Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

NOTA BENE

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(gruppi) ASSOCIAZIONE CONTRO TUTTE LE MAFIE - TELE WEB ITALIA -

ABOLIZIONE DEI CONCORSI TRUCCATI E LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI

(pagine) GIANGRANDE LIBRI

WEB TV: TELE WEB ITALIA

108x36 NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA

 

ANNO 2021

 

L’AMMINISTRAZIONE

 

NONA PARTE

 

 

 

 

DI ANTONIO GIANGRANDE

 

 

  

 

 L’ITALIA ALLO SPECCHIO

IL DNA DEGLI ITALIANI

 

 

L’APOTEOSI

DI UN POPOLO DIFETTATO

 

Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2021, consequenziale a quello del 2020. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.

Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.

 

IL GOVERNO

 

UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.

UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.

LA SOLITA ITALIOPOLI.

SOLITA LADRONIA.

SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.

SOLITA APPALTOPOLI.

SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.

ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.

SOLITO SPRECOPOLI.

SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.

 

L’AMMINISTRAZIONE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.

IL COGLIONAVIRUS.

 

L’ACCOGLIENZA

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA.

SOLITI PROFUGHI E FOIBE.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.

 

GLI STATISTI

 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.

 

I PARTITI

 

SOLITI 5 STELLE… CADENTI.

SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.

SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.

IL SOLITO AMICO TERRORISTA.

1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.

 

LA GIUSTIZIA

 

SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.

LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.

LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.

SOLITO DELITTO DI PERUGIA.

SOLITA ABUSOPOLI.

SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.

SOLITA GIUSTIZIOPOLI.

SOLITA MANETTOPOLI.

SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.

I SOLITI MISTERI ITALIANI.

BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.

 

LA MAFIOSITA’

 

SOLITA MAFIOPOLI.

SOLITE MAFIE IN ITALIA.

SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.

SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.

SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.

LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.

SOLITA CASTOPOLI.

LA SOLITA MASSONERIOPOLI.

CONTRO TUTTE LE MAFIE.

 

LA CULTURA ED I MEDIA

 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI.

SOLITO SANREMO.

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.

 

LA SOCIETA’

 

AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.

I MORTI FAMOSI.

ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.

MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?

 

L’AMBIENTE

 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI.

SOLITO ANIMALOPOLI.

IL SOLITO TERREMOTO E…

IL SOLITO AMBIENTOPOLI.

 

IL TERRITORIO

 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.

SOLITA SIENA.

SOLITA SARDEGNA.

SOLITE MARCHE.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO.

SOLITO ABRUZZO.

SOLITO MOLISE.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.

SOLITA BARI.

SOLITA FOGGIA.

SOLITA TARANTO.

SOLITA BRINDISI.

SOLITA LECCE.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.

 

LE RELIGIONI

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.

 

FEMMINE E LGBTI

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.

 

  

 

 

L’AMMINISTRAZIONE

INDICE PRIMA PARTE

 

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Burocrazia Ottusa.

Il Diritto alla Casa.

Le Opere Bloccate.

Il Ponte sullo stretto di Messina.

Viabilità: Manutenzione e Controlli.

Le Opere Malfatte.

La Strage del Mottarone.

Il MOSE: scandalo infinito.

Ciclisti. I Pirati della Strada.

 

INDICE SECONDA PARTE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI. (Ho scritto un saggio dedicato)

L’Insicurezza.

La Strage di Ardea.

Armi libere e Sicurezza: discussione ideologica.

 

INDICE TERZA PARTE

 

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Il Volontariato e la Partigianeria: Silvia Romano e gli altri.

Lavoro e stipendi. Lavori senza laurea e strapagati.

La Povertà e la presa per il culo del reddito di cittadinanza.

Le Disuguaglianze.

Martiri del Lavoro.

La Pensione Anticipata.

Sostegno e Burocrazia ai “Non Autosufficienti”.

L’evoluzione della specie e sintomi inabilitanti.

Malasanità.

Sanità Parassita.

La cura maschilista.

L’Organismo.

La Cicatrice.

L’Ipocondria.

Il Placebo.

Le Emorroidi.

L’HIV.

L'HIV.

La Tripanofobia (o Belonefobia), ovvero la paura degli aghi.

La siringa.

L’Emorragia Cerebrale.

Il Mercato della Cura.

Le cure dei vari tumori.

Il metodo Di Bella.

Il Linfoma di Hodgkin.

La Diverticolite. Cos’è la Stenosi Diverticolare per cui è stato operato Bergoglio?

La Miastenia.

La Tachicardia e l’Infarto.

La SMA di Tipo 1.

L'Endometriosi, la malattia invisibile.

Sindrome dell’intestino irritabile.

Il Menisco.

Il Singhiozzo.

L’Idrocuzione: Congestione Alimentare. Fare il bagno dopo mangiato si può.

Vi scappa spesso la Pipì?

La Prostata.

La Vulvodinia.

La Cistite interstiziale.

L’Afonia.

La Ludopatia.

La sindrome metabolica. 

La Celiachia.

L’Obesità.

Il Fumo.

La Caduta dei capelli.

Borse e occhiaie.

La Blefarite.

L’Antigelo.

La Sindrome del Cuore Infranto.

La cura chiamata Amore.

Ridere fa bene.

La Parafilia.

L’Alzheimer e la Demenza senile.

La linea piatta del fine vita.

Imu e Tasi. Quando il Volontariato “va a farsi fottere”.

 

INDICE QUARTA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

Introduzione.

I Coronavirus.

La Febbre.

Protocolli sbagliati.

L’Influenza.

Il Raffreddore.

La Sars-CoV-2 e le sue varianti.

Il contagio.

I Test. Tamponi & Company.

Quarantena ed Isolamento.

I Sintomi.

I Postumi.

La Reinfezione.

Gli Immuni.

Positivi per mesi?

Gli Untori.

Morti per o morti con?

 

INDICE QUINTA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

Alle origini del Covid-19.

Epidemie e Profezie.

Quello che ci dicono e quello che non ci dicono.

Gli errori dell'Oms.

Gli Errori dell’Unione Europea.

Il Recovery Plan.

Gli Errori del Governo.

Virologi e politici, i falsi profeti del 2020.

CTS: gli Esperti o presunti tali.

Il Commissario Arcuri…

Fabrizio Curcio, capo della Protezione Civile.

Al posto di Arcuri. Francesco Paolo Figliuolo. Commissario straordinario per l'attuazione e il coordinamento delle misure sanitarie di contenimento e contrasto dell'emergenza epidemiologica Covid-19.

Fabrizio Curcio, capo della Protezione Civile.

 

INDICE SESTA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

2020. Un anno di Pandemia.

Gli Effetti di un anno di Covid.

Il costo per gli emarginati: Carcerati, stranieri e rom.

La Sanità trascurata.

Eroi o Untori?

Io Denuncio.

Succede nel mondo.

Succede in Germania. 

Succede in Olanda.

Succede in Francia.

Succede in Inghilterra.

Succede in Russia.

Succede in Cina. 

Succede in India.

Succede negli Usa.

Succede in Brasile.

Succede in Cile.

INDICE SETTIMA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

Vaccini e Cure.

La Reazione al Vaccino.

 

INDICE OTTAVA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

I Furbetti del Vaccino.

Il Vaccino ideologico.

Il Mercato dei Vaccini.

 

INDICE NONA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

Coronavirus e le mascherine.

Il Virus e gli animali.

La “Infopandemia”. Disinformazione e Censura.

Le Fake News.

La manipolazione mediatica.

Un Virus Cinese.

Un Virus Statunitense.

Un Virus Padano.

La Caduta degli Dei.

Gli Sciacalli razzisti.

Succede in Lombardia.

Succede nell’Alto Adige.

Succede nel Veneto.

Succede nel Lazio.

Succede in Puglia.

Succede in Sicilia.

 

INDICE DECIMA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

La Reclusione.

Gli Irresponsabili: gente del “Cazzo”.

Il Covid Pass: il Passaporto Sanitario.

 

INDICE UNDICESIMA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

Il tempo della Fobocrazia. Uno Stato Fondato sulla Paura.

Covid e Dad.

La pandemia è un affare di mafia.

Gli Arricchiti del Covid-19.

 

 

 

 

 

L’AMMINISTRAZIONE

NONA PARTE

 

IL COGLIONAVIRUS. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        Coronavirus e le mascherine.

Roberta Spinelli per "La Verità" il 22 novembre 2021. Le abbiamo cercate e spesso odiate. Quest'anno sono entrate a far parte del paniere di beni e servizi di largo consumo usato dall'Istat per calcolare l'inflazione. Sono indispensabili, e chissà ancora per quanto tempo saremo obbligati a portarle visto il prolungarsi dello stato di emergenza, ma sono anche l'oggetto che più spaventa chi ha a cuore la tutela ambientale. Le mascherine chirurgiche disperse nell'ambiente sono diventate il nuovo ecopericolo, l'incubo dei pasdaran verdi. Sono fatte di materiali plastici, e già questo è un bel paradosso: in questa pandemia, ci ha in parte salvato la vita proprio la vituperata plastica, quella che da anni si cerca di eliminare e di riciclare nella raccolta differenziata dei rifiuti per non disperderla nell'ambiente. Mascherine e relativi imballaggi, guanti monouso, bottigliette di gel igienizzante: tutti materiali plastici. Ma nessuno, né al governo né nelle varie strutture commissariali, ha pensato di organizzare una raccolta differenziata delle mascherine e un corretto smaltimento. Così i dispositivi ora vanno ad accumularsi nelle discariche creando un problema ambientale dopo aver aiutato a frenare i contagi da Covid.

Problemi ambientali

Non esiste un rapporto ufficiale su quanti di questi dispositivi individuali vengano smaltiti. Si stima un uso mensile di 129 miliardi di mascherine di protezione (3 milioni al minuto) in tutto il mondo. Il Wwf Italia calcola addirittura 7 miliardi di dispositivi al giorno, 210 miliardi al mese. Il continente europeo ne consumerebbe circa 900 milioni al giorno. Considerando che una mascherina chirurgica pesa sui 3 grammi, nella sola Ue ogni giorno 2.600 tonnellate di mascherine finiscono tra i rifiuti o disperse nell'ambiente. Ne esistono in commercio anche di più pesanti, come le Ffp2 e 3. In Italia l'Ispra ha stimato un consumo di mascherine pari a circa 1 miliardo al mese per 3.000 tonnellate di rifiuti aggiuntivi. Solo alle scuole, ad esempio, la struttura del commissario straordinario per l'emergenza ne fornisce 11 milioni al giorno per docenti e studenti. Sempre l'Ispra ha calcolato che nel 2020 ci sono stati tra 160.000 e 440.000 tonnellate di rifiuti aggiuntivi da dispositivi di protezione individuale usa e getta. Se anche solo l'1% delle mascherine usate in un mese fosse disperso nell'ambiente, deliberatamente o accidentalmente, ciò significherebbe 10 milioni di pezzi. Una vera emergenza. Le quantità sono enormi. Ma le mascherine, realizzate in plastica, vengono gettate tra i rifiuti indifferenziati. Come mai? Il governo ha seguito le linee guida dell'Istituto superiore di sanità, che le equipara ai comuni scarti domestici. Il Rapporto Iss Covid-19 numero 26/2020 fornisce indicazioni precise, raccomandando «di smaltire mascherine e guanti monouso, come anche la carta per usi igienici e domestici (ad esempio fazzoletti, tovaglioli, carta in rotoli) nei rifiuti indifferenziati». Il loro destino è dunque la discarica o l'incenerimento (quando non vengono dispersi nell'ambiente), nonostante che, mediante un ciclo di sanificazione e lavorazione, questi materiali potrebbero trasformarsi in risorse da riciclare. Il Wwf ricorda che le mascherine monouso, realizzate in diversi strati di fibre di plastica, non sono biodegradabili. Giuseppe Ungherese di Greenpeace Italia fa presente che, anche per la loro forma, se esposte agli agenti atmosferici le mascherine si frammentano in micro e nanoplastiche, che si disperdono nell'aria entrando nella catena alimentare, con potenziali conseguenze negative anche per la salute umana. Al pari di altri detriti di plastica, possono accumulare e rilasciare sostanze chimiche nocive, metalli pesanti, così come microrganismi patogeni. 

Le microparticelle

Le mascherine monouso, diventate il simbolo della lotta alla pandemia, oltre ad avere invaso le nostre vite rischiano di invadere il pianeta. È davvero sconcertante che, nel dilagare della sensibilità green in tutto il mondo, né il governo guidato da Giuseppe Conte né quello di Mario Draghi abbiano pensato a recuperare guanti e mascherine usa e getta. Nel decreto Rilancio del 19 maggio 2020, convertito in legge il successivo 17 luglio, l'articolo 229-bis prevedeva un fondo per uso e riciclo dei dispositivi di protezione individuale con dotazione di 1 milione di euro per l'anno 2020, da ripartire con un successivo decreto del ministero dell'Ambiente. Il finanziamento doveva aiutare gli interventi di recupero e riciclo. Una somma poco più che simbolica, che però è finita per realizzare alcune campagne di sensibilizzazione volute dal ministero dell'Ambiente in collaborazione con la guardia costiera, l'Ispra, l'Enea, tra cui quella intitolata «Alla natura non servono» e con l'attore Enrico Brignano come testimonial il quale invitava a non abbandonare la mascherina in mare ma, appunto, a conferirle nell'indifferenziata. Nessun incentivo, invece, a studiare un ciclo sostenibile di corretto smaltimento. Anche l'Unione europea ha lanciato un allarme rimasto inascoltato. L'Agenzia europea per l'ambiente ha diffuso un rapporto lo scorso 22 giugno («Impatto del Covid 19 sulle plastiche monouso e l'ambiente in Europa) in cui si dice che l'aumento dell'uso di maschere e guanti ha avuto enorme impatto sull'ambiente: estrazione delle risorse, produzione, trasporto, gestione e abbandono dei rifiuti. La fase produttiva è per lo più extraeuropea, mentre al nostro continente spetta la gestione dei rifiuti. Per le mascherine monouso, il 63% dell'impatto ambientale è legato alla produzione e il 37% all'incenerimento. Oggi possiamo dire che il danno è perfino doppio per la perdita di altre potenziali risorse.

Altri soldi persi

Il 15 ottobre scorso il ministero della Transizione ecologica ha pubblicato sette bandi con i fondi del Pnrr dedicati all'economia circolare, cioè al recupero dei materiali scartati. Si tratta di 2,6 miliardi di euro complessivi, dei quali 600 milioni sono destinati alle filiere di carta e cartone, plastiche, rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche e tessili. In sostanza, una quota consistente del Pnrr andrà a potenziare la rete di raccolta differenziata e degli impianti di trattamento e riciclo per una serie di materiali ben individuati. Ma le mascherine chirurgiche, in quanto rifiuti indifferenziati, ne sono escluse. E continueranno a inquinare.

Laura Cuppini per il "Corriere della Sera" il 5 agosto 2021.

1 - Perché anche i vaccinati devono rispettare le norme di prevenzione?

Il green pass rappresenta un «via libera» per vaccinati e guariti, ma non c'è dubbio che la diffusione massiccia della variante Delta ha rimescolato un po' le carte in tavola rispetto a quanto previsto fino a pochi mesi fa. Pur non avendo «bucato» gli anticorpi dati dal vaccino e dalla pregressa infezione, ha un livello di trasmissibilità tale da dover ricorrere a qualche precauzione aggiuntiva. «La vaccinazione completa offre un alto livello di protezione contro la malattia grave e la morte causata dal virus» scrivono l'Agenzia europea del farmaco (Ema) e il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) in una nota congiunta. Che prosegue: «Fino a quando più persone non saranno completamente vaccinate, tutti dovrebbero continuare a indossare le mascherine e rispettare il distanziamento sociale. Anche le persone che hanno ricevuto un programma di vaccinazione completo». Si stima infatti che i vaccini proteggano quasi completamente dalle forme gravi, un po' meno dalla possibilità di infettarsi. In Italia si è calcolato che circa 2 persone su 10, tra gli immunizzati, potrebbero rischiare il contagio, anche se in forma lieve (e, si ritiene, solo per pochi giorni). Negli Stati Uniti le autorità sanitarie hanno raccomandato ai vaccinati di portare la mascherina (al contrario di quanto detto a marzo) nelle aree del Paese dove la diffusione del virus è maggiore, con più di 50 casi per 100 mila abitanti. 

2 - Quali sono le situazioni più a rischio?

Le due fasce di popolazione da tenere in osservazione, oltre naturalmente a chi rifiuta (o non può fare) il vaccino, sono i soggetti fragili, soprattutto anziani, e i bambini. Nella fascia vaccinabile dei minori (dai 12 anni in su), in Italia, il 19% ha ricevuto entrambe le dosi, mentre tra gli ultra 80enni la percentuale ha superato il 90% e nella fascia 70-79 è all'85%. Non è detto però che tutti rispondano allo stesso modo al vaccino: gli immunodepressi per esempio (perché in chemioterapia o per alcune patologie) hanno una protezione limitata. Per fare un esempio, un bambino non vaccinato potrebbe contagiarsi e trasmettere il virus a un nonno fragile. In questo caso è importante che si vaccinino i genitori del minore ed è consigliabile tenere la mascherina in presenza dell'anziano. In occasione di raduni familiari è possibile usare i tamponi rapidi per essere più tranquilli. Se non ci sono soggetti fragili e i presenti sono tutti vaccinati non è necessaria la mascherina; se ci si trova in ambienti chiusi con sconosciuti è prudente tenerla. 

3 - Due vaccinati possono abbracciarsi?

Il contatto tra persone che hanno ricevuto il ciclo vaccinale completo è sicuro, a patto che nessuno dei due abbia frequentato posti affollati in cui erano presenti persone non vaccinate e molto contagiose (i cosiddetti «superdiffusori»). C'è infatti, come detto, il 20% di rischio di infettarsi - anche se in modo lieve o asintomatico - anche dopo le due iniezioni. La mascherina Ffp2 offre in tutti i casi una sicurezza molto elevata (o in alternativa una mascherina di stoffa sopra una chirurgica). Più la mascherina aderisce al viso, più alta è la protezione: il modello migliore in assoluto è quello con l'elastico che passa da parte a parte, all'altezza della nuca.

4 - I viaggi sono sicuri?

In aereo si può stare relativamente tranquilli, grazie al costante ricambio d'aria, ma gli esperti consigliano, anche ai vaccinati, di indossare la mascherina per tutto il tempo, tranne quando si mangia o beve. In generale, sui trasporti pubblici, il rischio di contagio aumenta quanto più lunga è la corsa e quanto più affollato è il mezzo. Quindi, se costretti a prendere il treno o la metropolitana negli orari di punta, anche chi ha il green pass dovrebbe indossare la Ffp2 o una doppia mascherina per non correre rischi.

5 - Per i vaccinati è prevista una quarantena ridotta?

No, in Italia tutti i contatti stretti di un soggetto risultato positivo a Sars-CoV-2 (anche se vaccinati con due dosi) devono rispettare lo stesso periodo di isolamento. (Ha collaborato Paolo Bonanni, professore ordinario di Igiene, Università di Firenze).

Il giallo delle mascherine a norma ritirate da Arcuri. Lodovica Bulian il 31 Ottobre 2021 su Il Giornale. La testimonianza dell'imprenditore "bocciato": "Sui miei dispositivi mai nessuna contestazione". Restano le incognite nell'inchiesta su Luca Di Donna, l'avvocato considerato in passato molto vicino a Giuseppe Conte. Indagato a Roma per associazione per delinquere finalizzata al traffico di influenze illecite, secondo i pm in cambio di consulenze e percentuali, avrebbe intermediato affari tra aziende private e l'ex struttura all'emergenza Covid spendendo conoscenze con l'ex commissario Domenico Arcuri e con l'ex premier, a loro insaputa ed estranei all'indagine. A far scattare l'inchiesta è stata la testimonianza di un imprenditore di Assisi, Giovanni Buini, che ad aprile 2020 aveva ottenuto una fornitura di mascherine per la struttura commissariale, ed era in cerca di contatti per chiudere una seconda più importante commessa. Per questo entra in contatto con prima con Gianluca Esposito - avvocato, ex direttore del Mise e anche lui indagato - e poi con Di Donna. I due gli propongono un contratto di consulenza, di fatto una percentuale sulle commesse che sarebbero stati «capaci di garantirgli», secondo i pm «rimarcando la vicinanza di Di Donna con ambienti istituzionali governativi». Buini poco dopo decide di recedere dall'accordo perché «anomalo». Quando l'affare salta, però, dalla struttura di Arcuri arriva una mail. Gli comunicano lo stop a eventuali contratti di fornitura «per mutate esigenze» e anche la restituzione delle mascherine già consegnate. Una ritorsione? Per i pm solo una «singolare coincidenza «temporale» con l'interruzione dei rapporti con i due avvocati. Lo stesso Arcuri, interrogato nell'ambito dell'inchiesta che lo vede accusato di peculato e abuso d'ufficio per la commessa di mascherine intermediate dal giornalista Mario Benotti, alla domanda sul perché non abbia ritirato dal commercio le mascherine rivelatesi fallate di Benotti, e invece avesse ritirato quelle di Buini, ha spiegato ai pm: «Abbiamo avuto ragione di sospettare sulla base di indagini giudiziarie che esse non rispondessero ai requisiti di legge». Di quali inchieste giudiziarie parla? Nei giorni successivi all'ultimo incontro con Di Donna, il 5 maggio, Buini riceve in azienda la visita dei Nas e della Guardia di finanza, rispettivamente il 6 e il 7 maggio. A informare Arcuri delle verifiche è lo stesso Buini, l'8 maggio, con una mail, rassicurando anche che sugli esiti delle ispezioni. Nella stessa mail Buini ricorda anche «la disponibilità a formalizzare un accordo per la fornitura settimanale di 10 milioni di mascherine chirurgiche per un periodo di quattro mesi». Accordo che invece non si farà mai, perché dalla struttura commissariale arriva lo stop a qualsiasi contratto futuro. Buini ricorda che «avevamo già venduto un milione di mascherine al commissario» e che «nonostante numerosi controlli non hanno mai avuto contestazioni». A differenza di quelle acquistate tramite Benotti, certificate in deroga e poi sequestrate perché non a norma, «la nostra certificazione invece ha seguito l'Iter ordinario indicato dalla Comunità Europea ed è stata rilasciata dopo un esame approfondito dei dati risultanti da test di laboratorio». Arcuri ha dichiarato anche ai pm che in quel periodo «abbiamo fermato la distribuzione di mascherine in presenza di fatti certi». Ma di certezze in questa storia pare ve ne siano ben poche. Lodovica Bulian

Dritto e Rovescio, Giorgia Meloni sul caso-Morisi: "Mi preoccupa che sia tutto organizzato. Per Arcuri la magistratura dov'era? ". Libero Quotidiano l’01 ottobre 2021. "Certe cose in Italia fanno riflettere parecchio": Giorgia Meloni commenta così il caso Luca Morisi, ex responsabile della comunicazione di Matteo Salvini, nel salotto di Paolo Del Debbio a Dritto e Rovescio su Rete 4. "Io non giudico le scelte personali, ma stiamo comunque parlando di una persona che non ha incarichi istituzionali o politici", ha continuato la leader di Fratelli d'Italia. Che poi ha aggiunto: "Parliamo di una vicenda che ad oggi non ha profili giudiziari rilevanti. Quindi vorrei capre perché da tre giorni tutti parlano solo di questo". Per la Meloni, inoltre, sarebbero sospetti pure i tempi dello scandalo: "Questi sono fatti risalenti al 14 agosto, un mese e mezzo fa. Si vota tra pochi giorni, è normale questo tempismo? Mi preoccupa l'idea che queste cose siano un po' organizzate, mentre sembra non ci si occupi di cose più serie". A tal proposito la Meloni ha fatto riferimento all'ex commissario Domenico Arcuri: "Lui in periodo di pandemia ha comprato 100 milioni di mascherine al prezzo di 1,05 euro dai cinesi tramite una società olandese con un solo dipendente, mascherine per il 50% farlocche. Posso chiedere dov'è la magistratura?". Secondo la leader di FdI, infatti, ci sarebbero due pesi e due misure: "Mi pare che in questo Paese cose che non hanno una rilevanza la assumano perché bisogna colpire qualcuno e cose che hanno una rilevanza nessuno le racconti perché bisogna tutelare qualcuno". Parlando del green pass, infine, ha sottolineato: "L'Italia è l'unico Paese che ha portato il certificato verde da 9 a 12 mesi. Quindi una persona è automaticamente portata a ritenere che la copertura del vaccino sia 12 mesi, ma se lei va sul sito dell'Ema o dell'Aifa scoprirà che nessuno sa dirle esattamente quale sia la copertura dei vaccini. Una confusione totale". E infine: "Penso che il green pass sia una grande arma di distrazione per non far vedere cosa il governo non ha fatto".

Nello Trocchia per editorialedomani.it il 30 settembre 2021. Le mascherine arrivate in Italia per fronteggiare l’emergenza covid erano un affare per gli intermediari che hanno ricevuto ricche provvigioni, ma erano fallate per i medici, gli operatori sanitari che le hanno indossate. L’indagine della procura di Roma sulle mascherine e il presunto traffico di influenze è a un punto di svolta e, sentiti gli indagati, la pubblica accusa potrebbe notificare l’avviso di conclusione delle indagini. Questione di qualche settimana per l’inchiesta che vede indagati, tra gli altri, Mario Benotti che sfruttando il rapporto di conoscenza con l’allora commissario Domenico Arcuri, ha ottenuto una ricca provvigione, da 12 milioni di euro, dalle aziende che hanno fatto arrivare in Italia 800 milioni di mascherine. Indagini che vedono lo stesso Arcuri indagato, in un fascicolo separato, per corruzione, la procura per questo reato ha chiesto l’archiviazione, visto che non è stata trovata alcuna utilità per il commissario, ma il giudice per le indagini preliminari Paolo Andrea Taviano non ha ancora deciso. L’inchiesta principale, invece, procede spedita come testimonia il provvedimento della corte di Cassazione che ha confermato il sequestro disposto a carico proprio di Benotti, giornalista Rai in aspettativa con molte conoscenze in Vaticano e a palazzo. La corte di Cassazione ha depositato pochi giorni fa le motivazioni della sentenza, emessa lo scorso giugno, che ha respinto il ricorso di Mario Benotti che chiedeva la revoca del sequestro degli 872 mila euro, messi sotto sigillo della guardia di finanza perché ritenuti «parte del prezzo dell'indicata ipotesi di reato». Il reato contestato è quello di traffico di influenze. In pratica, a causa della pandemia, il governo ha sospeso il codice degli appalti e consentito al commissario di governo per il contrasto al covid di procedere agli acquisti senza gara. Non solo. Il decreto cura Italia che introduce la figura del commissario, scritto grazie anche ai «suggerimenti» di Benotti, ha previsto uno scudo per gli atti sottoscritti dal commissario, che vengono sottratti al controllo della Corte dei conti e anche «alla responsabilità contabile e amministrativa». Lo scudo scatta identico per i membri del Cts, il comitato tecnico scientifico. L’esigenza di fare presto si è concretizzata nell’agevolazione di alcuni imprenditori in grado di sfruttare intermediari in rapporti diretti con il commissario di governo. È il caso di Mario Benotti e Domenico Arcuri, il primo attore del traffico di influenze, il secondo trafficato. «Benotti si era accreditato presso la struttura commissariale per il solo motivo di essere amico dell'Arcuri, da un lato prospettando al Tommasi la possibilità di attivare un'interlocuzione diretta con il commissario straordinario garantendogli un accesso preferenziale alla struttura, dall'altro lato sfruttando tale rapporto anche presso i collaboratori dell'Arcuri», scrivono i giudici della cassazione respingendo il ricorso di Benotti. In pratica, grazie all’amicizia con Arcuri, Benotti ha garantito una corsia preferenziale al sodale indagato Andrea Tommasi e una scorciatoia rispetto altri imprenditori. «In assenza dell'intervento effettuato dal Benotti presso l'Arcuri e la relativa struttura commissariale, l'offerta promossa dal Tommasi per conto delle società cinesi non sarebbe stata neppure avanzata», ribadiscono nella sentenza i giudici della corte di Cassazione. L’indagine principale, coordinata dal procuratore Paolo Ielo, però, non riguarda soltanto il traffico di influenze in merito alla mega provvista di dispositivi di protezione. Le mascherine hanno prodotto una pioggia di soldi per gli intermediari, ma anche un possibile danno a chi le indossava. Dovevano proteggere medici, infermieri, personale delle residenze per anziani, ma invece erano fallate. Praticamente, nel caso di un modello, la mascherina doveva avere una capacità di penetrazione del 6 per cento e, invece, risultava del 60 per cento, dieci volte superiore. Per questo la procura, inizialmente l’indagine era a Gorizia, indaga per frode in pubbliche forniture e falso. La finanza, in questi mesi, ha sequestrato 195 milioni di mascherine non a norma provenienti dalla Cina e appartenenti alla mega commessa affidata a due consorzi asiatici. Benotti si difende dicendosi estraneo e chiarendo che il mediatore non ha alcuna responsabilità sulla qualità delle mascherine, i controlli spettano agli enti preposti. Quali? I prodotti sono stati certificati da Inail e dal Cts», hanno sempre chiarito dallo staff di Arcuri. Controlli effettuati solo attraverso la validazione di documenti senza effettuare analisi di laboratorio come consentito dalle norme emergenziali. L’indagine punta a capire l’eventuale falso che si nasconde dietro la certificazione di prodotti non corrispondenti ai requisiti previsti. Le mascherine erano prodotti eccezionali solo per le tasche di chi ha mediato l’affare miliardario.

DA blitzquotidiano.it il 17 settembre 2021. Mascherine Ffp2 importate dalla Cina nel pieno della pandemia – nel 2020 – evadendo Iva e dazi, commercializzate con sovrapprezzo. Vendute anche alle strutture sanitarie, e peraltro neanche a norma visto che permettevano una percentuale di filtraggio di agenti patogeni di oltre dieci volte quanto previsto dalle norme di riferimento. È il giro illecito scoperto in Emilia-Romagna dalla Guardia di Finanza di Ravenna che aveva già eseguito alcuni provvedimenti nei mesi scorsi.

Le mascherine non a norma. Oggi quindi sequestro di beni per oltre 11 milioni, come profitto dei reati di contrabbando e truffa aggravata ai danni delle strutture sanitarie dell’Emilia-Romagna. Poi sequestro di tre milioni e mezzo di mascherine. Due persone risultano indagate, amministratori delle società coinvolte. Il sequestro è relativo a una serie di operazioni di importazione risalenti al periodo da aprile ad agosto 2020. Le indagini erano partite a novembre 2020, a partire da un controllo a una società con sede a Faenza. Degli 11 milioni di beni sequestrati, 4,2 milioni sono considerati profitti del reato di contrabbando costituito dai dazi doganali e dall’Iva all’importazione evasi. 7,1 milioni circa come provento della truffa aggravata pari al prezzo riscosso per le mascherine non filtranti.

Le mascherine che lasciavano passare il Covid. La società con sede a Faenza da cui erano partite le indagini a novembre scorso dall’inizio dell’emergenza sanitaria aveva effettuato importazioni dalla Cina. Sfruttando la speciale procedura di svincolo diretto, che prevedeva l’esenzione dall’applicazione di dazi ed Iva all’importazione su questa tipologia di prodotti. Ma solo nel caso in cui fossero immediatamente consegnati, senza alcun ricarico commerciale, alle strutture sanitarie pubbliche impegnate nella lotta alla pandemia. Nulla di tutto ciò accadeva.

L'avvocato della società è indagato per frode. Mascherine per Protezione Civile spacciate per chirurgiche, sequestro da 6 milioni. Riccardo Annibali su Il Riformista il 23 Luglio 2021. Le mascherine consegnate alla Protezione Civile un anno fa per far fronte alla prima fase dell’emergenza pandemica erano del tipo generico ma sono state vendute al prezzo di quelle chirurgiche. I militari del Comando provinciale della Guardia di Finanza di Roma hanno dato esecuzione al decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari del locale Tribunale, su richiesta della Procura della Repubblica, per una somma complessiva di oltre 5,8 milioni di euro pagate alla Winner Italia S.r.l., società con sede a Guidonia a nord est di Roma.

CHIRURGICHE E GENERICHE, LA DIFFERENZA – A fronte di ordinativi relativi a mascherine chirurgiche – intese come dispositivi medici – la società ha fornito 6.612.000 mascherine filtranti 3 veli con elastici, classificabili, invece, come mascherine generiche, molto simili alle prime ma non idonee per uso sanitario, che sono poi state distribuite ai vari Dipartimenti Regionali di Protezione Civile. Il periodo al quale si fa riferimento, che corrisponde alle richieste di fornitura da parte delle a protezione civile risale a marzo 2020.

L’AVVOCATO DELLA SOCIETÀ È INDAGATO – Il rappresentante legale della società a seguito di richieste di chiarimenti ha tentato di dissimulare la diversità del prodotto fornito. Ora è indagato per l’ipotesi di reato di frode nelle pubbliche forniture. L’avvocato ha anche richiesto, sfruttando la possibilità prevista dalla normativa emergenziale nel frattempo emanata, la validazione ai fini della commercializzazione, con istanza di valutazione in deroga all’Istituto Superiore di Sanità. 

IL SEQUESTRO – Considerato che il prezzo di vendita era stato concordato con riguardo a un prodotto che avrebbe dovuto avere caratteristiche diverse, con conseguente danno patrimoniale arrecato alla Pubblica Amministrazione, è stato disposto il sequestro di somme pari all’intero importo pagato alla società, quale profitto del reato allo stato contestato. L’operazione si inserisce nel quotidiano lavoro della Procura della Repubblica e della Guardia di Finanza di Roma per la salvaguardia del corretto impiego delle risorse finanziarie utilizzate per l’acquisizione dei dispositivi sanitari necessari per fronteggiare l’emergenza sanitaria per la tutela della salute pubblica e dei sanitari. Riccardo Annibali

Federico Capurso per "La Stampa" l'8 giugno 2021. L'Autorità nazionale anticorruzione guidata da Giuseppe Busia ha acceso un riflettore sulle partite di mascherine acquistate dalla Difesa in piena emergenza Covid. Nel mirino dell'Anac sono finite cinque milioni e mezzo di mascherine chirurgiche comprate dall'Agenzia industrie della Difesa in cinque tranche diverse, a partire dal 1 aprile, nelle caotiche settimane immediatamente successive all'inizio della pandemia in Italia. E altri 6 milioni di mascherine presi a ottobre, all'alba della seconda ondata. L'importo complessivo dell'investimento è di circa 3 milioni di euro, spesi secondo Busia senza però rispettare alla lettera le norme anticorruzione. Procedure sbagliate, controlli «carenti» sulle aziende fornitrici - sostiene Anac - e «un improprio ricorso al Mercato della Pubblica amministrazione», attraverso il quale l'ente della Difesa individuava le società a cui rivolgersi. Nella delibera dell'Anac, depositata venerdì scorso, si legge che l'ente per gli acquisti interni della Difesa «ha impropriamente affidato» quelle forniture ad alcune aziende e lo ha fatto per sei volte tra aprile e giugno, e per altre due volte nel secondo semestre dell'anno, a ottobre. Impropriamente, scrive Busia, perché gli importi di quelle forniture erano superiori alla soglia massima prevista dall'Europa per evitare una gara pubblica. Importi che inoltre non sono stati nemmeno comunicati all'Anac. Si poteva andare in deroga, come previsto dalla Protezione civile in un momento di crisi pandemica, ma l'utilizzo della deroga non sarebbe stato indicato «compiutamente» nelle procedure di acquisto, sostiene Busia. E non si sarebbero nemmeno «osservate le seppur minime garanzie previste» dall'ordinanza che quella deroga la introduceva, tra cui l'autorizzazione preventiva dell'acquisto da parte della Protezione civile. L'Agenzia della Difesa prova a chiarire. Le verifiche sulle aziende ci sarebbero state - viene fatto notare all'Anac - sia sulla piattaforma digitale della Pa, sia sugli albi dei fornitori. Se poi sono mancate le comunicazioni dei prezzi all'Anac - pur non essendoci «disponibilità di prezziari ufficiali» - sono stati comunque confrontati con quelli di altre grandi stazioni appaltanti, come Consip e Protezione civile, superando così alcuni scogli «per l'evidente urgenza imposta dall'emergenza». Verrebbe il dubbio che con la fretta le mascherine siano state pagate troppo, e invece «i prezzi si attestano tra quelli più bassi rilevati dall'Anac nella sua indagine conoscitiva dell'agosto 2020», si giustifica l'Agenzia della Difesa. Per l'Autorità anticorruzione, però, le verifiche sulle aziende fornitrici «non risultano sufficienti», perché non si potevano valutare alcuni «requisiti» come la certificazione antimafia o il casellario giudiziale. Ed è vero - ammette l'Autorità anticorruzione - che «il prezzo degli affidamenti risulta in linea con quello indicato», ma sta di fatto che l'ente della Difesa «non ha effettuato la procedura di comunicazione», né la «richiesta di parere di congruità». E non c'è Covid che tenga.

Giuseppe Scarpa per “Il Messaggero” il 4 giugno 2021. Le mascherine false arrivano anche in Parlamento. Una denuncia a firma del vice segretario generale della Camera, Guglielmo Romano, solleva il problema su una partita di Ffp2 ordinata in tre tranche e consegnata i primi dello scorso marzo. Dispositivi che si sono rivelati non a norma, perciò con seri dubbi sulla qualità e capacità di protezione. Dubbi che non sono stati chiariti da parte dell'azienda incaricata della fornitura, e anzi quando sono state richieste delle spiegazioni le risposte sono state poco convincenti. Tanto da spingere i vertici della Camera a denunciare il tutto. Andiamo con ordine. Prima di tutto l'intera partita è stata consegnata «priva della certificazione» che ne attesta la reale capacità di filtraggio. Insomma un problema non da poco. Anche perché, quando la documentazione a corredo dei prodotti è stata reclamata, con grande insistenza da parte di Montecitorio, la società avrebbe risposto spedendo degli attestati falsi. O meglio certificati in deroga dell'Inail (quindi in attesa di un definitivo benestare) su un prodotto diverso rispetto a quello ordinato, spedito e consegnato a Montecitorio. Un comportamento che ha insospettito, e non poco, Romano e il suo entourage tanto da presentare una denuncia nel commissariato di polizia della stessa Camera dei Deputati. La denuncia, ovviamente, si è trasformata subito in un'indagine della procura di Roma. Adesso, se dietro il caso mascherine in Parlamento, ci sia il tentativo di cercar di imbrogliare una delle più importanti istituzioni del Paese, oppure se si sia trattato di un malinteso, di un errore con invio di documenti sbagliati, è ancora presto per dirlo. L'inchiesta è solo all'inizio, e l'indagine servirà a chiarire l'intera faccenda. Di certo un danno già è stato arrecato. Perché, nel frattempo, le 20mila mascherine sono state congelate ma i soldi pubblici per comperarle sono già stati bonificati. Di certo è una storia singolare quella che riguarda l'ordine dei dispositivi voluto dai vertici di Montecitorio. Tutto inizia con il primo lotto, 5.500 pezzi al prezzo di 0,92 euro più Iva per ciascuna Ffp2. Questo è il costo pattuito. Il primo acquisto porta la data del 4 novembre 2020. Pochi giorni dopo, il 10, parte il secondo ordinativo, questa volta con un numero più elevato: intorno alle 12mila unità. Ma la richiesta di forniture per la Camera dei Deputati non si ferma. Ed ecco che il 2 di dicembre ne vengono richieste ulteriori 4mila, sempre alla stessa società. L'intera somma viene poi liquidata dalla tesoreria della Camera tra il dicembre del 2020 e il gennaio 2021. Le Ffp2, però, non arrivano immediatamente. L'otto marzo 2021 vengono recapitati i primi pacchi. Ma subito chi di dovere si rende conto che c'è qualche cosa che non va. I dispositivi non sono confezionati come richiesto. Sono divisi in pacchetti per un numero superiore a quanto precisato nell' ordine. Ma questo è un problema secondario rispetto al fatto che non è stato consegnato il certificato che comprovi la regolarità e la qualità delle Ffp2. Ecco allora che parte un'email con la richiesta di inviare la documentazione al più presto. Anche perché le mascherine devono essere distribuite con una certa celerità. La missiva riceve una risposta per niente convincente: certificati di altre mascherine, non quelle vendute e consegnate alla Camera dei Deputati. Per i vertici di Montecitorio è troppo. La decisione è quella di rimettere tutto nelle mani degli inquirenti. Quindi la denuncia viene presentata nel commissariato di polizia della Camera.

Erica Dellapasqua per il “Corriere della Sera - Edizione Roma” il 16 maggio 2021. I presidi non sanno più dove mettere le mascherine che il governo continua a inviare ma che la maggior parte degli studenti e degli insegnanti rifiutano, o perché giudicate scomode o perché, soprattutto i prof, preferiscono le più protettive Ffp2. Così, nell' anno in cui la penuria di spazi già costringe molte scuole a incrementare la Dad, diventa un problema anche la giacenza. Antonio Palcich, preside dell' Enriques di Ostia, proprio ieri ha ricevuto le sue nuove torri di scatoloni - sei - scaricate col muletto all' ingresso del liceo: «E la prossima settimana si replica! Ne abbiamo 163 mila per 1.900 alunni, in altre parole non sappiamo più dove metterle. E poi la qualità è nettamente peggiorata e sono inadatte ai più piccoli, infatti nell' altra mia scuola i genitori le hanno donate alla Città dei ragazzi». La gestione commissariale ha reso noto che sono almeno due miliardi le mascherine che giacciono inutilizzate nelle scuole italiane, e anche nell' ultimo sondaggio di ScuolaZoo il 96% degli alunni ha dichiarato di portarsele da casa perché quelle «governative» non sono di qualità o hanno un cattivo odore. Il Lazio è secondo, dopo la Lombardia, per quantità distribuite: 188 milioni 518 mila recapitate al 12 maggio. Ma, appunto, la maggior parte inutilizzate. «Le ho provate anch' io ed effettivamente i ragazzi non esagerano, è complicato indossarle e schiacciano il naso - conferma Maria Rosaria Autiero, preside del liceo Amaldi che secondo la gestione commissariale ha ricevuto 299.480 mascherine -. Adesso a scuola ne abbiamo 100 mila per 1.960 alunni, ma molti non le usano: io chiedo solo che se le cambino all' ingresso, anche le loro, così abbiamo la certezza che non sono le stesse che usano per arrivare qui». Erano più apprezzate le chirurgiche standard, dei primi tempi, rispetto alle attuali, le cosiddette «mascherine mutanda», coi due elastici che fanno il giro della testa: «Troppo grandi per i bimbi della primaria, ed è vero che non hanno un buon odore - dice Giusy Ubrìaco, preside dell'istituto comprensivo Villaggio Prenestino -. Ci è toccato anche sgridare gli alunni perché noi siamo comunque tenuti a consegnarle ed è capitato di ritrovarle abbandonate in cortile...». Le usano in pochi anche all' Alberghiero Vespucci a Casal Bruciato: «Un 30% al massimo - racconta la preside Maria Teresa Corea -: gliele diamo all' uscita, almeno possono usarle per i mezzi». Doppia spesa, poi, all' Agrario Sereni sulla Prenestina: «Il comitato tecnico scientifico ha bocciato le Ffp2 sconsigliando l'uso prolungato - spiega la preside Patrizia Marini -, ma dato che spesso il paraschizzi non è sufficiente per gli insegnanti di sostegno le acquistiamo noi, coi fondi della scuola». Valeria Sentili, dell'istituto comprensivo Morvillo, nota che «le ultime arrivate sembrano poco efficaci, sono quasi trasparenti: o le buttano o le danno a casa». Infine c' è il paradosso delle scuole dell'infanzia comunali, rifornite dai Municipi anche se i bimbi (sotto i 6 anni) non devono indossa rle. Il Giardino dei Colori (Villa Gordiani) ne ha ricevute 5.560: «Ogni volta supplichiamo i corrieri di non lasciarcele, ma rispondono ch…

Da repubblica.it il 30 marzo 2021. Oltre 60 milioni di mascherine, custodite in depositi in tutto il territorio nazionale, e in attesa d'essere distribuite, sono state sequestrate questa mattina dalla Guardia di Finanza della compagnia di Gorizia perché non conformi alle normative vigenti e pericolose per la salute. L'operazione nasce da una precedente inchiesta della Procura di Gorizia sui dispositivi di protezione individuale assegnati alle Aziende sanitarie del Friuli Venezia Giulia. Si tratta del residuo di forniture, per circa 250 milioni di pezzi, ereditato dalla precedente gestione della struttura nazionale per l'emergenza. Le analisi di laboratorio, eseguite dalle Fiamme Gialle, hanno evidenziato che in alcuni casi la capacità filtrante delle mascherine sequestrate è risultata 10 volte inferiore rispetto a quanto dichiarato, con conseguenti rischi per il personale sanitario che le aveva utilizzate nella falsa convinzione che potessero garantire un'adeguata protezione. I finanzieri di Gorizia stanno acquisendo documentazione e dati informatici per ricostruire le responsabilità nella catena di approvvigionamento e verificare quante mascherine della stessa tipologia siano state impiegate o sono tuttora in uso su tutto il territorio nazionale.

Giuseppe Scarpa per “il Messaggero” il 29 marzo 2021. Una mascherina su dieci che arriva in Italia, tra chirurgiche, ffp2 o ffp3 non è originale, non supera i test di filtraggio. Inoltre il 62% delle pratiche per commercializzare le mascherine (chirurgiche) non riceve la validazione da parte dell' Istituto superiore di sanità, l' Iss. Insomma molti presidi che per legge debbono garantire le indispensabili capacità filtranti per proteggere chi l' indossa dal Coronavirus, in realtà non lo fanno. Il primo dato arriva dalle agenzie delle dogane. Il 10% del materiale analizzato nei laboratori diretti da Alessandro Proposito non supera i controlli. I dispositivi hanno solo le sembianze di quelle autentiche ma non ne adempiono i requisiti di sicurezza. Perciò niente potere filtrante come da standard che questi prodotti devono garantire. Cosa sarebbe accaduto se le avessero indossate ignari cittadini o medici in ospedale nella convinzione di proteggersi? Isabella Mori responsabile del servizio di tutela di Cittadinanzattiva spiega che «occorre stare attenti. Per quanti controlli si possano realizzare - sottolinea - il rischio 0 non esiste e purtroppo migliaia di mascherine che non rispettano la legge entrano comunque nel mercato. Occorre che i consumatori siano avveduti. Ad esempio verifichino sempre la presenza del marchio Ce». In generale, aggiunge Mori, «il fatto che purtroppo sono presenti mascherine false non deve scoraggiarne l' impiego». Il 10% è una percentuale indicativa, le dogane lavorano infatti su campioni di merce. Non potrebbero fare altrimenti. Sarebbe pressoché impossibile verificare tutti i lotti. In Italia, da quando è esplosa l' emergenza Covid-19, sono state sdoganate quasi 4 miliardi e seicento milioni di mascherine, di cui 3 miliardi e 600 milioni di chirurgiche, 600 milioni tra ffp2 e ffp3 e il restante di cosiddette generiche. In questa battaglia di retroguardia i difensori della salute pubblica non sono medici e infermieri, bensì l' agenzia delle dogane. Oltre al lavoro nei laboratori, attivati da quasi tre mesi, dove viene eseguito un controllo fisico, vi è un primo esame documentale. Ovvero se i certificati che accompagnano i prodotti sono autentici oppure se corrispondono alla merce introdotta. Gli uffici diretti da Davide Miggiano, dirigente su Civitavecchia e Fiumicino, due delle principali porte d' ingresso del Paese, seguono inoltre quelle mascherine che in Italia sono state sdoganate in deroga. Di fatto non tutti i presidi vengono accompagnati all' ingresso nel nostro Paese dalle certificazioni. La validazione in deroga, adottata per snellire l' iter burocratico, permette l' introduzione nel territorio nazionale senza la vendita, salvo poi ricevere l' autorizzazione definitiva da parte di Iss e Inail. Ma per il 62% delle pratiche lavorate dall' Iss arriva un secco no. A questo punto le dogane si attivano per verificare che l' importatore le commercializzi come generiche (quindi con scarsissimo potere filtrante, almeno per quanto riguarda i virus) e non più come chirurgiche, ffp2 o ffp3. La nuova corsa all' oro, partita a marzo, è esplosa con l' emergenza mondiale causata dal Coronavirus. Il business planetario questo ultimo anno è diventato un elastico che si infila dietro le orecchie, un tessuto grande 33 centimetri per 25 che si mette sopra bocca e naso. Ma il punto fondamentale è uno: ci sono mascherine e mascherine. Perciò, come nella compravendita del metallo più prezioso, c' è chi gioca sporco. Speculatori e avventurieri si lanciano, cercano di agguantare l' affare della vita. In questo modo nel mercato si tenta di fare entrare di tutto. Una condizione che, nel complesso, non era sfuggita all' Olaf (Ufficio europeo per la lotta antifrode), che già dal 20 marzo dell' anno scorso aveva anticipato l' allarme: «Prevenire l' ingresso di prodotti contraffatti in Europa è fondamentale per proteggere la nostra salute e lottare contro il virus». Insomma da strumento necessario a livello planetario per tamponare l' avanzata del Covid-19 a merce ambita con cui fare soldi il passo è stato breve. La crescita esponenziale della domanda ha innescato una spirale spaventosa su presidi sanitari falsi e inefficaci, con chi cerca di immettere nel mercato delle repliche artefatte delle uniche mascherine capaci di garantire una reale sicurezza. Perciò diverse aziende di prodotti medici hanno lanciato l' allarme: «attenzione a quei prodotti non danno nessuna garanzia di protezione, per la grandezza della trama del tessuto che non sempre ha il potere filtrante richiesto».

Da "blitzquotidiano.it" l'11 marzo 2021. Quanto hanno speso gli italiani in farmacia nel 2020 per le mascherine? Tanto. Come ovvio. Tantissimo. Ecco qualche cifra. Nel 2020 gli italiani hanno speso in farmacia 164 milioni di euro solo per le mascherine (chirurgiche, Ffp2, di stoffa lavabili) anti Covid. Le vendite di questo dispositivo di sicurezza sono centuplicate rispetto al 2019 sia in volumi (i pezzi venduti) che in valori (fatturato in euro). A fornire queste cifre è Iqvia, provider globale di dati in ambito sanitario, farmaceutico, tecnologie innovative, consulenza e servizi di ricerca clinica. Boom dei prodotti usati per la disinfezione delle mani che sono aumentati a volumi del 1125% rispetto all’anno precedente, i guanti protettivi sono aumentati del 105,2% e i termometri dell’80,1%.

Coronavirus, Federfarma: “Fuori dalle farmacie venduto il triplo delle mascherine”. Le vendite di mascherine al di fuori delle farmacie non sono censite e non esiste un dato ufficiale ma, la cifra spesa degli italiani per questo dispositivo di sicurezza acquistato online, nei supermercati o dal tabaccaio dovrebbe essere dalle due alle tre volte in più rispetto a quella in farmacia: oltre i 490 milioni di euro. A fare una stima è il presidente di Federfarma Servizi Antonello Mirone sulla base della conoscenza del settore e delle richieste ai fornitori.

Piazzapulita, Massimo Galli in imbarazzo: "Che mascherine hanno usato al Sacco di Milano". Via libera al contagio da Covid. Libero Quotidiano il 12 marzo 2021. "All'ospedale Sacco sono andati alla guerra contro il coronavirus con uno scolapasta". A Piazzapulita l'inviato Max Andreetta svela uno scandalo italiano, che lascia sconcertato Corrado Formigli, gli ospiti del talk di La7 e i telespettatori a casa. L'inviato si presenta in studio con una scatola di mascherine KN95, giudicate non conformi dalle autorità sanitarie europee e sostanzialmente incapaci di fermare il contagio da Covid. Eppure, fino a dicembre 2020, erano le stesse mascherine usate dai dipendenti dell'ospedale Sacco di Milano, uno dei tempi della lotta al virus, in prima fila fin dall'inizio dell'epidemia un anno fa. Lo stesso ospedale di cui Massimo Galli, virologo star in tv e tra i portavoce dell'ala più "pessimista" degli scienziati italiani, è direttore del reparto di Malattie infettive. "Siamo stati in dogana - spiega Andreetta - e ci abbiamo trovato scatoloni di mascherine KN95 ferme. Poi sono stato al Sacco, ho parlato con chi ci lavora e mi hanno dato queste". Con la mano tira fuori da una scatola una comunissima mascherina bianca, proprio del tipo KN95, sigla "che per l'Europa non vuol dire nulla", aggiunge il giornalista di Formigli. "Al Sacco - è la traduzione per i meno esperti - hanno utilizzato fino a dicembre 2020 anche mascherine non conformi: sulla scatola c'è scritto "non a uso medico". Solo di recente è arrivato il carico di mascherine CE". Formigli lo ascolta stranito: significa che il personale di uno dei luoghi più esposti al contagio da Covid è stato lasciato disarmato, esponendo se stesso e gli altri all'infezione.

Covid: “Mascherine cinesi, una su due non protegge". L'allerta della Procura di Gorizia: "Ritiratele". Ecco i lotti a rischio. Fabio Tonacci su La Repubblica il 13 aprile 2021. Ffp2 e Ffp3 nel mirino: dieci volte sotto lo standard. La struttura di Arcuri ne aveva importate 250 milioni. Ce ne sono ancora nelle Asl e negli ospedali. È peggio di quel che sembrava. La voragine delle mascherine cinesi che non proteggono, nelle ultime ore, si è fatta abisso. Ha inghiottito qualsiasi certezza dei medici e degli infermieri che hanno, o hanno avuto, la sventura di indossarle negli ospedali e nei reparti Covid. Perché, a stare alle evidenze raccolte dalla procura di Gorizia, la metà dei Dispositivi di protezione individuale (Dpi) che la Struttura commissariale ha importato dalla Cina non è buona. Uno su due non filtra a sufficienza. La documentazione turca che ne attesta la conformità alle direttive Ue appare contraffatta. Il virus passa. Il virus, dunque, infetta.

I sequestri. Il portato del chinese job sta tutto nei numeri. Dodici interi lotti di facciali modello Ffp2 e Ffp3 - quelli ad alta protezione usati da chi lavora in corsia, negli ambulatori o nelle Residenze per anziani - sono sotto inchiesta. Esaminati da due laboratori italiani, a Torino e a Milano, diversi campioni di quei lotti sono risultati avere capacità filtranti "anche dieci volte inferiori" agli standard. Si tratta di 250 milioni di mascherine, acquistate nei primi sette mesi dello scorso anno dal Commissario Domenico Arcuri, validate dal Comitato tecnico scientifico, distribuite nelle Asl di tutta Italia. Dettaglio, quest'ultimo, che ha fatto scattare l'allerta nazionale e la corsa al ritiro a scopo precauzionale. Le direzioni generali regionali stanno inviando circolari urgenti a enti pubblici e privati del Sistema sanitario, ai governatori, agli assessori. "A seguito di comunicazione pervenuta dalla Guardia di Finanza di Gorizia relativa al sequestro di Dpi risultati non conformi alle normative - si legge - si dispone il blocco immediato dell'utilizzo e il richiamo delle mascherine indicate".

I dodici lotti sotto inchiesta. Segue l'elenco dei lotti, così come appare nel decreto di sequestro dei pm di Gorizia: facciale Scyfkz N95, facciale Unech KN95, facciale Anhui Zhongnan, facciale Jy-Junyue, facciale Wenzhou Xilian, facciale Zhongkang, facciale Wenzhou Husai, mascherine filtranti Wenzin della Tongcheng Wenzin, mascherine Bi Wei Kang della Yiwu Biweikang, facciale Simfo KN95-Zhyi-Surgika (quest'ultima con sede nell'Aretino), facciale Wenzhou Leikang, facciale Xinnouzi della Haining Nuozi Medical Equipement. Il 31 marzo i finanzieri rintracciano e bloccano 60 milioni di pezzi in giacenza nei depositi della Struttura commissariale sparsi sul territorio nazionale. Il problema, però, sono le mascherine già distribuite e tuttora in circolazione. Centonovanta milioni di pezzi. Impossibile stabilire quante siano già state utilizzate. In tutto, comprese quelle sequestrate, sono 250 milioni. Una cifra spaventosa, perché corrisponde alla metà degli acquisti conclusi da Arcuri sul mercato estero: abbiamo importato 300 milioni di Ffp2 e 231 milioni di FFp3, quasi tutte dalla Cina. Poi, da luglio 2020 in poi, gli acquisti esteri sono stati azzerati.

Le richieste delle Usl. A febbraio di quest'anno i presidi sanitari di Gorizia e Monfalcone hanno mandato due esposti al procuratore capo Massimo Lia, magistrato serio e cauto. Nelle denunce i sanitari scrivono che i Dpi forniti dalle loro Asl sono taroccati. Non aderiscono bene al volto. Al tatto, risultano di materiale scadente. I finanzieri vanno a prelevare gli scatoloni, ne annotano i lotti di provenienza, li fanno analizzare da due laboratori. "In alcuni casi la capacità filtrante (95 per cento per le Ffp2, 99 per cento per le Ffp3) è risultata inferiore di dieci volte rispetto a quanto dichiarato". Scattano i sequestri e viene acquisita documentazione presso Invitalia, la sede dell'ex commissario. Una parte consistente dei Dpi ha il marchio CE2163 del laboratorio turco UniversalCert, già al centro - come raccontato da Repubblica - di dubbi e polemiche.

Frode in pubbliche forniture. Il pm titolare dell'indagine, Paolo Ancora, all'inizio ha ipotizzato il reato di frode in commercio, ora si sta orientando verso la frode in pubbliche forniture. In questo caso, la Struttura commissariale di Arcuri figurerà come parte lesa. I lotti in oggetto, del resto, sono stati validati dal Cts, chiamato, col supporto dell'Inail, a verificare la certificazione presentata da produttori cinesi e importatori. Nelle fasi più dure della pandemia, non c'era tempo di sottoporre il materiale a test intensivo. In deroga alla normativa Ue, quindi, abbiamo lasciato entrare di tutto. Quel tutto che poi è finito sul viso del personale sanitario in prima linea contro il Covid. E che, al Covid, ha pagato un tributo drammatico: 352 medici e 81 infermieri sono morti. Contagiati in servizio.

L'ira dei sanitari: "Mascherine inidonee, inaccettabile". Roberta Grima il 12 Aprile 2021 su Il Giornale. La protezione civile della Puglia blocca 5 milioni di mascherine perchè considerate inidonee. Paura e rabbia degli operatori sanitari: "non é più accettabile." Ancora una volta operatori sanitari mandati "al macello" tra le corsie Covid con mascherine "farlocche". Medici, infermieri, Oss hanno lavorato sino a ieri con dispositivi che le Asl hanno distribuito loro. Le stesse protezioni che la protezione civile della regione Puglia ha poi ritirato perché non idonee. Si tratta infatti di 5 milioni di mascherine (un milione e mezzo di FFP2 e tre milioni e mezzo di FFP3) ritirate dal responsabile della protezione civile della Puglia Antonio Mario Lerario. E in particolare delle dodici tipologie provenienti dalla Cina che sono state consegnate dalla struttura del commissario nazionale per l'emergenza Covid nell'autunno scorso e che adesso sono state catalogate inidonee a proteggere dal Coronavirus. "Abbiamo riscontrato - ha detto il dottor Lerario a IlGiornale.it - che nell'ampio numero di mascherine che la Puglia riceve costantemente dalla struttura commissariale (sono circa una quarantina i modelli che ci arrivano), ci sono queste dodici tipologie cinesi prive delle certificazioni e delle autorizzazioni nazionali e internazionali". Si tratta di dispositivi che non ha acquistato la Puglia, ma che arrivano dall'ente commissariale e che sono stati impiegati in minima parte proprio perché - come ci dice il responsabile della protezione civile - laddove possibile, si é voluto prediligere altro materiale certificato. Tuttavia le mascherine in questione sono state ricevute, consegnate e distribuite negli ospedali, in quanto il comitato tecnico scientifico le aveva comunque validate. Dall'autunno ad oggi però, molti medici, infermieri e Oss hanno lavorato convinti di indossare mascherine adatte ed essere protetti da un possibile contagio, salvo poi scoprire sulla confezione la dicitura "Non medical" che ha allarmato. A stabilire che i dodici modelli cinesi non siano adatti, è stata la Guardia di Finanza di Gorizia che il 3 marzo scorso ha sequestrato in Friuli Venezia Giulia poco più di 2 milioni di mascherine per un totale di nove partite provenienti dal commissario nazionale per l'emergenza Covid, stessi dispostivi che sono circolati anche in altre regioni come la Puglia. Le mascherine avevano palesi difetti benché validate dal comitato tecnico scientifico. "Hanno lavorato secondo norme di legge", ha sottolineato Lerario a proposito dell'autorizzazione che il comitato tecnico scientifico ha rilasciato. Resta il fatto però, che lo stesso Lerario si è visto poi costretto al ritiro delle mascherine comunicando con una nota del 10 aprile scorso, il blocco immediato. "A seguito di comunicazione perveuta dalla guardia di finanza di Gorizia, relativa al sequesto di DPI risultati non conformi alle normative vigenti- si legge - in ordine ad attività svolte in collaborazione con il Commissario l'emergenza Covid-19 ,con la presente si dispone il blocco immediato dell'utilizzo". Il ritiro del materiale non metterebbe in difficoltà il sistema distributivo in Puglia. Nell'agosto scorso infatti, il presidente Emiliano inaugurò la prima fabbrica pubblica di mascherine in grado di produrre a regime - come si legge sul sito della protezione civile - trenta milioni all’anno di mascherine chirurgiche (quindici milioni di FFP2 e quindici milioni di FFP3= tutte con marchio CE. La missione dello stabilimento produttivo è quella di fornire dispositivi di protezione, senza sostituirsi alle aziende private, ma come scorta in caso di penuria di mercato. Attualmente lo stabilimento è in grado, secondo il responsabile della protezione civile, di rispondere al fabbisgono con dispositivi regolarmente certificati per un periodo di tre mesi, mantenendo in sicurezza il sistema sanitario. Nonostante ciò gli operatori sanitari hanno lavorato in seconda e terza ondata con mascherine inidonee, anche se lo stesso Lerario ha ammesso che si prediligeva altro materiale certificato. "Una cosa simile era già accaduta ad aprile scorso" - ricorda Mario Conca esponente di Italexit e già consigliere regionale - che aggiunge come in realtà della fabbrica pugliese, funziona soltanto uno linea di produzione su quattro, sebbene siano stati investiti e spesi otto milioni e mezzo per realizzare l'attività. "Nel frattempo nessuno - aggiunge Conca - chiarisce al personale sanitario quali mascherine utilizzare."

Il "ritorno" di D'Alema: dai pm per le mascherine. Massimo Malpica il 17 Aprile 2021 su Il Giornale. Sarà sentito come persona informata sui fatti. Si attivò per sistemi di protezione contraffatti. Sotto la mascherina, tutti. I pasticci sulle protezioni individuali portano i nodi al pettine delle inchieste giudiziarie, e dopo il coinvolgimento dell'ex commissario straordinario Domenico Arcuri a finire coinvolto, pur se non indagato, è l'ex premier Massimo D'Alema. «Baffino» verrà sentito dalla pm romana Rosalia Affinito come persona informata sui fatti per l'inchiesta legata alla vendita a Lazio e Sicilia, per 22 milioni di euro, di 5 milioni di mascherine e quasi mezzo milione di camici cinesi non conformi, oltre a cercare abboccamenti con Arcuri per provare a piazzare altre partite di dispositivi di protezione destinate a scuole e studenti. E con D'Alema potrebbe essere sentita dai magistrati romani anche Maria Cecilia Guerra, sottosegretaria all'economia. A tirare in ballo il lìder Massimo in questa storiaccia sono le intercettazioni e i pedinamenti ai protagonisti dell'inchiesta capitolina arrestati a inizio marzo scorso, Andelko Aleksic, il rappresentante della società «fornitrice» dei dpi, la European Network, e l'ex «re degli stampatori» Vittorio Farina, suo delegato, oltre all'imprenditore 51enne Domenico Romeo che avrebbe procurato i falsi certificati di conformità. In particolare sarebbe proprio Farina, anche tramite l'imprenditore pugliese Roberto De Santis, vicinissimo a D'Alema e con lui ex comproprietario dell'Ikarus II (e indagato in questa inchiesta), a essere intercettato parlando dell'ex premier o in sua compagnia. Succede a metà agosto dello scorso anno, quando Farina chiacchiera con il suo ex socio Luigi Bisignani (non indagato) e lo informa che pranzerà con De Santis e D'Alema, per poi essere intercettato nuovamente l'indomani al telefono con una giornalista, Laura Tecce, alla quale passa al telefono proprio D'Alema che evidentemente è in sua compagnia perché i due concordino «direttamente la data di un'intervista». Farina, secondo gli inquirenti, tramite i rapporti con De Santis e D'Alema ma era in contatto anche con l'ex ministro all'agricoltura del governo Berlusconi IV, Francesco Saverio Romano - puntava al commissario Arcuri, per spingere nuove partite di dpi che lui e gli altri indagati speravano di piazzare. Anche la fondazione Italianieuropei di cui D'Alema è fondatore e presidente è finita nelle intercettazioni e nei pedinamenti, e proprio a quella fondazione è legato il desiderio dei pm di ascoltare la Guerra (nemmeno lei indagata, verrà sentita come persona informata sui fatti), che è nel comitato di redazione della rivista di Italianieuropei, poiché di lei parla Aleksic, intercettato a proposito di tamponi che sarebbero «al vaglio» della sottosegretaria. Lo stesso Farina viene visto entrare nella Fondazione a novembre scorso (e in un'altra occasione viene pedinato fino all'ingresso del ministero della Salute), e il broker che è in sua compagnia nelle due occasioni, intercettato con lo stesso Farina giorni dopo, chiede all'indagato se «Max non interviene». Una noia per l'ex premier, già coinvolto nella vendita all'Italia di 140 ventilatori non a norma, passati per una società cinese controllata dalla Silk Road Cities Alliance di Pechino, della quale D'Alema è presidente onorario. Sul punto, lui in un'intervista al Corriere della Sera, però, rivendica il suo ruolo, sostenendo di «aver dato una mano a recuperare dei ventilatori», di fatto anticipando i soldi per lo Stato con l'associazione di cui fa parte e negando che fossero difettosi o non conformi.

Massimo D'Alema, il libro di Farbizio Gatti: "Ecco i suoi affari col regime cinese che ci ha fregato sul coronavirus". Libero Quotidiano il 13 aprile 2021. Massimo D'Alema è finito nel mirino per il caso dei ventilatori cinesi non a norma, venduti all'Italia in piena pandemia. D'Alema infatti è "presidente onorario dell'associazione Silk Road Cities Alliance di Pechino che controlla la società Silk Road Global Information Limited da cui il 13 marzo 2020 la Protezione civile ha acquistato i ventilatori", spiega Fabrizio Gatti, inviato dell'Espresso e autore di L'infinito errore - La storia segreta di una pandemia che si doveva evitare, il libro in uscita giovedì 15 aprile. "D'Alema, unico non cinese si accompagna a tre presidenti onorari cinesi che sono esponenti degli apparati del regime del Partito nazionalcomunista. Il loro obiettivo con la nuova via della Seta è la penetrazione della Cina in Europa attraverso il nostro Paese. Non è un caso che D'Alema sia stato uno degli sponsor della nascita del Conte II, definendolo sui quotidiani il più amato dagli italiani", racconta ancora Gatti. Gatti poi racconta il pasticcio dei ventilatori: "La decisione fu del Cts di Agostino Miozzo. Sui verbali non si spiega la ragione del no agli altri 276 ventilatori di altre marche proposti all'Italia eppure, siamo al 13 marzo, ce n'era un gran bisogno... Intanto anziché sigillare i confini il 10 febbraio abbiamo regalato 18 tonnellate di mascherine alla Cina. Una scelta sciagurata. Come quella di affidare a una srl una partita da 5 milioni di mascherine dall'India. Il fornitore si è chiesto: Perché non paga direttamente il governo ma una società a responsabilità limitata?. E l'affare sfumò...", chiarisce ancora Gatti che boccia anche il tracciamento deciso dal Conte Bis. "Bastava dare retta a quel che scriveva a Giuseppe Conte l'ex capo della Protezione civile Angelo Borrelli il 21 gennaio. Otto giorni dopo l'accordo sull'aumento dei voli tra Italia e Cina - da 54 voli a 108 voli da e per la Cina roba da 30mila persone a settimana - avvertì Conte del previsto massiccio flusso di turisti cinesi e sulle analogie tra il nuovo Coronavirus e la precedente epidemia di Sars", conclude Gatti.

Alessandro Da Rold per “La Verità” il 17 aprile 2021. Massimo D'Alema conferma di essersi interessato con la Cina per l'acquisto dei ventilatori Aeonmed Vg70, ora ritirati dagli ospedali laziali. Lo fa attraverso un'intervista al Corriere della Sera, dove parla dell'associazione internazionale di cui fa parte, anche senza nominarla. È la Silk road global information limited, che, stando alle parole dell'ex presidente del Consiglio, avrebbe anticipato i soldi al governo italiano in quei mesi in difficoltà nel reperire materiale sanitario per contrastare la pandemia. Allo stesso tempo, però, D'Alema non spiega se quei soldi siano tornati indietro. Poi racconta anche la sua esperienza con il Covid, spiegando di aver utilizzato antinfiammatori per curarsi, cioè quelli previsti dal protocollo Remuzzi, smentendo quelli del ministero della Salute, cioè tachipirina e vigile attesa. Sta di fatto che D'Alema al quotidiano di via Solferino riconosce di aver avuto un ruolo centrale durante il secondo governo di Giuseppe Conte. Aspetto, quest' ultimo, che è stato confermato ieri anche dal ministro della Salute, Roberto Speranza, durante la conferenza stampa con il presidente del Consiglio Mario Draghi. «È chiaro che tutte le personalità che potessero avere relazioni pregresse con il principale venditore di questi beni, che in quel momento soprattutto per le mascherine era la Cina sono state attivate dalla struttura commissariale», ha detto Speranza, confermando quindi l'asse tra l'ex commissario Domenico Arcuri e D'Alema. E scaricando su di loro le scelte. Che l'ex premier e ministro degli Esteri abbia avuto un ruolo centrale nel secondo governo Conte, era già noto soprattutto tra i corridoi di via XX Settembre, sede del ministero dell'Economia. Attraverso l'ex ministro Roberto Gualtieri, D'Alema è stato uno dei grandi protagonisti dei rinnovi delle partecipate statali nel 2020. Insieme con l'ex commissario Arcuri, ancora in Invitalia, la coppia Gualtieri-D'Alema è stata decisiva fino agli ultimi giorni del Conte bis. Basta guardare le ultime nomine nelle controllate del Gse (Gestore servizi elettrici), dove a fine dicembre 2020 sono stati nominati Filippo Bubbico e Andrea Peruzy, il secondo nel Gme (Gestore dei mercati energetici), il primo in Acquirente unico. Bubbico e Peruzy arrivano entrambi dal mondo dei Ds, con esperienze nei passati governi di centrosinistra e nella fondazione Italianieuropei, voluta proprio da D'Alema nel 1998. Nel comitato di indirizzo della Fondazione siede anche Claudio De Vincenti, ex sottosegretario e ministro dei governi Renzi e Letta, da poco nominato presidente di Aeroporti di Roma. Dopo l'arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi, però, il potere dell'ex premier ha iniziato a vacillare. La prima testa a saltare è stata quella di Arcuri come commissario straordinario, messo alla porta dall'ex numero uno della Bce senza troppi giri di parole. Ora vacilla Speranza (anche lui in Italianieuropei) al ministero della Salute. In sostanza il potere contrattuale di D'Alema sembra essersi ridotto, anche perché da un lato salgono le quotazioni del nuovo segretario del Pd Enrico Letta come aumenta la pressione delle inchieste su ventilatori e mascherine cinesi. Anche se chi conosce i dalemiani fa notare che la vera partita su cui punterà «Max» è quella attorno a Cdp.In via Goito Fabrizio Palermo è in scadenza. I rapporti tra D'Alema e l'attuale amministratore delegato sono considerati buoni, senza contare il ruolo strategico di Giacomo D'Amico, ex capo di gabinetto della Regione Lazio di Nicola Zingaretti, prima in Sia e ora in Terna. Al pari di D'Amico, un altro uomo della galassia ex ds è Mario Vitale, direttore generale della neo Fondazione dell'istituzione che gestisce il risparmio postale degli italiani nata in tempi di pandemia e presieduta da Pasquale Salzano. Settimana scorsa è stato confermato Donato Iacovone come presidente di Webuild (ex Salini), dove Cdp equity vanta il 18, 68%. Iacovone è sempre stato uno degli esponenti di punta di Ernst & Young, altro avamposto dalemiano, dove D'Alema è presidente dell'advisory board della società di consulenza internazionale. Nella galassia Cdp c'è da segnalare anche Rodolfo Errore, nominato nel 2019 presidente di Sace, dato secondo indiscrezioni in uscita ma poi smentite: la scadenza naturale è nel 2022. Ma la vera scommessa è il posto nel consiglio di amministrazione di Carlo Cerami, l'avvocato milanese che piace a destra e sinistra, da sempre considerato vicino a D'Alema. Cerami entrò nell'estate del 2020, al posto di Valentino Grant, quota Lega, che era stato eletto al Parlamento europeo. Infine è da sbrigliare la matassa intorno a Domenico Arcuri. L'ex commissario al momento resta in Invitalia, dove ormai alberga da 10 anni. Ma il suo nome, in passato, era stato associato anche a grandi aziende statali. Potrebbe essere il jolly in questa tornata di nomine. Anche se c'è chi scommette che dopo l'esperienza commissariale non si apriranno nuovi spazi.

Fabio Amendolara e François De Tonquedec per “la Verità” il 12 aprile 2021. Dopo le mascherine cinesi farlocche, che continuano a essere oggetto di sequestri in giro per l' Italia, dal calderone dell' emergenza Covid spuntano anche i ventilatori per terapia intensiva «non conformi ai requisiti di sicurezza previsti dalla normativa vigente». Un acquisto firmato dall' allora capo della Protezione civile Angelo Borrelli il 13 marzo 2020 (due giorni dopo l' inizio del lockdown), quando la struttura del super commissario non era ancora stata creata ma Domenico Arcuri faceva avanti e indietro dal Dipartimento ministeriale che fa capo alla presidenza del Consiglio dei ministri (verrà formalmente nominato il 18 marzo). E nelle email allegate salta fuori il nome dell' ex premier Massimo D' Alema, che, stando alla comunicazione inviata dal fornitore di Pechino, li avrebbe rassicurati sull' acquisto. La mail, in inglese, la cui traduzione non lascia spazio a equivoci interpretativi, è stata inviata da silkroad_ca@163.com (dell' impresa cinese Silk road global information limited). L' oggetto: «Confirmation contract». Tra gli allegati ci sono le schede tecniche dei ventilatori cinesi denominati Aeonmed Vg70. «Carissimi», scrive il fornitore,«abbiamo appena ricevuto informazioni dall' onorevole D' Alema Massimo che il vostro governo acquisterà tutti i ventilatori nella lista che ho allegato a questa e-mail. E accettiamo i termini del pagamento che avete concordato. Quindi acquisteremo tutti i 416 set di ventilatori per voi il prima possibile. Grazie per la vostra fiducia in noi. Faremo del nostro meglio per servire i vostri interessi». I destinatari della missiva, parte integrante del contratto registrato con numero di protocollo «Covid/0013734», sono tra gli altri lo stesso Borrelli, Arcuri, il dirigente di Invitalia Roberto Rizzardo (che verrà cooptato nella struttura commissariale come responsabile degli acquisti) e un' altra dipendente della controllata del Mef, quella Silvia Fabrizi che pochi giorni dopo diventerà la prima referente di Mario Benotti e Andrea Tommasi per la famosa maxi fornitura da 801 milioni di mascherine cinesi costata 1,25 miliardi di euro. In realtà, dalla lettera di commessa, protocollata in uscita il 13 ma datata 14 marzo, emerge che alla fine i ventilatori Aeonmed Vg70 da destinare alle terapie intensive di tutta Italia effettivamente acquistati sono 140. Al loro arrivo il materiale è stato accolto con tanto di inno della Repubblica popolare cinese fatto suonare per l' occasione dal governo italiano. Negli altri documenti allegati al contratto, come è facile immaginare, il nome di Baffino non compare più. Ma non è la prima volta che la Volpe del Tavoliere si aggira attorno alle faccende pandemiche gestite da Arcuri & Co.  Un mese fa, come svelato da La Verità, si è scoperto che in Puglia D' Alema aveva partecipato a un pranzo speciale finito sotto i riflettori della Guardia di finanza. I commensali: Vittorio Farina, l' uomo degli elenchi telefonici che aveva provato a infilarsi nell' affare delle mascherine (in quel momento cercava un link per incontrare Arcuri e successivamente, come hanno documentato gli investigatori, ci sarebbe riuscito), Roberto De Santis, co-armatore dell' Ikarus, la prima barca a vela dell' ex premier diessino, e il giornalista Luigi Bisignani. Dal contratto di Borrelli, piazzato sul web con tutti i suoi allegati, ora si apprende che i cinesi lo indicano come l' uomo che li avrebbe informati sulla decisione del governo italiano di accettare la proposta commerciale made in China. Il prezzo per i ventilatori spuntato da Borrelli con la cinese Silk road è di 19.000 euro l' uno: complessivamente la commessa è costata ai contribuenti 2,66 milioni di euro più iva. E se già a novembre scorso sul sito del ministero della Salute era comparsa una nota della Aeonmed relativa a un problema software di una partita di Vg70, emerso da una segnalazione dell' ospedale tedesco Ludwig Maximilians university, ora il nuovo bug dei ventilatori cinesi emerge da una interrogazione presentata al Consiglio regionale del Lazio da Daniele Giannini (Lega). Nel documento depositato, il leghista riassume il contenuto di un rapporto «trasmesso dalla Beijing Aeonmed Co Ltd al ministero della Salute» dal quale «risulta che i ventilatori per terapia intensiva Aeonmed Vg70» dotati di una precisa versione software che viene indicata, «non posseggono il sensore di pressione atmosferica incorporato e siano stati immessi sul mercato con istruzioni per l' uso errate, in quanto indicano la presenza di un sensore in realtà assente». Secondo quanto riportato nell' interrogazione, il 7 aprile 2021 la direzione regionale Salute e integrazione sociosanitaria, recependo una nota ministeriale del 31 marzo scorso, ha chiesto ai direttori generali di Asl, policlinici universitari e Istituti di ricerca, nonché ai referenti tecnici aziendali per l' emergenza Covid 19, «nel caso si rilevasse la presenza dei ventilatori per terapia intensiva Aeonmed Vg70», di «sospendere immediatamente l' uso, in quanto privi del marchio Ce e non conformi ai requisiti di sicurezza previsti dalla normativa vigente». Proprio come per le mascherine fallate di cui si sta occupando la Procura di Gorizia. Al momento dell' acquisto dei ventilatori Vg70 nessuno avrebbe accertato l' esistenza della perfetta certificazione del prodotto. E ora bisogna correre ai ripari.

Fabio Amendolara per "la Verità" il 13 aprile 2021. Ha trovato il suo ponte sulla via della seta la fornitura conquistata dalla Silk Road Global Information limited, società cinese che ha venduto al governo italiano 140 ventilatori polmonari per terapia intensiva «non conformi ai requisiti di sicurezza previsti dalla normativa vigente», nella cui trattativa, come ha scoperto ieri La Verità, è spuntato il nome dell' ex premier Massimo D' Alema, una figura che sembra essersi aggirata in più di un' occasione attorno agli affari pandemici gestiti dall' ex commissario straordinario Domenico Arcuri (la cui promozione, nel 2007, ai vertici di Invitalia avrebbe visto D'Alema nel ruolo di regista). La Silk Road Global Information limited, infatti, è legata alla Silk Road Cities Alliance, un think tank del governo di Pechino a sostegno della Via della Seta, progetto di infrastrutture di collegamento e logistica tra Cina ed Europa. Ai vertici di questo ente, insieme a D' Alema, che è presidente onorario («carica non remunerata e che non prevede rimborsi», precisa uno stretto collaboratore del leader Maximo), e ad alcuni ex funzionari del governo cinese, c' è Zhang Wenkang, ministro della Sanità rimosso dal regime nel 2003 con l' accusa di aver nascosto la prima pandemia Sars. Una comparsata nel think tank per la verità in passato l' ha fatta anche Francesco Rutelli, che nella sua biografia annota di essere stato co-presidente del progetto Silk Road Cities Alliance e che alla Verità ha spiegato di «aver ottenuto quel riconoscimento durante un incontro culturale e che il rapporto si è chiuso quello stesso giorno». L'acquisto dei ventilatori, che ora si scopre non essere certificati, è stato firmato dall' allora capo della Protezione civile Angelo Borrelli il 13 marzo 2020 (due giorni dopo l' inizio del lockdown), quando la struttura del super commissario non era ancora stata creata ma c' era già un andirivieni di Arcuri tra Invitalia e il Dipartimento ministeriale che fa capo alla Presidenza del consiglio dei ministri (verrà formalmente nominato il 18 marzo). È nelle mail allegate al contratto che è saltato fuori Baffino. Sarebbe stato D'Alema, infatti, stando alla comunicazione inviata dagli imprenditori cinesi a rassicurarli sull' acquisto del governo italiano. A leggere in copia c' erano, oltre a Borrelli e Arcuri, un' altra dipendente di Invitalia, quella Silvia Fabrizi che pochi giorni dopo diventerà la prima referente di Mario Benotti e Andrea Tommasi per la famosa maxi fornitura da 801 milioni di mascherine cinesi costata 1,25 miliardi di euro. Al momento della firma del «memorandum of understanding» sulla Nuova Via della Seta firmato a Roma a fine marzo l' ex premier Giuseppe Conte pontificò: «Saremo attenti che non vi siano iniziative predatorie». Nel caso dei ventilatori senza certificazione, in realtà, più che di una iniziativa predatoria sembra si tratti di un acquisto avventato. E anche per le mascherine comprate da Arcuri e distribuite in Friuli Venezia Giulia qualcosa è andato storto, stando al sequestro di oltre 60 milioni di Ffp2 disposto dai pm di Gorizia. Non erano conformi anche i dispositivi venduti alla Regione Lazio da un' altra cordata, guidata dall' uomo degli elenchi telefonici Vittorio Farina. Che dopo essere riuscita a piazzare 5 milioni di mascherine e 430.000 camici ha provato a infilarsi (senza riuscirci) nelle forniture per le scuole, sostenendo di avere la «promessa» di Arcuri. Un mese fa, come svelato dalla Verità, si è scoperto che in Puglia, insieme a Farina, aveva partecipato a un pranzo speciale proprio Massimo D' Alema. Con i due c'era anche Roberto De Santis, imprenditore vicinissimo all' ex premier e co-armatore dell' Ikarus, la prima barca a vela di D'Alema. Gli indagati, emerge dai documenti dell' inchiesta, avevano cercato di portare i loro tentacoli sino a dentro il ministero della Salute. Farina, per esempio, in un' intercettazione dice: «Io sto andando dal ministro adesso, c'ho, c'ho appuntamento alle 4 e mezzo col ministro, co Roberto [] ti porto qualche novità». Ma ci sono anche telefonate in cui si fa riferimento al «responsabile del Gabinetto di Speranza». E quando l' interlocutore chiede, «ma il Max non interviene?», Farina precisa: «No per adesso, che intervenga adesso non serve [] eh, dovranno, io credo che entro oggi quelli si incontrino e poi Paolucci dovrebbe chiamarti». Secondo le Fiamme gialle Paolucci sarebbe «Massimo Paolucci, capo segreteria di Speranza». A novembre, poi, gli investigatori pedinano Farina a un appuntamento al civico 44 di piazza Farnese, a Roma. Gli investigatori sottolineano che «l' indirizzo corrisponde alla sede della Fondazione Italianieuropei presieduta da Massimo D' Alema e della quale fa parte anche il sottosegretario Maria Cecilia Guerra». Lì Farina si trattiene per un' ora e 50 circa, senza che gli investigatori siano riusciti a ricostruire con chi si sia incontrato. Nelle carte, però, spuntano anche due presunti incontri di Farina con Arcuri, all' epoca ancora in carica. E i finanzieri ritengono che ci sia riuscito «per il tramite di Roberto De Santis». Prima del secondo incontro, però, c' è uno snodo che per gli investigatori deve essere risultato rilevante: sempre pedinato, Farina è stato visto entrare nella sede di una società, la Proger, una Spa amministrata da Chicco Testa (l' uomo che accusa il Pd di essere diventato il partito della spesa pubblica) e nel cui cda siede De Santis, in via Valadier 42 a Roma. Anche l' utenza telefonica intercettata e in uso a De Santis è risultata intestata alla Proger. I finanzieri relazionano sul pedinamento, compreso un pranzo in un ristorante. E due giorni dopo, durante l' ennesimo servizio di osservazione, annotano che Farina «e stato visto conversare con un soggetto nella fisionomia somigliante ad Arcuri». Le telefonate successive avrebbero dato conferma che con l' uomo degli elenchi telefonici ci fosse proprio il commissario per l' emergenza. E infatti Farina chiama il suo socio per rassicurarlo: «Domenico (Arcuri ndr) mi ha promesso che se gli arriva la lettera, autorizza quell' acquisto [...]». Anche in questo caso si parla di una lettera. L' unica col nome di D' Alema, però, è quella che ha viaggiato sulla via della seta.

L'omaggio nel doodle di Google. Chi era Wu Lien-teh, il medico malese che inventò la mascherina contro la peste polmonare. Vito Califano su Il Riformista il 10 Marzo 2021. Il medico Wu Lien-teh è il protagonista del doodle di Google di oggi, quello di mercoledì 10 marzo 2021, come sempre in apertura della homepage del motore di ricerca. Il medico è diventato celebre per aver promosso l’utilizzo delle mascherine chirurgiche per combattere un’epidemia di peste polmonare in Manciuria all’inizio del Novecento. L’omaggio di Google in occasione del giorno del suo compleanno. Wu Lien-tech nacque infatti a Penang, in Malaysia, il 10 marzo 1879. I genitori erano di origine cinese. Studiò in Inghilterra, all’Università di Cambridge. Lavorò in Europa ma dopo qualche anno tornò in Asia. Prima in Malaysia e poi in Cina, dove nel 1908 divenne vice-direttore della scuola militare di medicina dell’Impero Cinese. Nel 1910 fu mandato in Manciura, una regione nel nord-est del continente asiatico, a cavallo tra Cina e Russia. Una misteriosa malattia si stava diffondendo: circa 60mila le vittime in due anni. Una peste polmonare. Dopo aver studiato il morbo, Wu Lien-teh sviluppò una mascherina chirurgica, in cotone idrofilo, che preveniva la trasmissione per via aerea. La promozione del dispositivo fu tra le principali armi che portarono a debellare l’epidemia. Proprio per i suoi studi e la sua attività di contrasto alla peste in Manciuria, divenne la prima personalità malese a essere candidata al Premio Nobel per la Medicina, nel 1935. Il medico fondò anche la prima associazione medica non governativa nel 1915 in Cina. Morì a Penang, sua città natale, dove si era ritirato negli ultimi anni di vita, il 21 gennaio 1960.

Dagospia l'8 marzo 2021. Da un articolo di "The Economist" per la rassegna stampa "Epr Comunicazione". Le mascherine facciali aiutano a ridurre la diffusione del Sars-Cov-2, il virus che causa il Covid-19. Diversi studi hanno riportato la scoperta sorprendente che, anche se i portatori si infettano, la loro malattia è di solito più lieve. Ora Joseph Courtney e Ad Bax, una coppia di ricercatori del National Institutes of Health di Bethesda, Maryland, pensano di aver capito perché. Come riferiscono nel Biophysical Journal, si tratta di umidità, sistema immunitario e dei poteri protettivi del muco – scrive The Economist. A prima vista, potrebbe non sembrare un gran mistero da svelare. Le mascherine riducono il numero di particelle infettive che entrano nel naso e nella bocca. Ci si potrebbe aspettare, quindi, che la malattia grave sia meno probabile. Ma non è così. Un fattore vitale che predice la gravità della malattia è quanto le particelle virali entrano nei polmoni di una persona. Le mascherine di cotone economiche fanno fatica a bloccare gli aerosol più piccoli, che sono quelli che più probabilmente penetrano in profondità. Il dottor Courtney e il dottor Bax si sono chiesti se qualcos'altro potrebbe spiegare il loro effetto protettivo. Una delle prime linee di difesa del corpo contro gli agenti patogeni trasportati dall'aria è conosciuta come il "meccanismo di clearance mucociliare". Il muco appiccicoso nel naso e nel tratto respiratorio cattura virus e batteri. Piccoli peli conosciuti come cilia spingono il muco nella gola. Da lì viene inghiottito e i potenti acidi dello stomaco distruggono gli invasori. Ma questo meccanismo si basa sul fatto che le parti del corpo interessate rimangano umide. Questo è più difficile in inverno, perché quando l'aria diventa più fredda, la sua capacità di trattenere l'acqua diminuisce. La minore umidità tende a seccare le vie respiratorie. Questo è uno dei motivi per cui molti virus delle vie respiratorie superiori, come l'influenza, fioriscono in inverno. Il dottor Courtney e il dottor Bax hanno ipotizzato che le mascherine possono aiutare a mantenere l'umidità. Hanno ragionato sul fatto che, quando una persona espira, il vapore acqueo si condensa all'interno di una maschera. Poi, all'inalazione, l'aria secca che passa attraverso la maschera raccoglierebbe l'acqua depositata e la riporterebbe nel tratto respiratorio e nei polmoni. Questo potrebbe dare al sistema immunitario di chi indossa la mascherina un vantaggio significativo. Desiderosi di testare la loro idea, i ricercatori hanno controllato diverse mascherine a 37°C, 22°C e 8°C. Hanno respirato in una scatola sigillata con strumenti sensibili e hanno calcolato i livelli di umidità nelle loro vie respiratorie superiori. Hanno scoperto che, anche se tutte le mascherine hanno aumentato i livelli di umidità in una certa misura, la mascherina di cotone pesante ha fatto meglio di tutte. Nella stanza più calda ha aumentato l'umidità relativa dell'aria ispirata di oltre il 50%, rispetto alla respirazione senza mascherina. Nella stanza fredda, quel numero è salito al 300% (le altre mascherine hanno registrato cifre tra il 150% e il 225%). Questo suggerisce che, oltre a filtrare almeno alcune delle particelle virali che galleggiano nell'aria, le mascherine aiutano a mantenere i livelli di muco di una persona alti e benefici.

(ANSA il 22 ottobre 2021) - L'Antitrust ha concluso l'istruttoria nei confronti delle società U-Earth Biotech e Pure Air Zone Italy, irrogando sanzioni complessive per 450.000 euro. Per oltre un anno, spiega l'Agcm, le due società hanno promosso online le mascherine chirurgiche biotech "U-Mask", registrate come dispositivi medici, equiparandole "indebitamente" a facciali filtranti di efficacia superiore, quali i dispositivi di protezione individuale FFP3, ed attribuendo loro qualità ulteriori, ad esempio proprietà virucide, certificate in autonomia. Secondo l'Autorità si tratta di una pratica posta in essere "con modalità ingannevoli e aggressive".  

Sicurezza mascherine Ffp2: ecco quali codici evitare. Lorenzo Petrilli, vicedirettore del Dipartimento Certificazione e Ispezione di Accredia, ha fatto un po’ di chiarezza. Valentina Dardari - Dom, 14/03/2021 - su Il Giornale. Non si placano le polemiche riguardanti la sicurezza delle mascherine Ffp2. In seguito al ritiro dal mercato delle U-mask su disposizione del ministro della Salute Roberto Speranza, e altri test secondo i quali alcune mascherine Ffp2 regolarmente vendute non avrebbero invece i requisiti necessari, adesso si cerca di capire quali siano i codici realmente sicuri. Intanto l’Europa ha messo online un database dove poter verificare se il prodotto acquistato sia conforme e se l’organismo che lo ha certificato sia effettivamente autorizzato a lasciare le certificazioni richieste. Anche se non vi è il codice sulla mascherina, questa potrebbe comunque figurare nei prodotti validati in deroga dall’Inail. Meglio quindi controllare anche l’elenco.

Quelle mascherine vendute come Ffp2 che "filtrano solo il 36%". I codici delle mascherine Ffp2 da controllare. Il dispositivo dovrebbe comparire o nel database della Ue o nell’elenco dell’Inail. Non si riuscirà comunque a reperire tutti i codici delle mascherine non sicure, ma sul sito dell’European Safety Federation, organizzazione no profit dei produttori, degli importatori e dei distributori continentali di Dpi, si può trovare una lista delle società che hanno mostrato certificati sospetti. In Europa ci sono sia società finte che realmente presenti nel database ma che non sono autorizzate a rilasciare le certificazioni per le mascherine Ffp2. Queste si discolpano accusando i produttori di aver usato in modo abusivo i loro codici CE per mettere sul mercato dispositivi non conformi alla legge europea. Ecco l’elenco degli organismi esistenti che non sono però autorizzati a certificare Dpi delle vie respiratorie in Europa. Le mascherine Ffp2 con questi codici non sono quindi a norma:

ICR Polska (Polonia) – CE 2703

CELAB (Italia) – CE 2037

ECM (Italia) – CE 1282

ISET (Italia) – CE 0865

TSU Slovakia (Slovacchia) – CE 1299

Universalcert codice CE 2163

Discorso a parte per quanto riguarda Universalcert, codice CE 2163, che non rientra nella lista dell’European Safety Federation dei certificati sospetti. Due laboratori avrebbero analizzato alcune mascherine prodotte in Cina e non sarebbero risultate a norma, pur essendo state certificate dallUniversalcert. Lorenzo Petrilli, vicedirettore del Dipartimento Certificazione e Ispezione di Accredia, l’unico ente scelto dal Governo italiano per accreditare gli organismi di certificazione nazionali, ha rilasciato una intervista al Corriere in cui ha spiegato: “Ovviamente siamo a conoscenza delle indagini in merito. Ma fino a quando un organismo notificato resta sul database Ue, dobbiamo presumere che operi correttamente”. Da capire adesso se questi dispositivi, nel momento in cui sono stati certificati, erano già non conformi o se i produttori abbiano iniziato a produrli in modo diverso una volta ottenuta la certificazione.

Ulteriori verifiche da fare a casa. Le istruzioni per l’uso e la dichiarazione di conformità ci permettono di verificare se la nostra mascherina è a norma. Petrilli ha poi aggiunto: “Sono gli unici due elementi che per legge devono essere resi disponibili ai consumatori finali, e devono essere scritti nella lingua del Paese di vendita. Generalmente la dichiarazione di conformità si trova sul sito del fabbricante, e nelle istruzioni va indicato l’indirizzo in cui è possibile trovarla. Questo è importantissimo, perché con la dichiarazione di conformità il fabbricante assicura sotto la propria responsabilità che quello specifico Dpi è stato oggetto di una certificazione emessa da un organismo autorizzato dall’Ue a seguito del positivo esito dei test di laboratorio e dell’analisi della documentazione tecnica. Garantisce inoltre che la produzione in serie è sottoposta al controllo del medesimo organismo”.

Marcature CE. Petrilli ha tenuto a sottolineare che la marcatura CE è un sistema efficace nel garantire la tutela dei consumatori nel mercato dell’Unione Europea. Sia perché esiste da molti anni, sia perché ci lavorano soggetti diversi che non dipendono l’uno dall’altro. Gli enti certificatori che garantiscono la presunzione di conformità, “una volta abilitati, non si limitano ai controlli preventivi sulla sicurezza dei prototipi, ma sorvegliano anche la successiva fabbricazione in serie: una volta all’anno vanno dai produttori, prelevano decine di campioni, li testano – in proprio o attraverso laboratori anch’essi accreditati e comunque usando norme tecniche appropriate – e così stabiliscono se i modelli messi in commercio in un determinato periodo di tempo possano essere ritenuti conformi o meno”. A controllare il lavoro degli enti certificatori sono le camere di commercio, le dogane, le forze dell’ordine e altri organi adibiti al controllo dei prodotti rivolti al mercato. Come ha sottolineato Petrilli:“Questo secondo livello di controllo funziona, e a dimostrarlo sono i numerosi procedimenti giudiziari in corso a carico di chi ha immesso o provato a immettere nel mercato europeo prodotti fraudolenti. Quindi a mio giudizio il sistema è consolidato e affidabile. Poi tutto è sempre perfettibile, ma questo fa parte della natura umana”.

Marco Cimminella  per it.businessinsider.com il 5 marzo 2021. Fin dall’inizio della pandemia, le mascherine sono state uno degli strumenti fondamentali per contrastare la diffusione del coronavirus. La domanda è cresciuta in breve tempo, sono diventate quasi introvabili. E i Paesi hanno fatto le corse per acquistare le scorte di cui necessitavano. Oggi sono più facilmente reperibili, grazie ai continui carichi importati. Tuttavia, l’accelerata sugli approvvigionamenti per coprire questo enorme fabbisogno ha avuto un effetto collaterale: nella marea di dispositivi di protezione individuale arrivati dall’estero, sono finiti anche prodotti irregolari, con certificazioni fasulle. “A noi è successo spesso di individuare dei falsi. L’azienda che aveva comprato delle FFP2 ci ha mandato il certificato di conformità relativo, un pdf ben preparato, che però dopo alcuni riscontri è risultato essere contraffatto”, spiega a Business Insider Italia Stefano Pagnutti, ceo di Clariscience, società di consulenza in ambito medicale specializzata anche in consulenza nell’ambito della certificazione dei dispositivi medici. “Abbiamo contattato l’organismo notificato che era stato indicato come ente che aveva emesso il certificato. E abbiamo scoperto che il documento era un falso, quell’ente non aveva rilasciato alcun certificato per quel fabbricante. Purtroppo, è stato un problema che si è verificato spesso durante questi mesi di emergenza”. Una recente inchiesta di La Repubblica ha raccontato la truffa cinese relativa all’importazione di DPI i cui documenti, apparentemente in regola, sono poi risultati taroccati. FFP2 e FFP3 con capacità di filtraggio inferiori a quanto effettivamente dichiarato. Solo in Italia sarebbero in circolazione almeno 55 milioni di pezzi di questo tipo provenienti dall’estero. Nel corso del 2020, Clariscience è stata contattata da molte aziende italiane per verificare la validità della documentazione inviata a corredo delle mascherine importate. “Queste aziende ci fornivano tutte le carte che il fabbricante cinese aveva prodotto affinché potessimo verificare che le FFP2 che avevano deciso di comprare fossero effettivamente regolari. E in diversi casi ci siamo resi conto che la documentazione era fasulla”, ci dice Margherita Fort, responsabile dell’area regolatoria di Clariscience.  Che aggiunge: “Nelle prime fasi dell’emergenza e fino a maggio 2020, siamo stati anche molto impegnati ad aiutare differenti imprese della Penisola che volevano convertire parte dei loro stabilimenti per produrre mascherine chirurgiche. In estate le richieste sono diminuite e ora riguardano soprattutto la verifica dei documenti dei DPI e altri dispositivi medici importati”. Il problema delle mascherine irregolari ha riguardato l’intero territorio nazionale. Grazie al lavoro delle autorità, la loro vendita è stata ostacolata: i Nas ne hanno sequestrate milioni e l’agenzia delle Dogane è riuscita a intercettarne altre. Tuttavia, il rischio di cadere in questa truffa, potenzialmente pericolosa per la nostra salute, non è definitivamente arginato. “C’è da dire che è stato più complicato rilevare eventuali irregolarità perché con l’emergenza sanitaria il decreto Cura Italia ha introdotto una deroga al rispetto delle norme vigenti per velocizzare l’immissione in commercio di DPI ad uso medico da usare strettamente in ambito sanitario e che resterà in vigore fino alla fine dello stato di emergenza. Il risultato è che possono essere venduti DPI senza marcatura CE e senza riferimento all’organismo notificato certificatore”, continua l’esperta. Per questo dobbiamo fare molta attenzione quando acquistiamo questi prodotti. Certo, assicurarsi della validità delle mascherine è complicato per il consumatore che le compra in un negozio fisico o su internet, come per l’azienda che decide di importarne dall’estero: ci sono normative e indicazioni da conoscere, inoltre solo i laboratori specializzati hanno gli strumenti per effettuare test e verificarne l’effettiva conformità agli standard comunitari. Non possiamo quindi sostituirci agli esperti che lavorano in questo campo. Tuttavia, osservando alcuni dettagli e facendo qualche piccola ricerca, possiamo provare ad assicurarci che le mascherine che indossiamo siano valide. Clariscience, con la sua business unit “Affari regolatori e sistemi per la gestione per la qualità”, fornisce consulenza per districarsi tra le varie pratiche, leggi e standard specifici che il fabbricante di un dispositivo medico o di protezione individuale deve conoscere e rispettare prima di immettere il prodotto sul mercato e lo aiuta a trasmettere le informazioni all’utilizzatore finale in modo che il prodotto sia compreso e usato nel miglior modo possibile. Durante la pandemia di covid-19 si è occupata soprattutto di mascherine chirurgiche e DPI. Per questo abbiamo chiesto ai suoi esperti di aiutarci a stilare un prontuario con i vari passi da fare per distinguere dispositivi regolari da quelli che non lo sono affatto.

Come riconoscere una mascherina chirurgica certificata. “Come consumatore, il primo passo da compiere è dettato dal buon senso”, ci dice Stefano Pagnutti, chiarendo che “bisogna innanzitutto verificare la presenza di alcune informazioni sulla confezione: questi dettagli devono comparire sull’etichettatura e la loro mancanza potrebbe far nascere qualche sospetto sulla validità della mascherina”. Gli esperti di Clariscience fanno notare infatti che le mascherine chirurgiche, per legge, sono classificate come dispositivi medici: per questo motivo, devono assicurare non solo il rispetto della normativa generale dei dispositivi medici (Dir. 93/42/CEE o Regolamento UE 2017/745) ma anche soddisfare i requisiti imposti dalla norma tecnica EN 14683, che ne delinea le prestazioni minime in termini di efficacia filtrante e respirabilità.

Pertanto, le informazioni che devono essere presenti sulla confezione sono:

il marchio CE, che viene apposto sul prodotto a garanzia del rispetto delle norme vigenti (Direttiva 93/42/CEE o Regolamento UE 2017/745). Questo marchio deve avere proporzioni precise: “Se è diverso da quanto stabilito dalla legge e ha proporzioni differenti, allora è possibile che sia contraffatto e il prodotto non assicuri il rispetto degli standard di sicurezza imposti dalle normative europee”, sottolinea Margherita Fort;

il riferimento alla norma tecnica EN ISO 14683:2019, che stabilisce i requisiti minimi di capacità filtrante e respirabilità delle mascherine ad uso medico (indicazione del tipo di maschera: Tipo I, Tipo II o Tipo IIR);

il fabbricante, cioè chi ha prodotto le mascherine o le ha fatte produrre a terzi, con sede in Ue;

se del caso il mandatario, cioè l’azienda in territorio Ue che rappresenta un produttore extra-Ue.

 “L’assenza di queste informazioni è un probabile segnale negativo, può far nascere qualche sospetto sulla validità del dispositivo. Tuttavia, non vuol dire necessariamente che la mascherina sia contraffatta”, fa notare il ceo di Clariscience. Che continua: “Un altro step da fare è controllare la presenza del prodotto nella banca dati dei dispositivi medici del ministero della Salute”. Infatti, per i fabbricanti italiani (e per i fabbricanti extra-Ue con mandatario italiano) è obbligatorio registrare i dispositivi medici in questo data base per immettere il prodotto sul mercato della Penisola. Per consultare l’elenco dei dispositivi medici del ministero della Salute, possiamo ricercare il prodotto che ci interessa attraverso due diversi filtri: Se la mascherina non risulta nell’elenco, non è detto che sia automaticamente irregolare. Infatti, qualora il fabbricante o il mandatario abbiano sede in un altro Stato membro, la registrazione non è obbligatoria, trattandosi di un DM di classe I, per cui non è detto sia presente in banca dati. “Il dispositivo potrebbe essere stato registrato nel data base di un altro stato membro dell’Ue”, aggiunge la responsabile dell’area regolatoria di Clariscience. Che ricorda: “Le mascherine possono essere presenti sul mercato senza marchio CE ma con approvazione in deroga. In questo caso, deve essere presente in etichetta la dicitura ‘produzione e immissione in commercio ai sensi dell’art. 15, comma 2, del Decreto Legge n. 18 del 17/03/2020, convertito con modificazioni nella Legge 24 aprile 2020, n. 27, modificato dalla legge 17 luglio 2020 n. 77′”. La mancanza di questa dicitura in assenza del marchio CE, dovrebbe far nascere un forte sospetto relativamente all’irregolarità del prodotto. Inoltre, se si acquistano le mascherine chirurgiche direttamente dal fabbricante (per importazione o distribuzione) si può poi richiedere la dichiarazione di conformità nella quale il fabbricante dichiara la conformità del prodotto alla legislazione di riferimento. “Un ultimo tipo di controllo consiste nella verifica tecnica: si può contattare un centro di testing accreditato per mandare un certo numero di campioni in modo da valutarne se il potere filtrante è uguale a quello dichiarato – ci dice Stefano Pagnutti -. Ma questo è più il caso dell’azienda che ha importato il dispositivo medico che del consumatore comune”.

Come riconoscere una mascherina FFP2 o FFP3 certificata. Le mascherine filtranti facciali, come le FFP2 e le FFP3, sono dispositivi di protezione individuale di categoria III di rischio e per questo devono rispettare il Regolamento UE 425/2016: ciò significa che per essere immesse in commercio devono essere valutate da un organismo notificato designato per la certificazione dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie. L’organismo notificato certificherà la conformità del prodotto ai requisiti della norma tecnica EN 149:2001+A1:2009 e il produttore, dimostrata la conformità del prodotto, potrà così apporre il marchio CE. Il rispetto dei requisiti definiti da questa norma tecnica permette infatti di avere una maschera con un’elevata capacità filtrante nei confronti di particelle e goccioline molto piccole e un’ottima respirabilità. Per questo, quando leggiamo sulla confezione, questa indicazione non può mancare.

Oltre al riferimento EN 149:2001+A1:2009, altre informazioni importanti che devono essere riportate sono:

il marchio CE, seguito da un codice a 4 cifre che indica l’organismo notificato;

identificazione del fabbricante;tipo e classe del dispositivo di protezione (FFP2/FFP3).

“L’assenza del marchio CE o delle altre informazioni potrebbe indicare che ci troviamo di fronte a una maschera contraffatta”, spiega il ceo di Clariscience. Come per le mascherine chirurgiche, anche per le FFP2 e FFP3 bisogna fare attenzione alle proporzioni del marchio CE che, per legge, sono precise: se il marchio è diverso o ha dimensioni differenti, nuovamente dovrebbe nascere un forte sospetto che il prodotto sia illegale e non assicuri quindi il rispetto degli standard di sicurezza imposti dalle normative europee. Il codice a 4 cifre che accompagna il marchio CE è molto importante, perché identifica in modo inequivocabile l’ente che ha certificato l’aderenza del DPI alle norme. Si tratta degli organismi notificati, che possono essere ricercati nel database NANDO (New Approach Notified and Designated Organisations) della Commissione europea. Con questa informazione è possibile avere un elemento in più per valutare la correttezza dei certificati e verificare che l’organismo che ha rilasciato la certificazione sia accreditato effettivamente per la valutazione del DPI. Il sistema informativo NANDO può essere consultato cercando per ‘Paese’, ‘Legislazione’ o ‘Organismo’. Per ogni organismo notificato e autorità di notifica / designazione sono incluse informazioni e recapiti: possono essere utilizzati per presentare richieste di informazioni specifiche sullo stato e le competenze degli organismi notificati, nonché sulle loro attività. Inoltre, diversi organismi notificati elencati in NANDO per dispositivi medici e DPI hanno siti web dedicati dove è possibile consultare le informazioni più rilevanti sui loro certificati. Come ci spiegano gli esperti di Clariscience, grazie all’elenco possiamo verificare se il numero che troviamo sotto il marchio CE della nostra mascherina FFP2 o FFP3 corrisponde effettivamente ad un ente autorizzato a valutare dispositivi di protezione delle vie respiratorie. Una volta trovato il codice di 4 numeri nell’elenco e aperta la scheda dell’organismo notificato, si potrà verificare quali tipologie di prodotti e secondo quali normative è autorizzato a certificare l’ente in questione. Nel caso delle maschere filtranti dovremmo trovare proprio il riferimento ai ‘personal protective equipment‘ e al Regolamento EU 2016/425 e nello specifico, tra i prodotti valutati, il riferimento a “equipment providing respiratory system protection”. Questa stessa verifica può essere fatta consultando un altro elenco del database NANDO, che mostra le normative e i regolamenti relativi a specifici prodotti. “In questo caso andremo a selezionare ‘Regulation (EU) 2016/425 Personal protective equipment’ e successivamente restringeremo il campo della ricerca alla sola valutazione degli ‘Equipment providing respiratory system protection’. A questo punto ci comparirà la lista di tutti gli organismi notificati che valutano dispositivi di protezione delle vie respiratorie, che ci tornerà utile soprattutto quando vorremo capire se l’organismo notificato o più in generale, l’ente che figura su di un certificato, sia davvero autorizzato a fare verifiche di mascherine filtranti. Se non compare in questo elenco, il certificato è quasi certamente un falso”.

Ricerca in base alla legislazione di riferimento. Come mostra l’immagine in alto, selezionando il filtro (riquadro segnalato in rosso) vengono elencati tutti gli organismi notificati per la certificazione di dispositivi di protzione delle vie respiratorie, tra cuin le maschere filtranti. Una volta controllato l’organismo notificato, possiamo verificare anche il certificato di conformità da questo emesso. Il documento, che accompagna il DPI, deve infatti avere queste informazioni obbligatorie:

nome e numero di identificazione dell’organismo notificato;

nome e indirizzo del fabbricante e, qualora la domanda sia presentata dal mandatario, nome e indirizzo di quest’ultimo;

l’identificazione del DPI oggetto del certificato;

una dichiarazione in cui si attesta che il tipo di DPI soddisfa i requisiti essenziali di salute e di sicurezza applicabili;

se le norme armonizzate sono state applicate in tutto o in parte, i riferimenti di tali norme o parti di esse;

se sono state applicate altre specifiche tecniche, i loro riferimenti;

se del caso, il livello di prestazioni o la classe di protezione del DPI;

la data di rilascio, la data di scadenza e, se del caso, la data o le date di rinnovo del certificato;

le eventuali condizioni connesse al rilascio del certificato;

per i DPI della categoria III, una dichiarazione secondo cui il certificato deve essere utilizzato solo in combinazione con una delle procedure di valutazione della conformità previste.

Qualora mancassero questi dettagli, quel certificato potrebbe non essere autentico. Non mancano infatti i casi di mascherine accompagnate da documenti falsi, soprattutto quelle vendute online. Da notare che se il DPI è privo di marchio CE, non necessariamente deve essere considerato irregolare: potrebbe anche trattarsi di un prodotto fabbricato e venduto in deroga alla normativa vigente, possibilità prevista – come detto prima – dal decreto Cura Italia per velocizzare l’immissione in commercio di DPI ad uso medico da usare strettamente in ambito sanitario. “La deroga, però, riguarda solo le tempistiche e prevede comunque il rispetto degli standard tecnici e di qualità definiti dalla norma EN 149:2001+A1:2009. Infatti, i filtranti facciali prodotti in deroga possono essere venduti in ambito sanitario solo se i produttori autocertificano l’aderenza alle norme tecniche previste, mandando i documenti di prova all’Inail, che una volta ricevuta la documentazione, ne autorizzerà la commercializzazione in ambito sanitario”, chiariscono gli esperti di Clariscience. Visto che per FFP2 e FFP3 non è prevista l’indicazione dell’approvazione in deroga in etichetta (come per le mascherine chirurgiche), si può provare a consultare l’elenco dell’Inail delle maschere filtranti prodotte e vendute in deroga. Queste verifiche potrebbero diradare eventuali dubbi sulle mascherine che stiamo indossando. Ma a volte potrebbero non bastare. “C’è anche la possibilità che il contraffattore astuto abbia apposto sul prodotto il codice di un organismo notificato, presente nel database NANDO e quindi autorizzato a validare i DPI ma che in realtà non ha emesso alcun certificato relativo a quella particolare mascherina”, ci spiega Stefano Pagnutti. “Per cui l’ultimo step è quello di contattare l’ente che risulta come organismo notificato e verificare che abbia effettivamente emesso la certificazione di conformità. Lo abbiamo fatto spesso per qualche nostro cliente e a volte così abbiamo scoperto dei falsi”. È bene ricordare che un fabbricante può scegliere uno qualsiasi degli organismi notificati elencati in NANDO per la normativa di riferimento, indipendentemente dallo Stato membro in cui si trova l’organismo notificato. Gli organismi notificati devono essere situati solo nei territori di uno degli Stati membri dell’UE, nonché nei paesi SEE, in Svizzera (in virtù dell’accordo di mutuo riconoscimento con l’UE) e in Turchia (in virtù dell’accordo di unione doganale con l’UE).

I rischi dell’acquisto online di mascherine. Infine bisogna fare ulteriormente attenzione quando compriamo questi prodotti su internet. La verifica della confezione è generalmente più difficile. Per le mascherine chirurgiche, dovrebbe esserci la dichiarazione di conformità del fabbricante, ma non è detto che sia resa disponibile sulla piattaforma di e-commerce scelta per vendere il prodotto. Eventuali certificati di conformità emessi da enti terzi – a meno che non si tratti di mascherine sterili- dovrebbero, per precauzione, essere considerati dei falsi, visto che, per legge, le mascherine chirurgiche devono sì garantire specifici standard, valutati da laboratori e personale qualificato, ma non necessitano di certificati di conformità provenienti da organismi notificati; in questo caso, infatti, basta la dichiarazione di conformità resa da chi ha prodotto la mascherina.

Marco Angelucci e Cristina Marrone per corriere.it il 28 febbraio 2021. Un anno fa erano sconosciute, oggi sono diventate indispensabili. Almeno in Alto Adige dove le mascherine Ffp2 sono obbligatorie per entrare nei negozi e nei luoghi chiusi. Più costose delle normali mascherine chirurgiche, le Ffp2 (o Kn95) possono arrivare a costare anche più di 2 euro. Tuttavia la maggior parte di quelle in commercio non hanno le caratteristiche delle Ffp2. La denuncia arriva da una società internazionale che si occupa di import export sull’asse Italia-Cina. «Da quando è iniziata la pandemia — raccontano i due legali rappresentanti, entrambi altoatesini — si sono moltiplicati i clienti che vogliono importare dispositivi di protezione dall’Asia. Il punto — avvertono — è che la maggior parte del materiale in commercio non corrisponde alle certificazioni». La società ha fatto infatti fare una serie di test che sono stati controllati anche da un laboratorio. La maggior parte delle mascherine infatti non ha superato la prova del cloruro di sodio e dell’olio paraffina (utilizzate per verificare il filtraggio) e alcune non sono state nemmeno in grado di contenere il respiro. «Il messaggio che vogliamo lanciare è di fare molta attenzione alla merce che si trova sul mercato: in questa fase una buona mascherina può fare la differenza tra la vita e la morte. Specialmente in luoghi come le case di riposo, gli ospedali o i servizi sociosanitario. O le scuole visto che esistono anche linee per bambini» proseguono i titolari che stanno cercando di capire come sia possibile che simili prodotti arrivino sul mercato. Il risultato è stato che la maggior parte dei dispositivi difettosi — sono circa una ventina i modelli testati — è stata certificata con il marchio CE2163. Il codice è quello della Universalcert un laboratorio di Istanbul, in Turchia. Questo accade perché le mascherine, ma anche altri dispositivi medici come tamponi antigenici o test sierologici seguono un percorso di autocertificazione europea senza alcun controllo a monte. «In sostanza chi produce mascherine e le vuole vendere in Europa deve rivolgersi a un laboratorio europeo accreditato per la certificazione. La documentazione va quindi inviata all’apposito ufficio della Comunità europea dove viene rilasciato il marchio CE. A questo punto tutti gli stati membri sono autorizzati ad acquistare le mascherine» spiega Pierangelo Clerici, presidente dell’ Associazione Microbiologi Clinici italiani . Gli eventuali controlli, comunque non obbligatori, di competenza dell’ Istituto Superiore di Sanità o del Ministero della Salute, sono in genere affidati ai Politecnici o a Istituti di Fisica delle Università che possiedono le strutture e le tecnologie per valutare il reale filtraggio delle mascherine, ma oggi sono derogati per lo stato d’ emergenza e non vengono svolti. Inoltre l’Inail, tramite procedura d’ urgenza attivata per favorire l’approvvigionamento di mascherine, può autorizzare alla commercializzazione presidi fabbricati in Cina altrimenti non validi in Europa. L’Inail non ha l’ obbligo di verifica ma solo di rilasciare parere in deroga. «Purtroppo non esiste un percorso di controllo a livello centrale» aggiunge Clerici che auspica la creazione di enti equivalenti all’Ema in Europa e all’Aifa in Italia che certifichino quando dichiarato dal produttore, come succede con vaccini e farmaci. «Capisco che vaccini e farmaci abbiano un’ altra importanza — riflette il microbiologo — ma oggi è importante che anche mascherine, test sierologici e antigenici e tutti i reagenti funzionino al meglio. L’epidemia ha mostrato tutti i limiti del marchio CE. Sarebbe opportuno che il marchio CE non fosse solo l’acquisizione di un’ autocertificazione, ma fosse una valutazione reale a monte di quanto dichiarato dalle aziende. Le criticità esistono soprattutto con le mascherine Ffp2, più complesse da produrre mentre in genere con le chirurgiche lo scostamento tra il dichiarato e l’ atteso è minimo». A tutto questo si aggiunge il problema dei laboratori che certificano. Chi li controlla? In Italia sono accreditati presso le Regioni o il Ministero a cui devono fornire una serie di certificazioni e l’Ente a cui si richiede l’ accreditamento deve fare ulteriori verifiche. Ma ogni Paese membro risponde alle proprie regole interne che possono non essere omogenee e seguire lo stesso standard di qualità.

Fabio Tonacci per repubblica.it il 23 febbraio 2021. "Ho testato cento modelli di mascherine cinesi, la metà non era buona". L'uomo che parla, e che mette in dubbio la qualità di gran parte delle Ffp2 importate, è Marco Zangirolami. E' un metrologo. Per 18 anni ha lavorato all'Istituto di Metrologia "Gustavo Colonnetti" del Cnr di Torino, poi è passato all'Istituto nazionale di ricerca metrologica. Da qualche anno si è messo in proprio, ha aperto a Torino "Fonderia mestieri", una srl. "Prima della pandemia - dice - ci occupavamo di ricerca e sviluppo per l'industria. Quando è arrivato il virus, ho aderito alla chiamata di Innova per l'Italia e insieme al Dipartimento di chimica dell'Università di Torino ho messo in piedi un laboratorio per misurare la filtrazione dei tessuti". Sul sito della Fonderia scrive che il suo è "l'unico laboratorio italiano qualificato da Eurofins product testing srl". Ha chiesto il riconoscimento ad Accredia, l'ente idi accreditamento, la pratica è aperta.

Perché l'idea di fare i test?

"A febbraio dello scorso anno si presenta da me un gruppo di infermieri dell'ospedale San Luigi Gonzaga di Orbassano. Sono spaventati, mi chiedono di montare dei filtri su una maschera da sub. Allora ci siamo messi a progettare un modello di mascherina, ma quando arriviamo alla fase della certificazione del prodotto, ci accorgiamo che non ci sono laboratori disponibili a farlo. Da qui l'idea di aprirne uno privato".

Che strumentazione usate per fare le misure?

"Gli apparecchi richiesti dalla norma di riferimento, la Uni En 149:2009, sono introvabili. Ci vuole un fotometro a fiamma, ma per l'aerosol non li fanno più. Molti laboratori usano dei contatori di particelle ma noi abbiamo preferito impegnarci a costruire, e validare, un fotometro secondo norma per non lasciare spazio a nessuna interpretazione".

Quando avete iniziato a fare le misure?

"Dal marzo scorso. Sono venuti alcuni importatori che avevano comprato migliaia di Kn95 cinesi, equivalenti per capacità di protezione alle Ffp2, ma evidentemente non erano sicuri della qualità di ciò che stavano per immettere nel mercato italiano. Si sono fatti venire lo scrupolo e ci hanno chiesto di testarle".

E?

"Mi hanno portato 35 modelli diversi. La metà non era buona, era da scartare. Non so se dopo il nostro responso le abbiano commercializzate lo stesso. A quel punto, era maggio-giugno, con lo staff di Fonderie abbiamo fatto incetta delle mascherine che trovavamo nelle farmacie e nei negozi, per fare le prove sui tessuti e capire quanto erano pericolose Finora ho testato un centinaio di modelli, la metà dei quali non protegge come dovrebbe".

Come fa a dirlo? Cos'hanno che non va?

"Anzitutto non filtrano come dovrebbero. Il parametro della filtrazione, ossia quante particelle passano attraverso la maschera, è il primo che andiamo a misurare. La Ffp2 deve avere una capacità filtrante del 95 per cento, e poche raggiungevano quel livello. Poi c'è l'altro parametro cruciale: la perdita di tenuta. Poiché la sagoma delle Kn95 è progettata per i tratti somatici asiatici, sul viso degli europei perde un 40 per cento di tenuta, perché noi abbiamo il naso più pronunciato e gli zigomi più sporgenti. Ecco perché passa l'aria e si appannano gli occhiali".

Non c'è un modo per ovviare al problema?

"I produttori italiani che hanno cominciato a fabbricare questo modello, ispirandosi alle Nk95, hanno dovuto fare delle modifiche al progetto, aggiungendo un gancetto dietro la nuca o un biadesivo chirurgico nella zona del naso per aumentare la tenuta".

La trasmissione Fuori dal Coro vi ha portato due mascherine che rientrano nella partita da 800 milioni di pezzi sotto inchiesta a Roma per la maxi commessa da 70 milioni pagata a società intermediarie. Com'erano?

"Quelle che abbiamo provato sono prodotte della Wenzou Huasai Commodity. Per passare il test di Ffp2 non deve filtrare più del 6 per cento del cloruro di sodio e 6 per cento di olio di paraffina. Il cloruro di sodio è passato al 50,98 per cento, la paraffina al 73,99 per cento".

Cosa si trova oggi sul mercato?

"Vedo troppa gente che si affida alle mascherine di stoffa, griffate, lavabili: non funzionano! Se bagno un filtro lo uccido. Non esistono filtri lavabili. Servono per non avere la multa, ma non proteggono dal Covid. Se avessimo avuto e indossato le mascherine giuste dopo la prima ondata, non avremmo avuto la seconda".

Come si fa a capire se la Ffp2 è sicura oppure è irregolare?

"Per quelle di importazione bisogna guardare chi è l'ente notificato che ha rilasciato la certificazione. Lo si individua dai quattro numeri posti accanto al marchio Ce. Ovviamente però, solo gli addetti al settore sanno quali sono gli enti affidabili e quali no. La mia sensazione è che, con alcuni certificatori, è come prendere una cioccolatino da una scatola di cioccolatini: non sai mai cosa ti capita".

Il flop delle mascherine di Stato per la scuola: «Sono troppo grandi persino per gli adulti». Centinaia di proteste sui dispositivi distribuiti ai piccoli studenti dal Commissario per l'emergenza: alcune non aderiscono al volto, altre sono troppo grandi o di scarsa qualità. Patrizio Ruviglioni su L'Espresso il 26 gennaio 2021. E menomale che ci pensa Domenico Arcuri. Le mascherine distribuite nelle scuole dal Commissario straordinario per l'emergenza Covid a studenti e insegnanti sono un fiasco, specie per quanto riguarda elementari e medie. Chiedere a genitori e maestri che da mesi protestano sui social: alcuni modelli sono «enormi rispetto ai volti degli alunni»; altri, «stretti e scomodi a causa dei legacci da fissare sulla nuca»; quasi tutti «emanano cattivo odore», sono «di qualità scadente». Non ci si sente sicuri, e chi può preferisce farne a meno e comprarle per conto proprio. Mentre quelle fornite dal Governo, che i bambini devono comunque prendere, finiscono sprecate. O, nei pochi casi virtuosi, regalate: «Scrivetemi, mi dispiace buttarle...», avvisa Martina in uno dei gruppi Facebook di mutua assistenza per gli abitanti dello stesso paese. I figli le trovano scomode. Quelli di Laura, invece, larghe e inaffidabili. Le mette a disposizione, dice possano andar bene per tutti. Del resto «sulla confezione è scritta la taglia adulto». Peccato servissero da bambino. Il problema riguarda migliaia di studenti che le ricevono ogni settimana e sono obbligati a tenerle durante le canoniche cinque o sei ore di lezione. Quando va bene, tocca il "male minore" e cioè «il modello con l'elastico a nastro», spiega all'Espresso una madre di Latina. Al contrario di quelle con gli elastici intorno alle orecchie infatti, a scuola dominano i dispositivi a doppia fascia che passa dietro la testa. Comprese queste che ci mostra, appartenenti al lotto prodotto da FCA, recentemente al centro di un dibattito sull'effettiva efficacia. Recano la dicitura "per bambini da sei a dieci anni". «Ma non sempre viene rispettata la fascia d'età: dipende cosa arriva al personale», ci spiega. «Soffocano perché strettissime, risultano difficili da indossare per chiunque abbia i capelli lunghi e non hanno neanche il ferretto». Bassa qualità, poche garanzie. E lasciano segni sul volto. I commenti sui social confermano. La soluzione? «Forbici e spillatrice». Su YouTube spuntano anche i tutorial sul taglia e cuci in tempo di scuola e pandemia. Gli utenti ringraziano. E comunque meglio così, con queste strette, che con le altre «enormi», evidentemente riservate agli adulti ma destinate ai bambini, che lo Stato pare stia mettendo a disposizione nelle ultime settimane. Lasciano passare l'aria, quindi sono inutilizzabili. Lo conferma Chiara – madre e insegnante – su un gruppo di insegnanti da oltre 150mila iscritti. Nel suo istituto, racconta, «nessuno indossa quelle fornite dal Governo». Non aderiscono, non proteggono. E ciascuno fa per sé. «Siamo nella stessa situazione», replica Eva. Un'altra maestra: «Gli studenti le chiamano "pannoloni", ormai ognuno viene in aula con i dispositivi comprati dai genitori». Poi Pino ci mostra le foto del figlio di undici anni, che ha patito a lungo quelle coi legacci e da qualche settimana ha ricevuto queste con l'elastico alle orecchie: gli stanno larghissime. Quindi se le mette il padre, si scatta un selfie. Ce lo mostra: sono fuori misura persino per lui. Stesso problema per la bimba di Francesca: all'inizio troppo strette, ora larghissime. «Peggio di prima». Segue una foto della bambina che ne indossa una: sul suo volto, appare enorme. Un'altra mamma denuncia una «taglia XLL», le chiama «lenzuoli». Ci manda una foto: sarebbero per adulti, ma sono abbondanti anche per lei. E i rimedi? Per certe farmacie esistono. Una di Cosenza, per esempio, ha pubblicato un annuncio: elastici con cui "stringere" il dispositivo dalle orecchie alla nuca, qualora «ai vostri bambini stesse largo». Probabile, se – come si legge sui social – si tratta di taglie da adulto date a dei ragazzini. Resta il problema della qualità: in entrambi i casi – troppo strette o non aderenti – i genitori lamentano scomodità e tessuti scadenti. E allora meglio le chirurgiche. Pino conferma: «Da mesi le compro anche per mio figlio». In tanti lo seguono. Così le famiglie spendono ancora e lo Stato spreca.

Comunicato da Striscia il 29 marzo 2021. «Sul fascicolo tecnico della Model 2.1 c’erano delle discrepanze tra il prodotto testato e il prodotto finito in commercio e in più non c’era alcuna certificazione che attestasse l’efficacia di 200 ore di utilizzo promesse dall’azienda». A parlare è il comandante dei Nas di Trento Davide Perasso, che stasera a Striscia la notizia (Canale 5, ore 20.35) confermerà i dubbi sollevati da tempo dal Tg satirico e che hanno successivamente portato il Ministero della Salute a bloccare le vendite anche della nuova U-Mask, la “Model 2.1”. Il tg satirico di Antonio Ricci ha iniziato a indagare a dicembre 2020 sulla vicenda U-Mask, mascherina paragonata dall’azienda che la produce ai dispositivi di protezione individuale (FFP2 o FFP3): la Model 2 avrebbe in realtà una capacità di filtrazione inferiore a quella di una comune chirurgica da 50 centesimi, la Model 2.1 non avrebbe invece superato i test sulla respirabilità. Oltre ai provvedimenti già presi dal Ministero, è tuttora aperta un’indagine della Procura di Milano.

