimento a colpi di pistola ai danni di un acquirente di stupefacenti nel Rione nel centro storico della cittadina nel napoletano. Le famiglie si avvalevano anche dei minori, pusher a domicilio. Più spesso erano però i tossicodipendenti a recarsi presso gli appartamenti sorvegliati da sistemi di telecamere abusivi a comprare la merce.

Si è già scritto del linguaggio in codice (“ambasciata”, “caffè”, “toso”, “biscotto”, “pallini”), non poteva mancare visti i tempi il contorno social: sui social una delle madri indagate postava tempo fa sui social la foto del figlio. Il piccolo a torso nudo, catena dorata con un grosso medaglione al collo e una pistola a giocattolo nella mano destra. “Così sei uguale a tuo padre”, scriveva la donna nel post.

Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.

La retata a Torre Annunziata. “Non consegni la droga? Sei un bastardo”, quei bambini trasformati in baby pusher dai genitori. Francesca Sabella su Il Riformista il 6 Agosto 2022 

Troppo piccoli per essere giudicati e puniti dalla legge, ma abbastanza grandi per custodire e smerciare droga. Sono i bambini a metà, sono i bambini del Rione Poverelli di Torre Annunziata. Hanno tra gli undici e i dodici anni i ragazzini che i genitori hanno scrupolosamente “addestrato” e obbligato a consegnare le dosi di cocaina ai clienti affezionati. Niente di meglio di un bambino, non dà nell’occhio, è piccolo, è innocente, non può essere arrestato, non ha raggiunto nemmeno l’età imputabile, e poi la giustizia con lui sarà più clemente: è un bambino, dopotutto. No, un bambino al quale viene negata un’infanzia e gli si insegna a spacciare a dieci anni è un bambino nel corpo di un adulto. Il bambino vero è stato ucciso.

A smantellare un giro di droga enorme nel centro storico di Torre Annunziata i Carabinieri guidati dalla Procura del comune torrese. Intercettazioni shock quelle che emergono dai verbali dei Carabinieri. Uno degli indagati chiede al figlio, appena undicenne di eseguire una consegna (10 grammi di cocaina) ma lui si rifiuta: “Mi scoccio” dice. Il diniego innesca l’immediata reazione dei suoi genitori: “Che bastardo” replica la madre al figlio reticente, incalzata dal padre che rincara la dose: “Com’è infame”.

Per la consegna, a questo punto, si offre la sorella del ragazzino, anche lei minorenne, ma arriva la telefonata del fidanzato che è in carcere e la ragazza cerca di convincere il fratello offrendogli 10 euro come ricompensa. Il ragazzino accetta. Ecco la realtà nella quale vivono questi bambini. Si concludono con diciotto persone in manette le indagini avviate nel dicembre 2018 a seguito del ferimento a colpi d’arma da fuoco di un uomo, risultato poi essere un acquirente di stupefacenti, avvenuto all’interno del rione popolare Poverelli. La scoperta più amara è stato il coinvolgimento dei bambini utilizzati dai “grandi” nei traffici di droga. In manette, ma ai domiciliari anche due madri di bimbi in fasce.

Per tutti le accuse sono, a vario titolo, di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, di estorsione, detenzione e porto illegali in luogo pubblico di armi comuni da sparo, per un totale di 80 capi di imputazione, quasi tutti concernenti la droga. Per non farsi scoprire, il gruppo utilizzava un linguaggio in codice. Così la cessione delle dosi di droga diventavano “caffè, coso, biscotto”. Un linguaggio appreso dai più piccoli della famiglia, gli “intoccabili dalla giustizia” e quindi indispensabili. I “clienti” erano ricevuti in appartamenti protetti da sistemi di videosorveglianza installati del tutto abusivamente. Le dosi, invece, erano chiamate “pallini’” e potevano pesare diverse decine di grammi di cocaina, a seconda della richiesta dell’acquirente. Nel corso delle indagini sono emerse anche condotte estorsive, in questo modo gli arrestati si assicuravano che i tossicodipendenti pagassero la droga che compravano “a credito”.

Quattro degli indagati sono risultati essere percettori del reddito di cittadinanza e sono stati segnalati all’Inps per la revoca del sussidio. Brucia la legalità in una distesa di degrado e dimenticanze della politica che ora gioirà degli arresti, salvo poi tornare a occuparsi di cose belle nelle stanze dei Palazzi antichi del centro città. Brucia anche l’infanzia dei bambini del Rione. Avevano il compito di consegnare le dosi a domicilio, dovevano uscire di casa con in tasca la droga e portarla a destinazione. Pare non essere proprio un gioco adatto a un bambino. O no?

La domanda andrebbe posta a quella fetta di istituzioni che pare non vedere o meglio pare vedere e voltarsi dall’altra parte. Guarda in quella direzione e sventola le manette, ma politiche di prevenzione, interventi educativi, riqualificazione delle periferie, assistenza alle famiglie con evidenti problemi, pare non essercene traccia. E non c’è traccia neanche di azioni concrete per contrastare la dispersione scolastica che in Campania tocca picchi elevatissimi. E mentre qualcuno gioirà per le manette luccicanti e qualcun altro sarà impegnato a firmare patti e accordi con chiunque, dei bambini hanno perso per sempre la loro infanzia.

Francesca Sabella. Nata a Napoli il 28 settembre 1992, affascinata dal potere delle parole ha deciso, non senza incidenti di percorso, che sarebbero diventate il suo lavoro. Giornalista pubblicista segue con interesse i cambiamenti della città e i suoi protagonisti.

·        Succede a Napoli.

Da leggo.it il 13 novembre 2022.

Il mercato rionale del quartiere Savorito, a Castellammare di Stabia, popoloso Comune vesuviano sciolto per mafia, giovedì non si è svolto in concomitanza di un lutto del clan Imparato, per la morte del cognato del boss del locale clan di camorra.  

Della vicenda sono stati informati i carabinieri della Compagnia di Castellammare che stanno verificando se è vero, come sostenuto da diversi clienti e residenti, che agli ambulanti è stato intimato di tornarsene a casa per 'rispetto' del lutto della cosca camorristica.

L'alternativa è che sia stata una decisione volontaria dei commercianti, ma «in entrambi i casi - scrive il giornale di Castellammare Metropolis - è un episodio grave, perché certificherebbe ancora il controllo del clan sull'intero quartiere, nonostante inchieste, arresti e condanne degli ultimi anni».  

Dai primi accertamenti, però, sembra che effettivamente qualcuno abbia avvicinato all'alba i primi ambulanti mentre stavano sistemando le bancarelle, chiedendogli di non allestire il mercato perché c'era un lutto da rispettare. «Invito» che è stato subito recepito dai commercianti.  

Le indagini dei carabinieri, coordinati dalla procura antimafia, puntano ad accertare cosa è effettivamente avvenuto, partendo dal dato di fatto che il mercato non si è tenuto, senza alcun avviso ai cittadini del mancato svolgimento. 

A Castellammare di Stabia - Comune sciolto per infiltrazioni mafiose e attualmente guidato da una commissione anti-camorra - il clan degli Imparato, detti anche i 'paglialoni', è attivo da decenni soprattutto nel traffico di droga, in combutta con la famiglia D'Alessandro.  

Negli ultimi tempi, però, come ricorda ancora Metropolis, la cosca è stata fortemente indebolita da una serie di inchieste e blitz delle forze dell'ordine, grazie anche al contributo di alcuni collaboratori di giustizia che hanno alzato un velo sui rapporti tra gli Imparato e i D'Alessandro.

Tra questi l'ex killer Renato Cavaliere, il quale - per far capire l'influenza del clan sul quartiere - disse che le famiglie del rione Savorito «avevano dedicato la statua di Padre Pio al boss Salvatore Imparato». E a proposito di riferimenti religiosi, fece scalpore a Castellammare anche l'affissione di uno striscione contro i pentiti di camorra sul falò dell'Immacolata, l'8 dicembre 2018. Episodio che ebbe una vasta eco mediatica e che impresse un'accelerazione all'azione di contrasto alle cosche.

Il peso dell’assenza: qui lo Stato non mette piede. Manco le passerelle, sindaco e prefetto disertano il corteo contro la camorra. Francesca Sabella su Il Riformista il 12 Novembre 2022

A Ponticelli non ci vuole andare nessuno, neanche le istituzioni. Ieri nel quartiere assediato dalla camorra sindaco e prefetto hanno deciso di non andare a fare neanche la solita e inutile passerella accompagnata dai soliti e inutili proclami senza futuro. Probabilmente, c’è da apprezzare la coerenza. Sarà… Ma c’è anche un quartiere esasperato e disperato che ieri nel giorno dell’anniversario dell’agguato al bar Sayonara, dove 33 anni fa persero la vita sei persone, quattro delle quali innocenti ed estranee alle dinamiche della malavita organizzata, e all’indomani di una sparatoria nella quale un uomo, legato al clan camorristico De Luca Bossa, è stato gambizzato fuori a una scuola, forse si aspettava la presenza dei politici, se non altro per continuare a nutrire quel briciolo di speranza.

Niente: al corteo cui hanno preso parte gli abitanti del quartiere e molte scolaresche, partito dall’angolo di via Argine di viale Margherita per concludersi in piazza Vincenzo Aprea, organizzato e patrocinato dal Comune di Napoli non si è presentato né il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi né il Prefetto Claudio Palomba. Sapevamo che forse sarebbero andati lì a recitare i soliti slogan, ma sarebbe stato importante, sarebbe stato comunque un gesto simbolico di presenza, come a dire: il giorno dopo la sparatoria (perché mai prima) lo Stato c’è. È qui con voi. E invece nulla. “Laura Pausini cantava ‘La Solitudine’ ed è lo stesso clima che si respira oggi in piazza, la presenza istituzionale che ci attendevamo è stata completamente disattesa – ha affermato Mariano Di Palma, membro dell’Associazione Libera contro le mafie – Ci sono migliaia di ragazzi e sarebbe il caso che almeno in momenti del genere ci fosse una presenza istituzionale soprattutto all’indomani di una sparatoria avvenuta in pieno giorno davanti ad una scuola”.

L’assenza delle istituzioni pesa come un macigno. “Il sindaco, il prefetto sono tutti assenti. Facciamo un appello perché siamo soli e abbandonati. Non ce la facciamo più. Qui si spara a tutte le ore. Tutti devono scendere in piazza, non vogliamo più morti ammazzati” afferma Anna Ferrara dell’Associazione Antiracket SOS Impresa. Durissime le anche le parole di don Tonino Palmese della Fondazione Polis: “Stamattina registro l’entusiasmo dei ragazzi e le gride di disperazione degli adulti”. “Quello che chiedono non è una presenza forte ma una presenza” commenta Alessandro Fucito, presidente della VI Municipalità. “Il comune di Napoli ha 18 vigili in una municipalità di 22 km quadrati. Polizia e Carabinieri non riescono a garantire un controllo. Penso che a monte ci sia la scelta di aspettare che si ammazzino tra di loro e di fare un po’ di clamore quando una vittima innocente capita nel corso di una sparatoria”.

Sindaco e Prefetto alla manifestazione non ci sono andati, era atteso l’assessore alla Polizia Municipale e alla Legalità, Antonio De Iesu, giunto solo a manifestazione conclusa assieme ad Emanuela Ferrante, assessore allo Sport e alle Pari Opportunità. Assente il questore Alessandro Giuliano. Certo gli impegni istituzionali sono moltissimi, siamo sicuri che erano altrove a fare bene il proprio lavoro, ma forse era il caso di trovare il tempo per andare a Ponticelli a parlare con la gente. Ieri un uomo è stato gambizzato in pieno giorno a pochi passi da una scuola dell’infanzia, non siamo in una puntata di Gomorra, è tutto vero, eppure pare che la cosa non sconvolga più di tanto le istituzioni. La banalità del male, direbbe qualcuno. La normalità del male, si direbbe per Napoli. È tutto normale. Era importante esserci per dare un messaggio chiaro e forte. “Il messaggio è duplice. Il quartiere non dimentica quattro vittime innocenti e anche tutte le altre – ha spiegato Pasquale Leone di Libera Napoli- E ancora di più dopo la sparatoria di ieri ribadiamo che la camorra deve andare via, non è il vostro quartiere, ma il nostro, delle persone perbene che ogni giorno scendono, studiano e lavorano. Via la camorra”. Via la camorra, si facciano avanti le Istituzioni. Se ci sono, se vogliono svolgere il loro compito, se non vogliono continuare a essere i primi latitanti in questo quartiere martoriato.

Francesca Sabella. Nata a Napoli il 28 settembre 1992, affascinata dal potere delle parole ha deciso, non senza incidenti di percorso, che sarebbero diventate il suo lavoro. Giornalista pubblicista segue con interesse i cambiamenti della città e i suoi protagonisti.

Osservatorio napoletano. “Burocrazia feroce e stato assente, così ai commercianti conviene non denunciare il racket”, intervista a Luigi Ferrucci. Francesca Sabella su Il Riformista il 15 Novembre 2022

All’ultima manifestazione per dire basta alla camorra, le istituzioni non c’erano. Un’assenza che è pesata moltissimo soprattutto nel giorno nel quale si ricordava la strage del bar Sayonara nella quale morirono quattro innocenti e all’indomani dell’ennesimo agguato. La camorra opera sul territorio, usura e pizzo alle imprese sono uno dei business principali. Ne parliamo con Luigi Ferrucci, presidente nazionale della FAI, federazione delle associazioni antiracket e anti-usura italiane.

Presidente, Ponticelli è sempre stato un territorio martoriato dalla criminalità organizzata. Lo è ancora adesso, eppure all’ultima manifestazione organizzata dalle associazioni è pesata l’assenza delle Istituzioni. Qual è la sua idea?

«Sì. È una manifestazione che facciamo ogni anno. Alle scorse edizioni hanno partecipato anche il Sindaco e il Prefetto, a questa di venerdì invece no, non c’erano. C’erano invece le forze dell’ordine con le quali abbiamo, per ovvi motivi, un rapporto strettissimo e una collaborazione costante. L’assenza delle istituzioni è stata una mancanza pesante che è saltata agli occhi di tutti. Era importante esserci per ricordare l’agguato del bar Sayonara nel quale persero la vita quattro innocenti, ancora di più era importante esserci all’indomani di un agguato all’esterno di una scuola elementare. A Ponticelli c’è una situazione critica, abbiamo un’associazione costituita da commercianti del posto, molto attiva che ha prodotto diverse denunce, sia quando è stata costituita ma anche nel corso degli ultimi anni. La nostra attività è questa. È ovvio che in quei territori ci sono delle mancanze, non possiamo pensare di contrastare il racket solo con i militari, pesa l’assenza della politica e delle Istituzioni. Bisogna dare opportunità, bisogna fare molto di più e bisogna continuare a gridare: denunciate!»

Perché le denunce sono così poche?

«A differenza di qualche anno fa c’è un abisso: oggi è più facile denunciare, ci sono tanti strumenti ma spesso non si conoscono e questo è un grande limite e noi da volontari cerchiamo di informare gli imprenditori. Esistono strumenti legislativi che consentono, per esempio, di avere un risarcimento se l’imprenditore subisce una ritorsione dopo aver denunciato, parlo della legge 44 e della 108 per l’usura. Le leggi ci sono, il problema però sono i tempi lunghissimi».

Se ci sono questi strumenti perché le denunce non aumentano? È per la paura di subire ritorsioni, di rimanere soli dopo aver fatto i nomi?

«La variante della paura c’è ed è normale che ci sia, ma con un po’ di coraggio si può fare. Ora dirò una cosa forte: le denunce spesso non ci sono per motivi di convenienza, conviene non denunciare, o perché si fanno affari, si hanno favori in cambio. Se, ad esempio, vado in giro a vendere i prodotti, pur non essendo appartenente al clan di riferimento della zona, faccio il loro nome e qualcosa mi torna indietro. E poi c’è anche la paura di essere isolati dalla gente del quartiere, se ho il bar nella piazza di un paese a forte presenza mafiosa, all’indomani di una denuncia nel mio bar non ci entrerà più nessuno e questo è colpa della società civile che invece di sostenere chi denuncia, lo isola. Tempo fa quando abbiamo presentato a Foggia la nostra associazione, uno dei nostri associati ha subito danni all’azienda agricola, andammo lì e in quell’ occasione ho detto una cosa che ci tengo a ribadire: è vero che ci sono delle mancanze da parte dello Stato e della politica, ma è anche vero che ci sono troppi commercianti che si ostinano a non denunciare e il proliferare delle mafie è anche colpa di chi si gira dall’altra parte».

Riesce a tracciare un quadro delle denunce dei commercianti di Ponticelli?

«Avere dei numeri precisi è praticamente impossibile, posso dirle però che in un territorio a forte presenza mafiosa, chi denuncia è una piccolissima parte dei commercianti. A Ponticelli, circa 15 commercianti della stessa area hanno denunciato il pizzo, ma in un territorio di 80mila abitanti con tantissime attività commerciali è ovvio che la camorra non sia andata a fare estorsioni solo a quindici attività. Su un numero così largo le denunce sono poche: è un’estrema minoranza che decide di non pagare e denuncia».

Quali le colpe e quali i compiti della politica?

«La politica deve esserci e deve esserci non solo con la repressione. Non basta presidiare il territorio e arrestare, bisogna creare nuove opportunità di lavoro per i ragazzi, ma pensiamo anche alle difficoltà per le imprese che devono fare i conti con una burocrazia feroce. La repressione da sola non funziona, bisogna cambiare le leggi e soprattutto snellire le procedure».

Così burocrazia e politica diventano complici della criminalità organizzata, soprattutto ora che la crisi imperversa e le imprese tra caro energia e costi delle materie prime sono con l’acqua alla gola.

«Sì, abbiamo sottolineato più volte il rischio che le imprese si rivolgano alla malavita per sopravvivere alla crisi. A Napoli abbiamo uno sportello di ascolto e molte persone si stanno rivolgendo a noi: fenomeni di usura e sovra-indebitamento sono un problema grave, il rischio è che chi era già in difficoltà e si vede quindi impossibilito ad accedere al credito legale, si rivolga per disperazione all’interlocutore sbagliato. È chiaro che se non c’è la possibilità di accedere al credito legale e dall’altra parte ci sono molte risorse economiche ma zero burocrazia, la scelta ricade sul credito illegale. Bisogna rendere più semplici e accessibili le pratiche. È necessario, altrimenti la lotta diventa impari».

Francesca Sabella. Nata a Napoli il 28 settembre 1992, affascinata dal potere delle parole ha deciso, non senza incidenti di percorso, che sarebbero diventate il suo lavoro. Giornalista pubblicista segue con interesse i cambiamenti della città e i suoi protagonisti.

"Mi è successo perché denuncio". Parlamentare campano investito sotto casa da una moto. Il deputato Francesco Emilio Borrelli si era recentemente battuto contro le occupazioni abusive di case da parte dei clan di camorra. Ignazio Riccio il 12 Novembre 2022 su Il Giornale.

Non ha fatto in tempo a raggiungere l’ingresso della sua abitazione, era quasi arrivato al portoncino di casa quando è stato investito da una persona nascosta da un casco integrale a bordo di una moto. Ha rischiato grosso il parlamentare campano Francesco Emilio Borrelli, il quale ha raccontato sui social media l’increscioso episodio che lo ha visto coinvolto. Il deputato, intorno alle ore 22.25 di ieri, rientrava nel suo appartamento dopo una giornata di lavoro, ma non avrebbe mai immaginato di rischiare la vita a due passi da casa. Borrelli, che è conosciuto a Napoli e nell’intera regione per le sue denunce contro la camorra e il malaffare, è convinto che non sia stato vittima di un incidente, ma di un’azione premeditata.

“Ho sempre saputo che certe mie battaglie e denunce – ha scritto sulla sua pagina Facebook – le avrei potute pagare caro, questa volta mi sono costate ventuno giorni di prognosi e poteva andare anche peggio se non fosse prontamente intervenuto un tassista, che ringrazio di cuore”. Tra le ultime battaglie dell’esponente politico c’è quella contro le occupazioni abusive di case da parte dei clan. Borrelli ha raccontato che si trovava davanti al suo garage, intento a parcheggiare lo scooter, quando una persona in moto con casco integrale lo ha investito “di proposito”. Il forte impatto ha fatto cadere il deputato, che è rimasto incastrato tra il suo scooter e un'impalcatura. A quel punto l'investitore si è affiancato a Borrelli, si legge dal post sui social, “ma fortunatamente è sopraggiunto un tassista che si è fermato a prestare soccorso, pensando a un incidente stradale”.

Consigliere Borrelli preso a pugni dagli abusivi: arriva la richiesta del pm

Proprio mentre il tassista aiutava il parlamentare a rialzarsi, l'uomo in sella alla moto si è dileguato a tutta velocità. Una vicenda, ha commentato Borrelli, “dai contorni inquietanti che non fa escludere la pista di una vendetta trasversale”. Nell'ultimo periodo il deputato aveva denunciato le occupazioni abusive, da parte degli esponenti di un clan di camorra, all'interno di un palazzo storico di Pizzofalcone, la zona di Napoli raccontata nei romanzi polizieschi dello scrittore Maurizio De Giovanni. La sua denuncia ha poi fatto scattare gli avvisi di sfratto per le famiglie che si trovano abusivamente all'interno dello stabile.

"La polizia – ha continuato Borrelli – ritiene che anche questa sia una pista percorribile per le indagini, poiché agli inquirenti risulta che uno dei metodi più utilizzati per le vendette trasversali sia proprio quello degli incidenti stradali. I delinquenti tentano di investire la vittima e far passare l'accaduto come un semplice incidente, cercando di nascondere la premeditazione e quindi puntando, se scoperti, a pene più leggere”. Il parlamentare ha, comunque, confermato che non si farà intimidire da questo episodio. “Senza dubbio – ha affermato – non arretrerò mai di un millimetro e anzi mi auguro che le mie azioni possano essere un punto di partenza e fare da sprone a tutti i cittadini, perché soltanto denunciando le malefatte che avvengono in questa città potremmo vivere una vita migliore. Negli anni hanno provato più volte a fermarmi con la violenza, non ci riusciranno mai”.

Intanto, verrà innalzato il livello di protezione del deputato. “Stamattina – ha concluso Borrelli – mi ha telefonato alle 8 il questore di Napoli Alessandro Giuliano dicendomi che secondo lui è opportuno che sia rafforzato il servizio di protezione. Prima dovevo comunicare i luoghi pubblici dove mi recavo che per me erano più a rischio, ora dovrò comunicare alla questura tutte le volte che esco, dove vado e tutte le volte che sono casa”.

Questi fantasmi. Report Rai PUNTATA DEL 21/11/2022 di Danilo Procaccianti

Collaborazione di Goffredo De Pascale e Andrea Tornago

Sempre più numerosi i casi delle chiese napoletane gestite con grande difficoltà dalla Curia.

Per il balcone abusivo sulla facciata della chiesa cinquecentesca di Sant'Arcangelo a Baiano, in pieno centro storico, si sono attivati il Comune e la Soprintendenza, ma cosa ha fatto la Curia da cui dipende quel monumento? Dopo la trasmissione del servizio di Report "La messa è finita", il Cardinale Crescenzio Sepe, Arcivescovo Emerito, ha convocato una conferenza stampa per dire che solo il 15% dei luoghi di culto cittadini è di loro pertinenza e che i soldi ricavati dalla locazione della Cittadella Apostolica - un centro nato per ospitare i bisognosi che tale doveva restare nella volontà testamentaria del prete che l'ha affidato alla Curia - vengono regolarmente impegnati per il nobile scopo. Ma è davvero così? E chi è l'affittuario della Cittadella che con una società con 50 mila euro di capitale ha stipulato con il Cardinale Sepe un contratto di 18 anni versando un importo di circa 3 mila euro al mese? Una conoscenza comune unisce il Cardinale e l'imprenditore. Si tratta di Nicola Cosentino, l'ex sottosegretario all'Economia condannato per concorso esterno in associazione camorristica. Ma la Cittadella Apostolica non sarebbe l'unico caso di "tradimento" di un “testamento".

La risposta dell’Arcivescovato di Napoli

Egregio dott. De Pascale, abbiamo provato a ricercare con attenzione le informazioni utili a rispondere ai quesiti che ci avete sottoposto. Primo quesito: circa la proprietà della Chiesa di San Biagio ai Taffettanari Da una ricerca effettuata da un notaio a cui ci siamo rivolti risulta che la proprietà degli immobili in questione è dell’Opera Pia Chiesa di San Biagio ai Taffettanari, riconducibile a una fabbriceria. Dall’unità d’Italia, le fabbricerie sono enti amministrati dalla Prefettura, ma né in Prefettura, né al Ministero dell’Interno, la fabbriceria sopra menzionata risulta essere presente in elenco, nonostante siamo in possesso dei decreti di nomina della Prefettura di Napoli per la scelta degli amministratori tra i membri del clero dell’Arcidiocesi di Napoli. Pertanto stiamo interloquendo con la Prefettura per dirimere la questione. La chiesa, fino alla chiusura per la pandemia, è stato un centro a uso caritativo per l’erogazione di pasti e di servizi per i senza dimora. Nell’anno 2019 i Vigili del fuoco hanno ravvisato la necessità di un intervento urgente al campanile, notificandoci l’obbligo dell’intervento per pubblica sicurezza. Pur specificando di non avere la titolarità a operare, per la pubblica sicurezza, la Curia ha effettuato l’intervento di messa in sicurezza. Secondo quesito: circa la locazione nella palazzina adiacente Allo stato attuale, essendo incerta la proprietà, non c’è nessun contratto di fitto e non si percepisce alcun introito dall’immobile. In una delle quattro abitazioni c’è stato un sacerdote ora deceduto. Terzo quesito: circa il finanziamento regionale di € 6.500,00 Ci risulta che il 7 settembre 2005 la Regione Campania (BURC n 50 del 3/10/2005), durante l’amministrazione Bassolino, abbia deliberato alcuni contributi per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli edifici di culto dell’intera Regione. In questa delibera abbiamo notizia che la chiesa in questione era nell’elenco presentato tra le chiese che necessitavano manutenzione, ma non abbiamo notizia (né noi, né il parroco don Emanuele Casole) che il contributo sia stato erogato. Quarto quesito: circa il sopralluogo della Soprintendenza e di padre Edoardo Parlato alla chiesa Abbiamo trovato la comunicazione dell’8 luglio 2012 del direttore dell’Ufficio dei Beni Culturali fu padre Edoardo Parlato. Padre Edoardo scrisse che la chiesa era affidata alle cure pastorali della Parrocchia di Sant’Onofrio dei Vecchi e che il parroco don Emanuele Casole celebrava una santa messa domenicale; il locale adiacente veniva utilizzato per accogliere alcuni bisognosi a cui veniva offerta la colazione ogni mattina. Il nucleo di tutela del Patrimonio dei Carabinieri lo convocava per la denuncia dell’associazione Italia Nostra per uso improprio del terrazzo sulla chiesa, ma non c’è traccia di qualcosa che riguardi la nota della Soprintendenza sottolineata nella vostra mail circa l’urgenza dei lavori da effettuare. Dal virgolettato utilizzato nella vostra mail (“anche alle opere d’arte mobili ivi conservate”) immaginiamo che voi abbiate una documentazione che non siamo riusciti a trovare. Qualora siate in possesso di ulteriore documentazione sarebbe interessante prenderla in visione perché ci aiuterebbe a districare una questione complicata. A tal proposito, ci sembra opportuno ricordare che l’arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, in diocesi dal 2 febbraio 2021 quando la pandemia era ancora in corso, sta gradualmente prendendo atto della complessità e delle numerose articolazioni della diocesi, avendo comunque scelto di dare priorità all’incontro con le persone prima che alle strutture. Augurandovi buon lavoro, vi salutiamo con cordialità. don Federico Battaglia

QUESTI FANTASMI Di Danilo Procaccianti Collaborazione Goffredo De Pascale e Andrea Tornago Immagini Carlos Dias e Andrea Lilli Ricerche immagini Paola Gottardi Montaggio e grafica Monica Cesarani

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Con lo stesso spirito avevamo provato a denunciare due settimane fa quello che era un’altra stortura: quello che era il funzionamento dei beni della chiesa, della curia a Napoli. Le migliaia di chiese abbandonate o chiuse o che non erano utilizzate nel rispetto dovuto a un luogo di culto. Il cardinale Sepe, ex arcivescovo di Napoli, non l’aveva presa proprio bene. Allora il nostro Danilo Procaccianti è tornato a Napoli e ha scoperto una chiesa fantasma e una ex canonica che è occupata da chi?

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Questa è la chiesa di San Biagio ai Taffettanari, un gioiello del Cinquecento nel centro storico di Napoli, chiusa e abbandonata ormai da diversi anni a differenza della sua canonica: un palazzo di quattro piani occupati dalla famiglia Macor. Al primo piano vive Margherita Macor, condannata per usura aggravata ed estorsione, sta scontando la pena proprio qui, insieme al marito Antonio Cortese, agli arresti domiciliari per vari reati tra cui rapine. Al secondo piano vive il figlio Salvatore Cortese, anche lui ha scontato gli arresti domiciliari per varie rapine. Al terzo e quarto piano altri membri della famiglia Macor. DANILO PROCACCIANTI Scusa, scusa Porta chiusa in faccia

DANILO PROCACCIANTI Qual è il profilo criminale di questa famiglia?

ARNALDO CAPEZZUTO - GIORNALISTA Tutto nasce da Giuseppe Macor, un associato al clan di Giuliano di Forcella. Tutte le zone a ridosso del centro storico di Napoli per anni sono stati sotto al verbo della famiglia Macor, con la gestione dei parcheggi abusivi, piazze in cui le forze dell'ordine neppure c'entravano e avevano un gettito di 10-12 mila euro al mese. Ma Macor si caratterizza anche per rapine, estorsioni associazione camorristica.

DANILO PROCACCIANTI Quindi la figlia Margherita, che abita qui, è una degna erede.

ARNALDO CAPEZZUTO - GIORNALISTA Anche Margherita è stata arrestata più volte, è stata anche condannata. Come figlia di Macor è…. ha un suo spessore, diciamo.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Lo spessore criminale della famiglia Macor emerge quando entrati nel palazzo sfrattano con la forza i legittimi inquilini e occupano gli appartamenti. Tutto avviene nell’inerzia di padre Emanuele Casole che pure ha gestito la chiesa per anni ed ha assistito in silenzio.

DANILO PROCACCIANTI Siamo stati alla chiesa di..ai Taffettanari, che è chiusa

PADRE EMANUELE CASOLE – CHIESA SANT’ONOFRIO E SAN BIAGIO AI TAFFETTANARI Sì

DANILO PROCACCIANTI Quel palazzo a fianco ci risulta che è occupato da anni

PADRE EMANUELE CASOLE – CHIESA SANT’ONOFRIO E SAN BIAGIO AI TAFFETTANARI Innanzitutto la chiesa di San Biagio ai Taffettanari non è della Curia.

DANILO PROCACCIANTI E di chi è?

PADRE EMANUELE CASOLE – CHIESA SANT’ONOFRIO E SAN BIAGIO AI TAFFETTANARI Non si sa.

DANILO PROCACCIANTI Non si sa, dico la Chiesa, la Chiesa è della Curia?

PADRE EMANUELE CASOLE – CHIESA SANT’ONOFRIO E SAN BIAGIO AI TAFFETTANARI No.

DANILO PROCACCIANTI No, e non si sa di chi è?

PADRE EMANUELE CASOLE – CHIESA SANT’ONOFRIO E SAN BIAGIO AI TAFFETTANARI No. Abbiamo fatte ricerche su ricerche, tutto, ma non siamo riusciti.

DANILO PROCACCIANTI Il palazzo affianco sì però?

PADRE EMANUELE CASOLE – CHIESA SANT’ONOFRIO E SAN BIAGIO AI TAFFETTANARI No nemmeno, difatti è occupato da persone quindi non…

DANILO PROCACCIANTI Lei sa che questi hanno diversi procedimenti penali.

PADRE EMANUELE CASOLE – CHIESA SANT’ONOFRIO E SAN BIAGIO AI TAFFETTANARI Questo poi non lo so.

DANILO PROCACCIANTI Che non pagano le utenze non pagano nulla.

PADRE EMANUELE CASOLE – CHIESA SANT’ONOFRIO E SAN BIAGIO AI TAFFETTANARI Non lo so.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Il parroco non interviene nemmeno quando i Macor, per anni hanno disposto a loro piacimento del tetto della chiesa con a fianco il campanile. Il lastrico della chiesa negli anni è stato utilizzato come solarium, per il tiro con l’arco, come area per cani, per fare bagni in piscina.

ARNALDO CAPEZZUTO – GIORNALISTA Per me passa un messaggio devastante per questa città: che un immobile viene occupato con la forza intimidatrice…nessuno interviene, è tranquillo! E’ la città del mare, il Vesuvio, il Napoli vince e siamo tutti quanti contenti.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Nel 2012 dovette intervenire la Soprintendenza facendo un sopralluogo alla presenza del delegato diocesano per i beni culturali e dello stesso parroco che dice di non sapere nulla. Accertano un diffuso e grave degrado e intimano alla Curia di provvedere riconoscendo la diretta pertinenza e responsabilità della Curia.

DANILO PROCACCIANTI La Curia ha ricevuto lettere della Soprintendenza in cui chiedeva alla Curia di intervenire.

PADRE EMANUELE CASOLE – CHIESA SANT’ONOFRIO E SAN BIAGIO AI TAFFETTANARI Son venuti anche i carabinieri tutti etc. anche loro non sono riusciti a capire, ecco, perché quelli stanno lì e quel palazzotto di chi è.

DANILO PROCACCIANTI Mi sembra una situazione un po’ poco chiara.

PADRE EMANUELE CASOLE – CHIESA SANT’ONOFRIO E SAN BIAGIO AI TAFFETTANARI No, no, no! Siete voi un po’ annebbiati con la testa!

DANILO PROCACCIANTI No, e perché annebbiati?

PADRE EMANUELE CASOLE – CHIESA SANT’ONOFRIO E SAN BIAGIO AI TAFFETTANARI No, dovete dare delle risposte veritiere.

DANILO PROCACCIANTI E certo, ma infatti sono venuto a chiedere

PADRE EMANUELE CASOLE – CHIESA SANT’ONOFRIO E SAN BIAGIO AI TAFFETTANARI Allora se voi siete un reporter che vuole indicare alla gente delle verità e cose dite la verità.

DANILO PROCACCIANTI Lei dice che quello non è della Curia

PADRE EMANUELE CASOLE – CHIESA SANT’ONOFRIO E SAN BIAGIO AI TAFFETTANARI No.

DANILO PROCACCIANTI Tanto questo lo verifichiamo.

PADRE EMANUELE CASOLE – CHIESA SANT’ONOFRIO E SAN BIAGIO AI TAFFETTANARI Sì, verificate, a me che me ne importa.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Da questo quadro emergerebbe una Curia che usa i guanti bianchi con i criminali e il pugno duro con la povera gente. In via Ventaglieri 71 c’è questo palazzo, faceva parte di un gruppo di immobili donati alla Curia da un nobile. La Curia li raggruppa in una fondazione che però fallisce, gli appartamenti erano abitati da inquilini che avevano sempre pagato l’affitto alla Curia.

NANDO CAPUTO Io ho giusto 50 anni, quindi sono nato qua e sono cresciuto qua in questo palazzo con la mia famiglia.

DANILO PROCACCIANTI E sapevate che era un Palazzi della Curia?

NANDO CAPUTO Sì, sempre, anzi che all'epoca si diceva “queste sono le case del buon Gesù chi entra non esce più”. E poi alla fine siamo usciti fuori senza nemmeno saperlo.

DANILO PROCACCIANTI Perché? Che è successo un giorno?

NANDO CAPUTO E’ venuto un ufficiale giudiziario e ci ha detto che noi avevamo lo sfratto per fatti burocratici...

DANILO PROCACCIANTI E avete protestato con la Curia, avete cercato di capire?

NANDO CAPUTO No. Purtroppo noi ci siamo rivolti pure a loro, ma non c'era nessuno più perché ci dicevano che erano falliti, e quindi non abbiamo più avuto modo di capire perché, come e quando ci hanno buttato via.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Siamo di fronte ad una commedia: “Questi fantasmi”. Dove i fantasmi non sono gli inquilini del palazzo, ma i proprietari. Così come fantasma è la chiesa. Ora andiamo con ordine e cerchiamo di riscostruire questa vicenda. Qui siamo di fronte a una chiesa, san Biagio ai Taffettanari, che è una delle tante chiuse o abbandonate. A fianco c’è un’ex canonica, un palazzo di quattro piani che è stato occupato da una famiglia in odore di camorra che ha sfrattato gli inquilini preesistenti e dispone a proprio piacimento del tetto della chiesa. “Io non so nulla”, dice don Emanuele Casole, il parroco che fino a poco tempo fa ha detto messa in quella chiesa. Dice di non sapere nulla né sugli inquilini né sui proprietari. Ci ammonisce solo di non dire che c’entra la Curia, perché la Curia non c’entra nulla. Ecco, dovrebbe spiegarci come mai, allora, ha gestito e a che titolo ha gestito un centro per poveri dentro la chiesa – i locali – fino a poco tempo fa. Comunque noi da una visura catastale abbiamo scoperto che la chiesa è fantasma per il catasto. Mentre al catasto risulta che i proprietari, la proprietà del palazzo è di una sedicente Opera Pia Chiesa San Biagio ai Taffettanari, di cui però non c’è assolutamente traccia nelle liste del Ministero dell’Interno, della Prefettura, del Comune. Abbiamo anche chiesto alla Regione che però non ci ha risposto. Ora, il nostro Danilo ha trovato però una traccia tra i documenti della Sovrintendenza in cui c’è scritto che quella chiesa sarebbe di pertinenza della Curia. Una traccia c’è anche sul sito della Curia stessa, dove viene citata la Chiesa San Biagio ai Taffettanari e viene attribuita la proprietà ad una confraternita. Se così fosse, in punta di diritto canonico, allora a vigilare su quella chiesa sarebbe appunto la Curia. Ora abbiamo anche trovato tra i documenti, una delibera del 2005 della Regione Campania che eroga dei contributi per i luoghi di culto, per la manutenzione, e a chiederli sarebbe stato proprio don Emanuele Casole. Insomma, per cercare di fare chiarezza abbiamo scritto anche al nuovo Arcivescovo di Napoli, don Mimmo Battaglia, lo ringraziamo perché ci ha risposto con una mail corposa che pubblichiamo sul nostro sito, per chi volesse leggerla integralmente. E ci dice che, ci conferma che la chiesa e il palazzo sarebbero di proprietà di questa opera pia, ma che non c’è traccia nelle liste e sta discutendo, cercando di fare chiarezza con la Prefettura. Sulla chiesa, invece, ci dice che fino alla chiusura per la pandemia è stato un centro a uso caritativo per l’erogazione di pasti e servizi per i senza dimora. Nel 2019, poi, sono intervenuti i Vigili del fuoco che hanno imposto, obbligato, la Curia a intervenire sul campanile, per motivi di sicurezza pubblica. E loro sono intervenuti, dice l’Arcivescovo, anche se non avevano la titolarità per farlo. E poi l’arcivescovo aggiunge anche: ”Se Report è in possesso di ulteriore documentazione sarebbe interessante prenderla in visione perché ci aiuterebbe a districare una questione complicata”. Ovviamente noi siamo a disposizione e non può che farci piacere che l’Arcivescovo voglia fare chiarezza e stia dialogando anche con le istituzioni per evitare che in una città come Napoli, un palazzo sia occupato abusivamente da dei criminali che non pagano le utenze e dispongono a proprio piacimento del tetto delle chiese, solo perché non si la proprietà del palazzo. Proprio in merito, poi, alle proprietà delle chiese e come venivano anche utilizzate, due settimane fa abbiamo realizzato un’inchiesta, l’ex Arcivescovo di Napoli, il cardinale Sepe, non l’aveva presa bene, ha organizzato, indetto una conferenza stampa, però si era dimenticato di invitarci.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO A Napoli ci sono più di mille chiese e nel centro storico ce ne sono addirittura più di Roma: sono 203, ma solo 79 sono utilizzate per il culto, le altre sono abbandonate, decadenti e senza controllo. Non sorprende quindi se poi esistono sfregi unici al mondo come quello che vi avevamo raccontato: un abuso edilizio sulla facciata della chiesa di sant’Arcangelo a Baiano dove il balcone della casa affianco si è allargato.

VINCENZO DORIANO DE LUCA – MONSIGNORE E PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Su quella chiesa non so come sia stato possibile quel tipo di abuso che è un abuso che risale credo a moltissimi anni fa.

DANILO PROCACCIANTI Potreste intervenire anche oggi per capire che cosa è successo.

VINCENZO DORIANO DE LUCA – MONSIGNORE E PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI E difatti di fatti siamo intervenuti e stiamo intervenendo.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO In realtà la Curia non ha mai fatto nulla rispetto a quel balcone, la segnalazione l’hanno fatta i vigili urbani ben 34 anni fa ed è stata la Soprintendenza ad avvertire la Curia, che era all’oscuro di tutto.

SALVATORE BUONOMO – SOPRINTENDENTE BENI CULTURALI NAPOLI Intervenire quando l'abuso è stato già effettuato pone delle difficoltà e dei disagi completamente diversi.

DANILO PROCACCIANTI Se l’Arciconfraternita o la Curia vi avesse avvisato nel momento in cui si perpetrava l'abuso quali erano gli strumenti invece più efficaci in quel momento?

SALVATORE BUONOMO – SOPRINTENDENTE BENI CULTURALI NAPOLI Mah, gli strumenti efficaci…sicuramente l'ordinanza di sospensione dei lavori immediato e un'ordinanza di ripristino.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Due giorni dopo la trasmissione, il cardinale Crescenzio Sepe ha convocato una conferenza stampa per rispondere alla nostra inchiesta, ma senza preoccuparsi di invitarci.

CRESCENZIO SEPE – ARCIVESCOVO EMERITO DI NAPOLI Un giornalista prima di dare una notizia, cerca di sapere, di andare a fondo, di conoscere come stanno le cose, no? Bene. Chiese chiuse: a Napoli ci sono centinaia e centinaia di chiese, quelle che sono di responsabilità della Curia non arriviamo neanche al 15%. Le altre, la maggior parte proprietà di queste chiese è il Ministero degli Interni, il FEC, fondo edifici culto.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Proprio perché verifichiamo tutto, possiamo ragionevolmente affermare che quello che dice il cardinale Sepe non è corretto. Le chiese di proprietà del FEC, il fondo edifici culto, sono appena 45 su mille, come si evince dall’elenco. Dunque la maggior parte delle chiese è della Curia e delle arciconfraternite. Anzi per la precisione della Commissione amministrativa permanente per la gestione dei beni delle arciconfraternite commissariate, che è diretta emanazione della Curia, ed è stata istituita proprio dal cardinale Sepe, come ha scoperto quello che è considerato il fustigatore della Curia napoletana: il cavaliere Giacomo Onorato, detto Giacomino.

GIACOMO ONORATO – CAVALIERE DELLA REPUBBLICA Il cardinale istituì una Commissione permanente per la gestione dei beni delle confraternite commissariate.

DANILO PROCACCIANTI Che già il nome è tutto un programma.

GIACOMO ONORATO – CAVALIERE DELLA REPUBBLICA È tutto un programma. Nello stesso tempo nominava commissario di queste confraternite il sacerdote Salvatore Fratellanza: il mitico, l'onnipotente, l'onnipresente, imprenditore dei vivi e dei morti con 166 cappelle cimiteriali! Lui gestisce 50 delle 241 confraternite. Nello stesso tempo lui è presidente di questa Commissione che ha creato il cardinale nel 2015.

DANILO PROCACCIANTI Se queste confraternite sono commissariate, quindi lui che fa controllore e controllato?

GIACOMO ONORATO – CAVALIERE DELLA REPUBBLICA Eh…Perfetto!

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO E quindi la Curia, oltre alle proprie, controlla pure quelle delle chiese delle arciconfraternite commissariate. Del resto, se non avesse avuto il controllo delle chiese che vi abbiamo mostrato nella scorsa puntata non avrebbe potuto darle in affitto o in comodato d’uso gratuito, come la chiesa di San Bartolomeo nella disponibilità di un’associazione. Telefoniamo fingendo di voler organizzare un brindisi di Natale per trenta persone dentro la chiesa per appena due ore. Dopo qualche minuto, ecco la risposta: ci chiedono 500 euro e addirittura ci offrono la possibilità di fare il bonifico alla loro onlus, così lo detraiamo dalle tasse.

ASSOCIAZIONE CULTURALE LA VOLTA Facendo un bonifico con la dicitura “Sostegno alle attività dell’associazione” è possibile detrarlo al 100%.

DANILO PROCACCIANTI Cioè sono a posto? Nel senso che la chiesa è vostra oppure… perché facendo il bonifico a voi...

ASSOCIAZIONE CULTURALE LA VOLTA No, la chiesa è della Curia, noi l’abbiamo in comodato d’uso dalla Curia e la gestiamo.

CRESCENZIO SEPE – ARCIVESCOVO EMERITO DI NAPOLI Si devono rispettare le finalità del luogo di culto, e cioè devono essere ambienti nel quale si possono fare delle opere a carattere sociale e culturale. Non vanno subaffittate. Lì la televisione metteva che c'erano state degli abusi. Sì, va bene. Vi posso garantire con pienezza di verità, ecco, che appena si è saputo di qualche abuso immediatamente senza aspettare il giorno dopo sono stati cacciati via!

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Nella chiesa di San Potito, dove si sarebbero organizzate feste di compleanno come testimoniano queste foto, non ci risulta che siano stati presi provvedimenti. Così come a San Francesco delle Monache, la chiesa che nel 2013 ospitò la conferenza di Alejandro Jodorowsky, il drammaturgo cileno le cui opere sono intrise di sesso, esoterismo, sciamani e tarocchi, fattosi fotografare con una donna a seno nudo davanti all’altare, al centro di un clamoroso scandalo.

GIACOMO ONORATO Che cosa mi sono ritrovato? Uno pseudo mago: Alejandro Jodorewsky.

DANILO PROCACCIANTI Jodorowsky.

GIACOMO ONORATO Jodorowsky, sì, con una donna seduta tra le sue braccia, seminuda con tutto il seno fuori. E addirittura lungo la navata, ha raccontato come si masturba un clitoride!

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Nella chiesa di San Gennaro all’Olmo nel 2018 si era tenuta una festa di Halloween come testimoniano queste foto.

VINCENZO DORIANO DE LUCA – MONSIGNORE E PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI È difatti qui è avvenuto la risoluzione del comodato lì rispetto a quella festa in maniera proprio istantanea.

DANILO PROCACCIANTI Però l'associazione Giovambattista Vico mi sa che gestisce altre chiese.

VINCENZO DORIANO DE LUCA – MONSIGNORE E PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Perché ne ha due in comodato d'uso.

DANILO PROCACCIANTI Se sono stati cattivi là.

VINCENZO DORIANO DE LUCA – MONSIGNORE E PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Ma in quell’altra Chiesa non è capitato nulla.

DANILO PROCACCIANTI Se tu hai sbagliato ai miei occhi non sei affidabile.

VINCENZO DORIANO DE LUCA – MONSIGNORE E PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Perché si condanna il peccato, ma non il peccatore. E questo lo dovrebbe ricordare molto.

DANILO PROCACCIANTI Ah, devo ricordarmi io!

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI C’è un’opera di misericordia, chiaro.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Altro che misericordia. il portavoce della curia napoletana, don Vincenzo De Luca, non ha osservato l’ottavo comandamento che vieta di falsare la verità nella relazione con gli altri. Abbiamo scoperto che non corrisponde a vero che alla Fondazione Giovambattista Vico sia stata revocata la concessione di San gennaro all’Olmo, la chiesa dove hanno festeggiato Halloween. Sia sul sito che dallo stendardo appeso sulla facciata, emerge chiaramente che sono ancora loro i gestori della Chiesa. Infatti se chiami per organizzare un evento in quella chiesa, chi risponde?

LUIGI MARIA PEPE - VICEPRESIDENTE FONDAZIONE GIOVAMBATTISTA VICO Sì pronto?

GOFFREDO DE PASCALE Pronto, buonasera mi scusi se la disturbo. Lei è il presidente della Fondazione Vico?

LUIGI MARIA PEPE - VICEPRESIDENTE FONDAZIONE GIOVAMBATTISTA VICO Sì…

GOFFREDO DE PASCALE Volevo organizzare una presentazione di un libro nella chiesa di San Gennaro all’Olmo, è possibile?

LUIGI MARIA PEPE - VICEPRESIDENTE FONDAZIONE GIOVAMBATTISTA VICO Sì. Sì sì sì.

GOFFREDO DE PASCALE E c’è possibilità di fare anche un rinfresco dopo?

LUIGI MARIA PEPE - VICEPRESIDENTE FONDAZIONE GIOVAMBATTISTA VICO Certo, certo.

GOFFREDO DE PASCALE Un’ultima cosa, ma poi devo anche informare la Curia o non è necessario?

LUIGI MARIA PEPE - VICEPRESIDENTE FONDAZIONE GIOVAMBATTISTA VICO No, no a quello ci pensiamo noi.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Insomma, da nostre verifiche la Chiesa di san Bartolomeo appartiene sicuramente alla Curia e da catasto è ancora, come destinazione, luogo di culto. Questo significa che l’associazione è una onlus e non paga le tasse, così come la Curia non paga l’Imu. E poi chissà se l’indicazione di fare un bonifico con la dicitura “Sostegno alle attività dell’associazione”, che serve per portare in detrazione i 500 euro che avremmo pagato per il brindisi e l’affitto della chiesa, corrisponda a quelle finalità del luogo di culto che intendeva il cardinale Sepe nel corso della conferenza stampa. E poi, insomma, non corrisponde al vero il fatto che il 15% delle chiese, solo il 15 % del migliaio di chiese a Napoli sarebbe sotto la diretta gestione della Curia. Dati alla mano, su mille chiese solo 45 sarebbero del Fec, Fondo edifici del Culto del Ministero dell’ Interno, 10 sarebbero del Demanio, 71 del Comune. Il resto sarebbe sotto il controllo diretto della Curia, o quello indiretto, perché poi bisogna anche contemplare quelle che sono sotto la gestione della Commissione amministrativa permanente per la gestione dei beni delle arciconfraternite commissariate. Questo perché il commissario di questa Commissione è espressione diretta della Curia. E poi, da quello che abbiamo potuto verificare, non è neppure vero che sono stati presi provvedimenti per quelle associazioni a cui il Cardinale Sepe all’epoca aveva dato in comodato d’uso queste chiese e che si sono resi autori di comportamenti non idonei a rispettare il luogo di culto. Poi il Cardinale Sepe aveva anche detto, nel corso della conferenza stampa, che avevamo raccontato falsità sulla vicenda della Cittadella Apostolica, quella che un prete di periferia, Don Cascella, aveva lasciato in eredità alla Curia e nel testamento aveva posto un obbligo, cioè quello di destinare l’uso solo a scopo benefico.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Ed eccola la Cittadella apostolica, trasformata nel faraonico Grand Hotel Serapide: 58 camere distinte tra standard e suite, vasche idromassaggio nei terrazzi, centro benessere, due ristoranti, locali e terrazze per eventi e una meravigliosa vista sulle isole di Ischia, Capri e Procida.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Bentornati. Allora due settimane fa vi avevamo parlato della vicenda della Cittadella Apostolica, una cittadella che un prete di periferia, Don Cascella, aveva costruito con soldi delle donazioni, una serie di edifici, chiese e mense, e l’aveva destinato come rifugio per i preti, i sacerdoti in difficoltà economica, insomma, ma anche per tutti coloro che ne avessero bisogno. In punto di morte in testamento lascia in eredità alla Curia di Napoli questo bene, ma impone un vincolo, che sia comunque destinata negli anni a rifugio per i più bisognosi. Invece il cardinale Sepe la destina in usufrutto a un imprenditore, un imprenditore che la trasforma in un resort di lusso. Quando abbiamo chiesto spiegazioni al cardinale Sepe, non l’ha presa bene e ci ha mandato a quel paese. Ora indagando sono emersi ulteriori particolari sulle conoscenze di questo imprenditore ed è emerso anche un altro caso. Ne esce fuori il fatto che la Curia non sempre rispetta le volontà dei donatori.

DANILO PROCACCIANTI Nel testamento c'era scritto che doveva mantenere quell’uso…

CRESCENZIO SEPE – CARDINALE EMERITO NAPOLI Ma l'uso è finalizzato al mantenimento dei sacerdoti poveri. Quello che si ricava viene utilizzato per la finalità per cui è stata fatta.

DANILO PROCACCIANTI Però si ricava poco, perché avete fatto un contratto di 3 mila euro al mese. Insomma, manco un appartamento…

CRESCENZIO SEPE – CARDINALE EMERITO NAPOLI Questi non sono fatti vostri. Questo è stato fatto tutto all'insegna di quella che è…sono tutte le considerazioni fatte anche con Roma eccetera. Quindi se vuole fare polemica facciamo pure polemica e io poi vi dirò qualche cosa. Però, però, adesso lasciatemi…

DANILO PROCACCIANTI No, ce la dica nel senso…siccome stiamo facendo chiarezza…

CRESCENZIO SEPE – CARDINALE EMERITO NAPOLI Ma andate a farvi fottere! (dialettale)

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Ci eravamo lasciati così con il cardinale Sepe quando gli avevamo chiesto conto della trasformazione di una cittadella per i poveri in hotel di lusso. Nella successiva conferenza stampa ha spiegato a suo modo che il luogo dove ci aveva invitato ad andare non aveva poi una connotazione così negativa.

CRESCENZIO SEPE – ARCIVESCOVO EMERITO DI NAPOLI Dice che io poi ho detto alla fine una parolaccia. Io ogni tanti le dico le parolacce (lo dice in dialetto) perché mi capita di dirle. Però in quel caso io ho detto “andate a quel paese”, non ho detto…forse se ci avessi pensato gliel'avrei pure detto quella parola. Ma in quel caso ho detto “andate a quel Paese”. La prossima volta che li vedo gli dico una due e tre parolacce (in dialetto lo dice), così li metto a posto. Uno non può professare una professione come quella giornalista in una maniera così superficiale e così cattiva.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO La Cittadella Apostolica che don Cascella nel suo testamento obbligava la Curia a destinare a opere di assistenza e beneficienza e ne vietava l’affitto o la cessione a privati, era stata ceduta da Sepe in usufrutto per 18 anni a 666 mila euro a Claudio Ferrara, imprenditore del Casertano, con un passato in vari partiti.

ANTONIO MUSELLA – GIORNALISTA FANPAGE È stato consigliere dell'Ottava municipalità quella di Scampia ed è stato anche assessore in quel territorio. All'interno di Forza Italia per molti anni è stato legato alla figura di Nicola Cosentino, l'ex sottosegretario di Stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Anche il cardinale Sepe negli anni ha più volte incrociato sulla sua strada l’ex sottosegretario condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Nel 2013 la trasmissione Piazza Pulita scopre che la moglie di Nicola Cosentino aveva acquistato proprio da Sepe, allora prefetto di Propaganda Fide un appartamento a due passi dal Vaticano: 170 metri quadri del valore di mercato di almeno un milione di euro, acquistati a 630 mila euro.

ARNALDO CAPEZZUTO – GIORNALISTA È un rapporto consolidato. Il cardinale Sepe chiede piaceri a Cosentino, Cosentino dà piaceri: mi riferisco ad esempio ai due nipoti del cardinale Sepe, che vengono assunti all’Eco4, che era un consorzio di rifiuti retto dai fratelli Sergio e Michele Orsi - di cui quest'ultimo fu ammazzato dalla camorra - e vengono assunti.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO È lo stesso Sergio Orsi, prima del funerale del fratello Michele, ucciso il 1 giugno 2008 da un commando della camorra a Casal di Principe, a svelarlo al microfono di Sandro Ruotolo.

SERGIO ORSI - IMPRENDITORE Le assunzioni vengono chieste da tutti i politici da sinistra e a destra, dal parroco al cardinale.

SANDRO RUOTOLO Quale cardinale?

SERGIO ORSI - IMPRENDITORE Anche Sepe, noi tenevamo assunti due nipoti di Sepe, insomma del cardinale Sepe.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Non sappiamo se il legame tra il cardinale e il potente sottosegretario di Forza Italia abbia avuto un ruolo nell’assegnazione diretta della Cittadella a Claudio Ferrara amico di Nicola Cosentino che lo ha poi trasformato nel faraonico Grand Hotel Serapide.

CRESCENZIO SEPE – ARCIVESCOVO EMERITO DI NAPOLI Questa cittadella, quando sono arrivato, si trovava in una condizione miserevole. Vendere si è detto assolutamente no. C'è, è un bene lasciato da un sacerdote con una finalità precisa. E quindi darlo in affitto. Ecco se voi vedete questa è la Casa del clero cioè la casa dove io ospito sacerdoti poveri ammalati. E naturalmente tutto quello che è l'introito da parte dell'affitto confluisce nella Casa del clero.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Il fatto che la Cittadella negli anni fosse diventata un rudere non dovrebbe essere una giustificazione, semmai un’aggravante. Don Cascella l’aveva lasciata integra, chi ha lasciato che diventasse un rudere? Non corrisponderebbe al vero neppure il fatto che oggi i soldi derivanti dall’affitto siano andati ai preti poveri, almeno secondo lo stesso economo della Curia, don Franco Cirino.

DON FRANCO CIRINO – ECONOMO CURIA DI NAPOLI Tutto quello che arriverà dalla Cittadella sarà devoluto per opere di assistenza e di beneficenza.

DANILO PROCACCIANTI Tutto quello che arriverà è che è già arrivato.

DON FRANCO CIRINO – ECONOMO CURIA DI NAPOLI Quello che è arrivato è andato a parziale compensazione delle spese che avevamo ricevuto, che abbiamo sostenuto. Quello che arriverà, poi, andrà tutto in uno speciale capitolo destinato ad opere di assistenza e di beneficenza.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Quello di interpretare a piacimento i testamenti di chi lascia donazioni alla Curia, sembra un vizio cronico della diocesi napoletana. Il marchese Leopoldo Dentale dettò sul finire dell’Ottocento un testamento in favore di poveri, indigenti ed emarginati di Napoli. Il nobile lascia alla Curia un patrimonio immobiliare di milioni di euro. L’unico obbligo a cui deve attenersi l’Arcidiocesi è il rigoroso rispetto della volontà dell’aristocratico ossia aiutare, curare e assistere i poveri attraverso il “Nosocomio Dentale” che sorge nella sua villa a San Giorgio a Cremano.

ANTONIO DE ROSA – EX LAVORATORE NOSOCOMIO “DENTALE” Noi curavamo dall'igiene personale, i pasti e il vestiario. Ogni mattina venivano fatte docce a tutti gli ammalati, i vestiti puliti tutte le mattine, colazione, pranzo, cena assicurati, avevano una casa dove poter stare, un letto dove dormire perché noi prendevamo addirittura i cosiddetti clochard.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Migliaia di poveri e indigenti sono passati da questo posto: il nosocomio ha dato assistenza per decine di anni attraverso una fondazione. Fino a quando la Curia era guidata dall’allora cardinale Giordano tutto procedeva come da volere testamentario.

GIORGIO CARCATELLA – EX CONSIGLIERE PROVINCIALE DI NAPOLI (2011 – 2013) Poi invece la situazione con l'abbandono di Giordano e il passaggio a Sepe è peggiorata e ci sono stati i licenziamenti e ci sono state le deportazioni, così le chiamo, dei vecchietti che erano nella struttura. Il cardinale Sepe dal primo momento ha sempre detto che non era interessato a questa struttura e che bisognava toglierselo dal groppone.

DANILO PROCACCIANTI Quando dice che Sepe voleva togliersela dal groppone cioè in che senso lo diceva proprio…?

GIORGIO CARCATELLA – EX CONSIGLIERE PROVINCIALE DI NAPOLI (2011 – 2013) Sì, sì, lo diceva proprio convinto, lo diceva convinto perché riteneva che era un peso dal punto di vista economico.

ANTONIO DE ROSA – EX LAVORATORE NOSOCOMIO “DENTALE” Il cardinale Sepe della struttura non ne ha voluto sapere nulla, non si è interessato per nulla, non ci ha incontrati, non si è confrontato con noi, non ha voluto sapere nulla. Abbiamo dato disponibilità per sei mesi senza stipendio con la struttura vuota perché poi tutti i malati andarono via. Non ti dico lo strazio dei pazienti che venivano vicino a me Antonio non voglio andare via, cioè mi emoziono ancora adesso, figurati. E niente…

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Noi dobbiamo solo dire grazie a gran parte dei preti e delle suore che offrono la loro opera assistenziale. Insomma, d’altra parte alla Chiesa è stata delegata gran parte del welfare. Noi però manteniamo il nostro sguardo. E quello che abbiamo denunciato ci pare stoni con la missione che si è data la Chiesa, quella di servire i più fragili, gli ultimi, i più poveri. Insomma, la Cittadella che doveva essere il rifugio per i preti in difficoltà, quelli anziani, oggi è il rifugio dei giocatori del Napoli in ritiro prepartita. Però, dice il cardinale Sepe, “Noi l’affitto che riceviamo dall’usufrutto dell’imprenditore Claudio Ferrara - circa 3 mila euro al mese, aggiungiamo noi - lo destiniamo agli anziani preti”. Ora, questo è vero, sicuramente vero, ma forse lo sarà un domani perché a oggi - dice il suo stesso economo - vengono utilizzati i soldi, sono stati utilizzati per ripianare le spese della Chiesa. E’ stato disatteso anche il testamento del marchese Leopoldo Dentale. Aveva lasciato in donazione il suo patrimonio immobiliare - milioni di euro – all’Arcivescovo di Napoli e aveva vincolato, nel testamento, il bene al fatto che venisse mantenuto in piedi il Nosocomio Dentale, una struttura ospedaliera che doveva servire i più poveri. E’ finito tutto in fallimento, il Nosocomio è stato abbandonato, i vecchi pazienti sfrattati. Ecco, immaginiamo che come per Don Cascella anche il marchese Leopoldo Dentale si stia rivoltando nella tomba.

La messa è finita. Report Rai. PUNTATA DEL 07/11/2022 di Danilo Procaccianti

Collaborazione di Goffredo De Pascale, Andrea Tornago

La diocesi di Napoli ha un enorme patrimonio immobiliare risultato di lasciti e donazioni. Chi li gestisce e come?

Napoli nel centro storico ha più chiese di Roma: ce ne sono 203 ma solo 79 sono adibite al culto, il resto è abbandonato, pericolante o in ristrutturazione perenne. Non tutte le chiese consacrate sono luoghi di culto perché nel 2010 l’allora arcivescovo di Napoli, cardinale Crescenzio Sepe, vista la difficoltà della Curia a gestirle, decise di affidare alcune chiese in comodato d’uso gratuito ad associazioni o enti. Cosa ci fanno adesso dentro quelle chiese? Il 19 settembre scorso, si è compiuto ancora una volta il miracolo del sangue liquefatto di San Gennaro, davanti a migliaia di fedeli entusiasti. Di miracoli compiuti, però, ne abbiamo scoperti altri. La diocesi di Napoli, infatti, ha un enorme patrimonio immobiliare, spesso risultato di lasciti e donazioni. Alcuni edifici della Curia sono diventati addirittura hotel di lusso. Chi li gestisce e come?

Antonio Piedimonte per “la Stampa” il 7 novembre 2022.

«Una volta, quando c'era un litigio tra ragazzi, i genitori scendevano per riportarsi i figli a casa, magari prendendoli per le orecchie, oggi invece arrivano subito sì, ma per ammazzare al posto loro». Il malinconico commento di "don Ciro", camionista in pensione, sintetizza la tragedia che ieri ha scosso Castel Volturno, teatro della barbara uccisione di Luigi Izzo, barbiere 38enne stimato e amato da tutti, accoltellato davanti alla moglie. 

L'uomo - che lascia tre bambini di 2, 5 e 6 anni - era sceso in strada per difendere il fratello più piccolo, coinvolto in una lite al bar la sera prima e poi minacciato da un altro giovane. Quest' ultimo, un 27enne del luogo (sposato con due figli), è arrivato insieme al padre per "chiarire" e "chiudere l'incidente". In realtà era una trappola: il genitore, armato di un coltello preso dalla cucina, ha sferrato diversi fendenti al torace di Izzo. Nonostante i primi soccorsi il cuore del barbiere si è fermato per sempre. 

Un raid punitivo per vendicare l'"affronto" della sera precedente, sembra infatti che il 27enne avesse avuto la peggio nella diatriba. Una vendetta che riverbera vecchi codici della cultura camorrista anche se ai carabinieri il 50enne ha sostenuto di aver agito in "legittima difesa" del suo rampollo: «Credevo avesse una pistola», ha detto al magistrato. I miliari però hanno verificato che l'unica arma era la sua e su indicazione del sostituto procuratore Annalisa Imparato, disposto il fermo per entrambi.

«Il confine qui è tra il nulla e il male», dice un ragazzo che si faceva tagliava i capelli da Izzo. Marika, cugina della moglie del barbiere - Federica, conosciuta nel 2009 e sposata nel 2015 - sui social chiede perdono ai loro tre figli «per questo mondo di merda». Su fb scrive anche Nicola, amico d'infanzia: «Noi continueremo a essere i bravi ragazzi che uscivano a giocare a pallone. Noi non siamo come loro. Ma neanche loro saranno mai come noi. Resteranno per sempre i miserabili, le "case cadute"». 

E il riferimento è agli abitanti delle zone più degradate della dolente Castel Volturno, 27 chilometri di spiagge che decenni addietro furono sul punto di diventare la Rimini del Tirreno. «Eppoi venne il terremoto, prima la scossa e poi i napoletani», si ripete da sempre.

Piaghe antiche, ferite nuove. Il sindaco, Luigi Petrella (Fratelli d'Italia), dedica un ricordo personale alla vittima: «Lo conoscevo bene, passavo ogni mattina davanti al suo negozio, mi voleva offrire il caffè. Luigi era un ragazzo positivo, la sua morte ci colpisce profondamente». Poi, tornando alla situazione del suo comune: «Non ce la facciamo più. Da anni Castel Volturno vive un'emergenza senza fine, prima in mano alla camorra casalese, poi a quella nigeriana, con un degrado socio-economico e ambientale sempre crescente e mai arginato».

“LA MESSA E’ FINITA” di Danilo Procaccianti Collaborazione di Goffredo De Pascale, Andrea Tornago Immagini di Carlos Dias, Cristiano Forti, Paolo Palermo e Andrea Lilli Ricerca Immagini di Alessia Pelagaggi Montaggio e grafica di Monica Cesarani

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Il centro storico di Napoli ha un numero di chiese elevatissimo e forse anche per questo moltissime sono chiuse o adibite ad altro uso rispetto al culto. Una situazione di cui anche la Curia non ha contezza

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Così, scherzosamente…neppure il Padreterno sa quante chiese sono concentrate nel centro storico di Napoli. Proprio nel centro storico ce ne sono 203. Di queste 203, 79 sono aperte al culto

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Proprio perché sfuggono al controllo nelle chiese di Napoli succede di tutto e addirittura abbiamo un record mondiale: un caso di abuso edilizio sulla facciata di una chiesa, quella di Sant’Arcangelo a Baiano, sede di un’arciconfraternita dove gli appartamenti confinanti si sono allegramente allargati DANILO PROCACCIANTI Ma lei ci abita là?

UOMO Sì

DANILO PROCACCIANTI E come è possibile che si fatto l'appartamento dentro la chiesa?

UOMO E perché quello poi gli appartamenti sono adiacenti, si vede che facendo qualche lavoretto interno…

DANILO PROCACCIANTI Si sono allargati

UOMO Hanno visto che ci stava la stanza accanto…perché non è solo quella, ci sta anche il terrazzino sopra

DANILO PROCACCIANTI Secondo me è un record mondiale, cioè un abuso edilizio sulla facciata di una chiesa, Sant'Arcangelo a Baiano. Come è stato possibile?

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Su quella chiesa non so come sia stato possibile quel tipo di abuso che è un abuso che risale credo a moltissimi anni fa

DANILO PROCACCIANTI Però, al di là di a quando risale, sta ancora là. Cioè potreste intervenire anche oggi per capire che cosa è successo

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI E difatti di fatti siamo intervenuti e stiamo intervenendo

DANILO PROCACCIANTI Sarà abbattuto quel balcone?

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI E questo non glielo posso dire io, mica sono…non sono né il sovrintendente né faccio parte dell'ufficio tecnico del Comune di Napoli

DANILO PROCACCIANTI Ma è vostra. E’ voi che dovete saperlo

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Questo, questo, questo non lo so. Verifichiamo e vi faccio sapere, non lo so

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Allora, ci siamo informati e l’abuso era stato segnalato dai vigili urbani ben 34 anni fa. Il Comune di Napoli ci ha promesso che comunque il balcone sulla facciata della chiesa verrà abbattuto. Ma con calma. Ci sono 30 mila immobili da abbattere a Napoli e prima del balcone ce ne sono 1314. Considerato che abbattono in media circa 40 immobili l’anno, immaginiamo che gli abusivi di Sant’Arcangelo a Baiano potranno dormire almeno ancora per un po’ sonni tranquilli. Però questa è una vicenda significativa per far capire quanto la situazione delle chiese sia sfuggita di mano alla Curia di Napoli. Sono troppe le chiese di Napoli, “neppure il padreterno lo sa” dice scherzando il portavoce della Curia. Solo nel centro di Napoli ce ne sono 203. E due chiese su tre sono praticamente chiuse o abbandonate. Costa troppo tenerle aperte, la gestione. Ed è per questo che nel 2010 il cardinale Sepe aveva dato alcune di queste chiese in comodato d’uso gratuito a delle associazioni, però con l’impegno di mantenere il decoro. Impegno che però in alcuni casi è saltato. E dentro si sono consumati, dentro quei luoghi sacri, concerti, feste di Halloween, e si sono tenuti convegni in cui una donna a seno nudo teorizzava la masturbazione. Ora lungi da noi l’idea di porre dei limiti alla fantasia, magari ai luoghi dove esercitarla anche sì. E l’avrebbero fatta franca se non avessero incontrato sulla loro strada il moralizzatore, il cavalier Giacomino Onorato, che ha cercato di impedire che i mercanti entrassero nei templi. Il nostro Danilo Procaccianti.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Questa è la chiesa di San Biagio dei Caserti, chiusa e abbandonata da anni. Qualcuno ha pensato bene di mettere un cancelletto con il lucchetto per farsi un parcheggio privato e sopra la facciata un bell’ombrellone per un terrazzo dove gustare un aperitivo

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Sì lì c’è tutta...C'è tutto un contenzioso che è in atto. Quindi attendiamo gli sviluppi della situazione. Da molti anni che è in atto è il contenzioso

DANILO PROCACCIANTI Quindi siamo già a due contenziosi, diciamo così: 2 su 2

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO L’utilizzo delle chiese di Napoli è fuori controllo, tante sono quelle trasformate in garage a pagamento…abbiamo poi la chiesa venduta ai privati e trasformata in palestra, così come la chiesa diventata negozio e la chiesa che si affitta per eventi, mentre San Gennariello Spogliamorti oggi è diventata una vera e propria falegnameria

DANILO PROCACCIANTI Un’informazione: ma questa prima era una chiesa?

FALEGNAME Sì DANILO PROCACCIANTI Quindi oggi ci state voi, una falegnameria…

FALEGNAME Un deposito, questo è un deposito

DANILO PROCACCIANTI Ma oggi è di un privato? Voi pagate l’affitto a un privato? FALEGNAME Da 70 anni

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Nessuna traccia della chiesa che fu ma basta alzare gli occhi al cielo ed ecco che emerge il tesoro che abbiamo perso. Una menzione speciale spetta alla chiesa di Sant'Agostino alla Zecca, tra le più importanti e grandi chiese di Napoli. Nonostante la sua importanza storica nel panorama cittadino e le sue dimensioni da vera e propria cattedrale è chiusa da più di 40 anni

ANTONIO PARIANTE – COMITATO PORTOSALVO In più c'è da dire che le cripte di questa straordinaria chiesa hanno cambiato la destinazione d'uso o addirittura sono diventate officine o cose del genere

DANILO PROCACCIANTI Cioè diciamo gli edifici sotto?

ANTONIO PARIANTE – COMITATO PORTOSALVO Sì, sì

DANILO PROCACCIANTI Ma voi siete in affitto, come funziona?

UOMO No no, questo qua è mio

DANILO PROCACCIANTI Ah, se lo è comprato?

UOMO Sì, questi erano piccoli negozi

DANILO PROCACCIANTI Ma non erano della chiesa?

UOMO Della chiesa poi cedette a un privato e poi io ho comprato da un privato

DANILO PROCACCIANTI Certo, è strano vedere pezzi della chiesa li hanno venduti

UOMO Ma tantissimi anni fa

DANILO PROCACCIANTI Ci hanno detto “E’ mio”. Può essere di un privato…le cripte di una basilica?

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Non credo che un privato possa dire che siano proprie. Però non so perché ci siano queste officine nelle cripte di Sant'Agostino alla Zecca. Questo non lo so

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Visto l’alto numero di chiese chiuse e abbandonate nel 2010 l’allora cardinale Crescenzio Sepe decise di affidarne qualcuna in comodato d’uso gratuito ad associazioni o enti senza scopo di lucro, mettendo ovviamente dei paletti

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Fermo restando quelli che sono i criteri sempre della salvaguardia del culto, quando sono chiese, e anche attività che siano compatibili con la Chiesa stessa

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO L’usufrutto spregiudicato delle chiese abbandonate di Napoli sarebbe passato sotto silenzio se non ci fosse stato questo signore che per molti è il fustigatore della chiesa di Napoli: il cavaliere Giacomo Onorato, detto Giacomino

GIACOMO ONORATO Giacomino, pane a pane e vino al vino. Che non ha paura di avere coraggio, di dire sempre solo la verità

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Il cavaliere Giacomo Onorato controlla che le chiese affidate in comodato d’uso gratuito non diventino fonte di speculazione

DANILO PROCACCIANTI Se poi ci faccio spettacoli teatrali faccio pagare il biglietto. Non pago Imu, non pago Tari. È un vantaggio…

GIACOMO ONORATO Un grandissimo vantaggio. Che non pagano il dovuto allo Stato. D'altronde dovrebbero essere così onesti da cambiare lo stato d'uso, ma è possibile cambiare lo stato d’uso di un luogo sacro, luogo pubblico sacro?

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Purtroppo è quello che è successo in alcuni casi. Quando siamo andati davanti alla Chiesa di San Potito, affidata in comodato d’uso gratuito all’associazione “Ad alta voce”, ci hanno accolto così

UOMO La Chiesa non è più una Chiesa perché non è più adibita al culto, ma è diventata un polo museale

DANILO PROCACCIANTI A me risulta che sia una chiesa

UOMO E’ una chiesa, ma è diventata un...vedi? c’è la biglietteria, è un museo ora

DANILO PROCACCIANTI Lei che cos’è, un’associazione?

DONNA Io sono una società privata con regolare autorizzazione del vescovo, della Curia

DANILO PROCACCIANTI Una signora che si è presentata come responsabile della Chiesa mi ha detto non è più Chiesa, è un polo museale. E’ una stupidaggine?

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Non è un polo museale, è una chiesa. Si può esercitare anche il culto in quella chiesa, tranquillamente

DANILO PROCACCIANTI Però c'è il cancello chiuso, la biglietteria. Non può diventare, come dire, non accessibile!

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI È zelante la signora, evidentemente troppo zelante rispetto alla situazione

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO In quella stessa chiesa si tengono spettacoli a pagamento e da quello che ci risulta da queste foto anche feste di compleanno

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Questo dove?

DANILO PROCACCIANTI A San Potito

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Ah, questo non lo so. Me lo sta dicendo lei, verificherò. Questo non lo so

DANILO PROCACCIANTI Cioè…bisogna controllarle, poi

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Eh, ma lei ha capito che ci sono mille chiese a Napoli? Ci vorrebbero mille controllori…

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Magari mille controllori no, ma qualcuno in più decisamente. Perché quello che vedete è un concerto di Patty Smith e si è tenuto all’interno della basilica di San Giovanni Maggiore, affidata all’Ordine degli Ingegneri di Napoli a titolo gratuito. Il biglietto però costava 56 euro. Poi c’è la chiesa di San Gennaro all’Olmo, affidata sempre gratuitamente all’associazione Giambattista Vico, che nel 2018 ha pensato bene di organizzarci una festa di Halloween ritenuta pericolosa dalla Chiesa per il carattere occulto e per la visione distorta del culto dei morti

DANILO PROCACCIANTI A San Gennaro all'Olmo una festa di Halloween nel 2018…

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI E difatti qui è avvenuto la risoluzione del comodato lì, rispetto a quella festa, in maniera proprio istantanea

DANILO PROCACCIANTI Però l'associazione Giambattista Vico mi sa che gestisce altre chiese…

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Perché ne ha due in comodato d'uso

DANILO PROCACCIANTI Se sono stati cattivi là…

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Ma in quell’altra chiesa non è capitato nulla

DANILO PROCACCIANTI Se tu hai sbagliato, ai miei occhi non sei affidabile

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Perché si condanna il peccato, ma non il peccatore. E questo lo dovrebbe ricordare molto

DANILO PROCACCIANTI Ah, devo ricordarmi io…

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI C’è un’opera di misericordia, eh…

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO E di opere di misericordia ne hanno fatte tante. La chiesa di San Francesco delle Monache è stata addirittura affittata a un’associazione. Un caso unico, perché loro pagano un affitto di 1500 euro DONNA Questa non è sconsacrata, se vuoi sapere delle notizie. Facciamo la media di un 50, 60 concerti all'anno

DANILO PROCACCIANTI E la proprietà di chi è, della Curia?

DONNA Dell'Istituto diocesano per il sostentamento del Clero

DANILO PROCACCIANTI Che l'ha affidata a voi?

DONNA Sì, noi facciamo cose di grande qualità voglio dire, di spessore

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Tutte cose di spessore, non abbiamo dubbi, eccetto perlomeno una volta. Nel 2013 la chiesa ospitò la conferenza di Alejandro Jodorowsky, il drammaturgo cileno le cui opere sono intrise di sesso, esoterismo, sciamani e tarocchi

GIACOMO ONORATO Che cosa mi sono ritrovato? Uno pseudo mago! Alejandro Jodorewsky

DANILO PROCACCIANTI Jodorowsky

GIACOMO ONORATO Jodorowsky, sì, con una donna seduta tra le sue braccia, seminuda con tutto il seno da fuori. E addirittura, lungo la navata, ha raccontato come si masturba un clitoride

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Proprio così. Questa è la foto della ragazza a seno nudo sulle gambe di Jodorowsky, e questa è la testimonianza della ragazza: “Le chiese sono piene di nudi dipinti alle pareti e scolpiti nel marmo – scrive - e se davvero avessero a cuore il futuro dell’umanità dovrebbero insegnare la masturbazione della clitoride da ogni pulpito”

DANILO PROCACCIANTI In quella chiesa, qualche anno fa, ci fu….

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI E siamo intervenuti

DANILO PROCACCIANTI Aspetti! Ancora non ho fatto la domanda…

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Eh sì, perché sono domande...torniamo a una cosa… da dieci anni siamo intervenuti

DANILO PROCACCIANTI E qui come siete intervenuti?

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Siamo intervenuti chiedendo garanzie che questo non avvenisse più

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO L’ultima moda napoletana era quella di festeggiare il matrimonio in chiesa. Non solo la funzione religiosa, ma anche il banchetto di ricevimento come testimoniano questi video promozionali. Succedeva anche presso il monastero di Santa Chiara

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Il vescovo si riferiva anche a Santa Chiara, ma non può intervenire direttamente su Santa Chiara perché non ha la responsabilità giuridica per intervenire su Santa Chiara

DANILO PROCACCIANTI Vi risulta che a gestire questi banchetti sia una società che appartiene a dei frati?

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Questo non me lo deve dire a me ma lo deve dire ai frati

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Il vescovo ha fatto la tirata d’orecchie e a Santa Chiara avranno smesso di organizzare banchetti nuziali, o è ancora possibile?

ADDETTO MONASTERO SANTA CHIARA Cioè vuole fare un matrimonio in chiesa con ricevimento?

GOFFREDO DE PASCALE Sì, si può fare?

ADDETTO MONASTERO SANTA CHIARA Certo, se prendiamo soltanto una sala che è l’antico refettorio…

GOFFREDO DE PASCALE Sì

ADDETTO MONASTERO SANTA CHIARA Per la cena siamo intorno ai 2500 euro di costo di affitto e poi bisogna parlare con il catering per il menù

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Siamo al sacramento all inclusive. 2500 euro e ti porti a casa il banchetto nuziale e la funzione religiosa. Scende il prete dall’altare, entrano i camerieri nel refettorio. Solo che quello che lascia un po’ perplessi è che a organizzare tutto non è una società di wedding planner, ma Agape, che fa riferimento a 4 frati francescani dell’ordine dei frati minori – ora, avrebbero anche fatto voto di povertà. Ma qui la Chiesa, la Curia napoletana non ha giurisdizione, ce l’ha l’ordine dei francescani. E devo dire che, insomma, la Curia può fare solo opera di moral suasion. Ma come si comporta invece la Curia nei confronti dei propri immobili, quelli che gestisce lei e che erano destinati ad opere di bene?

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Bentornati. Allora, nel 1979 la Curia di Napoli eredita da don Cascella una cittadella di migliaia di metri quadrati. Don Gaetano Cascella aveva aiutato i nobili napoletani a sfuggire alla furia nazista e questi, finita la guerra, si erano poi sdebitati con lasciti e donazioni. Con quei soldi don Cascella ha costruito a Pozzuoli una vera e propria cittadella con edifici, viali, una chiesa, una mensa. L’aveva destinata come rifugio per i preti più anziani rimasti in difficoltà economiche, giovani seminaristi e per i poveri in assoluto. Quando muore don Cascella fa un testamento e decide di lasciare la nuda proprietà alla Curia di Napoli nella persona dell’arcivescovo di Napoli purché però quell’opera continuasse ad essere destinata all’assistenza. Ecco, che fine ha fatto quella cittadella?

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO È il 19 settembre scorso, alle 9.27 si è compiuto ancora una volta il miracolo del sangue liquefatto di San Gennaro. Davanti a migliaia di fedeli entusiasti Napoli è ancora una volta salva. Ma i miracoli li ha compiuti anche l’ex arcivescovo di Napoli, il cardinale Crescenzio Sepe: ha trasformato una cittadella apostolica, riservata agli anziani preti in difficoltà, in un super hotel di lusso

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Anche questa vicenda sarebbe passata sotto silenzio se non fosse intervenuto il solito cavalier Giacomino che ha presentato un esposto in procura

GIACOMO ONORATO Deve essere una Chiesa povera e per i poveri. La Chiesa non può speculare!

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO La diocesi di Napoli ha un enorme patrimonio immobiliare, risultato spesso di lasciti e donazioni. Dopo la guerra, per esempio, alcuni nobili napoletani fanno delle ricche donazioni a un prete di periferia, Don Gaetano Cascella, che li aveva aiutati a nascondersi dai tedeschi. Con quei soldi Don Cascella costruisce a Pozzuoli la Cittadella Apostolica, un complesso con edifici, viali, una chiesa e una mensa. La struttura accoglie anziani preti in difficoltà economica ma non solo

DANILO PROCACCIANTI Chi era per voi Don Cascella?

SERGIO PETIRRO Era tutto. Lo chiamavamo Papa. Un confidente, una persona che ti aiutava sempre. Mia madre è rimasta vedova giovanissima con tre figli maschi, io all’epoca avevo sei anni quando è morto mio padre, e lui virtualmente ci ha adottati

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Nel 1979 don Gaetano Cascella lascia la Cittadella in eredità alla Curia di Napoli, ma la Curia deve garantire la continuità dell’opera di Don Cascella. Nel testamento si legge “Lego all’arcivescovo pro tempore di Napoli per opere di assistenza e beneficienza la nuda proprietà degli immobili e terreni di mia appartenenza”. La Curia incassa, ma poi nei primi anni Duemila affitta la struttura alla società “Turismo Etico” dell’imprenditore Dario Boldoni, cognato dell’ex presidente del Napoli Corrado Ferlaino. Boldoni smantella gli infissi, i servizi, per cominciare la ristrutturazione dell’intero complesso. Ma all’improvviso…

DARIO BOLDONI - INGEGNERE Quando l'allora cardinale ci chiese la restituzione della Cittadella

DANILO PROCACCIANTI Si ricorda se era il cardinale Sepe?

 DARIO BOLDONI - INGEGNERE Eh sì, certo che era il cardinale Sepe, certo

DANILO PROCACCIANTI E per quale motivo vi chiese la restituzione?

DARIO BOLDONI - INGEGNERE Se le dovessi dire che a tanti anni di distanza ho capito…non l'ho capito

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO L’operazione salta, e la Curia deve risarcire per circa un milione di euro l’ingegner Boldoni. Una delle ragioni pare sia stata proprio la poca chiarezza della Curia rispetto a chi avrebbe dovuto gestire la struttura, visto che c’era di mezzo un testamento che non permetteva speculazioni di sorta

DANILO PROCACCIANTI Però magari quella struttura poteva essere in qualche modo aggiustata alla buona e accogliere dei profughi che spesso stanno nelle tende, in strutture fatiscenti. Cioè questo mi aspetto dalla Chiesa!

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Allora, lei sa che per aggiustare quella struttura alla buona o solo una parte di quella struttura alla buona, ci vogliono almeno 1 milione di euro

DANILO PROCACCIANTI E li avete pagati all'ingegnere Boldoni per cacciarlo via. Quindi li avete spesi…

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Sì ma, allora, 1 milione di euro più tutto il pagamento di un personale che garantisca il mantenimento di quella struttura

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Nel giugno 2017 il vescovo Crescenzio Sepe cede l’usufrutto del bene per 18 anni a Claudio Ferrara, imprenditore del casertano famoso più per la sua attività politica

ANTONIO MUSELLA – GIORNALISTA FANPAGE È stato consigliere dell'Ottava municipalità – quella di Scampia – ed è stato anche assessore in quel territorio, all'interno di Forza Italia per molti anni è stato legato alla figura di Nicola Cosentino, l'ex sottosegretario di Stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Claudio Ferrara nel 2013 è riuscito ad essere candidato sia alla Camera che al Senato. Non solo: lo ha fatto con due partiti diversi, alla Camera con il Pdl e al Senato con ”Liberi per un’Italia equa”

DANILO PROCACCIANTI Alla Camera con un partito e al Senato con un altro…

CLAUDIO FERRARA - IMPRENDITORE No, io ho dato le dimissioni a quel partito e poi mi hanno messo sempre lo stesso dentro

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Ma l’imprenditore double face nel 2016, in occasione delle comunali di Napoli, si impegna a dare una mano al Partito Democratico. Viene scoperto dagli inviati di Fanpage

ANTONIO MUSELLA – GIORNALISTA FANPAGE In un seggio di Scampia le nostre telecamere catturarono le immagini di Claudio Ferrara fuori da uno dei seggi delle primarie del centrosinistra che entrava e usciva, confabulava con gli elettori lì fuori, gli spiegava quali erano le modalità per votare. In quel momento Claudio Ferrara era un assessore dell'ottava municipalità in quota Forza Italia. Quindi era uno di Forza Italia che stava andando alle primarie del Partito Democratico

DANILO PROCACCIANTI Poi c’è quel discorso delle primarie del centrosinistra, quando lei era di Forza Italia

CLAUDIO FERRARA - IMPRENDITORE Io mi sono dimesso da Forza Italia e sono andato con la Valente

DANILO PROCACCIANTI Non era proprio così. Perché poi si dovette dimettere pure da assessore della municipalità

CLAUDIO FERRARA - IMPRENDITORE Mi sono dimesso

DANILO PROCACCIANTI Dopo questa cosa delle primarie

CLAUDIO FERRARA - IMPRENDITORE Certo

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Il trasversalissimo Claudio Ferrara grazie all’usufrutto ristruttura la Cittadella Apostolica e il risultato è ben diverso dalle finalità assistenzialiste con cui Don Cascella l’aveva lasciata alla Curia. Ferrara l’ha trasformata nel faraonico Grand Hotel Serapide: 58 camere distinte tra standard e suite, vasche idromassaggi nei terrazzi, centro benessere, due ristoranti, locali e terrazze per eventi e una meravigliosa vista sulle isole di Ischia, Capri e Procida. Di apostolico della Cittadella di Don Cascella c’è rimasto ben poco

DANILO PROCACCIANTI Sa perché è un po’ paradigmatica questa storia? Perché molta gente lascia dei beni alla Chiesa, cioè se poi come dire non vengono rispettate le volontà…

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Quell’opera non è stata lasciata perché diventasse una casa di riposo o che diventasse una struttura nella quale accogliere bisognosi o quant’altro

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Lo rileggiamo con attenzione il testamento. E Don Cascella aveva inserito una clausola per l’ente destinatario: “L’obbligo di non alienare la proprietà”. E sembra addirittura prevenire l’operazione Ferrara: “Nel deprecato caso che l’ente destinatario non potesse gestire l’opera per mia espressa volontà non potrà darla in fittanza a privati o altro ente”. Obbligo che invece è stato completamente disatteso dalla Curia che ha consegnato il bene a Ferrara, senza neppure partecipare a un bando

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Ma la Curia non è soggetta a bandi pubblici

DANILO PROCACCIANTI Certo, quello è chiaro, però nemmeno potete comportarvi come un privato che fa speculazioni immobiliari, visto che parliamo della Chiesa

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Ma noi non facciamo speculazioni immobiliari. Mica siamo una finanziaria o quant'altro

DANILO PROCACCIANTI Appunto

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI E poi noi non facciamo affari

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Infatti l’affare l’ha fatto Ferrara, che per usufruire della Cittadella per 18 anni – migliaia di metri quadrati – quanto ha pagato?