Da "corriere.it" il 20 febbraio 2021. Non sono dispositivi medici. Anzi, ci sono «potenziali rilevati rischi per la salute» proprio per «l'assenza di un regolare processo valutativo». Così le mascherine U-Mask non potranno più essere vendute. Colorate, in neoprene, caratterizzate dalla grande «U» stampata sul lato, amate e sfoggiate anche da molti personaggi famosi, le costose mascherine (33,60 euro l'una) prodotte da U-Earth Biotech Ltd sono diventate fuorilegge. Lo stabilisce «con carattere di urgenza» il ministero della Salute che ne dispone «il divieto di immissione in commercio» e ne ordina il ritiro dal mercato. Entro 5 giorni l'azienda dovrà ritirare a sue spese tutte le mascherine presenti sul mercato, dalle farmacie ai siti web. Inoltre, U-Mask sarà cancellata anche dalla Banca dati ufficiale dei dispositivi medici autorizzati. La decisione, spiega la Direzione generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico del ministero della Salute, dopo la scoperta che il laboratorio di analisi Clodia di Bolzano che ha rilasciato la certificazione di conformità della U-Mask, è «risultato privo di autorizzazione sanitaria». Non solo. Chi ha firmato la certificazione, è «un soggetto privo dei prescritti titoli abilitativi», cioè senza laurea. La Direzione generale quindi sottolinea i potenziali rischi «in termini di sicurezza ed efficacia» della mascherina che quindi non dà garanzia «sull'effettiva adeguatezza come strumento di prevenzione dei contagi». Il provvedimento è arrivato dopo che a fine gennaio i carabinieri del Nas avevano sequestrato il laboratorio di analisi di Bolzano e a Milano la Procura aveva aperto un'inchiesta per frode indagando Betta Maggio, rappresentante legale della U-Earth Biotech di Londra e della sede di Milano. Il tutto è partito da un esposto di un'azienda concorrente che sosteneva come il filtraggio delle U-Mask non fosse affatto come quello delle mascherine FFP3 (tra il 98 e il 99%), come invece sostenuto dalla certificazione e sul sito web. Poi c'è stata l'Antitrust che ha avviato un procedimento contro l'azienda per pubblicità ingannevole visto che «verrebbe enfatizzata l'efficacia di questi dispositivi con modalità ingannevoli e aggressive, sfruttando indebitamente la situazione di emergenza sanitaria in corso per indurre il consumatore a comprare a prezzi elevati il prodotto reclamizzato». Ieri lo stop. Ma l'azienda potrà presentare ricorso al ministero o al Tar.

Da repubblica.it il 25 gennaio 2021. La Procura di Milano ha disposto il sequestro in dieci farmacie milanesi e nella sede della società di 15 mascherine U-Mask complete di filtro e di 5 filtri per effettuare le analisi sulla loro effettiva capacità di filtraggio e se conforme a quanto dichiarato dall'azienda. L'inchiesta coordinata dai procuratori aggiunti Tiziana Siciliano ed Eugenio Fusco è stata affidata alla Polizia locale e alla polizia giudiziaria del dipartimento Salute, Ambiente e Lavoro. L'indagine è nata da un esposto di una ditta concorrente con allegati gli esiti di analisi di laboratorio secondo i quali la capacità di filtraggio della mascherina biotech con il filtro che dura 150-200 ore sarebbe del 70-80 per cento a fronte del 98-99 per cento dichiarato ufficialmente. L'amministratrice della filiale italiana della società londinese è indagata come atto dovuto. La procura ora ha affidato a un consulente l'incarico di analizzare le mascherine sequestrate per stabilire l'effettiva percentuale di filtraggio. Il reato contestato è il 515 del Codice penale in quanto l'ipotesi su cui sono in corso verifiche è che il prodotto abbia caratteristiche non conformi a quanto dichiarato. La società si dice certa che "le indagini chiariranno la trasparenza del nostro operato": "Abbiamo collaborato attivamente con gli inquirenti, fornendo tutta la documentazione richiesta. Ribadiamo che il prodotto U-Mask rispetta pienamente le norme e le leggi in materia. Tutta la documentazione tecnica relativa ai nostri dispositivi è stata a suo tempo inviata - come prescritto dalla legge - alle Autorità competenti (Ministero della Salute) che, preso atto della correttezza della documentazione accompagnatoria e delle prove tecniche effettuate, ne ha disposto l’approvazione e la registrazione come dispositivi medici di classe uno".

Anticipazione da “Striscia la Notizia” l'11 gennaio 2021. Dopo i primi test di laboratorio sulle reali capacità di filtraggio delle mascherine prodotte da FCA e distribuite con il logo della Presidenza del Consiglio, e in attesa di nuovi dati frutto di ulteriori verifiche, Striscia la notizia prosegue la sua inchiesta sulla qualità delle mascherine vendute in Italia. A proposito del problema delle cosiddette autocertificazioni, nella puntata di stasera (Canale 5, ore 20.35), si parla di un’azienda della provincia di Milano che produce mascherine trasparenti riutilizzabili a uso medico “CE”: le “Invisimask”. Secondo la Comunità Europea, per poter applicare il marchio “CE” è necessario compilare una dichiarazione di conformità da parte del produttore che si assume così la responsabilità che il prodotto sia conforme alla normativa vigente. Dai test effettuati dall’inviato di Striscia, però, è risultato che la capacità di filtraggio di quelle mascherine si attesterebbe al 45%: meno della metà di quanto previsto dalla legge. In queste settimane sono migliaia le segnalazioni arrivate alla redazione da parte di cittadini preoccupati per la loro salute e questa vicenda si aggiunge alla lista di casi già documentati dall’inviato Moreno Morello. L’inchiesta di Striscia sulle mascherine quindi non finisce qui...

Da Striscia La Notizia - striscialanotizia.it il 29 gennaio 2021. Colpo di scena nell’inchiesta di Striscia la notizia sulle mascherine: Clodia, il laboratorio di Bolzano che ha effettuato i test sulla capacità di filtrazione per conto di “U-Mask”, è stato posto sotto sequestro dai Nas. Spulciando tra i documenti prodotti da “U-Mask”, Moreno Morello nei giorni scorsi ha scoperto che i test sulla capacità di filtrazione erano stati eseguiti presso il laboratorio Clodia di Bolzano. Dopo i risultati contrastanti ottenuti in altri laboratori e mostrati da Striscia– in cui le “U-Mask” risultavano essere al di sotto della soglia minima di filtrazione del 95% prevista dalla legge – Moreno Morello si è spinto fino a Bolzano, per avere spiegazioni da parte del laboratorio Clodia. E una “risposta” il tg satirico l’ha trovata, ma sorprendente. La troupe infatti è arrivata proprio mentre gli uomini dei Nas di Trento stavano apponendo i sigilli alla porta del laboratorio, sottoponendolo a sequestro penale. Stasera a Striscia il tenente colonnello Davide Perasso dei Carabinieri del Nas di Trento spiegherà i motivi che hanno portato alla chiusura del laboratorio. Intanto, nonostante i tentativi di “U-Mask” di rassicurare i propri clienti (“Con la consueta trasparenza che ci contraddistingue dichiariamo che le affermazioni di Striscia sono prive di fondamento”), continuano le proteste sui social dei tanti U-Maskers che – convinti di acquistare a 35 euro un dispositivo equivalente a un FFP2 o FFP3 – si sono ritrovati tra le mani una mascherina che filtrerebbe meno di una comune chirurgica da 50 centesimi. Non solo: sempre secondo le indagini di Striscia, anche le 200 ore di efficienza tanto decantate da “U-Mask” sarebbero state ottenute da misurazioni sulla capacità battericida, che nulla ha a che vedere, però, con l’efficienza di filtrazione!

Da "Striscia la notizia" il 3 febbraio 2021. Stasera a "Striscia la notizia" nuove rivelazioni sul caso “U-Mask” (Canale 5, ore 20.35) con un’intervista a Giancarlo Canale Bruni, ex collaboratore di U-Earth, la startup che ha sviluppato la famosissima mascherina venduta in 121 Paesi. «Ho iniziato ad avere dubbi sul prodotto – racconta a Moreno Morello – quando, scoppiata la pandemia, mi sono accorto che le prime produzioni di U-Mask non avvenivano in ambienti sterili e quindi idonei al confezionamento di dispositivi medici». Le dichiarazioni dell’ex collaboratore e le immagini che trasmetterà il tg satirico di Antonio Ricci sembrerebbero documentare come la produzione di “U-Mask” sarebbe avvenuta in origine in un ambiente quanto meno “artigianale”. La registrazione di “U-Mask” sul sito del Ministero della Salute è stata fatta mesi prima che la startup realizzasse alcuni test necessari, tra cui la pulizia microbica, circostanza che confermerebbe indirettamente le parole dell’ex collaboratore Canale Bruni. A oggi, inoltre, il sito ufficiale di U-Mask risulta curiosamente fuori uso, eccetto la sezione di e-commerce. Striscia la notizia ha iniziato a indagare a dicembre 2020 sulla vicenda della “U-Mask”, descritta dall’azienda che la produce come un dispositivo di protezione individuale (FFP2 o FFP3), ma che avrebbe in realtà una capacità di filtrazione sotto alla soglia prevista per legge e inferiore a quella di una comune chirurgica da 50 centesimi. Il Laboratorio Clodia di Bolzano, l’unico ad aver valutato la capacità di filtrazione della mascherina, è attualmente sotto sequestro dei Nas. La Procura di Milano ha aperto un’indagine e confiscato alcune mascherine, incaricando un esperto di analizzarle.

Aldo Fontanarosa per "la Repubblica" il 16 febbraio 2021. L'Antitrust, garante dei consumatori, mette nel mirino le U-Mask. Sono quelle mascherine per top manager, calciatori di grido, stelle della tv che arrivano a costare 33,6 euro. Colorate, morbide. Eppure imperfette secondo l'Antitrust che avvia un procedimento contro le società U-Earth Biotech Ltd. e Pure Air Zone Italy srl contestando le «attività di promozione e vendita delle U-Mask». Queste attività - sospetta il Garante - verrebbero svolte in modo «aggressivo», sfruttando «indebitamente» l'emergenza sanitaria. Le società enfatizzerebbero l'efficacia preventiva delle mascherine con slogan (o claim) in grado di ingannare i consumatori. Le persone sarebbero indotte così all'acquisto di un prodotto «privo della capacità filtrante pubblicizzata, con potenziale pericolo per la salute» (tesi sostenuta anche da Striscia la Notizia). Ora, il sito che vende le U-Mask segnala che quasi 7 euro ogni 33,6 sono destinati in beneficenza. Le mascherine vip, poi, sarebbero realizzate con materiali eco. Argomenti che le due società presenteranno a loro difesa, tra gli altri. Ma se, in attesa del verdetto, si abbassasse un po' il prezzo? 

L’ANTITRUST APRE ISTRUTTORIA SULLA MASCHERINA U-MASK DOPO L’INCHIESTA DI “STRISCIA LA NOTIZIA”. Il Corriere del Giorno il 15 Febbraio 2021. Ispezioni sono state condotte dalla Guardia di Finanza nelle sedi di U-Earth Biotech Ltd. e Pure Air ZoneItaly S.r.l. a Milano. Il laboratorio Clodia di Bolzano, che ha certificato la capacità di filtrazione di U-Mask, è attualmente sotto sequestro dei Carabinieri del Nas. La Procura di Milano ha aperto immediatamente un’indagine attualmente in corso diretta dai procuratori aggiunti Tiziana Siciliano ed Eugenio Fusco. L’Autorità Antitrust ha avviato un procedimento contro la promozione e la vendita delle mascherine U-Mask in quanto “verrebbe enfatizzata l’efficacia di questi dispositivi con modalità ingannevoli e aggressive, sfruttando indebitamente la situazione di emergenza sanitaria in corso per indurre il consumatore a comprare a prezzi elevati il prodotto reclamizzato“. E’ quanto è stato reso noto dall’ Authority, annunciando l’avvio del ”procedimento istruttorio”, nei confronti delle società U-EarthBiotech Ltd. e Pure Air Zone Italy Srl a Milano. Le U-Mask vengono usate da politici, team della Formula1, giornalisti televisivi e persino dalla Nazionale Italiana di Calcio (partner in un progetto di beneficenza) , vengono pubblicizzate come autosanitizzanti, antiproliferative e in grado non solo di bloccare i contaminanti dell’aria sulla superficie della maschera, ma persino di distruggerli all’interno del filtro,  distribuite in 121 Paesi del mondo e persino adottate da diverse federazioni sportive. Nel sito della società U-Mask vengono illustrate delle collaborazioni anche con team di Formula 1, come il Team AMG Patronas Mercedes Benz, ma che in realtà non risultano ! Ispezioni sono state condotte dalla Guardia di Finanza nelle sedi di U-Earth Biotech Ltd. e Pure Air ZoneItaly S.r.l. “I claim con cui le società enfatizzerebbero l’efficacia, in termini di prevenzione, delle mascherine in questione appaiono in grado di ingannare i consumatori, inducendoli all’acquisto di un prodotto privo delle caratteristiche e della capacità filtrante pubblicizzata, con conseguente potenziale pericolo perla salute”, spiega l’Autorità. Sotto questo profilo da un lato è attribuita al prodotto U-Mask un’efficacia protettiva (per singolo filtro) di 200 ore di utilizzo effettivo o di un anno, che non sarebbe debitamente comprovata; dall’altro, questo tipo di mascherina sarebbe impropriamente comparato con dispositivi di protezione individuale (DPI) rispetto ai quali, secondo la presentazione sul sito web, “U-Mask ha un’efficienza superiore, paragonabile a un FFP3″. Invece U-Mask non è certificata come DPI ma risulta registrata presso il Ministero della Salute come dispositivo medico di “classe I“. Vengono inoltre contestate altre omissioni e ambiguità nelle informazioni presenti sul sito “in relazione al diritto di recesso, al foro del consumatore, alla garanzia legale di conformità e al meccanismo extra-giudiziale di reclamo e ricorso”. A causa della gravità della condotta, l’Autorità ha contestualmente avviato un subprocedimento cautelare, “volto a verificare la sussistenza dei presupposti per la sospensione provvisoria di tale pratica, assegnando alle società un breve termine per la risposta”. “Dopo le inchieste di Striscia la Notizia l’Antitrust apre un’istruttoria sulle mascherine U-Mask“, ha sottolineato il tg satirico di Antonio Ricci nel commentare l’apertura del procedimento. ‘Striscia‘ ricorda in una nota che a dicembre 2020 aveva “iniziato a indagare sulla vicenda U-Mask, mascherina paragonata dall’azienda che la produce ai dispositivi di protezione individuale (FFP2 o FFP3), ma che avrebbe in realtà una capacità di filtrazione sotto la soglia prevista per legge e inferiore a quella di una comune chirurgica da 50 centesimi“. Il laboratorio Clodia di Bolzano, che ha certificato la capacità di filtrazione di U-Mask, è attualmente sotto sequestro dei Carabinieri del Nas. La Procura di Milano ha aperto immediatamente un’indagine attualmente in corso diretta dai procuratori aggiunti Tiziana Siciliano ed Eugenio Fusco , ed ha sequestrato un campione di 15 mascherine con relativi filtri e il tutto sarà analizzato da due periti nominati dai magistrati. Ad accendere i fari della magistratura che ipotizza il reato di frode in commercio a carico di  Betta Maggio, rappresentante legale della U-Earth Biotech di Londra e della sede di Milano, è stato un esposto di un’azienda concorrente che ha fatto esaminare le U-Mask sostenendo che il filtro rimovibile, garantito per una durata di 150-200 ore riuscirebbe a garantire un filtraggio tra il 70 e l’80%, lontano dal 98-99% delle Ffp3. Gli agenti della sezione di polizia giudiziaria del sesto dipartimento della Procura e della Polizia locale di Milano, che si occupa di reati legati alla tutela della salute, si sono presentati in dieci farmacie milanesi in ciascuna delle quali hanno sequestrato una mascherina con filtro (costo 33,6 euro su internet) mentre altre cinque sono state prelevate nella sede della società assieme alla documentazione relativa ai molti test eseguiti dall’azienda sul proprio prodotto. La società inglese come risulta dal loro stesso sito ha persino usufruito di finanziamenti da parte della Commissione Europea, con il progetto Horizon 2020, ed ancora una volta a Bruxelles i necessari controlli sono stati fatti in maniera superficiale !

(ANSA il 27 marzo 2021) Nelle indagini della Procura di Milano sul caso U-Mask, che hanno portato anche il Ministero della Salute a disporre il blocco delle vendite e il ritiro dal mercato pure del nuovo modello delle note mascherine, la settimana scorsa "nel corso di una perquisizione" i carabinieri del Nas di Trento hanno sequestrato "oltre 3 tonnellate di merce, per un valore commerciale stimato in 5 milioni di euro". E' stato individuato, infatti, come riferisce il Nas in una nota che dà conto anche del provvedimento ministeriale, alla periferia di Milano "un magazzino anonimo e non indicato fra le unità produttive dell'azienda, nella disponibilità di un cittadino rumeno" e sono state sequestrate più di 3 tonnellate di merce, "tra cui 50.000 confezioni complete di mascherine U-Mask mod. 2 e 2.1, 100.000 ricambi e materiale vario per il confezionamento (buste, etichette, sigilli di garanzia)". I carabinieri spiegano che "è in corso di approfondimento l'ipotesi investigativa che il vecchio prodotto (modello 2.0) fosse riconfezionato con il nuovo packaging esterno di U-Mask model 2.1", quello di cui nelle scorse ore è stato disposto il blocco delle vendite con ritiro dal mercato. Sul primo modello c'era già stato uno stop a febbraio.

Da lastampa.it il 27 marzo 2021. Le «U-Mask Model 2.1» sono fuorilegge. Il ministero della Salute ha ordinato il ritiro dal mercato della nuova versione, stessa sorte del «Model 2» già tolto dalla rete commerciale alcune settimane fa per ordine della Direzione generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico del ministero. Su quelle mascherine, la procura i Milano aveva già avviato un’inchiesta per frode in commercio. Il provvedimento di ritiro dal mercato è avvenuto  «in considerazione della destinazione d’uso del prodotto, nonché dei potenziali rilevanti rischi per la salute umana derivanti dall’assenza di un regolare processo valutativo in termini di sicurezza ed efficacia e della conseguente assenza di garanzia sull’effettiva adeguatezza come strumento di prevenzione dei contagi». Secondo il ministero, «i risultati dei test che il fabbricante ha reso disponibili in allegato al fascicolo tecnico non forniscono evidenza scientifica sulla capacità di mantenere inalterate le prestazioni del filtro fino a 200 ore di utilizzo». In più, «non sono disponibili relazioni di prova che diano evidenza che le caratteristiche di efficienza di filtrazione batterica, respirabilità e resistenza agli schizzi siano mantenute». Per questo, il prodotto è stato cancellato dalla banca dati dei dispositivi medici. I dubbi sulla genuinità delle certificazioni, poi, avevano spinto il Nas di Trento a sequestrare il laboratorio di Bolzano che aveva sottoscritto la documentazione a garanzia del precedente modello.

Da striscialanotizia.mediaset.it il 27 marzo 2021. Striscia la notizia e Moreno Morello tornano a parlare di U-Mask, la mascherina amata dai vip di tutto il mondo, ma che secondo il Tg satirico filtrerebbe meno di una comune chirurgica da 50 centesimi e la cui vendita è stata vietata in tutta Italia dal Ministero della Salute. Per tornare rapidamente sul mercato “aggirando” l’inchiesta di Striscia cominciata a fine dicembre, l’indagine tuttora aperta della Procura di Milano, l’istruttoria dell’Antitrust e, infine, il divieto di vendita imposto dal Ministero, U-Mask ha rilasciato una nuova versione della mascherina, la “Model 2.1”. Purtroppo, però, anche il nuovo modello sembrerebbe presentare alcuni problemi di conformità. «Il nuovo dispositivo risulterebbe conforme per quanto riguarda l’efficienza di filtrazione – spiega Daniele Barbone, direttore del laboratorio BpSec –, ma lo stesso non si può dire della respirabilità: dai test di due diversi laboratori, infatti, la Model 2.1 risulta avere un valore di circa 70 (Pa/cm2), quando il limite massimo consentito per mascherine di quella classificazione è 60». In attesa di conoscere i nuovi risvolti dell'inchiesta in onda questa sera, ecco cosa aveva confessato ai microfoni di Moreno Morello un ex collaboratore dell'azienda che produce la celebre mascherina.

Appalti mascherine: Arcuri, noi parte lesa, estranei indagini. (ANSA il 17 febbraio 2021) Da quanto emerso dalle indagini "risulta evidente che la struttura commissariale e il Commissario Arcuri, estranei alle indagini, sono stati oggetto di illecite strumentalizzazioni da parte degli indagati". E' quanto afferma la struttura del commissario in merito all'indagine della procura di Roma sottolineando che gli uffici continueranno "a fornire la più ampia collaborazione agli investigatori" e che è già stato chiesto ai legali di "valutare la costituzione di parte civile in giudizio per ottenere il risarcimento del danno" in quanto parte offesa".

Giacomo Amadori per “la Verità” l'1 marzo 2021. Yoyito e Ciufeto. Sono loro i nuovi protagonisti della telenovela delle mascherine d'oro. Jorge Solis, l'imprenditore ecuadoriano arrestato per la fornitura sotto inchiesta di dispositivi di protezione, in un'intercettazione agli atti appioppa nomignoli e giudizi sui personaggi della nostra politica. Per esempio il commissario Domenico Arcuri diventa «Yoyito Arcuri», il signor Arcuri, un po' «hijo de puta». Ed è amico di «ciufeto», «il presidente», che si potrebbe identificare nell'ex premier Giuseppe Conte.A parere di Solis, che grazie alla fornitura delle mascherine ha incassato almeno 5,8 milioni di euro di provvigioni, i due, Yoyito e Ciufeto sarebbero «soci di affari». Una sparata a cui è difficile dar credito, ma che la dice lunga sui soggetti a cui il commissario ha affidato la salute degli italiani. Anche perché nome e cellulare di Solis comparivano come «contatto» per la fornitura incriminata nella mail spedita dall'indagato Mario Benotti allo staff dell'ad di Invitalia il 21 marzo scorso.Ma veniamo all'intercettazione. Verso le 15 del 31 ottobre 2020, il giorno di Halloween, il «dott. Solis», come lo definisce Benotti (che quanto a titoli non lesina) è al telefono con il fratello Santiago, detto Lalo. Jorge gli comunica di aver ordinato «due Lamborghini nere» e sembra già pronto a importare altre tonnellate di dispositivi medici dalla Cina, «perché forse da lunedì chiudono tutto». Dice che «la pandemia è fuori controllo». Ma questo è un dettaglio che non lo preoccupa. Anzi. Per lui le chiusure equivalgono a nuovi affari. Rimarca «che gli piace Conte (Giuseppe, l'ex premier, ndr) perché non lagna quando parla, come fanno Salvini e la Meloni che dicono coglionate». Lui, con la sua società che si occupava di produzione di «cannabis», sostiene di aver perso, «con tutte le cose in regola», sui 100.000 euro. Discute con il fratello delle misure del governo e della cassa integrazione. «A questo punto», valuta Solis, «meglio chiudere tutto e riusciranno a farcela solo i più forti». Lui, reso invincibile da milioni delle provvigioni, si improvvisa politologo ed esperto di eurozona: «La Francia e la Germania sono fuori controllo (per la pandemia, ndr) e ora si sono uniti perché hanno fatto sempre la guerra all'Italia». A questo punto dice che «il futuro dell'Italia si chiama Silvio Berlusconi e Draghi (Mario, attuale premier, ndr), Berlusconi va come presidente e Draghi primo ministro, se Draghi entra come primo ministro l'Italia vuole fare come Malta», fantastica Solis, «tasse al 10, 12%». E spiega al parente: «Che vuol dire questo? Vuol dire che tutto il mondo verrà per fare investimenti in Italia, perché l'Italia è il miglior punto strategico per l'investimento, imprese, banche». Gli investigatori annotano che Solis dice che «sta aspettando che "esploda" tutto (perché se chiudono tutto lui può fare i suoi affari vendendo i prodotti sanitari, puntualizzano le Fiamme gialle, ndr) per attaccare (con gli affari)». A questo punto viene fuori la sua megalomania. E assicura: «Questo mese in Italia "quaglia" il negozio e mi vedranno sul New York Times». Gli investigatori traducono: «Nel senso che avrà sfondato con gli affari e diverrà famoso, tanto da finire in copertina sul New York Times». I due fanno riferimento a un misterioso «Victor Martinez», probabilmente un altro soprannome, una persona «contornata di morti di fame». Jorge aggiunge: «Si è aumentato lo stipendio il "Yoyito" figlio di puttana». E «Yoyo (Yoyo, Yoyito sono modi di dire "signore", Ndr) è stato anche Yoyito Arcuri, un uccello di alto volo (il termine, secondo i finanzieri, indica "persone importanti", ndr) il figlio di puttana e ci sono soldi dappertutto e con il suo pana (in gergo "pana" è un buon amico, traducono sempre gli investigatori, ndr) che...». In questo passaggio i militari fanno fatica a interpretare. Nel brogliaccio si legge: Jorge «dice che è "espalda" con ciufeto», una frase che le Fiamme gialle chiosano così: «Vorrebbe dire che Yoyito e ciufeto stanno insieme negli affari». La trascrizione prosegue: «Con come si chiama? Con ciufeto... con il presidente...». Se Yoyito è quasi sicuramente Arcuri, chi è «il presidente ciufeto»? Il sospetto è che Solis si riferisca a Conte. La telefonata continua e Lalo consiglia a Jorge di guardare su Youtube un'intervista di Mario Giordano a Vittorio Sgarbi. Dicono che «Sgarbi è matto perché continua a dire che il virus non esiste». Jorge dice al fratello di «stare attento perché può finire in galera come un ladruncolo». Santiago risponde che «per il virus tutto si abbasserà di prezzo, le macchine, tutto () che bisogna aspettare che tutto vada in caos, che il virus esploda per potere avere guadagni, perché i prezzi si abbasseranno».Ma se i fratelli Solis sognavano Lamborghini scontate, il merito va a Benotti, interdetto temporaneamente dai pm dall'attività imprenditoriale. Un altro che si è arricchito grazie al Covid. Secondo gli inquirenti, oltre ai 12 milioni già incassati, era in attesa di ulteriori 2,5 milioni da schermare in mandati fiduciari per tenerli nascosti alla compagna. Il motivo? Aveva «perso la testa» per l'ex segretaria particolare di Graziano Delrio, Antonella Appulo, pure lei indagata nell'inchiesta sui dispositivi di protezione cinesi. Testimone della sbandata Mauro Bonaretti, ex capo di gabinetto dell'attuale capogruppo del Pd alla Camera. Bonaretti, magistrato contabile, è anche membro dello staff di Arcuri e, interrogato dagli inquirenti capitolini, oltre a precisare le competenze della Appulo («si occupava di dattiloscrittura, rapporti telefonici, gestione dell'agenda di appuntamenti insieme ad altre segretarie. Non aveva una competenza tecnica specifica»), ha usato il gossip per marcare la distanza da Benotti: «So che aveva un'amante, la Appulo, che conoscevo. In realtà Benotti non mi ha mai detto chi fosse questa donna per la quale, mi diceva, aveva perso la testa. Capii che si trattava della Appulo perché il marito di quest' ultima (promosso dirigente da Delrio, ndr) mi aveva detto che si erano separati e che "Antonella" era diventata amica di Benotti, così ho fatto due più due. Insomma, avevo capito che si trattava di un uomo che andava incontro a una deriva personale dal quale era meglio stare lontani». Quando lo aveva capito Bonaretti? Prima o dopo che Arcuri incaricasse il giornalista Rai di trovare centinaia di milioni mascherine? In un'informativa di dicembre la Guardia di finanza ha scritto che la «mediazione illecita svolta costantemente da Benotti nei confronti della Pubblica amministrazione e delle società a partecipazione statale è risultata chiara e tangibile anche nel tentativo di quest' ultimo - poi andato a buon fine - di far assegnare alla Appulo un incarico all'interno di Terna Spa». Ieri, però, l'ufficio stampa della società ha smentito «categoricamente che l'azienda abbia mai affidato alcun tipo di incarico alla dottoressa Appulo».

Gianluca Veneziani per “Libero quotidiano” l'1 marzo 2021. Contro ogni bavaglio ha svelato i dettagli dello scandalo mascherine. Nicola Porro, lunedì scorso, a Quarta Repubblica su Rete 4 ha fatto il colpaccio: in studio aveva come ospite Mario Benotti, intermediario offertosi nel marzo 2020 al commissario straordinario Domenico Arcuri per reperire 800 milioni di mascherine in Cina da portare in Italia. Benotti, ora indagato perché, insieme ad altre sette persone, si sarebbe macchiato di traffico di influenze illecite, svolgendo cioè attività di intermediazione con mezzi illeciti, al programma di Porro ha mostrato gli sms scambiati per due mesi con Arcuri (non indagato) fino allo scorso 7 maggio, quando improvvisamente le loro comunicazioni si sono interrotte. Per una ragione clamorosa che ha dichiarato in diretta.

Porro, sapeva che Benotti avrebbe fatto quelle rivelazioni?

«Per me è stata una sorpresa totale. Benotti ha detto una cosa di una portata tale che non mi capacito come mai non abbia avuto ripercussioni: il 7 maggio, dice lui, si sarebbe visto con Arcuri, e questi gli avrebbe detto di non parlargli più perché c' era un' indagine in corso sul trasporto di mascherine da parte dei Servizi Segreti e la fonte di questa notizia sarebbe stata Palazzo Chigi. In passato per una cosa di questo tipo avrebbero imbastito scandali da P2. Invece ora nessuno indaga».

Né Arcuri né Palazzo Chigi hanno smentito questa ricostruzione?

«No. Io, a dire il vero, non ho motivo di credere né a Benotti né a Palazzo Chigi. Però questa cosa è stata detta, e qualcuno dovrebbe verificarla, magari qualche procura».

Il fatto che i Servizi abbiano riferito a Palazzo Chigi degli approfondimenti in corso c' entra con la delega ai Servizi che Conte ha voluto tenere per sé?

«È una delle ipotesi più maliziose e non riguarda solo questa vicenda. Il fatto che il premier, l' autorità delegante ai servizi di sicurezza, abbia tenuto per sé questa delega fino all' ultimo getta un' ombra più cupa su questa storia. Come dire, la moglie di Cesare non è al di sopra di ogni sospetto...».

Strano anche che Palazzo Chigi informi Arcuri e che questi poi riferisca la cosa a Benotti.

«Se così è avvenuto, è qualcosa su cui qualcuno dovrebbe fare delle domande. E poi questa vicenda dimostrerebbe l' inconsistenza della difesa di Arcuri: il commissario prima ha detto che lui e Benotti non si conoscevano, poi che si conoscevano ma non avevano familiarità. Ora si viene a sapere che si sarebbero addirittura visti da soli».

Ma se Arcuri è estraneo a ogni reato, come gli riconosce anche la procura, perché negare la conoscenza con Benotti?

«Questo è il grande mistero. Non capisco perché Arcuri debba negarlo. Il commissario ha impostato la sua difesa su una cosa falsa. Non c' era nulla di male a dire di avere confidenza con Benotti, a maggior ragione che è colui che gli ha procurato le mascherine. Questa cosa Arcuri avrebbe dovuto rivendicarla, anziché nasconderla. In quel momento di emergenza per l' Italia è stato sacrosanto agire in deroga al codice degli appalti, accettare l' azione di intermediari e portarsi a casa le mascherine whatever it takes, ad ogni costo. Poi Benotti e gli altri hanno preso per sé delle provvigioni per 70 milioni di euro? Poco male, l' importante è che abbiano ottenuto il risultato».

Il direttore Feltri ha scritto a riguardo: «Solo i cretini lavorano senza un  compenso. Gli intermediari si sono tenuti per sé legittimamente un pacco di miliardi».

«Sono d' accordissimo. È inutile fare i moralisti: se mi procuri le mascherine, ti prendi tutto il compenso dovuto. Quei guadagni non sono illeciti, ma il frutto di un lavoro di intermediazione ben pagato dai consorzi cinesi. Del resto, viste le cifre, cioè un appalto di oltre un miliardo, la struttura commissariale di Arcuri non poteva non immaginare che ci fossero delle provvigioni. Pensarlo vuol dire apparire come Biancaneve e i Sette Nani».

E cioè fingersi ingenui?

«Sì, e per questo Arcuri ha un' enorme responsabilità politica. Lui doveva essere chiaro e trasparente e dire: abbiamo comprato le mascherine, abbiamo scoperto che sono state pagate delle commissioni, però abbiamo dovuto farlo perché in quel momento eravamo in emergenza. E poi doveva mostrare i contratti, dove è spiegato come sono state pagate le mascherine e magari è indicata la percentuale che spettava agli intermediari. Invece, ogni volta che gli si fanno domande su questa vicenda, Arcuri non risponde e minaccia querele. Lo ha fatto anche con Quarta Repubblica, facendoci recapitare un atto di citazione».

Prezzolini divideva gli italiani in furbi e fessi. In questa vicenda chi è più furbo e chi più fesso?

«Stanno facendo tutti i furbi. L' idea che una persona come Arcuri assuma quelle responsabilità senza darne conto a nessuno, avendo un atteggiamento arrogante e minacciando querele, dà il senso di un' Italia fatta da furbetti non del quartierino, ma di Palazzo Chigi».

La procura sostiene anche che le mascherine arrivate grazie a quella commessa fossero prive delle adeguate certificazioni.

«Se così fosse, sarebbe una cosa gravissima. La logica è: se io vado al ristorante, pago volentieri per quello che mangio. Ma, se mi danno una schifezza, mi lamento. Così invece non è stato».

Arcuri ha replicato dicendo che quelle mascherine sono state «autorizzate dal Cts».

«Mi sembra che Arcuri scarichi la responsabilità, come spesso fa, sul Comitato tecnico-scientifico. Questo palleggio di responsabilità è tipico della sua gestione commissariale».

Per questa vicenda dovrebbe dimettersi?

«Dovrebbe farlo per la sua incapacità: non è la persona giusta al posto giusto. Lui è l' esponente esemplare del fallimento del governo Conte».

Intanto Draghi non convoca Arcuri neppure più alle riunioni. Il commissario è stato commissariato?

«Penso di sì. Ma anche quando gli verrà tolta la gestione del piano vaccinale, Arcuri continuerà ad avere in mano una serie di dossier, da Bagnoli all' Ilva ai farmaci con anticorpi monoclonali: se li gestirà come ha fatto con le mascherine, c' è da tremare. Io non so come l' Italia possa pensare di affrontare i problemi affidando le soluzioni a un uomo che si presenta come Mr. Wolf (il personaggio di Pulp Fiction che risolve problemi, ndr), ma sembra Mr. Bean».

Arcuri non verrà rinnovato dopo il 30 aprile?

«Non si hanno certezze neppure su quando scade: qualcuno dice il 31 marzo, qualcuno il 30 aprile. È tutta una barzelletta. Di sicuro, se Arcuri venisse rinnovato, bisognerebbe chiamare questo governo Conte ter, anziché Draghi».

Chi sarebbe l' uomo giusto al posto di Arcuri?

«Bertolaso, perché ha una squadra fortissima, si assume le responsabilità di ciò che fa ed è competente, a differenza dell' altro».

"La protezione civile un distributore di morte". Sms shock tra Arcuri e Benotti. Un linguaggio liturgico e curiale nei messaggi scambiati: "Domani preghiamo, Monsignore in posizione con incenso pronto e fumante per la processione". Luca Sablone - Mar, 02/03/2021 - su Il Giornale. Il rapporto tra Domenico Arcuri e Mario Benotti resta al centro del dibattito pubblico. Ricorderete tutti l'intervista rilasciata dal giornalista Rai in aspettativa in esclusiva a Nicola Porro per Quarta Repubblica su Rete 4. Il presidente del consorzio Optel e di Microproducts It ha rivelato di conoscere l'ex commissario straordinario all'emergenza (ieri sostituito dal Generale Francesco Paolo Figliuolo) dai tempi in cui faceva il consigliere al governo. Resta intricata l'inchiesta sulle maxicommesse da 72 milioni di euro per l'acquisto di 801 milioni di mascherine provenienti dalla Cina nella prima ondata del coronavirus in Italia, per cui sono scattati un arresto e quattro misure interdittive. L'ipotesi di reato è quella di traffico di influenze illecite in concorso e aggravato dal reato transnazionale. Ma a far discutere sono stati anche gli sms che si sarebbero scambiati Arcuri e Benotti, resi noti proprio da quest'ultimo per chiarire la situazione. Delle mascherine avrebbero iniziato a parlare l'11 marzo: "Parliamo per telefono e mi dice che c'è una necessità di reperire mascherine". Successivamente il giornalista si sarebbe messo subito all'opera. Il 19 marzo alle ore 16.28 - il giorno dopo la nomina del commissario - sarebbe stata poi comunicata la disponibilità di un contatto per le mascherine. E Arcuri, dopo aver ricevuto l'sms, gli avrebbe annunciato: "Ti chiama Silvia Fabrizi". Ovvero un funzionario di Invitalia. "Contatto definito"; "Molto bene"; "Domani in qualche modo preghiamo"; "Sempre", sarebbe stata la sequenza rispettivamente tra Benotti e Arcuri. Della questione si è occupato pure Massimo Giletti, che nel corso della trasmissione Non è l'arena su La7 ha ricostruito lo scambio di messaggi tra i due a partire dal 3 marzo. "Hai il cell spento. Domani mattina alle 8.30 debbo essere alla protezione civile. Nostro appuntamento rimandato. Quando esco ti chiamo e vediamo come fare. Scusami", avrebbe scritto Arcuri. Appuntamento rinviato alla sera del 4 marzo "per parlare di altro". Ma la risposta del presidente del consorzio Optel ha assunto un contorno liturgico e curiale: "Monsignore in posizione con incenso pronto e fumante per la processione". Dieci giorni più tardi Benotti annuncia che terrà "una concelebrazione 'ad mentem Dominici'". L'amministratore delegato di Invitalia gli avrebbe replicato: "Bene! Peccato che se e quando la stessa dovesse produrre i suoi effetti il destinatario sarà morto!". "Facciamo sì che resti in vita", l'auspicio del giornalista. Che poi prosegue: "Con la certezza di sapere che il destinatario è in vita sappia che la concelebrazione ha avuto termine ed è stato ricordato nelle invocazioni. Monsignore è rientrato in casa secondo le indicazioni del Governo". E poi sarebbe spuntato il messaggio choc: "Il destinatario è e resta alla protezione civile: un distributore di morte". "Per carità...si manifesti quando potrà", conclude Benotti. Si arriva poi al 15 marzo, quando Benotti avanza una domanda tecnica: "Buongiorno! Ove posso depositarLe una nota credo utile ed urgente? Verrei anche ad pedes. Preghiamo per il Paese". L'allora commissario gli avrebbe dato riferimento alla sede della protezione civile in via Vitorchiano 2: "Oppure domani mattina in ufficio. Il che è meglio". "Se vengo alla Protezione Civile vedo anche per brevi istanti la Sua luminosa bontà e consegno a mano? Provo a vedere con anche miei canali se trovo mascherine intanto e Ti faccio sapere. FFP2 e FFP3?", la risposta del giornalista Rai in aspettativa. Il 20 marzo Benotti si sarebbe rivolto nuovamente ad Arcuri: "Dimmi anche di che cosa si può avere bisogno e ci mettiamo in cerca". L'ad di Invitalia avrebbe replicato: "Respiratori ok". E poi un altro scambio di sms: "Ok in senso che devo cercarli?"; "Per Terapia Intensiva"; "Siamo partiti con la ricerca". Il 21 aprile il presidente del consorzio Optel passa alle parole al miele nei confronti dell'ex commissario: "Le uniche vere dichiarazioni degne di un Ministro o di un Presidente del Consiglio in questo manicomio sono le tue caro Domenico. E le uniche dotate di buonsenso e nel contempo senso pratico. Ti prego di credere che non te lo dico per effetto della nostra amicizia, ma per il senso politico alto e dello Stato che traspare dal Tuo lavoro. Un caro abbraccio". Il 26 aprile Arcuri viene ospitato da Fabio Fazio nella trasmissione Che tempo che fa. Benotti vuole maggiori informazioni: "Monsignore - per potersi unire spiritualmente - vorrebbe conoscere l'orario della Sua omelia televisiva serale. Possibilmente precisa. Per limitarsi alla sua predica non sopportando Monsignore - pentendosi per questo - l'Officiante Principale (Fazio, ndr). Sia lodato Gesù Cristo". Dettagli forniti tempestivamente: "21:30 circa. Secondo ospite. Dopo il presidente della Camera".

Domenico Arcuri, scandalo mascherine: "Otto contatti al giorno con l'indagato", la posizione si complica.  Alessandro Gonzato su Libero Quotidiano il 18 febbraio 2021. Ci sono stati 1.282 contatti telefonici in 5 mesi, tra gennaio e maggio 2020, tra Mario Benotti, presidente del Consorzio Optel e di Microproducts It, e il commissario all'emergenza Covid Domenico Arcuri. 1.282 in 5 mesi: una media di 8 al giorno. Benotti, nell'ambito dell'indagine che riguarda la commessa di un miliardo 250 milioni di euro affidata da Arcuri a tre consorzi cinesi per l'acquisto di 801 milioni di mascherine avvenuto attraverso l'intermediazione di alcune imprese italiane, è indagato per traffico di influenze illecite. In sostanza avrebbe fatto leva sulla conoscenza di Arcuri per farsi pagare dai cinesi commissioni che non gli spettavano. Ieri Arcuri ha dichiarato che «dall'inchiesta sulle mascherine risulta evidente che la struttura commissariale, oltre che il commissario straordinario (al momento estranei all'indagine) sono stati oggetti di illecite strumentalizzazioni da parte degli indagati affinché quest' ultimi ottenessero compensi non dovuti dalle aziende produttrici». Arcuri ha anche annunciato che potrebbe costituirsi parte civile per chiedere i danni. Quattro le società coinvolte nell'inchiesta: Microproducts It, Sunsky srl, Partecipazioni Spa e Guernica Srl. Le accuse, a vario titolo, sono di concorso in traffico di influenze illecite aggravato dal reato transnazionale, riciclaggio, autoriciclaggio, ricettazione, illeciti amministrativi in materia di responsabilità amministrativa degli enti. Oltre a Benotti (giornalista Rai in aspettativa ed ex capo della segreteria dell'ex sottosegretario Sandro Gozi, estraneo alla vicenda), sono sotto inchiesta Andrea Vincenzo Tommasi (titolare della Sunsky), Daniela Guarnieri, Antonella Appulo, Jorge Edisson Solis San Andrea, Daniele Guidi, Georges Fares Khozouzam e Dayanna Andreina Solis Cedeno. Secondo i pm, dicevamo, Benotti avrebbe speso l'influenza di Arcuri per ottenere 12 milioni a titolo di intermediazione. Alla Sunsky, grazie alle provvigioni riconosciute dai consorzi cinesi, ne sarebbero andati 59. Le operazioni contestate risalgono al 25 marzo, al 6 e al 15 aprile 2020, quando in Italia le mascherine erano introvabili. Gli ordini riguardano sia le "chirurgiche" che le "Ffp2" e le "Ffp3". Ieri la guardia di Finanza di Roma ha sequestrato in via preventiva agli indagati 69,5 milioni di euro in beni. Tra questi, una villa intestata alla società Guernica (attraverso la quale sarebbero avvenute le importazioni di mascherine) auto, moto, uno yacht, orologi (tra cui un Daytona in oro bianco e diamanti) e bracciali (il più costoso un Tiffany da 14 mila euro). «Le intercettazioni», hanno scritto i pm nel decreto di sequestro, «hanno dimostrato l'esistenza di un accordo tra Andrea Vincenzo Tommasi e quello che quest' ultimo definisce il suo "partner nell'affare delle mascherine", Daniele Guidi, nonché tra il duo Tommasi-Benotti e Jorge Solis, per la migliore conclusione dell'affare. Le conversazioni captate», prosegue il documento dei magistrati, «portano a ritenere che mentre Tommasi e Guidi hanno curato l'aspetto organizzativo e in particolare i numerosi voli aerei necessari per convogliare in Italia un quantitativo così ingente di dispositivi di protezione, compiendo i necessari investimenti, Solis sia stato in possesso del necessario contatto con la Cina». Le indagini bancarie, stando a quanto dichiarato dal gip, hanno accertato che gli indagati hanno già provveduto a distrarre e occultare parte delle somme percepite, e che l'hanno fatto tramite pagamenti fittizi, prelievi personali, investimenti in beni e polizze assicurative. Per chi indaga, siamo di fronte a un «comitato d'affari» pronto a stringere un «lucroso patto (occulto») con la «pubblica amministrazione». Il pm ha definito «singolare quanto raccapricciante» un'intercettazione in cui Solis auspicava per novembre un nuovo lockdown nazionale, ché avrebbe portato nuovi affari. Dall'esame del traffico telefonico risulta un fittissimo scambio tra Benotti e Arcuri. Per gli inquirenti è significativa la conversazione del 20 ottobre 2020, ore 8.15, che Benotti tiene con Guarnieri, alla quale confida la frustrazione per il fatto che Arcuri a un certo punto si sia «sottratto all'interlocuzione». silenzi e segnali Benotti, secondo la ricostruzione dei magistrati, avrebbe interpretato quell'improvviso silenzio come il segnale di una notizia riservata, un qualcosa che - aveva detto alla Guarnieri - «ci sta per arrivare addosso». Ad ora, hanno evidenziato i pm, «non c'è prova che gli atti della struttura commissariale siano stati compiuti dietro elargizione di un corrispettivo». Gli avvocati di Benotti attaccano. Hanno definito il sequestro «inspiegabile», «una grave ingiustizia». Impugneranno il provvedimento. «La procura di Roma», hanno dichiarato, «mette sotto accusa Benotti che non ha fatto altro che agire, nella sua veste di personale consulente, su esplicita e reiterata richiesta, orale e scritta, del commissario all'emergenza, per favorire l'arrivo in tempi rapidi di un rilevante quantitativo di dispositivi. Tra l'altro», prosegue la nota, «il commissario aveva fatto a Benotti un'uguale richiesta anche per reperire ventilatori polmonari per i reparti di terapia intensiva».

Da iltempo.it il 18 febbraio 2021. L’atto emesso oggi dal Gip Paolo Andrea Taviano nei confronti di Mario Benotti e di altre persone, in relazione all’inchiesta sull’acquisto di mascherine da parte della struttura commissariale presieduta da Domenico Arcuri, è giudicato dalla difesa di Mario Benotti un provvedimento inspiegabile che rappresenta una grave ingiustizia. I legali osservano che la Procura di Roma mette sotto accusa Mario Benotti che non ha fatto altro che agire, nella sua veste professionale di consulente, su esplicita e reiterata richiesta, orale e scritta,  del Commissario all’emergenza Covid-19 Domenico Arcuri, per favorire l’arrivo in tempi rapidi di un rilevante quantitativo di dispositivi di protezione individuale, in un momento in cui il Paese affrontava una crisi sanitaria senza precedenti ed era pressoché impossibile reperire tempestivamente da aziende nazionali i dispositivi necessari. Tra l’altro, il Commissario aveva fatto a Mario Benotti uguale richiesta anche per reperire ventilatori polmonari per i reparti di terapia intensiva. La difesa di Mario Benotti annuncia quindi che impugnerà in tutte le sedi il provvedimento di sequestro emesso dal Gip, facendone rilevare tutti i profili di infondatezza e illegittimità. Mario Benotti, infine, respinge con forza qualunque accostamento o coinvolgimento in comportamenti occulti o attività meno che lecite.

Chiara Giannini per "il Giornale" il 18 febbraio 2021. «Speriamo che a novembre esploda», ovvero che ci sia un lockdown nazionale. Perché così quella che l'inchiesta della procura di Roma descrive come una cricca internazionale, avrebbe fatto «lucrosi affari» sulla pandemia. Era quanto si augurava uno degli indagati nella maxi inchiesta sulle mascherine da parte della Procura di Roma sull' affidamento di 1,25 miliardi fatto dal commissario per l'emergenza Domenico Arcuri a tre consorzi cinesi per l'acquisto di 800 milioni di dispositivi di protezione avvenuto attraverso l'intermediazione di alcune imprese italiane. A parlare è Jorge Solis, che nelle intercettazioni della Finanza riporta anche: «Questo è un lavoro che si fa senza valigetta». Sono stati i finanzieri del Nucleo Speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza a eseguire una serie di sequestri preventivi, nei confronti di un gruppo di persone accusate, in concorso tra loro, del reato di traffico di influenze illecite (aggravato dal reato transnazionale) oltre che, a vario titolo, di ricettazione, riciclaggio e auto-riciclaggio. Gli indagati sono Andrea Vincenzo Tommasi, che era ai vertici della società Sunsky srl, il giornalista in aspettativa dalla Rai Mario Benotti, Antonella Appulo, Daniela Guarnieri, Jorge Edisson Solis San Andrea, Daniele Guidi, Georges Fares Khozouzam e Dayanna Andreina Solis Cedeno. Le altre società entrate nell' inchiesta sono la Partecipazioni Spa, la Microproducts It Srl e la Guernica Srl. Grazie a due provvedimenti giudiziari, i finanzieri hanno sottoposto a sequestro le quote societarie della Guernica s.r.l., disponibilità finanziarie, polizze assicurative, immobili a Roma, Pioltello (MI) e Ardea (RM), auto e moto di lusso, gioielli, orologi di pregio e uno yacht, per un valore totale di circa 70 milioni di euro. Ma qual è l'accusa? Aver sfruttato i legami con la struttura commissariale per percepire commissioni per decine di milioni di euro dai consorzi cinesi affidatari delle forniture (in particolare, mascherine chirurgiche FFP2 e FFP3). Secondo quanto si legge nei due decreti di sequestro, «Mario Benotti, sfruttando le sue relazioni personali con Domenico Arcuri, si faceva promettere e quindi dare indebitamente da Andrea Tommasi, il quale agiva in concorso per previo concerto con Daniele Guidi, e Jorge Solis, la somma di 11.948.852, confluita per 8.948.852 sul conto della Microproducts srl di Daniela Guarnieri, (compagna di Benotti ndr) e per 3 milioni di euro sul conto della Partecipazioni spa di Georges Khozouzam quale remunerazione indebita della sua mediazione illecita, occulta e fondata sulle relazioni personali con Arcuri». Ciò che salta all'occhio sono i numerosi contatti telefonici e via sms tra Benotti e Arcuri. 1.282, secondo le carte, intercorsi tra il 2 gennaio (quando Arcuri non era ancora stato nominato nel suo ruolo) e il 6 maggio 2020. Arcuri, dalla sua, qualche giorno fa ha fatto inviare una nota a una trasmissione televisiva in cui nega di conoscere Benotti, ma lo stesso, in una successiva puntata di un altro talk show, chiarisce: «Se il commissario Arcuri ritiene di non conoscermi e lo dice, se ne assumerà le sue responsabilità». L'ufficio stampa fa sapere che «la struttura commissariale e il commissario Arcuri (estranei alle indagini) sono stati oggetto di illecite strumentalizzazioni da parte degli indagati». E ancora: «La struttura commissariale e il commissario continueranno a fornire la più ampia collaborazione agli investigatori. Nella loro veste di parti offese hanno già richiesto ai loro legali di valutare la costituzione di parte civile in giudizio per ottenere il risarcimento del danno». In una conversazione tra Benotti e la compagna, del 20 ottobre scorso, lo stesso si rammarica che Arcuri ha interrotto l'interlocuzione con lui. A rassicurarlo è un funzionario della struttura commissariale, tal Mauro Bonaretti, che Arcuri non vuole parlargli per tutelarlo: «Voglio evitare che Mario si sporca...lo voglio avvisare di questa situazione». E prosegue: «Mi ha detto di non farti vivo in questa fase, di lasciarlo un attimo per evitare casini». Benotti, che con Bonaretti si vanta di aver praticamente organizzato l'intera fornitura di mascherine, ha il sospetto che qualcosa stia loro per «arrivare addosso». L'inchiesta lo conferma.

Fabio Amendolara per “la Verità” il 19 febbraio 2021. La parola «commissario» compare per ben 12 volte nel decreto di sequestro d'urgenza emesso dalla Procura di Roma. Nove volte, invece, si ripete il nome di Domenico Arcuri. Le citazioni dei magistrati di Piazzale Clodio non sono casuali. Dalle loro valutazioni, nonostante sia stata esclusa l'ipotesi di corruzione, emergono tutte le falle di una struttura commissariale per l'emergenza Covid che sembra proprio non essere all'altezza. Falle nelle quali il «comitato d'affari», come viene indicato dai pm il gruppo dei mediatori delle mascherine cinesi, sarebbe riuscito a inserirsi senza troppe difficoltà. Lo schema, secondo l'accusa, era questo: «Gli affaristi cercano mediatori che abbiano credito da spendere verso il Commissario Arcuri, quale modalità per entrare in affari con il governo italiano». La relazione con la struttura commissariale, insomma, agli occhi di chi indaga appare una condizione necessaria, tanto da piazzare la questione al primo posto nella narrazione investigativa. Subito dopo i magistrati affrontano il ruolo degli altri personaggi che hanno permesso la riuscita dell'operazione: c'è chi aveva i contatti in Cina e chi ha organizzato il trasporto. Ma «risalta», sottolineano i pm, «la comune convinzione che soltanto una personale entratura verso il Commissario straordinario possa consentire queste mediazioni, a preferenza di ogni altro possibile interessato». Parole pesantissime, che sembrano stigmatizzare una circostanza non di poco conto: senza il contatto giusto con la struttura commissariale non c'è trippa per gatti. «Nel caso in esame», valutano le toghe, «si impatta certamente in una solida associazione di imprese commerciali [...] per la migliore riuscita di illecite mediazioni, distribuzione e occultamento del prezzo del reato (il pagamento di provvigioni per la spendita di credito personale verso pubblici ufficiali) e dei relativi profitti (l'incameramento di laute provvigioni dalle unità che, grazie al traffico di influenze, si accreditano, in via preferenziale, verso l'ufficio del Commissario straordinario)». Una struttura, il «comitato d'affari», tutt' altro che volatile e che «ha messo in campo», si legge nel documento giudiziario, «un evidente coordinamento di mezzi e competenze (contatti all'estero, capacità di predisporre voli aerei, credito commerciale verso società cinesi, credito verso il Commissario straordinario) per la conclusione dell'affare e ha mantenuto la joint venture anche per il futuro». È chiaro, quindi, che gli indagati abbiano «un certo ascendente», è scritto negli atti, «sulla struttura commissariale, la quale non appare interessata a costituire un proprio rapporto con i fornitori cinesi, né a validare un autonomo percorso organizzativo per certificazioni e trasporti, preferendo affidarsi a freelance improvvisati, desiderosi di speculare sull'epidemia». La struttura del Commissario, insomma, non è stata capace di mettere su una relazione diretta con le imprese da cui importare i dispositivi di protezione, delegando totalmente questo delicato compito a un gruppo di affaristi improvvisati. Al centro c'è il ruolo di Mario Benotti, giornalista Rai in aspettativa, che avrebbe assunto il ruolo «dell'intermediario», il quale, valutano i magistrati, «forte del suo credito verso un pubblico ufficiale, ottiene, per sé e per i suoi soci, un compenso per una mediazione andata a buon fine». Un compenso milionario. «Questa attività di interposizione», viene sottolineato nel decreto di sequestro, «è stata svolta da Benotti ed è fondata sul rapporto personale con il Commissario straordinario e, certamente, non su un istituzionale ruolo di rappresentanza di interessi di categoria, o su un ostensibile professionale rapporto di agenzia». Ed è su questo perno che i magistrati fissano l'accusa nei confronti di Benotti, senza risparmiare dure critiche alla struttura del commissario: «Tale rapporto, che non è stato possibile formalizzare in un esplicito contratto avente forma scritta, come si impone ad una pubblica amministrazione, ha, conseguentemente, causa illecita». E ancora: «L'accesso preferenziale al gradimento di un funzionario pubblico vulnera la sua imparzialità [...]. La retribuzione del credito personale speso dal mediatore verso il pubblico ufficiale si connota di illecito, poiché tale retribuzione compra, sia pure attraverso incentivo offerto al privato, anziché al funzionario, un privilegio di accesso [] attraverso il corridoio segreto del rapporto speciale». Testimoniato peraltro dai 1.282 contatti telefonici tra Benotti e Arcuri nel lasso di tempo che va dal 2 gennaio 2020 al 6 maggio 2020. Si interrompono di colpo il 7 maggio. A quel punto Benotti lamenta «la sua frustrazione per essersi Arcuri sottratto all'interlocuzione». Ma un incontro con Mauro Bonaretti della struttura commissariale «ha certamente riaperto un canale». E riparte una corrispondenza via email, questa volta con Antonio Fabbrocini, addetto agli acquisti, per una fornitura di guanti, «con il previo consenso di Domenico». L'altra situazione sospetta è legata ai contratti: il commissario straordinario è stato istituito il 17 marzo 2020 (Cura Italia) e, una volta designato (dal Dpcm del 18 marzo), ha formato la propria struttura organizzativa con una ordinanza che risulta emessa l'1 aprile 2020. «È agevole notare», sostengono i pm, «alcuni evidenti difetti di consequenzialità cronologica tra le date: il primo contratto di fornitura è stato stipulato il 25 marzo, quando la struttura commissariale ancora non esisteva, almeno ufficialmente ed è sottoscritto dal fornitore cinese il 26 marzo (mentre, la lettera di incarico per mediazione alla Sunsky è del 25 marzo e la fattura pro forma, addirittura, del 23 marzo)». Passaggi che «offrono immediatamente», annotano le toghe, «l'idea della informalità con la quale si è proceduto, rispetto ad accordi che devono essere intercorsi tra le parti in gioco prima del 10 marzo 2020». È quella la data della prima proposta di Whenzou Moon-Ray, che fa risalire i rapporti a ben prima del lockdown nazionale (dichiarato il 9 marzo 2020). In quel momento nessuna norma consentiva, prima del Cura Italia, deroghe al codice dei contratti. Ma i mediatori stavano già tessendo le relazioni che avrebbero consentito il grande affare.

Maurizio Belpietro per “la Verità” il 19 febbraio 2021. Il commissario straordinario all'emergenza Covid ha annunciato l'intenzione di costituirsi parte civile in un eventuale processo contro il gruppo di intermediari che avrebbe lucrato sulle forniture di mascherine. I lettori della Verità sono a conoscenza di ogni dettaglio dell'indagine della Procura di Roma, perché in totale solitudine questo giornale ha anticipato molte delle mosse dei magistrati, cosa che peraltro è riconosciuta nell'ordinanza con cui sono stati sequestrati milioni, yacht, moto e beni di lusso comprati con i proventi del traffico di dispositivi di sicurezza. Fin dal principio, quando ancora non erano stati eseguiti gli accertamenti e le perquisizioni, Giacomo Amadori ha raccontato lo strano caso di alcune società nate all'improvviso con la pandemia, e specializzatesi nella fornitura di mascherine. Un'attività non certo gratuita né dettata dall'intenzione di rendere un servizio di pubblica utilità in un momento di massima urgenza, ma piuttosto al puro scopo di arricchirsi sulla pelle degli italiani. Mentre decine di migliaia di persone morivano nelle corsie degli ospedali, mentre l'intero Paese era rinchiuso per evitare il diffondersi del contagio, c'era chi puntava a speculare sulla sofferenza e la paura, proponendosi come intermediario in cambio di laute percentuali. Le intercettazioni e le indagini della magistratura ci hanno fatto ritornare alla mente le ore successive al terremoto in Abruzzo, quando alcuni imprenditori senza scrupoli, pensando alla ricostruzione e ai guadagni che avrebbero tratto con gli appalti, si rallegravano per il disastro che aveva coinvolto intere comunità. Ecco, con lo stesso cinismo la banda degli intermediari immaginava i profitti che sarebbero derivati grazie al Covid e alle buone entrature nella struttura commissariale.I personaggi che ruotano attorno a questa incredibile vicenda di speculazione sulla pandemia sembrano usciti da un film di Totò: un giornalista aspirante faccendiere, un imprenditore di poca sostanza, uno straniero specializzato nella vendita al dettaglio di bibite e frutta, più altre figure. Cioè, nessuno degli improbabili fornitori aveva il benché minimo curriculum per essere ritenuto affidabile e fornire, in cambio di oltre 1 miliardo di euro, centinaia di milioni di mascherine. Giova ricordarlo, i soldi non sono di una società privata, ma sono usciti dalle casse dello Stato, cioè dalle tasche degli italiani. Al contrario di ciò che il buon senso dovrebbe indurre a fare, il gruppetto è stato preso sul serio e trattato con il rispetto che si riserva a un importante partner. Il merito, a quanto pare, è dell'ex giornalista, il quale ha potuto vantare una diretta conoscenza proprio con il commissario all'emergenza, Domenico Arcuri. È grazie al legame con l'amministratore delegato di Invitalia se Mario Benotti ha potuto fare il colpo della vita. Gli inquirenti hanno annotato oltre un migliaio di contatti telefonici, chiamate e sms, fra il super commissario e il super intermediario. La relazione di amorosi sensi pare che si sia interrotta solo quando i mediatori hanno fiutato il rischio che qualcuno fosse sulle loro tracce e così gli affari che la banda si augurava di poter concludere in futuro, con guanti, siringhe e forniture varie, sono andati in fumo. Tutto ciò, ossia l'indagine, non ha però impedito a Benotti e ai suoi soci di incassare una plusvalenza di oltre 70 milioni, che il terzetto ha subito reinvestito in beni di lusso: yacht, orologi preziosi, bolidi a due ruote e così via. L'accusa nei confronti del gruppo, è traffico d'influenze illecite perché, nonostante i magistrati le abbiano cercate, al momento non hanno trovato tracce di corruzione di un pubblico ufficiale, vale dire che non esiste prova di tangenti. Come dicevamo, Domenico Arcuri, appresa la notizia dell'inchiesta (ma se avesse letto il nostro giornale invece di farlo leggere dai suoi avvocati per minacciare querele e diffide avrebbe conosciuto i fatti molto prima), ha annunciato l'intenzione della struttura commissariale di costituirsi parte civile, anche se ancora non si sa neppure se ci sarà il processo. Ovviamente a noi fa piacere che l'amministratore di Invitalia si senta vittima di un raggiro. Ma ci farebbe ancor più piacere se, oltre a rivendicare di essere stato imbrogliato e costretto a pagare decine di milioni in più, prendesse atto di essere stato un po' ingenuo a fidarsi di oscuri mediatori per un affare miliardario. Nessuno dotato di buon senso, a meno che non sia fesso, comprerebbe centinaia di milioni di mascherine da chi, prima dell'epidemia, si occupava di frutta e bibite, o anche solo di tv. Dunque, oltre ad annunciare l'azione civile nei confronti del gruppetto di intermediari, Arcuri dovrebbe contestualmente annunciare le sue dimissioni. Uno che si fa fregare in questo modo, non può gestire appalti e forniture per miliardi a spese degli italiani. Men che meno può avere in mano il destino della nostra salute.

Giuseppe Marino per "il Giornale" il 18 febbraio 2021. «Non dobbiamo limitare le vaccinazioni in luoghi specifici, spesso ancora non pronti: usare tutte le strutture disponibili, pubbliche e private». La frase con cui Mario Draghi liquida rade al suolo le «primule» di Domenico Arcuri arriva intorno alle 11, primo argomento concreto del discorso sulla fiducia, non appena esauriti i preamboli. Intorno a mezzogiorno viene diramata la notizia che il nucleo valutario della Guardia di finanza di Roma sta eseguendo un ordine di sequestro da 70 milioni di euro legato all'inchiesta sulle mediazioni d'oro per una enorme partita di mascherine importate dalla Cina su mandato dello stesso Commissario straordinario all'emergenza. Si conferma la solita legge italica delle coincidenze per cui l'indebolimento politico coincide spesso con tempestivi infortuni giudiziari. Non si tratta di fare dietrologia, ma solo di prendere atto che il cambio di fase politica si sta manifestando con più rapidità di quanto possa apparire. Per un anno il plenipotenziario di Conte ha esercitato un potere assoluto su un numero crescente di materie, con il piglio arrogante di chi non sopporta le critiche e le liquida con supponenza, vedi le frecciate ai «liberisti da divano», o il fastidio per le domande dei giornalisti. Ora inevitabilmente, arriva lo scrutinio su come sono stati spesi i dieci miliardi gestiti dalla struttura commissariale. Arcuri, va detto, non è nemmeno indagato nell' inchiesta della procura di Roma e della Guardia di finanza sui guadagni d'oro dei mediatori «informali» che hanno importato dalla Cina guanti e mascherine per centinaia di milioni. Sono al vaglio i rapporti tra il giornalista Mario Benotti che si era offerto di usare i suoi contatti cinesi per procurare guanti e mascherine a miliardi e Arcuri, che in seguito ha negato questi rapporti. Per la Procura invece, Benotti ha agito «su esplicita e reiterata richiesta, orale e scritta, del Commissario all'emergenza Covid-19», ma avrebbe incassato commissioni milionarie dalle aziende che vendevano il materiale. Il colmo è che agli indagati si contesta il reato di «traffico di influenze illecite», cioè la norma anti corruzione fortemente voluta dai grillini. Ma non è questo il punto: la vera questione è politica prima che giudiziaria. Arcuri ha fortemente condizionato il mercato delle mascherine mettendo in difficoltà tante aziende italiane, con lo scopo dichiarato di rendere l'Italia autonoma dall' import cinese per settembre, e invece i carichi dall' Oriente continuano ad arrivare. E proprio Arcuri, che prometteva battaglia alle speculazioni, non si era accorto che una parte consistente dei suoi ordini passava attraverso quelli che il Gip definisce «free lance improvvisati desiderosi di speculare sull' epidemia»? Gente che «sperava nel lockdown a novembre» per «fare affari lucrosi». Stavolta però, sia pure di un'ora, la politica è arrivata prima. Il discorso del premier non è solo un requiem per le «primule», i costosi e inutili gazebo di Arcuri. L' invito di Draghi a usare per le vaccinazioni «tutte le strutture disponibili, pubbliche e private» suona come una svolta rispetto alla gestione ipercentralizzata che vedeva Arcuri collezionare incarichi e una generale diffidenza verso il privato figlia della fede statalista su cui era costruito il patto di potere dei giallorossi. Non si sa ancora se il governo deciderà di fare a meno di Arcuri o di sfoltire il portafoglio infinito dei suoi incarichi. Però una cosa è certa: non sarà più così centrale. Ieri la Protezione civile ha avviato un censimento dei volontari per programmare la loro vaccinazione che appare prodromica al loro massiccio impiego nella campagna di distribuzione del siero. Ma si andrà oltre: il modello è quello dei tamponi, a lungo gestiti in modo centralizzato creando code e ritardi terminati solo quando lo Stato ha ceduto il monopolio.

Daniele Auteri e Maria Elena Vincenzi per repubblica.it il 17 febbraio 2021. Otto persone indagate e quattro società. Svolta nell'inchiesta sull'affare da 1,25 miliardi di euro stipulato dal Commissario per l'emergenza Domenico Arcuri a 3 consorzi cinesi per l'acquisto di 800 milioni di mascherine avvenuto attraverso l'intermediazione di alcune imprese italiane. Società e imprenditori che, secondo i magistrati romani, avrebbero ottenuto compensi esorbitanti e illegittimi. I sequestri riguardano le quote societarie della srl Guernica di Roma, disponibilità finanziarie, polizze assicurative, immobili ubicati nella capitale a Pioltello (Milano) e Ardea (Roma), auto e moto di lusso, gioielli e orologi di pregio (svariati Rolex, Patek Philippe e un bracciale Tiffany) nonché uno yacht. Il tutto per un valore complessivo di circa 70 milioni di euro. Le accuse ipotizzate dalla procura sono, a vario titolo, ricettazione, riciclaggio, traffico di influenze illecite in concorso e aggravato dal reato transnazionale, illeciti amministrativi in materia di responsabilità amministrativa degli enti. Dalle indagini sarebbe emerso che le imprese italiane che hanno fatto da intermediari avrebbero percepito commissioni per decine di milioni, non erogate però dalla struttura del Commissario. L'indagine della procura di Roma, condotta dal Nucleo Speciale di Polizia Valutaria, solleva così il coperchio su quei 71,7 milioni di euro di commissioni che tre improbabili aziende tutte italiane hanno intascato in qualità di mediatori (certificati o occulti) delle tre società cinesi che - attraverso una procedura diretta - hanno ottenuto appalti complessivi per 537,5 milioni di euro dal Commissario straordinario per l'emergenza Covid-19, Domenico Arcuri, per la fornitura di mascherine allo Stato italiano. Al centro dell'inchiesta c'è Mario Benotti, giornalista Rai in aspettativa, che, si legge nel decreto, ha "relazioni personali con Arcuri". A conferma di questo il procuratore aggiunto Paolo Ielo e i pm Gennaro Varone e Fabrizio Tucci, riportano come tra gennaio e maggio i contatti telefonici tra i due siano 1.280 (e quando Arcuri smette di rispondere, Benotti si agita). Ed è proprio quello il punto fondamentale dell'indagine: la maxi commessa viene aggiudicata per via di un'amicizia. "Lo schema di azione che ne risulta - scrivono i pm - è quello dell'intermediario, il quale, forte del suo credito verso il pubblico ufficiale, ottiene, per sé e per i suoi soci, un compenso per una mediazione andata a buon fine. Tale attività di interposizione è stata svolta dal Benotti ed è fondata sul rapporto personale con il commissario straordinario, e certamente, non su un istituzionale ruolo di rappresentanza di interessi di categoria, o su un ostensibile professionale rapporto di agenzia. Tale rapporto, che non è stato possibile formalizzare in un esplicito contratto avente forma scritta, come si impone ad una pubblica amministrazione, ha conseguentemente causa illecita. L'accesso preferenziale al gradimento di un funzionario pubblico vulnera la sua imparzialità". Non a caso, le indagini del nucleo speciale di polizia valutaria della Finanza hanno dimostrato come l'affare, addirittura, si sia concluso prima ancora della nomina ufficiale di Arcuri. "Il primo contratto di fornitura è stato stipulato il 25 marzo, quando la struttura commissariale ancora non esisteva, almeno ufficialmente; ed è sottoscritto dal fornitore cinese il 26 marzo". Per i magistrati ci sono "alcuni evidenti difetti di conseguenzialità cronologica". Una situazione che dà "l'idea della informalità con la quale si è proceduto rispetto ad accordi che devono essere intercorse tra le parti in gioco, prima del 10 marzo e dunque ben prima del lockdown nazionale, dichiarato il 9 marzo. In quel momento nessuna norma consentiva ancora deroghe al codice dei contratti, poiché tale liberatoria sarebbe stata prevista soltanto con il decreto Cura Italia. Allo stesso tempo - scrivono i magistrati - evidentemente, vi era già un concerto sui passi legislativi e amministrative da compiere e i "facilitatori" stavano tessendo le relazioni che avrebbero loro consentito i suddetti lauto guadagni". Il mediatore certificato, ovvero l'unico di cui ci sia una traccia contrattuale con i fornitori cinesi, è la Sunsky srl controllata al 99% da Vincenzo Andrea Tommasi, il quale si presenta come intermediario, mentre il vero tramite è Benotti. L'arrivo del Covid è una benedizione per questa società milanese che fino al 2019 fattura 1,6 milioni di euro in un settore che non ha nulla a che vedere con la sanità, ma riguarda le consulenze in tema di sicurezza e difesa. Vincenzo Andrea Tommasi è però amico, sempre attraverso il giornalista, di Antonio Fabbrocini, collaboratore di Domenico Arcuri dai tempi di Invitalia e attualmente impegnato nella struttura "acquisti, contratti e fornitori" dell'ufficio del Commissario. In piena emergenza la Sunsky che si aggiudica un fee per la mediazione con le aziende cinesi di 59,7 milioni di euro. Denari che Tommasi spende in parte per un giusto riconoscimento del lavoro profuso, acquistando una barca, un immobile residenziale, orologi e bracciali di lusso, e in parte (53.040 euro) gira a Antonella Apullo, dal 2015 al 2018 funzionario del ministero delle Infrastrutture, segretaria dell'ex-ministro Del Rio, nonché moglie di Marco Bonamico, l'ex-ad di Sogei rimasto coinvolto nell'inchiesta sull'imprenditore Angelo Proietti che ristrutturò la casa di Marco Milanese, allora collaboratore dell'ex-ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. Appullo è, soprattutto, in rapporti con Benotti che, secondo l'accusa, sarebbe il vero facilitatore di tutto l'affare perché amico del Commissario. Tuttavia, mentre Sunsky ha un contratto con le società cinesi, dall'indagine del Nucleo di Polizia Valutaria emergono altre due società all'apparenza "fantasma". La prima è la Microproducts IT, alla quale vengono bonificati importi per 12 milioni di euro. La società è controllata dalla Partecipazioni Spa, dove spuntano vecchie conoscenze delle procure italiane. Il primo azionista è Mario Benotti, già consulente della presidenza del Consiglio e amministratore della Banca Popolare di Spoleto, un'esperienza che gli ha comportato un avviso di garanzia e una sanzione dalla Banca d'Italia per violazione delle regole bancarie. Insieme a Benotti, nella compagine azionaria è presente anche Guido Pugliesi, l'ex-amministratore delegato dell'Enav rinviato a giudizio per corruzione e frode fiscale dalla procura di Toma per una serie di appalti alla società Selex Sistemi Integrati del gruppo Finmeccanica. Un reato prescritto nel 2017 che ha permesso a Pugliesi di riciclarsi nel fantastico mondo dell'import-export. La terza società si chiama Guernica, ha sede a Roma e da maggio a luglio del 2020 ha ricevuto bonifici per 3,8 milioni di euro dalla Wenzhou Light, una delle tre compagnie cinesi coinvolte. Guernica è stata costituita nel marzo del 2018 per produrre e commerciale canapa e prodotti derivati, poi nel maggio del 2020 il suo oggetto sociale è stato modificato così da dare un senso alla pioggia di denari che sarebbero arrivati dalla Cina. La sua amministratrice si chiama Solis Dayanna, ha 23 anni e prima di fare il botto nel business internazionale studiava all'Accademia delle Belli Arti e arrotondava con un lavoretto in un centro estetico. Stando alle ricostruzioni della finanza, anche Dayanna ha fatto festa con le mascherine acquistando Rolex, un'automobile e versando un acconto per una casa da 964mila euro. Una montagna di anomalie accompagnate da un contorno di assegni a vuoto, operazioni bancarie sospette, trasporti di mascherine su voli di compagnie israeliane che non risultano essere partiti dalla Cina, rimesse di cittadini cinesi in Italia a un passo dai limiti di legge. Una spy story internazionale che da Wenzhou conduce direttamente negli uffici del Commissario delegato dal governo, Domenico Arcuri. I pm, dopo avere analizzato documenti, conti correnti e telefoni scrivono: "Si delinea così la nascita di un comparto organizzato per la conclusione di un lucroso patto (occulto) con una pubblica amministrazione; un comitato d'affari, nel quale ognuno dei partecipi ha messo a servizio del buon esito della complessa trattativa la propria specifica competenza, ricevendone tutti un lauto compenso per l'opera di mediazione compiuta: Mario Benotti verso Andrea Vincenzo Tommasi (unitamente al suo socio Daniele Guidi) e Jorge Solis e, tutti, verso il fornitore cinese. Le intercettazioni hanno dimostrato l'esistenza di un accordo tra Tommasi e quello che quest'ultimo definisce il suo "partner nell'affare delle mascherine", Guidi, nonché tra il duo Tommasi/Benotti e Jorge Solis, per la migliore conclusione dell'affare in discorso. Le conversazioni captate portano a ritenere che mentre Tommasi e Guidi hanno curato l'aspetto organizzativo e, in particolare, i numeri voli aerei necessari per convogliare in Italia un quantitativo così ingente di dispositivi di protezione, compiendo i necessari investimenti, Jorge Solis sia stato in possesso del necessario contatto con la Cina e sia stato conoscitore delle specifiche del prodotto, tali da renderlo funzionali all'uso".

Mascherine, fuga di notizie. Porro: Benotti sapeva da mesi dell’inchiesta per questo non ha più visto Arcuri…Redazione martedì 23 Febbraio 2021 su Il Secolo d'Italia. Indagare sulle rivelazioni di Mario Benotti, indagato insieme ad altre 7 persone nell’inchiesta della procura di Roma sulle maxi commesse delle mascherine comprate dalla Cina. Lo chiede Nicola Porro, ascoltato sulla questione da AdnKronos. “Non voglio entrare nel merito dei messaggi, dei rapporti con Arcuri, ma ieri Benotti a ‘Quarta Repubblica’ ha detto una cosa che se è vera, e qualcuno dovrà indagare, è gravissima, e cioè che lo hanno avvertito dal 7 maggio che si stava indagando nei suoi confronti. Nel passato, per fughe di notizie molto meno gravi, abbiamo visto indagini, titoli e aperture di giornali”. Nel corso della puntata, infatti, Benotti, presidente del Consorzio Optel, ha affermato di aver interrotto i rapporti con il commissario all’emergenza Covid, Domenico Arcuri, dal 7 maggio, perché “il Commissario mi incontrò in una via di Roma (…) sotto il mio ufficio, e mi dice che c’era una difficoltà, che a Palazzo Chigi lo avevano informato che c’era un’indagine su tutta questa situazione (…), che c’era un approfondimento in corso, un’indagine in corso, adesso non ricordo con precisione le parole perché non ho documenti di questa cosa…chiaramente a Palazzo Chigi lo avevano informato sull’indagine”. Per Porro, “è una cosa incredibile, non riuscivo a credere a quello che mi stava dicendo, oppure Benotti è un millantatore, come hanno voluto dire che lo fosse dei rapporti con Arcuri ma dai messaggi che ha letto non mi sembra, e allora bisogna perseguirlo per le bugie dette, per calunnia. Ma ciò che ha rivelato è pazzesco, eppure è come se ci fosse una patina di segretezza”. Secondo Porro, inoltre, “non vi erano molti dubbi” sui rapporti fra Benotti e Arcuri, “perché, come si è visto dai tabulati della procura, c’erano 1.280 contatti telefonici dall’1 gennaio al 7 maggio, capisco che molti non siano andati a buon fine, però…o è stalking, e allora lo denunci, oppure c’era un rapporto tra i due”. Quanto all’ipotesi dimissioni da parte di Arcuri, Porro conclude: “Io penso che Arcuri si debba dimettere per l’incapacità che ha dimostrato nel gestire l’emergenza. Sono dell’idea che quando si è in emergenza si devono fare tutte le cose velocemente, anche violando le procedure ordinarie, quindi non sono scandalizzato dalla violazione delle procedure ordinarie, ma solo scandalizzato dalla sua incapacità di risolvere i problemi, troppi, che gli hanno affidato”.

La precisazione del commissario Arcuri. Nella stessa trasmissione il commissario Arcuri, attraverso una nota del suo ufficio stampa, ha precisato che la Procura ha richiesto l’archiviazione del Commissario e degli altri componenti della struttura. E ancora: “Per la struttura commissariale del Commissario sono state escluse anche responsabilità in relazione al concorso nelle ipotesi di 346 cp (traffico di influenze), poiché le indagini svolte hanno escluso anche che vi siano state agevolazioni a favore di terzi (Benotti & C) per ricevere utilità.  La Pa e conseguentemente la struttura commissariale non possono stipulare contratti di mediazione ed infatti non ne sono mai stati stipulati”. Infine, precisa sempre la nota dell’ufficio stampa di Arcuri, “le affermazioni comparse sulla stampa per cui Benotti avrebbe agito su incarico di Arcuri non sono risultate provate dalle attività investigative che invece hanno stabilito, come riassunto nel decreto che dispone il sequestro, che il dott. Benotti ha millantato una relazione amicale e personale con il dott. Arcuri in modo occulto ed al fine di ottenere indebite utilità.  La struttura commissariale e il Commissario sono vittime di un’attività di traffico illecito di influenze e quindi tuteleranno i loro diritti sia nel corso delle indagini che nei successivi sviluppi del procedimento”.

Luca Sablone per "Il Giornale" il 23 febbraio 2021. Delle mascherine si sarebbe iniziato a parlare l'11 marzo. "Parliamo per telefono e mi dice che c'è una necessità di reperire mascherine", ha dichiarato Benotti nell'intervista rilasciata in esclusiva a Nicola Porro per Quarta Repubblica su Rete 4. Domenico Arcuri avrebbe chiamato proprio il giornalista Rai in aspettativa perché - a detta di quest'ultimo - possiede "un po' di rapporti internazionali, è nel settore delle reti della Difesa da un po' di tempo". Ma i due si conoscevano? "Arcuri lo conoscevo dai tempi in cui facevo il consigliere al governo", ha riferito Benotti. Che avrebbe sfruttato l'influenza del commissario per pilotare gli acquisti e fare da intermediario con le aziende. Benotti ha rivelato di aver saputo della futura nomina come commissario già qualche giorno prima del decreto. Nodo cruciale riguarda l'avvio dei contatti per le mascherine. Il 3 marzo - quando Arcuri è solamente amministratore di Invitalia - Benotti riceve un messaggio: "Hai il cell spento. Domani mattina alle 8.30 debbo essere alla protezione civile. Nostro appuntamento rimandato. Quando esco ti chiamo e vediamo come fare. Scusami". Appuntamento rinviato alla sera del 4 marzo "per parlare di altro".

Gli sms. Benotti, dopo i contatti dell'11 marzo, si sarebbe messo subito all'opera e avrebbe contattato l'ingegner Tommasi. "Dobbiamo reperire il numero più alto di mascherine", lo avrebbe avvertito. Il 19 marzo alle ore 16.28 - il giorno dopo la nomina di Arcuri - sarebbe stata poi comunicata la disponibilità di un contatto per le mascherine. E il commissario, ricevuto l'sms, gli avrebbe annunciato: "Ti chiama Silvia Fabrizi". Ovvero un funzionario di Invitalia. Arcuri comunque, tiene a sottolinearlo, non sarebbe mai entrato nel merito delle questioni contrattuali. Qualche giorno prima che arrivassero le perquisizioni, la struttura commissariale avrebbe chiamato Tommasi per la necessità di guanti. "Il commissario Arcuri mi disse che c'era bisogno di respiratori", ha aggiunto Benotti. "Ok in senso che devo cercarli?"; "Per terapia intensiva"; "Siamo partiti con la ricerca". Poi però per i respiratori non avrebbe avuto più necessità da Benotti.

La "soffiata" da Palazzo Chigi. Dal 7 maggio i contatti si interrompono in maniera brusca. Benotti ha spiegato la motivazione: "Mi dispiace molto, ma lo comprendo da un punto di vista istituzionale. Arcuri mi incontrò e mi disse che c'era una difficoltà: da Palazzo Chigi lo avevano informato che c'era una indagine, un approfondimento in corso su tutta questa situazione, forse dei Servizi. Arcuri mi pregò di interrompere qualunque comunicazione con lui e io l'ho fatto". La struttura invece - a differenza delle "faccende personali" - continua ad avere rapporti "al punto che prima delle perquisizioni ancora chiedevano a Tommasi i guanti". Sarebbero ben 1282 i contatti avvenuti tra Domenico Arcuri e Mario Benotti, tra telefonate, sms e chiamate senza risposta. È proprio il rapporto tra i due ad essere al centro della questione. La Procura di Roma ha aperto l'inchiesta per veder chiaro sulle aziende intermediarie che hanno curato l'acquisto di 800mila mascherine dalla Cina per il valore di 1,25 miliardi di euro. Una commessa richiesta dalla struttura commissariale italiana. Secondo gli investigatori, le aziende avrebbero lucrato decine di milioni di euro. Tra gli indagati figurano Mario Benotti, Andrea Vincenzo Tommasi, ai vertici della società Sunsky srl, Antonella Appulo, Daniela Guarnieri, Jorge Edisson Solis San Andrea, Daniele Guidi, Georges Fares Khozouzam e Dayanna Andreina Solis Cedeno. I reati vanno dal traffico di influenze illecite al riciclaggio, passando per l'autoriciclaggio e ricettazione. Comunque la posizione di Arcuri è stata archiviata dalla Procura in quanto "allo stato non vi è prova che gli atti della struttura commissariale siano stati compiuti dietro elargizione".

Francesco Maria Del Vigo per "il Giornale" il 23 febbraio 2021. La vicenda sul maxi appalto per l'acquisto da parte del governo italiano delle mascherine cinesi diventa sempre più torbida e inquietante, aggravata da alcuni sms che dimostrerebbero un legame più che consolidato tra Domenico Arcuri e il «mediatore» Mario Benotti. Ricapitoliamo: mercoledì 17 febbraio le Fiamme Gialle hanno sequestrato case, barche, yacht e beni di lusso per un valore di 69,5 milioni di euro a otto indagati. Sotto la lente della Procura di Roma, che ha aperto l'inchiesta, ci sono le aziende intermediarie che hanno curato l'acquisto di 800mila mascherine dalla Cina, per il valore di 1,25 miliardi di euro. Commessa richiesta dalla struttura commissariale italiana per la Pandemia, quindi dal supercommissario Domenico Arcuri. La cui posizione è stata archiviata dalla Procura in quanto «allo stato non vi è prova che gli atti della struttura commissariale siano stati compiuti dietro elargizione». Le aziende, invece, secondo gli investigatori, avrebbero lucrato decine di milioni di euro sulle commissioni. Gli indagati sono Mario Benotti, Andrea Vincenzo Tommasi, ai vertici della società Sunsky srl, Antonella Appulo, Daniela Guarnieri, Jorge Edisson Solis San Andrea, Daniele Guidi, Georges Fares Khozouzam e Dayanna Andreina Solis Cedeno. I reati vanno dal traffico di influenze illecite al riciclaggio, passando per l'autoriciclaggio e ricettazione. Tutta la questione ruota attorno al rapporto tra Arcuri e Benotti, giornalista Rai in aspettativa, indagato insieme ad altre sette persone. Il secondo, sfruttando l'influenza sul primo, avrebbe pilotato gli acquisti e fatto da intermediario con le aziende. Benotti, in passato consulente della presidenza del Consiglio dei ministri e di vari ministeri, godeva di entrature politiche ad alto livello e, da quanto si evince, di una corsia preferenziale per parlare direttamente con Domenico Arcuri, anche se quest' ultimo ha cercato di negare. Ma la frequentazione è testimoniata da una mole notevolissima di contatti tra i due. Da gennaio a maggio del 2020 tra lui e Arcuri ci furono 1282 contatti telefonici: chiamate, sms, chiamate senza risposta. Telefonate che si interrompono bruscamente il 7 maggio, quando il Commissario smette di interloquire con Benotti, il quale confida al suo entourage «la sua frustrazione per essersi Arcuri sottratto all'interlocuzione, e il timore che ciò potesse ritenersi sintomatico di una notizia riservata su qualcosa che ci sta per arrivare addosso». I contatti tra Arcuri e Benotti (che si conoscono da anni) si infittiscono tra il 3 e il 4 marzo, ben prima che fosse dichiarato il lockdown nazionale. La sera del 4 - come Benotti ha rivelato in una intervista ieri sera a Quarta Repubblica -, si incontrano di persona. Pochi giorni dopo, tra il 10 e l'11, si attiva per cercare le mascherine. Il 19 marzo alle 16:28 comunica al Commissario di averle trovate, Arcuri si è insediato il giorno prima. Nei giorni successivi Arcuri gli chiede guanti e poi respiratori. Benotti si mette subito alla ricerca, ma poi fornirà solo mascherine. Colloqui informali, botta e risposta, appuntamenti telefonici e fisici che sembrano dimostrare un legame molto stretto tra i due, dove non arriva uno arriva l'altro. Il commissario risponde, chiede, approva, si adopera. Poi il silenzio. Arcuri sparisce. E, come dicevamo prima, nel giornalista cresce il sospetto che qualcuno, ad altissimo livello, abbia messo in guardia il Supercommissario. Sospetto che viene confermato a breve. «Il 7 maggio Arcuri e Bonaretti (consigliere del commissario) mi comunicano che palazzo Chigi li aveva informati che i servizi stavano indagando su queste cose e sui voli dalla Cina, quindi era necessario interrompere qualunque contatto», rivela Benotti a Nicola Porro, precisando che secondo lui nessuno, a partire da Arcuri, ha commesso un reato. Ma per capire la cornice all'interno della quale si muovono le trattative è utile ricordare quanto diceva nelle intercettazioni della Gdf uno degli indagati, Jorge Solis, a proposito della pandemia: «Speriamo che a novembre esploda». Cioè lucrare sulla più grande pandemia della storia recente. La struttura commissariale, con una nota ufficiale della settimana scorsa, si è detta parte lesa: «Risulta evidente che la struttura e il commissario Arcuri (estranei alle indagini) sono stati oggetto di illecite strumentalizzazioni da parte degli indagati affinché questi ultimi ottenessero compensi non dovuti dalle aziende produttrici». Ma ora il caso potrebbe avere altre evoluzioni.

Mascherine, Meloni: «Sconcertante Benotti. Da chi è partita la soffiata da Palazzo Chigi? Eugenio Battisti mercoledì 24 Febbraio 2021 su Il Secolo d'Italia. Nuove ombre sul governo Conte e sulla allegra gestione della pandemia. E sul super-commissario all’emergenza Domenico Arcuri. Del quale Fratelli d’Italia chiede le dimissioni da settimane. In un post Giorgia Meloni denuncia la gravità delle dichiarazioni dell’uomo delle mascherine, Mario Benotti. Presidente del Consorzio Optel, Che nel  corso della trasmissione Quarta Repubblica rivela di essere stato messo a conoscenza da Arcuri attraverso Palazzo Chigi di un’inchiesta giudiziaria sull’affaire mascherine. “Assurdo! Benotti, collaboratore di alcuni esponenti del Pd, racconta che Arcuri gli avrebbe confessato di essere stato segretamente informato a Palazzo Chigi di un’indagine a suo carico”, scrive su Facebook la leader di Fratelli d’Italia. “Rivelazioni inquietanti che gettano ulteriori ombre sulla gestione dell’emergenza. Tutto questo è inaccettabile“. Le parole di Benotti, giornalista in aspettativa Rai, davanti a un incredulo Nicola Porro non lasciano dubbi. L’imprenditore, collaboratore di ben tre ministri del Pd, racconta il suo rapporto stretto con Arcuri. Testimoniato da una fitta rete di messaggi su whatsapp. E riferisce di un incontro, in un bar del quartiere Prati, con Bonaretti. Il dottor Bonaretti, che conoscevo – dice Benotti – "perché era stato mio capo di Gabinetto al ministero". Oggi consigliere della Corte dei Conti e collaboratore del commissario all’emergenza covid. Benotti racconta di aver ricevuto una telefonata da Bonaretti per un incontro "segreto". Al quale si presenta anche Arcuri. Nel colloquio, l’uomo delle mascherine, viene informato di un’inchiesta in corso. Parole che Fratelli d’Italia non intende far passare sotto silenzio. “Mi viene detto – racconta in trasmissione Benotti – che a Palazzo Chigi sapevano di un’indagine. Forse dei servizi.  E quindi mi pregano di interrompere qualsiasi comunicazione con Arcuri. E così faccio“. Un episodio inaudito. “Palazzo Chigi – chiede la Meloni – sapeva di un’inchiesta sulle mascherine. Chi ne era a conoscenza? L’allora presidente del Consiglio Conte? O il ministro Speranza?”. Un indagato sapeva di essere indagato. “È una vicenda oscura che i cittadini devono conoscere – sottolinea la leader di Fratelli d’Italia – dove sono finiti i soldi spesi dal governo in piena pandemia?“

Mascherine dalla Cina, un arresto  e quattro misure interdittive. Fulvio Fiano su Il Corriere della Sera il 25/2/2021.

L’Inchiesta. Le verifiche sulla fornitura di 800 milioni di dispositivi di protezione durante la prima fase dell’emergenza Covid. Ai domiciliari Edisson Jorge San Andres Solis. A una settimana dal sequestro preventivo da 70 milioni di euro arrivano anche le misure cautelari a carico del gruppo di persone resosi responsabile, in concorso tra loro, del reato di traffico di influenze illecite (aggravato dal reato transnazionale) oltre che, a vario titolo, di ricettazione, riciclaggio e auto-riciclaggio. Agli arresti domiciliari è finito Edisson Jorge San Andres Solis, mentre le misure interdittive hanno raggiunto Mario Benotti, giornalista Rai in aspettativa che ha provato a far valere la sua vecchia amicizia con Domenico Arcuri per influenzare gli acquisti di Dpi da parte della struttura del commissario straordinario all’emergenza Covid, e altre tre persone. Il valore complessivo dell’affare con modalità di affidamento diretto si sarebbe aggirato attorno a 1,25 miliardi di euro.

Le aziende coinvolte. I finanzieri del nucleo speciale di polizia Valutaria, coordinati dalla procuratore aggiunto Paolo Ielo coinvolgono 3 consorzi cinesi per l’acquisito di oltre 800 milioni di mascherine di varie tipologia, effettuate con l’intermediazione – non contrattualizzata dal commissario – di alcune imprese italiane: la Sunsky srl (di cui è titolare Andrea Vincenzo Tommasi), la Partecipazioni spa (con Georges Fares Khouzam legale rappresentante), la MicroproductsIT (di cui Rossana Daniela Guarnieri è legale rappresentante) e la Guernica srl (riconducibile a San Andres Solis).

Le commissioni milionarie dai cinesi. Secondo le indagini la Sunsky s.r.l. di Milano, la Partecipazioni s.p.a., la Microproducts IT s.r.l. e la Guernica s.r.l. di Roma, a fronte di tale attività di intermediazione e dei connessi affidamenti, le società in questione avrebbero «percepito commissioni per decine di milioni di euro dai consorzi cinesi risultati affidatari delle forniture dei dispositivi di protezione individuale (in particolare, mascherine chirurgiche e del tipo Ffp2 e Ffp3)». Il sequestro aveva colpito le quote societarie della srl Guernica di Roma, disponibilità finanziarie, polizze assicurative, immobili ubicati nella capitale a Pioltello (Milano) e Ardea (Roma), auto e moto di lusso, gioielli e orologi di pregio nonché uno yacht. Le quattro misure interdittive emesse mercoledì 24 febbraio prevedono invece il divieto temporaneo dell’esercizio di attività d’impresa e il divieto di ricoprire incarichi o uffici direttivi in persone giuridiche/imprese.

Mascherine senza certificazione. Almeno parte degli 800 milioni di mascherine comprate in Cina sono arrivate in Italia senza certificazione: «È rilevante la circostanza che i plichi (rinvenuti dalla Gdf, ndr), contenenti documentazione che sarebbe stato necessario esaminare prima della firma dei contratti di fornitura in quanto relativa alle caratteristiche tecniche dei dispositivi di protezione, sia pervenuta presso gli uffici della struttura commissariale solo il 2 dicembre 2020, ben oltre la stipula, a dimostrazione del fatto che la fornitura al Governo italiano delle mascherine trova unico fondamento nella intermediazione e nella moral suasion operata in modo occulto da Mario Benotti sulla sola base del rapporto personale tra lo stesso e Arcuri». È uno dei passaggi con cui il gip motiva la misura interdittiva a carico del giornalista. Stesse misure colpiscono Vincenzo Andrea Tommasi della milanese Sunsky srl, Georges Fares Khouzam (Partecipazioni spa), e Daniela Rossana Guarnieri (Microproducts). Ai domiciliari va invece Jorge Edisson Solis (Guernica).

«Estrema spregiudicatezza». Il gip parla di «estrema spregiudicatezza mostrata dagli indagati per schermare l’illecita provenienza dei flussi finanziari». In una intercettazione Tommasi si vanta: «Io sono stato il più grande fornitore di mascherine in Italia, ne abbiamo vendute 925 milioni». Ma questi «successi» non avevano saziato gli indagati. In particolare, «è emerso che il Benotti, dopo aver ampiamente lucrato illecitamente per i contratti delle mascherine, aveva intenzione di continuare a proporre ulteriori “affari” al commissario Arcuri». Nelle intercettazioni, annotano però i finanzieri, emerge la sua frustrazione per il fatto che «Arcuri ha interrotto i rapporti con lui» e che questo potrebbe essere il sintomo che il commissario avrebbe avuto notizie in forma riservata su qualcosa «che ci sta per arrivare addosso».

«Ho il numero di Arcuri». Ma venuto meno Benotti, Solis ha provato a raggiungere ugualmente Arcuri: «Tu sai come arrivare ad Arcuri? Io c’ho il numero di Arcuri, tutto», chiede in una intercettazione. «C’è tanto capitale in Cina? Mi hai capito, tu c’hai un amico lì dentro e quell’amico serve». E ancora: «Tu sei bravo per arrivare a Arcuri? Arcuri conosce il gruppo nostro? Con il tuo amico Arcuri a occhi chiusi te compra? Perché noi abbiamo dato credito per 400 milioni all’Italia che nessuno, nessuno lo ha e hanno pagato tutto».

Inchiesta mascherine, gli indagati scherzavano: "Tanto Arcuri compra a occhi chiusi". La Finanza: "Acquisti senza vedere le certificazioni". Maria Elena Vincenzi su La Repubblica il 24/2/2021. Dagli ultimi sviluppi dell'indagine la dura accusa al Commissario: "Vide i certificati del materiale solo 2 dicembre, ben oltre la stipula della fornitura". L'arrestato intercettato: "Quello è amico tuo, compra tutto". In tutto gestiti affidamenti per 1,25 miliardi di euro. Non è finita. L'inchiesta sulle maxi commesse per gli 800 milioni di mascherine acquistati dal Commissario Straordinario marcia spedita: a pochi giorni dal sequestro di 70 milioni di euro, arrivano le prime misure verso cinque degli otto indagati. Il giudice, su richiesta della procura, ha disposto i domiciliari per Edisson Jorge San Andreas Solis e quattro interdittive del divieto temporaneo dell'esercizio di attività di impresa e del divieto di ricoprire incarichi o uffici direttivi in persone giuridiche/imprese il giornalista Rai in aspettativa Mario Benotti, per l'ingegnere e lobbista Vincenzo Andrea Tommasi, Khouzam Georges Fares e la compagna di Benotti Daniela Rossana Guarnieri. Nei confronti degli indagati le accuse sono di traffico di influenze illecite in concorso e aggravato dal reato transnazionale. L'indagine riguarda gli affidamenti, per un valore complessivo di 1,25 miliardi di euro, effettuati dal Commissario straordinario per l'emergenza Covid a favore di 3 consorzi cinesi per l'acquisito di oltre 800 milioni di mascherine di varie tipologia, effettuate con l'intermediazione, non contrattualizzata dalla struttura commissariale, di alcune imprese italiane, cioè la Sunsky s.r.l. di Milano, la Partecipazioni s.p.a., la Microproducts IT s.r.l. e la Guernica s.r.l. di Roma. A fronte della attività di intermediazione e dei connessi affidamenti, le società hanno percepito commissioni per decine di milioni di euro dai consorzi cinesi risultati affidatari delle forniture di mascherine chirurgiche e del tipo Ffp2 e Ffp3. Un affare d'oro per gli indagati che, secondo gli investigatori, ha avuto una causa principale: il rapporto di amicizia tra Benotti e il commissario Domenico Arcuri. Nell'ordinanza il gip spiga come la stipula sia avvenuta senza alcuna garanzia sulle caratteristiche tecniche dei dispositivi acquistati. "Il 4/12/2020  - si legge nell'ordinanza - in sede di perquisizione presso la sede della Sunsky Srl, Tommasi ha consegnato spontaneamente alla Guardia di Finanza due moduli di spedizione di plichi a Fabbroncini (Antonio, braccio destro di Arcuri, ndr) presso la presidenza del Consiglio dei Ministri, plichi che rinvenuti dalla Gdf sono risultati contenere la documentazione degli ordini delle mascherine spediti alla Luokai Trade e alla Whenzou Light, con la documentazione Ce, i test record e i campioni delle mascherine ordinate. In proposito è rilevante la circostanza che tali plichi, contenenti documentazione che sarebbe stato necessario esaminare prima della stipula dei contratti di fornitura in quanto relativa alle caratteristiche tecniche dei dispositivi di protezione, sia pervenuta presso gli uffici della struttura commissariale solo in data 2/12/2020, bel oltre la stipula dei contratti di fornitura". Per il giudice è la "dimostrazione che la conclusione di quei contatti per la fornitura al Governo italiano delle mascherine trova un unico fondamento nella intermediazione e nella moral suasion operata iin modo occulto da Benotti sulla sola base del rapporto personale tra lo stesso ed il commissario Arcuri". E da quell'amicizia, il giornalista pensava di fare altri soldi. "Dall'attività di intercettazione - si legge ancora - è emerso che Mario Benotti, dopo aver ampiamente lucrato illecitamente per i contratti di fornitura delle mascherine, non pago di quanto sino ad allora ottenuto, aveva intenzione di continuare a proporre ulteriori affari al commissario Arcuri". Un elemento che "si evince dall'intercettazione nella quale Benotti  - scrive il gip - confida a Daniela Guarnieri, legale rappresentante e socia della Microproducts, la sua frustrazione per il fatto che il commissario Arcuri ha interrotto i rapporti con lui e che questo potrebbe essere il sintomo che Arcuri avrebbe avuto notizie informa riservata su qualcosa "che ci sta per arrivare addosso", chiaro riferimento alla possibilità di indagini giudiziarie inerenti le forniture di mascherine mediate da Benotti. Quella del commissario è una figura centrale nell'inchiesta: tutti gli indagati lo invocano, tutti lo cercano, tutti sanno che è lui la chiave di volta per fare affari. Lo stesso gip nell'ordinanza chiarisce come la struttura commissariale, data l'emergenza, abbia poteri di affidamento emergenziali e, quindi, straordinari. Ed è lì che il gruppo vuole infilarsi. Solis, intercettato, dice: "Tu sai come arrivare ad Arcuri? Io c'ho il numero di Arcuri, tutto". E quando i rapporti tra Benotti e Arcuri si chiudono, Solis immediatamente cerca un altro canale per arrivare al commissario: "C'è tanto capitale in Cina che tu guadagni un centesimo in tre miliardi di mascherine", cerca di convincerlo. "Tu sei bravo per arrivare a Arcuri; Arcuri conosce il gruppo nostro; con tuo amico Arcuri occhi chiusi te compra; perché noi abbiamo dato credito per 400 milioni all'Italia che nessuno, nessuno lo ha e hanno pagato tutto".

SCANDALO MASCHERINE ACQUISTATE DALLA CINA.UN ARRESTO E 4 MISURE INTERDITTIVE. Il Corriere del Giorno il 25 Febbraio 2021. Agli atti sono presenti quasi 1.300 tra messaggi e telefonate da gennaio a maggio 2020, con contatti giornalieri a febbraio, marzo e aprile (i mesi più complicati e difficili) della pandemia, tra Benotti e il commissario all’emergenza Covid, Domenico Arcuri. Agli arresti domiciliari è finito Edisson Jorge San Andres Solis, mentre delle misure interdittive hanno colpito tre persone ed il giornalista Rai in aspettativa Mario Benotti, che ha cercato di utilizzare la sua vecchia amicizia con Domenico Arcuri per poter influenzare gli acquisti da parte della struttura del commissario straordinario all’emergenza Covid, delle famigerate mascherine. Il provvedimento del Gip Paolo Andrea Taviano con le le misure cautelari a carico del gruppo di persone in concorso tra loro, resosi responsabile secondo la Procura romana del reato di traffico di influenze illecite (aggravato dal reato transnazionale) oltre che, a vario titolo, di ricettazione, riciclaggio e auto-riciclaggio, arriva una settimana dopo il sequestro preventivo da 70 milioni di euro . Il valore complessivo degli acquisti di mascherine effettuati mediante affidamenti diretti si aggirerebbe intorno a 1,25 miliardi di euro. Le investigazioni del Nucleo speciale di Polizia Valutaria della Guardia di Finanza, su delega dei pm Fabrizio Tucci e Gennaro Varone sotto il coordinamento del procuratore aggiunto Paolo Ielo , coinvolgono 3 consorzi cinesi per l’acquisito di oltre 800 milioni di mascherine di varie tipologia, effettuate con l’intermediazione – non contrattualizzata dal commissario Arcuri – di alcune società italiane: la Sunsky srl di cui è titolare Andrea Vincenzo Tommasi, la Partecipazioni spa che ha Georges Fares Khouzam come rappresentante legale, la MicroproductsIT  che vede Rossana Daniela Guarnieri quale legale rappresentante ed infine la Guernica srl riconducibile a San Andres Solis ed amministrata da sua figlia. Le società in questione avrebbero “percepito commissioni per decine di milioni di euro dai consorzi cinesi risultati affidatari delle forniture dei dispositivi di protezione individuale (in particolare, mascherine chirurgiche e del tipo Ffp2 e Ffp3)”. I pm Ielo, Tucci e Varone evidenziano “l’informalità con la quale si è proceduto rispetto ad accordi che devono essere intercorsi tra le parti in gioco, prima del 10 marzo e dunque ben prima del lockdown nazionale, dichiarato il 9 marzo”. In quel momento “nessuna norma consentiva ancora deroghe al codice dei contratti”. Ma non solo. “Il primo contratto di fornitura è stato stipulato il 25 marzo quando la struttura commissariale ancora non esisteva, almeno ufficialmente”. Quel giorno, però, “i facilitatori stavano tessendo le relazioni che avrebbero loro consentito i lauti guadagni”. Dalle indagini inoltre risulta che il governo italiano “abbia acquistato mascherine anche a prezzi inferiori” persino “nello stesso periodo di tempo”, mentre “i voli di consegna siano avvenuti tra maggio e giugno 2020 quando l’emergenza sanitaria era in fase discendente”. Una buona parte degli 800 milioni di mascherine acquistate in Cina erano arrivate in Italia senza la necessaria prevista certificazione: “È rilevante la circostanza che i plichi contenenti documentazione che sarebbe stato necessario esaminare prima della firma dei contratti di fornitura in quanto relativa alle caratteristiche tecniche dei dispositivi di protezione, sia pervenuta presso gli uffici della struttura commissariale solo il 2 dicembre 2020, ben oltre la stipula, a dimostrazione del fatto che la fornitura al Governo italiano delle mascherine trova unico fondamento nella intermediazione e nella moral suasion operata in modo occulto da Mario Benotti sulla sola base del rapporto personale tra lo stesso e Arcuri“. Agli atti sono presenti quasi 1.300 tra messaggi e telefonate da gennaio a maggio 2020, con contatti giornalieri a febbraio, marzo e aprile (i mesi più complicati e difficili) della pandemia, tra Benotti e il commissario all’emergenza Covid, Domenico Arcuri. È uno dei passaggi con cui il Gip motiva la misura interdittiva a carico del giornalista Benotti . Analoghe misure cautelari sono state notificate a Vincenzo Andrea Tommasi , Georges Fares Khouzam (Partecipazioni spa), e Daniela Rossana Guarnieri . Ai domiciliari è stato posto Jorge Edisson Solis . Il Gip Paolo Andrea Taviano del Tribunale di Roma, nel suo provvedimento evidenzia “l’ estrema spregiudicatezza mostrata dagli indagati per schermare l’illecita provenienza dei flussi finanziari”. In un’ intercettazione delle Fiamme Gialle, Tommasi si vantava: “Io sono stato il più grande fornitore di mascherine in Italia, ne abbiamo vendute 925 milioni”. Risultati e guadagni non avevano saziato l’appetito degli indagati. In particolare, “è emerso che il Benotti, dopo aver ampiamente lucrato illecitamente per i contratti delle mascherine, aveva intenzione di continuare a proporre ulteriori “affari” al commissario Arcuri“. Nelle intercettazioni, i finanzieri, annotano la frustrazione emersa di Benotti poichè “Arcuri ha interrotto i rapporti con lui” e che questo potrebbe essere la conseguenza del fatto che il commissario avrebbe avuto notizie in forma riservata da fonti di Palazzo Chigi su qualcosa “che ci sta per arrivare addosso“. Le presunte rivelazioni sulle “indagini” dei servizi segreti, rivelate l’altra sera a Quarta Repubblica, dello stesso Benotti hanno lasciato non poche ombre anche sul commissario Domenico Arcuri. “Assurdo! Benotti, collaboratore di alcuni esponenti del Pd ( Graziano Del Rio n.d.r.) , racconta che Arcuri gli avrebbe confessato di essere stato segretamente informato a Palazzo Chigi di un’indagine a suo carico. Rivelazioni inquietanti che gettano ulteriori ombre sulla gestione dell’emergenza. Tutto questo è inaccettabile”,  scrive su Facebook Giorgia Meloni presidente di Fratelli d’Italia, rilanciando un video del parlamentare FdI Giovanni Donzelli che ripercorre le dichiarazioni di Benotti. Un fatto sul quale il partito della Meloni chiede di fare chiarezza. Solis aveva provato a raggiungere anche direttamente Arcuri: “Tu sai come arrivare ad Arcuri? Io c’ho il numero di Arcuri, tutto“, chiede in una intercettazione effettuata dalle Fiamme Gialle, agli atti della Procura “C’è tanto capitale in Cina? Mi hai capito, tu c’hai un amico lì dentro e quell’amico serve”. E continua: “Tu sei bravo per arrivare a Arcuri? Arcuri conosce il gruppo nostro? Con il tuo amico Arcuri a occhi chiusi te compra? Perché noi abbiamo dato credito per 400 milioni all’Italia che nessuno, nessuno lo ha e hanno pagato tutto“.

Inchiesta sulle mascherine cinesi, scattano un arresto e 4 misure interdittive. La Procura di Roma ha deciso 5 misure cautelari: Jorge Solis ai domiciliari; una interdittiva per Mario Benotti. Sotto la lente finiscono gli affidamenti da 1,25 miliardi di euro a 3 consorzi cinesi. Luca Sablone - Mer, 24/02/2021 - su Il Giornale. C'è la svolta nell'ambito dell'inchiesta sulle maxicommesse da 72 milioni di euro per l'acquisto di 801 milioni di mascherine provenienti dalla Cina nella prima ondata del Coronavirus in Italia: a una settimana dal sequestro preventivo sono arrivate delle misure cautelari a carico di persone che in concorso tra loro si sarebbero resi responsabili - a vario titolo - dei reati di traffico di influenze illecite (aggravato dal reato transnazionale), di ricettazione, di riciclaggio e di auto-riciclaggio. I militari del Nucleo Valutario della guardia di finanza, su disposizione del gip di Roma, hanno dato esecuzione a 5 misure cautelari, di cui una agli arresti domiciliari e 4 interdittive. Ai domiciliari è finito Edisson Jorge San Andres Solis, mentre le 4 misure interdittive riguardano Mario Benotti (giornalista Rai in aspettativa e presidente del consorzio Optel e di Microproducts It), Daniela Rossana Guarnieri (amministratore delegato della stessa società), Andrea Vincenzo Tommasi (titolare di Sunsky Srl) e Khouzam Georges Fares. Nei loro confronti è scattato il divieto temporaneo dell'esercizio di attività d'impresa e del divieto di ricoprire incarichi o uffici direttivi in persone giuridiche-imprese, con interdizione dallo svolgimento di tutte le attività inerenti.

L'inchiesta. L'inchiesta della guardia finanza è stata coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo e dai pm Fabrizio Tucci e Gennaro Varon. L'ipotesi di reato è quella di traffico di influenze illecite in concorso e aggravato dal reato transnazionale. Le indagini riguardano gli affidamenti effettuati da Domenico Arcuri a favore di 3 consorzi cinesi per l'acquisito di oltre 800 milioni di mascherine di varie tipologia, "effettuate con l'intermediazione - non contrattualizzata dalla struttura commissariale - di alcune imprese italiane, cioè la Sunsky di Milano, la Partecipazioni, la Microproducts IT e la Guernica di Roma". Gli investigatori hanno spiegato che le società avrebbero percepito commissioni per decine di milioni di euro dai consorzi cinesi - per l'attività di intermediazione - risultati affidatari delle forniture dei dispositivi di protezione individuale (in particolare, mascherine chirurgiche e del tipo FFP2 e FFP3).

"Da Palazzo Chigi stanno indagando...". Perché Arcuri ha troncato gli sms?

In questi giorni si è molto parlato dei rapporti tra Mario Benotti e Domenico Arcuri. Il giornalista Rai in aspettativa ha mostrato in esclusiva a Nicola Porro per Quarta Repubblica su Rete 4 diversi sms scambiati con il commissario straordinario, rivelando un particolare non indifferente: "Arcuri mi incontra in una via di Roma e mi dice che c'era una difficoltà, che a Palazzo Chigi lo avevano informato che c'era un'indagine su tutta questa situazione, forse dei Servizi. Da Palazzo Chigi si possono avere soltanto indagini che vengono dai Servizi. Ma era anche normale che i Servizi indagassero su questa cosa. Mi pregò di interrompere qualunque comunicazione con lui, cosa che io ho fatto".

"Abuso di funzioni svolte". Da una conversazione intercettata "appare evidente che Benotti abbia svolto in modo occulto un'attività di mediazione nei confronti dell'organo commissariale, approfittando del rapporto personale con il commissario Arcuri al fine di indirizzare quest'ultimo a un canale di approvvigionamento di cui Benotti è sodale occulto, in quanto vi figurano soggetti non a lui direttamente riconducibili, canale del quale in realtà Benotti è parte attiva e determinante coordinando i ruoli di ciascun partecipe nella fase esecutiva del contratto e indicando le modalità di ripartizione delle provvigioni corrisposte dai fornitori cinesi per l'attività di mediazione". Lo scrive il gip di Roma Paolo Andrea Taviano nell'ordinanza di misura cautelare. Inoltre si legge che Jorge Solis, Mario Benotti, Andrea Vincenzo Tommasi, Georges Fares Khouzam e Daniela Rossana Guarnieri si sarebbero "prestati con estrema facilità all'abuso delle funzioni svolte nell'ambito delle società amministrate, condotte per le quali hanno ricevuto illecite remunerazioni, concorrendo alla creazione e all'operatività di un sistema illecito finalizzato alla percezione e successivo occultamento di proventi illeciti derivanti dalla corresponsione a soggetti che formalmente non avevano alcuna legittimazione a percepirli di provvigioni a loro non spettanti per attività di intermediazione mai espletate nei confronti dei fornitori cinesi di dpi, provvigioni inerenti la stipula di contratti di fornitura di mascherine senza ricorso a procedure ad evidenza pubblica, da parte del commissario straordinario nominato dal governo italiano per la gestione dell'emergenza sanitaria nazionale dovuta la pandemia da Covid-19".

 "Da Palazzo Chigi stanno indagando...". Perché Arcuri ha troncato gli sms? La rivelazione di Benotti: "Il commissario mi ha chiesto di interrompere i contatti". Poi l'intervento di Bonaretti: "Mi ha detto: non farti vivo in questa fase e di lasciarlo un attimo per evitare casini". Luca Sablone - Mer, 24/02/2021 - su Il Giornale. Quali rapporti avevano Domenico Arcuri e Mario Benotti? Si conoscevano prima dell'esplosione della pandemia? Hanno allacciato contatti solamente in occasione dell'acquisto di mascherine? Beh, stando al racconto fornito dal giornalista Rai in aspettativa i due avrebbero iniziato a scambiarsi qualche sms ben prima del decreto di nomina a commissario speciale per l'emergenza Coronavirus in Italia. "Arcuri lo conoscevo dai tempi in cui facevo il consigliere al governo", ha riferito Benotti nell'intervista rilasciata in esclusiva a Nicola Porro per Quarta Repubblica su Rete 4. Il cosiddetto "uomo delle mascherine" non ha esitato a mostrare in tv lo scambio di messaggi con l'amministratore delegato di Invitalia, rivelando una serie di aspetti che fino a poche ore fa non erano state rese note. I tabulati parlano chiaro: la Procura ha contato ben 1282 i contatti avvenuti tra telefonate, sms e chiamate senza risposta. Le comunicazioni si interrompono bruscamente il 7 maggio del 2020. A fornire la propria versione è lo stesso Benotti: "Il commissario mi incontrò in una via di Roma. Arcuri si fece precedere da una telefonata del dottor Bonaretti. Mi dice che mi doveva vedere lui. Invece arrivano lui e il commissario. Sotto il mio ufficio, in Prati a Roma. E mi dice che c'era una difficoltà, che a Palazzo Chigi lo avevano informato che c'era un'indagine su tutta questa situazione, forse dei Servizi. Da Palazzo Chigi si possono avere soltanto indagini che vengono dai Servizi. Ma era anche normale che i Servizi indagassero su questa cosa. Mi pregò di interrompere qualunque comunicazione con lui, cosa che io ho fatto".

"Abbiamo parlato delle mascherine l'11 marzo". Gli sms che inguaiano Arcuri. A ottobre il giornalista Rai in aspettativa viene intercettato mentre avrebbe provato a riallacciare i rapporti, comportando però l'intervento in prima persona di Mauro Bonaretti - capo di gabinetto del Mit quando Benotti era consigliere giuridico nello stesso ufficio - che avrebbe provato così a convincerlo: "(Arcuri, ndr) mi ha detto no, guarda, perché ci tengo. Voglio evitare che Mario si sporca [...] Mi ha detto di non farti vivo in questa fase, di lasciarlo un attimo per evitare casini". A quel punto "l'uomo delle mascherine" capisce che gli stava "per arrivare addosso" qualche inchiesta giudiziaria.

Quel linguaggio criptico. Dagli sms mostrati dal "mediatore" emerge un linguaggio criptico e spesso con riferimenti ecclesiali. Il giornalista, ad esempio, parla di se stesso in terza persona e si definisce "monsignore". Il 13 marzo Benotti fa sapere che terrà "una concelebrazione 'ad mentem Dominici'". La risposta di Arcuri non sarebbe tardata ad arrivare: "Bene! Peccato che se e quando la stessa dovesse produrre i suoi effetti il destinatario sarà morto!". Il giornalista Rai in aspettativa invita a fare sì "che resti in vita".

I segreti di Arcuri. Il 24 marzo è ancora Benotti a scrivere al commissario, riservandogli parole al miele: "Ho apprezzato il tratto istituzionale e quasi ecclesiastico del Suo comunicare. Migliore e più umano - pur nella fermezza - di chi fin qui ha comunicato". Il giorno dopo arrivano i ringraziamenti: "Buonanotte monsignore. Per lei che può dormire La ringrazio delle parole di apprezzamento". Il 21 aprile il "mediatore" chiede attenzioni: "Se in giornata quando può prima di notte potesse dedicare dieci minuti a Monsignore egli sarebbe grato". Ma evidentemente Arcuri non poteva: "Oggi impossibile. Proviamo domani. Ciao".

La sera Benotti lo riempie di complimenti e apprezzamenti personali: "Le uniche vere dichiarazioni degne di un Ministro o di un Presidente del Consiglio in questo manicomio sono le tue caro Domenico. E le uniche dotate di buonsenso e nel contempo senso pratico. Ti prego di credere che non te lo dico per effetto della nostra amicizia, ma per il senso politico alto e dello Stato che traspare dal Tuo lavoro. Un caro abbraccio". 5 giorni dopo Arcuri viene ospitato da Fabio Fazio nella trasmissione Che tempo che fa. Benotti vuole maggiori informazioni: "Monsignore - per potersi unire spiritualmente - vorrebbe conoscere l'orario della Sua omelia televisiva serale. Possibilmente precisa. Per limitarsi alla sua predica non sopportando Monsignore - pentendosi per questo - l'Officiante Principale (Fazio, ndr). Sia lodato Gesù Cristo". Dettagli forniti senza alcuna perdita di tempo: "21:30 circa. Secondo ospite. Dopo il presidente della Camera".

Giuseppe China e François de Tonquédec per "la Verità" il 23 febbraio 2021. Traballa la poltrona di Domenico Arcuri. Non quella di ad Invitalia, ma quella ben più scottante di commissario straordinario all'emergenza covid. L'incarico di Arcuri scade insieme allo stato di emergenza il 30 aprile, ma ieri molti esponenti politici hanno posto il problema della sua permanenza come commissario. A cominciare dal leader della Lega Matteo Salvini, che rispondendo ad una domanda su Arcuri ha commentato: «Serve un cambio di passo. Lascio giudicare chi ci ascolta sulle mascherine, i vaccini, sull'Ilva. Il presidente Draghi ha ben chiara la situazione e penso che sarà lui a segnare un cambio di passo». Anche l'ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli ha twittato dicendo «è assurdo che un compito così delicato sia affidato a chi è anche Ad di Invitalia. Non è possibile far bene due lavori così impegnativi. O l'uno o l'altro». Anche i pm romani che indagano sulla maxi commessa da 801 milioni di mascherine, ipotizzando per i mediatori dell'affare i reati di traffico di influenze, non risparmiano critiche alla gestione commissariale evidenziando «l'idea della informalità con la quale si è proceduto, rispetto ad accordi che devono essere intercorsi tra le parti in gioco prima del 10 marzo 2020 (data della prima proposta di Whenzou Moon- Ray) e, dunque, ben prima del lock-down nazionale, dichiarato il 9 marzo 2020. In quel momento nessuna norma consentiva, ancora, deroghe al codice dei contratti, poiché tale liberatoria sarebbe stata prevista soltanto con il detto decreto "Cura Italia". Allo stesso tempo, evidentemente, vi era già un concerto sui passi legislativi ed amministrativi da compiere ed i "facilitatori" stavano già tessendo le relazioni, che avrebbero loro consentito i suddetti lauti guadagni». Una parziale deroga era prevista dal 2 marzo 2020, con il Decreto legge 9/2020 che autorizzava «il Dipartimento della protezione civile e i soggetti attuatori individuati dal Capo del dipartimento della protezione civile [], ad acquisire dispositivi di protezione individuali [] in deroga al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (ovvero il codice dei contratti, ndr)». Una deroga che però non prevedeva lo scudo verso i rischi di rilievi della Corte dei conti, fondamentale per una commessa da 1,25 miliardi di euro. Sta di fatto che anche in quei giorni i mediatori si muovono e ci sono contatti telefonici e via sms di Arcuri, non ancora ufficialmente commissario, con Mario Benotti, uno dei mediatori della maxi commessa insieme al titolare della Sunsky Srl Andrea Tommasi, indagato insieme a Benotti, alla compagna di quest' ultimo Daniela Guarnieri, al trader equadoriano Jorge Solis e a Antonella Appulo, ex segretaria di Graziano Delrio. Dagli atti investigativi emerge che i contatti tra Benotti e Arcuri, perlomeno in forma telefonica, cessano il 6 maggio, ma il mediatore sembra preoccuparsene solo 5 mesi dopo, il 20 ottobre, quando, intercettato dagli investigatori, dice alla compagna che qualcosa «ci sta per arrivare addosso». Subito dopo Benotti chiama Mauro Bonaretti, magistrato della Corte dei conti, che fa parte della struttura commissariale, ed è a lui che Benotti si rivolge per comprendere il silenzio del commissario. Bonaretti spiega a Benotti che Arcuri lo vuole in qualche modo proteggere: «Mi ha detto no guarda perché mi ci tengo. voglio evitare che Mario si sporca ... lo voglio avvisare di questa situazione ... sapevo solo di questa preoccupazione ... mi ha detto di non farti vivo in questa fase, di lasciarlo un attimo ... per evitare casini». Al giornalista della trasmissione Non è l'arena che gli chiede cosa intendesse Bonaretti sminuisce le sue parole: «Perché lui mi dice: "Ma perché Domenico non mi vuole incontrare?". Io gli dico: "Non lo so, non ne ho idea". Dico: "Ma hai fatto qualcosa di male?". Ah, ecco, forse gli dico pure: "Hai fatto qualcosa di male", una cosa del genere E lui mi risponde: "Ma che di male, ho fatto solo del bene. Ho fatto tutta questa cosa qua". E racconta per filo e per segno tutta questa vicenda. Mah, guardi lì sinceramente Secondo me Benotti chiedeva appunto, di vedere Arcuri. Io non sapevo come fare a dirgli: "Senti staccati da dosso". Non ho idea perché Arcuri non ti voglia vedere. Dico: "Vabbè, stai lontano. Stai fuori dalle scatole". Si metta nei miei panni». Le telecamere della trasmissione condotta da Massimo Giletti sono andate anche dalla Guarnieri chiedendole dei rapporti tra il «marito» e la Appulo, che secondo gli inquirenti sarebbe legata a Benotti da una relazione sentimentale, motivo per cui il giornalista Rai in aspettativa le avrebbe fatto corrispondere 53.000 euro da Tommasi, attraverso la Sunsky e sarebbe stato in procinto di regalare degli immobili alla Appulo. I magistrati ritengono la relazione rilevante per l'inchiesta tanto da averla dettagliata nell'ordinanza di sequestro. Inizialmente la donna, dopo aver precisato che Benotti non è il marito ma il compagno, si è rifiutata di commentare, per poi ricontattare la giornalista e chiederle: «Vorrei che lei mi facesse una cortesia, andate dalla signora Appulo a chiedere quando la signora nella sua carriera professionale ha perso la sua dignità tanto da doversi far mantenere da un uomo con una famiglia pubblica. Chieda questo». Nel 1992 una moglie furiosa, quella di Mario Chiesa, liquidato da Bettino Craxi come «un mariuolo isolato», innescò una reazione a catena che spazzò via la «Prima Repubblica». Cosa farà adesso la moglie anzi, la compagna di un altro Mario?