GIACOMO ONORATO Acquista l'usufrutto per 666 mila euro. Penso che tutti quanti sappiamo che corrisponde al numero della Bestia… al Demonio! 666...

DANILO PROCACCIANTI Ma 666 mila all'anno?

GIACOMO ONORATO No, no, no, no, no, per tutti i 18 anni. Cioè, ha fatto un grande, come si può dire un business

DANILO PROCACCIANTI Ha fatto un bell'affare…

GIACOMO ONORATO Ah, un affare sì... La volontà di quel sacerdote è stata, diciamo così, oltraggiata

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Per entrare nell’affare della Cittadella apostolica, Claudio Ferrara ha pure creato una società ad hoc. Ma con quali garanzie?

STEFANO MARTINAZZO – COMMERCIALISTA AXERTA È stata costituita con il capitale minimo previsto per le società a responsabilità limitata, di diecimila euro. Solo due anni fa il capitale è stato elevato a 50 mila euro che a mio avviso comunque rimane molto poco, molto basso per una società che ha gestito la ristrutturazione e poi un grandissimo albergo super lusso di quelle dimensioni. Poi c’è un’altra cosa molto interessante dalla lettura dei bilanci: ad un certo punto la società di Ferrara affitta un ramo d’azienda alla società “Dragonfly”

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Nel contratto d’affitto si legge che la Dragonfly utilizzerà il seminterrato e il terrazzo antistante e sottostante per l’organizzazione di matrimoni e comunioni pagando per ogni singolo evento 4400 euro alla società di Ferrara. Peccato che l’attività prevalente della Dragonfly fino ad allora era stata quella di commercio online di barche, auto e moto

DANILO PROCACCIANTI E’ possibile che come dire, voi lo date in usufrutto e lui lo subaffitti?

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI Questo, questo non lo so. Non so rispondere a questa domanda

DANILO PROCACCIANTI Il bene è vostro, cioè siete voi che dovete controllare. Per questo dico perché magari voi vi interfacciate con una società e poi loro subaffittano ad altri, voi non sapete poi chi ci sta là dentro?

VINCENZO DORIANO DE LUCA – PORTAVOCE ARCIDIOCESI NAPOLI E possiamo verificare

DANILO PROCACCIANTI Nel testamento c'era scritto che doveva mantenere quell’uso

CRESCENZIO SEPE – CARDINALE EMERITO NAPOLI Ma l'uso è finalizzato al mantenimento dei sacerdoti poveri. Allora quello che si ricava viene utilizzato per la finalità per cui è stata fatta

DANILO PROCACCIANTI Però si ricava poco, perché avete fatto un contratto di 3 mila euro al mese. Insomma, manco un appartamento

CRESCENZIO SEPE – CARDINALE EMERITO NAPOLI Questi non sono fatti vostri. Questo è stato fatto tutto all'insegna di quella che è…sono tutte le considerazioni fatte anche con, con, con Roma eccetera. Quindi se vuole fare polemica facciamo pure polemica e io poi vi dirò qualcosa. Però, però, adesso lasciatemi…

DANILO PROCACCIANTI No, ce la dica nel senso…siccome stiamo facendo chiarezza

CRESCENZIO SEPE – CARDINALE EMERITO NAPOLI Ma andate a farvi fottere! (dialettale)

SIGFFRIDO RANUCCI IN STUDIO In molti si arrabbiano con noi, però è la prima volta sinceramente che un cardinale ci prende a parolacce, anche se mitigate dal dialetto. Insomma, Danilo gli aveva solamente chiesto conto della trasformazione in resort di lusso della cittadella di don Cascella. L’aveva lasciata in eredità alla Curia purché continuasse però ad essere un luogo di rifugio per i più bisognosi. Nella società Paradiso, che gestisce il Grand Hotel Serapide dove doveva esserci la Cittadella Apostolica, c’è la signora Immacolata Lama, moglie di Orlando Vicigrado. Che nel momento in cui la Curia cedeva in usufrutto la Cittadella è stato indagato perché sospettato di essere il prestanome dei Casalesi. Poi per fortuna la sua posizione è stata archiviata. E la Curia è anche all’oscuro del fatto che Ferrara ha subaffittato un ramo d’azienda, per organizzare matrimoni e cresime, alla Dragonfly che ha come statuto sociale la vendita di motociclette, barche ed auto. Ecco, il povero don Cascella che immaginava probabilmente la sua cittadella in mani caritatevoli e al servizio dei bisognosi, immaginiamo si stia rivoltando nella tomba.

La verità del cardinale Sepe dopo le accuse di Report sulle chiese di Napoli. L'inchiesta del programma di Rai3 parlava di luoghi di culto sconsacrati e altri immobili dati in comodato d’uso ad associazioni private, le quali li utilizzano per usi commerciali. Curia di Napoli sotto accusa. Ma solo il 15% degli edifici è della Chiesa. Ignazio Riccio il 10 Novembre 2022 su Il Giornale.

Dopo l’ultima puntata di Report, la trasmissione televisiva di inchiesta giornalistica della Rai, si è alzato un polverone a Napoli. Sotto accusa era finita la curia partenopea sospettata di promuovere una gestione “inadeguata” del proprio patrimonio immobiliare. Luoghi di culto sconsacrati e altri immobili che sarebbero stati dati in comodato d’uso ad associazioni private, le quali li utilizzano per usi commerciali. Report si è domandato chi gestisce questi edifici e in che modo vengono ripartiti i ricavi del loro utilizzo. Un’inchiesta che ha gettato ombre sulla Chiesa napoletana, che ha reagito immediatamente. L’ex arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe, al centro della vicenda per i giornalisti della Rai, ha indetto una conferenza stampa durante la quale è passato al contrattacco.

La posizione della curia è chiara: Report non avrebbe dato loro diritto di replica alle accuse ritenute infondate. Don Maurizio Patriciello, un sacerdote della provincia impegnato nelle battaglie contro la camorra e la Terra dei fuochi ha scritto un post sul suo profilo Facebook, in cui, indirettamente, ha preso le difese di Sepe. “Avete visto Report ieri sera? Mi era sembrato strano – ha scritto – che don Franco Cirino, mio amico, non avesse detto una sola parola riguardo a un bene della Curia di Napoli trasformato in un albergo (era stato intervistato dai giornalisti della Rai, ndr). Ho telefonato subito a don Franco. Era basito. Di cose lui ne aveva dette, e tante. Tutte completamente tagliate da Report. Don Franco, Economo della diocesi di Napoli, aveva spiegato agli italiani, credenti e non credenti, come stavano veramente le cose. Ma, evidentemente, a Report non interessava la verità. E ci ha propinato un servizio taglia- cuci per dire quello che fin dall’inizio avrebbe voluto dire. Mi dispiace tanto. Ho sempre apprezzato questa trasmissione. Ma oggi mi chiedo se tutti coloro che si rifiutano di essere intervistati non lo facciano per non essere strumentalizzati come è successo, ieri sera, a don Franco Cirino, al quale va tutta la nostra stima e il nostro affetto”.

Don Franco, come riporta il Corriere del Mezzogiorno, nella parte non andata in onda, aveva detto che soltanto il 15% delle chiese di Napoli è della curia. Le altre sono dello Stato, fondo Fec, del Demanio e del Comune. “Per le nostre – ha spiegato il cardinale Sepe in conferenza stampa – alcune molto antiche e talvolta in abbandono, abbiamo deciso di riaprirle ma non potendo assumerci tutto l'onere della ristrutturazione abbiamo creato una commissione e le abbiamo messe a disposizione gratuitamente. Chi le ha prese deve ristrutturarle. L'obbligo è di rispettare le finalità del luogo di culto. E infine non sub affittarle”.

Da dayitalianews.it l’8 novembre 2022.

Prima ha chiamato i sanitari del 118 per il figlio che non stava bene, poi l’incredibile richiesta ai soccorritori di aiutarla a spostare i mobili in sala per poter inserire una presa della televisione. Un fatto alquanto assurdo, come riporta il Messaggero, si è verificato a Volla, Napoli.

Secondo quanto raccontato, una donna ha allertato il 118 per chiedere l’intervento di un’ambulanza di Ercolano in quanto il figlio non si sentiva bene. Quando il mezzo, con a bordo il medico della Croce Rossa, è giunto a destinazione, gli operatori sanitari sono entrati nell’appartamento e hanno trovato il giovane chiuso nel bagno a fumare. 

Intanto la madre ha chiesto al personale del 118 di aiutarla a spostare i mobili della sala per inserire una spina della TV, e in questo modo il ragazzo sarebbe uscito dal bagno.

Ovviamente gli operatori e il medico hanno risposto alla donna che non era loro compito fare certi lavori. La donna rispose: tanto ormai siete qui. La donna ha insistito affinché portassero il figlio al pronto soccorso dell’ospedale perché in stato di agitazione. La Croce Rossa ha denunciato quanto avvenuto, anche perché le ambulanze medicalizzate non sono molte e non possono essere sprecate per futili motivi.

Domenico Piscitelli, infermiere e presidente Cri Ercolano, ha raccontato: “Da infermiere che ha vissuto il 118 in prima persona e poi da presidente della Croce Rossa devo dire che queste situazioni non rappresentano una novità. 

Se ne vedono davvero tante, nonostante una pandemia che ha messo a dura prova tutto il sistema sanitario nazionale, sottolineando quanto sia fondamentale la prontezza di un intervento, si continui ad abusare della gratuità del servizio 118. Tutto ciò rappresenta rabbia, malcontento e una continua sconfitta per la comunità”.

Il personale sanitario che era a bordo dell’ambulanza intervenuta, ha tenuto a sottolineare come sia assurdo “tenere impegnata una delle poche ambulanze sul territorio per una agitazione completamente inesistente, quando in realtà si voleva semplicemente far spostare dei mobili. 

E quando questo non è stato fatto, si è voluto andare in ospedale creando ulteriori disagi. Basti pensare che siamo stati bloccati 2 ore in Pronto soccorso, lasciando scoperto così territorio di Ercolano e dintorni”.

Il barbiere 38enne ucciso con 6 coltellate. Luigi Izzo ucciso per un paio di occhiali rotti, aveva sedato una rissa: accoltellato sotto gli occhi della moglie. Elena Del Mastro su Il Riformista il 7 Novembre 2022

Luigi Izzo, 38 anni, ha avuto appena il tempo di guardare negli occhi la donna che amava, sua moglie, per poi spirare in mezzo a una pozza di sangue davanti al cancello della sua casa a Castel Volturno, provincia di Caserta. Per l’omicidio sono state fermate due persone, uno padre di 52 anni, l’altro il figlio di 29 che avrebbero confessato l’omicidio. Tutto sarebbe partito da una rissa in un bar che poco prima Luigi avrebbe tentato di sedare. Il motivo che ha fatto scattare il folle gesto? Un paio di occhiali rotti.

Luigi Izzo, 38 anni, è padre di tre bambini. Avrebbe concluso domenica il trasloco nella sua casa nuova: il coronamento di un sogno, una casa dove stare con tutta la famiglia. Invece, davanti a quella casa acquistata con tanti sacrifici, è stato ucciso con 6 coltellate sotto gli occhi di moglie e suocera. A ricostruire la vicenda è il quotidiano il Mattino citando il racconto di alcuni testimoni. Intorno alle due di notte Luigi ha ricevuto la telefonata di alcuni amici che lo avvisavano che il fratello aveva fatto a botte con il 29enne in un bar. Da fratello maggiore subito lo ha raggiunto e ha cercato di sedale la lite. È lì che il 29enne avrebbe detto a Luigi che suo fratello gli aveva rotto gli occhiali. Luigi lo aveva rassicurato sul fatto che al più presto glieli avrebbe ricomprati nuovi. La faccenda sembrava finita lì. Ma non era così.

Tornato a casa, Luigi è uscito nuovamente, probabilmente perché invitato a un nuovo chiarimento sull’accaduto da parte del 29enne. Sotto casa sua c’era il 29enne con il padre che impugnava un coltello. La moglie di Luigi ha raccontato di aver sentito il marito gridare “Ma cosa volete da me?”. Pochi istanti dopo era a terra in una pozza di sangue, morto dissanguato dopo essere stato colpito per 6 volte alla schiena. Aveva provato a fuggire ma per lui non c’è stato nulla da fare. È morto nella clinica Pineta Grande dov’era stato trasportato dal 118. I carabinieri hanno fermato padre e figlio, il primo con l’accusa di omicidio volontario, il secondo di concorso in omicidio con l’aggravante dei futili motivi.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

La classifica del Sole 24 Ore: la città è decima. Perché a Napoli i cittadini denunciano meno che nelle altre città: la storia del salumiere Scarciello. Francesca Sabella su Il Riformista il 4 Ottobre 2022. 

Il Sole 24 ore ha tracciato la “mappa del crimine” con informazioni estratte dalla banca dati interforze dal dipartimento di Pubblica Sicurezza del ministero dell’Interno relative all’anno 2021. Ebbene, con grande sorpresa, soprattutto di coloro che continuamente indicano Napoli come la città peggiore del Paese, è Milano la città nella quale si consumano più reati e si registra il maggior numero di denunce. Ora, frenate l’entusiasmo, siamo comunque alla decima posizione nella top ten delle grandi città con più reati, ma c’è da dire anche che qui i cittadini sono più restii a denunciare. Andiamo con ordine.

Milano, quindi, si conferma al vertice dell’Indice della criminalità, che entrerà nell’indagine della Qualità della Vita 2022 a fine anno, con 193.749 reati denunciati nel corso del 2021: 5.985 ogni 100mila abitanti. Per dare un peso al fenomeno, la cifra risulta pari alla somma di tutti i crimini denunciati nello stesso arco di tempo a L’Aquila, Pordenone e Oristano, le tre province con meno densità di illeciti che si posizionano in fondo alla classifica. E così tra le 107 province italiane Milano è quella con più furti rilevati ogni 100mila abitanti, in particolare nei negozi e nelle auto in sosta; è settima per denunce di violenze sessuali; seconda per rapine in pubblica via; terza per associazioni per delinquere. Seguono per densità di crimini le altre grandi città: tra le prime dieci classificate si incontrano – oltre a Milano – anche Torino (3ª), Bologna (4ª), Roma (5ª), Firenze (7ª) e Napoli (10ª).

Sì, la sorpresa: Napoli è in fondo alla classifica per densità di atti criminali. Ma è prima per furti con strappo e di motocicli, ma anche di contrabbando. Ma qui c’è un ragionamento importante da fare: più denunce, però, non significa per forza meno sicurezza. Ma anche perché i dati sulle denunce riflettono la propensione dei cittadini a presentarle, legata a diversi fattori: la differente “soglia del dolore” della cittadinanza verso il crimine; il grado di fiducia nelle forze dell’Ordine; la più o meno efficace presenza delle istituzioni sul territorio. Soffermiamoci sulla propensione dei cittadini di Napoli a sporgere denuncia, sono centinaia le storie degli imprenditori che raccontano della paura di denunciare e rimanere poi soli, abbandonati dallo Stato e preda della criminalità organizzata che si ha avuto il coraggio di denunciare.

L’omertà non è un problema solo del Sud, sia chiaro, ma che qui le istituzioni abbiano abbandonato fette delle città è altrettanto chiaro e che questo si rifletta in una sfiducia nei confronti di forze dell’ordine e politica, anche. La frase che centinaia di volte abbiamo sentito dire è “ma che denuncio a fare” oppure “se denuncio mi fanno pure qualcosa”. Sono frasi che fanno parte del quotidiano di questa città. La sfiducia nelle forze dell’ordine e nella giustizia c’è e ed è concreta. Certo il decimo posto fa piacere, ma bisogna considerare il perché Napoli va a guadagnarsi l’ultima posizione. Basti pensare che in città la metà dei cittadini non denuncia i reati di camorra per paura di ritorsioni. Parliamo di un numero enorme di reati che non compaiono nei database della Polizia e quindi nelle classifiche. E basta ricordare due storie che fanno parte di una lista lunghissima di imprenditori che hanno denunciato e poi sono rimasti soli.

Luigi Leonardi, denunciò la camorra che gli chiese il pizzo per il suo negozio di articoli di illuminazione, lasciato solo dallo Stato e poi addirittura sospettato lui stesso di aver commesso un reato. Lui come il salumiere Ciro Scarciello che dopo aver denunciato la camorra, fu costretto a chiudere il suo negozio a Forcella. Sono solo alcuni esempi. Una bella notizia il decimo posto per Napoli, ma guardiamo oltre i numeri.

Francesca Sabella. Nata a Napoli il 28 settembre 1992, affascinata dal potere delle parole ha deciso, non senza incidenti di percorso, che sarebbero diventate il suo lavoro. Giornalista pubblicista segue con interesse i cambiamenti della città e i suoi protagonisti.

UNA RICERCA AMERICANA. La città con più napoletani? Sorpresa: non è Napoli. Da primabergamo.it il 21 Luglio 2014

C’è un detto che vuole noi italiani presenti in ogni parte del mondo e in esso c’è certamente del vero. Che l’Italia sia per storia un Paese di emigrati non è una novità: sin dall’inizio del XX secolo, con la famosa valigia di cartone, tanti nostri connazionali in fuga dalla povertà hanno cercato fortuna all’estero. Stati Uniti, Sudamerica, Germania, Inghilterra: il mondo pullula di persone dal cuore tricolore che si son costruite una nuova vita lontano dall’Italia. Ad avere subìto in particolare il fenomeno migratorio è il Mezzogiorno, con migliaia di persone partite da Calabria, Sicilia, Campania e dalle altre regioni, e intere generazioni cresciute in città lontane e Paesi stranieri. Il fenomeno è stato talmente esteso che oggi ci riserva una simpatica sorpresa: Napoli non è la città con più napoletani al mondo.

Napoli solo quinta. L’istituto americano Demographic ha svolto una ricerca molto accurata sulla presenza di napoletani, o persone di origini partenopea, residenti in diverse città e ha scoperto che Napoli è solo la quinta al mondo (in una classifica di dieci) per presenza di napoletani. L’indagine è stata poi pubblicata sul sito Napolistyle.it, che parla di «stupefacente classifica». Prima al mondo per numero di napoletani è San Paolo del Brasile, seguita da Buenos Aires, Rio de Janeiro e Sidney. Dopo Napoli ci sono New York, Londra, Toronto, Berlino e Monaco di Baviera. Così nel mondo. In Italia i dati sono un po' più rassicuranti: Napoli resta la capitale della “napoletanità” e dietro di lei la sua provincia con Casoria (seconda). Seguono Roma, Milano, Torino, Torre del Greco (sesta), Pozzuoli (settima), Bologna, Giugliano in Campania (nona) e Latina.

I nuovi migranti. Con la crisi economica scoppiata nel 2008, l’Italia ha assistito ad una nuova consistente ondata migratoria. Niente più valigia di cartone, sostituita con una bella ventiquattrore per i sempre più numerosi giovani laureati italiani che davanti alle difficoltà di trovare un impiego decidono di cercare fortuna (spesso con successo) all’estero. Anche il territorio bergamasco, in passato meta di tante persone alla ricerca di lavoro, è ora diventato terra di migranti: lo ha detto  il Rapporto Italiani nel Mondo 2013, realizzato dalla Fondazione Migrantes, che ha indicato Bergamo come terza città in Lombardia per numero di iscritti all’Aire (Anagrafe italiani residenti all’estero), appena dopo Milano e Varese. Precisamente sono, ad oggi, 41 mila e 92 i bergamaschi stabilmente trasferitisi all’estero negli ultimi anni. La maggior parte di questi sono di età compresa tra i 35 ed i 49 anni (25 percento), ma sale la percentuale di giovani tra i 18 ed i 34 anni (19 percento).

Resta comunque il Mezzogiorno ad avere la percentuale maggiore di italiani che fuggono (52 percento), mentre il Nord rimane stabile al 32 percento. A differenza del passato, l’Asia è uno dei continenti preferiti in cui trasferirsi, con un incremento del 18,5 percento nel numero di italiani accolti. Resta sempre forte l’amore per l’America (6,8 percento), comprendente sia USA che l’intero Sudamerica. Da nessuna parte del mondo mancherà una pizza napoletana.

Qual è la città con più napoletani? Redazione napolitoday.it l'01 ottobre 2021

Nell'ultima classifica demografica disponibile Napoli è solo al 4° posto per numero di napoletani.

Tra '800 e '900 le continue migrazioni hanno portato i napoletani in tutto il mondo: in quegli anni quasi 30 milioni di italiani partirono verso le Americhe, l’Australia e l’Europa occidentale e la maggior parte di loro era del Mezzogiorno e, soprattutto, della Campania.

L'ultima indagine sulla presenza di napoletani nel mondo è stata realizzata da un istituto statunitense specializzato in demografia, il “Demographic”, e mostra non solo l’incredibile diffusione di nostri concittadini in tutti i continenti, ma rileva anche l'incredibile dato che non è Napoli la città del mondo con più napoletani.

La classifica dei napoletani nel mondo

Realizzata qualche anno fa, l'indagine demografica rivela che la città del mondo dove vive il maggior numero di napoletani non è Napoli ma è San Paolo, in Brasile. 

Ecco l'ultima classifica disponibile delle città dove si contano più napoletani al mondo

San Paolo (Brasile)

Buenos Aires (Argentina)

Rio de Janeiro (Brasile)

Sydney (Australia)

Napoli (Italia)

New York (USA)

Londra (Regno Unito)

Toronto (Canada)

Berlino (Germania)

Monaco di Baviera (Germania)

Federica Olivo per huffingtonpost.it il 24 settembre 2022.

Giorgia Meloni sarà a Napoli per l'ultimo evento della campagna elettorale, e i centri sociali sono già in allerta. Non distante da lei ci sarà Luigi Di Maio, già protagonista di qualche bagno di folla nei vicoli partenopei. Giuseppe Conte è stato lì a prendersi gli applausi per il reddito di cittadinanza. E nel capoluogo campano sono corsi anche i leader del Terzo polo. Non per strada, non in piazza, ma alla stazione marittima. 

A ognuno la sua location, fatto sta che il capoluogo campano è meta ambita a pochi giorni dalle elezioni. Marino Niola, antropologo, docente all'Università Suor Orsola Benincasa e grande conoscitore di Napoli, ci ha spiegato perché.

Professore, tutti corrono nella sua città in cerca di voti. Perché è diventata il centro della campagna elettorale?

«Napoli è stata più volte decisiva per l'esito delle elezioni. Perché, oltre a essere molto popolosa, è una città campione. È un laboratorio che anticipa ciò che succede nel Paese. Per il suo essere meno definita di altri luoghi non è una città moderna. È post moderna». 

Possiamo, però, già prevedere il futuro: dopo le elezioni non ci sarà tutta questa attenzione nei confronti del capoluogo campano.

«Perché Napoli è la città delle emergenze. E ora l'emergenza è elettorale. Passata questa, come quando sono passate le altre, si pensa che Napoli torni in omeostasi. Cioè, che resti sempre uguale. In realtà non è vero, Napoli cambia moltissimo, è già cambiata moltissimo, ma questo ai media sfugge.

Perché la narrazione stile Gomorra e il racconto dell'emergenza rifiuti si vendono meglio. Così, per rappresentare Napoli non c'è solo la cartolina "pizza, golfo e Pulcinella", ma anche quella che io ho sempre chiamato olografia al nero: quella che rappresenta il degrado. Come tutte le olografie, non è né vera né falsa». 

A proposito di narrazione, adesso viene raccontata come il bacino più grande del Reddito di cittadinanza, quella dove Conte e Di Maio cercano di prendersi il premio di una misura su cui mettono il cappello. Un'immagine non falsa, dati alla mano, ma certamente riduttiva, non trova?

«È l'antico stereotipo, idiota, sul Sud. Si è sempre fatta l'equazione Sud=assistenzialismo e questa del reddito di cittadinanza è la versione aggiornata di un'idea falsa. Un'idea, declinata in vari modi, secondo cui Napoli è la città dei soldi a fondo perduto.

In realtà, reddito di cittadinanza a parte, dopo gli anni '80 il Sud nella ripartizione dei fondi non ha esattamente fatto la parte del leone. Inoltre, questo stereotipo offusca i poli di eccellenza che ci sono in zona. Non viene vista come città produttiva, invece lo è: se dici a qualcuno che una grande percentuale del tessile si produce a Nord di Napoli, questo qualcuno cade dalle nuvole». 

Ma, insomma, queste passerelle elettorali spostano qualche voto? Le fasce popolari che si sono allontanate dalla politica potrebbero decidere di andare a votare?

«Spostano qualcuno che fa parte della massa degli indecisi, ma non di più. Quanto agli sfiduciati, la percentuale non è molto più alta che altrove. Vede, il voto dei napoletani viene considerato, a posteriori, come un voto d'istinto, fatto senza ragionamento politico. Anche questa narrazione è falsa».

Mettiamoci nei panni degli abitanti dei quartieri popolari che vedono i leader politici fare le sfilate nelle loro strade. Cosa pensano?

«Non dimentichiamoci che la città ha 3mila anni di storia. I napoletani sono disincantati, le capiscono queste dinamiche. E cercano di fare il loro interesse. Di votare come conviene loro. E, attenzione, guai a pensare che mi riferisca al voto di scambio. La verità è che non credono a nessuno di questi politici qui».

Ci regala un ritratto della campagna elettorale vista da Napoli?

«Semplice: tanto rumore per nulla».

Miti e miracoli di Napoli: il sangue di san Gennaro nella fede. Il miracolo dello scioglimento del sangue di san Gennaro avviene attraverso una cerimonia, che si tiene a Napoli tre volte all'anno. Angela Leucci il 20 Settembre 2022 su Il Giornale.

A Napoli e più in generale in Campania molti nuovi nati ancora oggi prendono il nome in onore di san Gennaro. La devozione verso il santo patrono del capoluogo è tanta e tale da mescolarsi quasi al profano, alle tradizioni popolari, permeando diversi ambiti della quotidianità partenopea.

Ogni anno, tre volte all’anno, si tiene una solenne cerimonia per lo scioglimento del sangue di san Gennaro: accade nel sabato che precede la prima domenica di maggio, il 19 settembre, ossia il giorno in cui si commemora il martirio del religioso, e il 16 dicembre, ovvero l’anniversario dell’evento miracoloso in base a cui Gennaro fermò l’eruzione del Vesuvio nel 1631. La cerimonia si svolge nel duomo di Napoli, che ingloba la reale cappella del Tesoro di san Gennaro, all’interno della quale sono conservate le reliquie del patrono.

Chi era san Gennaro 

San Gennaro nacque il 21 aprile 272 e fu vescovo di Benevento. Vissuto nel periodo dell’imperatore Diocleziano, dovette subire, come gli altri cristiani, innumerevoli persecuzioni, tanto che le vicende agiografiche sul suo martirio riportano storie anche in qualche modo contrastanti.

Secondo la vulgata più nota e accreditata, Gennaro fu arrestato dal governatore Dragonzio durante una visita pastorale a Pozzuoli. Dragonzio ordinò che il religioso fosse sbranato dai leoni nel locale anfiteatro: ma i leoni si inginocchiarono davanti a Gennaro, e il governatore lo fece decapitare nella solfatara. Era il 305.

Un’altra versione abbastanza accreditata racconta che il viaggio pastorale di Gennaro fosse verso Nola, dove invece fu imprigionato e torturato dal giudice Timoteo, che l’avrebbe mandato a morire a Pozzuoli per decapitazione. Fu durante la decapitazione che una donna di nome Eusebia, devota alla cristianità, raccolse il sangue del santo in due ampolle, cosa che in realtà era un’usanza abbastanza diffusa all’epoca.

Che cos’è il miracolo di san Gennaro 

Le ampolle furono conservate a Napoli, dove nel 1305 Carlo II d’Angiò fece realizzare un prezioso reliquiario per la loro conservazione. Successivamente Roberto d’Angiò le fece collocare all’interno di una teca d’argento. In questo modo il sangue fu esposto ai fedeli per la venerazione. Ma, sebbene c'è chi dice che già sotto l’impero di Costantino sia iniziato a verificarsi il miracolo, sicuramente la prima liquefazione del sangue attestata risale al 17 agosto 1389: il territorio stava affrontando una dura carestia che finalmente si interruppe. E così il miracolo della liquefazione del sangue di san Gennaro divenne una leggenda associata a possibilità di serenità, benessere, tranquillità sociale.

Nei giorni in cui si svolge la cerimonia, l’autorità ecclesiastica mostra ai fedeli una delle ampolle in cui è conservato il sangue del religioso: l’ampolla viene mossa tra preghiere e attesa. A volte però le aspettative non vanno a buon fine e il sangue non si scioglie, ma spesso comunque il miracolo accade.

Come riporta Famiglia Cristiana, durante la cerimonia della liquefazione, si usano cantare oggi canti religiosi d’amore che riguardano l’affetto di Napoli per il suo santo patrono. Come ad esempio Magnifica gente, che recita: "Ma per i ragazzi che toccano il fuoco e possono bruciarsi, per questi ragazzi che stanno crescendo e vogliono imparare, per questi ragazzi che alzano le braccia e si vogliono salvare ci sta tutta la magnifica gente di questa città”.

Perché il sangue si scioglie 

La scienza non può spiegare fede e devozione: alla fede si giunge con il cuore. E quindi anche se nel tempo sono stati in tanti a cercare di spiegare il fenomeno, la scienza nulla può sul credo religioso, soprattutto in quello popolare come in questo caso.

Nei secoli in tanti si sono cimentati in una presunta spiegazione della liquefazione del sangue di san Gennaro: c’è chi ha parlato di utilizzo di calce o calore per il passaggio dallo stato solido a quello liquido, chi ha ventilato che la risposta fosse all’interno del clero di Napoli e perfino chi, come scrive l’agenzia Dire, ha parlato di assenza di sangue e di presenza di sostanze comuni che darebbero vita alla tissotropia, ossia lo scioglimento meccanico di un tessuto attraverso il movimento.

Quale che sia la risposta della scienza - una risposta definitiva che in realtà non è mai arrivata - l’atmosfera che si respira a Napoli nei giorni della cerimonia è particolarmente magica. E forse, antropologicamente parlando, non importa sapere come tutto avvenga. Sogno, magia, mito, leggenda, santità: sono tutti concetti di cui l’umanità ha sempre bisogno per continuare ad andare avanti.

Andrea Siano per rainews.it/tgr/campania il 19 settembre 2022.

"Napoli in qualche modo mi ricorda Buenos Aires. Perché mi parla del Sud". E' uno dei passaggi della lunga intervista esclusiva che Papa Francesco ha rilasciato al Il Mattino, per i 130 anni del quotidiano partenopeo. Un dialogo, quello con il direttore Francesco De Core ed Angelo Scelzo, ex vicedirettore della Sala Stampa Vaticana (una sua dichiarazione nel servizio, ndr.), che parte da Napoli e dal ricordo delle visite del Pontefice in città.

Come ho detto a Napoli tre anni fa - ricorda Francesco -  il Mediterraneo è matrice storica, geografica e culturale del dialogo. Ho visto con i miei occhi gli occhi dei migranti. Ho visto la paura e la speranza". 

Il Papa cita la piaga della malavita organizzata, l'infanzia rubata ai bambini privati della loro innocenza, il sacrificio di don Peppe Diana e Giancarlo Siani, fa riferimento alla Terra dei fuochi. Ma ora è "il tempo di reimpostare la rotta  sottolinea il Pontefice - Napoli è in qualche modo un paradigma della questione meridionale".

"Se penso a Napoli, alla sua storia, alle difficoltà che l'hanno attraversata, penso alla straordinaria capacità creativa dei napoletani. E penso a come la si possa usare per tirare Fuori il bene dal male, la gioia di vivere dalle difficoltà". 

"L'allegria. Il pensare positivo. La resilienza. La generosità. Sono queste le doti di Napoli che ammiro di più  dice Francesco. Insieme alla capacità di vedere davvero i poveri, di guardarli negli occhi e di non restare indifferenti. Penso che dai napoletani ci sono tante cose da imparare".

La repubblica napoletana e il populismo dei nostri tempi, senza cultura né buona fede. Roberto Saviano su Il Corriere della Sera il 2 Settembre 2022 

La foto scelta mostra la porta principale di Palazzo Serra di Cassano in via Egiziaca a Pizzofalcone: è sbarrata da quando nel 1799 Gennaro Serra fu decapitato, in segno di lutto per la morte prematura di un politico che aveva commesso il grave errore di non aver compreso il proprio tempo. 

Un’immagine della Napoli di oggi che racconta la Napoli di ieri: la porta principale di Palazzo Serra di Cassano il cui ingresso principale (su via Egiziaca a Pizzofalcone) è chiuso dal 1799, ovvero da quando fu giustiziato Gennaro Serra di Cassano

Questa rubrica di Roberto Saviano è stata pubblicata su 7 in edicola il 2 settembre. E’ dedicata alla fotografia. Meglio, ad una foto «da condividere con voi — spiega l’autore — che possa raccontare una storia attraverso uno scatto». Perché «la fotografia è testimonianza e indica il compito di dare e di essere prova. Una prova quando la incontri devi proteggerla, mostrarla, testimoniarla. Devi diventare tu stesso prova»

Leggere Il resto di niente di Enzo Striano ascoltando Nel cor più non mi sento di Giovanni Paisiello; leggerlo con i brividi che provoca il Requiem di Francesco Durante, sapendo che sua era la marcia nuziale che accompagnò Eleonora Pimentel Fonseca all’altare con il laido Tria. Leggere un romanzo storico ascoltando la musica che veniva composta in quegli stessi anni, che faceva da colonna sonora alle tragedie dei protagonisti, alle loro speranze e alla inevitabile disfatta è un’operazione struggente, ma necessaria.

«LEGGERE ‘IL RESTO DI NIENTE’ DI STRIANO È NECESSARIO PER CAPIRE IL RAPPORTO TRA INTELLETTUALI E POPOLO: NESSUN PARTITO PUÒ PERMETTERSI DI PARLARE IN NOME DEL POPOLO, PER CONTO DEL POPOLO»

Leggere Il resto di niente è d’obbligo per chiunque voglia capire quale sia il rapporto vero, non la sua volgarizzazione, tra intellettuali e popolo. E dopo che lo avrete letto, saprete anche voi come me che, definendo alcuni partiti populisti (lo faccio anch’io) operiamo una semplificazione che crea equivoci. Nessun partito può permettersi di parlare in nome del popolo, per conto del popolo. Nessuno può dire che qualche esperienza da cameriera abbia insegnato a far politica più di tanti anni in Parlamento. Striano, se pubblicasse oggi Il resto di niente, sarebbe forse massacrato: tu, intellettuale, che ne sai del popolo? Come osi immaginare parole, pensieri, odori, fetore, colori? Come ti permetti di descrivere Napoli per quello che era, è e sarà? O forse mi sbaglio, non sarebbe massacrato perché ad interessarlo sono eventi e persone che restano semi gettati su terreno arido, senza che nessuno abbia mai avuto lo scrupolo di irrigarli quanto bastava per produrre un germoglio.

«NEL 1799 C’ERA L’IDEA DI POTER PARLARE PER ALTRI, ORA L’ELETTORATO VIENE PRESO IN GIRO MIMANDO LA LOTTA»

E così, anche grazie a Striano, sappiamo cosa è Napoli da sempre, ma senza consapevolezza, senza che si riesca davvero a spiegare perché, quel laboratorio incredibile di idee ed esperienze che rappresenta, resta un mistero. La fotografia che ho scelto questa settimana mostra la porta principale di Palazzo Serra di Cassano in via Egiziaca a Pizzofalcone: una porta chiusa, sbarrata, interdetta da quando nel 1799 Gennaro Serra fu decapitato in Piazza del Mercato. Sbarrata in segno di lutto per la morte prematura di un giovane politico che aveva commesso il grave errore di non aver compreso il proprio tempo. Ma forse anche di non aver blandito - del resto mancavano i mezzi: stampare era assai complicato, comunicare alla popolazione analfabeta era totalmente impossibile - un popolo che percorreva binari paralleli, le cui istanze non potevano essere raccolte da un manipolo di intellettuali che avevano creduto di poter importare la Rivoluzione francese.

«In un canto, stupita, vede tre intimiditi lazzari ( giovani popolani; ndr) - descrive Striano il Capodanno di Eleonora Pimentel Fonseca in casa dell’avvocato Nicola Fasulo in via Atri, una casa ora lussuosa, ma allora, depredata dai lazzari, sede di una riunione di giacobini che preparano la rivoluzione - tre veri lazzari: berretti rossi a calza, giubbotti neri, fasce rosse. Hanno scarpe con la fibbia, ficcate a piedi nudi, sui giubbotti i berrettini frigi. Guardano con sofferenza proterva, restano sempre accanto ai servitori». Si scopre che sono stati pagati per stare in questa riunione di nobili intellettuali: «Solo così - dice ironico Vincenzo Cuoco - possiamo avere i lazzari con noi». E Francesco Mario Pagano chiosa con sarcasmo: «Cosa riferiranno? Che i giacobini di Napoli mangiano, bevono, si divertono, mentre loro crepano di fame?».

In queste poche righe la descrizione di cosa sia non la lotta di classe o la lotta tra classi, ma il cortocircuito che avviene quando si è convinti che, per la propria cultura e buona fede, si possa parlare per altri. Ci si possa arrogare il diritto di combattere per altri. Figuriamoci cosa accade quando mancano cultura e buona fede! Quando ci si traveste da quel che non si è, quando si prende in giro l’elettorato. Quando si finge di lottare per altri, di spendersi per altri, per difendere in realtà solo il proprio. La politica è fuoco che arde e consuma. Sono gli scioperi della fame di Pannella, quelli che qualcuno definiva «diete dimagranti». La politica fa star male perché la consapevolezza dell’impossibilità di essere compresi, di riuscire a parlare a tutti, è troppo più forte di ogni speranza di successo. L’esperienza della Repubblica Napoletana ci dice tantissimo di cosa sia la politica fatta in buona fede: un fuoco che arde, consuma, spesso fallisce. Che devasta. Un seme da comprendere, da raccogliere e piantare.

Mirella Serri per “la Stampa” il 18 agosto 2022.

A Napoli in via Chiaia i passanti non credono ai loro occhi. Un bel giovane magrissimo, con il volto scavato ma con l'aria sorridente, passeggia tenendo al guinzaglio un gallo. Nel 1936 l'Italia in camicia nera è fiera del "gallismo", ovvero del virilismo dei suoi uomini. Curzio Malaparte nei suoi versi allude a un parallelismo tra la vivacità sessuale del pennuto e quella del dittatore: «Spunta il sole / canta il gallo / O Mussolini monta a cavallo». Il trentaduenne gentiluomo scarmigliato con il suo comportamento fa dell'ironia sul mito del latin lover.

È il celebre matematico Renato Caccioppoli. A Napoli ben lo conoscono nei Quartieri Spagnoli dove si inoltra senza timore: per sfuggire alla monotonia e anche alla violenza del fascismo adotta lo stile provocatorio dei futuristi. Il mix di genio e sregolatezza è la sua cifra. Adesso a ricostruire la sua tragica e fascinosa storia è Lorenza Foschini nel bel racconto biografico L'attrito della vita. Indagine su Renato Caccioppoli matematico napoletano (La nave di Teseo, 270 pp., 20 euro). La scrittrice, ex volto noto del Tg2 e autrice di recenti ricerche su Proust, attinge anche da memorie di prima mano: sua madre Isabella aveva legami di parentela con lo scienziato, i cui studi più importanti, su un totale di circa ottanta pubblicazioni, riguardano l'analisi funzionale e il calcolo delle variazioni.

A soli 27 anni Renato vinse la cattedra di Analisi algebrica all'Università di Padova, nel 1934 tornò a Napoli per dedicarsi all'insegnamento accademico di Teoria dei gruppi, poi passò ad Analisi superiore e, dal 1943, fu ad Analisi matematica. Cosa tormentava lo straordinario ricercatore che fin da giovane si lasciò andare al piacere della bottiglia ma che era pure pieno di slanci vitali e passionali per le donne (forse anche per gli amori omosessuali), per la poesia e per la musica?

Già, la musica: conoscenti e amici sono increduli quando ascoltano Cacciopoli al pianoforte. Esegue divinamente brani di Brahms e Debussy, si cimenta con il terzo atto di Tristano e Isotta di Wagner, cantando e suonando. A parole, nota per nota, sa descrivere con una precisione sbalorditiva il poema sinfonico di Strauss Morte e trasfigurazione. E poi disquisisce di Proust, di Rimbaud e di Blaise Pascal. Conosce i capolavori del cinema e apprezza i film dei grandi maestri, Duvivier, Renoir, Carné, Chaplin, Ejzentejn e Rossellini. 

Lo scienziato antifascista e anticonformista è un cultore dello sberleffo: nel maggio del 1938 pronuncia in un'osteria un discorso contro Hitler, in occasione della visita del dittatore nazista a Napoli, e paga un'orchestrina per far eseguire la Marsigliese in presenza di agenti dell'Ovra. Incarcerato, viene rinchiuso in un ospedale psichiatrico. Con il passare degli anni, Caccioppoli, a cui Mario Martone ha dedicato uno splendido film, vede crescere la sua dipendenza dall'alcol mentre si spegne la sua verve matematica. Nel 1939 convola a nozze con la giovanissima Sara Mancuso, che lo abbandonerà per Mario Alicata, intellettuale comunista e stalinista.

Lorenza Foschini ricostruisce anche le storie dei tanti compagni di partito che nel Dopoguerra parteciparono al dramma di Caccioppoli senza riuscire a salvarlo dal suo cupio dissolvi. Molto ben delineato è il ritratto di Francesca Spada, convivente di Enzo Lapiccirella, uno degli organizzatori della Resistenza romana: nata a Tripoli, è un'elegante e raffinata pianista con cui Renato esegue Haydn. Nonostante la loro liaison, entrambi non riescono a superare le difficoltà esistenziali che li connotano. Renato porrà fine alla sua vita nel 1959 con il suicidio e Francesca compirà lo stesso gesto due anni dopo.

Questa biografia rivela risvolti segreti della vita di uno dei più grandi matematici del Novecento. Ma fa anche capire come, terminato il fascismo, Caccioppoli si trovi a vivere in grande solitudine: non ha intorno a sé una società pronta ad accoglierlo, ad aiutarlo e a curarlo nel partito comunista a cui ha aderito. La sua esistenza è la testimonianza vivente del degrado di Napoli denunciato da Anna Maria Ortese quando parlava di «silenzio della ragione» e di pietrificazione della speranza che spingeva molti giovani a lasciare l'urbe partenopea «grande sentinella dell'Occidente sull'intero Mediterraneo». Renato così isolato è anche il simbolo della disperazione di una città.

Napoli Svelata. Nei vicoli di Totò: dalla Sanità ai Quartieri Spagnoli, la passeggiata nella “Napoli del Principe della risata”. Ilaria La Volla su Il Riformista il 26 Luglio 2022. 

L’itinerario de “La Napoli del Principe della risata” inizia all’angolo tra salita Capodimonte e via Antesaecula, nel rione Sanità luogo dove è nato e cresciuto il grande Totò. Proprio in questo punto nel 2017, in occasione del cinquantenario della scomparsa del Principe della risata (1967), è stata posizionata un’opera dai fratelli Scuotto che hanno realizzato un busto in bronzo che ritrae il celebre artista incorniciato da una lastra metallica sulla quale capeggia la scritta: Signori si nasce…ed io lo nacqui modestamente.

Difficile trovare qualcuno a Napoli che non conosce questa famosa battuta detta dal barone Ottone Spinelli degli Ulivi, conosciuto da tutti come Zazà, quando saluta il proprietario del circolo culturale dal quale è stato cacciato per morosità sottolineando che sono loro a non meritare la sua presenza e non viceversa. Si tratta del film Signori si nasce del 1960, diretto da Mario Mattoli e a vestire i panni del barone è: Antonio Griffo Focas Flavio Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi De Curtis di Bisanzio, altezza imperiale, conte palatino, cavaliere del sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, duca di Macedonia e di Illiria, principe di Costantinopoli, di Cilicia, di Tessaglia, di Ponte di Moldavia, di Dardania, del Peloponneso, conte di Cipro e di Epiro, conte e duca di Drivasto e Durazzo o per dirla in breve Totò, il principe della risata.

Ebbene sì quella dei titoli nobiliari per Totò divenne una vera e propria ossessione, una voglia di riscatto nata sin da bambino che aumenterà sempre di più. Il primo passo fu quello di ottenere il riconoscimento dal padre biologico. Infatti Totò, nato da una relazione tra una popolana ed un nobile, venne registrato all’anagrafe come Antonio Clemente, figlio di Anna Clemente e ignoto. Fu solo in seguito alla morte del nonno paterno che il marchese Antonio de Curtis, padre di Totò, riuscì a sposare la sua amata e riconoscere il figlio. Ma Totò non si accontentò dei titoli nobiliari ottenuti dal padre e al fine di ottenerne altri si fece adottare dal nobile Francesco Maria Gagliardi Focas di Tertiveri.

La sua infanzia non fu tra le più serene. Nacque in una piccola casa in Via Antesaecula 107 e dopo pochi mesi si trasferì al 109. Il piccolo Totò, soprannome datogli dalla mamma, non amava la scuola al punto tale che fu retrocesso dalla quarta alla terza elementare. Al contrario, però, mostrò da subito un talento artistico, amava osservare di nascosto le persone per studiare gli atteggiamenti, la mimica soprattutto di quei personaggi un po’ particolari. Fu a causa di tale atteggiamento che fu soprannominato dagli amici del quartiere “o spione”. Quando frequentava il ginnasio ricevette un pugno che gli devio il setto nasale, una piccola imperfezione che nel tempo sarà un elemento caratteristico della sua maschera.

A pochi passi della casa natale di Totò sono state girate tante scene del “guappo”, uno degli episodi del film l’oro di Napoli, del 1954 diretto da Vittorio de Sica, in cui Totò interpreta Don Saverio Petrillo di professione “il pazzariello”. Ripercorrendo la salita dei cinesi è possibile riconoscere molte delle location del film come il barbiere che frequenta il guappo, il panificio e la casa di Don Saverio dalla quale parte il corteo che segue Totò in veste di pazzariello diretto in piazza della Sanità per l’inaugurazione di una salumeria, scena in cui Totò pronuncia un’altra famosa battuta: “attenziò…battagliò!”.

Qui nella piazza si trova la chiesa di Santa Maria della Sanità conosciuta da tutti come la chiesa del “Munacone” per la presenza della statua di San Vincenzo Ferrer protettore del quartiere. La chiesa è un fantastico esempio di architettura barocca, al suo intero ci sono opere uniche come la scala a tenaglia in marmi policromi progettata da Fra Nuvolo per inglobare all’interno della nuova costruzione l’antica basilica paleocristiana dalla quale si accede alle catacombe di San Gaudioso. E proprio all’interno di questa chiesa la gente del suo quartiere ha dato l’ultimo saluto al principe della risata.

Totò morì a Roma il 15 aprile del 1967 le sue ultime parole furono “portatemi a Napoli”. Dopo il primo funerale fatto a Roma ce ne fu un secondo a Napoli nella Basilica del Carmine dove accorsero oltre 100 mila persone. Tra i presenti c’era anche Luigi Campoluongo, il “guappo” del rione Sanità conosciuto da tutti come Nase e cane. Al termine delle esequie Nas e cane si avvicino alla figlia del principe Liliana e chiese un altro funerale da fare proprio alla Sanità. Fu cosi che il 22 maggio nella chiesa del Munacone si celebrò il funerale-bis e nonostante la bara fosse vuota anche in quell’occasione migliaia furono le persone che piansero per la perdita di Totò.

Di sicuro la Sanità è il luogo simbolo per ricordare Totò ma sono tanti i quartieri che nel tempo hanno voluto omaggiare il principe. Qualche anno fa ad esempio nei quartieri spagnoli è nato Vico Totò. Un’iniziativa in cui sono stati coinvolti oltre venti artisti che gratuitamente hanno realizzato dei murales colorando e abbellendo la parte alta di via Portacarrese a Montecalvario . In poche centinaia di metri è possibile ripercorrere alcune delle scene dei film di Totò: Totò truffa 62, la banda degli onesti, Totò, Peppino e i fuorilegge ma anche leggere alcune poesie come “core analfabet” o “a mamma” perché non bisogna dimenticare che Totò oltre che attore fu anche un grande poeta.

Ilaria La Volla. Restauratrice, storyteller e Co-fondatrice di Eco Delle Sirene Tour

Napoli, Bassolino derubato sull’autobus: blocca il ladro e recupera il telefono. Chiara Nava il 27/07/2022 su Notizie.it.

Antonio Bassolino, ex sindaco di Napoli, è stato derubato sull'autobus, ma grazie all'aiuto di un altro passeggero è riuscito a bloccare il ladro. 

Antonio Bassolino, ex sindaco di Napoli, è stato derubato sull’autobus. Con l’aiuto di un altro passeggero, è riuscito a bloccare il ladro e a riprendersi il suo telefonino. 

Antonio Bassolino, ex governatore della Campania ed ex sindaco di Napoli, è stato preso di mira dai borseggiatori. Uno di quelli che operano sui mezzi pubblici napoletani. Il ladro ha infilato la mano nella tasca di Bassolino e gli ha rubato il cellulare. Una disavventura che forrtunatamente ha avuto un lieto fine. Il politico, infatti, si è reso conto di essere stato derubato e ha subito bloccato il ladro prima che riuscisse a scappare, grazie anche all’intervento di un altro passeggero, che lo ha aiutato.

Bassolino ha raccontato quello che è accaduto sul suo profilo Facebook.

“Sul 140 mi sfila il cellulare dalla giacca ma per fortuna un signore gesticolando mi fa capire e così sono riuscito a riprenderlo bloccando il ladro un attimo prima che scendesse dal bus” ha scritto Bassolino nel suo post, ricevendo tantissimi commenti, con parole di solidarietà e racconti personali, per sottolineare che la microcriminalità ha raggiunto dimensioni preoccupanti e che andrebbero presi dei provvedimenti.

Napoli, l'ex sindaco Bassolino ferma un ladro sul bus. Alessio Gemma su La Repubblica il 26 luglio 2022.

L'uomo gli aveva rubato il cellulare.

Antonio Bassolino ferma il ladro. Episodio sfortunato per l'ex sindaco di Napoli, 75 anni, che è incappato in un borseggiatore sulla linea 140 del bus.

Il ladro era riuscito a sfilargli il cellulare dalla giacca. Ma un passeggero ha allarmato in tempo Bassolino che è riuscito a bloccare l'autore del furto.

È l'ex sindaco, rieletto in consiglio comunale, a raccontarlo sul suo profilo fb: "Sul 140 mi sfila il cellulare dalla tasca della giacca. Ma per fortuna un signore gesticolando mi fa capire e così sono riuscito a riprenderlo bloccando il ladro un attimo prima che scendesse dal bus".  La linea 140 è con la 151 una delle più colpite dai borseggiatori. Alla notizia i social si scatenano tra ironia e indignazione: "Un Bassolino su ogni mezzo pubblico" scherza Salvatore; "Uno schifo" commentano in tanti in tanti; "E Manfredi sta a guardare" aggiunge Luigi"; "SuperBassolino" sorride Dario.

Da fanpage.it il 27 luglio 2022.

Anche l'ex governatore della Campania (ed ex sindaco di Napoli, oggi consigliere comunale) ha dovuto fare i conti con i borseggiatori: uno dei manolesta che "vivono" sui mezzi pubblici napoletani ha infilato la mano nella tasca di Antonio Bassolino e gli ha preso il cellulare. Ma la disavventura si è conclusa con un lieto fine: il politico si è reso conto in tempo di essere stato derubato e ha bloccato il ladro prima che riuscisse a dileguarsi, grazie a un altro passeggero che lo ha aiutato. A raccontare l'episodio è lo stesso Bassolino attraverso il suo profilo Facebook, che ormai da tempo utilizza quotidianamente per diffondere piccoli aneddoti del suo quotidiano. 

"Sul 140 mi sfila il cellulare dalla giacca – scrive Bassolino nel post – ma per fortuna un signore gesticolando mi fa capire e così sono riuscito a riprenderlo bloccando il ladro un attimo prima che scendesse dal bus". Il post, manco a dirlo, è stato subito inondato di reazioni: quasi 400 like e, negli oltre cento commenti, parole di solidarietà, plauso a chi lo ha messo in guardia indicandogli il ladro e anche numerosi messaggi che, raccontando anche episodi personali, sottolineano come la microcriminalità abbia assunto dimensioni che definire preoccupanti sarebbe un eufemismo.

Il documentario "Napoli, i re del borseggio"

E non è certo una novità degli ultimi anni: verso la fine del 2011, quando Luigi De Magistris aveva da pochi mesi cominciato il primo mandato (succedendo a Rosa Russo Iervolino) il canale National Geographic aveva pubblicato il documentario "Napoli, i re del borseggio", nel quale Bob Arno, showman di Las Vegas, cercava (e trovava) quelli che venivano definiti come leggendari borseggiatori di stanza proprio a Napoli perché gli mostrassero le loro tecniche. Erano veri ladri o semplici attori? La risposta, definitiva e al netto di ogni complottismo, è arrivata nel 2018, quando i carabinieri hanno arrestato quello che nel documentario veniva definito il maestro dei borseggiatori: in manette, naturalmente, ci era finito per avere sfilato un portafogli in autobus.

L'abitazione era libera dopo l'arresto di un altro esponente del clan. Duplice omicidio Ponticelli, l’urlo dei familiari: “Antimo Imperatore vittima innocente, ucciso da bestie”. Ciro Cuozzo su Il Riformista il 20 Luglio 2022

“Hanno ammazzato un innocente, sono bestie“. Questo l’urlo dei familiari di Antimo Imperatore, l’operaio tuttofare ucciso a 55 anni in un ‘basso’ (abitazione al piano terra) nel rione Fiat di Ponticelli, periferia est di Napoli. L’uomo stava effettuando dei lavori di ristrutturazione nell’abitazione dove da poche settimane era andato a vivere Carlo Esposito, 29 anni, ucciso anche lui dai killer in un agguato che gli investigatori fanno rientrare nello scontro in corso da anni tra i clan De Micco-De Martino, cui Esposito era legato, e i De Luca Bossa-Minichini-Schisa.

Imperatore era soprannominato Robin Hood, aiutava con dei lavoretti – secondo il racconto della moglie e degli altri residenti del rione Fiat – le persone in difficoltà, con pochi soldi. Lo faceva anche in cambio di un pacchetto di sigarette. Chiedo giustizia perché mio marito è stato ucciso come vittima innocenti”. Un racconto che va in leggero contrasto con quanto accertato dai carabinieri del Nucleo Investigativo e della Compagnia di Poggioreale secondo cui l’uomo – che aveva dei piccoli precedenti non collegati alla criminalità organizzati – era considerato il “tuttofare“, per quanto concerne lavori domestici, anche di alcuni esponenti del clan De Micco-De Martino. Saranno le indagini a cristallizzare meglio tutto. “Mio zio era una persona buona, un lavoratore onesto pronto ad aiutare tutti. Gli è stata tolta la vita per colpa delle persone che non sono umane ma sono bestie” precisa la nipote.

Antimo stamattina stava sistemano una zanzariera nei pressi della veranda dell’abitazione al piano terra quando almeno un killer è entrato in azione. Non è chiaro se ha aperto la porta di casa o se la stessa fosse già aperta. Il 55enne è stato ammazzato a bruciapelo nei pressi dell’ingresso, Esposito invece è stato trovato riverso a terra all’interno del basso. Entrambi sono stati raggiunti da più proiettili in più parti del corpo ma non al volto.

L’omicidio è avvenuto poco dopo le 9 e un uomo, alcune ore dopo, si è costituito dai carabinieri ed è stato ascoltato in Procura. Al momento non ci sono ulteriori dettagli sull’identità del soggetto né sulla versione fornita. L’abitazione dove è avvenuto l’agguato era da poco abitata da Carlo Esposito, esponente del gruppo che ha il quartier generale proprio nel rione Fiat. L’uomo era stato scarcerato da non molto e in passato – secondo quanto ricostruito dagli investigatori – avrebbe partecipato anche ad alcune azioni armate per conto dei De Martino. Era il cognato di Ciro Uccella, altro affiliato attualmente in carcere per estorsione.

L’abitazione in questione fino a pochi mesi fa era abitata da un esponente del clan conosciuto anche con il nominativo XX. Si tratta di Giovanni Palumbo, detto “il piccione”, arrestato lo scorso aprile insieme al capoclan Marco De Micco.

Al momento nessuna pista è esclusa, compresa quella di una epurazione interna perché il duplice omicidio è avvenuto nella zona di competenza del clan De Martino che insieme ai De Micco è in contrapposizione con i De Luca Bossa-Minichini-Casella.

Quest’ultimi proprio nelle ore precedenti al duplice omicidio sono stati colpiti da un decreto di fermo emesso dalla Procura ed eseguito dai carabinieri perché sospettati di essere gli autori del raid armato avvenuto lo scorso 2 luglio in viale Margherita a Ponticelli, quando quattro uomini in sella a due moto di grossa cilindrata hanno esploso decine di colpi d’arma da fuoco ad altezza uomo contro due auto in sosta. L’ipotesi è quella di un agguato mancato, con la vittima designata che è riuscita a salvarsi riparandosi dietro le macchine.

I destinatari sono Emmanuel De Luca Bossa, 23 anni, Giuseppe Damiano, 20 anni, e Vincenzo Barbato, 23 anni, tutti contigui al clan egemone nel Lotto Zero di Ponticelli. Emmanuel è il figlio di Antonio detto Tonino ‘o sicco (in carcere da circa 25 anni), nipote di Christian Marfella, 28enne fratellastro di Antonio De Luca Bossa, recentemente scarcerato dopo circa otto anni di carcere per estorsione aggravata dalla finalità mafiosa. Marfella jr è agli arresti domiciliari.

La sua scarcerazione è monitorato dagli investigatori, soprattutto dopo l’omicidio di Carmine D’Onofrio, il 23enne incensurato ucciso a colpi di arma da fuoco nella notte tra il 5 e il 6 ottobre 2021 in via Luigi Crisconio, nel quartiere Ponticelli a Napoli, mentre si trovava con la compagna convivente, incinta all’ottavo mese.

Carmine era il figlio di Umberto De Luca Bossa, fratello di Christian Marfella, ed è stato ucciso presumibilmente dai De Micco dopo essersi resto protagonista di un attentato contro la casa del boss Marco De Micco. 

Ciro Cuozzo. Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.

Napoli, trova una borsa con migliaia di euro in contanti: cosa fa quest'uomo, incredibile. Libero Quotidiano il 10 luglio 2022

Trova una borsa con migliaia di euro in contanti e fa il giro di tutta Napoli per restituirla al legittimo proprietario. Protagonista di questa strana storia è un commerciante napoletano, Pino Mobilia, che adesso sui social è diventato un vero e proprio eroe. In molti, infatti, hanno parlato di un esempio di rettitudine e onestà, molto raro di questi tempi.

Tutto inizia qualche mattina fa, quando l'uomo - titolare di un negozio di intimo a Napoli - vede su una panchina una borsa abbandonata. Quando la apre non riesce a credere ai propri occhi: è piena di contanti e oggetti d'oro. A differenza di quello che molti avrebbero fatto al suo posto, lui non hai mai pensato di intascarsi soldi e preziosi. E così, come raccontato sui suoi profili social dal consigliere regionale di Europa Verde Francesco Emilio Borrelli, che ha pubblicato anche la foto dell'eroe, il signor Mobilia si è messo subito sulle tracce dei proprietari.

"C'è grande trambusto a via Santa Teresa degli Scalzi - ricostruisce Borrelli - dove qualcuno ha abbandonato una borsa su di una panchina e, si vocifera, che al suo interno ci siano migliaia di euro in contanti. Tra i primi ad intercettare la notizia c'è Pino Mobilia, titolare di un negozio di intimo nella zona, che decide di agire prima che qualche furbetto possa impossessarsi del malloppo". Risalire al proprietario della borsa non è stato difficile, visto che al suo interno c'era il portafoglio con i documenti. Si trattava di una famiglia di stranieri che si trova in una situazione difficile e, per sicurezza, preferisce portare con sè tutti i propri averi.

La storia è diventata virale sui social. Trova una borsa piena di soldi e fa di tutto per restituirla: “Non un fesso, sei la Napoli che difenderò sempre”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 10 Luglio 2022. 

La borsa era stata lasciata da qualcuno su una panchina in via Santa Teresa degli Scalzi a Napoli. Pino, negoziante della zona, la vede e la apre per capire di chi fosse. All’interno trova numerose banconote e gioielli insieme ai documenti del proprietario. Scatta così la ricerca della persona che stava per perdere la preziosa borsa. Lo ha cercato in lungo e in largo per a città e alla fine lo ha trovato. Una storia a lieto fine che in poco tempo è diventata virale sul web.

Il commerciante napoletano dopo aver letto sui documenti trovati nella borsa l’indirizzo del proprietario, si è fatto prestare uno scooter e insieme a un amico è andato sul posto. Lì ha trovato solo una bambina che ha chiamato i genitori ma nessuno aveva perso nulla. Così ha chiesto ai vicini se conoscessero la persona indicata sui documenti. I vicini riconoscono quella persona e raccontano che si tratta di una famiglia di stranieri che da un po’ di tempo non abita più lì. Raccontano che si tratta di onesti lavoratori.

Pino non si scoraggia: torna sul posto del ritrovamento e chiede in giro se qualcuno conosce quella persona. Alla Posta la riconoscono: è un cliente abituale. Così lo rintracciano al telefono e avviene la restituzione della borsa. La famiglia, nel ringraziare, ha poi spiegato che in questo momento si trova in una situazione difficile e, per sicurezza, preferisce portare con sè tutti i propri averi. La gioia nel rivedersi consegnata la borsa è stata incontenibile.

La bella favola napoletana è diventata subito virale sul web. “Qualcuno potrebbe definirlo fesso, ma tu rappresenti la Napoli che difenderò sempre”, scrive un utente su Facebook. “Credo che per Giuseppe vada molto più di un semplice grazie da parte di tutto il popolo napoletano, in quanto persona perbene, giusta e piena di valori. Hai dimostrato l’esatto contrario di quel brutto pregiudizio che alcune persone hanno dei napoletani. Grazie per quello che hai fatto”, si legge in uno dei post.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Vertice in Prefettura per arginare l'escalation. Dall’omicidio Covelli al pestaggio del meccanico (“Ti facciamo fare la fine di Andrea”), a Pianura faida in strada e su Tik Tok. Ciro Cuozzo su Il Riformista l'11 Luglio 2022. 

Da una parte ci sono cittadini e Istituzioni che provano, finalmente, a reagire con iniziative in strada e Comitato per l’ordine e la sicurezza in Prefettura, dall’altra si continua a seminare terrore per le strade di Pianura dove, a 10 giorni di distanza dal ritrovamento del cadavere di Andrea Covelli, proseguono agguati, pestaggi e stese. L’ultimo in ordine di tempo, stando a quanto appreso dal Riformista, riguarda un ragazzo di 26 anni picchiato sabato notte per le strade del quartiere periferico di Napoli con tanto di gravi minacce rivolte al papà meccanico, “Ti facciamo fare la fine di Andrea“, in riferimento al giovane 27enne incensurato sequestrato fuori a un bar di via dell’Epomeo, portato a Pianura, torturato e ucciso a colpi d’arma da fuoco e ritrovato cadavere 60 ore dopo nella Selva.

Nel mirino del ‘clan della spazzatura‘ di via Napoli (ovvero quello degli Esposito-Calone-Marsicano), stando a quanto verificato dal nostro giornale, un’officina che si troverebbe nella zona di via Torricelli a poca distanza dall’abitazione di Antonio Carillo, rivale in questa cruenta faida che va avanti da oltre un anno e reggente del gruppo Carillo-Perfetto che racchiude i pochi reduci del vecchio clan Pesce-Marfella. Così il 26enne sarebbe stato intercettato per le strade di Pianura sabato sera, fermato e brutalmente picchiato da ignoti, arrivati anche a strappargli la barba. Una violenza brutale che mira a colpire tutte le persone che vivono nella zona degli antagonisti, anche se poco hanno a che vedere con gli affari illeciti dell’organizzazione (spaccio di droga in primis).

SEQUESTRO LAMPO E OMERTA’ – Un episodio che al momento non risulta alle forze dell’ordine perché non è stato denunciato. C’è ancora troppa paura così come c’è ancora troppa omertà come testimonia l’altro sequestro lampo, avvenuto la scorsa settimana (7 luglio), di Antonio D’Agostino, 25enne intercettato dal gruppo Carillo-Perfetto in strada e costretto a salire su un’auto alla volta di via Torricelli (uno del commando ha guidato il suo scooter), dove è stato poi selvaggiamente picchiato e infilzato più volte al gluteo e ad entrambe le gambe con un cacciavite.

Una spedizione punitiva culminata in un sequestro durato circa un’ora dove il ragazzo, considerato dagli investigatori un pusher degli Esposito-Marsicano, urlava e si lamentava di continuo. Urla che alcuni residenti avrebbero intercettato anche se nessuno di loro ha pensato di segnalare live l’episodio alle forze dell’ordine. Paura, omertà e terrore di esporsi per poi ritrovarsi da solo in una zona da far west, dove si spara nell’indifferenza delle Istituzioni da tempo, e dove negli ultimi mesi, così come testimoniano i numerosi appelli raccolti dal Riformista da parte degli stessi residenti, non si vive più. La sera c’è una sorta di coprifuoco con bambini costretti a rincasare anche prima del tramonto e con gli abitanti della zona che devono barricarsi in casa perché spesso i proiettili esplosi finiscono contro le finestre e addirittura in casa.

Sono cose che raccontiamo da mesi ma istituzioni e giornalisti (poco attenti alla cronaca e più alla continue dirette social), stanno aprendo gli occhi solo adesso.

IL VERTICE IN PREFETTURA – Istituzioni che finalmente hanno deciso di affrontare, almeno seduti intorno a un tavolo, l’escalation criminale di Pianura. In mattinata infatti si è tenuto in Prefettura il Comitato Provinciale per l’ordine e la Sicurezza Pubblica sulle difficili situazioni che stanno vivendo i quartieri di Pianura e Ponticelli. Il vertice, presieduto dal prefetto Claudio Palomba, ha visto la partecipazione del sindaco Gaetano Manfredi con l’assessore alla Legalità e alla Sicurezza, Antonio De Iesu, del questore, Alessandro Giuliano, del comandante provinciale dei Carabinieri, Enrico Scandone, del comandante provinciale della Guardia di Finanza, Gabriele Failla, del comandante del Raggruppamento Campania Esercito Italiano, Elio Manes, del comandante Gruppo “Terra dei fuochi”, Francesco Casalena.

A breve – fa sapere una nota della Prefettura – verrà convocato il Tavolo di Osservazione per la IX Municipalità Pianura-Soccavo al quale parteciperanno tutte le istituzioni ed enti coinvolti nelle attività sul territorio ed anche le associazioni del terzo settore, proprio al fine di individuare ulteriori misure in favore delle comunità interessate. Per il quartiere di Pianura sarà effettuato un sopralluogo mirato al rafforzamento del sistema di videosorveglianza. E’ stata rivista, inoltre, la dislocazione dei militari del contingente “strade sicure” in modo da assicurare una vigilanza più efficace degli obiettivi variabili di volta in volta prescelti e comunque nelle zone a maggiore affollamento.

DOPO COVELLI, DUE PESTAGGI, UNA STESA E UN AGGUATO – Dal primo luglio ad oggi oltre ai due episodi raccontati in precedenza, bisogna segnalare anche il tentato omicidio di Carlo Pulicati, 27enne ritenuto vicino al clan di via Napoli, ferito nella notte del 6 luglio scorso da un proiettile alla mandibola in circostanza tutte da chiarire e una stesa avvenuta la sera precedente in via Torricelli.

LA FAIDA SOCIAL E L’ULTIMATUM ALLO STATO- Altro aspetto all’attenzione degli investigatori della Squadra Mobile di Napoli, guidata dal primo dirigente Arturo Fabbrocini, è relativo ai video e alle foto pubblicati su Tik Tok contro i presunti responsabili dell’omicidio di Andrea Covelli. Foto di esponenti del clan guidato da Carlucciello Esposito, i tre nomi dei responsabili, secondo l’account, della morte del 27enne incensurato e una minaccia allo Stato: “Se non andate ad arrestarli subito scateneremo l’inferno contro di loro“. Account bloccati poco dopo e ritenuti dagli investigatori vicini all’ambiente Calone-Perfetto ma anche a quello del vecchio clan Mele, in contrasto con la nuova gestione degli Esposito-Marsicano.

Post che ricostruiscono le ultime ore di vita di Covelli, aggiungendo solamente i nomi dei presunti assassini. 

Ciro Cuozzo. Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.

Frattamaggiore, "bruciato vivo" mentre è in videochiamata con una ragazza. Libero Quotidiano il 03 luglio 2022

Una vendetta per un alloggio occupato o per un lavoro da svuotacantine soffiato a un concorrente. Così lo hanno raggiunto su una panchina nella notte tra giovedì e venerdì, in viale Tiziano, a Frattamaggiore (Napoli), lo hanno cosparso di alcool e dato alle fiamme. Tutto in diretta telefonica. La vittima, Nicola Lupoli, 36 anni, era in videochiamata con una ragazza di Casoria (Napoli) che aveva conosciuto tre mesi fa; la testimone oculare ha raccontato di aver visto un uomo alle spalle di Nicola con una tanica e poi le fiamme e le urla. 

Il trentaseienne ha provato a rotolarsi a terra e poi ha avuto la forza di correre verso casa, dove è stato soccorso dal fratello. E' stato condotto in ospedale a Frattamaggiore prima, poi al Cardarelli di Napoli. Ora è in gravi condizioni, sedato e in coma farmacologico al Policlinico di Bari, dove è stato trasportato stanotte in ambulanza. Gli investigatori cercano tracce dell'aggressore visionando le immagini di tre telecamere di sorveglianza e il movente, scavando nella vita privata dell'uomo. Lupoli è uno svuotacantine e gira per il comune del napoletano, conosciuto e benvoluto da tutti. Potrebbe aver litigato con un suo concorrente, ma non si esclude neanche una pista collegata a debiti contratti. Il movente dell'aggressione sarebbe quindi personale. 

Fermato un uomo, da chiarire il movente. Bruciato vivo durante videochiamata, Nicola rivela nome aggressore al fratello: ora è in condizioni disperate. Redazione su Il Riformista il 3 Luglio 2022. 

C’è un fermo per il tentato omicidio di Nicola Liguori, l’uomo di 36 anni bruciato vivo a Frattamaggiore, Napoli, mentre era in una piazzetta in videochiamata con la fidanzata. Decisive nelle indagini la denuncia del fratello della vittima, ricoverata ora in fin di vita al centro grandi ustionati del Policlinico di Bari.

L’uomo ha riferito alla polizia le ultime parole del fratello prima di perdere conoscenza. “E’ stato Pasquale”. Si tratta di Pasquale Pezzella, fermato nelle scorse ore dagli agenti del commissariato di Frattamaggiore e dai poliziotti della Squadra Mobile. Si trovava a casa del padre, non molto distante da viale Tiziano, luogo dell’aggressione avvenuta nella notte tra giovedì e venerdì scorso.

Il movente è di natura personale e legato a dissidi ancora da accertare. Le ipotesi di cui riferiscono le agenzie sono per un alloggio occupato, il furto di uno scooter o per un lavoro da svuotacantine, professione di Liguori, soffiato a un concorrente. Così lo ha raggiunto sulla panchina mentre stava facendo la videochiamata e, dopo avergli buttato addosso della benzina, gli ha dato fuoco. La fidanzata, una donna di Casoria, ha raccontato di aver visto un uomo alle spalle di Nicola con una tanica e poi le fiamme e le urla.

Liguori ha provato a rotolarsi a terra per provare a spegnare le fiamme, poi si è tolto alcuni vestiti e si è diretto verso casa dove ha chiesto al fratello di accompagnarlo in ospedale. Dopo un primo ricovero al San Giovanni di Dio di Frattamaggiore, l’uomo è stato trasferito prima al centro grandi ustionati del Cardarelli e successivamente a quello presente nel Policlinico di Bari, dove è arrivato nella notte tra sabato e domenica in ambulanza.

Le sue condizioni sono gravissime: ha riportato ustioni, soprattutto nella parte posteriore, per circa il 35% del suo corpo. Decisive saranno le prossime ore.

Il 36enne in gravi condizioni combatte tra la vita e la morte. Cosparso di benzina e dato alle fiamme in videochiamata, la fidanzata: “Ho visto un’ombra dietro di lui”. Vito Califano su Il Riformista il 2 Luglio 2022.  

Era in videochiamata con la fidanzata quando è stato cosparso di benzina e dato alle fiamme. Ha dell’incredibile e dell’orrendo la vicenda che si è verificata a Frattamaggiore, in provincia di Napoli, nella notte di giovedì scorso. La storia è stata raccontata da Il Mattino. L’uomo è ricoverato, combatte tra la vita e la morte.

Si chiama Nicola Lupoli, ha 36 anni, e di professione fa lo “svuota cantine”. L’episodio che lo ha visto protagonista e ridotto in gravissime condizioni si è verificato in viale Tiziano nel popoloso comune della provincia napoletana. A raccontare quello che è successo la fidanzata, che era in videochiamata con il 36enne.

La giovane ha spiegato agli agenti del commissariato di Frattamaggiore di aver visto un’ombra alle spalle del fidanzato che in pochi secondi ha versato del liquido infiammabile sull’uomo e che poi con un’accendino ha appiccato le fiamme. Lupoli è stato trasportato in un primo momento a bordo di un’ambulanza al vicino ospedale San Giovanni di Dio.

A soccorrerlo per primi, secondo il quotidiano, alcuni passanti. Il 36enne è stato trasportato prima al centro grandi ustionato dell’ospedale Cardarelli e poi a quello di Bari. La polizia indaga a 360 gradi sull’episodio di una ferocia inaudita e dalla dinamica grottesca e ancora da chiarire. Le condizioni del 36enne sono gravissime, lotta tra la vita e la morte.

Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.

Convalidato il fermo, il 39enne resta in cella. Nicola dato alle fiamme, l’uomo fermato si difende: “Non gli ho dato fuoco io, accusato ingiustamente”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 5 Luglio 2022 

Un episodio inquietante: un uomo è seduto su una panchina vicino casa mentre videochiama la fidanzata e qualcuno dalle spalle arriva, lo cosparge di benzina e gli dà fuoco, il tutto in una manciata di secondi. È successo a Frattamaggiore la sera del 30 giugno scorso. La vittima, Nicola Liguori, 36enne del posto, è tuttora in prognosi riservata all’ospedale di Bari con ustioni sul 45% del corpo. La famiglia spera in un miracolo. Intanto un uomo è stato fermato con l’accusa di tentato omicidio volontario aggravato dalla premeditazione. Si tratta di Pasquale Pezzella, 39 anni, un vicino di casa contro cui la famiglia di Nicola ha sin da subito puntato il dito. Secondo quanto raccontato dal fratello di Nicola, Biagio, sarebbe stato proprio lui in preda alle fiamme a sussurrargli quel nome. Nome che poi lo stesso Biagio avrebbe denunciato. Ma durante l’udienza di convalida del fermo, Pezzella ha respinto ogni accusa: “Non ho dato fuoco io a Nicola, mi sento accusato ingiustamente”, ha detto. Il Gip del tribunale di Napoli Nord ha stabilito che Pezzella resterà in carcere.

Secondo quanto riportato dall’Ansa Pezzella si è difeso al cospetto del Gip del tribunale di Napoli Nord Daniele Grunieri, durante l’udienza di convalida del fermo emesso dagli inquirenti che lo accusano di tentato omicidio volontario aggravato dalla premeditazione. Assistito dall’avvocato Fernando Pellino (presente anche il pm di Napoli Nord Alberto Della Valle), ha risposto alle domande del Gip respingendo ogni accusa. “Conosco Nicola Liguori da quando siamo bambini – ha raccontato Pezzella – perchè abitiamo nello stesso quartiere, ci salutiamo, ma non posso dire che siamo amici. La sera del fatto, quando ho visto le fiamme dalla finestra di casa mia, sono sceso e insieme ad un’altra persona ho provveduto a spegnere il fuoco che ancora coinvolgeva parte della panchina; in quel momento però Nicola già non c’era più”.

Il Gip non ha posto domande a Pezzella circa il presunto movente, quello del furto di un motorino, che sarebbe stato indicato dal fratello di Liguori, cui quest’ultimo aveva dato indicazioni prima di perdere i sensi. L’avvocato Pellino ha sostenuto l’illegittimità del fermo, dal momento che Pezzella è stato arrestato mentre era solo a casa e non c’era alcun pericolo di fuga, e la mancanza di gravi indizi di colpevolezza e ha dunque chiesto al Gip di non emettere misura cautelare.

Il legale ha sottolineato anche un altro aspetto: la presenza di un’unica fonte dichiarativa, ovvero il fratello di Liguori, Biagio, che ha soccorso il 36enne raccogliendo poche parole in cui la vittima avrebbe parlato di “Pasquale”, e del furto di un motorino. Quel nome, Pasquale, più volte pronunciato da Liguori e che anche altre persone avrebbero sentito tanto da venirne, secondo il legale di Pezzella, condizionate quando hanno reso dichiarazioni alla Polizia di Stato. Il difensore ha fatto notare anche la contraddittorietà nelle dichiarazioni rese, soprattutto sul movente.

La stessa madre di Liguori avrebbe riportato varie versioni, quella del motorino ma anche quella secondo cui Liguori sarebbe stato dato alle fiamme perchè dava fastidio mentre parlava al telefonino sulla panchina. La fidanzata di Liguori ha detto di aver visto, mentre era in videochiamata con la vittima, un uomo dalla carnagione chiara e senza barba e pizzetto, che invece Pezzella ha; quest’ultimo è un carpentiere sposato con quattro figli che sta effettuando, con regolare contratto, un lavoro a Milano, e la scorsa settimana era sceso qualche giorno a Frattamaggiore. Pellino ha sostenuto che non si tratta dunque di una persona violenta.

Dopo aver appreso la decisione del Gip di convalidare il fermo, Fernando Maria Pellino, difensore dell’indagato che aveva chiesto al Gip la scarcerazione di Pezzella per mancanza di gravi indizi di colpevolezza, ha preannunciato ricorso al Tribunale del Riesame. “Lo presenterò già domani mattina – dice il legale – perchè ritengo che gli elementi di prova forniti, si tratta soprattutto di dichiarazioni de relato, non siano sufficienti per delineare la responsabilità di Pezzella, che peraltro è abbastanza sereno, perchè è convinto della propria innocenza”.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

L'aggressione di Frattamaggiore. Nicola bruciato vivo, la rivelazione del fratello: “Padre dell’indagato ha offerto soldi per il silenzio”. Fabio Calcagni su Il Riformista il 5 Luglio 2022 

Resta in carcere con altre pesanti accuse. Il gip del tribunale di Napoli Nord Daniele Grunieri ha convalidato il fermo del 39enne Pasquale Pezzella, accusato di aver dato alle fiamme Nicola Liguori, l’uomo di 36 anni di Frattamaggiore che lotta per la vita al reparto Grandi ustionati del Policlinico di Bari.

L’aggressione era avvenuta nella serata di giovedì 30 giugno: Nicola era seduto su una panchina mentre era preso da una videochiamata con la fidanzata quando Pezzella sarebbe sbucato alle sue spalle cospargendolo di liquido infiammabile e trasformandolo in una torcia umana.

Nel corso dell’udienza di convalida Pezzella ha respinto ogni accusa, ammettendo solamente di esser stato presente sul luogo del fatto poco dopo: “Non ho dato fuoco io a Nicola, mi sento accusato ingiustamente”, ha detto il 39enne, assistito dall’avvocato Fernando Pellino. “Conosco Nicola Liguori da quando siamo bambini – ha raccontato Pezzella – perché abitiamo nello stesso quartiere, ci salutiamo, ma non posso dire che siamo amici. La sera del fatto, quando ho visto le fiamme dalla finestra di casa mia, sono sceso e insieme ad un’altra persona ho provveduto a spegnere il fuoco che ancora coinvolgeva parte della panchina; in quel momento però Nicola già non c’era più”, il racconto dell’uomo in stato di fermo. 

Secondo l’accusa invece Pezzella avrebbe dato fuoco a Nicola Liguori perché lo accusava di aver rubato uno scooter. Il gip non ha posto domande a Pezzella riguardo il presunto movente, che sarebbe stato indicato dal fratello di Liguori, cui quest’ultimo aveva dato indicazioni prima di perdere i sensi. L’avvocato Pellino ha sostenuto l’illegittimità del fermo, dal momento che Pezzella è stato arrestato mentre era solo a casa e non c’era alcun pericolo di fuga, e la mancanza di gravi indizi di colpevolezza e ha dunque aveva chiesto al gip di non emettere misura cautelare. Anche la madre di Nicola Liguori avrebbe riportato varie versioni, quella del motorino ma anche quella secondo cui Nicola sarebbe stato dato alle fiamme perché dava fastidio mentre parlava al telefonino sulla panchina

Ma è l’Ansa oggi a rivelare un particolare rimasto ignoto. Dopo l’aggressione nei confronti di Nicola, a casa della vittima si sarebbe recato il padre di Pasquale Pezzella: al fratello della vittima, Biagio, avrebbe detto che ad appiccare il fuoco sarebbe stato proprio il figlio.  Secondo il racconto fornito da Biagio agli inquirenti, il padre di Pezzella, dopo avere chiesto di non avvertire le forze dell’ordine, avrebbe anche offerto soldi per le cure.

Una circostanza che Biagio inizialmente avrebbe preferito nascondere alle forze dell’ordine perché intimorito dal tenore criminale della famiglia dell’indagato. La circostanza resa nota da Biagio, fratello di Nicola, fa parte degli elementi raccolti dagli investigatori della Polizia di Stato, coordinati dalla Procura di Napoli Nord.

Fabio Calcagni. Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.

Andrea Covelli e Antonio Zarra “bravi piccirilli” uccisi come boss, la mamma di Tonino: “Condoglianze dai due clan”. Ciro Cuozzo e Francesca Sabella su Il Riformista il 6 Luglio 2022.  

“Bravi ragazzi” ammazzati come boss per colpa di legami sbagliati. “Bravi piccirilli” che pagano con la vita colpe non loro, vittime di logiche criminali perverse e spietate. E’ la storia di Andrea Covelli, il 27enne scomparso, torturato e ritrovato cadavere la settimana scorsa in un terreno di Pianura. E’ la storia anche di Antonio Zarra, ammazzato dieci mesi prima, sempre nello stesso quartiere periferico e storicamente abbandonato dalla Istituzioni. Era la notte del 20 agosto quando Tonino, dopo aver accompagnato a casa la compagnia Teresa e il figlioletto di due anni, viene giustiziato mentre va a parcheggiare l’auto: dieci i proiettili esplosi, sette quelli andati a segno.

Un omicidio efferato, dai motivi ancora oggi poco chiari perché Tonino, come Andrea, “era un bravo ragazzo”. La madre, Anna Grimaldi, rivolge da tempo appelli ai suoi amici borderline, a quei ragazzi che nel giro di pochi anni sono finiti nel vortice della malavita. Tonino li conosceva tutti, “sia quelli di via Torricelli che quelli di via Napoli“, i due gruppi da mesi in contrasto per la gestione dello spaccio di droga, e “a loro chiedo di dirmi perché è stato ucciso mio figlio“.

Signora Anna perché Tonino conosceva questi ragazzi?

Avevamo fino a poco tempo fa una pizzeria conosciuta in tutto il quartiere. Ci lavorava anche Tonino ed era un riferimento per tanti ragazzi. Ma lui non era un criminale: a settembre scorso avrebbe dovuto iniziare a lavorare come addetto alle pulizie nella cittadella universitaria di Monte Sant’Angelo: è il lavoro che sceglie un camorrista?.

Dopo l’omicidio qualcuno è venuto da lei?

Non ho sentito nessuno. Né lo Stato, e i suoi rappresentati politici sul territorio, né la magistratura. Sulle indagini tutto tace, ogni mattina mi sveglio con la speranza di sapere perché è stato ammazzato mio figlio e chi l’ha fatto.

Ma gli amici borderline li ha più visti?

Ricordo che all’obitorio c’erano alcuni ragazzi di via Torricelli mentre a casa venne a farmi le condoglianze un uomo legato a quelli di via Napoli. Poi ripeto, non ho visto più nessuno.

Che idea si è fatta di quello che è successo?

Conosceva entrambi i gruppi che oggi si stanno facendo la guerra. Prima di questa deriva però erano solo ragazzini che trascorrevano ore e ore in strada in un territorio che non offre nulla. Tonino conosceva alcuni da piccolo, altri per la pizzeria, altri ancora perché la fidanzata abita nella zona alle spalle di via Napoli. C’è chi dice sia stato ucciso per gelosia, perché vestiva firmato, indossava scarpe Louis Vuitton (comprate con i soldi che guadagnava o che gli davamo noi) e questa cosa non piaceva ad alcune persone. Chi invece perché qualcuno è andato a riferire cose sbagliate sul suo conto, forse vantandosi dell’amicizia che in certi contesti criminali significa anche tanto altro, aizzando chi poi ha premuto più volte il grilletto.

Suo figlio non è stato mai attratto dal guadagno facile?

A Tonino non mancava nulla. Io e il padre gli abbiamo sempre dato tutto: macchina, motorino, soldi quando non lavorava. Non aveva bisogno di invischiarsi in affari illeciti. L’ultima cento euro gliela diede mio marito poche ore prima che venisse ucciso. L’indomani avevamo organizzato di andare a mare tutti insieme, così passavamo qualche ora con il nostro nipotino. E invece lo siamo andati a piangere in ospedale.

Dieci mesi dopo è stato ucciso un altro “bravo ragazzo”.

Ho letto tutto dai giornali perché sono fuori Napoli. Ho visto la denuncia della madre e grazie alla sua mobilitazione è stato ritrovato pochi giorno dopo il figlio, un altro “bravo piccirillo” ucciso senza motivo.

Perché i tentativi di aggressione subiti da Andrea non sono stati denunciati prima?

Perché nelle Istituzioni si ha sempre meno fiducia. Si denuncia e poi resti solo e devi convivere contro queste persone che da più di un anno fallo quello che vogliono. E’ facile dire denunciate, ma poi?

Gli abitanti di via Torricelli da mesi convivono con spari e minacce quotidiane, ma nessuno ha fatto nulla. Ora dopo l’omicidio Covelli, qualcosa cambierà?

Me lo auguro e spero che quanto prima venga fatta giustizia sia per lui che per mio figlio. Anche perché sono gli ultimi due morti ammazzati a Pianura.

Suo figlio aveva un precedente per spaccio, cosa accadde?

Si ma mi creda: lui non ne sapeva nulla. Un suo amico, che oggi fa parte di uno dei due gruppi in questione ed è il genero di uno dei capi, gli chiese di accompagnarlo con lo scooter a fare un servizio. Vennero fermati dalla polizia e sotto la sella questo ragazzo aveva una plancia di hashish. Mio figlio, incensurato, venne condannato a dieci mesi con pena sospesa. Da allora, e sono passati anni, non ha mai avuto problemi con la giustizia.

Che diceva a suo figlio della barba lunga, una moda tra i ragazzi del quartiere?

Che non mi piaceva. Ma lo dico anche a mio marito quando la fa crescere. Tonino non la portava tanto lunga ma diceva che senza barba sembrava un bambino.

Ha mai pensato di lasciare Napoli dopo l’omicidio di suo figlio?

Lo penso sempre ma non lo faccio perché qui ho mia figlia che sta crescendo e ho il mio nipotino che ha solo tre anni. Però da 10 mesi non esco di casa, non mi va di vedere nessuno.

Ciro Cuozzo e Francesca Sabella

Napoli, ragazzo sparito: trovato cadavere a Pianura. La Repubblica l'1 Luglio 2022.  

La polizia, impegnata nelle ricerche di un 27enne, ha trovato un corpo senza vita

La polizia, impegnata nelle ricerche di Andrea Covelli, il ragazzo di 27 anni scomparso il 28 giugno scorso dal quartiere napoletano di Pianura, ha trovato un corpo senza vita nella cosiddetta zona della Selva. Sul posto stanno accorrendo anche i familiari del ragazzo. Si sta provando ad accertare l'identità del cadavere. Da questa mattina per le ricerche del giovane erano stati impegnati cani molecolari ed elicotteri.

Nessuna traccia del 27enne: poche persone in strada con i familiari. Scomparsa Andrea Covelli, elicottero dopo 48 ore e indifferenza nel quartiere: “C’è il coprifuoco”. Ciro Cuozzo su Il Riformista l'1 Luglio 2022 

A oltre 48 ore dalla scomparsa di Andrea Covelli, sono partite, pare in modo serrato, le ricerche delle forze dell’ordine. Da questa mattina a sorvolare il cielo di Pianura, periferia ovest di Napoli, c’è un elicottero che sta ispezionando dall’alto zone boschive e rioni popolari ma per ora non c’è nessuna traccia del 27enne incensurato scomparso nella notte di mercoledì 29 giugno.

Le indagini sono condotte dalla Squadra Mobile di Napoli che ha visionato le immagini delle telecamere di videosorveglianza presenti nel tratto di strada compreso tra via Epomeo e via Montagna Spaccata dove – secondo la denuncia dei familiari – il ragazzo sarebbe stato intercettato da due uomini vestiti di nero a bordo di uno scooter. Sulla vicenda al momento gli investigatori mantengono il più stretto riserbo. Sono tanti gli interrogativi da sciogliere: conosceva le persone che l’hanno fermato e costretto a seguirli? La versione dei familiari e le immagini delle telecamere tra Soccavo e Pianura combaciano? Nei giorni precedenti da chi è stato aggredito Andrea, così come denunciato dalla madre in video al Riformista (in tanti ci hanno ripreso ma nessuno ci ha citati, grazie)?

In mattinata l’elicottero ha sorvolato la zona compresa tra via Napoli e la collina dei Camaldoli, setacciando per diversi minuti anche la zona della Selva con l’ausilio dei cani molecolari, recentemente riqualificata dal gruppo 80126 del quartiere pianurese, e indicata dagli stessi familiari del 27enne. “Ci hanno detto che l’hanno portato lì” ha detto ieri la mamma, Rosaria Vicino, in strada per la seconda giornata di fila insieme a poche decine di persone per chiedere maggiore attenzione delle Istituzioni nelle ricerche del figlio. La ‘soffiata’ non confermata dalle forze dell’ordine, sarebbe arrivata da una telefonata anonima.

Ma tra disperazione mista a confusione, dettata dal momento delicatissimo che stanno vivendo, i familiari forniscono versioni diverse. Se per mamma Rosaria bisogna cercare nella zona della Selva, per il papà di Covelli non vanno dimenticati gli scantinati di via Napoli. Il riferimento sarebbe al gruppo guidato dalle famiglie Calone-Marsicano-Esposito-Loffredo che da circa un anno sono in contrapposizione con il gruppo Carillo-Perfetto, cui il fratello minore di Covelli, Antonio (arrestato per droga nel 2019), era vicino negli anni passati.

Al momento, ripetiamo, non c’è nessuno sviluppo nelle ricerche del ragazzo né ci sono persone fermate dalla polizia né è stato trovato un cadavere nell’area collinare di Pianura. In queste 48 ore gli agenti della squadra mobile hanno avviato attività tecniche e ascoltato diverse persone.

Intanto nel quartiere la scomparsa del ragazzo pare interessi solo a poche persone. Tra paura e indifferenza cronica delle Istituzioni, in passerella solo per celebrare per poche ore San Giustino  senza però mai spendere una parola sull’escalation criminale che da mese (non giorni) sta segnando il quartiere e che avviene a poche centinaia di metri dal Vocazionario del nuovo Santo, la risposta degli abitanti di Pianura è stata molto fredda. In strada con i familiari di Andrea c’erano pochissime persone.

Nelle ultime due sere, già a partire dalle 22,  le strade sono deserte. “Sembra di essere tornati al lockdown, qui c’è il coprifuoco” commenta seccato un residente di via Torricelli, zona dove si spara quasi tutti i giorni e dove, tra proiettili ritrovati fuori al balcone o addirittura in casa, bimbi costretti a non giocare in strada e pestaggi gratuiti anche a chi è legato alla lontana a personaggi malavitosi, i cittadini vivono in pericolo costante. Tutti a casa e silenzio assordante in un quartiere dove, nonostante la scomparsa di un ragazzo, si vedono pochissime volanti di polizia e gazzelle dei carabinieri.

La vicenda ricorda, almeno in queste fasi iniziali, quella di Antonio Natale, il 22enne di Caivano scomparso il 4 ottobre e ritrovato morto ammazzato in una campagna tra Acerra e Afragola dopo circa due settimane. Anche in quell’occasione i familiari lanciarono diversi appelli e denunciarono sin da subito il coinvolgimento di persone legate alla malavita. Ad oggi, a distanza di nove mesi, non c’è ancora nessuno sviluppo investigativo su quella vicenda. 

Dopo le fiaccolate dei giorni scorsi (ieri era presente anche il consigliere regionale dei Verdi Francesco Emilio Borrelli), e quelle che ci saranno in queste ore, un’altra è in programma per lunedì 4 luglio. Ad annunciarlo Carmela Rescigno, consigliere regionale di Fratelli d’Italia. “A Pianura serve presenza dello Stato. Commercianti e famiglie vivono nel terrore quotidiano. Rapine e violenze avvengono nella totale indifferenza di Istituzioni locali e nazionali. E’ di pochi giorni fa la notizia della scomparsa di un ragazzo di 27 anni, Andrea Covelli, di cui si sono perse le tracce. Potrebbe essere l’ennesimo episodio in un contesto difficile, completamente abbandonato al proprio destino e dove la criminalità organizzata rischia di farla da padrone. Per ora l’unica risposta arriva dalla società civile, dalle associazioni e dalle famiglie che hanno organizzato per lunedì una fiaccolata per la legalità che partirà alle 20 dal parco Attianese”. 

Ciro Cuozzo. Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.

Il 27enne scomparso nei giorni scorsi. Scomparsa Andrea Covelli, trovato cadavere a Pianura: accertamenti sull’identità. Ciro Cuozzo su Il Riformista l'1 Luglio 2022 

Svolta nelle indagini sulla scomparsa di Andrea Covelli, il ragazzo di 27 anni, incensurato, di cui non si hanno più notizie dalla notte del 29 giugno. Poco fa è stato ritrovato un cadavere a Pianura, periferia ovest di Napoli, nella zona di campagna compresa tra via Padula e la collina dei Camaldoli, nel quartiere di Pianura. Sul posto gli agenti della Squadra Mobile, quelli del commissariato locale e la Scientifica.

Sul cadavere sono state riscontrate ferite riconducibili a colpi di arma da fuoco. Accertamenti in corso per risalire all’identità del corpo. Sul posto sarebbero arrivati anche i familiari di Andrea per l’eventuale riconoscimento. Le ricerche, dopo due giorni di proteste da parte dei familiari, sono entrate nel vivo nella mattinata di oggi con un elicottero a sorvolare il quartiere e cani molecolari in azione nella Selva pianurese.

Secondo quanto appreso dal Riformista, il corpo senza vita di un uomo è stato ritrovato in via Gustavo Serena, una traversina in salita di via Domenico Padula che porta fin sotto la collina dei Camaldoli. Una zona di campagna dove insistono anche delle abitazioni.

LA SOFFIATA – “Ci hanno detto che l’hanno portato lì” ha detto ieri la mamma, Rosaria Vicino, in strada per la seconda giornata di fila insieme a poche decine di persone per chiedere maggiore attenzione delle Istituzioni nelle ricerche del figlio. La ‘soffiata’ non confermata dalle forze dell’ordine, sarebbe arrivata da una telefonata anonima.

LA SCOMPARSA – “Ieri notte (mercoledì 29 giugno), intorno alle due, è andato a prendere dei cornetti in via Epomeo da “Poldo” a Soccavo” ha raccontato la madre nei giorni scorsi. “E’ stato avvicinato da due persone su uno scooter – prosegue -gli hanno preso le chiavi e il cellulare e da lì l’hanno portato a Pianura. Dalle telecamere dei negozi abbiamo visto che l’hanno portato verso Pianura. Abbiamo denunciato tutto alla polizia ma sono passate 20 ore e non sappiamo nulla”. “Mi dovete ridare mio figlio, tu che ti sei preso mio figlio portamelo a casa” chiede la donna con un filo di voce. “Mio figlio in passato è stato minacciato da alcuni ragazzi” prosegue la donna “ma lui lavora in un autolavaggio a Fuorigrotta, è un bravo ragazzo. Se la devono prendere con quelli come loro non con mio figlio”.

Andrea era su un Honda SH 150 nero (targato EH41387). “Gli hanno preso cellulare e chiavi del motorino, costringendolo a salire su un altro motorino (un SH di colore bianco)”. Da Soccavo sarebbe stato portato a Pianura. “Dalle telecamere di un bar presente alla rotonda di don Giustino”, ad angolo tra via Montagna Spaccata e via Padula, “abbiamo visto Andrea sul motorino guidato da uno di questi due ragazzi, mentre il suo scooter era guidato dall’altro”.

LE INDAGINI – Andrea non risulta legato alla criminalità organizzata. Il fratello Antonio, 22 anni, è stata arrestato negli anni scorsi per droga. E’ considerato dagli investigatori vicino, almeno fino a qualche tempo fa, al gruppo Carillo-Perfetto che si contrappone alle famiglie Calone-Marsicano-Loffredo-Esposito, attive nella zona che da via Napoli arriva sotto la collina dei Camaldoli, per la gestione delle piazze di spaccio. Le indagini sono affidate alla Squadra Mobile guidata dal primo dirigente Alfredo Fabbrocini. 

Ciro Cuozzo. Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.

Il 27enne sequestrato, giustiziato e scaricato nella Selva. Omicidio Andrea Covelli, la vendetta trasversale di un clan che voleva fare il morto: ‘bravi ragazzi’ uccisi per legami sbagliati. Ciro Cuozzo su Il Riformista il 2 Luglio 2022 

Una vendetta trasversale. Una punizione esemplare per dimostrare a quelli di via Torricelli che loro, quelli di via Napoli, sono più forti, più numerosi, più cattivi e spietati anche se le piazze di spaccio più ricche sono quelle dei rivali. Sarebbe stato ucciso in questo contesto Andrea Covelli, 27enne incensurato, il cui cadavere è stato ritrovato in una zona di campagna di Pianura, periferia ovest di Napoli, due giorni e mezzo dopo il suo rapimento, avvenuto all’esterno di una cornetteria di via Epomeo a Soccavo poco dopo le due di notte del 29 giugno scorso.

Ucciso con diversi colpi d’arma da fuoco, uno anche al volto, probabilmente dopo essere stato picchiato, e gettato nelle terre comprese tra via Pignatiello e via Gustavo Serena, in una zona conosciuta a Pianura come ‘a severa, la Selva. E’ lì che dopo una giornata di intense ricerche con l’ausilio di un elicottero e dei cani molecolari, partite da una soffiata ricevuta dalla famiglia e probabilmente anche dalle forze dell’ordine (“cercate in quella zona“), gli agenti di polizia sono riusciti a trovare il corpo senza vita di un uomo in un terreno coperto dalla vegetazione e non molto distante da diverse villette.

La notizia si è diffusa intorno alle 20 di venerdì primo luglio. La madre del 27enne, che in questi due giorni è scesa in strada con parenti e amici lanciando diversi appelli a forze dell’ordine e criminalità organizzata nel tentativo di riabbracciare il figlio, ha accusato un malore in casa quando le è stato fatto capire che quel corpo era con molta probabilità quello di Andrea.

Un omicidio raccapricciante sul quale dovranno far luce le indagini della Squadra Mobile di Napoli, guidata dal primo dirigente Alfredo Fabbrocini, con l’ausilio degli agenti del commissariato di Pianura guidato da Arturo De Leone. Un omicidio che segna probabilmente un punto di non ritorno nella faida tra i gruppi Carillo-Perfetto, cui il fratello della vittima, Antonio Covelli, 22 anni, era legato in passato (e probabilmente tutt’oggi visto che dopo un breve allontanamento da Pianura negli ultimi tempi era ritornato a Pianura pur limitando le uscite in strada), e le famiglie Calone-Esposito-Marsicano.

Un morto ammazzato annunciato da tempo, quasi scontato per quello che stava accadendo negli ultimi mesi: stese, agguati falliti e pestaggi all’ordine del giorno, soprattutto nella zona di via Torricelli, ex fortino del clan Pesce-Marfella e oggi presidiato dai pochi reduci guidati da Antonio Carillo e da figli e parenti dei vecchi ras, ora in carcere o passati a collaborare con la giustizia.

Andrea Covelli, che lavorava in un autolavaggio-garage a Fuorigrotta, era intenzionato a partecipare al bando Asia per spazzini e, nonostante parentele e conoscenze pericolose, non era considerato organico alla criminalità organizzata. Saranno ora le indagini a cristallizzarlo così come dovrà essere cristallizzata la posizione del fratello, in passato arrestato per spaccio e sospettato di aver partecipato a raid armati e intimidatori contro la cosca rivale. Un’altra ipotesi al vaglio, ma secondaria,  è quella riconducibile a uno sgarro, un torto, un comportamento sbagliato che Andrea avrebbe pagato con la vita.

Il 27enne sarebbe stato ucciso stesso la notte in cui è stato costretto a cedere il proprio Honda Sh di colore nero e il cellulare a due uomini in scooter. Poi da Soccavo è arrivato a Pianura su un Sh bianco guidato da uno dei due sequestratori (entrambi i motorini ad oggi non sono stati ritrovati). L’ultima immagine che immortala vittima e carnefici – stando alla denuncia dei familiari – è quella estratta dalle telecamere di un bar alla rotonda di “Don Giustino”, tra via Montagna Spaccata e via Padula. Qui il rebus da risolvere quanto prima: i due mezzi sono andati in direzione via Napoli percorrendo via Padula oppure sono saliti verso via Pignatiello verso la Selva dove è stato poi ritrovato il cadavere dopo quasi 72 ore.  

E ancora: Andrea conosceva i suoi aguzzini? E poi: chi l’ha picchiato nei mesi scorsi? Una voce, non confermata, racconta di un pestaggio avvenuto la notte del 31 dicembre quando si presentò in via Napoli per comprare fuochi d’artificio da una bancarella presente in strada. Picchiato perché “quelli di Torricelli – ci dicevano – non devono venire nella nostra zona, altrimenti ci arrabbiamo” ha raccontato una donna nel video del Riformista.

Altri pestaggi, commessi da entrambi i gruppi, avvenivano con una continuità disarmante. Veniva picchiato chiunque fosse sospettato di stare con il gruppo rivale. Veniva picchiato anche chi in passato ha lavorato per il clan nemico e oggi aveva scelto di cambiare vita. Una spirale di violenza e terrore, con residenti di via Torricelli sempre più rintanati nelle proprie abitazioni perché preoccupati da stese e scene da film con cecchini sui tetti e pistoleri che facevano fuoco anche dai muretti sovrastanti di via Cannavino. Dopo una certa ora scattava il coprifuoco e bimbi e ragazzini erano costretti a rincasare per evitare di diventare vittime collaterali. Il tutto nell’indifferenza o quasi di istituzioni e forze dell’ordine, costrette quasi sempre a inseguire i malviventi in un contesto di grande omertà. Omertà dovuta soprattutto alla scarsa fiducia nei confronti di uno Stato da sempre latitante nelle periferie malandate di Napoli.

Uno Stato abituato alle passerelle: celebre quella di qualche settimana fa in occasione dei festeggiamenti di San Giustino, avvenuti nel Vocazionario distante poco più di cento metri dalle case popolari di via Torricelli, la “zona dove si spara sempre” e dove viveva Andrea Covelli, coetaneo di Antonio Zarra, il penultimo morto ammazzato nel quartiere pianurese 10 mesi fa. Era il 2o agosto 2021 e Tonino, dopo aver accompagnato compagna e figlioletto a casa, venne ricoperto da una pioggia di piombo, ben 10 proiettili, sette dei quali andati a segno. 

Un omicidio che porta sempre nella stessa direzione, confermata anche dagli investigatori: ad ucciderlo quelli di via Napoli. Il movente? Le amicizie borderline con soggetti del clan rivale (in primis Perfetto jr, recentemente ferito in un agguato) e un passato con precedenti per droga che qualcuno non ha dimenticato. La mamma, Anna Grimaldi, chiede da tempo giustizia per il figlio. Chiede agli stessi amici di parlare, dare una svolta alle indagini. Ma niente.

“Può un ragazzo di solo 26 anni, di buona famiglia, amato da tutti, un ragazzo che aveva tutto, con un figlio piccolo di appena due anni e mezzo, essere massacrato, assassinato, colpito con 10 proiettili solo per amicizie pericolose? Chiedeva la donna. Stessa domanda posta nei giorni scorsi da Rosaria Vicino, mamma di Andrea: “Lavora in un autolavaggio a Fuorigrotta, è un bravo ragazzo. Se la devono prendere con quelli come loro non con mio figlio”.

“Bravi ragazzi” morti come boss per colpa di legami sbagliati. L’auspicio è che le indagini, quanto prima, chiariscano tutto questo e che lo Stato, in tutte le sue ramificazioni decida realmente di bonificare e non solo di reprimere, spesso a scoppio ritardato, questi territori. 

Ciro Cuozzo. Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.

Le ultime ore di vita del 27enne. Andrea Covelli, il sequestro davanti alla fidanzata (“stai tranquilla”) e il corpo scaricato nella Selva durante le ricerche. Ciro Cuozzo su Il Riformista il 3 Luglio 2022. 

Mentre sui social è partita la caccia ai presunti assassini di Andrea Covelli, con un profilo Tik Tok (poi bloccato) che ha elencato uno a uno i componenti del ‘clan della monnezza‘, restano ancora numerosi punti oscuri sulla morte del giovane 27enne incensurato, trovato cadavere nelle terre comprese tra via Pignatiello e via Gustavo Serena, in una zona conosciuta a Pianura come ‘a severa, la Selva, due giorni e mezzo dopo la sua scomparsa. 

Ma ricostruiamo le ultime ore di vita di Andrea che la notte del 29 giugno scorso si trovava prima a Fuorigrotta e poi a Soccavo, nei pressi di una cornetteria di via dell’Epomeo, in compagnia della fidanzata che aveva conosciuto non molto tempo fa. E’ stato forse per proteggere lei che, quando si sono presentati i suoi aguzzini (“devi venire con noi, dobbiamo parlare”), li ha seguiti senza provare a reagire. Probabilmente ha rassicurato la donna prima di salire sul motorino guidato da uno dei due sequestratori. E’ stata poi quest’ultima, preoccupata dalla situazione di pericolo, ad avvertire dopo poco i familiari di Andrea o direttamente o attraverso amici in comune. Sarebbe stata lei dunque l’ultima persona ad averlo visto vivo.

Poi il tragitto da Soccavo, lungo via Montagna Spaccata, fino alla rotonda di Don Giustino. Qui i due motorini (quello del 27enne era guidato da uno dei due uomini) sono stati avvistati per l’ultima volta dalle telecamere di un bar che si trova ad angolo con via Padula. Ma la direzione del viaggio verso la morte del giovane ragazzo pianurese è proseguita non salendo via Pignatiello, dopo è stato poi trovato il cadavere giorni dopo, ma verso via Napoli e via Monti, zona antistante la collina dei Camaldoli.

Lì Andrea ha incontrato probabilmente altre persone prima di essere brutalmente picchiato e successivamente ucciso a colpi d’arma da fuoco, di cui almeno uno al volto. Ma è qui che sorge un interrogativo al vaglio degli investigatori (indagini della Squadra Mobile di Napoli guidata da Alfredo Fabbrocini, e nello specifico dalla sezione omicidi): il cadavere è stato portato stesso la notte del 29 giugno nelle terre della Selva o successivamente?

Stando agli indizi raccolti e alle ricerche effettuate  dalla polizia la mattina di venerdì primo luglio con l’ausilio di un elicottero e dei cani molecolari, Andrea potrebbe essere stato scaricato in quelle stesse, terre pattugliate nelle ore precedenti, solo nel pomeriggio della stessa giornata.

Impossibile infatti che sia i cani, sia l’elicottero, sia gli agenti in azione, nel controllare la zona, non abbiano trovato il corpo del giovane, riversato in posizione supina e seminudo tra le frasche che costeggiano una strada di passaggio, non molto distante da alcune villette e percorsa quotidianamente da decine di persone che abitano alle pendici dei Camaldoli.

Difficile, complice anche il forte caldo di questi giorni, che anche il cattivo odore proveniente dal cadavere passasse inosservato nelle ricerche mattutine. Qualcuno, probabilmente in seguito al clamore mediatico che stava avendo la vicenda, ha pensato di farlo ritrovare in quelle zone già presidiate dagli investigatori. Dopo una prima battuta di ricerche andata avanti fino ad ora di pranzo, non è stato difficile, anche grazie alle stradine alternative che ci sono nella zona, arrivare lì con un’auto e scaricare il corpo del 27enne. Poi la soffiata che avrebbe indirizzato gli investigatori nella direzione giusta.

Ipotesi, lo ripetiamo, che sono al vaglio della polizia che in queste ore attende l’esito dei risultati dell’autopsia per capire di più sul brutale omicidio di Covelli, non considerato organico a nessun clan. Un ‘bravo ragazzo” morto come un boss per colpa di legami sbagliati. 

Ciro Cuozzo. Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.

Non solo auto. A Napoli sono abusivi pure gli ormeggiatori. ANSA il 28 Giugno 2022.  

Non solo i 'classici' posteggiatori abusivi di auto: a Napoli si è fatta strada, in questa torrida estate in cui molti cercano riparo in mare dal caldo, anche la figura dell'ormeggiatore abusivo di barche. E' così che Polizia e Capitaneria di Porto hanno smantellato un vero e proprio porticciolo illegale che era stato allestito nella zona di Mergellina. Qui i sommozzatori della Polizia hanno accertato che era stato allestito un sistema di ormeggio completamente abusivo, costituito da longheroni di cima di grosso calibro ancorati a due scogliere, cui erano legati ben 25 natanti. Questi sono stati rimossi dai proprietari, mentre le cime sono state smaltite dal personale del Comune di Napoli. Ma non è tutto, perchè i frequentatori del porticciolo e della rotonda Nazario Sauro potevano usufruire anche di sdraio e bibite ghiacciate. Poliziotti e Guardia costiera hanno così sgomberato ombrelloni, sedie e tavolini da una banchina: tre napoletani con precedenti sono stati denunciati per occupazione abusiva di spazio demaniale (un'area di 200 metri quadrati), mentre ai gestori di due chioschi sono state contestate due violazioni del Codice della Strada in quanto, con tavolini, sedie e frigoriferi, si erano impossessati di un bel pezzo di "suolo stradale" (56 metri quadrati, per la precisione) senza ovviamente alcuna autorizzazione. "Serve la tolleranza zero contro gli approdi illegali", tuona il consigliere regionale di Europa Verde Francesco Emilio Borrelli. "Gli ormeggiatori abusivi sono i parcheggiatori abusivi del mare. Sfruttano un bene di tutti per fare i loro sporchi affari e arricchirsi. Alcune volte sono anche inquinatori o devastatori ambientali come i predatori di datteri di mare". (ANSA).

Fabrizio Geremicca per il “Corriere della Sera” il 17 giugno 2022. 

A Napoli l'immagine dei vicoli con i panni stesi al sole ad asciugare è uno dei simboli della città. Piace ai turisti, che la cercano in ogni angolo di strada, ed è diventata elemento di identità della popolazione. Eppure il sindaco Gaetano Manfredi, ora ci prova: cancellare quell'immagine dall'orizzonte della città.

Una scommessa affidata al momento ad un comma (E) dell'articolo 11 della bozza del regolamento di polizia urbana, che dovrà essere sottoposto all'approvazione del consiglio comunale: non è escluso che in quella sede possa anche naufragare. 

Recita dunque il comma in questione, che è inserito nella parte del regolamento finalizzato alla tutela del decoro urbano: «È vietato stendere o appendere biancheria, panni, indumenti e simili al di fuori dei luoghi privati, nonché alle finestre, sui terrazzi e balconi prospicienti la pubblica via quando ciò provochi gocciolamento sull'area pubblica».

 E poiché i panni si stendono proprio affinché si asciughino - tra l'altro senza utilizzare energia elettrica come accade quando si ricorre all'asciugabiancheria elettrico dentro casa - va da sé che un minimo di gocciolamento sia intrinseco ad ogni stesa di panni che si rispetti. Si capirà nei prossimi giorni se la norma sopravviverà nella stesura definitiva del regolamento e poi nel passaggio in consiglio comunale. Oppure se la tradizione dei panni stesi, a Napoli, sia destinata a restare.

Napoli, vietato appendere i panni sulla strada "se c'è gocciolamento". Conchita Sannino su La Repubblica il 16 giugno 2022.

Lo dice il nuovo regolamento di sicurezza e decoro ed esplode la polemica social: il bucato steso nei vicoli fa parte dell'iconografia della città.

Luciano De Crescenzo avrebbe scosso un po’ la testa, col suo piglio da seduttore sfottente: “Questa cosa la voglio capire bene”. Troisi chissà che non avrebbe dribblato: “No, io sull’intimo sono discreto. Vuoi vedere che ogni napoletano deve esporre le sue debolezze?” 

Ma ormai le reazioni saranno anche più basiche e meno letterarie, il grande gioco (da stadio) social è partito. Davvero i panni stesi saranno vietati? Possibile che la nuova amministrazione osi intervenire su un pezzo di iconografia, tra le immagini più popolari e (un tempo : ora no, ora esistono anche i pessimi abiti finti stesi) involontarie del dna cittadino?

E invece tre righe nel nuovo Regolamento provocano l’incendio. Si tratta delle nuove disposizioni in materia di Decoro e Sicurezza. 

Che dovrebbero entrare in vigore dal primo luglio: indicazioni che, come spesso accade alle norme che regolano l’equilibrio tra libertà e rispetto del prossimo, possono apparire pleonastiche, vedere l’articolo 6, al Capo II :  “E’ fatto divieto a chiunque di causare col proprio comportamento, nei luoghi pubblici o aperti al pubblico,  turbamento all’ordinata convivenza civile”. Trenta pagine. Che provano a incidere anche nei più conflittuali e difficili settori delle attività di commercio, della movida, delle sanzioni. 

Ma all’interno ecco la indicazione sul divieto di non stendere il bucato ove provochi “gocciolamento” e quindi disagio o danno per chi passa o vive al di sotto di quei fili.

Lettera “E" del nuovo Regolamento di Sicurezza urbana del Comune, sempre da  approvare in consiglio comunale. Il testo dice: a "tutela dell'igiene pubblica e del decoro" è vietato "stendere o appendere biancheria, panni, indumenti e simili al di fuori dei luoghi privati, nonché alle finestre, sui terrazzi e balconi prospicienti la pubblica via quando ciò provochi gocciolamento sull’area pubblica".

Un passaggio che non può non sollevare la polemica calda dei social. “Ma come? Un colpo alla nostra identità!”, tuona il consigliere municipale Pino De Stasio. E la giornalista blogger Laura Guerra lancia l’hashtag: “#iostendo” . Possibile, argomenta, “che con il caro energia dovremmo comprarci un’ascougatrice?”.

Siamo lontanissimi dal De Crescenzo che descriveva, con sincerità ma forse anche enfaticamente, i panni stesi “come bandiere, come una festa“. Ma forse anche dal Troisi che avrebbe rovesciato ogni tifoseria, con un cross indolente dei suoi. I panni stesi non si rimuovono per editto comunale: anche perché molti dispongono solo del sole, e neanche di un balconcino, ma solo dei fili abusivi dinanzi a un  basso per stendere le lenzuola, sfiorate  da auto e motorino che schizzano nei vicoli. 

Allora meglio staccarsi dal peso dell’iconografia. Pensare al bucato come a un’attività semplicemente umana, antica. Come il poeta israeliano Yehuda Amichai invitava a fare: “ Dove il bucato è appeso ad asciugare la gente non muore, non è alla guerra, resterà per lo meno due giorni o forse tre. Non sarà sostituita da altra gente, o sbattuta dal vento.

Non è simile all’erba inaridita”.

Condizionatori rotti nel tribunale di Napoli. Magistrati e avvocati: «Così non si può lavorare». L'Anm del distretto di Napoli e le Camere penali denunciano la "situazione invivibile" a cui sono sottoposti da giorni. Il Dubbio il 7 giugno 2022.

Condizioni di lavoro «insostenibili» negli edifici del Palazzo di Giustizia di Napoli a causa del guasto ai condizionatori. A denunciarlo è la Giunta esecutiva sezionale dell’Anm del Distretto di Napoli, presieduta da Pina D’Inverno, secondo cui «il guasto ai condizionatori negli edifici del Nuovo Palazzo di Giustizia del Centro direzionale “Alessandro Criscuolo” sta rendendo insostenibili, complici le altissime temperature del periodo, le condizioni di lavoro di tutti gli addetti al servizio giustizia, non solo magistrati ed amministrativi, ma anche avvocati, parti, testimoni impegnati nelle quotidiane attività d’udienza».

«Tenuto conto della comunicazione pervenute di recente, secondo cui il guasto al sistema di condizionamento non si risolverà che entro l’11-12 giugno 2022 – prosegue la nota – la Ges dell’Anm del Distretto di Napoli s’impegna, sin d’ora, a denunziare pubblicamente e nell’interesse di tutti gli utenti del Nuovo Palazzo di Giustizia, con il coinvolgimento degli organi di stampa e dell’Asl competente, la difficile situazione venutasi a creare».

Ad denunciare la «situazione di straordinaria difficoltà» è anche la Giunta della Camera penale di Napoli, che condivide in pieno il documento dell’Anm. E sottolinea che le caratteristiche strutturali del Palazzo di Giustizia napoletano rende l’assenza dell’aria condizionata «invivibili, determinando un gravissimo disagio (se non una vera e propria sofferenza fisica) per tutti gli operatori e per l’utenza». «Risulta assai grave e poco dignitoso – prosegue la nota – che in un Tribunale – frequentatissimo e sede di centinaia di processi al giorno – occorrano settimane per riparare un guasto». I penalisti sottolineano che il Tribunale dovrebbe essere un luogo di accoglienza, e «invece si è trasformato in un luogo di incuria e disinteresse nei confronti delle centinaia di cittadini che quotidianamente si relazionano, a diverso titolo, con la giustizia».

«Il senso di sfiducia – conclude la nota -, e talvolta di frontale disapprovazione, che un numero sempre più crescente di cittadini nutre nei confronti delle modalità attraverso cui viene amministrata la giustizia ha certamente ragioni serie, profonde e stratificatesi negli anni ma è anche figlio del disastro strutturale ed organizzativo in cui versano molti tribunali italiani».

"Cartine, accendini?" Era lei “Chillo buono guaglione” di Pino Daniele: è morta Valeria, la trans simbolo del centro storico di Napoli. Antonio Lamorte su Il Riformista il 3 Giugno 2022.

La prima o al massimo la seconda volta che uno la incontrava, e non passava inosservata, qualcuno prima o poi ti raccontava: “Lei, è ispirata a lei quella canzone di Pino Daniele”. E lei arrivava, puntuale, onnipresente e fantasmagorica, in ogni notte del centro storico di Napoli. “Cartine, accendini?”, chiedeva Valeria, simbolo e presenza di quella parte di città e di serate lunghissime. È morta, la notizia si è diffusa nel pomeriggio sui social dove fioccano i ricordi personali di un personaggio che era effettivamente pubblico.

Proprio così: la conoscevano tutti. Lei, la sua voce inconfondibile, il tono sempre uguale – “Cartine, accendini?” oppure “sigaretteee?” detto sempre allo stesso modo -, l’abbigliamento eccentrico, la borsa piena di pacchetti. Qualcuno scrive che le comprava al tabacchino per rivenderle a un prezzo un po’ più alto, qualcuno che erano proprio di contrabbando. Che differenza fa: si guadagnava così da vivere.

Il Mattino scrive di una vita complicata. Figlia di un maresciallo, si legge sul quotidiano, che ne ordinò perfino l’arresto per aver cambiato sesso. Quella, a quanto pare, la prima volta che finì in cella. Fu prostituta e attivista per i diritti di omosessuali, lesbiche e transessuali. Arcobaleno era la sua figura sgargiante, asciuttissima, anche perennemente dolorosa come possono essere certe figure di invisibili, di margini, le periferie. Recentemente era stata male, ricoverata in ospedale.

È un lutto anomalo per Napoli e i napoletani, per i lavoratori fuorisede e gli studenti universitari che tra piazza Bellini e dintorni, dove bazzicava, l’avevano sicuramente incrociata. Non si sa quanti anni avesse. Non circolano foto ma solo una splendida vignetta disegnata da Coicomics in occasione del Pride di Napoli di due anni fa. La stanno chiamando Gianna, Giannina o Valeria. Dicono che era gentile ma che sapeva anche essere scorbutica. Parlano di una persona libera ma anche di una persona che aveva sofferto tanto. Dicono che è morta in ospedale, anzi no l’avevano vista in giro come sempre qualche giorno fa. Hanno tutti ragione: la sapevano tutti, tutti sapevano chi era e avevano tutti lo stesso aneddoto: era stata lei a ispirare Chillo è nu buono guaglione di Pino Daniele, pezzo clamoroso di neapolitan power alla brasiliana dal secondo album omonimo del cantautore, 1979, su quel ragazzo che “vo’ essere na signora”.

Effettivamente veniva da lì Gianna, o Valeria, dalla città in fermento di quegli anni. Resterà per sempre così: quel personaggio, chillo guaglione. Magari qualcuno riuscirà a recuperare qualche foto scattata in una di quelle notti in cui Giannina o Valeria girava e girava tra le piazze, offrendo quei suoi articoli di contrabbando, che magari stava a genio e non rispondeva male, e ci stava a un selfie. Magari qualcuno la troverà e la pubblicherà sui social come quando muoiono i vip: questa volta avrebbe davvero un senso per una persona nota, destinata a restare icona nei ricordi, che chissà quanti avevano conosciuto per davvero. 

Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

Titti Beneduce per il “Corriere del Mezzogiorno” il 31 maggio 2022.

L’aggressione con l’acido, lanciato contro due sorelle di 24 e 17 anni, domenica notte intorno all’1.20, mentre stavano rientrando a casa al rione Sanità a Napoli, potrebbe essere il capitolo finale di una serie di intimidazioni ricevute dalle ragazze nel corso delle ultime settimane.  

Elena e Federica, ascoltate per diverse ore dagli investigatori, hanno raccontato di non aver riconosciuto le persone - tre ragazze e altrettanti ragazzi a bordo di scooter - che hanno teso loro l’agguato.

Ma dai post pubblicati sui social da Elena, sono emersi attriti e rancori - con molta probabilità di natura sentimentale - che potrebbero essere al centro di questa vicenda. E c’è un precedente altrettanto grave ad alimentare questa tesi: l’automobile utilizzata dalle due sorelle è stata incendiata poche settimane fa.

Le indagini 

Nella notte tra il 10 e l’11 maggio, la Smart intestata al padre delle due ragazze, ma sempre usata da Elena spesso in compagnia della sorella Federica, è stata data alle fiamme. Parcheggiata nei pressi della loro abitazione, aveva inspiegabilmente preso fuoco durante la notte.

Un episodio sul quale sono ancora in corso verifiche da parte degli investigatori, ma che adesso assume un risvolto determinante rispetto all’indagine. Potrebbe essere stata una ulteriore intimidazione nei confronti delle ragazze. Poi sfociata con l’aggressione con l’acido di domenica notte. 

Giuseppe Crimaldi per “Il Messaggero” il 31 maggio 2022.

Hanno rischiato la vita, hanno rischiato di perdere la vista, e solo per un caso fortuito - questione di centimetri - sono riuscite a salvarsi. Sfigurate, sfregiate con l'acido. Sono due sorelle di 24 e 17 anni le vittime dell'ultima notte di violenza a Napoli: su di loro si è scagliata, con lucida follia, la vendetta terribile di chi voleva marchiarle per sempre in volto. 

Ennesimo compendio alla drammatica saga terribile dei giovani e giovanissimi che diventano protagonisti di inaudite efferatezze nelle notti del fine settimana in città. Tragico gioco, un errore di persona oppure - come appare più probabile - la terribile punizione per un litigio o una rivalità pregressa?

Su questo indaga la Polizia di Stato per identificare chi sia potuto arrivare a tanto e, soprattutto, per quali motivi. Prende di ora in ora sempre più corpo che la destinataria del raid punitivo sarebbe la 24enne.

L'una e 15 della notte tra domenica e lunedì. Fa ancora molto caldo quando Elena e Federica S. - sorelle, rispettivamente 24 e 17 anni - percorrono il marciapiedi di corso Amedeo di Savoia per rincasare in vicoletto dei Cinesi.

Alla fine di una serata passata con amici non immaginano quel che sta per accadere, e non sospettano nulla nemmeno quando tre scooter guidati da giovani con al seguito altrettante ragazze rallentano e accostano; invece proprio da quelle giovani parte l'assalto fulmineo. Dalle bottigliette che hanno in mano parte il lancio dell'acido verso i volti delle vittime.

Neanche il tempo di realizzare, ed è il dolore lancinante della sostanza chimica che brucia le carni a far piegare su se stesse Elena e sua sorella. Urla di disperazione seguite da un pianto dirotto, e dai primi soccorsi: le due ferite vengono trasportate all'ospedale Cardarelli e immediatamente ricoverate presso l'unità Grandi ustionati dove - anche alla presenza di un chirurgo plastico - vengono diagnosticate ferite alla guancia e al braccio destro per la maggiorenne ed alla guancia destra e al naso per la minore. 

Questione di millimetri, e l'acido avrebbe potuto centrare gli occhi delle malcapitate. Dopo un paio d'ore i medici hanno dichiarato entrambe fuori pericolo, e così le sorelle sono potute tornare in famiglia.

Ieri le ragazze sono state ascoltate a lungo in Questura, negli uffici della Squadra mobile che, insieme al commissariato San Carlo Arena conducono le indagini. Sono state collaborative, si apprende da fonti inquirenti.

Emergerebbe che di recente nello stesso ambito familiare delle due vittime sarebbero sorte delle discussioni, e questo è un altro elemento che in queste ore viene preso in considerazione (anche se tutto da verificare) dagli investigatori. 

Non è escluso che - anche grazie alle immagini dei sistemi di videosorveglianza presenti tra Capodimonte e la zona del Museo Nazionale - in Procura presto si possa giungere ad una svolta del caso. E che scattino i fermi. 

Poco serve, rispetto alla gravità del fatto, aggiungere che su alcuni stretti congiunti delle due vittime gravi un precedente significativo: nell'abitazione di un diretto parente delle ragazza sfregiate con l'acido venne effettuato un grosso sequestro di droga: nel 2004 sempre la Polizia di Stato recuperò all'interno dell'appartamento dieci chilogrammi di hashish, oltre alla strumentazione per dividere in dosi la sostanza stupefacente: in manette finirono un uomo (in carcere) e una donna (ai domiciliari). 

Più che ad anticipare la causale dell'orribile gesto commesso ai danni di due ragazze, il precedente può servire ad inquadrare l'humus, l'ambiente nel quale un simile gesto violento potrebbe essere maturato. Un ambiente nel quale gli sgarri si pagano cari.

Sorelle sfregiate con l’acido, confessa la sorellastra della madre: “Le ho aggredite io”. Elena Del Mastro su Il Riformista l'1 Giugno 2022. 

Col passare delle ore il quadro della vicenda si è tinto sempre più a tinte fosche. Due sorelle, Elena e Federica, di 24 e 17 anni, del Rione Sanità di Napoli finite in ospedale dopo essere stata colpite al volto col l’acido. Un gesto folle che avrebbe potuto provocare danni enormi alle due ragazze. Nel giro di poche ore, durante la notte, è stato emesso un decreto di fermo per un’altra ragazza, Francesca, la sorellastra della mamma delle ragazze. Dopo ore di interrogatorio ha confessato di esserci stata anche lei nel gruppo di assalitori che domenica sera ha aggredito le due ragazze. Il movente? Vecchi rancori familiari.

Come ricostruito dall’Agi, tutto sarebbe iniziato con offese via social, video ‘provocatori’ sul web, pedinamenti, un’auto incendiata e una storia familiare complessa, nel quartiere popolare e popoloso del rione Sanità. In questo scenario è maturata l’aggressione con acido ai danni delle due sorelle di Napoli di 24 e 17 anni. Ieri notte è stato emesso un decreto di fermo firmato dal pm Giulia D’Alessandro per una ragazza anche lei di 24 anni, di nome Francesca, zia acquisita di Elena e Federica, le sorelle ferite da donne a bordo di scooter guidati da uomini che hanno lanciato il liquido corrosivo contro di loro.

La giovane donna è stata interrogata ieri mattina negli uffici della questura di Napoli a via Medina, e, prima ha negato, poi ha parzialmente ammesso di essere stata tra le donne, tre in tutto, che erano nel gruppo che domenica notte ha commesso il raid. Il sospetto degli investigatori e del pm è che sia stata lei a lanciare l’acido. Alla base del gesto, ci sarebbero profondi contrasti in ambito familiare e una storia sentimentale complicata.

Il nonno di Elena e Federica ha avuto una figlia dalla prima moglie e due, tra cui Francesca, da un’altra donna. Anni fa sono nati dei contrasti interni alla famiglia allargata. Le due sorelle vittime del lancio di acido avrebbero picchiato in un’occasione in strada la zia Francesca che avrebbe deciso di vendicarsi e appostandosi con l’aiuto di cinque complici, tra cui tre maschi, avrebbe sorpreso la 24enne e la 17enne che tornavano a casa dopo la serata domenicale.

Restano da identificare i cinque complici (tre uomini e due donne) di Francesca. Il branco era entrato in azione nella notte tra sabato e domenica in corso Amedeo di Savoia. Solo per un caso il getto dell’acido non ha avuto conseguenze devastanti per le due sorelle, che avrebbero potuto perdere la vista.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Da repubblica.it l'1 giugno 2022.

C'è una donna fermata per il raid con l'acido che ha ferito le sue nipoti. Lei stessa, la zia delle due ferite, dopo essersi presentata in questura, lo ha raccontato agli inquirenti in un lunghissimo interrogatorio serale, come raccontato da Repubblica. All'esito del quale è stata arrestata. 

Ma gli stessi investigatori sembrano non crederle sino in fondo al punto da diramare un comunicato nel quale affermano senza mezzi termini che le dichiarazioni rese da Francesca (appena ventenne) «non sono congruenti con gli elementi di prova sin qui raccolti».

Insomma, manca qualcosa di importante nelle ricostruzioni dell'arrestata. Non solo, sottolineano come l'indagata, che poi si è costituita, subito dopo il raid, invece, si era totalmente resa irreperibile, introvabile. 

Nel comunicato ufficiale emesso in mattinata si ricostruisce quanto accaduto nel rione Sanità: "Le vittime, una delle quali minorenne, erano in sella a uno scooter quando sono state accerchiate e ferite con l'acido riportando ustioni al volto e in altre parti del corpo". E si ribadisce anche che le dichiarazioni rilasciate "spontaneamente" dall'indagata "allo stato non sono riscontrate". 

Il decreto di fermo è stato notificato all'indagata da personale della Squadra Mobile di Napoli e del Commissariato San Carlo Arena. 

Parenti-serpenti: "Le mie nipoti volevano sfregiarmi". Sorelle sfregiate con l’acido, la versione surreale della zia e lo spoiler su TikTok: “Attenti all’auto…” Ciro Cuozzo su Il Riformista il 2 Giugno 2022. 

Dai video carichi di odio e insulti su TikTok alle provocazioni (“State attenti alla macchina…“), sempre sulla piattaforma social, prima dell’incendio avvenuto 20 giorni fa della Smart, ai due scontri fisici in strada, avvenuti in tempi recenti, tra le due sorelle e la zia coetanea. E’ la storia di degrado sociale che ha come protagonisti parenti serpenti da anni in contrasto nella parte alta del rione Sanità a Napoli. Degrado che ha raggiunto il momento più buio e raccapricciante nella notte tra domenica e lunedì (29-30 maggio) quando si è consumata l’aggressione con l’acido ai danni delle due sorelle, Elena e Federica, di 17 e 24 anni.

Protagonista Francesca, la zia ventenne, sorellastra della madre delle due giovani, che insieme alla sua ‘paranza’ composta da cinque ragazzi e due ragazze a bordo di tre scooter (su un mezzo erano in tre) ha accerchiato il motorino sul quale viaggiavano le due parenti gettando contro loro una bottiglia con all’interno dell’acido.

Braccata dagli agenti della squadra mobile di Napoli, che già nel corso della giornata successiva si sono presentati presso la sua abitazione senza trovarla, si è presentata martedì pomeriggio 31 maggio negli uffici della Questura di via Medina fornendo una versione dei fatti “surreale“, non confermata dalle indagini svolte da poliziotti e procura e smentita, di fatto, dalle telecamere presenti lungo Corso Amedeo di Savoia, dove si è verificata l’aggressione.

Dai video e dalla ricostruzione degli investigatori la zia scende dal motorino sul quale viaggiava come passeggero con in mano una bottiglia. Poco dopo si avvicina alle due nipoti gettandole contro l’acido. “Non è vero, la bottiglia l’avevano loro che volevano colpire me” e “nel corso della colluttazione” l’acido è finito “sul loro corpo“. Questa, in sintesi, la versione fornita dalla 20enne a poliziotti e magistrato.

La giovane è stata sottoposta a fermo perché ritenuta gravemente indiziata del reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, avendo provocato a due giovani vittime ustioni da acido a livello del volto e di altre parti del corpo, accerchiando lo scooter al bordo del quale viaggiavano le due vittime, di cui una minore. Si trova nel carcere femminile di Pozzuoli in attesa della convalide del fermo sulla quale il giudice si pronuncerà nelle prossime ore.

Le due sorelle hanno riportato ustioni al volto (ferite vicino l’occhio e al cuoio capelluto) e al braccio. Entrambe sono state assistite dai medici presso il ‘Centro grandi ustionati’ dell’ospedale Cardarelli di Napoli e dimesse dopo alcune ore. Nelle prossime settimane dovranno sottoporsi ad ulteriori accertamenti per scongiurare che le ferite possano essere permanenti.

Ciro Cuozzo. Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.

Monica Scozzafava per corrieredelmezzogiorno.corriere.it il 31 maggio 2022.

Il film dell’orrore di sabato 15 maggio è sempre più nitido nella testa di un uomo che per una decina di minuti ha creduto che sua moglie stesse morendo davanti ai suoi occhi: Veronica Carrasco travolta e quasi uccisa da una moto mentre è seduta al tavolino all’aperto del ristorante di suo marito, Raffaele Del Gaudio. Siamo a Forcella, teatro dell’ennesima «stesa»: i ragazzi del quartiere sfrecciano su mezzi di grossa cilindrata a tutta velocità per affermare il controllo del territorio. Talvolta sono armati e sparano in aria. Veronica rischia la morte (e non è ancora fuori pericolo), soltanto perché si trova nella traiettoria sbagliata di una moto che perde il controllo. 

È stata in coma farmacologico per dieci giorni. Sabato 15 maggio è un pomeriggio di primavera: la donna, seduta al tavolino all’aperto del ristorante, viene scaraventata da un lato all’altro della stradina da una motocicletta che sfreccia a tutta velocità. Non ha il tempo di chiedere aiuto, finisce sul selciato priva di sensi. Suo marito la soccorre e mentre aspetta l’ambulanza si ritrova accerchiato da venti ragazzini che minacciano. «Ti uccidiamo se racconti cosa è successo». Raffaele non si lascia intimorire: «Li ho riconosciuti tutti e li ho segnalati.

Qui molti si girano dall’altra parte, io non l’ho mai fatto». Forcella è un quartiere napoletano ricco di storia, un tempo regno incontrastato della camorra e oggi ostaggio delle «paranze»: ragazzi che delinquono nel solo intento di intimorire, di affermare la supremazia. Raffaele trascorre le sue giornate davanti all’ospedale Cardarelli dove la donna è ricoverata in condizioni ancora gravi. Veronica è stata trasferita dalla Rianimazione in un reparto di degenza ordinaria dopo un primo intervento alla tibia e al perone, ma il percorso è ancora lungo: l’emorragia interna preoccupa i medici e oggi deve essere sottoposta ad una nuova tac per il monitoraggio degli organi addominali. Poi verranno altri interventi.  

È cosciente, lucida nonostante il dolore alle articolazioni (dovrà essere operata anche alla mandibola) tenuto a bada nei giorni scorsi anche con la morfina. Si chiama coma farmacologico, che le ha permesso anche di non pensare a quello che le è capitato. Mentre Raffaele, durante le attese infinite davanti all’ospedale, rivive il dramma minuto per minuto. Una, due, tre e mille volte. 

Abita e lavora a Forcella, si è mai sentito in pericolo?

«Conosco e amo la mia città, ho lavorato in mezza Europa e poi ho scelto di stabilirmi qui perché guai a chi parla male di questa città. Resto al Sud, il progetto imprenditoriale che mi ha permesso di avviare “Cala la pasta”, la piccola attività di ristorazione che gestisco con i miei fratelli, non è stato soltanto un mezzo per ottenere un sostegno economico. Ma una convinzione precisa: Napoli merita sviluppo, i suoi figli non possono tradirla.

Abitiamo con Veronica in un quartiere difficile ma per fortuna abbiamo una mente aperta avendo anche viaggiato molto. Non ci spaventiamo, e tutto sommato anche tolleranti. Siamo sì osservatori della criminalità dilagante, dell’assenza di controllo da parte delle forze dell’ordine. Siamo coscienti come tutti che qui si spaccia, si evade dai domiciliari, qui rapine e furti sono quotidiani. E con gli altri commercianti abbiamo sprecato tempo e carta per depositare le denunce. Ma l’amore per la città è sempre stato più forte, anche della depressione per esserci sentiti abbandonati nella terra di nessuno. Adesso, è chiaro, inizio a cedere all’idea di andare via. Quando Veronica starà bene, ne parleremo. Lei si è trasferita dal Cile, dove è nata, cinque anni fa, una donna appassionata di arte e cultura. Capace di cogliere l’attimo con la sua macchina fotografica e rendere bellissima l’istantanea di qualsiasi vicolo del quartiere». 

La scena di ciò che le è successo resterà immortalata nel suo cuore.

«Un film dell’orrore, un incubo. Penso spesso: chissà se Veronica un attimo prima di essere travolta si è resa conto. Se ha pensato: ora mi uccidono. Quando l’ho vista riversa in strada priva di sensi ho creduto fosse morta. Venti minuti interminabili prima che la seconda ambulanza riuscisse ad arrivare, mentre vedevo gente scappare. Mentre nel mio ristorante entravano una ventina di ragazzi e minacciavano mio fratello». 

Tutto questo mentre Veronica a terra rischiava di morire?

«Sì, la scena più drammatica è stata il dopo: il ragazzo che l’aveva travolta è scappato ma tempo cinque minuti e la «paranza» è venuta a farci visita. Io piangevo, tentavo di capire se Veronica respirasse e lo mi dicevano: sappiamo chi sei e veniamo ad accoltellarti. Mi minacciavano, sono entrati nel locale hanno bloccato i miei fratelli e i dipendenti. Questa è stata la barbarie. Ed è questa la scena che non dimenticherò mai. Li ho visti tutti in faccia, li ho segnalati alle forze dell’ordine».

Adesso ha paura?

«Non mi sento il paladino della giustizia ma io so da che parte stare. Qui tutti sanno chi e dove si spaccia. Tutti, forze dell’ordine comprese, non vogliono accorgersi di vicende che conoscono. Qui, e solo in questo tratto di strada, non ci sono telecamere. Ho denunciato con un video tutto questo». 

Qui lei ha aperto la sua attività...

«Con orgoglio, e mi ha dato tantissime soddisfazioni. I turisti vengono da noi e ci recensiscono benissimo. Abbiamo fatto le cose per bene: tre assunzioni con contratto a tempo indeterminato, mio fratello ha studiato per diventare cuoco ed è qui. Ci abbiamo messo passione e coraggio. Spero non vada tutto in frantumi». 

In che senso?

«Ho dovuto ridurre gli orari perché io non mi muovo dall’ospedale e non posso lavorare. Ho bisogno di uno chef e non lo trovo, i turisti continuano a venire ma parecchia gente del quartiere si tiene alla larga. Per fortuna Napoli non è tutta così e molti ci stanno testimoniando affetto e vicinanza. La manifestazione di qualche giorno fa nel quartiere mi ha commosso. La vicinanza di Sandro Ruotolo così come del vescovo Mimmo Battaglia ci ha rincuorati . Stamattina al Cardarelli è venuta tanta gente a donare sangueper Veronica». 

La famiglia di sua moglie è arrivata dal Cile?

«Certo, li ho chiamati la sera stessa. I medici mi dissero: avvisi subito la famiglia, li faccia venire. Sua moglie è molto grave. Si sono stabiliti a casa nostra, anche loro increduli. Preoccupatissimi. Vivono i un paese dove il crimine è dilagante, dove ancora oggi in certi quartieri le ragazze vengono stuprate per strada. Per loro Veronica qui era al sicuro. Invece hanno rischiato di perderla. E io sono qui sotto ad aspettare segnali di ripresa. È viva, e questo conta. Ma il percorso di guarigione sarà lungo e difficile. Avremo bisogno anche di uno psicologo. Non so cosa mi dirà un giorno, quando realizzerà definitivamente cosa le è capitato».

Da blitzquotidiano.it il 31 maggio 2022.

Sondaggio del quotidiano Il Mattino, sondaggio tra gli studenti a Napoli, sonda calata a misurare valori diffusi e condivisi ancor prima che a cogliere opinioni. Domanda: pur condannando le loro attività (si noti la scelta di rendere esplicita una premessa che dovrebbe essere del tutto implicita) i boss della criminalità meritano a loro modo rispetto? Devastante la risposta: il 33 per cento risponde sì, i boss meritano rispetto. Il rispetto che si assegna e riconosce ai forti, a quelli che si fanno valere.

Omertà brutta parola, ma spia è peggio

Altra domanda: l’omertà, il non parlare con la Polizia, il non dare confidenza allo Stato, come lo giudicate? Risposta: per il 75 per cento se la chiami omertà non è una bella cosa, però…Però fare la spia proprio non si fa. Quindi se lo chiami fare la spia tre studenti su quattro giudica doveroso e rispettabile sottrarsi al dare confidenza, informazioni e quindi una mano allo Stato. 

Ultima domanda: quante ore di lotta alla Camorra?

Ultima domanda, nel senso di conclusiva: quanto tempo dedicato e impiegato dalle scuole e nei percorsi formativi alla lotta alla criminalità, nello specifico alla camorra? Risposta corale: nessun tempo, zero ore. Era la domanda pleonastica, a mezza via tra l’ingenuità e l’ipocrisia. L’idea che una sorta di liturgia anti criminalità recitata a scuola possa fungere da scongiuro civile anti criminalità organizzata è appunto un po’ ingenua e un po’ ipocrita.

La reale pedagogia sociale sui cui canoni si formano e vengono formati i giovani (non solo a Napoli) è quella delle regole sociali tutte da non osservare se entrano in contrasto o ostacolano bisogni o aspettative dell’individuo o del clan. A questo tipo di non cittadinanza si uniformano e attengono partiti politici, sindacati di categoria, ordini e associazioni professionali, comitati e assemblee e cortei e popoli social vari. Gli studenti sondati in quel di Napoli non fanno che tradurre in dialetto locale la lingua nazionale.

Monica Scozzafava per il "Corriere della Sera" il 15 giugno 2022.

La vita di Veronica Carrasco riprende con il sorriso ancora incantato di una donna che pur avendo guardato la morte molto da vicino non l'ha mai temuta veramente («ho visto la luce, sempre»).

Veronica è stata in coma e l'ultimo flash che custodisce in memoria è il frastuono della ambulanza, l'eco delle sirene. 

La sensazione di paura nei vicoli di Forcella, dove un mese fa era stata travolta da una moto che sfrecciava a tutta velocità mentre lei, appassionata di fotografie, guardava gli ultimi scatti seduta al tavolino all'aperto del ristorante del marito.

La rinascita della quarantenne di origini cubane coincide con le dimissioni dall'ospedale Cardarelli e l'arresto di tre dei quattro delinquenti che quel pomeriggio del 15 maggio ostentavano il dominio del quartiere napoletano mettendo paura a turisti, commercianti e residenti.

Gli stessi che poi hanno fatto fronte comune per ribellarsi alla violenza metropolitana.

Hanno denunciato, testimoniato. Hanno rotto il muro dell'omertà.

Veronica, travolta dalla moto, è sul marciapiedi priva di conoscenza. Il marito corre a soccorrerla e si ritrova accerchiato da un gruppo di 15 ragazzi. Si sono precipitati lì per recuperare la moto e difendere gli amici. Per evitare che finissero nei guai. E, allora, minacce e ancora violenza. Con i coltelli puntati. «Non denunciate. Veniamo a prendervi, sappiamo dove abitate», urlano al marito di Veronica, Raffaele Del Gaudio.

Ai turisti offrono soldi in cambio del silenzio. Nella strada senza telecamere, dove Veronica combatte tra la vita e la morte, gli occhi e le parole dei testimoni registrano il pomeriggio dell'orrore e diventano fondamentali per le indagini. 

«Guardo avanti - racconta oggi Veronica - e sento una forza dentro che non immaginavo di avere. C'è un prima e un dopo: la vita mi ha regalato un'altra grande opportunità: voglio uscire, tornare a fare foto. Ho bisogno di sorridere, di essere felice».

La svolta nelle indagini sul suo ferimento e sulla violenta aggressione al personale del locale «Cala la pasta» avvenuta subito dopo ha consegnato alla giustizia tre giovanissimi.

Non balordi qualsiasi, a far parte di quel corteo in moto c'è anche Patrizio Bosti, 19 anni, nipote dell'omonimo capoclan e figlio del boss Ettore, condannato quest' ultimo con sentenza definitiva per associazione camorristica (è uno dei punti di riferimento dell'Alleanza di Secondigliano). 

È finito in carcere assieme al coetaneo Giorgio Marasco: sono indiziati di violenza privata e favoreggiamento personale aggravati dalle modalità mafiose.

È ai domiciliari invece Gennaro Vitone, di 21 anni, accusato di lesioni personali stradali con l'aggravante della fuga. I destinatari della misura cautelare sono in tutto quattro, ma uno di loro, per il quale il gip Leda Rossetti aveva disposto il carcere, si è reso irreperibile ed è sfuggito alla cattura. 

In un garage di Forcella gli agenti della squadra mobile hanno trovato una motocicletta che potrebbe essere quella lanciata a tutta velocità sui tavoli del ristorante.

«Di quel pomeriggio di terrore ricordo poco - dice Veronica - ma quella motocicletta continua a sfrecciare davanti ai miei occhi. Prima che mi travolgesse l'avevo vista per due volte. Ho temuto per i bambini che erano per strada, sono rientrata nel locale e ho detto ai ragazzi: chiamate la polizia, questi uccidono qualcuno. Il tempo di tornare al tavolo, lo schianto e il buio». 

«Non ho mai ben capito cosa fosse successo - prosegue -, ma guardarmi la prima volta allo specchio è stato devastante. Voglio dimenticare e vivere. Sento addosso ancora il sonno profondo, ma anche la luce di quando ho riaperto gli occhi per la prima volta. Se li perdono? Odiare è tempo perso. Sento di essere una donna fortunata e non voglio sprecare la grande opportunità che la vita mi ha dato. Probabilmente avrò paura, mi sentirò in pericolo. Ma questa è la mia rinascita».

Si spara con una costanza disarmante. Giungla Napoli, camorra, scippi, rapine e coltellate facili: ogni giorno un bollettino di sangue e di indifferenza. Ciro Cuozzo su Il Riformista il 26 Maggio 2022. 

Agguati, rapine, scippi, furti, giovani accoltellati per uno sguardo o per un like non gradito sui social, risse e liti, anche a mare, sempre più per futili motivi. A Napoli e provincia regna l’anarchia. La percezione di sicurezza è ai minimi storici e lo Stato continua la sua latitanza fatta di proclami, patti educativi immaginari, continue richieste di telecamere (ma quando arrivano?) per coprire le numerose zone scoperte presenti nel capoluogo partenopeo e il solito appello per avere più forze dell’ordine. Perché la repressione, da decenni, resta l’unica soluzione all’escalation di violenza. Altro che controlli nelle scuole per contrastare la dispersione o riqualificazione delle periferie per offrire maggiori alternative ai giovani.

Ogni giorno ci ritroviamo a scrivere sempre le stesse notizie di cronaca nera. Un bollettino di sangue che nelle ultime settimane, vuoi per una maggiore libertà di comunicazione delle forze dell’ordine dopo la partenza dell’ex procuratore Giovanni Melillo (spesso episodi di cronaca nera venivano dati “in pasto” ai cittadini anche dopo mesi), vuoi per le numerose testimonianze, che si susseguono sui social, di episodi incresciosi, vuoi semplicemente perché si è raggiunto un livello di tale anarchia che ha fatto sprofondare, negli ultimi tempi, la città di Napoli e la sua provincia in una situazione di pericolo costante con preti che addirittura invitano le famiglie a non far uscire in strada i propri figli (già dal tardo pomeriggio) e persone che non sono al sicuro dai “poligoni a cielo aperto” della camorra, o pseudo tale, nemmeno chiusi in casa.

Una vera e propria giungla. A Napoli si spara con una costanza disarmante. E non c’entra solo la camorra che in questi anni (con buona pace dell’Alleanza di Secondigliano e dei Mazzarelli, quasi gli unici due clan esistenti per investigatori) ha nuovamente alzato il tiro in molti quartieri della città e comuni della provincia, sparando sempre più spesso tra la gente e in pieno giorno A Napoli si spara anche per una rapina in gioielleria o per intimorire la vittima di turno (il video dello scooter rubato a un giovane pubblicato dal consigliere Francesco Emilio Borrelli ne è un esempio). Per non parlare dei coltellini, ormai diventati ‘indispensabili‘ per i minori. Si esce di casa armati perché “ci dobbiamo difendere” hanno più volte spiegato i diretti interessati. Manco fossimo in guerra.

Ciro Cuozzo. Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.

Vittima innocente della criminalità. Ciro Colonna ucciso per errore sotto casa, parla la sorella: “Sei anni dopo a Ponticelli non è cambiato nulla”. Rossella Grasso su Il Riformista il 12 Maggio 2022. 

Morire sotto casa a 19 anni colpiti da un proiettile. Essere uccisi “per sbaglio” nel tuo quartiere mentre stai giocando con gli amici. A Napoli, nel suo centro e nella sua periferia, succede ancora. Troppo. Ed è successo a Ciro Colonna sei anni fa. Aveva solo 19 anni. Fu ucciso il 7 giugno 2016 nel quartiere Ponticelli di Napoli. Stava giocando a biliardino con un’amica nell’unico punto di ritrovo per i ragazzi di tutta la zona quando all’improvviso entrarono persone armate di pistola che spararono all’impazzata. Ciro fu ucciso per sbaglio: lui con la criminalità non c’entrava nulla. La sua ‘colpa’ era semplicemente essere per caso in quel momento nello stesso posto in cui un boss della Sanità stava giocando a carte seduto a un tavolino poco distante. Ciro, come Antonio Landieri o Genny Cesarano, ucciso per la sola colpa di vivere in un territorio dove lo Stato sembra aver gettato la spugna.

‘Non luoghi’ come il Lotto zero, che si è sempre chiamato Lotto “O” come la lettera dell’alfabeto, come tutti gli altri palazzoni di cemento di Ponticelli, ognuno con la sua lettera. Ma lì prevale la sensazione di “zero” e così lo chiamano. “Da quando Ciro è stato ucciso alle 16 di un pomeriggio d’estate, non è cambiato nulla. Niente c’era e niente c’è – dice Mary Colonna, 27 anni, sorella di Ciro – Lui era lì che viveva la sua vita normalmente nel posto dove è nato e cresciuto dove doveva sentirsi al sicuro e invece non è stato così. Dico ‘Doveva’ perché a oggi nemmeno io mi sento al sicuro e sono passati ben 6 anni dalla morte di mio fratello”.

Ciro si trovava al circoletto quel pomeriggio. Quando arrivarono quegli uomini armati, insieme alla sua amica scapparono. Nella fuga gli caddero a terra gli occhiali. Lui si chinò per prenderli e così fu colpito, non riuscendosi a mettere in salvo. “A volte mi chiedo se non avesse raccolto gli occhiali o anche se in quel momento ci fosse stata una pattuglia a passare da lì magari tutto questo non sarebbe successo – continua Mary – Poi hanno parlato di mio fratello come un camorrista, senza sapere che lui è il primo bamboccione. Senza sapere che a casa di questo ragazzo c’è una casalinga e un padre onesto lavoratore. Quando hanno ucciso mio fratello papà era a Firenze per lavoro. Gli abbiamo dovuto dire che Ciro aveva avuto un incidente e che doveva tornare subito. Lui guida i camion, era pericoloso, si sarebbe sentito male. Ha visto il figlio quando era già morto in una cella frigorifera”.

Per Mary e la sua famiglia al dolore della perdita del fratello si è aggiunta anche quella di essere additato per quello che non era, un criminale, solo per il fatto di essere nato a Ponticelli. “Provai rabbia, tanta rabbia per questo – continua Mary – non puoi giudicare una persona senza conoscerla solo perché è stata uccisa con una pistola in un quartiere che è quello che è. È successo a Ciro, può succedere ad altri di essere etichettati solo per il posto in cui abitano. Ma non è così. ‘Sei del Lotto Zero allora sei un criminale’ ma io vivo qui e non lo sono. Gli stessi amici di Ciro hanno sudato per costruirsi un futuro. Anche Ciro lo avrebbe fatto ma non gli è stata data la possibilità”.

“Ciro era un grande sognatore, aveva due desideri e lo ripeteva sempre: aprirsi un bar in un posto esotico oppure andare via da Napoli per trovare un lavoro semplice, magari se non si lavorava tanto era anche più contento – dice scherzando Mary – Forse quel sogno si sarebbe realizzato da lì a poco perché il suo amico c’è riuscito. Non immaginava niente di complicato per la sua vita, solo un lavoro onesto. Perché questo ci hanno insegnato i nostri genitori: l’onestà, il lavoro pulito e il rispetto per l’altro. Valori che oggi sembrano così rari”.

Pochi giorni fa la Cassazione ha chiuso l’iter giudiziario sull’omicidio di Ciro Colonna, vittima innocente della criminalità organizzata. I giudici hanno infatti confermato con la sentenza le condanne comminate nel dicembre del 2020 dalla Quinta Sezione della Corte d’Assise d’Appello di Napoli: sei ergastoli, una assoluzione e una riduzione di pena dall’ergastolo a vent’anni, per esecutori e mandanti del raid costato la vita a Ciro. “Chi ha sbagliato adesso paga – dice Mary – sono stata ‘contenta’ tra virgolette ma allo stesso tempo immagino che dall’altra parte ci sono altri familiari che magari non hanno scelto al stessa vita degli imputati e che ne sentiranno la mancanza. Mi metto nei loro panni e spero che loro possano comprendere me: io sto affrontando un ergastolo da 6 anni ma che non finirà mai e non mi era nemmeno dovuto”.

Per Mary il quartiere dove da sempre vive è abbandonato a se stesso. “Se non fosse per i volontari che cercano di recuperare il recuperabile non c’è nulla – dice amareggiata – In questi sei anni non è cambiato nulla. Spero che non ci saranno più vittime innocenti. La morte di Ciro è stata una perdita per noi familiari ma anche per Napoli stessa: abbiamo perso un’altra persona per bene, un ragazzo che aveva da offrire qualcosa di buono. L’unica cosa che posso dire che è cambiata è il centro che è stato aperto per Ciro che darà opportunità ai giovani di ritrovarsi in un posto sicuro dove poter imparare qualcosa di buono come un mestiere o appassionarsi a qualcosa. Se fosse esistito quando è stato ucciso mio fratello forse tutto questo non sarebbe successo”.

Nel giro di un anno furono individuati i colpevoli di quel raid armato al circoletto che costò la vita a Ciro. “Non sapevo chi era stato – continua Mary – Passai quell’anno nell’angoscia che magari avrei potuto incontrare chi ha ucciso mio fratello per strada mentre passeggiavo o sull’autobus. Avevo il sentore che quegli assassini potevano essere miei coetanei, e così è stato. E mi dispiace per questi ragazzi. Per questo motivo continuo ad andare nelle scuole a parlare di Ciro. Ogni volta è una ferita che si apre, un dolore che non si rimargina mai, però lo faccio non per me, perché ormai mio fratello non torna. Lo faccio per evitare che i ragazzi del domani prendano la strada sbagliata”.

Mary che è moglie e madre da poco, nonostante tutto ad andarsene non ci pensa proprio. “Prima o poi andrò via da qua ma non da Napoli, perché è la mia città. Andrò via solo perché ho bisogno dei miei spazi ora che ho la mia famiglia. Ma i miei genitori no, loro vogliono restare qui dove hanno cresciuto i loro figli. Perché se ne dovrebbero andare? Noi siamo persone tranquille, come tante che vivono qui, in questi enormi palazzoni grigi che non offrono molto però è il nostro tetto e lo è sempre stato”.

Rossella Grasso. Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Tra le varie testate con cui ha collaborato il Roma, l’agenzia di stampa AdnKronos, Repubblica.it, l’agenzia di stampa OmniNapoli, Canale 21 e Il Mattino di Napoli. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. E’ autrice del documentario “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.

I nodi di Palazzo San Giacomo. Manfredi come de Magistris, tra nomine e spartizioni il braccio destro diventa il fratello…Raffaele Ambrosino su Il Riformista il 6 Maggio 2022. 

Con la lentezza di un bradipo che si arrampica su un albero, l’amministrazione Manfredi riempie le tante caselle ancora vuote del proprio organigramma politico amministrativo, sia per il Comune, dove però si attendono ancora le nomine degli “assessorini” municipali, che per la città Metropolitana alle prese con le deleghe per i consiglieri e la posizione di direttore generale. A ogni nomina, a ogni casella che si riempie, cresce il malcontento nella troppo estesa maggioranza che ha portato alla vittoria Gaetano Manfredi. I malumori sono tanti, più o meno sopiti, che al momento poco incidono sulla stabilità di governo e di coalizione. Al momento.

La disputa sulla nomina del vicesindaco Metropolitano risolta ieri con l’indicazione del consigliere metropolitano e sindaco di Cardito, Giuseppe Cirillo, è quella che ha fatto più rumore perché contraria ai desiderata di De Luca che, pare, cercherà di recuperare indicando un nome per la casella di direttore generale che non sia quello di Marco Di Lello, finora in pole position. Ma crescerebbe sempre più l’insofferenza per l’eccessiva ingerenza del governatore, o meglio dei De Luca boys, che hanno già preso possesso di caselle importanti, sia a Palazzo san Giacomo che a Piazza Matteotti.

Due giorni fa l’ex rettore ha assegnato le deleghe ai consiglieri di metropolitani, più precisamente a tutti i 17 componenti di maggioranza, lasciando a bocca asciutta i rimanenti 7 consiglieri di opposizione. Ognuno dei 17 si occuperà di un settore, potrà dire la sua sui provvedimenti da adottare, per le competenze attinenti a questo ente che ha sostituito le vecchie Province a seguito della cosiddetta riforma Delrio, un cambiamento discusso e criticato da più parti, in primo luogo per aver eliminato il voto dei cittadini, sostituendolo con le elezioni “di secondo grado” dove i consiglieri comunali della provincia si votano tra di loro e dove il sindaco della città capoluogo diventa automaticamente sindaco metropolitano e governa, oltre a circa un milione di cittadini di Napoli città ben altri due milioni della provincia senza che nemmeno uno di loro lo abbia votato.

C’è comunque tanto lavoro da fare per accontentare le numerose anime della maggioranza, sempre alla ricerca di poltrone da occupare ed esponenti politici da soddisfare.

Il ruolo di grand commis, di ufficioso braccio destro del sindaco, lo svolge proprio il fratello del primo cittadino di Napoli, Massimiliano Manfredi, già deputato della Repubblica, oggi consigliere regionale, esponente del partito democratico ed esperto politico. Lo aiuta nelle trattative tra le parti per giungere a utili e necessari accordi per comporre i tanti puzzle di incarichi, sia al comune che in città metropolitana, specialmente nei rapporti comune/regione, sindaco/governatore. Chi meglio di un fratello, peraltro così esperto, come braccio destro di un neo sindaco, comunque avulso ai meccanismi stretti della politica e dell’amministrazione di un comune e della sua provincia?

Questo aiuto fraterno ricorda il rapporto tra Luigi de Magistris, l’ex sindaco di Napoli e suo fratello Claudio, perno fondamentale delle campagne elettorali dell’ex magistrato e aiuto prezioso, dopo le vittorie del 2011 e del 2016, in tante attività legate all’amministrazione della città, ai rapporti con gli eletti e finanche per la costituzione di demA, il partito personale di de Magistris. Ancora oggi, dopo la sonora sconfitta in Calabria di Luigi, il fratello Claudio aiuta il fratello svolgendo il ruolo di staffista al servizio del gruppo demA, all’interno del consiglio regionale della Calabria.

Insomma, fatte le debite differenze tra la serietà e la sobrietà istituzionale dell’ex rettore della Federico II e il pulcinellismo condito da boutade giornaliere dell’ex magistrato, l’aiuto e la collaborazione più o meno palese dei rispettivi fratelli, sembra essere il solo punto in comune tra l’ex e l’attuale sindaco. Fu Antistene a dire che “Quando i fratelli vanno d’accordo, nessun fortezza è così solida come la loro vita in comune”. Appunto. Raffaele Ambrosino

(ANSA il 2 maggio 2022) "Avevamo stabilito di attaccare dalle fogne, proprio come nel film di Dino Risi con Nino Manfredi, Operazione San Gennaro. Era la nostra tecnica vincente: sapevamo che camere blindate e casseforti aggredite frontalmente cedono quasi mai. Puoi usare chili e chili di tritolo, ma restano intatte. 

Se, invece, le tagli da sotto con la fiamma ossidrica si aprono facilmente, proprio come una scatoletta di tonno. Questo succede perché i progettisti pensano anzitutto a rafforzare le pareti e la porta d'accesso di un caveau, quasi mai il pavimento. Abbiamo fatto rapine memorabili utilizzando questa strategia, ed eravamo sicuri di poterla applicare senza alcun rischio anche nella Cappella del tesoro di San Gennaro".

C'è il racconto inedito del tentato furto del tesoro di San Gennaro, a Napoli, nella seconda metà degli anni Settanta, nelle dichiarazioni di Luigi Giuliano, l'ex boss dei boss della camorra di Forcella. A ospitarle una collana di sei volumi, scritti insieme al giornalista Simone Di Meo, intitolata 'Nuova famiglia - la vera storia: Combattere o morire'. "L'unica difficoltà - aggiunge nella ricostruzione - era solo quella di trovare una strada, nel sottosuolo, che ci consentisse di andare a colpo sicuro e di sbucare nel punto giusto. 

A questo pensò la nostra «talpa», un impiegato del servizio fognario che aveva l'ufficio in una sede distaccata del Comune di Napoli, in via Foria. Ci recuperò piantine e planimetrie della zona grazie alle quali, nel giro di qualche settimana, riuscimmo a trovare una strada percorribile e «garantita» per arrivare al cospetto del Santo". Il colpo non si fece più perchè Giuliano si oppose e decise di mettere "sotto la sua protezione" il tesoro impedendo il furto. Il primo testo, edito da Stylo24 Edizioni, è disponibile esclusivamente su Amazon e racconta la nascita del conflitto contro Raffaele Cutolo e Michele Zaza con retroscena e ricostruzioni inedite.

La Napoli del Dopoguerra e la nascita del contrabbando di sigarette. Gli esordi nel mondo del crimine e le prime rocambolesche fughe dalle forze dell'ordine. E ancora il racconto inedito dalla nascita della 'Fratellanza' napoletana e gli incontri con il misterioso Signor Carlos, in Spagna, per acquistare le armi con cui fare la guerra alla Nuova camorra organizzata e a Cosa nostra. Lo stesso Carlos che, dice Giuliano, "poi avrà un ruolo fondamentale nel portare a Napoli il grande Diego Armando Maradona". Non mancano inoltre spaccati sulla vita criminale dell'epoca. Comprese le 'trattative' per evitare spargimenti di sangue durante i folli inseguimenti nel Golfo di Napoli tra contrabbandieri di sigarette e la creazione di una forza eversiva neofascista occulta chiamata 'La Fenice'.

Come in "Operazione San Gennaro": così la camorra voleva rubare il tesoro del patrono. Edoardo Sirignano il 2 Maggio 2022 su Il Giornale.

Luigi Giuliano, ex boss della Camorra, nel libro scritto insieme al giornalista Di Meo, ha raccontato nei dettagli il tentato furto al tesoro del patrono di Napoli, avvenuto a metà degli anni Settanta.

Attaccare nelle fogne come nel film Operazione San Gennaro. Luigi Giuliano, ex boss della Camorra, nel nuovo libro scritto insieme al giornalista Simone Di Meo, ha raccontato nei dettagli come la malavita, a metà degli anni Settanta, tentò di rubare il prezioso tesoro di San Gennaro.

La strategia era proprio la stessa adottata dai protagonisti della storica pellicola di Dino Risi che vide recitare sia un intramontabile Nino Manfredi che il grande Totò. Il piano, infatti, era partire dal sottosuolo per poi risalire in superficie, proprio come fecero nel film Agonia e il Capitano. Indimenticabile la scena in cui i due amici si aprirono un varco nelle condutture con laser, apparecchi a ultrasuoni ed esplosivo.

“Sapevamo – racconta colui che veniva chiamato appunto il re di Forcella nella collana intitolata “Nuova famiglia - la vera storia: Combattere o morire” - che camere blindate e casseforti aggredite frontalmente non cedono quasi mai. Puoi usare chili e chili di tritolo, ma restano intatte. Se, invece, le tagli da sotto con la fiamma ossidrica si aprono facilmente, proprio come una scatoletta di tonno”.

Ciò, per Giuliano, sarebbe dovuto al fatto che i progettisti di solito pensano a rafforzare le pareti e la porta d’accesso di un caveau, ma quasi mai il pavimento. “Abbiamo fatto rapine memorabili utilizzando questa strategia – evidenzia il boss - ed eravamo sicuri di poterla applicare senza alcun rischio anche nella Cappella del tesoro di San Gennaro”.

L’unica difficoltà in questo caso sarebbe stata trovare una strada nel sottosuolo che consentisse di non commettere errori e di sbucare nel punto esatto dove si trovava il bottino. Per risolvere il problema era stata trovata addirittura una talpa nel Comune di Napoli. Si sarebbe trattato di un impiegato del servizio fognario che aveva una sede in un ufficio distaccato di via Foria. L’uomo avrebbe fornito, secondo il capo dei capi di quel periodo, una planimetria e delle cartine grazie alle quali la Camorra avrebbe potuto effettuare, senza problemi, il grande colpo.

“Riuscimmo – rivela Giuliano – a trovare una strada percorribile e garantita per arrivare al cospetto del Santo”. La rapina sarebbe stata evitata solo per volere dello stesso boss che alla fine decise di mettere “sotto la sua protezione il tesoro”. In questo modo si sarebbe salvato uno dei simboli indiscussi di Napoli, che pur essendo finito nel mirino della malavita, alla fine è rimasto nello stesso posto per quel rispetto indiscusso che anche la Camorra ha sempre avuto nei confronti del patrono della città.

Paolo Ferrari per “la Stampa” il 25 settembre 2022.

Il Vesuvio osserva sornione la sua Napoli sparare lava sonora incandescente sul mondo intorno. Quando alla radio partono Marechià dei Nu Genea oppure Io, tu e l'estate di Napoleone la sensazione è che dietro quell'eleganza e quei groove ci sia qualcosa che viene da lontano. Dalle viscere della città in cui più è riconoscibile un Dna sonoro e attitudinale capace di scorrere con naturalezza di generazione in generazione. 

La Nuova Compagnia di Canto Popolare proiettò il folk sui palchi dei grandi raduni alternativi, Napoli Centrale segnò un punto di non ritorno sul fronte funk partenopeo, Pino Daniele rivoluzionò in direzione black il sapore della canzone d'autore nazionale reduce dall'insolente sverniciata rock' n'roll inflittale da Edoardo Bennato, gli Almamegretta hanno portato nel mondo il dub del Golfo. Di tutti loro rimane traccia, a volte evidente, in altri casi custodita nel profondo dell'anima.

Sul primo fronte s' incontrano omaggi espliciti: il misterioso cantautore digitale Liberato ha da poco pubblicato una cover di Cicerenella, un classico del repertorio NCCP, mentre gli stessi Nu Genea, duo di produttori e musicisti di area elettronica, nel loro disco Bar Mediterraneo hanno inserito una calorosa versione di Vesuvio del combo militante Anni Settanta «E' Zezi».  

Per quanto concerne Davide Napoleone, trentenne della provincia di Salerno migrato in Piemonte, la lezione di Pino Daniele è indelebile: «Iniziai a esibirmi per strada nel centro storico di Napoli cantando le sue canzoni - racconta - ed è rimasto un faro. In seguito ho approfondito le indagini, rendendomi conto di come lui, Alan Sorrenti, Napoli Centrale e Nino Bonocore siano stati decisivi per trasformare il dialetto campano in linguaggio universale come non accadeva dai tempi di Carosone».

 Con una considerazione interessante: «La differenza tra loro e noi - spiega Davide - consiste nel fatto quella generazione era stanziale sul territorio, mentre noi viaggiamo e magari viviamo anche fuori: io a Torino, i Nu Genea a Berlino e Siracusa».

Anche Meg ha visto il mondo, ma sente la forza del legame con Napoli, tant' è che il suo nuovo album, in uscita il 30 settembre, s' intitola Vesuvia. Così recita la narrazione che lo accompagna: «Sono cresciuta alle falde del Vesuvio, la sua sagoma è casa e sento il suo richiamo sempre, anche quando sono dall'altra parte del pianeta. Lo sogno di notte in maniera ricorrente: sin da bambina sono ossessionata da lui, è una presenza imponente nella mia coscienza ed è parte indissolubile di me. Ogni sua zolla, ginestra, sentiero, è come una mia cellula, capello, ruga. È mia madre e mio padre. Da quando ho aperto gli occhi è il mio imprinting».

A sottolineare la natura femminile attribuita al vulcano un parterre di ospiti che comprende Elisa, Emma, Katia Labèque e Nziria. Quest' ultima è capostipite di un nuovo sottogenere, hard neomelodic, in cui il neomelodico popolare poggia su basi techno gabber per raccontare storie di sapore no gender. La sua Hard tarantella si incastra alla perfezione nella trama che lega passato e presente del Golfo.  

Si allargano così gli orizzonti, urgenza comune al duo Nu Genea: «Entrambi - spiegano Massimo Di Lena e Lucio Aquilina - abbiamo consumato i dischi del cosiddetto Neapolitan Power, da Pino Daniele a Napoli Centrale e Tony Esposito, possiamo sentirci onorati di essere accostati a loro ma sentiamo ancora di più l'influenza di una città sotterranea, invisibile a livello nazionale». 

Con la complicità dei collezionisti Lorenzo Sannino, in arte Famiglia Discocristiana, e Gianpaolo Della Noce, in consolle DNApoli, tra mercatini delle pulci, racconti, incontri con personaggi dimenticati è nato così il progetto Napoli segreta, giunto al secondo volume: «Abbiamo ottimizzato e rimesso in circolazione il filone disco funk Anni Settanta e Ottanta della città, lavorando sodo per rintracciare i cantanti e i detentori dei diritti. Qualcuno era reticente, magari perché il 45 giri in questione era stato finanziato con fondi non proprio leciti, altri hanno risposto con entusiasmo».  

Così la Sexy Pummarola di Gibo & Pummarola Band o i potenti singoli di Tonica & Dominante sono finiti nelle cuffie di tanti insospettabili under 30 europei.

Marino Niola per “il Venerdì di Repubblica” il 22 aprile 2022.  

Colpo di scena. Il musical non è nato a Broadway nell'Ottocento ma a Napoli nel Cinquecento. A dirlo è un bellissimo libro appena uscito dall'editore Argo e intitolato Il chiaro e lo scuro (pp. 496, euro 28). 

A curare il volume è il noto etnomusicologo Gianfranco Salvatore, grande esperto di tradizioni musicali afroeuropee e professore all'Università del Salento. Insieme a lui, studiosi di fama internazionale come, tra gli altri, l'africanista Norbert Cyffer dell'Università di Vienna, lo storico dell'arte Paul H.D. Kaplan della Purchase University di New York, la storica Kate Lowe del prestigioso Warburg Institute di Londra, Mishele Rak, esperto del patrimonio culturale europeo.

All'origine di tutto ci sono gli schiavi africani che affollano la città e che mescolano la loro lingua, la loro musica e la loro arte a quella dei padroni. E proprio dalla folla di colored che vive all'ombra del Vesuvio prendono vita nuove forme espressive. 

Come la "canzone moresca" per lo più considerata un genere musicale autoctono e fino ad ora confusa con altri tipi di canto popolare come le villanelle. La presenza di termini incomprensibili in queste canzoni recitate e ballate è stata per lo più interpretata come un gergo dimenticato.

E invece queste parole e suoni misteriosi appartengono al kanuri, una lingua africana diffusa in Nigeria, Sudan e Camerun. Facendo luce sul mistero delle "moresche", il volume fa affiorare una realtà multiculturale e multilinguistica dove tra bianchi e neri si stabilisce una relazione di simpatia, addirittura di empatia, che non ha confronti in Europa. 

E che produce forme artistiche fusion, in cui i neri sono protagonisti, in anticipo sul teatro musicale moderno. Dalle pagine emerge, insomma, un melting-pot in salsa napoletana, dove le culture africane si integrano pacificamente con quella locale. E producono un'arte nera a metà.