Giacomo Amadori e François De Tonquédec per "la Verità" il 24 febbraio 2021. Se Domenico Arcuri voleva dare una scusa al premier Mario Draghi per poterlo mandare via ci è riuscito perfettamente. O meglio ci sono riusciti i suoi portavoce. Lunedì, durante la trasmissione di Nicola Porro Quarta Repubblica, l'ospite Mario Benotti, indagato per la fornitura monstre di mascherine cinesi, ha mostrato l'iphone con le chat scambiate con il commissario straordinario e, improvvidamente, un non meglio identificato ufficio stampa di Arcuri ha fatto mandare in onda una nota che si concludeva così: «Le affermazioni comparse sulla stampa per cui Benotti avrebbe agito su incarico di Arcuri non sono risultate provate dalle attività investigative che invece hanno stabilito, come riassunto nel decreto che dispone il sequestro, che il dottor Benotti ha millantato una relazione amicale e personale con il dottor Arcuri in modo occulto ed al fine di ottenere indebite utilità». In realtà nei decreti nessuno ha denunciato una millantata «relazione amicale e personale». Anzi i pm hanno specificato che Benotti «sfruttando le sue relazioni personali con Domenico Arcuri, si faceva prima promettere e quindi dare indebitamente» 12 milioni di euro dal sodale Andrea Vincenzo Tommasi. La ricostruzione dell'entourage di Arcuri non è solo smentita dai tabulati telefonici (la Procura ha contato 1282 contatti), ma adesso anche dai messaggini che il giornalista Rai in aspettativa ha mostrato in video. Ma perché il commissario sta negando l'evidenza? Nei rapporti tra Arcuri e Benotti qualcosa non torna. Il primo non vuole rispondere alle domande e si nasconde. Il secondo cerca il faccia a faccia, il duello in pubblico e davanti ai magistrati, non nasconde la sua irritazione. Come quando ha scoperto che l'ufficio stampa aveva definito gli indagati «Benotti&c.»: «Posso usare un termine un po' forte, sono molto incazzato. Perché il Benotti&c. se lo possono mettere dove credono []. Per quanto riguarda il fatto che io abbia millantato amicizia o rapporto con il dottor Arcuri, benissimo io ho chiesto un incidente probatorio, speriamo che il dottor Arcuri venga a dire questa cosa». Le comunicazioni tra i due si interrompono bruscamente il 7 maggio del 2020 e a ottobre, Benotti viene intercettato mentre prova a riallacciare i rapporti. Ma Mauro Bonaretti, capo di gabinetto del Mit quando il giornalista era consigliere giuridico nello stesso ufficio, lo dissuade: «(Arcuri, ndr) mi ha detto no, guarda, perché ci tengo. Voglio evitare che Mario si sporca [] mi ha detto di non farti vivo in questa fase, di lasciarlo un attimo per evitare casini». Da questa chiusura Benotti aveva tratto la convinzione che gli stesse «per arrivare addosso» qualche inchiesta giudiziaria. Da Porro, ha raccontato la sua versione sull'interruzione dei rapporti nel maggio 2020: «Il commissario mi incontrò in una via di Roma. Arcuri, si fece precedere da una telefonata del dottor Bonaretti [] Mi dice che mi doveva vedere lui. Invece arrivano lui e il commissario. Sotto il mio ufficio, in Prati a Roma. E mi dice che c'era una difficoltà, che a Palazzo Chigi lo avevano informato che c'era un'indagine su tutta questa situazione, forse dei servizi []. Da Palazzo Chigi si possono avere soltanto indagini che vengono dai servizi. Ma era anche normale che i servizi indagassero su questa cosa. [] mi pregò di interrompere qualunque comunicazione con lui, cosa che io ho fatto». E forse per questa (presunta) richiesta Benotti in tv, a dicembre, aveva insinuato che la segnalazione dell'antiriciclaggio su di lui e i suoi soci era scritta con un linguaggio da apparati di sicurezza. Ricordiamo che la banca ha fatto la segnalazione a luglio e la Procura ha aperto il fascicolo a settembre. Non possiamo escludere che nelle settimane precedenti i nostri 007 abbiano notato qualcosa di sghembo nella strana compagine di mediatori e lo abbiano segnalato al capo del governo. Ciò che pare certo è che Benotti e Arcuri, via messaggio, abbiamo comunicato tra loro con un linguaggio assai criptico e pieno di riferimenti ecclesiali (il broker, per esempio, invita l'amico nella sua «abitazione apostolica» e, in un'altra occasione, dice di ritirarsi in «canonica»). Negli sms il giornalista spesso parla di sé in terza persona e si definisce «monsignore». Il primo messaggio mostrato in tv risale al 3 marzo, quando il commissario è ancora solo ad di Invitalia. Arcuri scrive allo «sconosciuto» Benotti: «Hai il cell spento. Domani mattina alle 8.30 debbo essere alla protezione civile. Nostro appuntamento rimandato. Quando esco ti chiamo e vediamo come fare. Scusami». Risposta di Benotti: «Monsignore, in posizione con incenso pronto e fumante per la processione». Il 10 marzo Arcuri è sulla rampa di lancio per diventare «Mister emergenza». Benotti gli scrive: «Se risultasse spento il cellulare chiamami a casa per piacere». L'11 marzo, il giorno in cui Giuseppe Conte annuncia la nomina di Arcuri, Benotti comunica: «Contatto stabilito». Arcuri: «Molto bene». Benotti: «Domani in qualche modo preghiamo». Arcuri: «Sempre». Il 13 marzo Benotti fa sapere: «Oggi alle 18 terrò una concelebrazione "ad mentem Dominici"». Arcuri: «Bene! Peccato che se e quando la stessa dovesse produrre i suoi effetti il destinatario sarà morto!». Benotti: «Facciamo sì che resti in vita». Verso le 20 e 30, sempre Benotti: «Con la certezza di sapere che il destinatario è ancora in vita sappia che la concelebrazione ha avuto termine ed è stato ricordato nelle invocazioni. Monsignore è rientrato in casa secondo le indicazioni del Governo». Arcuri confessa: «Il destinatario è e resta alla protezione civile: un distributore di morte». E in un altro messaggio esclama: «Sono vivo. Ahimé». Domenica 15 marzo Benotti sembra avere buone nuove per il non ancora insediato commissario: «Ove posso depositarLe una nota credo utile e urgente? Verrei anche ad pedes. Preghiamo per il Paese». Arcuri: «Alla protezione civile. Oppure domani mattina in ufficio. Il che è meglio». Benotti: «Se vengo alla protezione civile anche per brevi istanti la Sua luminosa bontà e consegno a mano? [] Provo a vedere con anche miei canali se trovo mascherine intanto e ti faccio sapere. FFP2 e FFP3?». Arcuri: «Sì». Benotti: «Cerco anche io». In un sms chiede lumi: «Dimmi anche di cosa si può avere bisogno e ci mettiamo in cerca». Arcuri: «Respiratori ok». Benotti: «Ok nel senso che devo cercarli?». Arcuri: «Sì. Per terapia intensiva». Benotti: «Siamo partiti con la ricerca». Il 24 marzo Benotti è generoso di complimenti: «Ho apprezzato il tratto istituzionale e quasi ecclesiastico del Suo comunicare. Migliore e più umano - pur nella fermezza - di chi fin qui ha comunicato». Il 25 marzo Arcuri risponde: «Buonanotte monsignore. Per lei che può dormire La ringrazio delle parole di apprezzamento». Il 27 Benotti si augura la salute del suo committente: «Procura di rimanere in forma per piacere». Quindi riferisce: «Trovata quantità importante di respiratori. Informata Silvia Fabrizi (una funzionaria, ndr). Pronti ad intervenire. Ma soprattutto si conservi in forma». Arcuri: «Grazie. Glielo dico. Lo farò». Lo stesso giorno, Benotti sottolinea di aver apprezzato il richiamo di Arcuri al fatto che ammalati e defunti siano nostri concittadini: «Solo il Capo dello Stato in serata ha avuto un pensiero per un concetto condiviso di cittadinanza». L'ad di Invitalia si mostra orgoglioso: «Confermo. Il Capo dello Stato ha anche ringraziato il Commissario. Ce la faremo». Passa un giorno e Benotti scrive: «Esprimo i sensi della mia vicinanza e dello sforzo che stiamo profondendo per la riuscita dello sforzo del Commissario. Leggo di gelosie nei confronti del medesimo commissario - evidentemente confuso con la Madonna di Lourdes e correlate capacità miracolistiche - vuol dire però che stiamo andando bene. Un caro saluto e un gesto benedicente. Ce la faremo». Arcuri conferma: «Ce la faremo!». Benotti il 5 aprile: «Buona domenica delle Palme. Si ricordi di una breve preghiera con Monsignore, ove fosse già rientrato. Noi sacerdoti insistiamo (rompiamo i coglioni) solo quando appare un superiore [] motivo. Preghiamo». Il mediatore promette preci «propiziatrici di grazie e favori celesti giorno». Il 6 aprile si vanta dei risultati raggiunti: «Monsignore ha pregato. Le preghiere hanno avuto efficacia. Il destinatario finale ne ha tratto beneficio, essendosi il suo cammino illuminato». Arcuri: «Molto bene. Sempre sia lodato». Il 10 aprile Benotti chiede un nuovo incontro: «Ove lei avesse - compatibilmente con il momento - dieci minuti per me avrei bisogno di abbeverarmi al suo sapere». Il 12 aprile i due interlocutori si scambiano gli auguri di Pasqua e Benotti soggiunge: «Preghiamo intensamente. Mi dirà poi quando Monsignore potrà abbeverarsi senza rompere troppo i ponti. Con calma, prima di martedì alle 10». Il giorno dopo, è il Lunedì dell'Angelo. Arcuri: «Ho avvisato l'uomo alla sbarra di farti passare. Mi trovi in cortile». Benotti: «Ok. 5 minuti al massimo». Passa qualche ora e il mediatore si fa riferimento a un nuovo abboccamento: «Se sulla strada del ritorno volesse intrattenersi 5 minuti Le direi due cose prima dell'udienza di domani. Che è anticipata alle ore 16. Nulla di urgente ma potrebbe essere opportuno. Preghiamo». Il 15 aprile Benotti propone un ulteriore appuntamento: «Ho avuto una lunga conversazione di cui dovrei riferirTi. Fammi sapere tu». Due giorni dopo il giornalista aggiorna Arcuri: «Udienza costruttiva. Prospettiva a mio parere buona, da poter attivare in tempi ragionevolmente brevi». Arcuri: «Ti chiamo appena posso e vediamo come confrontarci». Il 21 aprile Benotti: «Se in giornata quando può prima di notte potesse dedicare dieci minuti a Monsignore egli sarebbe grato. Arcuri: «Oggi impossibile. Proviamo domani. Ciao». La sera il giornalista si spertica in elogi: «Le uniche vere dichiarazioni degne di un Ministro o di un Presidente del Consiglio in questo manicomio sono le tue caro Domenico. E le uniche dotate di buonsenso e nel contempo senso pratico. Ti prego di credere che non te lo dico per effetto della nostra amicizia, ma per il senso politico alto e dello Stato che traspare dal Tuo lavoro. Un caro abbraccio». Arcuri, per nulla infastidito da una simile manifestazione di affetto, replica: «Grazie! un abbraccio». Il 26 Arcuri è ospite della trasmissione di Fabio Fazio Che tempo che fa. Benotti non sta nella pelle: «Monsignore -per potersi unire spiritualmente - vorrebbe conoscere l'orario della Sua omelia televisiva serale. Possibilmente precisa. Per limitarsi alla sua predica non sopportando Monsignore - pentendosi per questo - l'Officiante Principale (Fazio, ndr). Sia lodato Gesù Cristo». Arcuri pare contento di aver un telespettatore in più: «21:30 circa. Secondo ospite. Dopo il presidente della Camera». Benotti: «Ci uniremo».

François De Tonquédec per “La Verità” il 2 marzo 2021. La Procura di Roma lo ha messo nero su bianco il 22 dicembre scorso, nella richiesta di arresti domiciliari a carico dei tre mediatori della maxi commessa di mascherine, Mario Benotti, Andrea Vincenzo Tommasi e Jeorge Solis (accolta dal Gip solo per quest' ultimo): «ritiene» che «il raffreddamento dei rapporti (di Benotti, ndr) con il commissario straordinario, a far data dal maggio 2020» sarebbe avvenuto «per la sopravvenuta conoscenza dell' enorme, illecito ritorno economico ottenuto da soggetti estranei al rapporto con la struttura commissariale». Ma Benotti, durante la trasmissione televisiva Quarta Repubblica, aveva sganciato una bomba. Usando come tramite un membro del suo staff, Arcuri avrebbe incontrato Benotti il 7 maggio, ma non per chiedergli conto delle laute provvigioni. Del resto, lo stesso Arcuri, nella lettera inviata il 24 novembre al procuratore di Roma Michele Prestipino, per mettersi a disposizione dei magistrati dopo gli scoop della Verità, proprio riferendosi ai nostri articoli, l' ex commissario parla di «presunte "commissioni" pagate», dando l' impressione di non esserne a conoscenza. Secondo Benotti, Arcuri lo incontra per spiegargli la necessità di interrompere i rapporti perché «c' era una difficoltà, che a Palazzo Chigi lo avevano informato che c' era un' indagine su tutta questa situazione, forse dei servizi []. Chiaramente a Palazzo Chigi l' avevano informato di un' indagine sulla questione dei voli da Israele». A cosa si riferisce Benotti quando parla dei voli? Alle consegne di mascherine destinate al commissario Arcuri, effettuate con voli cargo della compagnia di bandiera israeliana, la El al. Sui voli svolti dalla compagnia con sede a Tel Aviv si sono soffermati anche gli uomini della Guardia di finanza, che in un' informativa evidenziano come «i codici dei voli ricavati nei prospetti in allegato 29 riconducibili in gran parte e con molta probabilità alla compagnia aerea El al Israel airlines - non identificano, allo stato, viaggi dalla Cina verso l' Italia e, in particolare, con destinazione gli aeroporti di Milano Malpensa e di Fiumicino», per poi specificare che, «da verifiche eseguite su fonti aperte, infatti, i voli indicati [] sono riferibili a viaggi dalla Cina per Tel Aviv oppure si riferiscono a voli interni alla Repubblica cinese o ancora a viaggi tra la Cina e la Russia. A titolo esemplificativo, si consideri che il ricorrente codice di volo "LY2068" è riferibile alla tratta Shanghai-Tel Aviv, operata dalla predetta compagnia aerea». Potrebbero essere state queste anomalie, con voli provenienti dalla Cina, destinati ad altri Paesi, ma arrivati nei nostri aeroporti, ad allarmare la nostra intelligence? Quello che sappiamo è che dal prospetto dei voli agli atti dell' inchiesta emerge che il primo volo della El al (che continuerà a consegnare all' Italia lotti della maxi fornitura fino a giugno) carico di mascherine destinate al commissario è decollato da Shangai il 29 aprile, circa una settimana prima della data in cui Benotti colloca l' incontro in cui Arcuri gli avrebbe raccontato della segnalazione avuta da Palazzo Chigi. Il volo conteneva mascherine Ffp2 vendute alla struttura commissariale dalla Wenzhou light, che, come La Verità aveva raccontato in esclusiva il 30 gennaio con un articolo intitolato «L' azienda che ci ha venduto mascherine per 590 milioni è sospettata di riciclaggio», dagli atti dell' inchiesta risulta «censita negli archivi Uif (la struttura di Bankitalia che si occupa della prevenzione di riciclaggio e finanziamento del terrorismo, ndr), per aver ricevuto tra il 2011 ed il 2014 numerose rimesse in contante dall' Italia, per complessivi 5 milioni di euro e dall' importo unitario molto vicino ai limiti pro tempore vigenti». Nei giorni precedenti all' incontro tra Arcuri e Benotti erano anche iniziati i bonifici da parte della struttura commissariale a quella che per la Banca d' Italia (ma all' insaputa dell' ex commissario e dei mediatori) è una potenziale lavanderia di denaro di incerta provenienza. E le conseguenti provvigioni. Il 6 maggio, 24 ore prima dell' incontro con il commissario raccontato in tv da Benotti, la Wenzhou light aveva cominciato a saldare la prima tranche di provvigioni agli intermediari italiani: 400.000 euro alla Sunsky Srl controllata da Tommasi e 150.000 euro alla Microproducts Srl, riconducibile a Benotti. Pagamenti che seguivano quelli partiti ad aprile, da parte della Wenzhou moon ray che il 17 aveva trasferito 124.950 euro alla Sunsky e il 24 aveva ripetuto l' operazione con la Microproducts. Alla fine sui conti delle due aziende arriveranno 62 bonifici per un valore di 71,7 milioni.

(ANSA il 3 marzo 2021) - E' stato ascoltato per circa due ore dal gip di Roma, l'imprenditore Mario Benotti, destinatario di una misura interdittiva nell'ambito dell'inchiesta sull'affidamento per un valore complessivo di 1,25 miliardi di euro per l'acquisto di mascherine per l'emergenza Covid. "Il nostro assistito ha risposto a tutte le domande, anche a quelle dei pm, chiarendo tutta la vicenda. Ha spiegato lo sviluppo dei rapporti avuti con l'ex commissario straordinario per l'emergenza Covid, Domenico Arcuri, avvenuti tutti in modo trasparente - affermano i difensori di Benotti, gli avvocati Giuseppe Ioppolo e Salvino Mondello annunciando la presentazione di una istanza di revoca della misura -, alla luce del sole, ci sono centinaia di mail con tutti i nomi. La richiesta di mascherine è venuta da Arcuri e lo Stato da questa vicenda ha avuto solo vantaggi". Nei confronti di Benotti l'accusa è di traffico di influenze illecite in concorso aggravato dal reato transnazionale. "Le provvigioni sono state decise dopo l'accordo con i cinesi e Andrea Vincenzo Tommasi ha dato una parte di provvigioni, pagate dai cinesi, a Benotti". Davanti al gip hanno deciso di avvalersi della facoltà di non rispondere gli altri indagati Georges Fares Khouzam, Andrea Vincenzo Tommasi e Daniela Rossana Guarnieri.

Spuntano le intercettazioni: "Tu che sei amico di Arcuri lanciati nel business". Gli indagati erano consapevoli? "Tanto so tutti falsi 'sti certificati...". E quella promessa: "Te faccio diventare molto benestante". Luca Sablone - Mer, 03/03/2021 - su Il Giornale. Continuano a emergere diverse intercettazioni dopo l'esecuzione dell'ordinanza di applicazione di 3 arresti ai domiciliari nell'ambito della fornitura di 5 milioni di mascherine e 430mila camici destinati alla protezione civile del Lazio. A esserne destinatari sono stati Andelko Aleksic, Vittorio Farina (imprenditore già attivo nel settore dell'editoria) e Domenico Romeo indagati, a vario titolo, per frode nelle pubbliche forniture e truffa aggravata. In un passaggio dell'ordinanza si legge che avrebbero avuto dei contatti con Domenico Arcuri, che comunque risulta essere oggetto del traffico d'influenze e non indagato nella vicenda. Nello specifico Farina lo avrebbe incontrato a Roma il 3 settembre 2020, "come sembra emergere dai puntuali aggiornamenti effettuati da Farina ad Aleksic". "Domenico mi ha promesso che se gli arriva la lettera, autorizza quell’acquisto (...) la dovrebbe fare oggi, oggi la deve fare e oggi pomeriggio ci deve fare l’ordine", sarebbero state le parole pronunciate da Farina. Che viene considerato il faccendiere, colui che avrebbe "tenuto i contatti con soggetti vicino alla struttura commissariale, al fine di ottenere agevolmente la conclusione di fornitura vantaggiose per la società". In una conversazione intercettata Farina avrebbe "giurato di aver parlato con Domenico Arcuri per inserire la Ent tlc Srl quale fornitore sussidiario rispetto a Luxottica spa e Fca spa per l'approvvigionamento di mascherine destinate alla riapertura delle scuole sul territorio nazionale". Lo stesso Farina, in una conversazione intercettata con Andelko Aleksic, avrebbe affermato: "Tu lasciami lavorare, c'ho ampia delega da te, te faccio diventare... mooolto molto benestante, forse potresti anche essere considerato ricco". Il gip spiega che Aleksic si sarebbe dimostrato "consapevole della falsità dei certificati". Tanto che, parlando dei camici, avrebbe aggiunto: "Tanto so tutti falsi 'sti certificati". In una conversazione intercettata e contenuta nell'ordinanza sono spuntate poi le parole di Massimo Cristofori che si sarebbe così rivolta a Farina: "Tu che sei grande amico di Arcuri, lanciati nel business delle scrivanie, hai sentito questa storia delle scrivanie?". Questo, in ordine, sarebbe stato lo scambio di battute tra Cristofori e Farina: "Tre milioni di scrivanie a prezzo medio 50 euro"; "È un macello quello che sta succedendo, ti rendi conto? Trenta milioni di mascherine al giorno... per le scuole, tra studenti, corpo insegnante, autisti di scorsa"; "Non riesce a inseristi in questo business qua con Arcuri?". Il gip ha inoltre affermato che Farina avrebbe vantato rapporti con personaggi noti, "soggetti per il tramite dei quali riesce ad avere contatti con pubblici amministratori che in questo periodo si occupano delle forniture pubbliche di dispositivi medici e di protezione individuale". È stato disposto anche un sequestro preventivo di quasi 22 milioni di euro. L'European Network Tlc srl è stata colpita da una misura interdittiva del divieto di contrarre con la pubblica amministrazione. L'impresa milanese avrebbe fornito documentazione rilasciata da enti estranei agli organismi deputati al via libera delle certificazioni. Successivamente, al fine di superare le criticità emerse durante le procedure di sdoganamento, avrebbe prodotto falsi certificati di conformità che sarebbero stati rilasciati da Romeo. Dalla struttura dell'ex commissario tengono comunque a precisare: "Né la società European Network Tlc né le persone coinvolte nelle indagini, hanno ricevuto alcuna promessa, alcun affidamento o alcun incarico dall'ex commissario o dalla struttura commissariale. La società, come tante altre, aveva inviato diverse proposte a nessuna della quali è stato mai dato alcun seguito dalla Struttura stessa".

François De Tonquédec e Giuseppe China per "la Verità" il 3 marzo 2021. Oggi è una giornata importante per l'inchiesta sulle mascherine cinesi intermediate da una presunta cricca di trafficanti di influenze illecite. Il giornalista Rai in aspettativa Mario Benotti, temporaneamente interdetto dall'attività imprenditoriale e destinatario di 12 milioni di provvigioni, nei giorni scorsi ha parlato in tv, tirando in mezzo l'ex commissario straordinario Domenico Arcuri, che, a detta di Benotti, lo avrebbe incaricato di trovare i dispositivi di protezione. Per questo ha sfoderato i messaggi che i due si sono scambiati tra marzo e maggio, prima che le loro comunicazioni si interrompessero all'improvviso per motivi ancora non del tutto chiariti. L'obiettivo dell'indagato è dimostrare che nell'affare non ci sia nulla di illecito, neppure le ricche commissioni. Uno stato d'animo che potrebbe portare Benotti, assistito dall'avvocato Salvino Mondello, ad affrontare senza rete di salvataggio il fuoco di fila di domande del gip Paolo Andrea Taviano e dei pm Paolo Ielo, Gennaro Varrone e Fabrizio Tucci. Certo un Benotti in versione talk show (quella degli sms mostrati alle telecamere) potrebbe inguaiare non solo l'ex commissario, ma anche se stesso. Vedremo oggi quale sarà la decisione finale. Tra i quesiti che sicuramente i magistrati faranno ci sarà quello sui contenuti del colloquio tra Benotti e Arcuri del maggio 2020, incontro propedeutico all'interruzione dei contatti tra i due. Ma se Benotti frigge e potrebbe voler rispondere a giudice e inquirenti, gli altri indagati sottoposti a interdizione potrebbero scegliere una linea più prudente e avvalersi della facoltà di non rispondere. L'avvocato Francesco Tagliaferri, difensore dell'unico arrestato, Jorge Solis, alla Verità non ha voluto anticipare la propria strategia. Benotti e gli altri indagati sono stati raggiunti dai provvedimenti cautelari (che hanno fatto seguito ai sequestri di conti correnti e beni effettuati il 17 febbraio) nella serata del 24 febbraio. Ma l'inchiesta sulla vicenda della maxi commessa di mascherine non si ferma e sembra andare verso un allargamento con nuovi indagati e iniziative investigative. Nella vicenda ci sono anche due convitati di pietra, strutturalmente coinvolti nella gestione dell'affare, ma finora ai margini dei provvedimenti emessi della Procura di Roma. Il primo è il banchiere sammarinese Daniele Guidi, che secondo gli inquirenti, «unitamente al Tommasi (Andrea, titolare della Sunsky Srl, ndr), ha curato l'aspetto organizzativo ed, in particolare, i numerosi voli aerei necessari per convogliare in Italia un quantitativo così ingente, compiendo i necessari investimenti». Quello di Guidi, anche lui indagato per traffico di influenze, è dunque ruolo strategico, ma nei conteggi fatti dagli inquirenti sulla spartizione delle provvigioni sulla maxi commessa da 801 milioni di mascherine, Guidi, che è residente nella Repubblica di San Marino, non compare. Tuttavia, nelle mail sequestrate a casa di un altro indagato, il trader ecuadoriano Jorge Solis, contenenti il riepilogo delle provvigioni, si parla di una quota di 44,7 milioni di euro di provvigioni destinata al «Gruppo Daniele». Ad oggi l'unico atto compiuto nei confronti di Guidi su ordine della Procura di Roma è stata una perquisizione domiciliare, effettuata il 4 dicembre scorso, in un appartamento intestato a Tommasi, ma in uso al banchiere sammarinese. Durante l'ispezione dell'immobile i finanzieri hanno trovato una sorta di campionario di mascherine Ffp2 e alcune pennette usb. L'altro convitato di pietra è Zhongkai Cai, detto «Marco», cinese residente a Roma nel popoloso quartiere del Quadraro, per gli investigatori «componente di un'organizzazione ben strutturata e coordinata di cui fa parte anche Guidi». La moglie di Cai, Lu Zhou Xiao, compare nell'affaire delle mascherine come general manager della Luokai trade, nata appena cinque giorni prima della stipula dei contratti e capace di portare a casa commesse per 634 milioni di euro. Negli atti dell'inchiesta depositati, una parte della documentazione su Cai e la sua famiglia è coperta da omissis, forse quella relativa a vicende giudiziarie. Era però già noto che il cinese alla fine degli anni Novanta venne indagato per contrabbando in un caso di mancato o incompleto accertamento dell'oggetto del reato. Qualche anno dopo è, però, stato prosciolto. Dalle già citate mail di Solis risulta invece che anche «Marco» sarebbe stato destinatario di provvigioni, da dividere con il trader ecuadoriano.

Fabio Amendolara e François De Tonquédec per “La Verità” il 27 marzo 2021. Volevano prendere una casa in Vaticano con i soldi delle mascherine cinesi vendute alla struttura del commissario straordinario Domenico Arcuri. Anche per questo motivo la Procura di Roma ha sequestrato i conti correnti del giornalista Rai in aspettativa Mario Benotti, indagato per traffico illecito di influenze. L'abitazione, è ricostruito negli atti dell'inchiesta, era destinata ad Antonella Appulo, definita nel decreto di sequestro urgente emesso dai magistrati di piazzale Clodio come «già in rapporto con la politica nazionale, per essere stata dipendente del ministero delle Infrastrutture ed addetta alla segreteria del ministro Graziano Delrio, è legata affettivamente a Benotti Mario». Per i pm capitolini «ciò è, inequivocabilmente, risultato dalle indagini svolte, dalle quali risulta che Benotti stia per regalare alcuni immobili alla Appulo e la gratifichi di provvidenze economiche». La certezza degli inquirenti nasce da un'intercettazione del 4 novembre scorso. È l'ora di pranzo, Benotti e la Appulo sono al telefono e il giornalista dice all'amica: «Nel momento in cui io ti regalo questo cazzo di casa, una casa che è tua e abbiamo fatto l'operazione di mettere la fiduciaria in quel modo lì esattamente per fare sì che lui se succede qualche cosa... abbia quantomeno una casa a Roma». Ma dalla conversazione emerge che Benotti si stava preoccupando non solo dell'acquisto della casa per Appulo, ma anche di appianare le sue pendenze economiche. Tra cui quelle con la madre di lei: «Vabbè quelli che devi dare a tua madre adesso glieli daremo con i soldi che, che appena Khouzam (presidente della Partecipazioni spa, la holding di Benotti, ndr) ha potuto fare le sue operazioni... darai i soldi anche a tua madre... Quanto devi a tua madre? 20.000 euro?». I due discutono di altre spese e alla fine Benotti dice che servono circa 60.000 euro complessivi per sistemare le cose, poi passa a una cifra più alta perché alla donna serve anche un'automobile: «Sicuro che non c'è altro... più la macchina... bisogna stanziare 100.000 euro subito... la macchina in maniera tale che tu ce l'abbia prima di Natale... 100.000 euro».Benotti nelle sue operazioni finanziarie non vuole destare attenzione. Per esempio spiega all'amica che i soldi che le ha consegnato nei giorni precedenti «erano 600 euro perché di più non ne potevo ritirare per evitare l'Antiriciclaggio». E, anche per risolvere il problema dei debiti della Appulo, cerca una soluzione che non desti sospetti: «Bisogna fare un'operazione e bisogna farla una volta sola che ti arrivi sul conto con tutta una serie di... Magari 20 li mandiamo sul conto cointestato di tua madre così poi li puoi girare da lì... i soldi... di quell'altro vanno sul conto, sul conto quello nuovo perché su quello nuovo credo che non sia mai arrivato niente vero?».In attesa dell'acquisto della casa, la Appulo vive a Trastevere, e, come annotano gli investigatori della Guardia di finanza, «chiede se possa trasferirsi in quella casa così da non pagare 3.000 euro di affitto». Benotti a quel punto le dice che si sta muovendo per «la casa dei preti, quella di vicolo Scanderbeg». Appulo, però, la giudica «un'operazione difficile, visto che son tre anni che ci provano». In realtà, oltre che per vicolo Scanderberg (a due passi dalla Fontana di Trevi), sembra esserci anche un altro obiettivo. Tra le mille relazioni di Benotti ce n'è una che porta a Propaganda fide: don Sergio Mercanzin, 52 anni di sacerdozio, prete della diocesi di Padova che opera a Roma e che attraverso il Centro Russia ecumenica è considerato un personaggio chiave nelle relazioni con i fratelli ortodossi, oltre che un erede di papa Wojtyla. Mercanzin, che non fa parte di Propaganda fide, ma che sulla stampa viene indicato come «molto vicino all'elemosiniere del Papa», conferma il rapporto con Benotti: «Sì, cercava una casa a Roma». Non gli disse a cosa gli serviva. Ma ammette: «Cercai un contatto con Propaganda fide». Che a Roma possiede 957 immobili, in parte appartamenti di pregio e in posizioni molto appetibili. Tra cui un immobile di 200 metri quadrati con terrazza e canone stracciato non lontano da piazza Navona, per cui si sarebbe mosso Benotti. Il capo di Propaganda fide è monsignor Ermes Viali. «È inavvicinabile», taglia corto don Mercanzin. Il contatto di don Mercanzin è Giuseppe Grifone, che di Propaganda fide è il responsabile degli atti. «Io tratto con lui», spiega il sacerdote. Al centralino di Propaganda fide per tutto il pomeriggio di ieri non ha risposto nessuno. Di certo a Benotti i contatti con la Santa Sede non mancano. Originano in parte dal padre Teofilo, a lungo giornalista dell'Osservatore romano e amico personale di papa Giovanni Paolo II, e sono certificati dal verbale di interrogatorio di Mauro Bonaretti, già membro dello staff di Arcuri: «Fu il monsignor Parolin (il cardinale Pietro, Segretario di Stato vaticano, ndr), a, diciamo così, accreditarci Benotti». Ma gli amici del giornalista (che è pure cavaliere del Santo Sepolcro di Gerusalemme) ricordano anche gli stretti rapporti con il cardinal Giuseppe Bertello e con gli arcivescovi Vincenzo Paglia e Zygmunt Zimowski (deceduto nel 2016).Alla fine, però, l'affare con Propaganda fide non si è concluso, sembra proprio per il veto posto da monsignor Viale, al quale spetta l'ultima valutazione. Forse perché i nomi di Benotti e della Appulo erano già finiti sui giornali per lo scandalo delle mascherine. Però Benotti nelle intercettazioni sembra proprio voler trovare una soluzione. E chiede all'amica se «preferisce trasferirsi a Campo dei Fiori». Appulo risponde che «se fosse proprietaria della casa eviterebbe il costo dell'affitto». Benotti commenta: «E tanto non lo paghi tu». Dalla conversazione emerge anche come il contratto con la Sunsky di Andrea Tommasi (l'altro mediatore indagato), per il quale sono stati versati 53.000 euro provenienti dalle provvigioni delle mascherine commissionate da Arcuri, servisse appunto per poter sottoscrivere il mutuo della casa: «La casa quello lì... quello c'è l'atto, quello si deve fare con il contratto che ti arriva da Sunsky... poi non so se lì poi sia opportuno metterci la residenza per scaricare una parte delle tasse o per non far vedere un cazzo forse è meglio che non metterci niente... affittarlo e zitto...». Una grande disponibilità da parte di Benotti, nonostante il fatto che poche ore prima, in un'intercettazione ambientale captata all'interno della sua auto, avesse commentato così quello che gli inquirenti affermano essere un precedente litigio con l'amica: «C'ha il notaio l'11 dicembre per andare gli ho regalato una casa... faccia il cazzo che vuole e arrivederci». In un'altra intercettazione ambientale del 21 novembre, Benotti si sfoga, forse al telefono, sui problemi derivanti dal suo rapporto con la Appulo e sulla exit strategy che qualcuno gli aveva appena prospettato, forse la compagna: «Voleva che io organizzassi pensa... questa mattina un contratto fra me e la Appulo dove io le davo 500.000 euro basta che lei si impegnasse a non cercarmi mai più». Ma l'indagato non sembra dell'idea: «A te sembrano cose normali? [] Solo pensarle?». Poi fa riferimento ai messaggi minatori che la Appulo avrebbe ricevuto e per i quali sarebbe pronta a fare denuncia. Ma Benotti le avrebbe consigliato di lasciar perdere: «Ho detto di non denunciare nessuno». Adesso, però, a causa delle mascherine, sono tutti indagati: Benotti, la compagna e l'amica.

Vittorio Feltri per “Libero Quotidiano” il 2 marzo 2021. Ieri Repubblica pubblicava in prima pagina il seguente titolo: "Covid, abusi per 2 miliardi". Non è confortante apprendere che gli sprechi avrebbero potuto essere evitati se avessimo avuto un governo meno ciarliero e più avveduto. Infatti, con la citata somma ingente gettata al vento il nostro vituperato Paese del menga, fosse stato guidato da gente meno stordita, sarebbe stato in grado di acquistare montagne di vaccini e oggi saremmo avviati a sconfiggere la pandemia. Invece siamo ancora qui ad aspettare dosi, quando altre Nazioni più oculate della nostra - Inghilterra, Austria, Ungheria, Israele, San Marino eccetera - oggi hanno risolto almeno in parte il problema delle immunizzazioni. Stando ai dati pubblicati dal giornale diretto da Maurizio Molinari, molti quattrini sarebbero volati via in tangenti, appalti truccati e roba simile. Sicché ora siamo con l' acqua alla gola: addirittura venti procure, sempre pronte a tuffarsi nel letame, indagano su varie porcherie. Da Milano a Napoli, tra mascherine fallate e ospedali fantasma, numerosi sarebbero gli scandali. Eppure come si spiega il fatto che l' esecutivo non si sia accorto che del virus non importava un cavolo ad alcuno, mentre a molti furbacchioni premeva fare affari sporchi sulla pelle dei connazionali? Questo è un autentico mistero. Mentre Conte sfornava divieti per gli italiani ogni cinque minuti (notturni), un manipolo di gaglioffi speculava sulla malattia del secolo, sottraendo allo Stato un capitale più efficacemente utilizzabile per proteggere i cittadini dal maledetto killer. È trascorso un anno e più dall' inizio della strage e non soltanto ci si rende conto tardivamente che qualcuno ha ciurlato nel manico, ma le nostre applauditissime autorità, pur avendo speso una fortuna per ingrassare i furfanti, non sono riuscite a mettere in sicurezza la popolazione, ancora costretta a vivere reclusa, poiché l' antidoto scarseggia e viene inoculato agli amici degli amici, non ai vecchi, i quali crepino pure così l' Inps risparmia sulle pensioni e il ragioniere generale esulta e brinda. Io confesso di non saper governare neppure casa mia, avendone affidato il bilancio a mia moglie, la quale risparmia anche sulla luce elettrica spegnendo qualsiasi interruttore e costringendomi al buio pesto, però se fossi un ministro una cosa la farei bene: vergognarmi per aver posto la patria in un casino infernale. Cambio argomento. Sabato sera a Milano, lungo la darsena dei Navigli, è successo un finimondo. Bande di giovani hanno messo a soqquadro la zona affrontandosi violentemente. Sono intervenute le forze dell' ordine che a fatica hanno sedato gli scontri. Male, molto male. Ricordiamoci tuttavia che i ragazzi di oggi non sono molto peggiori di quelli di ieri, che si chiamavano teppisti e ne combinavano di ogni colore. Dirò di più. In questo momento, dopo un lungo periodo di detenzione, è normale che esplodano proteste irrazionali. Pure di questo particolare bisognerebbe tener conto. Il che non significa giustificare i facinorosi. Ma ogni fenomeno, anche il peggiore, va esaminato prima di emettere condanne esagerate.

Fuori dal Coro, aggredita la troupe dagli sciacalli del Covid: "Sparatemi o gli stacco la giugulare". Libero Quotidiano il 24 febbraio 2021. “Stasera facciamo tutti i nomi e cognomi”. Così Mario Giordano a Fuori dal Coro ha introdotto un servizio intitolato “gli sciacalli della salute: l’uomo che approfittava del Covid”. Si tratta di Rocco Mongiardo, arrestato per bancarotta fraudolenta nel corso dell’operazione rinominata The italian job con tanto di sequestro preventivo di beni per un valore di circa 6 milioni di euro. Il 38enne imprenditore residente a Bareggio era già noto alle cronache per i contenziosi con la sua discoteca Dubai aperta nel 2011 a Magenta. Oltre all’accusa di bancarotta fraudolenta c’è anche quella di aver sottratto al fisco 4,5 milioni più l’omesso versamento di 8 milioni, approfittando della rateizzazione concessa per il Covid sfruttando il codice Ateco di una delle sue società per la vendita di mascherine. “Noi siamo andati lì per cercare di capire cosa aveva combinato e ci hanno accolto così”, ha dichiarato Giordano lanciando il servizio su Rete4. “Lei conosce Rocco?”, “Io conosco tua sorella”, è la prima frase rivolta all’inviato da un certo Franco, che passa presto alle minacce. “Ti do una testata che ti rompo il naso se non te ne vai”, “sono venuto solo a fare il mio lavoro”, ha risposto l’uomo di Giordano. Neanche l’intervento di tre finanzieri è riuscito a placare il tizio losco, lasciato incredibilmente libero di insultare e minacciare a più riprese: “Mi dovete sparare oggi, gli stacco la giugulare. Non ci credete? Volete vedere cosa faccio?”. A quel punto ha aggredito il cameraman, costretto a ritirarsi insieme all’inviato. 

Andrea Ossino per "la Repubblica" il 4 marzo 2021. «Te faccio diventare... mooolto molto benestante, forse potresti anche essere considerato ricco». Un' azienda che solitamente si occupa di editoria lo scorso marzo bussa alla porta del capo della Protezione Civile del Lazio, Carmelo Tulumello. Nei giorni caldi del Covid reperire dispositivi di protezione individuale è difficile. Ma la European Network TLC è disponibile. E vende alla Protezione Civile laziale 5 milioni di mascherine e 430 mila camici. Vengono stipulati contratti per circa 22 milioni di euro. Dopo un anno dall' affare, ieri il Tribunale di Roma ha emesso un' ordinanza di custodia cautelare che racconta la storia di una truffa. Perché le mascherine e i camici, beni che inizialmente « venivano consegnati e distribuiti poi dalla Protezione civile» , non avevano il marchio Ce. Sarebbero stati accompagnati da una certificazione falsa. «Tanto sò tutti falsi ‘sti certificati» , dicono gli indagati. Erano intercettati. E così ieri Andelko Aleksic, rappresentante della European Network TLC, e il suo delegato Vittorio Farina, sono finiti ai domiciliari con l' accusa di frode nelle pubbliche forniture e truffa aggravata. Proprio come Domenico Romeo, l'amministratore della Air Levante Ldt, l' azienda londinese che avrebbe procurato la falsa certificazione CE. Gli indagati hanno anche speso il nome dell' ex commissario all' emergenza. Farina «ha giurato di aver parlato con Domenico Arcuri per inserire la ENT quale fornitore sussidiario», scrive la Finanza, anche se adesso gli uffici dell' ex commissario ribattono: « Nessun affidamento, promessa o incarico () la società come tante altre aveva inviato diverse proposte, a nessuna della quali è stato mai dato seguito». Ad accorgersi della faccenda è stata l' Agenzia delle Dogane. Gli indagati avrebbero fornito «un certificato di compliance per attestare la conformità al marchio del prodotto rilasciato da una società non accreditata a ciò » . Non avrebbero detto al committente pubblico che quel prodotto non aveva superato «la necessaria procedura di validazione presso l' Inail». Così i dispositivi arrivano alla Protezione civile del Lazio, di fatto sprovvisti di « valida certificazione Ce e Uni Iso » . La certificazione c' era, ma era falsa. E una delle fidejussioni a garanzia dell' affare sarebbe stata rilasciata da una società « non autorizzata all' esercizio di attivita? di intermediazione finanziaria». Ma secondo l' indagato Piergiorgio Sposato, consulente della ENT che in passato ha lavorato con uffici governativi, « la certificazione che noi abbiamo allegato all' inizio () era una conformita? non come OP. Questo e? l' unico " buchetto" che c' e?, il resto e? tutto come dici tu, ma questo glielo abbiamo gia? scritto in passato [...] la previsione contrattuale parlava di certificazione di conformita?, ma come OP, motivo per cui noi eravamo sempre stati abbastanza, come dire, vaghi sul punto » . Sposato non sa di essere intercettato. E adesso è indagato. E poi c' è Roberto De Santis, imprenditore già citato in altre inchieste, vicino a Massimo D' Alema: è accusato di traffico di influenze. Proprio come l' ex ministro berlusconiano, Francesco Saverio Romano. Hanno ricevuto due bonifici " sospetti" e sono finiti nel mirino della Procura. Del resto già da tempo 4 pm del gruppo che si occupa di pubblica amministrazione sono stati incaricati di lavorare sui reati connessi al Covid.

Da liberoquotidiano.it l'8 marzo 2021. Di fiato per correre, Rocco Casalino, ne ha da vendere. Per rispondere alle domande di Francesca Carrarini, inviata di Massimo Giletti per Non è l'Arena, no. La giornalista voleva chiedere all'ex portavoce del premier Giuseppe Conte un commento su Mario Benotti, il consigliere e imprenditore coinvolto nella vicenda delle mascherine che di fatto ha portato alla sostituzione del commissario straordinario all'emergenza Covid Domenico Arcuri.

Da liberoquotidiano.it l'8 marzo 2021. A Non è l'Arena Antonella Appulo. Massimo Giletti nella puntata su La7 di domenica 7 marzo porta in studio la collaboratrice di Mario Benotti, caporedattore della Rai indagato con l'accusa di aver  sfruttato l’amicizia con Domenico Arcuri per influenzare gli acquisti di mascherine. La donna, già segretaria del Pd Graziano del Rio, non nega i rapporti tra i due. Anzi, la collaboratrice aggiunge qualcosa in più: "So che si conoscono e so che durante la pandemia si sono visti. Loro si conoscono da tanti anni". Poi il conduttore chiede chiarimenti sul rapporto che intercorre tra lei e lo stesso Benotti. La donna infatti è indagata per avere ricevuto 53 mila euro dalla famosa commessa delle mascherine consegnate all'ex commissario per l'emergenza a inizio pandemia. "Ho conosciuto Mario Benotti durante il Governo Renzi, non riesco a vederlo come lo descrivete. Devo molto a lui". E in merito accusa fatta trapelare dai verbali dell’inchiesta di essere l’amante del professore: "Ho un rapporto di stima e amicizia con il professore, mi ha aiutato anche economicamente". Ma Giletti incalza: "È possibile che lui abbia nutrito sentimenti per lei, magari non ricambiati?". "Sicuramente - replica - con me è stato premuroso". L'accusa di essere l'amante di Benotti è arrivata anche dalla compagna dell’ex giornalista Rai, Daniela Guarnieri. "Da lei ho ricevuto messaggi minacciosi, sono stata diffamata. Il suo scopo era ferirmi, danneggiare la mia immagine, ha fatto un capolavoro". La vicenda ormai ampiamente trattata dal programma di La7 ha avuto pesanti ripercussioni. "Questa storia - ammette anche la Appulo - mi sta distruggendo anche dal punto di vista fisico, ne sono venuta a conoscenza dai giornali. Non sono abituata a questo tipo di cose". Infatti la stessa collaboratrice dice che lei con le mascherine non c’entra nulla e molti dei personaggi manco li conosce.

"Vado da Roberto, ti aggiorno". Ora viene tirato in ballo Speranza. L'imprenditore Farina, ora ai domiciliari, sarebbe stato ricevuto al Ministero: "Ho un appuntamento alle 4 e mezzo". E spunta un incontro con D'Alema in Puglia. Luca Sablone - Mar, 09/03/2021 - su Il Giornale. Resta al centro del dibattito pubblico l'inchiesta relativa alla fornitura di 5 milioni di mascherine e 430mila camici destinati alla protezione civile del Lazio, per cui è stata eseguita l'ordinanza di applicazione di arresti ai domiciliari nei confronti di tre persone. A essere colpiti dalla misura sono stati il romano Vittorio Farina (imprenditore già attivo nel settore dell'editoria), il croato Andelko Aleksic e Domenico Romeo. I tre sono indagati, a vario titolo, per frode nelle pubbliche forniture e truffa aggravata. Alla protezione civile del Lazio sarebbe stato fornito del materiale con certificazioni false, per un affare da ben 22 milioni di euro. Adesso nelle intercettazioni è stato tirato in ballo anche Roberto Speranza che, come è doveroso sottolineare, non è assolutamente coinvolto nell'indagine.

L'indagine. È il secondo filone dell'inchiesta quello sul presunto traffico di influenze illecite: i magistrati hanno indagato sui contatti attraverso cui Farina avrebbe puntato per fornire pure la struttura commissariale a quel tempo guidata da Domenico Arcuri (non indagato nella vicenda). Nel mirino sono invece finiti l'ex senatore Francesco Saverio Romano e l'imprenditore Francesco De Santis che - come fa notare il servizio di Lodovica Bulian mandato in onda da Nicola Porro per Quarta Repubblica su Rete 4 - viene definito "amico storico di Massimo D'Alema". Secondo gli inquirenti proprio De Santis avrebbe fatto da tramite tra Farina e l'ex commissario. Questa la sequenza, rispettivamente tra Farina e De Santis, che sarebbe stata intercettata con data 27 agosto 2020: "Novità?"; "Sto aspettando che mi fissino un appuntamento, ti so dire". Pochi giorni dopo, precisamente il 4 settembre, l'imprenditore già attivo nel settore dell'editoria avrebbe parlato così al suo socio: "Capisci, servono 30 milioni di mascherine al giorno per le scuole. Se Luxottica e Fiat non riescono a fornire tutto subentriamo noi, ci ho parlato ieri con Arcuri". Secondo gli investigatori, che hanno pedinato Farina, l'incontro sarebbe effettivamente avvenuto il 3 settembre 2020 verso le ore 12, nei pressi dalla sede di Invitalia. "Domenico mi ha promesso che se gli arriva la lettera, autorizza quell’acquisto (...) la dovrebbe fare oggi, oggi la deve fare e oggi pomeriggio ci deve fare l’ordine", sarebbero state le parole pronunciate da Farina. E poi, in una conversazione intercettata con Andelko Aleksic, avrebbe affermato: "Tu lasciami lavorare, c'ho ampia delega da te, te faccio diventare... mooolto molto benestante, forse potresti anche essere considerato ricco". Va chiarito che con la struttura all'emergenza non sarebbe stato concluso alcun ordine e che De Santis - attraverso il suo legale - tiene a ribadire di essere estraneo al traffico di influenze.

L'incontro con D'Alema. A essere citato dai finanzieri è stato pure Massimo D'Alema, comunque estraneo all'indagine, per un incontro con Farina e De Santis in Puglia il 17 agosto 2020. L'utenza di Farina sarebbe stata agganciata a Martano, in provincia di Lecce, nella residenza dell'amico dell'ex premier. Lo stesso Farina lo avrebbe preannunciato al telefono: "C'è anche il capo di Roberto". Una circostanza confermata inoltre da una successiva telefonata fuori contesto, in cui Farina avrebbe passato il suo cellulare all'ex premier.

Ricevuto da Speranza. Gli indagati si sarebbero dati da fare per commercializzare tamponi e altri dispositivi e sarebbero stati ricevuti anche al Ministero della Salute. "Sto andando ora dal ministro. Ho appuntamento alle 4 e mezzo con Roberto. Ti aggiorno", avrebbe detto Farina. I finanzieri che lo pedinano annotano che il 17 novembre 2020 alle 16.30 Farina, in compagnia di un altro imprenditore, sarebbe entrato nel dicastero di via Venti Settembre. "Ma Max non può intervenire?"; "Che lo faccia ora non è utile... Prima quello lì deve parlare. Poi se sono interessati come penso ci chiameranno. Paolucci dovrebbe contattarti". Quello citato da Farina potrebbe essere Massimo Paolucci, capo della segreteria politica del ministro ed esponente di Articolo 1, il partito di cui Speranza è segretario nazionale. Gli investigatori, il giorno prima dell'incontro al Ministero, avrebbero pedinato Farina per un appuntamento al civico 44 di Piazza Farnese a Roma: è l'indirizzo della fondazione Italianieuropei presieduta da D'Alema, in cui l'imprenditore romano si sarebbe fermato dalle 15 alle 16.50 circa. Della fondazione farebbe parte anche Maria Cecilia Guerra, sottosegretario all'Economia e già membro della direzione nazionale di Articolo 1, che - come annotano i finanzieri - sarebbe stata citata diverse volte in più conversazioni. La Guerra si proclama però del tutto estranea.

Chiara Giannini per “il Giornale” il 5 marzo 2021. Il caos dilagava, le mascherine mancavano e la gente moriva e in quel contesto c'era chi voleva arricchirsi alle spalle dei malati. Gente che si faceva forte dei rapporti (reali o presunti) con il commissario per l' emergenza Domenico Arcuri, che da quanto si apprende dovrà comunque essere chiamato a testimoniare su eventuali contatti con i vari soggetti. Ciò che scaturisce dalle intercettazioni dell' ultima inchiesta della Guardia di Finanza sullo scandalo dei dispositivi con falsa attestazione di conformità che ha portato all' arresto di Vittorio Farina, Andelko Aleksic e Domenico Romeo è un quadro di totale mancanza di rispetto per la vita umana. Insomma, ai fermati non interessava trovare mascherine per salvare persone, ma arricchirsi. Le intercettazioni parlano chiaro. «Tu lasciami lavorare - dice Farina ad Aleksic - ti faccio diventare molto, molto benestante. Forse potresti anche essere considerato ricco». Ma questo non è l' unico filone di indagine a cui sta lavorando la GdF. Se non si considera quello che vede coinvolto il giornalista Rai in aspettativa Mario Benotti, c' è una terza questione aperta, quella che vede a giudizio la Ecotech, azienda a cui la Regione Lazio aveva anticipato 15 milioni di euro per dispositivi di protezione mai arrivati. L' ex assessore in Lazio al Bilancio Alessandra Sartore spiegò che «nei confronti di Ecotech, oltre alla richiesta di restituzione degli acconti versati, sono state applicate penali per 320mila euro e 730mila, a titolo di esecuzione in danno. Per il complesso delle somme dovute da Ecotech è stato proposto ricorso per l' emissione di un decreto ingiuntivo e sono stati ad oggi recuperati complessivamente 1,746 milioni di euro». Due casi sotto la lente di ingrandimento. Il capogruppo FdI in Regione Lazio, Fabrizio Ghera chiarisce: «Ci hanno accusato di diffondere notizie false, invece era tutto vero. Grazie agli interventi di Fdi, che ha sollevato il caso mascherine, chiedendo l' intervento delle autorità preposte ed incalzando il presidente Zingaretti e la sua giunta con una interrogazione, affinché facessero chiarezza, è partita l' indagine che ha individuato i responsabili della truffa, collaborando al fine di garantire buone pratiche e salvaguardare l' interesse dei cittadini». 

Il caso che ha sfiorato il governatore. Mai arrivate le mascherine comprate dal Lazio per 15 milioni. Antonella Aldrighetti - Sab, 06/03/2021 - su Il Giornale. Se a tenere banco negli ultimi giorni sono state le inchieste, con tanto di custodia cautelare, sulle mascherine acquistate dalla struttura commissariale di Domenico Arcuri, non andrebbero dimenticate quelle stesse indagini sulle mascherine acquistate dalla Regione Lazio tra marzo e aprile 2020 e mai giunte a destinazione. Il governatore del Lazio, ovvero il dimissionario segretario del Pd Nicola Zingaretti, ha consentito che la Protezione civile regionale anticipasse poco più di 15 milioni di euro alla Eco.Tech Srl, un'azienda che fino ad allora si era occupata di importare lampadine a led, per una commessa di oltre 35 milioni di euro. Le mascherine di quell'ordinativo non sono mai arrivate nei capannoni della Protezione civile, tantomeno l'azienda incaricata ha riversato l'anticipo nelle casse dell'erario regionale. Sulla vicenda da aprile scorso sta indagando il procuratore aggiunto Paolo Ielo che peraltro diede mandato alla Gdf di recuperare tutti i documenti sulla commessa. A parte gli affidi in somma urgenza, quindi senza appalto, a scatenare l'indagine giudiziaria è stato il nome del fideiussore su cui Nicola Zingaretti aveva puntato per garantire l'anticipo dei 15 milioni e 295 mila euro. Si tratta del broker Andrea Battaglia Monterisi, all'epoca sotto processo per riciclaggio. A oggi Monterisi è stato assolto in quanto l'accusa che gli era stata mossa è un fatto che non sussiste. Tuttavia rimane in piedi l'indagine di Ielo sul fatto che la società finanziaria londinese di Battaglia Monterisi, al momento della fideiussione non risulta assolutamente abilitata all'esercizio dell'attività assicurativa in Italia. Curioso che la Regione Lazio non abbia fatto i dovuti controlli malgrado l'entità delle somme sborsate e degli ordinativi. La superficialità degli uffici amministrativi, della Protezione civile e dell'avvocatura regionale ha consentito al broker di aggiudicarsi il prestigioso incarico di garante finanziario della Regione Lazio. Ma c'è un altro tassello sul quale la magistratura sta indagando. La Eco.Tech per accedere alla commessa per l'acquisto delle mascherine in questione, si è rivolta da parte sua a un ulteriore fideiussore che potesse fornire l'adeguata copertura assicurativa: la Itc International Broker, una società in liquidazione volontaria. E capitombolo dopo capitombolo quella sinistra accusatrice e forcaiola si ritrova a fare i conti con una perdita di denaro pubblico che cerca di nascondere come polvere sotto al tappeto, visto che la Regione Lazio è indicata nel fascicolo come parte offesa.

"Fanno schifo, sono una m****". Le intercettazioni sulla truffa delle mascherine. Spuntano i commenti sulla qualità dei dispositivi di protezione: "Alla Protezione civile non ho detto niente, ma in qualche modo devo giustificarmi". Luca Sablone - Gio, 18/03/2021 - su Il Giornale. Si è conclusa con 6 arresti l'inchiesta relativa a 6 milioni di mascherine e a una fornitura di camici ordinati a marzo, che sarebbero dovuti arrivare in tre giorni alla Protezione civile della Regione Lazio, giunti a destinazione invece a distanza di 5 mesi. Secondo la procura di Taranto sulla fornitura da 24 milioni di euro, aggiudicata a una società con sede nel capoluogo ionico, si sarebbe consumata una truffa operata da 6 persone che da ieri mattina sono ai domiciliari: sono accusati di associazione per delinquere finalizzata anche alla frode, al falso, alla vendita di prodotti con segni mendaci, al riciclaggio e all'auto riciclaggio in Italia e all'estero. Gli investigatori hanno spiegato che la società avrebbe "fornito documenti rilasciati da enti non rientranti tra quelli a ciò deputati e per superare le procedure di sdoganamento, ha prodotto falsi certificati di conformità". Dunque sarebbero stati forniti prodotti potenzialmente non adatti allo scopo.

Le intercettazioni. In questo contesto sono spuntate le intercettazioni che evidenzierebbero come gli indagati non avessero le carte in regola. "Fabio ci ha mandato un video che io ho girato al mio cliente [...] che mi ha detto che gliel'hai mandato te, quel video è stato fatto per uno dei miei clienti, è stato croppato è stato messo sopra il nome di... è una truffa! Lo capisci!"", dice L. Segue poi uno scambio di conversazioni rispettivamente tra A e R: "Ma scusa il bonifico dei mille euro a Jean Francois perché non lo hai fatto ancora?"; "Ma che bonifico è"; "Dice che ti ha mandato una fattura"; "Ma qua tutti mandano fatture ma per che cosa Antò? Fatemi capire qua ogni giorno arriva una cosa per roba che non c'entra un c**** sulla società". Poi riprendono i contatti tra P e A, con il primo che dice a chiare lettere: "Perché io ad oggi, alla Protezione civile, non ho detto niente, ho detto semplicemente che noi abbiamo fatto richiesta all'Inail e stiamo aspettando che l'Inail risponda". E a quel punto arrivano i commenti sulla qualità delle mascherine: "In realtà sappiamo tutti e due"; "Sappiamo bene che fa schifo"; "Eh esatto cioè un prodotto di m****"; "Vabbè prodotto di m****". Pertanto P si chiede: "E quindi devo potermi giustificare in qualche maniera, no?".

"Falsa certificazione di conformità". Il gip ha sottolineato che la Internazionale Biolife, quando aveva proposto la fornitura di mascherine e camici, "non aveva ancora la disponibilità della merce e non aveva neanche contezza della tempistica necessaria per soddisfare le esigenze dell'Ente". Inoltre alla data del 28 aprile "non aveva ancora consegnato all'Agenzia Protezione civile della Regione Lazio alcun dispositivo di protezione individuale pur avendo ricevuto il cospicuo anticipo di 4,9 milioni di euro". Le consegne delle mascherine sarebbero avvenute solamente nel mese di agosto, ben oltre i termini contrattuali statuiti, "approvvigionandosene in un periodo di maggiore facilità di reperimento e probabilmente ad un prezzo decisamente inferiore a quello che avrebbe dovuto pagare se avesse rispettato i termini di consegna in piena emergenza Covid-19". La fornitura dei camici e delle tute "è rimasta totalmente inadempiuta, anche se la Internazionale ha consegnato una parte del prodotto, corredata da falsa certificazione di conformità". Alla Regione Lazio sarebbero stati consegnati solo 147.940 camici "a fronte di un milione promesso, ma soprattutto le indagini svolte dalla Gdf hanno consentito di accertare che quei camici consegnati erano accompagnati da certificazione di conformità palesemente contraffatta".

Valeria Pacelli per il "Fatto quotidiano" il 4 marzo 2021. Non c' è solo l'inchiesta sulla fornitura di 801 milioni di mascherine acquistate dal governo a marzo 2020. Nel mirino dei pm di Roma sono finite anche altre due commesse di mascherine e guanti acquistati stavolta dalla Protezione civile Lazio. Nell' ambito di questa nuova inchiesta, ieri sono state emesse tre misure cautelari ai domiciliari. Ed è nei rivoli di questo filone che ieri sono stati perquisiti (senza alcuna misura cautelare) due nomi noti. Si tratta di Roberto De Santis, dalemiano della prima ora, e dell' ex ministro Francesco Saverio Romano. Entrambi indagati per traffico di influenze, ma per vicende diverse. De Santis, secondo l' accusa, "sfruttando le sue relazioni personali con Domenico Arcuri", ex commissario straordinario, "si faceva promettere da Vittorio Farina e successivamente dare dalla società European Network Tlc srl" 30 mila euro, "come da fattura emessa il 1º luglio 2020". Fattura che per i magistrati "non trova altra giustificazione se non nella illecita mediazione consistita nel presentare ed accreditare al pubblico ufficiale la società in questione per nuove forniture". Arcuri (estraneo all' indagine) è dunque ritenuto il "trafficato", proprio come nell' inchiesta già nota sulle 801 milioni di mascherine acquistate dal governo. Nella nuova indagine romana ieri è finito ai domiciliari Vittorio Farina, accusato di frode nelle pubbliche forniture e truffa. È un imprenditore, amico di Luigi Bisignani, e che in passato è stato anche tra i finanziatori della Fondazione Open: ha donato 200 mila euro di contributi volontari tra il 2016 e il 2017 (nulla di illecito). Chi a marzo stipula i contratti con la protezione civile Lazio è la società European Network Tlc Srl (Ent) della quale Andelko Aleksic è "il rappresentante legale pro-tempore" (da ieri ai domiciliari) e Farina il "delegato della stessa società". Le forniture sono due: la prima riguarda 5 milioni di Ffp2 per 21,3 milioni di euro (iva inclusa), la seconda 430 mila camici per 5,2 milioni di euro (Iva inclusa) di cui sono stati pagati 2,1 milioni di euro. Secondo la procura però alcuni di questi dispositivi di protezione mancavano della certificazione Ce. Nel caso delle mascherine, è stata l' Agenzia delle dogane a rilevare "criticità in ordine all' autenticità del marchio Ce e della certificazione fornita". Come pure nel caso della fornitura di camici per gli inquirenti la documentazione fornita non era idonea. Nell' ambito di questa indagine si delinea anche il quadro di relazioni di Farina, che viene definito dal Gip "il faccendiere" "colui che ha tenuto i contatti con soggetti vicini alla struttura commissariale, al fine di ottenere agevolmente la conclusione di forniture vantaggiose per la società". "Tu lasciami lavorare, c' ho ampia delega da te, te faccio diventare molto benestante, forse potresti anche essere considerato ricco", diceva ad Aleksic il 9 settembre. In un' altra conversazione del 5 ottobre, Farina parla di Arcuri mostrando "la sua soddisfazione nell' aver ottenuto la promessa - verosimilmente dal commissario - di inserire la Ent Tlc srl quale fornitore sussidiario rispetto a Luxottica spa e Fca Spa per l' approvvigionamento" di mascherine "da destinare alle scuole". Secondo gli investigatori, il 3 settembre Farina "è riuscito ad incontrare Arcuri" a Roma. Circostanza smentita da fonti vicine all' ex commissario. Ieri poi una nota di Invitalia ha precisato: "Né la società European Network Tlc né le persone coinvolte nelle indagini, hanno ricevuto alcuna promessa, affidamento o incarico dall' ex Commissario o dalla Struttura". "La società - aggiungono - come tante altre, aveva inviato diverse proposte a nessuna della quali è stato mai dato alcun seguito". Secondo gli investigatori, il primo settembre 2020 Farina incontra a Roma De Santis, lo stesso al quale, secondo le accuse, la Ent ha pagato una fattura di 30 mila euro. Nel decreto di perquisizione di De Santis i pm parlando di "numerosi contatti telefonici tra Farina e De Santis". "De Santis - aggiungono - a sua volta, ha numerosi contatti con Arcuri () Vi sono anche contatti diretti tra l' utenza in uso ad Arcuri e quella in uso a Farina". E poi ci sono i rapporti con Francesco Saverio Romano. Secondo i pm l' ex ministro "sfruttando le sue relazioni personali" con un funzionario della protezione civile Sicilia, si faceva promettere da Farina" "quale corrispettivo della sua mediazione illecita" circa 58 mila euro "come da fatture emessa il primo luglio 2020".

La commessa cinese. Report Rai PUNTATA DEL 11/01/2021 di Rosamaria Aquino, collaborazione di Giovanni De Faveri, Norma Ferrara e Edoardo Garibaldi. Dall’inizio della pandemia gli appalti per l’acquisto di dispositivi di protezione sono stati affidati dal Commissario per l’emergenza coronavirus quasi sempre senza gara, anche per grandi importi. Come è andata? Parallelamente agli acquisti all'estero e in particolare dalla Cina bisognava creare una filiera nazionale di produzione, l’Italia ci è riuscita? Dalle aziende cinesi da cui sono state comprate mascherine a prezzi altissimi, alle imprese del Cura Italia, fino al maxi appalto Fca, il viaggio di Report tra mediatori diventati milionari e mascherine cinesi che l’Italia non compra più, ma ancora arrivano negli aeroporti della penisola.

LA COMMESSA DEL CINESE Di Rosa Maria Aquino Collaborazione di Giovanni De Faveri, Norma Ferrara, Edoardo Garibaldi immagini di Chiara D’Ambros, Davide Fonda e Paolo Palermo.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Adesso passiamo invece alle mascherine. Da chi le compriamo? E quanto le paghiamo? Report può cominciare.

ROSAMARIA AQUINO Le viene contestato questo traffico di influenze. Lei avrebbe, secondo questo decreto, sfruttato il nome di Arcuri.

MARIO BENOTTI – PRESIDENTE CONSORZIO OPTEL Ma con chi lo avrei dovuto sfruttato il nome di Arcuri? Il nome di… Ma abbia pazienza, lei lo conosce Arcuri? Adesso io ringrazio tutti, anche il pubblico ministero di pensare che io fossi nelle condizioni di poter addirittura… la persona più potente d'Italia dopo Conte si faceva da me... io sono molto lieto, ma purtroppo non è così.

ROSAMARIA AQUINO Perché oggi si ritrova indagato per aver sfruttato..

MARIO BENOTTI – PRESIDENTE CONSORZIO OPTEL Lo deve chiedere al Procuratore della repubblica.

ROSAMARIA AQUINO Ma secondo lei, non c'è nessuno a parte lei che può chiarire che così non è andata?

MARIO BENOTTI – PRESIDENTE CONSORZIO OPTEL Ma guardi cosa le devo dire potrebbe chiarirlo il commissario.

CONFERENZA STAMPA DEL 23/12/2020 ROSAMARIA AQUINO Buonasera commissario, io le vorrei parlare dell’appalto da un miliardo e 200 milioni di euro di mascherine provenienti dalla Cina. Mario Benotti alle nostre telecamere dice: è stato Domenico Arcuri a darmi mandato di procurare quanti più dispositivi possibili e in breve tempo. Lei conosce Mario Benotti? Gli ha veramente dato mandato e soprattutto perché ha pensato proprio a lui?

DOMENICO ARCURI - COMMISSARIO STRAORDINARIO EMERGENZA COVID Chi fa il mio mestiere e credo non solo, ma soprattutto chi fa il mio mestiere, commetterebbe un errore imperdonabile a commentare delle indagini che sono in corso. Quindi le prometto che le risponderò a questa domanda quando queste indagini si saranno concluse.

ROSAMARIA AQUINO Non mi permetterei mai di farle commentare indagini in corso, quello che voglio chiederle è se dalla sua parte, istituzionale, lei possa fare trasparenza su questo appalto da 1 miliardo 200 milioni di euro?

DOMENICO ARCURI - COMMISSARIO STRAORDINARIO EMERGENZA COVID Chi fa il mio mestiere, e credo non solo chi fa il mio mestiere, non si può permettere e non deve commentare immagini in corso… indagini in corso. Chi fa il mio mestiere ha il dovere di fare trasparenza sulle indagini in corso nei confronti di chi le sta svolgendo.

ROSAMARIA AQUINO Può fare trasparenza su questo appalto, per favore? Può dirci come è andata la mediazione?

DOMENICO ARCURI - COMMISSARIO STRAORDINARIO EMERGENZA COVID Chi fa il mio mestiere ha il dovere solenne di fare ogni cosa per rendere trasparente la propria azione e quella del proprio ufficio nei confronti di chi sta svolgendo queste indagini. Ci sono delle categorie professionali in Italia che sono preposte a svolgere questa funzione. Grazie.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Allora siamo a marzo in piena emergenza, e il commissario Arcuri ha un disperato bisogno di mascherine e caschi per l’ossigeno. Siccome è anche il manager di Invitalia, la società del Ministero delle Finanze che si dovrebbe occupare di sviluppare le aziende e le imprese sul nostro territorio, si rivolge anche agli imprenditori. Anche a Mario Benotti che tra l’altro è anche un nostro collega, è un giornalista rai in aspettativa, è stato direttore di Rai World. Immaginiamo che Arcuri si rivolga a lui in qualità di imprenditore, perché Benotti è a capo di un’azienda che produce componenti, microcomponenti elettronici per le telecomunicazioni. È anche a capo di Optel che è un consorzio di aziende del settore: è un uomo delle relazioni tanto per capirci. Tanto è vero che gira questa istanza, Benotti, a un suo amico, Andrea Tommasi, un ingegnere aerospaziale titolare della Sunsky, un’azienda che si occupa di marketing per la difesa. È lui che ha i contatti con le aziende cinesi, quelle da cui Arcuri poi comprerà 1 miliardo e duecento mila euro circa di mascherine così divise: una commessa di 590 milioni di euro alla Wenshou light per mascherine ffp2 e p3; e poi la Luokay che è stata costituita cinque giorni prima di firmare il contratto, che incassa anche la cifra più ricca, 633 milioni di euro, per mascherine chirurgiche e ffp3. Per la mediazione i cinesi riconoscono a Tommasi la cifra di 60 milioni di euro, e poi, ne gira, Tommasi 12 a Benotti. Non possiamo che rallegrarci con loro. Solo che seguendo la pista dei soldi e delle società, ma anche delle utenze telefoniche che hanno la loro importanza in questa vicenda, mai avremmo immaginato che tirando un filo che parte dalla struttura commissariale, che passando per le società cinesi e rientrando in personaggi che hanno avuto un ruolo nello scandalo del Vaticano, Vatileaks, e passando per San Marino si arrivasse in un negozio a Roma, a Piazza Vittorio, dove ci sono due signore che prendono un thè. La nostra Rosamaria Aquino.

MARIO BENOTTI – PRESIDENTE CONSORZIO OPTEL Ero in quel momento in contatto con Domenico Arcuri. A me come credo ad altri chiede di poter fare tutto il possibile per fare pervenire in questo Paese i dispositivi di protezione e respiratori.

ROSAMARIA AQUINO Quindi diciamo il suo ruolo è creare un link tra la struttura commissariale di Arcuri e queste aziende cinesi.

 MARIO BENOTTI – PRESIDENTE CONSORZIO OPTEL Noi abbiamo creato insieme all'ingegner Tommasi, le possibilità affinché la struttura del commissario potesse direttamente instaurare dei rapporti con le più grandi aziende cinesi e con il più grande consorzio di aziende cinesi che fosse nelle condizioni di poter assicurare al Paese delle forniture vere e reali.

ROSAMARIA

AQUINO FUORI CAMPO IL TITOLO UN DEMOCRISTIANO IN BORGHESE” Ma da chi è formato questo grande consorzio? Cina, provincia dello Zhejiang, siamo a 500 chilometri da Shangai. Il treno ci porta a Wenzhou. In questo centro direzionale, c’è la sede della Wenzhou Light, la ditta a cui la struttura del commissario Arcuri ha commissionato quasi 600 milioni di euro di mascherine.

CAMERAMAN Vorrei sapere se potete esportare mascherine.

SEGRETARIA WHENZOU LIGHT Certo, esportiamo mascherine in tutto il mondo. Quante ne volete?

CAMERAMAN Molte, ma vorrei vedere alcuni campioni, iniziamo con 50.000 pezzi.

SEGRETARIA WHENZOU LIGHT Troppo pochi, consiglio di mandare una mail.

ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO Quelli della Wenzhou sono molto diffidenti. Non ci rilasciano altre informazioni, ma abbiamo capito che loro non fabbricano mascherine. Sono una società che le esporta. Proviamo ad andare in una fabbrica che le sta confezionando per richieste che arrivano da tutto il mondo.

RESPONSABILE FABBRICA DI MASCHERINE Prego, siediti ti offro del tè.

CAMAERAMAN Chi vi aiuta a esportare all’estero, qualche società di import-export? Per esempio, so che c’è la Wenzhou Light oppure la Luokai.

RESPONSABILE FABBRICA DI MASCHERINE Non posso dirti i nomi delle società.

CAMERAMAN Le mandate anche in Italia?

RESPONSABILE FABBRICA DI MASCHERINE Noi le produciamo, poi sono le società commerciali che le vendono.

CAMERAMAN Quanto costa produrre una mascherina?

RESPONSABILE FABBRICA DI MASCHERINE 2 centesimi l’una.

CAMERAMAN E a quanto le vendi?

RESPONSABILE FABBRICA DI MASCHERINE Dipende, il prezzo più basso è tre centesimi.

ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO Sembra un affare, visto che la nostra struttura commissariale le ha pagate anche 55 centesimi l’una. Vorremmo fare un ordine.

CAMERAMAN Un mio amico potrebbe aiutarmi a venderle in Europa, posso parlare direttamente con te?

RESPONSABILE FABBRICA DI MASCHERINE No, devi rivolgerti a una società di trading.

ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO Se non passi attraverso le società commerciali le mascherine non riesci ad acquistarle. Sempre a Wenzhou c’è uno degli uffici di Luokai Trade, è l’altra società a cui la struttura del commissario ha affidato commesse per 633 milioni. Si trova in un quartiere blindato dove si concentrano molti edifici del Partito comunista cinese. Per intuire i legami di Luokai con il governo, basta leggere il nome del comprensorio dove c’è la sua sede: la Procura suprema del popolo, una sorta di Corte suprema cinese. Il particolare non trascurabile è che la Luokai Trade nasce appena 5 giorni prima della commessa italiana.

ROSAMARIA AQUINO Guardi, noi abbiamo fatto una semplice visura di queste due aziende. Una ci è risultata piena di ingiunzioni di pagamento.

MARIO BENOTTI Quale?

ROSAMARIA AQUINO La Wenzhou. E la Luokai invece è un'azienda che è nata da pochi mesi.

MARIO BENOTTI – PRESIDENTE CONSORZIO OPTEL Io credo che se i contratti sono stati stipulati e i materiali sono arrivati vuol dire che esistevano le società.

ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO Le società che prendono la commessa sono in realtà tre: a Wenzhou Moon Ray va la fetta più piccola, 27 milioni. Il grosso va a Wenzhou light e Luokai. Da quest’ultima società la struttura commissariale di Arcuri ha comprato 450 milioni di chirurgiche a 49 centesimi l’una e 121 milioni di mascherine FFP3 a 3,40 euro l’una. Ci viene impedito l’ingresso a Luokai e proviamo a intavolare una trattativa via mail. A differenza dell’altra ditta accetta di venderci le sue mascherine FFP3 al prezzo di un euro e cinquanta. La metà di quanto le ha acquistate lo Stato italiano.

ROSAMARIA AQUINO Possiamo affermare che questa commissione pagata a lei di 12 milioni di euro e di 60 milioni pagati a Sunsky non ha inciso sul prezzo delle mascherine?

MARIO BENOTTI – PRESIDENTE CONSORZIO OPTEL Assolutamente.

ROSAMARIA AQUINO Eurostat ha analizzato le importazioni di mascherine dalla Cina, no? Quindi noi paghiamo due volte Spagna e Francia e tre volte la Germania.

MARIO BENOTTI – PRESIDENTE CONSORZIO OPTEL Quello che è stato a noi riconosciuto sicuramente non ha inciso nel costo...anche perché non ci sarebbero stati questi margini di guadagno... margini di risparmio.

ROSAMARIA AQUINO Se non è vero che lei si è fatto retribuire in modo occulto e non giustificato, che cosa è vero?

MARIO BENOTTI – PRESIDENTE CONSORZIO OPTEL Io il lavoro l’ho fatto. Non mi sono fatto pagare dallo Stato, non mi sono fatto dare soldi d’anticipo.

ROSAMARIA AQUINO FUORICAMPO Il commissario Arcuri ha acquistato a prezzi molto più alti, come ci dice un operatore che fa import export con la Cina.

FONTE COPERTA Il commissario a luglio ha importato 500 milioni di euro di mascherine dalla Cina e le ha pagate 297 euro al chilo.

ROSAMARIA AQUINO Rispetto a una media di?

FONTE COPERTA Di 28!!!

ROSAMARIA AQUINO Cioè le abbiamo pagate 10 volte di più?

FONTE COPERTA Dieci volte. E dici... perché c’hai questi costi così? Saranno costi di altra natura no? Che corrispondono ad altre cose…

ROSAMARIA AQUINO Un intermediario?

FONTE COPERTA Eh, un intermediario.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO È! Ovviamente quello è un momento di emergenza e se vuoi tante mascherine le devi pagare, solo che a luglio noi le abbiamo pagate, secondo la nostra fonte, ben dieci volte quello che le avrebbero pagate i privati e più di quello che lo avrebbe pagato il pubblico di altri paesi. Benotti però si giustifica dicendo: guardate che non è la mia commissione che ha fatto salire il prezzo. Fa riferimento ai 60 milioni di euro che le ditte cinesi hanno riconosciuto a Tommasi e 12 in particolare a lui, a Benotti. Altri 3 sono andati a finire al sig. Solis, equadoregno, vive nella provincia di Roma e di professione vende anche le bibite. Ora, perché noi sappiamo tutta questa storia? Perché è stata segnalata da Uif di Banca d’Italia, che segnala i movimenti sospetti. Poi in particolare perché Benotti è considerato anche dai magistrati persona politicamente esposta, questo perché Benotti ha avuto in passato dei rapporti, è stato consulente della Presidenza del Consiglio del Governo Renzi, ha avuto rapporti con Prodi, Del Rio, è stato capo della segreteria di Gozi quando è stato sottosegretario al Ministero agli affari europei, per l’Europa. Poi è stato anche consulente del sindaco Nardella. Tutte queste persone, lo diciamo chiaramente, non c’entrano assolutamente in questa vicenda. Però seguendo il flusso di 12 milioni di euro di commissione che sono stati riconosciuti a Benotti, si scopre che 9 vanno a finire nella società che fa riferimento a lui, la Microproducts, che è praticamente al 20% della compagna, mentre all’80% della società Partecipazioni che è dentro la fiduciaria Cordusio, sempre di riferimento di Benotti. E gli altri 3 milioni rimanenti sono andati direttamente dentro la società Partecipazione. Da lì sono ripartiti verso altri personaggi, per questa vicenda Benotti è indagato per traffico di influenze.

ROSAMARIA AQUINO Lei ha un numero di telefono nella sua agenda che vale 12 milioni di euro. È così o no?

MARIO BENOTTI – PRESIDENTE CONSORZIO OPTEL Ma non è un numero di telefono che vale 12 milioni di euro, sono rapporti!

ROSAMARIA AQUINO Eh! MARIO BENOTTI – PRESIDENTE CONSORZIO OPTEL I 12 milioni di euro li valgono i rapporti, il lavoro, e quarant’anni di professione, di carriera e di rapporti in giro per il mondo.

ROSA MARIA AQUINO FUORI CAMPO Una parte della provvigione di 12 milioni di Benotti provenienti dall’acquisto delle mascherine sarebbe finita alla “papessa”: Francesca Immacolata Chaouqui. Coinvolta nello scandalo Vatileaks con il sospetto di aver consegnato ai giornalisti documenti riservati sulle spese dei cardinali.

ROSAMARIA AQUINO Ma lei che c’entra con le mascherine?

FRANCESCA CHAOQUI Per la ricettazione dei soldi provenienti col traffico di influenze, ma io da dove provenivano i soldi con cui pagava Benotti che mai ne potevo sapere?

ROSA MARIA AQUINO FUORI CAMPO In un interrogatorio Monsignor Balda, coinvolto in Vatileaks per una fuga di notizie riservate che turbò i primi anni del pontificato di Bergoglio, disse che la Papessa era legata ai servizi segreti italiani. Si diceva spaventato dal mondo che aveva dietro, e che la Chaouqui aveva come consigliere Luigi Bisignani. In Vatileaks, anche Benotti fu indagato, ma immediatamente archiviato. Ma con la Chaouqui ha mantenuto buoni rapporti al punto da affidarle la comunicazione e la cura della sua immagine.

FRANCESCA CHAOQUI Questo qua si rivolge alla mia agenzia per produrre un programma che si chiama “Un democristiano in borghese”. Noi forniamo le telecamere, il montaggio, le riprese, il personale, i testi, i contenuti, tutto quanto. Io quindi prendo i soldi per questo, per organizzare un evento in Galleria Borghese e per fare il suo libro “Ricostruzione”.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Va detto che Benotti è rimasto coinvolto nella vicenda dello scandalo del Vaticano proprio per la sua amicizia con la Chaoqui, che è stata accusata di dossieraggio a scopo ricattatorio in quegli anni. Benotti invece era stato accusato di spionaggio, perché avrebbe messo, secondo i magistrati, a disposizione i suoi prodotti, la componentistica elettronica per le telecomunicazioni proprio per l’attività di spionaggio, dicevamo. Ma la sua posizione, lo diciamo chiaramente, è stata immediatamente archiviata. Tuttavia, pur avendolo messo nei guai la sua amicizia con la Chaoqui è rimasta e a lei lui ha delegato la cura della propria immagine; cura la rubrica giornalistica “Un democristiano in borghese” e a lei ha affidato anche l’edizione del libro. Solo che per i magistrati la Chaoqui conosce la provenienza illecita, la presunta provenienza illecita del denaro con cui la paga Benotti, 230 mila euro. Un altro personaggio che è finito indagato è Daniele Guidi, amico di vecchia data di Tommasi. Tommasi gli aveva affidato la logistica per le mascherine e lui si è occupato di organizzare i voli aerei. Solo che Daniele Guidi è indagato dalla magistratura di San Marino per via del crack da 500 milioni del “credito industriale sammarinese”, banca cis, di cui Guidi era direttore generale e anche socio attraverso una società lussemburghese. Però Report ha scoperto che Guidi e Tommasi sono attenzionati da poche settimane per un’altra vicenda di intermediazione. Anche qui la SunSky di Tommasi avrebbe incassato 500 mila euro come commissione per aver svolto una operazione di recupero crediti. Ricordiamo che Tommasi ha un’azienda che dovrebbe occuparsi, come dice l’oggetto sociale di “marketing per la difesa”.

FONTE SAN MARINO Da capo di Banca Cis, Guidi nel novembre 2016 dà mandato alla Sunsky di trovare soggetti interessati all’acquisto di un villaggio turistico in Tunisia, il Kelibia beach.

ROSAMARIA AQUINO Un villaggio?

FONTE SAN MARINO La motivazione è quella di far recuperare alla Banca un credito da più società, attraverso la cessione degli asset della filiera che era proprietaria di questo resort. Per questa mediazione la Sunsky avrebbe percepito 500.000 euro.

 ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO Quindi la banca Cis deve rientrare da un credito e pensa di recuperarlo mettendo in vendita questo splendido resort in Tunisia.

FONTE SAN MARINO Ma da un’indagine approfondita sembrerebbe che questo investimento finisca nella pancia di un’agenzia di viaggi di Terni che ha una linea di credito con banca Cis di 20 milioni di euro.

ROSAMARIA AQUINO Ma che tipo di indagine è? FONTE SAN MARINO Questo non lo posso sapere, c’è il segreto. Ma so per certo che la consulenza è attenzionata dalla Banca Centrale e dall’Autorità Anti-riciclaggio.

GERARDO GIOVAGNOLI - PRESIDENTE COMMISSIONE D’INCHIESTA BANCA CIS Si tratta di un investimento in un villaggio turistico del valore mi sembra di 20 milioni di euro, non vorrei sbagliarmi, nel quale questi soldi sono stati erogati a persone che non avevano effettivamente la possibilità di garantire, se non con quello che sarebbe diventato poi eventualmente, il villaggio.

ROSAMARIA AQUINO Questo villaggio esisteva o no?

GERARDO GIOVAGNOLI - PRESIDENTE COMMISSIONE D’INCHIESTA BANCA CIS Questo villaggio era in costruzione.

ROSAMARIA AQUINO Ma il motivo per cui vi ha fatto suonare il campanello qual è stato?

GERARDO GIOVAGNOLI - PRESIDENTE COMMISSIONE D’INCHIESTA BANCA CIS Noi vedevamo le ispezioni a banca centrale, cosa fa banca centrale? Dice: quali sono i maggiori casi, no? Che rendono l’attività della banca dubbi? E Kelibia era uno di quelli.

ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO Guidi ci fa rispondere che il debito di quelle società con la banca è risalente a quando non aveva alcun ruolo in Cis e che Tommasi era professionista conosciuto e stimato dalla banca. Ma Tommasi con la Sunsky dovrebbe fare marketing e consulenza nel settore della difesa. Eppure si occupa di mediare per la compravendita di mascherine e villaggi in Tunisia. La sede è a Milano. Ma che tipo di ditta è la Sunsky?

ROSAMARIA AQUINO Buongiorno, stavamo cercando la Sunsky.

PORTIERE PALAZZO SUNSKY Forse è chiusa eh. Non c’è nessuno sopra.

ROSAMARIA AQUINO Ma non vengono durante il giorno’.

PORTIERE PALAZZO SUNSKY In genere vengono. Quando hanno appuntamenti. Io so che cosa c’è in ballo però io più di così non posso dire, io sto facendo il mio lavoro.

ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO Le perquisizioni a Guidi e Tommasi, partner nel business mascherine e nelle compravendite di villaggi turistici, sono state fatte in questo palazzo, alle porte di Milano. ROSAMARIA AQUINO Ma lui in genere lavora a casa, sta molto tempo a casa, lo troviamo qui oggi o no? VICINO DI CASA Non glielo so dire io lo vedo poco.

ROSAMARIA AQUINO Ma l’ha vista la Guardia di finanza quando è venuta a fare il sequestro?

VICINO DI CASA No, io non l’ho vista, ho sentito qualcuno che ne ha parlato. Ma poi qua si chiudono, non si sa niente. Non si fanno vedere.

ROSAMARIA AQUINO Non si fanno vedere, anche perché Tommasi dopo aver incassato i 48 milioni di euro per la commessa delle mascherine dalle aziende cinesi, è stato da giugno a ottobre in un lungo tour in barca nel Mediterraneo. Lontano dal virus. Ma il 7 gennaio lo troviamo in Procura di Milano. E non sembra contento di incontrarci.

GIOVANNI DE FAVERI Ingegner Tommasi buon giorno sono De Faveri, Report. Volevamo chiederle...

ANDREA VINCENZO TOMMASI - SUNSKY SRL Parli con il mio avvocato. Io non rispondo, chiedo scusa. Parli con il mio avvocato.

GIOVANNI DE FAVERI Volevamo chiederle semplicemente come sono state scelte queste aziende per le mascherine?

ANDREA TOMMASI - SUNSKY SRL Parli con il mio avvocato.

GIOVANNI DE FAVERI Non ne vuole parlare?

ANDREA TOMMASI - SUNSKY SRL Ho già comunicato, lasci parlare il giudice.

GIOVANNI DE FAVERI Perché lei e Benotti vi siete fatti pagare la mediazione dalle aziende cinesi? Ci dica almeno questo...

 ANDREA TOMMASI - SUNSKY SRL Lasci parlare i giudici... Grazie buon giorno e buon anno.

GIOVANNI DE FAVERI Potrebbe darci una risposta così magari facciamo un po' di chiarezza...

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Niente, non vogliono dirci su come sono state scelte le società cinesi. Ricapitolando, la struttura commissariale del commissario Arcuri, che non è indagato in questa vicenda, compra mascherine da due aziende cinesi, totale: un miliardo e duecento milioni di commessa. Sono aziende che sono state indicate da Tommasi. Tommasi ha un’azienda che si occupa di marketing per la difesa, per questo percepisce anche una commissione. Il discorso qual è? Una di queste società che ha preso la commessa, quella più ricca 633 milioni di euro, la Luokai, è stata costituita cinque giorni prima di firmare il contratto, ma questo non è un problema perché in questo periodo di emergenza è accaduto spesso. Che cosa ha scoperto invece Report? Che incrociando le informazioni, seguendo il filo delle società, una specie di scatole cinesi e soprattutto le utenze telefoniche che hanno la loro importanza in questa vicenda la Luokai porta a un manager Cai Zhongkai, che è un manager che è ben radicato in Italia, le sue società hanno sedi a Milano, Teramo, ma anche Roma, e quella di Roma in particolare condivide le utenze telefoniche con suo cognato Yu Hui. Yu Hui è un personaggio che è stato coinvolto, tempo fa, in una inchiesta della Dda, poi dopo ne è uscito. Vende vestiti in un negozio a Piazza Vittorio a Roma, ma intorno a lui c’è un mistero. È un personaggio dal passato poco limpido. Poi Rosa Maria quando è andata nel suo negozio che cosa è successo? Ha trovato il figlio che dice “sì questo negozio è di mio padre”, il giorno dopo invece ha trovato, indovinate, due signore che bevono un thè.

ROSAMARIA AQUINO Lei ha preso delle provvigioni dalle aziende cinesi, che tipo di controlli ha fatto su queste aziende?

MARIO BENOTTI – PRESIDENTE CONSORZIO OPTEL I contratti sono stati fatti dall’ingegner Tommasi e ritengo sia stato tutto controllato anche dall’ufficio del commissario.

ROSAMARIA AQUINO Come mai come avviene normalmente per la legge italiana, non avete pensato di farvi pagare questa mediazione dalla stazione appaltante italiana e invece vi siete fatti pagare dai cinesi?

MARIO BENOTTI – PRESIDENTE CONSORZIO OPTEL Quando noi abbiamo cominciato a fare questa operazione non sapevamo neanche se avremmo avuto una commissione, se saremmo stati pagati da qualcuno, perché c’era un’emergenza. ROSAMARIA AQUINO Farsi pagare da queste aziende cinesi non avendole controllate, potrebbe pure far sì che queste aziende cinese siano magari in mano, la dico lì, alla malavita per esempio?

MARIO BENOTTI – PRESIDENTE CONSORZIO OPTEL Io non ho motivo di credere a una cosa del genere, non ho evidenza di questo genere.

ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO La Luokai, alla quale la struttura commissariale ha commissionato 633 milioni di euro in mascherine era stata aperta cinque giorni prima della firma del contratto. Attraverso una serie di società cinesi scopriamo che è collegata al signor Cai Zhongkai e c’è un filo che conduce a Roma nel quartiere multietnico di piazza Vittorio. Cai Zhongkai dovrebbe avere sede in questo magazzino.

ROSAMARIA AQUINO Stavamo cercando questo signor Cai Zhongkai.

DIPENDENTE MAGAZZINO guardi so che una volta avevano sede qui adesso non lo so.

ROSMARIA AQUINO Ah non sono più qui.

DIPENDENTE MAGAZZINO No qui adesso noi facciamo solo maglieria.

ROSMARIA AQUINO Ah ok e siete italiani, questi erano cinesi, queste persone.

DIPENDENTE MAGAZZINO No, siamo cinesi… cioè loro son cinesi ma… Ma chi siete voi? ROSMARIA AQUINO Io sono una giornalista di Raitre, Report.

DIPENDENTE MAGAZZINO Ah.

ROSAMARIA AQUINO Quindi non hanno più nulla a che fare con questo domicilio?

DIPENDENTE MAGAZZINO No.

ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO Proviamo a chiedere informazioni su Cai Zhongkai anche al portiere del palazzo dove c’è il magazzino.

ROSAMARIA AQUINO Siccome la signora è stata un po’ vaga, ma qua ci stavano questi o no? Sti cinesi?

PORTIERE Eh se è stata vaga lei io che vi devo dire. Io non posso dire niente.

ROSAMARIA AQUINO Ma ha visto qualcosa di strano?

PORTIERE Non possiamo dire niente.

ROSAMARIA AQUINO Eccola, signora lei è stata un po’ vaga però: mi risultano queste due società domiciliate lì.

 DIPENDENTE MAGAZZINO E quindi?

ROSAMARIA AQUINO E quindi saranno lì, forse sono domiciliate da lei?

 DIPENDENTE MAGAZZINO L’azienda non è mica mia, io sono una dipendente.

ROSAMARIA AQUINO Quindi li conosce, sa chi sono queste persone.

DIPENDENTE MAGAZZINO E quindi?

ROSAMARIA AQUINO Le sto chiedendo se mi può aiutare a trovarle.

DIPENDENTE MAGAZZINO No. ROSAMARIA AQUINO Ma perché? Che c’è di cui spaventarsi?

DIPENDENTE MAGAZZINO Niente. Non so dove siano. Anzi non sono in Italia sicuramente.

ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO Alle utenze romane delle società di Cai Zhongkai corrisponde il numero di un negozio di abbigliamento che sta a pochi passi da quel magazzino. E’ di Yu Hui, cognato di Cai Zongkhai è noto alle cronache poiché con la moglie nel 2006 è finito in un’inchiesta della DDA di Roma e indagato per contrabbando. ROSAMARIA AQUINO Dove posso trovare il signor Yu Hui?

FIGLIO YU HUI Sta in Cina.

ROSAMARIA AQUINO Ah sta in Cina adesso… Non c’è nemmeno la signora? La signora Cai Lifen?

FIGLIO YU HUI Eh adesso non c’è. Eh è mia madre.

ROSAMARIA AQUINO Ah è tua madre. Allora io sto facendo un’inchiesta sulle mascherine.

FIGLIO YU HUI Sì. ROSAMARIA AQUINO Facendo dei collegamenti con le varie società io sono arrivata a Cai Zhongkai. Lei lo conosce?

FIGLIO YU HUI Eh…. Sì.

ROSAMARIA AQUINO E’ suo zio?

FIGLIO YU HUI Sì. Però non stanno qua.

ROSAMARIA AQUINO Quando sono andati in Cina?

FIGLIO YU HUI Eh un mese fa. Eh un attimo ho la macchina accesa.

ROSAMARIA AQUINO FUORICAMPO Yu Hui e suo cognato Cai Zhongkai, secondo quello che dice il figlio sono partiti per la cina circa un mese fa. Un caso, ma la loro partenza coincide con la data in cui sono stati sequestrati i telefoni e i pc di Tommasi e Benotti. Il figlio di Yu Hui telefona alla madre parlando in cinese. Forse spera di non essere capito.

FIGLIO YU HUI Ci sono alcuni giornalisti… loro hanno detto che stanno facendo ricerche su alcune società e sono arrivati a noi. Ma loro stanno cercando te… Eh oggi non ritorna.

ROSAMARIA AQUINO Che strano! Senta ma suo papà ha ancora dei legami con la criminalità cinese? Come tanti anni fa? Si ricorda che venne fatta quella indagine col gruppo Day Yuntao, vennero fatti dei sequestri. Non l’ha mai sentita questa cosa?

FIGLIO YU HUI No, adesso ho da fare devo andare…

ROSAMARIA AQUINO FUORICAMPO Torniamo il giorno dopo, ma il contesto che troviamo è surreale.

ROSAMARIA AQUINO Cercavo la signora Cai Lifen.

SIGNORA NEL NEGOZIO Oh! Lei non c’è.

ROSAMARIA AQUINO E dove posso trovarla la signora?

SIGNORA NEL NEGOZIO Non lo so

ROSAMARIA AQUINO C’era ieri il figlio mi ha detto che potevo trovarla magari oggi?

SIGNORA NEL NEGOZIO No, non conosco.

ROSAMARIA AQUINO Come non conosce? È la proprietaria di qua

SIGNORA NEL NEGOZIO No, che proprietaria di qua. Non lo so

ROSAMARIA AQUINO Ma me lo ha detto ieri il figlio.

SIGNORA NEL NEGOZIO No

ROSAMARIA AQUINO Ma siamo venuti qui ieri, me lo ha detto ieri il figlio.

SIGNORA NEL NEGOZIO Di Sen Fiang (???), non è di Yu Hui. No, Yu Hui niente.

ROSAMARIA AQUINO Abbiamo parlato ieri con il figlio, il ragazzo…

SIGNORA NEL NEGOZIO No, lui non lo sa.

ROSAMARIA AQUINO Non sa di chi è figlio?

SIGNORA NEL NEGOZIO No, non è figlio.

SIGNORA NEL NEGOZIO Non parla con me, parla con lei.

ROSAMARIA AQUINO Con lei chi? Quella che si è nascosta? Chi è quella signora? SIGNORA NEL NEGOZIO Comunque non parla con me.

ROSAMARIA AQUINO è la signora che sto cercando?

SIGNORA NEL NEGOZIO Sì

ROSAMARIA AQUINO Signora buonasera, salve stavo cercando la signora Cai Lifen.

ALTRA SIGNORA Io non la conosco, sono nuova di qua, sono arrivata ieri….

 ROSAMARIA AQUINO Ma come arrivata ieri? Scusi eh ma questo signore non è il signor Yu Hui?

SIGNORA NEL NEGOZIO Non lo so.

ROSAMARIA AQUINO Ma il ragazzo di ieri mi ha detto che è suo figlio.

SIGNORA NEL NEGOZIO Si è sbagliato.

ROSAMARIA AQUINO Si è sbagliato a dire che era il figlio? Cioè non sa chi è suo padre? Ma voi che ci fate qua? SIGNORA NEL NEGOZIO Noi sta qui a chiacchierare.

ROSAMARIA AQUINO Siete delle amiche della signora. La signora vi ha detto di venire qui perché potevamo venire noi?

SIGNORA NEL NEGOZIO Sì.

ROSAMARIA AQUINO La signora vi ha detto di venire qua perché potevamo venire noi… La signora vi ha detto di venire qui così…

SIGNORA NEL NEGOZIO Comunque tu uscire, non parla con me.

ROSAMARIA AQUINO Lo sa che partendo da una delle aziende cinesi si arriva a un negozietto che sta a piazza Vittorio, il cui proprietario diciamo ha un passato non proprio limpido. Lo sapeva?

MARIO BENOTTI – PRESIDENTE CONSORZIO OPTEL Lo apprendo da lei in questo momento. Anche perché non so chi ci sia a piazza Vittorio.

ROSAMARIA AQUINO Ci sono un sacco di cinesi.

MARIO BENOTTI – PRESIDENTE CONSORZIO OPTEL Ahhahaha.

ROSAMARIA AQUINO Io volevo capire la stazione appaltante alla quale lei fa riferimento che tipi di controlli fa sulle aziende dalle quali acquista? Fate delle visure, magari anche uno storico delle società? Perché ci risulta che una delle varie aziende alle quali avete affidato anche un appalto abbastanza grosso, da oltre 600 milioni di euro, è cinese, ma ha delle diramazioni italiane che poi conducono a soggetti dal passato non proprio limpido. Allora volevo capire che tipo di controlli fa la sua stazione appaltante.

DOMENICO ARCURI - COMMISSARIO STRAORDINARIO EMERGENZA COVID Noi facciamo, come richiesto dal codice degli appalti, tre tipologie di verifiche. Se sono persone per bene, se hanno strutture economico-finanziarie compatibili con la dimensione della richiesta e se hanno la capacità di realizzare quello che dicono. Il codice degli appalti in vigore prevede che le offerte vengano valutate da una commissione, come lei sa. Questa commissione valuta soltanto l’offerta cosiddetta tecnico economica. Che cosa fa il responsabile unico del procedimento? Valuta i requisiti tecnico-professionali e cioè questo è capace di fare quello che ha detto, che la commissione non ha valutato, e i requisiti cosiddetti soggettivi: la moralità eccetera eccetera…

ROSAMARIA AQUINO A occhio no, Un’azienda che nasce 5 giorni prima…

DOMENICO ARCURI - COMMISSARIO STRAORDINARIO EMERGENZA COVID A occhio però no, anche l’occhio vuole la sua parte.

ROSAMARIA AQUINO E no, commissario, cinque giorni prima della firma del contratto non vi ha insospettito?

DOMENICO ARCURI - COMMISSARIO STRAORDINARIO EMERGENZA COVID Se io potessi fare anche il membro della commissione e il responsabile unico del procedimento le assicuro che la mia vita sarebbe migliore di quella che è e che le saprei rispondere. Però se vuole dopo darmi più indicazioni soggettive di quello che dice le prometto che mi informo e le rispondo in un tempo molto ragionevole.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Il commissario ha chiamato la nostra Rosamaria e ha promesso che avrebbe fatto accertamenti. Anche perché la situazione che ha trovato nel negozio di Yu HUI è a dir poco surreale. Un giorno è suo, il giorno dopo trova due signore candidamente a prendere il caffè. Abbiamo anche capito che c’è qualche difficoltà a parlare del manager di riferimento, Cai Zhongkai, quello che attraverso le utenze telefoniche e le scatole cinesi porta alla Luokai che è la società cinese che ha incassato 633 milioni di commesse. Il Commissario arcuri avrà il suo daffare. Noi non sappiamo cosa significhi tutto questo, quello che abbiamo scoperto. Quello che però è certo è che alla fine le mascherine mediate da Tommasi e Benotti, noi le abbiamo pagate da 2,16 centesimi a 3,40 al pezzo. Solo che negli stessi giorni si era presentato alla struttura commissariale un altro imprenditore, e aveva offerto le mascherine FFp2 al prezzo di 70 centesimi al pezzo, e venivano dalla Corea

PIER LUIGI STEFANI - IMPRENDITORE Questa azienda forte presenta una proposta di fornitura con prima consegna il primo aprile… da aprile a dicembre: 100 milioni di mascherine a 70 centesimi l’una. A questo punto io attivo i miei rapporti. Ho chiesto aiuto dove…

ROSAMARIA AQUINO Da cittadino? O qualcuno glielo ha chiesto?

PIER LUIGI STEFANI - IMPRENDITORE sì. Non mi sono mai in nessun caso, in nessun modo posto come intermediario, tanto è vero che la proposta l’ho passata pari pari a tre persone: Assolombarda che è la Confindustria della Lombardia, alla Regione Toscana attraverso Eugenio Giani che considero mio amico, e al senatore Mallegni di Forza Italia che immediatamente anche lui ha trasmesso a Arcuri, Borrelli, Conte, la mia proposta.

ROSAMARIA AQUINO Dall’Ufficio del commissario Arcuri che risposte ha avuto?

PIER LUIGI STEFANI - IMPRENDITORE Ah, io nessuna. Io ho presentato il 19 di marzo, 19 marzo 2020 una proposta a 70 centesimi: probabilmente portando la mia proposta a chi gli vendeva le mascherine a 3,50 avrebbero ottenuto quantomeno uno sconto. lo Stato deve comportarsi in quel caso come imprenditore.

ROSAMARIA AQUINO Addirittura la proposta gli è stata fatta e neanche hanno risposto.

PIER LUIGI STEFANI - IMPRENDITORE Perché alla fine vige sempre il criterio dell’amico dell’amico: anche questo signore di cui si parla… era amico… capito? Ha messo in contatto l’azienda cinese con il commissario straordinario… Ha bisogno di un amico per avere contatti con aziende a cui si danno, quanto… un miliardo e 100 milioni?

 FUORI CAMPO ROSAMARIA AQUINO A marzo in piena emergenza, Arcuri coinvolge la sua Invitalia e assegna un finanziamento a fondo perduto di 50 milioni a 130 aziende, di cui un’ottantina si riconverte per produrre mascherine. E’ una delle misure del decreto Cura Italia, per sostenere le imprese e fronteggiare la penuria di dispositivi.

MAURIZIO CORAZZI - ALTER ECO Un contributo che doveva essere a fondo perduto, lo sarebbe stato se riuscivamo a chiudere il progetto entro 15 giorni. Purtroppo, noi avendo fatto gli acquisti in un momento di lockdown generale, frontiere chiuse, a noi ci si è bloccato tutto.

ROSAMARIA AQUINO Quante mascherine chirurgiche state producendo?

MAURIZIO CORAZZI - ALTER ECO Circa 50mila al giorno ne possiamo fare. Ma in questo momento siamo bloccati perché noi teoricamente, se domani viene la Protezione civile ci dice: tu sei impegnato a darci questa roba, perciò ce la devi dare.

ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO La Alter Eco di Tivoli, che ha avuto un finanziamento di circa 350mila euro non ha mai avuto un ordine dalla struttura commissariale. Insieme a un’altra ventina di aziende, riconvertitesi per produrre mascherine, a maggio scrive ad Arcuri, chiedendo un accordo per la fornitura. Il commissario però risponde che per legge non può prendere impegni con futuri fornitori. Ora dovrà restituire il prestito e si metterà a venderle all’estero.

MAURIZIO CORAZZI - ALTER ECO A un certo punto abbiamo visto che dappertutto giravano solo mascherine cinesi.

ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO Eppure il commissario Arcuri ci ha scritto che da luglio dall’estero non compriamo più nulla. Anche dalla Cina. In realtà sullo stesso sito del commissario, emerge che uno degli acquisti è stato fatto l’11 settembre. Poi L’ultima settimana di novembre ci arriva un sms, che ci avvisa che erano in arrivo dei voli Neos “del commissario” con a bordo 40 tonnellate di mascherine.

ROSAMARIA AQUINO Da dove arrivano questi voli?

DAVIDE MIGGIANO - RESPONSABILE DOGANE AEROPORTO FIUMICINO Queste arrivano dalla Cina, il volo è da Shenzen. Dovrebbe essere circa 20 tonnellate nel volo di ieri e 20 nel volo che arriverà tra circa un’ora.

ROSAMARIA AQUINO Il commissario continua a ordinare queste mascherine anche adesso che siamo nella seconda ondata?

DAVIDE MIGGIANO - RESPONSABILE DOGANE AEROPORTO FIUMICINO Il grosso degli arrivi è a Malpensa. Mi risulta che a Malpensa continui ad arrivare merce, ma di certo penso che mascherine FFP2 e guanti ne arrivino continuamente.

ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO Forse si riferiva alle chirurgiche, che invece ci siamo messi a produrle sin da subito in casa, visto che le abbiamo pagate 46 centesimi in media, arrivando anche a 60 o 80 al pezzo. Per capire come funziona la produzione nazionale non bisogna però volare troppo in là dalla Neos. La compagnia è presieduta infatti da Lupo Rattazzi, figlio di Susanna Agnelli. A marzo chiedeva aiuti per le compagnie aeree piegate dal calo degli spostamenti e dal mese dopo si mette a fare i voli per il Commissario. Lui aiuta nelle importazioni. A Fca, il commissario ha messo a disposizione macchine e materia prima, Fca ci mette forza lavoro e spazi. Circa due miliardi di mascherine a 12 centesimi al pezzo in un anno.

ROSAMARIA AQUINO Voi sapete quante persone lavorano alle mascherine?

OPERAIA FCA Sì, adesso saremo più di un centinaio.

OPERAIO FCA Saremo un 150, 200…

OPERAIO FCA 2 Ne facciamo 10mila per ogni postazione, sono 25 postazioni…

ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO Cosa faceva prima di questa produzione?

OPERAIA FCA 2 Cassa integrazione.

OPERAIO FCA Contratto di solidarietà.

OPERAIO FCA 4 Noi siamo nati per fare le auto, di colpo ci siamo trovati a fare le mascherine.

OPERAIA FCA Sembra che prendano più soldi con le mascherine che con le macchine, le macchine non le compra più nessuno…

 ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO Alla porta 33 della mitica Mirafiori di Torino dove un tempo si smistavano bulloni e componentistica, oggi si producono mascherine. Ma come sono questi dispositivi? OPERAIO FCA 3 Alcune dopo un’oretta che le indossi si sfaldano.

OPERAIA FCA I primi facevano proprio schifo perché, li provavamo anche noi, si riempivano di lana, più di due ore non potevi tenerle le dovevamo buttare.

ROSAMARIA AQUINO Sono quelle che vengono prodotte all’interno dello stabilimento?

OPERAIO FCA Dalla Cina e all’interno dello stabilimento.

ROSAMARIA AQUINO Arriva qui prodotto cinese?

 OPERAIO FCA Lo stabilimento Fiat è qui, ma c’è anche in Cina, eh!

ROSAMARIA AQUINO Di cosa puzzano?

OPERAIA FCA Tipo colla…

 OPERAIO FCA 4 Poi erano stati intossicati anche gente in produzione, era finita anche gente in infermeria…

ROSAMARIA AQUINO E sono finite anche nelle scuole queste qua?

OPERAIO FCA 2 Eh purtroppo sì. Dappertutto.

ROSAMARIA AQUINO Anche ai bambini?

OPERAIO FCA 2 Anche ai bambini. Purtroppo, sì.

ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO Ad ottobre presidi e genitori iniziano a segnalare che le mascherine prodotte da Fca emanano un forte odore di solvente.

PATRIK ABBONDANZA Mio figlio tornando da scuola mi ha detto guarda papà cosa mi hanno regalato: tre pacchetti di mascherine. Al che, quando l’ho aperta ho sentito un forte odore di copertone. Pensare che mio figlio che debba stare 5 ore a scuola annusando questa cosa qui…

ROSAMARIA AQUINO E quando lei ha sentito questo odore forte e poi ha visto chi è che le produceva, cosa ha pensato?

PATRIK ABBONDANZA Sì, poi ho letto Presidenza del consiglio dei ministri quindi in teoria mi dà sicurezza, garanzia che il prodotto sia sano e sia stato controllato e che sia tutto a posto.

ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO Suo figlio e il resto della classe indossano altre mascherine. Scriviamo al commissario, che ci assicura: non c’è alcun problema di tossicità e alcune partite, per via dell’odore sono state ritirate, per il resto, dice, basta tenerle un po’ all’aria. Fca ribadisce che i dispositivi sono regolarmente autorizzati e certificati da organismi ufficiali e indipendenti. A Fca per produrre mascherine con mezzi e materia prima dello Stato sono stati affidati in via diretta 748 milioni e 800mila euro. Altri 200 milioni sono andati a 5 aziende con cui Arcuri si accordava per produrre 660 milioni di pezzi: Parmon, Mediberg, Grafica veneta, Fab Spa e Marobe con Triboo. Ma ce l’avranno fatta a produrle? Tranne Mediberg nessuna vuole dirci quante ne sono state prodotte e su una di loro, la Marobe, scopriamo che ad agosto ha dovuto mandare oltre 240 persone in cassa integrazione.

ROSAMARIA AQUINO Ma cosa era successo: perché a luglio hanno ritirato la commessa?

SINDACALISTA ANONIMO Il blocco della commessa in quanto sostenevano che alcuni campioni effettuati risultavano non conformi. Di più non so dirle ecco poi cosa ci sia realmente sotto a quel blocco lì anche perché qua c’è di mezzo il ministro Arcuri e io sinceramente non ci voglio neanche entrare nel merito.

ROSAMARIA AQUINO Voi lavorate qua?

DIPENDENTE MAROBE 1 Sì.

ROSAMARIA AQUINO Ma come mai a luglio si è bloccata la produzione?

DIPENDENTE MAROBE 1 Perché lo Stato non ha pagato.

ROSAMARIA AQUINO Ah, quindi non c’entra il fatto che le mascherine erano diciamo non a norma, non conformi?

DIPENDENTE MAROBE 1 Alcune sì, infatti le abbiamo cambiate.

ROSAMARIA AQUINO Lei lo sa perché a luglio la produzione si era fermata?

DIPENDENTE MAROBE 2 Perché non erano a norma han detto, non lo so.

ROSAMARIA AQUINO Queste qua non sono a norma?

DIPENDENTE MAROBE 2 Così hanno detto, invece adesso dicono che sono a norma.

ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO Dopo un’attesa di una mezz’ora uno dei vertici dell’azienda si arrende e ci fa entrare…

CHRISTIAN CAGNOLA - MAROBE Noi abbiamo messo in piedi questa azienda perché ci è stato chiesto di metterla in piedi.

ROSAMARIA AQUINO Vi è stato chiesto da chi?

CHRISTIAN CAGNOLA - MAROBE Beh, da Arcuri.

ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO La Marobe ha come socia temporanea nell’appalto, la Triboo, una società che si occupa di digitale. Presidente del cda di Triboo è Riccardo Maria Monti, vicepresidente della Fondazione Italia Cina, che vede tra i suoi consiglieri Massimo Paolucci, capo segreteria di Speranza e fino a poco tempo fa braccio destro del commissario Arcuri nell’ufficio per l’emergenza Covid.

ROSAMARIA AQUINO Perché siete entrati in Ati con una società che si occupa di digitale? Che c’entra la Triboo?

CHRISTIAN CAGNOLA - MAROBE Su questo non vorrei rispondere.

ROSAMARIA AQUINO Perché?

CHRISTIAN CAGNOLA - MAROBE Perché è un mio amico, semplicemente.

ROSAMARIA AQUINO A quanto le vendete voi allo Stato?

CHRISTIAN CAGNOLA - MAROBE Siamo sotto 0,50.

ROSAMARIA AQUINO Però Arcuri in conferenza stampa aveva detto che queste 5 aziende che lui aveva scelto le avrebbero fatte sui 37 centesimi.

CHRISTIAN CAGNOLA - MAROBE Va bene siamo arrivati alla fine.

ROSAMARIA AQUINO Perché?

CHRISTIAN CAGNOLA - MAROBE Perché basta.

ROSAMARIA AQUINO Sono soldi pubblici, sennò non glielo avremmo chiesto.

CHRISTIAN CAGNOLA - MAROBE Mamma mia… che brutta modalità che avete.

ROSAMARIA AQUINO Come dice?

CHRISTIAN CAGNOLA - MAROBE Che brutta modalità che avete.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Brutta modalità. Povera Rosa. Vabbè però abbiamo capito che la fretta è cattiva consigliera. Insomma, che cosa è successo, che il commissario Arcuri, attraverso Invitalia ha elargito 50 milioni di euro circa a fondo perduto per 130 aziende. Gli ha detto: “Riconvertitevi”, insomma abbiamo bisogno di dispositivi di protezione. Però per finalizzare il progetto doveva essere chiuso entro 15 giorni. Insomma, non hanno considerato che le frontiere erano chiuse e non si poteva importare materia prima. E così adesso dovranno restituire il contributo. Poi c’è una ventina di aziende che invece hanno prodotto. Però si aspettavano un ordine da parte del commissario che gli ha detto guardate che per legge il Commissario non può impegnarsi a effettuare degli ordini. Ora devono rivenderle all’estero. Ma con un po’ di rammarico perché dicono: qui è pieno di mascherine cinesi, insomma. Qualcuna però la produciamo anche in Italia, abbiamo visto quella della Fca, che però hanno avuto qualche problema. Un centinaio, quelle maleodoranti che erano state distribuite nelle scuole, sono state sequestrate dalla procura di Savona che le farà analizzare da laboratori certificati e procede con l’ipotesi di reato a carico di ignoti per frode in commercio. Ora siamo entrati nella scuola, ci rimaniamo e ci mettiamo seduti ai banchi.

ROSAMARIA AQUINO FUORICAMPO Qui siamo al Caetani, liceo romano che come gli altri ora dovrà rispettare la norma della didattica a distanza. Ma a ottobre in alcune classi la situazione era questa: studenti seduti allo stesso banco come se non ci fosse la pandemia.

ROSAMARIA AQUINO In questo modo è difficile garantire il distanziamento.

SALVATORE NICODEMO - DIRIGENTE SCOLASTICO LICEO “CAETANI” Sì. Stiamo cercando di sostituire questi banchi con quelli monoposto.

ROSAMARIA AQUINO Speriamo che arrivino presto.

SALVATORE NICODEMO - DIRIGENTE SCOLASTICO LICEO “CAETANI” Eh, speriamo di sì.

ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO Ma perché a ottobre non avevano consegnato ancora i banchi? L’appalto da 2 milioni 400 mila pezzi è stato aggiudicato a undici aziende. Il rappresentante di un gruppo di aziende vincitrici confessa il ritardo con cui è stato presentato il bando.

GIANFRANCO MARINELLI - PRESIDENTE ASSUFFICIO Perché si sia arrivati al 20 di luglio non me lo chieda perché non rientra nelle mie facoltà di darle una risposta. Se la scuola, come è normalmente, incomincia i primi di settembre, era una cosa impossibile: neanche Mandrake ce l’avrebbe fatta.

ROSAMARIA AQUINO Quindi a quel punto sono le stesse aziende che dicono: questi sono i tempi e questa è la produzione che possiamo fare.

GIANFRANCO MARINELLI - PRESIDENTE ASSUFFICIO Abbiamo avuto una conference call con lo staff del commissario Arcuri e abbiamo espresso queste nostre preoccupazioni.

ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO Alla fine, Arcuri dichiara il valore dell’appalto. Per banchi e sedie sono stati spesi 325 milioni. Una parte di essi andranno alle cosiddette sedute innovative. Queste costano 200 euro a pezzo.

ROSAMARIA AQUINO Buongiorno!

CLASSE Buongiorno!

ROSAMARIA AQUINO Salve… Come vi trovate coi banchi?

CLASSE Sono una svolta!

ROSAMARIA AQUINO Ditemi la verità ci fate un po’ l’autoscontro con ‘sti banchi?

CLASSE Eheh, sì. Anche.

PROFESSORE Io glielo faccio fare tranquillamente.

ROSAMARIA AQUINO Ah glielo fa fare.

PROFESSORESSA Non li avrei mai comprati dei banchi così perché i ragazzi ci giocano e fanno l’autoscontro. Speriamo che resistano almeno come struttura. Certo ci hanno dato un problema in più.

 ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO A ottobre al liceo Caetani di Roma sono arrivati 350 banchi a rotelle. Nel bando di gara c’è scritto a chiare lettere che i banchi non sono ancora classificati e che la loro idoneità dovrà essere attestata. Indovinate da chi?

ROSAMARIA AQUINO L’idoneità dovrà essere adeguatamente attestata dai responsabili degli istituti. È normale che sia un dirigente scolastico a dover…

SALVATORE NICODEMO - DIRIGENTE SCOLASTICO LICEO “CAETANI” No, secondo me dovrebbe essere certificata dall’azienda che li produce.

ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO Con la didattica a distanza questa spesa si rivela tristemente inutile. Ma ormai abbiamo pagato. Una fetta di questo appalto se l’era aggiudicato anche una piccola azienda di Ostia, la Nexus Made, che organizza fiere ed eventi. A settembre aveva stimolato una interrogazione dei deputati leghisti perché con un capitale sociale di soli 4mila euro si era aggiudicata una commessa da 45 milioni. Sei giorni dopo l’interrogazione si firmano i contratti con le vincitrici, tranne con la Nexus Made.

ROSAMARIA AQUNO Cercavo il signor Aubry.

VOCE AL CITOFONO CAPANNONE NEXUS MADE Non c’è.

ROSAMARIA AQUNO Posso sapere solo cosa si produce in questo capannone almeno?

VOCE AL CITOFONO CAPANNONE NEXUS MADE Non vedo perché devo darle questa risposta.

ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO REPORT ha scoperto che la sede legale di Nexus è presso lo studio dove opera il commercialista Proteo, che anni fa è comparso nelle carte di Mafia Capitale e in quelle del Clan Fasciani. Poi per lui tutto si è risolto per il meglio.

ROSAMARIA AQUINO Volevo parlare col commercialista, se c’è, il dottor Proteo.

SEGRETARIA PROTEO Eh, non c’è in questo momento.

ROSAMARIA AQUINO FUORI CAMPO Inoltre, il fondatore dello studio Proteo è stato anche indagato per false fatturazioni e altri illeciti tributari.

PAOLO LUIGI PROTEO Pronto.

ROSAMARIA AQUINO Dottor Proteo?

PAOLO LUIGI PROTEO Chi è?

ROSAMARIA AQUINO Sempre Aquino della redazione di Report, Rai3

PAOLO LUIGI PROTEO Ehhhh, però io non è che sono obbligato a parlare con lei, mi perdoni

ROSAMARIA AQUINO Che cosa c’è da nascondere su questa Nexus Made?

PAOLO LUIGI PROTEO Ma non c’è niente da nascondere.

ROSAMARIA AQUINO Vogliamo capire se è il suo domicilio che crea imbarazzo alla stazione appaltante.

PAOLO LUIGI PROTEO Lei mi vuole dare fastidio. La prego di non chiamarmi più.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO E lei è così Rosa, infastidisce. Insomma, sta di fatto che il commissario Arcuri dopo aver fatto alcune verifiche, ha escluso dal bando per i banchi la società che ha la sede nello studio del commercialista Proteo. Insomma, immaginiamo che avrà i suoi motivi. Però un appunto ce lo consenta, ma come si fa a lasciare la responsabilità, ai presidi, con tutto quello che hanno da fare, di testare l’idoneità dei banchi a rotelle. Ma come fanno a testarla. Ci pare una follia. E adesso passiamo invece ad una vicenda, dove il Comune di Roma sapeva già tutto quattro anni fa. Tuttavia… la nostra Chiara De Luca

·        Il Virus e gli animali.

Da repubblica.it il 12 gennaio 2021. Almeno due gorilla dello zoo di San Diego sono stati infettati dal Covid-19. Lo ha annunciato il governatore della California Gavin Newsom. Al momento sono tre gli animali che stanno mostrando sintomi e si sospetta che i primati siano stati infettati da un membro del personale asintomatico, a quanto fa sapere un comunicato stampa dallo zoo. È la prima volta che viene riscontrato il Covid nelle grandi scimmie, sebbene ricerche precedenti abbiano dimostrato che alcuni primati non umani siano sensibili al virus. Mercoledì della scorsa settimana, due gorilla dello zoo di San Diego hanno iniziato a tossire. Un test preliminare ha mostrato la presenza del virus venerdì, e il National Veterinary Services Laboratories del Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti ha confermato oggi i risultati positivi. Non è noto se i gorilla avranno una reazione grave, ha detto lo zoo, ma sono monitorati da vicino. "A parte un pò di congestione e tosse, i gorilla stanno bene", ha detto Lisa Peterson, direttore esecutivo del San Diego Zoo Safari Park. "Il branco rimane insieme in quarantena e sta mangiando e bevendo. Speriamo in una piena guarigione". Lo zoo di San Diego è chiuso al pubblico dall'inizio di dicembre.

·                        La “Infopandemia”. Disinformazione e Censura.

Le 1000 balle sul Covid (alcune divertenti altre meno).  Antonio Angelini il 19 dicembre 2021 su Il Giornale.  Sentivo davvero il bisogno di ricordare e mettere per iscritto tutte le cacchiate alle quali abbiamo dovuto assistere (e sottoporci) in questi due anni di “pandemia”.

Vorrei addirittura che mi aiutaste nello sforzo di memoria. L’ elenco sarà lungo e da ridere se non fosse da piangere.

1) L’ elicottero delle forze dell’ordine che cacciava uno che stava sul suo asciugamano a prendere il sole a Mondello (Sicilia)

2) La Polizia che insegue uno sulla spiaggia, solo che quello, molto più allenato, piazza uno scatto da duecentometrista e li lascia ad ansimare sulla sabbia.

3) i supermercati con le corsie proibite. Potevi comprare da mangiare ma non le calze o la pentola o lo scopettone.

4) La più bella di tutte: il Vaccino a -80 gradi che attraversava le Alpi (Brennero?) dento il camioncino dei sugelati scortato dalla polizia. Il tutto in diretta per ore su SkyPD24 con elicottero dall’ alto.   Il sacro Graal, il Deus Ex Macchina che scende dalle Alpi (dai paesi germanici) come il Salvatore per il popolo.

5) Burioni che diceva che in Italia rischio Covid zero.

6) Formigli e la Merlino che mangiavano cibo cinese in diretta. “non c’ è pericolo”.

7) In auto al massimo in 4 se familiari altrimenti in 2 uno davati e uno dietro. Se hai 3 figli uno prende il taxi.

8) Il virus si attacca alle suole delle scarpe (questa se la è bevuta pure mia moglie).

9) Abbraccia un cinese  Sala , Zingaretti etc.

10) Il virus è Naturale (Fauci quando Trump era Presidente). Quando Trump non era più presidente ha cambiato idea.

11) Lo spot in Tv con Mirabella che diceva che il virus non era contagioso e non sarebbe arrivato qui.

12) I terribili runner colpevole di far circolare il virus se andavano troppo “lontano dal proprio domicilio”.

13) I bimbi fanno il vaccino con dottori travestiti da Clown con il mocio in testa (questa è recente).

14) Gori a pranzo al ristorante cinese con tutta la giunta: ” noi non siamo razzisti”.

15) le barche bloccate in porto sino a giugno tranne che per la pesca. Ma se uno esce in barca a chi cacchio lo trasmette il virus? Tutti a comprare lenze e canne da pesca.

16) all’ 80% di vaccinati = immunità di gregge.  Anzi prima era 60% , poi 70%. Oggi siamo al 90% ma di immunità di gregge non v’ è traccia.

17) la sanificazione delle spiagge con i droni.

18) Il plexigras tra gli ombrelloni.

19) I guanti obbligatori anche in auto.

20) Draghi : non ti vaccini, ti ammali , muori.

21) il blitz della polizia sul terrazzo della famiglia che pranzava.

22) la disinfestazione delle strade con varechina.

23) le autocertificazioni che nessuno avrebbe controllato mai.

24) I dolci in pasticceria no, ma al supermarket si.

25) divieto di vendita di alcolici dopo le 20.  Giustamente sino alle 20 il virus si riposava.

26) la definizione di “congiunti”.

27) il soldato con il mitra spianato sulla spiaggia di Ventimiglia.

28) Barbara D’Urso che ci insegnava a lavare le mani.

29) due settimane di lockdown per uscire dalla pandemia. Poi chiudiamo a Natale per salvare Befana, poi chiudiamo alla befana per salvare la Pasqua.

29) Due dosi sono sufficienti per immunità a vita.

30) Astrazeneca solo per anziani, poi solo per giovani.

31) la canzone con la chitarra elettrica sul balcone a Roma.

32) Le due tenniste sui tetti da un palazzo all’ altro.

33) Il gelato con il cono no, la coppetta si.

34) In ascensore spingere il bottone con il gomito.

35) I termoscanner

36)il divieto di andare in due in moto (questo non lo ricordavo non usando la moto, ma me lo segnalano).

37) Goffredo Buccini che dice davanti a Sileri guardandolo che”  a me pare che nessuno abbia mai sostenuto che chi si vaccina non è contagioso e Sileri ce lo ricorda” .

38) I banchi a rotelle della Azzolina.

39) Le altalene dei bambini prima legate e chiuse con il nastro.

40 ) #andràtuttobene

41) Alessandro Gassman che chiama la polizia perchè c’era una cena nell’ appartamento a fianco.

CHI SONO: Antonio Angelini detto Antonello. Sono nato nel 1968 , segno Toro . Euroscettico della prima ora non avrei potuto essere sposato che con una meravigliosa donna inglese. Laureato in Economia e Commercio nel 92 alla Università “La Sapienza” di Roma, iscritto all’albo degli Agenti di Assicurazione, a quello dei Promotori Finanziari e all’ Albo dei Giornalisti Pubblicisti di Roma. Appassionato da giovane di Diritto Pubblico, ho fatto volontariato nel movimento fondato da Mario Segni per i referendum sul maggioritario ed elezione diretta dei sindaci. Ho lavorato in banca un anno, poi un anno e mezzo (93-94) in Forza Italia. Dal '95 mi sono dedicato alle Assicurazioni ed altro. Ho sempre scritto di calcio, divertentissima arma di distrazione personale ma anche di massa. Data la situazione del mio Paese, sento di dover fare informazione su altro. Mi considero un vero Patriota. Guai a parlar male dell’Italia in mia presenza. Inizi anni 90 incontrai un anziano signore inglese, membro della House of Lord ed euroscettico. Mi raccontò con 10 anni di anticipo tutte le pecche della nostra UE, monetarie e non. Da allora sono stato un Euroscettico di fondo ma senza motivazioni scientifiche. Molti anni dopo incontrai Alberto Bagnai e le motivazioni iniziarono a poggiare su basi scientifiche.

Pa. Ru. per "la Stampa" il 21 dicembre 2021. Il popolo No Vax spopola sul web, raddoppiando da maggio a novembre le schiere degli utenti, che dai social sparano e rilanciano fake sui vaccini. Sono oramai in 850 mila i canali o gruppi, il 45% di questi non si fa scrupoli nel vendere Green Pass falsi, rivela il report su "Fake news e vaccinazione anti Covid-19" realizzato dalla Fondazione Mesit, insieme alle Università Tor Vergata e Roma Tre. In testa alle fake, con il 73%, quelle sulla pericolosità degli effetti avversi della vaccinazione, mai documentati.

 Da adnkronos.com il 21 dicembre 2021. "La prima difesa dal virus è stata la fiducia della stragrande maggioranza degli italiani nella scienza, nella medicina. Vi si è affiancata quella nelle istituzioni, con la sostanziale, ordinata adesione a quanto indicato nelle varie fasi dell’emergenza dai responsabili, ai diversi livelli. Le poche eccezioni - alle quali è stato forse dato uno sproporzionato risalto mediatico - non scalfiscono in alcun modo l’esemplare condotta della quasi totalità degli italiani". Lo ha affermato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione della cerimonia al Quirinale per lo scambio di auguri con i rappresentanti delle Istituzioni. "Credo che si possa riconoscere - ha aggiunto il Cap dello Stato - come in Italia si sia affermata una sostanziale unità. Unità di intenti di fronte alla pandemia. E unità di sforzi per gettare le basi di un nuovo inizio. Il tempo dei costruttori si è realizzato in questa consapevolezza". "Quello che sta per concludersi - ha spiegato ancora Mattarella - è stato un anno di lavoro intenso, come auspicato al termine del 2020. Con priorità chiare: la lotta alla pandemia" di coronavirus "e la ripresa della vita economica e sociale del Paese. Credo che possiamo trarne un bilancio complessivamente positivo, per aver alzato la protezione dei cittadini di fronte alla minaccia del virus e per aver rimesso in moto la società". "È stato il frutto - ha rivendicato il Capo dello Stato - di scelte coraggiose, dei progressi della scienza, di comportamenti coscienziosi, di senso civico diffuso, e la risultante di una convergenza tra le istituzioni e i cittadini". "La pandemia segna ancora il nostro tempo. Ha provocato dolore, sofferenze, nuove povertà. Ma abbiamo visto risposte solidali, sono emersi talenti e qualità inespresse, si sono accelerati processi innovativi. Siamo stati spinti a correggere, con misure efficaci, l'inerzia delle dinamiche economiche e sociali innescate dalla crisi. Siamo ancora chiamati alla prudenza e alla responsabilità. Ci siamo dotati, tuttavia, di strumenti adeguati per combattere il virus. Non ci sentiamo più -ha spiegato Mattarella - in balia degli eventi". "Questo resta un tempo difficile, nell’alternarsi di speranze e di nuovi allarmi. Si impone un’esigenza di chiarezza e di lealtà come premesse indispensabili di una piena, e comune, assunzione di responsabilità di fronte ai rischi che sono tuttora davanti a noi. Abbiamo visto come la chiarezza, di fronte alle asprezze della pandemia, abbia spazzato via il tempo delle finzioni, delle distrazioni. Tutto questo mi è parso uno straordinario segno di maturità e serietà", ha continuato il presidente della Repubblica. "La stagione della ricostruzione - ha aggiunto il Capo dello Stato - si presenta anche come stagione di doveri. Doveri assunti anche spontaneamente dai nostri concittadini, che desidero ancora una volta ringraziare. Abbiamo compreso che la Repubblica è al tempo stesso istituzioni e comunità. La comunità ha bisogno delle sue istituzioni democratiche per difendere se stessa, per tradurre in realtà i propri valori, per aprirsi la strada verso il futuro". "Rivolgendomi a voi, che rivestite le più alte responsabilità istituzionali e rappresentate le forze politiche, economiche e sociali, mi sembra giusto -ha detto ancora Mattarella - rintracciare questo filo di speranza nella matassa intricata di questa stagione. Un filo che tiene assieme comportamenti virtuosi, gesti responsabili, disponibilità, generosità" 

La Repubblica della Salute. L’emergenza sanitaria ha reso tutto controvertibile, anche il diritto di sciopero. Iuri Maria Prado su L'Inkiesta il 18 Dicembre 2021. Chi ha contestato la scelta di Cgil e Uil non lo ha fatto argomentando nel merito, ma ha avuto una reazione istintiva, come se scendere in piazza non fosse più consentito, visti i tempi che corrono. D’altronde abbiamo rinunciato a molto, perché questa prerogativa avrebbe dovuto essere risparmiata? Potevano essere condivise o avversate le ragioni poste a fondamento dello sciopero organizzato l’altro giorno da un paio di sigle sindacali. Ma la sensazione è che ad avversarle fosse non dico soltanto, ma certamente anche, una mozione di contrarietà che col merito di quell’iniziativa non aveva nulla a che fare. La sensazione è che essa fosse risentita come l’oltraggiosa dimostrazione di noncuranza a fronte della crisi in nome della quale deve fermarsi tutto: a cominciare dalla cena col cugino di troppo, da sottoporre alla vigilanza del ministro della Delazione, appunto fino al diritto di sciopero che va bene, sì, ma mica quando si tratta di dimostrarsi tutti migliori nella subordinazione al precetto della Repubblica della Salute. È lo stesso precetto che per un anno buono ha mandato tra le cose superflue il sistema della democrazia rappresentativa, col Parlamento passato in rassegna un paio di volte al mese, ma giusto per buon cuore, dal capo del governo che dava fuori un Dpcm ogni quarto d’ora affidandone l’attuazione alla conferenza stampa del supercommissario dalla querela facile. Lo stesso precetto, ancora, grazie al quale il ministro degli Esteri e dei Gilet Gialli minacciava «regole sempre più ferree e stringenti» per gli irresponsabili, cioè gli organizzatori di grigliate negazioniste all’Idroscalo e i preti irrispettosi della messa a numero chiuso. In una graduatoria di tutela, non è detto che il diritto di scioperare sia più importante di quello del bagnante solitario valorosamente reso innocuo dall’intervento degli elicotteri democratici: ma l’uno e l’altro sono stati destinatari di un’identica isteria inibitoria, di una reprimenda moraleggiante sull’inaccettabile mancanza di propensione timorata nell’atteggiamento di chi non si uniforma all’unità nazionale che per il bene comune raccomanda di non esagerare con l’esercizio delle libertà costituzionali. È semmai questo, infatti, l’ammonimento risuonato nel preannuncio dello sciopero: «Ma signori, santo cielo! Siamo in emergenza e voi scioperate?». Di modo che in discussione non era il merito della rivendicazione, ma il fatto che essa dovesse recedere a petto di quell’esigenza più importante. Col corollario che evocato in giudizio, e richiesto di condanna, non era “quello” sciopero, ma il diritto di scioperare. Una delle tante cose ormai controvertibili nel regime di potere tutelare della salute prima di tutto. E chi credesse di potersi compiacere del risultato dovrebbe comprendere che lo sciopero “irresponsabile”, e dunque da condannare, ha la stessa cittadinanza dello sciopero “responsabile” e dunque da imporre.