"Ragazzini cresciuti a pane e Gomorra". È allarme babygang. Due minorenni accoltellati. Ignazio Riccio il 19 Aprile 2022 su Il Giornale.

Gli ultimi episodi di violenza sono stati perpetrati a pochi giorni dal brutale assassinio di Giovanni Guarino, avvenuto a Torre del Greco.

Le festività di Pasqua non hanno fermato la spirale di violenza delle baby gang napoletane. Nelle ultime ore altri due minorenni sono stati feriti in seguito del degenerare di battibecchi causati da futili motivi. Sabato scorso, in tarda serata, nelle vicinanze della Galleria Umberto I di Napoli, un 14enne di Chiaiano è stato aggredito da quindici coetanei, apparentemente senza un motivo preciso. Il ragazzo è stato colpito da sei coltellate, cinque alla gamba e una alla schiena, dopo che ha cercato di fuggire per evitare il peggio. I delinquenti non si sono persi d’animo e lo hanno rincorso. Una volta raggiunto lo hanno ferito gravemente, prima di lasciarlo a terra in una pozza di sangue.

Giunto all’ospedale del Vecchio Pellegrini è stato immediatamente operato; la vittima dell’agguato è ora in prognosi riservata. Non sembra essere in pericolo di vita secondo i medici, ma le ferite erano molto serie. Sull’episodio stanno indagando i carabinieri, i quali hanno sequestrato le immagini delle telecamere di videosorveglianza nella speranza di individuare i componenti della baby gang. Il giorno successivo, la domenica di Pasqua, in provincia, a Marano di Napoli, c’è stata un’altra aggressione nei pressi di un bar di via Falcone. Ad essere accoltellato al petto è stato un giovane di 16 anni, incensurato, il quale ha rischiato di morire perché il fendente ha sfiorato il polmone.

Trasferito all’ospedale di Giugliano in Campania, il ragazzo è stato sottoposto a un intervento chirurgico ed è stato dichiarato fuori pericolo. Anche in questo caso a occuparsi della vicenda sono i carabinieri della stazione locale. I militari hanno ascoltato diversi testimoni per individuare il colpevole dell’aggressione. Gli ultimi episodi di violenza sono stati perpetrati a pochi giorni dal brutale assassinio di Giovanni Guarino, avvenuto a Torre del Greco. Come riporta il quotidiano la Repubblica, il sacerdote Giosuè Lombardo, ai funerali del ragazzo, ha detto che questi piccoli criminali sono cresciuti a "pane e Gomorra".

Multe e Tari non riscossa: ecco il tesoretto di Napoli. Valentina Dardari il 18 Aprile 2022 su Il Giornale.

Per le multe ancora non pagate il Comune di Napoli deve incassare ben 880 milioni di euro. La Tari non riscossa, invece, è pari a 770 milioni di euro.

Intervenuto alla rubrica 'Zoom sulla città', l'assessore al bilancio e al patrimonio Pier Paolo Baretta ha spiegato i punti del piano di risanamento del Comune di Napoli. Prima di tutto l’assessore comunale ha precisato che il Comune di Napoli possiede più di 65mila immobili che equivalgono a un valore di 4 miliardi. La metà di questi immobili sono però patrimonio non disponibile, perché riguardano delle case popolari che“non pensiamo assolutamente di conferire all’accordo fatto con Invimit. Mentre invece una buona parte di questo patrimonio ha bisogno di essere valorizzato, rilanciato e anche immesso sul mercato, che è solo la vendita, ma anche concessioni e possibilità di mettere a reddito. L’accordo con Invimit serve esattamente a questo. Invimit è una società pubblica, dello stato, posseduta al 100% dal Ministero dell’economia e delle finanze e quindi è un partner affidabile che continua il progetto del Patto per Napoli".

Tari e multe non riscosse

Come riportato da NapoliToday, l’assessore ha poi ricordato che la lotta all’evasione è un grande problema perché a Napoli è rilevante la difficoltà a riscuotere quanto dovuto. Ha quindi fatto il chiaro esempio delle multe ancora non pagate: ben 880 milioni di euro. La Tari non riscossa è pari a 770 milioni di euro. Baretta ha ammesso che il Comune da solo non può far fronte a questo problema e che, proprio per questo motivo, nelle prossime settimane verrà fatto un bando per poter avere un partner competente che aiuti gli uffici comunali nella riscossione. Naturalmente si tratta di uno sforzo rilevante che, come ha spiegato l’assessore, sarà accompagnato anche da un incremento degli organici degli uffici comunali. Ha poi tenuto a sottolineare che conta in particolare il messaggio rivolto ai cittadini, che devono condividere la novità che serve a rilanciare Napoli.

L'impegno preso con il governo

L'assessore comunale al bilancio ha aggiunto che il Comune ha preso un impegno con il governo, ovvero quello di presentare un piano entro il primo settembre. Ha quindi spiegato che dal punto di vista contabile del bilancio, la situazione delle società partecipate non è particolarmente preoccupante. A essere invece preoccupante è il bilancio del Comune, che si trova in condizioni molto pesanti, con circa 5 miliardi tra disavanzo e debito finanziario. “Sicuramente, però, c’è un problema di qualità dei servizi, di riorganizzazione, di tempistica e di velocità di esecuzione. Lavoreremo nei prossimi 2-3 mesi per predisporre questo piano che dovrà essere tarato sulle possibilità del nostro sistema delle partecipate di essere più efficiente e raggiungere più velocemente i risultati. Penso che anche in questo caso si possa pensare a delle partnership. So che c’è una grande preoccupazione nel rapporto con i privati: dobbiamo evitare atteggiamenti ideologici", ha spiegato Baretta.

Nessun aumento

In ultimo, l’assessore ha asserito chiaramente che per quest’anno i tributi comunali non aumenteranno. Al momento si sta discutendo se eventualmente aumentare il prossimo anno l’aliquota Irpef di uno 0,1%: “Parliamo di pochi spiccioli. Questo, però, è legato al Patto per Napoli".

Napoli, il genero del boss Bosti “Così compravo e rivendevo gli orologi dei calciatori”. Dario del Porto su La Repubblica il 19 Aprile 2022.  

Esposito: Comprai tramite un giocatore orologi pagati con una mia card su un conto estero lituano per complessivi 36500 euro.

«Sono un broker, anzi un dealer. Nel mio telefono troverete contatti con sultani». Si definisce un imprenditore «molto bravo con gli orologi» e pur ribadendo di aver deciso, dopo un’iniziale apertura, di non proseguire la sua collaborazione, negli interrogatori davanti alle pm Alessandra Converso e Ida Teresi, Luca Esposito, il genero del boss detenuto Patrizio Bosti, descrive i retroscena del settore del commercio di orologi di lusso, il “core business” che lo avrebbe portato ad avere stretti rapporti con esponenti del mondo del calcio e dello spettacolo.

Cantava De Andrè: "Se non sono gigli son pur sempre figli". Ucciso a 19 anni al Luna Park, nella vita di Caino e di quei giovani condannati alla nascita: “Il coltello fa parte del loro quotidiano”. Francesca Sabella su Il Riformista il 13 Aprile 2022. 

Caino e Abele. La storia delle storie, conosciuta fin dalla notte dei tempi. Caino che uccide il fratello, violenza e rancore che conducono alla morte. Abele è la vittima, Caino il carnefice. Ma Caino è vittima anche lui, di sé stesso. Nessuno giustifica Caino per l’atto commesso, ma comprendere non vuol dire giustificare né tantomeno sminuire il dolore di una famiglia devastata dalla morte atroce di un figlio. Ma capire vuol dire che Caino è anche la sua storia, non è solo la sua mano che uccide. E veniamo ai giorni nostri, Giovanni che muore con una lama conficcata nel cuore e un ragazzino di quindici anni, è lui il Caino. Ma perché? Scaviamo nella vita di Caino, andando oltre la banalità del male e senza per questo assolverlo.

Dove è cresciuto il Caino di Torre Annunziata? Con chi è cresciuto? Anzi, con chi sono cresciuti i due caini, perché al momento sono due i quindicenni fermati per l’omicidio di Giovanni. I due crescono nelle case popolari di Torre Annunziata in palazzoni di cemento assemblati con la colla della criminalità. Difficile sfuggire a quelle pareti che intrappolano e condannano. Stando alle prime ricostruzioni entrambi i genitori dei quindicenni sarebbero legati alle famiglie criminali della zona facenti capo al sodalizio del clan Gallo-Cavalieri. I padri di entrambi infatti hanno precedenti per reati associativi, spaccio, e reati contro il patrimonio. I due quindicenni, invece, hanno precedenti per violazioni del codice della strada.

«Le famiglie di provenienza incidono moltissimo sulla condotta criminale adottata dai due ragazzini – spiega Giacomo Di Gennaro, professore di sociologia giuridica, della devianza e mutamento sociale – e il problema è che c’è un vero processo educativo che passa attraverso un indottrinamento che si ancora a una serie di principi, comportamenti e atteggiamenti dove l’uso della violenza è considerato un fatto normale. I due ragazzini avevano precedenti per violazione del codice della strada – continua – vuol dire che è un ragazzo di quindici anni che si comporta già come un adulto, è un susseguirsi processuale di un comportamento nel quale la violazione è considerata una cosa del tutto regolare e così nell’azione deviante i due ragazzini non fanno altro che ricodificare i propri linguaggi e i propri sistemi educativi e tutto questo scardina i normali passaggi generazionali e avviene ciò che noi chiamiamo, da un punto di vista sociologico, la profezia che si auto adempie».

In letteratura questo concetto è stato spiegato in maniera molto chiara: sono casi in cui una persona per il solo fatto di pensare che ciò può accadere, alla fine si comporta in una maniera tale che quello che ha pensato, di fatto, accade. E quindi conferma la propria veridicità anche se era infondata. E qual è la cosa che viene creduta vera per la quale ci si comporta in maniera tale che poi accada? Esco con un coltello perché se succede qualcosa, io lo tiro fuori. E succede la cosa più banale, uno sguardo, una spallata, forse un fare provocatorio dove non c’è il controllo della parola, dove subito si ricorre alla violenza. «Questi ragazzi crescono definendo una situazione molto particolare come una situazione reale, ovvero: viviamo in un contesto violento e per questo motivo la mia violenza deve essere superiore alla violenza dell’altro che sicuramente sarà violento – afferma Di Gennaro – Il coltello è, quindi, parte del vissuto quotidiano dei ragazzini. Sono ragazzi abituati alla violenza, alla prepotenza, perché la respirano da sempre dentro casa. Da un lato c’è questo, dall’altro il contesto esterno che è un contesto definito come violento e ci si comporta realmente come violenti. Bisogna rompere questo cortocircuito mentale, educativo, sociale e territoriale».

Quanto incide l’ambiente nel quale si cresce sullo sviluppo di un’indole violenta che conduce ad azioni criminali, spesso con esiti drammatici come l’omicidio di un giovane di 19 anni? Moltissimo. Negli uffici dei servizi sociali per i minorenni, secondo la relazione annuale che verrà presentata a fine mese, stilata dal garante regionale dei detenuti campani Samuele Ciambriello, sono entrati 16 ragazzi per la prima volta e ben 630 per la seconda o terza volta. Questo vuol dire che rimessi nello stesso contesto sociale, tornano a delinquere. A questi numeri si aggiungono quelli forniti dall’unica ricerca presente in Italia sul tema dei reati minorili, firmata dal prof Di Gennaro. Ecco ciò che avviene all’interno del distretto giudiziario di Napoli. I minori che sono stati titolari della messa alla prova, nel 18,5% dei casi hanno avuto una ricaduta criminale (commettono un reato diverso da quello per il quale erano stati già condannati). I giovani ai quali è stata concessa l’irrilevanza del fatto (giudizio che viene dato a esito del processo, il minore viene giudicato per un fatto che risulta essere irrilevante) tornano a delinquere, hanno una ricaduta criminale nel 15,6% dei casi.

Ricade nella criminalità anche il 24,1% dei minori che hanno ricevuto il perdono giudiziale (vengono perdonati dalla giustizia, il reato viene annullato). I minori dietro le sbarre per la seconda volta costituiscono il 63% della popolazione carceraria minorile. I minori in messa alla prova mostrano un tasso di recidiva pari al 25,7%. Ovvero, commettono per la seconda volta lo stesso reato per il quale erano stati precedentemente condannati. Minori raggiunti dal provvedimento di irrilevanza del fatto: 23,6% di recidiva. Perdonati giudizialmente: il 32,2% di loro ha ripetuto lo stesso reato. «È evidente che c’è un problema di ambiente sociale criminogeno, c’è un problema di investimenti di lunga durata da fare nel welfare in queste realtà dell’hinterland napoletano – spiega Di Gennaro – Si scivola nella reiterazione del reato perché la sub cultura deviante viene alimentata dall’ambiente. E qui non c’entra più il problema della polizia o del controllo del territorio, è un problema di investimenti che non vengono fatti da decenni. C’è una duplice azione da fare: da un lato avere il coraggio di allontanare i minori dalle famiglie con una condotta criminale accertata. Dall’altro bisogna intervenire su questi ragazzi che sono vicini alle realtà criminali, e che vivono una condizione di marginalità e povertà educativa per la quale i comportamenti violenti vengono acquisiti e praticati».

L’ambiente circostante ma anche abitativo. In questi rioni, la maggior parte dei ragazzi vive in case popolari. «Gli studi di psicologia ci insegnano che più lo spazio fisico è limitato, più l’aggressività non viene controllata – sottolinea Di Gennaro – A questo si aggiunge il fatto che in questi territori manca lo spazio verde, un rapporto sano con la natura, mancano le attività culturali, sono territori che non offrono alternative. Sono realtà territoriali che hanno un contenuto criminogeno elevatissimo. È un respirare costantemente violenza. Abbiamo gli strumenti per rompere questo circolo vizioso criminale – conclude – ma non li utilizziamo». È un’analisi che non vuole annullare la ferocia di Caino, ma definirne i contorni e rimettere le colpe anche a chi orbita dentro e fuori i contorni della ferocia. Perché nessuno nasce Caino.

Francesca Sabella. Nata a Napoli il 28 settembre 1992, affascinata dal potere delle parole ha deciso, non senza incidenti di percorso, che sarebbero diventate il suo lavoro. Giornalista pubblicista segue con interesse i cambiamenti della città e i suoi protagonisti.

Dimesso l'amico, i due minori negano le violenze. Ucciso al Luna Park, il papà di Giovanni: “E’ uscito e dopo 10 minuti ci hanno detto che era morto”. Ciro Cuozzo su Il Riformista il 13 Aprile 2022. 

Hanno 15 e 16 anni. Sono figli di pregiudicati (attualmente liberi) per reati associativi, spaccio e reati contro il patrimonio, legati alle famiglie criminali di Torre Annunziata facenti capo al clan Gallo-Cavalieri. Frequentano il primo anno di un istituto tecnico della cittadina vesuviana e hanno precedenti per violazioni al codice della strada. Questo il profilo dei due minori fermati per l’omicidio di Giovanni Guarino, che avrebbe compiuto 19 anni a maggio, e del tentato omicidio dell’amico Nunzio, raggiunto anche lui da diverse coltellate ma dimesso dopo due giorni di ricovero all’ospedale Maresca di Torre del Greco. Violenza avvenuta domenica sera poco dopo le 22, nei pressi del Luna Park allestito in via Leopardi.

Una violenza nata per futili motivi, da uno scontro tra paranze delle due cittadine vesuviane. Tanto è bastato per estrarre l’immancabile coltellino che sempre più giovani decidono di portare dietro uno volta usciti di casa. Giovanni è stato raggiunto da più fendenti e ucciso da una coltellata al cuore. In mattinata è in programma l’interrogatorio di garanzia davanti al giudice dei due minori che, tramite il legale, Mauro Porcelli, hanno preferito non rendere dichiarazioni al magistrato della Procura per i minorenni di Napoli, sostenendo di non aver accoltellato Guarino.

L’arma utilizzata per uccidere il giovane fruttivendolo non è stata ancora ritrovata dagli agenti della Squadra Mobile di Napoli e del commissariato di Torre del Greco che conducono le indagini. A pesare a loro carico ci sarebbero le testimonianze raccolte, la visione delle immagini degli impianti di videosorveglianza dell’area dove è avvenuta la rissa poi degenerata e le tracce ematiche sugli indumenti sequestrati ai due.

Duro lo sfogo del papà di Giovanni. “E’ uscito alle 22.15 di casa e dopo solo dieci minuti ci hanno chiamato per comunicarci che era morto. Come è possibile?“. Parole rivolte a don Giosuè Lombardo, il parroco della Basilica di Santa Croce di Torre del Greco, che ieri ha fatto visita alla famiglia insieme al sindaco Giovanni Palomba.

Non c’è ancora una data per i funerali, che vedranno la partecipazione anche dell’arcivescovo di Napoli don Mimmo Battaglia. Dovrà essere effettuata prima l’autopsia, poi la salma del 19enne verrà restituita ai familiari per l’ultimo saluto.

La zia del giovane lancia sui social un appello: “Chi sa parli. Facciamo giustizia per Giovanni. Oggi – sottolinea – è successo a Giovanni, un innocente. Domani può essere un figlio vostro. Mio nipote non tornerà più”.

‘E’ una famiglia distrutta, che adesso chiede solo la restituzione della salma di Giovanni per poter procedere allo svolgimento dei funerali del giovane” sottolinea il sindaco Giovanni Palomba dopo la visita ai genitori. ”Mi sono trovato di fronte due persone giustamente distrutte, che non riescono a darsi una spiegazione in merito a quanto accaduto. Mi hanno raccontato di un ragazzo buono, che non litigava mai con nessuno. Non si fanno domande, perché sanno che nessuno potrà dare loro risposte”. Il sindaco annuncia anche l’intenzione ”di proclamare il lutto cittadino per la giornata nella quale si svolgeranno le esequie”.

Ciro Cuozzo. Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.

La versione dei due ragazzini di 15 e 16 anni. Omicidio Giovanni Guarino, i due minori al giudice: “Non l’abbiamo ucciso, siamo stati picchiati e rapinati. Non giriamo con il coltello”. Redazione su Il Riformista il 13 Aprile 2022. 

“Non l’abbiamo ucciso noi, non giriamo con il coltellino. I vestiti insanguinati? Abbiamo subito una rapina e ci hanno pure picchiati”. E’ la versione fornita dai due ragazzi di 15 e 16 anni gravemente indiziati dell’omicidio di Giovanni Guarino, che avrebbe compiuto 19 anni a maggio, e del tentato omicidio dell’amico Nunzio, raggiunto anche lui da diverse coltellate ma dimesso dopo due giorni di ricovero all’ospedale Maresca di Torre del Greco. Violenza avvenuta domenica sera poco dopo le 22, nei pressi del Luna Park allestito in via Leopardi della cittadina vesuviana.

Parole rilasciate davanti al gip del tribunale per i minorenni di Napoli nel corso dell’udienza di convalida del fermo. Difesi dal legale Mauro Porcelli, i due, iscritti al primo anno di un istituto tecnico di Torre Annunziata, hanno negato ogni responsabilità, sostenendo – così come riporta l’Ansa – di essere stati vittime di una rapina e poi coinvolti in una rissa che avrebbe visto la partecipazione di numerose persone e nel corso della quale è stato ferito mortalmente Guarino, ucciso da una coltellata al cuore. I due ragazzini, figli di pregiudicati (attualmente liberi) per reati associativi, spaccio e reati contro il patrimonio, legati alle famiglie criminali della zona facenti capo al clan Gallo-Cavalieri, sono stati fermati dagli agenti della Squadra Mobile di Napoli e del commissariato di Torre del Greco poche ore dopo l’omicidio di domenica sera e trasferiti al centro di prima accoglienza dei Colli Aminei.

Al gip hanno spiegato che nessuno dei due ha mai portato un coltello (l’arma che ha ucciso Guarino non è stata al momento ritrovata, ndr) e che nessuno dei due ha aggredito altri soggetti con un’arma o altro. Hanno raccontato di essere stati vittime di una rapina per portare via un orologio di valore e una collana d’oro e, nel corso della rissa, di aver avuto la peggio e di essere stati quindi picchiati da sconosciuti.

Intanto si svolgerà venerdì 15 aprile l’autopsia sul corpo di Giovanni Guarino presso l’obitorio dell’ospedale San Leonardo di Castellammare di Stabia (Napoli). L’esame chiarirà il numero di coltellate ricevute dal giovane fruttivendolo e quali di queste abbiano interessato organi vitali. I funerali, che dovrebbero vedere la partecipazione anche dell’arcivescovo di Napoli don Mimmo Battaglia, potrebbero svolgersi nella giornata di sabato 16 aprile.

Duro lo sfogo del papà di Giovanni. “E’ uscito alle 22.15 di casa e dopo solo dieci minuti ci hanno chiamato per comunicarci che era morto. Come è possibile?“. Parole rivolte a don Giosuè Lombardo, il parroco della Basilica di Santa Croce di Torre del Greco, che ieri ha fatto visita alla famiglia insieme al sindaco Giovanni Palomba.

Le due mamme lanciano l'appello di solidarietà e coraggio alla mamma di Giovanni Guarino. “Tu mamma non smettere mai di urlare il tuo dolore per Giovanni”, il dolore di Natascia e Elisa e dei figli uccisi per uno sguardo. Rossella Grasso su Il Riformista il 14 Aprile 2022. 

Due donne, due mamme, unite dallo stesso atroce dolore indescrivibile: in pochi istanti hanno visto i loro giovanissimi figli morire sotto i colpi di armi portate addosso da altrettanto giovanissimi carnefici, in una serata qualunque che sarebbe dovuta essere di svago. Natascia Lipari è la mamma di Simone Frascogna, ucciso a 19 anni a Casalnuovo la sera del 3 novembre 2020. Elisa Ciliendo, è la mamma di Gianluca Coppola ucciso a 27 anni sotto casa a Casoria il 18 maggio 2021. Due morti a cui se ne aggiunge un’altra, tristemente simile, quella di Giovanni Guarino, che a maggio avrebbe compiuto 19 anni, in un Luna Park a Torre del Greco. Ed è alla mamma di Giovanni che le due donne inviano la loro solidarietà: “Sappiamo bene quello che stai vivendo. Tu mamma non smettere mai di urlare il tuo dolore per Giovanni”, dicono.

E continuano: “Saranno questi giorni in cui vedrai milioni di persone, non capirai niente, non ti renderai conto di quello che ti sta succedendo, quando calerà il silenzio tu urlalo, non far cadere il silenzio perché Giovanni merita giustizia, come la meritano tutti”. Natascia e Elisa conoscono bene il dolore che sta provando la mamma di Giovanni. Quella sensazione di impotenza e quel dolore per aver perso un figlio in un modo che non ha spiegazioni. “Io non ho parole, non le ho trovate per me e nemmeno per Elisa e per le altre mamme. Però ti dico che purtroppo la vita non ha più senso per noi. In questo memento la tua vita sarà al buio. Però ti dico: esci fuori, gridalo con tutto il dolore che c’hai dentro, grida giustizia perché Giovanni deve vivere, noi mamme dobbiamo dare voce ai nostri figli perché devono così continuare a vivere”.

Le due mamme raccontano il senso di atroce smarrimento nel cercare di comprendere quelle morti senza senso. “Ne stanno succedendo tantissime di morti in questo modo – continua Natascia – Giovanni Guarino è uno di loro. Più o meno la dinamica è la stessa: per uno sguardo viene ucciso da mano armata. Un’altra mamma condannata al dolore. Il mio pensiero è andato subito a lei, un’altra mamma che non vivrà più perché non si vive. Tutti devono sapere che noi non viviamo più. La nostra vita è al buio e senza colori. Non vedi più il futuro. Potrai avere anche altri figli ma quel pezzo mancante di figlio…non accetti che non torni più a casa. Sono 17 mesi che il mio cervello pensa che Simone infilerà le sue chiavi nella porta per tornare a casa. Quella mamma vivrà così”.

Simone Frascogna quella sera era in macchina con un suo amico per trascorrere una serata in allegria quando si trovò coinvolto in una lite per motivi di viabilità. Fu ucciso da 9 coltellate al torace. Una videocamera ha ripreso tutta la scena. “Simone non c’è più per uno sguardo – dice Natascia – Gli assassini di mio figlio si erano voltati indietro e avevano detto a lui e al suo amico ‘che guardi a fare? Non lo sai noi chi siamo’. Vorrei dirgli: Chi siete voi? Chi siete voi per uccidere un essere umano? Un ragazzo di 19 anni, uno studente con tutta la vita davanti. Chi siete voi per condannare a morte un altro essere umano?”.

“Gianluca indossava un orologio quando è stato sparato sotto casa – racconta tra le lacrime Elisa – Erano le 5 meno dieci. Da quel giorno l’orologio si è fermato e anche noi ci siamo fermati con lui. Non viviamo più. Ha distrutto la famiglia, ha distrutto tutto”. Mamma Elisa racconta che Gianluca era entrato in un bar. Lì sarebbe scoppiata una lite finita a botte. Gianluca tornò a casa con il volto insanguinato e poco dopo scese nuovamente. Appena uscito dal portone di casa c’era il giovane con cui aveva fatto a botte al bar con una pistola in mano. Gli sono bastati due colpi per ucciderlo sotto gli occhi sgomenti del padre che aveva provato a difenderlo. “Mio figlio ha pagato con la vita perché non ha voluto abbassare la testa davanti a un criminale”, dice Elisa.

Per le due mamme a questo enorme dolore si aggiunge anche il calvario a cui vanno incontro dopo con l’iter processuale “infinito” e doloroso. “Sto vivendo i primi processi – racconta Elisa – Io devo dipingere l’immagine di mio figlio perché tempo fa è stata fatta una perquisizione a casa mia ed è stato trovato un cellulare che mio figlio non usava da 8 anni. Lì c’era una telefonata con un amico e poi c’era un fermo in una piazza con un ragazzo che aveva precedenti. Mio figlio a Casoria lo conoscevano tutti perché è cresciuto qui. Sono ragazzi cresciuti insieme poi ognuno ha preso la sua strada. Può succedere che uno ha un fermo con un ragazzo con precedenti ma questo non significa che era un delinquente. Mio figlio si svegliava alle 5 di mattina per andare a lavorare. Se potessi parlare io al giudice dire che quel pomeriggio mio figlio mi ha chiesto 50 euro per uscire con la fidanzata. Il motivo del litigio non è stato per il territorio. In quell’aula del Tribunale devi affrontare tutto questo e non è giusto. Poi sui giornali è stato scritto che tutto ciò era successo per motivi passionali ma non è vero. Mio figlio non aveva motivo di essere geloso di un’ex della fidanzata con cui si sono lasciati tanti anni fa. Lui ha pagato con la vita per non aver abbassato la testa. Per questo chiedo verità e giustizia per mio figlio”. Un dramma questo che vivono tanti giovani, bollati, solo per il fatto magari di vivere in periferia.

E anche il senso di solitudine: “All’inizio, per le prime due settimane, ci sono tutti intorno. Poi sei lasciato solo – conclude Natascia – Poi dopo i funerali scompaiono tutti. È assurdo che noi famiglie delle vittime veniamo completamente abbandonati. Abbiamo un solo supporto, quello della Fondazione Polis, che ci ha affiancato uno psicologo che sta sempre con noi in aula. Non è facile essere presenti ai processi, sedersi accanto a chi ha ucciso tuo figlio”.

Rossella Grasso. Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Tra le varie testate con cui ha collaborato il Roma, l’agenzia di stampa AdnKronos, Repubblica.it, l’agenzia di stampa OmniNapoli, Canale 21 e Il Mattino di Napoli. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. E’ autrice del documentario “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.

Battaglia: “Chi ti ha portato via è vittima e carnefice di una cultura corrotta”. Funerali Giovanni Guarino, fuochi d’artificio e colombe per l’ultimo saluto al ‘gigante buono’: “Non si può accettare”. Ciro Cuozzo e Rossella Grasso su Il Riformista il 16 Aprile 2022. 

Alle 15.30 in punto il piazzale davanti alla Basilica di Santa Croce a Torre del Greco era già gremito di tanti parenti e amici per dare l’ultimo saluto a Giovanni Guarino, il 19 enne ucciso con una coltellata al cuore il 10 aprile a Torre del Greco dopo una lite in una luna park per futili motivi. “Non si può accettare”, ha gridato disperata la mamma accasciandosi accanto alla bara del figlio. E intanto sono partiti i cori degli amici: “La morte non ci separa”.

La Basilica è gremita di persone, dall’esterno circa 500 persone hanno seguito la funzione celebrata dall’arcivescovo Mimmo Battaglia. Nel piazzale palloncini bianchi e azzurri e tanti giovanissimi con le magliette bianche con la foto di Giovanni Guarino e la scritta “Resterai per sempre nei nostri cuori”. “Ovunque tu sarai vivrai sempre con noi”, recita uno striscione affisso alla chiesa firmato ‘Gli amici di Sant’Antonio’. E ancora un altro: “Buon viaggio fratello”, firmato da ‘Giù a mare’. In chiesa la bara bianca coperta di fiori con la foto di Giovanni che sorride. “Solo con la povertà di questa nostra preghiera possiamo essere vicini a Rosa, Antonio e Marianna e ai familiari di Giovanni”, ha detto don Mimmo Battaglia all’inizio dell’omelia.

“Oggi Giovanni siamo qui insieme a te ma non sai quanto vorremmo stare altrove e svegliarci da questo brutto incubo – ha continuato Battaglia – Purtroppo siamo qui in questo doloroso Sabato Santo, con il cuore spezzato e il volto coperto dalle lacrime per accompagnarti in questo tuo viaggio. Siamo increduli, sgomenti per quanto accaduto, per questo tuo essere volato via troppo in fretta e ingiustamente. Perdonaci tutti, perdona noi adulti che con la nostra indifferenza, con il nostro voltarci dall’altra parte, abbiamo consentito alla cultura mafiosa di penetrare tra i giovani. Chi ti ha portato via è sia carnefice che vittima di una cultura corrotta, in cui l’immagine del sopruso, del predomino sull’altro va per la maggiore”.

E ancora: “Perdonaci perché se avessimo avuto coraggio di creare un sistema di vita contro quello di morte della malavita forse oggi non saremmo qui a piangere. Non è possibile che i genitori devono vivere con la paura di non veder tornare a casa i loro figli quando escono. I tuoi amici sono arrabbiati, disgustati, per quello che ti è accaduto. Ma dal cielo tu oggi ci dici che occorre trasformare la rabbia in energia di vita per costruire un sistema alternativo alla violenza delle mafie, all’indifferenza. A voi amici di Giovanni dico che questo dolore non sia inutile, serva a non farci più volgere dall’altra parte, a farci scegliere sempre di stare dalla parte delle vita. Cambiare è possibile, fatelo per Giovanni: dal cielo sarà lui la nostra forza”.

Alle parole di don Battaglia è seguito un lungo applauso tra le lacrime dei presenti. Poi il pensiero alla mamma: “Marianna posso solo sfiorare il tuo dolore abissale, questo dolore è solo tuo e nessuno può profanarlo, così come è sacro il dolore di tuo papà Antonio e tua sorella Rosa. Oggi nel cielo stai parlando con un’altra mamma, anche lei straziata dal dolore. Starai dicendo a Maria, in questo sabato santo, ti prendere tua mamma e i tuoi cari per mano per farli uscire da questa valle di dolore”.

All’uscita dalla chiesa la piazza gremita ha accolto la bara tra gli applausi e il lancio dei palloncini verso il cielo. Fuochi d’artificio sono esplosi per l’ultimo saluto a luigi mentre le colombe bianche prendevano il volo. Gli amici di Giovanni hanno trasportato la bara tra la marea di persone che affollava la piazza tra applausi, lacrime e commozione. Due minorenni, che si dicono innocenti, sono stati fermati per il delitto. Nella piazza all’ esterno della Basilica si sono raccolte circa 2 mila persone ad attendere la fine della cerimonia funebre. Palloncini, colombe bianche liberate in volo e fumogeni azzurri hanno salutato l’ uscita della bara, mentre un folto gruppo dei presenti ha scandito “giustizia, giustizia”. Ciro Cuozzo e Rossella Grasso

Marino Niola per “la Repubblica” il 7 aprile 2022.

A Napoli, anche in pieno giorno, è difficile farsi strada tra la folla delle ombre, diceva Michel Leiris, alludendo a quella emulsione misterica che nella città del sole ricopre luoghi e persone di un film insieme luminescente e oscuro. Abbagliando il visitatore e spesso anche il nativo con le sue verità segrete esposte in evidenza. Rivelate da quello stesso velo che le occulta. 

Come quello, impalpabile, che copre il corpo del Cristo velato al centro della penombra esoterica della Cappella Sansevero. Dove l'estetica diventa estatica, la fisica metafisica e la religione enigma. Perché di fronte a quel marmo che sembra sciolto, così sottile da rivelare prodigiosamente quel corpo che dovrebbe nascondere, la religione diventa enigma e teatro. Inganno e disinganno, recita sociale e verità intima, concretezza e astrazione.

Per questo è più facile riconoscere Napoli che conoscerla. Per farlo occorre penetrare nelle sue terre di mezzo, nella sua geologia fisica e sociale, nei vuoti del sottosuolo ma anche negli ipogei dell'immaginario, dove Partenope continua ad annodare le sue trame. Ma la verità di Napoli si nasconde anche nel concitato chiaroscuro dei suoi sotterranei. Come il Cimitero delle Fontanelle, dove il visitatore avanza sotto gli occhi di migliaia di crani allineati sopra interminabili file d'ossa. 

Sono le anime abbandonate di Napoli. Le chiamano le pezzentelle, le piccole mendicanti. O, semplicemente, le capuzzelle, cioè le testoline. Questi corpi senza nome, usciti dalle fosse comuni degli appestati, affollano il cimitero delle Fontanelle, un ossario che insinua i suoi meandri sotto la collina di Capodimonte. Siamo nel popolarissimo quartiere della Sanità. Ma ci sono capuzzelle anche in altri sotterranei della città. La chiesa seicentesca del Purgatorio ad Arco in via dei Tribunali, le catacombe paleocristiane di San Gaudioso alla Sanità e la basilica di San Pietro ad Aram, una porta degli inferi a due passi dalla stazione centrale.

Da secoli la pietà popolare ha fatto di questi sans papier dell'aldilà i suoi numi tutelari. Perché li identifica con le anime che soffrono in purgatorio. E continuerebbero a soffrire per l'eternità se non fosse per i devoti che accolgono nel loro pantheon familiare questi spiriti in pena. Mettendoli sugli altari domestici insieme ai propri cari. I seguaci delle capuzzelle dicono di ricevere in sogno l'anima di un defunto che racconta la propria storia e rivela quale sia il suo cranio. Nome e collocazione. Un riconoscimento postumo insomma. Così, come guidati da un navigatore soprannaturale, i devoti vanno a colpo sicuro e individuano tra mille la testa da accudire.

È un caso paradossale di adozione a distanza. Perché quel che si fa per il teschio va a beneficio dell'anima. È esattamente quello che i Greci chiamavano chrematismos . L'apparizione notturna di un morto assetato in cerca di refrigerio. Non per nulla la cura tradizionale delle anime pezzentelle si chiama refrisco, che significa appunto refrigerio. E che consiste in una sequela di gesti molto materiali e al tempo stesso molto simbolici. 

Perché ci si aspetta che le anime la ricambino. Concedendo grazie e favori, proprio come i santi. C'è chi chiede un lavoro, chi è in cerca di marito, chi vuole disperatamente un figlio, chi ha bisogno di trovar casa. E soprattutto malati che domandano di essere guariti.

Proprio come nel mondo antico, dove gli spiriti dei morti senza nome venivano consultati a scopi divinatori. Quando la grazia arriva, il cranio riceve una sorta di beatificazione popolare. Da quel momento diventa una testa potente, una capa gloriosa, esce dalla schiera anonima e viene solennemente sistemato in un tempietto di marmo e vetro con i nomi dei miracolati. Queste camere di compensazione del soprannaturale che cerca di risalire alla luce del sole, sono fatte apposta per accendere fantasie artistiche e letterarie.

Da Hermann Melville che visitò le Fontanelle nel 1857 ad André Gide, da Ferdinand Gregorovius a Gustav Herling. A Roberto Rossellini che in Viaggio in Italia ne fa la location della discesa agli inferi che cambierà la vita della protagonista. Oltretutto le immagini rosselliniane costituiscono una preziosa memoria per immagini dello stato del luogo e delle modalità del culto negli anni Cinquanta. Ma questi spiracula ditis hanno folgorato molti artisti contemporanei. Dalle testimonianze in figura di Andy Warhol a quelle di Robert Mapplethorpe, da Joseph Beuys a Francesco Clemente. 

Nel 2002 l'artista tedesca Rebecca Horn ha dedicato alle capuzzelle l'installazione "Spiriti di madreperla" consistente in 333 teschi di ghisa sormontati da 77 anelli luminosi. E di recente, la performer viennese Anna Witt è tornata sul tema con la videoinstallazione "Braids on Fire/ Trecce in Fiamme", ambientata nell'ipogeo di Santa Maria del Purgatorio ad Arco e frutto di una collaborazione tra il Goethe Institut, il Complesso Museale Santa Maria del Purgatorio ad Arco e l'Associazione Amici di Carlo Fulvio Velardi, nata per ricordare Carlo, un quindicenne precipitato a mare nel luglio 2011. 

L'Associazione è stata voluta dai genitori e dagli amici di Carlo con lo scopo di svolge attività di sostegno e di solidarietà in favore dei bambini svantaggiati dei quartieri popolari di Napoli. Tutti senza eccezione hanno subito il fascino di queste sliding doors del senso. Walter Benjamin scrisse proprio a Napoli Il Dramma barocco tedesco , forse soggiogato da questa dimensione ipogea dell'essere, da questo metaverso della socialità, dove si incrociano la vista e la visione, il sogno e la realtà, la ragione e la figura, la presenza e l'assenza, l'ethos e il pathos.

Oggi questi inferi urbani, dove la società napoletana compì la sua nekya ed affinò il suo pensiero della morte e della vita, della pietà e della carità, sono diventati spazi multitasking. Poli rituali ed attrattori turistici. Così quelle che per generazioni di napoletani furono le porte dell'Ade, aperte a schiere di devoti capaci di far risuonare le "voci di dentro" in questi teatri della misericordia, accolgono folle di visitatori in cerca di mistero. Da soglie dell'ombra a musei della pietà. Da luoghi culturali a beni culturali. Discese agli inferi con audioguida.

Marino Niola per “il Venerdì di Repubblica” il 26 marzo 2022. 

«Spiegaglielo tu che cosa è Napoli». È una parola, mi sono detto, quando due amici di lunga data come Paolo Sorrentino e sua moglie Daniela D'Antonio mi hanno chiesto di raccontare la città a un gruppo di giornalisti stranieri. 

Arrivati qui lo scorso novembre su invito di Netflix per la première di È stata la mano di Dio, ora candidato agli Oscar come miglior film internazionale. Era uscito da poco un reportage sul quotidiano francese Le Figaro, infarcito dei soliti stereotipi che fanno incazzare tanto i napoletani. E lo spettro del misunderstanding era nell'aria. Soprattutto perché la pellicola attraversa temi che di solito confinano pericolosamente con il colore e con il folklore.

A cominciare da San Gennaro che gira in Rolls Royce e interviene nel quotidiano delle persone. Per finire con il monaciello, lo spirito domestico numinoso e dispettoso, a metà fra il genius loci e il demiurgo che snoda i fili delle vite. Poi la religione di Maradona, incarnazione suprema della mano di Dio. E ancora il mare, grande matrice amniotica e cartolina mitologica del golfo. 

E infine, la pietà per i morti, che a Napoli prende la forma di una umanissima religione civile. Alimentata da un fitto e ininterrotto colloquio con i trapassati, che diventano spesso custodi delle sorti dei vivi, orientandone in un certo senso l'ethos e il pathos. Ecco perché nella complessa antropologia di Partenope, l'elaborazione del lutto si fonda su una vicinanza anche fisica con i defunti.

Che fa da congedo e da viatico, trasformando il dolore in valore. E quando questa possibilità manca, allora pena si unisce a pena. La sofferenza dei viventi si riflette e si amplifica in quella di chi non c'è più. 

E questo nodo che non si scioglie blocca i cammini dell'aldilà ma anche i destini dell'aldiquà. Come succede a Fabietto, il giovane protagonista del film, in realtà Sorrentino da ragazzo, cui viene impedito di vedere per l'ultima volta i genitori, vittime di un incidente domestico. E questo atto mancato, questo addio strozzato resta il suo grande dolore, il suo lutto in cerca di elaborazione.

Nella tradizione napoletana questa pietas ha dato vita ad autentici santuari della devozione popolare. Uno su tutti il Cimitero delle Fontanelle, un gigantesco ossario nello storico rione Sanità, dove sono raccolti migliaia di crani identificati con le anime di persone morte di morte violenta, sole e senza conforti. Sono il terzo stato del soprannaturale, i dropout dell'altra vita.

Venerati dai napoletani che li integrano nel loro pantheon familiare, come se fossero i loro cari. Sotto quelle gigantesche volte di tufo, i giornalisti cui facevo da Virgilio erano senza parole, folgorati, commossi da quel teatro della carità. Avevano intuito la verità profonda di Napoli. «Qui sotto la città si capisce meglio», mi ha detto Roslyn Sulcas, inviata del New York Times. 

Cogliendo peraltro la totale assenza di folklore, di superstizione, di quella spessa coltre di kitsch che ricopre narrazioni e rappresentazioni di questa antica metropoli mediterranea. In verità il culto delle anime abbandonate si fonda su una forma creaturale di misericordia. Una compassione umanissima per quelli che il grande poeta Charles Baudelaire in un sonetto de I fiori del male, chiama i grandi dolori dei morti. 

«Mi sono ricordato improvvisamente le scene del Viaggio in Italia di Rossellini» ha sussurrato Luis Martinez di El Mundo. Si riferiva alla sequenza in cui una Ingrid Bergman estatica e smarrita si aggira nella tenebra delle Fontanelle, per compiere la discesa agli inferi che le cambierà la vita. Facendole scoprire una se stessa migliore. E quando ho raccontato loro la leggenda di un ateo che oltraggia uno di quei crani e lo invita addirittura a cena, tutti hanno capito perfettamente che non si tratta di credenze superstiziose, ma di qualcosa di eticamente molto profondo. 

Di una naturalità del soprannaturale posta a fondamento di una morale collettiva. Martinez, da spagnolo colto qual è, ha riconosciuto subito il nucleo sorgivo del Don Giovanni, trasformato in maschera immortale da Tirso de Molina, Molière e Mozart. A quel punto nessuno più si è sorpreso quando ho rivelato che il celebre filosofo e scrittore tedesco Walter Benjamin ha scritto Il Dramma barocco tedesco, uno dei grandi libri del Novecento, proprio a Napoli, soggiogato da questo risvolto ipogeo dell'essere, da questo metaverso della pietà, dove si incrociano la vista e la visione, il sogno e la realtà, la ragione e il simbolo.

E quando siamo usciti a riveder le stelle, una giovane giornalista inglese estasiata dai fiocchi di neve, dolcetti inventati da un pasticciere della Sanità, mormorava «vorrei che mio padre fosse ancora vivo per farglieli assaggiare». In realtà Napoli, come diceva Curzio Malaparte, è la più misteriosa delle città. È la capitale dell'altra Europa, quella che il logos cartesiano non può penetrare. E che fa cortocircuitare incessantemente illuminismo e barocco, realismo e magia, liturgia e oleografia.

Sta anche in questa differenza il suo mistero. Impossibile da illuminare con la sola luce della ragione. Ma attraversabile con quella della visione, della partecipazione, dell'emozione. E tuttavia Partenope non è abbagliata dalla sua stessa luce, che spesso e volentieri invece abbaglia quelli che la guardano da fuori. E le sue verità segrete esposte in evidenza, i suoi fantasmi, le sue anime in pena, le sue voci di dentro, il suo sole amaro, i suoi mille colori e le sue mille paure, le usa come altrettanti emblemi di una cabbala per figure.

E certe volte la curiosità degli stranieri offre a questa città, velata ma vanitosissima, specchi sempre nuovi in cui moltiplicare la propria immagine. Per questo Napoli è facile da riconoscere e difficile da conoscere. Perché "Napule è tutta nu suonno (sogno). A sape tutto o munno, ma nun sanno a verità". Parole e musica di Pino Daniele. Sentiment di Paolo Sorrentino 

Gabriele Bojano,Simona Brandolini per il “Corriere della Sera” il 24 marzo 2022.

Il dietrofront due giorni prima della presentazione del libro. Una scelta «improvvisa e imbarazzante» per gli organizzatori dell'incontro sul saggio di Ernesto Galli della Loggia e Aldo Schiavone Una profezia per l'Italia. Ritorno al Sud. 

«Dovuta e conseguenziale» invece per il rettore del Convitto nazionale Torquato Tasso di Salerno. Nell'auditorium dell'istituto fondato da Gioacchino Murat era in programma per domani la presentazione del volume dei due storici. Ne avrebbero parlato Isaia Sales, Aurelio Musi, Marco Demarco e Massimiliano Amato.

Ma in extremis Naddeo si è accorto che alcuni di quei relatori e lo stesso co-autore Schiavone erano anche firmatari della lettera-appello al segretario del Partito democratico, Enrico Letta, contro il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. Da qui l'immediato dietrofront: la sala non è più disponibile. «Il Convitto - spiega il rettore - non può essere coinvolto in azioni di parte e in quanto istituzione deve rimanere neutrale». 

Ma la denuncia dei firmatari e dell'associazione Deep, che l'ha organizzato, è di «censura». E mentre a Salerno si sfrattano gli intellettuali, a Napoli vengono accolti al museo comunale Pan. Dove si sono dati appuntamento per un incontro proprio sulla lettera-manifesto indirizzata al segretario nazionale dem. La vicenda è tutt' altro che locale. In calce alla missiva ci sono, tra gli altri, i nomi di Schiavone, Giulio Sapelli, Nadia Urbinati, Maurizio de Giovanni, Franco Monaco e addirittura dell'ex componente della segreteria nazionale del Pd, nonché orlandiano di ferro, Emanuele Felice.

Il deluchismo assurto a simbolo di «sistema» di potere. «Caro Letta, qui in Campania abbiamo un problema. Da tempo non stiamo più in Italia ma in una sorta di repubblica autarchica dove vige la legge del padrone; un "odiatore seriale" che da anni offende tutti, a cominciare dal partito a cui appartiene. Il tuo», questo l'incipit della lettera, con una richiesta esplicita, che il Pd si schieri contro l'ipotesi di un terzo mandato alla guida della Regione. Dopo la pubblicazione, in verità, Letta prima e il suo vice Peppe Provenzano dopo hanno risposto: «Ci occuperemo delle molte questioni sollevate».

Compresa la segreteria regionale. Quando dal Nazareno è emersa l'eventualità di un commissariamento, i deluchiani hanno fatto dimettere il segretario regionale, Leo Annunziata, e hanno tentato di sostituirlo in assemblea con Stefano Graziano, lettiano, ma attualmente consigliere di De Luca. Per ora il partito nazionale ha stoppato l'operazione, osteggiata da orlandiani e franceschiniani. Ma toccherà a Letta l'ultima parola. Nel frattempo il dimissionario Annunziata è stato premiato: da ieri è nel consiglio di amministrazione dell'Ifel Campania, la fondazione di finanza locale. Lui, un filosofo, al posto di un economista come Luca Bianchi, direttore della Svimez.  

Omicidio Gigi e Paolo, Enzo Castaldi: “Dopo 22 anni il capo del clan che uccise mio figlio cambia strada quando mi vede”. Francesca Sabella su Il Riformista il 22 Marzo 2022. 

Erano fermi nella Lancia Ypsilon sotto casa ad ascoltare musica, fantasticando sul futuro e parlando della vacanza in Grecia quando sono stati ricoperti da una pioggia di piombo che non gli ha lasciato scampo. Era il 10 agosto 2000 e a Pianura, periferia occidentale di Napoli, vennero uccisi Luigi Sequino e Paolo Castaldi, poco più che ventenni. Entrambi scambiati per guardaspalle di un boss della zona. A distanza di 22 anni, Enzo Castaldi, ripercorre la tragedia del figlio e ribadisce, ancora una volta, l’assenza e le passerelle (come quella di ieri) dello Stato e soprattutto della politica.

Signor Castaldi, come mantiene vivo il ricordo di suo figlio?

«Con l’attivismo, con le iniziative nelle scuole, con le visite ai giovani nel carcere minorile di Nisida e al centro di prima accoglienza ai Colli Aminei. In tutti questi anni non mi sono mai fermato. Sono entrato nell’associazione Libera e ho iniziato un percorso per provare ad aiutare i ragazzi che hanno già sbagliato una volta».

Come si fa a spiegargli che non devono “sbagliare” ancora?

«Questo non è facile, bisogna avere pazienza e mostrargli il vero molto della camorra. Non è guadagno facile ma morte e distruzione. Sono stato dalla Sicilia a Bolzano a parlare della tragedia di Gigi e Paolo perché la camorra è ovunque».

Lei in tutti questi anni ha potuto contare sull’aiuto delle Istituzioni?

«Poco o nulla in realtà. Dopo quel maledetto giorno d’estate ci siamo fatti forza insieme alla famiglia Sequino. Poi l’unica presenza fissa è stata rappresentata dagli uomini della Chiesa: da don Ciotti a don Tonino Palmese, passando per il nostro parroco don Vittorio Zeccone che gestisce la “Casa del giovane”, un bene confiscato al clan Mele che uccise per errore i nostri ragazzi».

Lo Stato è poco presente quindi?

«Non voglio essere categorico ma la realtà purtroppo è questa. Le faccio un esempio che ha rimarcato anche don Ciotti: è mai possibile che gli educatori di Nisida debbano prendersi un giorno di ferie per portare i giovani detenuti in centri di legalità come il nostro? Tra l’altro a proprie spese. La rieducazione viene fermata da lungaggini burocratiche inspiegabili…».

Ai politici incontrati in piazza del Plebiscito che appello avete lanciato?

«Quello di non sparire. Quello di non rivedersi il prossimo 21 marzo in occasione dell’ennesimo anniversario. C’erano Conte, Manfredi, Fico. Al presidente della Camera abbiamo ricordato che il prossimo 20 aprile saremo a Montecitorio. Ma non solo noi, bensì tutte le famiglie delle 1700 vittime innocenti. L’80% di queste non conosce ancora la verità».

Ha mai incontrato i killer di suo figlio?

«Due sono all’ergastolo, uno è stato ucciso pochi anni dopo, un altro si è pentito e durante il processo scrisse alle due famiglie una lettera di scuse. Da qualche mese però vedo regolarmente il patriarca di quella famiglia, colui che in quel periodo ne era a capo. È stato scarcerato e lo incontro spesso al cimitero: appena incrocia il mio sguardo, cambia strada».

LA GIORNATA IN MEMORIA DELLE VITTIME INNOCENTI DI MAFIA

Ieri mattina studenti e studentesse, ma non solo, da tutta Italia sono scesi in piazza a Napoli, per il corteo organizzato dall’associazione di Don Ciotti, “Libera”, contro le mafie in occasione della XXVII giornata di memoria e impegno per le vittime innocenti di mafia. A piazza Municipio si sono uniti alla manifestazione, tra gli altri, il presidente della Camera Roberto Fico, il presidente del movimento 5 Stelle Giuseppe Conte e il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi. A guidare il corteo, che quest’anno ha avuto come slogan “Terra mia. Coltura-Cultura”, una bandiera con il simbolo arcobaleno della pace. Dal palco montato in piazza del Plebiscito, dove sono stati pronunciati i nomi delle 1.055 vittime innocenti della criminalità, è stato letto anche un messaggio del Capo dello Stato Sergio Mattarella «Desidero esprimere la mia vicinanza a quanti si ritroveranno nella manifestazione nazionale a Napoli e nelle altre piazze italiane per ripetere gesti insieme semplici e esemplari. Crescita civile e affermazione dei diritti si affermano con il consolidarsi della partecipazione dei cittadini».

Francesca Sabella. Nata a Napoli il 28 settembre 1992, affascinata dal potere delle parole ha deciso, non senza incidenti di percorso, che sarebbero diventate il suo lavoro. Giornalista pubblicista segue con interesse i cambiamenti della città e i suoi protagonisti.

Sintesi dell’articolo de “il Mattino” pubblicata da “la Verità” il 5 marzo 2022.

Non si limitavano a fare i parcheggiatori abusivi, ma si piazzavano davanti agli uffici pubblici di Napoli, tribunale compreso, per smerciare marche da bollo false, rigorosamente made in China. Tra gli «spacciatori» c'erano anche tre avvocati che diffondevano i bolli falsi per le pratiche giudiziarie. Il giro aveva base tra Napoli e Caserta con canali di distribuzione in tutta la Campania e anche a Roma. I supporti in bianco, poi personalizzati da contraffattori napoletani con tecniche sofisticate, arrivavano dalla Cina. Diciotto gli indagati: 10 tra falsari e distributori sono finiti ai domiciliari, per 5 è stato disposto l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria mentre i legali sono stati temporaneamente interdetti dalla professione forense.

Scoprire Napoli dagli occhi delle donne del Rione Bellezza. Angela Leucci il 4 Marzo 2022 su Il Giornale.

Il Rione della Bellezza si trova in una zona centrale di Napoli e ha legato il suo nome a quello di tre donne: una sirena, una scrittrice e una santa.

Napoli è città di donne. Dalle artiste Clementina Carrelli e Angela Carugati alle scrittrici Grazia Pierantoni Mancini e Elena Ferrante, fino alle attrici Sophia Loren e Valeria Golino, passando per le cantanti Elvira Donnarumma e Teresa De Sio: sono tantissimi i talenti femminili che hanno legato il loro nome a questa città.

Ma ci sono tre donne che per tre diverse ragioni hanno legato il loro nome in particolare al cosiddetto Rione della Bellezza, un luogo centrale per la metropoli partenopea, che si estende da Piazza del Plebiscito a Castel dell’Ovo. Ma chi sono queste tre donne e perché sono accostate a quest’area di Napoli? 

Che cos’è il Rione della Bellezza a Napoli 

Il nome Rione della Bellezza ha a che fare con uno scritto di Matilde Serao, la giornalista e scrittrice che fondò la testata Il Mattino. Lo scritto in questione, contenuto ne “Il ventre di Napoli”, non è per la verità tanto lusinghiero, perché esamina i cambiamenti che alla fine dell’800 stavano interessando il quartiere, chiamato in precedenza Rione Santa Lucia, per la presenza di una suggestiva basilica dedicata alla protettrice della vista.

Il Rione della Bellezza si trova in una zona particolarmente centrale di Napoli e comprende diversi monumenti visitabili, sia in termini di edifici religiosi sia in termini urbanistico-civili. Uno dei quali racconta ancora oggi una storia leggendaria dai risvolti mitologici.

I luoghi iconici del Rione della Bellezza 

Il primo luogo del Rione della Bellezza è sicuramente Piazza del Plebiscito, dotato di uno slargo con un’ampia visuale che esisteva fino dal secolo XVI. Sulla piazza ricade il Palazzo Reale di Napoli, che fu sede di diversi viceré, e che fu accostato sotto Gioacchino Murat dal Palazzo dei Ministri di Stato e il Palazzo per il Ministero degli Esteri. Questi due edifici vennero mantenuti anche a seguito della Restaurazione. Il nome della piazza però divenne quello di oggi con l’annessione del Regno di Napoli al Regno d’Italia, avvenuto anche grazie a un plebiscito risorgimentale.

Nel rione, come accennato, si trova inoltre la basilica di Santa Lucia a Mare, una chiesetta che subì nel tempo diversi rimaneggiamenti: le prime notizie sono datate IX secolo - che però è anche il periodo del cosiddetto “grande naufragio dei manoscritti”, per cui la documentazione antecedente potrebbe essere andata perduta. Secondo la leggenda, a fondarla fu una nipote dell’imperatore Costantino, tuttavia per molto tempo fu tenuta da monaci basiliani. Tra i lavori notevoli ci furono quelli ordinati dalla badessa Eusebia Minadoa alla fine del ‘500, l’interramento e la costruzione del nuovo edificio a seguito di lavori stradali nell’800, e poi la ricostruzione a seguito di un bombardamento del 1943.

Un monumento civile del Rione della Bellezza è invece la Fontana del Gigante, costruita da Pietro Bernini e Michelangelo Naccherino nel secolo XVII. Si tratta di una statua con archi a tutto sesto - che ispirarono tra l’altro la sigla di Carosello - con vari elementi mitologici e reali, come effigi di re e viceré.

Infine, tra i luoghi imperdibili del quartiere, c’è Castel dell’Ovo, una costruzione che nell’Antica Roma aveva la funzione di villa, ma che successivamente fu fortificata. Qui si consumò la fine dell’Impero Romano d’Occidente: a Castel dell’Ovo visse l’ultimo imperatore, il piccolo Romolo Augustolo deposto da Odoacre nel 476. Si dice che in un luogo del castello sia stato nascosto un uovo dal poeta Publio Virgilio Marone: un'eventuale rottura dell’uovo avrebbe causato il crollo del castello ma anche la distruzione della stessa città di Napoli.

Le donne del Rione della Bellezza 

Matilde Serao è, come detto, la donna che ha dato il nome al Rione della Bellezza. Vissuta tra il 1856 e il 1927, è stata giornalista e autrice di varie opere: romanzi, racconti, poesie e saggi. Tra le sue opere, Serao è anche autrice della leggenda della sirena Partenope, che dà il nome greco alla città di Napoli. "Parthenope, la vergine, la donna, non muore - scrive Serao - non muore, non ha tomba, è immortale, è l’amore. Napoli è la città dell’amore".

Partenope, secondo quanto riporta Serao, fu una bellissima fanciulla, il cui amore per Cimone fu osteggiato dalla famiglia. Così Partenope e Cimone partirono per una terra sconosciuta e non accogliente, che dopo il loro approdo, grazie all’amore dei due giovani, si trasformò in un territorio florido e meraviglioso: è così che nacque Napoli.

Secondo la leggenda classica, invece, Partenope era una sirena che, dopo aver gareggiato e perso nel canto contro Orfeo, si uccise gettandosi in mare e trasformandosi in uno scoglio. Lo scoglio in cui fu trasformata Partenope costituirebbe proprio la base su cui sorge Castel dell’Ovo.

Ultima delle donne importanti nel Rione della Bellezza è santa Lucia, cui è appunto dedicata una basilica. Santa Lucia è una mistica di origini siciliane, al centro di un culto però molto vivo nella metropoli partenopea: a lei si sarebbe rivolto perfino Totò per guarire da una malattia agli occhi.

Santa Lucia è al centro di una suggestiva processione che si tiene ogni 13 dicembre, giorno dedicato alla religiosa: durante la processione vengono accese candele ma è previsto anche uno spettacolo pirotecnico a simboleggiare la luce che la santa riesce sempre a restituire al mondo.

Napoli Svelata. Le donne di Napoli: da Partenope alle Madonne della street art, viaggio nella città più femmina d’Italia. Lucia Nillo su Il Riformista l'11 Febbraio 2022 

Napoli è femmina, è figlia di una sirena e del suo canto. Tutti sanno che la prima città fondata dai greci sul monte Echia prese il nome di Partenope, in onore della sirena che si suicidò per non essere riuscita ad incantare l’astuto Ulisse. Ma non tutti sanno che le sirene nell’antichità non erano metà donna metà pesce come la sirenetta della Disney. Questa iconografia si diffonde a partire dal Medioevo grazie al contatto con le culture dei popoli del nord Europa.

Nell’antichità le sirene erano delle arpie: metà donna metà uccello rapace. A Napoli c’è una rappresentazione fedele alle sembianze originali della sirena omerica a Via Giuseppina Guacci Nobile, dove si conserva una fontana di marmo appartenente alla Chiesa di S.Caterina della Spinacorona, che rappresenta la sirena Partenope con le ali e le cosce da uccello rapace e il busto di donna, dai cui seni sgorga l’acqua (ecco perché è chiamata anche fontana delle zizze) che spegne la lava del Vesuvio e che rappresenta il lac Virginis, il latte salvifico. Sul lato destro del vulcano si nota un violino che rimanda alla natura di divinità musicale di Partenope, come intesa da Platone. Napoli, quindi, è nata sotto il segno della musica.

Sancha di Maillorca

Dall’antichità facciamo un salto nel Medioevo. La storia della donna coincide spesso con le storie di tante donne che non sono state libere di fare quello che volevano nella vita: quella di Sancha di Maillorca (o d’Aragona) è la storia di una donna che desiderava ardentemente consacrarsi a Dio ma è stata costretta per motivi politici a diventare la seconda moglie del re di Napoli, il grande mecenate del Trecento Roberto d’Angiò.

Per esprimere la sua devozione, Sancha si fece promotrice della costruzione di molti conventi, come il monastero di S. Chiara, la Santa Casa dell’Annunziata e il convento di Santa Croce. Dopo la morte del re, accettò la reggenza del regno come tutrice dell’erede al trono, la giovanissima nipote Giovanna, ma una volta terminati i suoi compiti politici, realizzò finalmente la sua vocazione: prese i voti, si ritirò a vita monastica e morì come Suor Chiara.

Enrichetta Caracciolo

Al contrario di Sancha, innumerevoli donne sono state costrette alla vita monastica. Questa è la storia di una donna e del suo diritto alla libertà: Enrichetta Caracciolo era un’adolescente vivace e animata dalla passione politica, quando un giorno a sua insaputa fu portata e rinchiusa nel convento di S. Gregorio Armeno. Provò a sciogliere i voti, ma fu accusata di eresia, punita e perseguitata con il divieto di leggere, scrivere, suonare il pianoforte.

Scappò dal convento, ma fu arrestata e incarcerata. Tentò il suicidio, ma riuscì solo a ferirsi, rimase in isolamento per un anno, dopodiché uscì ed entrò a far parte delle reti cospirative che preludevano all’Unità d’Italia. Dopo l’arrivo di Garibaldi, Enrichetta appese finalmente il velo al chiodo, sposò un patriota e diventò una giornalista impegnata soprattutto per l’emancipazione della donna, trasformando il suo dolore in qualcosa di costruttivo per tutte le donne.

Ogni donna una madonna

E arriviamo al presente con le sue forme d’arte contemporanea. Per le strade del centro di Napoli spicca una serie di immagini di madonne “sexy” che scandalizza i napoletani da circa un anno: è l’opera fraintesa di una street-artist napoletana, che vuole rimanere anonima, che ha saputo trasformare l’esperienza di violenza sessuale in un processo creativo. Un “amico” ha provato a spogliarla contro la sua volontà solo perché indossava una scollatura. Così ha elaborato il trauma studiando grafica e realizzando stencils che rappresentano madonne in decolté, non per dissacrare la Vergine, ma per estendere il concetto di sacralità ad ogni donna, indipendentemente da cosa indossa: ogni donna dovrebbe essere trattata con lo stesso rispetto, ogni donna è sacra come una madonna. Napoli, secondo l’artista, è la capitale della capacità di credere in se stessi.

Lucia Nillo. Storyteller ed esperta di progettazione della fruizione narrativa del patrimonio culturale

"Spero con tutto il cuore che avrà giustizia ma purtroppo sono convinto che questo non avverrà". Omicidio Ugo Russo, il papà di Davide Bifolco: “Ho perso due figli. Giustizia? Mi vergogno di essere italiano”. Francesca Sabella su Il Riformista il  4 Novembre 2022

A Davide Bifolco e Ugo Russo è toccato lo stesso destino: morti per mano di un carabiniere. Davide aveva 17 anni e non stava facendo una rapina, il motorino sul quale viaggiava con altri due amici non era assicurato. A quel punto la gazzella dei Carabinieri parte all’inseguimento del motorino, sospettano che a bordo viaggi un latitante, non è così. L’auto sperona il motorino che sbanda, i tre finiscono a terra e inizia l’inseguimento a piedi. Uno dei carabinieri impugna la pistola e spara a Davide che si trovava a terra. Davide muore sul colpo.

Sono passati otto anni da quella notte maledetta e il carabiniere che sparò è stato condannato a due anni e due mesi per omicidio colposo. Pochi giorni dopo la sentenza, il fratello di Davide ha avuto un infarto: “è morto di dolore” è l’accusa della famiglia. Il papà Giovanni Bifolco ha perso due figli e ancora oggi grida giustizia. «Non l’abbiamo mai avuta, mai. Spero con tutto il cuore che Ugo, invece, avrà giustizia ma purtroppo sono convinto che questo non avverrà. Finirà con una condanna piccolissima o addirittura con l’assoluzione – sostiene Bifolco – Ugo stava commettendo un reato, ok, mio figlio nessun reato, entrambi morti per mano dello Stato: è inaccettabile». Com’è inaccettabile che la denuncia fatta dalla famiglia di Davide non sia mai stata presa in considerazione durante il processo.

«Abbiamo denunciato l’inquinamento di prove e, a distanza di anni, non abbiamo mai avuto risposte – racconta Bifolco – Carabinieri e operatori del 118 quella notte hanno alzato mio figlio da terra che era già morto, gli hanno messo vicino una pistola di plastica: lì sopra non c’erano le sue impronte. Mia moglie corse lì quando la chiamarono e vide tutto: la dottoressa disse al carabiniere: “è morto” e il carabiniere replicò “alza il bambino da terra sennò ci rovinano». È un racconto agghiacciante, tremendo, atroce, alla stregua di questa giustizia che di giusto non ha niente. «Fosse stato un cittadino a uccidere un carabiniere a quest’ora avrebbe preso l’ergastolo – commenta Bifolco – Perché solo due anni e due mesi al carabiniere che uccise Davide? È una domanda da un milione di dollari, non me lo spiego da quattro anni a questa parte. L’altro mio figlio dopo questa sentenza vergognosa ha avuto un infarto ed è morto. Io ho perso due figli per mano dello Stato».

È una giustizia sempre più lontana dai cittadini, lenta, opaca nella quale si stenta a credere e non perché dia risposte sbagliate, ma perché spesso non le dà proprio. «Se credo in questo Stato? Assolutamente no. Mi vergogno di essere italiano». E poi il fango gettato sul nome di Davide, come su quello di Ugo perché figli delle periferie con un destino, in parte, scritto fin dalla nascita. «Oggi dopo le sentenze del tribunale, inchieste e libri che comprovano che avevamo ragione noi (se mai la ragione bastasse a lenire il dolore quando ti uccidono tuo figlio in quel modo) mi aspetterei almeno questo, cioè che si parlasse di Davide come un ragazzino innocente che, se non l’avesse ucciso quel carabiniere, avrebbe 25 anni» chiosa il papà di Davide.

Francesca Sabella. Nata a Napoli il 28 settembre 1992, affascinata dal potere delle parole ha deciso, non senza incidenti di percorso, che sarebbero diventate il suo lavoro. Giornalista pubblicista segue con interesse i cambiamenti della città e i suoi protagonisti.

Ugo Russo, per la Procura fu omicidio: “Carabiniere lo colpì alla testa mentre scappava”. Redazione su Il Riformista il 2 Novembre 2022 

Ci sono voluti due anni e mezzo, ma finalmente la Procura di Napoli ha ricostruito il ‘film’ di quanto accaduto nella notte tra il 29 febbraio e il primo marzo 2020 nella città partenopea, quando il 15enne Ugo Russo venne ucciso da un carabiniere libero dal servizio al quale aveva tentato di rapinare l’orologio mentre era fermo in auto in via via Generale Orsini, nella zona di Santa Lucia.

Indagini lunghissime e snervanti per i familiari di Ugo, che però hanno ora portato ad accertare secondo la Procura quanto accaduto quella notte: il militare, oggi 26enne e che è tornato in servizio al Nord, ha sparato quattro colpi di pistola, due da distanza ravvicinata e due quando Ugo, già ferito alla spalla, era in fuga verso lo scooter guidato dal complice.

Uno dei proiettili lo raggiunto sotto lo sterno, l’altro alla testa, uccidendolo. Questa la ricostruzione della Procura nell’indagine coordinata dalla procuratrice reggente Rosa Volpe, che ha chiuso ufficialmente l’inchiesta: per il carabiniere il rischio ora è di andare a processo per omicidio volontario.

Lo scenario non è infatti quello della legittima difesa, neanche sotto il profilo dell’eccesso colposo: il carabiniere ha sparato infatti mentre Ugo tentata di fuggire, dandogli le spalle e non potendo essere quindi una minaccia. Per la difesa del militare, rappresentato dagli avvocati Enrico Capone e Mattia Floccher, ci sono venti giorni di tempo per replicare: potranno chiedere interrogatori, depositare memorie o proporre supplementi di indagine.

La versione del carabiniere è quella di essersi qualificato quando Ugo gli ha puntato contro una pistola, la replica giocattolo di una Beretta 52 priva del tappo rosso, e di aver sparato alla vista dell’arma temendo per la sua vita e per quella della ragazza che era con lui. Russo, secondo quanto accertato dalla Procura, è stato colpito da un proiettile da distanza ravvicinata, e da altri due mentre era in fuga.

Nelle ore successive all’omicidio tra i parenti e amici di Ugo si scatenò la rabbia: venne prima assalto il pronto soccorso dell’ospedale Vecchio Pellegrini; poi vennero esplosi colpi d’arma da fuoco in piazza Carità, contro la caserma Pastrengo dove ha sede il comando provinciale dell’Arma dei Carabinieri.

Il fumetto sul 15enne ucciso da un carabiniere durante una rapina. Zerocalcare racconta la tragedia di Ugo Russo, folla ai Quartieri Spagnoli: “Non se l’è cercata”. Antonio Lamorte su Il Rifromista il 25 Febbraio 2022. 

A chiedere verità e giustizia non sono più solo il padre Vincenzo, la madre Sara, la famiglia e i conoscenti, il Comitato Verità e Giustizia per Ugo Russo e quella parte di città che ha seguito la vicenda. A chiedere verità e giustizia per Ugo Russo saranno almeno altrettante persone, qualche centinaio sicuramente, forse anche di più, a giudicare da piazza Montecalvario piena, nel cuore dei Quartieri Spagnoli, per la presentazione della storia – la tragedia terribile di una rapina finita male e di un’indagine ancora non chiusa – che il fumettista romano Zerocalcare (nome d’arte di Michele Rech), autore di culto di questi anni, ha scritto e disegnato e che è stata pubblicata su L’Essenziale.

Strati, è stato intitolato il fumetto. Ugo Russo è stato ucciso il primo marzo del 2020 durante un tentativo di rapina: un carabiniere 23enne in borghese gli sparò tre volte nel quartiere Santa Lucia. Il 15enne con una pistola finta lo aveva minacciato, voleva il Rolex. Il fumetto ha descritto come uno dei tre colpi abbia raggiunto Russo alla nuca, il cadavere sul selciato a otto metri dall’automobile. La famiglia chiede di sapere se il figlio è stato ammazzato mentre tentava di scappare. L’inchiesta però è andata avanti con molta lentezza. L’indagine per omicidio volontario. “Di sicuro è la storia di uno Stato in cui se vieni ammazzato da un uomo in divisa, non sei più una vittima”, ha scritto Zerocalcare nelle vignette.

Strati, il titolo: come quelli della città dei “mariuoli” e quella della “Napoli bene”, quella del boom del turismo e quella dei lavoratori sfruttati, quella della “guerra ai murales” e quella dei “vicoli dell’Arte”, quella immancabilmente di Gomorra e quella del: “Se l’è cercata”. Ha detto il padre di Ugo Russo: “Michele ha avuto il coraggio di scrivere la vera storia, quella che c’è nel fumetto. Non giustifico mio figlio, ha sbagliato, ma ha pagato troppo caro il suo errore. Se ci sarà verità e giustizia per lui ci sarà verità e giustizia per tutti“. La vignetta che più di altro ha colpito Vincenzo Russo è quella con il proiettile che perfora il cranio del figlio.

Altra testimonianza, quella di Gianni Bifolco, padre di Davide, il 17enne ucciso nel settembre 2014 dai colpi esplosi da un carabiniere nel Rione Traiano. “Mio figlio non aveva fatto nessuna rapina ma lo hanno ucciso lo stesso. Mi fa male che dopo due anni stiamo ancora a zero. Non è che non doveva succedere più, non doveva proprio succedere. E ho paura che i nostri figli saranno gli ultimi. I magistrati si chiedano se fossero stati i loro figli a morire così”. Altra voce, quella di Leticia Mandragora, l’artista che ha realizzato il murales dedicato a Ugo Russo – che il Tar ha deciso si dovrà cancellare, è stato fatto ricorso al Consiglio di Stato. “Sono schifata da come è stata gestita questa situazione. La storia va raccontata. Maradona lo hanno compreso tutti quando ha sbagliato, anche quando era vivo, e lui ha sbagliato tante volte, quindi vanno capiti anche gli altri. Caravaggio raccontava la gente di strada, forse perché certa gente ha visi più comunicativi, che raccontano di più. E invece noi non abbiamo la possibilità di esprimerci. Io sono denunciata per abuso edilizio“, e a dirlo pare ancora incredula, sicuramente è  incazzata.

Zerocalcare ha raccontato di aver appreso la prima volta la storia dai giornali, senza che gli restasse particolarmente impressa. Poi a Catania ha incontrato Enzo Russo. “Ci ho visto qualcosa in comune con delle storie che ho attraversato, molto vicine a me. Sono venuto a Napoli, ho parlato con il comitato. Il fumetto è qualcosa di collettivo, il frutto di un lavoro fatto con altre persone. Ma le difficoltà di parlare di questa storia è cominciata prima che uscisse: solo a dire che sarebbe stato pubblicato un fumetto su questa vicenda si sono innescate una serie di polemiche, di persone offese come se la richiesta di accertare un fatto fosse di per sé inaccettabile“.

La polemiche sempre le stesse: il modello, la celebrazione del crimine, i cattivi esempi e la cattiva strada. “Sono incredulo. In 23 pagine c’è una vignetta in cui Ugo viene raccontato non solo come un ragazzo che faceva una rapina ma come qualsiasi 15enne, come una persona umana. Sono state dette, come in altri casi simili, tante cose che non c’entrano niente, come se qualsiasi argomentazione possa costituire una giustificazione a sparare in testa a un ragazzo ferito che scappa. Questo è allucinante“. Centinaia di persone hanno sventolato l’album della storia di Zerocalcare. Domani il corteo per chiedere Verità e Giustizia per Ugo Russo. A cercare di riassumere in uno slogan – come hanno scandito tutti – la mobilitazione: Ugo Russo “non se l’è cercata”.

Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

Il papà: i colpi esplosi sono stati cinque e non tre. La storia di Ugo Russo, ucciso da un carabiniere durante una rapina: “Dov’è il processo?”. Francesca Sabella su Il Riformista il 19 Febbraio 2022. 

Sono passati quasi due anni da una notte maledetta, dalla notte del 1 marzo 2020 nella quale Ugo Russo, un ragazzino di soli 15 anni, venne freddato da due colpi di pistola durante un tentativo di rapina. A sparare fu un carabiniere fuori servizio, bersaglio del giovane che con una pistola (poi risultata essere giocattolo) voleva rapinargli l’orologio. Il fumettista italiano Zerocalcare ha realizzato una storia sull’omicidio di Ugo e “si tratta di una narrazione oltre le censure preventive” hanno fatto sapere i rappresentanti del Comitato per la rivendicazione di Verità e Giustizia per Ugo Russo.

Ventiquattro pagine (allegate a L’Essenziale, settimanale di Internazionale), per provare a ricostruire quei momenti drammatici. Ma a due anni dall’accaduto, le ombre sono ancora tante, troppe e la giustizia tarda a fare luce. «Ho conosciuto Zerocalcare a Catania, in occasione di un convegno – spiega Vincenzo Russo, il papà di Ugo – Gli ho raccontato la storia di mio figlio e lui ha deciso di approfondirla ed è nata così l’idea dello speciale in edicola oggi. Il fumetto racconta tante cose finora non dette». E a quanto pare le cose non dette sono tante, troppe, e il non dire e questo silenzio assordante avvolgono la storia di Ugo e la rendono la storia di una giustizia che non funziona, che non dà risposte. «Noi viviamo in un limbo da due anni – racconta Russo – Non riusciamo a capire perché non inizi il processo, perché stanno tutti fermi, perché continuano ad attaccarci, perché continuiamo ad apprendere le notizie dai giornali invece che da fonti istituzionali. Si continua a parlare dei miei precedenti penali – continua – del murales e non si parla delle cose veramente importanti. Per esempio che i colpi esplosi contro mio figlio erano cinque e non tre come è stato detto finora. Il carabiniere ha premuto il grilletto cinque volte».

Cinque colpi e non tre, come emerso finora, contro Ugo stando al racconto del genitore. L’ultimo colpo, quello fatale, sarebbe stato esploso da lontano, quindi mentre Ugo, già colpito da un proiettile al petto, tentava la fuga e non era quindi nella posizione di poter fare del male al carabiniere, all’epoca 23enne e in servizio da pochi mesi a Bologna. Se fosse vero, sarebbe un dettaglio fondamentale per l’esito del processo al militare. «Credo che se a sparare fosse stato un altro cittadino, il processo sarebbe già iniziato – afferma Russo – Sono successe tante cose in questo periodo, chi ha sbagliato si trova in carcere, poi c’è mio figlio che ha pagato con la vita e chi ha sparato è ancora libero». Sul carabiniere pesa un’accusa gravissima: omicidio volontario. Eppure, nel suo caso la giustizia non si muove. Molto più veloci, invece, le decisioni sui nove amici e parenti di Ugo che dopo la notizia della morte del quindicenne devastarono il pronto soccorso dell’Ospedale Pellegrini e spararono nei pressi dell’ingresso della caserma dei Carabinieri. Già processati e condannati.

«Non sono state ancora concluse le indagini preliminari, per il momento il carabiniere è a piede libero – commenta il papà di Ugo – Aspetto ancora risposte e aspetto una giustizia che finora non c’è stata. Se avesse avuto ragione il carabiniere, le indagini sarebbero già finite e invece è tutto fermo e non so spiegarmelo». Indagini ferme e non solo. L’esito dell’autopsia sul corpo di Ugo è arrivato dopo molti mesi e non è ancora in grado di spiegare la dinamica dei fatti, cosa è successo davvero quella sera. «Abbiamo avuto l’esito dell’autopsia dopo più di un anno ma si tratta di un documento confuso, ci dicono che si devono ancora fare delle verifiche, delle perizie. Viviamo in un silenzio lacerante, che giorno dopo giorno si fa sempre più forte».

La famiglia di Ugo non vuole una vendetta, ma la verità, perché la storia di una rapina finita male va bene per un titolo di giornale. Il giorno dopo chi ha il dovere di farlo, deve spiegare perché un ragazzo di 15 anni è stato freddato con due colpi di pistola. «Voglio capire se mio figlio poteva essere arrestato e avere la possibilità di fare i conti con il suo errore oppure non c’era altra soluzione che ucciderlo» dice Vincenzo Russo. Ugo ha perso la vita, la giustizia la sua funzione. Abbiamo perso tutti, per ora. Ugo era figlio di due genitori che non vivono più da quella notte di due anni fa. Era figlio di questa città e di tutti noi. Nessuno si senta assolto.

Francesca Sabella. Nata a Napoli il 28 settembre 1992, affascinata dal potere delle parole ha deciso, non senza incidenti di percorso, che sarebbero diventate il suo lavoro. Giornalista pubblicista segue con interesse i cambiamenti della città e i suoi protagonisti.

L'episodio nella notte a Napoli. Ambulanza soccorre paziente a casa, tagliano gli penumatici del mezzo di soccorso: “E se serviva a un loro parente? Antonio Lamorte su Il Riformista il 6 Febbraio 2022.

L’equipaggio era intervenuto per soccorrere un paziente a casa. Quando i sanitari sono tornati all’ambulanza hanno trovato gli pneumatici del mezzo di soccorso tagliati. È successo la scorsa notte a Napoli. Alla postazione 118 del Loreto Crispi. L’intervento era stato condotto nel Rione Traiano.

A denunciare l’accaduto la “Nessuno Tocchi Ippocrate”, l’organizzazione che segnala aggressioni verbali e fisiche, insulti, minacce, atti di vandalismo ai danni del personale sanitario. È una pagina Facebook, attiva a Napoli, e che sarebbe pronta ad allargarsi ed estendersi per fare lo stesso attivismo a livello nazionale.

Il post sulla pagina social: “Tagliano gli pneumatici all’ambulanza! È successo stanotte intorno alle 2.00 alla postazione 118 del Loreto Crispi mentre era impegnata in un intervento di soccorso a Rione Traiano a Napoli. L’amara scoperta al rientro dell’equipaggio nel mezzo di soccorso. Fortunatamente il paziente è stato trattato a domicilio e non necessitava di trasporto in ospedale altrimenti questa disavventura si sarebbe tramutata in tragedia“.

I commenti al post tutti sulla stessa linea: “Ignoranti”, oppure “assurdo”, la maggior parte non riportabili, per i termini piuttosto duri. E tanti fanno notare che quell’ambulanza sarebbe potuta servire a un loro parente o a loro stessi. Solo qualche giorno fa “Nessuno tocchi Ippocrate” segnalava sputi e parolacce all’equipaggio di un’ambulanza intervenuta a Melito, un’aggressione al personale dell’Ospedale Pellegrini, perfino un’infermiere di una postazione 118 colpito da un pugno.  La pagina descrive la situazione di trincea che spesso infermieri e medici si trovano a fronteggiare.

Nessuno Tocchi Ippocrate registra e riporta circa 70 aggressioni all’anno. Sono quasi 38mila i follower della pagina social. “Raccogliamo denunce da tutta Italia ma attualmente rendicontiamo solo quelle di Napoli, da gennaio parte il progetto Nti Italia, ogni Regione avrà il comitato regionale che registrerà le proprie aggressioni”, raccontava a Il Corriere del Mezzogiorno il medico e responsabile della pagine Manuel Ruggiero.

Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli. 

Decisiva la perizia psichiatrica. Gratta e Vinci rubato a Napoli, scarcerato il ‘tabaccaio’ scappato col tagliando: “Era incapace ​di intendere e di volere”. Redazione su Il Riformista il 7 Febbraio 2022.  

Quando rubò il Gratta e Vinci da 500mila euro a ‘Zia Anna’, come era conosciuta nel quartiere Materdei di Napoli la signora, era “in uno stato di incapacità parziale di intendere e di volere”. È questo l’esito della perizia psichiatra svolta da Adele Masi, consulente d’ufficio del giudice per le indagini preliminari Marco Giordano, su Gaetano Scutellaro.

Quest’ultimo era diventato ‘famoso’ a Napoli e non solo dopo aver rubato il ticket vincente da mezzo milioni di euro alla donna, che l’aveva comprato nel tabacchi gestito dalla famiglia di Scutellaro nel quartiere. 

L’uomo, 57 anni, ingannò l’anziana signora che si era affidata a lui per verificare la validità del tagliando vincente: Scutellaro invece salì sullo scooter per scappare. Venne fermato dalle forze dell’ordine il 5 agosto 2021 all’aeroporto di Fiumicino, dove si era recato dopo aver depositato il biglietto vincente in un banca di Latina, con l’obiettivo di volare alle isole Canarie. 

Dopo la perizia psichiatrica, scrive Il Mattino, Scutellaro è stato scarcerato ottenendo gli arresti domiciliari. Proprio dopo il fermo il suo avvocato, Vincenzo Strazzullo, aveva sostenuto che l’uomo era malato e non si poteva curare in carcere.

Scutellaro a fuga terminata aveva anche provato a ribaltare la situazione: “Quel Gratta e Vinci è mio, la vecchietta è una bugiarda”, aveva detto in una intervista. “Il biglietto l’ho fatto comprare io da un mio conoscente il giorno prima, alla signora avevo chiesto soltanto di andare a riscuotere la vincita che credevo ammontasse soltanto a 500 euro. Volevo fuggire all’estero perché non mi sento sicuro a Napoli. Io non sono il tabaccaio, ma l’ex-marito della titolare. Dopo aver grattato mi ero accorto di una vincita, ma credevo ammontasse solo a 500 euro. Ho chiesto un piacere alla signora, se potesse ritirarla al posto mio”, era stata la versione di Scutellaro, alla quale i magistrati non hanno creduto. 

Da Ansa il 30 luglio 2022.

Cinque anni di carcere e 3200 euro di multa: è la condanna emessa dal giudice di Napoli Emilia Di Palma nei confronti di Vincenzo Scutellaro, il 58enne accusato di aver sottratto un "Gratta e Vinci" da 500mila euro a una 69enne, nella tabaccheria di via Materdei, a Napoli, il 2 settembre 2021. La sentenza è giunta al termine di un processo celebrato con il rito abbreviato. 

Oggi, la Procura di Napoli, al termine della requisitoria del pm Enrica Parascandolo aveva chiesto sei anni di carcere e una multa di 5mila euro. Come il Riesame prima di lei, il sostituto procuratore, durante la sua requisitoria, ha definito "tragicomica" la vicenda che ha visto protagonista Scutellaro e che ha fatto praticamente il giro del mondo. Per il pm il comportamento "post delictum" di Scutellaro è stato caratterizzato da consapevolezza, spregiudicatezza e da mancanza di una qualunque forma di pentimento.

Secondo il magistrato, infatti, l'imputato ha portato avanti "...un diabolico disegno criminoso volto ad assicurarsi il profitto del delitto". All'imputato gli inquirenti contestano un tentativo di estorsione, in relazione alla richiesta di ritirare la denuncia che si sarebbe concretizzato formulando al nipote della vittima la richiesta di ritirare la denuncia, e il furto aggravato del biglietto vincente.

Una perizia mise in dubbio le capacità di intendere e volere di Scutellaro che invece vennero poi ritenute sussistenti una seconda consulenza. L'avvocato di Scutellaro ha subito annunciato il ricorso in appello. Oggi, al termine della sua arringa, ha chiesto per il suo assistito l'assoluzione per il reato di tentata estorsione e l'esclusione dell'aggravante per il furto: per entrambi i capi di imputazione è stato poi chiesto il riconoscimento del vizio parziale di incapacità di intendere e volere. 

In relazione al reato di estorsione il pm Parascandolo, durante la requisitoria, ha evidenziato che al nipote della vittima viene prospettato dall'imputato che l'unico modo di non perdere la vincita era mettersi d'accordo ritirando però la denuncia ai suoi danni e questo, ha evidenziato il pm, "sicuramente integra una minaccia implicita, elemento costitutivo dell'estorsione". Scutellaro riferì anche di avere agito su indicazione di alcune voci, che sentiva rimbombare nella sua testa ma per il pm, Scutellaro, è stato afflitto da alcune patologie nel '91 ma nel 2021 ha invece agito in piena consapevolezza. Infine, per il magistrato, non è possibile non tenere conto della significatività del suo casellario giudiziario.

A seguire c'è stata l'arringa del difensore di Scutellaro, l'avvocato Vincenzo Strazzullo, il quale ha prima ricordato la risonanza internazionale della notizia ("mi ha telefonato anche un giornale americano", ndr) "solo per un furto" e poi sottolineato una circostanza che dimostrerebbe la sua disponibilità a collaborare: Scutellaro si è presentato spontaneamente, invece di partire, alla polizia di frontiera dell'aeroporto di Roma.

Strazzullo ha voluto replicare al pm circa in l'accusa di minacce: "Nella telefonata (intercettata, ndr) è il nipote della donna a dire 'mettiamoci d'accordo', Scutellaro nemmeno sa della denuncia. E, quindi, è dove sta la minaccia?" Strazzullo ha ricordato l'iniziale "incapacità di intendere e volere" emersa dalla prima perizia, poi ribaltata da una seconda consulenza, frutto di una richiesta che il legale definisce "quanto meno anomala".

Rischia di essere abbattuta perché costruita su territorio con vincolo paesaggistico. Il paradosso della scuola abusiva costruita dal Comune: “Si sono persi le carte, ma per il territorio è fondamentale”. Rossella Grasso su Il Riformista il 7 Febbraio 2022.  