Maurizio Caverzan su La Verità il 16 dicembre 2021 La pandemia ha esacerbato l’approccio dogmatico dei «buoni», ossia i progressisti: dal vaccino alla politica, è contemplato e accettato un solo orientamento. L’unico spazio concesso al dissenso è quello per ridicolizzarlo nei talk show di Lilli Gruber e soci.  

Maurizio Caverzan per “La Verità” il 17 Dicembre 2021. Siamo diventati un Paese autistico. Cioè, lo siamo da tempo, ma è come se la pandemia da Covid-19 avesse radicalizzato e accelerato una tendenza in atto. Forse era inevitabile. Era inevitabile che l’avvento di un fatto inedito come un’epidemia planetaria portasse a esasperare le differenze, a divaricare le weltanschauung, le diverse visioni del mondo. Da una parte c’è infatti l’ideologia con i suoi derivati, il primo dei quali è il complesso di superiorità strisciante nell’area progressista. Dall’altra c’è il pragmatismo, magari un po’ qualunquista del buon senso. Le conseguenze delle due concezioni sono uno spettacolo quotidiano sotto gli occhi di tutti. Parlando della pandemia, nel primo caso si pontifica a reti e giornali pressoché unificati, sicuri di essere dalla parte giusta della storia. Nel secondo si rischia di amplificare posizioni poco credibili e spesso molto rudimentali. Tuttavia, considerando il fatto che, come si è soliti dire, la scienza procede per approssimazioni e giunge a regole definitive solo dopo infinite prove sul campo, forse sarebbe il caso di non distribuire certezze e imporre comportamenti come fossero dogmi assoluti e incontrovertibili. Lo dico da vaccinato fino alla terza dose. Questa lunga premessa serve solo per sottolineare che le guerre di religione hanno fatto il loro tempo. Purtroppo, però, spesso accade che l’autismo dei buoni avveleni i pozzi del dibattito, riducendo drasticamente gli spazi del dialogo fin quasi a renderlo impossibile. L’abbiamo visto in modo esemplare l’altra sera quando, mentre stava tentando d’illustrare dei dati, l’ex presidente di Pubblicità Progresso e consigliere Rai, Alberto Contri, è stato costretto ad abbandonare #cartabianca per non sottostare alla gragnuola d’insulti scagliati dal giornalista saltafila Andrea Scanzi. Il tutto con l’approvazione degli altri ospiti e nonostante il tentativo di Bianca Berlinguer di sedare gli animi. È un copione che si rifrange all’infinito, come l’immagine tra due specchi, nelle strisce d’informazione quotidiana di La7, di cui Otto e mezzo l’esempio più plastico. La conduttrice, infatti, con i suoi cortigiani abituali, è la campionessa assoluta di questo autismo dei migliori. Quello che mal tollera le voci dissenzienti, le depotenzia nella loro capacità espressiva. Il catalogo è ricco. Nonostante la giornalista-scrittrice si spertichi negli inviti pubblici ad abbassare il grado di testosterone in politica per dare finalmente spazio all’empatia femminile, appena si appropinquano alla sua cattedra Giorgia Meloni o Maria Elena Boschi subiscono un trattamento da posto di polizia venezuelano. Al di là dell’appartenenza di genere, la discriminazione riguarda diffusamente le posizioni di tipo conservatore e si applica ai temi etici, alla giustizia, alla gestione dei flussi migratori oltre che, ovviamente, al Covid. Il problema è che la conduttrice di Otto e mezzo prolifera dentro e fuori la rete di appartenenza dove, non a caso, la tentazione di promuovere «un’informazione meno democratica» è di casa. Secondo Ernesto Galli della Loggia il peccato è già ampiamente commesso: «Nell’arena pubblica specie radiotelevisiva», ha scritto restando voce solitaria sul Corriere della Sera, «capita quasi sempre, infatti, che il punto di vista culturalmente conservatore sia implicitamente spogliato di qualunque contenuto e dignità ideali, e quindi preliminarmente stigmatizzato come indegno di vera considerazione». Nel dibattito televisivo «la modernità diviene un feticcio da adorare» e a illustrarne le meraviglie, ha proseguito lo storico, viene regolarmente «chiamato il noto scrittore X o il brillante filosofo Y, a obiettare ad esse, invece, un qualche maldestro parlamentare della Lega o di Fdi, al massimo il giornalista di qualche foglio di destra». Regolarmente maltrattato. Il trampolino di lancio è sempre quello, l’autismo dei buoni. Cioè l’incapacità di mettersi in discussione e di ascoltare visioni diverse. Come definire per esempio il comportamento del Fatto quotidiano in materia di giustizia? La sequela di smentite alle sue tesi giunte dalle sentenze sulla mega tangente Eni o sulla trattativa Stato-mafia sono per caso servite a ridurre il digrignar di denti che attraversa le pagine del quotidiano diretto da Marco Travaglio? Ancor più testardi dei fatti, si prosegue monoliticamente nella medesima direzione. Dubbi non sono ammessi. Dopo esser stato contestato da larga parte dei movimenti femministi e fermato in Parlamento, ora il disegno di legge Zan contro l’omotransfobia viene riesumato dalla rete Re.a.dy (Rete nazionale delle pubbliche amministrazioni anti discriminazioni) che unisce regioni ed enti locali a guida progressista attraverso «azioni informative e formative» rivolte «a tutta la popolazione» per promuovere iniziative di sostegno dell’agenda Lgbt. In pratica, Re.a.dy opera per affermare un ddl Zan strisciante e mascherato in appoggio alle giornate del Gay Pride, nell’ambito del quale l’associazione stessa è nata. Siccome si è dalla parte del giusto, si procede imperterriti. Lo stesso si può dire per le campagne per la legalizzazione della cannabis e il suicidio assistito promosse in pieno stato d’emergenza. Il quale, evidentemente, ha importanza intermittente. Come ha ben reso il tweet di Gavino Sanna (presidente dell’Associazione consumatori del Piemonte): «Maestà, il popolo ha fame. Dategli bagni inclusivi e linguaggio gender neutral». Ma forse l’esempio più involontariamente comico di autismo dei buoni è la recente intervista concessa da Carmen Consoli al Corriere della Sera. Dopo aver spiegato di aver scelto il padre di suo figlio in un catalogo per la fecondazione assistita praticata in una clinica specializzata a Londra, rispondendo a Walter Veltroni che le chiedeva quale fosse oggi «la virtù che sta sparendo più pericolosamente», la cantante siciliana ha detto: «Empatia. Una notevole diminuzione di empatia, una grande rimonta del narcisismo. Crea sterilità. È tutto usa e getta. Le persone si trattano come se fossero un telefonino». Testuale. L’autismo è inscalfibile e impedisce di pensare a sé stessi in modo critico. Nel caso non ha aiutato a farlo nemmeno l’intervistatore, autore a sua volta anche del pamphlet Odiare l’odio, il cui titolo postula da solo che c’è un odio buono e uno cattivo. E, ovviamente, quello buono è il suo. Recita il vocabolario Treccani alla voce autismo: «In psichiatria, la perdita del contatto con la realtà e la costruzione di una vita interiore propria, che alla realtà viene anteposta, come condizione propria della schizofrenia e di alcune manifestazioni psiconevrotiche». Post scriptum Per fortuna esistono piccole, ma significative eccezioni. Esempi di rottura dell’impermeabilità nei confronti del reale e di chi la pensa in modo diverso. Li enumero sinteticamente. La convention di Atreju, dove sono sfilati i leader di tutti i partiti. La decisione di Repubblica di arruolare Luca Ricolfi tra i suoi editorialisti. La revisione dei toni critici di Antonio Socci su papa Francesco. Non è detto che dietro questi esempi ci siano intenzioni romantiche. Di sicuro non ci sono complessi di superiorità.

Gianluca Nicoletti per pernoiautistici.com il 17 dicembre 2021. Oramai ho accettato che faccia parte del mio karma fare la parte del rompicoglioni nei confronti dei miei colleghi, soprattutto verso quelli che ancora si ostinano a usare il termine “autistico” come sinonimo di persona ottusa, o comunque in un’accezione negativa. So che nessuno ci farà caso, al massimo faranno spallucce e nella migliore delle ipotesi nella riunione di redazione di questo pomeriggio qualcuno dirà con caritatevole benevolenza: “poveretto con quella disgrazia del figlio autistico è andato di testa, bisogna capirlo.” Può anche essere che mi stia svanendo l’equo giudizio sull’uso provocatorio dei termini nel giornalismo d’assalto. Però non posso fare a meno di ricordare ai colleghi de “La Verità” e in particolare a Maurizio Caverzan che quando volesse, nel suo pieno diritto, attaccare i media, così detti mainstream rei di non ascoltare le ragioni dei suoi amici no vax, potrebbe usare termini denigratori che evitino di offendere persone che condividono ogni giorno proprio quel modo di essere, che lui giudica sicuramente spregevole. Statisticamente gli autistici in Italia sono più o meno seicentomila, ai quali si dovrebbero aggiungere le persone sicuramente nello spettro, anche se non con una diagnosi specifica. Nei casi che la persona autistica non sia autosufficiente l’intera famiglia se ne fa carico per tutta la vita. Credimi Caverzan non è una passeggiata, non voglio impietosire o chiedere comprensione. Vorrei solo che si pensasse due volte prima di titolare a piena pagina “Siamo all’autismo” per denunciare quella che si suppone essere una congiura di persone incapaci di comprendere, in una dialettica inclusiva, chi oggi vada in televisione a portare tesi antitetiche all’evidenza scientifica riguardo vaccini e pandemia. Ora mi si darà del buonista, ma caro collega quando tu per giustificare il tuo abuso del termine autismo citi la Treccani che lo assimila a una: “condizione propria della schizofrenia e di alcune manifestazioni psiconevrotiche”, compi la stessa lettura superficiale di un fenomeno che merita, per lo meno, un’analisi corroborata dalla ricerca scientifica, esattamente come  producono prove e citazioni le tante persone che stai difendendo nel tuo articolo,  si citano fonti parziali o  sbagliate per sostenere una tesi. La Treccani non è un manuale diagnostico aggiornato e oggi nessuno parlerebbe di una persona autistica in quei termini. Detto questo ti pregherei se possibile di essere più coraggioso in futuro, evita di usare come termine di paragone negativo una fetta di umanità fragile e sicuramente priva di strumenti di difesa. Ti porgo lo stesso consiglio che già in passato detti a più di un collega a cui contestai la stessa leggerezza, quando vorrai nuovamente definire in maniera inequivocabile come cognitivamente svantaggiato qualcuno che la pensa diversamente da te, usa senza pudore e ritegno il termine “stronzo”  e nessuno protesterà. Nella gerarchia di chi non ha diritto di replica, appena dopo di noi “autistici”, c’è  solo la merda, che tace nella sua inequivocabile condizione di rifiuto dell’umanità. 

Dagospia il 17 Dicembre 2021. Riceviamo e pubblichiamo da Maurizio Caverzan: A Gianluca Nicoletti e a coloro che hanno figli autistici e che si sono offesi per l’uso dell’appellativo autismo in senso negativo pur facendo riferimento alla voce della Treccani, dico che non era mia intenzione denigrare in alcun modo persone affette da questa patologia. Ancor meno mancar loro d rispetto: se a qualcuno così è parso, credo di essere stato male interpretato. E in ogni caso me ne scuso. La Treccani mi è sempre sembrata fonte autorevole, né io ho la competenza per obiettare sulle sue definizioni. La parte che mi sembra calzante la mia riflessione è la seguente definizione di autismo: «In psichiatria, la perdita del contatto con la realtà e la costruzione di una vita interiore propria, che alla realtà viene anteposta…». Stimo troppo l’intelligenza del collega Nicoletti per ritenere che possa comprendere l’estensione del concetto ad atteggiamenti mentali in senso lato. Atteggiamenti d’impermeabilità nei confronti del reale, inscalfibilità rispetto ai fatti, indisponibilità a mettersi in discussione di fronte a chi ha un punto di vista diverso (e per una volta senza che si apra un’inutile guerra di religione su vaccini e no-vax, come ho premesso). Ho citato una serie di esempi, dal trattamento in alcuni talk show delle posizioni conservatrici all’irriducibilità giustizialista del Fatto quotidiano, dall’insistenza con cui si persegue l’attuazione strisciante dei dettami della legge Zan alla mancanza di revisione di sé di una persona che sceglie in un catalogo il padre per la fecondazione assistita del figlio e poi denuncia la mancanza di empatia che «crea sterilità» e comportamenti «usa e getta». Tutto questo deriva, a mio avviso, da un senso di superiorità, dalla presunzione di essere dalla parte del giusto. È questo che ho chiamato e chiamo «autismo dei buoni», ripeto senza voler offendere chi soffre davvero di questa patologia. Credo che Nicoletti sappia e possa staccarsi per un attimo dalla sua drammatica vicenda personale per capire cosa intendevo dire. Con stima. 

Da adnkronos.com il 13 dicembre 2021. "Sono positivo" al covid "con carica bassa, sto bene". Così, secondo quanto riportato dal sito Genova24, il cantautore Povia, avrebbe annunciato ieri in un messaggio inviato agli organizzatori la sua assenza all’evento genovese contro il green pass in piazza della Vittoria dove era atteso nel pomeriggio. Secondo lo stesso sito, gli organizzatori avrebbero sentito l'artista, le cui posizioni contro il vaccino per il Covid sono note da tempo. "Non era in formissima ma siamo tranquilli”, avrebbe raccontato una delle organizzatrici allo stesso sito. Nel frattempo, Povia dai suoi social è intervenuto ieri per smentire il fatto che sia stato scartato dalla commissione che ha selezionato i cantanti in gara a Sanremo 2022. "Leggo scemenze", ha scritto Povia postando il passaggio di un articolo che lo includeva in un elenco di esclusi dal festival. "Sono anni che non mi presento - ha aggiunto - ci tengo a dirlo. Per motivi ideologici e politici, la Rai e cioè il governo, non ammetterebbe mai a Sanremo un cantautore che contesta le scelte schizofreniche, illogiche, anti-costituzionali e anti-scientifiche del governo stesso. Il tutto si ridurrebbe ai soliti termini usati da chi ha un handicap ideologico e cioè 'Novax' (il termine corretto è NoCovid19Vax, perché i vaccini nella vita li abbiamo fatti), 'Omofobo' altro termine ideologico che non vuol dire nulla, 'Fass1sta, razz1sta, Popul1sta'... insomma vi rimando ad una canzone presentata a Sanremo qualche anno fa: 'La terminologia dei bimbiminkia'", ha proseguito linkando il brano. "Sentite il boato e immaginatela ai Sanremo dei governi tecnici", ha concluso.

Da corrieredellosport.it il 14 dicembre 2021. Il presidente del Gimbe Nino Cartabellotta attacca Povia… parafrasandolo. Il cantante, dopo essersi dichiarato no vax e no green pass, è risultato positivo al Covid-19, scatenando l’ironia del web. A prenderlo in giro anche Cartabellotta, che ha citato la strofa de I bambini fanno ohh, brano più famoso dell’ex vincitore di Sanremo. “Finchè i cretini fanno(eh) Finchè i cretini fanno(ah) Finchè i cretini fanno "boom" #Povia”, ha twittato il medico, che ha poi precisato: “Sottotitolo per quelli che credono a #Bugliano: il tweet è la strofa di una canzone di #Povia”.

Il tweet scatena le polemiche

Il post di Cartabellotta ha scatenato le polemiche. Molti, infatti hanno ritenuto inopportune le parole del presidente del Gimbe. “Un giorno verrà chiesto conto ai MEDICI di esternazioni come queste, prive di educazione, di etica e di morale. Quanto in basso è caduta l’arte medica nel nostro Paese…..", ha scritto DebFirts.

Dura la replica di Francesco Storace sul sito 7Colli: “Leggere di un medico come Nino Cartabellotta – che spesso va in tv a dare i numeri per la fondazione Gimbe – che si accanisce contro il cantante Povia, lascia basiti. Pensavamo fosse roba da ragazzini social, invece è la cosiddetta scienza. Macché, è scemenza". 

Quando i dottori fanno oh. Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 13 dicembre 2021. Mai nella vita avrei immaginato di poter prendere le difese di Giuseppe Povia, il cantante ostile ai vaccini che si è ammalato di covid, fortunatamente in forma lieve. Ma non avrei mai nemmeno immaginato che un uomo di scienza come Nino Cartabellotta, autorità assoluta in materia di dati sulla pandemia, arrivasse a sbeffeggiare un malato in pubblico. Invece lo ha fatto, indirizzando a Povia la versione strafottente della sua famosa «Quando i bambini fanno oh», trasformata per l’occasione in « Finché i ». Cartabellotta è il presidente della fondazione Gimbe, «Gruppo italiano per la medicina basata sulle evidenze», ed è di tutta evidenza che credeva di essere spiritoso. Ma la questione è: si può dare del cretino a uno che sta male, anche se sta male per qualcosa di cui nega l’esistenza? Sarebbe come sbeffeggiare un pedone appena finito sotto un’automobile perché aveva sempre sostenuto che le automobili in realtà fossero delle farfalle metallizzate. Esistono codici di opportunità che chi occupa certi ruoli dovrebbe osservare più di ogni altro e che servono a preservare la civiltà dalla rissa e a distinguere un salotto da un saloon. Non sarà un caso che lo sfottò del chirurgo abbia provocato la reazione piccata di tanti no vax, alcuni dei quali sono arrivati ad augurargli la morte. Per cui, dopo quelle di Povia spernacchiato da Cartabellotta, adesso ci tocca pure prendere le difese di Cartabellotta minacciato dai no vax. Capirete che è una vitaccia.

Paolo Maddalena: “Irresponsabile invito a non vaccinarsi: sono contro il neoliberismo, non contro i vaccini”. Paolo Maddalena su L'Espresso il 14 dicembre 2021. Il già vicepresidente della Corte Costituzionale è stato indicato da Gianluigi Paragone come suo candidato al Quirinale. Ma all’Espresso vuole precisare qual è la sua posizione. Avevo chiesto al Direttore di questo prestigioso settimanale di rettificare una frase di un articolo che mi indicava, nel contesto di una velata disistima, come candidato alla Presidenza della Repubblica, in quanto punto di “riferimento per la politica che contesta Draghi e i vaccini”. L’ottimo Marco Damilano mi ha offerto invece la possibilità, per la quale gli sono immensamente grato, di scrivere una lettera, diretta a esplicitare il mio pensiero. Rinuncio, dunque, ben volentieri alla mia difesa, e dico soltanto che rifuggo da dispute di pura distrazione di massa, che considero irresponsabile l’incitamento a non vaccinarsi e che non sono contro la persona di Draghi, ma contro la sua politica neoliberista. E, da giurista, mi preme sottolineare che il pensiero unico dominante del neoliberismo sta conquistando anche le menti dei giudici, degli avvocati e di chi, comunque, si occupa di diritto. Evento, questo, di enorme gravità, poiché intralcia la stessa difesa dei diritti fondamentali sanciti in Costituzione, contro l’imperversare delle deleterie “privatizzazioni”, “delocalizzazioni" e “svendite”, che gettano sul lastrico migliaia di famiglie. La causa di questa grave sventura, a mio avviso, sta nel fatto che i giuristi non hanno rilevato che, passandosi dallo Stato persona, soggetto “singolo”, informato ai principi dello Statuto albertino, allo Stato comunità, soggetto “plurimo”, coerente con i vigenti principi costituzionali, è completamente mutato “l’assetto proprietario”, e in particolar modo la natura del “demanio pubblico”, previsti dall’attuale codice civile. In altri termini, se, secondo lo Statuto albertino, il “demanio” apparteneva allo Stato persona, seguendo gli schemi della “proprietà privata”; secondo la vigente Costituzione repubblicana, il “demanio” appartiene invece allo “Stato comunità” (il Popolo), a titolo di “proprietà pubblica”, cioè, come subito notò il Giannini, di “proprietà collettiva demaniale”, insuscettibile di “sdemanializzazione” e comprendente tutti quei beni che sono definiti “inalienabili”, “inusucapibili” e “inespropriabili”, in quanto indispensabili per l’esistenza stessa della Comunità nazionale. Si tratta del “paesaggio e del patrimonio artistico e storico della Nazione (art. 9 Cost.), nonché “dei servizi pubblici essenziali, delle fonti di energia, delle situazioni di monopolio e delle industrie strategiche” (art. 43 Cost.). Se i giuristi avessero dato peso a questa realtà costituzionale, certamente non saremmo passati dal “miracolo economico italiano” degli anni ’60, all’attuale drammatica situazione economica.

"Anche con due dosi di vaccino" il dramma dell'ex pugile Maurizio Stecca, foto choc dal reparto Covid. Il Tempo il 14 dicembre 2021. "Ho cominciato il Match più difficile della mia vita contro il mio avversario chiamato Covid". È ricoverato nell’ospedale di Treviso, Maurizio Stecca, ex campione olimpico di boxe medaglia d’oro nel 1984 a Los Angeles. L'ex pugile, oggi preparatore atletico della Fpi, è stato contagiato nonostante un ciclo vaccinale completo. "Anche dopo aver fatto la seconda dose ed ero pronto per la terza, non lo so quante riprese ci saranno da fare sicuramente tante, io abituato a tantissime battaglie sempre vinte, sicuramente non indietreggerò mai a questo maledetto avversario" ha scritto su Facebook l'olimpionico mostrando una foto in cui appare con la lamaschera dell'ossigeno. Originario di Santarcangelo di Romagna, 58 anni, Maurizio ha guadagnato l’oro olimpico a 21 anni battendo il pugile messicano Hector Lopez. È fratello di Loris, anch’egli campione di pugilato dei pesi supergallo Wba. Sulla sua pagina Facebook sono numerosissimi i messaggi di supporto, con fan, tifosi e amici che gli augurano di sconfiggere il Covid come con i pugili sul ring.  

Covid, Maurizio Stecca ricoverato in ospedale: vaccinato, aspettava la terza dose. «Il mio match più difficile». Salvatore Riggio su Il Corriere della Sera il 13 dicembre 2021. L'ex pugile, 58 anni, campione olimpico dei pesi gallo a Los Angeles nel 1984, e fratello di Loris, anch'egli pugile e campione del mondo, ha scritto sul suo profilo Facebook: «Sono abituato a tante battaglie vinte, non indietreggerò».

L’ex campione di boxe Maurizio Stecca è ricoverato, in area non critica, all’ospedale Ca’ Foncello di Treviso per Covid: aveva già ricevuto due dosi di vaccino e si apprestava a fare la terza. Stecca, 58 anni, campione olimpico dei pesi gallo a Los Angeles nel 1984, residente da tempo con la compagna a Casale sul Sile (Treviso), ha raccontato della malattia sul proprio profilo Facebook: «Ho cominciato il match più difficile della mia vita contro un avversario chiamato Covid. Non so quante riprese ci vorranno, sicuramente tante. Io, abituato a tantissime battaglie sempre vinte, sicuramente non indietreggerò mai davanti a questo maledetto avversario». Insieme a queste parole un selfie con una mascherina per l’ossigeno sul volto che parla più di ogni parola. Subito il campione ha ricevuto centinaia di messaggi da ogni angolo d’Italia: «Su la guardia e sempre avanti»; «I campioni possono cadere ma si rialzano più forti di prima; «Forza campione, metterai questo virus k.o.».

Era in attesa del «booster»

In passato a Stecca era stata diagnosticata una rara malattia del sangue, l'EPN (emoglobinuria parossistica notturna), una patologia acquisita con la quale convive tuttora. Il suo stato di salute era comunque buono, e il corpo dell’ex campione viene descritto come solido e sportivo. Stecca era in attesa di ricevere la dose booster del vaccino, purtroppo il virus è stato più veloce nell’aggredirlo. Inizialmente il contagio è stato gestito a domicilio, poi quando la situazione respiratoria è cominciata a peggiorare si è deciso per il ricovero in una delle quattro strutture sanitarie dedicate ai pazienti Covid nella zona di Treviso, che è una delle province con i dati maggiormente in crescita in questi ultimi giorni.

La carriera di Maurizio Stecca

Maurizio Stecca, nato il 9 marzo 1963 a Santarcangelo di Romagna e fratello di Loris Stecca, campione mondiale Wba dei supergallo, è stato anche campione del mondo Wbo dei pesi piuma dal 28 gennaio 1989 all'11 novembre 1989 e dal 26 gennaio 1991 al 16 maggio 1992. Ritiratosi dall'attività agonistica nel 1995, da campione italiano dei super piuma, Stecca decide di mettere la sua esperienza al servizio dei giovani pugili, insegnando ai ragazzi nella palestra della Libertas Rimini boxe e poi diventando maestro e guidando anche la nazionale femminile. Nel 1996 è commentatore sportivo della Rai per un anno e dal 1990 al 1997 diventa componente fisso di una formazione calcistica di ex atleti che disputa amichevoli per raccogliere fondi a scopo benefico.

L’oro olimpico a Los Angeles

Il punto più alto della sua carriera resta senz’altro l’oro olimpico a Los Angeles nel 1984. Stecca all’epoca ha 21 anni e parte come favorito nella categoria dei pesi gallo con lo statunitense Shannon e il coreano Moon, e match dopo match dopo match tiene fede ai pronostici senza arretrare: supera l’irlandese Sutcliffe, il potente zambiese Zulu, il colombiano Pitalua Tamara e arriva in semifinale. Nella parte bassa del tabellone il coreano Moon elimina a sorpresa proprio Shannon prima di perdere a sua volta con il sorprendente Nolasco, che diventa l’avversario di Stecca in semifinale: qui Maurizio risolve il match con un capolavoro di tattica e vince grazie a una serie di colpi d’incontro molto efficaci doppiati spesso da precisi montanti. In finale lo attende il messicano Lopez, un 17enne che sposa tecnica raffinata ad una notevole potenza, ma ha un punto debole: la lentezza dei colpi. Ed è su questa falla che si innesta la sagacia tattica di Stecca che, anche grazie alla maggiore velocità, riesce a vincere bissando il successo di Patrizio Oliva a Mosca 1980.

Mario Parolari per corriere.it il 27 dicembre 2021. Maurizio Stecca non poteva chiedere un regalo migliore per il suo Natale. Quattordici giorni dopo il ricovero l’ex pugile 58enne, campione olimpico a Los Angeles ’84, ha finalmente vinto «il match più difficile» della sua vita sconfiggendo il coronavirus. Dopo essere uscito dalla terapia intensiva, Stecca ha annunciato sul suo profilo Facebook di essersi finalmente negativizzato. Esattamente come quando aveva comunicato l’aggravarsi delle sue condizioni, ha accompagnato il post con una foto che lo ritrae sorridente, con il pollice all’insù, ancora sul letto d’ospedale.

Maurizio Stecca, innanzitutto come sta ora?

«Il peggio è passato. Non ho più il Covid, sono fuori pericolo e lavoro per recuperare la respirazione. Ogni giorno mi abbassano l’ossigeno e mi tolgono un’altra flebo. Non distinguo ancora i sapori, ma ho ricominciato a mangiare». 

Le hanno detto quando potrà tornare a casa?

«Ancora no, ma non ho fretta. Se è necessario che mi tengano in ospedale per delle cure particolari resterò, ma vorrei tornare a casa il prima possibile per liberare il posto per chi ne ha più bisogno di me».

Quanto dura è stata questa esperienza?

«È stata orribile, l’esperienza più brutta della mia vita. Mi hanno intubato e addormentato per quattro giorni. Chi non vive sulla propria pelle quelle cure che ti tengono attaccato alla vita non può capire cosa sia davvero il Covid. Ringrazio i reparti ospedalieri e gli infermieri, che mi chiamano sempre Maurizio». 

Com’è cambiata la sua idea sul coronavirus?

«Non si finisce mai di essere prudenti. Io ero sotto costante osservazione per una malattia del sangue, avevo ricevuto due dosi di vaccino, ma evidentemente non ero Superman. La gente deve capire che nonostante la vita sia fatta di scelte personali non si può mettere a rischio gli altri. Ad assistere me, un solo paziente, c’erano otto infermieri. I quattro no-vax in camera con me stavano occupando il posto di qualcun altro. Le nostre scelte contano». 

Una volta che si sarà ripreso, quali sono i suoi piani per il futuro?

«Ho già contattato la Federazione (pugilistica italiana, ndr), voglio assolutamente portare la mia dolorosa esperienza nelle scuole e a bordo ring. Sia come atleta e campione, sia come persona comune, penso che la mia testimonianza possa essere d’esempio. È inutile farci la guerra, dobbiamo unirci per dare una mano agli ospedali».

Rischio calcolato. Dialogo immaginario tra un pragmatico e uno scettico dei vaccini. Tito Boeri e Antonio Spilimbergo su L'Inkiesta il 15 dicembre 2021. Il libro di Tito Boeri e Antonio Spilimbergo, edito da Einaudi, è una conversazione fittizia sul tema del momento. Da un lato ci sono i dubbi di chi non si fida del farmaco, è cauto su Big Pharma e ripete le idee e opinioni di gruppi complottisti. Dall’altro chi guarda ai dati con razionalità e consapevolezza, sia dei limiti della ricerca scientifica che della sua attendibilità.

PIERA Al di fuori del lavoro in remoto, però, c’è un forte rischio di contagio in molte occupazioni che richiedono frequenti interazioni, spesso a distanza ravvicinata, con il pubblico o con i colleghi. Qui è fondamentale che i lavoratori siano vaccinati.

RICCARDO Continui a fare dichiarazioni apodittiche senza uno straccio di prova, senza un dato. E sí che dovevo essere io quello con opinioni forti e non fondate! Guarda che anche chi si è vaccinato può essere contagioso. Anche voi siete degli untori potenziali. E potete ammalarvi gravemente. Anzi di più di chi non si è vaccinato. Leggevo in questi giorni che in Israele su 500 ricoverati per Covid-19 e in gravi condizioni, più di 300 erano vaccinati…

PIERA D’accordo con il guardare ai dati. Ma bisogna anche saperli leggere. In Israele quasi l’80 per cento della popolazione era vaccinata quando sono usciti i dati di cui parli. Quindi non ha senso comparare il numero assoluto di malati tra i vaccinati e i non vaccinati come se la popolazione a rischio di essere contagiata fosse della stessa dimensione. Sarebbe come concludere che gli abitanti del Molise sono in gran parte immuni semplicemente perché ci sono molti meno ricoverati per Covid-19 in Molise che in Lombardia, che ha quasi trenta volte la popolazione del Molise. Inoltre, in Israele sono soprattutto le persone più anziane, quelle maggiormente a rischio di ammalarsi gravemente, che si sono vaccinate. Mentre la stragrande maggioranza dei non vaccinati (l’85 per cento) ha meno di vent’anni. Se rapportiamo i tuoi numeri alla dimensione della popolazione di riferimento e teniamo conto dell’età, ci rendiamo subito conto dell’efficacia del vaccino. Tra gli ultracinquantenni ci sono 171 malati gravi non vaccinati su poco più di 186.000 non vaccinati. Questo significa che ci sono più di 90 malati gravi per ogni 100.000 abitanti. Tra i vaccinati abbiamo 290 malati gravi ultracinquantenni su una popolazione di più di 2 milioni e 150.000 ultracinquantenni vaccinati, vale dire circa 13 malati gravi su 100.000 abitanti. In altre parole, il rischio di ammalarsi gravemente è (90 diviso 13) sette volte più alto per chi non è vaccinato che per chi è vaccinato. E numeri analoghi si ottengono se guardiamo al rischio di essere contagiati, di finire in terapia intensiva o di morire. 

RICCARDO Israele è un Paese piccolo e le probabilità di cui mi parli sono comunque molto basse. Novanta su 100.000 mi sembra un numero piccolo.

PIERA Ho preso il caso di Israele perché ha i dati più completi. Il fatto che ci siano solo 500 malati gravi su una popolazione di 9 milioni è peraltro un’ulteriore dimostrazione dell’efficacia del vaccino. Israele è stato il Paese più rapido nel condurre la campagna di vaccinazione. Ma prendiamo pure il caso del Regno Unito o degli Stati Uniti. Secondo le stime del Public Health England, il servizio sanitario britannico, la campagna di vaccinazione di massa ha evitato quasi 100.000 morti nella sola Inghilterra. Ascoltavo qualche giorno fa un’intervista a Anthony Fauci, forse il più autorevole immunologo in circolazione. I dati sugli Stati Uniti sono alquanto eloquenti: il 99,2 per cento dei morti da Covid-19 negli Stati Uniti non erano vaccinati. Il suo commento: «È davvero triste e tragico che la maggior parte di queste morti fossero evitabili».

RICCARDO Parli di tanti Paesi diversi, ma non dell’Italia, il caso si presume a noi più vicino e che conosciamo meglio. Ho letto che nell’agosto 2021 più di 1000 ultraottantenni vaccinati sono finiti in ospedale, mentre solo 638 ultraottantenni non vaccinati sono finiti in ospedale.

PIERA Anche in questo caso bisogna saperli leggere i dati! Guarda che in agosto avevano già fatto il vaccino più di 4 milioni di ultraottantenni. Di questi, come ricordavi, poco più di 1000, lo 0,02 per cento, sono stati ospedalizzati. C’erano pure 290.000 ultraottantenni non vaccinati e, tra questi, come dicevi, 638, vale a dire lo 0,22 per cento, sfortunatamente sono finiti in ospedale. Ne deduco che il tasso di ospedalizzazione per Covid-19 è dieci volte maggiore tra i non vaccinati. Ovvero il vaccino protegge dieci volte di più contro il rischio di finire in ospedale per Covid-19. È stato stimato che solo nel mese di agosto 2021 il vaccino ci abbia evitato 30.000 ospedalizzazioni, 4.000 ricoverati in terapia intensiva e 7.000 morti.

RICCARDO Sarà, ma dato che stai cercando di darmi lezioni di statistica, mi permetto di dirti che la popolazione dei vaccinati non è strettamente comparabile a quella dei non vaccinati.

PIERA Hai ragione. Proprio per questo stiamo facendo comparazioni fra persone delle stesse classi di età. Certo, ci possono essere differenze importanti tra vaccinati e non vaccinati quando sono della stessa età. Le vaccinazioni hanno raggiunto prioritariamente le persone più fragili e queste sono più a rischio di finire in ospedale anche se protette.

RICCARDO Beh, le differenze possono anche riguardare i comportamenti. Può essere che le persone vaccinate si sentano più protette e prendano troppi rischi.

PIERA Anche questo tenderebbe a far aumentare la probabilità di ammalarsi per chi è vaccinato. Eppure, i dati ci dicono che tra i vaccinati la percentuale di ospedalizzati è un decimo di quella dei non vaccinati. Questo dimostra ancora di più la forza dei vaccini.

RICCARDO Mi hai detto della probabilità di contrarre il virus, ma non della probabilità di contagiare altri. Se quel senso di immunità che molti provano dopo essersi vaccinati ti porta a adottare meno precauzioni quando vedi parenti e amici, il vaccino ti può portare a contagiare persone che prima del vaccino non avresti contagiato. Non credi?

PIERA Acuta osservazione, ma ho visto uno studio condotto all’università di Oxford che mostra come i vaccinati che hanno contratto il virus siano meno contagiosi dei non vaccinati che hanno contratto la stessa variante del virus. C’è anche uno studio sulla diffusione del virus all’aeroporto di Singapore con tracciamento dei contatti: indica che i vaccinati che contraggono il virus e contagiano altre persone sono sintomatici, in altre parole hanno i sintomi, pur lievi, del coronavirus. Ma questo sicuramente è difficile da dire perché è difficile fare studi sui vaccinati asintomatici per ovvi motivi. Comunque, dietro alla rapida diffusione del virus ci sono quasi sempre gli infetti asintomatici. Sono loro quasi sempre i veri involontari “untori”.

RICCARDO E quanti contagiati ci sono tra i vaccinati?

PIERA Ci sono anche meno contagiati tra i vaccinati. Se prendi i dati finalmente resi pubblici dall’Istituto Superiore di Sanità, tra i non vaccinati più di 7 persone su 1000 vengono contagiate ogni mese contro invece uno su 1000 tra i vaccinati. In altre parole, il rischio di contagio è più dell’80 per cento più basso tra i vaccinati che tra i non vaccinati. Le differenze nel rischio di essere ospedalizzato o di finire in terapia intensiva tra vaccinati e non vaccinati sono ancora più forti.

Da “Sì Vax. Dialogo tra un pragmatico e un non so”, di Tito Boeri e Antonio Spilimbergo, Einaudi editore, 2021, pagine 112, euro 12

Chi non dubita di niente (e chi di tutto). Aldo Grasso su Il Corriere della Sera l'11 dicembre 2021. Ci sono due specie di testardi: quelli che non dubitano di niente e quelli che dubitano di tutto. Tra gli effetti collaterali della pandemia, si registra la nascita della Pandemia. Bene. Ne fanno parte, tra gli altri, il giurista Ugo Mattei, i filosofi Massimo Cacciari e Giorgio Agamben, il mediologo Carlo Freccero, l’autoproclamato primate metropolita ortodosso Alessandro Meluzzi, quello dei talk. Ecco le precauzioni: «Gli avversari che abbiamo di fronte non sono spiritualmente, moralmente e intellettualmente vivi. Sono dei morti». Ok, tutto a posto, non servono precauzioni. E i dubbi? Con i vaccini si starebbe facendo «una sperimentazione mondiale, con molti pazienti che rischiano di finire nell’Ade». La vaccinazione sarebbe «legata al desiderio dell’alta finanza di accelerare il movimento verso l’euro digitale e la moneta mondiale». E via di questo passo, senza ombra di dubbio. La libertà (anche di pensiero) non è mai a disposizione, bisogna disporsi verso di essa sapendo che non esiste quella assoluta; per questo è necessario darsi limiti, tracciare confini, eleggere mete, personali e comuni. Per il bene di tutti. Il vero dubitatore si strugge con il solo scopo di cercare il vero, il negatore invece vive per una cattiva causa. O anche, come direbbe Celentano, per 125 milioni di caz...te.

Massimo Cacciari, scontro frontale col Corsera: "Noi in minoranza come Gesù? Calunnie, ecco come rispondo". Libero Quotidiano l'11 dicembre 2021. Massimo Cacciari risponde agli articoli sui quotidiani italiani sul convegno di Torino per lanciare la Commissione dubbio e precauzione, parlando "di calunnie, pure e semplici calunnie".  In particolare il Corriere della Sera che ha titolato: 'Il convegno no vax di Torino, fra sospetti e deliri: Noi in minoranza come Gesù'. "Hanno tirato fuori cose, estrapolandole, affermando che io sono un No Vax, non rispondo nemmeno a questi signori. E se continueranno a calunniare in questo modo, risponderò solo per vie legali. Non mi cimento nemmeno con questi personaggi, sono di un altro livello", spiega il filosofo in una intervista ad Affaritaliani. "La situazione è molto grave e i giornali, quasi tutti, nemmeno se ne rendono conto. Facebook ha oscurato il convegno di Torino dove sono intervenuti scienziati, medici e giuristi. Siamo di fronte a una deriva delle democrazie occidentali e quando il popolo si sveglierà saranno dolori.  Sulle questioni di fondo tra i partiti ci sono sempre meno differenze, qualcosa cambia sulle valutazioni, ma sulle grandi questioni sono tutti d'accordo nel mettere tutto sotto il tappeto e fingere di non vedere", precisa l'ex sindaco di Venezia...Si sofferma sull'Europa: "Ogni Paese dell'Unione è andato e va per conto suo, alcuni con misure più severe e altri meno. Ma è il sistema in generale che ci porta sull'orlo del precipizio, che non è quello dei vaccini. Come sempre si guarda all'albero e non si vede il bosco. Draghi? Fa il suo mestiere con grande competenza e sta lavorando al piano nazionale per implementarlo nel modo più rapido possibile. Al premier interessa il Pnrr e nient'altro. Il problema è quando la maggioranza demonizza la minoranza, è questo il tema chiave e non certo il destino individuale di qualcuno", conclude Cacciari.

Il professor Remuzzi: “La scienza non è la Bibbia, non credete a chi ha certezze”. Giampiero Casoni il 12/12/2021 su Notizie.it. Il professor Giuseppe Remuzzi spiega che la situazione pandemica non è statica, ma in divenire: “La scienza non è la Bibbia, non credete a chi ha certezze”. Il professor Giuseppe Remuzzi è stato lapidario: “La scienza non è la Bibbia, non credete a chi ha certezze, se qualcuno vi dice di avere certezze, non credetegli”. Il direttore dell’Istituto Mario Negri fa il punto della situazione su pandemia e variante Omicron e spiega che “in Italia la curva sta rallentando.

Che significa? Che “potrebbe esserci un plateau, ora abbiamo un aumento di casi e ricoveri, ma in percentuale l’incremento è inferiore a quello delle scorse settimane. Abbiamo la ragionevole speranza che in un paio di settimane le cose inizino almeno a stabilizzarsi”.

Poi Remuzzi spiega che si tratta di una “speranza ragionevole: se in questo ambito qualcuno vi dice di avere certezze, non credetegli. La scienza non è la Bibbia, non abbiamo una situazione statica”.

A parere dell’esperto dunque la situazione è “estremamente dinamica, oggi ho imparato cose che ieri non sapevo. La scienza funziona così.

All’inizio tanti di noi dicevano che il virus non muta e invece muta tantissimo. Inizialmente si diceva che la vaccinazione eterologa sarebbe stata un pasticcio, ora sappiamo che la risposta del sistema immunitario è molto più forte”.

E in tema di vaccinazioni pediatriche? “I bambini tra i 5 e gli 11 anni vanno vaccinati, non rischiano nulla col vaccino.

Tra Usa, Cuba e Israele sono stati vaccinati quasi 5 milioni di bambini e non c’è nessun allarme”. Per senza cadere nella mistica delle certezze al professore è stato chiesto di individuare un possibile range temporale di fine pandemia: “È difficilissimo fare previsioni, ma direi che questo virus starà con noi per i prossimi 2 anni”.

L’internazionale No Vax che spaventa l’Europa. Dalla Francia all’Austria, dai Paesi dell’Est alla Germania il mix di rabbia e anti-politica si sposta sulle misure anti Covid-19. E le destre lo usano contro Ue e governi. Federica Bianchi su L'Espresso l'8 dicembre 2021. Il Green pass come nuovo muro di Berlino. Come novella stella gialla sui cappotti dei perseguitati. Come malefico chip digitale inserito nella vita dei cittadini ordinari. Uno strumento europeo concepito per garantire libertà e sicurezza è diventato agli occhi dei sostenitori delle tante destre dell’Unione europea un’arma di controllo e oppressione. «Quando un governo dice di avere a cuore gli interessi della gente, riflettete», tuonava qualche giorno fa, giacca damascata rossa e nera, dagli scranni dell’Europarlamento la tedesca Christine Anderson, militante dell’AfD, l’Alternativa per la Germania: «Se l’illuminismo ci ha insegnato qualcosa è il non considerare sicuro niente di ciò che dice il governo.

Giampaolo Rossi, l’ideologo no vax di Giorgia Meloni che imbarazza Fratelli d’Italia. Susanna Turco su L'Espresso il 7 dicembre 2021. Ex consigliere Rai, marinettiano, diede del Dracula a Mattarella e cita Hannah Arendt contro il governo Draghi. Ma anima il “Natale dei Conservatori”, la festa invernale di Fdi. Dopo la meravijosa parabola di Enrico Michetti, nel partito torna la domanda: ma Giorgia vuol tornare al 4 per cento?

Chi ha detto che non c’è vita fuori dalla Rai? Giampaolo Rossi, 55 anni, già consigliere in quota Fratelli d’Italia, buttato fuori in estate dai vertici della tv pubblica per fare spazio (nel rinnovo) a una consigliera in quota Fi, con alti lai di Giorgia Meloni e del suo partito per il mancato rispetto della spartizione nei posti - scippo più grave in quanto Fdi è l’unico partito d’opposizione - ha rinverdito la sua passione per interventi hard sui social, via via sempre più ficcanti.

Già in settembre definiva «inquietanti» le parole del capo dello Stato Sergio Mattarella sui vaccini (prima di entrare nel cda Rai, vi è da dire, l’aveva paragonato a Dracula e assimilato a un golpista), in uno degli ultimi post è arrivato a sostenere che «in pratica stiamo diventando uno Stato etico grazie a quelli che dovrebbero difendere lo Stato di diritto». Qualche giorno fa, sempre in impeto no-vax, ha scomodato addirittura le origini del totalitarismo: «In questi giorni rileggere Hannah Arendt per ricordare che il totalitarismo non nasce da un dittatore che arriva all’improvviso, ma si sviluppa su un terreno fertile di discriminazioni, cultura dell’odio e vili complicità che diventano normali per la società. Ingredienti: paura indotta e propaganda per manipolare la realtà. Ieri come oggi». Quasi a dire che il governo Draghi starebbe creando un humus prodromico a un nuovo nazismo (o comunismo). Ipotesi davvero affascinanti, del resto del proprio profilo Facebook ciascuno può fare ciò che crede.

Peccato che il ritmo crescente degli interventi imbarazzi non poco la stessa destra meloniana. C’è il fatto che Rossi, 55 anni, romano, archeologo di formazione, «marinettiano» per autodefinizione, già presidente della commissione cultura della Regione Lazio e direttore del master di Media&Entertainment alla Link campus university, direttore di RaiNet tra il 2004 e il 2012, è tutt’altro che una terza fila, in Fratelli d’Italia. Per dirne una, è adesso coinvolto nella prossima edizione della festa meloniana di Atreju, versione invernale, dal titolo “Natale dei conservatori”. E fu proprio lui a scrivere il “Manifesto conservatore” per la Roma di Enrico Michetti, sottoscritto da taluni intellettuali e persino dal già dimenticato (ma indimenticabile) candidato del centrodestra al Campidoglio, a metà settembre.

Ecco, a proposito del «meravijoso» Michetti: Rossi sembra un altro esempio di ciò che si andava dicendo a margine della campagna elettorale per la conquista della Capitale quando, tra un imbarazzo e una (per carità) velatissima critica, i fratelli d’Italia confessavano tutta la loro perplessità per questo spirito scoutistico-militaresco di «Giorgia» a premiare i fedeli prima dei bravi, gli amici di sempre invece di chi si distingue.

Una specie di eccessiva attenzione a onorare la militanza che poi finisce per mandare avanti «gente non all’altezza». Dando l’idea di non avere una classe dirigente, persino oltre il vero (c’è in effetti del vero). Come se Meloni guidasse sempre un partito che sta al 4 per cento – e non uno che i sondaggi accreditano per il 20. O che al 4 per cento avesse l’inconfessabile voglia di tornare.

Ma quale superiorità morale. Ora la sinistra si scopre No vax. Francesco Boezi il 9 Dicembre 2021 su Il Giornale. Il convegno di Cacciari, Agamben, Mattei e Freccero svela l'arcano: i dubbi sulle misure per contrastare la pandemia sono soprattutto di sinistra. Mesi ed ormai quasi anni passati a tuonare contro l'irresponsabilità sulle misure pandemiche di Matteo Salvini e Giorgia Meloni per poi scoprire che ad organizzarsi contro la "dittatura pandemica" sarebbero stati la sinistra filosofica ed i suoi limitrofi ideologici. Può sembrare eufemistico ma è così. Ieri, a Torino, si è svolto il convegno d'esordio della "Commissione dubbio e precauzione". In buona sostanza, un'iniziativa volta a segnalare i presunti rischi comportati dal green pass e così via. Sono tutte argomentazioni note che abbiamo imparato a conoscere. Quattro i protagonisti principali dell'iniziativa: il filosofo Massimo Cacciari, Giorgio Agamben, filosofo a sua volta nonché di recente autore de "L'invenzione di un'epidemia", Carlo Freccero, conosciutissimo dirigente e volto televisivo, intellettuale ed elettore (non sappiamo oggi quanto pentito), per sue stesse dichiarazioni, dapprima di Rivoluzione civile di Antonio Ingroia e poi del MoVimento 5 Stelle, ed Ugo Mattei, giurista, accademico, editorialista de Il Manifesto e collaboratore de Il Fatto Quotidiano. Personaggi molto diversi - se vogliamo - ma accomunati da un elemento: provenire da una cultura di sinistra. Cosa si sarebbe detto in termini di narrativa, viene da chiedersi, se a procedere in maniera organica - tant'è che su La Stampa si parla persino di "prove di partito" - fossero state figure centrali del pensiero conservatore, liberale e così via? Quante voci scandalizzate sulla diffusione del pensiero no vax avremmo dovuto ascoltare? Massimo Cacciari, già sindaco di Venezia, è stato tra le fila dell'universo Dem.

Passato da Potere operaio e dal Partito comunista italiano, oggi l'ex primo cittadino del capoluogo veneto è il principale artefice della riscoperta del libertarismo di sinistra. Il tutto condito da un certo individualismo, valore cardine di quel mondo, che qualcuno potrebbe ritenere abdicato dalle formazioni che fanno parte del "campo largo". Agamben, ancora, è un intellettuale di chiara fama che ha in comune con Freccero la passione per Michel Foucault. Qualche giorno fa, in Senato, l'accademico se n'è uscito così: "Il green pass separa e definisce in maniera negativa i no vax come i non ariani per le leggi del ’38. Scivoliamo in una barbarie senza precedenti nella storia". Lo riporta, tra gli altri, l'Huffington Post. Sarebbe quasi inutile commentare.

Poi c'è Freccero, che qualcuno ipotizza possa rappresentare politicamente le istanze della minoranza riunitasi ieri nel capoluogo piemontese. Ma è presto per tirare le somme sotto il profilo partitico. Ad oggi, comunque, un ulteriore passo avanti verso una struttura meno liquida e magari volenterosa di misurarsi con il consenso non è escludibile. Il professor Ugo Mattei, al netto delle battaglie giuridiche portate avanti di questi tempi, si è anche distinto da poco per essere stato il primo, tra i candidati alla carica di sindaco di Torino, per aver firmato il referendum sul fine vita promosso da Marco Cappato, così come ricordato via Twitter da un esponente dei Radicali. Libertarismo di sinistra, appunto, pure in bioetica, che è un altro campo per cui il quartetto dovrebbe andare d'accordo. Il tutto in nome di un'autodeterminazione che di certo non appartiene alla destra culturale.

Se il presidente della Fondazione Gimbe Nino Cartabellotta parla via cinguettio di "quattro amici al bar che volevamo cambiare il mondo", sembra insomma utile far notare il colore ideologico, quantomeno quello di provenienza, di chi oggi guida il fronte dei dubbiosi. Cacciari, Agamben, Freccero e Mattei: quella dei "dubbi" in tempi pandemici sembra essere soprattutto la sinistra. Quella partitica di sinistra, dopo anni di critiche dirette all'irresponsabilità altrui, scopre di avere al proprio interno, nella profondità di una visione del mondo, le radici di quel che contesta.

Francesco Boezi. Sono nato a Roma, dove vivo, il 30 ottobre del 1989, ma sono cresciuto ad Alatri, in Ciociaria. A ilGiornale.it dal gennaio del 2017, seguo la politica dai "palazzi", ma sono anche l'animatore della rubrica domenicale sul Vaticano: "Fumata bianca". Per InsideOver mi occupo delle competizioni elettorali estere e la vita dei partiti fuori dall'Italia. Per la collana "Fuori dal Coro" de IlGiornale ho scritto due pamphlet: "Benedetti populisti" e "Ratzinger, il rivoluzionario incompreso". Per la casa editrice La Vela, invece, ho pubblicato un libro - interviste intitolato "Ratzinger, la rivoluzione interrotta", che è stato finalista al premio Voltaire. Nel 2020, per le edizioni Gondolin, ho pubblicato "Fenomeno Meloni, viaggio nella Generazione Atreju". 

La resistenza è servita: a Torino va in scena l’operazione No pass.  Il Dubbio il 9 dicembre 2021. Nasce la "Commissione dubbio e precauzione" con Agamben, Cacciari e Freccero: una pattuglia di intellettuali ed esperti pronti a combattere contro la «dittatura sanitaria». «La dittatura del Super Green Pass non va paragonata al nazismo. Andiamo più indietro, a duemila anni fa: Gesù fu condannato a morire sulla croce perché ha avuto il coraggio di manifestare il proprio pensiero». Parole e musica di Nunzia Alessandra Schilirò, la vicequestore di polizia sospesa dal servizio dopo aver rifiutato il vaccino. Che dopo aver contratto il virus, ha promesso che sarebbe tornata a dare battaglia contro la «dittatura sanitaria». E così è stato. Difatti Schilirò è tra i volti più noti di quanti ieri hanno raggiunto la “resistenza”: il movimento anti green pass nato ufficialmente ieri a Torino, che fa capo al docente di diritto civile ed ex candidato sindaco Ugo Mattei.

Parliamo della cosiddetta “Commissione dubbio e precauzione”, una pattuglia di intellettuali, vip ed esperti che guai a chiamarli “no vax”. «Dobbiamo capire quanti siamo e raccogliere capitale da trasformare in beni comuni: va contrastata la politica miserabile di oggi. Costruiremo un altrove», è il senso dell’operazione annunciata in una diretta fiume di oltre dieci ore. Decine e decine di interventi per un panel di tutto rispetto, che annovera tra le sue fila il filosofo veneziano Massimo Cacciari (che però ieri ha dato forfait) e il collega Giorgio Agamben (che è andato ben oltre Cacciari paragonando le misure del governo Draghi a quelle del Reich nazista). Presenti all’evento anche Carlo Freccero, noto comunicatore, già direttore di Rai 2, sul posto in veste di “portavoce”, e lo stesso Mattei che invece ha chiarito l’obiettivo del movimento: «Partiamo all’insegna del rigore scientifico lontano dalla propaganda dominante», ha spiegato, per «superare il draghismo, la prevalenza del capitale sui diritti della persona e dei beni comuni». Ma di cosa si occuperà la Commissione? Di «informare i cittadini, contro i media asserviti alla propaganda mainstream, e mobilitare, online e sul territorio, il nostro movimento». Il tutto con alla mano «documenti scientifici sepolti che hanno difficoltà a comparire», ha chiarito Freccero, il quale progetta una mappatura di «medici e avvocati che possano aiutare le persone licenziate o estromesse dal lavoro» per aver rifiutato il vaccino.

Tra gli interventi più attesi certamente quello di Agamben, che però ha parlato per pochi minuti. «Bisogna passare a una forma di agire più concreta – ha detto -. Serve lucidità perché gli avversari che abbiamo di fronte sono intellettualmente morti». A seguire una serie di accuse contro il «complotto di Big Pharma», condite dai consueti slogan no vax – «i veri untori sono i vaccinati, loro causano le varianti».  La diretta streaming in cui hanno parlato anche alcuni medici “dissidenti” e in cui sono stati evocati scenari apocalittici per la nostra democrazia non ha però raccolto grande partecipazione: poche migliaia le persone collegate su Youtube che trasmetteva l’evento fin dalle 8 del mattino. Ma non su Facebook: il social network di Mark Zukerberg non ha infatti permesso che l’incontro venisse mandato on line sulle sue pagine. «Vogliono oscurarci, questa è censura!», hanno tuonato gli organizzatori.

Perchè non possiamo più dirci "comunisti". Quei negazionisti del virus mi scippano la parola comunista. Fulvio Abbate su Il Riformista il 15 Dicembre 2021. Perché non possiamo più dirci “comunisti”, neppure per amor di paradosso o puro vezzo post-ideologico. Non so quanto sia vero, ma un amico bene informato racconta che sarebbe stato lo stesso Carlo Marx a decidere di chiamare comunisti, e non più semplicemente “socialisti”, i propri compagni di strada politici. Ciò avveniva poiché il termine “comunisti”, come in un convincente accrescitivo, incuteva più paura presso la controparte, cioè il “borghese”, risultando appunto come monito e insieme “incubo” in agguato. Non è un caso, forse, che il “Manifesto” del 1948 si apra esattamente prospettando faville di terrore ai danni dei Padroni: “Uno spettro che si aggira per l’Europa…”

Devo confessare che fino a qualche tempo fa, ormai giusto per puro dandismo, ogni qualvolta c’era da puntualizzare un sentire critico forte, sia pure virgolettando, e precisando espressamente proprio le “caporali”, amavo definirmi “comunista”, e poco importava che non lo fossi più da decenni.

Ora quel pensiero non abita più con me, tutto è cambiato in modo assoluto, soprattutto da quando la pandemia del covid, e soprattutto le posizioni di alcuni, espressamente antiscientifiche, e addirittura venate da una cifra paranoica e complottista, hanno lavorato come liquido reagente per comprendere la babele post ideologica nella quale ci troviamo immersi, un crac intellettuale che non ha risparmiato neppure l’insieme politico specifico cui ho appena fatto riferimento, cioè coloro che si ostinano a dirsi “comunisti”. Rassicura tuttavia che il Partito della Rifondazione comunista, tra non pochi “concessionari” del brevetto originale, espressamente per bocca del suo segretario, Maurizio Acerbo, abbia assunto una posizione inequivocabile sulla necessità vaccinale come strumento di contenimento del virus. Proviamo allora ad andare oltre ogni nominalismo, a dispetto della ormai comprovata menomazione espressiva. Resta infatti che d’ora in poi mi ritroverò tristemente privato di un notevole “babau” lessicale. In breve: non potrò più dirmi “comunista”, dovendo magari ricorrere ad altre note a pie’ di pagina, esatto, alla necessaria ironia che serve a puntualizzare alterità rispetto al pensiero ora fascista ora ottuso ora al conformismo tout court.

Resterà pur sempre però un vuoto rispetto a un prêt-à-porter politico, quasi una polaroid già perfetta per chiarire il proprio rifiuto dall’esistente. Un vuoto comunque doveroso quando il timore di risultare imbecilli in prima persona coincide invece, con chi, definendosi “comunista” a sua volta, sembra mostrare, almeno ai tuoi occhi, una profonda inenarrabile ottusità. Va ancora precisato per amore di completezza che perfino molti anarchici appaiono posseduti dal pensiero negazionista, interpretato anche in questo caso come risposta ennesima alla declinazione del sorvegliare e punire, sia detto senza bisogno di citare Michel Foucault, prodromi di un’involuzione golpistica e poliziesca.

Non possiamo fare a meno di notare, su tutto, una babele di pronunciamenti politici antitetici tra loro, eppure concordi nel rifiuto dello stesso virus. E non diremo neppure che nei paesi già del socialismo reale la scienza era ritenuta intoccabile, perfino innalzata nei simboli ufficiali dei singoli stati, né citeremo il genetista Miciurin che realizzava in laboratorio mele gigantesche o Dmitrij Šostakovič costretto a comporre sinfonie sull’elettrificazione dell’Urss. Alla fine, forse, resta da dire a se stessi, non senza amarezza: e se con quelli, i “comunisti”, non avessi mai avuto nulla in comune? Oltre ogni caso personale, mi è accaduto di osservare l’amarezza, in rete, di Elisabetta Canitano, ginecologa, cui si deve, a Roma, uno straordinario impegno civile in difesa della sanità pubblica, oltre alla militanza in Potere al popolo (di cui è stata anche candidata al Campidoglio), proprio lei che non ha certo timore di denunciare l’atteggiamento repressivo del governo Draghi a proposito delle occupazioni dei licei, è comunque costretta a rilevare quotidianamente l’astio di chi reputi il suo convincimento sanitario qualcosa di inaccettabile. Non va meglio in ambito post-brigatista, un insieme che ancora adesso sembra avere rappresentanza del mare magnum dei social.

Sulla pagina di una già stella di prima grandezza del “partito armato” così infatti leggo: “Non sento gli ululati degli antifascisti difensori della Costituzione. Qual è l’articolo della messa al bando di milioni di persone senza uno straccio di reato?” A seguire una ampia spolvero di emoticon di plauso, cui si aggiunge la pagina Facebook dei Marxisti-leninisti-eredi di Stalin, che si distingue per un viaggio nella selva di ulteriori fantasmi che credevo morti da decenni. Alla fine, ripensando alla terza dose appena fatta, come fosse un Gran Collare dell’Annunziata, meglio, un titolo di nobiltà intellettuale, sia detto senza ironia alcuna, sono costretto a definirmi menscevico, di più, tanassiano, nel senso di Mario Tanassi.

Fulvio Abbate. Fulvio Abbate è nato nel 1956 e vive a Roma. Scrittore, tra i suoi romanzi “Zero maggio a Palermo” (1990), “Oggi è un secolo” (1992), “Dopo l’estate” (1995), “La peste bis” (1997), “Teledurruti” (2002), “Quando è la rivoluzione” (2008), “Intanto anche dicembre è passato” (2013), "La peste nuova" (2020). E ancora, tra l'altro, ha pubblicato, “Il ministro anarchico” (2004), “Sul conformismo di sinistra” (2005), “Pasolini raccontato a tutti” (2014), “Roma vista controvento” (2015), “LOve. Discorso generale sull'amore” (2018), "I promessi sposini" (2019). Nel 2013 ha ricevuto il Premio della satira politica di Forte dei Marmi. Teledurruti è il suo canale su YouTube.

Covid, Mattei: "Io, No Vax a metà, combatto il neoliberismo. Un partito? Sarà olistico". Concetto Vecchio su La Repubblica il 9 dicembre 2021. Intervista al giurista che guida gli anti-vaccinisti: "Il Green Pass non serve a niente, contro la pandemia bastano mascherine, depuratori e tamponi salivari distribuiti in massa. Potrebbe servirebbe uno strumento per guidare milioni di persone che stanno soffrendo in questo modo". Colluttazione telefonica col professore Ugo Mattei, giurista piemontese di 60 anni, una vita a sinistra, beni Comuni, battaglie No Tav, candidato sindaco a Torino, e che ora capeggia la Commissione dubbio e precauzione, il movimento degli intellettuali No Green Pass di Massimo Cacciari, Carlo Freccero e Giorgio Agamben. L'altro giorno, a Torino, hanno organizzato un convegno.

Dalla posta dei lettori - “la Repubblica” il 9 dicembre 2021. Caro Merlo, che facciamo coi futuristi fuori tempo massimo? Parlo di Cacciari and company. Come poteva mancare un convegno ad hoc sulle loro tesi. Che ne sarà del futuro? Loro lo sanno ma noi no. Ecco quindi che ci “edottano” e noi come “stronzi” non facciamo niente (citazione del film di Pif). Dovremmo ignorarli? E poi? Questi continuano. Li rimbecchiamo? Ma non siamo all’altezza, mio Dio! Piero Orrù 

Risposta di Francesco Merlo 

Non mi pare che il giurista Ugo Mattei, i filosofi Massimo Cacciari e Giorgio Agamben, e il tuttologo Carlo Freccero siano futuristi. Ragionando sui vaccini sostengono che in Italia regna un pensiero unico che non ammette neppure il dubbio, hanno fondato un gruppo di controinformazione e una commissione permanente. Mancano solo le parole “collettivo”, “ciclostile” “assemblea” e “mozione”. La mia impressione è che si divertano e che la loro non sia politica, ma goliardia attempata. E facendo il verso a se stessi occupano più scena di quanta oramai ne occupavano.

Mattei: «Io, partigiano della Costituzione, pratico la disobbedienza civile contro il green pass». su Il Dubbio il 10 dicembre 2021. Parla Ugo Mattei, il giurista che guida il movimento no pass con Agamben&Co: «Questo governo non legittimo sta violentando la struttura costituzionale italiana. Se fonderemo un partito? Potrebbe servire». «Il Green pass non serve a niente! Io li vedo i giovani, si muovono come se non potessero più ammalarsi. Bastano mascherine, depuratori, tamponi salivari. Sono molto più responsabile di tanti che hanno il Green Pass e che vivono come se non potessero più contagiare». Lo dice a Repubblica Ugo Mattei, il giurista piemontese che fa parte della “Commissione dubbio e precauzione”, il movimento degli intellettuali No Green Pass di Massimo Cacciari, Carlo Freccero e Giorgio Agamben che ha lanciato il proprio manifesto di intenti martedì scorso a Torino.

«Rivendico il mio diritto alla disobbedienza civile contro il pensiero unico – spiega – puntando sulla sanità di prossimità e su terapie che non siano soltanto i vaccini. Assumendo dei medici, finalmente». «Faccio un discorso di carattere costituzionale – afferma il professore che si dice contrario al vaccino contro il Covid per il fatto che non è stato sufficientemente sperimentato, ma non ai vaccini tradizionali in generale – Si stanno obbligando le persone al Green Pass con argomenti estortivi contrari alla Costituzione, hanno cacciato nella sofferenza milioni persone. Con i soldi pubblici si è deciso di sovvenzionare aziende come Pfizer che uccidono così la concorrenza. Se sei un vigile urbano, un carabiniere, un medico, un insegnante, devi vaccinarti. Biden ci ha provato a imporre un obbligo vaccinale di fatto, e si è beccato tre giudici federali che gli si sono messi contro». «Questo governo non legittimo – prosegue Mattei – sta violentando la struttura costituzionale italiana. È mio dovere criticarlo, da partigiano della Costituzione. Utilizzano il lavoro per violentare il consenso. O fai il Green pass o non hai agibilità. È una logica padronale. Un ricatto. Sono inorridito di come le istituzioni di garanzia, come il Quirinale, abbiano trasformato il sistema in una sorta di semipresidenzialismo. Noi Draghi non lo abbiamo votato. Il Green Pass è una forma di controllo sociale. Tra un po’ ci carpiranno altri tipi di informazioni. Ci controlleranno per capire se paghiamo le tasse. Se faremo un partito? Non so. Potrebbe servirebbe uno strumento per guidare milioni di persone che stanno soffrendo in questo modo. Ma non lo chiamerei partito, ma “Olistico”, cioè “del tutto».

Massimo Cacciari e Carlo Freccero, "il partito dei no vax". Chi scende in campo, chi c'è dietro. Francesco Specchia su Libero Quotidiano il 09 dicembre 2021. Mea culpa. La sensazione, sotto le fiamme del dissenso vaccinale, è che gli stregoni vogliano davvero farsi un partito. Pensavamo fossero dei casinisti ideologici. E invece -pur non essendo dei Churchill- disvelano una strategia politica spiazzante. All'inizio pensavamo che il convegno torinese organizzato dall'associazione Generazioni future Rodotà (con arruolamento postumo del fu Stefano Rodotà, fortemente criticato dalla figlia Maria Laura) sul tema Commissione. Dubbio e precauzione (Du.Pre.) si avvitasse su se stesso, nel solito pippone della sinistra- che- non -ce- l'ha- fatta che sposa le tesi No Vax e No Green Pass. E quindi era solo un interesse antropologico verso il Fronte del "No", quello che ci ha spinto a inocularci tutti i 58 narcotici interventi di filosofi, ingegneri, biologi, giornalisti, pschiatri e giuristi (sparuti i virologi, guarda caso, ad eccezione della Gismondo) a sostenere tenacemente la voce degli scettici. Mancava il Massimo Cacciari, che sa di politica, e ha capito tutto.

GUIDA GALATTICA - L'idea di questo pezzo era quella di stilare una strepitosa Guida galattica per antivaccinisti immersi nelle delizie della «controinformazione». E in effetti, per un po' ha parlato l'ex vicequestora Nunzia Schilirò, vamposissima nel denunciare «regimi autoritari e dogmatici che stanno prendendo piede», e uno Stato che «ha i minuti contati» immerso nella «miseria culturale, umana, emotiva logica e di onestà intellettuale. Poi è spuntata dal nulla un'epistemologa che partiva con una supercazzola tra Jacques Maritain e il Conte Mascetti sul «vaccino che previene la malattia e l'infezione, ribaltato il concetto di verità» (grande lo spiazzamento degli astanti). Dopodichè è intervenuto Stefano Scovazzo presidente di tribunale dei minori, il quale precisava «se la legge è stupida il giudice è stupido»; «allora non serve il giudice, basta un algoritmo», gli contestavano, e lui «non vedo perché no». E dopo la toga ecco stagliarsi nell'ordine: un tale Bizzari che sparava cifre sulla vaccinazione dei bambini: «1300 bambini sono pochi per fare una statistica» (è vero, infatti sono 4 milioni, finora); un signore tutto eskimo e statistiche costretto ad ammettere che sì i vaccini in fondo proteggono «ma anche i vaccinati presentano tassi di contagio» (nessuno dice il contrario); una tale Laura con traccine rasta, sulla sessantina, che si chiedeva: «Come si costruisce una transazione sistemica del capitalismo, del patriarcato, del razzismo, uscendo dalla sindemia? Non lasciamo a Draghi la parola 'resilienza'; che vuol dire creare un piccolo gruppo endogeno che traghetta la comunità, come nelle comunità Rom». Robe così, amenità molto di sinistra, gassose, ad uso psicanalitco. Poi invece ho cominciato a capire. Prima Carlo Freccero che, in tre parole, abbandonato il Grande Reset, annuncia un rete di professionisti sul territorio e «un programma web settimanale di lavoro svolto dai nostri confratelli (sic) che esibisca i documenti che il potere stesso pubblica e le testimonianze sulla rete differenti rispetto al mainstream». Poi eccoti Alberto Contri, già presidente storico di Pubblicità Processo, che discettava di guerra e necessità di organizzare la resistenza dalla «trincea dei media alternativi come Signal». Ma, a tracciare la vera linea sono stati sono stati gli interventi dell'organizzatore e presidente, Ugo Mattei, docente di diritto già candidato sindaco che cita come la Bibbia il "principio di precauzione" della Ue- spesso in contrasto con la nostra Costituzione-. E che spara a mitraglia: «Il vaccino è irrilevante a livello di sperimentazione»; «ci sono controinteressi come per l'Eternit e le sigarette; è giusto vaccinare oggi un bambino e fargli venire un cancro fra cinquant' anni per proteggere uno più vecchio delle sua specie?»; «Tutti i medici oggi sono stati educati non da medici ma da informatori farmaceutici».

SLOGAN - Slogan. Provocazioni mascherate da domande socratiche. Che sfociano nella frase: «Saremo pronti, comportandoci per il momento come le condizioni fossero ancora normali, ma saremo pronti anche qualora il degrado dovesse costruire condizioni di inagibilità democratica e costituzionale più avanzate di quelle attuali. Saremo vigili». E, in contemporanea esce l'annuncio di un'organizzazione capillare fatta da gruppi di professionisti sul territorio, scuole parentali, luoghi alternativi, «protagonisti di una vera e propria rinascita con strumenti di incisione sulla realtà». La sintesi è: 3 milioni e passa di italiani non crede nel Covid. Sono semplici scettici, forzanuovisti, il 5% di terrapiattisti, ma pure persone perbene e confuse. Un nuovo partito, in pratica, nella moria delle vacche della politica dominata da Draghi. La novità è che ora qualcuno, quel partito, si prepara a disegnarlo. E non è un pirla... 

Nicola Porro, "idiozia globale: l'ultima balla che vi hanno raccontato sul Covid". Bomba sugli scienziati. Libero Quotidiano l'8 dicembre 2021. Nicola Porro attacca Concita De Gregorio e il filosofo Umberto Galimberti durante l'ultima puntata di In Onda su La7 condotta dalla stessa Concita e da David Parenzo. "Parlando esclusivamente del super green pass e dei nemici del popolo no vax, che secondo lo stesso Galimberti seminerebbero impunemente la morte tra la collettività, ho assistito al solito, deprimente spettacolo di – se così vogliamo definirla – informazione totalmente a senso unico. Una informazione che, per quel che segue, si guarda bene del leggere e confrontare i numeri, limitandosi a gettare in pasto al popolo dei telespettatori tutta una serie di scemenze all’ingrosso da far impallidire le macchiette di Maurizio Crozza", scrive il giornalista sul suo sito. La De Gregorio in effetti non ha le idee chiare sui numeri della pandemia: "La peste del ‘500 sterminò migliaia e migliaia di persone, miliardi di persone", dice. E Porro commenta: "Migliaia o miliardi per lei pari son". Quindi la conduttrice continua: "Le grandi pandemie hanno sterminato moltissime persone, e noi siamo qui sempre un po’ a discutere di lana caprina. Siamo sempre un po’ scontenti di qualcosa, senza forse renderci conto che stiamo affrontando davvero una emergenza sanitaria che in questi due ultimi secoli non ha precedenti". Ma anche qui, nota Porro, "ciò che stiamo affrontando è una forma di idiozia globale, sempre più grave e contagiosa, che soprattutto nel versante cosiddetto progressista sta facendo una vera strage. In questo senso l’ex direttrice dell’Unità dimostra di essere giunta all’ultimo stadio di tale idiozia". La De Gregorio, affonda il giornalista "parla di senso delle proporzioni, e poi non sa che la peste a cui ha fatto riferimento nel migliore dei casi provocò la morte di un terzo della popolazione Europea?". E ancora: "Ha mai sentito parlare della terribile influenza spagnola, la quale tra il 1918 e il 1920 provocò oltre 50 milioni di vittime su una popolazione che era circa un quarto dell’attuale?".

La storia nascosta. Influenza spagnola, storia della grande pandemia del ‘900 che fu rimossa e censurata. Paolo Guzzanti su Il Riformista il 10 Dicembre 2021. Quello che successe 1918 e il 1920 con la furia della febbre cosiddetta spagnola che uccise più del doppio dei morti nelle due guerre mondiali, è stato completamente rimosso e dimenticato. Anche perché quando quella febbre arrivò addosso ai soldati americani che si erano infettati nei campi di addestramento del Kentucky prima di salire sulle navi che li avrebbero sbarcati in Francia per combattere a fianco degli inglesi e dei francesi il nemico tedesco, i comandi militari di tutte le nazioni in guerra furono d’accordo nel decidere che le notizie sulla epidemia non dovessero essere date in pasto alla stampa e l’opinione pubblica e fu così che essendo la Spagna uno dei pochi paesi fuori dal conflitto, chi per caso lesse i giornali spagnoli apprese da quelli che nella penisola iberica infuriava un morbo sconosciuto dal resto del mondo appunto era esattamente il contrario: il resto del mondo aveva il morbo e il morbo aveva infettato anche la Spagna prima di devastare l’Africa, l’Asia, l’Australia e poi tornare rinvigorito nel Sud America e finalmente negli Stati Uniti da cui aveva avuto origine.

Le notizie su quella peste di un secolo fa furono vietate con la censura militare in tutti i paesi che avevano combattuto da una parte o dall’altra la grande guerra anche dopo la fine della guerra. Mentre erano in corso le faticose trattative di Versailles la peste colpì anche il presidente degli Stati Uniti d’America Woodrow Wilson che nel 1919 si era trasferito a Parigi. Wilson aveva portato in Europa la sua utopistica idea di assicurare a ogni etnia una patria e una bandiera, cosa che provocò reazioni violente e truculente, rivolte, rivoluzioni, massacri, pogrom, colpi di Stato nei paesi che, come l’Italia, erano entrati in guerra soltanto per ottenere vantaggi territoriali, asfaltando la strada di Mussolini e di Hitler per ragioni inverse e coincidenti. Il presidente americano si ammalò gravemente di febbre spagnola, che gli provocò un ictus e un’ischemia per cui al risveglio dopo una incerta guarigione si ritrovò orribilmente diverso.

Lo racconta l’economista Keynes che faceva parte della delegazione inglese alle trattative di Parigi e che fuggì scandalizzato scrivendo in un libro la facile previsione: l’intervento di Wilson a sostegno del primo ministro francese Clemenceau che voleva lo smembramento dei popoli di lingua tedesca caricati di un debito insostenibile che conteneva anche il costo delle pensioni militari del Regno Unito oltre al mantenimento del distaccamento militare francese che occupava mezza Germania in cui si moriva letteralmente di fame per strada come accadde col raffreddamento anomalo del XIV Secolo, avrebbe certamente portato a una nuova guerra. Quello dell’epidemia e della follia di Wilson e delle reazioni popolari fu un caso non casuale, utile per dare un’idea di come le epidemie possano determinare gli eventi umani. L’assetto del mondo così come ci appare sotto gli occhi oggi è pervaso da una sua interna complessità che pochi sembrano in grado di volere affrontare, chiarire appunto, prima che una nuova catastrofe pandemica e bellica si abbatta sull’umanità del nostro secolo. Quel che sta accadendo alle frontiere bielorusse e polacche e in Lituania da una parte e il forte rialzo delle corde vocali dei colloqui via Internet tra Putin e Biden promette guerra. L’atteggiamento giustamente inflessibile ma altrettanto rischioso dell’Unione Europea anche. Le parole del presidente cinese non sono da meno, così come quelle del governo di Canberra. Così come quelle del governo di Tokyo. Così quelle del governo indonesiano. I venti di guerra hanno soffiato tante volte nel corso degli ultimi ottanta anni ma poi si sono spenti senza che il fuoco si accendesse. Negli anni Ottanta si dava per scontata la guerra fra Unione Sovietica e Cina comunista lungo la frontiera del fiume Ussuri che poi non ci fu. Ma altre cento piccole e medie guerre hanno corroso la pace e la percezione della differenza fra pace e guerra. Nessuno è in grado di dire come andranno le cose, ma nessuno sarà neppure in grado di dire come si svilupperanno sentimenti e risentimenti e quali “capri espiatori” verranno chiamati sull’altare del coltello e del fuoco.

Paolo Guzzanti. Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.

La spagnola fu “cancellata” da una variante come Omicron. Basta panico. Leopoldo Gasbarro su Nicolaporro.it l'8 Dicembre 2021.

Com’è sparita l’influenza spagnola?

Qualche anno fa sono stati trovati dei cadaveri nel ghiaccio di persone morte per Spagnola, ed è stato possibile isolare il virus e capire che era una variante del virus influenzale. La Spagnola è scomparsa abbastanza rapidamente, così come era arrivata. La ragione esatta non la sappiamo. È possibile che ci sia stata, dopo la fase più virulenta e drammatica, un’ulteriore variazione del virus, e che questo sia scomparso dopo che sia ulteriormente variato e diventato meno letale.

«La Spagnola è stata combattuta con le stesse misure igienico-sanitarie di oggi: distanziamento sociale, quarantene, mascherine. Poi si è estinta per lisi, con progressiva attenuazione della sua aggressività, nel giro di un anno e mezzo».

Giovanni Ingrassia, medico palermitano del ’500 diceva che la peste va combattuta con «Oro, fuoco e forca». Ai tempi del coronavirus può essere tradotto in: «Incentivi del governo, amuchina e multe per chi trasgredisce alle regole»

I ricordi e le indicazioni sanitarie arrivano dagli storici della medicina Sironi e Cosmacini. Le loro interviste per il Corriere e per altri giornali italiani risalgono ad oltre un anno fa, ma il senso vero di quello che dicevano forse stiamo per sperimentarlo proprio in queste ore.

Le notizie che ci fanno davvero sperare che tutto possa finire nel giro di qualche mese, magari un anno, arrivano dal Sudafrica, terra in cui è nata e si sta sviluppando Omicron.

Secondo Richard Friedland, amministratore delegato di Netcare Ltd., i primi giorni della variante suggeriscono che non c’è assolutamente bisogno di farsi prendere dal panico e che potrebbe effettivamente essere una buona cosa.

“Se nella seconda e terza ondata avessimo visto questi livelli di positività ai test condotti, avremmo visto aumenti molto significativi dei ricoveri ospedalieri e non lo stiamo vedendo. Nelle nostre cliniche di cure primarie si tratta principalmente di persone di età inferiore ai 30 anni”, ha affermato.

“Quindi penso che in realtà ci sia un lato positivo qui e questo potrebbe segnalare la fine di Covid-19, attenuandosi a tal punto da essere altamente contagioso, ma non causare malattie gravi. È quello che è successo con l’influenza spagnola”.

“Stiamo assistendo a infezioni rivoluzionarie di persone che sono state vaccinate, ma le infezioni che stiamo vedendo sono da lievi a moderate. Quindi, per gli operatori sanitari che hanno ricevuto dei richiami, è per lo più lieve. Penso che tutta questa faccenda sia stata comunicata così male e che si sia generato così tanto panico inutilmente”.

I commenti di Friedland non saranno accolti tanto allegramente da Big Pharma, che continua a realizzare enormi profitti da infiniti vaccini di richiamo ed anche da un numero sempre più grande di tamponi.

Le sue osservazioni non saranno amplificate dai media aziendali, che hanno goduto di un enorme aumento degli ascolti a causa dell’infinita propaganda del COVID.

Tuttavia, la dichiarazione dell’amministratore delegato è correlata a ciò che altri esperti di salute sul campo in Sud Africa hanno detto su Omicron.

Il medico che per primo ha scoperto la variante  dice  che è “lieve” e non ha causato un aumento dei ricoveri.

Contrastando l’allarmismo globale sulla variante Omicron di COVID-19, il medico che per primo l’ha scoperto afferma che il ceppo è “lieve” e non ha causato un aumento dei ricoveri.

I governi di tutto il mondo stanno imponendo nuovi divieti di viaggio e altre restrizioni sui virus in risposta alle affermazioni che il nuovo ceppo è più trasmissibile e potrebbe rivelarsi più mortale della Delta.

Tuttavia, quelli con la maggiore esperienza sul campo in Sud Africa dicono tutti il ​​contrario.

Barry Schoub, presidente del Comitato consultivo ministeriale sui vaccini, ha dichiarato a Sky News che il panico era stato mal riposto.

South Africa: 'Variant spreading rapidly' but don't be too alarmed says Prof Barry Schoub

“I casi che si sono verificati finora sono stati tutti casi lievi, da lievi a moderati, e questo è un buon segno”, ha affermato Schoub.

“Allo stesso tempo, si potrebbe sottolineare che mentre Omicron potrebbe presto diventare il ceppo dominante a causa del suo più alto R-nought (o ritmo di trasmissione), ciò potrebbe essere una benedizione mascherata in quanto spinge fuori il molto più pericoloso ( e più stabile) ceppo Delta”, osserva Zero Hedge .

Angelique Coetzee, presidente della South African Medical Association, ha fatto eco ai sentimenti di Schoub, osservando che i pazienti infettati da omicron avevano “sintomi che erano così diversi e così lievi da quelli che avevo trattato prima”.

Coetzee ha affermato di non aver osservato “sintomi evidenti” e che la variante non sembra esercitare pressioni sugli ospedali.

Non ci sono stati morti per Omicron in tutto il mondo e in paesi come il Regno Unito non ha nemmeno causato il ricovero in ospedale di nessuno.

Nonostante il fatto che Omicron si stia dimostrando significativamente meno spaventoso di quando è stato scoperto inizialmente, i governi sono comunque andati avanti per imporre nuove restrizioni e imporre mandati vaccinali draconiani sulle loro popolazioni.

Alessandra Arachi per il Corriere della Sera il 4 dicembre 2021. È la parola «irrazionale» quella scelta dal Censis per definire la società italiana del 2021 nel suo rapporto annuale. Inevitabili gli influssi della pandemia, tante le paure senza fondamento verso la scienza riferita al Covid (il 31,4% degli italiani, ad esempio, pensa che il vaccino sia un farmaco sperimentale). Eppure ci sono due dati che più di altri saltano agli occhi: la quota di italiani che dichiara che il Covid non esiste (5,9% pari a 3 milioni di persone) è uguale a quella di chi è convinto che la Terra sia piatta (5,8). E ancora: per il 10,9% il vaccino è inutile, una percentuale analoga a chi è convinto che l'uomo non sia mai sbarcato sulla luna (il 10%). Come a dire: la pandemia non ha aumentato lo zoccolo duro degli irragionevoli. Una pandemia che non ha portato soltanto macerie. A scorrere le statistiche elaborate dal Censis in mezzo alle tante ombre brillano luci che fanno sperare. 

Il welfare familiare. Nel 2021 c'è stato un rimbalzo del Pil (+6%) ma le previsioni - è scritto nel rapporto - portano a una rapida decrescita: già nel 2023 sarà soltanto dell'1,9% e in prospettiva ci sarà un ripiegamento verso lo zero virgola. Più della metà degli italiani (il 51,2%) pensa di non tornare più al benessere del passato. Ma c'è la forza di un welfare familiare che sostiene la fiducia degli italiani. E se il 28,4% ritiene che dopo la pandemia la propria situazione economica peggiorerà, c'è un 54,6% che pensa che rimarrà uguale e, addirittura, un 15,2% che crede in un miglioramento.

L'aumento della povertà. Ma la fotografia del Censis immortala anche un Paese sempre più povero - le famiglie in povertà assoluta nel 2020 sono 2 milioni, +104,8% - con una situazione peggiorata soprattutto al Nord. Una società in cui il patrimonio delle famiglie continua a ridursi e permane un gap salariale non solo tra donne e uomini, ma anche tra under-30 e over-45 e tra contratti fissi e a termine. In questa società in cui nascono sempre meno figli e il «silver welfare» resta una colonna, a pagare il prezzo più salato della pandemia, sono stati donne e giovani.

Incognite dei consumi. Nel 2021 dopo la fine del lockdown c'è stata un'impennata dei consumi delle famiglie (+14,4% tra il secondo trimestre del 2020 e il secondo del 2021). Ma la crescita tendenziale su base annua, +5,2%, risulta inferiore al Pil e quindi il Paese non tornerà sui livelli di spesa del 2019. Da considerare anche la bolla del risparmio dovuto all'eccesso di cautela che ha penalizzato i consumi: nel 2021 la liquidità delle famiglie è aumentata di 76 miliardi di euro (+5%), raggiungendo la quota di 1.600 miliardi. C'è però una bella luce che rischiara questi conti: l'indice di fiducia dei consumatori. Nel 2020 era crollato a 92,6 punti. Nel settembre di quest'anno ha raggiunto i 119,6, un valore superiore a quello del 2018.

Più qualità della vita. La pandemia ci sta lasciando una bella eredità: la riscoperta della qualità della vita. Stili di consumo e comportamenti che sembravano destinati al declino: gli spazi aperti privati (i dehors di bar e ristoranti), lo spazio pubblico (i parchi urbani), la riscoperta dei negozietti di quartiere. E poi gli spostamenti a piedi: +67,7%. 

Il soccorso della Rete. Le tecnologie, protagoniste della pandemia, hanno fatto sì che quasi tutti i consumi durante il lockdown siano passati per internet. Ma non sarà così in futuro: secondo il Censis il 64% degli italiani tornerà a fare acquisti in luoghi fisici. La Rete durante il periodo di isolamento è venuta in soccorso degli italiani: il 58,6% ha potuto provvedere alle proprie necessità, il 55,3% ha mantenuto le relazioni sociali, il 55,2% ha continuato a lavorare e a studiare.

Il Covid e la solidarietà. La pandemia ha valorizzato il lato umano degli italiani. Uno su tre si è impegnato in iniziative collettive di solidarietà. Ed è così che solo un ente non profit su dieci ha interrotto la propria attività.

Il rapporto Censis. In Italia aumentano i complottisti: per 3 milioni il Covid è un’invenzione…Giulio Cavalli su Il Riformista il 4 Dicembre 2021. È un’Italia a tratti spaventosa quella che esce dal 55esimo rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese: irrazionale, insoddisfatta, spaventata, sempre più povera, che dissipa competenze, più difficile per i giovani e le donne e condizionata da internet. Il rapporto presentato ieri a Roma infatti racconta che accanto a una maggioranza ragionevole si è levata in questo ultimo anno «un sonno fatuo della ragione, una fuga fatale nel pensiero magico, stregonesco, sciamanico, che pretende di decifrare il senso occulto della realtà». Nel Paese ci sono circa 3 milioni di persone (il 5,9% degli italiani) per cui il Covid è solo un’invenzione.

Per il 10,9% il vaccino è inutile e inefficace. Per il 31,4% è un farmaco sperimentale e le persone che si vaccinano fanno da cavie. Per il 12,7% la scienza produce più danni che benefici. Non è un caso che si osservi «una irragionevole disponibilità a credere a superstizioni premoderne, pregiudizi antiscientifici, teorie infondate e speculazioni complottiste»: si passa dal 5G che dovrebbe essere una tecnologia per controllare le menti (e nonostante sembri uno sparuto gruppetto ci crede il 19,9% degli italiani) fino a un 5,8% di italiani che si dichiara “sicuro” che la terra sia piatta e un 10% convinto che l’uomo non sia mai sbarcato sulla Luna. Secondo il Censis «la teoria cospirazionistica del “gran rimpiazzamento” ha contagiato il 39,9% degli italiani, certi del pericolo della sostituzione etnica: identità e cultura nazionali spariranno a causa dell’arrivo degli immigrati, portatori di una demografia dinamica rispetto agli italiani che non fanno più figli, e tutto ciò accade per interesse e volontà di presunte opache élite globaliste» (e qui sarebbe interessante valutare l’impatto di certa retorica politica). Si tratta di una ripartenza che vede due tensioni opposte: chi traduce l’attesa in preparazione di un nuovo inizio e chi chi rifugge dalla consapevolezza che la realtà è altra cosa rispetto alla propria rappresentazione.

Secondo il Censis la fuga nell’irrazionale è l’esito di aspettative insoddisfatte. L’81% degli italiani ritiene che oggi è molto difficile per un giovane vedersi riconosciuto nella vita l’investimento di tempo, energie e risorse profuso nello studio. Il 35,5% è convinto che non conviene impegnarsi per laurearsi, conseguire master e specializzazioni, per poi ritrovarsi invariabilmente con guadagni minimi e rari attestati di riconoscimento. Per due terzi (il 66,2%) nel nostro Paese si viveva meglio in passato. Sono più della metà (il 51,2%) gli italiani convinti che non ci sia nessuna possibilità di tornare al benessere del passato e infatti solo il 15,2% degli italiani ritiene che dopo la pandemia la propria situazione economica sarà migliore. Per la maggioranza (il 56,4%) resterà uguale e per un consistente 28,4% peggiorerà. Intanto il patrimonio delle famiglie a causa della diminuzione del reddito lordo (-3,8% in termini reali nel decennio) si è ridotto nell’ultimo decennio (2010-2020) del 5,3% in termini reali. E le cose non sembrano andare meglio: a ottobre 2021 il rialzo dei prezzi alla produzione nell’industria è stato consistente: +20,4% su base annua. Si registra un +80,5% per l’energia, +13,3% per la chimica, +10,1% per la manifattura nel complesso, +4,5% per le costruzioni. Si perde fiducia anche nella formazione scolastica: l’80,8% degli italiani (soprattutto i giovani: l’87,4%) non riconoscono una correlazione diretta tra l’impegno nella formazione e la garanzia di avere un lavoro stabile e adeguatamente remunerato. E intanto rimaniamo un Paese in cui quasi un terzo degli occupati possiede al massimo la licenza media. Inevitabile la guerra generazionale: il 74,1% dei giovani tra i 18-34 anni ritiene che ci siano troppi anziani a occupare posizioni di potere nell’economia, nella società e nei media, enfatizzando una opinione comunque ampiamente condivisa da tutta la popolazione (65,8%). I Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, costituiscono una eclatante fragilità sociale del nostro Paese. Tra tutti gli Stati europei, l’Italia presenta il dato più elevato, che negli anni continua a aumentare.

Anche le donne pagano la pandemia: il tasso di attività femminile (la percentuale di donne in età lavorativa disponibili a lavorare) a metà anno è al 54,6%, si è ridotto di circa 2 punti percentuali durante l’emergenza pandemica e rimane lontanissimo da quello degli uomini, pari al 72,9%, collocando l’Italia all’ultimo posto in Europa. Cresce inevitabilmente l’utilizzo di internet per provvedere alle proprie necessità (58,6%), per le relazioni sociali (55,3%) e per lavorare o studiare (55,2%). Ci sono anche risvolti positivi: la pandemia ha portato a una riscoperta del valore della solidarietà. Un terzo degli italiani ha partecipato a iniziative di solidarietà legate all’emergenza sanitaria, aderendo alle raccolte di fondi per associazioni non profit, per la Protezione civile o a favore degli ospedali. Infine il parere degli italiani sulla gestione dell’emergenza da parte delle istituzioni: il 20,7% degli italiani ritiene che abbia prodotto buoni risultati, per il 56,3% è stata abbastanza adeguata, per il 23,0% inadeguata. Per ripartire servirà molto di più di qualche decreto.

Giulio Cavalli. Milano, 26 giugno 1977 è un attore, drammaturgo, scrittore, regista teatrale e politico italiano.

Caro Censis, che dici? Gli italiani non sono irrazionali e no vax, ma l’esatto contrario. Perché l'Istituto (nel suo 55esimo Rapporto) parla di «un’ondata complottista» se siamo tra i primi al mondo per vaccinazioni? Daniele Zaccaria su Il Dubbio il 4 dicembre 2021. E così per il Censis saremmo un popolo in preda a una sinistra ondata di irrazionalità, travolto dalle superstizioni e dal complottismo che la pandemia avrebbe scoperchiato come un vaso di Pandora. Una deriva che metterebbe a rischio la stessa coesione nazionale, «infiltrando il tessuto sociale». È quanto emerge dal 55esimo rapporto annuale del più importante istituto ricerca italiano che ci restituisce una fotografia allarmante e allarmista della vita pubblica del nostro Paese nell’epoca del Covid 19. Tanto che il primo capitolo del documento, Gli italiani e l’irrazionale è dedicato proprio a questa sbandierata emergenza.

I toni sono ansiogeni: «La razionalità che nell’ora più cupa palesa la sua potenza risolutrice lascia il posto in molti casi a una irragionevole disponibilità a credere alle più improbabili fantasticherie, a ipotesi surreali e a teorie infondate, a cantonate e strafalcioni, a svarioni complottisti, in un’onda di irrazionalità che risale dal profondo della società». Per dimostrare questa tesi vengono citate alcune cifre, ad esempio il 31% degli italiani «si dice convinto che il vaccino è un farmaco sperimentale e che quindi le persone che si vaccinano fanno da cavie». Oppure il 10,9 che ritiene il vaccino dannoso ed inefficace», o il 12,9% che giudica la scienza provochi «più danni che benefici», fino a un 5,9% di “duri e puri”, certi che il Covid sia un’invenzione dei “poteri forti”.

«Si leva un’onda di irrazionalità, un sonno fatuo della ragione, una fuga fatale nel pensiero magico, stregonesco, sciamanico, che pretende di decifrare il senso occulto della realtà circostante», mette in guardia il rapporto. Certo, tre milioni di negazionisti possono fare impressione, ma se si guardano questi numeri nella cornice globale, o semplicemente in quella europea, l’effetto svanisce: con il 77,2% di vaccinati (parliamo di seconda dose) l’Italia è tra le nazioni comunitarie più virtuose, tra i grandi Paesi solamente la Spagna è avanti a noi con l’80,5%.

L’efficiente Germania ha nello stesso periodo vaccinato il 68% dei cittadini e lo stesso Regno Unito, che ha lanciato la campagna prima di tutti gli altri Paesi non supera il 69%, la Francia è appena avanti con 69.8, mentre in Austria, dove è stato decretato un nuovo lockdown sono il 66%. Spostandosi a est le percentuali poi precipitano vertiginosamente. Si va dal 60% dell’Ungheria, al 54% della Polonia, dal 45% della Serbia al 38% della Romania, al misero 25% della Bulgaria. Fuori dall’Unione europea preoccupa la Russia con il 39% e soprattutto l’Ucraina, ferma al 26%, paesi dove stanno aumentando, oltre che i contagi, anche i ricoveri in terapia intensiva.

Oltreoceano non se la passano benissimo gli Stati Uniti che hanno vaccinato il 59% della popolazione (il confinante Canada è quasi venti punti sopra) o il Brasile (62%) e la stessa Australia, dove chi ha violato le norme su quarantena e isolamento è stato sbattuto in prigione, non va oltre il 73%, a fronte di una popolazione numericamente inferiore a quella della pianura padana.

Insomma, a differenza di quanto affermi il Censis nel suo rapporto, la percentuale di italiani che “crede” alla scienza medica è tra le più alte al mondo e tratteggia un ampio consenso dei cittadini nei confronti dei protocolli sanitari disposti dai governi Conte e poi Draghi. E non era affatto scontato, considerando lo smarrimento dell’intera classe politica di fronte allo scoppio della pandemia e la stucchevole sarabanda di virologi ed epidemiologi che sugli schermi televisivi si sono continuamente contraddetti alimentando ancora più panico e confusione. Per fortuna sullo scetticismo ha prevalso il buon senso, sull’ideologia si è imposto il pragmatismo.

Eppure il Censis, con parole inquietanti disegna uno scenario ancora più inquietante, mettendoci in guardia sui «movimenti di protesta che hanno infiammato le piazze».  A parte l’assalto alla Cgil orchestrato dagli estremisti di Forza Nuova, le manifestazioni no vax e contro il green pass che si sono succedute negli ultimi mesi non hanno quasi mai creato incidenti o disordini, mentre i numeri della partecipazione a cortei e sit in “negazionisti” rimangono modesti. Bisognerebbe dirlo anche ai media come il Corriere della Sera, Repubblica e il Sole 24 ore che ieri rilanciavano con titoli angosciosi il rapporto dell’istituto fondato da Gino Levi Martinoli e Giuseppe De Rita, parlando di un paese «fobico e cospirazionista».

Quinto potere. Sorpresa, i telespettatori cambiano spesso canale quando i tg pubblicano servizi leggeri. Alberto Cantoni su L'Inkiesta il 16 Dicembre 2021. Il pubblico televisivo è più interessato alle hard news che alle soft news. Ma questo non impedisce alle emittenti italiane di inserire inutile intrattenimento nel tentativo disperato di fare più audience. Chi è laureato guarda la metà di minuti un telegiornale rispetto a chi ha la licenza elementare. Nonostante nel nostro Paese la televisione continui a essere la principale fonte di informazione, la maggior parte degli italiani non guarda il telegiornale tutti i giorni. Ma soprattutto, gli spettatori dei notiziari tendono a cambiare canale più durante la trasmissione delle cosiddette soft news (sport, intrattenimento, moda) che durante le hard news (politica, economia, esteri), e questa propensione ad abbandonare il programma cresce con l’avanzare del telegiornale. È quanto emerge da una ricerca portata a termine da Marco Gambaro dell’Università Statale di Milano, Valentino Larcinese della London School of Economics, Riccardo Puglisi dell’Università di Pavia e Jim Snyder dell’Università di Harvard (pubblicata sul sito del Nation Bureau of Economic Research). L’indagine prende in esame gli ascolti e gli abbandoni dei sei principali telegiornali serali italiani, anche in funzione delle tipologie di notizie trasmesse. 

Gli analisti politici di quasi tutti i paesi democratici si lamentano della mancanza di conoscenza e informazione nell’elettorato. Alcuni incolpano il mercato dei media per questa situazione, sostenendo che ci sono troppe notizie soft e non abbastanza notizie informative, specialmente nei palinsesti dei telegiornali. Altri ribattono che le aziende che vogliono aumentare i profitti devono fornire agli spettatori ciò che vogliono, come le risse nei talk show. E se forniscono soft news, è perché l’audience lo richiede.

Come lo stesso Gambaro spiega a Linkiesta, «nella scienza politica internazionale – soprattutto all’interno del dibattito statunitense – c’è una tendenza consolidata, secondo la quale i telegiornali sono riempiti di soft news per attrarre gli spettatori che in questo modo fruiscono anche della controparte hard». 

L’analisi che emerge dal nuovo studio italiano, invece, dimostra il contrario: non risultano prove del fatto che gli spettatori tendono a cambiare canale con più facilità durante servizi di hard news che durante servizi “leggeri”. Anzi, semmai è vero il contrario. Per questo, l’ipotesi che ci sia una tendenza generale da parte di tutti i telespettatori a cercare intrattenimento anche mentre guardano i telegiornali, risulta semplicemente incoerente.

Dal paper della ricerca emerge anche un’altra serie di evidenze: confrontando i dati Itanes (Italian National Election Study) con le rilevazioni Auditel, risulta come l’80% degli italiani dichiari di guardare un telegiornale tutti i giorni, mentre quelli che in un qualsiasi orario giornaliero guardano almeno 5 minuti di notiziario sono meno del 3%. 

Un’altra opinione ricorrente nelle analisi politiche è che le persone più istruite e più ricche siano tendenzialmente più informate. Eppure, dalla ricerca risulta come le persone con un livello di istruzione più basso seguano più informazione giornalistica (anche a livello di minutaggio giornaliero di hard news) rispetto a quelle considerate più colte.

Inoltre, risulta chiaro come la fruizione televisiva sia legata a variabili demografiche quali età, istruzione e sesso. Questi fattori influenzano il consumo di notizie, che va dai 16 minuti al giorno per chi è laureato ai 34 minuti per chi ha la licenza elementare; oppure dai 39 minuti per chi ha settant’anni ai 12 minuti per chi ne ha trenta. 

La percentuale di tempo dedicato alle news rispetto al totale dell’ascolto televisivo è di circa il 10-11% ed è costante tra le varie categorie demografiche (fatta eccezione per i giovani che passano meno tempo davanti alla tv.  

Carta trash. L’ex consigliere Rai, la rissa dalla Berlinguer e la tv che ha senso solo se è orrenda.  L'Inkiesta il 16 Dicembre 2021. Venti minuti di offese, deliri e dati citati a caso in uno studio televisivo. Però smettiamola di far finta che andare in un talk sulla pandemia sia un lavoro diverso da quello che fa chi va a Uomini e donne. La televisione ha senso solo se è orrenda. Lo dico senza voler rompere il giocattolo a tutti quelli che hanno deciso di posizionarsi dalla parte della tv buona, della tv giusta, della tv beneducata, della tv colta, della tv che non invita chi non si fida della scienza (esiste una frase più antiscientifica di «mi fido della scienza»?). Peraltro il giocattolo l’hanno già rotto gli antivaccinari colti, quelli che ti citano la saggistica invece di fare gli status coi puntesclamativi su Facebook. «A differenza della plebaglia no-vax, sono un no-vax colto e raffinatissimo», diceva sabato scorso su Repubblica il personaggio della vignetta di Altan, uno sul quale si può sempre contare per sintetizzare lo spirito del tempo.

La televisione ha senso solo se è orrenda sempre, ma specialmente in questo biennio monotematico in cui la pandemia ha fornito alla tv italiana, già non esattamente ricchissima di idee, la scusa perfettissima per non farsi venire un’idea per nessuna ragione mai: riempiamo la tv di conversazioni sempre uguali sui contagi, i vaccini, i bambini, la scuola, l’rt, le varianti, la rava, la fava.

«La gente li guarda», ti rispondono se provi a far presente che è un palinsesto da orchite. Di tutte le diramazioni classiste, quella che nessuno studia è quella per la quale al porocristo privo di vita interiore e d’interessi intellettuali, una volta tenuto in casa dalla pandemia o dall’inverno, tocca farsi andar bene dei talk-show da morire di noia, e la sua rassegnazione viene pure presa per consenso entusiasta.

La televisione ha senso solo se è orrenda, e infatti martedì Bianca Berlinguer l’ha vista una media d’un milione e quattrocentomila spettatori, mentre di solito il programma è intorno al milione. Cosa ha attratto il pubblico che martedì sera era davanti al televisore? Quei venti minuti in cui, probabilmente grazie al messaggio d’un nipote che incitava «nonno, cambia, c’è la rissa», gli italiani hanno cambiato canale, quei venti minuti sono gli stessi dei quali ci si scambiavano informazioni carbonare nella notte tra gente che non era davanti alla tele ma pure aveva ricevuto messaggi, e per i quali io sono corsa a recuperare la puntata su RaiPlay ieri mattina.

Il blocco (gergo televisivo per: quella parte di programma) era così concepito. In studio, la conduttrice, un giornalista dalla parte dei buoni (vestito con una giacca che poteva essere di Margiela e che appariva del tutto incongrua rispetto all’ambiente da Gai Mattiolo), e un ex consigliere Rai in quota agli antivaccinari colti. Collegati, una donna incinta che testimoniava il proprio eroico essersi vaccinata, un giornalista dalla parte dei picchiatelli, il presidente della regione Emilia Romagna, e Antonio Caprarica, a lungo corrispondente da Londra della Rai.

Si parte subito bene, con la conduttrice che parla delle «donne incinta»; perfettissima televisione, se chi è pagato per lavorare con le parole non ha imparato in decenni di mestiere e licenza elementare che il plurale è «incinte»: è per sentir parlare come nelle pagine Facebook di mamme analfabete che accendiamo, mica per sentir declamare le tesi di Wittenberg.

La prima parte di questo zoo di vetro si svolge con le dinamiche consuete: parlano solo gli ospiti in studio, e i collegamenti vengono trascurati. Anche perché in studio principia una rissa non male in cui si confrontano il delirio dell’ex consigliere d’amministrazione che dice che lui s’è fatto venire un infarto per la Rai (dopo i delitti passionali, le cartelle cliniche passionali), e quello del giornalista che lo aggredisce, «non sa niente di scienza, cosa ti può dire, questo è uno che non sa dov’è adesso» (e quell’altro: «ma come ti permetti, ma io ti denuncio, ma sei uno stupido»).

La povera Berlinguer fatica un po’ a coinvolgere i collegamenti, mentre in studio volano meraviglie quali «nano» e «bollito» (la seconda media non finisce mai, non finisce mai, non finisce mai mai mai). Quando però riesce a far parlare i collegati, arriva la meraviglia vera.

L’ex consigliere d’amministrazione legge da dei fogli (che poi mostrerà con gesto saperlalunghista alla telecamera) cose tipo il numero dei morti per fumo, Caprarica dal collegamento prova a interromperlo, e quello: «Caprarica, io di lei mi ricordo le note spese, quindi stia buono».

Seguono minuti in cui: la Berlinguer urla «è inaccettabile»; l’ex consigliere urla «i dati!»; il giornalista in studio urla «per capire l’emergenza basta guardare te, buffone»; Caprarica continua a cercare di riprendere la parola; la Berlinguer prima dice «non m’interessa niente di chi muore di fumo», poi si ricorda di vivere nella dittatura della decontestualizzazione e corregge «cioè, m’interessa molto» (erano già pronti i meme scandalizzati per il disinteresse per i morti per fumo); l’ex consigliere d’amministrazione decide di fare il gran gesto d’abbandonare lo studio (non c’è niente di più televisivo che abbandonare uno studio televisivo a telecamere accese) ma si dirige dalla parte sbagliata mentre la Berlinguer continua a urlare «deve uscire dall’altra parte»; Caprarica riesce a riprendere la parola per dire «questo signore che ha rovinato la Rai» (addirittura, e io che lo credevo un carneade) e «vi annuncio che io lo denuncio, e chiedo che la Rai prenda le distanze da miserabili di questa fatta» (ho un debole per quelli che quando perdono la pazienza parlano come Cyrano de Bergerac).

Insomma, sono stati venti minuti di ottimissima televisione, dopo i quali ognuno continuerà a ritenere di saperla lunghissima: noi che abbiamo deciso di fidarci delle convinzioni più diffuse nella comunità scientifica, e quelli che pensano «a me non mi fregano». E dopo i quali anche i più ottusi avranno capito che il punto non è se si possa o no urlare «al fuoco!» in un teatro pieno (l’esempio più abusato degli ultimi due anni), o se si debba, come ripeteva la povera Berlinguer, «dar voce a tutti». Il punto è che la tv non deve educarci: deve intrattenerci. Smettiamola di far finta che andare in un talk sulla pandemia sia un lavoro diverso da quello che fa chi va a Uomini e donne. Piuttosto, cari intellettuali che andate in quella tv che ha pretese di serietà, cercate di imparare il mestiere da Tina Cipollari.

"Cretino", "Bollito". Rissa in tv con Scanzi. Il prof va via...Francesca Galici il 15 Dicembre 2021 su Il Giornale. Toni molto alti durante la discussione tra Alberto Contri e Andrea Scanzi sui vaccini. Il prof litiga anche con Caprarica e lascia lo studio della Berlinguer. La quota contradditoria nel dibattito su vaccino e Green pass a Cartabianca di questa settimana è stata affidata ad Alberto Contri, docente universitario e membro della neonata commissione Dubbio e precauzione. Il professore era ospite in studio insieme ad Andrea Scanzi, giornalista de Il fatto quotidiano. Tra i due sono volate scintille e nemmeno Bianca Berlinguer è riuscita a riportare la calma tanto che, dopo aver discusso pure con Antonio Caprarica ospite in collegamento, Alberto Contri ha deciso di lasciare lo studio. "Questa non è una pandemia, ma una sindemia. Una patologia che prende soprattutto gli anziani. Non mi fido di questo tipo di vaccino, aspetto quello proteico", ha detto nel suo intervento, tra le altre cose, Alberto Contri. Le esternazioni del professore hanno trovato poco terreno fertile nell'altro ospite in studio, Andrea Scanzi, che appena ha avuto modo di prendere la parola ha detto la sua:"Alberto Contri è l’emblema del cattivo maestro in questa fase storica. Non sa nulla di scienza, né di cosa stia parlando. A 77 anni ha scoperto che esiste il web e pensa che lì ci sia la verità". Da questo momento in poi nello studio di Cartabianca gli animi si sono incendiati e Alberto Contri e Andrea Scanzi hanno iniziato a insultarsi con un tono di voce davvero alto, che ha costretto Bianca Berlinguer ad alzare a sua volta il tono. "Sei uno stupido, io ho lavorato 21 anni con le case farmaceutiche", ha urlato Contri all'indirizzo di Andrea Scanzi, che ha iniziato a urlare sopra il professore: "Hai una grandissima carriera ma non sai niente di scienza". Lo scontro tra i due si è fatto sempre più acceso, con Alberto Contri che a più riprese si è difeso sostenendo di aver portato i dati ufficiali e Scanzi che non voleva sentire ragioni. "Ma quali dati ufficiali, ma vai a zappare", ha sbottato il giornalista. Ci sono state <ncora schermaglie tra i due finché Alberto Contri non ha alzato il livello dello scontro e, rivolgendosi a Scanzi, l'ha apostrofato come "nano" e "mascalzone", ricevendo in cambio l'epiteto di "bollito" da parte di Andrea Scanzi. In tutto questo la Berlinguer ha cercato inutilmente di riportare la calma nel suo studio, minacciando di spegnere i microfoni. La discussione sembrava rientrata nei ranghi, ma l'intervento di Antonio Caprarica, favorevole alla vaccinazione e contrario alla derubricazione della pandemia solo perché sono percentualmente in misura maggiore gli anziani che muoiono di Covid, ha nuovamente innescato la scintilla. Alberto Contri, che in passato ha lavorato anche in Rai, ha fatto cenno a qualche precedente tra loro, al che Antonio Caprarica ha sbottato: "Lei è un cialtrone". Alberto Contri ha quindi provato a spostare il discorso sulla quantità di morti provocati da altri fattori ma la conduttrice è stata irremovibile sulla necessità di mantenere il discorso sul punto originale. Dopo lo scontro con Caprarica si è riaccesa la discussione con Andrea Scanzi, che ha nuovamente attaccato il professore: "Hai i neuroni di un cercopiteco". Ed è a questo punto che Alberto Contri si è alzato e se ne è andato dallo studio: "Basta, io con questo cretino non ci sto. Stupido, mascalzone. Che il servizio pubblico si permetta di far parlare un giornalistuncolo come questo... Ma che vergogna". Antonio Caprarica ha annunciato di voler adire le vie legali contro Alberto Contri. "Chiedo che la Rai prenda le distanze", ha concluso il giornalista, invitato da Bianca Berlinguer ad andare avanti.

"Scusi, lei è vaccinato?". La reazione di Costanzo in tv. Francesca Galici il 15 Dicembre 2021 su Il Giornale. Scontro verbale tra Maurizio Costanzo e Ugo Mattei sulla gestione della pandemia: il giornalista usa l'ironia per confrontarsi col professore. Mentre su Rai3 a Cartabianca andava in onda la violenta lite tra Andrea Scanzi e Alberto Contri, su La7 Maurizio Costanzo discuteva con un altro esponente della commissione Dubbio e precauzione, della quale oltre a Contri fanno parte anche Maurizio Cacciari, Carlo Freccero e Giorgio Agamben. Era da alcune settimane che Maurizio Costanzo non partecipava a Di Martedì, il programma concorrente di Cartabianca al martedì sera. La dialettica del giornalista è a tratti inarrivabile e se n'è accorto anche Ugo Mattei, giurista e professore universitario, che ha discusso con Maurizio Costanzo sull'attuale gestione della pandemia da parte del governo. Per dialogare con Mattei, Costanzo stavolta ha scelto l'arma dell'ironia acuta ma, prima, il giornalista ha fatto una domanda secca e diretta al suo interlocutore: "Io vorrei sapere dal professor Mattei se si è vaccinato o no". Domanda spiazzante, alla quale il professore risponde in maniera articolata: "Guardi, non mi sono vaccinato. Anzi, mi sono vaccinato in realtà per tutti i vaccini, salvo per questo qui del Covid-19. Questa è la risposta giusta. Anche perché, secondo molti, questo vaccino è in realtà una terapia sanitaria, con una struttura differente dagli altri vaccini, che è stato passato in qualche modo come vaccino perché ci sono delle precise ragioni giuridiche per farlo". Mattei, quindi, si lancia in uno spiegone: "È più facile riconoscere un prodotto come vaccino che come medicinale. Ci sono delle procedure di approvazione dei medicamenti che sono più complesse, perché devono discutere anche delle conseguenze". A questo punto Maurizio Costanzo ha ripreso la parola: "Ma i suoi familiari che dicono del fatto che lei non è vaccinato? I suoi vicini di casa che dicono che lei non è vaccinato? Quando lei va in ufficio che dicono che non è vaccinato? Mi pare che lei viva una vita d’inferno professore. Con tutta la simpatia". La risposta di Mattei arriva imediatamente: "Il vaccinato e il non vaccinato non sono sensibilmente diversi dal punto di vista del contagio. Il grande equivoco è pensare che i vaccinati non siano contagiosi. E questo è un equivoco che rende Green pass e super Green pass giuridicamente insostenibili". E proprio sul discorso del Green pass, che da una certa fetta di popolazione viene vissuto come una costrizione e come un qualcosa di oscuro legato al controllo della popolazione, Maurizio Costanzo rimette la discussione nel suo ordine: "A Mosca trovavo tutte le mattine la valigia aperta e controllata. Quella era una costrizione".

Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.

"Si vergogni", "Parla al circo...": scatta la lite fra Bassetti e il prof no-vax. Marco Leardi il 16 Dicembre 2021 su Il Giornale. A innescare l'ennesimo botta e risposta è stato il no-vax Alberto Contri, che su Rete4 ha fatto infuriare Matteo Bassetti. L'infettivologo: "Dite cretinate. Avete sulla coscienza moltissimi morti". Cambiando l'ordine dei talk show, il risultato non cambia. Quando c'è di mezzo un no-vax, lo scontro è assicurato. Garantito. La prova del nove la si è avuta ieri sera a Zona Bianca, dove si è consumato l'ennesimo diverbio innescato in quel caso da Alberto Contri. Il professore che solo ventiquattr'ore prima aveva dato in escandescenze con Andrea Scanzi su Rai3, nell'approfondimento televisivo di Rete4 ha replicato il "format", ingaggiando un acceso botta e risposta con l'infettivologo Matteo Bassetti. In collegamento, Contri ha iniziato a scodellare dati per sostenere la propria contrarietà al green pass e il proprio scetticismo sull'efficacia dei vaccini. Numeri rispetto ai quali il primario di malattie infettive dell'ospedale San Martino ha immediatamente alzato il sopracciglio. "Non so dove abbia preso questi dati. Avete detto una serie di cretinate in questi mesi, per cui avete sulla coscienza moltissime persone che sono morte", ha esclamato Bassetti, cercando di arginare quel flusso di informazioni contraddittorie. Ma Alberto Contri non ne ha voluto sapere e, anzi, ne ha approfittato per provocare il medico. "L'abbiamo pizzicata varie volte a sbagliare", ha affermato, senza però circostanziare quelle asserzioni. A quel punto, in un clima ormai diventato ostile al confronto pacifico, Bassetti non si è più trattenuto e ha ammonito l'interlocutore no-vax: "Non si più parlare di medicina con una persona che non sa la differenza tra una cistifellea e l'appendice, tra un bronco e un alveolo. Ma lei si deve vergognare di dire questi dati!". Lo sfogo dell'infettivologo non ha fatto altro che aizzare Alberto Contri. "Questa è una frottola. Lei di frottole ne ha dette tutti gli anni, ma quello che è più grave è che lei è un professore di medicina", ha detto il professore. Anche in questo caso, però, lanciando accuse generiche. Furibonda la reazione di Bassetti: "Io per dire queste cose ho studiato sei anni di medicina, quattro anni di specialità in malattie infettive e ho pubblicato 600 lavori con oltre 20mila citazioni. Lei cosa ha fatto per parlare e dire le stupidaggini che sta dicendo? In paesi normali gente come lei la fanno parlare al circo!". Il botta e risposta a distanza è poi proseguito con ulteriori fendenti. Contri ha infatti attaccato l'infettivologo così: "È in conflitto d'interessi. Tutto quello che dice è viziato dalle sue consulenze le case farmaceutiche". Un'accusa prontamente troncata dal primario ligure. "L'unico mezzo che lei ha a disposizione è l'insulto personale. Io ho già chiarito quali sono i miei conflitti, che sono regolamentati dalla legge italiana. Per cui eviti di parlare sul personale. Lei ha dei limiti sull'argomento che stiamo trattando", ha ribattuto Bassetti, per il quale le diatribe con il mondo no-vax sono suo malgrado all'ordine del giorno.

Marco Leardi. Classe 1989. Vivo a Crema dove sono nato. Ho una Laurea magistrale in Comunicazione pubblica e d'impresa, sono giornalista. Da oltre 10 anni racconto la tv dietro le quinte, ma seguo anche la politica e la cronaca. Amo il mare e Capri, la mia isola del cuore. Detesto invece il politicamente corretto. Cattolico praticante, incorreggibile interista. 

Dritto e Rovescio, Giuseppe Cruciani a valanga contro Andrea Romano: "La grande menzogna sui non vaccinati". Libero Quotidiano il 17 dicembre 2021. Con la variante Omicron che galoppa e tutti gli indicatori pandemici in netta risalita, a pochi giorni dal Natale a monopolizzare l'attenzione, così come avviene da due anni, è il coronaviurs. E l'ultima puntata stagionale di Dritto e Rovescio - il programma di Paolo Del Debbio in onda su Rete 4 giovedì 16 dicembre -, non fa ovviamente eccezione.

Si parla anche dei no-vax e del loro ruolo nella diffusione della pandemia. A puntare il dito contro di loro, ospiti in studio, Andrea Romano del Pd e il giornalista Antonio Caprarica. A difenderli, al contrario, Giuseppe Cruciani, il tutto poco dopo che il sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri, in un'intervista concessa proprio a Del Debbio, aveva spiegato che l'aumento dei contagi non è una "colpa" di chi rifiuta il siero

Ed ecco che così Cruciani parte in quarta: "La colpa della risalita dei contagi sarebbe dei no-vax? Sileri prima ha detto una cosa: la colpa non è dei non vaccinati. Molto chiaro, forse non lo ha detto prima. È anche dei vaccinati, possono contagiare anche loro. La grande balla che sarebbero i non vaccinati la causa dei mali di questo paese, del fatto che la pandemia non è stata sconfitta, è una balla. Da che mondo è mondo in tutti i paesi esisterà sempre una percentuale di persone che non si vaccinerà mai. Cosa volete fare? Andarli a prendere con i carabinieri? Non credo... non sono loro la rovina del Paese", conclude Giuseppe Cruciani.

Aldo Grasso per il “Corriere della Sera” il 17 Dicembre 2021. Non raccontiamoci storie. La clamorosa rissa scoppiata a #cartabianca tra Alberto Contri e Andrea Scanzi, a colpi di «mascalzone», «bollito», «cretino», «hai i neuroni di un cercopiteco», era una rissa cercata, voluta. La prova? L'ha fornita l'Auditel: il programma ha avuto una media superiore a 7,55%, con una media di 1.412.000 spettatori, ben sopra quella normale. In cuor suo, Bianca Berlinguer sarà stata contenta, come lo sono tutti i conduttori quando aumentano il bottino di pubblico. Il conduttore non è mai un arbitro, è un giocatore, anche quando «finge» di voler riportare la calma. Non raccontiamoci storie. Tempo fa, a proposito dei talk pieni di «sfessati», Fedele Confalonieri aveva trovato il coraggio di dire che il re era nudo: «Il talk-show deve fare casino, sennò chi lo guarda?». In effetti, il talk show è un genere che ha fatto presto a degenerare. Non c'è talk senza trash, non c'è talk senza gli scazzi, senza gli Scanzi. Se tu inviti delle persone normali a discutere, c'è il rischio della prevedibilità, della monotonia, della noia, di un mondo chiuso dove si discute sempre delle stesse cose. La rottura sta solo nella rissa: per questo, nella scelta degli ospiti o del casting che dir si voglia, bisogna prevedere la contrapposizione, il tafferuglio, il parapiglia. I talk si nutrono essenzialmente di tre componenti: la compagnia di giro, che significa da parte dell'ospite molta disponibilità e capacità performative (Scanzi, per esempio, lo troviamo ospite su diversi talk); la totale mancanza di controllo sulle affermazioni dei partecipanti (invito a spararla grossa); la creazione di un nemico reale contro cui scagliare il proprio dissenso. Quanta ingenuità, nei virologi, negli epidemiologi, negli infettivologi, nei medici che si occupano di pandemia e passano il tempo in tv a reclamare un confronto fra pari!

Il virologo senza l'antivaccinaro, in termini televisivi, non esiste. Non viene invitato in un programma di medicina ma in un talk e a furia di accettare le regole del talk (il talk deve fare casino, sennò chi lo guarda?) finisce anche lui per creare non poca confusione. Nelle logiche del genere, il «discorso» significa che una parola vale l'altra e l'unica strategia è quella di spararne tante (di parole), in una escalation sempre più ridondante, in modo tale che l'ultima faccia dimenticare quelle precedenti. Nei talk, il «discorso» ha il solo scopo di «fare opinione», di conquistare l'assenso della «gente». Chi urla più forte, chi non fa parlare l'altro, chi dà sulla voce all'avversario di solito vince. Altrimenti, chi inviterebbe mai Capezzone? Già in passato era successo qualcosa del genere con la politica che aveva invaso la tv con un lungo, ininterrotto talk, assorbendone le logiche e i linguaggi: un'anomalia non priva di conseguenze per gli attori e le forme della democrazia rappresentativa. Il talk show è parola che si fa spettacolo, come vuole tradizione drammaturgica: è una necessaria semplificazione delle idee, è una fatale iniezione di populismo, è un esplicito incitamento alla forte contrapposizione. Non raccontiamoci storie, l'incontro di pugilato, meglio di wrestling è ogni volta in programma: più il talk è brutto, più la tv è bella.

Da corriere.it il 22 dicembre 2021. Momenti di tensione durante la puntata di Cartabianca, su Rai3, tra Bianca Berlinguer, Luca Telese e Francesco Borgonovo. Il vicedirettore di La Verità lamentava di non poter rispondere alle parole del giornalista in studio Luca Telese perché — a suo dire — dallo studio gli sarebbe stato tolto l'audio. «Borgonovo non parla», ha detto lo stesso Borgonovo, «perché gli avete tolto l'audio, dite che fate servizio pubblico e invece non lo fate». Berlinguer ha però negato la circostanza: si tratta di un problema tecnico, ha spiegato: «Non te l'ho toccato l'audio, basta con questa storia!». Poi, rivolta a Luca Telese che aveva mostrato un grafico al pubblico, scatenando l'ira di Borgonovo, Berlinguer ha aggiunto: «Ora basta, altrimenti ti butto fuori». Il messaggio è però stato interpretato da Borgonovo come rivolto a lui: «Mi butti fuori, allora, ma lui pontifica da un’ora, io non posso replicare, a un certo punto me ne vado». E Berlinguer: «Basta con la storia dell'audio, non vedi che non lo manovro io? Ci sarà stato un problema tecnico, non puoi attribuire a questa conduzione un problema tecnico». 

"Basta, ti butto fuori". L'ira della Berlinguer in studio. Francesca Galici il 22 Dicembre 2021 su Il Giornale. Ancora uno scontro nello studio di Bianca Berlinguer, che ha minacciato di mandare via Luca Telese e ha alzato la voce con Borgonovo. Dopo lo scontro tra Andrea Scanzi e Alberto Contri della scorsa settimana, Bianca Berlinguer ha cercato di rimodulare l'impronta di Cartabianca eliminando la possibilità di toni troppi alti. Il coronavirus continua a essere uno dei temi portanti della trasmissione condotta da Bianca Berlinguer, che nella sua trasmissione cerca di dare voce a tutte le voci contrastanti della polemica in corso, ormai da tempo, su vaccino e Green pass. Ma il tentativo di tenere i toni bassi non è andato in porto come desiderato dalla conduttrice, che in più di un'occasione si è trovata ad alzare la voce per calmare la discussione tra Luca Telese e Francesco Borgonovo.

Francesco Borgonovo ha portato a Cartabianca la voce degli scettici sul Green pass. Il giornalista, però, si è scontrato con Luca Telese, che su questo tema è posizionato su un fronte totalmente opposto al suo, completamente a favore delle misure del governo e, quindi, anche del Green pass. I due hanno avuto un primo battibecco sui numeri della pandemia, che vengono speso interpretati, in un modo o nell'altro, per avvalorare l'una o l'altra tesi.

Ma Francesco Borgonovo è sembrato piuttosto teso nel corso della discussione, perché nel corso della sua ospitata il microfono gli è stato spento mentre ancora parlava. Un errore tecnico, stando a quanto affermato da Bianca Berlinguer, al quale però Borgonovo non sembra credere totalmente. I dubbi del giornalista nascono proprio dal fatto che, memore dello scontro della settimana precedente, Bianca Berlinguer ha promesso che in caso di toni accesi avrebbe chiuso i microfoni.

Questo ostacolo si sarebbe anche potuto superare, se non che a un certo punto Luca Telese ha preso il suo telefono per mostrare in favore di camera la curva dei decessi, per dimostrare le differenze (in meglio) rispetto all'anno scorso: "E Borgonovo parla, io non lo so...". Ma la stessa Bianca Berlinguer ha criticato l'esternazione di Telese: "Borgonovo parla ed esprime la sua opinione. Qui decido io. Borgonovo lascia perdere, qui non è che decide Telese". Ma Francesco Borgonovo ha colto l'occasione per tornare sul microfono sfumato poco prima: "Borgonovo non parla perché gli avete tolto l'audio mentre Telese pontifica da un'ora. Quindi Borgonovo saluta e se ne va".

Bianca Berlinguer ha cercato di spegnere la polemica, invitando Borgonovo a chiudere quella parentesi ma l'ospite non è sembrato propenso: "O fate servizio pubblico o non lo fate. Date spazio anche agli altri". La conduttrice ha prima rassicurato Borgonovo, poi ha minacciato Telese: "Adesso veramente ti butto fuori". E poi, davanti all'insistenza di Borgonovo sul microfono spento, Bianca Berlinguer ha sbottato: "Non l'ho toccato l'audio, basta con questa storia. Io non manovro l'audio, lo vedi? Non ho l'audio in mano, ci può essere stato un problema tecnico". La discussione è proseguita ancora per qualche battuta, finché Bianca Berlinguer non ha dato la parola a Vittorio Sgarbi, straordinariamente pacato. 

Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.

L'aria che tira, Pierpaolo Sileri asfalta Gianluigi Paragone: "Solo gli stupidi non cambiano idea. Senza negare l'Olocausto..." Libero Quotidiano il 15 dicembre 2021. "Discutiamo di green pass ma non di vaccino, ti prego!". Pierpaolo Sileri ha fatto questa richiesta a Gianluigi Paragone a L'Aria che tira su La7. Il sottosegretario alla Salute ha spiegato che non si può mettere in discussione l'effettiva utilità del vaccino. Sarebbe come dire che la terra è piatta o peggio come negare l'Olocausto. A quel punto, però, il senatore del gruppo misto gli ha lanciato una frecciatina: "Siamo entrati in Parlamento con la stessa formazione politica - ha detto riferendosi al Movimento 5 Stelle -. E ci ritroviamo come sottosegretario di Stato al ministero dell'Interno Carlo Sibilia, lo conosci?". Paragone poi è andato avanti: "Prova ad andare sulla pagina Wikipedia di Carlo e leggi le sue posizioni sulle teorie del complotto e sull'atterraggio sulla Luna. Il mondo dei 5 Stelle, che è arrivato in Parlamento, era un mondo che sui vaccini non la pensava come stai dicendo tu adesso, anzi accarezzava il pelo ai No Vax". Parole forti, a cui Sileri ha risposto: "Io invece ti invito ad andare a prendere le mie interviste sui vaccini in campagna elettorale", spiegando che le sue posizioni sull'argomento sono sempre state le stesse. E poi ha sottolineato: "Solo gli stupidi non cambiano idea". Parlando del Covid nei bimbi, invece, il sottosegretario ha detto: "Abbiamo avuto quasi 900mila bambini e adolescenti positivi e di questi circa l'1% è andato in ospedale. I decessi, pur sempre drammatici, sono rimasti bassi per fortuna". Adesso, però, il problema riguarda il numero dei contagi e gli effetti a lungo termine del virus: "Il rischio del long-Covid stimato da vari studi è del 10-12% anche nei bimbi asintomatici. Ci tengo sempre a sottolineare che Sars-CoV-2 può ucciderti, guarisci nella stragrande maggioranza dei casi ma in mezzo vi sono tantissime altre patologie che stiamo imparando a conoscere oggi. L'unica cosa sperimentale è il virus". 

DiMartedì, Sileri urla contro il filosofo e Floris spegne il microfono: caos in diretta in studio. Libero Quotidiano il 15 dicembre 2021. La regia di DiMartedì è costretta a chiudere il microfono a Pier Paolo Sileri, ma il sottosegretario alla Salute continua a inveire contro il professor Andrea Zhok, docente di filosofia politica a Milano e critico su vaccini ai bambini e sul Green pass. In studio l'atmosfera si scalda subito. "Nessuno sta dicendo di non curare le persone o di non vaccinarle - sottolinea Zhok in collegamento con Giovanni Floris -. Stiamo dicendo che i vaccini vanno fatti in maniera selettiva e non a tappeto e che le terapie vanno effettuate in maniera adeguata. Non capisco dunque questo riferimento al Darwinismo...". "Glielo spiego subito - lo interrompe Sileri, che a stento trattiene una certa rabbia -. Questo docente dice una marea di baggianate. Quanti sono i ragazzi che sono andati in ospedale tra gli 850mila positivi in età pediatrica? Non lo sa? Non lo sa perché lei non sa nulla, lei è il classico sofista, viene qui con 4 numeri, fa il gioco delle tre carte e dice delle stupidaggini enormi". Floris annusa l'aria e cerca di ironizzare: "Il filosofo sa di non sapere...". Troppo tardi: Sileri e Zhok si parlano sopra, si alza il tono delle voci. "Non sa nulla! Zero, zero, zero!", urla Sileri. "Qual è la maggior emergenza per i bambini nelle terapie intensive?", chiede polemicamente il filosofo. "Si faccia un giro a Napoli - esplode Sileri - e si troverà ospedali pediatrici pieni con bambini di un chilo e mezzo intubati. Lei non sa quello che dice! Lei non sa quello che dice!". Floris fa abbassare il microfono a Sileri, che continua a urlare. "Sono convinto che non sia il modo per chiarire i dubbi, insultarsi", è il commento dell'imbarazzatissimo conduttore.

DiMartedì, rissa tra David Parenzo e Zhok: "Ti serve un ripasso", "Ciccio stai al tuo posto". Volano stracci. Libero Quotidiano il 15 dicembre 2021. "Errare è umano ma perseverare è diabolico". David Parenzo attacca il professore di filosofia Andrea Zhok, in diretta da Giovanni Floris a DiMartedì, su La7. "La società non è fatta di monadi singole che non interagiscono, è un sistema complesso. Caro professore, se noi non riconosciamo che ci sono delle regole lei può decidere di non vaccinarsi, ma poi non può urlare alla dittatura sanitaria perché non esiste", sbotta il conduttore di In Onda. A quel punto il professore si infuria: "Non mi spieghi la teoria della intersoggettività tra le persone, perché non è il caso", ribatte. "Le serve un piccolo ripasso...", lo provoca Parenzo, "Dai, ciccio... Stia al suo posto", risponde Zhok. "C'è una responsabilità collettiva che si può soddisfare con il tampone che ha una sicurezza superiore rispetto al green pass, che", insiste il filosofo, "dà delle garanzie molto basse rispetto alla contagiosità". Zhok ha anche avuto un'accesa discussione con Pier Paolo Sileri. "Questo docente dice una marea di baggianate. Quanti sono i ragazzi che sono andati in ospedale tra gli 850mila positivi in età pediatrica? Non lo sa? Non lo sa perché lei non sa nulla, lei è il classico sofista, viene qui con 4 numeri, fa il gioco delle tre carte e dice delle stupidaggini enormi", lo ha zittito il sottosegretario alla Salute. "Non sa nulla! Zero, zero, zero. Lei non sa quello che dice".

La rissa tv non è servizio pubblico. E, alla fine, una delle liti più furibonde di questi mesi tra i contrari e i sostenitori del vaccino è successa, in Rai, nella televisione pubblica che dovrebbe distinguersi per i toni moderati. Laura Rio su Il Giornale il 16 Dicembre 2021. E, alla fine, una delle liti più furibonde di questi mesi tra i contrari e i sostenitori del vaccino è successa, in Rai, nella televisione pubblica che dovrebbe distinguersi per i toni moderati. E, anzi, nello studio della serissima Bianca Berlinguer. Lo scontro durissimo a suon di epiteti velenosi avvenuto tra Andrea Scanzi e il professor Alberto Contri l'altra sera a Cartabianca è una brutta pagina per tutti: per il Paese, per il giornalismo, per la Tv di Stato. Ma riporta al centro il dilemma: è giusto invitare i No Vax, i No Pass, i «dubbiosi» di ogni specie nei dibattiti televisivi? Con quali limiti? Come scegliere interlocutori competenti? C'è chi ha scelto, come Enrico Mentana e Monica Maggioni, di escluderli dai loro spazi («Non si può mettere sullo stesso piano uno sciamano che passa per strada e uno scienziato», ha spiegato la direttrice del Tg1), c'è chi pensa sia corretto dare voce a tutti, anche a chi contesta le scelte del governo in piena pandemia, come stanno facendo i responsabili di quasi tutti i talk, da Mediaset a La7. Spesso i confronti si trasformano in zuffe, in scontri di boxe. E l'accusa è sempre la stessa: si invitano apposta i No Vax per innescare la miccia, accendere la discussione, aumentare gli ascolti. Però, se in questo giochino ci cade la tv di Stato, forse, la questione è ancora più grave. Certo, Bianca Berlinguer non ha invitato uno «sciamano», ma un professore di comunicazione sociale - Alberto Contri - che insegna allo Iulm, è stato responsabile di innumerevoli società pubblicitarie, anche consigliere Rai e presidente di RaiNet e ora si è schierato con la «Commissione Dubbio e precauzione» fondata da Cacciari e Giorgio Agamben), ma alla fine non è riuscita, nonostante i ripetuti tentativi, fino a sgolarsi, a sedare gli animi. Sono partiti gli insulti reciproci. «Stupido», «cretino», «Hai i neuroni di un cercopiteco», «Ti denuncio!», «Mascalzone». Scanzi non è riuscito a trattenere la sua indignazione dopo aver ascoltato Contri sostenere che questa non è «una pandemia, ma una sindemia, e che quindi andrebbero vaccinati solo i più deboli», che «bisogna far circolare il virus tra i bambini perché si ammalano poco e costituiscono un'immunità naturale» e averlo sentito paragonare i morti di Covid a quelli di fumo. Alla fine, dopo un lungo alterco, Contri si è alzato e se n'è andato. E, adesso, sarà bandito da Cartabianca e dalla Rai? Ma, soprattutto, è giusto continuare con questi dibattiti?

Francesco Olivo per “La Stampa” l'1 dicembre 2021. Quirinale o no, c'è una cosa che Berlusconi di questi tempi ripete a tutti i suoi interlocutori: i no vax sono un pericolo per la salute e per la ripresa. Il Cavaliere quindi vede di cattivo occhio che ai nemici dei vaccini venga dato un microfono, che diventa facilmente un megafono. Se poi tutto questo avviene nelle sue televisioni allora non ci siamo. Gli ambienti vicini al presidente di Forza Italia spiegano così la decisione di Mediaset di sospendere i programmi di Mario Giordano e Paolo Del Debbio ben oltre la normale pausa natalizia. Fuori dal Coro e Dritto e Rovescio sarebbero dovuti tornare in onda su Rete 4 l'11 e il 13 gennaio, a ridosso della scadenza del decreto sul super green Pass e a pochi giorni dall'inizio della partita più importante della legislatura: il voto per il presidente della Repubblica. E invece l'appuntamento è rimandato almeno di due settimane, secondo quanto anticipato da Tvblog. Del Debbio e Giordano non potranno raccontare questi momenti decisivi e a molti non è sembrato un caso. Berlusconi vuole salire al Colle, sa che è difficile, crede che però non sia impossibile. La strategia per allargare la base di consensi è iniziata da tempo e ha come premessa quella di dare una nuova immagine di sé, quella istituzionale, europeista, che non polarizzi come un tempo l'opinione pubblica. Un tono da statista molto diverso da quello che emerge da alcuni programmi di Rete 4, il cui spazio dato alle tesi dei No Vax pare non piaccia nemmeno a Piersilvio Berlusconi, ad del gruppo, un parere, da quelle parti, persino più influente di quello del padre. Da Arcore si nega che il presidente abbia chiesto la chiusura provvisoria dei due programmi, ma in molti ricordano che già dopo le Europee emerse una considerazione: gli show "populisti" fanno il gioco di Matteo Salvini (e oggi di Giorgia Meloni), penalizzando Forza Italia che è pur sempre il partito del capo. Piersilvio tentò di cambiare linea: basta programmai urlati, rimpiazzati da conduttori più moderati e persino progressisti. I cattivi ascolti hanno convinto le reti Mediaset a tornare indietro, lasciando però i dubbi della famiglia su quei toni, che peraltro, male si conciliano con il nuovo corso ecumenico del berlusconismo. La coincidenza tra la sospensione e la corsa per il Quirinale viene notata da tutti, ma non è confermata ufficialmente. Anzi, Del Debbio racconta che non è arrivato alcuna comunicazione dall'azienda, «fermare il programma durante le feste è normale, se non dovesse andare in onda per un mese e mezzo però sarebbe una cosa innaturale, vediamo cosa mi dicono. Io non occhieggio ai No Vax. Io faccio un dibattito, e per farlo bisogna esser in due, non si può fare un talk show con una sola voce. Se non vogliono che faccia così lo fa un altro, ci sono tanti conduttori in Italia». Il conduttore toscano non crede di essere un ostacolo per il sogno del Colle, «non vedo cosa c'entri la mia trasmissione con l'elezione del presidente della Repubblica. Dopodiché io non conosco gli "arcana imperii" , quei segreti mi sfuggono», dice al telefono. Ma chi conosce bene le dinamiche del Biscione non si sorprende: «Nei momenti decisivi l'azienda evita di mettere in imbarazzo il presidente, è sempre stato così», dice uno dei vertici. Per Mario Giordano il martedì è un giorno impegnativo, va in onda Fuori dal coro e così, pur con molto garbo, evita di commentare, «per ora». C'è chi protesta: «Il coro deve essere a una voce», dice amaro Claudio Borghi, deputato leghista, nemico della strategia del governo contro la pandemia, «avere un minimo di pluralismo era positivo - aggiunge Borghi -. Sarebbe bello se la Rai a questo punto presentasse un programma "alternativo" ». Sui social si elencano le presunte censure contro chi dissente dalla linea del governo, ma Berlusconi su questo non transige: «Non nelle mie televisioni» 

Estratto dall’articolo di Emanuele Lauria per “la Repubblica” il 2 dicembre 2021. L'unica certezza è che più volte, negli ultimi tempi, Silvio Berlusconi si è lamentato dello spazio dato ai No Vax da alcune trasmissioni Mediaset, quella di Mario Giordano in primis. Ma nessun intervento, riferiscono fonti vicine all'ex premier, è mai stato fatto sull'azienda da lui fondata. Fatto sta che il futuro di "Fuori del Coro", il talk show dell'ex direttore de Il Giornale , ma anche "Dritto e Rovescio" di Paolo Del Debbio, è diventato un caso. Mediaset, adesso, smentisce un lungo stop, in corrispondenza del Natale ma soprattutto del periodo di validità del Super Green Pass e della calda vigilia delle elezioni per il Quirinale. (…) I due conduttori restano in attesa di un palinsesto che non c'è, in un mare di polemiche alimentate proprio dall'insofferenza del Cavaliere per chi contesta gli obblighi sanitari, resa plastica - tra l'altro - dal video in cui, unico fra i leader del centrodestra, si fa ritrarre mentre fa una dose di vaccino. Un'insofferenza che sarebbe propria anche di chi sovrintende all'informazione Mediaset: Giordano e la sua tv urlata, in particolare, sono finiti nel mirino da tempo, malgrado il volto di "Fuori dal coro" si difenda numeri alla mano: «Ieri sera grandi ascolti e record stagionale. Grazie a tutti per l'appoggio e il sostegno. Molti fanno domande a cui non so rispondere. Ciò che posso assicurare è che ogni volta che andremo in onda saremo sempre #Fuoridalcoro». (…) Più esplicito Del Debbio: «Chiusura di "Dritto e Rovescio"? Io ho un riferimento unico, che è Mauro Crippa ovvero il direttore generale per l'informazione Mediaset, e lui mi ha garantito che si chiude il 16 dicembre e si riapre il 13 gennaio, come sarebbe stato nella norma perché di mezzo c'è l'Epifania. Che è quello che per me fa testo, il resto sono chiacchiere, io mi fido di lui». (…) È comunque una storia che si ripete: alla vigilia delle Politiche del 2018 lo stesso Del Debbio finì sotto tiro perché, sostenendo in tv cavalli di battaglia salviniani (a partire dall'immigrazione), avrebbe favorito l'ascesa della Lega. A distanza di quasi quattro anni, Berlusconi si ritrova a fronteggiare insidie che arrivano dalle sue reti.

Anticipazione da “Oggi” il 29 dicembre 2021. In un’intervista a OGGI, in edicola domani, Massimo Giletti affronta le critiche per aver ospitato nella sua trasmissione no vax e no Green pass.

«Enrico Mentana per me il numero uno. La sua posizione (nessuno spazio in tv, ndr) è comprensibile, ma fa un tg; io un programma. Il suo radicalismo è di difficile applicazione ai talk, che vivono di contrasti. Ovvio che ci sono cialtroni che non sono sullo stesso piano di luminari come il professor Crisanti. E infatti non ce li metto… Devi invitarli, criticarli e smascherarne le fesserie. Se non lo fai, li lasci scorrazzare sui social senza nessuno che li contraddica... Si può far tutto, dipende sempre dal come. Lo rivendico, assieme a Bianca Berlinguer, Floris e altri. Però nel mirino ci finisco sempre io».

Giletti parla anche dello Speciale su Totò Riina su La7 il 5 gennaio, a pochi mesi da Abbattiamoli, altro speciale andato in onda lo scorso giugno. «Lì abbiamo raccontato i misteri delle mancate catture di Riina e Provenzano. Ma mi mancavano delle risposte. Con questo documentario il quadro è più completo. Perché sono i mafiosi che parlano, gli uomini più vicini a Riina».

Chi dà voce ai No Vax "a braccio". Nino Materi il 10 Dicembre 2021 su Il Giornale. Guido Russo come Marcel Duchamp. E lo studio di «Non è l'Arena» su La7 come il Cabaret Voltaire. Similitudini blasfeme, giustificate solo dal fatto che l'altroieri, nel programma di Giletti, è riecheggiata - impropriamente - l'espressione «provocazione dadaista». E chi sarebbe il fantomatico «provocatore dadaista»? Lui, il dentista (o dadadentista) che ha portato, per un giorno, l'Italia sui giornali di mezzo mondo; un «successo» mediatico ottenuto grazie a un'idea davvero «geniale» (il dottor Russo l'ha definita «trasgressiva»): andare in un centro vaccinale con un braccio finto al silicone («L'ho costruito con le mie mani», ha sottolineato orgogliosamente) montato sul braccio vero. Il tutto per scroccare un Green pass, trasformando la tragedia del Covid in un oggetto di burla. Dietro lo scherzo ci sarebbe una ragione - diciamo così - ideologica: Russo è (sarebbe) un «convinto No vax». Ma il condizionale è d'obbligo, considerato che il medico specializzato in carie (e bracci siliconati), vistosi smascherato dall'infermiera che doveva praticargli l'iniezione, è subito passato dalla parte dei Sì vax. Tanto da annunciare al Paese, dagli schermi dell'autorevole trasmissione di Giletti, che «sì, il vaccino è l'unico mezzo per combattere il contagio. Io stesso, il giorno dopo la finta vaccinazione, mi sono vaccinato davvero». Mentre il dottor Russo sosteneva la propria tesi, al suo fianco era seduto non uno psichiatra, bensì un avvocato col compito di tutelare il cliente da «offese» e «calunnie». Nell'occasione gli ospiti di Giletti hanno fatto a gara a sparare a zero su un obiettivo fin troppo facile, rilanciando in modo bozzettistico il dibattito aperto, proprio su La7, da Enrico Mentana sul presunto «diritto» dei No vax di parlare in tv. Mentana si dichiara orgoglioso di «non averli mai intervistati»; Giletti mena vanto di «offrire loro il microfono». Ma forse sbagliano entrambi. Perché sotto il grande ombrello dei No vax si tende ormai inglobare di tutto, senza porsi più il problema di distinguere tra chi fa domande legittime (del tipo «Ma il Green pass è davvero la migliore delle soluzioni?») e chi sostiene tesi strampalate (come nel caso del dottor Russo e di tante altre macchiette). Assimilare un personaggio che ammette con cinismo di «aver voluto fare solo uno show», a quanti si interrogano con serietà sui limiti e gli eventuali errori della campagna vaccinale, è un'operazione scorretta. Nino Materi

Da nextquotidiano.it il 2 dicembre 2021. “Mi onoro di non aver mai ospitato nel tg che dirigo nessun esponente dei no vax”. In un post sul suo profilo Facebook, il direttore del Tg La7 Enrico Mentana si inserisce nel dibattito che si fa sempre più pressante, con l’aumentare del numero di contagi e delle percentuali di riempimento delle terapie intensive, sull’opportunità di dare voce nei programmi informativi a chi osteggia la verità con complotti e teorie antiscientifiche. “A chi mi dice che così impongo una dittatura informativa – prosegue Mentana – o una censura alle opinioni scomode, rispondo che adotto la stessa linea rispetto ai negazionisti dell’Olocausto, ai cospirazionisti dell’11 settembre, ai terrapiattisti, a chi non crede allo sbarco sulla luna e a chiunque sostiene posizioni controfattuali, come sono quelle di chi associa i vaccini al 5G o alla sostituzione etnica, al Grande Reset, a Soros e Gates o scempiaggini varie”.

Il post di Enrico Mentana contro i no vax in tv

Ne ha per tutti, li accomuna tutti sotto un grande ombrello, quello dei creduloni da tastiera, fomentati da post raccattati online o spacciati da sedicenti guru manipolatori. “Per me mettere a confronto uno scienziato e uno stregone, sul Covid come su qualsiasi altra materia che riguardi la salute collettiva, non è informazione, come allestire un faccia a faccia tra chi lotta contro la mafia e chi dice che non esiste, tra chi è per la parità tra uomo e donna e chi è contro, tra chi vuole la democrazia e chi sostiene la dittatura”. Una presa di posizione forte, che va in controtendenza rispetto alla maggior parte dei programmi di prima serata, alcuni dei quali appartenenti alla sua stessa rete, che hanno spesso mandato in onda discorsi dalla dubbia attendibilità e fenomeni nati con questa pandemia come Fabio Tuiach e Beatrice Silenzi. Sul tema si era esposta anche Milena Gabanelli, che a Dimartedì ospite di Giovanni Floris ha dichiarato: “Io penso sia sbagliato dare troppa ribalta ad esempio a queste manifestazioni dove spaccano vetrine e incendiano auto, penso che vogliano proprio quello e non dovremmo darglielo. Non bisogna dare troppo spazio a chi dice che la terra è piatta, se non come nota di colore”.

Enrico Mentana censura i no vax, Antonello Piroso attacca: "Ma sei lo stesso che nel 2006...?" Libero Quotidiano il 03 dicembre 2021. Il "veto" di Enrico Mentana su no vax e complottisti in genere fa discutere molto dentro e fuori da La7. Il post del direttore del TgLa7, durissimo e senza ammissione di replica, suona un po' come un'accusa a chi, come Massimo Giletti o Myrta Merlino, pur criticamente danno ampio spazio sulla stessa rete alle posizioni "eretiche" di non vaccinati e anti Green pass. E Antonello Piroso, ex direttore dello stesso TgLa7, contesta polemicamente le parole di Mentana ricordandogli un precedente piuttosto imbarazzante. "Mi onoro di non aver mai ospitato nel tg che dirigo nessun esponente dei no vax", scrive su Facebook Mentana. "A chi mi dice che così impongo una dittatura informativa o una censura alle opinioni scomode, rispondo che adotto la stessa linea rispetto ai negazionisti dell'Olocausto, ai cospirazionisti dell'11 settembre, ai terrapiattisti, a chi non crede allo sbarco sulla luna e a chiunque sostiene posizioni controfattuali, come sono quelle di chi associa i vaccini al 5G o alla sostituzione etnica, al Grande Reset, a Soros e Gates o scempiaggini varie". "Per me mettere a confronto uno scienziato e uno stregone, sul Covid come su qualsiasi altra materia che riguardi la salute collettiva, non è informazione, come allestire un faccia a faccia tra chi lotta contro la mafia e chi dice che non esiste, tra chi è per la parità tra uomo e donna e chi è contro, tra chi vuole la democrazia e chi sostiene la dittatura". Ma è sempre andata così? Secondo Piroso, non proprio: "Ma il Mentana del 'non dico no solo ai no vax ma faccio lo stesso con negazionisti dell'Olocausto e cospirazionisti dell'11 settembre' - scrive sui social rivolgendosi direttamente a Dagospia - è lo stesso che a Matrix (2006) ospitò Giulietto Chiesa e un tizio per cui l'11/9 l'avevano fatto o la Cia o i sionisti?". 

Da affaritaliani.it il 5 dicembre 2021. Fa discutere la presa di posizione molto dura di Enrico Mentana sui No Vax. Il direttore del Tg L7 ha dichiarato che non darà spazio a chi sostiene le tesi contrarie al vaccino. Si è scatenato il dibattito tra i presentatori e giornalisti televisivi sull'argomento. Monica Maggioni parla anche di questo in un'intervista a Repubblica nella quale dice che non darà spazio nemmeno lei ai No Vax sul suo Tg1: "Se ci va di mezzo la vita delle persone non puoi mettere sullo stesso piano uno scienziato e il primo sciamano per passa per la strada. Deve tornare a contare la competenza, non tutte le opinioni hanno lo stesso valore". Nella stessa intervista, Maggioni presenta la sua idea di telegiornale di Rai Uno: "Il pastone non c’è più, sembrava fosse immortale e invece…Comunque niente di cruento, ho solo chiesto ai colleghi che si occupano di politica di farci capire cosa sta succedendo. Che succede oggi? Qual è la notizia più importante? Niente di diverso da quello che fate voi". Tornando al tema dei No Vax, ha preso posizione anche Massimo Giletti. Questa volta però in direzione opposta a Mentana. Il conduttore di Non è l’Arena dice a La Stampa che il suo programma "è una agorà che deve creare dibattito, aperta anche a chi non la pensa come me", e rilancia la proposta di Mentana con una provocazione: "Non credo che Mentana sia un fascista eppure quando CasaPound lo ha invitato, lui ci è andato. Io, invece, no, sebbene da inviato avrei potuto farlo". "Giletti si riferisce a un episodio del 2017 che fece molto discutere: Mentana il 29 settembre di quell’anno venne infatti invitato dal leader Simone di Stefano a un confronto nella sede del movimento dichiaratamente neofascista a Roma", spiega la Stampa. Giletti si dice contrario alla linea Mentana: "Io contrasto questo metodo. Sono un anarchico di questo mestiere e porto nel mio programma ogni forma di contraddizione. Non censuro, faccio domande scomode per smascherare le fake. Ognuno a casa si farà la propria idea. Posso non essere d’accordo con Montagnier, Freccero e Cacciari, ma hanno il diritto alla parola e non solo perché sono intellettuali. Sono contrario a portare in tv solo il pensiero mainstream. Bisogna ascoltare tutte le voci è importante che una trasmissione dia spazio anche a chi la pensa diversamente da me ma come 8 milioni di persone No Vax e No Green Pass. Criminalizzare è sempre un errore".

Schiaffo di Belpietro a Mentana: "Se fai il giornalista fai parlare tutti, anche i no vax". Il Tempo il 7 dicembre 2021. Non si arresta il dibattito sulla presenza dei no vax in tv dopo la presa di posizione del direttore del Tg di La7 Enrico Mentana, che ha rivendicato di non aver mai ospitato nelle edizioni del suo telegiornale esponenti della galassia contraria ai vaccini. Posizione in cui non si riconosce il direttore de "La Verità" Maurizio Belpietro. «Anziché fare il nostro mestiere, che è e resta quello di informare, c’è chi vorrebbe fare qualcos’altro... Noi dobbiamo fare informazione e dare notizie, belle o brutte che siano, sentendo tutte le fonti e poi magari aggiungendo anche le nostre opinioni. Ma se si decide di non riportare una fonte o un pezzo della realtà, poi i lettori, i telespettatori e le persone in genere non capiscono cosa stia succedendo». Maurizio Belpietro direttore della ’Verità’, interviene con l’AdnKronos nel dibattito sulla opportunità di dare o meno voce ai No-Vax, lanciato dal direttore del TgLa7 Enrico Mentana e ripreso anche dalla direttrice del Tg1 Monica Maggioni, contrastati oggi da Marco Travaglio direttore del “Fatto Quotidiano” con l’editoriale intitolato ’No Vox’. Si chiede Belpietro: «Perché si dovrebbe fare eccezione con i No-Vax? Hanno torto? Benissimo: facciamoli parlare e spieghiamo chi sono. Ma se decidiamo di non farli parlare, rinunciamo a fare il mestiere di giornalista e ci trasformiamo in un organo che deve diffondere una sola voce. È ovvio che la voce della Scienza è più importante di quella di una singola persona che per motivi suoi decide di non vaccinarsi: ma quando ci si trova di fronte a milioni di persone che non vogliono vaccinarci, il nostro compito è quello di far capire chi sono e perché agiscono e decidono così». Sottolinea Belpietro: «Non credo i No-Vax siano peggiori di mafiosi o terroristi o dittatori che pure sono stati intervistati... Avranno idee sbagliate, ma se si dovesse decidere di non dare più voce a chi ha idee sbagliate, dove si andrebbe a finire?». Quanto all’esigenza di un giusto equilibrio e "dosaggio", per il direttore della "Verità" «è una esigenza che pare evidente. Ma siccome si sta descrivendo un fenomeno, per farlo capire forse è utile parlare con chi rappresenta quel fenomeno. La prima domanda che un giornalista dovrebbe porsi e porgere a un No-Vax è chiedergli perché ha deciso di non vaccinarsi; e se non lo inviti in trasmissione o non lo intervisti, non glielo puoi chiedere e non avrai mai la rappresentazione di quel che sta accadendo».

Mario Giordano per "la Verità" il 6 dicembre 2021. Caro Enrico Mentana, che tu, dopo aver ospitato nelle tue trasmissioni i complottisti dell'11 settembre e i fan della cura Di Bella, oggi ti faccia bello perorando l'esclusione dalle tv dei no vax, ci sta perché i tempi cambiano, i programmi pure e ricredersi è lecito. Però, ecco, ti pregherei di usare con cautela il termine tanto di moda. Cosa intendi per no vax? Oggi vengono assimilati con lo stesso epiteto chi pensa che i vaccini siano acqua di fogna e chi, semplicemente, dubita che sia opportuno somministrarli ai bambini, sulla base dei dati scientifici attuali. Oppure chi pensa al complotto mondiale e chi, semplicemente, dubita che escludere dal lavoro chi è senza green pass sia il modo migliore per difendere insieme salute e diritti costituzionali. C'è un po' di differenza tra le due cose, non ti pare? Tanto è vero che chi ti ha intervistato l'altro giorno su Repubblica ti ha subito chiesto: «E allora Cacciari?». Cacciari non è un no vax, hai giustamente risposto. Infatti. Ma ormai anche lui, come tutti gli altri appena solleva il sopracciglio per obiettare alcunché alla verità «somministrata dall'alto» viene subito bollato con il marchio d'infamia.Sembra di essere tornati agli anni formidabili in cui se non leggevi Lotta Continua eri fascista. Ecco: oggi sembra in vigore lo stesso conformismo. Se non sei perfettamente allineato sul dogma scientifico dei sacerdoti sommi Burioni & Bassetti sei un no vax. Hai dubbi sul dogma del green pass? Sei un no vax. Hai dubbi sui vaccini ai bambini? Sei un no vax. Ti fai domande sugli eccessi di allarmismi? Sei un no vax. Parli di terapie domiciliari? Sei un no vax. Dunque un soggetto pericoloso. Un terrapiattista. Un negazionista. Un soggetto da far tacere. No vax carogna ritorna nella fogna. Conoscendoti so che sei davvero, come dici, contrario a ogni censura. E allora ti prego, fai attenzione all'opera di demonizzazione in atto. Per quanto mi riguarda, per dire, sono stato ripetutamente bollato come portavoce dei no vax da persone che probabilmente non hanno nemmeno visto un minuto delle mie trasmissioni: infatti non ho mai ospitato medici stregoni o confronti Montesano/scienziati (e nemmeno Montesano). Ma abbiamo ospitato per esempio, da un anno questa parte, fior di medici preparati che applicano metodi seri per le cure domiciliari. È possibile oggi essere bollati come no vax perché si citano gli studi di scienziati come Giuseppe Remuzzi dell'Istituto Mario Negri? O perché, da tempi non sospetti, si dice che il vaccino «è il pilastro della lotta al Covid ma non basta: bisogna costruirci l'edificio attorno» (come dice oggi pure Guido Rasi)? O perché si ricordano le perplessità del professor Vaia o di Andrea Crisanti o di Maria Rita Gismondo (tutti vaccinisti convinti ma non con i paraocchi) sulla punturina ai bambini? Te lo dico perché immagino tu conosca benissimo il rischio che stiamo correndo: è quello di liquidare come no vax tutto ciò che disturba la «somministrazione» del pensiero unico per escluderlo dal dibattito e dalle tv. Dare manforte a quest' operazione non è all'altezza della tua storia professionale. E, soprattutto, non serve a migliorare né il giornalismo né il Paese. 

Ospite in studio la variante Omicron. Michele Serra su L'Espresso il 6 dicembre 2021. I talk-show televisivi sono pronti allo scoop. Ma nelle prove simulate il virus passa inosservato rispetto alle urla e gli insulti dei partecipanti. Nei laboratori scientifici più avanzati si continua a lavorare, per ora con scarsi risultati, al vaccino anti-ansia. La speranza è riuscire a contenere entro limiti ragionevoli l’epidemia di ansia che imperversa soprattutto nei paesi più esposti ai mezzi di comunicazione di massa. Secondo gli esperti bastano due telegiornali al giorno per cominciare a sudare freddo, con il terzo il respiro si fa affannoso, al quarto telegiornale si fa testamento e al quinto si opta per il suicidio pur di non contrarre la variante Omicron.

Estratto dell’articolo di Marco Travaglio per “il Fatto quotidiano” il 6 dicembre 2021.

Un senso non ce l'ha.

"Gli unici per cui non ha senso il vaccino sono i bambini sotto i dodici anni. Dica questo in parlamento, perché è la verità" (Roberto Burioni al leghista Claudio Borghi, Twitter, 29.8). "Aifa approva vaccino Covid19 per bimbi 5-11 anni. Evviva!" (Burioni, Twitter, 1.12). Wow, hanno approvato un vaccino che non ha senso, evvai!

Peggio la toppa del buco.

 "Il 29 agosto il vaccino per i bambini sotto i 12 anni non c'era. Per questo non aveva senso" (Burioni, 2.12). Quindi lui definirebbe senza senso dei vaccini anti-cancro o anti-Aids solo perchè oggi non ci sono?

Tagadà, Andrea Scanzi attacca Crisanti dopo i dubbi sul vaccino: critiche pretestuose, è stato sfruttato. Il Tempo il 06 dicembre 2021. “La libertà esiste se la si esercita. Si può criticare la religione e la Costituzione, ma l’Aifa e l’Ema no? Anche sul long Covid fra i più piccoli si tirano cifre a caso. Pfizer ha ribadito che serviranno richiami annuali, Moderna insiste su vaccini aggiornati, sarà sempre questione di business, non serve più nemmeno scandalizzarsi. Il punto è che le autorità politica le devono moderare”. Il microbiologo Andrea Crisanti ha rilasciato un’intervista a La Verità che è diventata l’argomento al centro dell’intervento di Andrea Scanzi nella puntata del 6 dicembre di Tagadà, programma di La7 condotto da Tiziana Panella. “Ho una stima totale di Crisanti - dice Scanzi -, gli voglio bene e ci parliamo anche spesso per motivi extra-televisivi, secondo me ha torto perché chiunque può criticare le istituzioni sanitarie e farmaceutiche, lo si fa anche troppo”. “Non riesco a capire sinceramente - continua il giornalista de Il Fatto Quotidiano - con chi ce l’abbia, ha tutto il diritto, l’interesse e la libertà per esprimere delle critiche.  Casomai il rischio che corre Crisanti, come altri grandi intellettuali come Giorgio Agamben, Carlo Freccero e Massimo Cacciari, anzi Freccero è poco lucido ultimamente, è quello di involontariamente, spero, dare la stura a coloro che in realtà combattono. Quando c’è un no-vax, quando c’è la destra, quando c’è un giornale autorevolissimo come La Verità, che fa delle battaglie a volte condivisibili a volte per niente e trova un Cacciari, un Agamben o un Crisanti che dicono cose diverse, ma in qualche modo simili a quel punto le sfruttano. Al mio amico Crisanti dico che non si faccia sfruttare da La Verità, che fa battaglie molto diverse da quelle che fa Crisanti”. La Panella chiede a Scanzi anche un commento sull’eventuale obbligo vaccinale, una strada che sta percorrendo l’Austria con sanzioni salate per i no-vax: “Non credo che l’obbligo vaccinale avrebbe migliorato particolarmente la situazione, anzi credo che il governo abbia fatto bene a scegliere la gradualità con green pass, super green pass e poi se non bastasse l’obbligo vaccinale. La strada - applaude Scanzi - è stata quella giusta”.

Alessandro Rico per "la Verità" il 6 dicembre 2021. Figuriamoci se gli si può dare del negazionista, del no vax, del no pass. È stato fautore dei tamponi a tappeto - quando Walter Ricciardi lo sbeffeggiava - e persino dei lockdown duri, brevi e precoci. Adesso, però, Andrea Crisanti, prima celebrato in quanto ideatore del «modello Veneto», è diventato un bersaglio dei salottini buoni. La sua imperdonabile colpa? Ha osato esprimere qualche dubbio sull'opportunità di inseguire i bimbi con la siringa.

Professore, partiamo dalla variante Omicron. Lei ha spiegato che potrebbe essere il segno che la pandemia sta finendo.

«Tutti gli organismi viventi s' avvantaggiano della capacità di adattamento all'ambiente. Nei virus, questo processo selettivo avviene a una velocità estremamente accelerata, legata alle continue replicazioni e alle varianti che vengono generate nel genoma». 

Prosegua.

«Bisogna capire quali sono le forze selettive che operano sul virus». 

Quali sono?

«In particolare, la capacità di trasmissione. Finora, abbiamo osservato il susseguirsi di varianti con una capacità di trasmissione sempre più elevata. Nel frattempo, però, noi abbiamo modificato l'ambiente del virus». 

In che modo?

«Vaccinando tantissime persone. E questa spinta selettiva può avvantaggiare varianti che hanno una capacità di trasmissione maggiore. Questo, però, non ha nulla a che vedere con la virulenza, cioè con la capacità del virus di causare sintomi». 

Si fermi: quindi è vero che vaccinare in pandemia genera varianti?

«Le varianti si generano a prescindere, il virus si replica e muta a priori. In questo caso, ciò che si crea è una pressione selettiva che può determinare l'emersione di varianti resistenti al vaccino». 

Che, però, tendono a essere meno pericolose?

«Con il Sars-Cov-2, esiste sicuramente questa possibilità. Con altri patogeni, ad esempio il parassita della malaria, ciò è impossibile». 

Torniamo alla virulenza.

«Lei deve sapere che la capacità di causare malattia grave è, di fatto, un elemento che danneggia il virus stesso, a meno che essa non sia direttamente associata con la capacità di trasmissione». 

Se muore l'ospite, muore anche il virus, no?

«Appunto. E allora, se il virus può trasmettersi senza provocare danni, come accade con certi virus respiratori, ad esempio quello del raffreddore, possono diffondersi varianti altamente trasmissibili, ma non patogeniche. Se ciò accadesse, sarebbe fantastico». 

Omicron è un buon candidato?

«Sicuramente ha un'alta trasmissibilità, capace di infettare anche i vaccinati. Sulla sua pericolosità, mancano ancora dati certi, perché in Sudafrica la popolazione è prevalentemente giovane, mentre in Europa i casi analizzati sono pochi. Ad ogni modo, niente panico, cerchiamo semplicemente di capire come stanno le cose».

Pfizer ha ribadito che serviranno richiami annuali. Moderna insiste sullo sviluppo di vaccini aggiornati. Persino all'Ema qualcuno ha parlato di «strategia commerciale». Che dobbiamo pensare? È questione di business?

«Sarà sempre anche questione di business, non serve più nemmeno scandalizzarsi. Il punto è che le autorità politiche la devono moderare». 

Dunque, se è vero che andiamo verso l'endemizzazione, le autorità non dovrebbero predisporsi a richiami solo per anziani e fragili, come accade con gli antinfluenzali, evitando cicliche e logisticamente impegnative campagne di massa?

«A lungo termine, ciò avrebbe sicuramente senso». 

Il capo della Stiko, l'autorità vaccinale tedesca, ha detto che lui non vaccinerebbe i figli contro il Covid. Anche altri Paesi, tipo la Francia, si limitano a raccomandare il farmaco ai bambini fragili. Da noi, invece, c'è una forte pressione per vaccinare i piccoli dai 5 anni in su - e qualcuno già sta pensando ai bimbi di 6 mesi.

«Partiamo da un presupposto: i bimbi non sono piccoli adulti, sono diversi dal punto di vista fisiologico e metabolico; devono crescere, devono sviluppare gli apparati riproduttivi; non sono uguali agli adulti e, quindi, i dati che valgono per questi ultimi non possono essere applicati per analogia anche a loro». 

Meglio essere prudenti?

«L'ho sempre detto: che fretta c'è? Pfizer ha condotto uno studio onesto, ma su circa 2.000 bambini. Israeliani e americani l'hanno preso per buono e hanno iniziato a vaccinare. Tra un mese avremo i loro dati su un milione di bambini, sarebbe stato meglio aspettare». 

Franco Locatelli obietta: se tutti aspettano i dati degli altri, i dati non arrivano mai.

«È una manipolazione. Io, se fossi stato consultato come esperto in America, avrei consigliato di aspettare. Lì, invece, i politici si sono voluti assumere questa responsabilità. Noi siamo coglioni se non gli andiamo dietro?».

Quando lei ha osato presentare questi argomenti in tv, Beppe Severgnini l'ha rimproverata: guai a seminare dubbi in prima serata

«La libertà esiste solo se la si esercita. Si può criticare la religione, si può criticare la Costituzione e non si possono criticare l'Ema e l'Aifa?». 

Sta passando l'idea per cui la scienza non debba occuparsi solo della ricerca della verità, bensì del marketing farmaceutico.

«È proprio questo atteggiamento che offre benzina ai no vax e ai complottisti». 

E l'allarme long Covid nei ragazzini? Gli studi inglesi paiono averlo ridimensionato.

«Sui bambini si tirano fuori cifre a caso. Dicono: "Ne sono morti 16"». 

E invece?

«Innanzitutto, nella classe 5-10 ne sono morti 9. Ma poi, in che condizioni erano? Soffrivano di patologie pregresse? Tra l'altro, i dati non sono stratificati per età, ma per intervalli: non sappiamo quanti dei morti avevano 5, 6, 7 anni Queste cose mi fanno accapponare la pelle». 

Non sarebbe più ragionevole concentrarsi sulle terze dosi a chi ne ha davvero bisogno?

«Be', che si dovessero fare le terze dosi lo si sapeva da giugno». 

Il governo ha indugiato troppo?

«A giugno ci raccontavano che avremmo raggiunto l'immunità di gregge. Sono queste le vere fake news di Stato». 

In effetti, che un virus a Rna possa mutare ed eludere i vaccini non è proprio una novità. La comunità scientifica non poteva immaginarlo prima, che l'immunità di gregge era una chimera?

«La comunità scientifica sapeva già da aprile-maggio che la protezione dei vaccini durava massimo sei mesi, conosceva il problema delle varianti ed era consapevole che ce n'era in circolazione una, la Delta, a elevatissima trasmissibilità. Dunque, era chiaro che quella dell'immunità di gregge fosse una menzogna».

E perché l'ha alimentata anche Locatelli, coordinatore del Cts? A fine maggio ci prospettava l'immunità di gregge per agosto-settembre.

«Deve chiederlo a quelli che raccontavano certe stupidaggini». 

Possiamo dire che i vaccini durano meno di quello che ci si sarebbe aspettati all'inizio?

«All'inizio potevamo fare affidamento solo sui dati ufficiali, che erano basati su osservazioni a due mesi. Un report di aprile già evidenziava che la protezione calava a quattro mesi. La comunità scientifica e in particolare le case farmaceutiche, a quel punto, sapevano perfettamente che la protezione dall'infezione, a sei mesi, cala dal 95% al 40%, mentre quella dalle complicazioni scende dal 90 al 65%».

Quindi?

«Già da un mese noi dovevamo essere nelle condizioni di partire con le terze dosi a tappeto». 

Abbiamo perso tempo a perseguitare i no vax?

«Io ho sempre detto che i no vax sono "un" problema, ma non sono "il" problema. Il problema sono le persone più esposte alla malattia grave, un numero che è la risultante della somma tra i no vax e quelli che si sono vaccinati più di sei mesi fa». 

Che dice delle mascherine all'aperto?

«L'uso delle mascherine, specialmente le Ffp2, che sono altamente protettive, è di sicuro raccomandato nei luoghi chiusi, sui mezzi pubblici e all'aperto, laddove ci sono grandi assembramenti. Ad esempio, allo stadio e anche nei centri storici delle città, se c'è molta folla». 

In Inghilterra com' è la situazione?

«Non esistono mascherine, non esiste distanziamento, esiste soltanto il vaccino. Si è stabilito un equilibrio». 

Non è un equilibrio disastroso, no?

«È un equilibrio stabile, a livelli abbastanza elevati: intorno ai 50.000 casi e ai 150 morti al giorno. Che, su base annua, sono tanti: circa 50.000, il 10% dei decessi totali nel Paese. Non è comunque un bel record». 

Quando potremo lasciarci tutto questo alle spalle, mascherine incluse?

«Eh Non è facile da dire, servirebbero vaccini dalla durata più lunga e terapie estremamente efficaci. Forse ci vorrà un altro paio d'anni».

Era ora. In Italia l’informazione ha da sempre un debole per i ciarlatani, ma forse ora comincia ad accorgersene. Francesco Cundari su l'Inkiesta il 6 Dicembre 2021. Da Maggioni a Mentana, si moltiplicano le voci di chi non vuole dare un megafono ai no vax. Del resto, nessuno si aspetta che nelle previsioni del tempo si senta anche il parere di uno stregone della pioggia: perché con i vaccini ci comportiamo diversamente? Il prolungarsi e il complicarsi della battaglia contro il Covid ha avuto se non altro l’effetto di aprire un dibattito nel mondo dell’informazione – ed era ora – sull’opportunità di dare spazio ai no vax, e in generale a qualunque santone, sciamano o scimunito di passaggio, perlomeno quando si tratta di salute. Dalla direttrice del Tg1, Monica Maggioni, al direttore del Tg La7, Enrico Mentana, in molti sono intervenuti per riaffermare principi che dovrebbero essere scontati, a cominciare dal dovere di non mettere conclamati ciarlatani sullo stesso piano dei più autorevoli scienziati. Prevengo l’obiezione: dire che li si invita proprio per smontarne le tesi, magari perché li si costringe a giocare uno contro dieci, non è un buon argomento, né in linea di principio né dal punto di vista pratico. Perché anche quello è un modo di dar loro importanza e spazio in misura del tutto sproporzionata. Perché nessuno, forse nemmeno quelli che ci lavorano, ascolta una trasmissione televisiva dal primo all’ultimo minuto, parola per parola. Perché l’effetto prodotto da quei brandelli d’informazione varia da persona a persona, per milioni di motivi. E perché nessuna confutazione in diretta televisiva compensa la legittimazione e la popolarità conferite al ciarlatano di turno dal semplice fatto di essere apparso in tv, tanto più se circondato da scienziati e intellettuali autorevolissimi. Già che ci siamo, a proposito di intellettuali e di autorevolezza, chiariamo un’altra cosa: non esistono interlocutori autorevoli e qualificati a prescindere. Massimo Cacciari e Roberto Burioni, per dire, sono entrambi due affermati e qualificatissimi studiosi, ciascuno nel proprio campo, il che non fa di nessuno dei due un tuttologo. Può darsi che Burioni coltivi sin da giovane una passione sfrenata per Heidegger e ne sappia moltissimo, ciò non toglie che non sarebbe un interlocutore qualificato per un dibattito sul significato di Essere e Tempo. Per la stessa ragione Cacciari non è un interlocutore qualificato per discutere di sicurezza dei vaccini, effetti collaterali e farmacovigilanza. Lo dico perché non c’è bisogno di invitare un tizio con indosso una pelle di bisonte e le corna sulla testa per ottenere lo stesso risultato. Ma va in ogni caso accolto con sollievo il fatto che di questo genere di problemi almeno si cominci a discutere, senza nascondersi dietro l’alibi del pluralismo e del rifiuto di ogni censura. Del resto, nessuno si aspetta che nelle previsioni del tempo si senta anche il parere di uno stregone della pioggia. O che si metta il colonnello dell’aeronautica a confronto con Piero Pelù sulla teoria delle scie chimiche. Si tratta forse di censura? È forse anche questa una carenza di pluralismo? È ovvio che il pluralismo non c’entra niente. C’entra, invece, una certa idea di informazione-spettacolo (che riguarda soprattutto, ma non solo, la televisione) e una certa idea di informazione-propaganda (che riguarda soprattutto, ma non solo, i giornali). C’entra soprattutto un certo modo di fare i talk show, contrario a tutti i principi più elementari del giornalismo, quali si tramandano da secoli in tante semplici frasi fatte, la cui banalità appare oggi tragicamente misconosciuta. Esempio: compito di un giornalista non è mettere a confronto chi dice che piove e chi dice che c’è il sole, ma aprire la finestra e verificarlo. I dati angoscianti riportati dal Censis sul gran numero di italiani convinti che la Terra sia piatta, che il Covid non esista e i vaccini non servano ci dicono che da troppo tempo i mezzi di comunicazione hanno smesso di aprire la finestra, verificare come stanno le cose e darne conto al loro pubblico, assumendosene la responsabilità. Non sono stati equidistanti, perché tra un truffatore e un onesto professionista non esiste una posizione neutrale: mostrarsi equidistanti significa, di fatto, rendersi complici del truffatore. Senza entrare nelle polemiche che hanno riguardato alcune trasmissioni Mediaset più inclini a un certo genere di spettacolarizzazione dell’informazione su questi temi, secondo alcuni sospese per non turbare la corsa al Quirinale del loro editore, secondo i conduttori per una normalissima pausa natalizia, tutto sembra confermare l’emergere di una diversa sensibilità, almeno in materia di salute pubblica. Il passo successivo dovrebbe essere domandarsi se un simile soprassalto di responsabilità debba limitarsi esclusivamente alle questioni legate alla sanità, e se non vi sia un collegamento tra un simile modo di fare informazione e comunicazione, da molto prima del Covid, e la situazione in cui ci troviamo. Ma Roma non è stata costruita in un giorno. Intanto, accontentiamoci del primo passo, e speriamo che almeno questo sia presto compiuto da tutti.

Distorsione comunicativa. I vizi dei talk show e i danni delle opinioni antiscientifiche durante una crisi sanitaria. Giuliano Cazzola su L'Inkiesta il 3 Dicembre 2021. In molti dibattiti tv non serve la conoscenza degli argomenti, serve la battuta felice, la parola che interrompe e zittisce i propri interlocutori, anche se priva di contenuto. È sempre un problema, ma quando si parla di salute pubblica certe idee polemiche e pittoresche andrebbero messe da parte. Nonostante le successive precisazioni, continuano a far discutere le considerazioni di Mario Monti sul tipo di comunicazione con il quale, a suo avviso, dovrebbe essere affrontata – e non lo è – la questione della pandemia. Senza scomodare i temi della libertà di opinione e della censura a me pare assolutamente evidente che la comunicazione, soprattutto quella televisiva (per carità di patria non parliamo di ciò che transita sul web) presenti dei limiti con effetti distorsivi sia per quanto riguarda la forma sia le modalità della comunicazione stessa, prima ancora che dei contenuti. Ho maturato questa convinzione per esperienza diretta, quale frequentatore dei talk show (almeno di quelli che sembrano essere meno truci di altri). Il dibattito in quelle trasmissioni che riempiono le giornate (soprattutto le serate) dei telespettatori e che si avvalgono più o meno della stessa “compagnia di giro”, finiscono per affrontare una gravissima crisi sanitaria, sempre pronta ad esplodere sull’economia, come se si trattasse di una riedizione della “Corrida” la storica trasmissione di Corrado (per quelli che se la ricordano).

Lo show consiste nel mettere insieme un panel – quasi sempre troppo numeroso per il tempo a disposizione – di persone con opinioni diverse, il più possibile polemiche e pittoresche, abilitate a dire tutto ciò che passa loro per la mente, perché – qui sta il primo vizio – i talk show non hanno ancora ripudiato il principio del uno vale uno.

Certo, è sempre presente un virologo nel ruolo del deus ex machina. Mentre nella tragedia greca (di Euripide) questo personaggio serviva a dipanare una trama divenuta troppo complessa ed era ascoltato da spettatori consci della sua autorevolezza, da noi gli esperti si contraddicono tra di loro, ammesso e non concesso che abbiano la possibilità, in trasmissione, di completare un ragionamento quando viene il loro turno.

E qui sta un secondo vizio: la trasmissione deve avere un ritmo, per cui se non si riesce a spiegare in breve tempo e con poche parole un concetto oggettivamente complicato, il conduttore che passa oltre e volta pagina. Cioè cambia argomento.

In un contesto di questo tipo più che la conoscenza degli argomenti affrontati serve la battuta felice, la parola che interrompe e zittisce i propri interlocutori; la capacità di bucare lo schermo che manda al macero intere biblioteche scientifiche.

Queste considerazioni coinvolgono quasi tutta la comunicazione televisiva. Ma un conto è parlare di cucina o andare in escandescenza quando segna il Milan, un conto è riuscire ad orientare gli ascoltatori su questioni che riguardano la loro salute e quella pubblica.

Come prima cosa sarebbe necessaria una base di dati condivisi. Se si discute del Pil, bisogna accettare la percentuale certificata dall’Istat anche se la si giudica in maniera differente. Lo stesso dovrebbe valere per il numero delle pensioni e per le loro tipologie in rapporto alle statistiche dell’Inps.

Nel caso del Covid, invece, tutto è un’opinione, persino il numero dei morti. Se le autorità sanitarie forniscono il dato di 135mila decessi, non può essere considerata un’opinione sostenere che in verità si è trattato di 3.700 casi. Toccherebbe ai conduttori essere gestori, arbitri e testimoni di quanto è obbiettivo ed accertato e che non è un’opinione come un’altra.

Allo stesso modo, ci vorrà pure una sede riconosciuta che spieghi con oggettività che cosa è la pandemia, come si sviluppa, quali sono i suoi effetti, avendo a disposizione tutto il tempo necessario. In un confronto con simili caratteristiche possono avere spazio anche visioni e teorie diverse, purché presentate con riferimenti minimamente fondati, in grado di confutare tesi altrui e di essere adeguatamente confutati.

Esiste poi un ultimo vizio. Nei dibattiti televisivi, coloro che sostengono posizioni no vax o no pass – se non sono proprio degli scappati di casa, ma purtroppo di solito lo sono, che si inventano congiure internazionali, funesti incroci astrali o smania di profitti delle Big Pharma – possono valersi di una indubbia rendita di posizione: criticare i dubbi, i contrordini, gli errori stessi di coloro che conducono la lotta al virus.

Perché è normale che non sia lineare la condotta di quanti si muovono in un terreno sconosciuto che riserva sempre nuove sorprese, che destabilizza comportamenti e presidi precedenti, che impone misure di cambiamento rapido (in molti vorrebbero sapere se possono prenotare le vacanze invernali!).

È normale che i virus abbiano delle varianti e che uno nuovo e in parte ancora sconosciuto, sia in larga misura imprevedibile (nel caso di Omicron un allarmismo eccessivo ha determinato un crollo dei mercati finanziari). Ed è una prassi efficace per gli oppositori “giocare in casa” della maggioranza, perché qualunque governo in questa battaglia è in grado di garantire solo degli esiti più o meno parziali e relativi (a parte la disdicevole Torre di Babele dei diversi provvedimenti volta per vota adottati).

Ma è profondamente disonesto che quanti non credono nelle vaccinazioni, perché le considerano pericolose per la salute e strumento occulto della privazione della libertà, rimproverino quelli che credono nella scienza e nella ragione perché non sono in grado di garantire quell’assoluta sicurezza che loro negano in partenza.

Variante Omicron, Zangrillo furioso: il “disgustoso dibattito tra esperti del nulla rovinerà Natale”. Lara Rastellino lunedì 29 Novembre 2021 su Il Secolo d'Italia. La variante Omicron, ultima mutazione del Sars Covid-2, arriva puntuale sotto le feste: come la letterina di Natale dei bambini. E Zangrillo reagisce al florilegio di dissertazioni e recriminazioni che animano un dibattito già incandescente, che alimenta paure e restrizioni. Così, il primario del San Raffaele di Milano e medico personale di Silvio Berlusconi, chiamato da tempo a ridimensionare la portata di bordate allarmistiche e paure sociali. E che da un po’ ha esaurito la propria pazienza rispetto al terrorismo mediatico legittimato dagli interventi di alcuni colleghi in tv, affida ai suoi profili social uno sfogo durissimo. Il post, a pochi minuti dalla sua pubblicazione, diventa virale. Confermando vastità ed eterogeneità del consenso tributato al Professore meno presenzialista in tv. 

Variante Omicron: il durissimo sfogo di Zangrillo sui social

Uno sfogo veemente, quello che Alberto Zangrillo consegna ai suoi profili social. Che da un lato conferma il credito che il professore dà alla scienza, unica lente con cui leggere i dati della realtà del momento. E, al tempo stesso, sottolinea la sfiducia in un dibattito declinato a un allarmismo che genera solo panico. Così il primario milanese torna a puntare l’indice su ruolo – responsabilità e peso specifico – che a sua detta avrebbero gli opinionisti di settore in tv. I quali, per il professore, non farebbero altro che nutrire paure e insicurezze. Pertanto, nella sua rivisitazione del caso variante Omicron. E del modo in cui è stata accolta in Europa la mutazione sudafricana, Zangrillo commenta: troppo panico, troppo terrore…

E sul web tuona: «Grazie alla variante Omicron, l’irresponsabile e disgustoso dibattito mediatico tra esperti del nulla ci rovinerà quest’ultimo scorcio di 2021», sentenzia irritato in un tweet Zangrillo in merito al dibattito che imperversa negli ultimi giorni. Un post che, guarda caso, rileva Libero: «In un batter d’occhio ha raccolto  1.235 condivisioni e più di 600 commenti. Insomma un enorme consenso, persone che concordavano in toto con quanto scritto dal professore». Una platea di cittadini e utenti evidentemente stanchi come il professore del San Raffaele di Milano di allarmi e apprensione.

Variante Omicron, la posizione di Zangrillo su pandemia e come affrontarla

Una posizione, quella sull’emergenza sanitaria del prorettore dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e direttore del Dipartimento di anestesia e terapia intensiva dell’Irccs ospedale San Raffaele, che non cambia con l’avvento di una nuova variante. E che non si declina, di volta in volta, con le combinazioni di ipotesi di nuovi scenari possibili. No, condotta e pensiero di Zangrillo sono sempre gli stessi rispetto alla pandemia. Così come è sempre il medesimo l’approccio a cui l’esperto ricorre per affrontarla e commentarla.

Zangrillo sulla necessità di un approccio competente ed equilibrato nella comunicazione

Del resto, anche in tempi recenti Zangrillo ha ripetutamente evidenziato la necessità di un approccio competente ed equilibrato nella comunicazione. Ribadendo una volta di più, per esempio in occasione di un suo intervento a Quarta Repubblica all’inizio del mese: «Possiamo dedicarci alle altre patologie. In questo momento ci preoccupano le enormi liste di attesa di malati che nulla hanno a che fare con il Covid. Continuare a vedere il numero dei contagi quotidiano come prima, seconda o terza notizia ci interessa pochissimo», ha sottolineato in quella circostanza mediatica il primario.

L’appello ai giovani: vaccinatevi, e per due motivi. Ecco quali

Così come, sempre qualche giorno fa, Zangrillo ha rivolto un altro appello ai più giovani affinché si vaccinino, e per due ordini di motivi. Il primo: per arginare la diffusione del virus. Il secondo: per “fermare” chi utilizza la pandemia per generare terrore, angoscia, insicurezza. Un appello sintetizzato dal professore in poche, ma chiarissime parole: «Ragazzi, è fondamentale vaccinarsi per fare tacere per sempre chi usa il Covid-19 per creare panico e terrore». A buon intenditor…

Da iltempo.it il 29 novembre 2021. Mario Monti a valanga sulla comunicazione dei mezzi di informazione in era Covid. Ospite a In Onda su La7 spara a zero sulla confusione che vige nei mezzi di comunicazione. "Di colpo abbiamo visto che il modo in cui è organizzato il mondo è disunito - ha detto Monti negli studi di La7 - Abbiamo iniziato a usare il termine guerra ma non abbiamo usato una politica di comunicazione adatta alla guerra. Bisognerà trovare un sistema che concili la libertà di espressione ma che dosi dall'alto l'informazione. Parlando continuamente di covid si fanno solo disastri. Comunicazione di guerra significa che ci deve essere un dosaggio dell'informazione. Bisogna trovare delle modalità meno democratiche. Abbiamo accettato limitazioni molto forti alla nostra libertà di movimento. Il governo istruito dalle autorità sanitarie dovrebbe tenere le redini di questo modello di comunicazione"      

Da iltempo.it il 30 novembre 2021. David Parenzo, conduttore insieme a Concita De Gregorio della trasmissione In Onda su La7, pubblica su Facebook le scuse di Mario Monti, dopo la frase choc del senatore a vita sulla comunicazione che in un "tempo di guerra" come quello di oggi, in cui stiamo ancora combattendo la pandemia, dovrebbe essere "somministrata" in modo "meno democratico". Ecco il testo delle scuse firmato da Monti: "Nella puntata di In Onda di ieri, ho usato un’espressione infelice e impropria (“modalità di comunicazione meno, come dire, democratiche secondo per secondo”) quando ho detto che, se non si vuole rendere ancora più difficile la gestione della crisi pandemica a causa di corti circuiti informativi, occorre trovare una strategia comunicativa appropriata, per conciliare la libertà di espressione di ciascuno con la necessità di evitare confusioni, allarmismi o invece sottovalutazioni. Al di là del termine infelice che ho usato, il tema esiste ed è stato ritenuto importante dai tre autorevoli giornalisti in studio (Concita De Gregorio, David Parenzo, Marco Damilano), con i quali si è infatti svolto un interessante dibattito (dal minuto 19 al minuto 27 della registrazione)."

Da ilfoglio.it il 30 novembre 2021. "Dalla difficoltà in cui si sono trovati i sistemi politici italiani per ragioni diverse fino alla scadenza a breve dalle elezioni politiche". Sono molte le analogie che legano il governo di Mario Monti a quello di Mario Draghi, come ha raccontato al festival dell'Ottimismo l'ex presidente del Consiglio e senatore a vita, intervistato da Michele Masneri. "Ai tempi il problema era lo spread - lo scarto tra il tasso tedesco e quello italiano - e oggi 'spread' è in inglese la diffusione del contagio del virus", ha detto Monti. Alla domanda sulla necessità di una censura dei media, evocata in un talk show, il senatore ha spiegato meglio: "Questo è un periodo di guerra, e proprio perché siamo in democrazia dobbiamo ragionare del ruolo dell'informazione. I regimi autocratici il problema non se lo pongono nemmeno. Allora la domanda è: possibile che in tv, per non parlare di internet, l'argomento della pandemia trovi tutto questo spazio, con tutte le contraddizioni che ne derivano? Non ho proposte concrete al riguardo, ma credo che il primo passo debba essere realizzare che un problema c'è". Sulla situazione inedita che l'Italia sta vivendo a livello europeo e internazionale, Monti fa un paragone con la situazione tra il 2011 e il 2013: è vero che in un primo momento l'asse Merkel-Sarkozy aveva messo in difficoltà l'Italia, ma la successiva intesa con Hollande, Rajoy - "e anche Obama era fortemente coinvolto" - rese possibile arginare l'eccessiva austerità cercata dalla Germania. Così si è arrivati al "whatever it takes" di Draghi. A proposito dell'attuale premier, Monti ricorda scherzosamente come il passaggio del titolo di Super Mario avvenne "ufficialmente" nel corso di una cena. "Il Trattato del Quirinale con la Francia è un passo importante, ma come hanno ricordato anche Draghi e Macron, lo spirito non è coalizzarsi contro la Germania. Italia, Francia e Germania devono necessariamente condurre insieme l'Europa". Sullo sblocco dell'austerità tedesca, il senatore rivela come non fu estraneo nemmeno il Papa Benedetto XVI. Mediazione diplomatica? "Sarebbe un termine troppo basso: si trattava di far capire alla classe politica democristiana tedesca, e soprattutto bavarese, che quella rigidità avrebbe finito per spaccare l'Europa". Molte le analogie con Draghi. Ma con Giuseppe Conte? "Da frequentatore semifurtivo di biblioteche americane durante l'estate, esperienza di cui ha fatto un uso curioso nel cv, a presidente del Consiglio, non male. Però nel suo primo governo non ha diretto lui la politica dell'esecutivo, e questo contrasta anche con la Costituzione. Poi c'è stato un grande progresso". Berlusconi al Quirinale? "Non so se ci riuscirà, so che nel 2013 non fu eletto presidente della Repubblica perché in Parlamento siedevamo noi di Scelta civica. Altrimenti il centrodestra avrebbe avuto i voti".

Monti invoca il bavaglio ai media. Quanti nostalgici del Minculpop. Tony Damascelli il 29 Novembre 2021 su Il Giornale. "Bisogna trovare delle modalità meno democratiche nella somministrazione dell'informazione". «Bisogna trovare delle modalità meno democratiche nella somministrazione dell'informazione». Chi ha pronunciato tali parole? Dino Alfieri? Alessandro Pavolini? Gaetano Polverelli? Erano, costoro, i ministri del ministero per la Stampa e la propaganda del regime, dal '37 al '44, prima che il governo Bonomi provvedesse alla sua soppressione. No, trattasi di Monti Mario (Varese, 1943) il quale, ospite della trasmissione In Onda, sull'emittente La7, si è lasciato andare al pensiero profondo e sentito, al punto che il triplete di giornalisti in studio, Damilano-Parenzo-De Gregorio, dopo qualche attimo di imbarazzo ma molto, molto trattenuto dinanzi a tale illustre docente, non certo un facinoroso di destra, ha provato, con timidezza, a domandare chi mai debba provvedere alla suddetta somministrazione dell'informazione e in che senso meno democratica. Il Monti di cui sopra ha spiegato che spetta al governo, guidato però dalle autorità sanitarie, e facendo così tornare alla mente alcune note di servizio, poi dette veline, che i ministri del Minculpop inviavano ai vari addetti dell'informazione per pilotare ogni tipo di notizia e cancellare quelle eventualmente negative per il regime. Monti Mario ha specificato, tuttavia, che durante quel periodo lui era incosciente, essendo nato a due anni dalla fine della guerra. Riflettendo sulle parole contemporanee presumo che il periodo di incoscienza prosegua, anche perché sarebbe interessante sapere dal professore senatore quale governo dovrebbe svolgere il ruolo in questione, quello di Draghi, quello di Conte che fu, il suo che è trapassato remoto? E quale autorità sanitaria dovrebbe essere sopra tutto e innanzitutto? L'Istituto superiore di sanità? L'Organizzazione mondiale della sanità? Le Asl locali? Anche il sostantivo di gran moda «somministrazione» suggerisce memorie di olio di ricino, con eventuale richiamo per successive dosi, sempre gestite dalla stessa azienda fornitrice. Il messaggio di Monti è chiaro e forte, il senatore sostiene, e ha ragione, che venti ore al giorno di programmi che si occupano di virus provocano la catastrofe ma è interessante constatare come lui medesimo vi partecipi e ne parli, anche per appalesarsi così rendendo di nuovo manifesti i motivi per cui continui a ricevere interessanti salari per una illuminata carriera politica. Costellata ad esempio da questa intervista a Der Spiegel: «... se i governi si facessero vincolare del tutto dalle decisioni dei loro Parlamenti, senza mantenere un proprio spazio di manovra, allora una disintegrazione dell'Europa sarebbe più probabile di un'integrazione», senza dimenticare la frase delicata sulla «monotonia del posto fisso, nella vita è bello cambiare», detta con saggezza da chi è senatore, dopo avere ricoperto i ruoli di primo ministro, ministro degli Esteri ad interim, ministro ad interim dell'Economia, presidente della Bocconi, membro del cda di Fiat auto, della Banca commerciale, advisor della Coca Cola, commissario europeo, presidente della Commissione Trilaterale, membro del comitato direttivo di Bilderberg, presidente della commissione paneuropea per la salute e lo sviluppo sostenibile, varie ed eventuali. Una eccellente somministrazione di incarichi. Tony Damascelli

Da Cofferati ai giornalisti pasdaran, se l'emergenza infetta lo stato di diritto. Luigi Mascheroni il 29 Novembre 2021 su Il Giornale. L'ex leader della Cgil propone di colpire gli anziani che non si vaccinano, Severgnini zittisce chi ha dubbi sulle dosi ai bimbi. Dove comincia il green pass e dove finisce lo stato di diritto? E qual è il punto di equilibrio fra la Costituzione e lo stato d'emergenza? E diciamo stato d'emergenza, e non «di guerra», perché in guerra non si discuteva, come grazie a dio si fa ora, se e quando andare a sciare e in quanti possono entrare in una funivia... Domande del genere hanno un loro senso, vista la china imboccata da alcuni pasdaran della tessera verde, l'ala dura e pura del «Chiudere tutto, chiudere sempre», fedelissimi alla linea unica medico-tecnica-governativa. 

Solo nelle ultime ore: qualche esempio.

Uno. Mario Monti ha detto quel che ha detto: che servono «modalità meno democratiche nella somministrazione dell'informazione», cioè occorrono restrizioni alla libertà di espressione. Insomma, il senatore ha invocato - sfiorando il limite dell'eversione - un ministero della propaganda (o censura...).

Due. Sergio Cofferati, già leader del più grande sindacato italiano - non a caso detto «il Cinese» vista la propensione all'illiberalità - ha dichiarato che per convincere gli anziani a farsi il vaccino bisogna agire sulle «protezioni sociali»; cioè «qualche assistenza di cui godono va messa in discussione». Non vorremmo che la prossima proposta sia togliere una percentuale di pensione. Ottimo sistema per difendere i lavoratori.

Tre. Mentre Andrea Crisanti - medico e microbiologo - avanzava imbarazzati dubbi sulla vaccinazione per i minori («Vaccinare i bambini può essere un problema che deve essere esaminato», nulla di più), è stato platealmente interrotto da Beppe Severgnini, che non è né medico né virologo, al grido «Non in televisione, non in prima serata, Professore!». Fossimo in un regime - e non lo siamo... - un ottimo slogan sarebbe «Taci, il virus ti ascolta!».

Uno, due e tre. E sempre su La7, l'Agenzia Stefani del regime Covid-19. Sarà un caso...

Nota a margine: i giornalisti che conducevano le trasmissioni in cui sono state fatte le dichiarazioni non hanno mai controbattuto: o hanno taciuto (di fronte a Cofferati), o hanno fatto finta di nulla: Lilli Gruber davanti all'episodio Crisanti-Severgnini), o hanno apprezzato con un «Interessante, ci spieghi meglio» (Concita De Gregorio versus Mario Monti).

Non vogliamo essere né tranchant né guastafeste. Ma se il cittadino può e deve rinunciare alla libertà di movimento in nome di una emergenza, non si può e non si deve togliergli anche quella di pensiero.

Attenzione. Chiedere ogni misura possibile per contenere il virus è necessario. Valicare certi limiti pericoloso. I cittadini sono stanchi, le piazze agitate e i complottismi facili ad attecchire.

E poi: anni di furenti j'accuse contro i «regimi» mediatici e i «pieni poteri», e adesso tutti zitti se si restringono i diritti costituzionali e la libera informazione? Qualcosa non torna.

Quando perdiamo il diritto a dubitare, perdiamo il privilegio di essere liberi.

Luigi Mascheroni lavora al Giornale dal 2001, dopo aver scritto per le pagine culturali del Sole24Ore e del Foglio. Si occupa di cultura, costume e spettacoli. Insegna Teoria e tecniche dell'informazione culturale all’Università Cattolica di Milano. Tra i suoi libri, il dizionario sui luoghi comuni dei salotti intellettuali "Manuale della cultura italiana" (Excelsior 1881, 2010);  "Elogio del plagio. Storia, tra scandali e processi, della sottile arte di copiare da Marziale al web" (Aragno, 2015); I libri non danno la felicità (tanto meno a chi non li legge) (Oligo, 2021).

Paolo Bracalini per "il Giornale" il 29 novembre 2021. Il professor Mario Monti parla poco ormai, ma quando lo fa riesce sempre a far ricordare perché in pochi lo rimpiangano come premier. Per sua fortuna, e per gentile concessione dell'allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, da dieci anni gode dello status di senatore a vita per cui non deve più rispondere all'elettorato delle sue affermazioni. Spesso impopolari (su temi come le tasse), a volte sconcertanti, come quelle con cui ha deliziato un consesso di giornalisti su La7 l'altra sera. L'ex premier ha lì esposto le sue originali idee su come gestire l'informazione in tempi di pandemia: «È una guerra, ma non abbiamo minimamente usato una politica di comunicazione adatta alla guerra. Io credo che bisognerà, andando avanti questa pandemia e per futuri disastri globali della salute, trovare un sistema che concili la libertà di espressione ma che dosi dall'alto l'informazione». Frase sibillina che viene interrotta dalla giornalista di Repubblica, Concita De Gregorio, non perché scioccata dalle affermazioni liberticide di Monti, ma con un «è molto interessante, ci spieghi meglio». Quindi Monti precisa più compiutamente cosa intenda: «Comunicazione di guerra significa che c'è un dosaggio dell'informazione. Nel caso di guerre tradizionali è odioso perché vuole influenzare la coscienza e la consapevolezza della gente, ma nel caso di una pandemia quando la guerra non è contro un altro Stato ma è contro un virus, bisogna trovare delle modalità...posso dire...meno democratiche?». Certo che lo può dire, anzi «spieghi bene il concetto perché è interessante», lo incalza (si fa per dire) l'altro conduttore, David Parenzo. In un clima così amichevole, Monti si diffonde sul progetto di Minculpop sanitario: «In una situazione di guerra, quando l'interesse di ciascuno coincide con quello di tutti, si accettano delle limitazioni alla libertà. Noi ci siamo abitati a considerare la possibilità incondizionata di dire qualsiasi opinione come un diritto inalienabile ma...». Parenzo, estasiato, non lo fa neppure finire ma conclude lui: «Qui non ce lo possiamo permettere!». Ma chi, poi, dovrebbe «dosare dall'alto» l'informazione? Risponde Monti senza esitazioni: «Il governo, ispirato e nutrito dalle autorità sanitarie». Uno scenario inquietante di bavaglio all'informazione, degna di un regime autoritario. Ma siccome non è Berlusconi, o Salivni, o la Meloni ad averlo detto, tutto normale, anzi «molto interessante». Sui social la cosa non passa inosservata e il video di Monti inizia a girare. E ad essere commentato. «Anni di rotture su Berlusconi che instaurava un regime con tv e leggi ad personam, poi fiumi dì parole su Salvini e "pieni poteri" volutamente travisati. Oggi di fronte a un senatore a vita che sfregia democrazia e libera informazione muti? Vergognatevi» scrive un utente su Twitter. «C'è di che preoccuparsi, quest' uomo è lucido, misura le parole. E le dice, sicuro che ormai le può dire» twitta lo storico Giordano Bruno Guerri. Nell'indifferenza generale della stampa, commenta la leader di Fdi Giorgia Meloni: «Avvertite Monti che siamo uno Stato democratico e non un regime. Limitare informazione e pluralismo acuirebbe tensioni sociali, privando ulteriormente gli italiani della loro libertà. Cosa sarebbe successo se una simile dichiarazione fosse stata fatta da un esponente di destra?»

La pandemia, tra isteria e irresponsabilità. Piccole Note il 26 novembre 2021 su Il Giornale. A quanto pare la lotta alla pandemia ha invertito rotta: se prima si concentrava sul contrasto al virus ora si concentra sul contrasto a quanti sono contrari al vaccino, identificati come no-vax, sigla che ormai è sinonimo di pericolosa follia. Il nostro sito non è mai stato oppositivo alla campagna di vaccinazione, e questo va chiarito a scanso di equivoci, anche perché ormai è stata adottata da tutti i governi del mondo, non tutti legati a Big Pharma e ai tanti interessi, non solo finanziari, che vi interagiscono.

Isteria

E però la campagna mediatica contro i cosiddetti no-vax, che ha prodotto la criminalizzazione di tante persone, lascia basiti. Come lascia interdetti l’adozione di mezzi più che coercitivi per costringere tale fascia di popolazione ad accettare il vaccino.

Non redendolo obbligatorio, si evitano responsabilità, come da responsabilità sono esenti anche le Case Farmaceutiche. Bizzarro che tali Irresponsabili bollino come irresponsabili le persone che rifiutano il vaccino. Ironie pandemiche.

Al di là, se è vero che una frangia di questa minoranza ha atteggiamenti estremi è vero che l’estremismo non risparmia neanche certa comunicazione che li condanna, con un crescendo di isteria che desta preoccupazioni, perché si somma all’isteria collettiva che sta accompagnando la pandemia fin dalla sua insorgenza.

In questo contesto suonano in controtendenza le parole del portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, che parlando della campagna contro il virus in corso in Russia, fatta anche lì di restrizioni e vaccini, ha però messo in guardia: “Sarebbe sbagliato trasformare tutto in una caccia alle streghe. Queste cose richiedono un approccio molto calmo, sobrio ed equilibrato”.

Si dice che la campagna vaccinale sia stata compromessa dalle Fake News che hanno allarmato contro pericoli immaginari di tipo sanitario e politico. Ma a tale campagna antagonista hanno contribuito non poco i gestori della pandemia, sia sanitari che politici.

Quasi tutti i virologi, gli immunologi e i tuttologi (e i media mainstream che hanno fatto da cassa di risonanza, spesso anche precedendo i loro vaticini) pandemici hanno creato confusione con le loro “ricette” contraddittorie e i loro isterismi da “fine del mondo”, arrivati ben prima degli isterismi oggi attribuiti ai no vax.

Sempre a proposito di confusione, si può ricordare con certa ironia come il primo annuncio del vaccino Pfizer, del 9 novembre 2020, dichiarava che il vaccino aveva un’efficacia del 90%. Il 16 dello stesso mese, Moderna annunciava il suo vaccino, con efficacia al 95%. Il 10 dicembre del 2020 Pfizer rivedeva l’efficacia del proprio farmaco, che saliva al 95%, equiparandosi a Moderna.

O al fatto che per lungo tempo non furono fatti esami autoptici per paura del virus – nonostante si facciano anche per virus molto più pericolosi, come l’ebola -, analisi che avrebbero chiarito prima di tanti morti sulla relativa efficacia degli anti-coagulanti.

Per non parlare della mitica immunità di gregge, che immunologi, virologi e affini davano ora al 70%, poi all’80% e adesso pare al 90%, anche se ormai tutti sanno che non si otterrà, rimanendo parte del mondo non vaccinata (Financial Times).

Poi c’è la terza dose, sulla quale la “comunità scientifica”  sarebbe “concorde” riguardo la durata, che dovrebbe essere a10 anni, mentre in Israele si sta pensando già alla quarta dose. Chi più ne ha più ne metta…

La pandemia politica

Di esempi del genere se ne potrebbero fare a centinaia, come centinaia di esempi si potrebbero fare sulla strumentalizzazione politica del virus. Basti pensare che il vaccino Pfizer fu annunciato solo dopo (e subito dopo) la sconfitta di Trump, per evitare che il sollievo per tale annuncio potesse pregiudicare l’opera devastatrice che la pandemia stava producendo sulla sua campagna elettorale.

E di come, secondo i medici ai quali i media mainstream davano spazio, mentre le manifestazioni pro-Trump  alimentavano la pandemia, le manifestazioni di segno opposto non procuravano rischi analoghi.

Non solo la politica interna degli Stati Uniti, anche quella internazionale. In un momento tanto critico per l’umanità, il mondo avrebbe dovuto coordinarsi e unire le risorse. Ricordiamo, in proposito, il decisivo intervento di Bill Gates nell’aprile 2020 per proteggere la proprietà intellettuale (di Big Pharma) e distruggere sul nascere il piano dell’OMS per una risposta coordinata a livello mondiale contro la nascente pandemia.

Usa, Cina e Russia avrebbero dovuto cercare convergenze, la pandemia è diventata un’arma da brandire nella lotta contro la Cina, impedendo tale coordinamento, e si sono rigettati i vaccini cinesi e russi non tanto perché se ne lamentava l’efficacia, almeno per quanto riguarda lo Sputnik, ma perché si aveva paura che, attraverso i vaccini, i cosacchi arrivassero ad abbeverare i loro cavalli a San Pietro.

Annotiamo, per inciso, che in questa campagna volta a dividere il mondo in (vaccini) buoni e cattivi, si è usato anche l’argomento della trasparenza, che sarebbe mancata nelle produzioni orientali. Per inciso, i contratti tra l’Ema, ente europeo del farmaco, e la Pfizer-Byontech e Astrazeneca sono pieni di omissis (ma sulla mancanza di trasparenza ci torneremo nella conclusione).

La caduta di Astrazeneca

Una guerra feroce è stata anche fatta al vaccino Astrazeneca, sia perché prodotto dalla reproba Gran Bretagna della Brexit sia perché costava troppo poco rispetto alla concorrente Pfizer.

In questa guerra, ormai vinta, si rimproverava ad Astrazeneca che non impedisse il contagio, al contrario del vaccino Pfizer. Accuse alle quali Astrazeneca rispondeva che però conteneva le forme gravi di malattia, risposta che ora dà la Pfizer, dopo che si è scoperto che anche questo vaccino non impedisce il contagio (ma nel frattempo Astrazeneca è stata appunto sotterrata).

Ad Astrazeneca è stata anche rimproverato il fatto che provocava miocarditi e pericarditi, pur se in un esiguo numero di casi e spesso in forma lieve, ma meglio non rischiare.

Riportiamo un passaggio di un articolo del Wall Street Journal, non certo un media complottista o anti-vax: “I ricercatori non sono sicuri del motivo per cui i vaccini con RNA messaggero, uno di Pfizer […] BioNTech […] e l’altro di Moderna […] sono probabilmente la causa delle condizioni infiammatorie cardiache miocardite e pericardite in un esiguo numero di casi”.

Il WSJ annota che i ricercatori della Pfizer stanno cercando di capirci qualcosa e conclude spiegando che, comunque, il rapporto tra rischi è benefici del vaccino è positivo. Senza mettere in discussione la conclusione, ovviamente, ci limitiamo a segnalare come Astrazeneca sia stata massacrata proprio per questo motivo.

L’articolo del WSJ veniva pubblicato nei giorni in cui usciva una denuncia, fatta da un addetto ai lavori, di alcune disfunzioni registrate durante la sperimentazione del vaccino Pfizer da parte di una delle società alle quali era stato dato il compito di monitorarne l’efficacia e le reazioni.

Denuncia che veniva pubblicata sul British Medical Journal, altro sito non certo no-vax, e veniva derubricata in fretta come banale perché avrebbe evidenziato semplici problematiche “burocratiche”. Un po’ minimalista come lettura, ma va bene così (i ricercatori della società fossero “terrorizzati” da possibili ispezioni…).

Inoltre, val la pena ricordare le e-mail deil’Ema hackerate e pubblicate dall’autorevole Le Monde, che evidenziavano “obiezioni importanti” avanzate in seno all’Agenzia riguardo al vaccino Pfizer, bypassate in fretta.

La trasparenza può attendere

Più strano il caso dei 30 professori e scienziati di alcune delle Università più importanti d’America (Yale, Harvard, UCLA e Brown) che hanno chiesto alla FDA, l’agenzia del farmaco statunitense, di rendere pubblici i dati sulla sperimentazione del vaccino Pfizer.

Una richiesta basata sulla legge sulla trasparenza degli atti amministrativi (FOIA), motivata dal fatto di rassicurare i cittadini sul fatto che il vaccino fosse “sicuro ed efficace e, quindi, per accrescere la fiducia nel vaccino Pfizer”.

La FDA ha risposto che i dati saranno disponibili nel 2079… una risposta talmente paradossale che l’autorevole Reuters, nel darne notizia, titola così: “Aspettare cosa? La FDA chiede 55 anni per elaborare la richiesta FOIA sui dati del vaccino”.

La tempistica monstre, ha spiegato la FDA, sarebbe motivata dal fatto che la documentazione inviata dalla Pfizer consta di 329.000 pagine, che loro rilascerebbero con una scadenza di 500 pagine al mese.

Ma i richiedenti, ovviamente, esigono tempi più brevi: la documentazione dovrebbe essere resa pubblica entro il 3 marzo 2022. Infatti, “questo periodo di 108 giorni è lo stesso tempo impiegato dalla FDA per rivedere tale documentazione per un compito certo molto più delicato, cioè quello di autorizzare il vaccino COVID-19 di Pfizer”.

Tanta confusione sotto il cielo pandemico, che non aiuta i cittadini ad avere fiducia nei vaccini e nelle autorità, sia sanitarie che politiche. 

Ps. Su Disney la serie “Dopesick”, tratto da un’inchiesta del New York Times, che offre uno spaccato, seppur edulcorato, di certe dinamiche di Big Pharma… 

Green pass, Piero Angela urla al ristorante a Roma: la clamorosa rissa col cameriere. Libero Quotidiano il 25 novembre 2021. "Il cameriere non mi ha controllato il Green pass. Ho provato a richiamarlo, ma niente. A quel punto credo di aver anche gridato": Piero Angela ha raccontato questo episodio al Messaggero. Il giornalista e divulgatore scientifico ha spiegato che si trovava all'interno di un ristorante piuttosto affollato di Roma, che però non gli ha chiesto il certificato verde al momento dell'ingresso. "Ho preteso civilmente, e infine ottenuto, il controllo: non bisogna mai vergognarsi di chiedere il rispetto delle norme", ha continuato Angela. ”I gestori devono tutelare la salute dei loro clienti – ha proseguito il giornalista -. E se questo non avviene, sta a noi segnalarlo. Parlare di protezione nei luoghi pubblici è altamente inutile, se poi non si procede al controllo”. Parlando dei camerieri e dei gestori del locale, ha detto: "Può succedere e ho rispetto per chi lavora in un locale e deve gestire situazioni a volte anche complesse". In ogni caso, però, la sua posizione non cambia: "Il controllore deve controllare, punto". Piero Angela poi ha proseguito col suo ragionamento: ”Se vaccinarsi è come allacciarsi la cintura di sicurezza, o attivare l’airbag in macchina, avere il Green Pass è come fare l’assicurazione: è un foglio senza il quale non puoi circolare, perché se investi qualcuno e non sei assicurato sono guai. Bene: se nessuno si lamenta che il vigile controlli l’assicurazione, perché non dovrebbe essere lo stesso con il Green Pass?”.

Francesco Specchia per “Libero Quotidiano” il 17 novembre 2021. Veramente, ora basta. La patience s'est épuisée, ogni limite ha una pazienza, diceva Totò. Tutti noi vaccinati, fiduciosi nella scienza e in Mario Draghi, ne abbiamo abbastanza di - si scusi il tecnicismo - minchiate allo stato gassoso. E vorremmo oggi abbracciare il professor Aldo Grasso che, dalle colonne del Corriere della sera lancia una modesta proposta: una settimana di tv senza No Vax per bloccare la "pandemia dei non vaccinati". La provocazione non sta nel bloccare le trasmissioni per i No Vax in grado di argomentare, di fornire accreditate evidenze scientifiche, di rispettare l'interlocutore. No. Basterebbe solo che Mediaset, Rai, La 7, Discovery, Sky facessero cartello contro i latori di malafede; ed evitassero di dare tribuna a quei No Vax che a forza di bufale negano la realtà. Mediaset, per esempio, sta già pensando al giro di vite sui suoi talk: basta ai No Green Pass che sfiorano il terrapiattismo; potrebbero venire confinati in unico programma (si parla pur sempre di un buon 15% di audience "alternativa"). Ma esiste un drappello di opinionisti per i quali, alla prova del fact checking, del riscontro fattuale, son palesi ignoranza e menzogna. L'altra sera a Otto mezzo, un Massimo Cacciari (politicamente e culturalmente un mostro) si è perso dietro le tesi di un «emerito professore immunologo dell'Università di Nottingham», un ologramma della scena scientifica che dispensa anatemi sulla vaccinazione dei minori. Cacciari ha aggiunto «Io mi informo su Internet...»; l'avessero fatto i suoi studenti, sarebbero stati espulsi dalle scuole del regno. Prima ancora su La Stampa il prof aveva descritto tesi epidemiologicamente ardite: «È vero o no che in Israele e in Gran Bretagna molti dei decessi nell'ultimo periodo sono di persone che avevano già ricevuto la doppia dose?»; senza rendersi conto che laddove - vedi Israele e UK - i vaccinati sono la maggioranza, nella misura in cui i vaccini non offrono una protezione del 100%, è matematico e previsto da subito che, via via che il numero dei vaccinati sale e quello dei non vaccinati scende, il numero dei decessi riguardi sempre di più persone vaccinate. Idem per il mio amico Carlo Freccero, venerato maestro che, preso da zelo bastiancontrario, ha espresso dubbi sulle bare di Bergamo che probabilmente non contenevano le salme dei morti di Covid. Prima - altra fesseria smontata da Corrado Formigli in diretta a Piazzapulita - Carlo aveva affermato, senza tema di smentita, che «i morti erano solo 3.783», associando il Green pass ai campi di concentramento. Con grande tempismo, Carlo ha fatto incazzare i parenti delle vittime, la comunità ebraica e gli estimatori del suo genio persosi nella cosiddetta teoria del "grande reset". Teoria di cui si è reso fiero esponente, a DiMartedì da Floris, Carlo Maria Viganò, ex nunzio apostolico negli Stati Uniti, che ha dichiarato «il Covid non esiste, ci hanno ingannato per due anni», e stavolta s'è incazzato il Papa. Tornando al paragone aberrante vaccino-campi di concentramento: è un refrain dell'ineffabile Francesca Donato fuoruscita dalla Lega con gran sollievo di Salvini e ospite fissa dei programmi più casinisti, specie Non è l'Arena. Donato sulle fake news e sulle shit storm social contro i giornalisti (ne so qualcosa) è specializzata. L'ultima, buttata lì, con sicumera è «anche le persone che hanno controindicazioni mediche per ricevere i vaccini sono obbligate a farlo. E quando queste persone hanno effetti collaterali, anche molto gravi, non ricevono assistenza gratuita». Dire che anche chi presenta controindicazioni al vaccino viene obbligato a riceverlo ovviamente non è vero; non è vero che chi non si vaccina perde il lavoro (può scegliere di fare il tampone ma anche in caso di assenza ingiustificata non perderà il posto); né che chi sviluppa reazioni avverse non riceva assistenza medica gratuita. Maestra inarrivabile della fake è la vicequestora Nunzia Schilirò, ora abbandonata anche da Giletti per la quantità di fesserie propalate sia sanitarie sia giuridiche: «Il Green pass è incostituzionale», «perché viola l'articolo 36 del decreto 953 dell'Unione europea, istitutivo del green pass». Peccato che non esiste alcun articolo 36 del regolamento (non decreto) 953 dell'Ue, gli articoli sono in totale 17; esiste al massimo un "considerando" n. 36, che è però privo di forza giuridica... Sospesa dalla Polizia la Schilirò ora si abbandona - dicono - a performance salutistico/esoteriche. Comprensibile, d'altronde. La distorsione magica del reale è una caratteristica dei No Vax estremi. Costoro tentano di ripetere la menzogna a mantra, forse nella speranza che si autorealizzi. Red Ronnie da Nicola Porro affermava e confermava in tempo di Covid che «dire che la prevenzione avviene attraverso i vaccini è un errore. La prevenzione dovrebbe avvenire attraverso l'allattamento» e che altri hanno assicurato «sui bugiardini di alcuni vaccini c'è scritto chiaramente che possono causare autismo». A tutt'oggi, dai tantissimi studi scientifici effettuati non emerge alcun dato sul possibile nesso di causalità tra vaccini ed autismo. L'unico studio che riportava un legame causale fra vaccino contro morbillo-parotide-rosolia e autismo si è rivelato gravemente fallace; e l'autore dello studio, un medico britannico, nel maggio 2010 è stato radiato dall'Ordine professionale mentre il suo studio è stato ritrattato. Ma intanto la menzogna è passata dal video. Enrico Montesano si è espresso in una magia ematologica, tipo San Gennaro: «Il sangue dei vaccinati non si coagula», aggiungendo «ci sono segretari di partito che si sono fatte 4 dosi di vaccino». La reazione triste di Nicola Zingaretti è stata: «Enrico, perché ti sei ridotto così?». Poi, sotto la coltre dei big del tarocco vaccinale, si cela un sottobosco di piccoli bugiardelli - Balanzoni, Stramezzi, Fusillo, Mariano Amici il medico che sostiene che «il vaccino è più di un veleno» e intinge i tamponi nel kiwi. Ma il top resta Alessandro Meluzzi. Medico e arcivescovo di Bisanzio, Meluzzi ha esposto a Contro corrente e Zona bianca su Rete 4 la sua sulla questione microchip sanitario sotto pelle che ha il compito di controllare gli individui. Ha affermato a Radio radio in riferimento all'ivermectina, farmaco alternativo secondo lui al vaccino che «si può trovare in una comune farmacia dove si acquista con la prescrizione». Cosa smentita da un inviperito Giuseppe Brindisi: «Questo prodotto, che serve per la scabbia e altri parassiti, è vietata la vendita al pubblico». Meluzzi ha confutato la cifra del 97% di efficacia del vaccino, smentito dell'ISS italiano: la cifra è quella, e in terapia intensiva 97 volte su 100, ci finisce un non vaccinato. Inoltre il prof mostra una particolare affezione per l'idrossiclorochina; e si è prodotto in una dichiarazione da fantascienza: «Buona parte di quelli vaccinati da una certa sfera in avanti, hanno fatto falsi vaccini. Ve lo certifico: lo hanno proposto anche a me». Naturalmente, per non sporcarsi il karma, si è tenuto in gola i vaccini falsi, senza denunciarli in Procura. Per queste sue convinzioni, Meluzzi è stato sospeso dall'Ordine dei medici di Torino. Non è, qui, la singola bugia in sé che infastidisce; ma la serie di piccole e continue puttanatine che - diceva Guzzanti - una dietro l'altra, alla fine confondono le menti lucide, come mio papà che guardando la tv continua a non vaccinarsi. Sette giorni di sospensione. Giusto per tirare il fiato...

L’EJC e la fondazione di Bill Gates ai giornalisti: finanziamenti per chi influenza l’opinione pubblica in tema di Sanità. Zaira Bartucca su recnews.it il 19 Novembre 2021. Un finanziamento che può arrivare “fino a 7500 dollari” per i giornalisti che scrivono di sanità per “organizzazioni di media che formano l’opinione pubblica” in determinati Paesi, tra cui anche l’Italia. E’ la proposta del… n finanziamento che può arrivare “fino a 7500 dollari” per i giornalisti che scrivono di sanità per “organizzazioni di media che formano l’opinione pubblica” in determinati Paesi, tra cui anche l’Italia. E’ la proposta del Centro europeo di giornalismo (EJC) che alcuni giornalisti – tra cui la sottoscritta, che non ha aderito – si sono visti recapitare nelle scorse settimane. La comunicazione è relativa al bando Global Health Security Call attivato il 19 ottobre di quest’anno e scaduto il 5 novembre, promosso dall’EJC e dall’onnipresente Bill&Melinda Gates Foundation, la stessa che vanta diversi interessi sulla produzione e somministrazione dei vaccini Pfizer, Moderna e ora anche ReiThera, il vaccino italiano.

Tentare di influenzare l’attività dei giornalisti è un po’ il chiodo fisso di Gates. Lo faceva ai tempi di Microsoft e sembra farlo anche adesso che la sanità globale si è trasformata nella sua gallina dalle uova d’oro. Sia o no questa la filantropia per cui è diventato noto, c’è da domandarsi che fine faccia l’imparzialità dei giornalisti che decidono di rispondere a bandi come questi. Che approccio avranno, per esempio, verso prodotti farmaceutici come i vaccini finanziati e pubblicizzati dalla fondazione Bill& Melinda Gates, che peraltro è parte attiva della GAVI Alliance? Come ne scriveranno o parleranno? Per il momento i progetti giornalistici attivati con la Global Health Security Call non sono stati resi pubblici, ma quel che è certo è che ne verranno portati avanti venti tra Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Paesi Bassi, Norvegia e Svezia. Tanto ha permesso la “donazione” della Fondazione Bill&Melinda Gates, che ha coperto i “costi di realizzazione” per 150.000 dollari (come detto, 7.500 dollari a progetto). Un’operazione che, nei fatti, ricorda un po’ la “paghetta” che il governo Conte diede a chi si prestava a diramare determinate comunicazioni sul coronavirus. Un tentativo di insidiare l’indipendenza di chi informa che riguarda i centri di ricerca giornalistica intercettati dai vari potentati, ma che ancor di più non lascia immuni i media mainstream. Per esempio la Rai, che è attualmente al centro di una riforma volta (si spera) a reintrodurre l’imparzialità, il confronto democratico e la pluralità: “Serve una cultura dell’indipendenza molto più alta, dobbiamo definire una nuova missione per la Rai. Da anni dobbiamo affrontare una legge sulla governance, una riforma di sistema sul rapporto fra Parlamento, governo e Rai”, sono le dichiarazioni che il presidente della Camera ha rilasciato ieri a Radio 24. Facile a dirsi ma molto meno a farsi, soprattutto se l’insidia all’indipendenza dei giornalisti proviene dall’elargizioni garantite dalle fondazioni o da prebende varie e ricompense mascherate da donazioni. Tornano poi alla mente i rapporti tra giornalisti e magistrati emersi con il caso Palamara ma – per tornare all’attualità – anche i “giornalisti a gettone” vicini al Giglio Magico dei renziani che secondo l’inchiesta sulla fondazione Open facevano da raccordo per la creazione e diusione di contenuti che servivano a rovinare la reputazione di chi non era allineato alle volontà dei committenti. A gettare ulteriore discredito sulla categoria ci mancavano, insomma, il covid, i vaccini e la sanità.

Zaira Bartucca Direttore e Founder di Rec News, Giornalista. Inizia a scrivere nel 2010 per la versione cartacea dell’attuale Quotidiano del Sud. Presso la testata ottiene l’abilitazione per iscriversi all’Albo nazionale dei giornalisti, che avviene nel 2013. Dal 2015 è giornalista praticante. Ha firmato diverse inchieste per quotidiani, siti e settimanali sulla sanità calabrese, sulle ambiguità dell’Ordine dei giornalisti, sul sistema Riace, sui rapporti tra imprenditoria e Vaticano, sulle malattie professionali e sulle correlazioni tra determinati fattori ambientali e l’incidenza di particolari patologie. Più di recente, sull’affare Coronavirus e su “Milano come Bibbiano”. Tra gli intervistati Gunter Pauli, Vittorio Sgarbi, Giulio Tarro, Armando Siri, Gianmarco Centinaio, Michela Marzano, Vito Crimi, Daniela Santanché. Premio Comunical (2014, Corecom/AgCom). Autrice de “I padroni di Riace – Mimmo Lucano e gli altri. Storie di un sistema che ha messo in crisi le casse dello Stato”.

BILL GATES. COME COMPRA I ‘MEDIA’ NEGLI STATI UNITI A SUON DI MILIONI DI DOLLARI. Andrea Cinquegrani  su La Voce delle Voci il 21 Novembre 2021. Il fondatore di Microsoft, Bill Gates, oggi impegnato nelle battaglie del secolo, ossia quelle sul fronte dei vaccini e dei cambiamenti climatici, esercita un controllo capillare su tutti i media negli Stati Uniti, attraverso una meticolosa campagna di super donazioni orchestrata attraverso la corazzata di famiglia, la ‘Bill & Melinda Gates Foundation’.

A conti fatti, l’ultimo esborso è pari alla bellezza di 319 milioni di dollari. Not nuts, non proprio noccioline.

Lo dimostra, cifre e carte alla mano, un esplosivo reportage del giornalista d’inchiesta (o meglio, di contro-inchiesta) americano Alan MacLeod, pubblicato sul sito ‘MintPress’, nel cui team MacLeod figura come ‘Staff writer’. Come del resto lo è per un altro importante sito di contro-informazione a stelle e strisce, ‘The Grayzone’. Inoltre, è ‘contributor’ al ‘Fairness and Accuracy in Reporting’ (FAIR).

Al suo attivo tre libri: “Bad News from Venezuela: Twenty years of fake news and Misreporting”, “International Politics and the Northern Ireland Conflit” e “Propaganda in the Information Age – Still Manifacturing Consent”.

E proprio sul tema del controllo asfissiante dell’informazione e della manipolazione del consenso è incentrato il fresco reportage, che vede sotto i riflettori uno dei personaggi oggi più potenti della terra, quel Bill Gates che – pochi lo rammentano – è il secondo finanziatore dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, alle spalle nientemeno che degli Stati Uniti e prima, udite udite, del Regno Unito.

Insomma, un uomo che conta più di una nazione, di tante nazioni.

Ricordiamo un paio di altre ‘chicche’, prima di entrare nel campo dei media americani finanziati a botte da milioni di dollari.

Nel 2010 Vate Gates, un vero preveggente, dichiarò che il decennio seguente, e cioè quello 2011-2020, sarebbe stato il “decennio delle pandemie”.

E proprio prima dello scoppio di questa pandemia, a novembre 2019, fu la mente ispiratrice di ‘Event 201’, con la strategica partnership del ‘World Economic Forum’ guidato da Klaus Schwab (do you remember ‘The Great Reset’?): un evento in cui veniva descritto per filo e per segno ciò che sarebbe successo nei mesi e anche negli anni seguenti.

La Voce ha scritto svariate inchieste ed articoli sulle molteplici imprese griffate Gates: le potete trovare nel nostro archivio con il ‘cerca’, digitando ‘Bill Gates’. Approdando anche in Italia, con l’ultimo cadeau in arrivo dalla super Fondazione e da recapitare alla nostra ammiraglia – fino   ad oggi sfortunata – sul fronte del vaccino tutto italiano: si tratta di ‘Reithera’, alla quale Super Bill ha promesso una montagna di dollari sonanti.

Ma eccoci alla super ricerca-inchiesta firmata da Alan MacLeod. 

SEATTLE — Fino al suo recente disordinato divorzio, Bill Gates ha goduto di una sorta di pass gratuito nei media aziendali. Generalmente presentato come un nerd gentile che vuole salvare il mondo, il co-fondatore di Microsoft è stato persino battezzato senza ironia “Saint Bill” da The Guardian .

Mentre gli imperi mediatici di altri miliardari sono relativamente ben noti, la misura in cui il denaro di Gates sostiene il panorama dei media moderni non lo è. Dopo aver selezionato oltre 30.000 sovvenzioni individuali, MintPress può rivelare che la Bill and Melinda Gates Foundation (BMGF) ha effettuato donazioni per un valore di oltre 300 milioni di dollari per finanziare progetti mediatici.

I destinatari di questo denaro includono molte delle più importanti agenzie di stampa americane, tra cui CNN , NBC, NPR , PBS e The Atlantic . Gates sponsorizza anche una miriade di influenti organizzazioni straniere, tra cui BBC , The Guardian , The Financial Times e The Daily Telegraph nel Regno Unito; importanti giornali europei come Le Monde (Francia), Der Spiegel (Germania) ed El País (Spagna); così come grandi emittenti globali come Al-Jazeera .

Il denaro della Fondazione Gates destinato ai programmi per i media è stato suddiviso in una serie di sezioni, presentate in ordine numerico decrescente, e include un collegamento alla sovvenzione pertinente sul sito Web dell’organizzazione.

Premi direttamente ai media:

NPR- $ 24,663,066 

The Guardian (incluso org) – $ 12.951.391    

Media pubblici a cascata – $ 10,895.016 

Public Radio International (PRI.org/TheWorld.org)- $ 7,719,113 

La conversazione – $ 6,664,271 

Univision- $ 5,924,043 

Der Spiegel (Germania)- $5.437.294        

Project Syndicate- $ 5,280,186 

Settimana dell’istruzione – $ 4.898.240 

WETA- $ 4.529.400 

NBCUniversal Media- $ 4,373,500 

Nation Media Group (Kenya) – $ 4.073.194 

Le Monde (Francia) – $ 4.014.512 

Bhekisisa (Sud Africa) – $ 3,990,182 

El País – $ 3.968.184 

BBC- $ 3.668.657 

CNN- $ 3.600.000    

KCET- $ 3.520,703 

Population Communications International (population.org) – $ 3,500,000 

Il Daily Telegraph – $ 3,446.801 

Chalkbeat – $ 2.672.491    

Il post dell’istruzione: $ 2,639,193 

Rockhopper Productions (Regno Unito) – $2,480,392 

Corporation for Public Broadcasting – $2,430.949 

UpWorthy – $ 2,339.023 

Financial Times – $2,309,845 

Il 74 Media- $2,275.344 

Texas Tribune- $2,317.163 

Punch (Nigeria) – $2.175.675 

Notizie in profondità– $ 1,612,122 

L’Atlantico- $ 1.403.453 

Minnesota Public Radio- $ 1,290,898 

YR Media- $1.125.000 

Il nuovo umanitario – $ 1.046.457 

Sheger FM (Etiopia) – $ 1,004,600 

Al-Jazeera- $ 1.000.000 

ProPublica- $1.000.000 

Media pubblici incrociati – $ 810.000 

Rivista Grist- $ 750.000 

Kurzgesagt – $ 570.000 

Educational Broadcasting Corp – $ 506,504 

Classica 98,1 – $ 500.000 

PBS – $ 499.997 

Gannett – $ 499.651 

Posta e Guardian (Sud Africa) – $ 492.974 

Inside Higher Ed.- $ 439,910 

Giornolavorativo (Nigeria) – $416.900 

com – $ 412.000    

Nutopia- $ 350.000 

Independent Television Broadcasting Inc. – $ 300.000 

Independent Television Service, Inc. – $ 300.000 

Caixin Media (Cina) – $ 250.000 

Servizio di notizie del Pacifico – $ 225.000 

Rivista nazionale – $ 220.638 

Cronaca dell’istruzione superiore – $ 149.994 

Belle e Wissell, Co. $ 100.000 

Fiducia dei media – $ 100.000 

Radio pubblica di New York – $ 77,290 

KUOW – Radio pubblica di Puget Sound – $ 5,310

Insieme, queste donazioni ammontano a $ 166.216.526. Il denaro è generalmente diretto verso questioni vicine ai cuori di Gates. Ad esempio, la sovvenzione della CNN di $ 3,6 milioni è andata a “report[ing] sull’uguaglianza di genere con un focus particolare sui paesi meno sviluppati, producendo giornalismo sulle disuguaglianze quotidiane subite da donne e ragazze in tutto il mondo”, mentre il Texas Tribune ha ricevuto milioni per “per aumentare la consapevolezza e l’impegno del pubblico sui problemi della riforma dell’istruzione in Texas”. Dato che Bill è uno dei più ferventi sostenitori delle charter school , un cinico potrebbe interpretarlo come l’introduzione di propaganda pro-corporate della charter school nei media, mascherata da notizie oggettive.

La Gates Foundation ha anche donato quasi 63 milioni di dollari a enti di beneficenza strettamente allineati con i grandi media, tra cui quasi 53 milioni di dollari a BBC Media Action, oltre 9 milioni di dollari alla Fondazione Staying Alive di MTV e 1 milione di dollari al New York Times Neediest Causes Fund. Sebbene non finanzino specificamente il giornalismo, dovrebbero comunque essere notate le donazioni al braccio filantropico di un lettore multimediale.

Gates continua a sottoscrivere anche un’ampia rete di centri di giornalismo investigativo, per un totale di poco più di 38 milioni di dollari, più della metà dei quali è andata all’International Center for Journalists con sede a Washington per espandere e sviluppare i media africani.

Questi centri includono:

Centro internazionale per giornalisti – $ 20,436,938 

Premium Times Center for Investigative Journalism (Nigeria) – $ 3,800,357 

Il Pulitzer Center for Crisis Reporting – $2,432,552 

Fondazione EurActiv Politech – $ 2.368.300 

International Women’s Media Foundation – $ 1.500.000 

Centro per i rapporti investigativi – $ 1,446,639 

Istituto InterMedia Survey – $ 1,297,545 

Il Bureau of Investigative Journalism – $ 1.068.169 

Rete di Internet – $ 985.126 

Media Center del Consorzio di comunicazione – $ 858.000 

Istituto per le notizie senza scopo di lucro – $ 650.021 

L’Istituto Poynter per gli studi sui media- $ 382.997 

Wole Soyinka Center for Investigative Journalism (Nigeria) – $ 360,211 

Institute for Advanced Journalism Studies – $ 254,500 

Forum globale per lo sviluppo dei media (Belgio) – $ 124.823 

Mississippi Center for Investigative Reporting – $ 100.000

Oltre a ciò, la Fondazione Gates fornisce denaro ad associazioni di stampa e giornalismo per almeno 12 milioni di dollari. Ad esempio, la National Newspaper Publishers Association, un gruppo che rappresenta più di 200 punti vendita, ha ricevuto 3,2 milioni di dollari.

L’elenco di queste organizzazioni include:

Associazione degli scrittori dell’istruzione – $ 5,938.475 

Associazione nazionale degli editori di giornali – $ 3.249.176 

National Press Foundation- $ 1.916.172 

Consiglio di notizie di Washington – $ 698,200 

Fondazione American Society of News Editors – $ 250.000 

Comitato dei giornalisti per la libertà di stampa – $ 25.000

Questo porta il nostro totale corrente fino a $ 216,4 milioni.

La fondazione mette anche i soldi per formare direttamente giornalisti in tutto il mondo, sotto forma di borse di studio, corsi e workshop. Oggi è possibile per un individuo formarsi come reporter grazie a una sovvenzione della Gates Foundation, trovare lavoro in un punto vendita finanziato da Gates e appartenere a un’associazione di stampa finanziata da Gates. Ciò è particolarmente vero per i giornalisti che lavorano nei settori della salute, dell’istruzione e dello sviluppo globale, quelli in cui lo stesso Gates è più attivo e dove è più necessario esaminare le azioni e le motivazioni del miliardario.

Le sovvenzioni della Fondazione Gates relative all’istruzione dei giornalisti includono:

Johns Hopkins University – $ 1,866,408 

Teachers College, Columbia University- $ 1,462,500 

Università della California Berkeley- $ 767,800        

Università Tsinghua (Cina) – $ 450.000 

Università di Seattle – $ 414.524 

Institute for Advanced Journalism Studies – $ 254,500    

Università di Rodi (Sudafrica) – $ 189.000 

Montclair State University- $ 160,538 

Fondazione dell’Università Pan-atlantica – $ 130.718 

Organizzazione Mondiale della Sanità – $ 38,403 

Il progetto Aftermath- $15.435

Il BMGF paga anche per una vasta gamma di campagne mediatiche specifiche in tutto il mondo. Ad esempio, dal 2014 ha donato 5,7 milioni di dollari alla Population Foundation of India per creare drammi che promuovono la salute sessuale e riproduttiva, con l’intento di aumentare i metodi di pianificazione familiare nell’Asia meridionale. Nel frattempo, ha stanziato oltre 3,5 milioni di dollari a un’organizzazione senegalese per sviluppare programmi radiofonici e contenuti online con informazioni sulla salute. I sostenitori considerano questo un aiuto per i media sottofinanziati in modo critico, mentre gli oppositori potrebbero considerarlo un caso di un miliardario che usa i suoi soldi per piantare le sue idee e opinioni nella stampa.

Progetti media supportati dalla Fondazione Gates:

Centro di giornalismo europeo – $ 20,060,048 

Servizio universitario mondiale del Canada – $ 12.127.622 

Storia ben raccontata limitata – $ 9,870,333 

Solutions Journalism Inc.- $ 7,254.755    

Fondazione per l’industria dell’intrattenimento– $ 6.688.208    

Fondazione per la popolazione dell’India– $ 5,749,826 – 

Media partecipanti – $ 3.914.207 

Réseau Africain de l’Education pour la santé- $ 3,561,683 

Nuova America – $ 3,405,859 

Fondazione AllAfrica – $2,311,529 

Passi internazionali – $2,208,265 

Centro per la difesa e la ricerca – $ 2,200,630 

Il laboratorio del sesamo – $ 2.030.307 

Panos Institute Africa occidentale – $ 1,809,850         

Open Cities Lab – $ 1,601,452    

Università di Harvard – $ 1,190,527 

L’apprendimento conta – $ 1,078.048 

L’Aaron Diamond Aids Research Center- $ 981.631 

Thomson Media Foundation- $ 860.628 

Media Center del Consorzio di comunicazione – $ 858.000 

StoryThings- $799,536 

Centro per le strategie rurali – $ 749.945 

Il nuovo fondo di rischio – $ 700.000    

Helianthus Media – $ 575.064    

Università della California del sud- $ 550.000 

Organizzazione Mondiale della Sanità- $ 530.095 

Phi Delta Kappa Internazionale – $ 446.000 

Ikana Media – $ 425.000 

Fondazione Seattle – $ 305.000 

IstruzioneNC – $ 300.000 

Pechino Guokr Interactive – $ 300.000    

Upswell- $ 246.918 

L’Accademia africana delle scienze – $ 208.708   

Alla ricerca di applicazioni moderne per la vera trasformazione (SMART) – $ 201.781 

Bay Area Video Coalition- $ 190.000 

Fondazione PowHERful – $ 185.953 

Congresso PTA Florida di genitori e insegnanti – $ 150.000    

ProSocial – $ 100.000    

Università di Boston – $ 100.000 

Centro nazionale per l’apprendimento delle famiglie – $ 100.000   

Development Media International – $ 100.000 

Università Ahmadu Bello- $ 100.000 

Società indonesiana di sanità elettronica e telemedicina – $ 100.000 

The Filmmakers Collaborative – $ 50.000 

Fondazione per la radiodiffusione pubblica in Georgia Inc. – $ 25.000    

SIFF – $ 13.000

Totale: $ 97,315,408

319,4 milioni di dollari e (molto) di più

Sommati insieme, questi progetti mediatici sponsorizzati da Gates ammontano a un totale di 319,4 milioni di dollari. Tuttavia, ci sono evidenti carenze con questo elenco non esaustivo, il che significa che la cifra reale è senza dubbio molto più alta. Innanzitutto, non conta le sovvenzioni secondarie, ovvero denaro dato dai destinatari ai media di tutto il mondo. E mentre la Fondazione Gates promuove un’aria di apertura su se stessa, in realtà ci sono poche preziose informazioni pubbliche su ciò che accade ai soldi di ciascuna sovvenzione, tranne per una breve descrizione di una o due frasi scritta dalla fondazione stessa sul suo sito web . Sono state conteggiate solo le donazioni alle organizzazioni di stampa stesse oi progetti che potrebbero essere identificati dalle informazioni sul sito Web della Fondazione Gates come campagne mediatiche, il che significa che migliaia di sovvenzioni con qualche elemento mediatico non compaiono in questo elenco.

Un esempio calzante è la partnership del BMGF con ViacomCBS, la società che controlla CBS News , MTV, VH1, Nickelodeon e BET . I resoconti dei media all’epoca notarono che la Gates Foundation stava pagando il gigante dell’intrattenimento per inserire informazioni e PSA nella sua programmazione e che Gates era intervenuto per cambiare le trame in spettacoli popolari come ER e Law & Order: SVU.

Tuttavia, quando si controlla il database delle sovvenzioni di BMGF, “Viacom” e “CBS” non si trovano da nessuna parte, la probabile sovvenzione in questione (per un totale di oltre $ 6 milioni) descrive semplicemente il progetto come una “campagna di impegno pubblico volta a migliorare i tassi di diploma di scuola superiore e tassi di completamento postsecondari specificamente rivolti a genitori e studenti”, il che significa che non è stato conteggiato nel totale ufficiale. Ci sono sicuramente molti altri esempi come questo. “Per un ente di beneficenza con privilegi fiscali che molto spesso sbandiera l’importanza della trasparenza, è straordinario quanto sia intensamente riservata la Fondazione Gates sui suoi flussi finanziari” , ha detto a MintPress Tim Schwab , uno dei pochi giornalisti investigativi che ha scrutato il miliardario della tecnologia . .

Non sono inoltre incluse le sovvenzioni finalizzate alla produzione di articoli per riviste accademiche. Sebbene questi articoli non siano destinati al consumo di massa, costituiscono regolarmente la base per le storie sulla stampa principale e aiutano a modellare le narrazioni su questioni chiave. La Gates Foundation ha donato in lungo e in largo a fonti accademiche, con almeno 13,6 milioni di dollari destinati alla creazione di contenuti per la prestigiosa rivista medica The Lancet .

E, naturalmente, anche i soldi dati alle università per progetti puramente di ricerca alla fine finiscono nelle riviste accademiche e, infine, a valle nei mass media. Gli accademici sono sottoposti a forti pressioni per stampare i loro risultati su riviste prestigiose; “pubblica o muori” è il mantra nei dipartimenti universitari. Pertanto, anche questo tipo di sovvenzioni ha un effetto sui nostri media. Né queste né le sovvenzioni che finanziano la stampa di libri o la creazione di siti web sono conteggiate nel totale, sebbene anch’esse siano forme di media. 

Profilo basso, tentacoli lunghi

Rispetto ad altri miliardari della tecnologia, Gates ha mantenuto il suo profilo di controller dei media relativamente basso. L’acquisto del Washington Post da parte del fondatore di Amazon Jeff Bezos per 250 milioni di dollari nel 2013 è stata una forma molto chiara e ovvia di influenza dei media, così come la creazione di First Look Media, la società proprietaria di The Intercept , da parte del fondatore di eBay Pierre Omidyar .

Nonostante volino di più sotto il radar, Gates e le sue aziende hanno accumulato una notevole influenza sui media. Ci affidiamo già a prodotti di proprietà di Microsoft per la comunicazione (es. Skype, Hotmail), i social media (LinkedIn) e l’intrattenimento (Microsoft XBox). Inoltre, l’hardware e il software che usiamo per comunicare vengono spesso gentilmente concessi dal 66enne Seattleite. Quante persone che leggono questo lo fanno su un telefono Microsoft Surface o Windows e lo fanno tramite il sistema operativo Windows? Non solo, Microsoft possiede partecipazioni in giganti dei media come Comcast e AT&T . E la “MS” in MSNBC sta per Microsoft. 

I custodi di Media Gates

Il fatto che la Fondazione Gates stia sottoscrivendo una fetta significativa del nostro ecosistema mediatico porta a seri problemi di obiettività. “Le sovvenzioni della fondazione alle organizzazioni dei media… sollevano ovvie domande sul conflitto di interessi: come possono essere imparziali i rapporti quando un attore importante tiene i cordoni della borsa?” ha scritto il Seattle Times locale di Gates nel 2011. Questo è stato prima che il giornale accettasse i soldi del BMGF per finanziare la sua sezione “laboratorio educativo”.

La ricerca di Schwab ha scoperto che questo conflitto di interessi arriva fino in cima: due editorialisti del New York Times hanno scritto entusiasticamente per anni sulla Gates Foundation senza rivelare che lavorano anche per un gruppo – il Solutions Journalism Network – che, come mostrato sopra, ha ricevuto oltre 7 milioni di dollari dall’ente di beneficenza del miliardario tecnologico.

All’inizio di quest’anno, Schwab ha anche rifiutato di collaborare a una storia su COVAX per il Bureau of Investigative Journalism , sospettando che il denaro che Gates stava pompando nell’outlet avrebbe reso impossibile riferire con precisione su un argomento così vicino al cuore di Gates. Abbastanza sicuro, quando l’articolo è stato pubblicato il mese scorso, ha ripetuto l’affermazione che Gates aveva poco a che fare con il fallimento di COVAX, rispecchiando la posizione del BMGF e citandola dappertutto. Solo alla fine della storia di oltre 5.000 parole è stato rivelato che l’organizzazione che difendeva pagava gli stipendi del suo personale.

“Non credo che Gates abbia detto al Bureau of Investigative Journalism cosa scrivere. Penso che l’FBI sapesse implicitamente, anche se inconsciamente, di dover trovare un modo per raccontare questa storia che non prendesse di mira il loro finanziatore. Gli effetti di distorsione dei conflitti finanziari sono complessi ma molto reali e affidabili”, ha detto Schwab, descrivendolo come “un caso di studio sui pericoli del giornalismo finanziato da Gates”.

MintPress ha anche contattato la Bill and Melinda Gates Foundation per un commento, ma non ha risposto.

Gates, che ha accumulato la sua fortuna costruendo un monopolio e proteggendo con zelo la sua proprietà intellettuale, è responsabile in modo significativo del fallimento del lancio del vaccino contro il coronavirus in tutto il mondo. A parte il fiasco COVAX, ha fatto pressioni sull’Università di Oxford per non rendere il suo vaccino finanziato pubblicamente open-source e disponibile a tutti gratuitamente, ma invece per collaborare con la società privata AstraZeneca, una decisione che ha significato che coloro che non potevano pagare sono stati bloccati dall’usarlo. Che Gates abbia fatto oltre 100 donazioni all’università, per un totale di centinaia di milioni di dollari, probabilmente ha avuto un ruolo nella decisione. Ad oggi, meno del 5%delle persone nei paesi a basso reddito ha ricevuto anche una sola dose di vaccino COVID. Il bilancio delle vittime di questo è immenso.

Sfortunatamente, molte di queste vere critiche a Gates e alla sua rete sono oscurate da teorie cospirative selvagge e false su cose come l’inserimento di microchip nei vaccini per controllare la popolazione. Ciò ha significato che le critiche autentiche del co-fondatore di Microsoft sono spesso demonetizzate e soppresse algoritmicamente, il che significa che i punti vendita sono fortemente dissuasi dal trattare l’argomento, sapendo che probabilmente perderanno denaro se lo fanno. La scarsità di controlli sul secondo individuo più ricco del mondo, a sua volta, alimenta stravaganti sospetti.

Gates se lo merita sicuramente. A parte i suoi legami profondi e potenzialmente decennali con il famigerato Jeffrey Epstein, i suoi tentativi di cambiare radicalmente la società africana e il suo investimento nel controverso gigante chimico Monsanto, è forse il motore chiave dietro il movimento delle scuole charter americane – un tentativo di sostanzialmente privatizzare il sistema educativo statunitense. Le charter school sono profondamente impopolari tra i sindacati degli insegnanti, che vedono il movimento come un tentativo di ridurre la loro autonomia e ridurre il controllo pubblico su come e cosa viene insegnato ai bambini. 

Fino alla banca

Nella maggior parte dei servizi, le donazioni di Gates sono generalmente presentate come gesti altruistici. Eppure molti hanno indicato i difetti intrinseci di questo modello, osservando che consentire ai miliardari di decidere cosa fare con i loro soldi consente loro di stabilire l’agenda pubblica, dando loro un enorme potere sulla società. “La filantropia può ed è utilizzata deliberatamente per distogliere l’attenzione dalle diverse forme di sfruttamento economico che sono alla base della disuguaglianza globale oggi”, ha affermato Linsey McGoey , professoressa di sociologia presso l’Università dell’Essex, nel Regno Unito, e autrice di No Such Thing as a Free Gift : La Fondazione Gates e il prezzo della filantropia. Lei aggiunge:

Il nuovo “filantrocapitalismo” minaccia la democrazia aumentando il potere del settore aziendale a scapito delle organizzazioni del settore pubblico, che affrontano sempre più strette di bilancio, in parte remunerando eccessivamente le organizzazioni a scopo di lucro per fornire servizi pubblici che potrebbero essere forniti a un prezzo più basso senza coinvolgimento del settore privato”.

La carità, come ha osservato l’ex primo ministro britannico Clement Attlee, “è una cosa fredda e grigia senza amore. Se un uomo ricco vuole aiutare i poveri, dovrebbe pagare le tasse con gioia, non elargire soldi per capriccio”.

Niente di tutto ciò significa che le organizzazioni che ricevono i soldi di Gates – media o altro – siano irrimediabilmente corrotte, né che la Fondazione Gates non faccia del bene al mondo. Ma introduce un evidente conflitto di interessi per cui le stesse istituzioni su cui ci affidiamo per ritenere responsabile uno degli uomini più ricchi e potenti nella storia del pianeta vengono tranquillamente finanziate da lui. Questo conflitto di interessi è uno di quelli che i media aziendali hanno ampiamente cercato di ignorare, mentre il presunto filantropo altruista Gates continua a diventare più ricco, ridendo fino alla banca. 

P.S. In Italia, in misura più ridotta, assistiamo ad uno scenario simile per quanto concerne l’informazione irradiata da tutte le televisioni private.

Pochi mesi fa (potete rileggere l’inchiesta cliccando sul link in basso) abbiamo pubblicato un fitto elenco, con i nominativi di centinaia e centinaia di tivvù private italiane (praticamente tutte), alle quale il Ministero per lo Sviluppo Economico, retto dal leghista Giancarlo Giorgetti, ha elargito esattamente un anno fa (dicembre 2020) un mare di contributi a fondo perduto, sotto forma di acquisto di spazi per la pubblicità progresso, stavolta dedicata alla promozione della campagna vaccinale.

Lo stanziamento totale ha superato i 50 milioni di euro, anche stavolta non proprio noccioline. Una vera manna dal cielo per tante antenne in difficoltà e a caccia di liquidità. Da allora un’informazione totalmente appiattita – nei notiziari locali, seguita da tanti – sul fronte della politica governativa a base di green pass & vaccini. Un consenso letteralmente ‘comprato’ da Mario Draghi & C.

E’ democrazia, questa?

E’ informazione questa?

E tutto è successo nel più totale silenzio, of course.

GOVERNO. COME COMPRO LE TIVVU’ PRIVATE CON 50 MILIONI DI “PUBBLICITA’” PER LA CAMPAGNA COVID Andrea Cinquegrani  su La Voce delle Voci l'11 settembre 2021.  Come compro l’informazione tivvù sparsa a macchia di leopardo in tutta Italia. In che modo acquisisco il consenso per orientare l’opinione pubblica a favore dei vaccini. E’ questo il senso autentico di un decreto emanato a fine 2020 dal Ministero dello Sviluppo Economico per elargire la bellezza di 50 milioni di euro a circa 120 emittenti locali, dalle più grandi fino a quelle quasi parrocchiali.

Una pioggia di danari come neanche mamma DC, ai suoi gloriosi tempi, si sarebbe mai sognata di erogare, pena l’essere tacciata di bassa corruzione.

A festeggiare, come detto, sono tantissime antenne private, che in quelle palate milionarie trovano un nuovo propellente, dopo anni di vacche magre.

Si stropicciano le mani soprattutto due gruppi leader, da tempo, nel settore: largamente in testa nella special hit dei fondi allegramente erogati, infatti, troviamo il gruppo pugliese ‘Telenorba’, riconducibile alla famiglia Montrone, che fa un colpo da quasi 4 milioni di euro; seguito da quello griffato ‘Telelombardia’, che fa capo alla dinasty capitanata da Sandro Parenzo, il cui figlio Davìd spadroneggia tutte le sere sugli schermi de La 7, ora in compagnia della fascinosa Concita De Gregorio.

Non manca chi, nel mondo dell’informazione, storce il naso. E così commenta: “Un autentico golpe, un’operazione vergognosa. Il governo ha letteralmente comprato tutto il settore televisivo privato regionale, mettendo sul piatto una bella torta da 50 milioni di euro. Un settore che fino a quel momento vivacchiava con la pubblicità che riusciva a raccogliere sul territorio, a parte i successi ormai consolidati di Telenorba e Telelombardia. Ora la manna dal cielo, grazie al covid che i signori e signorini delle antenne non finiranno di benedire”.

E ancora: “Un’operazione sporca e basta vedere i notiziari d’informazioni che queste tivvù irradiano nell’etere per rendersene conto. Notiziari letteralmente genuflessi di fronte alle politiche governative per i vaccini, omettendo regolarmente le notizie ‘negative’ oppure una qualsiasi informazione sulle cure domiciliari, ad esempio. Il copione non cambia, anzi peggiora, con le reti di Stato, che forniscono un’informazione del tutto taroccata: ma è nella logica del controllo totale dei partiti sulla Rai. Nel caso delle tivvù private il discorso è diverso: perché qui si compra, nel senso più concreto del termine, il consenso”.

Evidentemente le cifre sono erogate per acquistare i rituali spazi di ‘pubblicità-progresso’. Ma basta, appunto, sentire un notiziario per rendersi conto della autentica sceneggiata – è proprio il caso di dire – messa in onda.

Sorge a questo punto spontanea una domanda. Come mai la sempre solerte Corte dei Conti non alza un dito? Non ha proprio nulla da obiettare su una simile operazione che tira in ballo ingenti cifre delle casse pubbliche per acrobazie del genere?

E la stessa magistratura, pur così incerottata dal ‘Palamaragate’ in poi, non ha ugualmente nulla da obiettare?

Niente da indagare? Nulla da scoperchiare? Tutto ok?

Andiamo ora a vedere alcuni tra i protagonisti del Bingo, della fortunatissima lotteria non organizzata da un saltimbanco di quartiere, ma dallo Stato, attraverso il braccio operativo del MISE. 

BRILLANO LE STAR TELENORBA E TELELOMBARDIA

Mette a segno il colpo del secolo, pari a circa 3 milioni 850 mila euro. La società ‘Telenorba spa’, infatti, ottiene ben 4 distinti contributi per 4 diversi marchi, tutti comunque riconducibili alla casa madre.

Ecco il dettaglio.

Il marchio ‘Telenorba 7’ riceve la cifra più alta in assoluto a livello nazionale, con un bottino da 1 milione 718 mila euro e spicci.

Al quinto posto della stessa classifica compare la griffe ‘Telenorba 8 – Teledue’, altra creatura del ricco ventre Telenorba spa: in questo caso la cifra assegnata è di 810 mila euro.

Eccoci poi a ‘Radionorba srl’, che con il marchio ‘Radionorba Television’ si aggiudica dal generoso MISE 693 mila euro.

La festa non è finita. E continua in sella a ‘TG Norba 24’, l’apposita sigla messa in campo per i notiziari, alla quale vanno in dote 647 mila euro.

Una vera cuccagna per lo storico proprietario della tivvù, Luca Montrone, che l’ha fondata 45 anni fa esatti, nel 1976, in compagnia di Vito Zivoli da Conversano, il piccolo comune dove si insediò subito il quartier generale dell’antenna.

La corazzata pugliese può oggi contare su altri canali affiliati: non solo Radionorba, Radionorba TV e TG Norba 24, ma anche Teledue, Telepuglia e Telenorba Shqiptare, addirittura in Albania. Quando arriveranno i fondi anche per le antenne consorelle?

Pochi mesi fa un cambio alla direzione di Telenorba. Il direttore di rete dal 2016, Antonio Azzalini, lascia il timone per passare alla guida di ‘Lux Vide’. In attesa del nuovo numero uno, ora la direzione è affidata ad un rampollo di casa Montrone, Marco. 

Passiamo alla seconda protagonista assoluta del settore, ‘Telelombardia srl’. Anche stavolta il cadeau è multiplo.

Al terzo posto nella classifica nazionale delle elargizioni, infatti, figura il marchio ‘Telelombardia’ in modo diretto, con un appannaggio da oltre 1 milione di euro, per la precisione 1 milione 11 mila.

Segue a ruota la griffe di ‘Antennatre’, gemmazione, of course, di Telelombardia: in questo caso i fondi raccolti sono pari a 684 mila euro.

Il terzo colpo viene messo a segno grazie a ‘Top Calcio 24’, dal momento che il football è una delle ghiottonerie dell’ammiraglia lombarda: Top Calcio 24 sfiora quota mezzo milione di euro, vedendosi recapitare in cassa, infatti, 491 mila euro.

Il poker viene servito grazie a ‘Videogruppo’, marchio sempre riconducibile a Telelombardia, ma con sede legale, stavolta, in Piemonte: la cifra è più contenuta, 264 mila euro: ma la prossima volta andrà meglio.