Sulla scuola in costruzione di via della Rotondella sembra essere piombata la stessa maledizione della Bella Addormentata nel Bosco. Nella fiaba la principessa si pungeva con l’arcolaio e su tutto il castello crescevano rovi e tutto restava fermo. E lo stesso è successo alla scuola che è stata costruita nel territorio di Chiaiano ai tempi della giunta Iervolino. O meglio, è stata autorizzata nel 2002 ma nel 2008, a cantiere iniziato si ci accorse che non c’erano i permessi per costruire in quel luogo legato a vincoli paesaggistici. Ma che fine hanno fatto quelle carte?

Salvatore Passaro, energico consigliere della Municipalità 8 che da 20 anni segue il difficile iter di quella scuola ne ha ricapitolato la storia: “Quando si è innescato il meccanismo che la scuola della Rotondella non aveva le autorizzazioni, il Sovrintendente Cozzolino ha relazionato al Ministero dei beni ambientali che quella scuola andava completata anche per migliorare la qualità della vita del circondario – dice il consigliere – Evidentemente lo stesso sovrintendente si era reso conto che le strutture in quella zona erano precarie. Così è stata fatta richiesta di autorizzazione al ministero dei beni ambientali. Poi è sopraggiunto un nuovo sovrintendente e lì il silenzio totale. Poi c’è stata una segnalazione che la scuola è priva di documenti e infine la disposizione dell’ultimo sovrintendente che ha stabilito che ha stabilito che la scuola non può stare in piedi. Intanto sono cambiati sovrintendenti, sindaci, assessori e tecnici del comune. Per un fatto logico io dico che quelle carte sono andate perdute, non è possibile che si sia costruito senza autorizzazioni”.

A oggi la scuola non è sottoposta a sequestro giudiziario, nessuna sentenza della Procura per l’abbattimento, ma le carte dicono che quella scuola non può stare lì. “Eppure anche se non sono un tecnico ma sono le carte che parlano – dice il consigliere Passaro – Rotondella è una scuola sicura. Non si trovavano i saggi geologici della scuola. Tempo fa commissionammo a una società che si è occupata di dissesto idrogeologico della Collina dei Camaldoli, hanno fatto un saggio a 7 metri, una sonda non si è potuta recuperare perché hanno incontrato il tufo, quindi non è terreno da riporto. Abbiamo trovato anche i saggi geologici presenti al Genio Civile della Regione”.

Dramma abusivismo a Napoli, palazzina abbattuta e quattro bimbi in strada: “Trattati come animali”

La scuola dunque c’è anche se è abbandonata e il cantiere sembra essere interrotto da poco. Basterebbe metterci mano nuovamente e sarebbe pronta ad ospitare circa 400 alunni che di scuola hanno sete e bisogno. Non solo. “Questo è un territorio ricco di tessuto associativo ma che presenta tantissimi fenomeni di disgregazione sociale – dice Nicola Nardella, da poco presidente della Municipalità 8 – La disgregazione sociale si combatte incrementando le scuole sul territorio. La perdita di quella scuola sarebbe una sconfitta che io reputo gravissima”.

Salvatore Passaro segue la vicenda da oltre 20 anni. All’epoca si iniziò come circoscrizione di Chiaiano al recupero del bene comunale. Allora Passaro era il presidente della commissione Ptrimonio della circoscrizione Chiaia: “Il Comune di Napoli negli anni ’60 comprò questo suolo per realizzare edilizia residenziale pubblica – dice – Fu occupata abusivamente e come prima cosa facemmo delle azioni per il recupero del bene comunale. Da lì la necessità di costruire la scuola in un territorio in cui ce n’è un gran bisogno”.

Quella scuola nei progetti della Municipalità potrebbe diventare un vero punto di riferiemnto per tutta la comunità. Una struttura aperta a tutti, dai bambini ai nonni passando per le famiglie, offrendo attività sportive e ricreative, diventando un vero polo di aggregazione sociale. Non solo. È circondata da molti ettari di terreno che consentirebbero ai vicini ospedali di avere la loro pista di atterraggio per l’elisoccorso. “Ho sentito il vicesindaco e c’è da dire che intanto c’è un grande lavoro istruttorio da fare perché la questione è molto complessa – ha detto il presidente della Municipalità- Posso rappresentare che c’è un grande interesse a non usare soluzioni di forza”.

Rossella Grasso. Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Tra le varie testate con cui ha collaborato il Roma, l’agenzia di stampa AdnKronos, Repubblica.it, l’agenzia di stampa OmniNapoli, Canale 21 e Il Mattino di Napoli. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. E’ autrice del documentario “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.

Fulvio Bufi per il “Corriere della Sera” il 5 Febbraio 2022.

In uno dei quartieri più verdi di Napoli, dove il territorio è ricco di un bellissimo bosco ma anche di troppe case e villette abusive, c'è una scuola destinata a quattrocento bambini che il Comune ha costruito e che ora il Comune stesso dovrà distruggere. Perché l'ha realizzata all'interno del grande parco e non poteva farlo. In pratica ha tirato su un fabbricato abusivo. E adesso è arrivata la decisione definitiva della soprintendenza: abbattimento. Con relativo atto di rinvio - affinché dia il via all'azione delle ruspe - all'ente competente: il Comune.  

È l'epilogo surreale di una vicenda iniziata vent' anni fa, passata per le mani di due sindaci che si sono guardati bene dal cercare una soluzione, e arrivata come una sgradita eredità sul tavolo di Gaetano Manfredi, che guida Palazzo San Giacomo dal 18 ottobre scorso e che in questa storia si trova davanti due sole opzioni: o riesce a tirare fuori rapidamente una soluzione fuori tempo massimo, oppure gli toccherà annoverare tra i suoi primi atti contro l'abusivismo edilizio - se non il primo in assoluto - un autoabbattimento (proprio in un periodo in cui gli studenti rivendicano strutture nuove e più confortevoli). 

La scuola in questione non è mai entrata in funzione, ma se rimanesse in piedi potrebbe farlo in poco tempo, giusto quello che serve per montare gli infissi e sistemare le ultime rifiniture. Si trova sulla collina dei Camaldoli, ai margini di quella che a Napoli viene chiamata la selva, un bosco che ha resistito all'urbanizzazione selvaggia della zona e che negli anni scorsi è diventato un parco cittadino, e rientra quindi nelle aree protette.  

Il progetto venne approvato nel 2002, quando il sindaco era Rosa Russo Iervolino. Sei milioni di euro la spesa prevista per un plesso che avrebbe dovuto accogliere scuola d'infanzia, elementare e media. Ma per dare il via ai lavori, tra adempimenti burocratici e varie ridefinizioni del progetto, sono passati sei anni, durante i quali l'investimento è sceso a un milione e mezzo; con l'eliminazione di scuola elementare e media. 

Nel 2010, però, quando ormai l'opera era quasi pronta, ecco il blocco. Il responsabile del cantiere si accorge che mancano i permessi della Soprintendenza e rileva quindi «la necessità di conseguire il parere di competenza del ministero per i Beni e le Attività Culturali e l'adozione di opportuna variante allo strumento urbanistico vigente nel Comune di Napoli». Da quel momento tutto resta fermo.  

Il quotidiano Il Mattino, che per primo ha raccontato questa storia, ha raccolto l'amaro sfogo di chi nella municipalità di Chiaiano, che comprende l'area dei Camaldoli, si è battuto inutilmente per anni in favore dell'apertura della scuola, e le parole di speranza del vicensindaco Mia Filippone che intende fissare al più presto un incontro con il soprintendente Luigi La Rocca. Ma firmando quell'atto La Rocca ha già chiuso la questione: per lui l'abuso è insanabile e va eliminato. 

La storia infinita e l’errore che si ripete. Bagnoli, la storia infinita e l’errore che continua a ripetersi. Osvaldo Cammarota su Il Riformista il 4 Febbraio 2022. 

Bagnoli, trent’anni dopo la dismissione degli impianti Italsider. Trent’anni di stallo. Tutti dovremmo chiederci perché un luogo così bello, al centro dell’attenzione dello Stato, con tutti i soldi investiti e/o stanziati, stenti a “rigenerarsi”. Non credo ci sia un territorio più studiato, esplorato, “trivellato” di questo. Ma purtroppo le numerose elaborazioni prodotte non hanno mai formato un “insieme” per consentire al sistema pubblico di formare un “pensiero condiviso” sul futuro possibile di quest’area.

Peraltro l’aspetto più critico deriva dalla mancanza di unitarietà di intenti che alimenta un clima di conflitti, litigiosità e farragini nella filiera istituzionale (Stato-Ministeri-Regione-Comune). In tali conflittualità si disperde il principio di unitarietà dell’azione statuale e, talvolta, anche l’orientamento al Bene Comune. Faccio un esempio. Non dubito che il PRARU (Programma di Recupero Ambientale e Rigenerazione Urbana) sia stato uno sforzo compiuto per superare le divergenze, ma a nessuno sfugge l’incertezza del percorso attuativo. Il programma, infatti, è condizionato da numerose subordinate che ne minano la procedibilità (coperture finanziarie, procedure autorizzative, valutazioni ambientali, contenziosi giuridici).

Che fare allora? A mio parere occorre agire proprio sulla leva della unitarietà dello Stato accompagnata da una strategia operativa rispettosa del luogo e delle comunità che lo abitano. Credo, inoltre, che sia stato sbagliato l’approccio praticato finora. La dico in estrema sintesi: non si può trattare un’area di tale ampiezza e complessità come se fosse un unico edificio o un “prato verde”, dove non si fa nulla se non si decide su tutto. Bisogna intervenire con il bisturi e non con la pialla. Di recente il sindaco Gaetano Manfredi ha ricordato che “il tempo non è una variabile indipendente. E che bisogna capire meglio cosa fare e quanti soldi occorrono”. Mi permetto sommessamente di aggiungere che c’è da capire anche come fare, perché i soldi non basteranno mai se non si cambia l’approccio operativo. Fino ad oggi, approssimativamente, sono stati spesi 600 milioni di euro, sono stanziati 400 milioni di euro e altri 700 sono richiesti per avviare l’incerta attuazione del PRARU.

Si pensa davvero che si possa immobilizzare un volume finanziario di tale portata in attesa che si sciolgano tutti i “nodi” del PRARU? La mia opinione è che sia indispensabile valorizzare e promuovere il capitale ambientale, sociale e imprenditoriale che è immediatamente disponibile sulla nostra piazza. Il quartiere è già dotato di strutture fisiche che si possono più razionalmente utilizzare per produrre ricchezza e benefici sociali senza ulteriori grandi opere, costose e dannose per il paesaggio. Nel luogo risiede già un “capitale sociale territoriale “fatto di persone, saperi, imprese, competenze, passioni: associazioni che in questi ultimi trent’anni hanno dimostrato un diffuso vitalismo e una volontà di partecipazione che è stata puntualmente ignorata e frustrata.

A Bagnoli non mancano anche i “vettori” di una strategia operativa virtuosa. Parlo di Città della Scienza, in cui si è da qualche mese insediato anche il DAC (Distretto Aereospaziale della Campania) e del Circolo Ilva Bagnoli, le cui attività sviluppano oltre 285 mila presenze all’anno e che ha avanzato un progetto di ri-generazione per proseguire e innovare la mission di “fabbrica di inclusione sociale” che svolge da centodieci anni. Osvaldo Cammarota

Tutti accusano tutti: è il solito teatrino. Napoli è alla deriva ma la politica inaugura il festival delle accuse. Francesca Sabella su Il Riformista il 21 Gennaio 2022. 

“Ho la sensazione che la gente agisca sempre meno e parli sempre di più. Su qualunque questioncina ci si scontra, si discute, ma poi, quando c’è da spostare una sedia, non la sposta nessuno!”. Sono sicura che Giorgio Gaber non pensava a Napoli mentre scriveva queste sue impressioni, ma è altrettanto sicuro che se non tutti, la maggior parte dei napoletani si rispecchia in questa sensazione: una valanga di parole e poi? Se c’è da spostare una sedia o trasformare i proclami in azioni, non si muove nessuno. La sindacatura di Manfredi ha festeggiato da poco i primi cento giorni e i toni dimessi ben diversi dal sindaco uscente avevano fatto sperare anche in una governance diversa.

Certo qualcosa è stato fatto, ma è ancora poco per Napoli, e ci sono state più lamentele e liste infinite delle cose che non andavano (di cui tutti eravamo a conoscenza) che fatti. Ieri ad alzare la voce e a bacchettare il sindaco è stata l’opposizione. Innanzitutto, fa piacere notare che in questa nuova stagione politica almeno un’opposizione c’è, anche se per il momento solo a parole. «I primi 100 giorni Manfredi? Solo proposte, i cittadini non vedono cambio di passo – ha tuonato Catello Maresca, leader del centrodestra in consiglio comunale – Ci sono state proposte, progetti, programmi, ma credo che i cittadini purtroppo non abbiamo ancora visto nulla. I famosi 100 giorni sono passati così – ha aggiunto Maresca – con l’immondizia che si accumula ancora per le strade, con la richiesta di sicurezza e con il decoro urbano che è sempre lo stesso». Poi l’affondo del magistrato prestato alla politica sul Patto per Napoli e l’aumento delle tasse. «I napoletani sono cittadini o sudditi? Aumentare le tasse è la strada più semplice – ha affermato Maresca nel corso della conferenza stampa sul Patto per Napoli, tema che oggi sarà al centro di una seduta monotematica del Consiglio comunale – Noi proponiamo di evitare la strada più semplice. Non mi sembra che la maggioranza, in campagna elettorale, abbia promesso l’aumento delle tasse».

Per ora si tratta di parole, speriamo diventino fatti e speriamo che non si ripeta un film già visto, quello di una destra all’opposizione che con de Magistris ha taciuto sia sul bilancio dissestato (spesso votando a favore del sindaco) sia sulla questione delle telecamere non attive. E a proposito di parole e proclami ma non di concretezza, ieri sulla questione della videosorveglianza è intervenuta anche il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese sottolineando che dopo tre mesi il Comune non ha ancora presentato dei progetti validi e che una telecamere su quattro in città non funziona. Manfredi ha temporeggiato e ripetuto per la centesima volta in cento giorni che serve tempo, che ha trovato una macchina comunale disastrata e che a breve farà tutto. A breve… nel frattempo, la città è terra di nessuno: si spara, si appiccano incendi e nessuno dice niente. Serve tempo. Quanto sarebbe bello vivere in una città dove quello che si pensa si fa e non si dice soltanto? Molto.

Nel frattempo, ieri, anche l’opposizione che fa capo alla sinistra ha avuto da ridire sull’operato di Manfredi, ma da che pulpito viene la predica? Da Alessandra Clemente, braccio destro del sindaco con la bandana arancione. «Il patto per Napoli è un bluff politico. Lo Stato ci chiede di aumentare le tasse e di tenere le porte aperte alla svendita e alla privatizzazione di Beni Comuni e servizi pubblici. Chiederemo con un ordine del giorno che ci sia lo stralcio dell’art.6 del Ddl Concorrenza che prevede la privatizzazione dei servizi pubblici della nostra città e la svendita dei nostri beni più importanti». Ecco, i beni più importanti che l’amministrazione, della quale lei ha fatto parte per dieci anni, ha distrutto. Secondo la Clemente i privati non devono mettere piede nella cosa pubblica, tralasciando quanto invece servirebbe il know how che il Comune ha abbondantemente dimostrato di non avere, perché «vogliamo di più per le napoletane e i napoletani». Gli stessi che stanno ancora aspettando le scuse e un mea culpa da chi ha ridotto in brandelli la città.

Francesca Sabella. Nata a Napoli il 28 settembre 1992, affascinata dal potere delle parole ha deciso, non senza incidenti di percorso, che sarebbero diventate il suo lavoro. Giornalista pubblicista segue con interesse i cambiamenti della città e i suoi protagonisti.

Il gigante del diritto. Tribunale di Napoli intitolato ad Alessandro Criscuolo, il giudice che ascoltava chi aveva sete di giustizia. Salvatore Prisco su Il Riformista il 21 Gennaio 2022. 

Non esco più molto di casa, la mia finestra sul mondo è Facebook, spesso disperante per quello che vi appare, a volte però no. Qui, tra l’altro, giovani donne e uomini, giustamente festanti, postano una loro fotografia, con abitudine ormai diffusa: l’ingresso del Palazzo di Giustizia di Napoli alle spalle, la mano destra alzata nel segno di un’orgogliosa V, superato l’esame orale. “Ce l’ho fatta, sono avvocato”. Una di loro si chiedeva qui ieri, autoironicamente: “Sono diventata avvocata, sognandolo fin da bambina, nel giorno in cui vi hanno tolto la scritta ‘Palazzo di Giustizia’. Sarà un caso?”. Infatti, nel momento dello scatto, alle sue spalle non si leggeva nulla, poi essa è ricomparsa in altre immagini su un precario striscione sventolante, che a pensarci bene (se fosse lasciato così) potrebbe alludere ai venti non benevoli che squassano l’amministrazione della giustizia nel nostro Paese.

Le ho dato l’ad majora, raccontandole il motivo, per una volta bello, di questa temporanea defissione. Coi pareri favorevoli della Prefettura e degli organi istituzionali della magistratura e dell’avvocatura, la Giunta municipale, che ha competenze di gestione materiale dell’edificio, ha deliberato unanime che esso fosse dedicato ad Alessandro Criscuolo e dunque si sta provvedendo. Il Presidente se n’è andato all’inizio del lockdown e si è potuto ricordarlo nell’immediato solo nei siti telematici. Oggi questa intitolazione ripara un poco ad un’assenza forzata di celebrazione per un gigante del diritto, la cui auspicata solidità egli ricordava nell’aspetto fisico massiccio, che però, a incrociarlo, non incuteva timore, ma piuttosto un’immagine di serietà, l’idea che quel giudice (non è stato mai pubblico ministero) avrebbe ascoltato con pazienza, perizia e sapienza – in una parola con equilibrio – le ragioni di chi si fosse a lui rivolto con ansia di giustizia. La voce dedicatagli su Wikipedia restituisce le tappe di una vita prestigiosa: giovanissimo magistrato dal 1964, quindi pretore a Pomigliano d’Arco e a Napoli, poi dal 1975 a Castelcapuano, dove appunto, freschissimo di laurea e all’inizio della pratica forense, lo conobbi io nella prima sezione: la crème fra tutte, dedicata allora e ancor oggi ai delicatissimi conflitti che attraversano la famiglia, in Corte d’Appello dodici anni dopo.

Nel frattempo ricopriva ruoli associativi e istituzionali di vertice: dal 1984 al 1988 presidente dell’Associazione nazionale magistrati, due anni dopo al Consiglio superiore della magistratura fino al 1994. Tornato in ruolo, in Cassazione, presiedendovi dal 2005 la sesta sezione penale e poi la prima civile. Nel 2008 alla Corte costituzionale, eletto al primo turno e dunque insolitamente senza ballottaggio, ne fu componente e presidente, fino a quando (rimanendo giudice) si dimise dalla funzione per assistere la moglie malata. Ricordo il nostro ultimo incontro: essendo stato lui relatore della nota sentenza sui matrimoni gay, avevo organizzato un convegno all’università per discuterne, invitandolo a concluderlo Si schermì signorilmente, osservando che per il ruolo avuto non intendeva strozzare il dibattito. Una sentenza che sembrava passatista, ma lasciava spiragli, come scrissi commentandola e ho avuto ragione. Questo giornale è spesso severo, con la magistratura, da sentinella dell’opinione pubblica: un ruolo che svolge bene. Se però s’incontra un grande uomo fra i giudici, onestà vuole che lo si riconosca e che ci si tolga il cappello. Salvatore Prisco

Parla la figlia dell'ex presidente della Corte Costituzionale. “Che dolore vedere il comportamento di certi magistrati”, parla Ilaria Criscuolo. Francesca Sabella su Il Riformista il 26 Gennaio 2022.

«Ho un modello di magistrato: mio padre e vedere tante storture nella magistratura di oggi, mi addolora». A parlare è Ilaria Criscuolo, avvocato penalista e figlia del giudice Alessandro Criscuolo.

Avvocato, da oggi il Palazzo di Giustizia di Napoli porterà il nome di suo padre, che effetto le fa?

«Sono ovviamente felice. È una cosa inimmaginabile per me, so che mio padre è stato amato da tutti e la cosa che più mi ha colpito da sempre. Non è scontato vedere che avvocati, giudici, personale amministrativo gli volessero così bene».

Cosa avrebbe pensato il giudice Criscuolo di questa iniziativa?

«Papà era molto riservato e non amava le luci della ribalta. Non amava apparire, amava studiare e leggere le carte. Ma posso dire che sarebbe stato senz’altro felice di questo riconoscimento unanime del magistrato e della persona che è stato».

Che opinione ha, invece, della figura del giudice oggi?

«Il mio modello di magistrato è quello con il quale sono cresciuta da bambina: mio padre. Ciò che, invece, sto vedendo nell’ultimo periodo mi addolora molto come cittadina e come avvocato penalista. Non mi piace generalizzare e fare un discorso di categoria, perché ci sono anche tanti avvocati che non indossano con onore la toga, ma tra i magistrati vedo molte storture. Per me il magistrato è una persona giusta, equilibrata, disponibile, pronta ad ascoltare e a cambiare idea se ce ne sono i presupposti, non si trincera dietro al ruolo credendo di essere migliore dell’avvocato. Ci sono moltissimi magistrati che rispetto e con i quali lavoro egregiamente, altri pensano che gli avvocati incarnino il male e loro il bene. Erroneamente molti giudici ritengono di essere i paladini della giustizia, e che l’imputato o l’avvocato rappresentino il male e solo loro magistrati il bene».

Quali sono le storture alle quali si riferisce?

«Le storture di cui parlavo si riflettono, per esempio, nell’abuso della custodia cautelare, nella separazione delle carriere che non viene attuata. Si riflettono sulla vita delle persone. Io ho difeso persone che poi sono state assolte ma le cui vite sono andate in mille pezzi nel corso della loro esperienza giudiziaria. L’errore è umano e ci può stare, ma delle volte c’è chi cavalca l’errore invece di riconoscere di aver sbagliato. E questo non è sicuramente un buon modo di fare il magistrato».

Come giudica l’esposizione mediatica di molte indagini?

«Questo è un problema enorme e incide moltissimo sulle vite di chi siede difronte al magistrato. Oggi l’indagato è già colpevole e finisce su tutti giornali per il semplice fatto di essere indagato. Ed è una cosa folle, considerando che è l’inizio di un percorso giudiziario, nessuno dovrebbe sapere che una persona è indagata».

A questo proposito, lei è un avvocato penalista, come mai non ha seguito le orme di suo padre?

«Non ho fatto il magistrato, e probabilmente ci sarei anche potuta riuscire, perché ritenevo di non essere in grado. Credo che il magistrato debba essere distaccato, equilibrato, giusto. Io non ritenevo di essere capace, non è da tutti assumersi la responsabilità di decidere della vita degli altri».

Francesca Sabella. Nata a Napoli il 28 settembre 1992, affascinata dal potere delle parole ha deciso, non senza incidenti di percorso, che sarebbero diventate il suo lavoro. Giornalista pubblicista segue con interesse i cambiamenti della città e i suoi protagonisti.

Nè Gomorra, nè La grande bellezza. Napoli “è n’ata cosa”. Francesco Colonnese, Comunicatore & anti-avvocato, su Il Riformista il 27 Gennaio 2022.

Vivere di stereotipi è una cosa che noi italiani facciamo abitualmente e che, diciamolo, storicamente ci ha anche portato un po’ fortuna. In fondo, cos’è il “Made in Italy” se non un grande agglomerato di stereotipi che abbiamo saputo sfruttare a nostro vantaggio? La brutta notizia, casomai, è che esageriamo e, a furia di vivere di stereotipi, potremmo anche morirne. Ce ne serviamo continuamente per categorizzare la realtà, quindi bypassarne l’analisi, lo studio. A Napoli, questo lo sanno bene perché Napoli è la città più criticata d’Italia, con gli abitanti più giudicati d’Italia. Giudicati da chi? Dai tribunali? No. Giudicati da noi che napoletani non siamo. Napoli è una città che si impara a comprendere e ad apprezzare attorno ai 40 anni, in genere con la maturità (il cui arrivo, quando si registra, varia da persona a persona).

Mandolino, pizza, melodie improbabili, rituali religiosi kitsch, criminalità organizzata ed un’altra sterminata serie di banalità che, tuttavia, ad esaminarle, si sovrappongono quasi perfettamente all’immaginario collettivo riguardante l’Italia nel suo complesso. Un caso? Probabilmente no.

A scanso di equivoci, non c’è necessità di fare gli avvocati del diavolo né di scimmiottare il mantra per cui, in fondo, Napoli è meglio delle altre città, raggiungendo, al contrario, come unico effetto concreto la banalizzazione di qualsiasi ragionamento. Sarebbe bello, un giorno, sedersi tutti in cerchio in un grande prato per poter assistere alla decomposizione delle argomentazioni dozzinali, delle espressioni politically correct e delle frasi buoniste.

Non occorre sottolineare i primati dell’epoca borbonica, né soffermarsi su esempi storici triti e ritriti che ci rimembrano che a Napoli è nata la prima linea ferroviaria italiana, la prima università laica e statale d’Europa o che nella città di Pulcinella ci sia un innato talento nella conservazione di determinati lieviti. Si vuole solo fotografare il nostro rapporto con Napoli, un posto che (forse) non a caso è stato appena inserito dal New York Times nella lista dei 52 luoghi da visitare per un mondo che cambia.

Negli ultimi mesi, abbiamo assistito a diversi appuntamenti culturali mainstream incentrati su Napoli che delineano un puzzle interessante. “Stanotte a Napoli” di Alberto Angela ha raggiunto, la sera di Natale, 4 milioni di ascoltatori; dopo 8 anni, la serie Sky “Gomorra”, liberamente ispirata al best-seller di Roberto Saviano, giunge al termine e, più o meno in contemporanea, arriva nei cinema e poi su Netflix “È stata la mano di Dio”. L’accoglienza data a ciascuno dei tre prodotti è soggettiva e personale ma una cosa si può dire: questo palinsesto campano-centrico sembra lontano anni luce dai tempi di “Live non è la D’Urso”, eppure sono passati pochi mesi.

Troppo rischioso parlare di “Gomorra” con lo spoiler sempre in agguato; troppo scontato sottolineare che Napoli convive con cicatrici e anomalie profonde; troppo ovvio comunicare che Napoli non significa camorra e davvero troppo facile parlare bene del solito Alberto Angela (luce nelle tenebre). Colpisce invece l’accoglienza riservata all’ultima fatica di Sorrentino che, prima della notizia dell’approdo nella short list dei semifinalisti agli Oscar, è stata bersaglio di critiche asprissime. In tanti hanno detto e scritto che “È stata la mano di Dio” è un film lento (come se per un film questo fosse un difetto e come se non conoscessero Sorrentino) e in tantissimi hanno dichiarato che non è certo “la grande bellezza versione Napoli”. Quando le critiche sono costruttive è giusto prenderne atto: “de gustibus no disputandum est”, dicevano quelli bravi. Tutto vero. Ma tra critiche ed idiozie, ancora oggi, c’è differenza. Altrimenti, continueremo ad attaccare Sorrentino prima dell’Oscar, così come i Maneskin prima di Eurovision, per poi, puntualmente, metterci in prima fila ad applaudirli dopo la vittoria. Troppo facile così.

Verrebbe da dire che “È stata la mano di Dio” è il solito Sorrentino. La solita bellezza a cui non ci si abitua mai. C’è tanto mare in quel film, nelle inquadrature e dentro ai personaggi. C’è verità nella commedia: c’è una storia che è la storia del regista e un disagio che è il disagio di tutti. C’è l’emotività che non ha il coraggio di guardarsi allo specchio ma che non si butta via. E, soprattutto, c’è la Napoli degli anni ‘80. Quelle vite lì, quelle emozioni lì.

Al di là della fede calcistica di ognuno, immaginate che esperienza sociale sarebbe rivedere il Napoli campione d’Italia. Quanto sarebbe bello rivivere quelle scene? Quanto saremmo disposti a pagare per ritornare agli anni ‘80 che ci travolgono? Chi scrive è un classe ’89 che, di quegli anni, ne ha vissuto solo qualche mese e ha imparato a sentirne la mancanza attraverso l’entusiasmo di chi li ha assaporati veramente. Non è una nostalgia che indebolisce ma un sentimento che ricorda ai trentenni di oggi da dove vengono.

L’errore che in tanti hanno commesso con il film di Sorrentino è lo stesso che molti di noi compiono con Napoli e la napoletanità: il  disperato bisogno di trovare termini di paragone. E invece termini di paragone “nun ce n’ stann”. Non ha senso paragonare “È stata la mano di Dio” con “La grande bellezza”. Sarebbe come paragonare i mini-villaggi di Natale che trovi in Rinascente ai presepi di San Gregorio Armeno. O una margherita in Via dei Tribunali con la pizza al taglio a Campo dei Fiori; Roberto Murolo con Pino Daniele; Barbara D’Urso con Tiziana Panella; Masaniello con Mameli. Sarebbe come paragonare CR7 a Diego. Come si fa?

È ora di rassegnarsi, smetterla di cercare luoghi comuni in un luogo che comune non è. Perché, dovremmo ormai averlo capito tutti, Napoli è un altro tipo di società, di convivenza; è un altro tipo di Natale, di banchetto nuziale, un altro tipo di umanità. Forse la versione più tragicomica, forse quella più autentica.

E nonostante le critiche che, puntualmente, le si rivolgono, nonostante le offese gratuite che Napoli riceverà, sempre e più degli altri, per l’eccezione culturale che rappresenta, nessun italiano sano di mente potrà smettere di invidiare le profondità umane a cui questa città abitua e nessun napoletano si arrenderà mai all’idea di essere uguale agli altri, di vivere in un posto uguale agli altri. Napoli all’uguaglianza non dovrebbe neppure aspirare, perché l’uguaglianza non è un parametro. Non meraviglia affatto che il più grande tributo del nostro tempo alla bellezza di Roma lo abbia fatto un napoletano.

Napoli non è la grande bellezza. “È n’ata cosa”.

È la bellezza che “non si disunisce”. Mai.

Napoli, i misteri del cimitero delle Fontanelle. Angela Leucci il 28 Gennaio 2022 su Il Giornale.

Il cimitero delle Fontanelle a Napoli è un ossario dalla storia e dalle leggende interessanti: ecco le più note, dalla "capa che suda" al Capitano con l'orbita annerita.

Il cimitero delle Fontanelle è un luogo che parla di storia e di leggende. Si trova nel cuore di Napoli, nel rione Sanità, ed è un ossario che raccoglie moltissimi resti, perlopiù relativi a due grandi epidemie: la peste del 1654 e il colera del 1837.

Le Fontanelle rappresentano sicuramente una meta da visitare per tutti coloro che amano il gotico, ma non solo. È infatti oggetto di misteri, consapevolezze, ma anche di “si dice”. E tutto questo contribuisce a un ricco mosaico fatto di tradizioni popolari e fascino dai risvolti dark.

Che cos’è il cimitero delle Fontanelle 

Si tratta di un ossario, perlopiù con resti anonimi, sorto nel XVI secolo dell’ampiezza di 3.000 metri quadrati. È storia nota che prima dell’editto di Saint Cloud, nel 1804, i morti venissero seppelliti nelle città, nello specifico sotto le chiese. Tuttavia lo spazio a disposizione era esiguo rispetto alle necessità, per cui c’erano dei lavoratori - chiamati salmatari - che nottetempo esumavano i resti più antichi seppelliti sotto gli edifici religiosi per trasportali verso gli ossari. Uno di questi è appunto il cimitero delle Fontanelle, ricavato in un’ex cava di tufo

I resti del cimitero provengono soprattutto da disastri di massa, come le due epidemie sopracitate, ma anche diverse eruzioni del Vesuvio, rivolte popolari sedate nel sangue e carestie. E appartengono soprattutto a popolani, anche se non mancano i “vip”, come i duchi di Maddaloni - ossia Filippo Carafa e la moglie Margherita Petrucci - entrambi morti alla fine del XVIII secolo e ancora oggi esposti nel cimitero all’interno delle loro bare vetrate.

Le pezzentelle

Il cimitero delle Fontanelle però non conserva integralmente tutti i resti delle persone che vi furono trasportate. Questo è dovuto a un fenomeno antico, successivamente bandito dalla Chiesa come forma di idolatria, chiamato il culto delle anime “pezzentelle”. In pratica, le persone “adottavano” i teschi presenti nell’ossario per aiutarle tramite la preghiera nel viaggio dal Purgatorio al Paradiso. Col tempo il fenomeno si trasformò in vero e proprio feticismo - ci fu anche chi depredò i resti - che venne meno con l’avanzare della scienza e quindi lo scemare delle superstizioni.

Le presenze misteriose delle Fontanelle 

Ci sono moltissime cose da vedere nel cimitero, dalla chiesa posta al suo interno, a un Cristo velato che riprende le fattezze della celebre statua partenopea, fino alle sepolture “tematiche” come quella degli appestati e la statua acefala del cosiddetto “monacone”, ossia san Vincenzo Ferrer. 

Pignasecca e i Quartieri Spagnoli: tutti i colori di Napoli

Tra i teschi c’è “‘o capa ‘e Pascale”, appartenuto a un monaco: il teschio pare possa prevedere quali numeri verranno estratti al lotto. E c’è anche Donna Concetta, il cui teschio sembra sudare, ma in realtà assorbe più facilmente l’umidità del luogo di esposizione. A Donna Concetta, chiamata "'a capa che suda", si suole esprimere un desiderio: se toccando il teschio la propria mano si bagna, il desiderio sarà esaudito.

Ma la leggenda più nota è quella relativa al Capitano, che viene raccontata secondo differenti vulgate. Quella più celebre spiega che una giovane si fosse rivolta al Capitano per trovare marito, e così avvenne. Ma il giorno del matrimonio uno sconosciuto molto elegante si presentò alle nozze, ammiccando alla sposa e provocando la gelosia del neomarito, che lo colpì a un occhio con un pugno. Quando la giovane tornò successivamente al cimitero, scoprì che una delle orbite del teschio del Capitano era diventata nera. E, come spesso accade nelle leggende di questo tipo, si gridò al miracolo.

Viaggio capolavoro sotto il Vesuvio. Vide Napoli e poi morì davvero, Belmonte tra trionfi e miserie. Eraldo Affinati su Il Riformista il 9 Gennaio 2022. 

Napoli, come sapeva Giandomenico Tiepolo (il rampollo più illustre di Giambattista), che attraverso i suoi folgoranti Pulcinella acrobaticamente sospesi nell’abisso affrescati a Villa Zianigo, in seguito trasferiti a Ca’ Rezzonico, Venezia, genialmente ne declinò vittorie e sconfitte, glorie e disonori, amarezze e disincanti, è una categoria dell’anima, densa di umori e passioni ma carica di tragica risonanza simbolica: basta osservare l’ultimo schizzo di quel grande pittore, compreso nell’album destinato in origine ai propri figli, intitolato Divertimento per li regazzi, in cui si vede l’ultimo Pulcinella ingobbito ai piedi di una scala di fronte alla sua stessa tomba, con una bambola in braccio e un cane che lo annusa, per rendersene conto. Miseria e nobiltà di un piatto di spaghetti fumante che ci arriva a tavola, come una manna caduta dal cielo; vero Totò?

Noi italiani tutto questo ce l’abbiamo nel sangue, non dobbiamo studiarlo, perché è la misura e la sostanza del nostro carattere, cresciuto e formato nei secoli, nell’estrema appendice europea dello Stivale, fra individualismo, solitudine, strafottenza e amore. Ma cosa può accadere nella testa e nel cuore di chi viene da fuori e vuole mettersi in gioco nei bassi dei quartieri spagnoli, alla maniera di Claude Lévi-Strauss in Mato Grosso o di Bronisław Malinowski in Nuova Guinea? Per rispondere a tale domanda bisogna leggere La fontana rotta (traduzione di Daniele Petruccioli, pp. 163, Einaudi, 18,50 euro) di Thomas Belmonte che in realtà, come lascia intuire il suo cognome, nel momento in cui, nella primavera del 1974, giovane etnologo di New York, decise di stabilirsi in uno degli angoli più malfamati di Napoli, battezzandolo Fontana del re, con ogni probabilità poteva essere Palazzo Amendola in via Sedile di Porto, insomma il vico Melofioccolo, altro non stava facendo che ritrovare, toccandole con mano, le sue lontane origini. Come un pendolo, dalla Columbia University, dove s’era laureato, tornava nella terra dei padri, emigrati in America.

Proprio tale coinvolgimento emotivo è importante sottolineare, sulla scia di quanto dichiarò Clifford Geertz in un libro iconico, che negli anni non mi stanco di citare, come Opere e vite (Il Mulino, 1990), allo scopo di definire il senso delle scritture etnografiche: «Il resoconto diventerà credibile in quanto diventi credibile la persona stessa che lo costruisce». Insomma per conoscere (e dovremmo aggiungere, scrivere, e vivere), è necessario pagare un prezzo: intimo, personale, non negoziabile. Ineludibile, se non vogliamo che le nostre parole siano gratuite e sterili, come quelle dei politici e dei commentatori televisivi. Affittare, a prezzi esorbitanti, una casa nei vicoli, fra lenzuola appese ad asciugare, urla e tramestii, pareti scrostate e ringhiere arrugginite, abitare lì per un anno insieme a ladri e prostitute, prima sfidando lo sconcerto di questi, poi diventando loro sodale, disponendosi ad accettare la presenza dei mariuoli all’interno del proprio appartamento, persino lasciandosi derubare o ingannare, come un gigantesco Gulliver imprigionato dai lillupuziani, è stato per Thomas (presto soprannominato Tommasino, o Tommà), a quel tempo ventottenne, il superamento di un essenziale frangiflutto. Ciò che fu la Siberia per Dostoevskij rappresentarono per lui Fuorigrotta e Spaccanapoli.

Con immediate acquisizioni lirico-riflessive che nel tempo hanno reso il suo libro (tradotto da noi già nel 1997 dall’editore Domenico Scafoglio) un piccolo classico di fine Novecento: “Guaglio’, vien’accà, contiene un’armonia complessa di esultanza, nostalgia e dolore. È un richiamo che inizia in un’allegra, spontanea esplosione sonora. A metà si trasforma in supplica. Infine si attenua e muore in un basso lamento luttuoso.” Per quanto mi riguarda, ho sempre considerato questo testo, opportunamente ristampato negli Struzzi, un capolavoro narrativo abbastanza raro, nel quale la notazione antropologica si mischia all’intuizione poetica, il diario quotidiano si fa racconto e reportage, senza alcuna elegia, con uno sguardo duro e lucido, ben superiore alle tante, troppe, cronache venute dopo: «Luogo di sangue e di ceneri, di vino e di fiori: una città che ti tende una mano mentre nell’altra nasconde il coltello, ecco la dolorosa dialettica della vita di questo popolo».

Lo stile napoletano, al tempo stesso individualista e comunitario, comico e tragico, collocato negli anni Settanta, poco prima della triste stagione della droga che chiuderà un ciclo aprendone un altro, ancor più drammatico, emerge in tutta la sua forza icastica nelle pagine dedicate alla famiglia di Stefano, robivecchi sulla quarantina, ed Elena, col grembiule sporco sul vestito nero, e i loro sei figli, cinque maschi e una sola femmina, insieme ai quali l’autore divide e spezza il pane della vita. Eccoli, mentre divorano nel piccolo spazio della tavola imbandita, crocchette e rigatoni; come si fa a dimenticarli? Gennaro, magro, diciottenne dai tratti rozzi; Ciro, quindicenne sorridente e buffonesco; Pasquale, tredicenne, tenero e rinsecchito; Nina, undicenne, scattante e birichina con gli occhioni grandi; Giuseppe, dieci anni, un vitellino dai capelli gialli; Robertino, cinquenne scatenato e iperattivo.

Questo concentrato d’umanità allo stato puro trascina nel gorgo Thomas Belmonte e lui si lascia andar giù con deliberazione commovente riuscendo tuttavia a conservare un’ammirevole capacità di discernimento che gli consentirà, a tempo debito, di comporre la sua straordinaria relazione umana e letteraria. Non prima di essere tornato, dopo anni di assenza, a rivedere gli amici, stravolti e invecchiati, senza nascondere le ferite (separazione coniugale, una figlia adolescente, nessuna nuova compagna): in tale prospettiva l’Epilogo, nel mostrare il lavoro del tempo sull’uomo, diventa la chiave dell’opera. E poi sappiamo che Belmonte, incarnando il proverbio, dopo aver visto Napoli, morì ancora giovane, a soli quarantanove anni.

Marino Niola per “il Venerdì di Repubblica” il 3 gennaio 2021. L’amore e l'onore, la malavita e la dolce vita, la sociologia e la tecnologia, il femminismo e il multiculturalismo. A Napoli tutto diventa canzone. Perché il canto è il grande codice di Partenope, il linguaggio che la città usa da sempre per parlare di sé stessa, a sé stessa e qualche volta contro sé stessa. 

Lo dice il musicologo e compositore Pasquale Scialò in un bellissimo libro appena uscito da Neri Pozza (Storia della canzone napoletana, volume II, pagg. 380, euro 30). Il testo racconta l'evoluzione della canzone dagli anni Trenta del Novecento ai nostri giorni. Da Tammurriata nera al rap e alla trap contemporanee, passando per Sergio Bruni e Roberto Murolo, Renato Carosone e Pino Daniele, Enzo Avitabile e Rocco Hunt.

Pagina dopo pagina, l'autore smonta lo stereotipo di una canzone partenopea sempre uguale a sé stessa, prigioniera della sua oleografica classicità. E mostra come ogni innovazione sociale, ogni conquista civile, ogni vicenda politica abbia sempre trovato posto sul pentagramma locale. 

Dall'invenzione del telefono a quella dell'elettricità, dalla miseria della guerra alle contraddizioni della Liberazione, dal Sessantotto al divorzio, fino all'hip hop e al parteno pop. Insomma, quel grande arcipelago che è la canzone, scrive Scialò, è una grande "area geosonora" formatasi nel tempo mescolando paesaggio e società, tradizione e trasformazione, identità e diversità. Eppure, l'origine continua a risuonare, come un leit motiv senza tempo, anche nelle forme contaminate del presente.

Come nel caso di Enzo Avitabile e della sua musica migrante, che mescola le antiche matrici canore della città con altri suoni mediterranei, insieme con il blues e il soul. È la "black tarantella", che riflette l'anima di una Napoli nera a metà. Piena di differenze e di compresenze, di armonie e di dissonanze che si riflettono nella sua identità, musicale e non solo.

Ne è un esempio un pezzo celebre come Tammurriata nera, cui Scialò dedica una penetrante analisi. Scritta nel 1944 da E. A. Mario, nel clima disperato e vitale della Liberazione, lo stesso che detta a Curzio Malaparte le pagine più allucinate de La pelle, la canzone parla dei figli della guerra, degli scugnizzi di colore nati nei vicoli. Nel corso degli anni il brano ha avuto molte interpretazioni che ogni volta ne hanno fatto scaturire un senso nuovo. 

Dall'amara ironia iniziale alla lettura progressista e multietnica della Nuova Compagnia di Canto Popolare, chiaramente ispirata dallo slancio terzomondista degli anni Settanta, quando il Revival Folk scopre la rivoluzione nascosta nella tradizione. D'altra parte, è proprio il carattere ibrido, aperto e flessibile a spiegare la lunga vita della canzone napoletana che a differenza di fenomeni coevi come il lieder tedesco e la chanson francese, cristallizzati se non addirittura imbalsamati nel loro canone, ha continuamente mutato pelle restando però risolutamente sé stessa. 

Colonna sonora di una città fatta della stessa materia di cui è fatto il canto, come diceva il musicista tedesco Hans Werner Henze. Un tessuto di frequenze e cadenze, di sussurri e grida, malinconie e ipocondrie, litanie e melodie, che risale al passato ma continua a riecheggiare nel futuro. Perché è sempre in presa diretta sulla vita.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        Succede in Basilicata.

Matera, presidente del Tribunale nel mirino del Csm. Catalani rischia il trasferimento per incompatibilità per i rapporti con l’ex assessore regionale Castelgrande. LEO AMATO su Il Quotidiano del Sud il 22 ottobre 2022. 

Il presidente del tribunale di Matera, Gaetano Catalani, rischia il trasferimento da parte del Csm per incompatibilità ambientale

Rischia il trasferimento d’ufficio il presidente facente funzioni del Tribunale di Matera, Gaetano Catalani. A causa di una serie di circostanze emerse dalle indagini a carico dell’amico ex assessore regionale alle infrastrutture, Carmine Castelgrande (Pd), che avvolgono di un’ombra di sospetto la gestione del processo sui concorsi truccati nella sanità. E in particolare delle accuse a carico di un sodale di Castelgrande come l’ex governatore Marcello Pittella, assolto a dicembre dell’anno scorso dal collegio presieduto dallo stesso Catalani.

Mercoledì prossimo, infatti, sarà al vaglio del plenum del Consiglio superiore della magistratura una proposta di trasferimento ad altra sede del giudice materano. Proposta già approvata il mese scorso dalla I commissione, competente per i casi di incompatibilità ambientale delle toghe. Col voto favorevole dei consiglieri Elisabetta Chinaglia (togato della corrente di sinistra di Area), Nino Di Matteo (togato indipendente) e Alberto Maria Benedetti (laico del Movimento 5 stelle), l’astensione di Carmelo Celentano (togato di Unicost), e il voto contrario de Paola Maria Braggion (togata di Magistratura indipendente).

L’APERTURA DELLA PRATICA DEL CSM A CARICO DEL PRESIDENTE DEL TRIBUNALE DI MATERA

L’apertura della pratica per incompatibilità ambientale risale agli inizi di giugno, quando la procura di Catanzaro, competente per le indagini sui magistrati del distretto giudiziario lucano, ha informato l’organo di autogoverno delle toghe, per le sue autonome valutazioni di carattere disciplinare e quant’altro, dell’esistenza di un fascicolo a carico di Catalani per corruzione in atti giudiziari e peculato. Giusto tre giorni prima che il gip del tribunale calabrese decidesse di archiviare la prima ipotesi, «non essendo stati acquisiti elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio», e la seconda perché il fatto contestato, sebbene accertato, non costituirebbe reato.

Il grosso del fascicolo era costituito da intercettazioni trasmesse dalla procura di Potenza, che tra il 2018 e il 2019 aveva preso di mira un presunto giro di tangenti tra l’ex genio civile di Melfi e il Comune di Venosa.

È proprio indagando sull’amministrazione dell’epoca della città di Orazio, quindi, che sarebbe finito sotto la lente degli investigatori l’attivismo dell’ex sindaco ed ex assessore regionale dell’allora giunta Pittella, Castelgrande.

«Nel corso delle indagini – si legge nella bozza di delibera trasmessa al plenum del Csm per l’approvazione finale – venivano intercettate diverse conversazioni che riguardavano dialoghi tra Miranda Catelgrande Carmine ed il dottor Gaetano Catalani, magistrato in servizio alla sezione penale del Tribunale di Matera, sicché l’autorità giudiziaria di Potenza trasmetteva gli atti (…) alla competente Procura di Catanzaro, che a sua volta procedeva ad iscrizione del procedimento e ad ulteriori indagini tecniche».

LE TELEFONATE DEL PRESIDENTE DEL TRIBUNALE DI MATERA INTERCETTATE

Tra il 2020 e il 2021, quindi, gli investigatori di Catanzaro avrebbero ascoltato una a una le telefonate di Catalani, registrando «l’interessamento» di Castelgrande per il processo più importante gestito dall’amico giudice. Processo che vedeva come imputato illustre proprio il suo ex governatore.

A farsi largo tra gli inquirenti, pertanto, è stato il sospetto di «un illecito scambio di reciproche utilità» tra il giudice e l’ex assessore, «il quale – si legge ancora nella bozza di delibera -si sarebbe prestato ad aiutare, in alcune pratiche amministrative, il dottor Catalani, al fine di ottenere che il medesimo si orientasse favorevolmente nel processo a carico di Pittella, dal quale, a sua volta, Miranda voleva ottenere, come contropartita di tale interessamento, l’appoggio politico per la sua ri-candidatura al Consiglio regionale della Basilicata».

Dunque sollecitazioni per un’assoluzione dell’ex governatore, ma non solo. Perché da alcune intercettazioni sarebbero emersi anche l’interesse di Pittella e Castelgrande, e i solleciti di quest’ultimo su Catalani, per la tempestività dell’assoluzione in questione. In modo da permettere la candidatura di Pittella alle elezioni politiche, previste per il 2023, «così da essere aiutato nella successiva campagna elettorale per la Regione», prevista per il 2024.

L’ARCHIVIAZIONE

La delibera trasmessa dalla I commissione al plenum del Csm prosegue spiegando che «la tesi accusatoria relativa all’ipotesi di corruzione non trovava, però, conferma nel materiale probatorio acquisito».

«Come emerge dalla richiesta di archiviazione, accolta dal gip – si legge ancora -, dal materiale intercettivo e dalle indagini “non emerge(ndo) l’esistenza di un accordo corruttivo tra gli indagati finalizzato all’esito favorevole del giudizio a carico del Pittella”; in particolare, “le indagini svolte hanno acclarato l’esistenza di un pregresso e solido rapporto amicale tra il dottor Catalani e Miranda Castelgrande. Ed è in questa ottica che sembrerebbero inquadrarsi – da un lato – la consulenza legale fornita dal CatalanI in merito alle vicende giudiziarie del Miranda Castelgrande su Potenza (certamente censurabile sotto il profilo deontologico) e – dall’altro – l’interessamento di quest’ultimo per le vicende riguardanti il Catalani, escludendo che possano, invece, inserirsi nell’ottica di un illecito scambio di utilità, ovvero di un accordo corruttivo complesso come quello ipotizzato”».

Al netto dei profili penali della vicenda, insomma, all’organo di autogoverno delle toghe sono rimasti da valutare in maniera del autonoma una seri di fatti. Come la consulenza legale fornita da Catalani a Castelgrande rispetto alla richiesta di arresto formulata nei suoi confronti dai pm di Potenza, e reiterata dopo un’iniziale rigetto del gip titolare del fascicolo sul Comune di Venosa. O la sua presunta intercessione su un noto penalista materano, Nicola Buccico, perché convincesse un «avvocato di indiscussa fama professionale» come Franco Coppi, ad assumere la difesa di Castelgrande, in Cassazione, contro quella richiesta di arresti pendente nei suoi confronti.

«Inoltre, ed in parte nello stesso contesto temporale – prosegue il testo al vaglio del plenum -, emergevano un serie di richieste di aiuto da parte del Catalani nei confronti del Miranda Castelgrande, al fine di risolvere alcune questioni di carattere amministrativo relative a propri famigliari».

E giù un elenco con una pratica riferita ad alcuni terreni agricoli, per cui Castelgrande avrebbe organizzato un incontro con un funzionario del Comune di Genzano; un’altra pratica per la rateizzazione dell’imposta comunale sugli immobili del cognato, sempre a Genzano; e poi la «richiesta di Catalani, del luglio 2020, circa la possibilità di avere un contatto con il funzionario competente con cui interloquire in merito alla realizzazione di un parco fotovoltaico nell’interesse di un terzo soggetto, richiesta che anch’essa trovava Miranda condiscendente e pronto, anche, a “fare una telefonata”».

SANITOPOLI

Il Csm ha riscontrato anche le conversazioni «dalle quali si evinceva che effettivamente Miranda si interessava presso il magistrato circa l’andamento del processo Sanitopoli a carico di Pittella, pendente avanti il collegio presieduto da Catalani, ricevendo anche alcune brevi informazioni, peraltro esclusivamente riferite alle difficoltà di celebrazione connesse alla pandemia e mai al merito del processo».

«Emerge che, contemporaneamente – prosegue la delibera -, lo stesso Miranda era in contatto e frequentazione con Pittella, con il quale si incontrava e con il quale discuteva anche circa le loro rispettive opportunità di elezione nell’ambito regionale e nazionale».

Significative, in questo senso, sarebbero alcune intercettazioni da cui è emerso che in almeno un paio di occasioni Castelgrande sarebbe andato a trovare Catalani a Spinazzola, dove risiede, poche ore dopo le udienze del processo sui concorsi truccati nella sanità lucana, raccogliendo, con discrezione, le sue impressioni.

«Ha detto: purtroppo, ha detto, il tempo ci vuole! Il cazzo del covid mo doveva capitare!» Questo il resoconto che l’ex assessore regionale avrebbe fatto alla moglie dopo uno di questi incontri post-udienza. Per poi aggiungere che «più di tanto non gli chiede», e che «me le dice lui le cose». Come pure un «io glielo feci conoscere a Marcello», su cui i componenti del Csm hanno ipotizzato che fosse avvenuta una presentazione tra giudice e imputato al di fuori dell’aula del Tribunale di Matera.

IL VACCINO SALTANDO LA FILA…

Un’ultima vicenda affrontata dai membri della I commissione del Csm, poi, è stata quella ricostruita tramite alcune intercettazioni tra Catalani e il presidente dell’Ordine degli avvocati di Matera, Ferdinando Izzo, che inizialmente era costata un’iscrizione per peculato a carico del giudice.

Ad aprile 2020, infatti, il presidente facente funzioni del Tribunale avrebbe chiesto al legale «se vi fosse la possibilità, pur essendo egli residente in Puglia, di essere sottoposto a vaccinazione contro il covid 19, in occcasione della giornata organizzata dalla Regione Basilicata (cd “open day”) per il giorno successivo, finalizzata alla vaccinazione aperta ai soli cittadini ultrasessantenni residenti in tale regione».

«L’avvocato, ricordando a Catalani di avere sempre “quel contatto” – prosegue la delibera del Csm -, si offriva di fare una telefonata onde accertare la possibilità o meno di sottoporre il dottor Catalani alla vaccinazione; dopo qualche ora lo richiamava e gli confermava la possibilità, estendendola anche alla moglie del dottor Catalani, onde i due si davano appuntamento per la mattina successiva nel garage del Tribunale di Matera, per recarsi insieme alla vaccinazione».

Dall’ascolto delle successive conversazioni, però, sarebbe emerso anche altro. Perché non solo «Catalani e sua moglie avevano effettivamente avuto la possibilità di vaccinarsi il 12 aprile 2021, nonostante non fossero residenti in Basilicata», ma «da una conversazione dello stesso Catalani con la sorella emergeva che lui e la moglie erano stati accompagnati direttamente alla vaccinazione dal direttore generale dell’Asl, saltando la “coda”».

«Non ti dico che macello stava!» Questo il testo della telefonata trascritta. «E quindi siamo andati io e Anna… e quindi lo abbiamo fatto! Lo abbiamo fatto, lui conosceva il direttore generale… e il direttore generale ci ha accompagnati là e abbiamo…»

Stessa circostanza riferita anche in una seconda telefonata dalla moglie del giudice a loro figlia: «Non abbiamo fatto nessuna coda… perché il direttore generale della Asl hai capito? E’ venuto a prenderci… hai capito?… Nessuno la sa questa cosa, evitiamo di dirla in giro perché…»

…GRAZIE ALL’EX DG IMPUTATO, QUINTO

Ed ecco materializzarsi, a questo punto, l’ennesimo colpo di scena. Perché dalle indagini sarebbe emerso che, «nel breve intervallo temporale tra la telefonata di richiesta di Catalani all’avvocato Izzo e la successiva telefonata di Izzo a Catalani, che confermava la possibilità di sottoporre Catalani e la moglie al vaccino, l’avvocato aveva contattato il numero telefonico intestato al dottor Pietro Quinto, già direttore generale dell’Azienda sanitaria di Matera e successivamente direttore dell’unità operativa complessa Attività amministrative distrettuali e direttore Dell’unità operativa complessa Provveditorato-economato della medesima azienda, nonché, al momento del fatto, uno degli imputati nel processo Sanitopoli in corso di celebrazione avanti il dottor Catalani». Un imputato, annota ancora la I commissione, poi «solo parzialmente» condannato.

MA NON È REATO

La delibera dell’organo di autogoverno delle toghe prosegue riportando le ragioni dell’archiviazione chiesta e ottenuta dai pm di Catanzaro per questa ipotesi di peculato a carico di Catalani. Ragioni che evidentemente non sono state ritenute valide dalla procura di Potenza che invece, di recente, ha reiterato la richiesta di rinvio a giudizio del vescovo del capoluogo lucano e altre persone proprio per un vaccino ricevuto anzitempo.

Secondo i magistrati calabresi, infatti, sarebbe stato, sì, «documentato che l’indagato unitamente alla moglie ottenevano la vaccinazione anti Covid 19 in violazione delle disposizioni emanate dalla Regione Basilicata». Tuttavia: «l’utilizzo delle dosi non può considerarsi condotta distrattiva atteso che sebbene utilizzate “irregolarmente”, le stesse non sono state sottratte alla loro funzione e destinazione e a vantaggio di soggetti che comunque ne avrebbero avuto diritto, atteso che la campagna vaccinale ha riguardato tutta la popolazione. Per le stesse ragioni, non può esserci alcun danno di natura patrimoniale».

L’INCOMPATIBILITA’

Nel formulare la sua contestazione in termini di incompatibilità ambientale per il venir meno dell’«immagine di indipendenza ed imparzialità» che dovrebbe avere un magistrato, a seguito dei fatti appena ricostruiti, la I commissione del Csm si è soffermata anche su altro ancora.

Come le telefonate col collega relatore del processo Sanitopoli al quale Catalani avrebbe anticipato «le ragioni che la inducevano a ritenere insussistenti le accuse fatte al Pittella», sulla cui assoluzione resta comunque pendente un appello proposto dalla procura di Matera. O ancora alcuni commenti apparentemente diretti al procuratore capo di Potenza, Francesco Curcio, che verrebbe definito «un folle che intimorisce i giudici» davanti ai quali rappresenta la pubblica accusa.

LA DIFESA

Di fronte alla I commissione Catalani si è difeso denunciando che «i dati e le affermazioni presenti nella comunicazione di apertura della procedura siano via via “gravi falsità”, circostanze “invieritiere o addirittura diffamatorie” o “assolutamente falso”, affermazioni “apodittiche”, tali in sostanza da integrare una “saga delle congetture”».

Il giudice ha aggiunto di conoscere Castelgrande perché sarebbero stati compagni di scuola, e ha liquidato come del tutto legittime le richieste avanzate all’ex assessore.

«Ha osservato – prosegue la bozza di delibera – come fosse, a suo avviso, del tutto normale che egli, stante il rapporto di amicizia, abbia richiesto al Miranda tutte le informazioni sopra indicate, trattandosi di persona che “gravitava sul potentino” mentre Catalani era residente in Puglia, e, comunque, non avendo mai richiesto trattamenti privilegiati o interventi in suo favore (come confermato dagli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria in relazione alle pratiche sopra indicate)».

Poi ha definito «fisiologico» che l’amico Castelgrande gli chiedesse lumi sulla sua vicenda giudiziaria, e sul processo Sanitopoli «si è riportato a quanto osservato nella richiesta di archiviazione, non avendo mai parlato del merito del processo con il Miranda Castelgrande, avendo solo, al massimo, fornito informazioni sull’andamento del processo, con riferimento alle difficoltà generate dalla pandemia».

«Ha, in particolare, negato – prosegue la delibera riferendo la difesa di Catalani – di aver preso un caffè con il Pittella il giorno dell’udienza, di aver accelerato la trattazione del processo “Sanitopoli”, o di aver in qualche modo condizionato il giudice relatore della sentenza sull’esito della decisione».

Quanto al vaccino, infine, ha «escluso di essere stato mai conoscenza del rapporto esistente tra l’avvocato Izzo e il dottorQuinto, effettivamente imputato nel processo “Sanitopoli”, osservando che egli credeva che l’avvocato Izzo si fosse rivolto alla dottoressa Pulvirenti (Sabrina), ndr), commissario straordinario della Asl (di Matera, ndr)».

«Il dottor Catalani – prosegue ancora la delibera -ha concluso sostenendo che alcun addebito può essergli mosso e che la vera ragione della apertura della presente procedura risiede solo nel pregiudizio sorto in esito al procedimento penale, il quale, invece, ha dimostrato, nonostante la persistente attività captativa, che egli non ha commesso alcun illecito. Ha ribadito di essersi limitato ad aiutare, nei limiti del lecito, un caro amico in difficoltà, non sentendo la necessità di rompere i rapporti solo perché era indagato da una diversa autorità giudiziaria, e che il suo rapporto amicale non ha influenzato in alcun modo le sue decisioni, tra l’altro collegiali».

Ma non è bastato.

NIENTE SCONTI DAL CSM PER IL PRESIDENTE DEL TRIBUNALE DI MATERA

«Le conversazioni tra il dottor Catalani e il Miranda – conclude la I commissione – evidenziano non già degli scambi illeciti di favori (che sono stati esclusi in sede penale e che in questa sede non si ritiene affatto di voler nuovamente ipotizzare), quando, piuttosto, un habitus mentale poco consono a chi amministra funzioni pubbliche, soprattutto in un centro di piccole dimensioni».

La I commissione ha dato atto che «le motivazioni che hanno indotto il dottor Catalani ad esporsi per il Miranda, (…) appaiono legate a un nobile sentimento di amicizia».

Quanto all’ex governatore Pittella, «pur non essendo stata rilevata alcuna anomalia nella gestione del processo» a cui è stato sottoposto, nella bozza di delibera si legge che «dalle conversazioni risulta anche che il Miranda avrebbe presentato il Pittella al dottor Catalani, circostanza non contestata nella memoria depositata dal magistrato, con ciò fugando ogni dubbio sulla consapevolezza da parte del dottor Catalani del tipo di rapporto intercorrente tra l’amico e l’imputato».

Quanto al vaccino saltando la fila invece, sempre secondo la I commissione: «poco rileva se sia stato effettivamente il dottor Quinto ad acconsentire alla vaccinazione di Catalani e consorte o addirittura se sia stato lui o meno ad accompagnarli per saltare la fila. Ciò che rileva è che il dottor Catalani ha espressamente richiesto un favore per sè e per sua moglie, ottenendolo, e non solo lo ha richiesto tramite il presidente del consiglio dell’Ordine degli avvocati, ma lo ha richiesto alla stessa azienda sanitaria nell’ambito della quale erano maturati i fatti oggetto del processo che egli stava celebrando, e la vicenda è stata quanto meno oggetto di conoscenza da parte di uno dei principali imputati del processo».

In conclusione: «emergono circostanze di fatto che inducono a ritenere che si sia creata una situazione di perdita di credibilità e di caduta dell’immagine di indipendenza ed imparzialità del magistrato, percepita all’esterno o comunque percepibile».

Di qui la richiesta di trasferimento su cui l’ultima parola spetterà, mercoledì prossimo, al plenum del Csm.

Tribunale di Potenza, il presidente del Riesame Aldo Gubitosi trasferito per incompatibilità ambientale. Carlo Macrì su Il Corriere della Sera il 29 Luglio 2022.

Al magistrato, spostato d’ufficio dal Csm, contestata l’amicizia con l’ex sindaco di Ruoti, Angelo Salinardi, arrestato lo scorso febbraio. Le intercettazioni e i giudizi sui colleghi.

Bufera giudiziaria sul tribunale di Potenza. Il presidente del Riesame Aldo Gubitosi, è stato trasferito d’ufficio dal Consiglio Superiore della magistratura per «incompatibilità ambientale». Il plenum si è espresso a maggioranza dopo aver esaminato l’istruttoria dei magistrati di Catanzaro che hanno valutato, per competenza territoriale, le accuse mosse al presidente Gubitosi. Alla base del provvedimento del Csm, ci sarebbe l’amicizia con l’ex sindaco di Ruoti, Angelo Salinardi, 73 anni, imprenditore e potentissimo notabile del posto, arrestato lo scorso febbraio e posto ai domiciliari, con l’accusa di corruzione, atti persecutori e calunnia nei confronti dell’ex sindaco del paesino dell’Appennino Lucano, Anna Scalise.

Le intercettazioni telefoniche

Tra il presidente Gubitosi e l’ex primo cittadino di Ruoti, dal 1973 sindaco quasi ininterrottamente, ci sarebbe stata una forte amicizia che i magistrati avrebbero descritto annotando le conversazioni telefoniche captate tra i due. Una in particolare l’intercettazione scrivono i magistrati di Catanzaro, dove i due parlavano di assumere una signora, conoscente di Gubitosi, in un laboratorio di mascherine, di proprietà di Salinard i. Inoltre, «nel colloquio affioravano richiami a vicende interne e private all’ufficio di Potenza dove erano coinvolte altri magistrati». Per cercare di allontanare i sospetti su questa amicizia «ingombrante», il presidente del Riesame, dopo l’arresto di Salinardi e dopo che il Quotidiano del Sud aveva pubblicato stralci della conversione tra lui e l’ex sindaco, il giudice ha depositato in cancelleria la richiesta di astenersi dal giudicare il suo «amico» arrestato. Ma, per tutta risposta, il presidente facente funzioni Rosario Baglioni, ha rigettato la richiesta e così il presidente del Riesame è stato costretto a giudicare Salinardi, respingendo la richiesta di annullare i domiciliari all’ex sindaco.

L’intervento del Csm

La 1° commissione del Csm, per far chiarezza su questi rapporti ha ascoltato i vertici giudiziari potentini del tribunale e della procura. Dalle loro dichiarazioni e in particolare dal presidente della sezione penale Pasquale Materi è venuto fuori una descrizione fatta dal presidente Gubitosi e dall’ex sindaco Salinardi abbastanza «dura» nei confronti della magistratura potentina che i due avevano diviso in due categorie: «i buoni e i cattivi». Tra i «cattivi» c’era per l’appunto Materi e la collega Annagloria Piccinnin i. Quelli in sostanza che avevano combattuto il potere del notabile Salinardi e quelli che lo avevano più volte «salvato» dalle inchieste. L’ex sindaco, forte delle amicizie non solo dentro le stanze del tribunale, ma anche tra i carabinieri (tra le 16 persone raggiunte dal provvedimento restrittivo insieme a lui sono finiti 4 consiglieri comunali, l’addetto stampa della provincia, 4 funzionari pubblici, un sottufficiale dei carabinieri e alcuni imprenditori) ha cercato in tutto i modi di buttare fango addosso alla sindaca Anna Scalise.

Il dossier sulla sindaca

Contro di lei Angelo Salinardi avrebbe provato a riversare maldicenze ripetute che riguardavano anche la sua sfera coniugale. Avrebbe fabbricato un «fascicolo» riempito di elementi fasulli, poi girato ai giornali locali (con la compiacenza dell’addetto all’ufficio stampa della Provincia che, per questi servizi, incassò 33 mila euro). Per costruire quel dossier si rivolsero a un vice brigadiere dell’Arma che fece avviare abusivamente dei controlli presso la banca dati delle forze dell’ordine per verificare la presenza della sindaca e di un assessore in un bed&breakfast. Il motivo: la sindaca dopo la sua elezione voleva fare pulizia delle vecchie logiche e abitudini, cosa che non andava bene all’ex sindaco Salinardi.

Fantasmi e ius primae noctis: i miti dei castelli della Basilicata. Sono tante le leggende che affollano le stanze dei maestosi castelli lucani: da Miglionico a Lagopesole, il mistero è fondante nel mito storico. Angela Leucci Il Giornale il 7 luglio 2022.

La Basilicata è una terra dal fascino storico e naturale incredibile. Dai sassi di Matera a Cristo si è fermato a Eboli, passando per l’etnologia culturale del potentino. Ma chi pensa alla Basilicata si sofferma molto spesso sulla contemporaneità: tuttavia nel Medioevo e nell’Età Moderna questo territorio ha vissuto innumerevoli vicende, a partire dal fatto che fu una delle regioni maggiormente influenzate dalla legislazione di Federico II di Svevia.

Per questo, in quella che un tempo era antica Lucania, ci sono diverse testimonianze medievali molto suggestive, a partire dai castelli, che come sempre rimarcano la loro funzione difensiva ma anche quella di attestazione del potere aristocratico. E i castelli vengono restituiti alla contemporaneità come testimonianza del passato, di un passato realmente accaduto, ma anche di un passato leggendario, mitico e talvolta mistico. Tra essi viene annoverato anche il castello di Craco, in realtà facente parte di un complesso di rovine della celebre città abbandonata che è stata teatro di diverse produzioni cinematografiche, come La Passione di Mel Gibson.

Basilicata: il fascino dei castelli lucani 

Uno dei castelli più noti tra quelli che si trovano in Basilicata è il castello del Malconsiglio a Miglionico. Purtroppo quello che si vede è ciò che è stato restaurato o ricostruito dopo il terremoto del 1857, non è come appariva alle genti del Medioevo. Tuttavia si tratta ugualmente di un edificio interessante, caratterizzato da diversi torrioni a pianta circolare o poligonale. Pare che qui, nell’anticamera della Sala a Stella - così chiamata per via della volta - venisse consumato dal nobile feudatario lo ius prime noctis: ogni giovane sposa avrebbe dovuto giacere con lui prima che con il novello marito. Spesso però erano proprio gli uomini a presentarsi, travestiti da donne al posto delle mogli, per tutelare la loro virtù.

C’è poi il castello Tramontano di Matera, che è parzialmente incompleto perché i lavori non furono conclusi dopo l’uccisione del suo signore, il conte Giancarlo Tramontano. È però una costruzione interessante, con le sue torri merlate con feritoie, dalle quali si potevano scorgere i pericoli e “spiare” la vita cittadina.

E ancora, continuando a citare alcuni tra i più celebri, il castello Caracciolo di Brienza che possiede 365 stanze, è dotato di una semitorre circolare e integrato all’interno di quello che era il villaggio medievale. Oppure il castello di Venosa, risalente al XV secolo, con le sue quattro torri cilindriche e al suo interno un complesso museale e bibliotecario. Oppure infine il castello di Melfi, di fattura normanno-sveva, che si erge su un’altura con le sue torri poligonali e il cui ingresso era salutato nei secoli passati da un ponte levatoio.

Le leggende dei castelli lucani (e non solo) 

La Basilicata pullula di miti. Molti di questi sono legati appunto ai castelli, ma altri sono legati a costruzioni diverse, soprattutto di tipo religioso. Una di questi edifici è la cattedrale di Acerenza, dedicata all’Assunzione di Maria e a san Canio. Sulla facciata di questa Casa di Dio si trova infatti lo stemma nobiliare che ritrae un dragone: si tratta dell’effigie gentilizia associata alla famiglia di Vlad III, che la letteratura ha tramandato come il Conte Dracula. Perfino la figlia di Vlad, Maria Balsa, sarebbe sepolta in questa cattedrale, e vi sarebbero presenti diverse icone, per lo più bassorilievi che richiamerebbero al peccato dei vampiri e al succhiare sangue dai viventi.

Tornando ai castelli, una delle leggende più note è la struggente storia di Elena degli Angeli e del marito Manfredi. Si dice infatti che lo spirito della donna si aggiri a ogni tramonto per le stanze del castello di Lagopesole e il suo pianto sia chiaramente udibile: in questo luogo Elena Ducas - questo il suo nome - fu in vita molto felice, e le sue lacrime di fantasma sono legate all’impossibilità a ricongiungersi con l’amato Manfredi di Svevia. Manfredi morì infatti nella battaglia di Benevento, ma si dice che anche il suo spirito, bardato come in battaglia, si aggiri nelle campagne di Lagopesole, anche lui incapace di incontrare la moglie nell’Oltretomba.

Anche la leggenda connessa con il castello di Valsinni parla d’amore. Si tratta dell’amore tra Isabella Morra, poetessa che aveva abitato queste stanze nel XVI secolo, che un giorno incontrò e si innamorò di Diego Sandoval de Castro, oppositore della famiglia della giovane: i due si scrivevano una fitta corrispondenza e non è dato sapere se mai rapporti tra loro furono consumati. Tuttavia i tre fratelli di Isabella la uccisero per vendetta, uccisero Diego e perfino Torquato, un religioso aio che faceva da “postino” in favore della coppia. Del corpo di Isabella non si conosce il luogo di riposo eterno: si crede sia rimasta insepolta e per questo il suo spirito si aggirerebbe ancora di notte nel castello.

Lo strano caso di Potenza. GIULIA MERLO su Il Domani l'01 aprile 2022.

Questo è un nuovo numero di In contraddittorio, la newsletter di Domani sulla giustizia.

Ogni settimana, tutte le notizie giuridiche degli ultimi giorni, il dibattito tra magistrati e avvocati, le novità legislative e l’analisi delle riforme.

Per iscriverti gratuitamente alla newsletter in arrivo ogni venerdì pomeriggio clicca qui, e segui tutti i contenuti di In contraddittorio.

Cari lettori,

il dibattito sulla riforma dell’ordinamento giudiziario prosegue nel suo consueto e difficile iter, che potrebbe concludersi con un accordo politico entro lunedì. Per cambiare focus dopo molti numeri dedicati a questo, la newsletter di questa settimana sceglie di occuparsi in particolare di un caso che ha coinvolto il foro di Potenza e che ha visto coinvolti un avvocato e un pm. Trovate i dettagli nella mia ricostruzione, ma certamente la vicenda non è ancora chiusa.

Sul fronte dei contributi, invece, questa settimana vengono ospitati due commenti sul tema del conflitto ucraino, ma sul fronte delle sue implicazioni costituzionali. La giurista Vitalba Azzollini affronta il tema del conflitto per capire se e come il nostro paese può entrare in guerra.

Sempre su questo tema, il filosofo Pasquale Pugliese si interroga sulla liceità dell’invio di armi in Ucraina alla luce dell’articolo 11 della Costituzione.

LO STRANO CASO DI POTENZA

La storia è talmente singolare da far supporre che ci sia ancora qualcosa di non emerso. Eppure, per ora ha provocato scompiglio nel foro di Potenza e uno scontro molto duro tra avvocati e la procura guidata da Francesco Curcio. Il caso è già arrivato al procuratore generale di Cassazione e anche alla ministra della Giustizia, con una interrogazione del senatore di Italia Viva, Giuseppe Cucca.

Riassumendo i fatti: un penalista chiede il rinvio di una udienza per legittimo impedimento, presentando un certificato medico. Il giudice la accoglie, la procura invece gli manda i carabinieri a casa per un’ispezione, sente i suoi familiari, poi convoca il medico. Ora sono entrambi indagati.

Le reazioni sono state molte: tutto il foro e i vertici nazionali hanno condannato l’iniziativa del procuratore. Mentre il procuratore capo di Potenza, Francesco Curcio, ha scritto una nota in cui spiega che «non si è proceduto ad indagini in ragione della mera allegazione del certificato medico», ma sulla base «sia del vernale riassuntivo di udienza del tribunale» e «soprattutto sulla base si ulteriori e diverse circostanze di fatto concernenti la certificazione medica di cui si parla, che hanno reso doverosi gli accertamenti in corso».

La presidente del Cnf, Maria Masi, ha chiesto al procuratore generale di Cassazione, Giovanni Salvi, di occuparsi del caso e lui ha risposto positivamente, aggiungendo però una frase di auspicio che il «Consiglio Distrettuale di Disciplina di Potenza stia agendo con la medesima tempestività ai necessari, paralleli accertamenti».

All’esito di una assemblea degli iscritti indetta dall’Ordine degli avvocati di Potenza, sono stati proclamati 8 giorni di sciopero.

Tuttavia, è ancora in corso un ulteriore giallo: circolano infatti due verbali di udienza, che divergono in modo evidente. Il primo, redatto a mano e in forma riassuntiva, dà conto dei fatti come raccontati dall’avvocato. Il secondo, redatto in stenotipia durante l’udienza fa luce sulle ragioni per le quali il pm sarebbe intervenuto: a fargli sospettare che il certificato medico fosse falso, è stato il fatto che pochi giorni prima l’avvocato aveva fatto istanza di rinvio per legittimo impedimento, adducendo altra udienza concomitante in diverso foro, il pm chiede di fornire documentazione della convocazione d’udienza ma l’avvocato non risponde più. Salvo poi depositare richiesta di rinvio con certificato medico.

I dettagli sono molti, ho provato a ricostruirli in questo articolo.

LA RIFORMA DELL’ORDINAMENTO GIUDIZIARIO

Non sembra accennare a risolversi l’impasse intorno alla riforma dell’ordinamento giudiziario. Tuttavia, dopo numerosi incontri tra la ministra e la maggioranza e un nuovo slittamento dell’approdo in aula – ora fissato al 19 aprile – il tempo sembra essere finito.

La ministra ha fissato un nuovo incontro per il prossimo lunedì, prevedendo che non venga aggiornato fino a che non si sarà trovato l’accordo.

Infatti, il presidente della commissione Giustizia, Mario Perantoni, ha stabilito che martedì si inizierà necessariamente a votare il testo, visto chesono arrivati anche i pareri del governo sulle proposte emendative presentate dai gruppi. «L'approdo in aula è previsto per il 19 e non sono pensabili ulteriori rinvii». 

Il punto più critico rimane il sistema elettorale del Csm: il centrodestra e Italia Viva non demordono sul sorteggio, il ministero invece lo ritiene incostituzionale. Sono al vaglio soluzioni di mediazione, come il sorteggio dei collegi, invece che dei candidati. L’ipotesi, però, non convince i partiti. Con il risultato che tutto rimane rinviato a lunedì.

QUI MILANO: L’ATTACCO A DE PASQUALE

Non c’è pace per la procura di Milano, oggi gestita dal facente funzioni Riccardo Targetti, in attesa che il Csm nomini il nuovo procuratore capo. Il terremoto che è stato il caso Amara è ancora fresco e gli attriti in procura rimangono forti, come ha dimostrato una assemblea tra sostituti e aggiunti convocata da Targetti.

In quella sede è emersa la necessità di riequilibrare i carichi di lavoro, soprattutto visti i bassi numeri di fascicoli gestiti dal terzo dipartimento, quello dei reati economici transnazionali guidato dall'aggiunto Fabio De Pasquale.

Per questo Targetti ha emesso un provvedimento provvisorio che durerà fino al 25 giugno, in cui si vuole porre rimedio alla «importante anomalia riguardo al III Dipartimento» (quello dell’indagine Eni-Nigeria), costituito dall’ex procuratore capo Francesco Greco, in merito alla «significativa sproporzione nelle assegnazioni di fascicoli».

In un triennio il pool di De Pasquale ha avuto sopravvenienze di 82 fascicoli, mentre gli altri dipartimenti hanno numeri che superano il migliaio, come i circa 7mila del pool “fasce deboli”.

L’assemblea ha avuto momenti di forte contrasto: De Pasquale avrebbe mostrato un documento con le firme di 22 pm per il riassetto degli incarichi, sostenendo che era fuori ruolo che alcuni procuratori criticassero il lavoro dei colleghi in quel modo e sollevando possibili profili formali e disciplinari.

In ogni caso, ora il III Dipartimento dovrà farsi carico delle truffe assicurative e i fascicoli della "materia ordinaria", come calunnie, diffamazioni e appropriazioni indebite.

Il III Dipartimento, però, è da anni un tema scottante e, come si legge nei verbali allegati al provvedimento di Targetti, alcuni magistrati hanno parlato di «creazione del dipartimento che ha creato un vulnus». 

In particolare, la pm Giancarla Serafini ha parlato di «malcontento di sostituti», che è «alimentato dal fatto che ci sono pm che si possono permettere di fare indagini importanti perchè non gravati da una massa enorme di fascicoli» e che «vedono con assoluto fastidio il privilegio di chi invece le indagini si può permettere di farle».

In ogni caso, De Pasquale e gli altri 5 pm del Dipartimento hanno scritto una lettera in cui dicono che «in un'ottica di solidarietà d'ufficio e sino alla definizione dei nuovi criteri organizzativi, la disponibilità ad un aumento delle assegnazioni dell'ordinario».

CALANO I REDDITI DEGLI AVVOCATI

L’ordine degli avvocati di Milano ha svolto insieme all’Università Cattolica un sondaggio per valutare l’impatto del covid sui redditi degli avvocati milanesi.

Su un campione di 810 avvocati che hanno risposto, «il 56% ha visto ridursi il proprio reddito personale» e circa la metà di questi ha avuto «un calo tra il 10 e il 50%».

Tra i numeri contenuti nel documento ci sono quelli sull'impatto dell’emergenza sanitaria sulla professione: tra i 447 titolari di studio o soci di società tra avvocati, il 68% dichiara di aver subito un calo di fatturato e, tra questi, oltre due terzi dichiara un calo tra il 10 e il 50%. Qui per leggere il bilancio di sostenibilità pubblicato.

GLI ORGANI DI AUTOGOVERNO

MERCOLEDÌ 31 MARZO SI È SVOLTO PRESSO LA LUISS GUIDO CARLI UN CONVEGNO DAL TITOLO “LA CORTE DEI CONTI AL SERVIZIO DEL PAESE PER UNA RIPRESA ECONOMICA EQUA ED EFFICIENTE”, IN RICORDO DEL PRESIDENTE EMERITO DELLA CORTE DEI CONTI, LUIGI GIAMPAOLINO. A ORGANIZZARLA, IL CENTRO DI RICERCA SULLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE, “VITTORIO BACHELET” E L’ASSOCIAZIONE MAGISTRATI DELLA CORTE DEI CONTI.

Particolarmente significativo è stato il dibattito della prima tavola rotonda, dal titolo “Gli organi di autogoverno delle magistrature”, a cui hanno preso parte i rappresentanti di tutti gli organi di autogoverno: il presidente della Corte di Cassazione Pietro Curzio, il Presidente del Consiglio di Stato Franco Frattini, il Presidente della Corte dei conti Guido Carlino, il Procuratore Generale Militare presso la Corte Suprema di Cassazione Maurizio Block, il Presidente del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria Antonio Leone, l’Avvocato generale aggiunto dello Stato Leonello Mariani, il Professor Aristide Police e il Professor Raffaele Bifulco.

Per rivederla, questo è il link di Radio Radicale. 

L’AVVOCATURA SUL CSM

Alla luce del dibattito piuttosto acceso sulla legittimità del voto agli avvocati nei consigli giudiziari per valutare la professionalità dei magistrati, il Consiglio nazionale forense ha organizzato un convegno dal titolo “La riforma dell’ordinamento giudiziario e il ruolo dell’avvocatura”.

Interessante è stato il confronto tra la presidente del Cnf, Maria Masi, e il presidente dell'Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia.

Anche in questo caso, è possibile rivedere il convegno a questo link. 

CAOS IN OCF, AGGIORNAMENTI

In attesa dell’assemblea dell’8 aprile, in cui si voterà il nuovo ufficio di coordinamento e si discuterà la situazione politica interna all’Organismo congressuale forense, sono arrivate le dimissioni del tesoriere.

L’avvocato Alessandro Vaccaro, infatti, si è dimesso anche dall’assemblea di Ocf e non più solo dall’ufficio di coordinamento. A suo carico pesa ancora però il mancato chiarimento sulle ragioni dei bonifici dal conto dell’Organismo al suo personale, che poi venivano da lui ri-bonificate.

Intanto, l’attività di controllo sui conti continuano e, secondo indiscrezioni, sarebbero state trovate anomalie anche nelle causali dei bonifici e dei pagamenti contestati a Vaccaro e nelle spese effettuate dall’ufficio di coordinamento.

Per chiarimenti confermati e più puntuali, però, bisognerà aspettare la relazione del comitato che sta analizzando i bilanci.

REFERENDUM SULLA GIUSTIZIA

E’ stato fissato il giorno in cui si voterà per i referendum sulla giustizia: il 12 giugno, in concomitanza con il primo turno delle elezioni amministrative.

I quesiti riguardano la giustizia e riguardano il sistema elettorale del Csm, la valutazione delle toghe, abrogazione della legge Severino, modifica delle misure cautelari, separazione delle funzioni in magistratura.

Qui un piccolo schema riassuntivo, per capire i contenuti dei referendum e come si intersecano con la riforma dell’ordinamento giudiziario.

ll dato politico, però, riguarda il fatto che la Lega, proponente i referendum, di troverà contemporaneamente seduta al tavolo per riformare in via parlamentare il ddl sull’ordinamento giudiziario e impegnata in campagna elettorale per sostenerne una modifica in via referendaria.

GIULIA MERLO. Mi occupo di giustizia e di politica. Vengo dal quotidiano il Dubbio, ho lavorato alla Stampa.it e al Fatto Quotidiano. Prima ho fatto l’avvocato.

Le esigenze difensive intralciano sempre il processo. E quelle del giudice? Gian Domenico Caiazza, Presidente UCPI – Unione Camere Penali Italiane, su Il Corriere del Giorno l'1 Aprile 2022.  

La cosa che pochi sanno è che in Italia tra le cause più diffuse del rinvio, e dunque della lentezza dei processi vi è l’impedimento del giudice, non quello del difensore. Non sia mai che si metta il naso nelle carriere del giudice. Intanto, andiamo ad indagare sul certificato dell’avvocato di Potenza, o sulla effettiva dipartita della mamma di quell’avvocato di Brescia.

Fa notizia che un avvocato risulti indagato, in quel di Potenza, per avere osato chiedere il rinvio di una udienza in quanto malato, come da allegato certificato medico. Sull’abbrivio di questa notizia, il giorno dopo ne salta fuori un’altra: a Brescia il difensore chiede un rinvio perché gli è morta la madre, e il Tribunale manda i Carabinieri a verificare se la signora sia davvero nella bara. Chi dovesse stupirsi di simili notizie, sappia che si tratta invece di comportamenti abituali nelle aule di giustizia. Intorno alle ragioni di impedimento del difensore vige da anni, in ogni parte di Italia, una diffusa presunzione falsità, o almeno di insidiosa pretestuosità. Forse è un riflesso legato alle antiche conseguenze di tali richieste di rinvio delle udienze, quando cioè ancora esse determinavano il proficuo maturare della prescrizione del reato contestato all’imputato.

Ma non è più così sin dal 2005, quando l’art. 159 del Codice penale fu modificato prevedendo, tra le cause di sospensione del corso della prescrizione, i rinvii del processo determinati “per ragione di impedimento delle parti e dei difensori, ovvero su richiesta dell’imputato e del suo difensore” Ma come! direte voi: e tutta quella storia raccontata, ancora oggi, dai pifferai del populismo giustizialista, secondo la quale gli avvocati, soprattutto quelli di imputati ben paganti, inventano mille diavolerie per far maturare la prescrizione? Beh, peggio per voi che vi bevete le balle di Travaglio e compagnia.

Ma torniamo a noi. Sarà per questo, o per la radicata idea manzoniana dell’azzeccagarbugli, sta di fatto che di regola il giudice pensa che il difensore stia ordendo un inganno, sicché sono all’ordine del giorno poco edificanti storie come quelle di Potenza e Brescia. Il difensore è, di default, un sabotatore del processo, un potenziale intralcio al sereno corso della giustizia: questa è l’idea dell’avvocato assolutamente prevalente nel nostro Paese. Ma la cosa che pochi sanno è che in Italia tra le cause più diffuse del rinvio, e dunque della lentezza dei processi vi è l’impedimento del giudice, non quello del difensore. Dalla indagine statistica dell’Istituto Eurispes, commissionata dalle Camere Penali Italiane e riferite all’anno 2019, risulta che i rinvii dovuti alla “assenza del giudice titolare” sono il 3,3%; cui devono aggiungersi i rinvii dovuti a “precarietà del collegio” (0,3%), per assenza del P.M. titolare (0,2%), per un totale del 3,8%; contro il 2,1% dei rinvii per impedimento del difensore.

Con l’aggravante che questi ultimi, come si è detto, fermano il decorso dei termini di prescrizione, mentre i rinvii dovuti ad assenza di Giudici e PM no. Ovviamente nessuno sindaca le ragioni degli impedimenti dei giudici, che devono ritenersi giustificati e legittimi ex se, tanto quanto sono sospetti di strategie fraudolente quelli degli avvocati. Il quadro, poi, si è oggi ulteriormente aggravato, da quando i giudici medesimi hanno in via interpretativa scardinato la sacrosanta regola processuale che impone la ripetizione della istruttoria dibattimentale se in corso di processo cambia il giudice. Con una sentenza emblematica del potere del tutto fuori controllo che i giudici italiani si sono assegnati nell’interpretare le norme anche contro la evidenza della loro testualità, le sezioni unite hanno sancito di fatto l’abrogazione di quel principio, dando così corpo ad una antica loro ossessione che il legislatore non aveva voluto recepire. Il risultato è che ormai assistiamo ad un bailamme di giudici che cambiano in corso di causa ad ogni piè sospinto. 