Nasce appena un anno prima di Telenorba, ossia nel 1975, l’antenna meneghina partorita a Cologno Monzese, nel complesso Icet Studios che verrà poi acquistato dalla Fininvest. Il nuovo polo televisivo digitale, invece, spunta nel 2007, sull’area dismessa ex Tenax e al centro del progetto di riqualificazione dell’ex quartiere industriale della Bovisa: un super polo con ben 15 sale montaggio, bar, ristorante.

Da quest’anno tutto il pacchetto azionario è nelle mani del ‘Gruppo Mediapason’, controllato dal capitano di sempre, Sandro Parenzo. Il quale ha condotto negli ultimi anni una notevole campagna acquisti, finendo con il dar vita ad una formazione coi fiocchi che vede schierate, oltre a Telelombardia, Antennatre e Top calcio 24, anche Videogruppo Piemonte e Videogruppo Piemonte + 1, Vivo Pavia, Milanow, Top Planet-Canale 6, Top Tech, Top Music. 

L’ARGENTO SARDO E LA LOTTERIA CAMPANA

Prima di passare alla lotteria campana, un cenno d’obbligo all’antenna che si aggiudica la prestigiosa seconda postazione sul podio a livello nazionale per quanto concerne il contributo erogato dal MISE: si tratta della sarda ‘VIDEOLINA spa’, fondata sempre nello stesso magico anno, il 1975, da uno degli editori all’epoca in rampa di lancio, Nicola Grauso.

In grado di spiccare il salto dopo dieci anni: nel 1985, infatti, Grauso e il socio Michele Rossetti acquistarono la storica ‘L’Unione Sarda’, il quotidiano più venduto sull’isola.

L’inizio del 2000 è un vero incubo per Grauso, costretto a lasciare baracca e burattini in seguito alle vicende legate al sequestro di Silvia Melis. Le sue aziende vengono improvvisamente commissariate, Grauso vende tutto e passa il testimone a Sergio Zuncheddu, già editore di ‘Tele Costa Smeralda’ e della stessa Unione Sarda, nonché di ‘Tele Sardinia’, che si fuse con Sardegna 1 TV, dando vita a Sardegna Uno.

Passiamo al fresco incasso via MISE. A Videolina spa (e per il marchio Videolina) è stata recapitata la bella cifra di 1 milione 285 mila euro. Niente male.

Eccoci in Campania. La pole position spetta ad una delle emittenti più antiche a livello nazionale, creata nel 1976 da un vulcanico ingegnere (e anche inventore), Pierangelo Gregorio. Finita nell’orbita del gruppo armatoriale della famiglia Lauro (tanto che gli studi sono stati per anni ubicati nella faraonica Villa Lauro a Posillipo), poi è passata sotto il controllo della famiglia Torino, con i due fratelli, Andrea e Vittorio, in prima linea. Ora il timone è nelle mani di un rampollo, Paolo Torino.

Fa un bel botto di Capodanno, Canale 21 srl: il suo cadeau, infatti, supera la ragguardevole cifra di 900 mila euro, per la precisione 908 mila.

Deve accontentarsi della metà esatta, e cioè di 466 mila euro, l’emittente tradizionale dei commercianti del Vomero, il quartiere alto della città, un pullulare di negozi d’ogni sorta: si tratta di ‘Televomero srl’, che iniziò le sue trasmissioni nel 1978.

Ragguardevole la performance di un’altra antenna partenopea, ‘TELE A’, gestita dalla società ‘Incremento Finanziario’, nelle cui casse sono affluiti 440 mila euro. Fondata a fine anni 70 da Alfredo Abbaneo (anche oggi il deus ex machina), pochi anni dopo venne affiliata a Canale 5, limitandosi a trasmettere quanto Sua Emittenza irradiava nell’etere.

Eccoci a ‘Otto Production srl’, che con il marchio ‘Otto Channel’ mette a segno un colpo da 429 mila euro. Niente male.

Passiamo ad altre due antenne cittadine, ‘Canale Otto srl’ e ‘Canale 9 srl’, destinatarie, in pratica, dello stesso importo: per la precisione, 423 mila euro nelle casse della prima e 403 mila in quelle della seconda.

Ottima performance per la salernitana ‘LI.RA. srl’, che opera con la griffe ‘Liratv’, salita alla ribalta delle cronache per le prime performance tivvù del governatore della Campania Vincenzo De Luca, un pozzo di san Patrizio per le mitiche imitazioni made in Crozza.

Grasso che cola anche i 391 mila euro racimolati dalla casertana ‘Teleluna srl’, il cui titolare, ossia il dentista Pasquale Piccirillo, ha passato non poche traversie a livello giudiziario, tanto che a marzo 2018 il tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha disposto il sequestro di beni e immobili sparsi tra Napoli, Caserta e Frosinone, con l’accusa di truffa, evasione fiscale ed appropriazione indebita.

Seguono le isole del golfo, con l’ammiraglia ‘Tele Capri srl’, storico avamposto del sindaco di Capri per una vita, Costantino Federico. La sua antenna sfiora i 270 mila euro di appannaggio MISE.

‘Teleischia srl’ segue a ruota, con i suoi 210 mila euro in carniere.

Mentre l’avellinese deve accontentarsi delle briciole, appena 54 mila euro per ‘Irpinia Tv srl’, un tempo coccolata da Ciriaco De Mita.

Da notare che le antenne del Lazio non fanno proprio la parte del leone. Appena tre nella sterminata classifica, e tutte una dietro l’altra per quanto concerne gli importi ricevuti: 350 mila euro a ‘Gold Tv srl’, 327 mila per ‘Tele Universo srl’ e infine 323 mila a favore ‘Telemontegiove srl’ (e il marchio ‘Lazio tv’). Lo stellone del governatore Nicola Zingaretti è con ogni probabilità un po’ appannato.

Per conoscere tutte le altre vincitrici nella maxi lotteria organizzata dal MISE per far conoscere agli italiani la ‘Verità’ del governo e degli scienziati italiani sui vaccini, non resta che scorrere la lunghissima classifica, che pubblichiamo a seguire.

Ne troverete per tutti i gusti.

Dagotraduzione dal Daily Mail il 30 novembre 2021. Della dottoressa Angelique Coetzee, il medico che ha allertato il mondo sulla variante Omicron. In qualità di presidente della South African Medical Association e medico di base da 33 anni, ho visto molto durante la mia carriera medica. Ma nulla mi ha preparato alla straordinaria reazione globale che ha incontrato questa settimana il mio annuncio di aver visitato un giovane che aveva un caso di Covid che si è rivelato essere la variante Omicron. Questa versione del virus circolava da tempo nell'Africa meridionale, essendo stata precedentemente identificata in Botswana. Ma dato il mio ruolo di fronte al pubblico, annunciando la sua presenza nel mio stesso paziente, l'ho inconsapevolmente portato all'attenzione globale. Molto semplicemente, sono rimasta sbalordita dalla risposta, in particolare della Gran Bretagna. E lasciatemi essere chiara: niente di ciò che ho visto su questa nuova variante giustifica l'azione estrema che il governo del Regno Unito ha intrapreso in risposta ad essa. Nessuno qui in Sud Africa è stato ricoverato in ospedale con la variante di Omicron, né si ritiene che qualcuno qui si sia ammalato gravemente di essa. Eppure la Gran Bretagna e altre nazioni europee hanno reagito con pesanti restrizioni di viaggio sui voli dall'Africa meridionale, oltre a imporre regole più severe a casa sull'uso di maschere, multe e quarantene estese. La semplice verità è: non sappiamo ancora abbastanza su Omicron per esprimere tali giudizi o imporre tali politiche. In Sudafrica, abbiamo mantenuto il senso della prospettiva. Non abbiamo avuto nuove restrizioni o parlato di lockdown perché stiamo aspettando di vedere cosa significhi effettivamente la variante. Ci siamo anche abituati qui all'emergere di nuove varianti Covid. Quindi, quando i nostri scienziati hanno confermato la scoperta di un’altra, nessuno ne ha fatto una cosa enorme. Molte persone non se ne sono nemmeno accorte. Ma dopo che la Gran Bretagna ne ha sentito parlare, il quadro globale ha iniziato a cambiare. Anche se i nostri scienziati hanno cercato di evidenziare le enormi lacune nella conoscenza mondiale di questa variante, le nazioni europee hanno immediatamente e unilateralmente vietato i viaggi da questa parte del mondo. Il nostro governo era comprensibilmente arrabbiato per questo, sottolineando che «la scienza eccellente dovrebbe essere applaudita, non punita». Se, come suggeriscono alcune prove, Omicron risulta essere un virus a rapida diffusione con sintomi per lo più lievi per la maggior parte delle persone che lo prendono, sarebbe un passo utile sulla strada per l'immunità di gregge. Se sarà così, nelle prossime due settimane impareremo. La situazione peggiore, ovviamente, sarebbe un virus a rapida diffusione con infezioni gravi. Ma non è qui che siamo al momento. Qui in Sudafrica, quello che io e i miei colleghi del GP stiamo vedendo non giustifica in alcun modo la reazione istintiva che abbiamo visto dal Regno Unito. Per prima cosa, non stiamo – almeno per ora – trattando pazienti gravemente malati. Prendi il mio primo caso Omicron, il giovane di cui ho parlato prima. Non gli è venuto in mente di avere il Covid: pensava di aver preso troppo sole dopo aver lavorato fuori. Dopo che è risultato positivo, lo hanno fatto anche sua moglie e il bambino di quattro mesi. Finora, i pazienti che sono risultati positivi per Omicron qui sono stati principalmente giovani uomini – un misto di vaccinati e non vaccinati (sebbene, nelle nostre statistiche, “non vaccinato” possa anche significare “vaccinato con una sola dose”). Solo ieri ho visto altri cinque pazienti che erano risultati positivi alla nuova variante. Avevano tutti una malattia molto lieve. Quindi, al momento, temo che mi sembra che la Gran Bretagna stia semplicemente lanciando l'allarme su questa variante inutilmente. Sì, l'immagine potrebbe un giorno sembrare diversa. Devo ancora vedere persone anziane, non vaccinate, infettate dalla nuova variante, ad esempio, e potrebbero presentarsi con una forma più grave della malattia. Ma la realtà è che il Covid è qualcosa con cui dobbiamo imparare a convivere. Abbiate cura di voi e fate i vaccini. Soprattutto, niente panico, e questo vale anche per i governi.

Giorgia Peretti per iltempo.it il 30 novembre 2021. Un duro affronto quello di Antonella Viola nei confronti di Andrea Crisanti, a "Otto e Mezzo", lunedì 29 novembre. Il tema sul tavolo di Lilli Gruber è la variante Omicron, che monopolizza l’attenzione di scienziati e no. Con il diffondersi della nuova mutazione del virus, la strada del vaccino sembra delinearsi sempre più; compresa quella che riguarda la fascia di popolazione sotto i dodici anni. Tutto pronto per la vaccinazione ai bambini dai 5 anni in su, il via è programmato per il prossimo 23 dicembre ma la decisione di immunizzare con il siero anche i più piccoli sembra dividere gli esperti. Antonella Viola, immunologa e direttrice dell’Istituto città della Speranza non sembra condividere i dubbi espressi dal collega microbiologo Andrea Crisanti sul vaccino ai bimbi, che proprio nelle scorse ore ha fatto sapere di essere un “attendista” ribadendo che sarebbe ragionevole aspettare i dati di Israele per capire quanto sono sicuri. Una dichiarazione che la conduttrice del salotto di La 7, sottopone alla sua ospite, la quale non sembra nutrire alcun pensiero al riguardo: “Lui ha espresso legittimamente una sua posizione. Ma quando parliamo di scienza noi la stiamo rappresentando e a quel punto io cerco di portare avanti le idee condivise dagli esperti. Quando l’FDA, l’EMA e la società Italia di pediatria lo approvano chi sono io come singolo per dire che non va bene? Per me non c'è il minimo dubbio che quando parliamo di vaccini devono parlare, gli immunologi, i pediatri e le persone che nella loro carriera scientifica si sono occupate di questo”. Poi sottolinea: “le competenze sono diverse, so che per il grande pubblico è difficile capire questo ma ci sono competenze diverse”.  A chi sostiene che i rischi dei vaccini siano maggiori dei benefici, nei bambini la Viola non lascia spazio a dubbi: “Non è vero assolutamente. I rischi dell'infezione sono maggiori rispetto al vaccino. Gli ultimi numeri dell'Istituto Superiore di Sanità davano 5.800 bambini che hanno avuto bisogno del ricovero ospedaliero, non sono pochi. Un bambino piccolo che va in ospedale e viene rinchiuso per giorni o che addirittura va in terapia intensiva è un trauma che noi dobbiamo abbiamo il dovere di evitare ai nostri bambini”. Nessuna via d’uscita, per la virologa “non c'è modo migliore di proteggerli se non attraverso una vaccinazione perché il virus come il Sars-Covid 2 è un virus subdolo, le cui conseguenze non possiamo conoscerle e rispetto al vaccino non c'è il minimo dubbio: si sceglie il vaccino”.

Pierluigi Battista per huffingtonpost.it il 30 novembre 2021. Esce in questi giorni il film “Trafficante di virus” della regista Costanza Quatriglio (con Anna Foglietta come protagonista) che racconta la persecuzione patita anni fa da Ilaria Capua, la scienziata incredibilmente accusata di azioni disgustosamente ciniche, trafficante di virus appunto, e poi prosciolta da ogni addebito a costretta ad emigrare negli Stati Uniti. Una vicenda, è il caso di ricordare e bene fa questo film a ricordarlo, che ha messo in luce la condizione comatosa del nostro stato di diritto, afflitto da una magistratura coadiuvata da un giornalismo accondiscendente e spietato, dove una persona viene macchiata da un’accusa infamante senza uno straccio di prova, indagata a sua insaputa, sbattuta come un mostro sulla stampa, fatta oggetto di una devastante campagna politica da parte dei grillini che ahinoi governano l’Italia da quasi quattro anni, costretta a presentarsi davanti all’opinione pubblica sfregiata da un’immagine disumana. Addirittura una scienziata che traffica in virus per trarne profitto: cosa può esserci di peggio? Niente, ma era tutto falso, naturalmente. Ilaria Capua è stata scagionata da tutte le accuse. Resta la macchia di un capitolo desolante nella storia della cattiva giustizia in Italia: la condanna nel tribunale dell’opinione pubblica prima ancora del verdetto dei veri tribunali; lo squilibrio abnorme nel mondo dell’informazione tra il rullo compressore dell’accusa e il ruolo marginale della difesa; la fuga di atti giudiziari; il poco rispetto per la vita delle persone. “Trafficante di virus” ci fa ricordare tutto questo. E non è mai troppo tardi.

Trafficante di virus, in sala la storia della scienziata Ilaria Capua. Trafficanti di virus racconta la storia della scienziata Ilaria Capua. Dalla scoperta del vaccino contro l'aviaria al calvario dell'inchiesta giudiziaria. Il Dubbio il 27 novembre 2021. «Questa è una storia molto femmina perché mostra le contraddizioni tra essere una donna impegnata quotidianamente per tenere sotto controllo alcune malattie e quello che ogni giorno deve affrontare sia con superiori, istituzioni e collaboratori, ma anche a casa sua, perché è anche madre». Così oggi la scienziata Ilaria Capua, dalla Florida – dove dirige il Centro di Eccellenza One Health dell’Università – interviene alla presentazione di Trafficanti di virus di Costanza Quatriglio, ispirato al suo libro “Io trafficanti di virus”, e che sarà in sala per tre giorni, lunedì martedì e mercoledì prossimi con Medusa, e poi su Amazon Prime dal 13 dicembre.

Trafficanti di virus, parla Ilaria Capua

«Credo che questo film sia riuscito a far capire che i brutti eventi della vita possano essere trasformati in qualcosa di utile per gli altri. Ma abbia anche la forza di mostrare a chi non ha mai messo piede in un laboratorio quanto grandi siano la bellezza e la magia costruite da un gruppo di ricerca che lavora per un obiettivo superiore, anche laddove la leadership sia femminile, perché non è vero che la leadership femminile sia sempre ostacolata, anzi spesso è riconosciuta dai colleghi».

In Trafficanti di virus la Quatriglio racconta puntualmente la storia di Irene (interpretata da Anna Foglietta), alias Ilaria Capua, sin da bambina appassionata di scienza e da grande divenuta un’affermata ricercatrice nell’istituto zooprofilattico italiano. Apprezzata, non solo in Italia, ma in tutto il mondo, soprattutto per la grande capacità con cui lavora e affronta le diverse epidemie diffuse nel regno animale e che potrebbero causare problemi anche all’essere umano.

Dopo aver aver scoperto un nuovo vaccino contro l’influenza aviaria, si ritrova, del tutto innocente, coinvolta in un’inchiesta giudiziaria che la accusa di aver diffuso il virus tra gli esseri umani per poi trarre profitto nella vendita dei vaccini.

Trafficanti di virus, la regista e Anna Foglietta

«Mi ha affascinato l’idea di fare un film con al centro una donna – dice la Quatriglio – e anche di fare un’opera con al centro l’Italia che spesso non tratta bene e non valorizza l’intelligenza delle persone e la loro visione di futuro». Dice invece la Foglietta che nel film mostra come il suo personaggio sia stato spesso danneggiato per il suo essere donna: «Ho amato far emergere la voce di una donna che rivendica il suo bisogno di emancipazione e va detto che alle donne capita spesso di fare un passo avanti e quattro indietro, ma non dobbiamo farci intimidire e mi rivolgo soprattutto alle nuove generazioni». E ancora l’attrice romana di nascita, ma di origini napoletane: «Ho conosciuto la Capua solo dopo aver iniziato le riprese. Non volevo essere condizionata. Credo che il suo essere donna abbia giocato un ruolo importante nella sua vicenda». «Era una studentessa brillante e intraprendente a cui non veniva riconosciuto pieno valore e anzi veniva giudicata per il suo aspetto fisico, ma questo è un modo di ridimensionare l’intelligenza femminile, parlando solo di bellezza. È qualcosa che accade anche a me, tante volte sui social. Posto una cosa interessante e mi scrivono che sono bella. Questa è una cosa che ci indebolisce e ci porta a mascolinizzarci. Invece il mio personaggio – conclude la Foglietta – non rinuncia alla sua componente materna e accudente verso i suoi compagni. La Capua è stata emarginata, ma adesso gestisce uno dei laboratori più importanti al mondo e credo che i suoi problemi siano legati soprattutto all’ambiente italiano».

Giorgia Peretti per iltempo.it il 30 novembre 2021. Si discute sul vaccino ai bambini a Otto e Mezzo, lunedì 29 novembre. Andrea Scanzi esordisce con quella che definisce una “battuta” e Alessandro Sallusti lo manda al tappeto. Il giornalista è ospite nel salotto di Lilli Gruber, su La 7, dove sul tavolo ci sono i dubbi del momento: la variante omicron e il vaccino ai bambini, la cui somministrazione avverrà il prossimo 23 dicembre. È proprio attorno a questo argomento che la conduttrice fa notare il cambio di posizione del giornale di cui Scanzi fa parte, Il Fatto Quotidiano. “Da un paio di giorni il tuo giornale si è schierato contro il vaccino per i bambini, perché?”, domanda la Gruber. Il giornalista ribatte: “Siamo un giornale pluralista ed esercitare il dubbio è fondamentale”. Poi prosegue con una battuta di dubbio gusto: “Sono contento perché finalmente smetteranno di chiamarmi il 'Travaglio dei poveri', me lo dicono da 10 anni e sono anche contento perché significa che somiglio a uno bravo. Mi arrabbierei un po’ di più se mi dicessero sei la brutta copia di Vittorio Feltri...". Insomma, il giornale diretto da Marco Travaglio racchiude più linee di pensiero, prontamente ostentate da uno dei suoi rappresentanti: “Se si parla di green pass e di super green pass io e Antonio Padellaro siamo favorevoli, Tommaso Montanari e Marco Travaglio non sono per niente favorevoli. Il problema c’è per il vaccino sotto ai 12 anni, però stiamo attenti a far finta che non esiste un problema di comunicazione quando si parla di vaccini ai bambini”. La battuta precedente di Scanzi non passa inosservata e Alessandro Sallusti, direttore di Libero, prima di esprimere il proprio pensiero in merito al vaccino under 12, risponde al collega così: “Devo fare una premessa su quello che ho appena sentito da Andrea Scanzi perché voglio dire che io sono orgogliosissimo di aver lavorato e di lavorare con Vittorio Feltri, che per altro è uno che nella sua vita professionale ha ottenuto dei successi che nessun altro giornalista può rivendicare”. Colpito e affondato.

Qualunquismo pandemico. I danni del populismo giornalistico applicato alla lotta contro il Covid. Francesco Cundari su L'Inkiesta  l'1 Dicembre 2021. Prendersela con i virologi, in blocco, è esattamente come prendersela con i politici in quanto tali: non vuol dire essere anticonformisti, vuol dire essere cretini. Lo stesso si potrebbe dire per le invettive contro la stampa, ma qui le cose, purtroppo, si fanno un po’ più complicate. Le notizie contrastanti sull’effettiva pericolosità della variante Omicron hanno fatto ripartire la solita sfilza di invettive contro i virologi. In molti, chi più seriamente, chi per il gusto del paradosso, hanno osservato che di questo passo sarà sempre più difficile dare torto ai no vax. Sembra di risentire Francesco Boccia, quando dall’alto della sua posizione di ministro per gli Affari regionali nel secondo governo Conte chiedeva alla comunità scientifica di «darci certezze inconfutabili». Per chi si fosse perso i progressi degli ultimi cinquecento anni: quando si tratta di scegliere come affrontare un pericolo ignoto, o solo parzialmente noto, certezze inconfutabili le fornisce solo la religione; la scienza offre ragionevoli previsioni sulla base delle conoscenze fino a quel momento disponibili, sempre confutabili (e più attendibili proprio perché costantemente confutabili). Alle intemerate contro la scienza si accompagnano inevitabilmente – ma in questo caso, bisogna dirlo, con qualche ragione in più – le invettive contro la stampa e i giornalisti. Dove una delle ragioni in più sta nel fatto che tanti giornalisti, ma proprio tanti, danno da tempo ampio spazio a questo modo idiota di ragionare, spesso facendolo proprio (quando riguarda gli altri, s’intende). La seconda ragione in più per prendersela con la stampa sta nel fatto che sono gli stessi mezzi di comunicazione, con poche eccezioni, a dar voce, prima, a tutti i peggiori scoppiati, per fare dibattito, e a lamentarsi, dopo, della mancanza di indicazioni univoche. Detto questo, prendersela con i virologi, in blocco, è esattamente come prendersela con i politici in generale: non vuol dire essere anticonformisti, vuol dire essere cretini. Attenzione: non sto dicendo che sia sbagliato prendersela con questo o quel virologo, per quanto da lui affermato e poi eventualmente smentito dai fatti (men che meno che sia sbagliato prendersela con questo o quel politico, partito, governo o coalizione); sto dicendo che è sbagliato prendersela con l’intera categoria, giudicando tutti responsabili di qualsiasi fesseria abbia mai detto – anche una sola volta – anche uno solo di loro. Per la semplice ragione che non esiste categoria umana, fosse anche quella dei premi Nobel, e non dico per dire, che potrebbe superare un simile test. Potremmo chiamarlo «qualunquismo pandemico». Ma alla fin fine non è niente di nuovo, purtroppo. È un modo facilissimo, ingiusto e irresponsabile di delegittimare tutti, tappando la bocca o comunque screditando anche i più coscienziosi professionisti, ai quali in un momento simile dovremmo invece affidarci. Anche perché l’alternativa è affidarsi alla Verità o al Fatto quotidiano, come sempre perfettamente allineati sulle questioni che riguardano i principi fondamentali del vivere comune. Ma in fondo fin troppo somiglianti alla stragrande maggioranza dei giornali e delle televisioni italiane, che si parli di pandemia o di inchieste giudiziarie, o di politica in generale. Perché alla fine tutto questo è solo una delle tante facce di una diffusa cultura populista, egemone da decenni sui grandi mezzi di comunicazione, molto di più e molto prima che nel sistema politico. E questa è la terza ragione per cui prendersela con la stampa e con i giornalisti in quanto tali è sempre sbagliato, s’intende, ma è uno sbaglio non del tutto ingiustificato.

Dritto e Rovescio, mistero-Del Debbio: "Nessun ordine di servizio". Un caso a Mediaset, che fine fa il conduttore? Libero Quotidiano  il 30 novembre 2021. Giallo in caso Mediaset. Un problema che riguarda due stelle di Rete 4  come Paolo Del Debbio, conduttore di Dritto e Rovescio su Rete4, e Mario Giordano, conduttore di Fuori dal Coro. Il primo, ospite di Un Giorno da Pecora su Rai Radio, ha risposto alle indiscrezioni uscite in questi giorni sulla possibilità che i due programmi in questione  dovrebbero fermarsi per una lunga pausa natalizia, esattamente dal 9 dicembre al 27 gennaio. "Sui siti hanno scritto che io e Mario Giordano ci fermiamo per troppo tempo, ma io l'ordine di servizio non l'ho ancora ricevuto...", ha detto ironicamente Del Debbio. Le indiscrezioni dicono che i talk sarebbero fermati perché soffierebbero sul fuoco dei No Vax e sarebbero quindi preferibili trasmissioni più moderate. "Io non occhieggio a nessuno, i no vax mi attaccano violentemente spessissimo, ultimamente anche su WhatsApp. Ho fatto la terza dose, sono assolutamente favorevole al vaccino. Io faccio un dibattito e per farlo bisogna esser in due, non si può fare un talk show con una sola voce. Io faccio parlare tutti ma poi a casa ognuno si fa la sua opinione. Io faccio così, se non vogliono che faccia così lo fa un altro, ci sono tanti conduttori in Italia", ha spiegato Del Debbio respingendo le accuse. "Io non sono per nulla preoccupato da questa eventualità. Non non voglio sapere nulla, faccio il mio lavoro. Se dovesse essere confermato questo lungo stop, sarebbe innaturale perché di solito si finiva a metà dicembre come tutti e si ricominciava dopo l'Epifania", aggiunge Del Debbio. Quanto alla possibilità di Berlusconi di essere eletto Presidente della Repubblica, Del Debbio afferma: "Non lo so, io penso che la persona che ci crede di più sia lui. Non lo sento da un pò di tempo ma mi hanno detto che lui ci crede molto. Cosa c'entri la mia trasmissione con la sua eventuale elezioni al Colle, comunque, mi sfugge", conclude amaramente.

COVID: UN GIORNALISMO QUASI PERFETTO: NUMERI, OPINIONI E BUCO DELLA SERRATURA. Gianni Molinari, giornalista, lavora al Mattino, attualmente sono capo della redazione politica & economia, su Il Corriere del Giorno il 22 Novembre 2021. A parte che il Covid sarà sempre un problema fin quando la quasi totalità della popolazione non sarà protetta dal vaccino e il virus non avrà lo spazio in cui girare, le cose sono diverse. Ma molto diverse. Anzitutto ogni “ondata” ha la sua storia e le sue caratteristiche: una cosa è stata la prima (primavera 2020), un’altra la seconda (autunno 2020), un’altra ancora la terza (primavera 2021): per esempio la terza è stata meno virulenta della seconda, perché? Perché già una parte, sia pure non tantissima, della popolazione aveva già ricevuto almeno la prima dose del vaccino. E ora? Il fatto è che quasi tutti hanno opinioni, più o meno interessanti, ma pochissimi hanno nuove informazioni. Le prime sono comuni, le seconde sono merce rara e quindi di valore. Il problema è che molti scambiano opinioni con informazioni, desideri con fatti. Il Covid ci ha messo di fronte a un grande problema: l’adeguatezza del mondo della comunicazione, in tutte le sue componenti, in una situazione di stress. La pandemia ci ha imposto di aggiornare le nostre conoscenze (minime) in materia medica (giacché nessuno ci ha chiesto diagnosi), ci ha messo duramente di fronte alla necessità di usare la statistica (minimissima) ma soprattutto di usare un linguaggio comprensibile e soprattutto lontano da doppi sensi e allusioni. Qui c’è stata e c’è la divaricazione: siamo stati adeguati? Non lo so. Chi ha scambiato opinioni con informazioni e desideri con i fatti ne ha fatto ovviamente a meno, soprattutto nei talk show, nelle lunghissime dirette da riempire con il primo passante di turno (A proposito sempre Randall si chiedeva: “Le persone intervistate hanno le conoscenze necessarie per esprimere un’opinione?”): quindi siamo finiti in un calderone dove alla fine è la scienza la vittima che non può nemmeno difendersi. Questo per dire cosa: per dire che bisogna essere saldamene ancorati alla realtà, che è indispensabile l’approccio critico (anche alle proprie intuizioni, prima di trasformarle in granitiche certezze) che solo questo aiuta a capire. Nel Covid, per esempio – dopo quasi due anni di pandemia – il passo avanti si fa se si riesce a interpretare il momento attuale mettendolo in relazione con quelli passati. La lettura del “momento” deve essere sinergica a tutti gli elementi, diretti e indiretti, che compongono quel momento. Per esempio qui è l’esercizio dialettico-matematico – nel quale mi impiccio e vi impiccio – sullo stato della pandemia nell’autunno 2021 rispetto ai precedenti momenti di picco. L’autunno 2020 è stato il momento più drammatico: la pandemia dilagava ma, rispetto, all’esordio di fine febbraio 2020 c’erano i protocolli, ossia il cosa fare. A febbraio non sapevamo nulla di nulla di Covid: finimmo, appunto, chiusi in casa perché era l’unica misura razionale di fronte a qualcosa così grave di cui non si conosce praticamente nulla. Nell’autunno 2020 c’erano i protocolli, si sapeva di più sulla diffusione e si aveva la prova che le chiusure erano un mezzo determinante per contrastare il dilagare della malattia. Nell’autunno 2020 esordì il coprifuoco alle 22 e tornarono le zone rosse, le scuole e le università finirono in Dad. Nell’autunno 2021, invece, oltre l’80% degli italiani è vaccinato, si sa di più della malattia, ci sono farmaci più potenti per contrastarla ma anche è tutto aperto. Eppure lo “storytelling” parla di ondata, di pericolo, di allarme, di esplosione dei contagi. Aparte che il Covid sarà sempre un problema fin quando la quasi totalità della popolazione non sarà protetta dal vaccino e il virus non avrà lo spazio in cui girare, le cose sono diverse. Ma molto diverse. Anzitutto ogni “ondata” ha la sua storia e le sue caratteristiche: una cosa è stata la prima (primavera 2020), un’altra la seconda (autunno 2020), un’altra ancora la terza (primavera 2021): per esempio la terza è stata meno virulenta della seconda, perché? Perché già una parte, sia pure non tantissima, della popolazione aveva già ricevuto almeno la prima dose del vaccino. E ora? Ora il virus continua a girare – perché il vaccino, è sempre bene tenerlo a mente – non è lo scudo dove rimbalza, ma l’attrezzo che lo depotenzia per cui si può essere positivi o avere anche sintomi lievi (i casi estremi sono rarissimi!) – ma gira in un mondo aperto, dove l’incoscienza generale fa sì che le mascherine (la prima potentissima arma di cui si dispone) non sono usate appropriatamente negli ambienti chiusi e nei luoghi affollati, e chi non si vaccina – oltre alla risibili spiegazioni – diventa il primo bersaglio. Però è un’epoca diversa: e come si vede? Lo si vede dalla tabella che segue: non ci sarebbe bisogno di commento, ma invito a vedere il numero di tamponi e a dividerlo per i nuovi positivi. Nella prima ondata c’era 1 positivo ogni 5 tamponi, nella seconda ondata 1 ogni 6, nella terza ondata 1 ogni 15 e nella quarta ondata 1 ogni 104!

Da “Radio Cusano Campus” il 23 novembre 2021. Il filosofo Massimo Cacciari è intervenuto ai microfoni della trasmissione “L’Italia s’è desta”, condotta dal direttore Gianluca Fabi, Matteo Torrioli e Daniel Moretti su Radio Cusano Campus. Sulla nuova stretta sul Green pass. “Ci sono due elementi da valutare –ha affermato Cacciari-. Uno è legato alla parte istituzionale-giuridica e mi sembra siamo arrivati a livelli davvero intollerabili. Prima almeno c’era  ancora la foglia di fico del tampone, se cade anche questa allora è diventato un obbligo, quindi occorre che ci sia una piena assunzione di responsabilità da parte delle autorità, quindi un obbligo esplicito alla vaccinazione senza se e senza ma. Dunque un’assunzione di responsabilità su tutto, dato che da molte evidenze scientifiche si parla di correlazioni possibili tra certe categorie ed effetti dovuti alla vaccinazione. Invece adesso quando vai a vaccinarti sottoscrivi una dichiarazione in cui elimini ogni responsabilità dello Stato e delle case farmaceutiche. Il secondo aspetto è quello medico, è risaputo che anche i vaccinati possono infettarsi e la categoria più a rischio, quella anziana, è vaccinata oltre il 90%, la percentuale di ospedalizzati vaccinati nelle fasce più anziane dimostra che non basta questo vaccino per proteggere dalla malattia grave. Allora mi chiedo perché continuiamo a vaccinarsi con questo vaccino? I vaccinati contagiano e vengono contagiati. Quindi questa nuova stretta è un passo gravissimo, di una palese incostituzionalità, che non è sostenuto dai dati che abbiamo. Non si può continuare così, trascurando ogni attenzione a cure mediche tradizionali, dovremmo iniziare a pensare ad una strategia di convivenza con il virus. Oppure dobbiamo continuare a vaccinarci per sempre? O il Green pass diventa una carta d’identità e noi ogni 6 mesi siamo costretti a vaccinarci oppure cambiamo strategia. Questo lo dicono fior di scienziati. Non si può più vederla come un’emergenza perenne. Questo non è un vaccino, lo ha dichiarato anche il presidente della Bayer, o si trova un altro vaccino o si cambia strategia. Il principio fondamentale per imporre una cura a livello costituzionale è quello del consenso informato, ma qui non mi pare che siamo informati su questi vaccini. Io mi limiterei ad un semplice appello: non facciamo la follia di obbligare alla vaccinazione chi non rischia nulla, cioè le categorie sotto i 12 anni. Anche l’Oms ha detto che bisogna raccogliere maggiori evidenze prima di raccomandare la vaccinazione sotto ai 12 anni. Non facciamo la follia di costringere alla vaccinazione gli adolescenti che non rischiano niente”.

Da liberoquotidiano.it il 27 novembre 2021. Massimo Cacciari ha assunto delle vere e proprie posizioni no-vax e no-green pass che gli hanno attirato simpatie da parte di quella sparuta minoranza che la pensa come lui, ma allo stesso tempo gli han fatto perdere la stima e la fiducia della stragrande maggioranza degli italiani che invece ha un pensiero da “regime”, come lo definirebbe lo stesso Cacciari. Quest’ultimo però ha deciso di non parlare più di Covid, risentito dalla marea di critiche ricevute. Intervistato da Alberto Maggi su affaritaliani.it, il filosofo ha fatto sapere di essere “stufo di farmi strumentalizzare da giornali e tv, da questa Ansa di Stato. Ormai è impossibile in Italia fare una discussione tecnica, impossibile. A questo punto parlino gli scienziati”. Cacciari è spesso ospite su tutte le reti, dalla Rai a Mediaset passando per La7: “Mi hanno deluso tutti, indifferentemente. Chi più e chi meno, con pochissimi giornalisti, una minoranza, che si rendono conto del delirio in cui viviamo. Ma non hanno voce. Abbiate pietà di me, basta”. “È diventato impossibile discutere con chi comanda in questo Paese, prendiamone atto - ha aggiunto Cacciari ad affaritaliani.it - e quindi parlino gli esperti e gli scienziati, io di Covid non parlo più”. Inoltre il filosofo ha fatto sapere di essere sommerso da mail e messaggi di appoggio, anche da parte di virologi, medici ed esperti vari: “il prossimo 8 dicembre ci riuniamo di nuovo e creeremo un centro di informazione. Parleremo solo da quella fonte con pareri tecnici di scienziati”.

No Green Pass, Enrico Montesano: "Per 30 giorni colpiamo in massa l'economia. Mandiamo a cag.. negozi e ristoranti. Devono schiattare governo, giornali e tv". La Repubblica il 26 Novembre 2021. L'attore contro le nuove strette incita alla disobbedienza civile: "Niente banca, ritiro liquidità dai conti correnti, scorporare quota abbonamento canone e disdire abbonamento Rai. Il potere lo abbiamo noi consumatori ed utenti!". "Cari amici, sono Enrico Montesano, sono Romano e a tempo perso pure Italiano. Sì Italiano! Per fortuna o purtroppo lo sono! Amici veri, amici rimasti, scremati, amici dalle affinità elettive, smettiamola di inviarci messaggi. Io sono stufo, non accetto questa situazione. Sono incazzato nero e tutto questo non lo sopporto più! Iniziamo una individuale, ferma, ostinata, disobbedienza civile".

Covid, la rabbia dei vaccinati ricoverati: "Questo Stato ci ha tradito". Franco Bechis su Il Tempo il 24 novembre 2021. Qualche giorno fa sul Corriere della Sera è stata pubblicata una intervista sulla emergenza sanitaria per molti versi drammatica. A parlare era la primaria di Malattie infettive dell'Azienda ospedaliera di Padova, dottoressa Annamaria Cattelan. Raccontava il progressivo affollamento dei posti in ospedale: “Fino a poco tempo fa avevamo degenti colpiti da Tbc. Ora no, solo Covid”. Il giornalista le chiedeva: “Sono tutti no vax?”. E la sua risposta è stata: “Il 60% di loro: hanno fra 40 e 60 anni. E poi c'è un 40% di malati, in gran parte anziani e con co-morbilità, che ha fatto il ciclo completo anti Covid, ma non ha ottenuto la risposta immunitaria desiderata. Siamo fra due fuochi: dobbiamo gestire dal punto di vista clinico, comportamentale e psicologico da una parte chi ha rifiutato il vaccino ritenendolo sperimentale e pericoloso e dall'altra i delusi dal Servizio sanitario nazionale, a cui si sono affidati seguendone ciecamente le raccomandazioni, ma finendo ugualmente in ospedale. Si sentono traditi, ma purtroppo tutti i vaccini su certi setting di popolazione funzionano meno”. C'è un termine tremendo in queste parole: “tradimento”. Non pochi italiani che hanno seguito ogni indicazione ricevuta dalle autorità sanitarie e politiche, si sono messi in fila per fare la prima e poi la seconda dose del vaccino, hanno seguito alla lettera le raccomandazioni del governo, si sono contagiati lo stesso, finendo ricoverati in reparti dell'ospedale o in terapia intensiva e oggi si sentono traditi dallo Stato italiano. Hanno ragione, sono stati davvero ingannati, e non solo dallo Stato: dai politici, dai conduttori dei talk show tv e dalla stragrande maggioranza dei giornalisti. Quelli che hanno detto e scritto che eravamo di fronte a una pandemia dei non vaccinati, e solo loro stavano causando la diffusione del virus che altrimenti sarebbe già stato debellato.  Quelli che hanno detto e scritto che se ti vaccinavi - tanto più se eri fragile - poteva capitarti di contagiarti, ma con carica virale minore e senza rischiare nulla di grave. Quelli che quindi hanno assicurato l'esatto contrario di quanto avvenuto ai vaccinati che riempono al 40% i reparti Covid a Padova. Nel bollettino di sorveglianza diffuso dall'Istituto superiore di Sanità il 15 settembre scorso venivano riportati 96.900 contagi fra non vaccinati e 44.990 fra vaccinati con ciclo completo (meno della metà). Nell'ultimo bollettino, quello del 17 novembre, i contagi registrati sono stati 50.564 fra i non vaccinati e 72.159 fra i vaccinati con ciclo completo. Il 15 settembre le ospedalizzazioni dei non vaccinati erano 6.841, quelle dei vaccinati 2.331, circa un terzo. Nel rapporto del 17 novembre risultavano ospedalizzati 3.220 non vaccinati e 2.936 vaccinati. In due mesi anche le terapie intensive hanno cambiato quella proporzione: i non vaccinati che vi finivano erano quattro volte i vaccinati, oggi la proporzione si è ridotta a due volte. Sui decessi è andata peggio. Nel rapporto del 15 settembre l'esito fatale era registrato per 770 non vaccinati e per 405 non vaccinati (che erano quasi la metà), nel rapporto del 17 novembre i deceduti erano 384 fra i non vaccinati e 444 fra i vaccinati. Fra le due date- 15 settembre e 17 novembre- è cambiata notevolmente il numero assoluto delle due popolazioni. Quella non vaccinata è scesa da 13,3 milioni a 7,8 milioni e quella vaccinata con doppia o tripla dose è salita da 35,5 a 43,7 milioni. Con questi numeri ovviamente l'incidenza percentuale di contagi, ospedalizzazioni, terapie intensive e (assai meno) di decessi è nettamente più alta nel campione di chi non ha fatto il vaccino rispetto a chi ha seguito a puntino le indicazioni delle autorità sanitarie. Si vede bene nei grafici che pubblichiamo oggi mettendo in fila i vari bollettini usciti ogni 15 giorni: la curva blu dei non vaccinati è sempre sopra quella dei vaccinati, salvo che nel campione dei decessi che è identico anche percentualmente. L'andamento delle curve di questi due mesi è invece parallelo fra non vaccinati e vaccinati sia nelle ospedalizzazioni che nelle terapie intensive. Quindi mentre si parlava solo di no vax, pensando a provvedimenti che restringessero la loro libertà di movimento, la protezione dei vaccinati stava decisamente scendendo e la pandemia aggrediva in maniera seria anche la popolazione che veniva considerata immune e tale non era. Solo ora ci si sveglia all'improvviso correndo sulla terza dose. Due mesi buttati via in ciance. Sì, è proprio un tradimento.

Vaccino e contagi, cosa non torna. Maria Giovanna Maglie all'attacco: il governo deve spiegare. Il Tempo il 20 novembre 2021. Sabato 20 novembre a Controcorrente, il programma condotto da Veronica Gentili su Rete4,  rimbalza l'ultimo allarme dell'Oms, possibili 500mila morti entro marzo in Europa se non vengono prese misure contro il diffondersi dei contagi. Una previsione nera che non impressiona Maria Giovanna Maglie, in collegamento. "Mi sento parte di quella minoranza che non vuole essere ascoltata", esordisce la giornalista che vorrebbe l'Organizzazione mondiale della sanità "sul banco degli imputati" per come ha gestito le prime fasi della pandemia, e non solo quelle. Scelte quantomeno discutibili come "aver appoggiato le censure della Cina comunista sull'origine del Covid" attacca la Maglie che ribadisce: "Dopo un'inchiesta rigorosa la ascolterò". Sullo sfondo le ipotesi di lockdown per non vaccinati e super green pass, tutte misure al vaglio del governo e caldeggiate da diverse Regioni del nord. "Il problema di politici è di coraggio, e parlo di dei governatori del centrodestra" attacca la Maglie che passa in rassegna i presidenti di Regioni: "Luca Zaia è il più moderato, Fedriga ha il guaio di essere tirato dalla giacchetta da tutti. Poi c'è Giovanni Toti che è da sempre un talebano delle restrizioni, ci deve essere qualcosa in Liguria" che ha contagiato anche Matteo Bassetti, è la stoccata della Maglie. "Fontana in Lombardia si accoda". Non si considera che sul "Friuli Venezia Giulia si sono raccontate balle", le manifestazioni di Trieste non c'entrano con l'aumento dei contagi, pesa il fatto di essere al confine spiega la giornalista. "Solo ora si parla del ruolo dei transfrontalieri" dice la Maglie che attacca: da parte del governo c'è stata "poca verità e poca trasparenza" sul fatto che il vaccino copre meno del previsto e protegge da una sola variante. "Qualcuno mi dovrebbe spiegare perché, quando è iniziata la campagna di comunicazione, dicevano: guardate come calano i contagi. Ora che ci sono svariati milioni di italiani vaccinati" i positivi aumentano i contagi, "dovrebbero spiegare perché succede". 

Dagotraduzione dall’AP il 20 novembre 2021. Nel mercato affollato di una cittadina fuori Harare, questa settimana, Nyasha Ndou ha tenuto la sua maschera in tasca, mentre centinaia di altre persone, per lo più smascherate, si sono date a sgomitare per comprare e vendere frutta e verdura esposte su tavoli di legno e sui fogli di plastica. Come in gran parte dello Zimbabwe, qui il coronavirus viene relegato nel passato: sono tornati i raduni politici, i concerti e le riunioni domestiche. «Il COVID-19 è sparito, quando hai sentito per l'ultima volta di qualcuno che è morto di COVID-19?» ha detto Ndou. «La maschera serve a proteggere la mia tasca», ha detto. «La polizia chiede tangenti, quindi perdo soldi se non mi muovo con una maschera». All'inizio di questa settimana, lo Zimbabwe ha registrato solo 33 nuovi casi di COVID-19 e zero decessi, in linea con un recente calo della malattia in tutto il continente, dove secondo i dati dell'Organizzazione mondiale della sanità mostrano le infezioni sono in calo da luglio. Quando il coronavirus è emerso per la prima volta l'anno scorso, i funzionari sanitari temevano che la pandemia avrebbe colpito l'Africa, uccidendo milioni di persone. Sebbene non sia ancora chiaro quale sarà il bilancio finale di COVID-19, quello scenario catastrofico deve ancora materializzarsi nello Zimbabwe e in gran parte del continente. Gli scienziati sottolineano che ottenere dati accurati sul COVID-19, in particolare nei paesi africani con sorveglianza irregolare, è estremamente difficile e avvertono che le tendenze in calo del coronavirus potrebbero essere facilmente invertite. Ma c'è qualcosa di "misterioso" in corso in Africa che sta sconcertando gli scienziati, ha affermato Wafaa El-Sadr, presidente della sanità globale presso la Columbia University. «L'Africa non ha i vaccini e le risorse per combattere il COVID-19 che hanno in Europa e negli Stati Uniti, ma in qualche modo sembra andare meglio», ha detto. Meno del 6% delle persone in Africa sono vaccinate. Per mesi, l'OMS ha descritto l'Africa come «una delle regioni meno colpite al mondo» nei suoi rapporti settimanali sulla pandemia. Alcuni ricercatori affermano che la popolazione più giovane del continente - l'età media è di 20 anni contro i 43 dell'Europa occidentale - oltre ai tassi di urbanizzazione più bassi e alla tendenza a trascorrere del tempo all'aperto, potrebbe averle risparmiato gli effetti più letali del virus finora. Diversi studi stanno indagando se potrebbero esserci altre spiegazioni, comprese ragioni genetiche o l'esposizione ad altre malattie. Christian Happi, direttore del Centro africano di eccellenza per la genomica delle malattie infettive presso la Redeemer's University in Nigeria, ha affermato che le autorità sono abituate a frenare le epidemie anche senza vaccini e hanno accreditato le ampie reti di operatori sanitari della comunità. «Non si tratta sempre di quanti soldi hai o di quanto siano sofisticati i tuoi ospedali», ha detto. Devi Sridhar, presidente della sanità pubblica globale presso l'Università di Edimburgo, ha affermato che i leader africani non hanno ottenuto il credito che meritano per aver agito rapidamente, citando la decisione del Mali di chiudere i suoi confini prima ancora dell'arrivo del COVID-19. «Penso che ci sia un diverso approccio culturale in Africa, questi paesi si sono avvicinati al COVID con un senso di umiltà perché hanno sperimentato cose come Ebola, polio e malaria», ha detto Sridhar. Negli ultimi mesi, il coronavirus ha colpito il Sudafrica e si stima che abbia ucciso più di 89.000 persone, di gran lunga il maggior numero di morti nel continente. Ma per ora, le autorità africane, pur riconoscendo che potrebbero esserci lacune, non segnalano un numero enorme di decessi imprevisti che potrebbero essere correlati al COVID. I dati dell'OMS mostrano che i decessi in Africa rappresentano solo il 3% del totale globale. In confronto, i decessi nelle Americhe e in Europa rappresentano il 46% e il 29%. In Nigeria, il paese più popoloso dell'Africa, il governo ha registrato finora quasi 3.000 morti tra i suoi 200 milioni di abitanti. Gli Stati Uniti registrano molti decessi ogni due o tre giorni. I numeri bassi fanno sentire sollevati nigeriani come Opemipo Are, un 23enne di Abuja. «Hanno detto che ci saranno cadaveri per le strade e tutto il resto, ma non è successo niente del genere», ha detto. Venerdì, le autorità nigeriane hanno avviato una campagna per espandere in modo significativo l'immunizzazione contro il coronavirus della nazione dell'Africa occidentale. I funzionari mirano a inoculare metà della popolazione prima di febbraio, un obiettivo che pensano li aiuterà a raggiungere l'immunità di gregge. Oyewale Tomori, un virologo nigeriano che fa parte di diversi gruppi consultivi dell'OMS, ha suggerito che l'Africa potrebbe non aver nemmeno bisogno di tanti vaccini come l'Occidente. È un'idea che, sebbene controversa, secondo lui è seriamente discussa tra gli scienziati africani e ricorda la proposta fatta dai funzionari britannici lo scorso marzo per consentire al COVID-19 di infettare liberamente la popolazione per costruire l'immunità. Ciò non significa, tuttavia, che i vaccini non siano necessari in Africa. «Dobbiamo vaccinare tutti per prepararci alla prossima ondata», ha affermato Salim Abdool Karim, epidemiologo dell'Università sudafricana di KwaZulu-Natal, che in precedenza aveva consigliato il governo sudafricano su COVID-19. «Guardando cosa sta succedendo in Europa, la probabilità che più casi si riversino qui è molto alta». L'impatto del coronavirus è stato anche relativamente attenuato in paesi poveri come l'Afghanistan, mentre gli esperti avevano previsto che le epidemie con il conflitto in corso si sarebbero rivelate disastrose. Hashmat Arifi, uno studente di 23 anni di Kabul, ha affermato di non aver visto nessuno indossare una maschera da mesi, neanche durante un recente matrimonio a cui ha partecipato insieme a centinaia di ospiti. Nelle sue classi universitarie, più di 20 studenti siedono abitualmente smascherati in spazi ristretti. «Non ho visto casi di corona ultimamente», ha detto Arifi. Finora, l'Afghanistan ha registrato circa 7.200 morti tra i suoi 39 milioni di persone, anche se sono stati effettuati pochi test durante il conflitto e il numero effettivo di casi e morti non è noto. In Zimbabwe, i medici sono grati per la tregua da COVID-19, ma temono che sia solo temporanea. «Le persone dovrebbero rimanere molto vigili», ha avvertito il dott. Johannes Marisa, presidente dell'Associazione medici e dentisti privati dello Zimbabwe. Teme che un'altra ondata di coronavirus colpirà lo Zimbabwe il mese prossimo. «Il compiacimento è ciò che ci distruggerà perché potremmo essere colti alla sprovvista».

In Giappone il Covid ha fatto harakiri. Il mistero dell'enzima che sconfigge il virus. Il Tempo il 27 novembre 2021. A Tokyo, metropoli da 14 milioni di abitanti, il coronavirus è praticamente sparito: 5 contagi al giorno, poche decine in tutto il Giappone da circa un mese. Nonostante il seppur blando stato d'emergenza sia stato revocato da tempo, non esistano restrizioni obbligatorie e il Paese abbia ospitato le Olimpiadi che, seppur con forti limitazioni, hanno portato persone da tutto il mondo. A fare il punto sullo strano caso del Giappone è Sky Tg 24 che in un servizio sottolinea come quello nipponico sia un Paese tra i più scettici sul vaccino, e non solo quello contro il Covid. Dopo mesi di immobilismo, un'accelerazione imposta alla campagna vaccinale ha portato il tasso di vaccinazione all'80 per cento. "E nonostante la 'storica' perplessità nei confronti dei vaccini (qui non sono obbligatori nemmeno quelli classici per i bambini, trivalente etc  etc) in questo caso non esistono i 'no-vax' - commenta Pio D'Emilia, autore del servizio dal Giappone, su Facebook - Tutto questo senza mai aver decretato un vero e proprio lockdown, e con restrizioni 'suggerite', mai 'imposte". Ma basta l'aumento delle dosi somministrare a spiegare l'"evaporazione" del covid? Qualcuno nella comunità scientifica lo ha chiamato il suicidio del virus, e torna la teoria emersa per un'altra pandemia, quella della Sars. Alcuni popoli asiatici, dice D'Emilia nel servizio di Sky. sarebbero dotato di un particolare enzima in grado di resistere e sconfiggere i virus a Rna  responsabili anche del Covi 19. Ma questo enzima ce l'hanno anche coreani e cinesi, Paesi in cui la Sars scomparve improvvisamente come in Giappone, mentre il Covid sembra essersi "suicidato" solo nell'impero del Sol levante. 

FEDERICO RAMPINI per il Corriere della Sera il 5 dicembre 2021. Di fronte alla variante Omicron c'è una parte del mondo che ha difese molto più efficaci delle nostre: è l'Estremo Oriente. Un caso a sé stante è la Cina, con i suoi metodi autoritari. Ma fior di Paesi democratici e rispettosi dei diritti umani come Giappone, Corea del Sud e Taiwan, continuano a esibire dati di mortalità da Covid microscopici rispetto ai nostri. Ogni tanto si parla di qualche «ondata» di contagi anche in quei Paesi, ma i loro numeri percentuali sono frazioni minuscole e pressoché invisibili in confronto al resto del mondo. Dopo quasi due anni di pandemia, questa è l'unica eccezione costante, che ha retto a tutte le prove stagionali. I numeri del successo asiatico sono impressionanti, sbalorditivi per chi continui a illudersi che l'Occidente sia sinonimo di modernità e progresso. Il Giappone con 126 milioni di abitanti ha avuto 1,7 milioni di contagi e 18.363 decessi cioè 146 morti per ogni milione di persone. Ancora meglio ha fatto la Corea del Sud: con una popolazione di 51 milioni ha raggiunto 460.000 casi positivi dall'inizio della pandemia e 3.705 decessi, cioè 73 morti per milione di abitanti. Meglio di tutti Taiwan (24 milioni di residenti) che con appena 848 decessi ha una mortalità pari a 36 per milione. L'Italia, che è abbastanza rappresentativa della media occidentale, con 134.000 vittime (2.222 per milione di abitanti) ha una mortalità quindici volte superiore al Giappone, trenta volte quella sudcoreana, sessanta volte Taiwan. Questi non sono piccoli scarti percentuali, sono dislivelli abissali fra noi e loro. Se in Occidente avessimo avuto la capacità di contenimento dimostrata a Tokyo, Seul e Taipei, non staremmo parlando di una tragedia. Eppure non esiste qui da noi un dibattito pubblico sul «modello asiatico». Perché? Una parte della spiegazione sta in quella particolare forma di provincialismo alimentata da alcuni secoli di dominio occidentale sul pianeta. Continuiamo ad avere un deficit di informazione, perfino una mancanza di curiosità, perché siamo condizionati da un complesso di superiorità, ormai del tutto anacronistico e infondato. Un'altra spiegazione chiama in causa la Cina. Per dimensione e potenza, la Repubblica Popolare ha invaso lo spazio immaginario e ha messo in ombra i suoi vicini. Xi Jinping ha catturato tutta la nostra attenzione: prima quando ha nascosto la pandemia e ha mentito sulle sue origini; poi quando ha dispiegato la potenza del regime per lockdown coercitivi e a tratti feroci. Anche l'approccio cinese in apparenza sembra coronato da successo, ma la cautela è d'obbligo nell'esaminare la «versione di Xi». Dopo le bugie precedenti non possiamo accettare a scatola chiusa i dati ufficiali di Pechino sulla mortalità bassissima. L'autarchia sanitaria che ha imposto l'uso di vaccini «made in China» è stata una scelta pessima vista la scarsa efficacia di quei prodotti. Infine, per quanto Xi sembri godere di un certo consenso popolare (la chiusura delle frontiere, ad esempio, per l'87% di cinesi che non può permettersi di viaggiare all'estero, viene probabilmente vissuta come una misura anti-élite), il dominio del partito comunista cinese sulla società civile è una ricetta inaccettabile in Occidente. È il modello non autoritario quello che dovrebbe interpellarci. Taiwan, Corea e Giappone per la loro vicinanza furono i primi a subire l'onda di contagio originaria. In parte proprio la loro prossimità con la Repubblica Popolare li ha resi vigilanti: scottati dal precedente della Sars nel 2003 (nascosta anche allora da menzogne iniziali dei leader cinesi), molti Paesi dell'Estremo Oriente e Sud-est asiatico si erano dati sistemi di avvistamento rapido e precoce delle pandemie. Quando è arrivato il Covid, per limitare il contagio hanno usato un mix di ingredienti: nessun lockdown generalizzato; alto livello di coesione sociale e rispetto delle regole; campagne di vaccinazioni partite tardi ma infine assai efficaci. Queste soluzioni sono spesso legate fra loro. Non è stato necessario il ricorso a lockdown duri come in Europa, proprio perché la popolazione e gli esercizi pubblici adottavano con disciplina le maschere e le misure di distanziamento, igiene e prevenzione. La vicenda dei vaccini è un'altra lezione interessante. L'Estremo Oriente all'inizio ha perso mesi preziosi perché aspettava le forniture dall'industria farmaceutica americana. Nel caso del Giappone il ritardo è stato aggravato perché l'authority sanitaria ha preteso che fossero rifatti tutti i test clinici sulla popolazione locale. Ma questo rigore nazionalista ha contribuito a rassicurare i giapponesi sull'efficacia e sicurezza dei vaccini. Una volta partita la campagna vaccinazioni, il Giappone ritardatario ha raggiunto e superato i Paesi occidentali. Oggi in quella parte del mondo si registrano alcune tra le percentuali più alte di popolazione vaccinata: 88% a Singapore, 80% in Corea del Sud, 79% in Giappone. Simili percentuali sembrano rispecchiare il livello di fiducia nelle autorità. C'è una dimensione dove le restrizioni sono ben più severe che da noi: la chiusura delle frontiere. In questo i dirigenti democratici di Tokyo non esitano a copiare l'isolazionismo cinese. Come già alzarono il ponte levatoio per salvare le Olimpiadi estive, i governanti nipponici hanno di nuovo vietato l'accesso ai visitatori stranieri (da ogni parte del mondo, non solo dall'Africa) per bloccare Omicron. Alcune di queste ricette sono problematiche o impossibili da importare in Occidente. Però almeno un'informazione completa e un'analisi ragionata sono doverose. È nell'Asia-Pacifico che si trova il nuovo centro del mondo anche secondo la Dottrina Biden. Tra qualche giorno il presidente americano convocherà virtualmente un vertice mondiale delle democrazie, un'iniziativa tesa a contrastare la narrazione di Xi, Putin, Erdogan e altri, sulla decadenza dell'Occidente. In quel vertice bisognerebbe ascoltare giapponesi e sudcoreani: la loro democrazia sembra vaccinata non solo contro il Covid bensì anche contro l'iperindividualismo, l'egocentrismo, l'ossessione per i diritti dei singoli, la secessione dalla comunità e la sfiducia nel principio di autorità. 

Covid, mistero Asia: pochi vaccini, pochi morti. UNO STUDIO DIMOSTRA COME L’ASIA, NONOSTANTE SIA POCO VACCINATA, NON ABBIA AVUTO UNA MORTALITÀ SUPERIORE RISPETTO ALLA NORMA. Paolo Becchi e Giovanni Zibordi su Nicolaporro.it il 21 Novembre 2021. L’Europa è lo spazio geopolitico che al momento ha in percentuale più contagi, ospedalizzati e decessi Covid del resto del mondo, e non si tratta solo dell’Est Europa. L’Europa è però anche l’area più vaccinata del mondo, negli Usa infatti la vaccinazione si è fermata e un terzo della popolazione sembra proprio intenzionata a non vaccinarsi. Ma il fatto clamoroso di cui non si vuole parlare tanto è che l’Asia, dove risiede la maggioranza della popolazione del mondo, è in larga parte poco vaccinata e non ha complessivamente avuto mortalità totale superiore dalla norma con il Covid-19. Perché in Italia sono morte 135 mila persone con Covid e in altri paesi, anzi in quasi tutti gli altri paesi molto meno (in percentuale della popolazione)? In Giappone, ad esempio, con il doppio della popolazione ci sono stati solo 18 mila decessi Covid, cioè circa 15 volte meno morti. Una ragione è che da noi non si è curato e tuttora non si cura chi si ammala, si aspetta una settimana da quando appare la febbre e altri sintomi e poi si porta in terapia intensiva (a meno di non essere dei vip per i quali sembra che si intervenga subito). Il Ministero delle Malattie preventive (che solo per un eufemismo viene ancora chiamato della Salute) e i tecnocrati del governo hanno deciso che non vanno usati i farmaci in commercio, hanno imposto un protocollo – ora un po’ ritoccato – che più o meno dice “non fare niente la prima settimana, aspetta di vedere come va”. In Giappone invece l’Ordine dei Medici è dall’anno scorso che raccomanda di usare per tutti l’ivermectina, che è stata inventata da un microbiologo giapponese, Omura, per la quale ha ricevuto il Premio Nobel dopo che da 35 anni in tutto il mondo ha salvato centinaia di migliaia di persone da malattie virali tropicali con quel farmaco. Il Ministero della Salute in Giappone non la raccomanda perché segue il CDC Usa e l’Oms, ma i medici giapponesi invece sì, l’Ordine dei Medici giapponesi la raccomanda. Da noi invece l’Ordine dei Medici segue passivamente il ministro Speranza e i suoi tecnici. Qui vediamo una mappa dei paesi in cui è consentito l’uso dell’Ivermectina per il Covid. Si notino in particolare alcuni paesi in verde scuro, India e Egitto, dove è politica nazionale usarla e non solo per iniziativa di singoli medici come ad esempio in Germania o Stati Uniti o Giappone o Ukraina. Anche in India ed Egitto i morti Covid sono 20 volte meno che in Italia e non si tratta solo della popolazione più giovane. L’India ha avuto 3 volte più morti Covid dell’Italia, ma la popolazione di 1,380 milioni è 19 volte maggiore, per cui la mortalità Covid è stata 6 volte meno. Ma l’esempio più clamoroso è l’Egitto perché ha avuto, con una popolazione di 100 milioni di abitanti, solo 19 mila morti Covid, quindi una statistica quasi uguale al Giappone e circa 15 volte meno morti dell’Italia. Tra l’altro, sia Egitto che India hanno vaccinato molto poco, intorno al 20-25% contro oltre il 70% dell’Europa e otre l’80% dell’Italia e da loro se si controlla i contagi sono quasi spariti. Si potrebbe allargare il discorso a quasi tutta l’Asia, ad esempio Pakistan, Bangladesh, Indonesia, Thailandia e si vedrebbe che la mortalità è da 5 a 20 volte minore che in Italia, nonostante percentuali di vaccinazione molto basse. È evidente che non è la vaccinazione che ha contato, ma se curavi i pazienti. È anche però evidente che una popolazione molto anziana incide. Quello che conta davvero è quante persone muoiono in totale, non quanti muoiono con l’etichetta “Covid” perché i morti Covid sono 80enni in media e già quasi tutti malati o obesi, solo 3,800 in Italia sono morti che non fossero già malati di qualcosa secondo l’Istituto Superiore di Sanità. Vediamo allora la mortalità totale come è cambiata negli ultimi anni. Ad esempio, qui vediamo la mortalità totale in Italia, quanti decessi ci sono per 1,000 abitanti. Si nota che dal 2008 sta aumentando di colpo e l’Onu fa proiezioni che aumenterà tanto ancora. Se si guarda questo andamento il Covid-19 non sembra aver avuto impatto sul trend che esiste già da più di dieci anni. Questo perché il crollo demografico degli ultimi anni sta accelerando ed è iniziato un drammatico invecchiamento della popolazione per cui ogni anno ora la percentuale di deceduti sul totale aumenta. Se si guarda “l’aumento di mortalità” in Italia sembriamo in crisi dal 2008-2009, molto prima quindi dell’epidemia. Come insiste sempre il più importante esperto di queste cose, il prof. Michael Levitt, Nobel a Stanford, che elabora tutti i dati di mortalità Covid e non, se non si tiene conto dell’invecchiamento non si capisce cosa succede e si riportano dati di “aumenti di mortalità” che non significano molto. Prendiamo allora il Giappone di cui abbiamo parlato all’inizio. Come si è visto hanno quasi 20 volte meno morti Covid di noi. Ma l’aumento di mortalità totale? Per tutte le cause? Si vede che con il Covid c’è stato addirittura un piccolo calo di mortalità totale! Dato però che la popolazione sta invecchiando prima della nostra, sembra che la situazione stia peggiorando già da 20 anni, anche se in realtà la vita media dei giapponesi ha raggiunto gli 84 anni. Quando si parla del fatto che “ci sono stati più morti”, dal punto di vista della popolazione nel suo complesso, noi siamo entrati in una crisi demografica che trasforma la popolazione aumentando continuamente la proporzione di anziani e malati e quindi anche la percentuale di decessi. Ci sono stati anni in cui la percentuale di decessi è aumentata dell’8 o 10%, tra il 2008 e il 2015 e nessuno ha pensato per questo di chiudere tutti a casa. La conclusione è però che non si tratta solo di questo e il Giappone lo illustra. Il confronto con l’Asia lo illustra chiaramente e in particolare con paesi che hanno somministrato ivermectina. In Asia vive la maggioranza della popolazione del mondo e alcuni paesi si sono ora vaccinati, ma la maggior parte dell’Asia (o Africa o Sudamerica) è poco vaccinata. Ovunque però hanno tre, cinque, dieci, anche venti volte meno morti di noi. Questo anche dove hanno persino più anziani in percentuale di noi come in Giappone. Nella situazione che inesorabilmente ora i morti per tutte le cause aumentano per via dell’invecchiamento della popolazione, il Covid-19 ha avuto in Italia più impatto che in altri paesi, per aver imposto ai medici di non usare i farmaci in commercio. I malati Covid andavano invece curati subito a casa e non lasciati una settimana senza nessuna terapia. Se smetti di guardare sempre e solo all’Europa dove siamo quattro gatti e pensi alla maggioranza della popolazione del mondo, in Asia (e Africa e Sudamerica) ti rendi conto che le nostre ossessioni di lockdown e vaccinazioni di massa non hanno – dal punto di vista sanitario – proprio alcun senso.

Claudio Borghi spara sulla Rai: dati falsi sui non vaccinati morti. Scatta la rissa con Roberto Burioni. Il Tempo il 22 novembre 2021. Il duello a colpi di tweet si scatena quando Claudio Borghi annuncia una interrogazione parlamentare su Agorà, il programma di Rai 3 condotto da Luisella Costamagna, reo secondo il leghista di aver diffuso dei dati scorretti sul Covid, in particolare "gonfiando" i morti e i malati gravi tra i non vaccinati. La presa di posizione scatena il solito muro contro muro quando qualcuno tira in ballo Roberto Burioni e quanto affermato dal virologo in una delle sue comparsate a Che tempo che fa, il programma sempre di Rai 3 condotto da Fabio Fazio. In quell'occasione il medico affermava che l'immunità al Covid dei pazienti guariti è inferiore a quella conferita dal vaccino. Per Borghi, che contesta questa lettura, l'affermazione è meno grave rispetto alla diffusione di dati errati. "Sì ma se Roberto Burioni ospite in tv dice cose che sono negate dalla più recente ricerca è una sua opinione, può sempre dire che lui segue altri studi. Diverso è se la trasmissione stessa che presenta come veri dei dati falsi", scrive Borghi riferendosi all'intervento del professore e citando un articolo pubblicato dal sito della rivista scientifica Nature. Chiamato in causa, Burioni replica tempestivamente.  "Borghi deve ringraziare solo di non essere (e non essere stato) un mio studente. Non si illuda di potere discutere di virologia con me. Se vuole, io spiego, lui ascolta e poi ringrazia. Oppure continua nella sua totale ignoranza. Contento lui, contenti tutti", è il tweet al fulmicotone del virologo, che aggiunge anche un post scriptum: "Mi chiedo con quale disagio persone intelligenti, responsabili e ragionevoli come (per dirne due, ma sono molte) Fedriga e Zaia possano tollerare un simile pozzo di pericolosa ignoranza e arroganza nel loro partito". La controreplica di Borghi non si fa attendere: "Buongiorno. Forse non ha capito, io sono un Deputato della Repubblica e lei è un ricercatore di non eccelso successo accademico. È lei che deve convincere me, non il contrario. Se dissente da Nature sulla durata dell'immunità naturale vs quella da vaccino scriva" all'autore dell'articolo. E Burioni ribatte a stretto giro: "Lei non ha capito. Non so quale sia il suo lavoro, il mio -da professore universitario- è quello di decidere se una persona sa o non sa la virologia, e se non la sa bocciarla. Lei non la sa (non l’ha studiata) ed è bocciato. La scienza non è democratica. Studi e torni a settembre". "Ps: un mio studente che confonde livello anticorpale con protezione non si presenta neanche all’esame", aggiunge il professore.  Il diverbio non prevede punti di incontro, e anche se i due smettono di twittare in calce al tweet continuano a sfidarsi tifosi del vaccino e inguaribili scettici. 

L'Aria Che Tira. Maria Giovanna Maglie inchioda Bassetti sui vaccini: "Continua a terrorizzare ma..." Federica Pascale su Il Tempo il 22 novembre 2021. “Non vaccinarti, tanto c’è il monoclonale!” ironizza il professore Matteo Bassetti durante la puntata del 22 novembre de L’Aria Che Tira su La7, condotto da Myrta Merlino. Il virologo, primario di Malattie infettive all'ospedale San Martino di Genova, sostiene che parlare di monoclonali come terapia equivalga a raccontare “balle” alla gente.  Le invettive sono tutte rivolte all’altra ospite del programma, la giornalista Maria Teresa Maglie, anche lei in collegamento con la Merlino che ribatte: “Non usare metodi alternativi, continua a terrorizzare e dire che c’è solo il vaccino! Continua a dire che c’è solo il vaccino e che bastavano due dosi, e che il green pass poteva durare un anno. Non è così.” Bassetti ride ma la Maglie continua spedita, puntando il dito contro i medici che vanno in tv “a drammatizzare e a spararla grossa”, e aggiunge “ma di questo ne risponde lui”. È qui che al dottore scappa il “ma vaff…” con tanto di gesto con la mano a favor di telecamera. “Bisogna incrementare la terapia dei vaccini monoclonali perché in un giorno i pazienti guariscono prima che la malattia arrivi ai polmoni” fa notare la Maglie, e sottolinea che in Italia questa tipologia di terapia è stata poco utilizzata. 

I no vax hanno vinto la loro battaglia più pericolosa: quella televisiva e sui social dove si sono conquistati all’arma bianca il permesso accordato vigliaccamente di diffondere notizie false. Paolo Guzzanti su Il Quotidiano del Sud il 13 novembre 2021. I no vax hanno vinto la loro battaglia più pericolosa: quella televisiva e sui social dove si sono conquistati all’arma bianca la visibilità che non meritavano, la dignità di cui non disponevano, il permesso accordato tacitamente e molto vigliaccamente di diffondere notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico ma anche ad arrecare danno ai corpi, alle coscienze, alle menti, a bimbi, grandi e anziani.

IL RIFIUTO DEL DIALOGO

L’Italia è stata devastata dal panico determinato dal loro panico. La maggior parte dei nemici del vaccino e poi quelli contrari al Green pass sono per lo più persone impaurite che non hanno coraggio di farsi iniettare un liquido nella spalla. L’incredibile crescendo della loro propaganda ha devastato i palinsesti delle reti televisive. Improvvisamente quella che è l’evidente verità coincidente con il bene pubblico è diventata un’opzione fra le tante. Non è più dato sapere che cosa sia un virus e se il vaccino sia o non sia un farmaco. Il vaccino non è un farmaco, ma è un vaccino. La differenza sta nel fatto che un vaccino non consiste in un aggeggio chimico che interviene nel corpo per modificarne il funzionamento. Un vaccino, specialmente quelli americani basati sul RNA, è semplicemente una password. Una password che fornisce un’informazione volutamente sbagliata al tuo sistema immunitario, il quale vede un nemico che ancora non c’è e si attrezza per combatterlo. Il nemico è la famosa proteina spike che vediamo sempre nelle grandi illustrazioni che sembrano delle fragole su una torta con panna. I no vax hanno un’organizzazione comunicativa ferrea. Non discutono, non dibattono, non sono disposti ad accogliere come una possibile informazione le cose che dice loro un opponente. Un no vax e un no Green pass insultano in una maniera blindata da cui è esclusa la logica, ma in cui è incluso il forsennato desiderio di uccidere. Tutti noi giornalisti che in un modo o nell’altro ci esponiamo davanti al pubblico esponendo i buoni motivi per cui è meglio che le persone si vaccinino se vogliono salvare la loro e l’altrui vita, siamo bombardati da messaggi ai quali è impossibile rispondere, in cui compare in un modo ossessivo la parola merda, seguita dalla parola culo, seguita poi dagli insulti, dalle condanne a morte espresse sotto forma di auspicio. Possa tu morire questa notte di ictus, speriamo che tu crepi insieme a tutti quelli come te, ed è perfettamente inutile tentare di risponder loro dicendo: guarda caro che io, diversamente da te, desidero che tu viva, desidero che tu stia bene e faccia star bene gli altri, io desidero il tuo bene e non il tuo male. È incredibile come anche di fronte a una tale dichiarazione i no vax e i no Green pass rispondano sempre invariabilmente con una chiusura paraocchi citando fumosamente notizie che solo loro conoscono, da cui si dovrebbe apprendere che i vaccini anti Covid contengono dei microchip diabolici che saranno usati per porre fine alla vita dei vaccinati e altre immani sciocchezze del genere.

TALK SHOW E SOCIAL

Ma l’argomento che più ci interessa è l’accoglienza di questa gente o dei loro sostenitori nei talk show e sui social. Vengono cioè esposti alla pari. Uno a uno. Un intelligente contro un maniaco depressivo. Poi ci sono i filosofi, i quali si proclamano difensori della libertà ma a cui non importa un fico secco della verità. Il filosofo Massimo Cacciari si è distinto più di ogni altro per aver allestito un suo banchetto di idee contorte da cui uscirebbe fuori la straordinaria conclusione secondo cui nessuno ha il diritto di costringerti a fare qualcosa neanche se c’è il sospetto, o forse la certezza, che le tue azioni possano essere dannose per gli altri. Il complottismo e persino la paranoia sono strumenti che la natura ci ha dato per incoraggiarci a diffidare quanto basta e a temere sempre la vittoria del male sul bene. Possiamo dire che in una certa misura sia fisiologico. Ma oltre una certa misura dovrebbe essere un reato punito con mesi tot di reclusione. Naturalmente manifestare per strada gridando libertà è bellissimo. Tutti i giovani sciamano e gridano parole d’ordine senza senso, ma con l’inebriante sensazione che noi tutti abbiamo provato più volte nella vita di essere parte di un grande movimento che scuote la civiltà umana dalle fondamenta e la costringe a riflettere sul bene sul male, ma anche semplicemente a divertirsi a non cedere di un millimetro alle imposizioni del potere.

IL DIO “INDICE DI ASCOLTO”

Questa parola, potere, crea una parola assolutamente equivoca perché è chiaro che quando questo potere deriva dalle democrazie, tale potere non è più censurabile se è espresso e amministrato nelle forme dovute e secondo le esigenze anche eccezionali che si presentano. Questo avrebbe dovuto apparire nei talk show e nei social. Ma la legge primaria dell’informazione, chiedo scusa, della comunicazione, non ha niente a che vedere con la verità ma con un unico elemento: l’indice di ascolto. Ogni bravo o brava conduttore o conduttrice di talk show sa che è bene invitare a blaterare o a fare qualsiasi esposizione di stupide idee prive di qualsiasi dignità e contenuto, affinché questa persona posso dare spettacolo delle proprie fantasie e dei propri slogan in modo sufficientemente irritante da provocare la reazione delle persone sempre più rare che esprimono idee correlate ai fatti e ai dati, sicché alla fine la scintilla scocca e la paglia prende fuoco, e si accende un magnifico falò fatto di nulla che però fa schizzare il dibattito nelle classifiche e, come conseguenza immediata, la raccolta pubblicitaria delle reti e dei social, basata sull’indice di ascolto. Questa è l’unica ragione per cui un tale evento culturalmente disastroso e suicida può ancora avere luogo impunemente e, anzi, essere difeso in maniera spudorata e consapevolmente lesiva nei confronti di coloro che sono meno capaci di prendere decisioni e formarsi delle opinioni, dagli opinionisti borderline, quelli della zona grigia, quelli che «io mi sono vaccinato ma non voglio che gli altri siano obbligati a farlo», «io ho il Green pass ma difendo il diritto di coloro che non lo vogliono possedere», «io voglio poter andare dove mi pare, nessuno può impedirmelo», sicché si genera non solo una enorme confusione ma anche una strage che imminente come sanno tutti in tutto il mondo.

LA QUARTA ONDATA

La quarta ondata non farà prigionieri. La quarta ondata sta devastando il mondo occidentale e lo stato di Israele ha proclamato per giovedì prossimo un giorno di esercitazioni militari a cui tutta la popolazione sarà invitata, anzi chiamata e obbligata, a partecipare, e probabilmente coloro che vorrebbero manifestare contro il vaccino e contro la Green card, se osassero farlo in quello Stato molto serio e molto poco enfatico, troverebbero pane per i loro denti. 

Populismo a reti unificate. La par condicio è rimasta nell’aria come un droplet. E sui vaccini fa danni enormi. Beppe Facchetti su L'Inkiesta il 15 Novembre 2021. Grazie a un uso malinteso e sadico del meccanismo “pluralista” introdotto quando un certo tycoon si dedicò alla politica, i conduttori dei talk show modello Speakers’ corner hanno creato una galleria di mostri. E vabbé. Però, almeno sul Covid, servirebbe un po’ di autocontrollo. Fa bene Christian Rocca a perdere la pazienza e usare il telecomando per evitare a sé stesso la tortura dei talk show – di tutte le reti, ma qualcuna è più zelante – che sono diventati il caravanserraglio del populismo che avanza, inteso come cibo avanzato, dopo l’abbuffata di osceno e di improbabile che già tanti danni ha fatto quando la luna del populismo era crescente o piena. Ma la luce azzurrina resta accesa ugualmente in milioni di case, anche dopo un assennato click che mette fine allo strazio. Finché si parla di argomenti vari ed avariati – Silvio Berlusconi al Quirinale, Matteo Salvini che chiede in tv cose che non ha chiesto in Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte che racconta banalità non avendo avuto (nella vita) tempo per prepararsi – la cosa male non fa, o meglio ne fa poco. Ma confondere le idee alla casalinga di Voghera su vaccino sì e vaccino no, qualche ricaduta di valore generale ce l’ha, e forse almeno un richiamo alla responsabilità ci vorrebbe. Utilizzare il bilancino della par condicio in materia vaccinale è qualcosa di irresponsabile, cercare un rimedio farebbe parte dell’etica professionale. Il criterio della par condicio è il frutto avvelenato dell’epoca in cui un tycoon entrò in politica e per di più diventò presidente del Consiglio, per cui l’informazione tv fece filotto: non 3 ma 6 reti a rischio pensiero unico. Non era poi davvero così, perché il tycoon cercava voti, è vero, ma ancora di più audience, ed essendo del mestiere sapeva che per la pubblicità un menu fisso non è appetibile. In un sistema ipocrita, che ha paura del confronto di opinioni, la medicina fu comunque quella di centellinare, millesimare l’utilizzo dello strumento, sempre nel presupposto antico che la libertà sia rischiosa. Da Fëdor Dostoevskij (il grande inquisitore) a Ettore Bernabei (il grande controllore dell’unico canale Rai) bisognava evitare lo choc del dubbio. Ma poi il sistema si è un po’ evoluto, abbiamo oggi centinaia di canali, ed è normale che alcuni siano schierati da una parte e altri dall’altra. Si paga un prezzo a un Carnevale inguardabile, ma non è poi tanto pericoloso. C’è un canale occupato giorno e notte da un non medico che vende ricette miracolose a platee osannanti, intervistato sempre dallo stesso falso giornalista e trattandosi di salute sarebbe un problema, ma vendere placebo al massimo è una truffa. Negli Stati Uniti nessuno si lamenta se la Fox è un tantino reazionaria. Da noi, quella “par condicio” è rimasta invece nell’aria, come il droplet, e ha infettato abitudini, pigrizie e convenienze. Non c’è la sana gioia, in campagna elettorale, di assistere a un bel confronto senza veli tra Matteo Renzi e Conte, o tra Salvini e Giorgia Meloni. Un doppio podio per dirsi tutto quello che serve a capire. No, ci vuole sempre un palco capace di ospitare per lunghezza il Bucintoro, e tutti lì a dire qualcosa prima del gong. Cinquanta secondi di slogan sbocconcellati e sotto a un altro. Cose inguardabili. Non si può comunque applicare questo stesso metodo quando si parla di vaccini. È materia delicata, è facile disorientare e confondere. Lo telespettatore ha davanti qualcosa che viene celebrato, con pari forza e convinzione, da chi dice una cosa e da chi dice il suo contrario. Ha allora tutto il diritto di pensare che il valore è equivalente ed è umano, fortemente in linea con il mezzo tv, che possa essere attratto dal più bravo nello storytelling o nella violenza verbale. Il conduttore pensa come al solito che la rissa equivalga a picchi di audience e lascia fare, anzi gira la manopola, il regista inquadra in modo da poter montare mezzo schermo per ciascuno dei due contendenti, e dal divano vedi e senti la materializzazione di un confronto plasticamente alla pari. C’è poi chi è più sadico e chi più temperato. Giovanni Floris, per esempio, ha cominciato negli anni creando dal nulla (ma proprio dal nulla, in tempi non sospetti) personaggi tv come Renata Polverini o Francesca Donato o l’irresistibile Antonio Rinaldi, sempre in omaggio alla par condicio, perché la Polverini era di un sindacato di destra (merce rara), la Donato era no euro (marketing puro con un’associazione composta da due soci, lei e il marito), Rinaldi era addirittura presentato come portavoce di Paolo Savona, quando quest’ultimo, ombra di Guido Carli per una vita, direttore generale dei Confindustria, aveva sfogato vecchie frustrazioni nella scoperta dell’anti Europa. Perfetti sconosciuti, personaggi improbabili senza un palcoscenico, portatori di pensieri deboli, votati poi da migliaia di telespettatori/elettori entusiasti perché trasformati da zucche in carrozze grazie a mago Floris. Un metodo, dunque, di successo (complimenti, potrebbe formare un gruppo parlamentare), che però assume connotati inquietanti quando si dà spazio a un monsignor Viganò che teorizza lo sterminio di massa per propiziare la vaccinazione di massa. Qui siamo in un campo in cui non si può scherzare. C’è gente che sul divano fa zapping, o dorme e si sveglia di colpo, che ha già tanti dubbi. Vede un monsignore, o un professore, o l’inventore di Pubblicità Progresso che spiegano che il vaccino è sperimentale nonostante 3 miliardi di cavie, e si mette in allarme. Certo non ha molta voglia di farsi pizzicare il braccio. Ora che viene il difficile, cioè incolonnare di nuovo 45 milioni di italiani verso gli hub della terza inoculazione all’anno, bisognerà clonare il generale Figliuolo per riuscire a convincere le masse. Un conduttore che di solito riesce a essere equilibrato, sempre della 7, come Corrado Formigli, l’altra sera ci è cascato anche lui. Schierato personalmente e chiaramente pro vax ha fatto intervenire (sempre la maledetta par condicio) due o tre no vax ed è finita male. L’ubiquo Matteo Bassetti di tutte le tv se ne è andato, e Formigli ha dovuto, per par condicio, chiudere il collegamento a chi festeggiava questa fuga. Naturalmente, in un’ottica liberale, è motivo di imbarazzo criticare il confronto tra idee diverse. Lungi da noi l’idea della censura, che aggrava solo i problemi. Siamo sempre convinti che dal dibattito vengano vantaggi. Forse verranno anche da queste che sembrano accozzaglie. E certamente l’alternativa non è quella cui abbiamo assistito nei mesi della virologia à gogo, con parere scientifici tutti contrastanti. Ma affidare una operazione collettiva tanto decisiva come la campagna di vaccinazione alle obiezioni di tuttologi, filosofi, improvvisatori del pensiero non è confortante. Ci siamo già fatti abbastanza del male. Il complottismo, il disprezzo per i fatti, per la scienza, per la preparazione, persino per i congiuntivi, ha affascinato e sedotto, almeno per un attimo (ma era un attimo importante, quello del voto), un italiano su tre. È andata male. La macchina dell’odio ha mischiato tutto e restituito molta pericolosa delusione e molto insidioso doroteismo di certi ex gilet gialli. Dunque, un po’ di autocontrollo nella comunicazione tv (sui quotidiani di carta è diverso, ma quanto incidono?) non starebbe male. Click.

No vax e manifestazioni, Andrea Zalone e il dubbio sui contagi Covid: "Triestini più contagiosi dei milanesi?" Il Tempo l'11 novembre 2021. "In occasione delle manifestazioni no green pass si riscontra frequentemente un significativo livello di inosservanza delle misure anti Covid con potenziale pericolo di incremento dei contagi" si legge nella circolare del Viminale diffusa dalla ministra dell'Interno Luciana Lamorgese che vieta i cortei. Non a caso Trieste sarebbe a un passo dalla zona gialla dove la nuova impennata di contagi è stata registrata proprio dopo le proteste in piazza. "A Trieste per colpa delle manifestazioni abbiamo avuto il più grande cluster della storia della pandemia in Friuli Venezia Giulia" ha tuonato il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, non nascondendo il timore che "entro fine mese, probabilmente anche prima, andremo in zona gialla". Ma il binomio cortei-contagi non sarebbe direttamente proporzionale, dipenderebbe dalla città? Se lo chiede l'attore Andrea Zalone, 53 anni, spalla e autore di alcuni tra i programmi di Maurizio Crozza che - secondo gli ultimi rumors - sarebbe il presunto compagno di Luciana Littizzetto. A Milano per sabato 13 novembre è prevista una nuova manifestazione contro il Green pass ma nonostante il susseguirsi di proteste i contagi non sarebbero aumentati come in Friuli. Perché i no-vax triestini sono più contagiosi dei no-vax milanesi? domanda sui social Andrea Zalone: "A Milano non si registra un’impennata di contagi dopo 16 sabati di manifestazioni. Non sono polemico. Giusto per capire. A Milano manifestano con le mascherine e a Trieste no?" Pronta la risposta di una follower che spiega: "Molto probabilmente perché il tasso di vaccinazione a Milano è più alto che a Trieste. Lo dice una della provincia di Bolzano, dove i contagi sono aumentati senza bisogno di grandi manifestazioni".

Alessandra Muglia per il "Corriere della Sera" il 12 novembre 2021. Sei mesi fa aveva dichiarato la fine dell'epidemia, ora è il Paese dove il virus corre più veloce. Con un'incidenza di tamponi positivi al 40%, la Slovenia rappresenta il maggiore focolaio ad assediare l'Italia, sul fronte orientale. Una minaccia amplificata dai 12 mila transfrontalieri che ogni giorno varcano il confine nelle due direzioni per studiare o lavorare. Se Trieste è diventata la città maglia nera del nostro Paese, probabilmente non è soltanto per via dei cortei al porto. Infatti i casi aumentano (seppur a ritmo più contenuto) anche in Veneto e Alto Adige. Lo ha chiarito bene Giovanni Sebastiani, dell'Istituto per le Applicazioni del Calcolo Picone, del Cnr: «Il coinvolgimento maggiore delle zone del Nordest è molto probabilmente influenzato, oltre che dagli assembramenti, anche dai flussi in entrata di persone provenienti dall'Est europeo attraverso la frontiera con la Slovenia». Secondo l'ultimo bollettino governativo, su poco più di 9.000 tamponi molecolari effettuati, 3.568 sono risultati positivi: poco meno della metà. La curva dei contagi resta preoccupante soprattutto a Lubiana e nelle località costiere, nonostante le nuove misure restrittive adottate una settimana fa dal governo guidato dal leader della destra populista Janez Jansa, amico di Orbán: il green pass è diventato obbligatorio anche nei centri commerciali, nei locali pubblici e persino in banca, oltre che sul posto di lavoro; il certificato va mostrato sempre con un documento d'identità ed è stato esteso anche ai ragazzi sopra i 12 anni; sono vietati assembramenti ed eventi pubblici, matrimoni e celebrazioni; sul lavoro non possono più essere utilizzate le mascherine di stoffa ma solo le chirurgiche e le Ffp2; dal 15 novembre gli studenti dovranno effettuare a scuola il test rapido anti Covid tre volte la settimana. «Le regole ci sono, il problema è che nessuno controlla e pochi le rispettano. C'è un atteggiamento a dir poco rilassato nel Paese malgrado il nuovo picco - dice al Corriere Alessandro Martegani, casa a Trieste e lavoro (da giornalista) a Capodistria -. Al chiuso molti non indossano la mascherina, per strada non rispettano il distanziamento. È come se il Covid non fosse preso sul serio, mentre in Italia è vissuto con drammaticità. Gli sloveni sono insofferenti alle restrizioni oltre che ai vaccini. Il 24 aprile si va a votare per le politiche e nessuno vuole prendere misure impopolari». Intanto però i posti letto negli ospedali stanno iniziando a scarseggiare: le terapie intensive sono piene al 92%. Felice Ziza, medico dell'ospedale di Isola, ha spiegato che i ricoverati sono quasi tutti non vaccinati. Nonostante i tentativi di accelerare sulla campagna di immunizzazione, i numeri non migliorano. Stabile da alcuni giorni al 53% la quota di chi ha completato il ciclo: uno su due. Un tasso di molto inferiore alla media europea (70%) ma in linea con la maggior parte delle nazioni dell'Est. L'intolleranza alle imposizioni è diffusa negli Stati ex sovietici, a iniziare dalla Russia, dove la mancanza di fiducia nelle istituzioni dopo decenni di regime comunista ha alimentato lo scetticismo. Proprio la bassa copertura vaccinale nei Paesi dell'Est è considerata all'origine della nuova ondata che fa dell'Europa l'unico continente con positivi in rialzo.

Da video.corriere.it il 10 novembre 2021. Le parole del Mons. Viganò: «In tutte la parti del mondo in cui vige la psico-pandemia il popolo scende nelle piazze a manifesta il proprio dissenso. I media di regime tacciono». La risposta di Bruno Vespa: «Che Dio lo perdoni»

Da la7.it l'11 novembre 2021. Massimo Giannini a diMartedì: "Questo monsignor Viganò è un mascalzone, non rispetto chi dice le bugie. Ha detto che hanno ucciso le persone ricoverate per imporci le mascherine: questa è una mascalzonata. Basta con la tolleranza con chi mente".

Mons. Viganò: "Ci hanno mentito per due anni". E Vespa lo gela così. Francesca Galici il 10 Novembre 2021 su Il Giornale. Davanti alle teorie di monsignor Viganò, che è convinto sia in atto il "grande reset" e che sia in atto una "psicopandemia", Vespa resta basito. Bruno Vespa è stato ospite di Giovanni Floris a Dimartedì e ha assistito con stupore alla trasmissione dell'ormai ben noto video dell'arcivescovo Carlo Maria Viganò, uno dei più convinti teorici del "grande reset", cioè il complotto del sistema delle elite per avvantaggiare l'arrivo "dell'Anticristo". Nel corso dei mesi è diventato un punto di riferimento per i no vax che credono in questa teoria. Il religioso, ormai esentato dalle sue funzioni in quanto pensionato, esprime una posizione nettamente contraria alle vaccinazioni, con argomentazioni molto particolari, che hanno perplesso anche Bruno Vespa. I video di monsignor Viganò vengono diffusi su YouTube attraverso un canale che diffonde la "controinformazione" su vaccini e Green pass, attaccando duramente il governo in carica e fornendo materiale per alimentare l'ideologia no vax. In uno di questi video, che dura ben 30 minuti nella sua versione integrale, Carlo Maria Viganò sostiene che "in tutte le parti del mondo in cui vige la psicopandemia, il popolo scende nelle piazze e menifesta il proprio dissenso". Il religioso, se la prende anche con "i media di regime (in pratica tutti)", che "tacciono sistematicamente quello che però possiamo vedere su internet". Il web, d'altronde, è il veicolo più potente per la trasmissione delle teorie cospirazioniste e complottiste in cui si alimentano le convinzioni dei no vax e dei no Green pass. Monsignor Viganò, quindi, aggiunge che "ci siamo svegliati un po' tardi", ma "stiamo cominciando a capire che ci hanno ingannato per quasi due anni, raccontandoci cose che con corrispondevano alla realtà". Ossia, "che non c'erano cure, che si moriva di Covid mentre uccidevano deliberatamente i contagiati per farci accettare mascherine, lockdown e coprifuoco". Quando detto Carlo Maria Viganò è facilmente rintracciabile anche nelle chat dei no vax e dei no Green pass, che si aggrappano al pensiero del monsignore per trovare una sponda più o meno autorevole per proseguire nella battaglia per osteggiare la campagna vaccinale. Ma le parole di Carlo Maria Viganò vanno in direzione opposta a quando dice la Chiesa, a quanto detto anche da Papa Francesco. Eppure, il monsignore non è l'unico che, all'interno della Chiesa, esprime posizioni cospirazioniste. Un'inchiesta condotta da Tpi e trasmessa da Cartabianca ha mostrato un prete di Roma che, durante l'omelia, invita i fedeli a non vaccinarsi perché verrebbero usati feti abortiti nel Novecento. Davanti alle parole di monsignor Viganò, Bruno Vespa a Dimartedì ha un solo commento: "Che Dio lo perdoni".

Francesca Galici. Giornalista per lavoro e per passione. Sono una sarda trapiantata in Lombardia. Amo il silenzio.

Vittorio Feltri contro Il "no vax" Belpietro: "Forse sei pazzo da legare, almeno porta rispetto". Vittorio Feltri su Libero Quotidiano il 10 novembre 2021. Maurizio Belpietro non mi è certo sconosciuto. Attualmente dirige la Verità, giornale da lui fondato alcuni anni fa. In precedenza l'ho assunto solo quattro volte: all'Europeo, all'Indipendente e al Giornale (in due riprese). Mi pare evidente che lo stimassi. Lui invece mi ha licenziato in una circostanza. Dopo un anno di collaborazione, mi scaricò con una telefonata. Cosa che mi lasciò indifferente, però constatai che la gratitudine è il sentimento della vigilia. Niente di drammatico. Ora scopro, leggendo un suo articolo sulla sua falsa Verità, che noi di Libero saremmo ossessionati dal suo quotidiano fiancheggiatore dei no vax e dei no Green pass. In realtà il nostro foglio se ne infischia altamente di quelli che non si vaccinano: peggio per loro. Se crepano o comunque finiscono intubati devono solo battersi il petto, mea culpa mea maxima culpa. L'importante è che non addossino a noi le spese del funerale. Ciascuno è padrone del proprio destino. Non ti immunizzi? Affari tuoi. Il tuo odio verso i virologi è superiore a quello che nutri nei confronti del Covid? Bravo, agisci come credi. Preferirei che la minoranza chiassosa dei nemici della scienza evitasse di rompere le palle con i suoi cortei settimanali, ma è questione di gustibus che disputandum non est. Il resto, trattandosi di opinioni, conta poco o nulla. Ciascuno la pensa come vuole, noi scribi e anche i virologi ai quali riconosco di essere riusciti in pochi mesi a inventarsi un medicinale in grado di sconfiggere, o almeno limitare, una malattia sconosciuta. Belpietro non crede a una sola riga di quello che scrivo? Odia le punture e chi si fa iniettare il liquido salvifico? Faccia pure, ma eviti almeno di attaccare il nostro Renato Farina che ha una prosa deliziosa e dice meno stupidaggini di Maurizio. Se la Verità, testata francamente troppo ambiziosa, mi dà del pirla perché ascolto le prediche del professor Locatelli, abbozzo, ma ciò mi autorizza a ricambiare il complimento, dicendo che l'Italia è il Paese che grazie alle iniezioni e al lasciapassare sta meglio in Europa. E probabilmente i fessi non sono i vaccinati che se la cavano ma coloro che per fare i bulli contestatori finiscono sotto terra. Aggiungo che in effetti molti giornalisti sono pazzi da legare, ma alla categoria forse appartieni anche tu Belpietro, benché ti abbia assunto quattro volte. Non pretendo ringraziamenti che sarebbero tardivi, ma almeno un po' di rispetto.

Vittorio Feltri per “Libero Quotidiano” il 12 novembre 2021. Ormai è sempre più difficile divertirsi. La tv ha perso il 50 per cento degli spettatori, i giornali non brillano per popolarità, i film in circolazione sono l’emblema della noia. Oggi se vuoi fare una risata non ti resta che leggere Maurizio Belpietro che, invece di scoprire l’acqua calda, farebbe meglio a bersi qualche bicchierino di whisky, così tanto per crearsi una scusa: infatti le ovvietà che scrive, convinto di dire cose illuminanti, fanno pensare che siano vergate da un signore ubriaco. Ieri per esempio, egli ha detto nel suo articolone di fondo che si registrano casi, abbastanza rari, che persone vaccinate si becchino il virus e magari vadano all’altro mondo. Cosa vera, talmente vera da essere nota anche ai frequentatori dei giardini di infanzia. L’antidoto in effetti non garantisce l’immortalità, mai nessuno ha sostenuto simile baggianata, semplicemente fornisce delle difese onde contrastare abbastanza efficacemente la terribile malattia. La quale, prima che la portentosa iniezione fosse alla portata di tutti, ha sterminato centinaia di migliaia di persone, defunte per mancanza di ossigeno, intubate per varie settimane e infine sepolte qua e là, visto che i cimiteri erano sovraffollati: c’erano in giro più cadaveri che medici e infermieri. Quando i vaccini miracolosamente sono arrivati sul mercato molta gente ha seguitato a crepare, ma col passare del tempo, bucando braccia a tutto spiano, la nostra vituperata sanità e riuscita a ridurre i decessi in misura rilevante. Ovvio i miracoli non li fa più neanche il padreterno, figuriamoci i poveri virologi che si sono trovati ad affrontare una pestilenza di enormi proporzioni. Oggi, tra alti e bassi, più bassi che alti, gli umani che vanno sottoterra sono sensibilmente diminuiti. Non certo grazie al povero Belpietro che sa di medicina quanto io so del comportamento sessuale degli scarafaggi. Zero. La scienza non è mai stata esatta, procede per tentativi, qualche volta funziona altre no. Evidentemente Dio, che io non ho mai conosciuto, e nemmeno mi ha fatto una telefonata, forse ci trascura. Cosicché mi fido maggiormente degli studiosi che non di lui, sempre assente. Figuriamoci se prendo sul serio le bischerate vergate dal bastian contrario che dirige la Verità, nome francamente eccessivo per un quotidiano. Comunque al direttore bisogna concedere le attenuanti generiche: i no vax e i no Green pass costituiscono una minoranza rumorosa e fastidiosa che riesce ad attirare l'attenzione di vari sprovveduti, i quali trovando in un giornale solidarietà nei loro deliri, sono spinti ad acquistarlo. Chi non capisce un cavolo si consola condividendo la sua ignoranza con un gruppo di propri simili. Senza rancore. 

Silvana De Mari, "stupro farmacologico" e "Satana": tutte le follie della dottoressa no-vax arruolata da Belpietro. Alessandro Giuli su Libero Quotidiano il 12 novembre 2021. Si dice che il sonno della ragione genera mostri e in tempi di pandemia bisognerebbe guardarsi appunto dal rischio della mostrificazione che attraversa la politica e la così detta società civile alle prese con l’afflizione della malattia, l’incognita delle sue varianti e le poche ma solide verità scientifiche a disposizione. Nel caso di Silvana De Mari, regina del complottismo no-vax, no-pass, no-mask e no-moltissime altre-cose, il pericolo rasenta la guerra di religione con spolverature millenaristiche. La signora in questione è un chirurgo specializzato in psicologia cognitiva molto popolare nell’universo psicopatologico di chi crede che dietro la genesi del Sars-CoV-2 e la profilassi globale contro il Covid si nascondano per lo più interessi finanziari, regie occulte e addirittura lo zampino del diavolo. L’Ordine dei medici di Torino l’ha da poco sospesa assieme ad altri 94 colleghi, vietandole di “svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio Sars-Cov-2”. Fra le sue ultime intemerate, al netto della prosa che dispensa con regolarità sulla stampa nazionale, si annovera un comizio in piazza di fine ottobre nel quale descrive la vaccinazione – e il Green pass che ne consegue – come uno “stupro farmacologico… qualcosa di satanico”. A seguire, l’ostensione di un rosario dai colori rosso e azzurro, “i colori delle confraternite dei captivi… coloro che venivano catturati dai saraceni… catturati come noi… come noi a milioni…”. L’arringa si chiude con l’invito a una nuova battaglia di Lepanto per riscattarsi dalla schiavitù, e non è difficile indovinare che nei panni dell’invasore ottomano la dottoressa De Mari scorga le fattezze dei governi occidentali, di “Big Pharma” (lo dice lei stessa del resto) e di qualche oscura confraternita rivale devota alle tenebre. Qualche indizio? Nel 2017 la De Mari offrì le proprie fantasticherie ai microfoni radiofonici della Zanzara per anatemizzare il sesso anale, sia omo sia eterosessuale, avvertendoci che “è un gesto sempre fatto nelle iniziazioni sataniche… non sono quattro sfessati, ma è presente anche ai piani alti… ne ha fatto uno anche Angelina Jolie”. E questo era il punto d’arrivo di un ragionamento basato sulla radicale convinzione che “in realtà l’omosessualità non esiste” se non come malattia da lei curata “per quarant’anni”, una “condizione drammatica per l’ano” sulla quale naturalmente si dispiega dall’alto “una censura incredibile… nessuno ne parla”. Di là da tali stravaganze (basterebbe leggere Platone per vivere pacificamente il rapporto con la sessualità, ma è un discorso troppo lungo e alto per correre il rischio di sprecarlo), non è difficile cogliere il sottotesto implicito nel fanatismo di chi giudica il sesso peccaminoso ogniqualvolta prescinde dal dettato riproduttivo biblico, al punto tale che lo stesso autoerotismo finisce per essere condannato. Il tema assume addirittura i tratti dell’ossessione quando investe – come in un articolo della De Mari risalente al 2009 – l’alimentazione dei neonati tramite biberon: una pratica che sarebbe promossa dall’industria del latte artificiale per scoraggiare l’allattamento naturale al seno e – sotto sotto – agevolare la causa della teoria gender (le coppie omosex maschili non hanno molte alternative al biberon). Il campionario delle enormità potrebbe arricchirsi di altri esempi, essendo sufficiente una ricerca online per imbattersi in numerosi video nei quali la nostra dottoressa millenaristica enumera i successi negletti delle cure semiclandestine anti Covid o discetta di genocidi pascolando nel prato immaginario della letteratura fantasy, mescolando fiabe per l’infanzia e cellule di feti abortiti utilizzate per fabbricare vaccini. Sullo sfondo, sempre l’idea che un’anonima setta nemica stia lucrando sulla nostra salute, sulla nostra libertà e sui cardini della natura umana ingabbiata dalle restrizioni contemporanee. Un bersaglio facile, per dire, è quello che De Mari descrive con lo zoppicante acronimo “Gafat”: Google, Facebook, Apple e Twitter; vale a dire le piattaforme e i social network premiati dall’isolamento sociale provocato dal Coronavirus ma al tempo stesso – guarda un po’ – gli strumenti prediletti dalla propaganda sottoculturale di cui De Mari e soci sono protagonisti e veicoli sempre più dinamici. Nulla di personale, naturalmente, anche perché la signora non è affatto ignorante e ha perfino una sua mitezza occhiazzurrata e carezzevole quando traguarda la telecamerina per registrare le sue sparate. Come una matura zia che abbia perso il controllo della propria fede interiore e vada esteriorizzando la Torquemada che tratteneva a stento dentro di sé. Non che un certo scientismo cieco e fideistico sia poi troppo diverso, ovvio, ma si tratta appunto di guerre tra cattive metafisiche che si alimentano a vicenda. La ragione sta altrove, per fortuna.

Marco Zini per tag43.it il 12 novembre 2021. Tra i tanti motivi di dissenso che dividono Matteo Salvini e il ministro Giancarlo Giorgetti, ormai chiamato da tutti l’Amerikano dopo il suo viaggio negli Stati Uniti che gli hanno organizzato Paolo Messa, uomo di Leonardo per gli Usa, e Simone Crolla, segretario generale dell’American Chamber of Commerce di Milano, c’è anche la vicinanza del segretario della Lega versione Papeete alla linea politica della Verità di Maurizio Belpietro. In particolare, Giorgetti non sopporta che Belpietro sia progressivamente diventato il punto di riferimento del movimento no vax e no Green pass, che accarezza quasi quotidianamente con un linguaggio non certo tenero nei confronti del governo. «La destra è ordine e disciplina, altro che casino di piazza e linguaggio truculento», ha mandato a dire Giorgetti a Salvini. Cosa che poi il ministro ha raccontato a Luigi Di Maio in uno dei loro famosi pranzi in pizzeria rivelati dal titolare della Farnesina, cosa che tanto ha irritato l’amico della Le Pen e di Orban. Il ministro a supporto delle sue ragioni ha citato anche Libero: «Sallusti mica ha cavalcato quell’onda come Belpietro, a tutto c’è un limite», riferendosi alle posizioni del giornale degli Angelucci. Esplicitate in un editoriale al curaro di Vittorio Feltri che aveva come bersaglio proprio Belpietro. «Se la Verità, testata francamente troppo ambiziosa, mi dà del pirla perché ascolto le prediche del professor Locatelli, abbozzo, ma ciò mi autorizza a ricambiare il complimento, dicendo che l’Italia è il Paese che grazie alle iniezioni e al lasciapassare sta meglio in Europa», aveva scritto Feltri, chiudendo la sua intemerata con un perentorio invito a Belpietro di portargli rispetto: «Probabilmente i fessi non sono i vaccinati che se la cavano ma coloro che per fare i bulli contestatori finiscono sottoterra. Aggiungo che in effetti molti giornalisti sono pazzi da legare, ma alla categoria forse appartieni anche tu Belpietro, benché ti abbia assunto quattro volte. Non pretendo ringraziamenti che sarebbero tardivi, ma almeno un po’ di rispetto». La verità (con la minuscola) è che i giorgettiani temono non solo che il partito scivoli su posizioni che sarebbero considerate inaccettabili da Mario Draghi, il cui esecutivo ha fatto della campagna di vaccinazione il primo punto del programma di governo, ma anche che esponenti di spicco dell’area no vax e no Green pass, come il direttore della Verità, vengano proposti da Salvini come futuri candidati di punta alle prossime elezioni politiche.

Da iltempo.it il 10 novembre 2021. Massimo Cacciari su tutte le furie a Otto e mezzo di Lilli Gruber. Invitato per discutere delle nuove limitazioni imposte dal governo alle manifestazioni anti green pass, il filosofo se l'è presa col "pensiero unico" sulla pandemia, attaccando in particolare chi ha deciso di censurare una parte della scienza meno propensa alla vaccinazione di massa. Le parole di Cacciari sono state quindi duramente criticate dal giornalista Luca Telese, a sua volta in studio: "Non capisco perché offra copertura intellettuale ai mistificatori" ha detto Telese. "Io esercito solo il mio lavoro, che è quello del pensatore critico" ha ribadito Cacciari, che poi ha perso la pazienza con Lilli Gruber che tentava di interpretare una sua risposta. "Che cosa mi invita a fare se poi non mi fa parlare?" lo sfogo del filosofo. 

Due esempi di censura in tv. NON C’È UN BEL CLIMA: ECCO COSA SUCCEDE A CHI CONTESTA IL PENSIERO UNICO SANITARIO. Claudio Romiti l'8 Novembre 2021 su Nicola Porro.it. Alcuni giorni orsono nel corso di una diretta televisiva, il direttore del Riformista, Piero Sansonetti ha interrotto con la bava alla bocca Maurizio Belpietro, il quale stava semplicemente citando alcuni dati che sembrerebbero avvalorare la tesi secondo cui i vaccini anti-Covid non impediscono il contagio, ma solo le forme gravi della malattia. In pratica con il suo “stai incitando la gente a non vaccinarsi; stai dicendo una cosa folle, folle!”, Sansonetti ha cercato di imporre una sorta di divieto morale al direttore de La Verità, reo evidentemente di aver espresso qualche legittimo dubbio sul dogma sanitario imperante.

Sulla stessa linea, seppur in maniera decisamente più garbata, si è mossa Myrta Merlino, quando ha cercato di rimettere ordine nell’acceso diverbio, riportato su queste pagine, tra David Parenzo e Paolo Brosio. Ebbene, personalmente ho trovato l’intervento della conduttrice, generalmente persona abbastanza equilibrata, agghiacciante, tanto per usare un aggettivo adeguato. Dice infatti la Merlino, rivolgendosi con tono di rimprovero a Brosio, anch’egli reo di aver espresso dubbi e perplessità sui vaccini, “…una persona come te, che ha una capacità di comunicare molto grande, che sa parlare alle persone, se immette nel dibattito pubblico tutta una serie di dubbi deve sapere che questo può avere un rischio, perché poi quando la gente non si vaccina e se in troppi non si vaccinano il nostro Paese è meno sicuro di come lo è oggi.” Ergo, posta così la questione, solo il fatto di manifestare un pensiero critico nei riguardi di ciò che ci viene imposto dall’alto rappresenta un vero e proprio alto tradimento, un atto di grave slealtà nei confronti del popolo italiano, il quale –così almeno se ne deduce dalle parole della popolare giornalista partenopea, sarebbe in guerra con un virus ancor più mortale di quello dell’Ebola. Ma dal momento che i numeri dicono tutto il contrario, con un tasso di letalità reale che l’illustre virologo Giorgio Palù, attuale presidente dell’Agenzia italiana del farmaco, lo scorso anno stimava tra lo 0,3 e lo 0,6%, essenzialmente concentrata tra le categorie più fragili della popolazione, l’approccio apocalittico usato dalla Merlino e dalla stragrande maggioranza dei suoi colleghi appare tanto delirante quanto inaccettabile. Inaccettabile, in particolare, perché utilizzato per tappare la bocca a chiunque, per l’appunto, non sia d’accordo con la politica sanitaria imposta dall’alto. E questa strisciante censura mediatica nei riguardi del pensiero critico, segnalata più volte in questi giorni da Maria Giovanna Maglie, costituisce a mio parere un altro, preoccupante aspetto di una deriva democratica di cui quasi nessuno nel mondo dell’informazione sembra preoccuparsi. Il risultato di un simile appiattimento del dibattito è quello di farci compiere ancora ulteriori passi verso l’inferno di un regime sanitario che nessuno ha sicuramente pianificato, ma che per tanti, troppi personaggi della politica, della cosiddetta scienza medica e dell’informazione continua a rappresentare una manna caduta dal cielo di Pechino. Proprio in tema di un dibattito pubblico che non c’è, personalmente non mi sento affatto in sintonia con i no vax o con i tanti complottisti in servizio attivo permanente. Tuttavia, solo il fatto di passare per negazionista se mi permetto di ritenere più ragionevole la strategia di alcuni Stati europei di grande tradizione democratica, che hanno lasciato ai cittadini la libertà di scelta sul vaccino, dovrebbe farci riflettere. Quando in un sistema democratico l’informazione diventa strumentale per imporre un pensiero unico, così come sta oramai avvenendo da quasi due anni, il futuro di quello stesso sistema appare quanto mai oscuro. Claudio Romiti, 8 novembre 2021

PiazzaPulita, Gianluigi Paragone inquietante: "Cosa mi ha detto un agente della Digos". Paranoia o complotto? Libero Quotidiano il 05 novembre 2021. Qui PiazzaPulita, il programma di Corrado Formigli in onda su La7, dove nella puntata di giovedì 4 novembre, ospite in studio, ha fatto capolino Gianluigi Paragone, ormai punto di riferimento politico di tutto il movimento no-Green pass e no-Vax. Si parla di cortei, di manifestazioni. E Formigli ricorda "una questione fondamentale: la foto della manifestazione per il ddl Zan a Milano, un mare di persone. Proprio come alla Barcolana a Trieste. Poi ci sono gli stadi, piene tutte le settimane. Poi si arriva alle manifestazioni no-vax, che a me non piacciono per niente, non sopporto le loro tesi, ma altra cosa è vietare loro le manifestazioni. Cosa sta succedendo?", chiede a Paragone. "Noi andiamo in piazza a Milano da 15 settimane, è interessante che il solo dato di Trieste coincida con l'aumento dei contagi. Veramente, la sfortuna ci vede benissimo... - commenta sornione -. Però in queste settimane vedo che anche l'attenzione delle forze dell'ordine è particolare. Un mio candidato al Municipio ha ricevuto una dozzina di provvedimenti e per andare a lavorare deve mandare una mail alla Questura. Oggi la ha mandata e non ha ricevuto alcunché, e non può andare a lavorare", rimarca. Dunque, Paragone agita quello che sembra lo spettro di un controllo, o quanto meno di una repressione ad-personam: "Penso che se questo debba essere l'atteggiamento del questore di Milano... che so che sta prendendo delle informazioni su di me, so anche che mentre ero in marcia uno della Digos mi ha detto: Paragone non ci si metta anche lei, come a dire che i senatori devono restare dentro al palazzo. E il massimo è il Daspo a Puzzer: é andato col suo banchetto e gli hanno dato il foglio di via a Roma". E ancora: "Io dico, a me piacciono tutte la manifestazioni. Sono contento della manifestazione a Milano del ddl Zan, è giusto che si possa andare in piazza. Ma non riesco più a capire perché in tutta Italia le manifestazioni debbano essere così", conclude Paragone.

La cultura del sospetto. Il complottismo no vax è la malattia senile del comunismo italiano. Carlo Panella su L'Inkiesta il 5 novembre 2021. Le strampalate e le accuse infondate contro un non meglio identificato monopolio internazionale che avrebbe orchestrato Covid e campagna vaccinale in America nascono a destra. Ma da noi sono il prodotto di decenni di propaganda anticapitalista e giustizialista del Pci e dei suoi eredi. Allibiti davanti ai più di 8 milioni di italiani di più di 12 anni che non si vogliono vaccinare, un intero e grande popolo no vax pari quasi a quello dell’intera Svizzera, non dobbiamo cadere in un errore. La matrice complottista che spesso motiva questa scelta non è parte di una cultura di destra o del populismo. In Italia il complottismo, l’attribuzione a forze oscure del deep state, come a Big Pharma, e alle multinazionali di trame e complotti, è storicamente ed essenzialmente retaggio della sinistra. L’esatto contrario di quanto avviene negli Stati Uniti, nei quali fenomeni come QAnon sono parte del populismo di destra, a cui Donald Trump ha dato un potente contributo, sino all’occupazione violenta del Campidoglio, con la balla del voto rubato. In Italia, invece, è stata la sinistra, quella comunista e poi quella ex comunista e giudiziaria, a installare questo veleno diffuso nella cultura del paese. Su due percorsi paralleli, oltre alla denuncia delle trame dei monopoli internazionali e soprattutto americani. In un primo tempo la denuncia di trame americane per avvelenare e distorcere il retto cammino della democrazia. In un secondo tempo, dagli anni Ottanta a oggi, una deviazione radicale della magistratura militante, col pieno appoggio della sinistra ex comunista, che ha usato l’accusa di complicità con la mafia e con “poteri oscuri” per eliminare i suoi nemici politici. Il complottismo del Partito comunista italiano iniziò negli anni cinquanta con l’entrata dell’Italia nella Nato. La ratio era semplice: la cessione di sovranità all’Alleanza Atlantica che comportò quella saggissima scelta democratica della schiacciante maggioranza delle forze parlamentari danneggiava gli interessi dell’Unione Sovietica staliniana. Ecco allora che quel galantuomo dì Giuseppe Saragat, quando scelse la scissione socialista di Palazzo Barberini, venne dipinto come «pagato e servo degli americani». Su su nei decenni fino alla criminalizzazione di Bettino Craxi, accusato di applicare il “piano di Licio Gelli e della P2”, altro bau bau nei confronti di un deep state che altro non era che un club di intrallazzoni. Passando per la bufala del “Piano Solo” e dell’inesistente progetto golpista del 1964 del generale De Lorenzo, complice addirittura il presidente della Repubblica Antonio Segni. Senza dimenticare il caso Gladio, che portò Achille Occhetto a portare «le masse popolari» a manifestare in piazza chiedendo le dimissioni del presidente Francesco Cossiga «complice di trame oscure».

Caso Gladio, gonfiato da una mega inchiesta – finita nel nulla – del pm Felice Casson, che non a caso fu poi eletto senatore nelle liste degli ex comunisti. Caso interessante perché la struttura di Gladio altro non era che la saggia decisione della Nato di arruolare qualche centinaio di ex partigiani “bianchi”, di celare anche depositi di armi e radiotrasmittenti a loro disposizione, in modo da poter funzionare da quinta colonna in caso di invasione sovietica dell’Italia. Benemeriti, quindi, trasformati dagli ex comunisti poco meno che in golpisti al servizio «delle forze eversive».

Ma a quel punto, siamo agli anni Novanta del secolo scorso, il complottismo di sinistra  i riversa tutto sul filone dell’antimafia. Non certo quello di Giovanni Falcone, la cui nomina a Procuratore Nazionale antimafia fu impedita da Magistratura Democratica e dai magistrati vicini al PDS (ma non, va detto, da Giancarlo Caselli, Gerardo D’Ambrosio, e tantomeno da Luciano Violante e Gerardo Chiaromonte).

Il complottismo si fa Stato con le parole genialmente icastiche del gesuita padre Pintacuda, ideologo della Rete di Leoluca Orlando: «Il sospetto è l’anticamera della verità». Da parte sua, Piercamillo Davigo dimostra pari genialità icastica con lo slogan che caratterizza Mani Pulite, l’apoteosi del complottismo all’italiana: «Non esistono politici innocenti, ma colpevoli su cui non sono state raccolte le prove». In quella sciagurata stagione germina l’ossessione per la “Casta” che sfocerà nello straordinario risultato di riempire il Parlamento di un terzo di eletti grillini che hanno dato la fantastica prova che sta sotto gli occhi di tutti.

Ma non finisce qui. Il culmine parossistico del complottismo di sinistra concepisce il suo capolavoro: accusa tutti coloro che hanno effettivamente dato un colpo mortale alla Mafia, dal generale Mario Mori, al colonnello Mauro Obino e gli ufficiali dei carabinieri Giuseppe de Donno, Antonio Subranni e persino Calogero Mannino vuoi di favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra (tutti assolti), vuoi di minaccia contro il Corpo dello Stato. 

È il paradossale processo in cui solo gli imputati che hanno arrestato i più pericolosi mafiosi sono accusati di avere indebitamente e occultamente avviato una trattativa con la Mafia. Di nuovo, tutti assolti. Ma soltanto dopo avere subito un decennio di fango e di gogna mediatica. Sempre da parte della sinistra.

Quella stessa sinistra che sdogana il giustizialismo di destra di Marco Travaglio, offrendogli per quasi un decennio prima la legittimazione della firma su la Repubblica e poi addirittura su L’Unitá. Scelta masochista tra le tante degli ex Pci perché Travaglio si porterà gran parte dei lettori del quotidiano fondato da Antonio Gramsci nel suo eccellente il Fatto.

Si dirà, ma tutto questo c’entra poco col complottismo anti scientifico implicito nei no Vax. Può darsi. Ma quel che è certo è che in Italia è essenzialmente sparso dalla sinistra comunista ed ex comunista l’ideologia contro le multinazionali e il “capitale monopolistico” che costituisce l’essenza, il brodo di cultura della diffidenza nei confronti del Big Pharma che ha prodotto i vaccini.

Indimenticabili le parole con del comunista Giuseppe Berti, relatore della mozione che chiedeva di non ratificare nel 1957 il Trattato di Roma, che istituiva il MEC, Mercato Europeo Comune, primo passo verso l’Europa Unita: «Non ha senso dire che il MEC è una cosa e il capitale monopolistico un’altra: il MEC è la forma sovrannazionale che assume nell’Europa occidentale il capitale monopolistico».

(Adnkronos il 3 novembre 2021) - "Cara Berlinguer, ieri sera con Paragone non mi sei piaciuta per niente". Adriano Celentano pubblica oggi sui suoi social un messaggio in cui critica Bianca Berlinguer e annuncia di pensare ad un ritorno in televisione con un programma dal titolo "Il Conduttore". "E tu sarai il primo ospite...", dice rivolto alla conduttrice di “Carta Bianca”. "'Carta bianca' ma... un pò opaca", esordisce Celentano. "Ho sempre pensato che il mestiere del conduttore è quello che più di tutti ha una grande responsabilità verso i telespettatori. Ossia, quella di valorizzare nel modo più obiettivo il pensiero dei propri ospiti e farlo arrivare nelle case degli italiani nel modo più comprensibile. Ma tu cara Berlinguer, ieri sera con Paragone non mi sei piaciuta per niente. Devo dire che sei stata assai poco “Bianca”... Te la sei presa con lui per aver citato alcuni fatti svelati dalla trasmissione Report, per altro interessanti anche per la tua di trasmissione. L'hai investito come si fa nei peggiori collegi quando i bambini venivano puniti a dormire nello stesso letto dove, nel sonno, gli era scappata la pipì. E quando Paragone ti ha chiesto: “allora vuoi dirmelo tu quello che devo dire”? Tu continuavi a inveire e a quel punto lui ha pensato bene di mettersi il bavaglio. E qui scatta inesorabilmente l'atto più violento: la sua immagine viene brutalmente cancellata. Mentre a pochi minuti di distanza il bravo - Floris “Di Martedì” - senza nemmeno accorgersi, ti dava una lezione di grande democrazia. non solo ha parlato di ciò che report ha svelato, ma ha addirittura invitato l'autore del programma investigativo Sigfrido Renucci. Cara Bianca, posso dire (anche a causa del Covid) che non sei la sola a spargere questo tipo di arrabbiature televisive e se può consolarti, ti do una ''primizia'': sto pensando di tornare in televisione con un programma dal titolo: ''Il Conduttore''. e tu sarai il primo ospite...", conclude il post di Celentano. 

«A diciassette anni fui assunta come cronista in un quotidiano di Firenze. E a diciannove o giù di lì fui licenziata in tronco (…). Mi avevano ingiunto di scrivere un pezzo bugiardo su un comizio d'un famoso leader nei riguardi del quale, bada bene, nutrivo profonda antipatia anzi avversione (…). Pezzo che, bada bene, non dovevo firmare. Scandalizzata dissi che le bugie io non le scrivevo, e il direttore (…) rispose che i giornalisti erano pennivendoli tenuti a scrivere le cose per cui venivan pagati. "Non si sputa nel piatto in cui si mangia". Replicai che in quel piatto poteva mangiarci lui, che prima di diventare una pennivendola sarei morta di fame, e subito mi licenziò. (…). No, nessuno è mai riuscito a farmi scrivere una riga per soldi. Tutto ciò che ho scritto nella mia vita non ha mai avuto a che fare con i soldi.» Oriana Fallaci

SI GUARDA LA PAGLIUZZA E NON SI VEDE LA TRAVE. TV E GIORNALI NUTRONO I PARTITI DEL RUMORE RIMANENDO ABBRACCIATI FUORI DAL MONDO REALE. Roberto Napoletano su Il Quotidiano del Sud il 16 ottobre 2021. La verità è che c’è qualcuno che sta facendo girare il transatlantico Italia dentro il canale di Suez e nel supertalk si parla solo del barchino che per un fatto suo ha difficoltà ad attraccare. La gente vuole vivere tranquilla e vuole le riforme senza frattura sociale. Questo è il nuovo miracolo italiano. Mentre i partiti fanno propaganda. La destra prova a fare la respirazione bocca a bocca a questa minoranza del nulla perché spera le dia la vittoria elettorale senza accorgersi che ha sbagliato tutti i conti. La sinistra mette su un altro spettacolino che è quello dell’antifascismo e ritiene di poterlo fare senza mettere in discussione il governo di unità nazionale. Che non c’entra nulla con la nettezza di risposte necessarie all’assalto subìto dalla Cgil e con la bellezza della grande piazza del Sindacato sui valori fondanti. VOGLIAMO ripeterci. Perché come abbiano scritto ieri non si può più stare zitti. Il problema italiano è la sua bolla mediatica. Un racconto del niente, soprattutto televisivo, che manda in onda ogni giorno un’Italia che non c’è più. In settembre sembrava impossibile aprire le scuole perché c’era malcontato un migliaio di no vax e non contava nulla il record assoluto europeo di vaccinati del personale scolastico e degli studenti. Tanto meno contavano avere messo in cattedra centoventimila persone nella prima settimana di settembre, non a novembre come avveniva da decenni, e la piattaforma tecnologica in funzione che fornisce il quadro della situazione di ogni classe nel giro di qualche secondo. Niente, niente. C’era un preside che aveva dei dubbi, o meglio esternava dei dubbi perché stava facendo campagna elettorale per le sue elezioni di categoria, e quel preside passava a tutte le ore da una rete all’altra in un crescendo valchiriano di bolla mediatica che portava il “circo equestre” autoreferente nel suo bel mondo dove ogni competenza è frantumata, dove i fatti spariscono, e dove il fossato tra Paese mediatico e Paese reale diventa incolmabile. Impedisce di vedere che in Italia la scuola si riapre senza doverla richiudere perché si sta ricostruendo il Paese con l’unico vero esercizio riformista degli ultimi trent’anni. Siamo pericolosamente davanti a una rappresentazione che non ha più corrispondenza nel Paese reale. Tv e giornali del Paese nutrono la politica e la politica nutre tv e giornali rimanendo tutti insieme abbracciati fuori dal mondo reale. Non si coglie l’esercizio vero che sta riformando il Paese perché ci si occupa con pervicace ostinazione solo di gossip. Il Paese reale che ha preso d’assalto il salone del libro di Torino, che riempie i teatri, che è tornato entusiasta a lavorare e vuole cimentarsi con prove sempre più impegnative, ma cosa ancora più grave il Paese che vive sulla sua pelle la questione sociale italiana che viene da molto lontano, non entrano nel dibattito della pubblica opinione. Perché non interessa la tv e, soprattutto, è anni luce distante dai talk show quasi tutti schiacciati neppure più sul quotidiano, ma sul particolarismo di questa o quella battuta e controbattuta, entrambe impegnate nella nobile gara della conquista del primato dell’insignificanza. La verità è che c’è qualcuno che sta facendo girare il transatlantico Italia dentro il canale di Suez e nel supertalk si parla solo del barchino che per un fatto suo ha difficoltà ad attraccare. Emerge nettissimo, oltre a un evidentissimo problema mediatico, un analogo problema di rappresentanza della politica. Per cui la gente si identifica con Draghi rispetto a una rissosa e inconcludente rappresentanza partitica a sua volta pure frammentata. La gente vuole vivere tranquilla e vuole le riforme senza frattura sociale. Questo è il nuovo miracolo italiano. Che è il senso profondo, autentico del riformismo e, cioè, l’esatto contrario della rivoluzione che spacca tutto. Perché il miracolo prosegua e produca effetti duraturi, bisogna combattere il male italiano del trasformismo. Soprattutto bisogna che il “circo equestre” mediatico lasci Marte e rimetta piede sulla Terra e che i suoi compagni di merenda, che sono i partiti del rumore, facciano un percorso analogo. Viceversa cercano di farsi un nido nella nuova stagione rimanendo con la testa in altre stagioni e, quindi, rinunciando ai vantaggi effettivi della ripresa del Paese. Abbiamo, da un lato, la sinistra che, a margine dello spettacolo, mette su un altro spettacolino che è quello dell’antifascismo e ritiene di poterlo fare senza mettere in discussione il governo di unità nazionale. Non abbiamo qui bisogno di ribadire la gravità inammissibile dell’assalto squadrista alla Cgil e la nettezza di risposte che richiede. Così come la bellezza della grande partecipazione e della mobilitazione su valori fondanti che il sindacato tutto è riuscito a rappresentare ieri a a Roma. Il punto sono le conseguenze sul governo di unità nazionale della strumentalizzazione a fini elettorali di tutto ciò. Dall’altro lato, abbiamo invece la destra che prova a fare la respirazione  bocca a bocca a questa minoranza del nulla  perché spera che questa minoranza le dia la vittoria elettorale senza rendersi conto che ha sbagliato tutti i conti. Perché ammesso e non concesso che questo comportamento portasse a una vittoria sarà una vittoria di Pirro. Perché se vogliono spendere quatto miliardi  per regalare tamponi ancora meno ne avranno per potere abbassare le tasse. Siamo alla demagogia della spesa pubblica che porta consenso per qualche minuto e nelle cento ore successive ti porta la rivolta della gente perché o devi aumentare le tasse o devi tagliare i servizi. Bisogna incentivare il meno possibile la spesa pubblica dove non ha senso farla. Non ha alcuna logica fare pagare all’ottanta e passa per cento di vaccinati il conto del venti per cento fortemente a scalare di chi è fuori dal mondo e che il caravanserraglio mediatico-politico si sforza vanamente di volere legittimare a tutti i costi. La politica, al contrario, deve dire a questa gente che sbaglia recuperando il suo ruolo di guida come accade sempre nelle grandi stagioni della politica. Bisogna cominciare a dirglielo che sono come i terrapiattisti e, cioè, che sostengono qualcosa che non sta né in cielo né in terra.