La motivazione formale starebbe nella tutela della ragionevole durata del processo, ma la sostanza è ben altra, ed è a tutto tondo di autoprotezione corporativa. Infatti, basterà chiedersi: ma perché il giudice cambia in corso di causa? La risposta è ovvia: cambia per ragioni di carriera. Vuole cambiare funzione, o Foro, o anche semplicemente sezione, e questo è del tutto legittimo; ma vuole poterlo fare senza vincoli ed intralci, e questo lo è molto meno. Questo profilo della questione non è minimamente indagato dalle severe Sezioni Unite.

Il problema delle conseguenze del cambio del giudice -che pregiudica il sacrosanto diritto dell’imputato ad essere giudicato dal medesimo giudice che ha assunto la prova – è stato dunque affrontato del tutto a prescindere da una indagine sulle cause di quel cambio. Non sia mai che si metta il naso nelle carriere del giudice. Non sia mai che si pretenda che questi attenda almeno di esaurire il ruolo delle proprie udienze prima di trasferirsi. State alla larga dai fatti nostri. Intanto, andiamo ad indagare sul certificato dell’avvocato di Potenza, o sulla effettiva dipartita della mamma di quell’avvocato di Brescia. Giusto, no?

Potenza. Gli avvocati contro l’arroganza della Procura: 8 giorni di astensione da tutte le udienze penali, civili, amministrative e tributarie. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno l'1 Aprile 2022.

La Giunta nazionale dell' Unione Camere Penali Italiane pur esprimendo apprezzamento per le petizioni di principio rivendicate dal Procuratore Curcio, ritiene ora più che mai indispensabile un accertamento chiaro, definitivo ed inequivoco di quanto accaduto, perché occorre con certezza sapere se sia mai potuto accadere che un avvocato possa essere indagato per avere semplicemente certificato la propria malattia, ciò costituendo una inaudita aggressione alla dignità ed ai diritti fondamentali del difensore; o quale sia altrimenti, senza residui equivoci, quella alternativa e diversa spiegazione che finalmente vorremmo comprendere

L’Assemblea dell’Ordine degli avvocati di Potenza convocata d’urgenza per prendere posizione sul caso su cui la Procura generale della Corte di Cassazione ha avviato accertamenti in sede pre-disciplinare e sul quale sono state già presentate alcune interpellanze parlamentari, ha proclamato oggi l’astensione da tutte le udienze penali civili amministrative e tributarie per il massimo dei giorni ( otto) previsti dal regolamento . Stigmatizzato lo sgarbo istituzionale del Procuratore Capo che è intervenuto sulla stampa con un lungo comunicato pieno di inesattezze, ancora prima di incontrare il consiglio dell’ordine e la camera penale. 

Anche l’ Unione Nazionale delle Camere Penali, ha emesso ieri sera una nota abbastanza dura. “Abbiamo atteso con pazienza condividendo ed apprezzando le prese di posizione della avvocatura potentina, a partire da quella espressa dalla Camera Penale della Basilicata, che la Procura della Repubblica di Potenza fornisse una spiegazione del clamoroso atto investigativo svolto nei confronti di un avvocato che, impedito a comparire per ragioni di salute, aveva fatto depositare in udienza il relativo certificato medico. Ciò in quanto l’accesso della Polizia Giudiziaria, lo stesso giorno, prima presso l’abitazione del Collega con medico al seguito, e poi nello studio, nonostante il Tribunale avesse in udienza respinto la richiesta di visita fiscale avanzata dal P.M. e ritenuto legittimo l’impedimento del difensore, recava in sé le stimmate di un atto di tale inaudita gravità e di grossolana illegalità da indurci ad immaginare ragioni investigative diverse da quelle apparenti“. 

“Senonché la lunga nota diramata ieri dal Procuratore dott. Francesco Curcio – continua la nota – pur fondata su lunghe premesse volte a ritenere inconcepibile, e del tutto estranea ai convincimenti ed al costume giudiziario di quell’Ufficio, una reazione ritorsiva quale quella denunziata dalla avvocatura, fornisce una spiegazione contraddittoria, oscura nella rappresentazione dei fatti ed alla fine semplicemente incomprensibile. Ciò sollecita questa Giunta a rivolgersi al Procuratore Generale ed al Presidente del Tribunale di Potenza, perché rendano edotti tutti noi di quanto effettivamente accaduto. Ed infatti, secondo il Procuratore dott. Curcio: L’iniziativa investigativa, non abbiamo compreso se relativa ad una indagine in qualche modo precedente ed autonoma rispetto ai fatti accaduti in aula, sarebbe comunque stata alimentata dalla trasmissione “urgente” del verbale di udienza da parte del Tribunale“. 

“Dunque il Tribunale da un lato avrebbe ritenuto legittimo l’impedimento, respingendo la richiesta del PM di disporre visita fiscale, e dall’altro avrebbe ritenuto sussistere in quei fatti una qualche notizia criminis, tale da imporne una urgente segnalazione al Procuratore della Repubblica; La Polizia Giudiziaria, recatasi – per ragioni che continuiamo a non comprendere – prima nell’abitazione e poi nello studio del Collega, avrebbe portato con sé un medico “di propria iniziativa”, dunque non su disposizione della Procura.È agevole constatare la assoluta incongruenza della articolata spiegazione che il Procuratore della Repubblica ha inteso dare pubblicamente” continua l’ Unione delle Camere Penali.

“Con essa, nell’intento di respingere la fondatezza delle proteste dell’avvocatura, non solo finisce per confermarla, ma anzi ne aggrava il quadro, prospettando da un lato una condotta inspiegabilmente contraddittoria del Tribunale, e dall’altra una iniziativa del tutto abusiva della Polizia Giudiziaria.La Giunta UCPI, pur esprimendo apprezzamento per le petizioni di principio rivendicate dal Procuratore Curcio, ritiene ora più che mai indispensabile un accertamento chiaro, definitivo ed inequivoco di quanto accaduto, perché occorre con certezza sapere se sia mai potuto accadere che un avvocato possa essere indagato per avere semplicemente certificato la propria malattia, ciò costituendo una inaudita aggressione alla dignità ed ai diritti fondamentali del difensore; o quale sia altrimenti, senza residui equivoci, quella alternativa e diversa spiegazione che finalmente vorremmo comprendere” conclude l’ UCPI.

Sulla vicenda è intervenuto l’avvocato e responsabile regionale del Dipartimento Giustizia di Italia Viva Basilicata, Antonio Di Lena: “Oggi in qualità di avvocato e di dirigente politico ho preso parte all’Assemblea dell’Ordine che si è svolta a Potenza a seguito della grave vicenda a cui è stato sottoposto l’avvocato Antonio Murano da parte della Procura di Potenza” che ha aggiunto “Va immediatamente fatta luce su quello che appare un clamoroso atto investigativo svolto nei confronti di un avvocato di Potenza che appare, così come già dichiarato dalla Camera penali nazionali di inaudita gravità. Per questo di rende indispensabile un accertamento chiaro, definitivo ed inequivoco di quanto accaduto anche a seguito di notizie di stampa secondo cui ci sarebbero dei verbali modificati successivamente. “Per questo ritengo doveroso stigmatizzare questa mancanza di rispetto del ruolo difensivo e mi associo – conclude – alla richiesta dell’Ordine di fare piena luce sulla vicenda affinché non vengano mai più compromesse le garanzia difensive con la delibera di astensione da tutte le attività per il periodo massimo consentito e cioè dal 14 al 26 aprile prossimi”. Redazione CdG 1947

Quel caso dell'avvocato di Potenza che scuote il Parlamento. Francesco Boezi il 29 Marzo 2022 su Il Giornale.

Il senatore d'Italia Viva Giuseppe Cucca presenta un'interrogazione su una perquisizione dello studio di un avvocato che non poteva partecipare ad un'udienza per motivi di salute.

Un'interrogazione parlamentare presentata dal senatore Giuseppe Cucca, un esponente d'Italia Viva che da sempre si occupa di temi legati alla Giustizia, sul caso di un avvocato di Potenza il cui studio, secondo quanto si legge dal testo presentato dal renziano, è stato perquisito per ordine del pm, nonostante il legale avesse dribblato un'udienza per meri motivi di salute.

Ma non viene rimarcato soltanto il "dettaglio" della perquisizione. Il senatore Giuseppe Cucca, come ripercorso dall'Ansa, ci ha tenuto a ricostruire il quadro: "Ho presentato un'interrogazione urgente alla Ministra Cartabia - ha premesso - per chiedere conto di un grave fatto avvenuto a Potenza dove un avvocato ha richiesto il differimento di un'udienza per ragioni di salute, accordato da il tribunale".

Poi viene spiegato quello che sarebbe stato predisposto dal Pubblico ministero: "Il pm peró ha deciso di mandargli a casa i carabinieri e un medico, indagarlo e disporre una perquisizione dello studio del professionista che aveva redatto il certificato".

Atti che il parlamentare del partito guidato da Matteo Renzi ritiene dunque privi di una reale base in grado di motivarli. Peraltro il tutto viene condito da un dettaglio giuridico in grado di spiegare, per Cucca, l'incomprensibilità di quanto sarebbe stato deciso dal Pm: "Non si comprendono le ragioni di un tale dispiego di forze e personale per un mero rinvio dell'udienza rispetto ad un procedimento penale non prossimo alla prescrizione, i cui termini sarebbero rimasti, in ogni caso, sospesi proprio in virtù del differimento per motivi di salute del difensore". In buona sostanza, l'assenza dell'avvocato non avrebbe avuto alcuna rilevanza rispetto ai termini di prescrizione.

Il senatore, che è anche il vice del gruppo d'Iv a Palazzo Madama, ha dunque voluto chiedere spiegazioni al ministro Marta Cartabia: "Per questo chiedo alla Ministra di adoperarsi affinché tali fatti siano chiariti e non si ripetano", ha chiosato.

Quanto avvenuto nel capoluogo lucano è stato commentato anche dal segretario generale dell'Associazione Nazionale Forense Giampaolo Di Marco: "La denuncia dell'avvocato Antonio Murano, del Foro di Potenza, che, dopo avere chiesto il rinvio di un'udienza alla quale non poteva presenziare per motivi di salute, istanza accolta dal collegio del Tribunale, ha ricevuto una visita fiscale a casa, all'esito della quale ha scoperto di essere indagato, mentre il medico è stato a lungo interrogato in caserma, è, nella migliore delle ipotesi, un eccesso delle prerogative del magistrato", ha fatto presente il rappresentante dell'ente associativo, così come rimarcato dalla fonte sopra citata.

Legale a giudizio: notizia alla stampa, poi a lui, of course. I pm chiedono il procedimento immediato per Antonio Murano, l’avvocato di Potenza finito sotto inchiesta dopo essersi assentato in udienza per malattia. Nella nota con cui la Procura riferisce lo sviluppo, dice che “la legge è uguale per tutti”. E uguale per tutti è anche la circostanza di doverne essere informati dai giornali. Gennaro Grimolizzi su Il Dubbio l'1 luglio 2022.

È ancora alta la tensione tra la Procura di Potenza e l’avvocatura del capoluogo lucano sul caso Murano.

Qualche giorno fa è stato disposto da parte del Gip del Tribunale di Potenza, su richiesta della Procura, il giudizio immediato per gli avvocati Antonio e Pasquale Murano e per altre quattro persone, coinvolte nella vicenda dei certificati medici e dei rinvii delle udienze penali. La Camera penale distrettuale di Basilicata ora passa al contrattacco. E lo fa sollevando una serie di questioni che riguardano le notizie date in anteprima alla stampa e il trattamento riservato al legale.

A lasciare sconcertati i penalisti lucani è stato l’intero modus procedendi. Per questo motivo è stata indetta una conferenza stampa nella mattinata di oggi per porre all’attenzione alcuni aspetti della vicenda.

Nello scorso marzo, dopo essersi assentato in udienza presentando un certificato medico, l’avvocato Antonio Murano ha ricevuto la visita fiscale ed è stato sottoposto ad alcuni controlli da parte dei carabinieri nel suo studio.

«La notizia giornalistica – evidenzia Sergio Lapenna, presidente della Camera penale distrettuale di Basilicata – relativa al giudizio immediato disposto nei confronti degli avvocati Murano e alla nota del Procuratore della Repubblica, Francesco Curcio, con la quale si è resa nota questa circostanza e si è sottolineata l’intenzione dell’ufficio di dare sempre concretezza al principio per cui la legge è uguale per tutti, ci induce a precisare una serie di aspetti. Ciò anche in conseguenza della decisione che ha indotto l’avvocatura potentina a proclamare un’astensione dalle udienze lo scorso mese di aprile».

Lapenna lamenta la classica fuga di notizie, con la conseguenza, per i diretti interessati, di apprendere prima dalla stampa le questioni che li riguardano. «Spiace sottolineare – dice Lapenna – che, a differenza di quanto dovrebbe sempre avvenire nelle vicende di giustizia, il provvedimento che ha disposto il giudizio immediato a carico dei colleghi Murano è stato anticipato dalla Procura di Potenza agli organi di stampa, addirittura prima che lo stesso fosse notificato agli interessati, senza tener conto degli indirizzi voluti dal legislatore il quale, con un recente provvedimento di legge, ha previsto che tutti gli uffici di Procura si rapportino agli organi di stampa con misura e sobrietà nel rispetto della più generale presunzione d’innocenza di tutti i cittadini indagati. Quanto al contesto della vicenda, senza entrare nel merito dei fatti che saranno accertati nelle sedi competenti, non si può fare a meno di sottolineare che la censura espressa dall’avvocatura sull’indirizzo dell’attività investigativa ha riguardato il “metodo” con il quale si è proceduto».

Cosa impensierisce la Camera penale di Basilicata? «In particolare – prosegue il presidente Lapenna – abbiamo lamentato la scelta di un modus procedendi invasivo, quale la visita presso il domicilio dell’avvocato Antonio Murano, senza il rispetto delle garanzie difensive codicistiche. Infatti, tale azione non è stata preceduta né da un avviso di garanzia né da qualsiasi atto prodromico che potesse in qualche modo legittimarlo. Parimenti, la visita presso lo studio del professionista da parte dei carabinieri per visionare le registrazioni videofilmate non è stata preceduta né dall’avviso prescritto al Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Potenza né da un atto di garanzia previsto per tutti i casi in cui è considerata la partecipazione dell’indagato».

Parità di trattamento per tutti, ma anche oculatezza in riferimento a certi metodi utilizzati. «L’avvocatura – conclude il presidente della Camera penale – concorda sul principio che la legge debba essere uguale per tutti e che per ogni imputato vige la presunzione di innocenza, fino a sentenza passata in giudicato, ma sottolinea che le regole e le garanzie difensive vadano anch’esse rispettate per tutti gli indagati ed imputati, a prescindere se siano avvocati o meno».

Continuano le follie della procura di Potenza. L’avvocato è malato, il pm lo fa perquisire e non contento poi lo indaga.  Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 29 Marzo 2022.

La vicenda assurda è capitata ad un legale di Potenza che richiesto il differimento dell’udienza per motivi di salute. Il magistrato ha deciso di mandargli a casa i Carabinieri ed un medico. Sulla vicenda sono intervenuti annunciando due parlamentari alla Camera ed al Senato con interrogazioni rivolte al Ministro di Giustizia. Rivolta dell'avvocatura italiana contro il magistrato della Procura di Potenza

Nel Palazzo di Giustizia di Potenza la “follia” ed arroganza giudiziaria sembrano non avere limiti. In occasione di un’udienza penale tenutasi lo scorso 24 marzo dinnanzi al Tribunale Penale, l’ avvocato Antonio Murano con studio a Rionero in Vulture (PZ) con motivi di salute certificati, la sera prima era stato colpito da una fortissima colica al punto da richiedere l’intervento del medico, è stato impossibilitato, a raggiungere il Palazzo di giustizia del capoluogo lucano ed ha richiesto verbalmente, per il tramite di un collega, il differimento dell’udienza.

L’ assenza peraltro giustificata dell’avvocato è stata recepita da parte del Collegio B, presieduto dal giudice Federico Sergi, che dopo aver ricevuto non solo via Pec, ma anche in originale attraverso l’imputato l’attestazione medica, ha accolto l’istanza del legale  che peraltro non avrebbe causato problemi allo svolgimento del processo dal momento che il legittimo impedimento del difensore interrompe automaticamente il decorso della prescrizione . A questo punto, però, è successo qualcosa che non può e non deve passare inosservata. 

Il Collegio giudicante ha rigettato ben due richieste del pm Giuseppe Borriello, che tendeva a verificare le condizioni dell’avvocato assente per motivi di salute. Ma non solo. Infatti il magistrato lucano ha presentato al Tribunale anche un’istanza in merito alla contestata trasmissione del certificato alla Procura della Repubblica. Rigettata come la prima. Non contento il pubblico ministero, ha deciso di mandare i Carabinieri a casa dell’avvocato senza alcun provvedimento giudiziario, il quale ha scoperto essere addirittura stato iscritto nel registro degli indagati della Procura lucana con l’accusa di “false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’Autorità giudiziaria”, reato punito dal codice con una pena che prevede 6 anni di prigione.

“Dopo qualche ora nel primo pomeriggio intorno alle 14, l’inaspettato arrivo nella mia dimora di un medico. Si è presentato accompagnato dai Carabinieri per effettuare una visita disposta dalla Procura di Potenza” racconta l’avvocato Murano, che ha ritenuto opportuno informare anche il Consiglio nazionale forense, le Camere penali ed il Csm. “Pur non essendo questi visitatori muniti di alcun provvedimento giudiziario, e pur in assenza delle obbligatorie informazioni previste dagli articoli 369 e 369-bis del Codice di procedura penale, animato da uno spirito collaborativo e non avendo alcunché da occultare non mi sono opposto. Ho consentito quindi al medico di verificare il mio status“. 

L’avvocato Murano, noto penalista con quasi quarant’anni di carriera, apprezzato in Basilicata e fuori regione, non nasconde la propria amarezza. “Ho pensato che si trattasse di una esagerazione, immaginando che qualcuno avesse potuto dubitare della genuinità del certificato attestante la mia malattia, anche se non mi pare che sia mai stata disposta un’ispezione medica su un avvocato, né in tantissimi anni di onorata professione mi è mai capitato di sentire un episodio simile” commenta il legale.

“Ad ogni modo, consentita la visita alla quale mi sarei potuto lecitamente opporre e concessa al medico inviato dalla Procura la facoltà di verificare le mie condizioni, ho sperato che la faccenda fosse chiusa”. Ma invece non è andata così. Le cose si sono complicate ulteriormente coinvolgendo persino alcuni parenti stretti del legale. “Con stupore ho appreso di essere addirittura indagato, non so per cosa, e nell’ambito di tali indagini sono stati disposti gli interrogatori di mia madre, che ha più di ottant’anni, mio fratello e mio figlio Pasquale, che svolge con me la professione forense” spiega l’ avvocato Murano.

Non contento il magistrato Borriello ha coinvolto anche il medico, il dr. Donato Labella stimato professionista “colpevole, è proprio il caso di dirlo – aggiunge l’avvocato Murano – di avermi visitato e redatto il certificato che è stato trattenuto per circa tre ore nella caserma dei Carabinieri di Rionero in Vulture, in provincia di Potenza, attinto da decreto di perquisizione locale e personale e decreto di sequestro del telefonino, vedendosi privato del dispositivo contenente le applicazioni relative all’identità digitale, necessarie, tra le altre cose, a firmare le guarigioni da Covid-19 e disporre la fine della quarantena dei suoi pazienti”. 

Ma non è finita. Alle otto di sera un’altra pattuglia di Carabinieri si è recata nello studio di Murano per acquisire le immagini della video sorveglianza. Acquisizione che non produceva alcunchè non essendo le telecamere funzionanti con registrazione. L’avvocato Murano, scosso da quanto accaduto, ha scritto una lettera a tutti i vertici degli uffici giudiziari lucani, al presidente della Corte d’appello e procuratore generale inclusi, alla Procura di Catanzaro ed al Consiglio superiore della magistratura.

Una giornata lunghissima e da dimenticare quella del 24 marzo scorso per l’avvocato Murano. Con l’aggiunta di ulteriori anomalie e forzature. Come racconta il quotidiano IL DUBBIO emanazione del Consiglio Nazionale Forense: “In prima serata – spiega l ‘avvocato Murano -, verso le 20, i Carabinieri si sono recati, in mia assenza, presso il mio studio legale di Rionero in Vulture. Con tatto e discrezione, non posso negarlo, hanno chiesto di acquisire le registrazioni della videosorveglianza. Anche in tale occasione la richiesta appare anomala, in quanto non mi è stato notificato alcun avviso di garanzia che legittimasse atti invasivi della privacy e, quindi, pur sussistendo i presupposti per opporsi, veniva consentito l’accesso, che non dava alcun esito in quanto il sistema non era funzionante. Tutto si è verificato senza che io abbia ricevuto, ad oggi, un’informazione di garanzia o qualunque altro provvedimento, a fronte di azioni fortemente invasive del campo professionale e privato. Né si comprende la ragione di un simile sospetto che ha portato all’immediata iscrizione della notitia criminis con cotanto dispiego di forze, posto che il procedimento penale oggetto di rinvio non è prossimo alla prescrizione, i cui termini sarebbero rimasti, in ogni caso, sospesi, visto il differimento per motivi di salute del difensore“.

Quanto accaduto qualche giorno fa nel Tribunale di Potenza e nella città di Rionero, un tempo rientrante nel circondario del Tribunale di Melfi, soppresso nel 2013, non ha precedenti sia per la storia dell’avvocatura che in quella della magistratura. “Ritengo – commenta l’avvocato Murano – quanto accaduto di una abissale gravità a maggior ragione se si tiene conto che il Collegio aveva ritenuto inopportuno qualsiasi accertamento, rigettando la relativa richiesta. È il momento, da parte di tutti gli organismi forensi e dell’intera avvocatura, di intraprendere ogni iniziativa volta a dare risalto con decisione all’accaduto al fine di affermare con forza il decoro ed il prestigio della classe forense, denigrato ed umiliato da episodi come quelli che mi hanno interessato, evitando, con fermezza, che possano incrinare i rapporti di stima tra magistratura e avvocatura, con azioni ingiustificatamente dirompenti, la cui eco rischierebbe di proscrivere anche le più banali facoltà difensorie nell’alveo della paura di vedersi colpiti da simili episodi“. 

Interrogazioni parlamentari

Sulla vicenda sono intervenuti annunciando due interrogazioni parlamentari al Ministro di Giustizia presentate dall’ Onorevole Carmelo Miceli (PD) avvocato siciliano e membro della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati , e dal Senatore Giuseppe Luigi Salvatore Cucca (PSI-IV) avvocato sardo e membro della Commissione Giustizia del Senato della Repubblica .

“Quanto accaduto nel Tribunale di Potenza mi ha lasciato davvero senza parole. Mi sto abituando a tutto, ma trattare così un avvocato non può che farmi preoccupare. Stiamo vivendo un momento di grandi tensioni per quanto riguarda i rapporti tra avvocatura e magistratura. I magistrati devono rispettare la legge e non sentirsi al di sopra” dice il senatore Cucca che con la sua interrogazione mira a chiarire tutti i contorni della vicenda. “Voglio sapere se la ministra Cartabia è a conoscenza dei fatti e quali sono i suoi intendimenti in merito. Inoltre, voglio conoscere le iniziative che la ministra ritiene di adottare per prevenire il ripetersi di vicende come quelle accadute presso il Tribunale di Potenza. È emerso da quanto si apprende che il potere requirente ha tentato di interferire, travalicando i propri poteri e le proprie competenze, su decisioni già assunte dall’organo giudicante. Occorre evitare che, tramite azioni sproporzionate e ingiustificate, si possano incrinare i rapporti di leale collaborazione che devono sussistere tra magistratura e ordine forense” aggiunge il senatore Cucca. L ’iniziativa intrapresa dal senatore di Italia Viva, ha l’obiettivo di far svolgere un’ispezione nel Tribunale di Potenza ed una segnalazione del caso al Procuratore generale della Corte di Cassazione. “Spero che quanto accaduto all’avvocato Murano ottenga la massima attenzione da parte del Consiglio nazionale forense” conclude Cucca.

Le reazioni degli avvocati

Il Consiglio dell’ ordine degli Avvocati di Potenza ha immediatamente convocato per venerdì un’ assemblea per discutere sull’accaduto e decidere sulle azioni da intraprendere. Ed anche la Camera Penale di Potenza sta vagliando le opportune iniziative da intraprendere.

Immediatamente è scattata la puntale solidarietà dei colleghi. Sono intervenute diverse associazioni forensi. “Non è concepibile in uno stato di diritto che si possa soltanto immaginare quanto è accaduto” ha commentato l’ avvocato Nino La Lumia del Movimento forense. L’ OCF- organismo congressuale forense attraverso il coordinatore Giovanni Malinconico, scrive in una nota : “Davanti a vicende come questa si resta attoniti. Il capriccio intimidatorio di un pm, perché di questo si tratta, oltre a suonare come un inaccettabile schiaffo all’intera classe forense, incide in modo gravissimo sul diritto di difesa a danno della parte assistita dal Collega e della stessa Giustizia. L’OCF, oltre a portare la propria solidarietà al Collega Murano e al COA di Potenza, segnalerà la vicenda al Ministro della Giustizia Cartabia, affinché disponga quanto prima un’ispezione presso la Procura di Potenza e assuma tutti i conseguenti provvedimenti”.

Quanto avvenuto nel capoluogo lucano è stato commentato anche da Giampaolo Di Marco segretario generale dell’Associazione Nazionale Forense : “La denuncia dell’avvocato Antonio Murano, del Foro di Potenza, che, dopo avere chiesto il rinvio di un’udienza alla quale non poteva presenziare per motivi di salute, istanza accolta dal collegio del Tribunale, ha ricevuto una visita fiscale a casa, all’esito della quale ha scoperto di essere indagato, mentre il medico è stato a lungo interrogato in caserma, è, nella migliore delle ipotesi, un eccesso delle prerogative del magistrato“. 

La Camera penale distrettuale di Basilicata in una nota ha scritto che “l’attività posta in essere dalla Procura costituisce un anomalo utilizzo degli strumenti investigativi a disposizione dell’organo dell’accusa” sottolineando che l’accesso alla casa dell’avvocato con un medico di un altro comune e allo studio del legale, effettuato senza “alcun avviso o atto formale“, “non può che essere ritenuto grave, con gravi violazioni delle norme procedurali, inderogabili“. Secondo la Camera penale distrettuale, “tali fatti minano la serenità dello svolgimento della delicata funzione giurisdizionale nella quale l’Avvocatura è parte essenziale a tutela dei diritti di ogni cittadino, sia imputato-indagato sia parte offesa”. L’incontro fissato con il Procuratore della Repubblica di Potenza Francesco Curcio, fissato lunedì prossimo, dovrebbe servire ad avere “gli opportuni chiarimenti anche volti a ridisegnare i rapporti tra la Magistratura inquirente e l’Avvocatura“. Redazione CdG 1947

Potenza. Il giallo dei verbali fra Procura e Tribunale sul “caso Murano”... Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno l'1 Aprile 2022.

Cosa dirà il procuratore Curcio lunedì al presidente dell' Ordine degli Avvocati di Potenza, Avv. Maurizio Napolitano e quello della Camera Penale Distrettuale Avv. Sergio Lapenna ? Ma sarebbe ancora più interessante sapere cosa spiegherà alla Procura Generale della Cassazione ed agli ispettori del Ministero di Giustizia quasi certamente in arrivo a seguito delle due interrogazioni parlamentari presentate sull' accaduto ? Dirà anche a loro che è sempre colpa dei giornalisti...???

Questa mattina si svolgerà l’ assemblea dell’ avvocatura di Potenza per decidere le iniziative da intraprendere sul “caso Murano” creato dalla Procura di Potenza, che ha iscritto nel registro degli indagati l’ avvocato penalista di Rionero in Vulture, colpito da una colica renale che gli ha impedito di essere presente in un’udienza dinnanzi al collegio penale presieduto dal Giudice Federico Sergi del Tribunale di Potenza. Ma in questa vicenda c’è qualcosa di molto strano che ci auguriamo che gli Ispettori del Ministero di Giustizia, la Procura Generale della Cassazione ma anche la Procura di Catanzaro facciano luce e chiarezza. Noi siamo semplici giornalisti, il nostro lavoro è dare notizie, non alterare la verità (“con grave pregiudizio” come sostiene il Procuratore di Potenza Curcio ). Qualcuno dovrebbe ricordare o imparare che dire la verità non è mai diffamazione ! O forse noi giornalisti dobbiamo imparare dai magistrati a fare il nostro lavoro ? In alcuni casi, ci sia consentito di dirlo, potrebbe accadere facilmente il contrario !

Eccovi quindi di seguito la ricostruzione documentale che il nostro giornale ha effettuato documentalmente (come nostro stile di lavoro) su quanto accaduto nel Tribunale di Potenza, e questa volta per qualche magistrato sarà difficile querelarci…e provare a smentirci. Come dicevano i nostri padri latini “verba volant, scripta manent”. 

Domani l’ assemblea dell’ ordine degli Avvocati di Potenza deciderà quali azioni intraprendere dopo la nota stampa diramata ieri dal procuratore di Potenza Francesco Curcio, che riportiamo integralmente di seguito, il quale sostiene ed evidenzia che sulla base del verbale riassuntivo sintetico (trascritto a mano dal cancelliere d’udienza Silvia Lauciello) in udienza del Tribunale da cui si legge “Il Tribunale dispone a cura della cancelleria la trasmissione del certificato medico e dell’istanza di rinvio dell’ avv. Murano alla segreteria del dr. Borriello, con urgenza“, era assolutamente doveroso per la procura del capoluogo lucano disporre gli accertamenti in corso. Una teoria che fa acqua da tutte le parti, come i documenti acquisiti in esclusiva dal CORRIERE DEL GIORNO dimostrano. In questo caso lasciatecelo dire, la toppa è più profonda e larga del buco…che qualcuno vorrebbe coprire e ribaltare.

Come sempre il nostro giornale pubblica gli atti integrali

A conferma della nostra correttezza professionale e deontologia giornalistica che è ben diversa e più elevata di quella di qualcun altro…ecco di seguito copia originaledel verbale redatto con due ore di ritardo dal cancelliere dopo il termine dell’ udienza.

Dalla lettura del comunicato stampa della procura, ed un attenta disamina dalle trascrizioni dell’udienza, più di qualcosa non quadra nelle giustificazioni addotte dal procuratore di Potenza. Infatti da un altro verbale, cioè quello fonoregistrato, più attendibile e realistico, emerge una realtà ben diversa da quella trascritta dal cancelliere 1 h e 19 minuti dopo la chiusura dell’udienza ed utilizzata dalla Procura di Potenza per giustificare il proprio comportamento che sembra poco in linea con quanto contenuto nel codice di procedura penale. Infatti a pagina 7 di 10 del verbale fonoregistrato si legge quanto segue:

“P.M. E’ il Pubblico Ministero che chiede trasmissione all’Ufficio di Procura della richiesta del certificato medico del difensore“. Quindi basta leggere con attenzione la risposta reale del giudice dr. Sergi per verificare che è ben diversa da quella trascritta dal cancelliere, ed utilizzata dalla Procura per avviare le proprie indagini imbarazzanti culminate con il sequestro del telefono ad un medico che ha in cura pazienti colpiti dal Covid !

Questo è quanto è accaduto in realtà, come si apprende dalla fonoregistrazione: 

“PRESIDENTE. Ne può acquisire copia. E’ agli atti. Sono estensibili a chiunque. La può acquisire e il fascicolo del dibattimento è pubblico“. Ed alla pagina successiva (pag. 8 di 10) si legge: “Rinvio quindi al 19 maggio prossimo 11. 30“.

Anche in questo caso forniamo in lettura ai nostri lettori ( e non solo…) gli atti integrali:

Quindi se l’udienza è stata rinviata, vuol dire che il certificato medico è stato accolto dal giudice e l’impedimento ritenuto legittimo. Ma la cosa più grave è che il giudice non ha mai disposto proprio nulla ! Quindi legittimo chiedersi, quale sarebbe il reato ipotizzato dal pm Giuseppe Borriello della procura di Potenza per cui ha indagato l’ avv. Murano ? Ma c’è qualcosa di ancora più grave. Dalla registrazione risulta che il verbale viene chiuso alle 10:41, mentre da quello dattiloscritto dal cancelliere risulta chiuso alle 12, cioè 1 ora e 19 minuti dopo! 

Il nostro lavoro è quello di fare delle domande. Cosa è successo in quel tempo ? Come ha fatto il cancelliere d’udienza a scrivere il contrario di quanto emerge dalle registrazioni ? Qualcuno gli ha fatto da promemoria…? Chissà se il dr. Curcio ed il suo sostituto Borriello vorranno cortesemente spiegarcelo, o meglio spiegarlo ai nostri lettori ? In definitiva siamo tutti cittadini e contribuenti che con con le proprie tasse contribuiamo a pagare i lauti stipendi anche alla magistratura !

Cosa dirà il procuratore Curcio lunedì al presidente dell’ Ordine degli Avvocati di Potenza, Avv. Maurizio Napolitano e quello della Camera Penale Distrettuale Avv. Sergio Lapenna ? Ma sarebbe ancora più interessante sapere cosa spiegherà alla Procura Generale della Cassazione ed agli ispettori del Ministero di Giustizia quasi certamente in arrivo a seguito delle due interrogazioni parlamentari presentate sull’ accaduto ? Dirà anche a loro che è sempre colpa dei giornalisti…??? Attendiamo delle risposte (e non delle squallide querele) 

Redazione CdG 1947

Avv. Maurizio Napolitano, Avv. Sergio Lapenna, avvocato Antonio Murano, Camera Penale Distrettuale Basilicata, caso Murano, giudice Federico Sergi, Ministero di Giustizia, Ordine degli Avvocati di Potenza, pm Giuseppe Borriello, Procura di Catanzaro, Procura di Potenza, Procura Generale della Cassazione, Silvia Lauciello, Tribunale di Potenza

L'Associazione nazionale forense: «Eccesso di prerogativa da parte del magistrato». L'Aiga: «Intervenga il ministro della Giustizia». La Gazzetta del Mezzogiorno il 29 Marzo 2022.

L’Aiga (Associazione Italiana Giovani Avvocati) esprime «forte preoccupazione» per quanto accaduto all’avvocato potentino Antonio Murano, «finito sotto inchiesta dopo aver presentato un certificato medico per legittimo impedimento a presenziare ad un’udienza penale», ed auspica «un immediato intervento del Ministero della Giustizia, previa ispezione, volto ad adottare i più opportuni provvedimenti». La denuncia dell'avvocato Murano «che, dopo avere chiesto il rinvio di un’udienza alla quale non poteva presenziare per motivi di salute, istanza accolta dal collegio del Tribunale, ha ricevuto una visita fiscale a casa, all’esito della quale ha scoperto di essere indagato, mentre il medico è stato a lungo interrogato in caserma, è, nella migliore delle ipotesi, un eccesso delle prerogative del magistrato» secondo il segretario generale dell’Associazione nazionale forense, Giampaolo Di Marco. Per quest'ultimo «al netto della legittimità, fatti come questi minano quel necessario equilibrio che sempre deve sussistere fra le parti processuali e fra avvocatura e magistratura. Altro aspetto, e altra valenza - ha aggiunto Di Marco - ha invece l’ispezione dello studio legale del collega Murano che a quanto si apprende sarebbe stata eseguita senza la comunicazione preventiva al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Potenza, misura prevista dall’articolo 103 del codice di procedura penale. Siamo certi che su ogni aspetto di illegittimità verrà fatta piena luce dagli organismi che sono stati investiti della vicenda».

Sulla questione (indagato dalla procura di Potenza) l'avvocato Murano ha informato, tra gli altri, il Consiglio nazionale forense, le Camere penali ed il Csm. La sua assenza giustificata riguarda un'udienza penale prevista lo scorso 24 marzo al tribunale di Potenza. Il differimento dall'udienza, il legale potentino lo ha richiesto verbalmente, per il tramite di un collega.

La vicenda dell’avvocato del foro di Potenza malato e indagato «ha profondamente scosso ed allarmato l’Avvocatura tutta, per le modalità che, allo stato, appaiono abnormi": lo ha detto la Camera penale distrettuale di Basilicata.

In una nota, la Cpd ha spiegato che «l'attività posta in essere dalla Procura costituisce un anomalo utilizzo degli strumenti investigativi a disposizione dell’organo dell’accusa" e ha sottolineato che l’accesso alla casa dell’avvocato con un medico di un altro comune e allo studio del legale, senza «alcun avviso o atto formale», «non può che essere ritenuto grave», con "gravi violazioni delle norme procedurali, inderogabili». Secondo la Camera penale distrettuale, «tali fatti minano la serenità dello svolgimento della delicata funzione giurisdizionale nella quale l’Avvocatura è parte essenziale a tutela dei diritti di ogni cittadino, sia imputato-indagato sia parte offesa». L’incontro fissato con il Procuratore della Repubblica, lunedì prossimo, dovrebbe servire, secondo la Cpd, ad avere «gli opportuni chiarimenti anche volti a ridisegnare i rapporti tra la Magistratura inquirente e l’Avvocatura».

Il procuratore Curcio e il caso Murano: «Inchiesta avviata non per malattia». LEO AMATO su Il Quotidiano del Sud il 31 marzo 2022.

Mai avviate indagini su avvocati «per il solo fatto che avessero  chiesto un rinvio di udienza per un impedimento a comparire allegando certificati di  malattia o altro». Quanto piuttosto sulla scorta di «ulteriori e  diverse circostanze di fatto», che al momento non possono essere rivelate, «per evidenti ragioni  di riservatezza e  di tutela sia degli indagati  che delle indagini».

Ha replicato così, ieri, il procuratore capo di Potenza sul caso dell’avvocato Antonio Murano. Vale a dire la denuncia del legale rionerese contro gli inquirenti potentini, che la scorsa settimana lo avrebbero messo sotto inchiesta, a suo dire, solo per aver chiesto e ottenuto il rinvio di un processo, tutto sommato banale, a carico di un suo assistito, un carabiniere forestale accusato di peculato. Rinvio motivato da una sua indisposizione fisica dimostrata da un certificato del suo medico curante, sulla cui autenticità gli inquirenti parrebbero nutrire più di qualche dubbio.

Non per niente hanno iscritto sul registro degli indagati anche il medico in questione, in concorso col legale, per “false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’autorità giudiziaria”: un reato punito con pene tra 2 e 6 anni di reclusione.

Curcio è intervenuto all’indomani dell’annuncio di un’interrogazione parlamentare al riguardo del senatore di Italia viva, Giuseppe Luigi Cucca, seguito dal deputato del Partito democratico Carmelo Miceli. Sempre nella giornata di martedì, però, si era fatta sentire anche la Camera penale distrettuale della Basilicata, stigmatizzando, tra l’altro, l’accesso dei carabinieri nello studio professionale dell’avvocato Murano, per provare ad acquisire i filmati delle telecamere di sorveglianza, «in assenza delle dovute comunicazioni anche al consiglio dell’Ordine di appartenenza». Mentre, a Roma, il Consiglio nazionale forense ha deciso di investire della vicenda il procuratore generale presso la Corte di Cassazione, competente per le azioni disciplinari nei confronti dei magistrati, contestando agli inquirenti potentini di aver «operato in spregio alla dignità, al decoro e al prestigio della classe forense».

Il procuratore, riferendosi alle cronache che diverse testate – anche nazionali – hanno dedicato alla vicenda, ha provato a sgombrare il campo dall’idea di una contrapposizione tra il suo ufficio e l’avvocatura potentina. «Gli avvocati impediti per ragioni di salute o per altri gravi motivi – ha dichiarato  – hanno il sacrosanto  diritto di ottenere un rinvio delle udienze». D’altro canto lo stesso Curcio ha voluto precisare che «in coerenza con tale principio, nel caso in questione, non si è proceduto ad indagini in  ragione della mera allegazione del certificato medico  da parte dell’avvocato Murano  richiedente il rinvio». Bensì «sulla base sia del verbale riassuntivo di udienza del Tribunale, in  cui si disponeva la trasmissione  “con urgenza” a questo ufficio, di copia del predetto  verbale e del certificato medico in questione  che, soprattutto, sulla base di ulteriori e  diverse circostanze di fatto concernenti la certificazione medica di cui si parla – non evidenziate dagli articoli di  stampa  in questione  –  che hanno reso doverosi gli accertamenti in corso».

«Naturalmente per l’avvocato Murano (come per qualsiasi altro cittadino indagato) vale la  presunzione d’innocenza». Ha aggiunto il procuratore. «Gli accertamenti in corso (si ripete doverosi e non fondati sulla semplice certificazione medica prodotta da parte del legale) come qualsiasi indagine  penale, non sono la “verità”, ma sono attività esclusivamente  finalizzate a verificare se  vi siano  i presupposti per esercitare l’azione penale seguendo tutte  le garanzie  e le  procedure previste dalla legge».

Curcio si è poi soffermato su altri aspetti della  vicenda per come rappresentati nei giorni scorsi in base a quanto riferito dallo stesso Murano. Come l’accesso nella sua abitazione di un medico accompagnato dai carabinieri, per verificare le sue condizioni di salute, e poi nel suo studio legale. Oltre alla presunta perquisizione subita dal medico curante dell’avvocato, che – sempre a suo dire – sarebbe stato «trattenuto per circa tre ore in caserma», e poi si sarebbe visto sequestrare il telefonino. Stesso dispositivo in cui il medico aveva installato «le applicazioni relative all’identità digitale, necessarie, tra le altre cose, a firmare le guarigioni e a disporre la fine della quarantena dei suoi pazienti».

«Contrariamente a quanto si è potuto leggere su alcuni  organi  di stampa – ha dichiarato Curcio – questo ufficio non  ha disposto  (né  è  stata  effettuata)  alcuna  perquisizione, alcun sequestro ovvero alcuna attività invasiva nei confronti  dell’avvocato  Murano, le cui prerogative  di avvocato difensore previste dalla legge non sono state in  alcun modo violate. Alcun documento o atto difensivo, alcuna conversazione di natura  professionale o solo lontanamente tale è stata acquisita o captata».

«L’avvocato Murano,  esperto penalista,  piuttosto, mostrando disponibilità e lealtà, ha consentito a che gli  organi delegati alle indagini potessero verificare le sue condizioni di salute». Ha aggiunto ancora il procuratore. «E tuttavia, va  precisato, tali organi non avevano ricevuto alcun mandato da questo ufficio (né lo stesso  è  stato  esercitato arbitrariamente)  di procedere  a visite coatte dell’indagato: ove  l’avvocato avesse inteso non consentire allo svolgimento della verifica, se ne sarebbe  semplicemente preso atto procedendosi a diversa ed ulteriore attività investigativa. Né, inoltre, corrisponde al vero, come pure si è avuto modo di leggere, che altro co-indagato nel medesimo procedimento sia stato “trattenuto” in caserma per tre ore. Quasi  a volere sottolineare un eccesso di potere da parte degli inquirenti. 

Semplicemente tale co-indagato, si è recato presso la  caserma dei carabinieri, come qualsiasi  cittadino cui vengono notificati degli atti giudiziari e nei cui confronti deve redigersi un  verbale,  per  il tempo necessario per formare e firmare  il verbale e riceverne copia,  avendo piena libertà di entrare ed uscire dalla caserma, come infatti è successo in questo  caso, e, comunque, ferma restando la piena facoltà dell’interessato di rifiutarsi di firmare  e di ricevere la copia degli atti stessi e di tornarsene a casa propria immediatamente,  come, peraltro, non di rado avviene».

«Invero – ha concluso Curcio – il principio di presunzione d’innocenza, di cui questo ufficio è convinto custode,  non  si può tradurre nella omissione di un doveroso accertamento dei fatti che deve  essere svolto nel rispetto della legge, senza la pretesa dell’infallibilità, ma anche senza  distinzioni riguardanti il ruolo sociale  e professionale di chi a tali accertamenti deve  essere sottoposto». Domani sulla vicenda è attesa anche la presa di posizione dell’avvocatura potentina tutta, dopo che il consiglio dell’Ordine ha convocato un’assemblea straordinaria ad hoc degli iscritti per «l’adozione dei provvedimenti conseguenziali».

Non è escluso, tuttavia, che  i legali  decidano di attendere la prossima settimana per valutare meglio il da farsi, dato l’incontro già fissato per lunedì tra il procuratore e i presidenti di Ordine degli avvocati di Potenza, Maurizio Napolitano, e Camera penale distrettuale, Sergio Lapenna, per un chiarimento di persona sull’accaduto.

L’avvocato è malato, il pm lo fa perquisire e poi lo indaga. L’incredibile vicenda di un legale di Potenza: il professionista ha richiesto il differimento dell’udienza per motivi di salute, ma il magistrato ha deciso di mandargli a casa i carabinieri e un medico. Gennaro Grimolizzi su Il Dubbio il 29 marzo 2022.

L’assenza giustificata in udienza dell’avvocato scatena l’ira del pubblico ministero, che manda i carabinieri a casa del professionista. È successo al Tribunale di Potenza. In occasione di un’udienza penale prevista lo scorso 24 marzo, l’avvocato Antonio Murano è stato impossibilitato, per motivi di salute certificati dal medico, a raggiungere il Palazzo di giustizia del capoluogo lucano e ha richiesto verbalmente, per il tramite di un collega, il differimento dell’udienza.

Nulla da eccepire da parte del Collegio B, presieduto dal giudice Federico Sergi, che ha accolto l’istanza del legale. A questo punto, però, si verifica l’imprevedibile. Il Collegio giudicante riceve, rigettandole, due richieste del pm Giuseppe Borriello. La prima volta a verificare le condizioni dell’avvocato assente per motivi di salute; la seconda riguardante la trasmissione del certificato alla Procura delle Repubblica. La vicenda prende una piega a dir poco incredibile.

«Dopo qualche ora – racconta l’avvocato Murano, che ha voluto informare, tra gli altri, il Consiglio nazionale forense, le Camere penali ed il Csm – nel primo pomeriggio, intorno alle 14, l’inaspettato arrivo nella mia dimora di un medico. Si è presentato accompagnato dai carabinieri per effettuare una visita disposta dalla Procura di Potenza. Pur non essendo questi visitatori muniti di alcun provvedimento giudiziario, e pur in assenza delle obbligatorie informazioni previste dagli articoli 369 e 369-bis del Codice di procedura penale, animato da uno spirito collaborativo e non avendo alcunché da occultare non mi sono opposto. Ho consentito quindi al medico di verificare il mio status».

L’avvocato Murano, penalista apprezzato in Basilicata e fuori regione, con quasi quarant’anni di carriera, non nasconde la propria amarezza. «Ho pensato – dice – che si trattasse di una esagerazione, immaginando che qualcuno avesse potuto dubitare della genuinità del certificato attestante la mia malattia, anche se non mi pare che sia mai stata disposta un’ispezione medica su un avvocato, né in tantissimi anni di onorata professione mi è mai capitato di sentire un episodio simile. Ad ogni modo, consentita la visita alla quale mi sarei potuto lecitamente opporre e concessa al medico inviato dalla Procura la facoltà di verificare le mie condizioni, ho sperato che la faccenda fosse chiusa». Non è andata invece così. Anzi, le cose si sono complicate ulteriormente con il coinvolgimento di alcuni parenti stretti del legale.

«Con stupore – spiega – ho appreso di essere addirittura indagato, non so per cosa, e nell’ambito di tali indagini sono stati disposti gli interrogatori di mia madre, cha ha più di ottant’anni, mio fratello e mio figlio Pasquale, che svolge con me la professione forense». Coinvolto anche il medico, Donato Labella. «Si tratta – aggiunge l’avvocato Murano – di uno stimato professionista, colpevole, è proprio il caso di dirlo, di avermi visitato e redatto il certificato. È stato trattenuto per circa tre ore nella caserma dei carabinieri di Rionero in Vulture, in provincia di Potenza, attinto da decreto di perquisizione locale e personale e decreto di sequestro del telefonino, vedendosi privato del dispositivo contenente le applicazioni relative all’identità digitale, necessarie, tra le altre cose, a firmare le guarigioni da Covid-19 e disporre la fine della quarantena dei suoi pazienti».

Una giornata lunghissima e da dimenticare quella del 24 marzo scorso per l’avvocato Murano. Con l’aggiunta di ulteriori anomalie e forzature. «In prima serata – spiega -, verso le 20, i carabinieri si sono recati, in mia assenza, presso il mio studio legale di Rionero in Vulture. Con tatto e discrezione, non posso negarlo, hanno chiesto di acquisire le registrazioni della videosorveglianza. Anche in tale occasione la richiesta appare anomala, in quanto non mi è stato notificato alcun avviso di garanzia che legittimasse atti invasivi della privacy e, quindi, pur sussistendo i presupposti per opporsi, veniva consentito l’accesso, che non dava alcun esito in quanto il sistema non era funzionante. Tutto si è verificato senza che io abbia ricevuto, ad oggi, un’informazione di garanzia o qualunque altro provvedimento, a fronte di azioni fortemente invasive del campo professionale e privato. Né si comprende la ragione di un simile sospetto che ha portato all’immediata iscrizione della notitia criminis con cotanto dispiego di forze, posto che il procedimento penale oggetto di rinvio non è prossimo alla prescrizione, i cui termini sarebbero rimasti, in ogni caso, sospesi, visto il differimento per motivi di salute del difensore».

Forse, quanto accaduto qualche giorno fa nel Tribunale di Potenza e nella città di Rionero, un tempo rientrante nel circondario del Tribunale di Melfi, soppresso nel 2013, non ha precedenti sia per la storia dell’avvocatura sia per quella della magistratura. «Ritengo – commenta l’avvocato Murano – quanto accaduto di una abissale gravità a maggior ragione se si tiene conto che il Collegio aveva ritenuto inopportuno qualsiasi accertamento, rigettando la relativa richiesta. È il momento, da parte di tutti gli organismi forensi e dell’intera avvocatura, di intraprendere ogni iniziativa volta a dare risalto con decisione all’accaduto al fine di affermare con forza il decoro ed il prestigio della classe forense, denigrato ed umiliato da episodi come quelli che mi hanno interessato, evitando, con fermezza, che possano incrinare i rapporti di stima tra magistratura e avvocatura, con azioni ingiustificatamente dirompenti, la cui eco rischierebbe di proscrivere anche le più banali facoltà difensorie nell’alveo della paura di vedersi colpiti da simili episodi».

Il legale del Foro di Potenza spera che quanto accaduto possa rientrare presto nei binari dell’equilibrio e della sobrietà dei comportamenti per tutti i protagonisti della giurisdizione. «Nel reciproco rispetto dei ruoli – conclude – è auspicabile che ciascun interprete eserciti i propri poteri e le specifiche prerogative con equilibrio e moderazione, al di là di ogni tensione. Il Tribunale è l’ambiente di lavoro degli avvocati e dei magistrati. È compito di tutti, quindi, agire nel prudente principio della cordialità e del vicendevole rispetto, che dovrebbe costituire la regola fondamentale dei rapporti tra le parti, nel supremo interesse della giustizia».

Avvocato indagato a Potenza, il procuratore: «Accertamenti doverosi, ma nessuna perquisizione». Il Dubbio l'1 aprile 2022.  

La Procura in una nota afferma di non aver «disposto (né è stata effettuata) alcuna perquisizione, alcun sequestro, ovvero alcuna attività invasiva nei confronti dell'avvocato Murano, le cui prerogative di avvocato difensore non sono state in alcun modo violate».

Sono «doverosi» gli accertamenti in corso sulla certificazione medica presentata dall’avvocato Antonio Murano, del Foro di Potenza, per chiedere il rinvio di un’udienza: è questo uno dei passaggi di un comunicato diffuso stamani dal Procuratore della Repubblica di Potenza, Francesco Curcio.

Secondo Curcio, le «recenti notizie di stampa danno conto» della vicenda «in modo inesatto, con particolare risalto e grave pregiudizio. Bisogna immediatamente dire che questo Ufficio – ha scritto il Procuratore – intrattiene rapporti cordiali e improntati al reciproco rispetto con il Foro di questo Tribunale. Mai questo Ufficio, da quando è da me diretto (cioè da quattro anni) ha avviato indagini su avvocati per il solo fatto che avessero chiesto un rinvio di un’udienza per un impedimento a comparire allegando certificati di malattia o altro».

In particolare, per la vicenda dell’avvocato Murano, Curcio ha evidenziato che «non si è proceduto a indagini in ragione della mera allegazione del certificato medico», ma «sulla base sia del verbale riassuntivo di udienza del Tribunale, in cui si disponeva la trasmissione “con urgenza” a questo Ufficio di copia dello stesso certificato, che, soprattutto, sulla base di ulteriori e diverse circostanze di fatto concernenti la qualificazione medica di cui si parla – non evidenziate dagli articoli di stampa – che hanno reso doverosi gli accertamenti». Inoltre, Curcio ha «precisato» che la Procura non ha «disposto (né è stata effettuata) alcuna perquisizione, alcun sequestro, ovvero alcuna attività invasiva nei confronti dell’avvocato Murano, le cui prerogative di avvocato difensore non sono state in alcun modo violate»

Avvocato malato sotto indagine, il Cnf scrive al Pg Salvi. La presidente Masi sul caso del legale di Potenza preso di mira dai pm: «Perplessità sull’operato di una Procura in spregio alla dignità della classe forense». Gennaro Grimolizzi su Il Dubbio il 31 marzo 2022.

La vicenda dell’avvocato del Foro di Potenza, Antonio Murano, ha assunto rilevanza nazionale ed è approdata in Parlamento. La presidente del Cnf, Maria Masi, ha scritto al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, Giovanni Salvi, affinché venga acquisito dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Potenza «ogni elemento utile a consentire la ricostruzione dei fatti e, qualora riscontri elementi di rilevanza disciplinare, procedere all’esercizio della relativa azione».

«Ferme restando – evidenzia la presidente del Cnf – le autonome e indipendenti valutazioni del Collegio giudicante circa la fondatezza dell’impedimento a comparire addotto dal collega e ferme restando le autonome valutazioni dell’Ufficio del Pubblico ministero circa la fondatezza della notizia criminis e la conseguente iscrizione del collega nel registro delle persone indagate, su cui non mi permetto di entrare nel merito, desta perplessità, e qualche timore, che un Ufficio di Procura, evidentemente eccedendo nelle proprie prerogative, abbia operato in spregio alla dignità, al decoro e al prestigio della classe forense. Gli avvocati tutti, anche per previsione deontologica, debbono avere massimo rispetto per la magistratura, sia inquirente che requirente. La magistratura, del pari».

Il senatore Giuseppe Luigi Cucca di Italia Viva ha preparato un’interrogazione orale con carattere d’urgenza indirizzata alla ministra della Giustizia, Marta Cartabia. Lo scorso 24 marzo l’avvocato Murano è stato impossibilitato a partecipare ad un’udienza penale per motivi di salute certificati dal medico. In quella occasione ottenne dal presidente del collegio giudicante il differimento ad altra data. Il pubblico ministero Giuseppe Borriello ha chiesto però la verifica delle condizioni di salute del legale, assente in udienza, e la trasmissione del certificato medico alla Procura delle Repubblica. Entrambe le richieste sono state respinte dal giudice. Murano ha ricevuto lo stesso la visita dei carabinieri, disposta dal pm, che hanno accompagnato un medico nella dimora del professionista per verificare il suo effettivo stato di salute. Qualche ora dopo, i militari dell’Arma hanno ascoltato anche l’anziana madre dell’avvocato, il figlio (anch’egli togato del Foro potentino) e il fratello.

Ma le verifiche non si sono fermate qui. Hanno coinvolto pure il medico. Inoltre, i carabinieri si sono recati, in assenza dell’avvocato Murano, presso il suo studio legale per acquisire le registrazioni della videosorveglianza. Una richiesta anomala e invasiva della privacy. «Quanto accaduto nel Tribunale di Potenza – dice al Dubbio il senatore Cucca – mi ha lasciato senza parole. Mi sto abituando a tutto, ma trattare così un avvocato non può che farmi preoccupare. Stiamo vivendo un momento di grandi tensioni per quanto riguarda i rapporti tra avvocatura e magistratura». L’interrogazione presentata da Cucca, che è anche avvocato, mira a chiarire tutti i contorni della vicenda. «Voglio sapere – spiega – se la ministra Cartabia è a conoscenza dei fatti e quali sono i suoi intendimenti in merito. Inoltre, voglio conoscere le iniziative che la ministra ritiene di adottare per prevenire il ripetersi di vicende come quelle accadute presso il Tribunale di Potenza. È emerso da quanto si apprende che il potere requirente ha tentato di interferire, travalicando i propri poteri e le proprie competenze, su decisioni già assunte dall’organo giudicante».

Il Coa di Potenza ha convocato l’assemblea straordinaria degli iscritti il 1 aprile, con sospensione delle udienze dalle 10 alle 14, sul caso Murano per decidere quali iniziative intraprendere. Il presidente nazionale del Movimento Forense, Antonino La Lumia, esprime preoccupazione: «Non è concepibile, in uno stato di diritto, che si possa verificare, ma anche soltanto immaginare, quanto accaduto. Sono stati messi in un angolo e inammissibilmente calpestati i principi fondamentali del giusto processo e delle garanzie connesse al diritto di difesa, ledendo, nel contempo, l’immagine, la reputazione e la funzione stessa dell’avvocatura. Per tali ragioni, la nostra associazione, esprimendo solidarietà e vicinanza al collega potentino e preso atto dell’immediata convocazione del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Potenza per discutere di tale grave situazione, chiede che le massime istituzioni forensi adottino i provvedimenti più opportuni a tutela dell’intera categoria, stigmatizzando ogni possibile condotta, che, come nel caso di specie, determini la compromissione dei diritti costituzionalmente garantiti».

La Camera penale di Basilicata rileva che «quanto accaduto ha profondamente scosso ed allarmato l’avvocatura tutta, per le modalità che, allo stato, appaiono abnormi». «Al di là del caso specifico – aggiunge il presidente Sergio Lapenna -, tale modus agendi e lo strepitus fori che ne è seguito, ancora una volta tratteggia la figura dell’avvocato ed il suo ruolo di difensore quale elemento di disturbo e intralcio all’attività giudiziaria». Ieri il Procuratore distrettuale di Potenza, Francesco Curcio, ha chiarito che «non si è proceduto ad indagini in ragione della mera allegazione del certificato medico da parte dell’avvocato Murano, richiedente il rinvio, ma sulla base sia del verbale riassuntivo in udienza del Tribunale, in cui si disponeva la trasmissione “con urgenza” a questo Ufficio, di copia del predetto verbale e del certificato medico in questione che, soprattutto, sulla base di ulteriori e diverse circostanze di fatto concernenti la certificazione medica di cui si parla, che hanno reso doverosi gli accertamenti in corso». «Circostanze di fatto» che la Procura non rivela per «evidenti ragioni di riservatezza» e per tutelare le indagini e gli indagati.

Il pg Salvi risponde alla presidente Masi: “Già in corso accertamenti disciplinari”. La lettera con cui il procuratore generale della Cassazione replica alla richiesta della presidente Cnf in merito al caso dell'avvocato Murano. Il Dubbio l'1 aprile 2022.

Pubblichiamo di seguito la lettera inviata alla Presidente del Cnf Maria Masi dal Procuratore generale presso la Corte di Cassazione Giovanni Salvi in relazione all’indagine sull’avvocato del Foro di Potenza Antonio Murano, indagine avviata dalla Procura di Potenza dopo che il professionista aveva chiesto, e si era visto riconosciuto dal Tribunale, il legittimo impedimento a presenziare in udienza.

Egregia Presidente Masi,

ho ricevuto la Sua lettera datata 29 marzo ma in realtà spedita il giorno successivo. Purtroppo ne ho letto il contenuto questa mattina sul vostro quotidiano, prima ancora che fosse possibile una diretta interlocuzione con il Consiglio Nazionale. Rispondo quindi alla S.V., inviando contestualmente a Il Dubbio copia di questa nota, per completezza di informazione, certo che questa sia anche la vostra volontà. Il mio ufficio è stato informato già la mattina di ieri 30 marzo con una relazione del Procuratore generale e del Procuratore della Repubblica. Sono quindi stati avviati immediati accertamenti in sede predisciplinare, che saranno rigorosi e al tempo stesso rispettosi delle prerogative dell’organo inquirente, come peraltro la stessa Sua nota suggerisce. Sono certo che il Consiglio distrettuale di disciplina forense stia agendo con la medesima tempestività ai necessari, paralleli accertamenti.

I più cordiali saluti,

Il teatro dell'assurdo. L’avvocato sta male, blitz in casa della Procura: “E’ indagato per falso, interroghiamo tutta la sua famiglia”. Paolo Comi su Il Riformista il 29 Marzo 2022. 

Per i giudici era malato grave e non poteva essere presente in udienza. Per il pm, invece, la malattia era immaginaria ed il certificato medico un tarocco. La “sorprendente” vicenda, anche se nel meraviglioso mondo della giustizia italiana ormai è sempre più difficile trovare qualcosa di cui stupirsi, è capitata lo scorso 24 marzo al Tribunale penale di Potenza. L’avvocato Antonio Murano, con studio a Rionero in Vulture, quella mattina aveva un processo davanti al collegio presieduto dal giudice Federico Sergi. La sera prima, però, Murano viene colpito da una fortissima colica al punto da richiedere l’intervento del medico.

Murano, non essendo in condizioni di presentarsi in aula per difendere il suo assistito, avvisa quindi un collega di sostituirlo, invitandolo anche a chiedere ai giudici un rinvio per legittimo impedimento. l giudici, sentite le giustificazioni del collega, accolgono la richiesta di Murano che non avrebbe causato problemi allo svolgimento del processo dal momento che il legittimo impedimento del difensore interrompe automaticamente il decorso della prescrizione. Murano, purtroppo, non aveva fatto i conti con il pm Giuseppe Borriello che aveva chiesto al collegio una verifica, non accolta, sulle sue condizioni di salute.

Alle 14 si presentava presso la casa dell’avvocato Murano un medico scortato da una pattuglia di carabinieri. Alla richiesta di spiegazioni, il medico rispondeva di dover effettuare una visita su mandato della Procura di Potenza. Murano, non avendo nulla da nascondere, accettava di farsi visitare. Quando pensava che fosse finita lì, con l’attestazione del non positivo stato di salute, Murano scopre di essere addirittura stato iscritto nel registro degli indagati della Procura lucana con l’accusa di “false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’Autorità giudiziaria”, un reato punito con 6 anni di prigione. Come se non bastasse, la Procura di Potenza aveva disposto gli interrogatori a tappeto di tutti i suoi familiari, dal figlio al fratello, iniziando dall’anziana madre ultraottantenne.

Per non farsi mancare nulla, al medico curante che aveva redatto il certificato medico per l’indisposizione, veniva prima perquisito lo studio e poi, una volta tradotto nella caserma dei carabinieri, sequestrato il telefonino all’interno del quale erano contenute le app per certificare la fine della quarantena per i pazienti Covid. Ma l’incredibile giornata era ancora lunga. Alle otto di sera, infatti, un’altra pattuglia di carabinieri si recava nello studio di Murano per acquisire le immagini della video sorveglianza. Acquisizione che non aveva successo essendo le telecamere non funzionanti. L’avvocato Murano, scosso da quanto accaduto, il giorno dopo scriveva allora una lettera a tutti i vertici degli uffici giudiziari lucani, presidente della Corte d’appello e procuratore generale inclusi, ed al Consiglio superiore della magistratura.

«Il tribunale è l’ambiente di lavoro degli avvocati e dei magistrati: è compito di tutti agire nel principio di cordialità e reciproco rispetto che dovrebbe costituire la regola nel supremo interesse della giustizia», ha ricordato Murano. Immediatamente è scattata la solidarietà dei colleghi. «Non è concepibile in uno stato di diritto che si possa soltanto immaginare quanto è accaduto», ha detto l’avvocato Nino La Lumia del Movimento forense. Paolo Comi 

Caso Murano, cala il gelo tra procura e avvocati: «Stop a tutte le udienze». Il Foro di Potenza proclama l'astensione dal 13 al 24 aprile. Il racconto del legale: "Perquisito e indagato senza garanzie". Gennaro Grimolizzi su Il Dubbio il 6 aprile 2022.

Lo scontro tra l’avvocatura potentina e la Procura di Potenza è ormai conclamato. Nella storia del Foro potentino non si registrano astensioni così lunghe, come quella decisa dall’assemblea straordinaria degli iscritti qualche giorno fa. Lo stop a tutte le udienze (penali, civili, amministrative e tributarie) è previsto dal 13 al 24 aprile. Lunedì gli avvocati Maurizio Napolitano e Sergio Lapenna, rispettivamente presidente del Coa di Potenza e presidente della Camera penale distrettuale della Basilicata, hanno incontrato il Procuratore Francesco Curcio. «Un confronto cordiale anche se ognuno è rimasto sulle proprie posizioni», hanno fatto sapere i due legali.

Sulla vicenda interviene il diretto interessato: Antonio Murano. L’avvocato indagato e sottoposto a controlli nel suo studio legale di Rionero in Vulture, dopo essersi assentato in una udienza penale per motivi di salute, certificati da un medico, parla di «preoccupanti evoluzioni della triste vicenda» che lo sta riguardando. Lo fa ripercorrendo i momenti in cui è stato raggiunto dal medico fiscale in compagnia dei carabinieri per svolgere una visita disposta dalla Procura di Potenza. Un atto, definito dal professionista, «invasivo di natura medica», dal quale è derivata una «ispezione corporale». Tutto «senza ricevere i necessari prodromici avvisi di garanzia». Il resto della vicenda è ormai noto. O meglio l’ulteriore piega che ha preso il pomeriggio del 24 marzo scorso, con le sue «forzature e violazioni di legge», come le definisce Murano, dopo che nella mattinata si era tenuta la controversa udienza penale davanti al Collegio “B”, presieduto dal giudice Federico Sergi.

Al termine degli interrogatori di diverse persone, compresi i familiari dell’avvocato, nella serata i carabinieri raggiungevano lo studio legale per visionare l’impianto di videosorveglianza e acquisire le registrazioni. Qui un’altra forzatura, denunciata da Murano: ancora una volta le operazioni si svolgevano «senza alcuna garanzia procedimentale e senza la presenza personale del Pm e senza aver preventivamente avvertito il Consiglio dell’Ordine, in violazione dell’articolo 103 del Codice di procedura penale». Ricordiamo che il medico certificante, Donato Labella, ha subito una perquisizione ed il sequestro del cellulare. Ora l’avvocato Murano risulta essere indagato. «Solo in data 28 marzo – dice -, in occasione della notifica di un accertamento tecnico irripetibile sul telefono sequestrato al medico, ho appreso formalmente di essere stato iscritto nel registro degli indagati». Il procedimento a suo carico vede impegnati ben due Sostituti procuratori (Antonella Mariniello e Giampaolo Robustella) ai quali si aggiunge il Procuratore Francesco Curcio.

«Il reato contestatomi – aggiunge il legale -, peraltro senza descrizione della condotta, è quello previsto dall’articolo 374 bis del Codice penale, che al secondo comma prevede la reclusione fino a sei anni e si applica inequivocabilmente alle false certificazioni che riguardano specificamente imputati, condannati o persone sottoposte a prevenzione e non ai difensori di questi ultimi. Senza volermi addentrare in valutazioni di esclusiva competenza della Procura e nel rispetto delle sue prerogative, mi limito ad osservare che esistono gli articoli 480 e 481 del Codice penale, applicabili ed applicati in casi analoghi, con pene decisamente inferiori. Qualsiasi operatore del diritto comprenderà che dalla qualificazione giuridica, operata dai Pm, discendono differenti ed accresciuti poteri investigativi. Trovo singolare una simile contestazione, idonea a consentire lo svolgimento di atti di indagine maggiormente invasivi».

A tutto questo baillame si aggiunge, poi, la questione del verbale di udienza nella sua duplice versione. È lo stesso Murano a riflettere sulla grande confusione generata dalla redazione dei due verbali del 24 marzo: uno con il resoconto fonoregistrato, che trova riscontro nei file audio depositati in Tribunale; l’altro redatto in forma sintetica ai sensi dell’articolo 480 del Codice di procedura penale. «Questa gravissima difformità – afferma il penalista – costituisce una circostanza profondamente inquietante, che getta, purtroppo, ulteriori ombre sinistre sull’intera vicenda». L’avvocato riflette pure sulla presa di posizione del Procuratore della Repubblica di Potenza, Francesco Curcio, assunta con il caso già scoppiato. «Con comunicato – evidenzia – il dottor Curcio ha proclamato rapporti di cordialità e rispetto intercorrenti tra la Procura ed il Foro di Potenza, ritenendo però opportuno diramare il predetto comunicato alla stampa, prima ancora di procedere all’interlocuzione formale richiesta da istituzioni ed associazioni forensi. La suddetta nota, tra l’altro, non chiarisce affatto la vicenda. Anzi, liquida clamorosamente la visita medica che ho ricevuto, in dispregio alle garanzie difensive, chiosando che avrei potuto non acconsentirvi. Si confonde, peraltro, sul soggetto che l’ha disposta nel momento in cui si afferma che la Pg ed il medico non avevano ricevuto alcun mandato dalla Procura, insinuando il dubbio che abbiano agito autonomamente e smentendo le dichiarazioni verbali fornite dagli stessi operatori. Parimenti dicasi per l’accesso presso lo studio legale e la richiesta di acquisizione delle registrazioni della videosorveglianza».

I carabinieri non si sono mossi spontaneamente. «Checché se ne dica ed a qualunque norma del codice di rito le si voglia ancorare – conclude Murano -, le suddette attività di indagine sono state disposte dalla Procura e avrebbero richiesto la notifica dei prodromici avvisi di garanzia, rafforzati per gli atti riguardanti lo studio legale. Ed è quantomeno singolare che un Procuratore dell’abilità e dell’esperienza del dottor Curcio intenda banalizzare tale omissione dietro la laconica affermazione che “l’avvocato Murano esperto penalista” avrebbe potuto non consentirla. Siamo di fronte ad elementari principi del Codice di procedura penale, che non prevedono diverse applicazioni commisurate all’esperienza penalistica dell’indagato».

Tutti gli amici magistrati di Salinardi. LEO AMATO su Il Quotidiano del Sud il 17 Febbraio 2022.

Attraversava anche il Palazzo di giustizia di Potenza il sistema di relazioni di Angelo Salinardi, erede di una ricca famiglia di imprenditori, che per quarant’anni avrebbe gestito il Comune di Ruoti, grossomodo, come un’azienda di proprietà.

E’ una miscela esplosiva quella raccolta nelle intercettazioni dell’inchiesta per cui la scorsa settimana l’ex sindaco è finito agli arresti domiciliari e altre 14 restano sottoposte a misure cautelari varie. Incluso un carabiniere, e l’ex consigliere regionale, nonchè attuale capo ufficio stampa della Provincia di Potenza, Luigi Scaglione, che avrebbe manovrato, dietro compenso, una vera e propria «macchina del fango» per demolire gli avversari politici di Salinardi. Come l’attuale prima cittadina Anna Maria Scalise.  

Tra le voci captate nelle microspie piazzate nelle auto del politico-imprenditore, infatti, gli investigatori hanno riconosciuto quelle di almeno due importanti magistrati della sezione penale del tribunale potentino: il presidente del Riesame, Aldo Gubitosi, e il giudice Federico Sergi. Lo stesso Riesame, che nei prossimi giorni dovrà decidere del ricorso presentato dai legali di Salinardi, gli avvocati Leo Chiriaco e Donatello Cimadomo, per l’annullamento degli arresti cautelari. E lo stesso Sergi che presiede il collegio chiamato a giudicare in una serie di processi di primaria importanza. Come la rimborsopoli dei consiglieri regionali lucani, in cui Scaglione compare tra gli imputati.

Per entrambi non risultano ipotizzate contestazioni di alcun tipo. Dunque si sarebbe trattato di frequentazioni del tutto lecite, con un uomo, Salinardi, di indubbio carisma e una spiccata vocazione alle relazioni sociali di alto livello. A meno di clamorosi colpi di scena, tuttavia, andrà trovato un sostituto per Gubitosi a capo del collegio del Riesame, che dovrà decidere sul ricorso del politico-imprenditore. E rispetto a un eventuale rinvio a giudizio dello stesso andrà considerata l’opportunità che il dibattimento non si svolga davanti al collegio di Sergi. Una situazione che in un piccolo ufficio giudiziario come quello di Potenza potrebbe provocare un certo affanno. Oltre all’imbarazzo per il contenuto di alcuni di quei dialoghi intercettati nell’estate del 2020, già depositati tra gli atti a sostegno delle misure cautelari adottate, messi a disposizione delle difese degli indagati.

In una conversazione tra Salinardi e una sua conoscente di nome «Maria Rosaria», ad esempio, si sentirebbe l’ex sindaco riferire una serie di circostanze ben poco lusinghiere nei confronti di un pm di esperienza della procura potentina come Anna Gloria Piccininni, ed elogi nei confronti di Sergi. Salvo spiegare, subito dopo, di voler evitare di farsi vedere in giro con quest’ultimo, per non alimentare sospetti di imparzialità dal momento che avrebbe già condannato «un paio di volte» il suo acerrimo nemico, nonché assessore della giunta Scalise, Franco Gentilesca.

In un’altra occasione, poi, l’ex sindaco avrebbe scorazzato in giro il giudice in persona, Sergi, evidentemente da poco conosciuto, cercando di convincerlo ad accettare una gentile «agevolazione» da parte sua nell’acquisto di un’auto. «Agevolazione» che sarebbe consistita in un «super sconto» sul prezzo di acquisto per il magistrato, che in realtà avrebbe coperto lui, Salinardi, facendosi fatturare dalla concessionaria la riparazione – fittizia – di un furgoncino aziendale.

«Ovviamente non fare… uhm… agli amici a zero (…) io sono stato sempre così, disponibile con tutti, sempre una vita intera». Queste le parole con cui il politico-imprenditore avrebbe provato a spiegare la sua generosità al magistrato. Che a sua volta avrebbe concordato, perché «poi tutto torna nella vita».

Da amici di lunga data, invece, il tenore della conversazione intercettata a giugno del 2020 tra lo stesso Salinardi e Gubitosi, in cui i due commentano in maniera scherzosa le ultime notizie d’interesse per quanti frequentano, a vario titolo, il Palazzo di giustizia di Potenza. Dalle peripezie dell’ex procuratore aggiunto di Potenza, Francesco Basentini, nominato alla guida del Dipartimento amministrazione penitenziaria e poi travolto dalle polemiche per la rivolta nelle carceri a causa delle restrizioni anti covid; alla designazione dell’ex pm Laura Triassi come procuratrice di Nola. Con una clamorosa “profezia” del presidente del Riesame sulle difficoltà che avrebbe incontrato a causa del suo «caratteraccio», e che in effetti a distanza di qualche mese ne avrebbero provocato il ritorno a Potenza, come semplice sostituto procuratore generale.

Tra i magistrati oltremodo sgraditi, d’altro canto, spicca il presidente della sezione penale della Corte d’appello, Pasquale Materi, che Salinardi, parlando con Gubitosi  non esita a definire «quel delinquente», ed evoca anche in altre occasioni, per esempio con Scaglione, esprimendo l’auspicio di non doversi mai trovare «sotto» il suo scrutinio.

Una menzione a parte, infine, la merita una toga non lucana bensì siciliana, che l’ex sindaco chiama soltanto per nome, «Annamaria», spiegando che si tratterebbe di «una collega» di Luca Palamara, l’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati finito al centro dello scandalo per le nomine pilotate al Csm. Parlando con la compagna, quando aveva già saputo delle indagini in corso sul suo conto, Salinardi avrebbe rievocato l’incontro con «Annamaria», a Taranto,  durante i convegni «della Unitalsi» da lui sponsorizzati.

Quindi ha raccontato di averla reincontrata, per caso, in Sicilia, dove la magistrata avrebbe iniziato ad abusare della sua generosità. «Da quella sera, o Cefalù, o Palermo o – incomprensibile -… Cene a strafottere… Due, tre bottiglie di champagne. A pranzo, a cena…» Questo il ricordo dell’ex sindaco di Ruoti che a distanza di qualche tempo ha accolto la giudice anche in Basilicata. In occasione del compleanno del marito di una giornalista amica di «Annamaria», che lavorava in regione. Evento che gli sarebbe  costato «7.000 euro» per una stanza per la magistrata e un’amica all’hotel Santavenere di Maratea, l’unico 5 stelle di tutta la zona. E poi «champagne a non finire», e «5, 6, 7 pezzi a testa» in una boutique nel centro del paese.

Uno scrocco continuo e senza ritegno. Tanto che l’amico-consigliere di Salinardi, Giovanni Conte, segretario comunale e ex magistrato onorario a sua volta, sarebbe stato persino redarguito per essersi fatto scappare una battuta sull’entità degli acquisti effettuati («Ma che hai svaligiato il negozio»).

La stessa scena, inoltre, si sarebbe ripetuta anche a Potenza. «Volevano visitare Matera (…) e hanno voluto essere pagato il biglietto aereo per venire». Questo il racconto di Salinardi alla compagna, sempre più incredula. «Sono venute venerdì sera, siamo andati al Vintage (rinomata enoteca di Potenza, ndr) e si sono fregate due bottiglie di champagne… La mattina dopo faceva un freddo infernale, siamo passati per via Pretoria, hanno visto due cappotti in vetrina… “Ah, questo mi… fa troppo freddo”. Sono entrate e si sono comprate due cappotti, magliette, gonna, cose… hanno fatto pure man bassa qui a Potenza».

«Ma mica ti… mica ti fanno dire: “Pago”. No, loro escono dal negozio». Così ancora Salinardi, per cui le due donne, la magistrata e l’amica, non si sarebbero nemmeno fermate all’abuso dell’ospitalità. Ma dopo aver scoperto un così generoso benefattore avrebbero avuto intenzione di chiedergli pure 15mila euro di compensi per l’intermediazione nella ricerca di un locale. Un piccolo locale commerciale in Sicilia da adibire a rivendita dei latticini prodotti da una delle sue aziende di famiglia.

Il piano di Scaglione e Salinardi per affondare la “rimborsopoli” lucana. Il gancio col presidente del collegio B del Tribunale di Potenza: «Questo se ti deve fare un piacere lo fa». LEO AMATO su Il Quotidiano del Sud il 18 febbraio 2022.

Sperava nella prescrizione e in un giudice amico l’ex consigliere regionale Luigi Scaglione, per salvarsi dalle accuse di peculato e falso, e affondare il processo sui rimborsi pazzi del parlamentino della Regione Basilicata. Lo stesso processo in cui sono imputati, tra gli altri, due esponenti di spicco del Partito democratico lucano, come l’ex governatore Marcello Pittella e il deputato Vito De Filippo. Un auspicio, quella di Scaglione, che in qualche modo sembra essersi realizzato. Almeno in parte. Dopo due anni di rinvii delle udienze con un nulla di fatto, e le prime prescrizioni maturate proprio nelle scorse settimane.

Sono ombre pesanti quelle che si allungano sul Palazzo di giustizia di Potenza man mano che si illuminano le centinaia di ore di intercettazioni effettuate dagli agenti della Squadra mobile di Potenza tra la primavera e l’estate del 2020. Nell’ambito dell’inchiesta che martedì scorso ha portato agli arresti domiciliari l’ex sindaco di Ruoti, Angelo Salinardi, e altre 15 persone tra cui lo stesso Scaglione, che è poi tornato a piede libero col solo divieto di avvicinarsi all’attuale prima cittadina di Ruoti, Anna Maria Scalise.

Un’inchiesta dai contorni ancora da definire, che a un tratto ha preso di mira la «macchina del fango» attivata da Salinardi per costringere alla dimissioni la “traditrice” Scalise, da lui stesso candidata ed eletta, e mazzette varie. Quelle date per accaparrarsi commesse nell’indotto Stellantis, e quelle ricevute come ricompensa per i favori concessi al gestore della casa di riposo comunale di Ruoti.

IL SISTEMA DI RELAZIONI DI SALINARDI E LA MOGLIE DEL RETTORE DI BARI

Che non fossero del tutto limpide le intenzioni alla base del vasto sistema di relazioni coltivato da Salinardi in ambienti altolocati, infatti, emerge in maniera nitida da almeno un paio conversazioni registrate nella primavera del 2020. Soprattutto dalle microspie piazzate nelle sue auto.

Prima che una provvidenziale fuga di notizie lo mettesse sul “chi va la”.

Come quando è alle prese con l’avvio della produzione di mascherine chirurgiche in una delle aziende “di famiglia”, e deve ottenere una certificazione di qualità da un laboratorio di San Severo, in provincia di Foggia. Motivo per cui avrebbe contattato la moglie del rettore dell’Università di Bari, l’avvocato Giuliana Cartanese, per chiedere la sua intercessione, e poi avrebbe promesso “un brillante che te lo porti fino a Natale” alla responsabile del laboratorio in questione.

O quando spiega a una non meglio identificata «Maria Rosaria» di non volersi fare vedere in giro con un giudice amico in servizio nella sezione penale del Tribunale di Potenza, Federico Sergi, per non alimentare sospetti di imparzialità. Dal momento che avrebbe già condannato «un paio di volte» il suo acerrimo nemico, nonché assessore della giunta Scalise, Franco Gentilesca.

LA SERATA CON L’AMICO MAGISTRATO

A destare le maggiori perplessità, tuttavia, è una conversazione registrata alle 22.40 del 25 luglio 2020 tra Salinardi e Scaglione, attuale capo ufficio stampa della Provincia di Potenza oltre che referente regionale di Centro democratico, che per gli inquirenti avrebbe manovrato, dietro compenso, la «macchina del fango» messa in piedi per demolire gli avversari politici di Salinardi.

Conversazione in cui i due discutono dell’incontro appena avvenuto con un magistrato, che sulla base delle circostanze riferite parrebbe riconoscibile nello stesso Sergi. Proprio il giudice che tre settimane prima aveva presieduto il collegio che aveva dichiarato la prescrizione delle accuse di concorso esterno in associazione a delinquere per Scaglione e altri. Nel processo sui rapporti tra la mala potentina e la politica nato dalla collaborazione con la giustizia, nel 2010, dell’ex boss Antonio Cossidente, e dal riascolto di una serie di intercettazioni tra l’ex braccio destro di quest’ultimo, Carmine Campanella, e l’allora vice presidente della giunta regionale Agatino Mancusi (Udc).

Una vicenda eclatante, quella finita al centro del processo, che nel 2012 aveva portato alle dimissioni di Mancusi dalla giunta guidata dall’ex governatore De Filippo, ma poi è andata sgonfiandosi, sulla scorta delle pronunce della Corte di cassazione che hanno escluso la mafiosità del presunto clan “basilischi”, e delle sue “gemmazioni”. Come quella che avrebbe fatto capo a Cossidente. Con uno strascico di recriminazioni, più meno velate, da parte di diversi imputati, tra cui Scaglione, nei confronti del pm che aveva coordinato quelle indagini. Vale a dire l’ex procuratore aggiunto di Potenza, Francesco Basentini, poi diventato direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e attualmente in servizio come pm a Roma.

«Figurati se Egidio non glielo dice che ero io (…) Gli dovevo dire: “Tu sei amico di Basentini, quindi… sai bene (…) Che cazzo gli vuoi dire… (incomprensibile) Meno male a Dio come è andata».

Così Scaglione commenta il comportamento, durante la serata appena trascorsa, di un comune amico, in rapporti anche con l’ex procuratore aggiunto, che avrebbe informato Sergi di trovarsi di fronte a un suo pluri-imputato.

Al che Salinardi rilancia chiedendogli di un’altra vicenda giudiziaria che parrebbe essere stata menzionata davanti al giudice («Tu mò questa qua di settembre che cos’è?»). E Scaglione gli spiega per sommi capi del processo “calciopoli”, in cui era finito sul banco degli imputati assieme allo stesso Cossidente e all’ ex patron del Potenza calcio, nonché editore radio e web, Giuseppe Postiglione, e delle sue aspettative di un’altra sentenza di prescrizione («Certo che è prescritta! Tale e quale (…) però la devono fare. Perciò mi sono mantenuto, se no gli avrei pure detto…»).

Dunque un secondo processo al vaglio del medesimo collegio “B” presieduto da Sergi, tarantino di nascita ma a Potenza dal 2016. Dopo alcune vicissitudini disciplinari costategli anche un periodo di sospensione da parte del Consiglio superiore della magistratura.

L’OFFERTA DI UN CONTRIBUTO PER L’AUTO E IL JOLLY GIUDIZIARIO DI SALINARDI

A questo punto sarebbe stato l’ex sindaco – imprenditore a dirsi disponibile ad «accennare» la questione al giudice. Lui che un mese prima era stato intercettato con Sergi in persona, in quella stessa auto, mentre si offriva di contribuire all’acquisto della nuova Mercedes del magistrato, caricandosene parte del costo.

Il tutto tramite una fattura che l’officina della concessionaria prescelta avrebbe dovuto emettere come spesa per la riparazione – fittizia – di un furgoncino di proprietà di una delle aziende gestite da Salinardi. Un’offerta che il giudice non deve aver considerato del tutto fuori luogo, dal momento che le microspie hanno captato, subito dopo, i suoi ringraziamenti («grazie mille»), e una chiosa sul fatto «che poi tutto torna nella vita», e che questo è «quello che molta gente non capisce». Gente «che magari è irriconoscente…»

Salinardi avrebbe consigliato a Scaglione, in particolare, di giocarsi il “jolly” del giudice amico per le situazioni più complicate, dove non ha ancora raggiunto il salvagente della prescrizione.

«Ma io glielo posso accennare, a settembre glielo posso dire (…) “Guarda con attenzione”.» Prosegue la trascrizione del dialogo effettuata dal consulente tecnico dei pm. «Però se va in prescrizione non conviene manco dire niente, hai capito? Se va in prescrizione… a questi qua non conviene dirgli niente, li puoi utilizzare nel caso c’è un problema… “Dai un occhio particolare”. Hai capito? Se no è meglio non…»

I TIMORI DI SCAGLIONE PER RIMBORSOPOLI

Colto al volto il ragionamento di Salinardi, quindi, l’ex consigliere regionale avrebbe introdotto il tema del terzo processo, “rimborsopoli”, pendente a carico suo, e di una ventina di ex consiglieri ed ex assessori rinviati a giudizio, tra maggio e novembre del 2014 («Poi quando sarà finisce quella di rimborsopoli»). Inclusi De Filippo, Pittella, ma anche l’attuale consigliere regionale di Italia viva, Luca Braia, il direttore generale dell’Arpab, Antonio Tisci, e l’attuale consigliere comunale dei Fratelli d’Italia di Potenza, Michele Napoli.

Un’altra vicenda “scottante”, quella dei rimborsi pazzi incassati tra il 2009 e il 2012 dai membri della giunta e del parlamentino lucano, che nel 2013 portò alle dimissioni di De Filippo e alla fine anticipata della consiliatura regionale, e ha visto coinvolto Scaglione per una serie di spese sospette portate a rimborso come costi per l’attività politica collegata all’esercizio del mandato elettivo. Tipo il noleggio di un auto in Costa Smeralda in altissima stagione, o 160 euro di «scampi freschi». Tanto più a seguito delle pesanti condanne inflitte a dicembre del 2019, sempre da parte del collegio presieduto da Sergi, ai 7 dei 9 ex consiglieri ed ex assessori che hanno avuto la sfortuna di finire imputati, per le medesime contestazioni di falso e peculato, in un secondo processo, più piccolo e forse con nomi meno “pesanti”. Processo che è partito in ritardo ma arrivato a sentenza con molta più rapidità del processo principale.

Si pensi, ad esempio, all’ex deputato ed attuale coordinatore provinciale di Forza Italia, Nicola Pagliuca, condannato a 3 anni e 4 mesi di reclusione, e alla dirigente nazionale e regionale di Confartigianato, Rosa Gentile (2 anni e 2 mesi). Tutte posizioni che tra un mese esatto, il 18 marzo, saranno al vaglio della Corte d’appello.

«GLI DICIAMO DI TRASCINARE ALLA PRESCRIZIONE»

«Se arriva a fine del 2021 è prescritto pure quello (…) Non so se è lui, ma mi sa che è lui pure, sempre lui». Queste le parole di Scaglione, ancora incerto sul fatto che il presidente del collegio giudicante sia proprio Sergi o il presidente della sezione penale del Tribunale, Rosario Baglioni («non so se ce l’ha lui o Baglioni»), che Salinardi apostrofa in malo modo raccontando di averlo denunciato per ragioni non meglio precisate.

«Ah. Allora si può parlare con lui di trascinare…» Gli risponde l’ex sindaco di Ruoti. «Se fosse lui, diciamo: “Trascinalo per due o tre mesi… e va in prescrizione”.»

Solo che «due o tre mesi» non bastano, secondo Scaglione, per accuse come quelle contestate.

«Quello era riferito al 2010, 2011». Spiega. «Ha capito? Perciò sto dicendo… Se toglie il peculato è già finito, se resta il peculato sono di più (…) Dovrebbe durare almeno un altro anno e mezzo».

Eppure Salinardi si mostra fiducioso lo stesso, e lo tranquilizza sul fatto che «questo se ti deve fare un piacere te lo fa… e senza dirgli niente».

GLI INTERROGATIVI APERTI

Negli atti a sostegno delle misure cautelari eseguite la scorsa settimana non c’è traccia di riscontri raccolti dagli investigatori, coordinati dal procuratore capo di Potenza Francesco Curcio e i vari pm che si sono avvicendati nella gestione del fascicolo, sull’avvenuta comunicazione dell’ambasciata al giudice nei termini concordati tra Scaglione e Salinardi. Né risultano iscrizioni di ipotesi d’accusa a carico di Sergi, per cui comunque, in quanto magistrato in servizio in Basilicata, sarebbero competenti a indagare i pm guidati della procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, guidati dal procuratore Nicola Gratteri. Tribunale di Catanzaro dove Sergi è stato a lungo in servizio prima di approdare in Basilicata.

Non è chiaro, pertanto, se il progetto di affondare il processo sulla “rimborsopoli” del Consiglio regionale lucano sia rimasto una chiacchiera tra due amici, o sia stato condiviso in una cerchia più ampia di persone. Specie dopo la scoperta delle indagini in corso, che sarebbe avvenuta giusto un paio di giorni dopo la serata trascorsa assieme all’amico giudice.

INTANTO I PROCESSI…

A settembre 2020, ad ogni modo, si è chiuso come previsto, con un proscioglimento per prescrizione, il processo sulla cosiddetta calciopoli rossoblu a carico di Scaglione, Postiglione e il resto degli imputati.

Mentre il processo sui “rimborsi pazzi” a carico di Scaglione e degli altri assessori e consiglieri regionali imputati dovrebbe riprendere il 17 marzo per proseguire con l’esame dei testi del pubblico ministero, dopo circa due anni di rinvii senza svolgere attività dibattimentale. Perlopiù motivati da problemi attinenti all’emergenza sanitaria.

A fine 2021, inoltre, risultano già maturati i termini di prescrizione per le accuse di peculato al vaglio del Tribunale datate 2009. Per quelle più recenti, invece, la prescrizione dovrebbe intervenire per la fine del 2023.

L’AUMENTO DELLE SENTENZE DI PRESCRIZIONE NELLA RELAZIONE DELL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO

Meno di un mese fa, in occasione della cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario, un significativo aumento delle sentenze per prescrizione emesse dai collegi del Tribunale di Potenza è stato segnalato anche nella relazione presentata dal presidente della Corte d’appello di Potenza, Rosa Sinisi.

Nel 2020-2021, in particolare, sarebbero state 19 le sentenze di proscioglimento per estinzione del reato contro le 8 dell’anno precedente. Un dato che il presidente della sezione penale, stando a quanto si legge nella relazione, avrebbe ricondotto a: «limitati capi d’imputazione di processi di particolare complessità, nell’ambito dei quali è stato disposto lo stralcio in relazione ai reati interessati».

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        Succede in Calabria.

Incendio a Catanzaro, chi è la famiglia coinvolta: una vita nella solitudine e nel degrado. Si indaga per omicidio e disastro colposo. Carlo Macrì su Il Corriere della Sera il 22 Ottobre 2022.

Nel rogo sono morti tre fratelli, il resto della famiglia è ustionato gravemente. Qualcuno avanza l’ipotesi che l’incendio nell'abitazione potrebbe non essere stato accidentale

Vivevano nella solitudine e nel degrado più totale i Corasaniti, padre, madre e cinque figli, di cui uno autistico, coinvolti nell'incendio del loro appartamento di Catanzaro avvenuto nella notte e nel quale hanno perso la vita tre fratelli (madre, padre e altri due figli di 12 e 16 anni si sono salvati ma sono rimasti ustionati gravemente).

Gli inquirenti hanno escluso che le fiamme possano essere state innescate da una fuga di gas e la Procura ha aperto un fascicolo a carico di ignoti per omicidio e disastro colposo. 

L’appartamento che ha preso fuoco si trova in uno stabile nel quartiere Pistoia, una specie di casba fatta di palazzi popolari di sei piani, tutti uguali, dove la vita scorre monotona, ogni giorno, tra bande di rom che gestiscono lo spaccio della droga. Qui il mondo sembra essersi fermato e il degrado è ovunque. 

Nessuno tra i coinquilini ammette di conoscere la famiglia Corasaniti. Il solo a parlare è Pino Romeo, responsabile dell’associazione Un raggio di Sole. «Le loro difficoltà economiche erano note a tutti. Ogni mese facevamo visita a questa famiglia portandogli cibo e vestiario», dice Romeo. «Ci siamo fatti carico, senza nessun compenso, di portare a scuola Saverio, il figlio autistico della coppia, non senza problemi. Le prime volte è stato veramente difficile. La sua malattia lo rendeva spesso isterico e violento e ci voleva tutta la nostra professionalità per stargli accanto e tranquillizzarlo». 

La tragedia di Catanzaro bisogna leggerla anche attraverso gli occhi di chi questa famiglia l’ha conosciuta e se n’è occupato in prima persona. Antonio Marziale - da poco nominato dal presidente Occhiuto garante per i diritti dell’infanzia - si era preso cura in passato dei Corasaniti. Nella triste storia di questo nucleo familiare disagiato, con un padre venditore ambulante e madre casalinga, con cinque figli da sfamare, senza sussidi, costretti a vivere spesso di offerte c’è chi, per ottenere il loro alloggio popolare, non ha esitato, cinque anni fa, attraverso minacce e furti e la distruzione dello stesso appartamento, a mandare fuori di casa i Corasaniti, costretti a cercarsi un nuovo alloggio. 

All’epoca Vitaliano Corasaniti e la moglie, oltre che denunciare il sopruso subito, si sono rivolti ai servizi sociali del Comune. La risposta delle istituzioni è stata: «Non possiamo aiutarvi». «Quando all’epoca sono intervenuto - spiega Marziale - mi è stata prospettata l’ipotesi di trasferire in una struttura di Montalto Uffugo (a circa 80 chilometri di distanza, in provincia di Cosenza) madre e bambini, mentre il padre sarebbe rimasto a Catanzaro. Un’assurdità». 

Dopo quell’episodio Vitaliano Corasaniti è diventato una sorta di paladino della legalità. Sempre in prima fila nelle manifestazioni pubbliche dove c’era da protestare per i diritti. Spesso anche in solitudine, senza mai, però, avere una risposta che potesse alleviare il suo disagio e quella della famiglia. Ecco perché qualcuno avanza oggi l’ipotesi che l’incendio potrebbe non essere stato un fatto accidentale. 

I Vigili dicono che il fuoco ha aggredito rapidamente ogni sostanza combustibile, tanto che tutto nelle sei stanze e due bagni, è andato completamente distrutto. Questo pomeriggio arriveranno da Roma per i rilievi gli specialisti del Nia (il Nucleo investigativo antincendio).

Carlo Macrì per corriere.it il 22 ottobre 2022.

Il fuoco li ha aggrediti mentre dormivano. Tre ragazzi di 12,14 e 22 anni, sono morti la notte scorsa nell’incendio divampato nel loro appartamento, al quinto piano di uno stabile in via Caduti 16 marzo 1978, a Catanzaro. Il resto della famiglia madre, padre e altri due figli di 12 e 16 anni, si sono salvati ma, sono rimasti feriti ustionati gravemente. Il papà e il figlio sedicenne sono stati trasferiti nei centri grandi ustioni di Bari e Catania, mentre la madre e la ragazzina, sono stati ricoverati all’ospedale “Pugliese Ciaccio” di Catanzaro. 

L’incendio è scoppiato all’incirca all’una e trenta. Si chiamavano Saverio, Aldo Pio e Mattia Carlo Corasoniti i ragazzi morti. Saverio, 22 anni, era autistico. Aldo Pio e Mattia Carlo avevano rispettivamente 15 e 12 anni. La madre, Rita Mazzei, è in gravi condizioni, ed è stata trasferita al centro grandi ustionati di Bari, mentre un’altra bambina, la più piccola, è stata trasferita a Napoli.  

All’ospedale di Catanzaro sono il padre dei ragazzi, Vitaliano Corasoniti, e un altro fratello 16enne, mentre la più 16enne. Vitaliano, di 42 anni, è intossicato e intubato nel reparto di rianimazione dell’ospedale del capoluogo calabrese, la moglie Rita Mazzei, di 41, lotta tra la vita e la morte nel Centro grandi ustionati di Bari dove è stata trasferita.

Era composta da sette persone la famiglia Corosaniti, Oltre che dal padre Vitaliano e dalla madre Rita Mazzei, facevano parte del nucleo familiare i figli Saverio, 22 anni, il maggiore dei ragazzi, Aldo Pio e Mattia Carlo, di 15 e 12 anni - tutti morti nell’incendio scoppiato per cause da accertare - Antonello, 16 anni, e Zaira Mara, 12 anni, poi trasferita a Napoli. I Corasoniti abitavano nel palazzo realizzato dall’Aterp da cinque anni, dopo aver occupato un’altra casa nella stessa zona.

Hanno tentato di salvarsi raggiungendo il balcone dell’abitazione due dei tre ragazzi rimasti uccisi nell’incendio divampato nel loro appartamento. I loro corpi sono stati trovati dai vigili del fuoco in una stanza vicina a quella dove si trova il balcone. Probabilmente - è l’ipotesi dei soccorritori - il fumo potrebbe avere fatto perdere loro i sensi impedendogli di raggiungere la salvezza. 

La terza vittima, invece, è stata trovata nel bagno. Dallo stesso balcone che i fratelli hanno cercano di raggiungere, sono stati salvati invece i loro genitori, la sorellina ed un altro fratello. I vigili del fuoco li hanno portati a terra grazie alle autoscale. Sul posto è stato anche montato il telo di salvataggio pneumatico nel caso qualcuno si fosse gettato nel vuoto

L’allarme dei vicini 

A dare l’allarme alcuni condomini che si sono accorti delle fiamme uscire dalle finestre dell’appartamento. Non si conoscono al momento le cause dell’incendio. Il nucleo familiare colpito dalla tragedia era composto di sette persone. Il papà venditore ambulante, la madre casalinga e i cinque figli, quattro dei quali minorenni. 

I Vigili del fuoco sono intervenuti con diversi mezzi e diciotto uomini per far fronte alle fiamme evitando che il fuoco potesse aggredire anche gli altri appartamenti i cui occupanti sono stati fatti evacuare per precauzione. Sono stati attimi di terrore la notte scorsa al rione Corvo, nella zona sud di Catanzaro. Le lingue di fuoco erano visibili a diversi chilometri di distanza.

«E’ una tragedia immane che sconvolge la nostra comunità» - ha detto il sindaco di Catanzaro Nicola Fiorita. «Riviviamo il dolore che avevamo provato più di venti anni fa alle Giare (l’alluvione che causò 11 morti, ndr), con tre giovani vite stroncate da un episodio su cui bisognerà dare la giusta luce». Il primo cittadino del capoluogo di regione ha proclamato il lutto cittadino in coincidenza dei funerali delle vittime. La procura della Repubblica ha aperto un’inchiesta sulle cause del rogo ed ha affidato le indagini ai carabinieri.

«Siamo di fronte ad una tragedia immane. Tre fratelli, il più piccolo aveva 12 anni, sono morti a Catanzaro in seguito ad un incendio che ha devastato l’abitazione nella quale vivevano. I genitori e altri due figli sono feriti, anche in modo grave. La Giunta regionale esprime sincero cordoglio per le vittime. Tutta la Calabria si stringe a questa famiglia distrutta e alla comunità catanzarese in questo momento di grande dolore. Una preghiera per chi non c’è più». Lo scrive sulla sua pagina Facebook Roberto Occhiuto, presidente della Regione Calabria

Carlo Macrì per il “Corriere della Sera” il 23 ottobre 2022.

Il fuoco li ha sorpresi nel sonno. Tre fratelli, di una famiglia di sette persone, sono stati uccisi dalle fiamme nell'alloggio popolare in cui vivevano, nel quartiere Pistoia, a Catanzaro. Il resto della famiglia, padre, madre e due figli sono ricoverati in gravi condizioni. A perdere la vita Saverio Corasaniti, 22 anni, con problemi di autismo, e i due fratelli Mattia Carlo di 12 e Aldo Pio di 14 anni.  

Rita Mazzei, 41 anni, la mamma, e la figlia Zaira Maria, 12, gemella di Mattia Carlo, sono stati trasportati al centro grandi ustioni di Bari e Catania. Il papà Vitaliano Corasaniti, venditore ambulante, e l'altro figlio Antonello, 16, sono in rianimazione all'ospedale «Pugliese Ciaccio» di Catanzaro. 

L'incendio al quinto piano della palazzina è scoppiato poco prima dell'una di notte. I Vigili del fuoco hanno accertato che non è stato causato da una fuga di gas. Le fiamme però si sono propagate rapidamente, tant' è che in venti minuti l'interno dell'appartamento era ridotto in cenere. Oggi gli specialisti del Nia (Nucleo investigativo antincendio), cercheranno di capire l'origine del rogo. 

I Corasaniti, svegliati dal fumo acre, hanno cercato riparo sui balconi, dopo aver constatato che la porta blindata non si apriva. Ci sono riusciti solo in quattro. Saverio, Mattia Carlo e Aldo Pio probabilmente non si sono mai mossi. I Vigili del fuoco, infatti, li hanno trovati ancora nei loro letti, carbonizzati. Vitaliano Corasaniti e la moglie avrebbero cercato di buttarsi giù dal quinto piano, ma l'intervento immediato dei Vigili del fuoco glielo ha evitato: i soccorritori, nonostante le lingue di fuoco visibili a un chilometro di distanza, hanno raggiunto i balconi e tratto in salvo prima i due ragazzi e poi i loro genitori. Nell'incendio sono anche morti due dei tre cani della famiglia.

La procura ha aperto un'indagine per omicidio e disastro colposo. Cinque anni fa, i Corasaniti, seguiti dagli assistenti sociali, oltre che per le problematiche del figlio Saverio, anche per le loro difficoltà economiche nel mantenere cinque figli, avevano subìto un raid nell'alloggio dove abitavano in precedenza. 

Ignoti si erano introdotti nell'appartamento danneggiando ogni cosa e tinteggiando i muri con vernice rossa. Vitaliano Corasaniti aveva denunciato l'episodio chiarendo che qualcuno voleva impossessarsi della loro casa: tanto che in quella nuova, ottenuta dopo una lunga battaglia, aveva fatto installare una porta blindata. C'è poi stato un altro episodio segnalato su Facebook da Rita Mazzei il 25 settembre scorso: «Mentre i miei figli stavano entrando nell'ascensore qualcuno l'ha staccato dal contatore generale». 

C'erano persone con cui continuava lo scontro per gli alloggi popolari? Il caso è tutto da chiarire, il quartiere Pistoia è una sorta di Bronx in mano a diversi gruppi rom, dove si spaccia e si deposita materiale rubato. Ieri sera, a poche decine di metri dall'abitazione bruciata, c'è stata una sparatoria: con tre persone di etnia rom ferite. Non è chiaro se vi sia un collegamento con il rogo della notte precedente.

Tragedia a Catanzaro. La loro casa va a fuoco muoiono tre fratelli. Le vittime avevano 22, 16 e 12 anni. In gravi condizioni anche gli altri quattro familiari. Stefano Vladovich il 23 Ottobre 2022 su Il Giornale.

«Lei gridava aiuto dal balcone al quinto piano con la bambina in braccio». Stretta dalla mamma, Zaira Maria, 12 anni, è salva anche se le sue condizioni sono gravissime. Non ce l'hanno fatta tre dei suoi fratelli, Saverio, 22 anni, Aldo Pio, 14 anni e Mattia Carlo, 12 anni, tutti morti per asfissia nell'incendio della propria abitazione in via Caduti XVI Marzo 1978, alla periferia Sud di Catanzaro. Grave un altro fratello, Antonello, 16 anni, e i genitori, Rita Mazzei, 41 anni, e Vitaliano Corasaniti, 42 anni. Sono morti cercando di raggiungere il balcone, Aldo e Mattia, i più piccoli, trovati dai soccorritori a pochi passi dalla finestra. Il corpo di Saverio, il maggiore, autistico, è stato rinvenuto in bagno.

La tragedia nel rione Pistoia si consuma in 15 minuti, dopo l'una e 30 della notte di venerdì quando arrivano le segnalazioni ai vigili del fuoco. Sono i vicini della famiglia Corasaniti a sfondare il portone condominiale per far uscire in strada gli altri inquilini. Ma il fuoco ha già invaso l'intero appartamento e il fumo impedisce a chiunque di entrare o fuggire. «Vedevamo solo fiamme alte uscire dalle finestre» raccontano gli abitanti della palazzina popolare. Nessuna esplosione da fuga di gas, come si era pensato, ma solo tanto fuoco divampato dalla cucina, forse per un maledetto cortocircuito. I due feriti più gravi, la madre e la bambina, sono stati trasportati nei centri Grandi Ustionati di Bari e Catania, gli altri due, il papà Vitaliano e Antonello, il figlio 16enne, nell'ospedale di Catanzaro mentre l'intero edificio è stato evacuato per motivi di sicurezza e per permettere agli esperti di effettuare i rilievi. La Procura ha aperto un fascicolo per incendio e omicidio colposo plurimo e affidato l'indagine ai carabinieri. Una famiglia perbene quella di Vitaliano e Zaira, da poco assegnatari dell'alloggio ex Iacp. Lui venditore ambulante di abbigliamento nei mercati rionali, lei casalinga. «Si sono sempre occupati di curare con amore il figlio maggiore - raccontano dei conoscenti accorsi sul posto -, non si sono mai rassegnati alla sua disabilità». Per portare in salvo con l'autoscala moglie, marito e i due figli ancora vivi i pompieri sono entrati dall'unico accesso possibile, quel terrazzino che hanno tentato di raggiungere, invano, Aldo e Mattia. Tutte da accertare le cause dell'incendio che ha sorpreso nel sonno l'intera famiglia. L'uomo è stato rianimato e trasportato nel reparto Terapia Intensiva di Catanzaro dov'è tuttora intubato e sedato. Non può parlare nemmeno la donna, che avrebbe riportato ustioni sul 40 per cento del corpo e che sarà sottoposta a un delicato intervento chirurgico assieme alla piccola Zaira, quest'ultima trasferita successivamente al centro pediatrico Grandi Ustioni di Napoli.

«L'ha protetta fino all'ultimo, la stringeva a sé mentre urlava dal balcone» racconta ai cronisti la vicina di pianerottolo. «Una tragedia immane - commenta il sindaco di Catanzaro Nicola Fiorita - che sconvolge la nostra comunità e che ci atterrisce per la sua crudeltà. Poteva essere una strage. Questa notte ho provato un brivido e un moto di indignazione per le condizioni dei nostri quartieri della zona sud. La città è piegata dalla sofferenza per questa tragedia». Su Fb il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, posta: «Tutta la Calabria si stringe a questa famiglia distrutta e alla comunità catanzarese in questo momento di grande dolore. Una preghiera per chi non c'è più».

L'inchiesta sul rogo e la strage. Incendio a Catanzaro, i dubbi dietro il rogo che ha distrutto la famiglia Corasaniti: inchiesta per omicidio e disastro colposo. Redazione su Il Riformista il 22 Ottobre 2022 

C’è un fascicolo aperto a carico di ignoti per omicidio e disastro colposo sull’immane tragedia che ha sconvolto Catanzaro, dove questa notte un incendio divampato al quinto piano di una palazzina popolare di via Caduti 16 marzo 1978 ha distrutto la famiglia Corasoniti. 

Tre dei figli di Vitaliano Corasaniti, 42 anni, e della moglie Rita Mazzei, 41, sono morti nel rogo: i soccorritori giunti nel cuore della notte nella palazzina nella periferia sud del capoluogo calabrese hanno rinvenuto già privi di vita i corpi di Saverio, 22 anni, affetto da autismo, Aldo Pio di 14 e Mattia Carlo di 12 anni. Per Saverio non c’è stato nulla da fare, il suo corpo è stato ritrovato assieme a quello Aldo Pio in veranda mentre il più piccolo dei suoi fratelli è stato ritrovato senza vita in bagno.

Tratti in salvo invece il padre e la madre, oltre agli altri due figli Antonello, di 16 anni, e Zaira Maria di 10 anni. A causa delle gravi ustioni madre e figlia sono state elitrasportate nei centri specializzati di Bari e Catania, mentre padre e figlio sono ricoverati in rianimazione all’ospedale Pugliese-Ciaccio di Catanzaro.

Nel rogo sono morti anche due cani di proprietà della famiglia Corasaniti. I due animali si trovavano all’interno dell’appartamento dove viveva la famiglia quando le fiamme hanno avvolto gli ambienti e si sono propagate con estrema rapidità. Le carcasse semicarbonizzate sono state raccolte dai vigili del fuoco del Comando provinciale al termine del sopralluogo e della messa in sicurezza della zona interessata.

Una tragedia figlia anche del degrado e della solitudine in cui viveva la famiglia: padre venditore ambulante e madre casalinga, i Corasoniti faticavano ad arrivare a fine mese, per di più con un figlio affetto da autismo difficile da gestire.

Nessuno tra gli abitanti della palazzina ammette di conoscerli, l’unico a parlare col Corriere della Sera è Pino Romeo, responsabile dell’associazione Un raggio di Sole. “Le loro difficoltà economiche erano note a tutti. Ogni mese facevamo visita a questa famiglia portandogli cibo e vestiario”, spiega Romeo. “Ci siamo fatti carico, senza nessun compenso, di portare a scuola Saverio, il figlio autistico della coppia, non senza problemi”.

Dietro il dramma che sconvolto Catanzaro c’è anche il problema degli alloggi popolari. Cinque anni fa, scrive il Corsera, la famiglia era stata minacciata e derubata per costringere i sette a lasciare l’appartamento e cercarsi un nuovo alloggio.

A raccontarlo è Antonio Marziale, da poco nominato dal governatore Occhiuto come Garante per i diritti dell’infanzia, che si era occupato di loro in passato. All’epoca la famiglia aveva denunciato le minacce e chiesto aiuto ai servizi sociali, ma la prospettiva per loro era quella di trasferire madre e figli in una Montalto Uffugo (a circa 80 chilometri di distanza, in provincia di Cosenza), mentre il padre Vitaliano sarebbe rimasto a Catanzaro.

Proprio da quell’episodio di minacce Vitaliano era diventato un paladino della legalità, in prima fila nelle manifestazioni per i diritti. Anche per questo la Procura avanza l’ipotesi che l’incendio possa non essere un fatto accidentale.

Di sicuro non c’è stata esplosione di gas: non l’hanno sentita i vicini e non l’hanno rilevata i tecnici della ditta intervenuta sul posto. Sarà necessaria la verifica specializzata del Nucleo regionale antincendio dei vigili del fuoco per appurare come e dove si siano innescate le fiamme, che hanno divorato l’appartamento rapidamente, distruggendo completamente stanze e bagni.

La tassa di passaggio.

Il problema della Sicilia? “Il traffico!” “Palermo ha un grande problema! Un problema intollerabile!”. “Quale?”. “Il traffico!”

Ricordate l’avvocato mafioso di “Jonny Stecchino” di e con Roberto Benigni?

Il film è del ’91, ma la battuta è sempre attuale

“Nel mondo siamo conosciuti anche per qualcosa di negativo, quelle che voi chiamate piaghe. Una terribile, e lei sa a cosa mi riferisco: l’Etna, il vulcano, ma è una bellezza naturale. Ma c’è un’altra cosa che nessuno riesce a risolvere, lei mi ha già capito. La Siccità. La terra brucia e sicca, una brutta cosa. Ma è la natura e non ci possiamo fare niente. Ma dove possiamo fare e non facciamo, perché in buona sostanza, purtroppo posiamo fare e non facciamo… Dov’è? È nella terza e più grave di queste piaghe che diffama la Sicilia e in particolare Palermo agli occhi del mondo. Eh… Lei ha già capito. È inutile che glielo dica. Mi vergogno a dirlo. È il traffico! Troppe macchine! È un traffico tentacolare, vorticoso, che ci impedisce di vivere e ci fa nemici famiglia contro famiglia, troppe macchine!”.

 E' esemplare la celebre scena del film “Non ci resta che piangere” con Roberto Benigni e Massimo Troisi. I due viaggiatori si trovavano ad attraversare il confine della Signoria fiorentina, e un integerrimo casellante continuava a domandare: “Chi siete? Da dove venite? Cosa portate? Dove andate?  Un Fiorino!” ad ogni minimo movimento andirivieni alla dogana. Così ad ogni movimento dei poveri viaggiatori (una volta gli cadeva un sacco di farina, un’altra volta perdevano qualcos’altro), venivano richiamati e bloccati. Fino a che Troisi, spazientito dalla bizzarra e petulante circostanza con un vivace “Vaffa” risolve la situazione proseguendo il cammino.

La tassa di Passaggio. Da tripadvisor.it il 2020.

saveriodb Lecce, Italia

Gentile Forum di Roseto Capo Spulico,

ho ricevuto una multa per eccesso di velocità sulla SS106 Jonica a Roseto.

Vivendo a Lecce, chiederei a qualcuno del luogo, se possibile, un'informazione:

- La multa è per aver superato la velocità media in un tratto di 1,77 Km, in direzione Ovest (da Metaponto verso Villapiana per intenderci). Per quel che ricordavo, su quel percorso l'unico controllo della velocità media era a Montegiordano, ma non a Roseto. A Roseto mi sembrava fosse segnalato dai cartelli solo un controllo 'istantaneo', non medio. Sbaglio io?

Vi ringrazio per l'informazione! Saverio Di Benedetto

hildita nikita Catanzaro, Italia

Ciao, purtroppo in quel tratto ci sono sistemati ben 4 autovelox ognuno di un comune diverso, oltre quello di Roseto c'è del comune di Amendolara, Spezzano Albanese e non ricordo se c'è anche Trebisacce o Rocca Imperiale ... in due km ho preso 4 multe nello stesso giorno e non credo lo dimenticherò più quel tratto

 

ECC.MO PREFETTO DI COSENZA

RICORSO IN OPPOSIZIONE A SANZIONE AMMINISTRATIVA

Ai sensi dell’art. 203 Codice della Strada

(D.lgs. 30 aprile 1992, n. 285)

 

PER RICORRENTE GIANGRANDE ANTONIO nato ad Avetrana (Ta) il 02/06/1963 e residente ad Avetrana in Via A. Manzoni, 51, in proprio. C.F: GNGNTN63H02A514Q Tel. 3289163996 giangrande.antonio@alice.it

CONTRO RESISTENTE COMUNE DI ROSETO CAPO SPULICO, in persona del Sindaco pro tempore, per quest’atto domiciliato presso la sede del Comando di Polizia Locale sito in Roseto Capo Spulico, via G.B. Trebisacce snc..

* * *

Oggetto: Ricorso in opposizione al verbale di violazione del Codice della Strada n. 002703022

Protocollo 00002704/A/22

Cronologico 0027030221502703

del 13/06/2022 ore 07:44, emesso da FARINA BEATRICE appartenente al Comando di Polizia Locale del Comune di ROSETO CAPO SPULICO, consegnato per la spedizione il 22/09/2022 e notificato in data 27/09/2022 per la violazione dell’art.142 comma7 C.d.S., con cui si ingiunge il pagamento della somma totale di Euro 59,00, di cui euro 42,00 per minimo edittale, e 17 euro di spese di notifica e procedimento e in misura ridotta di Euro 46,40,00, di cui euro 29,4,00 per minimo edittale, e 17 euro di spese di notifica e procedimento.

Contestazione: in presenza di limite di velocità di 90 km ora, si procedeva a 96 km ora, effettiva 91 km ora (96 meno la riduzione del 5%, minimo 5 km, vedi l’art 1, dm 29 ottobre 1997 ai sensi dell’art. 345 comma 2, DPR 16/12/1992 n. 495, mod. dall’art. 197 DPR 16/06/1996 n. 610)

 

PREMESSO CHE LA SANZIONE IN FATTO

E’ INOPPORTUNA, IRRAGGIONEVOLE E FISCALE. La velocità contestata è di 1 km in più di quello consentito. Si procedeva a 96 km ora, meno il 5%, minimo 5 km di riduzione, 91 km ora. Consentito 90 chilometri. L’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 3698/2019 che non ammette giustificazioni è derogabile per inopportunità in presenza di uno stato di necessità.

E’ ANNULLABILE PER STATO DI NECESSITA’ E FORZA MAGGIORE ai sensi della sentenza n. 7198/2016 della Corte di Cassazione. Si procedeva a quella velocità per stato di necessità e forza maggiore, perché costretti ad inseguire l’auto dei carabinieri di Avetrana incaricati dell’accompagnamento coattivo del ricorrente per una testimonianza presso il Tribunale di Palmi, a pena di sanzioni penali.

PREMESSO CHE LA SANZIONE IN DIRITTO

E’ ANNULLABILE PERCHE’ NULLA ED ILLEGITTIMA PER TARDIVITA’.

L’infrazione è avvenuta il 13/06/2022.

Come in calce da verbale di contestazione e nota delle poste italiane:

La consegna per la spedizione del verbale di violazione alle Poste Italiane è avvenuta il 22/09/2022.

La consegna in mano dell’obbligato al pagamento della sanzione è avvenuta il 27/09/2022.

Il ritardo e di ben 9 giorni oltre i 90 giorni di notifica, senza tener conto che luglio ed agosto hanno 31 giorni: infrazione il 13 giugno; spedizione del verbale il 22 settembre.

La notifica quindi è nulla, perché tardiva, e nulla si deve all’organo contestatore a mo’ di sanzione.  Dal momento in cui l’infrazione è stata commessa al momento in cui la notifica viene recapitata all’indirizzo di residenza dell’automobilista possono passare al massimo 90 giorni, così come disposto dall’articolo 201 del Codice della strada. Il periodo di 90 giorni durante i quali la notifica deve essere consegnata decorre dal momento in cui l’infrazione è stata commessa e non da quando è stata accertata. Può sembrare una sottigliezza linguistica ma non lo è, considerando che la questione è stata affrontata dalla Corte di cassazione la quale, con la sentenza 7066/2018, Corte di Cassazione Civile sez. VI, ord. 21 marzo 2018, n. 7066, che ha definitivamente chiarito che i 90 giorni decorrono dal momento in cui l’infrazione è stata rivelata e non accertata.

Tutto ciò premesso e considerato, il sottoscritto ricorrente

CHIEDE

Voglia l’Ecc.mo Prefetto adito, contrariis reiectis:

Dichiarare l’annullamento del verbale di violazione del Codice della Strada n. 002703022

Protocollo 00002704/A/22

Cronologico 0027030221502703

del 13/06/2022 ore 07:44, emesso da FARINA BEATRICE appartenente al Comando di Polizia Locale del Comune di ROSETO CAPO SPULICO, consegnato per la spedizione il 22/09/2022 e notificato in data 27/09/2022 per la violazione dell’art.142 comma7 C.d.S., con cui si ingiunge il pagamento della somma totale di Euro 59,00, di cui euro 42,00 per minimo edittale, e 17 euro di spese di notifica e procedimento.

In subordine in caso di rigetto del ricorso, disporre il mantenimento della sanzione al minimo edittale, in misura ridotta di Euro 46,40,00, di cui euro 29,4,00 per minimo edittale, e 17 euro di spese di notifica e procedimento.

In ogni caso, ordinare la sospensione provvisoria degli effetti della sanzione amministrativa in modo che, in attesa della conclusione del procedimento, l’amministrazione che l’ha emessa non possa pretendere il pagamento né possa chiederne la riscossione forzata facendo intervenire l’Agenzia delle entrate-riscossioni. E data la oggettiva nullità del verbale, per omissione o abuso, l’amministrazione intimante possa incorrere in una violazione penale.

Si producono i seguenti documenti in copia:

Copia del ricorso firmato 3 pagg.

Verbale di violazione del C.d.S: 2 pagg.

Intimazione di testimonianza coattiva.

Nota delle Poste Italiane.

Documento di identità

Con osservanza. Avetrana, lì

Firma del ricorrente _________________

Si prega di inviare qualsiasi comunicazione relativa al presente procedimento ai seguenti recapiti:

Via A. Manzoni 51 Avetrana Ta.

 

L’Italia degli autovelox. ‘Fare cassa’ e ‘Tassa di passaggio’. Da aduc.it il 13 giugno 2022.

A novembre il decreto Infrastrutture (Dl 121/2021) ha imposto la pubblicazione sul web dei rendiconti comunali da proventi di multe. Il quotidiano ILSOLE24ORE ha spulciato i dati, ed ha rilevato cose interessanti. Soprattutto lo “zero” che si legge negli incassi 2021 da multe diverse da quelle per eccesso di velocità in luoghi come Roseto Capo Spulico (Cosenza) e Melpignano (Lecce). Quest’ultimo Comune ha rivitalizzato le entrate incassando 4,98 milioni e Roseto 728mila euro (che si aggiungono agli incassi delle vicine Montegiordano, Rocca Imperiale e Trebisacce). Dai dati del ministero si evince che qui i vigili non hanno visto nemmeno una cintura slacciata, un guidatore parlare al cellulare, parcheggiare in modo vietato, prendersi una precedenza non dovuta o qualsiasi altra infrazione stradale.

A Colle Santa Lucia (BL) succede lo stesso. Idem per la Provincia di Brescia, che pare non avere altre forme di vigilanza su strada e così risulta non incassare un euro nemmeno da chi è uscito fuori corsia rovinando un guard-rail.

Il quotidiano economico si chiede se, per esempio, i mutui che a Milano vengono ripagati anche con una parte dei cospicui incassi delle multe siano davvero attinenti alla sicurezza stradale. 

“Tassa di passaggio” per locali o turisti che in alcune strade sono poco ligi al rispetto di limiti di velocità che, chiunque si sposta, sa che spesso sono un po’ troppo risicati rispetto a tipo di strade e di veicoli. Le norme risalgono a quando certi asfalti e certe caratteristiche infrastrutturali erano molto più precarie di oggi, mentre le auto più diffuse erano tipo la 500 Fiat con le portiere incernierate posteriormente che, per passare da una marcia all’altra, occorreva fare la doppietta, oltre che quando si andava a 90Kmh tremava tutta la carrozzeria.

Il mondo è cambiato, ma non le norme per far rispettare i limiti di velocità. E siccome alcuni autovelox erano proprio “indecenti” per dove erano piazzati, a luglio del 2020 fa è stata modificata la legge per consentire l’uso di macchinette automatiche ovunque, trasformando in regolarità le precedenti irregolarità. 

Nel nostro Paese, quando ci sono i problemi, invece di affrontarli, spesso si fa come la polvere che finisce sotto il tappeto. A questo aggiungiamo che oltre “per fare cassa”, gli autovelox sono anche “tassa di passaggio”. 

Nel frattempo, sicurezza a go-go e crescita della sfiducia dei cittadini verso le istituzioni, con conseguente invenzione e applicazione di marchingegni per “fottere” o “non farsi fottere”.

Autovelox, strade come bancomat: così il comune incassa la «tassa» di passaggio. La multa per eccesso di velocità è un must: in alcuni piccoli centri non compaiono introiti da infrazioni diverse. Maurizio Caprino su Il Sole 24 Ore il 14 giugno 2022

Belle le vacanze al Sud. Ma non di rado hanno un costo supplementare: le multe per eccesso di velocità. Magari giuridicamente sacrosante, ma comminate su percorsi “non a rischio” da Comuni per i quali la sicurezza stradale si riduce nel piazzare autovelox sulla superstrada dalla quale hanno la fortuna di essere lambiti.

Strade come bancomat

In pratica, strade come bancomat per le casse comunali. Vi pare la stessa storia che sentite da anni? Sì, però adesso ci sono prove ben circostanziate: sul sito web del ministero dell’Interno sono comparsi i rendiconti dei proventi delle multe, che i Comuni erano già obbligati a trasmettere. 

Non tutti lo facevano e, in ogni caso, erano carte che restavano nei cassetti ministeriali. A novembre il decreto Infrastrutture (Dl 121/2021) ne ha imposto la pubblicazione sul web. Il termine è scaduto il 31 maggio e stavolta quasi nessuno ha sgarrato: sono stati pochi i Comuni che non hanno inviato i dati.

Tra essi, due perle delle vacanze “caraibiche” al Sud: le limitrofe Leporano e Pulsano (Taranto), dove da cinque anni sono spuntati rilevatori fissi in quelli che, stando alla segnaletica (o a quella che come tale vorrebbe presentarsi all’occhio dei profani), sarebbero centri abitati, quindi su strade dove all’epoca era vietatissimo usare apparecchi completamente automatici.

Quella più «estiva» è lo «zero» che si legge negli incassi 2021 da multe diverse da quelle per eccesso di velocità in luoghi come Roseto Capo Spulico (Cosenza) e Melpignano (Lecce). Guardacaso, il loro territorio è attraversato rispettivamente dalle statali 106 Jonica e 16 Adriatica, con tratti moderni a doppia carreggiata e poco trafficati, dove tenere i 90 all’ora non è facile e negli ultimi anni sono spuntati rilevatori di velocità (anche media, a Roseto) poco visibili.

Incassi milionari e sospetti

Così Melpignano ha rivitalizzato le entrate incassando 4,98 milioni (li avranno usati anche per l’organizzazione della famosa Notte della Taranta?) e Roseto 728mila euro (che si aggiungono agli incassi delle vicine Montegiordano, Rocca Imperiale - già note alle cronache - e Trebisacce).

Stando a quanto dichiarato al ministero, qui i vigili non hanno visto nemmeno una cintura slacciata o un guidatore che parlava al cellulare, parcheggiava in modo vietato, si prendeva una precedenza non dovuta o commetteva qualsiasi altra infrazione stradale. Certo, in casi come Melpignano il traffico urbano è scarso e le strade sono incredibilmente larghe rispetto alla media dei piccoli centri italiani. Ma pare incredibile che i vigili non rilevino infrazioni nemmeno quando sono chiamati a rilevare un incidente. Eppure sono le Polizie locali ad accorrere su oltre il 60% dei sinistri in cui interviene un corpo di polizia.

Così ai più maliziosi viene da pensare che non si voglia multare il parente o l’amico: guardacaso, sulle strade comunali circolano in prevalenza cittadini del luogo, mica turisti o forestieri che viaggiano per lavoro.

Ma i numeri possono nascondere anche altre spiegazioni. Ad esempio, può accadere che, per somma sfortuna, ci siano giudici di pace che annullano in modo seriale tutte le multe in cui non c’è di mezzo un autovelox. Oppure ancora, che la Ragioneria comunale si sia sbagliata nell’inviare i dati al Viminale.

Storie di ordinaria indolenza meridionale? Neanche tanto: a Colle Santa Lucia (nel Bellunese, luogo di passaggio verso il mitico passo del Pordoi) succede lo stesso: sulla strada che porta al passo Giau, c’è un rilevatore che per qualche guidatore è anch’esso mitico.

E che dire della Provincia di Brescia? Ha una rete di misuratori di velocità anche media ma pare non avere altre forme di vigilanza su strada. Così risulta non incassare un euro nemmeno da chi è uscito fuori strada rovinando un guard-rail (caso in cui scatta in automatico una multa di 42 euro per «danneggiamento di opere o piantagioni», articolo 15 del Codice della strada) in un incidente rilevato dalla Polizia provinciale.

I tanti trucchetti possibili

Potremmo andare avanti, magari allargando lo sguardo ad altre prassi disinvolte, come quelle di Cerignola (Foggia) che abbiamo già descritto in passato.

O chiedendoci se i mutui che a Milano vengono ripagati anche con una parte dei cospicui incassi delle multe siano davvero attinenti alla sicurezza stradale.

O ricordando a noi stessi quanto è difficile trovare nelle carte degli enti locali traccia di quanto degli incassi va ai noleggiatori di rilevatori di infrazioni: per legge, i compensi devono essere certi, fissi e trasparenti, ma ci sono modi opachi per renderli di fatto commisurati al numero di multe comminate.

O andando a incrociare i dati degli incassi con quelli Istat sul numero di morti per incidenti stradali in ciascun Comune.

Carenze all’italiana

Ma non sarebbe giusto andare avanti a sparare sui Comuni senza tenere conto che l’Italia è molto lunga e varia. Ben diversa da come la descrivono certi politici e addetti ai lavori che sul “populismo anti-multe” hanno costruito una carriera. Citando un mare di dati contro i sindaci di turno ma senza mai spiegare bene come risolverebbero i problemi della sicurezza stradale e del traffico se ad amministrare e dirigere fossero loro.

Così va detto che, a forza di tagli ai trasferimenti di soldi dallo Stato, non pochi Comuni non hanno risorse per tenersi a galla. Anche se spesso anche sprechi di spesa e inefficienze della riscossione fanno la loro parte.

Va pure riconosciuto che a livello di sicurezza qualcosa è migliorato negli ultimi due decenni, come dimostrano le statistiche su incidenti e mortalità (anche se resta tantissimo da fare e molti progressi sono merito dell’evoluzione dei veicoli). L’ultima novità è che a breve anche i corpi di polizia locale riusciranno a trasmettere in tempo reale i dati sui tanti incidenti che rilevano. Così, se non altro, l’Italia avrà statistiche più tempestive e complete.

Inoltre non si può dimenticare che, qua e là, c’è chi fa il proprio dovere e cerca davvero di migliorare la sicurezza. Magari con risorse scarse. O senza avere adeguate conoscenze, come si vede soprattutto negli errori nella segnaletica, che è tanto poco credibile da non essere rispettata né ritenuta utile da troppi per far pensare che certe infrazioni siano solo colpa di chi guida.

Tutto questo ammettendo che negli organici degli enti locali ci sia davvero qualcuno: alcuni corpi di polizia locale non hanno nemmeno un vigile e si affidano a collaborazioni con i Comuni vicini. Ciò può contribuire a spiegare anche il motivo per cui le infrazioni diverse da quelle rilevate con apparecchi automatici non sono punite.

Carenze per le quali non si vede all’orizzonte un serio piano di riqualificazione e rimpolpamento degli organi di vigilanza: si punta tutto sulla tecnologia, in attesa che la guida semiautonoma e autonoma si diffondano, prima limitando e poi facendo quasi sparire le infrazioni.

Se gli autovelox salvano i bilanci dei Comuni calabresi. MASSIMO CLAUSI su Il Quotidiano del Sud il 13 giugno 2022.

COSENZA – Non è vero che i comuni calabresi sono sempre ultimi per tutti. C’è un primato che forse ci viene invidiato dai sindaci di tutta Italia ovvero gli incassi da autovelox. Su questo fronte in Calabria siamo nella top ten nazionale. Nella classifica stilata da OpenPolis, infatti, nelle prime dieci posizioni dei comuni che incassano di più da multe e sanzioni, tre sono calabresi. Il primato assoluto spetta al piccolo comune di Roseto Capo Spulico, secondo in Italia in questa specialissima graduatoria. Poi troviamo Montegiordano al sesto posto ed infine Rocca Imperiale al nono.

Insomma si tratta di comuni costieri che sono attraversati dalla famigerata Ss 106, ormai divenuta celeberrima come strada della morte e nessun autovelox è riuscito a limitare la perdita di vite umane. Il vero problema è che intorno a questa strada si è allegramente costruito, piccoli paesi si sono espansi e questo comporta costanti e repentini cambi ai limiti di velocità che in alcuni tratti diventano davvero ridicoli per una Strada statale. Così attraversare il tratto dell’alto jonio per arrivare in Puglia diventa una vera e propria corsa ad ostacoli. Un bell’incentivo per i turisti non c’è che dire. Da qui un ulteriore necessità di completare finalmente i lavori di questa arteria e mettere in sicurezza tutto il tratto calabrese.

Rispetto all’indagine dobbiamo fare due precisazioni metodologiche. La prima è che i dati sono riferiti al 2019, ma non dovrebbero discostarsi di troppo negli ultimi due anni. Il secondo appunto è che OpenPolis registra solo le somme inserite dai sindaci in bilancio che non è detto corrispondano poi alle somme ufficialmente incassate. Bisogna infatti considerare la morosità e il pagamento così come la tendenza di alcuni sindaci di coprire eventuali buchi di bilancio con questo tipo di entrate. In effetti il vero nodo è capire come vengono spesi questi introiti, se ad esempio vanno a coprire le spese per interventi di manutenzione o migliorativi della vabilità. Su questo non c’è grande trasparenza da parte delle amministrazioni comunali.

abbiamo pubblicato la classifica dei 60 comuni calabresi che incassano di più da multe e sanzioni stradali. Al primo posto ovviamente campeggia Roseto Capo Spulico, piccolo centro della provincia di Cosenza di circa 1900 abitanti che ha messo a bilancio quasi 2 milioni e mezzo di euro (2.332.897,35) con un coefficiente di 1.247 euro pro capite di entrate da multe stradali. Al secondo posto troviamo un altro piccolo centro della provincia di Cosenza, Montegiordano: 1.270.000,00 di entrate in un anno di multe, sanzioni e ammende e 760 euro di reddito pro capite per cittadino. Ci spostiamo nel Catanzarese per parlare della terza in classifica, Simeri Cricri che, nel 2020, ha rimpinguato le casse comunali con oltre 2 milioni di euro grazie alle infrazioni al codice della strada.

Per trovare il primo capoluogo bisogna scivolare fino al 15esimo posto, occupato da Catanzaro con 1.192.717,37, poi al 30esimo Crotone con un “misero” bottino di 157.284,14. I dati degli altri tre capoluoghi di provincia – Cosenza, Reggio Calabria e Vibo Valentia – non sono disponibili.

Roseto Capo Spulico regina delle multe: è il comune calabrese che incassa di più. Il piccolo centro dell'Alto Ionio cosentino è al primo posto in regione e al quarto in Italia nella classifica di Openpolis: nel 2020 ha messo a bilancio quasi 2 milioni e mezzo di euro. Redazione su cosenzachannel.it il 12 Giugno 2022  

La classifica di Openpolis si riferisce al 2020, ma non per questo fa meno impressione leggere quanto incassino i (piccoli) comuni in Calabria grazie a multe e ammende ogni anno. E non parliamo di capoluoghi di province o città dalle dimensioni medio-grandi. Ai primi posti della classifica, infatti, si posizionano comuni di piccole dimensioni, ma con un coefficiente tra multe ed entrata pro capite per abitante molto alto.

Al primo posto in Calabria (quarta in assoluto in Italia), infatti, troviamo Roseto Capo Spulico, piccolo centro della provincia di Cosenza di circa 1900 abitanti che nel 2020 ha messo a bilancio quasi 2 milioni e mezzo di euro (2.332.897,35) con un coefficiente di 1.247 euro pro capite.

Nel 2019, Roseto Capo Spulico si piazzava addirittura al secondo posto in Italia, dietro solo a Colle Santa Lucia in Veneto: tre anni fa il piccolo comune calabrese aveva fatto multe ed emesso ammende per quasi 3 milioni di euro (2.876.371,27) euro per un’entrata pro capite di 1.501,24 euro per cittadino.

Lo sbocco sulla famigerata 106 di certo avrà aiutato a rimpolpare le casse comunali con multe salatissime comminate agli incauti automobilisti.

Al secondo posto troviamo un altro piccolo centro della provincia di Cosenza, Montegiordano: 1.270.000,00 di entrate in un anno di multe, sanzioni e ammende e 760 euro di reddito pro capite per cittadino.

Ci spostiamo nel Catanzarese per parlare della terza in classifica, Simeri Cricri che, nel 2020, ha rimpinguato le casse comunali con oltre 2 milioni di euro grazie alle infrazioni al codice della strada.

Per trovare il primo capoluogo bisogna scivolare fino al 15esimo posto, occupato da Catanzaro con 1.192.717,37, poi al 30esimo Crotone con un “misero” bottino di 157.284,14. I dati degli altri tre capoluoghi di provincia – Cosenza, Reggio Calabria e Vibo Valentia – non sono disponibili.

Statale 106, la gallina dalle uova d’oro: nell’alto Jonio ci sono tre comuni (su tutti) che “fanno fortuna” con gli autovelox.  I dati di Openpolis relativi alle multe per numero di abitanti mette in fila Roseto Capo Spulico, Montegiordano e Rocca Imperiale tra i 10 comuni che incassano di più in tutta Italia. Ma è davvero una panacea per gli Enti locali? Da ecodellojonio.it il 13 giugno 2022.

CORIGLIANO-ROSSANO – Chi trova un metro di strada a lunga ad alta intensità di traffico per piazzare un autovelox, trova un tesoro. Se poi quella strada è a doppia carreggiata e 4 corsie, con un traffico intenso che attraversa per due o tre kilometri un territorio comunale, allora il tesoro diventa inestimabile. Almeno questo sembra quello che accade in Calabria e principalmente nell’area dell’alto Jonio cosentino. Dove enti locali di piccole dimensioni potrebbero chiudere i loro bilanci solo con i proventi delle multe e senza nemmeno la necessità di chiedere sacrifici ai cittadini. 

La classifica stilata da Openpolis (la puoi consultare qui) relativa alle entrate di cassa per multe, sanzioni e ammende in termini assoluti e pro capite, in tutti i comuni italiani (annualità 2019) non lascia spazio a fraintendimenti. Dicevamo, in Calabria ci sono tre comuni che spiccano nella stretta classifica dei 10 enti locali con maggiori introiti per multe sanzioni e ammende. Sono tutti nell’area dell’alto Jonio lì dove passa la nuova Statale 106 che per queste realtà sembra (il dubbio è d’obbligo e vi diremo il perché) una vera gallina dalle uova d’oro! Ovviamente non sono solo le multe stradali ad influire su questa statistica. Ma sicuramente hanno il loro peso.

Al primo posto di questa speciale classifica troviamo Colle Santa Lucia, un piccolissimo comune di 335 abitanti in provincia di Belluno, che – pensate un po’ – nel 2019 è riuscito ad emettere ruoli di riscossione per multe, sanzioni e ammende pari a quasi 530mila euro: per una entrata pro capite di quasi 1.500 euro a cittadino.

Al secondo posto della classifica italiana, invece, troviamo il primo dei tre comuni calabresi. Si tratta di Roseto Capo Spulico. La cittadina che custodisce il meraviglioso castello federiciano in riva alla scogliera e rinomata località balneare Bandiera Blu, nel 2019 ha fatto multe ed emesso ammende addirittura per 2.876.371,27 euro per un’entrata pro capite di 1.501,24 euro per cittadino. Questo è il totale delle sanzioni emesse dagli uffici diretti dall’Amministrazione comunale guidata dalla sindaca Rosanna Mazzia. Immaginiamo che non tutte siano per infrazioni stradali ma quei 4 km di Statale 106 a 4 corsie che attraversano il territorio rosetano hanno il loro “bel” tutor, con limite a 90km/h (su una strada che potrebbe supportare tranquillamente i 110km/h).

Scivolando nella classifica dei primi dieci comuni “multosi” stilata da Openpolis, al quinto e all’ottavo posto, troviamo rispettivamente Montegiordano e Rocca Imperiale.

Montegiordano ha emesso ruoli per 1.365.407,55 euro con un’entrata pro capite di 880,36 euro a cittadino mentre Rocca Imperiale ha emesso ruoli per 2.441.461,15 euro con un’entrata pro capite di 737,16 euro a cittadino. Tutti e due con un bell’affaccio tutor e autovelox con vista statale 106.

Scorrendo la graduatoria ci sono, poi, gli altri comuni calabresi e quelli più alti in classifica sono tutti quelli che hanno uno sbocco sulla fatidica Statale 106. Ci sono, in ordine, Villapiana (ruoli emessi per 2.432.218,82 euro / 442,22 euro pro capite), Melissa (559.032,43 euro / 164,52 euro pro capite), Trebisacce (1.381.974,09 euro / 155,14 euro pro capite), Pietrapaola (79.604 euro / 74,68 euro pro capite), Squillace (199.855,74 euro / 55,07 euro pro capite), Crosia (432.628,13 euro / 43,42 euro pro capite), Calopezzati (55.000 euro / 41,11 euro pro capite) e più giù tutti gli altri comuni della fascia ionica con “presunti introiti” inferiori a 40 euro pro capite.

Col tempo, però, enti locali che avevano fatto le fortune con autovelox e tutor sono andati lentamente a degradare in classifica. È il caso di Crosia che fino a qualche anno fa era in testa alla graduatoria e oggi, invece, si trova al 493 posto, o della stessa Cariati “nobile regina degli autovelox” decaduta al 3.350° posto in classifica.

Tutto, però, appare relativo. Al netto delle classifiche che restituiscono sempre numeri roboanti e inaspettati, abbiamo evitato di parlarvi di incassi. Già, perché se è vero che Roseto Capo Spulico oggi risulta essere addirittura il secondo comune italiano per multe, verbali ed emissioni di contravvenzioni con i suoi quasi 3 milioni di “tesoretto” per un comune che conta appena 1900 abitanti, è altrettanto vero che questa è la cifra dei ruoli emessi. Quindi parliamo delle multe accertate, che per via delle regole delle finanze a cui sono sottoposti gli enti pubblici, vanno inserite in bilancio.

Ma i comuni alla fine riescono a riscuotere tutti i ruoli emessi? La media è del 10%: su 100 multe staccate se ne riescono a riscuotere appena 10. E questo sta mandando in crisi le casse degli enti locali. Che proprio a causa di questa profonda discrasia che c’è tra ruoli emessi e ruoli riscossi non riescono più a chiudere i bilanci e, spesso, a dichiarare dissesto. Anche perché 3 milioni di euro di sole contravvenzioni da incassare e inserire in bilancio, potrebbero trasformare un borgo come Roseto Capo Spulico nel Principato di Monaco. Ma sappiamo tutti che così non è.

Autore: Marco Lefosse

Classe 1982, è schietto, Idealista e padre innamorato. Giornalista pubblicista dal 2011. Appena diciottenne scrive alcuni contributi sulla giovane destra calabrese per Linea e per i settimanali il Borghese e lo Stato. A gennaio del 2004 inizia a muovere i passi nei quotidiani regionali. Collabora con il Quotidiano della Calabria. Nel 2006 accoglie con entusiasmo l’invito dell’allora direttore de La Provincia, Genevieve Makaping, ad entrare nella squadra della redazione ionica. Nel 2008 scrive per Calabria Ora. Nell’aprile 2018 entra a far parte della redazione di LaC come corrispondente per i territori dell’alto Jonio calabrese. Dall’1 giugno del 2020, accoglie con piacere ed entusiasmo l’invito dell’editore di guidare l’Eco Dello Jonio, prestigioso canale di informazione della Sibaritide, con una sfida: rigenerare con nuova linfa ed entusiasmo un prodotto editoriale già di per sé alto e importante, continuando a raccontare il territorio senza filtri e sempre dalla parte della gente.

Roseto Capo Spulico, autovelox scambia autobus per camion: “comune incassa migliaia di multe illecite”. Da quicosenza.it il 10 Febbraio 2020

Riceviamo e pubblichiamo

FAISA CISAL Autolinee Private Siciliane: “I conducenti sono costretti a giustificarsi con l’azienda per un’infrazione di fatto non commessa e se non si accorgono dell’anomalia sono costretti a pagare un verbale illecito, con conseguente riduzione dei punti sulla patente” 

ROSETO CAPO SPULICO (CS) – “Migliaia di euro illecitamente incassati dal comune di Roseto Capo Spulico, autovelox scambia autobus per camion considerando superamento di velocità 76 KM mente la velocità massima non sanzionabile è di 86 km; nonostante tale anomalia (evidente dal rilievo fotografico), viene redatto e notificato il verbale. Ci risulta che molti sono stati pagati e decurtati i punti, solo adesso che abbiamo notato tale anomalia abbiamo provveduto ad informare i competenti uffici, chiedendo l’annullamento in autotela di tutti i verbali illeciti, ciò anche per mettere al riparo il comune da una pioggia di ricorsi e/o querele per truffa”. Questa la denuncia da parte di Ugo Sergio Crisafulli, coordinatore regionale FAISA CISAL Autolinee Private Siciliane. Il sindacato sottolinea, inoltre, che “decine di autobus siciliani transitano giorno e notte sulla 106 per l’espletamento delle linee da e per la Puglia, oltre a tanti bus di noleggio.” Fatto che accresce notevolmente il numero di veicoli sanzionabili dall’autovelox in modo illecito. 

Nella lettera di denuncia si legge:

“E stato riferito alla scrivente organizzazione sindacale, che l’apparecchio di rilevazione di velocità T – EXPEED V 2.0 installato dal Comune di Roseto, lungo l’arteria in oggetto indicata, presenta delle evidenti anomalie, che procurano un indebito guadagno alle casse comunali, onerando i conducenti di autobus a presentare ricorsi per l’annullamento degli anomali verbali per superamento dei limiti di velocità loro notificati. Nello specifico, risulta che il rilevatore non riconosce la sagoma dei pullman la cui velocità massima e pari a 80/kh, considerandoli autoveicolo trasporto cose con massa complessiva a pieno carico superiore a 3,5 t, la cui velocità massima è pari a 70 Km/h. Nonostante tale anomalia sia in evidente contrasto tra la foto ove si evince chiaramente la sagoma di un autobus è la velocità anomala rilevata non in linea con la velocità massima imposta dall’ente proprietario, si procede alla notifica del verbale, che le aziende, ignare di tale anomalia, pagano entro 5 giorni, salvo poi contestare l’irregolarità al conducente, procedendo all’addebito di quanto versato al Comune di Roseto Capo Spulico. 

I conducenti sono costretti a giustificarsi con l’azienda per un’infrazione di fatto non commessa e se non si accorgono dell’anomalia (come spesso accaduto) sono costretti a pagare un verbale illecito e ottemperare alla richiesta dei dati per la regolarizzazione della sanzione accessoria con conseguente riduzione dei punti sulla patente. Per quanto sopra si chiede di conoscere i motivi per cui l’apparecchiatura omologata non riconosce la sagoma dell’autobus e il perché, gli addetti alla redazione dei verbali, non procedono all’annullamento d’ufficio delle multe stante l’evidente contrasto tra la foto del mezzo è la velocità contestata, si chiede di procedere all’annullamento in autotutela dell’ente di tutte le multe nonché alla restituzione delle somme indebitamente incassate. Con riserva di attivare tutte le iniziative a tutela dei conducenti Nostri associati, si rimane in attesa di un sollecito riscontro della presente.”

Autovelox Roseto Capo Spulico, il Comune risponde: “apparecchi validi e a norma”. Da quicosenza.it il 14 Febbraio 2020

Riceviamo e pubblichiamo 

“Si tratta di 5 verbali risalenti alla fine dell’anno 2019 aventi ad oggetto l’errore in questione, frutto di un mero errore umano. Tutto ciò, dunque, fornisce un’immagine completamente distorta della realtà” 

ROSETO CAPO SPULICO (CS) – Il comune di Roseto Capo Spulico risponde con le dovute precisazioni alla denuncia effettuata, nei giorni scorsi, dal coordinatore regionale FAISA CISAL Autolinee private Siciliane, riguardo la validità del sistema di rilevamento della velocità installato lungo l’arteria stradale SS 106 di questo comune.

“L’apparecchio di rilevazione – si legge nella nota del sindaco Rosanna Mazzia e del comandante della polizia municipale Antonio Spina – di velocità T – EXPEED V 2.0 viene regolarmente sottoposto alle verifiche prescritte dalla normativa vigente. Gli accertamenti delle infrazioni al codice della strada vengono effettuati in maniera attenta e scrupolosa dal’ufficio di polizia locale al fine di garantire agli utenti della strada una sempre maggiore sicurezza e di prevenire comportamenti pericolosi e irrispettosi della legge. Ci preme sottolineare come la fattispecie segnalata sia frutto di un mero errore umano, che rientra comunque in una casistica assai contenuta, per come confermato dalle verifiche ed accertamenti richiesti ed effettuati da parte del comando di polizia municipale.

Si tratta, infatti, di 5 verbali risalenti alla fine dell’anno 2019 aventi ad oggetto l’errore in questione, nell’ambito di una casistica analoga che, comunque, non supera lo 0,16% circa rispetto al totale delle sanzioni  elevate dal dispositivo di controllo della velocità. Per questi casi si sta provvedendo perciò all’annullamento in autotutela delle suddette sanzioni, nonchè alla restituzione delle somme eventualmente pagate.

Preme sottolineare come la segnalazione di un mero inconveniente sia pervenuta all’attenzione di questo Ente attraverso una nota diffusa dagli organi di stampa, nella quale in modo roboante si grida allo scandalo, alla truffa e all’imbroglio (ovviamente sulla scia del più becero sentimento di odio che gli automobilisti hanno per le regole del codice della strada, che giova ricordarlo è una legge dello Stato). L’informativa ufficiale dell’episodio, infatti, è arrivata solo successivamente, a mezzo mail ordinaria, nella giornata del 10 febbraio 2020 a firma del coordinatore regionale FAISA CISAL Autolinee private Siciliane. 

Tutto ciò, dunque, fornisce un’immagine completamente distorta della realtà, lasciando intendere un intento speculativo di questo Ente nell’attività di controllo delle violazioni al codice della strada. Dati falsi e informazioni tendenziose lasciano intendere ai lettori che questa sia una prassi consolidata finalizzata ad un illecito arricchimento. Il rigore e la trasparenza, invece, sono punti cardine della nostra attività amministrativa e valori che difendiamo strenuamente e quotidianamente.”

Nascono le Regioni ma è guerra a Reggio. La Gazzetta del Mezzogiorno di 52 anni fa. Le proteste contro la sede a Catanzaro nella «Gazzetta» del 15 luglio del 1970. Annabella De Robertis su la Gazzetta del Mezzogiorno il 15 Luglio 2022.

«La Gazzetta del Mezzogiorno» del 15 luglio 1970 dedica un ampio spazio alla nuova realtà delle istituzioni regionali.

In prima pagina domina, tuttavia, la cronaca degli scontri verificatisi il giorno prima: «Caos a Reggio Calabria durante lo sciopero generale indetto per protestare contro la scelta di Catanzaro a sede dell’Ente Regionale: blocchi stradali, auto danneggiate, altre date alle fiamme, occupati la stazione ferroviaria e l’aeroporto civile. La città paralizzata sin dalle prime ore della mattinata. Alcuni manifestanti hanno appiccato il fuoco a masserizie. Nella tarda serata, dopo un tentativo dei dimostranti di entrare nella Prefettura, la situazione si è andata normalizzando, ma tutti gli edifici pubblici sono circondati da agenti di P. S. e Carabinieri. Il sindaco di Reggio ha inviato un telegramma alle autorità governative chiedendo il loro intervento. Ieri 6 degli 11 consiglieri regionali (5 democristiani e 1 socialista unitario) non hanno partecipato alla seduta d’insediamento del nuovo Consiglio Regionale».

La protesta di Reggio andrà avanti per mesi, trasformandosi in una vera e propria rivolta: inizialmente sostenuta anche dai partiti di centrosinistra, vedrà presto l’egemonia delle forze del Msi e delle frange violente della destra estrema, guidate da Ciccio Franco. Non mancheranno, secondo alcuni storici, infiltrazioni della ‘ndrangheta. Durissima la repressione delle forze dell’ordine: il bilancio complessivo sarà di sei morti, cinquantaquattro feriti e migliaia di arresti. Nel febbraio 1971, dopo l’intervento dell’esercito in città, si raggiungerà il compromesso: a Catanzaro resterà la giunta regionale, mentre il Consiglio verrà spostato a Reggio Calabria. Più sereno lo scenario che si prospetta invece in Puglia.

Dopo la prima assemblea regionale, la Regione programma le prime scadenze da affrontare: entro il 13 novembre deve essere redatto lo Statuto. Grandi aspettative si ripongono nell’istituzione appena nata. Si legge nelle pagine interne della «Gazzetta»: «La Regione offre nuovi e qualificati posti di lavoro, ma non riesce ancora a fermare la sempre grave emorragia dell’emigrazione che spopola paesi, divide famiglie, disperde energie. Alle Università di Bari e di Lecce la Regione deve offrire rapporti di feconda collaborazione [...] deve dare un assetto urbanistico funzionale al suo territorio evitando smagliature, impedendo speculazioni, favorendo insediamenti industriali e turistici».

Cosenza in mano alla massomafia. Cozzolino e Potestio inciuciavano anche con i soliti iGreco attraverso Rossella Reda. Da  Iacchite il 16 Aprile 2022. Di Saverio Di Giorno.

La vicenda dei procedimenti disciplinari del magistrato Cozzolino costringe a ritornare sulle mille carte dormienti negli scaffali di mille procure, avvocati, imprenditori e a volte semplici cittadini nelle quali già si dimostrano legami e accordi che poco hanno a che fare con il concetto di legalità. Ne avevamo parlato già in diverse puntate.

Avevamo parlato dei gruppi imprenditoriali forti della provincia di Cosenza tra cui Citrigno e iGreco, della spartizione delle cliniche e delle cariche, del ruolo di parlamentari (Ferdinando Aiello, il senatore Magorno e l’ex presidente Oliverio) e dei legami con i magistrati (Luberto e Spagnuolo). Bisogna tornare su questo filone perché il materiale a disposizione (non solo nostra) è potenzialmente infinito. Questi soggetti più e più volte per sbaglio o direttamente sono finiti in inchieste. Il potentissimo gruppo iGreco non riesce solo ad arrivare a Spagnuolo, ma anche a Cozzolino.

Prima di leggere questi elementi occorre però fare un passo indietro ed una precisazione. Il passo indietro: molti dei legami che oggi soffocano la vita di questa provincia (e spesso di questa regione) partono molti anni fa. In momenti che ormai non hanno più rilevanza penale, ma ne hanno una fortissima dal punto di vista storico. Su quegli anni segreti ancora si posano reti di ricatti.  Come bisogna risalire al processo Garden per capire i ruoli di Manna e Spagnuolo, con tanto di “stipendi” da parte dei clan e le forzature tutte già raccontate con i riferimenti documentali, allo stesso modo vale la pena ricordare quando Cozzolino ancora giovane fu avvicinato, forse per la prima volta. Lo avevamo raccontato qui http://www.iacchite.blog/cosenza-tutti-gli-intrecci-massomafiosi-per-piazza-fera-di-saverio-di-giorno/.

All’epoca era giovane e aveva ordinato l’arresto di Pacenza. Il nastro intercettato era arrivato fino all’Espresso e in quel nastro si diceva chiaramente che era facile arrivare a Cozzolino perché “sappiamo dove se la fa” e perché erano stati avvisati gli amici “Adamo, Serafini, Spagnuolo”. Evidentemente l’avviso l’ha recepito forte e chiaro perché da quegli anni lontani si arriva ad oggi dove di arresti non se ne sono visti più, al contrario si sono viste archiviazioni, cene, frequentazioni e tutto il resto.

La precisazione. Il materiale inedito riguarda indagini della DDA del 2015. Datato si dirà e questa è un’aggravante perché significa che lo hanno potuto leggere moltissime persone da Gratteri in giù. Inoltre fa parte del materiale esaminato dal CSM per discutere eventuali procedimenti. Il CSM concludeva – prima del nuovo intervento che ha annullato l’archiviazione del trasferimento di Cozzolino – che gli elementi (per varie motivazioni) non erano sufficienti o penalmente rilevanti. Ma rimangono fatti. E i fatti vanno raccontati perché hanno un peso sociale. É anche per favoritismi e legami vari che si possono mantenere le condizioni di sottosviluppo e bisogno del nostro territorio.

I fatti sono due e riguardano due conversazioni tra Carmine Potestio (all’epoca capo di gabinetto del sindaco Occhiuto) e l’avvocato Rossella Reda, per anni al centro dei rapporti tra Cozzolino e Potestio avendo fatto da tramite, per usare un eufemismo. 

In alcune conversazioni emerge ad esempio la richiesta di interessamento di Cozzolino a Potestio per una “domanda di partecipazione a un corso di formazione per assistenti sociali, presentata al Comune da parte di un suo conoscente”. Altrove è l’avvocato Reda che fa pressione su Cozzolino perché arrivi ai fratelli Greco per far assumere due persone. Non solo, ma si scrive anche che, l’interessamento va effettivamente a buon fine perché uno dei due diviene vigilante. Quindi il fatto si consuma. 

Questo è solo uno dei tanti episodi che abbiamo raccontato e continuiamo a fare. Al di là della rilevanza penale: un cittadino può sentirsi sereno e rassicurato di avere tutte le garanzie a un pari trattamento alla luce di questi episodi? Basta guardarsi intorno, anche senza leggere le carte e la risposta può essere una sola: no. Qui la legge non è uguale per tutti.  

Catanzaro, assolto Mario Oliverio: cade l’accusa di peculato.  Il Dubbio l’8 novembre 2022.

L’ex presidente della Regione Calabria era stato allontanato dalla politica a suon di inchieste dissoltesi nel nulla

Il Tribunale di Catanzaro ha assolto l’ex presidente della Regione Calabria, Mario Oliverio, dall’accusa di peculato: la sentenza è stata emessa oggi pomeriggio nell’ambito del procedimento aperto dalla Procura sulla presunta distrazione di fondi pubblici in occasione dell’edizione del «Festival dei Due Mondi» di Spoleto svoltosi nel luglio del 2018.

Oltre a Oliverio, sono stati assolti anche l’ex parlamentare del Pd Ferdinando Aiello e il fondatore e presidente della Hdrà Spa, Mauro Lucchetti. L’accusa a carico dei tre imputati era quella di aver utilizzato oltre 95mila euro di fondi pubblici, destinati alla promozione turistica della Regione Calabria ma, invece, per la Procura, impiegati per finanziare un evento giornalistico di promozione politica, in pratica un talk show di Oliverio insieme al giornalista Paolo Mieli (si trattava del format «Hdrà Talk – I dialoghi di Paolo Mieli») inserito nel cartellone del Festival di Spoleto. Secondo l’ipotesi accusatoria il denaro sarebbe finito nelle casse della Hdrà Spa, che sarebbe entrata in contatto con Oliverio attraverso la mediazione di Aiello.

Per la Procura inoltre i fondi pubblici sarebbero stati utilizzati anche per pagare l’ospitalità di personalità del giornalismo e dello spettacolo, intervistate nel corso della manifestazione. Tesi però non accolte dal Tribunale di Catanzaro che ha assolto i tre imputati. La Procura aveva chiesto la condanna a 4 anni per Oliverio, e a 2 anni e 8 mesi per Aiello e Lucchetti. La società Hdrà, in una nota, conferma che «in data odierna il tribunale di Catanzaro ha assolto perché il fatto non sussiste il proprio fondatore Mauro Luchetti da ogni addebito», aggiungendo che «la sentenza ha spazzato ogni dubbio sulla legittimità dell’operato della nostra società e del suo presidente Mauro Luchetti, il quale tiene a dichiarare: “Pur dispiaciuto per i danni collaterali che il coinvolgimento processuale ha arrecato al nostro gruppo in termini economici e di immagine, ho sempre avuto fiducia nella giustizia e nell’esito positivo del processo”».

Dopo una lunga vicenda giudiziaria, nel 2021 Oliverio era tornato sulla scena politica ricandidandosi alla presidenza della Regione Calabria. Una candidatura che il Pd gli aveva tolto a causa delle inchieste giudiziarie, una delle quali lo ha visto totalmente estraneo all’accuse contestate dalla Dda di Catanzaro. Come scrisse la Cassazione, nei suoi confronti ci «un pregiudizio accusatorio», ma anche un pregiudizio politico-giudiziario da parte del Pd che in quella fase seguiva le onde giustizialista del Movimento Cinque Stelle.

Cosenza. Cozzolino, Potestio e Rossella Reda: storia di un grande “amore”. Personaggi e retroscena. Da  Iacchite il 16 Aprile 2022.

In principio i contatti tra la procura di Cosenza e Carminuzzu Potestio erano affidati alla sua donna di fiducia Rossella Reda, che è (o forse era) anche il suo legale e lavora direttamente alle sue dipendenze nell’ormai leggendaria Anmi siss di Cosenza, con sede in via Monte San Michele, 2.

Rossella Reda è la stessa donna che qualche tempo fa è stata coinvolta nello scandalo dei corsi di formazione, quelli della Promoteo e del dottor Bafaro e l’inchiesta – come tutti sappiamo – era affidata al pm Giuseppe Cozzolino. Qualcuno aveva addirittura pensato – conoscendo la sua natura di marlonbrando – che Rossella fosse l’amante di Cozzolino, sostituto procuratore della procura di Cosenza. Fatto sta che, fino a qualche tempo fa, la giovane e bella avvocatessa era comunque il tramite di entrambi: Cozzolino e Potestio. Che poi ci fosse del tenero (con uno o con tutti e due) o meno, non è rilevante ma di certo tutta questa storia è diventata imbarazzante.

Rossella “Mata Hari” di giorno si vedeva con Potestio e la sera con Cozzolino, pare direttamente nel suo appartamento, al quale chiedeva continui favori: su tutti l’insabbiamento delle inchieste su Occhiuto e Potestio, naturalmente.

Salvatore Parrotta

Ma si spendeva anche per il sindaco di Panettieri, Salvatore Parrotta, altro famoso truffatore, anche lui graziato da Cozzolino, il quale all’epoca dei fatti era il titolare dell’indagine e l’avvocatessa, in cambio, ha ricevuto anche incarichi legali al comune di Panettieri. Era davvero il minimo…

Purtroppo per Potestio, quando è scoppiato lo scandalo dei corsi di formazione, la bella avvocatessa è dovuta scomparire per un po’ di tempo: di conseguenza, non era più l’informatrice diretta, in quanto non poteva vedersi con Cozzolino ed ecco, quindi, che è uscito allo scoperto direttamente lui, Potestio, il quale è stato fotografato decine di volte mentre passeggiava con Cozzolino, perché doveva continuare comunque ad informarlo su alcuni procedimenti, come fa un bravo soldatino, come fa un vero affiliato, fedele nei secoli… ma non poteva più farlo tramite Rossella Reda, ormai sparita dal “triangolo magico”.

Per ricompensare l’avvocatessa Reda e impedire che potesse parlare con qualcuno, quella vecchia volpe di Potestio ha dovuto assumere, oltre a lei, nel centro Amni siss, anche suo fratello Antonio Reda, nella qualità di ingegnere addetto alla sicurezza, mentre la moglie dell’ingegnere, Irma Bucarelli (altra pupilla di Potestio) è stata inserita alla grande nel Comune di Mendicino, dove attualmente ricopre la carica di assessore non perché è brava ma solo perché è ammanigliata. Mendicino – adesso è il caso di ricordarlo – è il comune dove tutti i protagonisti di questa storia attualmente risiedono, compreso Carminuzzu Potestio. Suo marito Antonio Reda, inoltre, è uno dei due scienziati mendicinesi (l’altro è l’ingegnere Manuel Micieli), che sono stati direttori dei lavori (!!!) degli sciagurati lavori allo stadio “Marulla” di Cosenza, finiti nel tritacarne dei media nazionali dopo la figura barbina planetaria della partita Cosenza-Verona del settembre dell’anno scorso. 

Nonostante l’addio di Rossella, Cozzolino e Potestio avevano ancora l’esigenza di vedersi per portare a termine i loro insabbiamenti e allora altri incontri – come ben sanno i signori dei servizi segreti deviati – avvenivano proprio al centro di riabilitazione dell’Anmi siss di via Panebianco a Cosenza (per ironia della sorte a due passi dalla caserma della Guardia di Finanza), dove Cozzolino si recava in gran segreto per farsi fare terapie (Cozzolino mantiene ancora un fisico invidiabile!) e per incontrare Potestio, il quale, come abbiamo ricordato proprio recentemente, è anche socio di maggioranza dello stesso centro, coperto direttamente dagli Occhiuto e difatti, in pochi anni, è talmente cresciuto da divenire un punto di riferimento nella sanità cosentina, specialmente con la seconda sede che si trova nel Comune di Rossano. Oltre 100 posti letto, tutti a carico del servizio pubblico, e da settembre del 2016, non è solo centro di riabilitazione ma anche centro di radiologia. Con tanto di riconoscimento anche da parte del Servizio Sanitario Nazionale: l’ideale per far girare al meglio i denari che qualcuno doveva e deve ripulire…

Da questo centro (sede di Cosenza) dove si specula addirittura sui mutilati e sugli invalidi sono passati quasi tutti i pm della procura di Cosenza, nell’ordine: Salvatore Di Maio, Cava, Cozzolino, Tridico, Cristofano. Tutti sofferenti alle ossa, poverini…

Altre volte invece si vedono nella saletta dell’Holiday Inn, che oggi si chiama Italiana Hotel, di via Panebianco e che presumibilmente sarà stata cancellata dai loro itinerari. 

E se Cozzolino si è dovuto allontanare in tutta fretta dalla “spia che lo amava” prima che venisse tutto a galla con lo scandalo dei corsi di formazione, purtroppo per lui, ora non è facile sbarazzarsi di Potestio, il quale facilmente lo può ricattare, anzi lo sta già facendo da un bel po’ di tempo.

Tutti questi fatti sarebbero molto gravi per qualunque procura d’Italia, ma non sono di facile spiegazione, non si possono denunciare alle autorità di Cosenza in quanto corrotte quanto e ancora di più di Cozzolino e Potestio e non si possono denunciare in altre procure regionali perché si teme che siano anche esse corrotte e solidali l’una con l’altra, a meno che Gratteri non si svegli dal suo lungo letargo e inizi a lavorare, oltre che a presentare libri. Ma questo è ormai un discorso che facciamo da mesi.

Tutto questo che stiamo raccontando sembra la trama di un film, invece purtroppo è la chiara e semplice verità: ci sono sempre di mezzo belle donne, che fanno il doppio e anche il triplo gioco per avere facili guadagni, magistrati che si lasciano corrompere prima dalla bellezza e poi dai soldi, ci sono politici che si servono di persone vicine ai clan (Lanzino ma non solo…) come Potestio, ci sono nuovi politici che si sono da poco affacciati alla ribalta e  usano gli stessi metodi mafiosi, con la solita e scontata protezione non solo della procura di Cosenza ma anche della stessa Dda…

Quanto al centro “lavatrice” che si chiama Anmi siss, oggi anche Anmi radiologia, da quando è entrato sulla scena, l’ospedale spoke Rossano-Corigliano – che già era messo male – non funziona più, anzi si sono registrati addirittura incendi dolosi, evidentemente funzionali alle strategie di Potestio e degli Occhiuto.

Per dare un finale a questa brutta storia, ci sembra anche giusto ricordare che il sig. Potestio ha acquistato anche un appartamento nel palazzo della famiglia Bruno (quelli del Mulino, piazzati alla grande in Tribunale tra madre e figlio) di via Panebianco. E che ha stretto un patto di non belligeranza con il potentissimo gruppo paramafioso de iGreco, che infatti non gravitano nella zona di Rossano, che ormai è a tutti gli effetti soltanto di Potestio. Patto che non solo viene confermato ma anche denunciato da quanto emerge dalle indagini della Dda e che abbiamo documentato proprio qualche ora fa.

SETTE MERAVIGLIE DI CALABRIA IN UN LIBRO DA FAVOLA. Le storie meridiane di Lauretta Colonnello. PARIDE LEPORACE su Il Quotidiano del Sud il 22 febbraio 2022.

Sono 40 opere magnificamente narrate da Lauretta Colonnello in una pubblicazione che alle splendide illustrazioni accompagna testi vibranti che raccontano l’arte attraverso fiabe, leggende e racconti del nostro Sud. Dai mosaici di Monreale al bacio di Pompei la bellezza diventa narrazione. Nel repertorio scelto dalla scrittrice e critica d’arte sette capitoli sono dedicati alle meraviglie di Calabria a capolavori calabresi che meritano più attenzione della favola sanremese di Checco Zalone.

Particolarmente consigliato a chi considera la Calabria uno scrigno d’arte colmo di tesori spesso lasciati da coloro che l’attraversarono.

MERAVIGLIE DI CALABRIA: I BRONZI DI RIACE 

A coloro che celebreranno in ogni modo il mezzo secolo della scoperta di due statue che rappresentano la Calabria nell’immaginario collettivo sarà utile questa bella lettura. Introdotti dal mito degli uomini di bronzo che aravano “non per seminare il grano, ma denti di serpente, dai quali nascevano uomini adulti già armati”.

Ritroverete la scoperta del 16 agosto 1972 (“erano alti più di due metri, la dimensione degli eroi”) per poi rinverdire l’affascinante restauro al Museo Archeologico di Firenze durato otto anni. Riappaiono i 400000 che si misero in fila a Firenze e i 300000 che visitarono la mostra al Quirinale voluta da Pertini prima della sistemazione a Reggio Calabria. L’ammirazione che li accompagna era dovuta al fatto che “i bronzi greci arrivati fino a noi sono rarissimi, e all’emozione suscitata dal loro emergere improvviso e numinoso dal fondo marino”.

MERAVIGLIE DI CALABRIA: L’UOMO CHE MISURA LE NUVOLE

È straordinariamente poetica la descrizione dell’uomo tutto d’oro che misura le nuvole nel cuore verde di Catanzaro. Lo si vede svettare sopra la chioma degli ulivi nel Parco internazionale della scultura “in bilico sull’ultimo piolo di una lunghissima scala”. Fu avvistato la prima volta nell’estate del 2005 nel parco di Scolacium che conserva i resti di una colonia romana. Per poi spostarsi nel Parco che ospita anche le statue di Palladino e Pistoletto. Lo ha plasmato Jean Fabre, artista belga in omaggio al fratello defunto Emile le cui sembianze sono riflesse in quelle del sognatore in cima alle scale e che trova ispirazione nel detenuto raccontato nel film “L’uomo di Alcatraz”. Il capitolo si conclude con una breve storia degli artisti che si sono dedicati alle nuvole.

MERAVIGLIE DI CALABRIA: IL MUSABA 

Pur se avete avuto già la bella esperienza di incontrare per caso e visitare il museo di Santa Barbara a Mammola nella Valle del Torbido riceverete piacere a leggere de “Il museo in mezzo ai boschi”, ancora di più coloro che non conoscono la storia di Nik Spatari, che il padre carabiniere aveva chiamato Nicodemo come il monaco asceta che scelse una vita di contemplazione negli stessi boschi. È la storia di chi a 7 anni vince un premio per un disegno dal Corriere dei piccoli e che una granata di guerra gli fa perdere udito e parola. Incontrerà Montale a Reggio che scriverà della sua arte sul Corriere della Sera e andrà in giro nel mondo diventando sodale di Picasso e Sartre. Nik tornerà a Mammola per rifondare rovi e rovine del convento bizantino invitando artisti di tutto il mondo a donare creatività allo sperduto angolo di Calabria. Nik è morto, ma la compagna Hisk Maas oggi coaudiuvata da Nino Spirlì ne continua visionarietà del progetto.

MERAVIGLIE DI CALABRIA: BRUEGEL E ICARO SULLO STRETTO 

Peter Bruegel che sarà ricordato come il vecchio per distinguerlo da figli e nipoti omonimi pittori fiamminghi , aveva 27 anni, quando una mattina d’estate del 1552, si fermò su una collinetta di Reggio a guardare lo spettacolo dello Stretto distinguendo un contadino che arava, un pastore con le pecore, un pescatore che gettava la lenza e le vele di un vascello. Era in viaggio in Italia dalla primavera per trarre ispirazione per i suoi quadri. A Reggio aveva disegnato la città in fiamme durante un’incursione dei turchi. Solo sei anni dopo dipinse “La caduta di Icaro”, quadro oggi conservato in un museo di Bruxelles, unico suo lavoro dedicato alla mitologia. La particolarità del dipinto è che per trovare Icaro bisogna avere occhio e capacità filologiche che l’autrice spiega con dovizia di particolari e citazioni di poeti che ammirarono molto quest’opera.

MERAVIGLIE DI CALABRIA: REGGIO DISTRUTTA DAL TERREMOTO

Jacob Philippe Hackert, amico di Goethe e pittore di corte di Ferdinando IV di Borbone e Maria Carolina, celebre in tutta Europa, ebbe la commissione di dipingere tutti i porti del Regno. Quando arrivò sullo Stretto vide Reggio e Messina distrutte dal terremoto del 1783 ma non le ritrasse. “Voltò le spalle, per dipingere i due porti con la visuale rivolta verso il mare, che popolò di velieri e fregate dei Borboni, a testimoniare il possesso degli scali da parte della corona”.

MERAVIGLIE DI CALABRIA: IL CODEX DI ROSSANO 

È la storia di un migrante arrivato dal mare 1500 anni a Rossano e che portava un evangelario miniato di 400 fogli in pergamena d’agnello tinta con porpora della migliore qualità. Passarono mille anni, quando nel 1831, un canonico della cattedrale ne scoprì 188 negli armadi della sacrestia. Probabilmente gli altri andarono perduti in un incendio. Il giornalista Cesare Malpica ne parlò in un reportage sulla Magna Grecia, due studiosi tedeschi lo resero celebre con un loro libro. È considerato il Vangelo miniato più prezioso al mondo, è patrimonio dell’umanità dell’Unesco. Il racconto dell’autrice del libro è molto avvincente.

MERAVIGLIE DI CALABRIA: ESCHER IN CALABRIA

L’olandese Escher ogni anno dal 1924, da Roma dove si era trasferito partiva per gli Abruzzi, la Campania, la Calabria per disegnare borghi sperduti. Dal 1930 approda sullo Stivale d’Italia. Insieme ad una guardia svizzera e un critico letterario ginevrino dotato di macchina fotografica raggiunsero Tropea, Nicotera, Palmi, Scilla, Melito. A Porto Salvo affittarono un mulo e raggiunsero Palizzi e Pentadattilo. Nel paese delle cinque dita Escher attratto dalla “straordinarietà del luogo” volle fermarsi tre giorni. I pochi abitanti del paese furono generosi nell’offrire miele e pane secco ammollato nel latte di capra. Come nel film “Anni ruggenti” una vecchia disse agli stranieri di riferire a Mussolini quanto fossero poveri. La comitiva proseguì il viaggio verso Gerace, Stilo, Santa Severina, Cariati, Rossano, Morano e Rocca Imperiale. In ogni paese l’artista sceglieva un punto di vista facendo più disegni. Nei mesi successivi sceglieva la litografia finale.

Lauretta Colonnelli “Storie meridiane. Miti, leggende, e favole per raccontare l’arte” Marsilio

E' ricoverato in fin di vita. La famiglia: "Nessuna protesta per il green pass". Professore si dà fuoco davanti la caserma, lo sciacallaggio sui social dei no vax e le foto scattate dai sanitari. Redazione su Il Riformista l'1 Febbraio 2022. 