Aldo Grasso per il “Corriere della Sera” il 16 ottobre 2021. Esiste il tipo ideale di ospite da talk show in epoca pandemica? Domanda più che lecita, visto l'alto numero di trasmissioni e il conseguente bisogno di reclutamento. La tv generalista è piena zeppa di ospiti, una catena fordista che rimpolpa di manodopera congetturante la maggior parte delle trasmissioni. Dimenticando morti, terapie intensive, «eroi» in camice bianco, incubi del lockdown. Caratteristica principale dell'idealtipo di ospite è la disponibilità, condizione necessaria al funzionamento della macchina (si possono immaginare la tensione e il disappunto di una redazione nel momento delle telefonate: se non viene x chiama y che è sempre disponibile). La disponibilità dipende da molti fattori: dal gettone di presenza (non a tutti è concesso), dal trovarsi nella condizione di umarell della politica, dall'impulso insopprimibile alla visibilità, dal grado di parentela con il conduttore o la conduttrice. L'ospite più ricercato è quello considerato «scomodo»: il prototipo è l'intellettuale dai toni wagneriani, costantemente in dissenso, specie sul green pass. La negazione, si sa, è l'«ospite scomodo» di ogni cultura e avere a disposizione uno spazio di alterità cui delegare le nostre inquietudini fa sempre, per paradosso, comodo. Così il conduttore può affermare: «Questo è un programma che fa parlare tutti». All'opposto dello scomodo c'è l'accomodante. Che, con le sue non prese di posizioni, le sue frasi di buonsenso, la sua bonomia serve a fingere di ricondurre la conversazione sui binari dell'utilità pubblica. L'ospite più osceno è il provocatore, il narcisista patologico. Sa tirare fuori il peggio dalle persone con cui si relaziona, sa farle arrabbiare e irritare come nessun altro, riesce a creare discussioni e litigi dal nulla, è insuperabile nel mettere in imbarazzo. La canea fa ascolto. Il serpente (il talk) si morde la coda nell'eterno ritorno dell'identico.

Gli ospiti dei talk in epoca pandemica: l’eterno ritorno dell’identico. Aldo Grasso su Il Corriere della Sera il 15 Ottobre 2021. Quello più osceno è il provocatore, il narcisista patologico. Sa tirare fuori il peggio dalle persone con cui si relaziona, sa farle arrabbiare e irritare come nessun altro. Esiste il tipo ideale di ospite da talk show in epoca pandemica? Domanda più che lecita, visto l’alto numero di trasmissioni e il conseguente bisogno di reclutamento. La tv generalista è piena zeppa di ospiti, una catena fordista che rimpolpa di manodopera congetturante la maggior parte delle trasmissioni. Dimenticando morti, terapie intensive, «eroi» in camice bianco, incubi del lockdown. Caratteristica principale dell’idealtipo di ospite è la disponibilità, condizione necessaria al funzionamento della macchina (si possono immaginare la tensione e il disappunto di una redazione nel momento delle telefonate: se non viene x chiama y che è sempre disponibile). La disponibilità dipende da molti fattori: dal gettone di presenza (non a tutti è concesso), dal trovarsi nella condizione di umarell della politica, dall’impulso insopprimibile alla visibilità, dal grado di parentela con il conduttore o la conduttrice. L’ospite più ricercato è quello considerato «scomodo»: il prototipo è il l’intellettuale dai toni wagneriani, costantemente in dissenso, specie sul green pass. La negazione, si sa, è l’«ospite scomodo» di ogni cultura e avere a disposizione uno spazio di alterità cui delegare le nostre inquietudini fa sempre, per paradosso, comodo. Così il conduttore può affermare: «Questo è un programma che fa parlare tutti». All’opposto dello scomodo c’è l’accomodante. Che, con le sue non prese di posizioni, le sue frasi di buonsenso, la sua bonomia serve a fingere di ricondurre la conversazione sui binari dell’utilità pubblica. L’ospite più osceno è il provocatore, il narcisista patologico. Sa tirare fuori il peggio dalle persone con cui si relaziona, sa farle arrabbiare e irritare come nessun altro, riesce a creare discussioni e litigi dal nulla, è insuperabile nel mettere in imbarazzo. La canea fa ascolto. Il serpente (il talk) si morde la coda nell’eterno ritorno dell’identico.

Non capisco chi va a dimostrare. I loro problemi li manifestano in piazza: a chi?

Alla stampa omertosa? Ai politici menefreghisti? Ai colleghi di sventura che pensano a risolvere la loro personale situazione?

Non basta una buona rete sul web per far sentire la nostra voce?

Chi ha votato, si rivolga al suo rappresentante in Parlamento, affinchè tuteli il cittadino dai poteri forti.

Chi non ha votato, partecipi con altri alla formazione di un movimento democratico e pacifista per poter fare una rivoluzione rosa e cambiare l’Italia.

Cosa potrebbe nascondersi dietro la rilevanza che il mainstream sta dando alle proteste dei portuali di Trieste. Zaira Bartucca su recnews.it il 15 Ottobre 2021. Perché i media commerciali non hanno atteso il canonico anno per avvicinarsi all’argomento e perché non nascondono anche stavolta tutto sotto il tappeto? l mainstream questa volta si è accorto subito della protesta che sta interessando i portuali di Trieste, e non solo loro. Non ha atteso neppure il canonico anno per avvicinarsi all’argomento, come ha fatto per le cure contro il covid o per le proteste di piazza. No, stavolta riflettori subito puntati. Perché? C’è da dire che il pericolo di trovare gli scaffali vuoti e il possibile colpo alle derrate alimentari non c’entri poi tanto. Lo chiariscono tutti gli organismi di categoria: al massimo i blocchi potrebbero portare a ritardi di consegne (nemmeno imminenti) di latte, frutta e verdura e – chiarisce chi ne mastica di import/export – ci vuole almeno un mese per fare in modo che si giunga a questo punto, semplicemente perché per il momento i porti sono forniti di merce che attende di essere allocata. Il colpo all’Unione europea? Favole, se si considera che semplicemente l’Italia sarà glissata dagli autotrasportatori, che già stanno virando verso la Francia e altre destinazioni. E allora? Il dubbio è che – analogamente a quanto è accaduto con la manifestazione di Piazza del Popolo– anche questa volta qualcuno abbia deciso di cavalcare la pur legittima ed esistente protesta di chi dovrà mettere a rischio la propria possibilità di sostenere sé stesso e la sua famiglia per colpa dell’introduzione del lasciapassare di mussoliniana memoria. Il diavolo, del resto, risiede nei dettagli, e a volerli cercare sono tanti i portuali che non chiedono completa libertà di scelta, bensì “tamponi gratuiti”. Dunque, non l’annullamento del Green Pass, ma il Green Pass edulcorato. Perché in tutta questa grande commedia all’italiana, a ben guardare, quelli che si battono per il vero ritorno alla normalità, in realtà si contano davvero sulle dita di una mano. Chi di volta in volta viene indicato come l’eroe di turno non fa parte di questa categoria, ma di quella che racchiude chi è eterodiretto dallo stesso sistema e si preoccupa ogni giorno di creare finte contrapposizioni e finte opposizioni, nella speranza di raggiungere il punto di collasso definitivo. Nel caso di Piazza del Popolo, cavalcare il (reale) dissenso di decine di migliaia di persone ha permesso di gridare contro il fantomatico pericolo fascista, e soprattutto di far distogliere lo sguardo dai veri fascisti: quelli che siedono al governo e sono convinti che le Libertà personali e imprescindibili possano essere compresse per anni e per Dpcm. A che serve, invece, l’occhio puntato sui portuali e sulle altre categorie che stanno (legittimamente) protestando in questi giorni? Perché i media commerciali questa volta non nascondono tutto sotto il tappeto, come hanno fatto con i danneggiati e i deceduti per colpa del vaccino, con chi si è suicidato per colpa della crisi indotta e con chi lotta per garantire cure pubbliche e ospedaliere anche ai malati di covid? Il modesto parere di chi scrive è che si stia tentando di far confluire il dibattito sulla necessità del pugno duro da parte dello Stato. Una – per il momento timida – riprova inizia a giungere da dichiarazioni controverse come quelle di Illy: “Se i ribelli bloccano il porto di Trieste – sono le parole dell’industriale del caffé – devono intervenire le Forze dell’Ordine“. I “ribelli”. E quasi che i diritti di associarsi, radunarsi, manifestare e protestare siano ormai ricordi del passato. Si è a lungo parlato di legge marziale e, dunque, di una possibile militarizzazione delle aree calde, da cui conseguirebbe facilmente l’introduzione di misure coatte che potrebbero riguardare anche la somministrazione del vaccino. Un po’ il sogno dei pro-vax più estremisti, quelli che – come Licia Ronzulli – considerano “malati di mente” le persone che si permettono di dissentire dalla narrazione di sistema e di esercitare la propria libertà di scelta. Essere padroni del proprio corpo, infatti, in Italia vale per le femministe, per gli lgbt e per i sostenitori dell’eutanasia, ma non per chi vuole rifiutare un trattamento sanitario e la somministrazione di un preparato sperimentale che non mette dal riparo dall’infezione.

LA BOLLA MEDIATICA CHE NASCONDE LA REALTÀ. LA PAGINA NERA DELL’INFORMAZIONE. NON SI È CREDIBILI QUANDO SI RACCONTA UN PAESE IRREALE. Roberto Napoletano il 15 ottobre 2021 su Il Quotidiano del Sud. C’è uno scollamento tra il Paese mediatico fatto di filosofi autoreferenti del supertalk del nulla e il Paese reale fatto di gente che si è messa a correre. Che vuole lavorare a ogni costo. Che non rinuncerebbe per nulla al mondo a quello che sta facendo perché è tornata a vivere. Che scommette sulla forza tranquilla di Draghi – e di Brunetta oggi con tutta la pubblica amministrazione come ieri di Bianchi con la scuola – che ha dimostrato di mantenere equilibrio e barra dritta. Il tanto temuto Venerdì Nero è stato una bolla mediatica. Un racconto del niente che descrive ogni giorno un’Italia che non c’è più. Decine di persone riunite, venti trenta settanta, qui e là. Qualchecentinaia di persone a Trieste, non i cinquantamila previsti. Che cumulati per i nostri media valgono come gli altri 46 milioni di italiani vaccinati. Non si può più stare zitti. Il problema italiano è la sua bolla mediatica. Un racconto del niente, soprattutto televisivo, che manda in onda ogni giorno un’Italia che non c’è più. Non sanno di che cosa parlano. Inseguono file che non ci sono. Descrivono blocchi che nessuno ha visto. Inquadrano per ore il camionista Sirio che ai loro occhi è un guru della scienza che può tranquillamente dire che il professor Remuzzi che parla dell’84% di vaccinati dà i numeri perché i suoi numeri, quelli delle sue fonti, dicono un’altra cosa. Per cui il supertalk estate inverno tiene a battesimo i numeri à la carte. Ognuno ha i suoi. Hanno tutti la stessa legittimazione. Si sono persi ogni pudore e ogni vergogna. Questi signori che hanno in mano il dibattito della pubblica opinione non hanno nemmeno la forza di ricordare che siamo sette punti più avanti della Germania e cinque punti più avanti della Francia proprio perché c’è il green pass e perché ci siamo intelligentemente vaccinati in massa. Come si potesse anche solo ipotizzare con questi numeri di base, come si è fatto in un crescendo valchiriano fino a notte, che una minoranza così fuori dal mondo potesse bloccare l’intero Paese, per noi resta incomprensibile. Diciamo le cose come stanno. C’è uno scollamento tra il Paese mediatico fatto di filosofi autoreferenti del nulla e il Paese reale fatto di gente che si è messa a correre. Che vuole lavorare a ogni costo, che vuole andare in pizzeria con gli amici, che è tornata a riempire i teatri. Che non rinuncerebbe per nulla al mondo a quello che sta facendo perché è tornata a vivere. C’è un Paese reale che ha voglia di fare le cose, anche quelle difficili, che scommette sulla forza tranquilla di Draghi e di Brunetta – oggi con tutta la pubblica amministrazione come ieri Bianchi con la scuola che è stata la prima a riaprire – che hanno dimostrato sul campo la capacità di mantenere equilibrio e barra dritta. Gli italiani, le donne e gli uomini, i giovani e i meno giovani, lo hanno capito bene. Altrimenti dopo la scuola non avremmo riaperto la variegatissima galassia della pubblica amministrazione centrale e locale inventando un modello positivo di flessibilità e di sicurezza. No, nell’Italia di prima questo non sarebbe stato possibile. Chi ha gli occhi per vedere e vuole vedere dovrebbe godere del fatto che gli italiani stanno attuando quello che scrivevano sui muri durante il primo lockdown: “ne usciremo, ce la faremo”. Al posto di dire quanto è stato bravo questo Paese e di raccontare il Paese che è ripartito, si perde il tempo a dare legittimazione mediatico-politica a chi corre dietro alle sue invenzioni per mania di protagonismo dove si mescolano egoismo individuale e ideologia. Dove si correggono i numeri della scienza perché esistono i loro numeri che hanno il solo scopo di nascondere la realtà. Se avessero un po’ di seguito nel Paese reale avremmo fatto la fine dell’Inghilterra, che non ha le derrate alimentari in molti supermercati e è tornata a tremare con la curva dei contagi e delle terapie intensive che corrono all’insù. Questa minoranza del nulla è invece il protagonista del racconto mediatico del nulla. I due racconti combinati insieme sono l’emergenza democratica del momento. Al supertalk italiano non interessa guardare e raccontare la realtà, ma piuttosto mettere su tutti i giorni lo spettacolo del gladiatore. Siamo davanti allo spettacolo moderno della battaglia dei gladiatori. Uno è vestito con la rete e con il tridente. Uno con la corazza e con il gladio. Tutte le sere. Perché in TV bisogna vedere due entità contrapposte e dare lo spettacolo in pasto al pubblico che fa il tifo o per l’uno o per l’altro. Il pubblico è consapevole che lo spettacolo si ripeterà centinaia di volte. Ogni giorno arriva un altro scontro. Il talk show è la traduzione moderna di questo gusto antico del pubblico di essere spettatore della rissa. Il fine non è arrivare a stabilire chi ha torto o chi ha ragione, ma arrivare a replicare all’infinito lo scontro proprio come nello spettacolo dei gladiatori dove la guerra finta vince sulla guerra vera. Tutto ciò è incompatibile con la possibilità anche remota di vedere la realtà. Quarantasei milioni di italiani che non contano niente. Decine di persone riunite, venti trenta settanta, qui e là. Qualche centinaia di persone a Trieste non i cinquantamila previsti. Che cumulati per i nostri media valgono come gli altri 46 milioni. A volte di più. Siamo davanti a una pagina nera dell’informazione. Prima ce lo diciamo, meglio è.

Piazza del Popolo tra strategia della tensione e armi di distrazione di massa. Zaira Bartucca su recnews.it il 12 Ottobre 2021. Scene da Actors Studio coordinate da una regia nemmeno poi tanto occulta, che ha pensato di speculare sul dissenso (quello sì, reale) di decine di migliaia di cittadini. E’ l’11 settembre italiano in salsa covid iente (o quasi) è come sembra. E’ il riassunto striminzito della manifestazione che è andata di scena sabato 9 a Roma che ha avuto come teatro – è proprio il caso di dirlo – Piazza del Popolo. Scene da Actors Studio coordinate da una regia nemmeno poi tanto occulta, che ha pensato bene di speculare sul dissenso (quello sì, reale) di decine di migliaia di cittadini che hanno voluto urlare il proprio “No” secco al Green Pass e dunque a ogni proposta di contrazione delle libertà costituzionalmente garantite. Famiglie con bambini e anziani costretti a fuggire e a ripararsi nei negozi, donne comuni (mica solo quelle organiche a partiti considerati estremisti) che si sono beccate manganellate in testa e lacrimogeni in faccia, nel silenzio complice delle femministe. Niente inginocchiate buoniste, questa volta, per condannare la violenza delle Forze dell’Ordine e di quegli operatori che si sono accaniti su alcuni malcapitati. Episodi di ferocia disumana, gratuita e inspiegabile di cui restano macabre cartoline: un uomo giace a terra tenuto fermo da oltre cinque agenti mentre uno in borghese lo colpisce con veemenza allo stomaco con pugni e calci. Un anziano è in ginocchio a capo chino, in una posa che ricorda gli abusi sui prigionieri (documentati da Wikileaks) di alcuni militari americani. Scene raccapriccianti per alzare il tiro, l’asticella dello scontro sociale, il confine tra la non accettazione e l’accettazione forzata. E’ l’11 settembre italiano in salsa covid, con protagonisti assoldati e scritturati e decine di migliaia di comparse ignare del copione. Va di scena l’attacco lacrimoso ai sindacati, la Capitol Hill de noartri, con sistemi di sicurezza inesistenti o che si eludono con troppa facilità e le Forze dell’Ordine che presidiano la sede della CGIL ma spariscono nel momento meno opportuno. Una parte è abilmente recitata dal leader dei presunti aperturisti, quelli cooptati dai partiti e dai meta-partiti che dallo scorso anno tentano di canalizzare – sedandolo – il dissenso dei commercianti e dei ristoratori. I falsi eroi, quelli con cui ci si deve identificare, gli avvelenatori dei pozzi. Il gioco del poliziotto buono e del poliziotto cattivo, in uno scenario complessivo che non fa che disorientare gli spettatori di servizi televisivi sempre uguali a sé stessi. Così per giorni e forse per settimane: il covid è sparito, ora c’è posto solo per le scene da guerriglia urbana. Tutto, pur di far passare l’idea che le manifestazioni vadano limitate e controllate. E’ la “stretta sui cortei” chiesta da Palazzo Chigi che tradisce uno degli obiettivi che si dovevano ottenere. Uno, ma non l’unico. Perché scomodare il fascismo o il neo-fascismo per caratterizzare un gruppo di esaltati e qualche partito nostalgico, fa sì che si possa gridare all’attacco alla democrazia, mentre l’attacco e l’eversione con ogni evidenza provengono dai promotori del Green Pass, da chi parla di obbligo vaccinale nonostante esistano le cure da marzo del 2020 e da chi ha deciso di legare la vita del governo al perdurare infinito di un’emergenza sanitaria che da almeno un anno esiste solo su carta. “Se ti muovi ti dò un calcio nelle palle”, una poliziotta minaccia un giovane costretto a terra da tre agenti della Polizia Armi di distrazione di massa e strategie della tensione. Guerriglia urbana, devastazione, rabbia, feriti, finché non ci scappa il morto. L’instaurazione di una legge marziale – teme qualcuno – e poi tutto pur di tornare alla quiete. Accettare tutto, anche quel Green Pass che prima non si voleva, anche il preparato sperimentale che, dai, confrontato con il rischio di morire mentre si passeggia per strada non è così male. Ad uscirne peggio, del resto, è sempre il cittadino. Plagiato, manipolato, violato nei suoi diritti fondamentali. I partiti? Rinvigoriti, a destra come a sinistra, rifocillati da un volemose bene che mette tutti d’accordo. Niente distinzioni, solo la casacca del partito unico. Michetti abbraccia Landini, Landini abbraccia Draghi. Il Pd grida al fascismo e dopo Salvini ha un altro motivo di esistere, Meloni fa la vittima e recupera i voti – in vista del ballottaggio su Roma – di chi la vede di nuovo come l’unica in grado di contrastare una sinistra che (in realtà) non esiste più, si insinua nei discorsi dei cosiddetti democratici: “Il Green Pass è un atto di libertà” e “il vaccino rende liberi”, mentre si torna a parlare di leggi naziste per instaurare l’obbligo vaccinale, mica delle cure. Tutto debitamente calcolato, ma non una cosa: il dissenso spontaneo che fin qua è esistito poco: quello che si paleserà dopo lo sblocco dei licenziamenti e quando si inizieranno a fare più evidenti gli effetti della campagna vaccinale di massa.

Zaira Bartucca Direttore e Founder di Rec News, Giornalista. Inizia a scrivere nel 2010 per la versione cartacea dell’attuale Quotidiano del Sud. Presso la testata ottiene l’abilitazione per iscriversi all’Albo nazionale dei giornalisti, che avviene nel 2013. Dal 2015 è giornalista praticante. Ha firmato diverse inchieste per quotidiani, siti e settimanali sulla sanità calabrese, sulle ambiguità dell’Ordine dei giornalisti, sul sistema Riace, sui rapporti tra imprenditoria e Vaticano, sulle malattie professionali e sulle correlazioni tra determinati fattori ambientali e l’incidenza di particolari patologie. Più di recente, sull’affare Coronavirus e su “Milano come Bibbiano”. Tra gli intervistati Gunter Pauli, Giulio Tarro, Armando Siri, Gianmarco Centinaio, Michela Marzano, Vito Crimi, Daniela Santanché. Premio Comunical (2014, Corecom/AgCom). Autrice de “I padroni di Riace – Mimmo Lucano e gli altri. Storie di un sistema che ha messo in crisi le casse dello Stato”.

Che vergogna il bullismo televisivo. Davide Bartoccini il 15 Ottobre 2021 su Il Giornale. Nell'epoca in cui viviamo, il bullismo si combatte a scuola ma si insegna in televisione. E nessuno, professore, politico o giornalista, darebbe la vita - come Voltaire - per permettere a chi che sia di contraddirlo. Non so quando sia iniziato né perché. Non so come gli editori lo consentano, né perché i conduttori televisivi, nella maggior parte dei casi giornalisti fin troppo navigati sempre appellatisi alla democrazia e alle più buone maniere, lo esercitino senza pudore; ma finiamo sempre più spesso con l'assistere a imbarazzanti siparietti che sfociano nel "bullismo televisivo" che scandisce quest'epoca. E francamente è vergognoso. Fa bene dunque un Guido Crosetto, che giovedì si è riconfermato un sobrissimo gentiluomo, ad abbandonare un talk televisivo dove il copione scritto dagli autori poteva e doveva avere un solo epilogo: mettere nell'angolo l'unico contraddittorio presente in studio, sapendo che l'altrettanto gentiluomo, sempre sobrio e rispettoso nei toni, Alessandro Sallusti, non si sarebbe messo a fare la fronda dell'ultimo dei mohicani. Destrorso chi scrive? Ma per favore. Difensore di Giorgia Meloni, detrattore dei giornalisti che in "tre anni di barbe finte", come hanno scritto sul Riformista, hanno "svelato" le malefatte del Barone Nero? Ma per carità. Non è una questione di "vittimismo da camerati", come scherzano sui social. È una questione di coerenza e onestà intellettuale: non si possono continuamente camuffare da talk televisivi delle trasmissione disegnate per "moralizzare" metodicamente la propria audiance. Alle lunghe i non maoisti sono costretti a cambiare canale. Le altre emittenti, per bilanciare le forze, a costruire gli stessi siparietti al contrario, e chiunque abbia conservato un po' di buon gusto, a spegnere il televisore e ad aprire un libro. Questo j'accuse potrà apparire banale, anche fuori tempo, perché è da anni che si consumano queste pantomime. Ma la pandemia che ci ha costretti a guardare più televisione del necessario, e tutto il dibattito tra vaccinisti coatti e no-vax da protesi di complotto, sembrerebbe aver alzato il livello di spocchia di un'ampia schiera di conduttori e ospiti che in virtù delle loro competenza - chi gliele nega per carità - vogliono apparire senza essere contraddetti come dei narratori onniscienti e non come quello che dovrebbero in vero essere: moderatori e interlocutori accreditati. Chi viene chiamato in una trasmissione, in presenza o in collegamento esterno, dovrebbe essere in primis ascoltato, e poi rispettato, anche dovesse abbandonarsi al delirio. Senza dover ripetere l'immancabile "Non mi interrompa perché io non l'ho interrotta" che ormai occupa metà nel minutaggio delle trasmissioni. E senza che il conduttore s'innalzi a paladino della lotta alle fake news: se ti colleghi con un terrapiattista, quello a domanda risponderà che la "terra è piatta". Risibile? Non obietto. Ma neppure si può deriderlo in diretta. Altrimenti è un evidente caso di bullismo. E noi siamo tutti contrari al bullismo no? Facciamo corsi per estirpare il problema nelle scuole e poi lo consentiamo in televisione tra gli adulti con lauree, cattedre e ministeri? Eh no. Così non va. Oggi per esempio, giornata di fuoco per l'opinionismo data l'entrata in vigore nel Green pass per i lavoratori di tutti i settori, ho sentito un ospite del quale non ricordo il nome, che derideva a microfono aperto un camionista che aveva detto di chiamarsi Sirio, e che non si è vaccinato per scelta. Gli diceva ghignando: "Sirio, ma che vivi su una stella?" E poi rincarava con una doppia dose di classismo: "Si vede che sei uno scienziato". Gli altri del "plotone d'esecuzione opinionistico", come siamo ormai abituati a vedere, scuotevano la testa ad intervalli regolari scambiandosi battute ed encomi. Ecco, se non è bullismo questo. Chissà dov'è finito quello spirito voltariano del "Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa continuare a dirlo". Forse nei vecchi palinsesti. Nelle vecchie trasmissioni. Nell'epoca del tubocatodico e dei telecomandi Mivar dello zapping fantozziano. Tempi più civilizzati.

Davide Bartoccini. Romano, classe '87, sono appassionato di storia fin dalla tenera età. Ma sebbene io viva nel passato, scrivo tutti giorni per ilGiornale.it e InsideOver, dove mi occupo di analisi militari, notizie dall’estero e pensieri politicamente scorretti. Ho collaborato con il Foglio e sto lavorando a un romanzo che credo sentirete nomina

I talk show e la disinformazione. La persuasione nella psiche. I talk show e la disinformazione sul Covid. Cacciari spiegato da Platone: la retorica vince sul vero. Michele Prospero su Il Riformista il 17 Settembre 2021. Le illimitate comparsate di Massimo Cacciari in Tv (ultima quella a Otto e mezzo) segnano, ogni volta che si parla dei vaccini, una completa rivincita di Platone. La ossessiva ribellione televisiva alle implicazioni del foglio verde riabilita l’antico pregiudizio contro la retorica, una ambigua “tecnica di combattimento” la chiamava Platone. Il timore del filosofo greco era che, in una controversia su argomenti rilevanti per la città, si potesse riscontrare la prevalenza della opinione del non competente rispetto a quella formulata “dai tecnici del mestiere”. L’avversione al magismo della parola nasceva in Platone dalla constatazione che, dinanzi al pubblico in larga maggioranza incolto, la argomentazione di sicuro più seduttiva introdotta da un abile costruttore di frasi avrebbe agevolmente prevalso sulle ben più corroborate asserzioni di uno specialista del settore. Il credere dai molti prestato al suono anche musicale delle argomentazioni avrebbe sopraffatto il nudo ragionamento del sapere ogni volta che le parole del tecnico-scienziato e le seduttive metafore del filosofo retore si fossero presentate dinanzi a un giudizio dell’uditorio. Scriveva Platone nel Gorgia che chi ha «il potere di persuadere la massa attraverso la forza della parola», ovvero di esercitare «la persuasione nella psiche», vince agevolmente il confronto con lo specialista ancorato alla freddezza dei numeri. In molte trasmissioni televisive, nelle quali c’è libertà di opinare inoltrandosi sino alla disinformazione come ha giustamente notato Stefano Feltri ospite di Lilli Gruber, esce confermata la preoccupazione di Platone. Nell’arena della demagogia post-moderna che sono i talk show trionfano le ipotesi mediche di Cacciari, secondo cui «i vaccini non sono abbastanza sicuri», le notizie delle autorità sanitarie sono del tutto menzognere, i dati sugli effetti della somministrazione sono maldestramente fallaci, lo Stato di diritto e la legge positiva sono stati calpestati. L’audience potenziale di un personaggio che sbuffa è assai più rilevante della funzione pubblica della informazione. Ricorrendo a pie’ sospinto a quello che Platone chiamava «il trucco capace di rendere persuasiva» anche una cosa errata, Cacciari asserisce che il fallimento dei vaccini è confermato da ciò che accade in Israele dove tra i nuovi contagiati spiccano proprio i vaccinati (quota statisticamente del tutto comprensibile però in un universo di così diffusa vaccinazione). Da filosofo che contende al virologo i segreti dello specialismo, Cacciari certifica la scomparsa dell’emergenza pandemica (non si capisce allora la sua pretesa di un ricorso alla legge sulla obbligatorietà dei vaccini) e da filosofo che indica al medico il vero proclama che i vaccini sono «molto precari». Come filosofo del diritto annuncia che con il Covid è per sempre finita la certezza del diritto, che è stata annichilita la dignità della persona, che l’emergenza sanitaria affrontata con degli obblighi non è che uno strumento dei governi (quindi i poteri liberali sarebbero solo quelli di Bolsonaro, Trump) per instaurare un definitivo e liberticida stato di eccezione. Le performance reiterate di Cacciari sono ricercate dai conduttori perché le intemperanze e le esagerazioni fanno ascolto, poco importa delle conseguenze delle spigolose pietre filosofiche sulla vita delle persone. E anche questo andazzo nichilistico della Tv sembra dare ragione a un pronostico di Platone. «Se un retore e un medico andassero in una qualsiasi città e si dovesse ingaggiare una discussione nell’assemblea popolare o in qualunque altra adunanza per decidere quale dei due debba essere scelto come medico, il medico scomparirebbe e sarebbe eletto il retore, se solo lo volesse». Confidando in questa prevalenza dei paralogismi sulla coerente asserzione, della persuasione sul sapere, i filosofi alla Cacciari danzano con le parole incuranti del principio di contraddizione, ricevono dal relativismo funzionale del talk la licenza di disinformare. La retorica degenerata è infatti una merce agognata nel mercato televisivo capace di vendere al pubblico la persuasione che un filosofo la sa ben più di un medico, di un costituzionalista. Michele Prospero

Francesco Di Frischia per roma.corriere.it il 23 aprile 2021. Per il 49,7% degli italiani la comunicazione sul Covid-19 è stata confusa, per il 39,5% ansiogena, per il 34,7% eccessiva e per il 13,9% equilibrata. Risulta quindi essenziale il ruolo delle 4.389 agenzie di comunicazione, dove lavorano 8.311 professionisti. Perché senza questo lavoro, il rischio di cadere nella disinformazione potrebbe essere alto: infatti 29 milioni di italiani durante l’emergenza sanitaria hanno trovato su web e sui social media notizie che poi si sono rivelate false o sbagliate. Sono i risultati del rapporto presentato oggi nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani a Roma, su «Disinformazione e fake news durante la pandemia: il ruolo delle agenzie di comunicazione». La ricerca è stata preparata da Ital Communications e Censis. L’obiettivo è quello di evidenziare il lavoro svolto in Italia da questi professionisti nel garantire qualità e veridicità alle notizie e mantenere, così, un sistema dell’informazione libero e pluralista. All’incontro partecipano, collegati online, tra gli altri, Giuseppe De Rita, presidente del Censis, Rocco Giuseppe Moles, sottosegretario all’Editoria, Alberto Barachini, presidente della commissione di vigilanza Rai, e Attilio Lombardi, fondatore di Ital Communication. L’evento viene trasmesso sulla webtv del Senato. Con la pandemia, il sistema dei media ha moltiplicato la propria offerta, una vera e propria «infodemia comunicativa», come è stata chiamata, con il web che ha allargato la platea del mondo dell’informazione portando più libertà, più protagonismo, più notizie, ma anche meno intermediazione e controlli sulla qualità e la veridicità delle news. Un sovraffollamento comunicativo che ha aumentato il rischio di generare ansia, allarme sociale e visioni distorte della realtà, conseguenze tanto più diffuse quanto più le notizie sono specialistiche, settoriali, di difficile interpretazione e hanno delle ripercussioni sui comportamenti collettivi: è appunto il caso delle regole da seguire per la prevenzione, la diagnosi e la cura del Covid-19. Basti pensare che 50 milioni di italiani, pari al 99,4% degli adulti, hanno cercato informazioni da diverse fonti, informali e non, creando un proprio personale palinsesto informativo in cui media tradizionali e social media hanno avuto uno spazio rilevante. Al primo posto, 38 milioni di italiani hanno cercato informazioni sul Covid-19 sui media tradizionali, come televisione, radio, stampa. Seguono i siti internet di fonte ufficiale, primi tra tutti quelli della Protezione Civile e dell’Istituto Superiore della Sanità, cui 26 milioni di italiani si sono rivolti per avere un’informazione attendibile su contagi, ospedalizzazioni, decessi. Al terzo posto, circa 15 milioni di italiani, hanno consultato i social network. Al medico di medicina generale si è rivolto un italiano su quattro, 12,6 milioni in valore assoluto, mentre oltre 5,5 milioni hanno chiesto aiuto a un medico specialista e 4,5 milioni a un farmacista di fiducia. Dalla potenza informativa dei media tradizionali e del web sono rimasti esclusi solo 3,7 milioni di italiani, il 7,4% del totale: di questi, 3,4 milioni hanno consultato altre fonti e 300mila sono rimasti completamente fuori da qualunque informazione. Confusione e ansia Il risultato è stato un eccesso di flussi informativi generali, contraddittori e che in molti casi sono stati solo generatori di ansia. Tra i più giovani sono molto elevate le quote di chi ritiene che la comunicazione sia stata sbagliata (14,1% per i 18-34enni e 3,7% per gli over 65enni, a fronte di una media del 10,6%), e addirittura pessima (14,6% tra i millennials, 3,2% tra i longevi). La comunicazione confusa sul virus, anziché rendere gli italiani più consapevoli, ha veicolato paura: è di questa opinione il 65,0% degli italiani, quota che cresce tra i soggetti più deboli, arrivando al 72,5% tra gli over 65enni e al 79,7% tra chi ha al massimo la licenza media. Per arginare la proliferazione delle fake news servono misure che pongano in primo piano la responsabilizzazione dei diversi attori che si muovono sul web: il 52,2% degli italiani pone l’accento sull’obbligo da parte delle piattaforme di rimuovere le false notizie, mentre il 41,5% ritiene che i social media debbano attivare dei sistemi di controllo (fact checking) delle notizie pubblicate. Prioritario, poi, avviare campagne di sensibilizzazione e prevenzione sull’uso consapevole dei social. Regno incontrastato delle bufale e delle fake news diffuse con la bulimia comunicativa al tempo del Covid è stata la Rete. Sono 29 milioni (il 57,0% del totale) gli italiani che durante l’emergenza sanitaria hanno trovato su web e sui social media notizie che poi si sono rivelate false o sbagliate su origini, modalità di contagio, sintomi, misure di distanziamento o cure relativi a Covid- 19. Effetti evidenti e preoccupanti, molto pericolosi, di una comunicazione senza intermediazione, in cui sono venute meno le barriere d’accesso e mancano i filtri per la verifica o il discernimento di qualità delle notizie. Per la prima volta, i media, vecchi e nuovi, secondo lo studio, hanno avuto difficoltà a governare un contesto di improvvisa moltiplicazione della domanda, a causa della pandemia, confermando di avere sempre più bisogno di figure esterne affidabili e competenti, che rappresentano un argine contro la cattiva informazione. Infatti le agenzie di comunicazione, mentre lavorano per valorizzare e supportare l’immagine dei propri clienti, operano anche per i media e per la qualità dell’informazione veicolata: si tratta di realtà aziendali in crescita negli ultimi anni (+12,5% dal 2015 al 2020) e aumentate anche nell’annus horribilis del Covid-19 (+1,2%). Sono fortemente concentrate nelle aree del Nord del Paese: il 37,0% è nel Nord Ovest, dove si trova anche il 49,3% degli addetti e il 17,2% nel Nord Est, il 21,5% al Centro e il 24,3% al Sud e nelle isole. È un microcosmo fatto di realtà piccole e piccolissime, con una media di 1,9 addetti per impresa.A Milano ce ne sono 710 (16,2% del totale), con una media di 4,2 addetti ciascuna, a Roma 400 (il 9,1%), per una media di 1,8 unità ciascuna.

Live Non è la D'Urso, Walter Zenga e la rissa con Cecchi Paone: "Ma sei scemo o vuoi che ti querelo?", volano insulti. Libero Quotidiano il 22 marzo 2021. Sui vaccini anti-Covid volano insulti tra Alessandro Cecchi Paone e Walter Zenga, in un bizzarro e forse del tutto inaspettato confronto scientifico a Live Non è la D'Urso. In collegamento a Dubai, dove vive l'ex portiere di Inter e Nazionale, oggi allenatore, Zenga spiega di essersi fatto vaccinare con il siero cinese Sinopharm, consigliandolo poi all'Italia. Il giornalista la prende male, sollevando dubbi sulla Cina e ricordando le disastrose condizioni di lavoro a cui le aziende statali cinesi attive in Medio Oriente sottopongono i loro dipendenti e come a Dubai vengano trattati male  i filippini. Una sottolineature di colore a cui Zenga reagisce così: "Ma non dire stupidaggini, non sei uscito manco da Milano". Una battuta sprezzante che accende la miccia della rissa. Qui la situazione degenera: "Ma sei scemo o vuoi che ti querelo?", esplode Cecchi Paone. "Ti querelo, non parlare di scienza ma parla di pallone, ignorante, buzzurro. Lui non è titolato a parlare i vaccini, i vaccini devono passare delle importanti certificazioni", è la sua durissima risposta. Barbara D'Urso, visibilmente imbarazzata per l'escalation verbale dei suoi ospiti, li invita subito a moderare i termini e riportare la discussione in un alveo più civile, ma l'"ignorante e buzzurro" urlato da Cecchi Paone all'indirizzo di Zenga risuona ancora in studio. "Qua ci sono quattro vaccini - ha provato a spiegare poi Zenga, che a stento ha mantenuto la calma -, Sinopharm, Sputnik, AstraZeneca e Pfizer. Tu puoi scegliere il tipo di vaccino da fare, io ho scelto".

Cecchi Paone contro Walter Zenga: “Ti querelo! Sei ignorante”. Alice su Notizie.it il 22/03/2021. Alessandro Cecchi Paone ha avuto un'accesa lite con Walter Zenga e ha minacciato d'intraprendere azioni legali. In collegamento con Live – Non è la D’Urso Alessandro Cecchi Paone ha avuto un’accesa lite con Walter Zenga, e ha minacciato d’agire per vie legali. Alessandro Cecchi Paone e Walter Zenga hanno avuto un’accesa discussione a Live – Non è la D’Urso in merito alla situazione dei vaccini anti-Covid. L’ex calciatore ha infatti dichiarato di essersi sottoposto al vaccino cinese contro il virus e ha raccontato la situazione dell’emergenza sanitaria a Dubai (dove attualmente risiede). Il parere di Walter Zenga non è andato giù ad Alessandro Cecchi Paone, che l’allenatore ha accusato di non essere mai “uscito oltre i confini di Milano”. La replica del divulgatore scientifico non si è fatta attendere: “Ti querelo, non parlare di scienza ma parla di pallone, ignorante, buzzurro. Lui non è titolato a parlare i vaccini, i vaccini devono passare delle importanti certificazioni”, ha tuonato nello studio tv, minacciando azioni legali. La conduttrice Barbara D’Urso ha ripreso i due ospiti dello show e ha placato la discussione prima che degenerasse. Allo show della D’Urso è intervenuta in qualità di ospite anche Giorgia Meloni, spiegando la sua opinione in merito alle vaccinazioni in Italia.

Giorgia Peretti per iltempo.it il 6 maggio 2021. “Lei si deve vergognare, lei è un’ignorante”. Scoppia la rissa tra Matteo Bassetti e Antonella Boralevi a Zona Bianca. La puntata di mercoledì 5 maggio, del talk di Giuseppe Brindisi, affronta la questione delicata delle varianti, nello specifico quella indiana che sta dilaniando un paese già in gravi condizioni sanitarie. Durante il dibattito la scrittrice Boralevi solleva la polemica sulla pericolosità degli assembramenti in piazza per la vittoria dello scudetto per l’Inter. Un discorso che sembra generare grande allarmismo e lascia intravedere poca speranza a chi lo ascolta: “Il lockdown non basta. Bisogna adottare altre misure di contenimento” afferma la Boralevi. Un intervento esagerato tanto da essere commentato del conduttore: “Allora che facciamo ci dobbiamo chiudere tutti in casa, con questa teoria”, commenta ironizzando Brindisi. Nel mentre, Daniela Santanchè scuote il capo in segno di dissenso e si mette le mani nei capelli: “Io sono stanca di sentire questi discorsi, lei sta facendo un grande danno al paese. Io sono terrorizzata da questo terrorismo”, poi continua: “Io studio con molta attenzione quello che dice il professor Bassetti, lei sta dicendo delle grandi sciocchezze a me piacerebbe sentire parlare il professore che a differenza sua è una persona che sta in corsia, che ha curato i malati…”. Peccato che venga interrotta ripetutamente dalla scrittrice, la quale lancia anche una frecciata a Bassetti: “Sta molto poco in corsia, perché sta sempre in televisione”, provoca la Boralevi. Non tarda ad arrivare la risposta dell’infettivologo del San Martino di Genova, che in collegamento da casa la manda a quel paese facendo il gesto con la mano: “Ma vaff***** va! Questa signora stasera ha detto una cosa grave. Lei si deve vergognare, si vergogni io se fossi in lei mi vergognerei. Ah, non si vergogna? Si inizi a vergognare. Lei è ignorante su quello di cui ha parlato fino ad ora, sarà una bravissima scrittrice ma una grande ignorante di Covid. Lei non capisce niente, tra quelli che vanno in televisione è quella che capisce di meno.” Poi rincara la dose: “Ho sentito dire una quantità di cretinate da quando lei parla in televisione che non so come facciano ad invitarla ancora”, picchia durissimo Bassetti.

PiazzaPulita, Matteo Bassetti senza precedenti: "Che titolo ha lei? Un dato? Uno studio?". Furibondo, sbriciola il collega. Libero Quotidiano il 30 aprile 2021. Volano gli stracci a PiazzaPulita, il programma di Corrado Formigli in onda su La7, la puntata è quella di giovedì 29 aprile. Si parla di coronavirus e varianti, ospiti ecco Matteo Bassetti, direttore malattie infettive del San Martino di Genova, e Andrea Casadio, medico e giornalista. E lo scontro, da Corrado Formigli, trascende sulle varianti.  Secondo Casadio, infatti, le varianti essendo più contagiose sono anche più letali. Equazione che fa schizzare Bassetti, il quale tuona: "La storia della medicina si fa con l'evidenza scientifica e con le pubblicazioni sulle riviste internazionali. In tv si va se si ha da dire qualcosa da dire e se si ha pubblicato qualcosa su studi internazionali". A quel punto Casadio lo interrompe: "Essendo molto più contagiosa... uccide più persone". E Bassetti sbotta: "Ha un dato scientifico? Uno studio?". "La variante E4848K, quella inglese, è assolutamente più contagiosa e quindi provoca anche più morti", replica. E ancora, Bassetti picchia durissimo: "Non può dire che è più elevata, vuol dire che non sa di cosa sta parlando. È medico lei? Ah sì? Che specialità ha?". "Neuroscienze...", "Allora parli di neuroscienze", lo fulmina Bassetti. Ma non è finita, perché lo scontro tra i due esperti continua per altri, lunghi, minuti. Nel video qui sotto, ecco il diverbio nella sua versione integrale.

Marco Leardi per "davidemaggio.it" il 24 marzo 2021. “Faccia la conduttrice televisiva, io faccio il medico“. Strigliata del professor Matteo Bassetti a Simona Ventura in diretta tv. A Cartabianca, il primario infettivologo ha bacchettato la presentatrice televisiva che poco prima aveva raccontato la propria esperienza con il Covid, descrivendo come “profilassi” le terapie a cui si era sottoposta. All’udire le affermazioni della Ventura, collegata con il programma di Rai3, Bassetti ha manifestato disappunto in tono polemico: “Bisogna evitare di dare delle informazioni non corrette. Lei fa la conduttrice di un programma televisivo, io faccio il medico quindi, se permette, ascolti quello che i medici dicono, perché se facciamo fare ai conduttori i medici, allora non va più bene. Io ho curato centinaia di persone e quello che hanno fatto con lei è sbagliato! Se lei non aveva sintomi è un errore! (…) Come servizio pubblico, lo dobbiamo ai telespettatori. Non esiste una profilassi del Covid“.

Beccatasi la ramanzina, la presentatrice ha lì per lì replicato: “Io ho portato la mia esperienza che è andata bene. Farò la conduttrice televisiva ma ho il diritto di parola e di parlare della mia esperienza, visto che è stata mia, professor Bassetti (…) Io dico quella che è stata la mia esperienza e certamente non mi tappa la bocca lei“.

Ma il primario, seccamente, ha a sua volta ribattuto: “Ma certo, lei si piglia una laurea e viene a fare il mio mestiere se vuole (…) Parli delle sue cose, non dica come si tratta il Covid! Quello lo diciamo noi medici, se permette“.

"Si prenda una laurea", "Non mi tappa la bocca": scontro tra Bassetti e la Ventura. La conduttrice ha svelato di essersi sottoposta alla profilassi anti-Covid pur non avendo i sintomi del virus e l'infettivologo è sbottato: "Un errore prescrivergliela e nel servizio pubblico non si può fare informazione sbagliata". Novella Toloni - Mer, 24/03/2021 - su Il Giornale. Sono volati stracci tra Matteo Bassetti e Simona Ventura nell'ultima puntata di Cartabianca. La conduttrice e l'infettivologo sono stati ospiti della trasmissione condotta da Bianca Berlinguer, ma dopo un iniziale dibattito, sono arrivati a uno scontro verbale a causa di alcune dichiarazioni rilasciate dalla Ventura sulle cure a cui si è sottoposta per guarire dal Covid-19. In collegamento esterno dalla sua abitazione, Simona Ventura ha raccontato la lunga positività al coronavirus, parlando della sua esperienza personale. Nel raccontare l'evoluzione della malattia, la conduttrice ha svelato di non aver avuto sintomi, ma di essersi comunque sottoposta a una terapia d'urto a base di eparina, azitromicina e cortisone. Una profilassi che, normalmente, è riservata ai pazienti Covid-19 che mostrano sintomi importanti. Matteo Bassetti è così intervenuto con decisione per spiegare quanto fosse inopportuno dare informazioni non corrette: "Prescriverle quelle cure è stato un errore. Bisogna evitare di dare informazioni non corrette. Nessuno da la colpa a lei, ma questo non va bene". Simona Ventura ha cercato di giustificarsi, parlando di una terapia assunta in accordo con il medico di famiglia: "Io mi sono interfacciata con il mio medico. Io ho raccontato il mio caso, non è informazione non corretta. Per lei non è corretto. Però quando ci si trova lì con il Covid-19 è dura". Per Matteo Bassetti le parole della conduttrice sono state l'ulteriore conferma di quanto fosse fuorviante la discussione e ha cercato di chiarire e chiudere la discussione: "No, qui non è questione di essere corretti o no. Lei fa la conduttrice di un programma televisivo, io faccio il medico. Quindi se permette ascolti quello che i medici dicono, perché sennò se facciamo fare ai conduttori i medici allora non va più bene. Prescriverle quelle cure se lei non aveva sintomi è un errore, lo dobbiamo dire". Il direttore della clinica di malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova ha cercato di far capire quanto fosse pericoloso far passare il concetto delle cure "casalinghe" in un programma del servizio pubblico, mentre Bianca Berlinguer difendeva la Ventura. E dopo aver appreso che la conduttrice si era sottoposta a una lastra, che aveva rilevato un principio di polmonite, è sbottato: "Guardi se facciamo una lastra a tutti quelli che hanno il tampone positivo, il 95% hanno una interstiziopatia. Avere un principio di polmonite non vuol dire avere un'embolia polmonare, non vuol dire curarsi con il cortisone. Questo è importante perché sennò avremo persone che si cureranno in maniera inadeguata e in un servizio pubblico questo bisogna dirlo". Simona Ventura, visibilmente contrariata, si è difesa: "Io farò la conduttrice televisiva ma ho diritto di parola e di parlare della mia esperienza. Lei non mi tappa la bocca". Ma Matteo Bassetti l'ha asfaltata: "Certo, lei si piglia una laurea e viene a fare il mio mestiere se vuole. Non dica come si tratta il Covid, quello lo diciamo noi medici".

Si vede: con centinaia di morti al giorno. N.D.A

Simona Ventura e la rissa con Matteo Bassetti, la fucilata di Giovanni Terzi: "In che mondo vive il virologo? Voglio rispetto". Giovanni Terzi su Libero Quotidiano il 25 marzo 2021. Caro direttore, ti scrivo pochi minuti dopo aver ricevuto la bellissima notizia di essere, insieme a tutta la famiglia, tornato negativo al tampone molecolare per il Covid. Sono stati giorni (quasi tre settimane) molto complicate e faticose per ognuno di noi ed ho potuto constatare, da un punto di vista privilegiato, il grande caos che regna, ancora oggi, nella gestione di questa drammatica pandemia mondiale.  Mi chiederete se c'era bisogno di ammalarmi di Covid per accorgermi che, ancora una volta, la politica in questo anno ha dato il cattivo esempio di gestione di una criticità nazionale. Ma il problema non è la politica che, probabilmente controcorrente, salvo quasi completamente. Il problema sono i virologi-star della televisione, quelle persone che non si vedono mai nei corridoi degli ospedali ma vivono in collegamento con qualsiasi trasmissione televisiva e radio. L'ultimo episodio, in ordine cronologico, ieri sera quando Simona Ventura, la mia compagna, collegata con Bianca Berlinguer su Rai3 per promuovere il suo nuovo programma tv Games of Games, si è trovata, suo malgrado aggredita dal professor Matteo Bassetti. Simona ha raccontato la sua e nostra esperienza della malattia spiegando come si era curata (ieri era ancora positiva) e ne era probabilmente uscita. «Una mia amica (medico) mi ha consigliato di iniziare una profilassi fatta di eparina, cortisone e antibiotico». A quel punto Bassetti è entrato a gamba tesa dicendo «faccia la conduttrice» oltre che ad un educatissimo «si laurei in medicina e poi parli». Ammetto che in famiglia eravamo tutti abbastanza rattristati nel vedere una persona così aggressiva semplicemente per il racconto, personale, della sua esperienza. E qui veniamo al nocciolo della questione. Il professor Bassetti, plurilaureato come del resto Simona, era lo stesso che un anno fa ostentava sicurezza dichiarando come «di coronavirus non si muore» oltre che «basta allarmismi, questa non è una pandemia, la mortalità e bassa»; è anche stato lo stesso che è riuscito a zittire il ministro Speranza che, qualche giorno fa in un momento di ottimismo si era azzardato a dire che in estate si sarebbe risolto il Covid. Apriti cielo, Bassetti il 22 marzo in un noto salotto tv domenicale ha dichiarato «Speranza è stato forse troppo ottimista. In questo momento è giusto che dia messaggi rassicuranti, però dal punto di vista operativo l'estate è dietro l'angolo. È del tutto utopico». Anche io ho una laurea ed insegno all'università e voglio dire all'ottimo Bassetti, sempre molto attento al look e che ha aperto il suo profilo Instagram il 20 aprile 2020 in piena emergenza sanitaria (ha buon tempo) che la comunità scientifica nei vari programmi tv è riuscita a dare indicazioni totalmente contrastanti. In un anno di tempo nessuno, dico nessuno, sa come ci si debba comportare in caso di positività al virus e, se non bastasse, è riuscito a dire una delle più grandi castronerie della storia: «Uno prima deve essere visitato e poi decidere la cura». Capisco gli impegni tv ma in che mondo vive il professor Bassetti? Quanta gente comune è riuscita a chiamare, positiva al virus, il suo medico della mutua facendolo venire a casa per una visita? La gente comune priva di una guida sanitaria precisa sul da farsi ed impossibilitata ad andare negli ospedali se positiva al virus per non intasare i pronto soccorsi, è destinata a cercare soluzioni con chi conosce, naturalmente medici, che magari la pensano diversamente dall'esimio prof. Bassetti. Che dire invece di quando durante il festival di Sanremo il professore di Genova si è trasformato in anticipatore di tendenza ed eleganza dichiarando «non mi è piaciuto lo smoking di Fiorello, un po' "bragamolla", sembrava quello del mio bisnonno» o «Fiorello l'ho trovato un po' invecchiato, anche il baffetto non mi è piaciuto, è affascinante ma un po' personaggio anni '50». Ormai è certo, siamo di fronte ad una nuova professione, l'opinionista virologo che non sa dare cure certe ma è arbiter elegantiae.

Domenica Live, Matteo Basetti: "Litigato con una sua collega, fate il vostro lavoro". I consigli inaccettabili sul Covid. Libero Quotidiano il 04 aprile 2021. “Ho avuto questa discussione con un’altra sua collega, fate il vostro lavoro e non quello dei medici”. Matteo Bassetti ha perso la pazienza a Domenica Live, dove Barbara d’Urso ha dovuto chiudere il microfono a Paolo Brosio, che si era lanciato in consigli su protocolli sanitari e cure da seguire in caso di positività al Covid. Il direttore della clinica di malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova è apparso molto spazientito e ha tirato in ballo anche Simona Ventura, con la quale aveva avuto un duro scontro a Cartabianca lo scorso martedì per lo stesso identico motivo. La d’Urso è stata brava a tenere sotto controllo la situazione, anche se è dovuta ricorrere alla chiusura del microfono per fermare Brosio, che continuava imperterrito a spacciare per verità assoluta la sua esperienza con il Covid. “Paolo ti prego, è la mia prima puntata e non voglio fare polemica subito”, ha dichiarato la conduttrice di Mediaset, che proprio nel giorno di Pasqua è andata in onda con una nuova versione di Domenica Live, allungata a quattro ore di diretta. Dopo che Bassetti ha smentito più volte i consigli, le teorie e le cure consigliate da Brosio, la d’Urso ha messo la parola fine sulla discussione: “Nelle mie trasmissioni ognuno può raccontare la propria esperienza. Ma nessuno deve spiegare o invogliare a fare le terapie con farmaci. Perché questo lo consento solo ai medici. Punto”. 

L’Italia ostaggio da un anno della “infopandemia”. Mauro Indelicato, Sofia Dinolfo su Inside Over il 24 marzo 2021. Contraddizioni, notizie prima confermate, poi smentite e viceversa. Da più di un anno l’Italia si trova nella morsa del Covid con una precaria gestione della comunicazione, elemento quest’ultimo in grado di fare ancora più danni della stessa pandemia. L’ultimo caso, in ordine di tempo, è quello relativo al vaccino AstraZeneca. Anche qui, nel marasma di un flusso incontrollato di notizie, il nostro Paese ha rischiato di sprofondare nella confusione.

Il caso AstraZeneca. Da quando è partita la campagna vaccinale in Italia lo scorso 27 dicembre, le operazioni dirette ad immunizzare la popolazione sono andate a rilento e senza pochi intoppi. Tra le difficoltà a far riscaldare i motori della macchina organizzativa per consentire un’equa adesione da parte di tutte le Regioni, si è aggiunto poi un “incidente di percorso” dovuto alla vicenda AstraZeneca. Dopo alcuni casi di decesso, verificatisi dal nord al sud Italia, di persone che avevano in comune il fatto di essersi sottoposti, pochi giorni prima, alla somministrazione del vaccino anglo svedese, l’Aifa il 15 marzo scorso ha deciso di fermare la vaccinazione con le dosi proprio di AstraZeneca. Un provvedimento “in via del tutto precauzionale e temporanea in attesa dei pronunciamenti dell’Ema” si leggeva nella nota dell’Agenzia Italiana del Farmaco che, in quel frangente, si è adeguata anche alla linea assunta da altri Paesi Europei. Uno stop dettato dalla necessità di far chiarezza su quelle morti e sugli eventi avversi in generale registrati fino a quel momento. Pochi giorni dopo, il 18 marzo, è arrivato il nuovo via libera dell’Ema: “Il vaccino AstraZeneca è sicuro ed efficace contro il coronavirus e i benefici sono ampiamente superiori ai rischi – ha recitato il comunicato dell’agenzia europea – Non sono emersi legami tra il vaccino ed eventi tromboembolici. Faremo degli studi specifici sugli effetti collaterali”. Fatta chiarezza sui casi avversi, sono però bastati quattro giorni di pausa per rallentare con importanti ripercussioni negative la campagna vaccinale. In tutto questo, a contribuire al rallentamento delle somministrazioni, si è aggiunta anche la paura di tante persone che hanno cancellato le prenotazioni senza poi più registrarsi.

Gli effetti dell’infopandemia sui cittadini. Sul fronte dei vaccini si è generata dunque una confusione i cui effetti fanno sentire forte il loro peso. Ma l’Italia non è nuova alla confusione quando si parla di coronavirus. Da più di un anno il Paese è disorientato da pareri discordanti che camminano di pari passo col Covid e non aiutano a fare chiarezza. A confermarlo su InsideOver è stato il sociologo Marino D’Amore, docente all’Università Niccolò Cusano, il quale per spiegare meglio questo fenomeno già dallo scorso anno ha introdotto un termine che la dice tutta: infopandemia. “Lo scenario – ha spiegato il professore – ha generato una comunicazione contraddittoria, conflittuale e quindi profondamente divisiva. Un’infodemia, anzi un’infopandemia da cui è scaturita un’iperstimolazione informativa fondata sul contrasto tra le differenti posizioni presenti all’interno del mondo scientifico e di quello istituzionale”. Tutti gli italiani infatti ben ricordano una forte presenza televisiva di immunologi e virologi divisi tra visioni catastrofiste e altre eccessivamente tranquillizzanti. Mentre invece nel mondo istituzionale, l’emergenza è stata a volte strumentalizzata: “L’epidemia si è contestualizzata come un ostaggio tematico, strumentalizzato nell’ambito del dibattito politico come espressione, nemmeno troppo nascosta, di una campagna elettorale perpetua”. Uno scenario che non ha fatto altro che generare confusione: “In tal modo – ha proseguito Marino – si è alimentato l’analfabetismo funzionale di grandi porzioni di pubblico, ma soprattutto si è palesata la drammatica assenza di una strategia condivisa tra Stati e all’interno di ogni singola nazione.” Le conseguenze di tutto ciò sono ancora oggi ben evidenti: “Fenomeni come quelli negazionisti e complottisti – ha aggiunto il sociologo – nascono proprio da questa totale incomprensione del messaggio, celato dietro la presunzione di conoscere la verità, che diventa post-verità, delegittimando i veri opinion leader in questo campo, quelle che dovrebbero essere le uniche fonti attendibili, ossia i medici”.

“Abbiamo commesso lo stesso errore”. Un anno fa l’Italia, così come il resto del mondo, si è ritrovata spiazzata dall’arrivo del virus. Questo, ma solo in parte, potrebbe giustificare gli errori compiuti nei primi mesi di emergenza. Vale a livello politico, così come anche sotto il profilo mediatico e comunicativo. La vicenda legata al vaccino AstraZeneca ha svelato uno dei risvolti più inquietanti dell’intera gestione dell’epidemia. E cioè che il nostro Paese non ha imparato nulla dagli errori: “Purtroppo, è necessario constatare – ha dichiarato Marino D’Amore – che l’esperienza passata non ha insegnato nulla, è stata relegata al rango di memoria sbiadita e inutile”. Secondo il sociologo, le decisioni prese sul vaccino dell’azienda anglo – svedese hanno contribuito a creare ulteriore confusione: “Si è trattato – ha proseguito – di un altro caso di infopandemia”. D’Amore ha puntato il dito non solo sulla scelta improvvisa di sospendere le somministrazioni delle dosi di AstraZeneca, ma anche sulla comunicazione data in Italia e nel resto d’Europa dopo il nuovo via libera al vaccino: “L’Ema – ha sottolineato il sociologo – dopo due giorni ha affermato di non aver riscontrato una causalità tra la vaccinazione e i decessi che, in ordine di tempo, ne sono seguiti, sottolineando che i benefici sono molto maggiori rispetto ai rischi. Ammettendo, di fatto, la presenza di rischi”. Una circostanza, quest’ultima, in grado di creare ulteriore caos nelle informazioni: “Si conosceva già la presenza di rischi, ogni farmaco presenta delle controindicazioni ma in questo modo tutto si è connotato come una sorta di scarico di responsabilità. Le morti registrate dopo i vaccini, ovviamente drammatiche, sono state infinitamente più mediatizzate e rese visibili, amplificandone la percezione”. Errori quindi in grado di far aumentare la confusione, soprattutto tra i cittadini.

La confusione un ostacolo alla campagna vaccinale. Il passo falso nella vicenda AstraZeneca ovviamente potrebbe aver avuto gravi risvolti sull’intera campagna vaccinale. La popolazione, piuttosto che convergere verso l’evidente esigenza di dover aumentare il tasso di vaccinazione per far indietreggiare il virus, si è ritrovata a dover fare i conti con molti dubbi sulla bontà delle dosi. Recuperare non è semplice: “Per farlo – ha rimarcato ancora Marino D’Amore – occorre ci sia chiarezza. E sottolineare sempre che il vaccino è indispensabile per uscire dal tunnel del virus. Ognuno dei tre lo è. La vera questione è quella relativa alla costruzione di una comunicazione trasparente, esauriente e cristallina sull’argomento, che si fondi sul pluralismo e sul confronto”. Elementi che sono mancati soprattutto in questa fase, dove, al contrario, le decisioni sono state dettate più dall’impulso che dalla razionalità. In poche parole, l’Italia per ripartire deve sconfiggere simultaneamente la pandemia e l’infopandemia. Impossibile prescindere, nella guerra al virus, da un’informazione in grado di rinsaldare nuovamente cittadini e autorità politiche e scientifiche: “Il fatto che il generale Figliuolo abbia già utilizzato il vaccino AstraZeneca e che Mario Draghi si appresti a farlo – ha concluso D’Amore – si configura come un’ottima operazione riabilitativa per la sua credibilità, nell’ambito di quella chiarezza comunicativa di cui parlavo e, soprattutto, nella speranza che non ci siano più brutte notizie. Da ora in poi è sempre più necessario il confronto ed ascoltare i medici e non i leoni da tastiera”.

·        Le Fake News.

Articolo di “The New York Times”, dalla rassegna stampa estera di “Epr comunicazione” il 2 dicembre 2021. Il 2 ottobre, la New Tang Dynasty Television, una stazione legata al movimento spirituale cinese Falun Gong, ha pubblicato un video su Facebook di una donna che salva un cucciolo di squalo arenato su una spiaggia. Accanto al video c'era un link per abbonarsi a The Epoch Times, un giornale che è legato al Falun Gong e che diffonde cospirazioni anti-Cina e di destra. Il post ha raccolto 33.000 like, commenti e condivisioni. Il sito web del Dr. Joseph Mercola, un medico osteopata che i ricercatori dicono essere il principale diffusore di disinformazione online sul coronavirus, pubblica regolarmente post su animali carini che generano decine o addirittura centinaia di migliaia di interazioni su Facebook. Le storie includono "Kitten and Chick Nap So Sweetly Together" e "Why Orange Cats May Be Different From Other Cats", scritto dalla Dr. Karen Becker, una veterinaria. E Western Journal, una pubblicazione di destra che ha pubblicato affermazioni non provate sui benefici dell'uso dell'idrossiclorochina per trattare il Covid-19, e diffuso falsità sulla frode nelle elezioni presidenziali del 2020, possiede Liftable Animals, una popolare pagina Facebook. Liftable Animals pubblica storie dal sito principale del Western Journal insieme a storie su golden retriever e giraffe. Video e GIF di animali carini - di solito gatti - sono diventati virali online quasi da quando esiste internet. Molti di questi animali sono diventati famosi: c'è Keyboard Cat, Grumpy Cat, Lil Bub e Nyan Cat, solo per nominarne alcuni. Ora, sta diventando sempre più chiaro quanto ampiamente il vecchio trucco di internet sia usato da persone e organizzazioni che vendono false informazioni online, dicono i ricercatori di disinformazione scrive il NYT. I post con gli animali non diffondono direttamente informazioni false. Ma possono attirare un pubblico enorme che può essere reindirizzato a una pubblicazione o a un sito che diffonde false informazioni su frodi elettorali, cure non provate per il coronavirus e altre teorie di cospirazione senza fondamento, interamente non correlate ai video. A volte, seguendo un feed di animali carini su Facebook, gli utenti si iscrivono inconsapevolmente a post fuorvianti dello stesso editore. Melissa Ryan, amministratore delegato di Card Strategies, una società di consulenza che studia la disinformazione, ha detto che questo tipo di "esca per il coinvolgimento" ha aiutato gli attori della disinformazione a generare clic sulle loro pagine, il che può renderli più prominenti nei feed degli utenti in futuro. Quella prominenza può guidare un pubblico più ampio al contenuto con informazioni imprecise o fuorvianti, ha detto. "La strategia funziona perché le piattaforme continuano a premiare il coinvolgimento su tutto il resto", ha detto la signora Ryan, "anche quando quel coinvolgimento viene da" pubblicazioni che pubblicano anche contenuti falsi o fuorvianti. Forse nessuna organizzazione dispiega la tattica con la stessa forza di Epoch Media, società madre di The Epoch Times. Epoch Media ha pubblicato video di animali carini in 12.062 post sulle sue 103 pagine Facebook nell'ultimo anno, secondo un'analisi del New York Times. Questi post, che includono link ad altri siti web di Epoch Media, hanno accumulato quasi quattro miliardi di visualizzazioni. Trending World, una delle pagine Facebook di Epoch, è stata la 15° pagina più popolare sulla piattaforma negli Stati Uniti tra luglio e settembre. Un video, postato il mese scorso dalla pagina di Taiwan di Epoch Times, mostra un primo piano di un golden retriever mentre una donna cerca invano di strappargli una mela dalla bocca. Ha più di 20.000 like, condivisioni e commenti su Facebook. Un altro post, sulla pagina Facebook di Trending World, mostra una foca che sorride ampiamente con una famiglia in posa per una foto in un resort Sea World. Il video ha 12 milioni di visualizzazioni.

Epoch Media non ha risposto a una richiesta di commento.

"La dottoressa Becker è una veterinaria, i suoi articoli riguardano gli animali domestici", ha detto una e-mail dal team di pubbliche relazioni del Dr. Mercola. "Respingiamo qualsiasi accusa del New York Times di fuorviare qualsiasi visitatore, ma non ne siamo sorpresi". 

I video virali sugli animali provengono spesso da posti come Jukin Media e ViralHog. Le aziende identificano video estremamente condivisibili e raggiungono accordi di licenza con le persone che li hanno fatti. Dopo essersi assicurati i diritti dei video, Jukin Media e ViralHog concedono in licenza le clip ad altre società di media, dando una parte dei profitti al creatore originale. Mike Skogmo, vicepresidente senior di Jukin Media per il marketing e le comunicazioni, ha detto che la sua azienda aveva un accordo di licenza con New Tang Dynasty Television, la stazione legata al Falun Gong. "Jukin ha accordi di licenza con centinaia di editori in tutto il mondo, attraverso lo spettro politico e con una gamma di argomenti, sotto linee guida che proteggono i creatori delle opere nella nostra libreria", ha detto in una dichiarazione. Alla domanda se l'azienda ha valutato se le loro clip sono state utilizzate come esca per la disinformazione nel raggiungere gli accordi di licenza, il signor Skogmo ha detto che Jukin non aveva altro da aggiungere. "Una volta che qualcuno concede in licenza il nostro contenuto grezzo, quello che ne fanno è a loro discrezione", ha detto Ryan Bartholomew, fondatore di ViralHog. "ViralHog non sta sostenendo o opponendo alcuna causa o obiettivo - che sarebbe al di fuori del nostro ambito di attività". L'uso di video di animali presenta un enigma per le piattaforme tecnologiche come Facebook, perché gli stessi post di animali non contengono disinformazione. Facebook ha vietato gli annunci di Epoch Media quando la rete ha violato la sua politica di pubblicità politica, e ha eliminato diverse centinaia di account affiliati a Epoch Media l'anno scorso quando ha determinato che gli account avevano violato le sue politiche di "comportamento inautentico coordinato". "Abbiamo intrapreso azioni di contrasto contro Epoch Media e gruppi correlati già diverse volte", ha detto Drew Pusateri, un portavoce di Facebook. "Se scopriamo che si stanno impegnando in azioni ingannevoli in futuro, continueremo a farle rispettare". L'azienda non ha commentato la tattica di usare animali carini per diffondere disinformazione. Rachel E. Moran, una ricercatrice dell'Università di Washington che studia la disinformazione online, ha detto che non era chiaro quanto spesso i video di animali portassero le persone alla disinformazione. Ma pubblicarli continua ad essere una tattica popolare perché hanno un rischio così basso di infrangere le regole di una piattaforma. "Immagini di animali carini e video di momenti salutari sono il pane quotidiano dei social media, e sicuramente non incorreranno in nessun rilevamento algoritmico di moderazione dei contenuti", ha detto la signora Moran.

Estratto dell'articolo di Marco Travaglio per il "Fatto quotidiano" il 29 novembre 2021. Facci ridere. "Selvaggia Lucarelli ha preso una testata da un No vax Non credo all'alibi che fosse irriconoscibile, dubito che non l'avessero notata Forse non hanno riconosciuto tanto la sua faccia mascherata, ma le sue note (e percepibili) ansie di passare inosservata" (F.F., Libero, 23.11). Tutta 'sta pippa per farci sapere che lui rosica perché non lo riconoscono neppure senza la mascherina.

Estratto dell'articolo di Marco Travaglio per il "Fatto quotidiano" il 29 novembre 2021.

Quelli che le fake news/1. "Il governo Draghi è riuscito a ottenere la maggioranza dei fondi - aiuti e prestiti - del Next Generation Eu" (Maurizio Molinari, Repubblica, 28.11). Per la cronaca, la maggioranza dei fondi del Next Generation Eu l'ha ottenuta Conte. 

Quelli che le fake news/2. "Retromarcia Rai. Conte annuncia il ritorno in tv e Grillo lo punge" (Foglio, 24.11). "Stop alla Rai, la frenata di Conte. E Grillo: specialista in penultimatum" (Corriere della sera, 24.11). "Grillo irride il dietrofront sulla Rai di Conte" (Stampa, 24.11). "Rai, Conte cala le braghe" (Verità, 24.11). "Conte si rimangia l'Aventino sulla Rai e Grillo lo sfotte" (Giornale, 24.11). Per la cronaca, Conte non si è mai rimangiato la decisione di non mandare nessun 5S nei programmi della Rai.

Quelli che le fake news/3. "Se non avesse truccato il curriculum con i suoi studi all'estero (New York University), "Conte non sarebbe poi così male" (Francesco Merlo, Repubblica, 24.11). Per la cronaca Conte non ha mai scritto nel curriculum di avere studiato alla New York University, ma di avere "perfezionato e aggiornato gli studi" in quello e in altri atenei esteri, come hanno confermato diversi suoi colleghi.

Il nuovo Cts lavora nell'ombra. Nessun verbale online, alla faccia della trasparenza. Il Tempo l'11 maggio 2021. Comitato nuovo, abitudini vecchie. Come quella alla scarsa trasparenza. Già perché il Comitato tecnico-scientifico (Cts) che supporta il governo di Mario Draghi nella gestione dell'emergenza Covid fornendo le indicazioni scientifiche che, almeno in teoria, dovrebbero stare alla base delle misure contro la diffusione del Covid, è stato rinnovato il 16 marzo scorso con una nuova squadra guidata da Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di Sanità del ministero della Salute, che ha preso il posto dell'ex coordinatore Agostino Miozzo. Ma la pubblicazione dei verbali delle riunioni in cui si discute del futuro degli italiani sul sito della Protezione civile è ferma al 12 marzo, ultimi lampi del primo Cts. Dopo le pressioni sulla divulgazione dei resoconti ci eravamo abituati a un ritardo di trenta-quaranta giorni tra lo svolgimento delle riunioni degli esperti e la pubblicazione dei resoconti. Ma qui si attende ancora il verbale della prima riunione e siamo ben oltre i tempi visti finora. Non è escluso che ci siano difficoltà tecniche e di "avvio" delle operazioni di segreteria, ma certo che la pubblicazione dei verbali ferma a marzo rappresenta un passo indietro notevole nella trasparenza dell'azione del Cts. Il nuovo Cts varato dopo la nascita del governo Draghi è formato da 12 componenti: il coordinatore è Locatelli, come portavoce è stato scelto invece Silvio Brusaferro, presidente dell'Istituto superiore di Sanità. Partecipano al Cts, Sergio Fiorentino (segretario), Giuseppe Ippolito, Cinzia Caporale, Giorgio Palù, Giovanni Rezza, Fabio Ciciliano, Sergio Abrignani, Alessia Melegaro, Alberto Giovanni Gerli, Donato Greco.  

Covid e pandemia dei non vaccinati, le bugie sono dannose e ingrossano il popolo no vax. Franco Bechis su Il Tempo il 06 novembre 2021. Il coordinatore del Cts, professore Franco Locatelli, ieri in conferenza stampa ha voluto platealmente sposare la tesi del ministro della Salute tedesco, Jens Spahn, secondo cui oggi saremmo in presenza di una “pandemia dei non vaccinati”. L'affermazione non è lontana dalla verità anche in Italia, perché è vero che la maggioranza dei ricoverati in terapia intensiva e dei decessi nell'ultimo mese secondo il bollettino Iss è effettivamente di non vaccinati. In terapia intensiva per Covid sono finiti in tutto 474 italiani dai 12 anni in su, e di questi 332 erano non vaccinati (70%), 128 avevano ricevuto due dosi di vaccino e 14 una sola dose. Sui decessi il confronto è ancora più risicato: fra il 3 settembre e il 3 ottobre sono stati in tutto 1.012 e di questi 511 erano di non vaccinati (50,49%), 461 di vaccinati con ciclo completo e 40 di vaccinati con una sola dose. Nella categoria degli ultraottantenni per altro il 57,5% dei decessi (337 ) è stato fra vaccinati a ciclo completo, il 3,8% (22) è stato fra vaccinati con una sola dose e solo il 38,7% (227) risultava del tutto non vaccinato. Sempre fra gli ultraottantenni nei 30 giorni indicati dal rapporto Iss non sono stati tantissimi per fortuna i ricoveri in terapia intensiva: in tutto 66. Ma il 68,2% di ultraottantenni finiti in terapia intensiva aveva doppia dose di vaccino da tempo, e solo il 30,3% non risultava vaccinata. Che la pandemia sia solo di non vaccinati è una verità dunque molto parziale visti questi numeri, e con i dati italiani la tesi di Spahn andrebbe presa molto a spanne. Dal professore Locatelli ci saremmo attesi spiegazioni su questi numeri che un po' inquietano, essendo lui lo scienziato, perché noi non sappiamo il motivo per cui i numeri delle ospedalizzazioni, dei ricoveri in terapia intensiva e purtroppo anche dei decessi fra completamente vaccinati sia diventato con il passare del tempo sempre meno irrilevante. Per gli ultraottantenni la spiegazione potrebbe essere quella che abbiamo già avanzato da queste colonne: puramente matematica. I vaccini hanno una protezione dal virus del 90%, quindi per il 10% dei vaccinati è come se quelle fiale non funzionassero del tutto o comunque parzialmente. Sopra quell'età hanno chiuso il ciclo vaccinale 4,3 milioni di italiani. Il 10% di loro significa quindi 430 mila italiani su cui il vaccino non ha avuto l'effetto protettivo che c'è stato fra tutti gli altri. Sono vaccinati, ma è come se non lo fossero. I veri non vaccinati ultraottantenni sono invece 240 mila, quasi la metà dei vaccinati con ciclo completo su cui le fiale però non hanno funzionato a dovere. E' ovvio che contagi, ospedalizzazioni, terapie intensive e purtroppo anche decessi capitino di più nel gruppo dei vaccinati che in quello dei non vaccinati. Ma per tutti gli altri sono gli scienziati a dovere dare spiegazioni: la protezione del vaccino sta scemando con il passare del tempo ed è per questo che è necessaria la seconda dose? La protezione dichiarata si è rivelata inferiore alle previsioni? O ci sono anche qui spiegazioni matematiche anche se meno evidenti? La scelta del nostro Cts ieri rappresentato dal professore Locatelli- che per altro è fra i pochi a essere definito scienziato, avendo uno dei più alti h-index in Italia, è stata quella di negare la realtà, per non doverla spiegare. Il coordinatore del comitato tecnico scientifico che assiste il governo ha affermato sicuro che dai rapporti Iss risultano “zero ricoveri in terapia intensiva di vaccinati completi dai 59 anni di età in giù”. Bisognerebbe apporre il timbro “Fake News” su queste parole, perché non sono vere. I rapporti Iss settimanali degli ultimi 140 giorni dicono che al di sotto dei 59 anni di età ci sono stati 44 ricoveri di vaccinati a ciclo completo in terapia intensiva Covid al di sotto dei 59 anni e che di questi 4 sono stati di pazienti fra 12 e 39 anni. Pochi, molti meno di quelli dei non vaccinati. Ma non zero. E dobbiamo dire che nello stesso periodo sono morti di Covid 3 vaccinati con prima e seconda dose che avevano meno di 39 anni e 29 vaccinati completi che avevano fra 40 e 59 anni. Numeri piccoli, per fortuna, lontanissimi da quelli cui siamo stati abituati nei periodi peggiori della pandemia. Sono numeri che per altro confermano che con il vaccino la protezione dal virus è notevolmente più alta e il rischio di ammalarsi gravemente notevolmente ridotto rispetto ai non vaccinati. Perché allora negarli e dire zero quando zero non è? Si pensa di tranquillizzare di più la popolazione così e di spingerla meglio a fare la terza dose del vaccino? Ecco, non sarà il mestiere del professore Locatelli fare il comunicatore, ma posso assicurare che ogni piccola bugia su queste cose si trasforma in un macigno che poi non levi dalla strada manco con le gru. Dire zero quando invece qualche decina di casi c'è stata è come buttare benzina sul fuoco delle paure o delle contrarietà ideologiche verso quei vaccini. Grazie alla conferenza stampa di ieri da domani quel fuoco scoppierà con fiamme più alte di prima.

Quando Serra diceva: “L’epidemia è un bluff”.  Redazione il 27 Ottobre 2021 su Nicolaporro.it. I tempi cambiano. Se oggi Michele Serra sostiene che “il no vax impone alla comunità la sua scelta” e ritiene lunare che insegnanti, medici e infermieri non vogliano vaccinarsi, un tempo si mostrava decisamente più prudente su simili argomenti. Vale la pena mettere indietro le lancette del tempo e rileggersi quanto scriveva la fine penna di Repubblica nel lontano giugno del 2010. Altra epoca, diversa epidemia. Eppure caratterizzata da quello stesso “isterismo salutista” di noi occidentali, così facili ad aderire ad ogni terrore “sanitario”. Nella sua Amaca, Serra descriveva “l’esagerato allarme” dell’influenza suina, denunciava “lo smisurato business di vaccini” come un complottista qualsiasi, bacchettava “quella parodia dell’immortalità che è il salutismo”. Tutte considerazioni intelligenti, sia chiaro. Ragionamenti che riguardavano una malattia poi rivelatasi progenitrice di questa e che infatti presentano non pochi paralleli nel tempo presente. Ma che se venissero scritti oggi, in questi anni di sanitariamente corretto e rischio zero assoluto, trasformerebbero l’Amaca in un rifugio di negazionisti e sovversivi no vax. A metterla all’indice – peraltro – sarebbe quello stesso quotidiano che ogni giorno la ospita. Quindi ci pensiamo noi a farvela rileggere: Ora anche “autorevoli riviste scientifiche” (non si conosce una rivista scientifica che non sia autorevole) certificano che l’allarme dell’Oms sulla cosiddetta influenza suina fu esagerato; e forse lo fu artatamente, per gonfiare lo smisurato business dei vaccini. Rischia di farla franca, però, il vero mandante di quel delitto, che è l’isterismo salutista di buona parte degli occidentali, presso i quali qualunque allarme sanitario trova immediata e direi entusiastica adesione. Pur di impasticcarsi, ospedalizzarsi, sindromizzare ogni aspetto della vita, crearsi sempre nuove dipendenze da farmaco, c’ è una marea di persone che è disposta a credere a qualunque spettro. Non sono un esperto, ma credo che l’ipocondria stia diventando una delle malattie più diffuse. Quanto è sana e giudiziosa la medicina preventiva, quanto è perniciosa e stupida quella parodia dell’immortalità che è il salutismo. Le speculazioni e le furbate dell’industria farmaceutica avrebbero molto meno spazio se la clientela non fosse costituita, in larga parte, da pavidi creduloni che evidentemente stanno perdendo ogni rapporto con la realtà materiale del loro corpo, e ne hanno fatto un fragile feticcio per il quale ogni disagio, ogni imperfezione è causa di panico. Michele Serra, La Repubblica, 8 giugno 2010

"Le varianti sono reazioni al vaccino" La bufala da Nobel spacciata per verità. Maria Sorbi l'11 Settembre 2021 su Il Giornale. Il controverso Montaigner guru dei No Vax. I virologi (e i dati) smentiscono: "Sono eventi naturali". Lo scivolone di Salvini. «Le varianti nascono come reazione al vaccino», afferma il leader leghista Matteo Salvini. Ovviamente l'interno mondo della virologia gli salta in testa, facendo notare la totale infondatezza scientifica della sua affermazione. Ma Salvini fa il politico, non lo scienziato. Il guaio, quindi, è a monte. Sta in chi lo ha consigliato. Ed è imputabile ai cattivi maestri che hanno messo in circolazione teorie false, trasformate in «verità» da chat, social e complottisti vari. Cattivi maestri, sì. Quelli che, abusando di titoli ottenuti in passato, predicano false teorie sulla pandemia e sull'utilizzo dei vaccini. Tra questi l'idolo incontrastato dei No Vax, il premio Nobel 2008 Luc Montagnier. Il virologo francese nel 1983 riuscì a isolare l'Hiv parallelamente ai colleghi americani guidati da Robert Gallo. E già all'epoca gli iniziali comportamenti poco trasparenti di entrambi i professori nel tentativo di attribuirsi la scoperta, hanno dato indirettamente sostegno alle bufale sull'origine dell'Aids e sul negazionismo dell'Hiv. Ora Montagnier torna ad alimentare fake news a cui anche parte della politica fa da cassa di risonanza. Tra queste, la pericolosità dei vaccini «che contribuiscono ad aumentare le varianti del virus, che causano l'autismo, che hanno una correlazione con il cancro e che hanno un legame pure con il 5G e le frequenze elettromagntiche». Purtroppo l'unica cosa reale di queste posizioni è che hanno fatto perdere alla gente la fiducia nella scienza. Che avrà anche le sue colpe e avrà fatti i suoi errori, ma che non parla a vanvera sulla scie dell'emotività e dell'irrazionalità. «Ma Montagnier è un premio Nobel», ribattono i sostenitori del «nazismo sanitario». Già, ma lo è stato per una scoperta fatta quarant'anni fa. E in ogni caso non è il primo Nobel a farsi promotore di bufale. Solo per fare due esempi, il premio Nobel Watson sostenne che i bianchi sono più intelligenti dei neri e il premio Nober Mullis raccontò di essere stato rapito dagli alieni una notte del 1985. Tornando alla teoria dei «vaccini che alimentano le varianti», il presidente Iss Silvio Brusaferro ribadisce che «i vaccini, a differenza del tampone, proteggono». E a ristabilire la verità scientifica a nome di tutti i virologi è l'immunologo Mauro Minelli, coordinatore per il Sud Italia della Fondazione per la Medicina personalizzata: «I procedimenti che portano alla genesi di nuove varianti sono eventi del tutto naturali, prodotti da mutazioni assolutamente casuali che si verificano nella struttura genica del virus. E che siano totalmente indipendenti dalla vaccinazione lo dimostrano i dati storici recenti secondo i quali la prima la variante è comparsa nel Regno Unito nel settembre 2020, quando di vaccini anti Covid in giro non c'era traccia. A seguire, in Africa e in Brasile, dove sono emerse le varianti Beta e Gamma, la popolazione era quasi completamente non vaccinata. Così come in India dov'è comparsa la variante Delta, la popolazione all'epoca vaccinata era meno del 5%». Maria Sorbi

Da adnkronos.com l'11 settembre 2021.

Massimo Galli

"Il senatore Salvini deve parlare delle cose che sa e non di cose orecchiate in giro, lasci stare i vaccini che salvano le vite e oggi sono l'unico strumento che evita l'ospedale e il cimitero". Così all'Adnkronos Salute Massimo Galli, docente di Malattie infettive all'università Statale e primario al Sacco di Milano, commenta le affermazioni di Salvini che, ospite a 'L'aria che tira', ha detto inoltre che "il vaccino non mi rende totalmente immune. Proviamo a fare informazione corretta". "Le varianti nascono sotto la pressione immunitaria dell'ospite - ha ricordato Galli - le mutazione si vengono a creare casualmente e se una si rende più efficiente si afferma. Ma se non hai fatto il vaccino oggi con la variante Delta rischi di finire in ospedale e questa è la nostra preoccupazione maggiore". 

Bassetti

"L'affermazione che le varianti nascono come reazione al vaccino è una delle cose più inesatte che ho sentito da quando si parla di pandemia. Le varianti nascono quando le persone non sono vaccinate e il virus si muove, liberamente: vedi la Delta in India dove la popolazione non era immunizzata così la Mu. Dire quello che ha detto Salvini è profondamente inesatto". Così all'Adnkronos Salute Matteo Bassetti, direttore del reparto di Malattie infettive all'ospedale San Martino di Genova. "I vaccinati si possono contagiare, su questo non c'è nessun dubbio, ma non è questa la comunicazione che si deve fare alle persone, dobbiamo dire che se non sei immunizzato ti ammali gravemente. Questo - avverte Bassetti - dovrebbe dire un politico, anzi forse non dovrebbero proprio parlare di scienza perché lo devono fare gli scienziati. Ma oggi in Italia di vaccini parlano tutti facendo danni, mi dispiace delle parole di Salvini perché è una comunicazione non corretta".

Pregliasco

Le affermazioni del leader della Lega "arrivano da cattivi consiglieri e istillando dubbi. E' legittimo che la politica decida come usare i vaccini, ma qui si deborda". sottolinea all'Adnkronos Salute Fabrizio Pregliasco, virologo dell'Università degli Studi di Milano. "E' chiaro, lo sapevamo già, che se siamo tutti vaccinati il virus alla lunga replicherà e andrà controllato e monitorato questo processo e magari i vaccini saranno aggiornati", spiega l'esperto. "Il meccanismo di replicazione del virus - precisa - non è intelligente, ma è un fatto casuale che rovescia un'inefficienza a vantaggio e applica quello che è il principio darwiniano del caos e della necessità dell'evoluzione. Se l'ambiente è favorevole, vedi il caso della variante Delta in India, la mutazione prende piede". 

Burioni

"Voi capite perché sono scoraggiato?". Lo scrive su Twitter il virologo Roberto Burioni, docente all'università Vita-Salute San Raffaele di Milano, postando l'affermazione di Salvini. 

Francesco Bonazzi per “la Verità” il 20 agosto 2021. Si fa presto a dire fake. Prendete la storia del Covid-19 che sarebbe nato nei laboratori di Wuhan. Bollata per mesi come una notizia falsa, una leggenda internettiana per menti semplici e complottiste, è oggetto da fine luglio di una seconda indagine da parte dell'Organizzazione mondiale della sanità. Oppure la certezza salvifica al 100% dei vaccini: la terza dose ci aspetta già in autunno e quindi qualche dubbio della prima ora era forse quantomeno legittimo. Il problema è che la vita, la realtà, perfino la scienza, sono piene di sfumature, di dati in aggiornamento. E anche di colpi di scena. Così fa un po' sorridere il trionfale comunicato stampa di Facebook, che annuncia di aver rimosso oltre venti milioni di contenuti che violavano la policy aziendale sulle fake news in materia di Covid-19. Non si tratta solo dell'annoso dibattito su false informazioni e censura, ma del fatto che specie con una pandemia è perfettamente normale che nel giro di pochi mesi le conoscenze cambino e ciò che ieri sembrava folle, o graniticamente vero, si possa rivelare oggettivo o del tutto inconsistente. Oltre un anno e mezzo di convivenza forzata con il virus dovrebbero averlo insegnato a tutti quanti. E gli esempi sono già moltissimi. «Fake news» è una di quelle espressioni che non solo si presta a un uso strumentale e a zittire chi non la pensa come noi, ma è per sua stessa natura un concetto in divenire, che si può ritorcere contro chi lo brandisce con superiorità. Facebook lotta da tempo contro le critiche di non selezionare i contenuti dei suoi iscritti e così pubblica regolarmente un rapporto sulla propria opera di pulizia dei social. Nell'ultimo «Report sull'applicazione degli Standard della Comunità» si vanta di aver rimosso «più di 20 milioni di contenuti da Facebook e Instagram che violavano le nostre policy sulla disinformazione legata al Covid-19». Inoltre, sono stati eliminati «oltre 3.000 account, pagine e gruppi che hanno ripetutamente violato le regole contro la diffusione di fake news, anche sui vaccini». In generale, sono circa 190 milioni i contenuti relativi alla pandemia su cui il social network ha inviato avvisi, perché valutati «falsi, manipolati o privi di contesto». Già, il «contesto». Concetto di una certa raffinatezza e anche un po' sfuggente. In determinati momenti, o in determinate aree geografiche o situazioni politiche e sociali, una certa affermazione può sembrare vera o falsa. E le notizie sul Covid-19 non hanno fatto eccezione fin da subito. Grandi o piccole che fossero. Un anno fa, chi osava affermare che il virus fosse nato nei laboratori di Wuhan era accusato di propagare notizie false per colpire i sinceri democratici di Pechino. Ma dopo mesi di inchieste giornalistiche autorevoli, persino le anime belle dell'Oms, a fine luglio, hanno avviato una seconda indagine sulla faccenda. Magari si scoprirà che non è andata così, ma a questo punto come si fa a bollare come «fake news» una notizia su cui indaga l'Oms? Oppure, la storia dei guanti come presidio igienico irrinunciabile: in un primo tempo chi avanzava dei dubbi era trattato come un pazzo; poi, sempre l'Oms ha chiarito che «lavare spesso le mani offre una maggiore protezione». Anche il tema del lockdown ha visto in campo tutto e il suo contrario, come in un bar dello sport planetario. All'inizio della pandemia, specie in nazioni come Italia e Francia, mettere in discussione le quarantene era visto come un atteggiamento infantile e negazionista. Poi si sono sprecate le analisi su modelli alternativi, come quello svedese, e il dibattito infinito sull'immunità di gregge è ancora qui a dimostrare che anche sostenere che il lockdown sia inutile non è del tutto campato per aria. E forse, andavano tenuti a casa solo gli anziani. E ancora, la storia dei vaccini di Astrazeneca, prima iniettati anche ai giovani e poi relegati solo ai pensionati, non è un altro caso in cui è davvero difficile capire chi ha peccato di fake news? Idem per il dilemma sulla contagiosità dei vaccinati: non è elevata, ma ormai non è esclusa. Eppure fino a qualche mese fa era bollata come notizia falsa solo perché utilizzabile dai No vax. Il problema è che anche le idee dominanti cambiano idea.

Dagotraduzione dal New York Times l'1 agosto 2021. Chi sono i fornitori più pericolosi di disinformazione sul Covid? Questa primavera, il Center for Countering Digital Hate ha pubblicato “The Disinformation Dozen", un rapporto sui 12 influencer che secondo il Centro erano responsabili del 65% delle falsità anti-vaccino diffuse su Facebook e altre piattaforme di social media. In cima alla lista c'è l'osteopata della Florida Joseph Mercola, oggetto di un recente profilo su The Times della mia collega Sheera Frenkel. Altri disinformatori sono Robert F. Kennedy Jr., attivista ambientale, e Rizza Islam, un affiliato della Nation of Islam. La disinformazione che Mercola, Kennedy e gli altri hanno diffuso è una brutta cosa, un pericolo per la salute di chi ci crede oltre che un pericolo pubblico per coloro che sono esposti alle loro scelte irresponsabili. È anche un promemoria del fatto che gli anti-vaccinisti di oggi non sono solo un fenomeno di destra, come alcuni media hanno cercato di far passare. La maggior parte delle figure nell'elenco proviene dal mondo della medicina alternativa, solitamente non associato al repubblicanesimo a coste rock. Ma la storia dei ciarlatani che spacciano cure false e teorie del complotto politico non è l'unica parte della saga di disinformazione sul Covid. La sfiducia nei messaggi di salute pubblica viene anche seminata quando i messaggeri di salute pubblica si mostrano meno che completamente affidabili. L'ultimo esempio in questo dramma è stato un match urlante del 20 luglio tra il dottor Anthony Fauci e il senatore Rand Paul. Il repubblicano del Kentucky ha suggerito che Fauci avesse mentito al Congresso sostenendo che il National Institutes of Health non aveva mai finanziato la ricerca sul guadagno di funzione presso l'Istituto di virologia di Wuhan. Fauci ha fatto un'eccezione veemente, affermando che la ricerca che il NIH aveva finanziato indirettamente con una sovvenzione di 600.000 dollari non era collegata al virus Covid e non si qualificava come guadagno di funzione, una tecnica di ricerca in cui un agente patogeno è reso più trasmissibile. Fauci ha quasi certamente ragione sui meriti tecnici, e Paul non ha aiutato il suo caso con le sue buffonate da J'accuse. Ma la verità più grande – oscurata fino a poco tempo fa da fervidi sforzi (Fauci incluso) per respingere la teoria della perdita di laboratorio per le origini della pandemia – è che l'establishment scientifico del governo degli Stati Uniti ha sostenuto la ricerca sul guadagno di funzione e la questione meritava molto più dibattito pubblico di quello che ha ottenuto. È anche incontrovertibilmente vero che i beneficiari di quel finanziamento si sono impegnati in tattiche ingannevoli e in menzogne totali per proteggere la loro ricerca dal controllo pubblico mentre denunciavano i loro critici come complottisti. «In una riunione del Dipartimento di Stato, i funzionari che cercano di chiedere trasparenza al governo cinese affermano di essere stati esplicitamente invitati dai colleghi a non esplorare la ricerca sul guadagno di funzione dell'Istituto di virologia di Wuhan, perché porterebbe un'attenzione sgradita al finanziamento del governo degli Stati Uniti», ha riferito il mese scorso Katherine Eban di Vanity Fair raccontando i dibattiti interni al governo sull'origine della pandemia. C’è una buona ragione se milioni di persone pensano che alcuni esperti di salute pubblica non siano così eroici o onesti come li fanno sembrare i loro stenografi dei media. Ciò che vale per le domande sulle origini della pandemia vale anche per le domande sulla sua gestione. Il CDC ha ampiamente sopravvalutato i rischi di diffusione all'aperto del virus, che (almeno fino all'emergere della variante Delta) sembrava essere più vicino allo 0,1% che al 10% sbandierato. Fauci ha mentito - non c'è altra parola per questo - su quella che vedeva come la soglia per raggiungere l'immunità di gregge, basata, come ha riportato Donald McNeil sul Times a dicembre, sulla «sua sensazione istintiva che il paese è finalmente pronto ad ascoltare ciò che ha pensa davvero». Un allarmante studio del CDC ha scoperto che i bambini ispanici e neri erano a maggior rischio di essere ricoverati in ospedale per Covid, il che ha contribuito alla pressione per mantenere le scuole pubbliche chiuse all'insegnamento in presenza nonostante le crescenti prove che le scuole non fossero zone calde virali. L'impatto di questa disinformazione sulla vita quotidiana è stato immenso. E sebbene possa avere il pregio di essere offerto con le migliori intenzioni o con molta cautela, questo atteggiamento probabilmente ha fatto più danni nel minare la fiducia del pubblico nella scienza dell'establishment di quelli ad opera di un ciarlatano della Florida. La credibilità degli esperti di salute pubblica dipende dalla loro comprensione del fatto che il compito di informare il pubblico significa dire tutta la verità, incluse le incertezze, invece di offrire Nobili Bugie al servizio di ciò che credono il pubblico abbia bisogno di sentirsi dire. Questi stessi esperti potrebbero rischiare di diminuire ulteriormente la loro credibilità se le loro assicurazioni sull'efficacia del vaccino si rivelassero eccessivamente ferventi. Uno studio preliminare condotto da Israele suggerisce che il vaccino Pfizer perde gran parte della sua capacità di proteggere dalle infezioni dopo pochi mesi, sebbene continui a proteggere da malattie gravi. Questo è ancora un argomento decisivo per il vaccino, ma un passo indietro rispetto alle precedenti promesse. Se finiamo per aver bisogno di un terzo, quarto o quinto colpo - e se condizioni gravi come la miocardite finiranno per essere legate ai vaccini - l'erosione della fiducia pubblica potrebbe trasformarsi in una frana. Quindi, con ogni mezzo, continuiamo a esporre e denunciare la disinformazione proveniente dalle paludi febbrili di Alternative America. Ma non sarà abbastanza bene finché i tutori della salute pubblica non si atterranno a uno standard più elevato di veridicità e responsabilità. Medico, guarisci te stesso.

Francesca Pierantozzi per “il Messaggero” il 31 luglio 2021. «L'anticorpo che dovremmo sempre avere? La capacità di dubitare, di sospendere ogni tanto il nostro giudizio». Léo Grasset sa di cosa parla, visto che per lavoro parla di scienza. Molto a modo suo, e con grande successo: la sua emissione YouTube Dirtybiology totalizza ormai circa 77 milioni di visualizzazioni per 1,2 milioni di abbonati. I suoi video-reportage sono dei gioielli di divulgazione: rigorosi e esilaranti, mostrano il volto umano e, perché no? simpatico, del mondo dei viventi: la sessualità degli animali, gli Ogm, la vita nello spazio, e anche l'epidemia, il covid, le varianti, i vaccini. A maggio Léo Grasset, 31 anni, master in biologia evolutiva, ha annunciato in un tweet che ha fatto il giro del mondo, di essere stato contattato da una fantomatica agenzia Fazze (basata a Londra, collegata alla Russia, che da allora ha cercato di cancellare ogni traccia) per diffondere (dietro lauto compenso) notizie false sul vaccino Pfizer. Ci risponde mentre lavora su un reportage dal titolo: gli uccelli possono prevedere i terremoti? A maggio si è trovato nell'occhio del ciclone delle fake news.

«Un'agenzia mi ha contattato via mail per chiedermi se fossi interessato a una campagna d'informazione per trasmettere dati importanti sui vaccini. Ho chiesto precisioni e mi hanno inviato una sorta di report con dei dati, secondo loro tenuti nascosti dalle autorità e da governi europei, in base ai quali Pfizer è tre volte più letale di AstraZeneca. Mi precisavano che dovevo fare in modo di dirlo come se fosse una mia inchiesta, dei dati scoperti da me». 

Le era capitato altre volte?

«Sì, ma mai così frontalmente. Anche questa agenzia Fazze mi aveva già inviato qualche messaggio. Ci sono società che mi invitano per esempio a eventi, chiedendomi di filmare senza dire che sono invitato e pagato. Ovviamente dico di no. Tra l'altro è proprio un reato, si tratta di pubblicità nascosta».

La comunicazione si è rivelata fondamentale nella gestione della crisi sanitaria. Come giudica quelle delle autorità?

«Purtroppo non credo che la questione centrale sia saper fare pedagogia, sapere spiegare. L'argomento del virus, dell'epidemia è dei vaccini non è un argomento neutro, come non lo sono per esempio l'agricoltura, gli Ogm o il nucleare: entrano in ballo fenomeni sociologici o ideologici, la gente ha idee preconcette molto difficili da scardinare. Io ho una mia scala degli argomenti di cui si può parlare facilmente e di quelli in cui basta una parola sbagliata e il pubblico si allontana o diffida. In Francia, ma credo un po' ovunque, gli argomenti scientifici più delicati sono quelli in cui entra in ballo l'industria, quella farmaceutica al primo posto». 

Per questo i vaccini sono materia di predilezione delle cosiddette fake news?

«Di sicuro chi produce fake news produce storytelling molto efficaci. Hanno gioco facile, perché vanno nel senso di quello che la gente già crede o vuole credere, vanno in discesa. Noi invece andiamo in salita, spesso affrontando argomenti controintuitivi».

Cosa consiglierebbe a qualcuno che vuole orientarsi tra il vero e il falso, per arrivare almeno al sensato?

«La cosa più importante secondo me è sapere sospendere il giudizio, non preformarsi un'opinione ma conservare una forma di dubbio che ci consente di prendere tempo. Mi pare un anticorpo molto importante». 

Graziella Melina per “il Messaggero” il 31 luglio 2021. Si improvvisano virologi, esperti di epidemia e di medicinali. Si rifanno ad alcuni dati riportati (distorti) da fonti ufficiali, come per esempio l'Aifa (Agenzia italiana per il farmaco). E alla fine riescono a convincere le persone a non farsi inoculare il farmaco anti-Covid perché è pericoloso, modifica il dna, causa la morte, rende infertili e fa persino venire il cancro. La pandemia ha dimostrato, semmai ce ne fosse bisogno, quanto siano pericolosi i social media se usati per manipolare informazioni e indirizzare le scelte delle persone. Secondo un report della neo Fondazione per la Medicina Sociale e l'Innovazione Tecnologica (Mesit), realizzato in collaborazione con Reputation Manager e con Eehta-Ceis dell'Università Tor Vergata di Roma, in Italia oltre 909 mila persone seguono pagine, canali o gruppi Facebook e Telegram dedicati ai vaccini. Ma oltre la metà (457 mila) segue gruppi e pagine di no vax. E il fenomeno continua a crescere, senza controllo. Tra marzo e maggio di quest' anno, gli utenti no vax sono infatti più che raddoppiati (+136%). I post sui pericoli dei vaccini si diffondono a dismisura. A maggio, un gruppo Facebook contro i vaccini ha pubblicato circa 300 contenuti al giorno. Stessa attività frenetica anche per un altro gruppo no vax: circa 120 post al giorno. Chi vuole fare disinformazione occupa ormai tutti i canali del web. Su Telegram gli utenti no vax sono 40 mila (+135% in due mesi). Anche qui chi diffonde false notizie sui vaccini lo fa a tempo pieno. A maggio, un gruppo Telegram dedicato agli eventi avversi legati ai vaccini anti Covid-19 è cresciuto di oltre 7 mila membri. Un altro gruppo no vax ha pubblicato oltre 40 contenuti ogni ora. Ad alimentare la disinformazione in modo devastante, però, come ha messo in evidenza il Center for countering digital hate e l'Anti-vax watch, ci sarebbero 12 persone, responsabili del 65 per cento di tutti i post e i messaggi condivisi su Facebook e Twitter. Ma non si tratta di sprovveduti. Tra tutti, per esempio, spicca il nome addirittura di Robert F.Kennedy jr, nipote dell'ex presidente americano, da mesi molto attivo sui social con le sue teorie contro i vaccini. Tra i no vax famosi pure due medici osteopata, Joseph Mercola e Sherri Tenpenny e il film maker Andrew Wakefield. Le fake news fanno leva sulle paure, e si concentrano quindi sugli effetti dei vaccini anti-Covid (49,3%), oppure sminuiscono la sicurezza del farmaco, che continuano a definire sperimentale (18,2%). C'è poi chi, pur non avendo alcuna competenza scientifica, si avventura in disquisizioni di tipo chimico, spiegando come è composto il vaccino (11,3%). Gli aspiranti economisti del web, invece, pensano di avere in tasca la verità: a spingere per le campagne vaccinali ci sarebbero in realtà gli interessi delle case farmaceutiche (10,9%). Non manca poi persino chi invece ritiene sia tutto un complotto orchestrato addirittura ai danni dell'intera umanità. «Purtroppo quando una fake news rimane sul web, molte persone sono convinte che quella notizia sia vera - spiega Francesco Saverio Mennini, professore di economia sanitaria all'università Tor Vergata di Roma e presidente della Sihta (Società italiana health tecnology assessment) - Osserviamo un inquinamento delle informazioni. Chi fa disinformazione parte da notizie reali e le manipola. Purtroppo, persino persone con un livello socio culturale elevato tendono a crederci. Bisogna attivare sistemi di monitoraggio e controllo e parimenti - suggerisce Mennini - occorre veicolare le informazioni corrette con gli stessi strumenti che utilizzano queste persone». I danni per la salute della collettività sono sempre più evidenti. «Come abbiamo dimostrato in uno studio recente insieme alla Kingston University - spiega Mennini - se non completiamo la copertura vaccinale per settembre, e ci spingiamo fino a dicembre, non solo rischiamo di veder morire tante altre persone, ma avremo un grosso danno dal punto di vista economico. Potremmo insomma perdere nel 2021 circa 100 miliardi di euro e nel 2022 altri 110 miliardi per un effetto trascinamento. Ossia, quasi 6 punti di pil ogni anno». 

Ecco le 12 fake news sui vaccini (che l’Iss intende smentire). Ecco le 12 fake news sui vaccini che l'Istituto Superiore di Sanità smentisce, pubblicando un vademecum con le informazioni corrette. Ecco "bufale" e verità. Il Corriere.it -Il Dubbio il 9 agosto 2021. Da «I vaccini causano il contagio» a «D’estate non serve vaccinarsi» sono molte le fake news che circolano sui vaccini anti Covid. Ecco allora un vademecum, a cura del Gruppo Vaccini dell’Istituto superiore di Sanità, con le risposte alle principali “bufale” che si trovano in rete. Le 12 fake news sui vaccini:

«Non si conoscono gli effetti a breve e lungo termine, i vaccini sono stati prodotti troppo velocemente e le uniche informazioni vengono dalle aziende» – Il sistema di farmacovigilanza per i vaccini contro il Sars-Cov-2 è lo stesso di tutti gli altri farmaci e vaccini già approvati in precedenza. Dopo i risultati degli studi autorizzativi effettuati su decine di migliaia di individui di diversa età, che sono stati condotti anche in questo caso, vengono raccolte le segnalazioni dalle agenzie regolatorie nazionali e internazionali di possibili eventi avversi temporalmente correlate con la vaccinazione. In caso vengano evidenziati eventi avversi non manifestatisi durante gli studi autorizzativi, se dopo un’indagine approfondita viene sospettata o dimostrata una relazione causale con la vaccinazione, vengono aggiunti all’elenco delle reazioni avverse e che sono elencate nelle schede informative dei vari vaccini (farmacovigilanza post marketing).

«I vaccini anti Covid sono sperimentali» – I vaccini autorizzati contro il Sars-Cov-2 hanno completato tutti i passaggi della sperimentazione necessari per l’autorizzazione all’immissione in commercio senza saltarne alcuno. Per questi vaccini il processo di sviluppo ha subito un’accelerazione senza precedenti a livello globale ma al momento della loro autorizzazione da parte dell’Agenzia Europea per il farmaco erano state percorse tutte le stesse tappe dell’iter di sperimentazione previste per gli altri vaccini in commercio. I vaccini attualmente usati nella campagna vaccinale in Italia (Comirnaty di Pfizer-BioNtech, Vaxzevria di Astrazeneca, Spikevax Moderna, Vaccino anti COVID-19 Janssen) pertanto non sono sperimentali, ma preparati regolarmente immessi in commercio dopo aver completato l’iter che ha testato la loro qualità, sicurezza ed efficacia.

«I vaccini provocano l’infezione» – I vaccini attualmente in uso in Italia usano la tecnologia a mRNA (Pfizer-Biontech e Moderna) e quella a vettore virale (Astrazeneca e Janssen). In entrambi i casi si introducono nell’organismo le istruzioni per produrre frammenti della proteina che il virus usa per “agganciare” la cellula. Quindi non viene utilizzato il SArs-CoV-2 vivo e infettante. Una eventuale malattia COVID-19 successiva alla vaccinazione può essere quindi causata solo da una infezione naturale del virus contratta indipendentemente dal vaccino.

«I vaccinati sono contagiosi» – Questo è possibile perché, come per tutti i vaccini esistenti, l’efficacia anche se molto alta non è del 100%, e ci possono essere quindi i cosiddetti “fallimenti vaccinali”. Inoltre anche un soggetto che risponde al vaccino si può ritenere immunizzato solo dopo almeno una settimana dal completamento del ciclo. Un livello di copertura della popolazione alto nella popolazione minimizza il rischio di trasmissione tra individui suscettibili all’infezione. I dati provenienti dai paesi con una campagna vaccinale avanzata, Italia compresa, hanno dimostrato che il vaccino protegge dalle conseguenze peggiori della malattia, dal ricovero al decesso, oltre 9 persone ogni 10 vaccinate. La vaccinazione riduce anche la capacità di infettare dei vaccinati.

«Vengono nascosti effetti collaterali e decessi post vaccino» – I dati della farmaco-vigilanza sono pubblici. In Italia l’Agenzia Italiana per il farmaco (AIFA) pubblica periodicamente il resoconto le segnalazioni di sospetti eventi avversi, e lo stesso fa l’autorità europea Ema.

«Il vaccino causa infertilità e aborti» – Al momento non c’è nessuna evidenza scientifica di un effetto negativo dei vaccini sulla fertilità maschile o femminile. Per quanto riguarda la somministrazione del vaccino in gravidanza, le prime osservazioni, soprattutto dei dati Usa dove sono migliaia le donne immunizzate durante la gestazione, non hanno rilevato un aumento di rischio di effetti avversi per madri e neonati.

«Il vaccino modifica il nostro DNA» – I vaccini anti COVID-19 non cambiano e non interagiscono in alcun modo con il DNA. Sia i vaccini a mRNA che a vettore virale forniscono istruzioni alle nostre cellule utili ad attivare una risposta immunitaria così da proteggere contro il Sars-Cov-2.

«Il vaccino causa trombosi e miocarditi» – Tutti i farmaci e i vaccini possono avere effetti collaterali. Le Agenzie regolatorie riportano queste due patologie, che peraltro sono anche tra quelle causate dall’infezione, come rari effetti avversi della vaccinazione. Proprio per la loro estrema rarità questi effetti lasciano comunque il rapporto benefici-rischi a favore dei primi, come rilevato da tutte le agenzie regolatorie internazionali.

«I produttori di vaccini e i medici fanno firmare il consenso per evitare responsabilità» – La vaccinazione è un atto medico, e prevede quindi la firma di un consenso informato per essere sicuri che il vaccinando comprenda i benefici e rischi connessi.

«Dai 19/20 anni in giù per i soggetti sani è impossibile morire per Covid e pure manifestare sintomi gravi» – Anche se nelle fasce più giovani il rischio di sviluppare un’infezione sintomatica è minore rispetto agli adulti, è comunque presente. Dall’inizio della pandemia al 17 luglio ad esempio ci sono stati 28 decessi nella fascia di età 0-20 anni. In ogni caso lo scopo della vaccinazione anche nelle fasce di età più giovani è anche quello di limitare a livello di popolazione la circolazione del virus e permettere quindi di uscire dalla pandemia, oltre che di proteggere i soggetti più fragili.

«Più vacciniamo più escono nuove varianti» – Le varianti emergono perché il virus, replicandosi, tende a sviluppare nuove mutazioni. I vaccini, riducendo la circolazione, limitano quindi la possibilità che il virus muti. Le varianti in circolazione in questo momento inoltre, compresa la “Delta”, sono state osservate per la prima volta lo scorso dicembre, quando ancora le campagne vaccinali erano iniziate in pochissimi paesi

«D’estate il virus scompare, è inutile vaccinarsi o mettere le mascherine» – La trasmissione del virus è facilitata dalla frequentazione degli ambienti chiusi, ma anche all’aperto, in caso di assembramenti, è possibile la sua circolazione, ed è quindi necessario adottare le misure opportune.

Tutte le fake news sui vaccini: non è vero che sono stati autorizzati in emergenza, l’Ema non può farlo. Redazione sabato 31 Luglio 2021 su Il Secolo d'Italia. I vaccini contro Covid-19 sono stati autorizzati in emergenza? E’ una delle domande che circola in rete e una delle certezze del fronte no vax. Gli scettici del siero immunizzante, infatti, parlano di vaccino sperimentale e definiscono “cavie” coloro che accettano di vaccinarsi. Il portale anti fake-news della Fnomceo, la Federazione nazionale degli ordini dei medici e odontoiatri “Dottore ma è vero che?”, ha deciso di replicare alle fake news che circolano sui vaccini.

Gli iter che consentono di accelerare l’approvazione. All’Agenzia europea per i medicinali (Ema) non è permesso – chiarisce il portale Fnomceo – rilasciare approvazioni di emergenza. Tutt’al più, ma in circostanze eccezionali, ha raccomandato l’uso compassionevole di alcuni farmaci, come ha spiegato l’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), che ben conosce le norme che disciplinano l’immissione in commercio dei medicinali, dal momento che le cure per il cancro sono spesso oggetto di iter approvativi accelerati con la speranza di andare incontro alle esigenze dei malati: le approvazioni di emergenza da parte dei Paesi membri sono consentite, ma costringono gli Stati ad assumersi la piena responsabilità dell’operazione. La Commissione Europea ha invitato gli Stati membri a non ricorrere alle autorizzazioni nazionali di emergenza per i vaccini per Covid-19, perché potrebbero limitare la capacità dell’autorità regolatoria europea di verificare efficacia e sicurezza dei vari prodotti.

Per i vaccini l’approvazione c’è stata per “circostanze eccezionali”. Dunque, come sono stati approvati i vaccini utilizzati in Italia? “I vaccini contro Covid-19 attualmente in uso nel nostro Paese sono stati approvati dalla Ema “under exceptional circumstances”. In altre parole, il percorso di approvazione è stato più veloce perché le nazioni europee stanno vivendo un periodo eccezionalmente difficile dal punto di vista sanitario. I medicinali possono essere approvati con questa procedura qualora siano destinati a curare, prevenire o diagnosticare malattie gravemente debilitanti o potenzialmente letali.

Ma i dati su efficacia e sicurezza sono completi. Disponiamo quindi di dati incompleti su efficacia e sicurezza dei vaccini? No: nella storia della medicina – ricorda il sito anti-fake – pochi farmaci sono stati valutati per sicurezza ed efficacia in modo così accurato come sta avvenendo per i vaccini contro Covid-19. Al 27 luglio 2021 sono state somministrate quasi 66 milioni di dosi di vaccini in Italia. Tutte le vaccinazioni effettuate sono monitorare attraverso il sistema di farmacovigilanza del sistema sanitario italiano. Più di 180 milioni di dosi del vaccino Pfizer e 133 milioni di Moderna sono state somministrate negli Stati Uniti. Inoltre – si legge sul sito Fnomceo – continuano a essere svolti studi che hanno l’obiettivo di monitorare l’efficacia: dal momento dell’approvazione iniziale, una serie di studi clinici sono stati sottoposti a revisione critica (peer review) e pubblicati su riviste importanti, utilizzando i dati raccolti in Israele, Qatar, Regno Unito, Stati Uniti e in altri Paesi. In altre parole, i vaccini a mRNA sono stati ampiamente dimostrati sicuri ed efficaci da studi clinici, ricerche indipendenti e dall’esperienza di milioni di persone in tutto il mondo che li hanno ricevuti.

Andrea Marinelli per il "Corriere della Sera" il 27 luglio 2021. Centinaia di bambini indonesiani sono morti di Covid nelle ultime settimane. L'arrivo della variante Delta nel Sudest asiatico, dove i tassi di vaccinazione sono bassi e i Paesi molto popolati, ha colpito in particolare l'Indonesia, il quarto Paese con più abitanti al mondo, che a luglio ha superato India e Brasile per numero di contagi quotidiani, diventando il nuovo epicentro della pandemia: secondo i dati diffusi dal governo, soltanto venerdì si sono avuti quasi 50 mila nuovi casi e 1.566 vittime, che portano il totale oltre i 3 milioni di casi e le 83 mila vittime dall'inizio dell'emergenza sanitaria. Secondo gli esperti, tuttavia, i numeri potrebbero essere molto più ampi, perché i tamponi sono molto limitati. Questa nuova ondata, la più forte dall'inizio della pandemia in Indonesia, ha colpito in particolare i bambini. Nell'ultimo mese ne sono morti oltre 100 a settimana: si tratta del tasso di mortalità infantile più alto del pianeta. «I nostri numeri sono i più alti del mondo», ha detto al New York Times il dottor Aman Bhakti Pulungan, capo della società pediatrica indonesiana, secondo cui oggi i bambini rappresentano il 12,5 per cento dei contagi, in notevole aumento rispetto ai mesi precedenti. Soltanto nella settimana del 12 luglio, specifica il dottor Aman, oltre 150 bambini sono morti di Covid, e metà avevano meno di 5 anni. Dall'inizio della pandemia, le vittime di età inferiore ai 18 anni sono oltre 800. Secondo gli esperti interpellati dal Times , molti avevano condizioni di salute pregresse, come malnutrizione, obesità o diabete, che rendono i bambini più vulnerabili. Un altro fattore è rappresentato dal basso tasso di vaccinazione: soltanto il 16 per cento degli indonesiani ha ricevuto una dose e appena il 6 per cento è stato completamente vaccinato. L'Indonesia, oltretutto, ha aperto solo recentemente la campagna ai ragazzi di età compresa fra i 12 e i 18 anni. Gli ospedali sono poi saturi e solo pochi istituti sono in grado di curare bambini malati di Covid. Molti adulti vengono mandati a casa, in isolamento, dove aumentano però le possibilità di contagiare i più piccoli. Un altro fattore di rischio, soprattutto per i neonati, è rappresentato dalle tradizioni. «Ci sono molti neonati che vengono dimessi con un test negativo, ma che puoi contraggono il Covid attraverso le visite di parenti e vicini di casa, e muoiono», ha spiegato Edhie Rahmat, di Project Hope. C'è infine l'effetto sulle vaccinazioni di routine, fondamentali per la loro sopravvivenza: secondo Al Jazeera , sono circa 800 mila i bambini che lo scorso anno hanno saltato quelle per poliomelite, orecchioni ed epatite B.

Thread di Claudio Borghi su Twitter il 27 luglio 2021. Oggi, impressionante, a giornali unificati tutti a strillare che per la variante delta muoiono 100 bambini al giorno in Indonesia per covid e che ne sono già morti più di... qualcuno dice 500, altri 600, altri 800. Il tutto accompagnato da foto di piccole bare bianche. La cosa ovviamente è accompagnata ad ammonimenti per smentire chi osa dire che nessun bambino precedentemente sano muore di covid. ovviamente l'intento è instillare la paura che il morbo indonesiano appena arrivato presto arriverà anche qui, vacciniamo di corsa tutti i bambini. Allora sono andato a ritroso per cercare da dove viene la notizia e i dati. Era meglio se non lo facevo. La faccio breve: la "notizia di oggi" origina da un appello di due settimane fa per chiedere fondi di "save the children"? Che già ne annunciava 700. Ma Save the children cita una fonte che sono andato a cercare. Ebbene, fra decine di articoli con numeri in assoluta libertà arriviamo serenamente a SETTEMBRE 2020 in cui la variante delta non esisteva affatto e alcuni articoli parlavano di alta mortalità. In pratica un pediatra indonesiano, tale Pulungan in alcune interviste nel 2020 dava delle proporzioni precise delle morti di bambini rispetto al totale dei morti. Semplicemente i "giornalisti" applicano quelle percentuali a distanza di mesi? ma c'è di peggio! Sin da Agosto 2020 il nostro Pulungan stimava 300 bambini morti. Senza bisogno della variante delta! Quindi sull'Indonesia si scrivono solo cretinate da UN ANNO a questa parte. Ma mettiamo il tutto in prospettiva perchè forse non è chiaro.  Eh sì perchè uno magari dice: Borghi insensibile! 300 bambini. Una strage! Nel caso non si fosse capito stiamo parlando di un paese poverissimo in un'area dove secondo l'ultimo rapporto Unicef muoiono 1.4 MILIONI di bambini sotto i 5 anni e i lockdown hanno impedito le cure. Ma guarda un po', se prendiamo i numeri storici, tutto considerato scopriamo che nel 2020, nonostante il covid e i 300 morti indicati dal nostro pediatra terrorizzatore indonesiano, la mortalità è stata la più bassa di sempre. Capito come funziona il circo del terrorismo? Notizie di nulla basate sul nulla condite di nulla e tutti i nostri giornali che ci si buttano golosi, tutti tesi all'obiettivo che è solo uno: convincere a vaccinare i NOSTRI bambini per il covid. Ah ovviamente c'era il piano B......Metti caso che invece di aumentare i numeri dei morti dei bambini in Indonesia fossero diminuiti... ecco che ci sarebbe stata pronta la spiegazione: Adesso di quest'articolo non si parla più.

Coronavirus, la strategia al contrario dell’Indonesia: prima vaccina i giovani. “Così proteggiamo anche gli anziani”. Alla base della decisione di Giacarta, il fatto che il vaccino cinese di Sinovac - di cui il Paese ha ordinato 125 milioni di dosi - non è stato testato a sufficienza su chi ha più di 60 anni e risulta efficace solo 65 per cento. Ma secondo il consulente sanitario dell'esecutivo, l'approccio ha buone chance per il raggiungimento dell'immunità di gregge. Andrea Walton su Il Fatto Quotidiano il 15 gennaio 2021. La campagna di vaccinazione di massa contro il Covid-19 dell’Indonesia è destinata a distinguersi da quelle degli altri Paesi del mondo. Nella nazione asiatica i primi a ricevere il vaccino contro il coronavirus sono infatti i giovani in età lavorativa e non gli anziani con patologie croniche, contrariamente a quanto accade in tutti i paesi occidentali, che danno la precedenza a loro e al personale sanitario di ospedali e rsa. Il Ministro della Salute Budi Gunadi Sadikin ha difeso questa strategia affermando che proteggere i più giovani, che passano molto tempo fuori di casa, significa proteggere indirettamente anche gli anziani che vivono con loro. Il vaccino CoronaVac sviluppato dalla cinese SinoVac e che verrà utilizzato per la vaccinazione non è inoltre stato testato a sufficienza su chi ha più di 60 anni. Il Paese ha ordinato 125 milioni di dosi del preparato e tre di queste sono già state distribuite alle strutture sanitarie. Il farmaco è comunque al centro di alcune controversie: secondo gli studi clinici svoltisi in Indonesia sarebbe efficace al 65 per cento nel prevenire il Covid-19 mentre secondo quelli effettuati in Brasile l’efficacia non supererebbe il 50 per cento. Secondo il professor Amin Soebandrio, consigliere governativo in materia di sanità, l’approccio di Giacarta darà al Paese buone possibilità di raggiungere l’immunità di gregge, che viene raggiunta quando buona parte della popolazione (almeno il 70 per cento) viene vaccinato. L’esecutivo del presidente Joko Widodo, nel tentativo di convincere quante più persone possibili a vaccinarsi, ha scelto di dare la priorità ad un cospicuo numero di social media influencer. Le vaccinazioni hanno avuto inizio il 13 gennaio e tra i primi a ricevere il farmaco, insieme al Capo di Stato, c’è stato il personaggio televisivo Raffi Ahmad, che ha 50 milioni di follower su Instagram. Gli indonesiani sono tra i più assidui utilizzatori di social network come Facebook ed Instagram e la scelta di includere gli influencer fa parte di una deliberata strategia comunicativa del governo. Un sondaggio, riportato da Channel News Asia, ha chiarito che il 37 per cento degli abitanti del Paese è disposto a farsi vaccinare, il 40 per cento è possibilista mentre il 17 per cento è contrario. Le conseguenze della pandemia – L’Indonesia è la seconda nazione asiatica per numero di casi confermati di Covid-19. Il numero di infezioni nel Paese ha superato quota 850mila mentre i decessi sono 24951. Si tratta di numeri probabilmente sottostimati data la vastità del territorio nazionale e le tante difficoltà incontrate dal sistema sanitario nel tracciare con efficacia l’infezione. L’economia ha risentito della pandemia ed è entrata in recessione per la prima volta dal 1998. Il prodotto interno lordo si è contratto del 5.2 per cento nel secondo trimestre del 2020, del 3.5 nel terzo ed una sua ripresa appare, al momento, decisamente lontana. Il peggioramento dei dati macroeconomici avrà ricadute sulle vite degli indonesiani e sul tasso di povertà del Paese che, nel settembre del 2019, aveva toccato quota 9.2 per cento, uno dei punti più bassi di sempre. L’aumento della povertà e del disagio sociale potrebbero fomentare la crescita dei movimenti legati al radicalismo islamico, da tempo attivi in Indonesia. Una prospettiva che va evitata a tutti i costi per evitare che l’Indonesia possa trasformarsi nell’ennesimo campo di battaglia con i terroristi jihadisti dell’Asia. Di Andrea Walton

Draghi: “I vaccinati non contagiano”. La Federazione dei medici lo smentisce: “Fake news”. Luisa Perri lunedì 26 Luglio 2021 su Il Secolo d'Italia. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi ha sparato una bufala colossale sul vaccino, che è passata sotto silenzio: “I vaccinati non sono contagiosi”, ha detto il premier in conferenza stampa in occasione della presentazione del Green pass.

Draghi e la bufala dei vaccinati non contagiosi. La gaffe di Draghi è stata pressoché ignorata da tutti (o quasi). Solo il giornale Open di Enrico Mentana ha avuto il coraggio di riferire correttamente il fatto. Avete letto commenti indignati o allarmati? Muti i Burioni e Crisanti di turno. Zitto il ministro Speranza. Silenti i vertici dell’Iss. Non uno straccio di virologo che abbia detto a Draghi quello che non viene risparmiato a Meloni, Salvini e ad altre personalità della vita politica o sociale, quando parlano del Covid. Non tutti i leader di governo sono così fortunati. Per alcune frasi sul Covid, il presidente americano Donald Trump è stato censurato, bannato, bloccato e segnalato. Sia da Twitter che da Facebook.

Che cosa ha detto il premier? «Il Green Pass è una misura con cui gli italiani possono continuare ad esercitare le proprie attività, a divertirsi e andare al ristorante, a partecipare a spettacolo all’aperto o al chiuso con la garanzia, però, di ritrovarsi tra persone che non sono contagiose. In questo senso è una misura che, nonostante abbia chiaramente delle difficoltà di applicazione, è una misura che dà serenità, non che toglie serenità. Grazie».

La Fnomceo smentisce Draghi sui vaccinati. Da quando è scoppiata la pandemia, la Federazione dei medici ha allestito una task force che fornisce chiarimenti ai giornalisti e ai cittadini. Interpellati dal Secolo d’Italia, alla nostra precisa domanda: “I vaccinati che hanno completato il ciclo vaccinale possono contagiare?”. La risposta smentisce categoricamente il premier. 

Il caso dei positivi sull’Amerigo Vespucci dove sono tutti vaccinati. «La risposta è sì: una persona vaccinata può infettarsi e contagiare – spiegano dalla Fnomceo, l’Ordine nazionale dei medici, tramite il team di dottoremaeveroche, il sito anti fake- news rivolto a medici e cittadini -. Tuttavia, come dimostra il recente caso dell’Amerigo Vespucci, il vaccino riduce moltissimo entrambi questi rischi. Non solo tutti i casi sono stati lievi o asintomatici – cosa che potrebbe essere anche legata all’età – ma soprattutto l’infezione non si è diffusa oltre un ristretto numero di persone, una ventina su oltre trecento. E questo nonostante si trattasse di una comunità chiusa».  Andrebbe ricordato che il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump ha avuto i suoi interventi censurati per dichiarazioni ritenute “inesatte” e “fuorvianti”. Per Draghi, invece, i solitamente solerti censori dei Social si sono improvvisamente distratti. Zuckerberg & c. inizieranno a “segnalare” anche le conferenze stampa di Palazzo Chigi?

Da “La Stampa” il 25 luglio 2021. La vaccinazione come tutti gli eventi di massa fa parlare di sé, dando vita a quella che in termini scientifici si definisce aneddotica, cioè il sentito dire senza verifiche, che col passaparola spesso diventa fake news. Ecco una carrellata di bufale, che alimentano la diffidenza nei confronti della via maestra per uscire dalla pandemia. 

1) I vaccini contro il Covid-19 sono sperimentali. 

No, tutti i vaccini approvati dall’Ema sono il risultato di sperimentazioni concluse e successive revisioni, per cui sono sicuri ed efficaci. Quando in rarissimi casi e fasce precise di popolazione ci sono stati problemi le autorità lo hanno comunicato e hanno modificato i criteri di vaccinazione. 

2) Gli effetti collaterali si vedono nel tempo. 

La maggior parte degli effetti collaterali si manifesta entro pochi minuti e al massimo entro due giorni. Si tratta di eventi rari e leggeri, a meno di soffrire di patologie particolari per le quali c’è la visita medica precedente la vaccinazione. I centri vaccinali hanno tutta l’attrezzatura per fare fronte a particolari situazioni ed è per questo che dopo la dose si attendono 15 minuti in osservazione. 

3) Dentro i vaccini c’è il metallo.

Una volta forse, e non ne è mai stata dimostrata la pericolosità nelle quantità contenuta nei vaccini. Oggi nel Pfizer ci sono mRna, composti chimici, colesterolo, potassio cloruro, potassio diidrogeno fosfato, sodio cloruro, fosfato disodico diidrato, saccarosio e acqua. E nell’AstraZeneca adenovirus di scimpanzé, L-istidina, L-istidina cloridrato monoidrato, cloruro di magnesio esaidrato, polisorbato 80, saccarosio, disodio edetato e acqua. 

4) I vaccini fanno venire l’autismo.

E’ una leggenda che risale al vaccino contro il morbillo e nasce da uno studio fraudolento di un medico inglese radiato dall’albo. Numerose ricerche scientifiche provano l’esatto opposto. 

5) I vaccini indeboliscono il sistema immunitario. 

Al contrario, sono un’ottima ginnastica per l’organismo e secondo gli immunologi qualsiasi vaccino fortifica almeno in parte contro tutti gli agenti patogeni. 

6) Meglio prendere la malattia in forma lieve che vaccinarsi. 

Ammalarsi di una patologia prevenibile con il vaccino impegna il sistema immunitario molto più di quanto accada sottoponendosi alla vaccinazione, ed espone a parecchi rischi soprattutto nel caso di un virus nuovo i cui effetti a breve e lungo termine sono tutti da studiare. 