Ha ustioni sul settanta per cento del corpo e le sue condizioni sono ritenute dai medici disperate. Con una percentuale simile difficilmente si riesce a sopravvivere. E’ ricoverato al Centro Grandi Ustionati dell’ospedale Cardarelli di Napoli (dopo il trasferimento dall’ospedale Annunziata di Cosenza) il professore di 33 anni che ieri mattina, 31 gennaio, poco dopo le 9 si è dato fuoco all’esterno della caserma dei carabinieri di Rende.

Nelle scorse ore, dopo lo sciacallaggio di video e foto, scattate anche all’interno dell’ambulanza, pubblicate senza filtri, sui social è stata diffusa anche la falsa notizia del decesso così come teoria, probabilmente alimentate dai no vax, su una protesta relativa al Green pass. L’uomo è ricoverato in terapia intensiva e le sue condizioni sono monitorante costantemente dai medici: decisive saranno le prossime ore. Insegnante in Lombardia, il 33enne era tornato in Calabria per un periodo di risposo. Prima della tragedia, avrebbe riferito alla madre che usciva per sbrigare alcune commissioni ma in realtà ha solo comprato benzina al distributore prima di compiere l’estremo gesto.

“Spiace che siano state diffuse notizie infondate circa le motivazioni del gesto e che si stia speculando su una vicenda che richiederebbe il giusto rispetto e un doveroso silenzio” danno sapere i familiari in una nota diffusa dal loro legale. “Il gesto – spiegano – non è in alcun modo riconducibile ad una protesta per il mancato Green pass, visto che al nostro parente erano già state inoculate le prime due dosi di vaccino e si era in attesa della terza. Chiediamo, dunque, silenzio e rispetto del dolore e della privacy, purtroppo già ampiamente violata, anche per consentire al personale sanitario di agire nel migliore dei modi e senza alcuna pressione mediatica”.

Dai primi accertamenti dei carabinieri, non risultano precedenti di tipo penale a carico dell’uomo, né militanze o appartenenze a gruppi di matrice ideologica estrema o altro. L’ipotesi tenuta in maggiore considerazione è quella di un gesto estremo maturato per motivi personali. L’uomo, secondo quanto ricostruisce l’agenzia Agi, non si sarebbe ripreso dalla morte del padre, avvenuta un paio di anni fa, e per questo era anche stato in cura in alcuni centri sanitari pubblici. E’ stato soccorso da un carabiniere e da due gommisti che hanno spento le fiamme con degli estintori.

Intanto l’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza, dopo la pubblicazione di alcune foto scattate al 33enne agonizzante anche all’interno dell’ambulanza e al pronto soccorso, ha avviato un’indagine interna per stabilire se ci sono eventuali responsabilità e per risalire ai possibili autori della violazione della privacy e della divulgazione dell’immagine stessa.

Dura la presa di posizione dell’Ordine dei Giornalisti della Calabria: “Il dramma umano e personale del giovane docente che nella mattinata di lunedì 31 gennaio si è dato fuoco davanti alla caserma dei carabinieri di Rende ha spinto alcune testate giornalistiche (soprattutto on line ma non solo) a pubblicare foto e video riproducenti il 33enne avvinto e dilaniato dalle fiamme in preda ad una indicibile sofferenza. Immagini assai crude che certamente non aggiungevano e aggiungono alcun elemento alla essenzialità e alla completezza della notizia ma che possono invece apparire figlie di una ricerca del ‘sensazionale‘ finalizzato, più che a fornire informazioni, a raccogliere click e contatti sul web”.

L’Ordine “intende nell’occasione ricordare a tutti gli iscritti come il lavoro del giornalista debba raccordarsi quotidianamente, per obbligo deontologico, non solo alla verità dei fatti e alla seria verifica dei fatti stessi, ma anche alla tutela della dignità delle persone, ‘salvo che si ravvisi la rilevanza sociale dell’immagine’ (art. 8 dell’allegato 1 del Testo unico dei doveri del giornalista). “A questo obbligo deontologico – specifica il presidente dell’Ordine, Giuseppe Soluri – dovrebbe anche legarsi una sensibilità personale e professionale che tenga conto del dramma umano (da qualunque motivo originato nel caso del docente di Rende) sotteso alla volontà di togliersi la vita e del pedissequo dramma familiare che inevitabilmente un fatto così devastante determina. L’Ordine dei Giornalisti della Calabria richiama pertanto tutti i propri iscritti – conclude Soluri – al rispetto di questi valori; valori che connotano il lavoro dei giornalisti in quanto professionisti dell’informazione che svolgono una importante e nobile funzione e che devono pertanto essere capaci di distinguersi e di elevarsi rispetto alla jungla di notizie e di immagini spesso impunemente circolanti sul web”.

Si diede fuoco: docente morto dopo 17 giorni. Redazione il 17 Febbraio 2022 su Il Giornale.

È morto dopo diciassette giorni di agonia Francesco Chiarello, il docente di 33 anni che il 31 gennaio scorso a Rende, in provincia di Cosenza, si era dato fuoco davanti la caserma dei carabinieri

È morto dopo diciassette giorni di agonia Francesco Chiarello, il docente di 33 anni che il 31 gennaio scorso a Rende, in provincia di Cosenza, si era dato fuoco davanti la caserma dei carabinieri.

Chiarello era stato soccorso da due gommisti e un miliare, accorsi con un estintore, ed era stato ricoverato nel Centro grandi ustionati dell'ospedale Cardarelli di Napoli, con bruciature sul 70 per cento del corpo. Il docente era stato sottoposto ad alcuni interventi chirurgici, ma le sue condizioni erano rimaste sempre gravi e dopo il ricovero nell'ospedale dell'Annunziata di Cosenza era stato trasferito a Napoli. I motivi del suo gesto non sono mai stati chiariti.

In particolare è stato escluso, in relazione al luogo scelto dall'insegnante per darsi fuoco, che intendesse lanciare un messaggio ai carabinieri: non avevano mai svolto indagini sul suo conto e non aveva mai presentato denunce di alcun genere lì. Chiarello era rientrato a Rende, dove risiedeva, dopo avere chiesto un periodo di ferie al dirigente della scuola in Lombardia in cui insegnava sulla base, secondo quanto si è appreso, di un incarico che gli veniva rinnovato annualmente. I suoi familiari, il giorno dopo il tentativo di suicidio, avevano escluso in una nota, riferendosi ad alcuni articoli usciti sui giornali, che il docente fosse un no vax e che il suo gesto fosse riconducibile a una protesta contro l'obbligo di vaccinazione e il Green pass.

«Al nostro parente, infatti avevano aggiunto i familiari erano già state inoculate le prime due dosi di vaccino e era in attesa della terza».

Il “Sistema Rende” è crollato: assolto l’ex sindaco Principe. «Sfregio lungo 6 anni». Cade l’accusa di concorso esterno per l'ex assessore regionale della Regione Calabria: «La giustizia ha gli anticorpi, ma qualcosa deve cambiare». Simona Musco su Il Dubbio il 27 maggio 2022.

Sei anni sulla graticola giudiziaria, poi la fine di un incubo. L’ex sindaco di Rende ed ex sottosegretario Sandro Principe esplode in un pianto liberatorio quando il presidente del collegio giudicante del Tribunale di Cosenza, Stefania Antico, pronuncia la parola assoluzione, per lui e i coimputati Umberto Bernaudo, Pietro Paolo Ruffolo e Giuseppe Gagliardi. Un pianto che significa la fine di un’angoscia profonda, suscitata dall’accusa più infamante per un politico: quella di essere sceso a patti con la ‘ndrangheta per determinare le proprie fortune elettorali. Un’accusa che gli era piombata addosso già nel 1992, quando la procura di Palmi chiese alla Camera per due volte – senza successo – l’autorizzazione a procedere, salvo poi chiedere l’archiviazione. E la storia si è ripetuta il 23 marzo 2016, quando la Dda di Catanzaro lo ha costretto a 100 giorni di arresti domiciliari, con l’accusa di corruzione elettorale aggravata e concorso esterno in associazione mafiosa. Ma ora quel castello di accuse è evaporato con la sentenza di mercoledì, dopo la quale Principe sottolinea più volte la sua riconoscenza nei confronti degli avvocati Franco Sammarco, Paolo Sammarco e Anna Spada. «Certe ferite non si rimarginano – racconta Principe al Dubbio -. Non tanto per quanto mi riguarda personalmente, ma per il dolore che ho provocato alla mia famiglia. Sono stati anni difficili».

Nella sua arringa, Franco Sammarco aveva evidenziato l’assenza di notitia criminis, insistendo molto sulle lacune dell’inchiesta. «Siamo dinanzi ad una impostazione che definirei geneticamente distorta e distorcente, allo stravolgimento di un corretto sistema investigativo – aveva affermato in aula -. Se il tema dell’infiltrazione mafiosa deve essere commisurato alla capacità di inserirsi nelle istituzioni che dovrebbe essere facilitato dal patto criminale, in questo processo è emerso come abbia portato alla mancata elezione di ciascuno delle persone che sarebbero state sostenute. Queste candidature, frutto di un “pattone”, non hanno avuto seguito».

La Dda aveva infatti descritto un vero e proprio “sistema”, messo in piedi proprio dall’ex sindaco: che fosse o meno lui il candidato da aiutare, per l’accusa era l’unico autorizzato a gestire i giochi politici, rivolgendosi agli uomini del clan per raccogliere voti. E il clan, da parte sua, avrebbe fatto quanto richiesto, in cambio di assunzioni clientelari, agevolazioni e aiuti per attività commerciali. Ma Sammarco ha evidenziato come «rispetto ai miliardi di investimenti pubblici e privati, la procura non è stata in grado di individuare una sola opera di interesse per l’economia della mafia o una ditta interessata ai lavori in odor di mafia», così come la commissione d’accesso. E tutto ciò che di ambiguo è accaduto a Rende, aveva sottolineato il legale, è avvenuto «quando Principe non c’era» perché vittima di un tentato omicidio. Il popolo lo ha già assolto». Ed è stata proprio questa certezza a confortare l’ex sindaco in questi sei anni di attesa. «La mia immagine – racconta Principe – è stata sfregiata ingiustamente, ma il popolo di Rende a questo teorema non ha mai creduto. Non ho patito l’isolamento che hanno subito altre persone in questi ultimi 30 anni: ho continuato a ricevere il rispetto dei miei concittadini». Anche perché per quanto «tutte le opere dell’uomo siano perfettibili», nel panorama meridionale «Rende è stata un esempio da apprezzare, una realtà unica».

E nonostante l’evidente scollatura «tra un’intera classe dirigente e questa accusa assolutamente assurda», aggiunge, «il sistema giudiziario ha dimostrato di avere gli anticorpi, perché esiste un giudice terzo che ci ha restituito un minimo di serenità. Ma questi sei anni non ce li restituirà nessuno». Soprattutto i giorni trascorsi ai domiciliari, vissuti con «l’umiliazione di vedere i carabinieri bussare alla mia porta due volte al giorno, anche alle 4 del mattino». E ora che è tutto finito, l’amore per la politica brucia ancora. «Ho una certa età – afferma -, ma la mia speranza è che le nuove generazioni prendano in mano la fiaccola riformista che ha prodotto la bella realtà che è Rende. La testa mi aiuta ancora, la passione c’è: sono pronto a dare un contributo, ma laterale. Bisogna aiutare una classe dirigente nuova a formarsi. Ma esperienze come quella che mi ha coinvolto non sono un fatto educativo per i giovani. Come potrebbero essere incentivati a dare un contributo alla collettività nel momento in cui si entra in un terreno minato? Mi auguro che questa vicenda serva per fare delle scelte, affinché, in prospettiva, queste cose non si verifichino più – conclude -. I poteri devono essere corredati da una responsabilità. I poteri irresponsabili possono essere pericolosi. Per fortuna la nostra Costituzione è stata scritta saggiamente. Ma qualcosa deve cambiare».

Principe e dieci anni di calvario giudiziario: «Si deve riformare la giustizia». MASSIMO CLAUSI su Il Quotidiano del Sud il 28 maggio 2022.

Rino Formica, più volte ministro e uomo di punta del Psi di Craxi, diceva che «La politica è sangue e merda». La metafora sarà forse poco elegante, ma terribilmente vera. Lo sa bene un altro socialista illustre, Sandro Principe, che per la politica si è preso un colpo di pistola in faccia una sera di maggio e poi è stato vittima di un calvario giudiziario durato dieci anni e che, in primo grado, si è concluso con una assoluzione con formula piena.

Principe alla lettura della sentenza l’hanno vista sciogliersi in lacrime…

«Bè gli occhi erano lucidi per una tensione che finalmente si scioglie… il risultato positivo non poteva che fare piacere…»

Cosa ha pensato in quel momento?

«In quel momento sono tante le cose che ti passano per la testa. Non le dico il film della mia vita, ma sicuramente gli ultimi dieci anni che per fortuna non sono stati di isolamento perchè l’affetto e la stima delle persone nei miei confronti non è mai venuto meno. Per citare il mio legale, l’avvocato Franco Sammarco, che ringrazio di vero cuore unitamente alla giovane e valida avvocatessa Anna Spada, nessuno ha creduto in questa accusa assurda».

Questo non significa che sia stato facile…

«No perchè scattano anche meccanismi psicologici particolari. Accuse così pesanti ti umiliano, tendi ad autoisolarti perchè spesso ti senti a disagio con le persone al di là della solidarietà che ti manifestano. Per fortuna ho avuto al mio fianco la mia famiglia che mi ha dato una grande forza. A questo proposito mi permetta di esprimere tutta la mia solidarietà e vicinanza ai familiari di Bernaudo, Ruffolo e Gagliardi perchè so quanto soffrono le persone a te più vicine quando capitano queste cose».

Si aspettava un’assoluzione così “piena”?

«Sulla base delle carte mi aspettavo un esito favorevole poichè come i miei legali hanno ben detto nulla è emerso a mio carico. Sono stato intercettato e pedinato per dieci anni. Per quattro anni, in conseguenza dell’attentato subito, ho vissuto sotto scorta. Non è venuto fuori, ovviamente, alcun elemento per sostenere l’accusa. Guardi poi io sono cresciuto fra i grandi maestri del diritto come Costantino Mortati, ho grande fiducia nella nostra Costituzione perchè so bene che il nostro sistema ha degli anticorpi in grado di correggere eventuali disfunzioni. Ed infatti debbo dire che la magistratura giudicante ha mostrato  competenza, capacità di lavoro e grande serenità».

Quali sono questi anticorpi cui fa riferimento?

«La democrazia si distingue dagli altri sistemi per un aspetto: ad ogni potere deve corrispondere una responsabilità».

Anche in magistratura? Il tema della responsabilità civile dei magistrati è dibattuto da anni…

«Bisogna distinguere fra magistratura inquirente e giudicante. Chi si chiude in una camera di consiglio per giudicare gli atti di un processo sta dimostrando in Italia la sua reale imparzialità di giudizio, serenità e cultura giuridica. Diverso è il discorso per la  magistratura inquirente. Naturalmente non faccio di tutta l’erba un fascio, ma spesso in alcune inchieste si sceglie l’obiettivo al quale si fa di tutto per cucire un abito su misura. Come giustamente ha osservato l’avvocato Franco Sammarco è necessario o non è necessario partire dalla notizia criminis?».

L’esigenza di una profonda riforma della giustizia mi pare sia avvertita…

«Quando Vassalli ha scritto il nuovo codice penale ha voluto passare dal processo inquisitorio a quello accusatorio. L’obiettivo di fondo era mettere sullo stesso piano accusa e difesa con un giudice terzo. Ricordo che una volta Claudio Martelli mi raccontò che quando era Guardasigilli andò in Francia per un incontro con i colleghi europei. Il collega francese gli disse che noi italiani eravamo stati molto coraggiosi ad introdurre questo nuovo tipo di processo, in quanto a suo dire in Francia non c’erano le condizioni affinchè pubblico accusatore e difesa stessero su un piano di parità. In effetti la parità fra accusa e difesa in Italia è una sorta di utopia perchè qui il pm ha a sua disposizione una infinità di mezzi, polizia giudiziaria, tecnologie, risorse economiche di cui gli avvocati onestamente non possono disporre».

Tornando al suo di processo, cosa l’ha fatta soffrire di più?

«Il mio pensiero va alla città di Rende. L’ho detto nell’immediatezza della sentenza, lo ribadisco adesso a mente più fredda. La mia città non meritava la ribalta nazionale per questi temi perchè il danno d’immagine è stato altissimo. Poi non va dimenticato che al centro di questa vicenda c’era un sindaco riconosciuto, quasi storicizzato direi..»

E questo che significa?

«Significa che se fossimo stati dei corrotti c’era una evidente responsabilità anche dei cittadini visto che siamo stati eletti per decenni e sempre con amplissimi consensi. La città non meritava la ribalta nazionale per queste vicende, una città che è un modello per il Sud per le tante opere realizzate, per la capacità di accogliere un numero di studenti dell’Università della Calabria pari al numero dei residenti, per il suo impianto urbanistico e per la modernità che Rende esprime da sempre».

Ma lei si è fatto un’idea del perchè di tutto questo?

«Guardi a me la dietrologia non mi è mai piaciuta. Vorrei però elencare alcune circostanze in modo che lei e i suoi lettori possiate farvi il giudizio che riterrete più opportuno».

Quali?

«In concomitanza con il primo atto giudiziario che è stata la perquisizione a Bernaudo e Ruffolo (ex sindaco ed ex assessore di Rende, ndr) una tv privata locale faceva una sorta di speciale in cui anticipava tutti gli aspetti inesistenti che saranno poi alla base dell’inchiesta. Subito dopo un giornale on line regionale scriveva che la Dda aveva avanzato una richiesta d’arresto per un potente ex assessore regionale e per un capogruppo di maggioranza. Poi vennero i provvedimenti per me e Orlandino Greco».

Lei ritiene, dunque, che gli anticorpi da voi inseriti nel tessuto sociale hanno tenuto Rende lontana da certe devianze?

«Una cosa certamente posso dire. Nel corso di più di 30 anni abbiamo realizzato miliardi e miliardi di opere pubbliche e private. Non c’è una sola di queste opere che sia macchiata da un’ombra».

Senta lei ha subito un attentato, poi questa vicenda giudiziaria…

«Non mi chieda se ne è valsa la pena».

Non glielo chiedo però il prezzo che ha pagato è altissimo…

«Il prezzo è stato senz’altro altissimo, ma ho avuto grandi soddisfazioni non solo in termini elettorali ma anche come realizzazioni a Rende e in Calabria»

Lo rifarebbe?

«Chi lo sa, la mia vita è andata così. Ma mi lasci dire duna cosa. Ad un giovane preparato, competente, che si avvia ad avere successo personale e professionale nella vita, non me la sentirei di spingerlo a fare politica, data la situazione del Paese. E’ come invitarlo a camminare in un campo minato. La mia vicenda è devastante anche per questo motivo. I giovani preparati non si impegnano in politica, vanno via dalla Calabria e forse fanno bene. Guardi che mi faccio schifo quando dico queste cose, perchè se nessuno resta come facciamo a costruire una classe dirigente dignitosa per il futuro? Il vero problema è che la Calabria si prosciuga ogni giorno di più delle sue forze più fresche e vitali».

E lei adesso cosa farà?

«Il ruolo che mi hanno assegnato i miei cittadini ovvero il consigliere comunale di minoranza a Rende. Cerco di dare il mio contributo per evitare che la città faccia ulteriori passi indietro, in termini di servizi, rispetto a qualche anno fa».

E poi?

«Poi si vedrà. Vorrei dare il mio contributo in termini di suggerimenti e d’esperienza non per spingere la migliore gioventù ad impegnarsi in politica ma per creare un minimo di condizioni affinchè questo accada. Essendo la politica una vocazione, non va spinta. Se c’è va solo sostenuta».

Senta fra poco ci sono i referendum sulla giustizia. Andrà a votare?

«Il voto è segreto, ma lascio alla sua immaginazione quale sarà il mio».

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        Succede in Sicilia.

Sicilia, a quasi un mese dal voto mancano i risultati definivi: eletti solo 18 consiglieri su 70. Felice Cavallaro su Il Corriere della Sera il 19 Ottobre 2022.

Caos riconteggi nelle circoscrizioni in 6 province su 9. E il governatore Renato Schifani non può nominare gli assessori. 

Il ruolo di «uomo solo al comando» gli sta stretto, ma Renato Schifani, l’ex presidente del Senato eletto il 25 settembre alla guida della Regione siciliana non solo non può nominare i suoi assessori, ma assiste impotente al disastro di una burocrazia che non riesce a proclamare i 70 consiglieri, pardon, «deputati» (come da Statuto speciale) votati nell’isola. Uno scandalo. Con il «Parlamento più antico del mondo» che non si può riunire, mentre a Roma Camera e Senato sono da giorni al lavoro. Schifani, forte dell’elezione diretta del governatore, è l’unico in sella con i suoi 6 deputati del cosiddetto «listino» e con 18 eletti per i quali sembrano sciolte le riserve. Per gli altri resta una grande incertezza. Appesi ad un filo, in attesa di conteggi che si fanno e rifanno nelle circoscrizioni, di ricalcoli controllati nei tribunali per pasticci a volte incredibili.

Come succede a pochi chilometri da Trapani, a Misiliscemi, ultimo Comune nato in Sicilia, dove sono state trovate più schede del numero dei votanti. In qualche caso non basta procedere ai riconteggi. Ed occorre sempre l’autorizzazione dei tribunali. Con funzionari di prefettura affannati davanti a presidenti di seggio risultati inesperti e incompetenti, nonostante i rapidi corsi di formazione che si dice abbiano seguito. Fatto sta che qualcuno consegna verbali bianchi o, come è accaduto ad Agrigento, negli scatoloni delle Regionali si trovano le schede delle Politiche e viceversa. Evidentemente il cosiddetto election day, con il voto contemporaneo per Regione e Camere, deve essersi trasformato in un pastrocchio.

Restano a braccia incrociate funzionari e dipendenti dell’Assemblea regionale che avrebbero dovuto già provvedere all’accoglienza degli eletti per badge, telefonini, foto, account. Ancora tutto incerto in 6 province su 9. In qualche caso c’è chi esulta come l’ex sindaco di Messina Cateno De Luca, certo della sua elezione ed euforico perché nella stessa città è rimasto fuori per una manciata di voti Genovese jr., il figlio del notabile Dc che divenne segretario regionale del Pd. Si dispera il rampollo, ma per la stessa manciata di voti, 25 per l’esattezza, gongola la signora Serafina Marchetta da Grotte, provincia di Agrigento, eletta nel generoso listino Schifani, inserita in extremis per ringraziare il marito, Decio Terrana, gran manovratore Udc nella bilancia interna al centrodestra. S

i augura di chiudere la partita entro la prossima settimana Margherita Rizza, capo dell’ufficio elettorale regionale: «Entro lunedì gli uffici circoscrizionali dovrebbero trasmettere gli elenchi degli eletti». Ma sa che i contenziosi sono dietro l’angolo. È accaduto in passato a Siracusa con il sindaco in carica, poi a Rosolini e Pachino, per non parlare dell’eterno match fra i due Pippo di questa litigiosa provincia, l’autonomista Gennuso e l’ex centrista Gianni. Storia antica, scandali ripetuti. Con la minaccia del presidente del tribunale di Catania di «segnalare» i presidenti incompetenti alla Corte d’Appello. Almeno per escluderli dalle prossime elezioni. Se la colpa può essere attribuita solo a loro.

La china della Sicilia verso povertà e addii. Gian Antonio Stella su Il Corriere della Sera il 7 Giugno 2022.

Nel 1951, quando sulle Madonie grandi auto e grandi piloti si contendevano la Targa Florio, l’intero Pil siciliano era un ottavo di quello italiano, oggi è un ventesimo.

«Eio lasso ‘a casa mia, lasso ‘o paese, / e me ne vaco ‘n America a zappare. / Pe’ fa’ furtuna parto, e sto nu mese / senza vede cchiú terra: cielo e mare. / E lasso ’a casa mia, l’Italia bella, / pe’ ghi luntano assaie, ’n terra straniera...» Centoquattro anni dopo quel lamento di Raffaele Viviani nel testo teatrale Scalo marittimo, sono ancora davvero tante le contrade del sud che continuano a perdere abitanti. Dal 2002 al 2021, meno di vent’anni, ha scritto sul Sole24ore, in un reportage sulle Madonie, Nino Amadore, uno dei più attenti osservatori della Sicilia, «solo tre comuni (Cefalù, Campofelice di Roccella e Lascari) su 21 considerati sono cresciuti in termini di abitanti mentre tutti gli altri hanno avuto un calo vistoso: in aggregato la flessione è stata di oltre il 23,5%». Quasi un abitante su quattro: «Sono sparite oltre 11.000 persone: un paese».

Non sta scendendo giù soltanto la frana che da mesi spaventa Polizzi Generosa, il paese d’origine del regista Martin Scorsese e dello stilista Domenico Dolce. Sono tutte le Madonie che slittano verso una povertà simile a quella che spinse centinaia di migliaia di siciliani ad andarsene lontano a cercar fortuna. Nonostante alcune eccellenze imprenditoriali, dice un sondaggio fatto da un gruppo di ragazzi del movimento Controcanto, con base a Petralia Sottana, «quasi un madonita su quattro tra quelli emigrati non è disposto a tornare nemmeno a parità di condizioni di lavoro o di studio». «E sempre secondo quel sondaggio, insiste Amadore, tutti i comuni madoniti mostrano un tasso di decrescita medio del 10% in dieci anni». Da brividi.

Spiegò pochi anni fa Ivan Lo Bello, protagonista di un momento di speranza dell’imprenditoria siciliana, che «nel 1951 il Pil pro capite isolano era al 64,8 % della media italiana e, dopo essere salito fino al 74 nell’’83, è poi inesorabilmente retrocesso fino a precipitare al 64,4 % nel 2012. Insomma, «in sei decenni la Sicilia, a parte la crescita drogata dalla spesa pubblica, si è impoverita». In quel 1951, quando sulle Madonie grandi auto e grandi piloti si contendevano la Targa Florio, l’intero Pil siciliano era un ottavo di quello italiano, oggi è un ventesimo. Come mai? Lo sanno tutti, come è andata. Lo sanno, lo sanno…

In Sicilia la politica è impegnata a fare raccomandazioni per un contratto, uno stage e perfino per lo smart working. Due inchieste a Palermo e Agrigento alzano il velo sul sistema di segnalazioni in aziende pubbliche. Un dipendente dice: «Pensano che siamo l’ufficio di collocamento di Forza Italia». Ma il sistema riguarda diversi partiti. Antonio Fraschilla e Alan David Scifo su L'Espresso il 23 Febbraio 2022.

Nell’Isola più povera d’Italia e tra le più povere d’Europa, per trovare lavoro nelle aziende pubbliche occorre fare un passaggio in anticamera da qualche politico. Pure per avere promozioni e perfino incarichi di poco rilievo. Tutto passa dalla politica: non solo dalla politica locale, ma anche da quella regionale.

In Assemblea regionale siciliana i componenti si chiamano deputati perché, in virtù dell’autonomia, l’Ars è un Parlamento.

Salvatore Dama per Libero Quotidiano il 13 febbraio 2022.

Rosario Crocetta cammina sulla spiaggia di Mahdia, guarda il mare e ha nostalgia della sua Sicilia. Poi pensa alla montagna di guai giudiziari che ha in Italia. E poi pensa al conto in banca, dove le sue tre pensioni arrivano pulite-pulite, con la tassazione del 5 per cento applicata dal fisco tunisino. Infine la nostalgia gli passa. E Rosario col cavolo che ci torna. In Italia. 

Breve ripasso sul personaggio. Crocetta è stato eletto presidente della Sicilia nel 2012, ma quello è stato l'inizio della fine. La sua storia politica è terminata nel 2017, quando non è neanche riuscito a farsi rieleggere all'Assemblea regionale, mollato dal partito che in passato lo aveva sponsorizzato, il Pd.

Dopo l'esperienza amministrativa, Crocetta si è trasferito a Mahdia, paese costiero a sud di Monastir. La Tunisia, in realtà, è sempre stata la sua passione. Sia per fatti culturali che, diciamocelo, per interesse economico. Crocetta si è dichiarato «un cattolico comunista che ama l'Islam». Ma non è che è stato attratto dalle moschee, almeno non solo da quelle. I pensionati italiani sono accolti a braccia aperte.

E loro vanno a farsi coccolare dal fisco tunisino, che è buono e compassionevole. Crocetta è di Gela. Era di Gela. Ha venduto tutto e si è trasferito dall'altra parte del Mediterraneo. Ha preso la residenza in Tunisia. Acquisendo tutti i benefit degli espatriati, a partire dalla pensione (le pensioni) che in terra africana vengono tassate al minimo. In Sicilia ha mantenuto un appoggino a Tusa, località di mare in provincia di Messina, e solo quello: «Non potevo permettermi condominio, donna di pulizia e spese varie», aveva spiegato qualche tempo fa a La Sicilia, il primo quotidiano che si era accorto dell'esilio volontario dell'ex presidente.

VITALIZIO Le pensioni. Ne ha tre. Ha quella da europarlamentare, essendo stato a Strasburgo dal 2009 al 2012; quella da deputato regionale siciliano; quella da lavoratore. Poca roba, assicura lui: «Il taglio al vitalizio l'ho deciso io e non me ne pento». In effetti, seguendo l'esempio del Parlamento nazionale, l'Ars è passata al regime contributivo. E Crocetta è stato uno dei primi quattro ex deputati che hanno incassato la pensione diretta con il nuovo calcolo. Sono 708,14 euro al mese. Poi c'è l'assegno che arriva da Strasburgo, dove Rosario è rimasto in carica per tre anni, dal 2009 al 2012, dopo è stato eletto governatore e si è dimesso. Come funziona il vitalizio comunitario? Scatta dal compimento dei 63 anni. Ed è una percentuale dell'indennità moltiplicata per la durata del mandato. Anche qui Crocetta non ha fatto in tempo a maturare anzianità. E il bonifico mensile che arriva dall'Europarlamento ammonta a "soli" 962,46 euro.

LE POESIE Infine c'è la pensione da lavoratore. Rosario, con il diploma, è stato dipendente dell'Eni. Poi ha collaborato con varie testate e ha scritto un libro di poesie. Anche questo assegno gli arriva quasi per intero, al netto dell'obolo tunisino del 5 per cento. Va detto che durante gli anni della politica attiva non se la passava male: 9.100 euro al mese come europarlamentare e 9.500 come presidente della Regione. Ma questo non basta per poter parlare di esilio dorato. Perché? Il problema è che l'esperienza politica gli è costata uno strascico giudiziario che non finisce più. La Corte dei Conti lo ha condannato a risarcire 738mila euro. Accusati lui, un assessore e un dirigente, di aver dissipato 35 milioni di euro di fondi europei e statali. Nel giugno 2021 Crocetta è stato assolto in Appello dall'accusa di danno erariale. Era stata sempre la Corte dei Conti a condannare l'ex governatore della Sicilia per non aver raggiunto le percentuali di raccolta differenziata imposte dalla legge. Ma è solo una goccia in un mare di guai giudiziari. C'è il caso Montante, cioè l'ex presidente della Confindustria siciliana che, da paladino dell'Antimafia, si è rivelato essere poi un ricattatore seriale. O almeno così dicono le carte giudiziarie.

Crocetta è accusato dalla procura di Caltanissetta di aver ricevuto 400mila euro per la campagna elettorale del suo movimento, Il Megafono. E per essersi messo nelle mani di Montante, quando si è trattato di evitare la diffusione di un video hard in cui era accompagnato da dei minorenni tunisini (circostanza che Crocetta nega fino alla morte). Il quadro accusatorio è abbastanza tragico.

Secondo i pm, Crocetta sarebbe stato assoggettato ai voleri di Montante, il pupo e il puparo: «Si è messo a disposizione asservendo gli apparati dell'amministrazione regionale sottoposti ai suoi poteri di indirizzo, vigilanza e coordinamento». In particolare, secondo gli inquirenti, alcune nomine di assessori sarebbero state ordinate direttamente dall'ex capo degli industriali.

PETTEGOLEZZI Crocetta nega tutto: «Non sono mai stato con un minorenne e non esiste alcun video hard, è un pettegolezzo che mi porto appresso dal 2008. Presentai una denuncia finita nel nulla». 

Gli avvocati dell'ex governatore negano anche i finanziamenti («L'intera campagna è stata sostenuta con contributi medi di 5mila euro») e le nomine eterodirette («Mai una sollecitazione»). Nel novembre del 2019 poi è venuta fuori un'altra inchiesta, stavolta a Palermo. Dove il giudice per l'udienza preliminare ha rinviato a giudizio Crocetta per corruzione. Avrebbe intascato 10mila euro, in due tranche, per il suo movimento politico "Riparte Sicilia".

In cambio, sempre stando all'accusa, il politico avrebbe fatto pressione sulla Regione per favorire la Ustica Lines aumentando le corse per le isole. E dall'Italia continuano ad arrivare brutte notizie. 

L'ultima nell'aprile 2020, quando il Tribunale di Gela gli ha pignorato il vitalizio per risarcire con 30 mila euro due giornalisti diffamati. Però, in una lunga intervista concessa a Piazzapulita, Crocetta ha smentito di essere fuggito dall'Italia perché indagato per associazione a delinquere. Resta allora soltanto la pista della pensione piena. O quella del ricovero dell'anima: «Sono venuto a leccarmi le ferite, sento il bisogno di riappropriarmi di me stesso».

Da Camilleri a Pirandello, in Sicilia le case degli scrittori sono distrutte o abbandonate. Racalmuto, Vigata, Aragona. Le dimore, i parchi letterari, le librerie dei grandi autori del Novecento vanno in malora. E in molti casi a ricordarli c’è a malapena una targa. Alan David Scifo e Rosario Sardella su L'Espresso il 3 Gennaio 2022. “Terra di Pirandello”. Questa frase ormai abusata, nella provincia di Agrigento viene utilizzata per ogni problema, anche futile, che ha alla base un paradosso. Che sia la terra di Pirandello, ma anche di Sciascia, Camilleri e Tomasi di Lampedusa, tutti cresciuti nel raggio di 30 chilometri, viene invece spesso dimenticato e quella Sicilia che ha visto passare i più grandi scrittori del Novecento, rimane “Terra di Pirandello” soltanto nel senso più dispregiativo del termine, perché i luoghi vengono lasciati (paradossalmente) chiusi e abbandonati.

Da lasicilia.it il 14 gennaio 2022.

In Sicilia è in vendita il castello che fece da sfondo ai film "Il Padrino - Parte III" del regista Francis Ford Coppola, interpretato da Al Pacino, e "Un bellissimo novembre" di Mauro Bolognini con Gina Lollobrigida. Costruito sul finire dell’Ottocento, il maniero della nobile famiglia Pennisi di Floristella è un’esclusiva residenza privata che Sotheby's International Realty ha messo sul mercato con un prezzo stimato in 6 milioni di euro. 

Costruito sul finire dell’800, il castello ubicato ad Acireale (Catania) un pregevole esempio di eclettismo, caratteristico dell’architettura dell’epoca, in stile neogotico. Il suo ingresso principale, da piazza Pennisi, si apre su un viale contornato da una duplice fila di palme washingtonia di alto fusto che lascia intravedere la sua suggestiva imponenza.

Alla fine del viale il busto scultoreo in marmo del barone Agostino Pennisi di Floristella (colui che fece costruire il castello), si innalza su una colonna attorniato dalle palme. Il peculiare prospetto ruotato di circa 55° in senso orario, cattura l’attenzione per la sua bellezza e le sue rilevanti caratteristiche architettoniche. L’elegante drappeggio di merlature guelfe sulla parte sommitale e gli archi ogivali tipici dell’arte gotica, gli infondono un’immagine fiabesca. 

Il complesso si compone di tre edifici congiunti posti su due livelli, con due torri a pianta rettangolare in posizione simmetrica; ai lati delle torri si trovano due corpi ad una sola elevazione, in stile medievale di ispirazione normanna. L’elegante portico a tre arcate spalanca l’accesso alla bellissima scala monumentale di marmo pregiato che si biforca ai lati e conduce al primo piano dove, sulla parete centrale, spicca il ritratto autorevole del barone.

Il soffitto della scala è a cassettoni in legno con l’iniziale del cognome della famiglia e lo stemma gentilizio a motivi alternanti. Tutto il piano è definito da confortevoli camere da letto e da ampi saloni con alti soffitti che si susseguono uno dopo l’altro fino alle opposte estremità prospicienti le due terrazze ognuna di 130 metri quadrati. 

Un imponente camino con l’iniziale del cognome della famiglia, domina il salone di rappresentanza illuminato da cinque grandi finestre bifore ornate da colonnine, che prospettano l’elegante parco di mq. 8500 circa ricco di alberi e cespugli nelle essenze tipiche della flora ionica-etnea.

L’arte pittorica pullula nell’appartamento attraverso i quadri del pittore Paul Pennisi, nipote del Barone. I suoi paesaggi geometrici e gli sfondi bizantini nei colori dell’oro e del blu, trasmettono intense emozioni. Il piano rialzato è costituito da un unico appartamento anch’esso definito da camere da letto, servizi e saloni di rappresentanza, dodici ambienti in tutto. 

L’imponente baluardo, custodisce al suo interno una cappella di particolare pregio architettonico dedicata al Battista, impreziosita dagli affreschi di Giuseppe Sciuti. Le sue volte con il blu del cielo stellato e i santi raffigurati creano un clima di grande spiritualità e il silenzio che vi regna invita alla trascendenza.

Il fascino dei suoi anni intrisi di storia e di emozioni è vivo ancora oggi, con la sua superba regalità ha resistito al terremoto del 1908 e ai bombardamenti del secondo conflitto mondiale da parte degli inglesi, il cui intento era quello di colpire l’esercito tedesco che poco prima della guerra lo aveva requisito per farne un insediamento logistico e di rappresentanza, dove furono presenti numerosi dei suoi alti esponenti.

Palermo. Giuseppe Salvaggiulo per “la Stampa” il 13 giugno 2022.

«Arrivò u prisirienti!». Un'epifania nel corridoio dell'Istituto comprensivo Tenente Carmelo Onorato del quartiere Sferracavallo, a due passi dal mare più profumato di Palermo: con quasi dieci ore di ritardo apre la sezione 387, alla fine di un corridoio dove si è formata una fila inferiore solo a quella davanti allo stadio, per la partitissima che vale la serie B. 

Neonati gementi abbarbicati a mamme in astinenza da doposole, gentildonne sventaglianti, tifosi terrorizzati di perdere il fischio d'inizio e sessantenni in patibolari bermuda attendono che Vanda Bucceri, poco più che ventenne ortottista («faccio la riabilitazione oculistica») reclutata alle due del pomeriggio da un'amica per garantire il diritto di voto di un migliaio di palermitani, rediga i verbali e insedi il seggio.

La sezione 387 è l'ultima ad aprire, alle quattro del pomeriggio, dando una grottesca parvenza di normalità alle elezioni nella sesta città dell'ottava potenza economica mondiale. 

Vanda è uno dei 50 presidenti di seggio reclutati in extremis, a urne virtualmente aperte. Via chat, via mail, con telefonate da amici o semplicemente svegliati alle 8,15 da un vigile urbano motorizzato con la nomina da consegnare. Come Antonio Rere, funzionario comunale. 

Una doccia e via, «è un nostro dovere, in fondo, e comunque il biglietto per lo stadio non l'avevo trovato».

Lui no, molti altri sì. «Colpa della partita di calcio», spiegano in Comune già al mattino. Ma uno dei presidenti disertori, sotto richiesta di anonimato, aggiunge motivazioni vagamente marxiane: «Ci sono sette schede e nove scrutini da fare: cinque referendum, sindaco, consiglio comunale, presidente di circoscrizione, consiglio di quartiere. Sa quanto prendiamo? 288 euro. Gli scrutatori 208. Per quattro giorni di lavoro, senza orario. Sabato dalle 15,30 alle 2 di notte. Oggi dalle 6 e chissà quando si finisce. Domani si farà notte e probabilmente bisognerà tornare anche martedì. Almeno 40 ore. Cinque-sette euro l'ora, altro che salario minimo». 

Si racconta di file ai pronto soccorso «per farsi refertare», di telefonate disperate a medici di base attovagliati o spiaggiati, per pietire un certificato giustificativo della defezione.

«Non condivido, ma li capisco - sbotta la scrutatrice Mary - qui è un delirio, se continua così chiamo il 118. Si rende conto del caldo che fa in queste aule? Non abbiamo nemmeno le sedie, ci danno quelle dell'asilo. Una vergogna».

Alla scuola Antonio Ugo, quartiere Zisa, c'è il presidente di seggio più giovane d'Italia: Angelo Lucia, appena maggiorenne, cerca di arrangiarsi con registri e verbali.

«È la prima volta, per me».

Da presidente? «No, da elettore, voterò per la prima volta». Imberbe studente di corno francese al conservatorio, quando ha letto che c'erano problemi ai seggi s' è presentato come volontario. Arruolato nella sezione 440. Accolto come un salvatore. Invano scrutatori e funzionari comunali avevano atteso il presidente designato per tutta la notte. Maria Guddo ha gli occhi pesti. «E dire che a noi dipendenti pubblici riconoscono 30 ore forfettarie di straordinario. Ne faremo almeno il doppio».

Anche Antonino Ciaccio, commissario di polizia municipale in pensione, è un volontario. Ha chiamato gli ex colleghi, s' è reso conto del disastro, ha rinunciato alla Formula 1 bussando alla scuola Gregorio Russo, a Borgo Nuovo. Nominato presidente della sezione 550, dove alle 2 del pomeriggio c'era ancora un gran tramestio di timbri, scotch e cartoni. Fuori decine di elettori a sacramentare con paragoni geografici i più disparati: neanche in Africa, neanche in India, neanche in Colombia.

Quasi due ore per votare alla scuola del quartiere Pallavicino, sulla strada per Mondello. Scuola La Rosa, centro. «Qui tutto bene, i presidenti c'erano. Però mancava un'urna e abbiamo dovuto aspettarla per due ore».

Ovunque segnalazioni di disagi: schede insufficienti, nomi di elettori assenti sui registri, verbali con errori macroscopici, materiali ricevuti con ore di ritardo, urne montate al contrario. «Siamo stati letteralmente abbandonati», sospira Marco Giunta, presidente della sezione 78, scuola Cocchiara-Veneto. A tarda sera Sferracavallo è un luccichio ininterrotto. Ultimi gelati sul lungomare, ultimi elettori in coda da due ore. Nel seggio 387 il voto è come un bagno a mezzanotte. Chi alla fine entra, chi rinuncia, chi esce dicendo «mai più».

Estratto dell’articolo di Annalisa Cuzzocre per “la Stampa” il 13 giugno 2022.

[… ] Com'è possibile che nel 2022, a 30 anni dall'uccisione di Falcone e Borsellino, siamo capaci di accettare che un candidato sindaco a Palermo raccolga voti con l'aiuto esplicito di due persone condannate per reati connessi alla mafia come Marcello Dell'Utri e Totò Cuffaro? Com' è possibile che ancora si scambi "il diritto con il favore", come ha scritto ieri su questo giornale Gian Carlo Caselli a proposito dei due candidati di centrodestra indagati per scambio di voti politico-mafioso?

E come possiamo essere certi che su quei 90 presidenti di seggio che non si sono presentati, proprio a Palermo, non pesi l'ombra di un voto così pesantemente inquinato dalle rinnovate ambizioni di Cosa nostra? Secondo il Comune, hanno disertato per via della partita. Insieme a 84 scrutatori avrebbero dimenticato il loro dovere per andare a tifare rosanero sperando nel passaggio in serie B. Sarebbe, in entrambi i casi, una catastrofe civile. Che è davanti ai nostri occhi, serve solo il coraggio di affrontarla. 

Atti inviati in Procura. Elezioni, a Palermo caos e seggi chiusi per l’assenza dei presidenti: urne aperte con maxi ritardi. Redazione su Il Riformista il 12 Giugno 2022. 

Inizia malissimo la giornata elettorale a Palermo, il capoluogo siciliano chiamato a decidere chi sarà l’erede del sindaco uscente Leoluca Orlando. Almeno una cinquantina di presidenti di sezione e numerosi scrutatori hanno dato forfait, con le sezioni rimaste ovviamente chiuse. 

“Abbiamo lavorato tutta la notte per reperire presidenti. Attualmente circa 50 seggi non sono ancora aperti ma stiamo notificando altrettante nomine”, spiega all’Ansa Antonio Le Donne, segretario generale del comune di Palermo.

“Abbiamo lavorato intensamente tutta la notte e stiamo procedendo con la notifica di nomina di presidente di sezione ad alcuni titolari di posizioni organizzative del comune di Palermo per colmare i vuoti che si sono determinati nei vari seggi”, dice all’Ansa Alessandra Autore, dirigente responsabile dell’ufficio elettorale. Il compenso è di 280 euro per l’impegno nell’intera tornata elettorale, agli scrutatori va qualcosa in meno.

Problemi che si erano manifestati in realtà già sabato, quando in molte sezioni dislocate all’interno delle scuole non si sono potuti insediare regolarmente i seggi per mancanza di presidenti. Avvisaglie addirittura precedenti: venerdì il Comune di Palermo si era rivolto agli Ordini professionali di avvocati e dottori commercialisti per reperire professionisti da impiegare come presidenti.

“Questa mattina avrei voluto esercitare il mio diritto al voto – racconta all’Adnkronos Paola Maranzano – ma non è stato possibile perché arrivata al seggio, presso la scuola di via Bologni nel quartier Boccadifalco ci hanno detto che la sezione 375 era chiusa perché mancava il presidente. Sono nel pallone perché non sanno come risolvere questa situazione. E’ passata più di un’ora e ancora il seggio è chiuso. A questo punto, io vado a lavorare. Mi è stato negato il diritto al voto e ritengo che sia gravissimo“.

Una situazione che lentamente si sta risolvendo. Fonti del Viminale fanno sapere che a Palermo “sono stati nominati e si stanno insediando gli ultimi 13 presidenti di sezione che erano mancati a causa di improvvise rinunce. Presto le operazioni di voto saranno regolari in tutte le 600 sezioni cittadine“.

Una vicenda che avrà ripercussioni giudiziarie. L’agenzia Agi, che ha interpellato fonti del Comune di Palermo, scrive che i presidenti di seggio che a Palermo non si sono presentati per la costituzione regolare dell’ufficio sono stati denunciati all’autorità giudiziaria. Questi infatti potevano non presentarsi al seggio solo per “gravi motivi”.

E a livello politico va segnalata la richiesta della Lega, che si è appellata al Capo dello Stato Sergio Mattarella e al ministero dell’Interno guidato da Luciana Lamorgese chiedendo di allungare l’orario di voto. Una “situazione grave e inaccettabile, democrazia a rischio, è necessario allungare l’orario del voto”, fanno sapere dal Carroccio. 

Anche presidente della Regione Sicilia, Nello Musumeci, ha fatto sapere di aver chiesto al Viminale di lasciare aperte le urne anche domani solo a Palermo, così da permettere a tutti di votare viste le difficoltà di oggi. “Ho chiesto al Ministro dell’Interno di valutare l’opportunità di autorizzare il prolungamento dell’apertura dei seggi elettorali, nella sola città di Palermo, fino alle ore 14 di domani, lunedì 13 giugno“.

Ipotesi però impossibile per il Viminale, che ha chiarito come non sia possibile allungare l’orario di voto, come richiesto dalla Lega e dal governatore. Ma, come stabilito dalla legge, chiunque alle 23 (orario di chiusura dei seggi) si troverà in fila per votare, potrà farlo.

Defezione che potrebbero essere collegate al match di stasera allo stadio ‘Renzo Barbera’, dove il Palermo giocherà finale di Play off serie C con il Padova per la promozione B ed è previsto il pienone con oltre 34mila spettatori. La concomitanza con le elezioni aveva spinto a suggerire il possibile rinvio della partita, ma la Prefettura aveva deciso di confermare la data dell’evento sportivo.

Palermo, funzionario della Città Metropolitana arrestato per corruzione si lancia dalla finestra di casa e muore. Salvo Palazzolo su La Repubblica il 13 Maggio 2022.  

Un finanziere è rimasto ferito alla mano nel tentativo di bloccarlo. L'indagine riguarda un giro di mazzette per le autorizzazioni ambientali.

Questa mattina la Guardia di finanza gli aveva appena notificato un provvedimento di arresto del gip di Palermo, con l'accusa di corruzione. Marcello Miraglia, 60 anni, funzionario della Città Metropolitana di Palermo, era già pronto per lasciare l'abitazione verso il carcere di Pagliarelli, ha chiesto di andare in bagno, un finanziere l'ha accompagnato, e all'improvviso è successo l'irreparabile: l'uomo ha aperto la finestra e si è lanciato dal sesto piano. Il militare ha cercato di bloccarlo, si è anche ferito a una mano, adesso è al pronto soccorso.

La tragedia si è consumata all'alba, a Bagheria. La procura di Termini Imerese ha già disposto la restituzione della salma alla famiglia.

L'inchiesta che coinvolge Miraglia, condotta dalla procura di Palermo, riguarda un giro di mazzette che sarebbero state pagate da alcuni imprenditori che operano nel settore dello smaltimento dei rifiuti per ottenere le necessarie autorizzazioni ambientali. Un'indagine con una decina di indagati.

Miraglia era uno dei funzionari più conosciuti della Città Metropolitana di Palermo, rivestiva da anni la qualifica di istruttore specialista tecnico del Servizio rifiuti urbani e tributo speciale, un ufficio strategico per i controlli in materia ambientale. 

Lara Sirignano per corriere.it il 12 giugno 2022.

AAA cercasi bara a Palermo. L’ennesimo scandalo del cimitero di Santa Maria dei Rotoli di Palermo, dove oltre mille salme accatastate tra la camera mortuaria, il deposito e due tensostrutture, attendono da circa tre anni la sepoltura, è di due giorni fa, quando il familiare di una donna deceduta a marzo scorso, ha presentato denuncia ai carabinieri per sottrazione di cadavere. 

La sepoltura

Francesco Morante, questo il nome dell’uomo, aveva appuntamento il 9 giugno con l’agenzia di pompe funebri per liberare il posto occupato dal feretro della zia e tumulare la sorella Serenella. Una operazione che si sarebbe dovuta svolgere mesi fa e che era stata rinviata «per problemi di aggiornamento della scheda cartacea del cimitero», scrive nell’esposto Morante. All’inizio di giugno l’agenzia di pompe funebri richiama l’uomo per dirgli che tutto è pronto e dargli appuntamento a giovedì scorso.

Ma «al momento di andare a prendere la bara di mia sorella, insieme al personale dell’agenzia funebre e del cimitero, sotto la tensostruttura di viale della Resurrezione, ove era stata adagiata — si legge nella denuncia — dopo svariate ore di ricerche, si constatava l’assenza della bara», della quale Morante dà anche la descrizione ai carabinieri. «Di classico color noce, con targhetta placcata in oro e con i dati di mia sorella e delle piccole rose color bronzo messe vicino alle viti di chiusura», spiega.

La mappa

Ai carabinieri l’uomo consegna anche copia della mappa del cimitero dei Rotoli e della dichiarazione rilasciata dal direttore del camposanto che recita: «Con la presente si attesta che la salma della signora Serenella Morante, deceduta a Palermo il 17-3-2022,e pervenuta presso il cimitero di Santa Maria dei Rotoli il 18-3-2022, in data odierna non è stata trovata. Il personale riprenderà domani le ricerche della salma». Era il 9 giugno. Ad oggi la bara non è ancora comparsa. 

Emergenza sanitaria

Il camposanto di Palermo è nella bufera da anni. Nel tempo il problema dell’assenza di spazio per le nuove sepolture che ha scatenato forti polemiche, si è trasformato in emergenza sanitaria, con centinaia di bare accatastate ovunque che hanno reso necessaria la costruzione di due tensostrutture.

Paola Pellai per “Libero quotidiano” l'8 gennaio 2022. Cosimo accarezza la bara del fratello Massimo. «Un tumore al pancreas se lo è portato via in tre mesi - mi racconta -. Aveva 51 anni, abbiamo fatto il funerale a febbraio ed ora è qui, appoggiato su un'altra bara sotto un tendone infuocato d'estate e umido in queste giornate invernali. Ma ora siamo in paradiso, doveva venire ad agosto con le bare impilate ovunque e per terra ci inciampavi dentro».

Cosimo non ha più lacrime e la rabbia è diventata dolore. Ogni volta che può prende l'autobus e viene al cimitero di Santa Maria dei Rotoli, il più vecchio di Palermo, realizzato 200 anni fa ma da decenni fermo e dunque sovraffollato. Il Covid ha dato il colpo di grazia, le 12-15 entrate quotidiane si sono moltiplicate fino ad accumulare oltre un migliaio di bare quest' estate. 

Sepolte non sotto terra, ma parcheggiate sotto due tensostrutture ed appoggiate su impalcature come quelle usate per rifare le facciate dei palazzi. A giugno il Comune ha stretto un accordo con la Fondazione Santo Spirito, proprietaria del cimitero Sant' Orsola: mille loculi per 1.800 euro a posto (800 a carico della famiglia del morto e 1.000 del Comune) ma - come mi ha spiegato Cosimo «la mamma e i miei nonni sono sepolti qui, mio fratello non lo allontano. Li voglio insieme».

In questo cimitero l'unica cosa che non manca sono, appunto, i morti. Per il resto è un inferno. Manca lo spazio per le sepolture, manca il forno crematorio (si va a Messina, a Catania o a Reggio Calabria), manca chi si occupa dello smaltimento della terra proveniente dagli scavi, mancano i mezzi per spostare le bare da un cimitero all'altro, manca il personale. A maggio è stato nominato il nuovo direttore Leonardo Cristofaro, il 2 settembre il sindaco Orlando e l'assessore ai cimiteri Sala hanno reso noto un cronoprogramma con date e obiettivi per riportare la situazione alla normalità. La situazione è migliorata mala normalità resta lontana.

Imbocco il viale della Misericordia (no, non sto giocando a Monopoli) e un cartello mi avverte: «A causa del continuo rilascio di massi, anche di notevoli dimensioni, dalle pendici del Monte Pellegrino è possibile la perdita di vite umane». Morire al cimitero, sarebbe una bella sfiga. Poche decine di metri e sono davanti alle tensostrutture della vergogna, si succedono una dietro l'altra. Sono lì ormai da due anni. E ci resteranno ancora per un pezzo. Sembra di essere al supermercato, solo che sugli scaffali ci sono bare. Un'infinità di bare. 

Ci sono stata mercoledì 15 dicembre e ne ho contate 347, disposte a filari di tre, una sopra l'altra. Qualcuna appoggiata o dimenticata a terra. Un odore acre, cattivo. Ti entra nelle narici, ma ti uccide l'anima. E poi mosche e moschini, a zonzo tra le bare, la sporcizia sotto di esse e i pochi fiori sventrati dal tempo. Restano le foto a colori di uomini e donne sorridenti a raccontarti un'ingiustizia senza fine: Alfredo, morto il 15 luglio 2020 e nello stesso anno Giuseppe, il 5 giugno, Michela il 23 ottobre, Attilio il 20 agosto, Matteo il 7 luglio, Elisabetta il 17 agosto, Vincenzo, il 17 giugno, Gabriele il 29 maggio, Maurizio il 5 settembre, Benedetto il 29 giugno....

Sono rimasta lì per un paio di ore ma, a parte Cosimo, nessuno altro è entrato. Del resto non sapresti dove mettere un vaso di fiori, per via dell'altezza potresti non arrivare a dare una carezza alla bara del tuo caro, non resisteresti comunque a lungo nell'odore della morte. E poi non c'è alcun segno di decoro. Una scopa gettata tra le bare, fiori secchi ovunque, sporcizia. Osservo le bare. Alcuno sono di legno grezzo, sono le più povere. Hanno scritto a mano con un carboncino nero il nome del defunto. 

Altre hanno una semplice etichetta bianca, come quella sui quaderni degli scolari: nome e cognome, data di nascita e di morte. Una ha solo la data di nascita, in quella della morte le caselle sono vuote. Un'altra non ha proprio nulla, nessun dato anagrafico. Su una, a terra, c'è un biglietto con una calligrafia infantile: un bimbo chiede a nonno Saro di portargli i giochini. E poi ci sono bare che raccontano il sacrilegio che stanno vivendo... da morti: sono quelle scoppiate sotto i 37°-38° gradi dell'afa estiva, che per non diventare una grave emergenza sanitaria sono state inserite in cassoni di zinco. Alcune le ho viste divelte e squarciate forse perché non si sapeva più a chi appartenessero o forse perché sfondate da altre appoggiate sopra.

Fuori dai tendoni ho camminato tra i viali del cimitero chiuso da una parte dal Monte Pellegrino e dall'altra dall'azzurro del mare. Qui capita di tutto. Ad ottobre 2020 l'allora direttore De Roberto venne arrestato per corruzione, accusato di accelerare le sepolture senza far rispettare l'ordine cronologico in cambio di mazzette da 800 euro. Quest' anno, sempre ad ottobre, si è dovuta fronteggiare con l'installazione di gabbie e telecamere l'invasione di cinghiali (uno è stato rinvenuto morto) che hanno danne to alcune tombe nella parte alta del campo santo, quella più vicina alla roccia del monte.

Lungo un viale ho trovato un immenso cassonetto con i sigilli dei carabinieri e l'avviso di stare alla larga da quei «rifiuti sottoposti a sequestro penale». Risalgo il cimitero e raggiungo il tempio crematorio. È inattivo ormai da un paio d'anni, ci vorranno almeno altri sei mesi per rimetterlo in funzione. C'è una porta aperta, m' infilo e trovo una distesa di bare sul pavimento. Sono almeno una ventina, anche qui ce n'è una senza nome. Così è facile perderle. 

Non a caso un giorno di novembre si è svolta una sorta di caccia alla bara tra i dipendenti. Uno di loro aveva poi spiegato: «Quando non c'è spazio, capita che le bare vengano posate dove si trova un angolo ma senza trascriverne la posizione. Così se poi la memoria non ci soccorre non sappiamo più dove sono. Le abbiamo ricercate invano per qualche ora e solo chiamando l'impresa di pompe funebri siamo riusciti a trovare le mancanti». 

Ma tra i molteplici campi ingolfati di tombe, ce ne sono alcuni che assomigliano a campi da calcetto, con l'erba alta color verde smeraldo. Vedi solo lapidi verticali, molto distanziate l'una dall'altra ed è spontaneo chiedersi perché quello spazio non possa trovare un altro utilizzo. Il problema di saturazione del cimitero esiste da prima della pandemia e proseguirà a Covid debellato, perché se c'è una certezza è che alla morte non si può sfuggire.

Un progetto importante era legato alla promessa di stanziamento di 15 milioni di euro da parte della Regione destinati alla realizzazione del cimitero Ciaculli ma a settembre il governatore Musumeci ha fatto retromarcia, sollevando l'indignazione della Lega palermitana e la visita del suo leader Matteo Salvini che il 22 ottobre visita il Rotoli e afferma di non aver mai visto una situazione del genere in nessuna città italiana. «Bisogna risolvere e in fretta - dichiara - . Qui ci sono decenni di inefficienza e mancata programmazione, ma porterò la questione sul tavolo del governo. Cercherò i soldi». E i soldi arrivano, 3 milioni di euro e mezzo all'interno della Finanziaria nazionale che serviranno per realizzare quasi 1.800 loculi. Un punto di partenza, non di arrivo.

Agrigento. Felice Cavallaro per il "Corriere della Sera" l'8 febbraio 2022.

Gli addetti alle pompe funebri erano vestiti di bianco, eleganti, solenni nel portare a spalla la bara di Selene Pagliarello, l'infermiera morta con la sua bimba mai nata nell'esplosione che la sera del 10 dicembre buttò giù un quartiere a Ravanusa. Recuperati i corpi, ai funerali un intero popolo piangeva raccolto anche attorno ai feretri delle altre otto vittime. Con familiari rassicurati sull'impegno dello Stato, della Regione, del Comune a non fare mancare giustizia e solidarietà. Ma meno di due mesi dopo, arriva il conto.

E i ragionieri delle onoranze funebri recapitano le fatture. Senza sconti perché in qualche caso la richiesta è di diecimila euro a funerale. Adesso lo dicono tutti che la solidarietà si è fermata in piazza Primo Maggio, davanti al sagrato della Chiesa Madre, un'arena del dolore con quei nove sarcofaghi incolonnati davanti al vescovo, le autorità in prima fila, una comunità in lacrime. Quando ieri mattina l'avvocato che assiste alcune delle famiglie, Salvatore Loggia, ha rivelato che «le istituzioni presenti ai funerali sono sparite al momento di pagare le spese, nonostante la cerimonia equiparata a un funerale di Stato», il sindaco Carmelo D'angelo s' è affrettato a diffondere la sua nota.

«Noi non volevamo che pagassero le famiglie ma le imprese ci hanno tirato fuori», si giustifica. «Noi eravamo e siamo disponibili a dare un contributo. Naturalmente la cifra di partenza non può essere diecimila euro: un funerale costa circa un terzo». 

Si apre così un fastidioso contenzioso, difficile da amministrare visto che molti hanno già pagato, rifiutando polemiche estranee anche a Mario Carmina, il figlio del professore di filosofia citato nel messaggio di Capodanno dal presidente Mattarella. Lui, trentenne, laureato alla Bocconi, ha perduto nella sciagura pure la madre, Carmela Scibetta, ma le fatture nemmeno le ha viste perché lavora a Milano, alla direzione della NH Hotel.

Una catena alberghiera che, con massima discrezione, s' è fatta carico delle spese funerarie già saldate, come fa sapere l'avvocato Luigi Termini: «Un esemplare gesto di solidarietà e vicinanza al dolore del loro dipendente, ma con l'applicazione di tariffe ordinarie». In effetti si tratta di ditte diverse con cifre in alcuni casi ordinarie in altre esorbitanti. Anche per questo resta l'amarezza di tanti familiari nel sottolineare il mancato intervento di altri soggetti privati e pubblici. 

Ma ieri sera, dopo il fuoco delle polemiche, è rimbalzata a Ravanusa una nota ufficiale della Regione a firma del capo della Protezione civile Salvo Cocina per confermare lo stanziamento di «un contributo di un milione di euro a favore del Comune di Ravanusa, aggiunto al milione destinato dall'Assemblea siciliana su proposta della deputata locale Giusy Savarino, in sede di variazione di bilancio, prima di Natale».

Due milioni promessi, anche se non ancora erogati. Un modo per ribadire che «i fondi saranno accreditati nei prossimi giorni, subito dopo le procedure contabili». Anche «per fare fronte alle spese per il funerale». Esplicito l'invito al Comune «che può quindi, se lo ritiene, procedere ad anticipare o assumere formale impegno con i creditori». 

Da repubblica.it il 26 Gennaio 2022.

Le urla e poi gli spari. Una lite in famiglia si è trasformata presto in una strage. Ha ucciso il fratello, la cognata e i loro figli, di 11 e 15 anni. Poi, si è suicidato. Quando i carabinieri sono arrivati in una palazzina di via Riesi, alla periferia di Licata, si sono trovati davanti una scena terribile.

L'indagine coordinata dalla procura di Agrigento sta ricostruendo cosa è accaduto in quell'appartamento, sembra che non fosse la prima lite, già nei giorni scorsi c'erano state altre discussioni animate, non è ancora ben chiaro il motivo. Ma nulla faceva presagire questo drammatico epilogo, è il racconto dei vicini di casa, ancora sotto choc per i colpi di pistola. 

Estratto dell'articolo di Salvo Palazzolo per "la Repubblica" il 28 gennaio 2022.

«Dopo tutto quell'orrore, mi ha telefonato. "Li ho uccisi - ha detto in lacrime - pure i bambini. Ma loro che c'entravano? Ti prego perdonami, la mia vita è finita"». Mariella Cammilleri è la moglie di Angelo Tardino, l'uomo che lunedì mattina ha ucciso il fratello, la cognata e i loro due figli. Scuote la testa, si sistema i capelli, piange. «In quel momento, al telefono, ha avuto un momento di lucidità dopo la follia. Gli ho detto: "Torna a casa, posa le pistole, io ti perdono". Era un modo per prendere tempo e intanto avvertire le forze dell'ordine. Ma ha chiuso la conversazione». 

Lei cosa ha fatto?

«Tremavo, piangevo, non riuscivo a credere che le liti continue tra i fratelli fossero arrivate fino a questo punto. Ho chiamato subito i carabinieri. E mi sono precipitata in caserma. Loro avevano già chiamato Angelo e lo stavano convincendo a consegnarsi. Io sentivo tutto in viva voce, era disperato. Una conversazione interminabile. Mio marito era deciso, diceva che voleva farla finita.

E, intanto, andava in giro per Licata con quelle armi. A un certo punto ha chiuso». In quel momento, i carabinieri erano riusciti a individuarlo. E lui si è sparato.

«Una tragedia inimmaginabile. E, ora, ho paura per quello che potrebbe accadere. Ho paura per i miei figli. Siamo andati via dalla palazzina dei Tardino, dove abita mio suocero. Siamo andati lontano. E ogni tanto i carabinieri passano a controllare». (…) 

Dov' è nato tanto odio nei confronti del fratello?

«Lui aveva invidia verso Diego, da sempre. C'erano delle cose vecchie che non aveva mai dimenticato». Che cosa? «Per esempio, lui voleva l'appartamento del secondo piano. Invece, suo padre gli ha dato quello del terzo. E poi tante altre piccole cose. È arrivato al punto che l'ha odiato suo fratello». (…) 

Strage di Licata, l’ultimo tema di Alessia Tardino e la confidenza all’amica del cuore: «Liti continue con lo zio». Felice Cavallaro su Il Corriere della Sera il 26 Gennaio 2022.  

Nell’ultimo compito in classe ha preso 8 e mezzo parlando di Pascoli, di una poesia sulla distruzione del «nido familiare». E vengono i brividi a rileggere quelle righe con la grafia rotonda di Alessia Tardino, la ragazza di 15 anni che lo zio Angelo uscito di senno ha ucciso fra le serre di Licata sparando anche contro i suoi genitori e il fratellino di 11 anni, Vincenzo, invano nascosto sotto il letto.

Vengono i brividi all’insegnante di italiano che l’ha premiata, Floriana Costanzo: «Confidava alla sua amica del cuore le liti del padre con lo zio». Turbata come la preside del liceo classico, Ileana Tardino, solo una omonimia, alla guida di un istituto a lutto dove un banco della Seconda B da ieri è vuoto. Come succede alla Marconi, la scuola media dove tanti suoi compagni cercavano il piccolo Vincenzo non vedendolo arrivare all’ultimo banco della Seconda D con quel sorriso che conquistava il preside Maurilio Lombardo, la vice Tiziana Alesci o l’insegnante di italiano Mara Burgio. Tutti da anni vicini a questa famiglia annientata in un mattino senza ritorno. Perché anche Alessia era stata loro alunna.

Ed era scattato d’incanto un rapporto cordiale con quella signora alta e garbata, fino all’anno scorso rappresentante di classe, alla fine delle lezioni immancabile nell’androne per riprendere i figli. La ricordano così Alessandra Ballacchino, o meglio la signora Tardino, come tutti chiamavano la giovane mamma che non c’è più. E che andava fiera del suo piccolo grande campione, apprezzato anche per le idee venute fuori lavorando a una storia «fantasy» con cui la sua classe ha vinto il concorso dei 10 mila racconti, una gara centrata sul tema dell’amicizia. Come ricorda commossa la professoressa Burgio: «Il premio arriverà con la pubblicazione delle storie, un libro della casa editrice Salani. E se c’è la II D è anche merito di Vincenzo».

Per mamma Tardino erano trofei. Come quel video girato da Alessia per rievocare le tappe della vita di Padre Pino Puglisi, il beato di Palermo, «additando la malapianta della mafia». Una piccola opera d’arte, seguita da Giovanna Incorvaia, la docente entusiasta per la creatività della ragazza, perfetta anche in un mini-film girato per l’«Archeo Ciak». Con lei nei panni della dea Kore, pronta a indicare i luoghi mitologici dove era stata rapita da Ade, il dio dei morti. E tornano i brividi scorrendo l’album dei ricordi dove però non c’è traccia di inquietudine, fatta eccezione per le confidenze di Alessia alla compagna del cuore.

Provava a rasserenare i suoi ragazzi la madre, tirandoli su dopo le frequenti liti del marito con il fratello «pazzo», minimizzando: «Tranquilli, lo zio grida, ma poi gli passa...». Come se non fossero volate parolacce e minacce, archiviate come frutto di paranoie passeggere. Senza mai potere immaginare di trovarsi una mattina inseguiti in casa dallo zio armato con tre pistole. Compita, riservata, mamma Alessandra celava i tormenti, placando anche la curiosità dei vicini. Pronta ad ammorbidire i contrasti con la cognata, Mariella Camilleri, la donna che ha chiamato i carabinieri per lanciare l’allarme dopo la carneficina. Stretta come in una tragedia greca ai suoi due piccoli, adesso rimasti orfani, ignari d’aver perso i cuginetti, uccisi dal padre suicida.

Epilogo che è un rovello per un sociologo con radici a Licata, Francesco Pira, cattedra a Messina, le controversie familiari materia dei suoi studi, ma disarmato davanti a tanto sangue: «È la prova che, come dice l’Istat, il nostro Paese è affetto da un cattivismo crescente». Fino al punto da cancellare con una carneficina il «nido familiare» evocato da Alessia nel suo compito su Pascoli.

Strage di Licata, l’ultima telefonata del killer: «Non ho diritto di fare vivere i miei figli con un padre assassino». Felice Cavallaro su Il Corriere della Sera il 27 Gennaio 2022.

Due carabinieri hanno fatto di tutto per evitare che Angelo Tardino si sparasse un colpo in testa: il racconto di quei venti, drammatici minuti al cellulare.

Hanno provato a salvare con una telefonata il vendicatore di Licata. Per evitare che Angelo Tardino si sparasse un colpo in testa, come ripeteva in lacrime lungo i venti minuti più lunghi della carriera di due carabinieri, il brigadiere Angelo Cuttaia e il tenente Carmelo Caccetta. Infine «sconfitti», come dicono con amarezza, per non avere potuto impedire il suicidio, nonostante fossero frattanto riusciti a localizzare l’auto dalla quale parlava e piangeva. Erano le otto del mattino ed era stata la voce di una donna sconvolta a dare alla Centrale l’allarme sullo sterminio dell’intera famiglia del cognato, Diego Tardino, il primo ad essere ucciso da suo fratello.

Allertati dalla moglie dell’assassino

Una follia. Seguita da un ritorno repentino dell’assassino a casa, giusto il tempo di incrociare la moglie, Mariella: «Li ho ammazzati tutti, ora mi vado ad uccidere». E via con l’auto che sgommava. Mentre, senza perdere un istante, lei, madre di due bimbi piccoli, afferrava il telefono: «Cercatelo, vi scongiuro...». Il resto è la sequenza affannata di una caccia che comincia con le pattuglie per strada e con una chiamata dalla caserma al cellulare dell’assassino, che risponde al brigadiere Cuttaia, 52 anni, due figli, nonno da tre anni, pronto ad usare un tono comprensivo non appena dalle prime parole intuisce lo psicodramma. «Non so nemmeno perché l’ho fatto. Non mi rendo conto, mio fratello, sua moglie, i bambini... Come ho potuto, anche se le liti... Non ho diritto di fare vivere i miei figli con un padre assassino. Ora mi sparo...».

I tentativi di farlo desistere

«Nooo. Non puoi farlo proprio per i tuoi figli», urla il brigadiere. «Ho anch’io due figli e non possiamo permetterci di farli vivere senza di noi». «Ma ho fatto la cosa peggiore al mondo, uccidere un fratello. Non merito di vivere. E non voglio finire in carcere...». «La situazione è tragica, ma hai una famiglia. Se ti consegni, se vieni qui, tu ci sarai sempre per tua moglie, i bambini. Comunque, li vedrai crescere e loro hanno diritto a sapere che il padre esiste». «Nessuno mi perdonerà mai...». «Esistono le attenuanti. Tu parli con noi, con me, e vediamo...». «Non merito di vivere. Lo so. Ma non trovo il coraggio di uccidermi». «Tu devi trovare il coraggio di vivere». 

Lo sparo finale

Un pianto dirotto dà il tempo al brigadiere di passare il telefono al tenente anche per le indicazioni via radio, mentre i colleghi guidati dal capitano Augusto Petrocchi fanno già segno di avere localizzato l’auto. «Adesso parla con me. Sono in abiti borghesi, ti raggiungo dove vuoi, da solo, senza armi...», propone Caccetta. «Non ce la faccio a vivere». «Hai l’obbligo di vivere. Ogni mattina i nostri figli ci dicono “torna a casa”. E noi sappiamo che dobbiamo farcela per loro. Pure tu...». Scoppia di nuovo in lacrime, Tardino, ma la conversazione si blocca, chiusa dall’ultimo proiettile.

Fabio Albanese per "la Stampa" il 27 gennaio 2022.

Prima davanti casa del fratello la lite per quella vecchia storia dell'eredità, poi la mattanza. Ha ammazzato il fratello, poi è entrato nell'abitazione e, cercandoli stanza per stanza, ha ucciso la cognata, la nipote di 15 anni, il nipote di 11, scovato sotto il letto. Infine si è suicidato. 

Le 7,30 di ieri mattina in contrada Safarello, periferia Est di Licata, dove le ultime case del paese cedono il paesaggio a campi di carciofi e serre di primaticci. Lì ci sono casa e azienda agricola di Diego Tardino, 44 anni; ci viveva con la moglie Alessandra Ballacchino, 39 anni, e i figli Alessia, 15 anni, e Vincenzo, 11. Angelo Tardino, 48 anni, arriva determinato a risolvere la questione dei terreni che considera suoi, di un pozzo d'acqua conteso.

I due fratelli hanno litigato altre volte per questo, lo confermano familiari e vicini ai carabinieri che in passato erano anche stati chiamati in causa per quegli accesi confronti. Ma stavolta Angelo, che ha un porto d'armi e tiene in casa tre pistole e un fucile, ha con sé delle armi. 

Anche per questo gli investigatori sono convinti che la sua sia stata un'azione premeditata. La lite in pochi minuti diventa strage: Angelo punta una calibro 9 contro il fratello e fa fuoco; Diego cade a terra, privo di vita. L'omicida non ha finito, non ha ancora soddisfatto la sua sete di rivalsa. Entra in quella casa e, uno dopo l'altro, uccide la cognata e i due nipotini. Poi sale in auto e va via, chiama al telefono la moglie: «Li ho uccisi tutti».

La donna, atterrita e sconvolta chiama i carabinieri. Le pattuglie accorrono in contrada Safarello, altre chiudono le vie di uscita di Licata: l'assassino è armato, è pericoloso. Lo rintracciano al telefono i carabinieri, provano a convincerlo a costituirsi. Lui tentenna, riattacca. 

Lo richiamano, non c'è risposta. Lo rintracciano attraverso le celle telefoniche ma quando sotto un cavalcavia di via Mauro De Mauro, un paio di chilometri dalla contrada della strage, arriva la prima pattuglia, Angelo Tardino è al posto di guida della sua utilitaria, in fin di vita: si è sparato alla testa. Accanto a sé un'altra pistola, un revolver.

Chiamano un'ambulanza, l'elicottero del 118. Alla Rianimazione del Sant' Elia di Caltanissetta capiscono subito che c'è nulla da fare. Muore alle 12,30, cinque ore dopo avere sterminato i familiari. Per la procura di Agrigento «il motivo del crimine sarebbe rintracciabile in questioni personali e patrimoniali». Il papà della signora Alessandra, Domenico Ballacchino, è stato sentito per ore in caserma per chiarire i rapporti tra i fratelli Tardino. Racconta: «Mia figlia era felice in campagna, aveva ritrovato la serenità. Avevano dovuto lasciare la casa in cui vivevano perché nello stesso palazzo abitava il cognato, ed era un litigio continuo. Non avevano mai fatto denuncia, anche se qualche volta erano intervenuti i carabinieri».

Nelle scuole dei due ragazzi sono tutti sotto choc: «Vincenzo era un bambino pieno di vita, studioso, attento - dice Tiziana Alesci, una delle sue insegnanti nel Comprensivo Marconi -. E la mamma era molto presente, con lui come con Alessia che è stata nostra alunna». Al liceo classico Linares, dove studiava Alessia, l'insegnante di Lettere Floriana Costanzo ha le lacrime agli occhi: «Era una ragazza seria e pulita, molto studiosa. Oggi ho saputo dai suoi compagni che alla sua amica del cuore aveva confidato che c'erano screzi tra il papà e lo zio». La terra, i soldi, quella casa dove una volta vivevano una per piano le famiglie dei due fratelli e di una sorella. La «roba». Sembra una novella di Verga, invece è una assurda tragedia vera.

Liti per terreni e pozzo. Uccide fratello, cognata e i nipoti di 11 e 15 anni. Valentina Raffa il 27 Gennaio 2022 su Il Giornale.

Anni di dissidi. I familiari cercati stanza per stanza. Il killer confessa al telefono e si spara.

Fa strage della famiglia del fratello, compresi i due nipotini, e poi si uccide.

La tragedia è avvenuta ieri alle 7.30 in contrada Safarello, a Licata, in provincia di Agrigento. Alla base dell'ennesima lite che era scoppiata tra Angelo Tardino, 48 anni, e il fratello Diego, 45, c'erano questioni legate alla spartizione delle terre con un pozzo d'acqua, coltivate a pomodori e carciofi, che i fratelli avevano avuto in eredità. Le loro discussioni erano all'ordine del giorno, Diego era anche andato a vivere con la famiglia in campagna, per allontanarsi dal fratello, accusandolo di non fare molto per quei terreni, ma nessuno si aspettava che la situazione potesse degenerare al punto di una tragedia di tali dimensioni.

Invece ieri mattina Angelo si è recato armato a casa di Diego, in via Riesi. È scoppiata l'ennesima lite, al culmine della quale Angelo ha estratto una pistola calibro 9, legalmente detenuta, e lo ha freddato. Poi è entrato in casa e ha sparato con la stessa pistola alla cognata, la 40enne Alexandra Ballachino, uccidendola. La sua furia omicida non si è fermata nemmeno dinanzi al tentativo pietoso del nipotino Vincenzo di 11 anni di sfuggirgli nascondendosi sotto il letto con una coperta, né dinanzi alla nipote 15enne Alessia, uccisi entrambi con un revolver, detenuto legalmente.

Angelo si è quindi allontanato dalla contrada confessando alla moglie per telefono la strage appena compiuta. Alcune frasi proferite da Angelo hanno fatto subito comprendere ai carabinieri, allertati dalla moglie dell'uomo, che lui volesse farla finita. Sono riusciti a mettersi in contatto telefonico con Angelo ma, quando sembrava che volesse costituirsi, invitato a riflettere sul fatto che la sua morte avrebbe solo aggiunto dolore, si è sparato 2 colpi alla tempia con una pistola a tamburo Bernardelli, anche questa legalmente detenuta. I carabinieri lo hanno trovato poco dopo in via Mauro de Mauro, a qualche chilometro dal luogo della strage, all'interno della sua auto in condizioni disperate. È stato soccorso e trasportato in elisoccorso all'ospedale Sant'Elia di Caltanissetta. Condizioni gravissime, non compatibili con la vita» ha detto il primario del reparto di Rianimazione, Giancarlo Foresta, sottolineando come il paziente non fosse operabile. Alle 12.34 è stata dichiarata la morte cerebrale.

Sui luoghi della doppia tragedia sono intervenuti i militari della Sezione rilievi del Nucleo investigativo dei carabinieri del Comando provinciale di Agrigento, che sta indagando insieme alla Compagnia di Licata. A guidarli il comandante provinciale dei carabinieri, Vittorio Stingo, il sostituto procuratore di Agrigento, Paola Vetro. Le salme sono state sottoposte a sequestro, a disposizione dell'autorità giudiziaria, in attesa dell'autopsia. La tragedia ha colpito un'intera comunità. «Oggi è uno di quei giorni terribili che non si vorrebbero mai affrontare, uno di quei giorni che devastano l'anima, lasciandoci senza sentimenti o parole è il ricordo su Facebook di Floriana Costanzo, l'insegnante di Lettere di Alessia al Liceo Linares di Licata -. Mi dà conforto solo pensare ai tuoi occhi limpidi, sereni e sempre sorridenti, alla tua voce dolce e soave ma decisa nell'affermare convinta ciò che eri fiera di aver imparato nella tua giovane vita. E io ti ricorderò sempre così e ti porterò nel più profondo del cuore, mia cara, dolcissima Alessia». Anche il dirigente scolastico, a nome dell'intera comunità del Liceo Linares, ha pubblicato un post per ricordare Alessia, «una solare e splendida studentessa del nostro istituto» e porgere le condoglianze ai familiari delle vittime. Sulla pagina Facebook dell'istituto comprensivo Marconi frequentato dal piccolo Vincenzo si legge: «Il nostro Istituto si unisce, oggi, nel dolore e nel ricordo, di un alunno dolcissimo, pieno di vita, di amore per lo studio, di entusiasmo e bontà. Vola in alto Vincenzo insieme alla tua meravigliosa sorella lasci un grande senso di vuoto e impotenza nei nostri cuori». A Licata è lutto cittadino. Valentina Raffa

Riccardo Lo Verso per corriere.it il 13 gennaio 2022.

È un volto noto alle forze dell’ordine per una lunga scia di gravi e inquietanti episodi di cronaca. Sarebbe stato Domenico Quaranta, aiutato da un complice, a imbrattare la Scala dei Turchi di Realmonte, sfregiata domenica scorsa con una sostanza rossa e ripulita con l’aiuto di un gruppo di volontari. Imbianchino, 49 anni, Quaranta è stato denunciato a piede libero insieme a G.F., queste le iniziali dell’uomo che lo avrebbe aiutato mettendosi alla guida del furgone sui cui è stato trasportato il materiale per il gesto vandalico.

«Si ipotizza un atteggiamento di generica e vaga contestazione nei confronti del sistema e delle forze dell’ordine — dice il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio — come è dato scorgere sulle pagine dei social dell’indagato». Il passato di Quaranta, però, preoccupa. Nel 2002 fu arrestato per il tentato attentato terroristico alla metropolitana di Milano.

La sera dell’11 maggio fece esplodere una bombola di gas alla fermata Duomo. In un cestino della spazzatura gli investigatori trovarono un lenzuolo con la scritta: «Noi combattiamo per la causa, non ci fermeremo più fino a quando non vi sottometterete ad adorare un solo Dio. Allah è grande». Stessa tecnica era stata usata un anno prima nelle Valle dei templi di Agrigento. A deflagrare fu una bombola di gas da campeggio abbandonata sui gradini del Tempio della Concordia. Episodi per i quali Quaranta è stato condannato a 16 anni di carcere. 

Quaranta si era convertito all’Islam e aveva imboccato la strada del fanatismo religioso. Nel 2020 tornò a fare parlare di sé imbrattando con dei geroglifici la parete rocciosa in marna della scogliera di Punta Bianca, vicino alla Scala dei Turchi presa di mira domenica scorsa. L’uomo era già stato denunciato anche dalla trasmissione televisiva Striscia la notizia con ben tre servizi (il primo andato in onda nel 2019) su una serie di atti vandalici commessi ad Agrigento.

I carabinieri di Realmonte e della Compagnia di Agrigento, guidati dal maggiore Marco La Rovere hanno acquisito le immagini del sistema di video sorveglianza della zona ed eseguito alcune perquisizioni. Il procuratore Patronaggio ricorda che Quaranta «risulta inoltre essere già stato sottoposto a misura di prevenzione e da ultimo nuovamente proposto, proposta tuttavia rigettata dal Tribunale di Palermo, in atto è sottoposto al divieto di avvicinamento ad Agrigento disposto dalla Questura». Domenica, con l’aiuto di un complice, avrebbe sfregiato la Scala dei Turchi. 

Messina. "Sarà l'ultima? Non con il mio modo di fare". Cateno De Luca accusato di evasione e poi assolto: 12 anni di ‘tritacarne’ per il sindaco di Messina. Riccardo Annibali su Il Riformista il 10 Gennaio 2022. 

“Questa è conclusione del 18esimo processo a mio carico, 18 processi e due arresti”. L’attuale sindaco di Messina Cateno De Luca chiude trionfante il processo che lo aveva visto sul banco degli imputati per la gestione del Caf Fenapi da lui creato nel 1992. È la decisione presa dal giudice monocratico Simona Monforte, dopo la presentazione dei capi di accusa da parte del pubblico ministero Giuseppe Massara: utilizzo di fatture false ed evasione fiscale dal 2009 al 2012.

“Dodici anni di tritacarne, una vita di sacrifici buttata per difendermi e menomale che ho avuto la possibilità di farlo. Ringrazio questo tribunale dove ho trovato giustizia, nonostante io sia stato un perseguitato dalla Procura di questo Palazzo” ha detto De Luca, dopo l’assoluzione “perché il fatto non sussiste” nell’ambito del processo Caf Fenapi per una presunta evasione di oltre 1,7 milioni di euro.

L’accusa indagava sulla legittimità di una parte di pagamenti che riguardano i conti del personale dei centri di assistenza fiscali, i canali di pagamento, le voci conteggiate nelle pezze d’appoggio, i movimenti dalla struttura centrale alle sedi periferiche e le relative attività dei patronati, oltre che le fatture per le forniture con una galassia di società che secondo la Procura erano comunque riconducibili a De Luca.

Già il giudice per le indagini preliminari Simona Finocchiaro, nl 2018, aveva escluso i reati di associazione a delinquere e di evasione fiscale. Decisione che la Corte d’Appello era stata chiamata a riesaminare dalla Procura Generale. A maggio 2019 i giudici confermavano il non luogo a procedere per il reato di associazione a delinquere, ma hanno anche disposto il rinvio a giudizio per gli altri due capi di imputazione riguardanti proprio l’evasione fiscale. Il 2 dicembre si sarebbe dovuto concludere, ma il giudice Monforte, al termine di una lunga giornata, aveva rinviato l’udienza ad oggi per eventuali repliche e per la decisione finale riguardo i reati imputati al primo cittadino.

Durante il procedimento ci sono stati anche momenti di tensione, primo fra tutti quello del dicembre 2019, quando sul banco dei testimoni è stato invitato a presentarsi l’avvocato Giovanni Cicala, uno dei principali ‘accusatori’ del sistema Fenapi: al termine del rapporto professionale con De Luca ha segnalato una serie di presunte irregolarità riscontrate alla Guardia di Finanza.

“Assolto perché il fatto non sussiste”, ripete fuori dall’aula il primo cittadino, ricordando l’arresto l’8 novembre del 2017 quando “è stata ipotizzata un’associazione a delinquere. Un’indagine che è iniziata nel 2010 e che ha visto otto procedimenti penali aperti. Oggi un’altra sentenza di assoluzione – prosegue un emozionato -. Meno male che c’è sempre un giudice che riesce a leggere con obiettività documenti spesso rimaneggiati per cercare comunque il modo per incastrarti Anche questa volta non ci sono riusciti”.

De Luca, sciolta la tensione, lascia spazio anche all’ironia: “Sarà l’ultima? Con il mio modo di fare non credo proprio, ma vado avanti a testa alta e, finora, con la fedina penale pulita. Dai processi non solo mai scappato. Ho sempre aspettato il verdetto, qualunque esso sia. Arriveranno le scuse di tutti coloro che mi hanno definito delinquente? Ci sarà lo stesso clamore mediatico di quando sono stato arrestato?”.

“Sono cicatrici che rimangono, ma la cosa che in questo processo mi ha fatto più male, la cosa più grave – conclude – è aver tentato di mettere sul lastrico oltre 1.500 persone, perché l’attacco che è stato sferrato in questo processo non è stato solo alla mia persona, ma a un’associazione, la Fenapi, frutto dei miei sacrifici lavorativi iniziati nel 1992. Sono felice per loro, a cui dedico questa assoluzione. Non hanno mai dubitato del loro direttore generale, ma è ovvio che mi sono sentito in colpa perché per questioni politiche sono state tirate in ballo”. Riccardo Annibali