7) I vaccini a Rna cambiano il codice genetico.

Impossibile, l’Rna messaggero trasporta semplicemente le istruzioni per la produzione della proteina Spike utilizzata dal virus per attaccarsi alle cellule, così che l’organismo produca gli anticorpi specifici. 

8) Se la malattia per i giovani è simile all’influenza è inutile vaccinarsi. 

Purtroppo ci sono rari casi di ricoveri con sintomi gravi anche nelle fasce di età minori, nonché serie preoccupazioni per gli effetti del long Covid pure sugli asintomatici guariti. E poi ci sono giovani particolarmente esposti, fragili o con altre malattie. Bisogna inoltre pensare al ruolo sociale dei ragazzi, alle famiglie e alle istituzioni che li circondano, dalla scuola ai centri sportivi. Infine, non è corretto paragonare il Covid all’influenza, sia per la sua storia sia perché anche per quest'ultima è consigliata la vaccinazione a bambini, anziani e fragili. 

9) La vaccinazione ai bambini fa male. 

La posizione della Società italiana di pediatria è di consigliare caldamente il vaccino a tutti i ragazzi dai 12 anni in su, come da autorizzazione dell’Ema. Il motivo per cui non si vaccinano ancora i più piccoli è che sono in corso le verifiche sugli studi riguardanti quelle fasce di età, ma è probabile che entro pochi mesi arrivi il via libera dai 6 anni in su.

IL BUSINESS DELL'ANTI SCIENZA. Flavio Pompetti per "il Messaggero" il 26 luglio 2021. I vaccini contro il coronavirus sono una frode sanitaria, alterano il nostro codice genetico e ci trasformano in una fattoria di proteine virali senza un interruttore per spegnerla. La vera cura preventiva per il virus non è il vaccino, ma un dosaggio adeguato di vitamina D. Queste perle della disinformazione hanno una diffusione straordinaria nel web, e fanno presa su lettori confusi dall'incertezza che l'epidemia ha introdotto nelle nostre vite. La chiave di tale potere è la visibilità che hanno gli autori delle bufale, a cui la democrazia dei like assegna purtroppo autorevolezza anche se non sono altro che specialisti nello sfruttamento commerciale del dubbio. Manipolatori sempre pronti a saltare sul treno delle teorie complottiste, e a monetizzarle. Nelle ultime settimane allarmi sono giunti da un paio di giornalisti-influencer che avevano ricevuto strane richieste. Lo youtuber tedesco Mirko Drotschmann è stato contattato da un'agenzia di marketing che gli chiedeva di comunicare ai suoi 1,5 milioni di utenti, dietro compenso, una notizia «trapelata anonimamente» dalla comunità scientifica, secondo la quale tra coloro che hanno ricevuto il vaccino Pfizer c'è un tasso di mortalità tre volte più alto rispetto a quelli di AstraZeneca. Incuriosito, Drotschmann ha approfondito la questione. Il rapporto non distingueva tra le cause di morte (infezione polmonare, infarto, o incidente d'auto), e prendeva a campione pazienti di paesi nei quali Pfizer domina il mercato dei vaccini, con AstraZeneca quasi assente. Il giornalista ha denunciato la frode su Twitter, e qui la sua protesta si è incrociata con quella del francese Léo Grasset il quale aveva rifiutato 2.000 euro di compenso per una simile proposta. La tv britannica Bbc ha scoperto una comproprietà russa dell'agenzia AdNow che è dietro la macchinazione. Il sospetto è che la disinformazione fosse orchestrata per avvantaggiare le vendite di vaccini Sputnik nei paesi dominati dalla presenza di Pfizer. E se i due professionisti in Germania e in Francia si sono ribellati, almeno due grandi influencer: il brasiliano Everson Zoio e l'indiano Ashkar Techy si sono volentieri prestati al gioco, e i rimbalzi della notizia falsa sono ugualmente tornati ad affollare le pagine web nei due paesi europei. Più diretto è l'approccio negli Stati Uniti, dove in omaggio alla tradizionale imprenditorialità individuale, sono i singoli a concepire e a diffondere le falsità, e passare alla cassa dei profitti. Il Centro per la lotta contro l'odio digitale una settimana fa ha compilato la lista della sporca dozzina di specialisti che da soli contano il 70% delle menzogne sparse su Internet riguardo a Covid e vaccini, e si dividono una fetta pubblicitaria di 1,1 miliardi di dollari. Tra questi il New York Times ha individuato, al secondo posto della classifica di pericolosità, nientemeno che un Kennedy: Robert jr., figlio di Bob. Ma il titolo di re della manipolazione. spetta all'osteopata Joseph Mercola di 67 anni, dei quali almeno la metà dedicati a perfezionare l'arte di seminare il dubbio e trasformarlo in profitto. Il novello Don Basilio dalle sue basi in Florida e nelle Filippine costruisce campagne di diffamazione, ad esempio contro i materassi a molle, che nelle ricerche scientifiche da lui citate sono poderosi propagatori di radiazioni nocive. Poi propone rimedi nella forma di prodotti che portano il suo nome: dagli yogurt biologici agli immancabili integratori vitaminici. Questa paccottiglia da imbonitore gli ha permesso di ammassare una fortuna che lui stesso ha dichiarato all'erario superare i 100 milioni di dollari. Negli ultimi due anni il dottor Mercola e le dozzine di collaboratori che lo circondano hanno sparato a zero sull'epidemia. Sono seicento i messaggi diffusi su Facebook a suo nome che denunciano i vaccini, non solo inefficaci ma anche dannosi per chi li riceve. La vera prevenzione contro il virus ancora una volta è un adeguata terapia a base di vitamina D, a firma naturalmente del dottor Mercola. Si sarebbe tentati di liquidare la faccenda con una risata, se non fosse che il 97% dei ricoveri per Covid al momento negli Usa è fatto di persone non vaccinate, che magari sono tra gli 1,7 milioni di utenti della pagina Facebook del dottore.

Massimo Gaggi per corriere.it il 26 luglio 2021. «L’appello no-vax è un appello a morire», dice Mario Draghi. Ma anche Joe Biden una settimana fa, aveva usato espressioni altrettanto crude nei confronti di chi diffonde disinformazione sulle conseguenze del coronavirus e sull’efficacia dei vaccini. Il presidente americano se l’era presa, in particolare, con le reti sociali accusate di «uccidere la gente» perché consentono alle informazioni false sul Covid e sulle cure di circolare liberamente sui loro canali. Sotto accusa, come al solito, soprattutto Facebook che veicola attraverso le sue diverse reti, da Instagram a WhatsApp, circa i tre quarti del traffico dei social media. È un fenomeno diffuso da tempo e ben noto, ma il rallentamento della campagna vaccinale Usaproprio quando le varianti più aggressive tornano a riempire gli ospedali e a mietere vittime quasi sempre (97%) nel popolo dei non vaccinati accresce l’allarme politico e sociale per il comportamento dei disinformatori e delle reti sociali che non bloccano i loro messaggi falsi. Sotto i riflettori soprattutto la «sporca dozzina» delle 12 persone fisiche che da sole hanno prodotto i due terzi dei contenuti falsi contro le immunizzazioni fatti circolare negli Stati Uniti. Tra essi, al secondo posto come pericolosità, anche Robert Kennedy Jr, figlio di Bob Kennedy e nipote di JFK, il presidente americano ucciso a Dallas. Ma, oltre agli ideologi del no-vax, tra i dodici ci sono anche molti personaggi che hanno tratto profitto dal loro proselitismo antiscientifico, vendendo servizi di consulenza o prodotti di presunta medicina alternativa non testati, non autorizzati, a volte addirittura nocivi. Il New York Times racconta la storia di Joseph Mercola, un medico osteopata di 67 anni che, con oltre tre milioni di follower sulle sue pagine di Facebook in inglese spagnolo e altre lingue, guida la classifica della pericolosità sociale. Per decenni Mercola, che denuncia un patrimonio di oltre 100 milioni di dollari, ha diffuso veleni contro la medicina ufficiale propagandando e vendendo trattamenti alternativi non autorizzati e di efficacia non verificata: più volte denunciato e multato dagli enti di controllo federali, Mercola una volta ha anche patteggiato dando tre milioni di dollari di risarcimenti ai pazienti che aveva ingannato, oltre a pagare multe salate. Tutto questo non gli ha impedito di tornare alla carica coi vaccini anti Covid: a febbraio li ha definiti una «frode medica», sostenendo che alterano il codice genetico trasformando l’organismo del vaccinato in una inarrestabile fabbrica di proteine virali. Tutto falso ma in poche ore il suo articolo è stato tradotto in varie lingue, dallo spagnolo al polacco e visto centinaia di migliaia di volte su social media (Mercola ha an che 300 mila follower su Twitter e 400 mila su YouTube) avidi di traffico. Ma ora l’emergenza sanitaria può diventare la tomba della totale libertà e irresponsabilità per i contenuti immessi in Rete della quale il mondo dei media digitali ha goduto (a differenza del resto dell’editoria) fin dalla sua nascita grazie a una legge del 1996. Da anni si discute nell’opinione pubblica e in Congresso della opportunità di eliminare o drasticamente limitare la Section 230 di quella legge che all’alba dell’era digitale garantì totale immunità ad alcune imprese allora appena nate che, nel frattempo, sono diventati colossi onnipotenti. Giovedì la senatrice democratica del Minnesota Amy Klobuchar, attivissima sul fronte antitrust con le sue proposte di legge per le quali si è sempre preoccupata di costruire un consenso bipartisan, ha presentato in Senato un’altra norma in base alla quale (se approvata) piattaforme social come Facebook, Twitter e YouTube perderebbero la loro immunità qualora non impedissero la diffusione sui loro canali di informazioni false su gravi emergenze sanitarie come il Covid-19. Questione comunque delicata dal punto di vista dell’intervento del governo perché spetterebbe al ministero della Sanità stabilire quali contenuti sono falsi e pericolosi per la salute pubblica de quali no. Certo, le reti sociali dovrebbero poi, comunque, essere giudicate dai tribunali. Ma perderebbero le protezioni attuali.

Dagotraduzione dal Guardian il 19 luglio 2021. All’origine della stragrande disinformazione e delle teorie del complotto ci sarebbero solo 12 persone. È quanto emerso dal rapporto del Center for Countering Digital Hate (CCDH), organizzazione no profit, citato questa settimana dalla Casa Bianca. Il seguito di queste 12 persone, soprannominate “la dozzina della disinformazione”, combinato tra tutte le piattaforme social, anche se l’impatto maggiore è su Facebook, copre 59 milioni di persone. Il CCDH ha analizzato 812.000 post e tweet di Facebook e ha scoperto che il 65% proveniva dalla dozzina di disinformazione. Vivek Murthy, chirurgo generale statunitense, e Joe Biden si sono concentrati questa settimana sulla disinformazione sui vaccini come forza trainante della diffusione del virus. Solo su Facebook, la dozzina è responsabile del 73% di tutti i contenuti anti-vaccini, sebbene i vaccini siano stati ritenuti sicuri ed efficaci dal governo degli Stati Uniti e dalle sue agenzie di regolamentazione. E il 95% della disinformazione sul Covid segnalata su queste piattaforme non è stata rimossa. Tra la dozzina ci sono medici che hanno abbracciato la pseudoscienza, un bodybuilder, un blogger del benessere, un fanatico religioso e, Robert F Kennedy Jr, il nipote di John F Kennedy che ha anche collegato i vaccini all'autismo e le reti cellulari a banda larga 5G alla pandemia di coronavirus. Da allora Kennedy è stato rimosso da Instagram ma non da Facebook stesso. «Facebook, Google e Twitter hanno messo in atto politiche per prevenire la diffusione della disinformazione sui vaccini; ancora fino ad oggi, non tutti sono riusciti a far rispettare tali politiche in modo soddisfacente», ha scritto l'amministratore delegato di CCDH, Imran Ahmed, nel rapporto. «Tutti sono stati particolarmente inefficaci nel rimuovere la disinformazione dannosa e pericolosa sui vaccini contro il coronavirus». Sebbene da allora le piattaforme abbiano adottato misure per rimuovere molti post e abbiano sospeso tre dei 12 influencer da una delle piattaforme, il CCDH ha chiesto a Facebook e Instagram, Twitter e YouTube di rimuovere completamente dalle loro piattaforme la dozzina di disinformazione. «Le politiche e le dichiarazioni aggiornate hanno poco valore a meno che non siano applicate con forza e coerenza», afferma il rapporto. «Siccome la stragrande maggioranza dei contenuti dannosi sono diffusi da un numero selezionato di account, la rimozione di quei pochi individui e gruppi può ridurre significativamente la quantità di disinformazione diffusa tra le piattaforme».

Maurizio Stefanini per Libero Quotidiano il 28 giugno 2021.

Ago. Un video mostra un uomo a cui viene iniettato il vaccino, ma quando l'infermiera toglie la siringa l'ago non c' è. Vaccinazione finta? In realtà era stata usata una siringa di sicurezza, in cui effettivamente l'ago si ritrae nel dispositivo dopo l'uso.

Bell. Paralisi di Bell è una malattia che è stata attribuita ai vaccini. Durante i test clinici si sono effettivamente verificati sette casi nelle persone che hanno partecipato, ma le indagini non hanno trovato legami con le vaccinazioni.

Chip. «Con i vaccini ti impiantano un chip». A parte il fatto che una tecnologia del genere ancora non esiste, con la gravissima carenza di chip che sta bloccando l'industria mondiale, è quasi come dire che c' è una cospirazione per andare a regalare euro alla gente. 

Doccia. Dopo il vaccino la doccia farebbe male e viene consigliato di saltarla per almeno tre giorni. 

Eva. È il nome di una bambina che la sanitaria statunitense Sara Beltrán Ponce avrebbe perso pr aborto in seguito alla vaccinazione. In realtà la foto che accompagna la voce appartiene a Amy Guy -Ulrich, che ha smentito tutto.

Feti. Il loro utilizzo come materia prima è stato smentito. C' è invece nell' Astrazeneca un adenovirus che determina il raffreddore negli scimpanzé, modificato geneticamente affinché non sia in grado di riprodursi nel nostro corpo. Altri ingredienti: L-istidina, cloruro di magnesio esaidrato e polisorbato, etanolo, saccarosio, cloruro di sodio e di sodio edetato.

G Come 5G. «Il Covid è sta- to provocato dalla tecnologia 5G della telefonia cellulare e il vaccino lo rinforza». Si può provare a immaginare quale è la diffusione del 5G in Perù, in India o nelle favelas, dove il Covid sta dilagando...

Hank Aaron. Campione di baseball leggendario, morto il 22 gennaio all' età di 86 anni, dopo che il 6 gennaio aveva postato una immagine «fiero di farmi il vaccino». La notizia è stata riportata col commento "strane coincidenze". I medici hanno risposto che il decesso non ha niente a che vedere col virus ma con una storia clinica con problemi alla prostata, ipertensione e una osteoartrite che lo aveva ridotto in sedia a rotelle. 

Islam. In molti Paesi islamici circola l'informazione che i vaccini contengano maiale e siano dunque vietati. Un' altra voce è che questa idea la mettono in giro i nemici dell'Islam per far morire più musulmani di Covid. 

Joseph Mercola. Sta al numero uno di una "disinformation dozen" che secondo due studi ha diffuso il 65% degli 812.000 contenuto anti vaccini su Facebook e Twit ter. Da lui viene ad esempio la voce secondo cui la media dei decessi è uguale a quella pre-Covid e dunque la pandemia non sta uccidendo nessuno. Di professione vende integratori alimentari e medicine alternative i quali, spiega ai suoi 3,6 milioni di followers, possono sostituire i vaccini.

Kennedy, Robert Jr. Figlio del povero Bob Kennedy, è il numero due della "disinformation dozen". Ha diffuso la voce che i vaccini anti Covid fanno abortire.

Louis Farrakhan. Religioso statunitense leader della Nation of Islam, ha diffuso una teoria del complotto secondo cui i vaccini contro il Covid-19 sono «la politica del governo per ridurre la popolazione della Terra a due o tre miliardi di persone». 

Monete. I video secondo cui restano attaccate alla pelle di chi si è vaccinato sono autentici: è successo anche all' autore di queste note. Dopo il vaccino mi è rimasta appiccicata una moneta sul braccio vaccinato, e la stessa moneta è rimasta poi appiccicata sul braccio non vaccinato, su una gamba, e addosso ai figli non ancora vaccinati. Resta appiccicata a chiunque abbia la pelle umida per acqua, alcool o sudore. Se però poi si asciuga la zona, il denaro cade giù peggio del bolívar venezuelano.

Northrup, Christiane. Ostetrica e ginecologa. Dice che coi vaccini le malattie aumentano dell'80% e consiglia di usare contro il Covid l'ivermectina, un antiparassitario.

Olismo. Principio filosofico secondo cui «la sommatoria funzionale delle parti è sempre maggiore, o comunque differente, delle medesime parti prese singolarmente». La parola è usata abitualmente da imprenditori di medicine alternative. Si presentano come tali Sayer Ji, titolare del sito GreenMedInfo.com e numero 8 della "Disinfornation Dozen", e la sua socia Kelly Brogan, "psichiatra olistica" e numero 9. 

Essi sostengono che il vaccino Pfizer ha provocato più morti del Covid. 

Polizze. «Le Assicurazioni le rifiutano a chi si è vaccinato per almeno sei mesi». È stato smentito.

Queer. «Il vaccino anti -Covi d rende gay»: lo ha sostenuto in un sermone il rabbino ultra -ortodosso israeliano Daniel Asor. 

Rna. «La tecnologia a mRna dei vaccini modifica il Dna». Tema piuttosto astruso, di cui probabilmente chi non ha fatto studi approfonditi in biologia o medicina capisce solo che le due sigle si assomigliano e identifica un Dna mutato in chiave Frankenstein. In realtà oltre a non avere le "istruzioni" per modificare il Dna, l' Rna messaggero non entra mai nel nucleo della cellula, che è la parte che contiene il genoma, e non può quindi alterarlo in nessun modo.

Sangue. «Il sangue donato da vaccinati viene buttato perché coagula», è la voce che è stata ripetuta anche in Italia. Secondo l'Avis, «non c' è assolutamente nessuna controindicazione alla donazione di sangue da parte di persone vaccinate contro il Covid-19. Anzi, con il plasma dei vaccinati, ricco di anticorpi, si possono ricavare immunoglobuline utilizzabili sotto forma di farmaci per i pazienti in fase iniziale, o come profilassi». 

Tenpenny. Numero quattro della Disinformation Dozen, Sherri Tenpenny è la dottoressa osteopata che in un video prevede una morte in massa di vaccinati che saranno fatto passare come vittime del Covid.

Uomo Lupo. Il vaccino contro il Covid trasforma in Licantropi che poi attaccano altri esseri umani per sbranarli. È circolato questo messaggio sui Social in Bolivia, sia in spagnolo che in quechua, sia pure con formula dubitativa. «Le autorità originarie», dei popoli indigeni delle Ande, «ci avvertono do stare attenti perché c' è un uomo lupo che sta andando in giro. Già sono due o tre le persone che si è mangiato. Sarà vero?». 

Voli. Circola l'informazione che le aerolinee starebbero avvisando i passeggeri vaccinati di non salire a bordo per rischio di coaguli del sangue. L' Associazione Internazionale del Trasporto Aereo smentisce. 

Wolf, Naomi. Storica della bellezza e guru femminista già consigliera di immagine del vicepresidente Al Gore, è stata sospesa da Twitter dopo aver proposto di separare urine e feci dei vaccinati dalle acque reflue per testare l'impatto sui non vaccinati nell' acqua potabile. 

Xylella. La Xylella è stata definita «il Covid degli ulivi» e il Co vid «la xylella dell'essere umano». Metafore aparte, c' è un curioso legame rappresentato dal senatore Lello Ciampolillo, ex Cinque Stelle. È lui che dopo aver proposto di combattere la Xylella col sapone ha infatti poi proposto di combattere il Covid con la cannabis.

Yogurt. È arrivata ad aprile dalla Russia la notizia che si stava studiando un vaccino anti Covid commestibile al sapore di yogurt. Attendiamo speranzosi la conferma. 

Zeneca. «Astrazeneca trasforma in scimpanzè»: notizia che è stata attribuita a una campagna russa per sostenere Sputnik. È vero che c'è nell'Astrazeneca un adenovirus che determina il raffreddore negli scimpanzè. 

Può trasformare in primati allo stesso modo in cui può trasformare in suini l’uso dell'insulina, originariamente estratta dal pancreas dei maiali.

La Guerra Fredda contro la Russia si gioca sul terreno dell’informazione (manipolata). Rec News il  20 Giugno 2021. Meno male che le Fake News le confezionavano gli altri. Dal “furgone inaccessibile” alle Autorità che non si sono accorte di 15 velivoli ad ampia capienza, cosa non torna nella narrazione dei complottisti di sistema. Meno male che le Fake News le confezionava la Russia. La fantasia sembra non mancare nemmeno al mainstream, che da settimane si produce in tripli salti carpiati con avvitamento per tentare di restituire l’immagine di un Putin dalla vita sociale degradata e dal passato pieno di ombre. Che diventa – nella mente dei complottisti di sistema che lo vedono ovunque – il mandante di un’azione di spionaggio in salsa sanitaria che avrebbe toccato Bergamo, i medici russi venuti in soccorso dell’Italia, le basi NATO “da proteggere” e le Autorità militari che non si erano accorte di 15 velivoli ad ampia capienza che atterravano a Pratica di Mare. Sono questi gli ingredienti di un lungo articolo (furbescamente riservato agli abbonati) di un sito-quotidiano che tenta di far passare l’idea che i 106 medici russi atterrati in Italia non fossero qui per aiutare, ma per elaborare in gran segreto lo Sputnik. E i vaccini – affermano i detrattori del personale sanitario altamente specializzato – non sarebbero serviti a salvare vite umane (narrativa che piace a certa parte politica ma che in questo caso non sarebbe tornata utile) ma ad intavolare una guerra commerciale caratterizzata da una corsa a chi arriva prima. Come fa la testata a giungere alla conclusione che ci fosse questo “piano segreto”? A partire da “cinque furgoni inaccessibili agli italiani”, che avrebbero contenuto le strumentazioni per elaborare il vaccino made in Russia a partire dal materiale refertato in Italia. In realtà, tra le unità di supporto giunte in Italia – come scritto dettagliatamente da Rec News – figuravano anche un laboratorio di analisi mobile, tre complessi per la sanificazione di ambienti e mezzi, tre stazioni di sanificazione di ambienti e superfici e due macchine per l’analisi dei tamponi rapidi. Il fatto che alcuni di questi mezzi attrezzati (non “furgoni”, che sa di appostamento) fossero “inaccessibili”, sarebbe inoltre presto spiegato con l’ovvia necessità di proteggere il materiale sanitario da contaminazioni. E a testimonianza del fatto che il contingente russo fosse ben accetto e ben visto ci sono, inoltre, le collaborazioni ripetute con l’Esercito Italiano, con la Regione Lombardia e e con la stessa Asl lombarda, che sono andate avanti serenamente fino ad aprile inoltrato. C’è da dire che il tentativo di sminuire la qualità del supporto offerto dai russi è iniziato lo scorso anno. Ora la questione si ripresenta con urgenza perché un certo universo progressista crede di intravedere in Giuseppi un avversario politico in grado di spostare voti. Ecco allora che Conte diventa quello che “favorì Putin” (mentre prima il filo-russo era Salvini) appunto dando modo ai sovietici di approntare in gran segreto il loro preparato anti-covid e rispondendo favorevolmente alla proposta di aiuto inviata dal presidente della Federazione. In quelle settimane concitate, però, erano stati accolti anche gli albanesi (tale è il marito dell’allora sottosegretario agli Esteri Emanuela Del Re), i cubani (che poi sono stati selezionati per un concorso pubblico ad orologeria) e i cinesi, “gli angeli” delle mascherine ultra-slim che in alcuni casi si sono rivelate contaminate. Questi ultimi si sono trattenuti per settimane su suolo italiano, ma questo non basta a concludere che pensassero al vaccino made in China mentre infilavano le mascherine anche nelle buche delle lettere. Non sono mancate le reazioni all’articolo. Non solo quelle entusiastiche della stampa di matrice berlusconiana ormai perfettamente allineata all’altra parte, ma anche quelle critiche di fonti vicine al Cremlino. “Uno dei giornali più popolari in Italia che promuove l’agenda di sinistra – scrive il Network di Analisi militare AHHA – ha pubblicato un articolo in cui ha cercato di presentare l’assistenza russa fornita all’Italia un anno fa nella lotta al coronavirus come operazione di intelligence russa. Il giornale – ricordano dall’organo di informazione – afferma che l’accordo sull’arrivo dell’esercito russo non è stato concordato né con il ministero degli Esteri né con i generali” e che “gli italiani avrebbero ignorato cosa fosse stato scaricato da 15 aerei militari”. In realtà il 21 marzo era avvenuto un primo contatto telefonico tra il presidente russo e l’allora capo di governo italiano. Qualche giorno dopo la Farnesina, pur senza ringraziare esplicitamente del supporto ricevuto, parlava di “Materiali e capacità giunte dalla Russia” che “sono stati ampiamente descritti e documentati con la consueta trasparenza da parte delle istituzioni”. Ma allora dov’è l’inganno? Dove la spy-story? AHHA un’idea ce l’ha, ed è connessa a quello che definisce il “business high-tech dei vaccini”. Si tratti di preparati sperimentali da piazzare, del Conte riesumato o di qualcosa che non è andato giù dopo l’incontro-scontro con Joe Biden, fa tutto parte del genere letterario anti-Putin sempre e comunque. E tanto basta.

Fake news e vaccini, l’analisi: i tweet più affidabili da Governo, sanità e media. Maglia nera per politica, imprenditoria e istruzione. La società Iconsulting ha sviluppato un algoritmo per analizzare ogni singolo account che dal 27 dicembre 2020 (l'inizio della campagna vaccinale) ha usato gli hashtag #vaccino, #vaccini, #novax, #astrazeneca, #PfizerBioNTech, #Moderna e #sputnik. I profili governativi sono risultati affidabili al 99%, quelli riferibili al mondo della sanità al 91%. A sorpresa, la galassia istruzione si ferma al 37%. L'argomento ha generato in totale 25.691 tweet in lingua italiana: tra questi, sette su dieci erano notizie attendibili. Elisa Cornegliani su Il Fatto Quotidiano il 31 maggio 2021. Un aumento pari al 436%. La pandemia di Covid-19 ha aperto la strada alla diffusione di notizie false. Lo rileva il report 2020 della Polizia postale, lo sottolinea la relazione annuale “Sulla politica dell’informazione per la sicurezza” pubblicata dal Sistema d’informazione per la sicurezza della Repubblica. Sul tema si sono mosse anche le istituzioni europee: la Commissione europea e l’Alto Rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza hanno pubblicato un intervento intitolato “Tackling Covid-19 disinformation: getting the facts right”. Fra le altre cose, il documento invita a promuovere il sostegno dei fact-checkers e a tutelare la libertà di espressione e del dibattito a più voci. Chiede, inoltre, una maggiore trasparenza da parte delle piattaforme online, spesso responsabili di diffondere fake news. Per esempio Twitter, 330 milioni di utenti attivi mensili e 145 milioni di utenti attivi quotidiani. In Italia è usato da quasi 13 milioni di persone. Iconsulting, società di consulenza specializzata nella creazione di valore strategico dai dati, ha messo a punto un algoritmo partendo da due domande: quali, tra i profili in italiano, diffondono bufale? Quali, al contrario, sono più attendibili? Per cercare di rispondere, hanno svolto un’analisi su ogni singolo account che abbia usato gli hashtag #vaccino, #vaccini, #novax, #astrazeneca, #PfizerBioNTech, #Moderna, #sputnik nel periodo fra il 27 dicembre 2020 (il cosiddetto V-Day, l’inizio della campagna vaccinale in Italia) e il 19 Aprile 2021. A ogni contenuto è stato assegnato in percentuale un punteggio di attendibilità: 1% scarsissima, 100% completa. “Abbiamo scelto Twitter perché fra tutti i social è quello più aperto: fin dalla sua fondazione ha deciso che sarebbe stato pubblico”, dice Giorgio Gabbani, senior manager di Icounsulting. “Perciò quello che gli utenti scrivono è accessibile a chiunque”. Non è detto che gli altri social diffondano meno notizie: è però più difficile scovarle a causa di un maggiore spazio dato ai filtri privacy. Dai profili esaminati emerge il podio dei più affidabili. Al primo posto c’è la categoria “organismo governativo”, cioè il governo e le istituzioni con i relativi account ufficiali (99%). Supera inaspettatamente il mondo della sanità, fermo al secondo posto con il 91%. Quest’ultimo è seguito a breve distanza dai media, che nonostante il fenomeno dell’infodemia (la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni inattendibili) si attestano al 90%. In fondo alla classifica dell’attendibilità troviamo invece i politici, che raggiungono un punteggio del 44% e mostrano una media alta di retweet, gli attivisti (43%) e gli imprenditori (40%). Ma ancora più in basso, a sorpresa, si piazza il mondo dell’istruzione (37%). Le diverse categorie hanno in comune l’interesse per l’argomento vaccini, che ha generato in totale 25.691 tweet in lingua italiana e 194.752 retweet. Tra questi, sette su dieci erano notizie attendibili. “Per valutare ogni tweet sfruttiamo il fenomeno delle bolle informative”, in inglese filter bubble, spiega Gabbani: cioè l’effetto bolla, appunto, che filtra la realtà secondo preferenze e like degli utenti. È determinato dall’algoritmo stesso alla base dei social network. Un termine analogo è echo chamber, la cui definizione si trova sulla Treccani: “Situazione in cui informazioni, idee o credenze più o meno veritiere vengono amplificate da una ripetitiva trasmissione e ritrasmissione all’interno di un ambito omogeneo e chiuso, in cui visioni e interpretazioni divergenti finiscono per non trovare più considerazione”. Il sistema messo a punto da Iconsulting “cerca di identificare i modelli con cui, all’interno delle bolle stesse, le notizie si diffondono e vengono ricondivise”, prosegue. “Si parte fornendo all’algoritmo una conoscenza di base. Gli vengono fornite informazioni già sottoposte a fact checking, e quindi già etichettate come vere o come false. A questo punto sfruttiamo i meccanismi di interazione sui social per svolgere un controllo su quelle notizie che ancora non sono state esaminate”. La pandemia ha indotto le piattaforme social a fare qualche passo in più per monitorare l’affidabilità delle informazioni. Ronan Costello, Senior Public Policy Manager di Twitter in Europa, ha fatto sapere che in un anno (quello del Covid) sono stati rimossi circa 22.400 tweet. In Italia, nel 2020 il ministero della Salute ha stipulato un accordo con la piattaforma per chiedere che venga posto in evidenza nelle ricerche il link al proprio sito ufficiale. Accordo rinnovato lo scorso aprile proprio per incoraggiare una corretta informazione in merito ai vaccini e alla campagna vaccinale.

Il gemello di Butac ci ha dedicato un articolo. Zaira Bartucca su Rec News il 16 Marzo 2021. Il pluri-foraggiato Facta ci ha dedicato un pezzo di “Factchecking” di quelli che cozzano con i “Facts”. L’autore o autrice che non si firma… l gemello di Butac, il pluri-foraggiato Facta, ci ha dedicato un articolo dal titolo a effetto “No, il governo israeliano non dovrà rispondere di crimini contro l’umanità” per la campagna di vaccinazione“. L’autore o autrice che non si firma – potrebbe essere chi si è occupato per otto anni di ricette di cucina, chi fa il social media manager o chi scrive saggi sulla “cultura dell’estinzione dei viventi” – ha confezionato un articolo di fact-checking, di quelli che non tengono in debita considerazione i “facts”. Due: la denuncia esiste, il documento esiste (lo abbiamo pubblicato, anche se loro preferiscono non scriverlo). Dunque, non c’è nessuna “notizia falsa”. Del resto i lettori (che ormai si fanno abbindolare sempre meno da questi comunicatori pagati a cottimo dalle big tech, dai governi e dalla stessa Ue) sapranno trarre le loro conclusioni da soli. Noi – a differenza di altri – non vogliamo convincere nessuno, non ordiniamo a nessuno di credere o non credere a una determinata cosa (per noi ognuno ha il suo cervello, l’abbindolamento delle masse non è tra le nostre priorità) e non crediamo di avere la verità in tasca. Facciamo solo il nostro lavoro con impegno, passione ed estrema dedizione verso l’interesse comune (non verso interessi specifici) esercitando i nostri diritti di critica e soprattutto di cronaca. Quelli che qualcuno – articolo dopo articolo e post social dopo post – tenta di mettere quotidianamente in discussione. Ma noi andiamo avanti, incuranti. Di seguito la rettifica che ho inviato, chiedendone la pubblicazione. Sappiamo già, comunque, qual è l’abitudine di questo tipo di siti che non contrastano la disinformazione, ma la propagano: ignorare ogni contraddittorio e ogni rettifica. Chissà: magari questa volta ci stupiranno.

In qualità di direttore di Rec News chiedo alla Redazione di Facta di rettificare l’articolo “No, il governo israeliano non dovrà rispondere di crimini contro l’umanità” per la campagna di vaccinazione” entro 48 ore dalla ricezione della presente, e di dare alla rettifica la stessa rilevanza concessa all’articolo di partenza, come previsto dalla normativa vigente. Recnews.it è un sito di Inchieste e di approfondimento giornalistico iscritto al ROC dell’Agcom. Pubblichiamo solo contenuti verificati citando sempre le fonti interne ed esterne integrando i contenuti con le fonti documentali, laddove disponibili. Come in questo caso. Il nostro sito è gestito da giornalisti regolarmente iscritti all’Ordine. Tanto premesso, non accettiamo lezioni sulla nostra professione da pari grado in qualche caso troppo giovani o che – leggo – hanno lavorato per giornali di ricette di cucina. Nessuno ha la patente di Verità in tasca: non ce l’ha Rec News ma nemmeno un sito come Facta (finanziato da Facebook e da altri organismi interessati) che lavora sui post social, sui messaggini whatsapp e ben che vada sul lavoro degli altri, esclusivamente per screditarlo o vantarlo a seconda delle necessità dettate dall’azienda committente. Non basta un nome per arrogarsi la pretesa di occuparsi in via esclusiva di fatti, tanto più che il vostro non è giornalismo scientifico. Quello lo facciamo noi (lo sapevate?) utilizzando strumenti OSINT. Non ogni giorno, certo, vista la complessità di questo tipo di indagini e il tempo che richiedono per il loro espletamento. “Vaccini compulsivi in Israele”, il governo finisce davanti al Tribunale dell’Aja La Corte Penale internazionale chiamata a pronunciarsi dopo la denuncia di due avvocati. L’accusa è di violazione del Codice di Norimberga e di crimini contro l’umanità e la libertà personale. Questo anche per far comprendere che Rec News non c’entra assolutamente nulla con i siti che si dedicano a una “martellante campagna di bufale anti-scientifiche e pro-QAnon”, quindi non vediamo per quale motivo dobbiamo essere accomunati a questo tipo di produzioni. Contiamo di essere smentiti, ma Facta appare a un primo sguardo come l’ennesimo contenitore di Fact-checking strumentale che ha un occhio aperto e l’altro chiuso, un po’ sul modello di Butac. Ovviamente, ha una veste grafica molto più curata che serve ad ammantare il tutto di un’autorevolezza che, spiace, ma è assente. In dieci anni di lavoro non mi è mai capitato di leggere inchieste dei signori Zagni o Fontana, e se mai le ho lette non le ricordo, quindi tant’è. Sarei ben contenta, in caso, di valutarle, visto che il giornalismo di inchiesta caratterizza buona parte degli articoli che ho prodotto negli ultimi dieci anni. Nel merito della rettifica, il Vostro articolo non solo non smentisce Rec News, ma ammette l’esistenza del documento da noi pubblicato e l’esistenza della denuncia dei due avvocati. Non abbiamo mai parlato di condanne (come lasciate intendere), anzi a differenza vostra abbiamo riportato la denuncia integralmente e non parzialmente. Vorrei, infine, porre una domanda al direttore di Facta, che si assumerà la responsabilità di quanto è stato pubblicato contro Rec News in caso di mancata rettifica: perché la bacheca di segnalazioni da lei diretta dovrebbe avere più autorevolezza di siti come Israel News – cui abbiamo fatto riferimento senza che i suoi collaboratori se ne accorgessero – o dello stesso Rec News, che in due anni ha pubblicato una mole di inchieste esclusive davvero inattesa per un sito indipendente che si regge unicamente sulle proprie gambe, a differenza vostra? L’anonimo autore dell’articolo ha avuto modo di considerare realmente i contenuti di Rec News (non solo sulla base della segnalazione di qualche rosicone, intendo) prima di catalogarli come “disinformazione”? E qual è, poi, per Facta la “disinformazione” pubblicata da Rec News? Un articolo in cui si dà conto delle recenti dichiarazioni di Jack Nicklaus sui ricoveri covid e il parere medico della dottoressa Margarite Griesz Besson sull’utilizzo della mascherina, peraltro pubblicato in via integrale senza manipolazioni di sorta. Facta si sente di etichettare come “disinformazione” due pareri (ripeto, uno dei quali medico) solo perché non è d’accordo con il tenore di quanto dichiarato? Attendo, direttore, sue cortesi risposte, sperando che non ignori le rettifiche come fa Butac o come fa Gayburg: quest’ultimo, per esempio, è un autentico sito di disinformazione cui non avete mai dedicato neppure due righe: glielo segnalo, sperando che lei non sia parte attiva della campagna di discredito che sta interessando il sito che dirigo, solo perché si permette di discostarsi da certa narrativa ufficiale sulla bontà indiscussa di tamponi, mascherine e vaccini.

Zaira Bartucca Direttore e Founder di Rec News, Giornalista. Inizia a scrivere nel 2010 per la versione cartacea dell’attuale Quotidiano del Sud. Presso la testata ottiene l’abilitazione per iscriversi all’Albo nazionale dei giornalisti, che avviene nel 2013. Dal 2015 è giornalista praticante. Ha firmato diverse inchieste per quotidiani, siti e settimanali sulla sanità calabrese, sulle ambiguità dell’Ordine dei giornalisti, sul sistema Riace, sui rapporti tra imprenditoria e Vaticano, sulle malattie professionali e sulle correlazioni tra determinati fattori ambientali e l’incidenza di particolari patologie. Più di recente, sull’affaire Coronavirus e su “Milano come Bibbiano”. Tra gli intervistati Gunter Pauli, Vittorio Sgarbi, Giulio Tarro, Armando Siri, Gianmarco Centinaio, Michela Marzano, Vito Crimi, Daniela Santanché. Premio Comunical (2014, Corecom/AgCom). Autrice de “I padroni di Riace – Mimmo Lucano e gli altri. Storie di un sistema che ha messo in crisi le casse dello Stato”. · · ·

Facta e Zagni si riutano di retticare. Perché così tanta paura del confronto? Rec News il  19 Marzo 2021.  Lo avevamo definito il gemello di Butac, e non a caso. La corsa campestre (con affanno) del direttore ci ricorda quella di Coltelli. Bloccati i nostri commenti al sito e i messaggi Whatsapp. Profilo Twitter ripulito dalle risposte (come è possibile?) in cui tentavamo di dire la nostra Comunicazione di servizio acta – pluri-finanziato sito di debunking strumentale – ci ha rifiutato la rettifica, che deve avvenire entro 48 ore dalla ricezione ed essere pubblicata con rilevanza pari rispetto all’articolo di partenza. La richiesta è stata inviata il 16 marzo via PEC. Sollecitazioni alla redazione sono giunte via Whatsapp nella giornata di ieri. Messaggi via Whatsapp sono stati recapitati al numero del direttore Giovanni Zagni, che in tutta risposta ha bloccato il nostro recapito. Facta ha inoltre provveduto a rastrellare i nostri commenti inviati al sito (in cui semplicemente chiedevamo notizie sulla rettifica) e perno i tweet di @RN_Inchieste tramite cui abbiamo provato a rendere nota anche la nostra versione dei fatti. Zagni e compagni – come Butac a suo tempo non ammettono alcun confronto e alcun contraddittorio. Quello che scrivono loro deve essere oro colato, perché i redattori di Facta – a scelta tra il social media manager e lo scrittore di ricette di cucina – si sentono a buon diritto più titolati degli altri. Nei fatti (come abbiamo reso noto tramite la rettifica che abbiamo pubblicato su Rec News prevedendo la violazione deontologica di Facta) il sito non solo non ci ha smentito, ma ci ha dato ragione sull’esistenza della denuncia al governo israeliano e sul documento. “Vaccini compulsivi in Israele”, il governo finisce davanti al Tribunale dell’Aja La Corte Penale internazionale chiamata a pronunciarsi dopo la denuncia di due avvocati. L’accusa è di violazione del Codice di Norimberga e di crimini contro l’umanità.

Vaccini sprecati a Crotone? La “bufala” approda in Tv. Un testo sui social scatena le polemiche sulla gestione delle dosi a Crotone. Il virologo Burioni: «Sempre peggio». La dura replica del presidente Spirlì e del commissario dell’Asp. Antonio Anastasi su Il Quotidiano del Sud il 16 marzo 2021. Quando Fabio Fazio ha fatto riferimento al post sui vaccini sprecati a Crotone, e il virologo Roberto Burioni ha risposto col commento «sempre peggio», i vertici dell’Asp pitagorica sono saltati dal divano. La sedicente figlia di un medico segnalava al noto immunologo che, durante la somministrazione ai dializzati, se rimangono dosi e non si trovano over 80, i vaccini vengono buttati, o almeno così avrebbe deciso il responsabile delle vaccinazioni, proprio in questa fase in cui «Pfizer e Moderna sono oro». Burioni, ai microfoni di “Che tempo che fa”, ha rincarato la dose, non di vaccino ma di polemiche, aggiungendo di non aver «elementi per dubitare della veridicità della denuncia della figlia di un medico». Ma non hanno dubbi, all’Asp di Crotone, che si tratti di una «bufala». Il direttore amministrativo, Francesco Masciari, precisa che a lui «questa storia non risulta»; risulta, invece, che «soltanto nella giornata di sabato l’Asp di Crotone ha distribuito 1056 vaccini». Analoga la reazione del direttore del dipartimento di prevenzione, Pietro Brisinda, che non comprende come «si presti il fianco a sciocchezze del genere, senza precisare chi sia a denunciare». Un post su Facebook che diventa un caso nazionale, suscitando reazioni a tutti i livelli. «La Calabria non è terra di conquista, né terreno fertile per polemiche pre-elettorali. L’emergenza che colpisce non solo questa regione, ma tutta l’Italia, l’Europa e il mondo, dovrebbe insegnare ai polemici a pagamento che questo è il momento della solidarietà e dell’aiuto reciproco. E non delle pagelle né, tanto meno, delle bocciature a settembre», ha detto il presidente della Regione Calabria, Nino Spirlì. E ancora: «Qui non si sta giocando, si sta lavorando malgrado una sanità indebolita da decenni di ladrocinio e da un commissariamento inutile, che ha ingigantito i problemi. Il lavoro quotidiano e continuo del commissario Longo, dei commissari di Asp e aziende ospedaliere e del sottoscritto non merita questa gogna costante. È venuto il momento di smetterla con questo giornalismo di finto assalto, che segue solo e semplicemente la scia di una finta informazione, priva di contenuto. Sarebbe bene usare telecamere e microfoni anche dove la gente si spacca la schiena per lavorare». Anche il commissario dell’Asp, Domenico Sperlì, ha preso posizione a difesa degli operatori. «In questo momento di grave emergenza nazionale – afferma –, l’Asp di Crotone sta profondendo un grandissimo sforzo organizzativo per garantire l’efficace andamento della campagna vaccinale anti Covid-19 sul territorio della provincia. Una fase di estrema delicatezza, che vede impegnati quotidianamente decine e decine di operatori sanitari e di amministrativi aziendali in tutti i Comuni del crotonese, in stretto raccordo con la Presidenza e gli uffici regionali e con il commissario ad acta Longo». Pertanto «sorprende non poco l’approssimazione con la quale l’Asp è stata fatta oggetto di critiche, in prima serata Rai, per un asserito spreco di vaccini residuati e non somministrati. Critiche riconducibili a una segnalazione inviata alla mail di un noto immunologo italiano, e proveniente da un profilo privato non identificabile, che, tuttavia, il noto immunologo ha ritenuto di stigmatizzare in diretta televisiva senza minimamente porsi il problema della veridicità, o quantomeno del riscontro, di quanto denunciato. E dire – puntualizza ancora il commissario – che la protesta circa il presunto spreco di vaccini appare infondata già nella sua stessa articolazione, nella quale si fa riferimento a due linee vaccinali (over 80 e dializzati) le quali, nella nostra organizzazione, seguono percorsi del tutto differenziati, ovvero vaccinazioni territoriali mediate dal medico di base per gli over 80, e vaccinazioni ospedaliere mediate dal medico competente per i dializzati. Due mondi che non si incontrano».

Pietro Senaldi contro il Pd: "Ci attaccano perché diciamo la verità sui vaccini". Libero Quotidiano il 06 gennaio 2021. C'era una volta un partito della sinistra, grande nei numeri, nelle ambizioni, e nelle scemenze con cui lavava il cervello ai suoi elettori. Era il Pd, ex Pds, ex Ds, ex Pci. Oggi quel partito non ha più numeri adeguati che gli consentano di menare il torrone. Vivacchia alla metà dei consensi ai quali lo portò Matteo Renzi, alle Europee del 2014. Ma oggi quel partito non è più grande neppure nelle ambizioni. È riuscito ad arrivare al governo con un gioco di palazzo, dopo che gli italiani lo avevano bocciato sonoramente, relegandolo dietro al centrodestra e ai grillini, ma di fatto non governa, e neppure desidera farlo. Si limita a occupare poltrone, delegando ogni responsabilità e scelta a Conte, ai suoi commissari, alla Ue, perfino a Di Maio. Gli italiani, anche i più informati, non sanno quale idea del Paese abbiano Franceschini, Boccia, Zingaretti, Marcucci, la De Micheli e Orlando, l'attuale crème dell'ex carrozzone rosso. Il migliore in circolazione sembrerebbe il ministro Amendola, costretto al ruolo di funambolo tra Bruxelles, Palazzo Chigi, le mattane di Casalino, i tremori di Speranza, la calcolatrice rotta e le lenti appannate di Gualtieri, ministro dell'Economia senza laurea in Economia.  Le sole cose che sono rimaste davvero grandi nel Partito Democratico sono le incredibili frottole che i suoi esponenti sfornano a getto continuo per infangare chi li critica, sperando di pulirsi il cappotto scaricando sugli altri il letame con il quale se lo sono lerciati. Così due giorni fa i deputati dem, i quali hanno ottenuto seggio e stipendio grazie a Renzi, che oggi schifano e combattono pur di tenersi la poltrona, hanno fatto un comunicato contro il nostro giornale accusandoci di sfornare «fake news che sono un insulto al Paese». I progressisti reputano che sia «intollerabile» che Libero non fermi la sua propaganda neppure davanti ai vaccini». I trinariciuti ce l'hanno con noi perché abbiamo scritto che tutti i Paesi stanno vaccinando a più non posso tranne l'Italia, a causa di Arcuri, che ha comprato meno dosi degli altri, non si è coordinato con le Regioni, ha sbagliato l'acquisto delle siringhe, non ha coinvolto nell'operazione la sanità privata e ha fatto un bando per l'assunzione a tempo degli infermieri necessari al programma di profilassi tardivo e impreciso. Sono tutte verità documentate. Quando abbiamo scritto l'articolo per cui ci accusano l'Italia aveva utilizzato meno del 10% delle dosi di siero di cui disponeva, che comunque sono di numero ben inferiore (470mila) rispetto a quelle in dotazione agli altri Stati. E ancora oggi abbiamo un decimo dei vaccinati rispetto alla Gran Bretagna e a Israele, la metà di quelli tedeschi e, parametrati alla popolazione, il 25% di quelli ungheresi e un ottavo dei portoghesi o dei danesi. Abbiamo calcolato che, andando avanti a questo ritmo, serviranno 23 anni per vaccinare tutti gli italiani. Si tratta di matematica, non opinioni. Peraltro le responsabilità principali non sarebbero neppure da imputare ai dem, visto che Conte, Casalino, Arcuri e Speranza, governano la pandemia da soli. Ma i deputati Pd, anziché difendere il popolo, difendono l'avvocato del popolo e delle cause perse. Brutta fine. Si chiamano democratici ma si accontentano di fare le belle statuine in Parlamento, inghiottendo senza fiatare decreti presidenziali e approvando manovre finanziarie in barba a ogni prassi e regolamento. Hanno abdicato al ruolo di partito guida della sinistra per fare i reggicoda del premier e del super commissario alla pandemia. Un tempo i comunisti mentivano in nome dell'ideologia, per convincere la gente che, se avessero governato loro, sarebbe stata meglio. Oggi mentono in nome della difesa della propria poltrona. Siccome urlare più forte di chi urla di mestiere non fa per noi, come sempre ci sediamo sulla riva del fiume e aspettiamo. Il governo ha detto che entro marzo saranno vaccinate tredici milioni di persone. Saremmo felici se, per una volta, avesse ragione lui e non noi. Ma i primi a non crederci sono i pochi piddini onesti. «Bisogna fare di più per i vaccini, o finiremo tra dieci anni» recita la nota divulgata ieri dal dem Stefano Pedica, che prevediamo sarà anch' egli criticato dai compagni di partito per aver detto la verità. 

Covid: la bufala dei 30 milioni di vaccini acquistati dalla Germania fuori dal piano Ue. Alessandro Butticé su Il Riformista il 4 Gennaio 2021. Chi semina vento raccoglie tempesta, dice un proverbio. C’è quindi da augurarsi che i tanti urlatori e agitatori nostrani, anche tra i media, in questo inizio 2021 non continuino a seminarne abbastanza da provocare pericolose tempeste, che potrebbero diventare non solo verbali, sul nostro paese. E che verrebbero raccolte, più che da chi le ha provocate, dal solito Pantalone nazionale. Per chi scrive constatare che l’opinione pubblica italiana sta cavalcando un atavico problema psicologico con la Germania, dal quale sembra non riuscire a liberarsi, è preoccupante. Non solo perché rischia di nutrire i non pochi sovranisti tedeschi che assediano Angela Merkel, considerandosi vittime della generosità Ue verso le stereotipate “cicale corrotte e mafiose” del Sud, con conseguenti possibili ritorsioni a danno dei nostri interessi economici nazionali. Ma anche perché, ed è ancora più grave, è un problema che si nutre troppo spesso di vere e proprie fake news. Che per essere linguisticamente sovranisti definiremmo come “bufale”. L’ultimo esempio viene dalla campagna anti-tedesca a proposito degli acquisti di dosi supplementari di vaccino BioNTech da parte della Germania. Alimentata da parte della stampa italiana, con il sostegno indiretto di alcuni esponenti delle opposizioni e del governo. Ne ho voluto parlare con chi la Germania la conosce bene, ma conosce ancora meglio le regole europee. Fabio Colasanti, romano doc, economista laureato alla Sapienza e sposato da anni con una cittadina tedesca. Che è stato anche stretto collaboratore di Romano Prodi quando era Presidente della Commissione Europea, ove a sua volta ha ricoperto l’incarico di Direttore Generale dell’Industria e delle Imprese, prima, e della società dell’informazione fino al 2010.

Alcuni hanno accusato la Germania di essersi comportata alla Marchese del Grillo maniera, violando gli accordi europei in materia di approvvigionamento dei vaccini anti-covid. Cosa può dirci in proposito?

«Che la polemica è senza fondamento. La Commissione europea ha proposto agli stati membri di negoziare assieme l’acquisto nelle necessarie dosi di vaccino anti-Covid da varie ditte. Come parte dell’accordo raggiunto tra i paesi membri, i quali si sono impegnati a non negoziare acquisti bilaterali con le singole ditte fornitrici. Cosa più che logica».

E allora perché la Germania ha comprato direttamente svariati milioni di dosi in bilaterale?

«Perché i negoziati condotti dalla Commissione hanno portato a pre-ordini da varie ditte per un totale di 1,4 miliardi di dosi, con la possibilità di arrivare quasi a due miliardi se necessario. Le forniture dei vaccini sono ripartite tra gli stati membri in funzione della loro popolazione. I negoziati con le ditte fornitrici sono quindi conclusi da parecchio tempo e la proibizione di accordi bilaterali non ha più alcun senso. Le 100 milioni di dosi supplementari della BioNTech di cui si è parlato recentemente erano già previsti nell’accordo iniziale e sarebbero dipese dalle capacità di produzione della Pfizer/BioNTech».

Può spiegare meglio?

«All’interno di questi accordi, gli stati membri hanno potuto esprimere delle preferenze.  La Germania ha investito molto sul vaccino Pfizer-BioNTech, mentre il nostro paese ha ordinato una quantità di vaccini Astra Zeneca doppia di quella degli ordini di vaccini BioNTech. Probabilmente perché il vaccino Astra Zeneca è sviluppato insieme alla IRBM di Pomezia. In un primo tempo il ministro tedesco Jens Spahn è stato criticato per aver comprato troppe poche dosi di vaccino, mentre la stampa ha parlato molto bene della BioNTech».

Forse con l’intento di favorire la BioNTech perché tedesca?

«Oggettivamente BioNTech ha una bella storia.  È stata fondata da una coppia di ricercatori turchi (marito e moglie, Uğur Şahin e Özlem Türeci) che vivono in Germania da molti anni. La moglie, Özlem Türeci, è nata in Germania da genitori entrambi turchi, mentre il marito è arrivato in Germania da bambino. La ricercatrice che più ha contribuito alla creazione del vaccino è ungherese, Katalin Karikó. I due fondatori avevano già creato un’altra società biotech che hanno venduto alcuni anni fa, guadagnandoci molti soldi. Hanno poi creato una nuova società, la BioNTech nel 2008, soprattutto per il piacere di continuare a fare ricerca (non avevano più molto bisogno di guadagnare altri soldi per vivere bene). Quando hanno avuto le prime notizie sul Sars-CoV-2 hanno deciso di sospendere tutti i progetti di ricerca che avevano in corso e di concentrarsi unicamente sulla ricerca di un vaccino anti Covid. Una scelta che un’impresa quotata in borsa e con un azionariato diffuso avrebbe difficilmente potuto fare».

Come hanno fatto allora a sviluppare le ricerche sul vaccino?

«A settembre 2019, la fondazione Belinda e Bill Gates ha investito 55 milioni di dollari nella BioNTech. A dicembre 2019 la BioNTech ha ricevuto anche un finanziamento di 50 milioni di euro della Banca Europea per gli Investimenti nel quadro del programma della Commissione europea “Invest for Europe”. Mentre a giugno 2020 ha ricevuto un altro investimento di 250 milioni di dollari dalla Temasek di Singapore e un prestito della Banca Europea per gli Investimenti pari a 100 milioni di euro».

E la collaborazione con la Pfizer?

«Nello sviluppo del vaccino, la BioNtech si è alleata alla Pfizer, il cui CEO è un greco, per sfruttare le possibilità organizzative e finanziarie della multinazionale per l’enorme lavoro di testing del vaccino e per la sua produzione. La BioNTech ha firmato contratti per fornire 300 milioni di dosi all’Unione europea (200 + 100), 120 milioni di dosi al Giappone, 100 milioni di dosi agli Stati Uniti e 40 milioni di dosi al Regno Unito. A settembre la BioNTech ha acquistato dalla Novartis una fabbrica a Marburg nell’Assia, in Germania, riprendendo i suoi 300 dipendenti, e la sta trasformando in un’unità per la produzione del vaccino anti-Covid che dovrebbe iniziare tra un paio di mesi.  Il gruppo BioNTech-Pfizer ha annunciato di poter produrre circa un miliardo e trecento milioni di dosi nel corso del 2021, secondo il Vaccine Tracker del Financial Times e comunicati della Commissione europea».

Perché allora si parla di vendita diretta alla Germania, fuori degli accordi europei, di trenta milioni di vaccini?

«Il due dicembre, il ministro Jens Spahn – rispondendo alle critiche di aver acquistato un numero insufficiente di dosi – ha dichiarato a Bloomberg di voler esaminare la possibilità di acquistare altre dosi di vaccino dalla BioNTech e dalla CureVac, a condizione che questi acquisti non interferissero con gli accordi già firmati a livello europeo.   La Germania (il 19 dicembre, secondo fonti stampa) ha poi consultato su questa questione gli stati membri. Nessuno avrebbe avuto nulla da ridire essendo il periodo di negoziazione con le ditte chiuso da tempo. Dopo questa informazione il ministro Spahn, in maniera un po’ azzardata, ha annunciato alla stampa di aver concluso l’acquisto di altre 30 milioni di dosi dalla BioNTech. Dosi da consegnare dopo le circa 70 milioni di dosi previste con gli accordi europei, da consegnare quindi a fine 2021.   Cosa molto importante è che il 30 dicembre la BioNTech ha però affermato di non aver ancora sottoscritto alcun accordo con il governo tedesco. Evidentemente la BioNTech sa di poter sottoscrivere un accordo di questo tipo solo dopo aver rispettato gli accordi sottoscritti con la Commissione europea, attraverso la consegna effettiva delle dosi previste».

Un errore del ministro tedesco allora nell’annunciare l’acquisto fuori sacco?

«Il pubblico annuncio del ministro Spahn, che è uno dei candidati alla successione della signora Merkel, è stato sicuramente un po’ affrettato. Comunque non ha e non può avere alcun effetto negativo sugli accordi e le forniture negoziati a livello europeo».

Perché allora tanto clamore in Italia quando sarebbe bastato poco per comprendere la situazione?

«Perché le reazioni di alcuni media italiani dimostrano che dobbiamo ancora maturare parecchio. Ci sarebbero invece molte cose più importanti da dire sugli acquisti di vaccini.   Ad esempio che lo sviluppo in tempi così rapidi di vaccini anti-Covid è un risultato storico per l’umanità.   Ma anche che ci sono stati molti finanziamenti di stati europei e della stessa Unione europea, seppure il contributo più forte sia venuto dagli Stati Uniti con lo stanziamento di 10 miliardi di dollari effettuato con l’operazione Warp Speed. Ma si dovrebbe anche dire che, al 15 dicembre, il 51 per cento degli accordi commerciali conclusi riguarda forniture a paesi ad alto reddito che hanno il 14 per cento della popolazione mondiale. Ciò significa che un quarto della popolazione mondiale probabilmente non riceverà alcuna dose dei vaccini prima del 2022».

Marco Bresolin per “La Stampa” il 7 gennaio 2021. La fuga in avanti della Germania per assicurarsi 30 milioni di dosi extra del vaccino di Pfizer/BioNTech sembra in netto contrasto con gli accordi sottoscritti in estate dai governi Ue. Ma la Commissione Ue - che dovrebbe essere il garante imparziale di queste intese - non vede, non sente e quando parla si contraddice, tradendo un evidente imbarazzo che conferma i sospetti di chi denuncia una violazione del patto a 27. Un episodio che si aggiunge alle critiche tedesche nei confronti di Parigi, accusata di aver frenato gli acquisti del vaccino Pfizer/BioNTech per favorire la francese Sanofi, e che avvelena ulteriormente il clima attorno all'operazione Ue. Lunedì il governo tedesco ha rivelato che l'intesa con Pfizer per i 30 milioni di vaccini era stata siglata a settembre. L'articolo 7 del documento sulla strategia vaccinale Ue, approvato a giugno dalla Commissione, è però chiaro: divieto di negoziare separatamente per i governi nazionali. Trattative bilaterali con i produttori sono possibili solo dopo che la Commissione ha firmato i contratti a nome dei 27. E quello con Pfizer/BioNTech (per la fornitura di 200 milioni di dosi, più un'opzione per altri 100 milioni) è stato siglato da Bruxelles solo a novembre, due mesi dopo. Interrogato sulla questione, ieri il portavoce della Commissione ha fornito risposte vaghe e in parte contraddittorie: «Da quanto comprendiamo, il negoziato della Germania si svolge nel contesto dell'opzione che la Commissione sta esercitando per ottenere 100 milioni di dosi aggiuntive». Una versione che però contrasta con quella tedesca. E che comunque, numeri alla mano, non torna: Berlino ha il 18% della popolazione Ue e dunque avrebbe diritto a 18 milioni di dosi aggiuntive, non 30 (teoricamente la quota può aumentare, ma serve che altri Paesi rinuncino e in ogni caso la variazione non può essere negoziata con i produttori). Di fronte all'incongruenza, incalzato dai giornalisti, il portavoce ha cercato di svicolare: «Non spetta a noi dire se esiste un accordo bilaterale tra la Germania e Pfizer/BioNTech». Berlino avrebbe trattato separatamente anche con CureVac per avere ulteriori 20 milioni di dosi. Accordi che violerebbero il patto a 27, ma evidentemente la Commissione preferisce far finta di non vedere.

ALESSANDRO GIORGIUTTI per Libero Quotidiano il 10 gennaio 2021. Nonostante il nuovo accordo firmato con Pfizer e BioNtech dalla Commissione europea per la fornitura di 300 milioni di dosi supplementari di vaccino, che si aggiungono ai 300 milioni già prenotati, la Germania non ha affatto rinunciato alla sua opzione d' acquisto di 30 milioni di dosi, frutto di una trattativa separata di Berlino con la multinazionale americana e l' azienda tedesca risalente allo scorso settembre, nonostante un accordo tra Commissione di Bruxelles e Stati membri e proibisse a questi ultimi di negoziare per conto proprio. Ma non basta. Nel sito del ministero della Sanità tedesco si scrive apertamente che trattative separate dall' iniziativa comune europea sono state portate avanti da Berlino anche con l' americana Moderna, il cui vaccino è stato approvato in Europa mercoledì, e con la tedesca CureVac il cui preparato è invece ancora alle fasi sperimentali. Nello specifico, la Germania avrebbe un accordo per una quantità imprecisata di dosi del vaccino Moderna e per 20 milioni di dosi del vaccino CureVac. «nel nostro stesso interesse» Il governo tedesco è diviso sulla strategia da tenere, con alcuni elementi che da subito hanno premuto per fare da sé, e con la Merkel che ha invece spinto per assecondare l' iniziativa comune europea. L' acquisto in comune di vaccini «è nel nostro stesso interesse», ha affermato ancora martedì, perché il Paese «è circondato dagli altri Paesi europei» i cui cittadini possono circolare liberamente in Germania. Tuttavia, la cancelliera si è tenuta le mani libere, innervosendo gli altri Stati membri e mettendo in imbarazzo la presidente (tedesca, ed ex ministra della Merkel) della Commissione europea Ursula Von der Leyen. La quale, venerdì, ha voluto precisare che, dopo il nuovo accordo con Pfizer-BioNtech l' Unione europea dispone di un numero «sufficiente di dosi per vaccinare 380 milioni di europei, cioè l' 80% della popolazione, e altri vaccini arriveranno nelle settimane e nei mesi a venire». Oltre alle 600 milioni di dosi di Pfizer-BioNtech la Commissione ha opzionato 160 milioni di dosi Moderna. Bruxelles ha inoltre firmato contratti con AstraZeneca, Johnson&Johnson, Sanofi e CureVac per un totale di 2,3 miliardi di dosi. Il problema sono i tempi. Per questi ultimi quattro vaccini si aspetta ancora il via libera dell' autorità regolatoria europea (nel caso di AstraZeneca) o la fine delle sperimentazioni. Ma anche Pfizer-BioNtech e Moderna sono in difficoltà a far fronte alla domanda mondiale. Questo spiega anche perché paradossalmente non si possa ancora correre con le vaccinazioni, al ritmo che l' emergenza imporrebbe: per il rischio di esaurire le scorte troppo in fretta e non essere in grado di praticare la seconda iniezione (il "richiamo") dopo tre settimane. Ieri lo spiegava il governatore del Veneto Luca Zaia: «D' ora in poi con le prossime partite di vaccini in arrivo ne accantoneremo una parte, che ci servirà per i richiami». Una prassi che muterebbe con la possibile approvazione (a fine mese?) del vaccino prodotto da AstraZeneca. «Se dovesse sbloccarsi quella partita lo scenario cambierebbe decisamente: avremo tanti vaccini e faremo così sessioni h24 anche con i medici di base per vaccinare il più possibile». Ieri alle 20.40 l' Italia aveva somministrato 555.855 dosi di vaccini, cifra simile a quella della Germania (532.878 vaccinati, dato aggiornato all' 8 gennaio).

Antonio Grizzuti per “La Verità” il 6 gennaio 2021. Quella pubblicata lunedì in esclusiva dalla Bild non rappresenta solamente la lettera del «disastro europeo del vaccino», come l'ha definita il tabloid tedesco, ma anche la prova provata delle sparate del ministro della Salute, Roberto Speranza. La missiva scovata dai giornalisti del quotidiano berlinese aggiunge infatti nuovi e, per certi versi, eclatanti particolari alla vicenda del fantomatico contratto per l'acquisto del vaccino Astrazeneca. Un accordo più volte sbandierato - anche in Parlamento - dal numero uno di Lungotevere Ripa. Trattandosi di una vicenda complessa, conviene fare un passo indietro. Precisamente al 13 giugno 2020, giorno nel quale, dalla lussuosa cornice di Villa Pamphilj, Roberto Speranza annuncia festoso: «Insieme ai ministri della Salute di Germania, Francia e Olanda, dopo aver lanciato nei giorni scorsi l'alleanza per il vaccino, ho sottoscritto un contratto con Astrazeneca per l'approvvigionamento fino a 400 milioni di dosi di vaccino da destinare a tutta la popolazione europea». Nella durissima battaglia contro il coronavirus, l'orgoglio tricolore poteva dirsi salvo, perché il nostro Paese era capofila nell'Ue per aggiudicarsi le fiale dell'agognatissimo siero. Celebrando l'avvenimento, il premier, Giuseppe Conte, dichiarava in quell'occasione che «con questa notizia oggi dimostriamo che vogliamo essere in prima linea nell'approvvigionamento di un vaccino, nella ricerca e nelle terapie che allo stato risultano essere più promettenti». Noi, che agli annunci trionfali siamo abituati tanto quanto ai «pacchi» che di solito nascondono, decidiamo di vederci chiaro e, a fine giugno, inviamo una richiesta di accesso agli atti al ministero della Salute. Passati due lunghi mesi, arriva una risposta che ci lascia a dir poco a bocca aperta: «Si segnala che lo scrivente ministero non ha sottoscritto alcun contratto con la società Astrazeneca». Come si spiegano gli annunci in pompa magna della premiata ditta Speranza & Conte? Qualche riga più in basso il dirigente firmatario della risposta, Mauro Dionisio (poi assegnato ad altro incarico, ma sicuramente si tratta di una coincidenza), fornisce la spiegazione: «Stante l'importanza di procedere con un negoziato multiplo (in assenza di sufficienti certezze su efficacia e sicurezza di alcuno dei candidati vaccini) l'Italia, e gli altri Paesi partner, hanno ritenuto opportuno di far confluire il negoziato a suo tempo avviato con Astrazeneca con gli altri appena avviati dalla Commissione europea cui è, pertanto, attualmente affidata la totale gestione delle interlocuzioni». Ecco perché nell'apprendere la notizia della lettera pubblicata dal tedesco Bild, i lettori della Verità non saranno sicuramente sorpresi. La resa totale e incondizionata della sedicente «alleanza per un vaccino inclusivo» nei confronti di Bruxelles aveva trovato spazio su queste pagine già diversi mesi fa. Nel tentativo di mettere una pezza, il giorno successivo alla pubblicazione del nostro scoop, Lungotevere Ripa inviò l'ultima di 11 pagine, nella quale si riconoscono le firme dei quattro ministri e di Derek Seaborn, vicepresidente operativo di Astrazeneca per la Svezia. Sfortunatamente, non essendoci stato fornito il resto del documento, non abbiamo idea di cosa abbiano sottoscritto i firmatari. C'è qualcosa, però, nella missiva, che, se possibile, rende ancora più imbarazzanti le dichiarazioni di Roberto Speranza. Non va dimenticato, infatti, che lo stesso ha tirato nuovamente in ballo il suddetto contratto in Senato per ben due volte, vale a dire il 6 agosto e il 2 settembre dell'anno appena passato. «I partner dell'alleanza per un vaccino inclusivo non hanno ancora avviato i negoziati con Astrazeneca per un accordo sul pagamento», si legge in fondo alla lettera pubblicata lunedì da Bild, «saremmo lieti se la Commissione potesse portare avanti questi negoziati». Non serve essere esperti di diritto privato per capire che un contratto di acquisto senza un'intesa sul prezzo in realtà equivale poco più che a carta straccia. Quando i ministri della Salute di Germania, Francia, Paesi Bassi e Italia hanno consegnato nelle mani di Ursula von der Leyen le delicatissime trattative per l'acquisto dei vaccini, in realtà i rapporti con Astrazeneca erano di fatto fermi ai preliminari. E allora di che contratto parlava Roberto Speranza? Perché nei mesi a venire, ripetutamente e per giunta in sede istituzionale, il ministro ha brandito quelle pagine senza che queste, di fatto, possedessero alcun valore legale? Non per niente, rispondendo al nostro quotidiano ad agosto, lo stesso ministero aveva specificato che l'Italia, insieme agli altri Paesi, aveva semplicemente «avviato contatti» con la casa farmaceutica, «senza addivenire alla stipula di un contratto vincolante». Non è dato sapere cosa sia successo nella manciata di giorni che vanno della firma dell'accordo «fantasma» tra i membri dell'alleanza e il subentro della Commissione nei negoziati. Qualcuno ipotizza che Bruxelles, seccata dalla fuga in avanti, abbia prontamente richiamato all'ordine i quattro. È ciò che pensano oggi in Germania, dove la lettera è stata giudicata «umiliante» e dal tono «sottomesso». Rimane un fatto, e cioè che dopo sei mesi dall'approvazione della strategia promossa da Bruxelles, l'Unione europea è a corto di vaccini. Solo un farmaco (sui sei per i quali è stato stipulato un contratto) risulta finora autorizzato dall'Ema, e anche considerando il vaccino sviluppato da Moderna, mancano comunque all'appello 1,5 miliardi di dosi. E su questa «Waterloo dei vaccini» c'è anche la firma di Roberto Speranza.

·        La manipolazione mediatica.

La psicosi per i vaccini e la responsabilità della stampa. Lidia Marassi su Il Quotidiano del Sud il 15 marzo 2021. La corsa ai vaccini sembra essersi trasformata in un caso di psicosi collettiva,  dopo che alcuni paesi hanno deciso di sospendere in via temporanea la somministrazione delle dosi di AstraZeneca. Questa scelta è stata dettata dalle necessità di disporre di informazioni più precise circa gli effetti collaterali, dopo una serie di segnalazioni relative a formazione di coaguli di sangue riscontrati in alcune persone a cui era da poco stato somministrato il farmaco – una delle quali, in Danimarca, è deceduta per trombosi. Il lotto è stato pertanto ritirato in via precauzionale dal mercato, nonostante  al momento non sia stato provato un effettivo legame tra il vaccino e i coaguli di sangue. Anche qui in Italia è stata bloccata un’altra partita di vaccino AstraZeneca – identificata con la sigla ABV28569 – su tutto il territorio nazionale; alcune dosi di questo lotto erano già state utilizzate per la prima somministrazione, ma il panico generato dal susseguirsi incessante di notizie circa i casi sospetti ha finito per allarmare molti dei vaccinati, che adesso rifiutano di ricevere il richiamo. Nell’ultimo rapporto dell’Agenzia italiana del farmaco circa gli effetti delle vaccinazioni, si dice che da fine dicembre vi sono state 30.015 segnalazioni di reazioni avverse, che costituiscono lo  0,73% rispetto al totale delle dosi somministrate e questo indipendentemente dalla tipologia di vaccino (che si tratti dunque di Pfizer, AstraZeneca o Moderna). Gli eventi avversi segnalati sono perlopiù non gravi, come ad esempio febbre, mal di testa, dolori muscolari/articolari,  e insorgono prevalentemente lo stesso giorno della vaccinazione o il successivo. Negli ultimi giorni si stanno tuttavia moltiplicando le segnalazioni di effetti collaterali sospetti, probabilmente a seguito della fuga di notizie in merito ad AstraZeneca. Adesso, dopo una campagna vaccinale partita dopo numerose incertezze, la gente sembra nuovamente impaurita, legittimamente allarmata rispetto ad una vaccinazione che teme possa costituire un rischio per la propria salute. Su tutti i giornali si legge di  “caos da psicosi” e tutti gli sforzi fatti negli ultimi mesi per convincere i cittadini a mettere in sicurezza il Paese rischiano di essere pertanto parzialmente vanificati. Se il caso in questione costituisce una situazione quantomeno probabile, rispetto ad una tanto inedita ed estesa campagna vaccinale, il motivo per il quale tanto allarmismo si sta diffondendo tanto rapidamente è probabilmente imputabile soprattutto alla stampa italiana. Nonostante questa abbia il ruolo – in un certo senso – morale, oltre che professionale, di riportare tutte le notizie, quindi anche quelle parziali, per trasparenza d’informazione, è tuttavia impossibile assolvere i giornalisti dall’accusa di aver diffuso maliziosamente il panico nelle ultime settimane. Se ultimamente i giornali sembrano essere più interessati a diffondere  le notizie in fretta più che a verificarle, l’impatto maggiormente critico sembra essere quello generato dal fenomeno del clickbait. Con questo termine si intende un pezzo del contenuto di una notizia, che intenzionalmente tergiversa o esagera la percezione di un titolo per attirare gli utenti verso il sito che la pubblica. È un fatto noto nell’ambito della comunicazione che un titolo abbia il ruolo principale nel coinvolgimento emotivo del lettore, così come è cosa nota che la maggior parte delle persone, soprattutto online, non vada oltre nella lettura dell’articolo. Che questo comportamento sia giusto o errato non è tuttavia passibile di giudizio da parte del giornalista, non essendo l’atteggiamento del fruitore a dover cambiare, quanto piuttosto quello della stampa. Il giornalismo non dovrebbe essere un mero mezzo di diffusione passiva, esistendo piuttosto una responsabilità dei media la cui scelta linguistica e di informazione contribuisce alla percezione della notizia, che viene veicolata in un modo piuttosto che in un altro. La maggior parte delle testate online presenta da mesi ai lettori il conteggio spasmodico dei nuovi ammalati, il numero dei decessi, con titoli allarmanti spesso in maiuscolo. Gli avvenimenti vengono seguiti senza sosta, ma in modo approssimativo. Le notizie negative, che era giusto che fossero diffuse, sono state enfatizzate durante la pandemia fino allo stremo. Che i giornali, in un periodo tanto delicato della storia del nostro Paese, abbiano preferito sfruttare il momento per aumentare le visualizzazioni, piuttosto che scegliere una buona e corretta informazione, è particolarmente grave e, soprattutto, rischia adesso di essere d’ostacolo per una campagna vaccinale tanto fondamentale quanto delicata. Alla diffusione del virus, si affianca così un altro fenomeno “pandemico”, quello di una angoscia esacerbata al massimo e veicolata da media purtroppo irresponsabili.

Il Covid invade anche la tv. Ecco tutti i film e le serie da guardare. La pandemia da Covid-19 è stato il tema centrale del 2020. Il suo impatto sulla vita quotidiana è stato tale da diventare anche il motore narrativo di film e serie tv. Erika Pomella, Sabato 02/01/2021 su Il Giornale. È indubbio che il 2020 sia stato caratterizzato dalla pandemia da Covid-19 che ha avuto un forte impatto non solo nella vita quotidiana di quasi tutta l'umanità, ma anche in ambito culturale. Se da una parte il coronavirus ha bloccato moltissime produzioni, sia cinematografiche che televisive, dall'altro ha portato a un nuovo tema da affrontare nei vari prodotti di intrattenimento.

Lockdown all'italiana. In ambito cinematografico sono stati molti i film che hanno inserito la pandemia nelle loro storie. Partendo dal contestatissimo Lockdown all'italiana di Enrico Vanzina, un film che ha fatto parlare molto di sé già all'annuncio dell'inizio della produzione. In molti, infatti, hanno visto nell'intenzione di creare una commedia su una pandemia che ha fatto migliaia di morti, un gesto di poco tatto. La trama del film ruota intorno a Mariella (Paola Minaccioni) e Walter (Ricky Memphis) che scoprono che i rispettivi compagni li hanno traditi. Il marito di Mariella (Ezio Greggio) ha infatti havuto una relazione con Tamara (Martina Stella), che è la compagna di Walter. Le due coppie, quindi, decidono di separarsi e di prendere ognuno la propria strada. Tuttavia, prima che la separazione abbia effettivamente luogo, viene emanato il primo Dpcm del governo che annuncia il lockdown come misura per cercare di contenere l'avanzata del virus.

Molecole. Allo scorso festival di Venezia è stato presentato in pre-apertura il film Molecole, girato a Venezia proprio durante il lockdown. Il regista Andrea Segre, che da anni vive a Roma, si era spostato nella sua città natale, Venezia, per il desiderio di girare un documentario che parlasse dell'acqua alta a Venezia, dei danni che l'alta marea aveva portato all'economia della città. Tuttavia, l'avvento della pandemia ha spinto il regista a cambiare i suoi piani. Bloccato, durante la quarantena, proprio a Venezia, Andrea Segre ha raccontato la laguna mostrandone i lati spettrali, i grandi monumenti privati della grande folla, di quei turisti che normalmente riempiono Piazza San Marco o Riva degli Schiavoni. E nel raccontare le conseguenze della pandemia, Andrea Segre recupera e regala ricordi passati, mentre insegue la figura del padre, morto dieci anni fa, la cui presenza sembra emergere da ogni calle veneziana.

iSola. Sempre nella kermesse veneziana è stato presentato iSola di Elisa Fuksas che racconta la scoperta di un tumore alla tiroide in piena pandemia. La scelta della regista, dunque, diventa quella di testimoniare tutto, di filmare tutto ciò che riempie i suoi giorni, tra la quarantena e la battaglia contro il destino avverso. Tutto girato con il suo iPhone: da qui, naturalmente, deriva la scelta di intitolare il suo documentario iSola. Un titolo che richiama la tecnologia utilizzata - quella della Apple - ma anche che gioca sia sulla parola isola, che sulla commistione tra inglese e italiano in quel I (io, in inglese) e la parola sola.

Fiori! Fiori! Fiori. Anche il regista Luca Guadagnino con Fiori, Fiori, Fiori! ha raccontato la sua visione della pandemia tornando in Sicilia durante la quarantena. Il cortometraggio è stato presentato sempre alla 77° Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia.

Il film non affronta di petto il Covid o la pandemia: non è il coronavirus ad essere il tema principale del racconto. Luca Guadagnino, invece, ricerca le sue origini, i suoi ricordi d'infanzia. Ma per farlo si deve muovere per le strade di un paese siciliano reso vuoto dalla quarantena stessa.

Film in uscita nel 2021. Sono già stati annunciati film che arriveranno nel 2021 e che tratteranno il tema della pandemia e del Covid.

Songbird. Il film di cui si è già più discusso è senza dubbio Songbird, che arriverà il prossimo anno e rappresenta il nuovo lavoro del regista Michael Bay. Ambientato a Los Angeles, il film immagina una realtà in cui il virus non è stato debellato e quattro anni dopo lo scoppio della pandemia continua a tenere in scacco l'umanità. La quarantena si è allargata ad ogni città, dove sono state istituite delle zone rosse di contenimento, dove vengono trasportati tutti coloro che risultano positivi al virus o mostrano sintomi sospetti. La storia si concentrerà soprattutto su una coppia, due ragazzi che sono costretti a vivere lontani a causa dell'isolamento e le cui vite cambieranno quando uno dei due rischierà di essere trasferito nella zona rossa.

Nuovo film di Judd Apatow. Judd Apatow è un regista molto famoso: a lui si devono film come 40 anni vergine e Molto Incinta. E ultimamente è stato ingaggiato da Netflix per dirigere e scrivere una commedia ambientata durante la pandemia e il lockdown. Il progetto non ha ancora un titolo: si sa però che parlerà di un gruppo di attori e attrici che sono costretti a vivere reclusi in un albergo dopo che l'esplosione del coronavirus ha obbligato la produzione cinematografica in cui stavano lavorando a rivedere il proprio modo di lavorare. A questo punto sarebbe interessante vedere se il film riceverà le stesse critiche mosse proprio a Lockdown all'italiana.

Corona. Corona è il titolo del film del regista iraniano Mostafa Keshvari, scritto a tempo di record. Il regista, infatti, ha scritto la sceneggiatura in due settimane e in dieci giorni ha preparato il set. Una costruzione che non ha richiesto quale sforzo, dal momento che Corona è ambientato in un ascensore. La pellicola, infatti, tratterà il tema della paura del contagio raccontando di un gruppo di persone che rimangono bloccate in un ascensore, senza alcuna possibilità di fuga. Il terrore nasce quando una donna cinese, bloccata insieme agli altri, comincia a tossire, scatenando il panico irrazionale degli altri.

Il Covid sul piccolo schermo: le serie tv ancora inedite in Italia e in arrivo nel 2021.

Love in the Time of Corona. Con un titolo che è un chiaro richiamo al capolavoro letterario L'amore ai tempi del colera, Love in the time of Corona è una serie di quattro episodi girata interamente durante la quarantena, utilizzando la tecnologia da remoto. La serie segue le vicende di diverse persone che si trovano ad affrontare l'isolamento e il ribaltamento della loro quotidianità, mentre tutto il mondo tenta di reagire all'emergenza sanitaria. Gli attori, naturalmente, hanno lavorato dalla sicurezza delle loro case e alcune storie appaiono ancora più verosimili grazie al fatto che alcuni degli interpreti vivono davvero insieme. Come racconta Wired, ad esempio, Leslie Odom Jr. e Nicolette Robinson sono marito e moglie nella realtà, perciò non è stato difficile per loro interpretare una coppia che affronta la pandemia scegliendo di avere un figlio. Love in the Time of Corona è stata una delle prime serie fiction a documentare i primi giorni di pandemia e, soprattutto, di quarantena.

Serie tv e Covid: Connected. Un'altra serie che parla del Covid è Connected, serie prodotta dalla NBC che utilizza un formato che richiama quello di Zoom, la piattaforma che nel 2020 ha ospitato tutti coloro che avevano bisogno di fare delle chiamate o delle riunioni virtuali. La serie è incentrata su una serie di personaggi che, invece di interagire tra di loro, parlano dai piccoli riquadri di una schermata Zoom, rivolgendosi direttamente alla macchina da presa, creando così un forte legame immediato con lo spettatore. Il tono di questa serie, a differenza di Love in the time of Corona, è decisamente più orientato verso la commedia e lo stile dello stand-up, molto in voga negli Stati Uniti d'America.

Social Distance. Su Netflix è disponibile la serie prodotta dalla creatrice di Orange is The New Black, Social Distance. La serie è composta da 8 episodi che raccontano con leggerezza le vite quotidiane di personaggi che, come il resto del mondo, sono costretti a passare il loro tempo in una quarantena forzata. Dal parrucchiere che è costretto a passare la quarantena da solo dopo una brutta rottura, a tre fratelli che affrontano via chat la morte del padre, passando per una madre che, per mantenere il suo lavoro da badante, è costretta a lasciare la figlia da sola. Proprio come Connected, anche Social Distance utilizza il formato delle video-chat e affronta varie discriminazioni sociali. Al punto da arrivare, nell'ultimo episodio, ad affrontare un altro tema caldo del 2020: la morte di George Floyd.

Gli episodi speciali di serie già famose realizzati nel 2020.

South Park. Anche prodotti serializzati e iconomici come South Park hanno scelto di trovare un modo per inglobare il Covid tra i propri temi narrativi. La serie d'animazione di Comedy Central, famosa per il suo tono scorretto e spesso canzonatorio, ha scelto di trattare il Covid, parlando però di un tema sempre molto attuale: la gestione delle scuole durante la pandemia. È stato dunque realizzato un episodio definito Pandemic Special, come riporta The Wrap, in cui i protagonisti della serie affrontano il primo giorno di scuola dopo il lockdown e la chiusura generalizzata. Inoltre la serie animata prende di mira tutti i negazionisti, tutti coloro che hanno ancora difficoltà ad accettare l'esistenza del virus e lo considerano un complotto organizzato delle grandi società.

Il Covid in Grey's Anatomy. È chiaro che le serie che hanno più facilità ad affrontare il tema del Covid sono quelli che vengono definiti medical drama. Un esempio su tutti è, naturalmente, Grey's Anatomy, la famosa serie creata da Shonda Rhimes. Grey's Anatomy è stata una delle prime serie a dover bloccare la produzione dei nuovi episodi a causa della pandemia. Inoltre la produzione della serie ha donato alle strutture sanitarie tutti i macchinari medici a disposizione sul set, che venivano "sprecati" come semplici oggetti di scena. La diciassettesima stagione della serie, però, ha deciso di affrontare anche il Covid all'interno dello show, portando la protagonista Meredith (interpretata da Ellen Pompeo) a mostrarsi con la "divisa" anti-covid. Non solo: Meredith verrà infettata dal virus e sarà costretta ad essere ospedalizzata. Anche lo spin-off di Grey's Anatomy, Station 19, ha affrontato il tema del Covid.

The Good Doctor. Altra serie medica di ABC che ha trattato il Covid è The Good Doctor, che in Italia è stata trasmessa da Rai 2. La serie segue Shaun Murphy, un giovane medico che è affetto dalla sindrome di savant. Si tratta di una patologia che porta una persona a sviluppare alcuni ritardi cognitivi, riuscendo però a portare in superficie delle capacità straordinarie. The Good Doctor ha scelto dunque di parlare del Covid raccontando come una persona con una disabilità sia costretto a imparare con difficoltà le modalità da seguire per cercare di arginare il contagio. Inoltre, The Good Doctor ha preso la decisione di trattare il tema della pandemia non come un fil rouge che corresse per tutta la stagione, ma come un caso isolato da affrontare nella premiere.

This is Us e il Covid. Un'altra serie di grande successo e molto amata dal pubblico italiano è This Is Us. Si tratta di una serie drammatica che segue la crescita e i drammi della famiglia Pearson lungo più linee temporali. Nella quinta stagione il creatore Dan Folgelman ha scelto di usare il Covid non come tema centrale, ma piuttosto come contesto narrativo. I protagonisti affrontano la pandemia come ha fatto chiunque: ascoltando i telegiornali e le dichiarazioni del presidente alla tv e imparando a diventare familiari con distanziamento sociale e mascherine. In realtà uno dei temi principali della quinta stagione di This is Us è il movimento Black Lives Matter, che ha acquisito più eco dopo l'omicidio di George Floyd.

New Amsterdam. Altra serie che ha scelto di trattare il tema dell'emergenza sanitaria è stata New Amsterdam, serie trasmessa in Italia da Canale 5. La seconda stagione della serie tv, infatti, si sarebbe dovuta chiudere con un episodio intitolato Pandemia. La trama dell'episodio doveva essere incentrato su un'epidemia di influenza che colpiva duramente New York. Quando l'episodio è stato girato, tuttavia, nessuno avrebbe potuto immaginare che la fantasia avrebbe sfiorato la verità: così l'episodio Pandemia non fu mai trasmesso e come racconta Fanpage, l'attore protagonista affermò: "Per un senso di rispetto e pudore, stasera non andrà in onda l'episodio che era stato previsto originariamente il cui titolo era Pandemia. Ci tocca troppo da vicino e non volevamo fare intrattenimento su qualcosa di troppo reale e spaventoso. Lo vedrete quando avremo superato tutto." Tuttavia lo showrunner David Schulner ha affermato a Us Weekly che la nuova stagione esplorerà molti temi che circondano l'epidemia e il Covid stesso, compresa l'ineguaglianza razziale, il movimento no-vax e la violenza crescente proprio durante la pandemia.

Barbara Majnoni per it.businessinsider.com il 28 dicembre 2020. “La manipolazione mediatica è sotto gli occhi di tutti. Dal premier in giù, non si fa altro che parlare di morti, contagiati, terapie intensive, curve epidemiologiche. Un terrorismo psicologico di questa portata non si era mai visto. Il sistema creatosi con il sopraggiungere del virus ci fa mantenere l’allerta alta, ci spiazza giorno dopo giorno. La comunicazione è ossessivamente mirata a mettere solo paura. Induce al senso di impotenza, a creare il vuoto intorno alle persone. Non vengono dati consigli positivi su come stare bene o per rafforzare il sistema immunitario. Dinamiche che a lungo termine possono portare a una depressione di massa e di conseguenza all’accettazione acritica di qualunque imposizione o delega sociale verso il potere per la salvaguardia di quella salute mentale e fisica che solo la libertà di scelta e di coscienza potrebbe restituirci. Il sospetto che si tratti di una potentissima arma di distrazione è forte”. L’accusa è dura e, almeno per la parte relativa al complotto, tutta da provare. Tuttavia Elisabetta Notaro, psicologa, psicoterapeuta e sessuologa basata a Livorno, terapeuta ufficiale del Centro di Terapia Breve Strategica di Arezzo diretto dal professore Giorgio Nardone è una super esperta di manipolazione uomo-donna, e se sostiene che ne stiamo vivendo una all’ennesima potenza, vale la pena ascoltarla. Ecco cosa risponde alle nostre domande.

Dottoressa, c’è davvero un parallelismo fra la due modalità di manipolazione?

«Il narcisista quando seduce la preda crea una storia d’amore perfetta, illusoria, da favola. Agisce con il love bombing, un corteggiamento che serve proprio a sviare la vittima da quei punti essenziali che dovrebbe valutare nel partner, come onestà, sincerità, valore, modo di pensare. Si mostra come un principe azzurro che la salverà dalle sue profonde paure e debolezza. Obnubila talmente la poveretta che non solo non riesce a valutare gli elementi oggettivi del partner e della relazione che sta vivendo, ne diviene totalmente dipendente, per poi cadere in un baratro di depressione, ansia, e soprattutto ossessività. Lo stesso può avvenire tra i mass media e le masse quando c’è l’interesse di filtrare solo determinati messaggi. Già 40 anni fa il famoso Noam Chomsky, definito dal New York Times il più grande intellettuale vivente, aveva ipotizzato, teorizzato e schematizzato come sia possibile mistificare la realtà, stilando dieci regole ben precise».

Quali sono le più incisive?

«Innanzitutto proprio la strategia della distrazione, fondamentale per le lobby al fine di mantenere l’attenzione del pubblico concentrata su certi argomenti, piuttosto che su altri. Poi c’è la tattica della gradualità nel fare accettare una misura inaccettabile col contagocce, così da digerirla meglio poco per volta. Ma anche il creare problemi per poi fornire delle soluzioni di comodo, risultando salvatori. Sono le identiche tecniche utilizzate dal narcisista. Dopo il bombardamento d’amore iniziale, finge, finge, squalifica, colpevolizza, tradisce, ma poi di nuovo lusinga, con una mano dà con l’altra prende, cerca di distanziare la vittima da tutte le persone che possono costituire una risorsa affettiva ma anche intellettuale e di confronto per farla rimanere sola e insicura come una bella addormentata nel bosco. Lavora in maniera molto subdola, chiaramente non da subito. Per questo noi psicologici consigliamo il no contact, cioè il vampiro va lasciato e bloccato il prima possibile. Anche Chomsky col principio metaforico della rana bollita suggerisce di schizzar via dalla pentola prima che sia troppo tardi».

Ci sono altri riferimenti che vanno in questa direzione?

«Un esempio concreto è rappresentato dal docu-film The Social Dilemma, uscito agli inizi dell’anno su Netflix. Ci mostra che è stato fatto un passo ulteriore nel potenziamento degli strumenti di manipolazione di massa con i social. L’informatica ha permesso di creare degli algoritmi che studiano le persone non nell’insieme ma una a una, grazie ai loro account. Orientano i nostri comportamenti, i nostri acquisti, i nostri pensieri, le nostre scelte di voto e le nostre emozioni. Ci seducono e poi ci schiavizzano, esattamente come i narcisisti fanno con le dipendenti affettive. D’altronde manipolare vuol dire prendere con le mani e portare forzatamente dove si vuole».

Ci può fare una statistica della situazione odierna dei suoi pazienti?

«“Nel gruppo che seguo ci sono persone che stanno facendo la coda finale, li ho in terapia ormai da tempo. Poi ci sono quelli arrivati in emergenza dal lockdown di marzo. I primi hanno reagito molto bene alla situazione creatasi con la pandemia. Ovviamente soffrono di non poter uscire perché avevano trovato una socialità, una vita sentimentale, un hobby, l’entusiasmo di vivere, ma hanno acquisito una forza d’animo e una spiccata resilienza per sopportarla. Ne parlano rimanendo perfettamente centrati, equilibrati, hanno gli occhi aperti sulle contraddizioni visibili, sulle cose che non tornano, ne fanno una riflessione critica. I secondi mi danno, invece, un quadro di come le persone non ancora integre stiano crollando. Esplodono liti tra coniugi che prima tenevano sotto controllo equilibri precari. Sono aumentati considerevolmente disturbi d’ansia, attacchi di panico, depressioni. Gli ipocondriaci sono a pezzi, spaventatissimi. Ma la cosa che più mi ha amareggiata è stata di dover affrontare le ricadute di alcuni giovani, parlo di ragazzi dai 17 ai 22 anni, che sono ripiombati ad avere mancanza di fiducia in loro stessi e soprattutto nel mondo che li circonda. Pensare che ero riuscita a infondere quello sprint per farli uscire di casa dopo troppo tempo passato chiusi in camera soli con smartphone e computer”».

Di quanto è aumentato il suo lavoro dall’insorgere della pandemia?

«Le richieste sono raddoppiate. Lo dicono anche i colleghi. Negli ultimi mesi ho sentito il bisogno di fare qualcosa di più per aiutare le persone maggiormente colpite dalla crisi economica. Così mi sono affiancata come psicologa alla Confederazione Imprese Unite per l’Italia. Il presidente Stefano Agnesini, ex presidente Giovani di Confcommercio, sta cercando di dar voce e salvare un popolo che altrimenti rimarrebbe inascoltato, circondandosi di coach e altre figure professionali di supporto tra cui la mia. Non è un’associazione a scopo di lucro, piuttosto una sorta di sindacato parallelo per i piccoli e medi imprenditori che stanno soffrendo e agonizzando uno dopo l’altro. Ci sono già più di 30 mila utenti in tutta Italia. Stanno aumentando sempre più».

Ci sarà pure qualcosa di positivo in questo momento difficile e doloroso?

«A mio avviso più che altro c’è la legge dell’equilibrio. Tutto l’universo si regge tra gli opposti. Lo sappiamo dalla fisica quantistica. Accanto a tutta questa valle di lacrime, di errori e di bruttezza, che poco per volta diventa manifesta, c’è anche un cambiamento altrettanto positivo: il risveglio della coscienza. Sta crescendo sempre più la consapevolezza di quanto i beni materiali siano effimeri, di quanto la nostra vita fosse dedicata a obiettivi illusori e disfunzionali. C’è la riscoperta delle discipline spirituali e della meditazione, che aiuta a svuotare la mente e ad attingere alle parti più autentiche della nostra psiche. C’è una rinnovata connessione tra gli esseri umani e viventi in generale. Si vedono sempre più persone avere un rapporto molto intenso con gli animali e con la natura. Si stanno riscoprendo le antiche medicine naturali».

Quale potrebbe essere la nostra salvezza?

«Ora siamo chiamati a fare una scelta. Vogliamo vivere nella paura di morire con false soddisfazioni e come robot tra cellulari e computer?  O lavorare sulla nostra coscienza e costruire il nuovo, sfruttando anche le tecnologie che se usate in maniera adeguata possono diventare le nostre migliori alleate? La parola chiave di questo momento non è la guerra contro le istituzioni ma impegnarsi per formarsi come guerrieri spirituali. In sostanza dobbiamo scegliere chi mandare al governo: l’anima o l’ego. La battaglia è questa. Chiediamoci cosa vogliamo per noi, i nostri figli, i nostri nipoti e per la Madre Terra. “Qualunque cosa accada durante la transizione, viene richiesta una sola cosa, solo una, non nutrite le orde oscure del potere, non siate cibo”, come recentemente ci ha esortato a fare il poeta, drammaturgo e cineasta cileno Jodorowsky».

·        Un Virus Cinese.

Covid, fuga dal laboratorio di Wuhan? In un documentario su Channel 4 l’ipotesi dell’errore umano. Marco Della Corte il 24/08/2021 su Notizie.it. Un documentario di Channel 4 presenterebbe le prove della fuga del Covid dal laboratorio di Wuhan. Un documentario di Channel 4 presenterebbe le prove sostenenti la tesi che la pandemia da Covid si sia generata a causa di una fuga del virus dal laboratorio di Wuhan. Secondo Filippa Lentzos, esperta di biosicurezza, se tale ipotesi fosse confermata sarebbe “l’equivalente biologico di Chernobyl o di Hiroshima per la comunità delle scienze della vita”. Il precitato documentario prende in esame gli studi effettuati dalla professoressa Shi Zhengli. Quest’ultima ha preso in esame il coronavirus veicolato dai pipistrelli. Zhengli è inoltre conosciuta in madrepatria per il suo ruolo di direttrice di un centro di ricerca del Wuhan Institute of Virology.

Covid, fuga dal laboratorio di Wuhan? Il ruolo dei pipistrelli. Si ipotizza che il coronavirus di un pipistrello, che ha ucciso tre minatori nel sud della Cina, sai stato in seguito modificato in laboratorio. Esso sarebbe stato infine trasmesso agli operatori della struttura. Al riguardo, come informa un articolo pubblicato sul ‘Journal of Royal Society Interface’, i pipistrelli possono infettarsi con il coronavirus, ma rimangono portatori sani. Questi animali sono capaci di convivere tranquillamente con diversi virus nel corso, tra cui lo stesso Sars-Cov-2. I ricercatori del Center for Complexity & Biosystems (CC&B) dell’università Statale di Milano hanno così scoperto che “il successo nel tenere a bada i virus deriva dalle variazioni di temperatura corporea caratteristiche dei pipistrelli”.

Covid, fuga dal laboratorio di Wuhan? Tutto iniziò in Cina. Come precisa TgCom24, nel settembre 2019, alcune settimane prima che i primi casi di Covid-19 venissero confermati, venne reso inaccessibile l database del Wuhan Institute of Virology comprendente 22.000 campioni e sequenze, inclusa quella che è la più grande raccolta di coronavirus di pipistrello al mondo. Ogni controllo esterno fu così impedito. Nel febbraio 2020, la dottoressa Shi Zhengli aveva annunciato la scoperta di un coronavirus di pipistrello, denominato RaTG13, avente una somiglianza con il Sars-Cov-2 del 96,2%. 

Covid, fuga dal laboratorio di Wuhan? Il genoma RaTG13. Il genoma RaTG13 è stato poi caricato su un database globale del genoma chiamato GenBank. La storia però non finisce qui. La dottoressa Rossana Segreto, biologa molecolare, ha rinvenuto una corrispondenza totale tra un campione di coronavirus di pipistrello raccolto in precedenza da Shi Zengli (etichettato 4911) e il genoma RaTG13. Ora, dato che 4991 pareva avere la chiave per comprendere la nascita del Covid-19, qualcuno si è chiesto come mai il nome sia stato modificato.

UN ANNO FA A WUHAN : COSÌ È INIZIATO L'INCUBO. Guido Santevecchi per il "Corriere della Sera" il 12 gennaio 2021. Erano le 8.50 del mattino dell'11 gennaio 2020 quando l'agenzia Xinhua pubblicò una breve notizia vidimata dalla Commissione sanitaria nazionale: a Wuhan era deceduto un uomo colpito dalla «polmonite di origini misteriose» di cui si parlava da fine dicembre 2019. Allora, la malattia non aveva ancora un nome: solo l'11 febbraio gli esperti dell'Organizzazione mondiale della sanità avrebbero deciso di chiamarla Covid-19, che sta per «Coronavirus Disease 2019», malattia causata da un virus a corona emerso nel 2019. Una scelta politica, per evitare l'espressione usata per settimane in Occidente: «virus cinese», che suonava come una condanna per Pechino. Già allora ci si preoccupava più della politica che della prevenzione. L'Oms dichiarò l'emergenza internazionale solo il 30 gennaio e aspettò fino all'11 marzo per dichiarare la pandemia, quando 165 nazioni avevano individuato dei casi. In Italia i primi malati individuati furono due turisti cinesi arrivati da Wuhan, ricoverati a Roma il 29 gennaio. Il Paziente 1 italiano fu scoperto il 20 febbraio all'ospedale di Codogno, il 23 si isolarono le prime zone rosse in Lombardia; il 10 marzo fu chiuso tutto il Paese. Ma l'11 gennaio dell'anno scorso la «polmonite virale anomala» era ancora una crisi cinese. Il morto era un uomo di 61 anni, che come la maggior parte dei primi malati era un frequentatore del mercato di carne e pesce di Wuhan. La Xinhua non citò il nome della vittima. Era deceduto in ospedale la notte del 9 gennaio e quel ritardo di due giorni nella comunicazione è anche il simbolo di molti punti oscuri nella gestione sanitaria iniziale dell'epidemia. Ma ufficialmente, l'11 gennaio, secondo le autorità di Wuhan non c'era alcuna epidemia: solo 41 casi accertati, il mercato era stato già sigillato e disinfettato il giorno 1, non c'era «alcuna prova di trasmissione del contagio tra esseri umani». Il passaggio del coronavirus da persona a persona fu ammesso solo il 20 gennaio, dopo un'ispezione condotta dal più famoso virologo della Repubblica popolare, inviato da Pechino. Quel professore si chiama Zhong Nanshan e a 84 anni non ha paura di dire verità scomode. Fu il suo rapporto a spingere il governo centrale, il 23 gennaio, a mettere Wuhan in quarantena (non si diceva lockdown allora). In seguito il professor Zhong ha osservato: «Quando andai a Wuhan mi resi subito conto che i dirigenti locali non avevano piacere di dirci la verità, allora». I capi del Partito della città furono epurati a febbraio, quando il governo centrale scaricò sul loro silenzio la colpa del disastro. Si seppe in seguito che Xi Jinping era stato informato della crisi sanitaria incombente già il 7 gennaio. Un anno e più di 90 milioni di contagi dopo, con due milioni di morti nel mondo, Pechino è finalmente pronta ad accogliere una missione di studio dell'Organizzazione mondiale della sanità. La squadra di 10 scienziati internazionali è attesa giovedì 14, dopo un'estenuante trattativa. Non si sa ancora quando gli investigatori dell'Oms potranno cominciare a lavorare: chiunque arrivi in Cina è sottoposto a quarantena di 14 giorni, chiuso in una stanza d'albergo. Recentemente alcune città hanno prolungato l'isolamento obbligatorio a 21 giorni, tra queste Pechino. Trovare nel mercato di Wuhan, svuotato da un anno e ripulito, tracce utili a determinare le origini della pandemia è impossibile. «Tendo a fissare aspettative molto basse», ha detto ieri il dottor Dale Fisher, capo della «Rete di risposta globale» Oms. Gli scienziati internazionali contano di poter avere accesso ai campioni di coronavirus raccolti all'inizio dai colleghi cinesi, ai dati archiviati dagli ospedali di Wuhan. Pechino nel frattempo si è impegnata nella riscrittura della narrazione, teorizzando che il Covid-19 si è «manifestato» ed è stato isolato a Wuhan, ma non è «nato» nel grande mercato insalubre della città di 11 milioni di abitanti. A ottobre a Wuhan è stata aperta una mostra sull'«eroica vittoria contro il coronavirus»: seimila reperti tra foto, testimonianze audio, manichini di medici e infermieri, ricostruzioni di corsie ospedaliere, fanno rivivere il calvario terminato l'8 aprile, dopo 76 giorni. Nell'esposizione celebrativa c'è una foto del dottor Li Wenliang, che cercò di dare l'allarme sul virus e a inizio gennaio fu convocato dalla polizia e ammonito per «propagazione di voci false». Contagiato, il medico morì il 7 febbraio, a 34 anni, e sull'onda di sdegno popolare fu proclamato «martire»: ma la lapide sotto la sua foto non ricorda che fu censurato. La Cina ha dichiarato 87.536 casi e 4.634 morti (l'80% a Wuhan e nella sua provincia, lo Hubei). La situazione da mesi è sotto controllo. Ogni volta che emerge un focolaio scatta la procedura per spegnerlo sul nascere: la zona viene posta in «modalità di guerra», la gente chiusa in casa, tamponi a tappeto. Ora sta succedendo nello Hebei, la provincia intorno a Pechino. Ieri sono stati rilevati 103 casi: il numero più alto in un giorno da luglio. Con 1,4 miliardi di abitanti, un centinaio di contagi non sarebbero statisticamente rilevanti. Però il governo vuole ridurre al minimo il rischio e Shijiazhuang, capoluogo dello Hebei è sigillata con i suoi 11 milioni di cittadini; la cintura di sicurezza è estesa fino alla periferia della capitale. Il Partito-Stato non si fida, dopo lo choc per Wuhan. Il premier Li Keqiang ha ammonito i funzionari provinciali a non sottostimare (nascondere) i numeri del contagio. «Bisogna cercare la verità nei fatti» dice Li, rispolverando una massima politica di Deng Xiaoping. Ma gli scienziati dell'Oms vedranno dove sono cominciati i fatti con più di un anno di ritardo.

Da huffingtonpost.it il 26 gennaio 2021. Sapevano del covid a inizio gennaio del 2020, ma non è stato permesso loro di lanciare l’allarme. A raccontarlo è un medico di un ospedale di Wuhan: sostiene che lui e i suoi colleghi sospettavano che il virus fosse altamente trasmissibile settimane prima che le autorità cinesi lo ammettessero. In base al loro racconto, gli sarebbe stato impedito di avvisare all’esterno del pericolo. La testimonianza del medico è stata raccolta dalla Bbc in un documentario che ricostruisce i 54 giorni dal primo caso noto al blocco di Wuhan. Un’ulteriore accusa contro Pechino, che avrebbe coperto l’epidemia intimidendo gli operatori sanitari, affinché rimanessero in silenzio. Nell’ospedale centrale di Wuhan oltre 200 dipendenti dell’ospedale hanno contratto il virus, molti sono morti. Già il 10 gennaio, l’ospedale risultava pieno di pazienti. “La situazione era fuori controllo. Ci siamo fatti prendere dal panico” racconta un medico anonimo nel documentario “54 Days”. Nonostante questo, le autorità ospedaliere hanno vietato loro di parlarne all’infuori della struttura e non hanno permesso loro di indossare maschere protettive. “Tutti erano a conoscenza del fatto che la trasmissione avveniva da uomo a uomo. Perché negare l’esistenza del virus? Ci sentivamo confusi e arrabbiati”. In poche settimane i casi sospetti erano centinaia, se non addirittura migliaia, ma non c’erano mezzi per confermare la diagnosi. I casi segnalati erano solo 41. Le autorità di Pechino sono state accusate di aver impedito il rilascio dei risultati del sequenziamento genomico per diversi giorni, fino a quando il professor Zhang Yongzhen ha pubblicato il suo online, andando contro al severo divieto di farlo. Era il 23 gennaio quando veniva imposto il blocco di Wuhan: l’ospedale centrale raccoglieva 2500 casi al giorno. “Alcuni pazienti potevano essere salvati, ma all’epoca non c’era niente che potessimo fare. Avevamo risorse mediche troppo limitate” racconta il medico anonimo nel documentario “Dobbiamo ricordare come sono andate le cose veramente, per imparare la lezione e far sì che questo non accada di nuovo”.

 (ANSA) Langfang è entrata in lockdown, diventando la terza città a essere bloccata per il focolaio di Covid-19 nella provincia di Hebei dopo il capoluogo Shijiazhuang e Xingtai per oltre 22 milioni di abitanti totali, il doppio degli abitanti di Wuhan dove a fine 2019 è stato rilevato il virus per la prima volta. Langfang dista appena mezz'ora di auto da Pechino e conta 5 milioni di persone. Veicoli e persone delle tre città non possono uscire, a meno che non sia necessario. L'Hebei ha segnato un totale di 326 casi di Covid-19 fino a oggi nell'ambito del nuovo focolaio, più 234 asintomatici. La città di Langfang ha riferito che i suoi quasi 5 milioni di residenti saranno messi in quarantena domestica per sette giorni e saranno soggetti a test di massa su Covid-19 nel tentativo di frenare il coronavirus. Due contee sotto la giurisdizione di Langfang che confinano con Pechino, Guan e Sanhe, avevano già annunciato misure di quarantena domestica. Guan ha segnalato un nuovo caso di infezione, ma Sanhe non ha parlato di contagi. Shijiazhuang, il capoluogo di Hebei, è stata finora la più colpita dall'ultima ondata di infezioni e ha già bloccato i suoi 11 milioni di residenti. La provincia, in generale, ha chiuso alcune sezioni di autostrade e ha ordinato ai veicoli registrati di tornare indietro. Il distretto di Gaocheng sta raccogliendo più di 20.000 persone che vivono in 12 villaggi remoti in una quarantena centralizzata come parte del controllo anti Covid della città, secondo quanto riportato da China News Service. Le autorità del distretto di Xicheng, a Pechino, hanno detto che il paziente confermato positivo della contea di Guan lavora in un edificio del distretto. Una nuova linea guida emessa dal Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie di Pechino ha raccomandato agli operatori di taxi e dei servizi di trasporto tipo Uber di sospendere le attività, secondo quanto riportato dal Beijing Daily. Le linee guida prevedono che i conducenti avrebbero dovuto sottoporsi a un test ogni settimana e al vaccino per poter lavorare. Altre province cinesi stanno segnalando nuovi casi confermati o asintomatici: Heilongjiang ha registrato 36 asintomatici nella contea di Wangkui, chiusa lunedì. La città di Yichun ha segnato un nuovo asintomatico legato a Wangkui. Sottolineando il rischio di diffusione, la città di Changchun, capoluogo di Jilin, ha segnalato sette asintomatici l'11 gennaio, quattro dei quali avevano viaggiato a Wangkui. Il numero totale di casi di Covid-19 confermati in Cina è di 87.591, mentre il bilancio delle vittime è invariato a quota 4.634.

·        Un Virus Statunitense.

Da Ilfattoquotidiano.it il 16 giugno 2021. Negli Stati Uniti, secondo i dati ufficiali, il primo caso di Covid-19 in Illinois è stato intercettato il 24 gennaio 2020. A essere positiva, una donna appena atterrata da Wuhan, epicentro della pandemia. Poi sono emersi a inizio febbraio i primi casi in Massachusetts e Wisconsin, mentre in Pennsylvania e Mississippi sono stati registrati a marzo. Ma oggi uno studio federale condotto dal National Institute of Health (Nhi) sposta all’indietro le lancette e data la prima infezione da Sars-Cov-2 in Illinois a dicembre 2019, ben prima che fossero riportati i nuovi dati ufficiali. Lo studio ha infatti individuato nove persone che si erano contagiate alla fine del 2019 in cinque stati: Illinois, Wisconsin, Pennsylvania, Mississippi e Massachusetts. La ricerca “All of us”, spiega la Cnn, è stata effettuata grazie ad un milione di volontari che hanno donato il sangue in modo da mappare la diffusione della pandemia. L’esame di 24mila campioni raccolti all’inizio del 2020 hanno individuato in nove persone anticorpi del coronavirus, hanno sottolineato i ricercatori in un articolo della rivista Clinical Infectious Diseases. I ricercatori hanno riscontrato anticorpi in individui il cui campione è stato prelevato «il 7 gennaio dall’Illinois, l’8 gennaio dal Massachusetts, il 3 febbraio dal Wisconsin, il 15 febbraio dalla Pennsylvania e il 6 marzo dal Mississippi», e visto che gli anticorpi si sviluppano a circa due settimane dall’infezione significa che alcuni dei volontari che hanno preso parte alla ricerca si sono contagiati a dicembre. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, uno studio della rivista Clinical Infectious Disease aveva riscontrato già il 13 dicembre 2019 anticorpi in alcuni soggetti colpiti dal coronavirus, mentre un’altra ricerca sul Journal of Medical Internet Research dimostrava che il virus fosse arrivato sempre a dicembre negli Usa. Guardando invece alla Cina, a marzo 2020 il South China Morning Post, facendo riferimento a documenti governativi mai resi pubblici, aveva scritto che il primo caso accertato di Covid-19 non risaliva all’8 dicembre – come dichiarato dal governo di Pechino all’Organizzazione Mondiale della sanità (Oms) – bensì al 17 novembre 2019 e si trattava di un 55enne residente nella provincia dell’Hubei, dove si trova Wuhan. Solo il 27 dicembre, però, Zhang Jixian, medico dell’Hubei Provincial Hospital of Integrated Chinese and Western Medicine ma anche membro del Partito Comunista Cinese, comunicò alle autorità che la polmonite anomala rilevata in numerosi pazienti era causata da un coronavirus, quando almeno 180 persone erano ormai state contagiate e l’epidemia, che si è poi allargata a tutta la regione e in altri Paesi, era già diffusa. Quanto invece all’Europa, il primo caso di Covid risale al 27 dicembre, quando un uomo venne ricoverato a Bondy. Prima che la Cina lanciasse l’allarme sulla pandemia.

Il Covid-19 circolava negli USA già nel dicembre 2019. Piccole Note il 18 giugno 2021 su Il Giornale. La caccia alle origini del virus più famoso del mondo continua in ogni angolo della terra riservando sorprese. Infatti il Covid-19 ha lasciato tracce in diversi paesi del mondo prima della sua scoperta ufficiale. Tra queste ricordiamo l’Italia dove il coronavirus sembra sia stato presente già dall’estate 2019. Ora arriva la conferma ufficiale che anche negli Stati Uniti era già presente a dicembre del 2019.

Il virus in America già a dicembre. Un articolo del Washington Examiner riporta lo studio del National Institutes of Health Usa che dimostra che il Covid-19 è stato riscontrato in almeno 5 Stati Usa già agli inizi di gennaio, già il 6 – 7 gennaio. Come da conclusione dello studio, perché ciò avvenga occorre che il contagio risalga ad almeno due settimane, da qui l’ovvia conclusione che già a fine dicembre, e forse prima, il virus circolasse in America. Si tratta di casi sporadici, ma distribuiti in 5 Stati, e peraltro si tratta di un rilievo del tutto casuale, dato che non c’erano ancora controlli specifici sul Covid-19. Presumibile che le persone infettate siano passate sotto i radar siano molte più di quanto evidenzia lo studio. L’epidemia di Wuhan di fatto scoppia quasi parallelamente, dato che i primi casi veri e propri si manifestano a metà dicembre (il primo caso, scoprirà uno studio è del primo dicembre), con la complicazione che vanno a confondersi con le malattie stagionali. Tanto che l’allarme sul virus sconosciuto viene dato solo il 31 dicembre. Possibile che i pazienti riscontrati nei 5 Stati Usa siano stati tutti da riferire a un contagio arrivato dalla lontana Wuhan? Dubitarne è legittimo. Si tratta di elementi da tenere da conto nella frenetica caccia alle streghe avviata negli Usa, che ha ormai messo nel mirino il biolab di Whuan. La caccia alla “pistola fumante” sta diventando ormai una ossessione per gli apparati e della propaganda Usa, e come accadde per le armi di distruzione di massa di Saddam (esempio non casuale) rischia di rivelarsi più fumo che arrosto. Non si tratta di difendere il colosso asiatico, che è abbastanza grosso per difendersi da sé, ma di registrare certe anomalie nei meccanismi che regolano l’approccio americano, di conseguenza europeo, alla pandemia.

Di accuse senza fondamento. Un lungo e dettagliato articolo del Washington Post del 15 giugno racconta tutti gli sforzi fatti dall’amministrazione Trump per dimostrare che tutto ebbe origine nel famigerato laboratorio di Whuan. Accusa senza fondamento, dato che, come afferma Francis Collins, direttore del National Institutes of Health, già a marzo del 2020 “gli scienziati hanno concluso all’unanimità che non c’erano prove di manipolazione in laboratorio”. Nonostante le affermazioni pubbliche di Trump, e soprattutto del Segretario di Stato Mike Pompeo (ossessionato dal tema), secondo cui il virus proveniva da un laboratorio, le prove che essi avevano in mano sono sempre state inconcludenti – prosegue il giornale Usa – “Non siamo mai arrivati ad una prova definitiva”, ha detto Anthony Ruggiero, direttore del National Security Council per la contro-proliferazione e la biodifesa nell’amministrazione Trump”, aggiungendo che “alcuni alti dirigenti dell’intelligence temevano che gli alti funzionari dell’amministrazione Trump, frustrati dal fatto che le agenzie di spionaggio non avessero trovato prove, stessero raccogliendo informazioni per supportare la teoria della fuga dal laboratorio”. Tale era la foga di imputare alla Cina la disastrosa pandemia che: “negli ultimi giorni dell’amministrazione [Trump]… alcuni funzionari hanno deciso di dichiarare che la Cina stava violando la Convenzione sulle armi biologiche, nonostante la mancanza di prove a sostegno di un’affermazione tanto esplosiva”. In quella temperie, nonostante non esistessero prove in proposito, Mike Pompeo, sopra tutti, ripeteva al mondo che gli Usa avevano prove che il virus era stato creato dal laboratorio di Wuhan, tesi che ripropone ora con eguale, stolida, certezza, nonostante sia anche per i suoi propugnatori una vaga ipotesi, peraltro in contrasto con le affermazioni di tanta parte della comunità scientifica internazionale.

Di indagini e collaborazioni top secret. A indagare per più di un anno, peraltro, non è stato Tom Ponzi, ma le più sofisticate Agenzie di Sicurezza Usa (e non solo), che avrebbero dovuto avere da tempo informazioni in proposito. Davvero qualcuno crede che si possa lavorare su nuovi virus senza che la Cia o la Nsa e altre agenzie per sicurezza biologica Usa lo sappiano? E ciò nonostante il fatto che al laboratorio di Wuhan fosse controllato regolarmente dagli americani? Riportiamo un passaggio di una nota del sito, molto ben informato, Jewish Policy Center: “Nel 2017 e nel 2018 gli Stati Uniti hanno effettuato almeno due ispezioni al laboratorio di Wuhan. Ciò solleva la domanda sul perché una squadra di ispezione statunitense sia riuscita a entrare più volte in un delicato laboratorio cinese”. “La risposta sembra essere che gli americani avevano uno status speciale a motivo della cooperazione di alto livello e top secret tra Stati Uniti, Cina e altri partner (come, ad esempio, il Canada)”. Peraltro, al laboratorio di Wuhan collaboravano tanti scienziati stranieri, americani compresi: possibile che nessuno di essi sappia o si sia accorto di uno studio tanto avventato? Tanti i punti oscuri di questa vicenda, alla quale non giova l’eccessiva politicizzazione. Gli Usa hanno avviato legittima competizione con la Cina, ma appare illegittimo utilizzare a tal fine una tragedia che ha devastato il mondo e a cui gioverebbe invece uno studio serio, soprattutto non politicizzato, per poter evitare tragedie simili in futuro.

·        Un Virus Padano.

Laura Gozzini per repubblica.it il 28 ottobre 2021. Il codognese Mattia Maestri, per tutti il "paziente 1", era stato indagato per epidemia colposa dalla Procura di Lodi. Primo in Italia e in Occidente cui è stato diagnosticato il Covid-19 la notte tra il 20 e il 21 febbraio 2020 all'ospedale di Codogno, il 39enne è stato posto sotto indagine in relazione ai contatti avuti nei giorni e nelle settimane precedenti il suo ricovero in gravissime condizioni per il virus che stava facendo tremare la Cina: il Sars-Cov-2. La Procura aveva iniziato a indagare subito nelle prime ore, per il sospetto che Maestri non avesse rivelato tutti i suoi contatti con persone provenienti dalla Cina. All'epoca si era molto parlato della famosa cena sul Piacentino che il 39enne, responsabile alla Lever di Casalpusterlengo, aveva avuto con un amico appena rientrato proprio dal Paese asiatico e che alla luce della diagnosi aveva ricordato la moglie Valentina, sentita dai medici. Poi gli inquirenti hanno voluto vedere più a fondo. E' di queste ore invece la notizia dell'archiviazione dell'accusa di epidemia colposa da parte del gip, su richiesta della stessa Procura, "perché il fatto non sussiste".

Il sospetto che non avesse detto la verità ai medici sui suoi contatti. Mattia Maestri, il "paziente 1" del Covid, era indagato per epidemia colposa: ma il gip archivia. Fabio Calcagni su Il Riformista il 28 Ottobre 2021. Mattia Maestri, il cosiddetto ‘paziente uno’, ovvero il primo a cui fu diagnosticato l’infezione da Coronavirus in Italia, era stato indagato per epidemia colposa dalla Procura di Lodi. La notizia dell’inchiesta a suo carico è emersa soltanto oggi, dopo che su richiesta della stessa Procura il gip ha archiviato l’accusa. Le indagini nei confronti di Maestri erano state avviate un anno e mezzo fa: il sospetto degli inquirenti era che l’uomo, manager di azienda di 38 anni, non fosse stato ‘sincero’ con i medici dell’ospedale di Codogno riferendo dei suoi contatti pre-infezione. Ma dopo un anno e mezzo la stessa procura ha riconosciuto che il 38enne non ha violato alcuna norma e quindi commesso alcun reato: da quindi dunque la richiesta di archiviazione poi accolta dal giudice per le indagini preliminari. Maestri si era presentato in ospedale il 18 febbraio del 2020: al pronto soccorso gli viene diagnosticata una leggera polmonite curabile a casa. Il 38enne ha un forte peggioramento e in due giorni, nella notte tra 19 e 20, ritorna all’ospedale, questa volta ricoverato in terapia intensiva, dove ci rimane per due settimane. L’intuizione sul Covid-19 arriva dalle anestesiste Annalisa Malara e Laura Ricevuti, di turno nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale, che lo sottopongono al tampone nonostante i protocolli del Ministero della Salute non lo prevedessero al tempo, risultando poi positivo. Una scelta fatta anche dopo che la moglie di Maestri aveva rivelato che Mattia aveva cenato con un amico che era stato in Cina, poi risultato negativo al virus. In condizioni gravissime tra il 21 e 22 febbraio il 38enne viene trasferito in terapia intensiva al Policlinico San Matteo di Pavia e resta 18 giorni intubato prima di uscire dalla terapia intensiva e il 21 marzo successivo dall’ospedale, in tempo per vedere nascere la figlia Giulia. Oggi Maestri è tornato alla vita di sempre, ma la pandemia gli ha strappato il padre Moreno, morto di Covid nel giorno della festa del papà, il 19 marzo.

Fabio Calcagni. Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.

Covid, ecco il paziente zero. Un cinese ricoverato a Seriate. Felice Manti il 15 Settembre 2021 su Il Giornale. La cartella clinica è già nelle mani dei pm di Bergamo. Mascherine "fallate", spunta il pasticcio sulle deroghe. Spunta il vero, possibile, paziente zero. C'è una cartella clinica datata 17 febbraio 2020 che il Giornale ha potuto solo visionare in cui si parla di sintomi come «dispnea», «tosse», «febbre», «versamento pleurico» e «sfumati addensamenti parenchimali, con aspetto a vetro smerigliato, nel polmone sinistro» emersi dopo una Tac il 28 gennaio. È di un cinese ricoverato nell'ospedale di Seriate il 26 gennaio. Non gli è mai stato fatto alcun tampone, eppure fino proprio a quel giorno le circolari ministeriali lo prevedevano, come ha confermato il professor Fabrizio Pregliasco ieri sera alla trasmissione Fuori dal Coro su Retequattro, non solo per chi tornava dalla Cina ma anche per sintomi dubbi riconducibili a Sars. È solo il 26 gennaio che i parametri sono stati modificati dal ministero, limitando i sospetti a chi veniva da Wuhan. L'uomo era già sintomatico, dunque potrebbe essersi contagiato intorno al 10 gennaio. Grazie al coraggio dell'anestesista Annalisa Malara di rompere il protocollo per il cosiddetto Paziente 1 Matteo Maestri soltanto il 20 febbraio si scoprì che il Covid era scoppiato. Ma in realtà il virus già circolava in Italia (a settembre 2019, secondo quanto disse nel maggio 2020 al Giornale il presidente dell'Aifa Giorgio Palù). È un altro tassello dell'inchiesta per epidemia colposa della Procura di Bergamo, che aspetta la relazione del professor Andrea Crisanti per chiedere i rinvii a giudizio: tra i possibili destinatari ci sarebbero il ministro della Salute Roberto Speranza, i vertici del ministero della Sanità, del Cts e di Regione Lombardia e naturalmente l'ex numero due Oms Ranieri Guerra, coinvolto nell'inchiesta per la relazione Oms firmata dal ricercatore Francesco Zambon, (sparita poi diventata colonna portante del dossier in mano ai pm) come si sa da qualche mese, non senza qualche frizione tra l'organismo internazionale e i magistrati per la fuga di notizie. Ma un altro elemento può dare ulteriori accelerate alle indagini di Bergamo e alle altre inchieste in corso sulla pandemia. C'è infatti una sottile linea rossa che le unisce. Oggi sappiamo che su circa due miliardi di mascherine arrivate, già usate e circolanti, almeno 700 milioni (quelle sequestrate) erano inutilizzabili, per non dire dannose. La fornitura in fretta e furia di mascherine (come quelle Fca) e dispositivi di protezione si è resa necessaria per l'assenza di un piano pandemico aggiornato, sebbene già quello del 2006 ne prevedesse uno stoccaggio preventivo. Insomma, si è rastrellato quel che si poteva, senza badare all'effettiva bontà dei dispositivi. Il tutto grazie a una speciale deroga prevista dal governo di Giuseppe Conte per le cosiddette «mascherine di prossimità», quelle da utilizzare per strada e negli ambienti di lavoro, non in ospedale. Per colpa dell'emergenza, questo è il sospetto di alcuni magistrati - imbeccati a quanto risulta al Giornale da un whistleblower molto informato - molte mascherine sarebbero state sdoganate, ancorché con una marcatura CE inidonea, a fronte di una semplice autocertificazione. Il che è come «sospendere» il codice penale con un atto amministrativo. Una sottovalutazione che potrebbe aver inevitabilmente amplificato il contagio anziché contenerlo. L'Italia infatti ha pagato un prezzo altissimo: con i 72 decessi di ieri abbiamo superato i 130mila morti (poco più di 4mila i nuovi positivi) anche se le terapie intensive sono in calo. E la ragione potrebbe essere non solo nel pasticcio sui tracciamenti ma probabilmente nell'interpretazione alla speciale «deroga alle normative europee e nazionali» prevista agli articoli 15 e 16 del decreto Cura Italia del 17 marzo 2020. Gli affari sporchi, le strane commesse con la Cina (vedi i respiratori fallati della società che orbita nella Fondazione cinese di cui è vicepresidente Massimo D'Alema) e le ruberie già oggetto di inchieste hanno fatto la differenza. Sulla pelle di chi è morto e invoca giustizia. A costo di portare alla sbarra un intero governo. Felice Manti

Meloni: «La Cina comunista dice che il Covid è nato in Italia. Non saremo il loro capro espiatorio». Milena Desanctis venerdì 20 Agosto 2021 su Il Secolo d'Italia. «Il regime comunista cinese, lo stesso che nega all’OMS di indagare sulle origini del Covid a Wuhan, starebbe cercando di incastrare l’Italia, sostenendo la surreale e indimostrabile tesi che il virus sarebbe nato nel nostro Paese». Lo scrive Giorgia Meloni su Facebook postando anche il video del servizio trasmesso da Zona Bianca su Retequattro. La leader di Fratelli d’Italia poi aggiunge: «Il governo italiano non si faccia intimidire e si attivi immediatamente per stroncare sul nascere queste gravi e infamanti falsità. Non saremo il loro capro espiatorio». E poi a corredo del video scrive: «L’ultima bugia della Cina: vieta le indagini sul Covid  e accusa l’Italia». E poi ancora: «In gioco danni per miliardi di euro». Secondo la ricostruzione fatta dal servizio di Retequattro, la Cina ci riprova. Sono raccolte testimonianze secondo le quali il governo cinese sta cercando di far «sembrare che il virus sia apparso prima di quanto stabilito e così facendo accusa l’Italia come il Paese dove tutto ha avuto origine», ha detto un intervistato.

Le accuse sull’Italia. La giornalista nel servizio spiega che stavolta a puntare il dito contro l’Italia è il quotidiano inglese Global Times, controllato dal regime comunista. «Il Covid si stava diffondendo in Italia molto prima che il Covid scoppiasse in Cina», si legge nell’articolo. E poi ancora: «Circolava già nell’estate del 2019».

La reazione del web al post della Meloni. Tantissimi i commenti del web al post di Giorgia Meloni. Scrive un utente: «Se ancora non si fosse capito, la Cina sta diventando un problema e non solo per aver probabilmente scatenato la più grande pandemia del XXI Secolo ma sopra ogni evidenza una tremenda egemonia industriale, militare e politica che produrrà povertà in tutti gli stati che non saranno disposti ad assoggettarvi. Solo una politica gestita da miopi e incapaci non si accorge di come il dragone stia procedendo nella sua avanzata imperialista. Il volto rassicurante di Xi Jumping è solo un inganno per gli stolti politici dell’Occidente che credono di poterlo gestire».

«Serve solo per abbassare il valore delle attività italiane…». E un altro ancora aggiunge: «Se non ricordo male, Tgcom24 a fine 2019 dava notizia di due eventi particolari a Wuhan. Il primo, a settembre, delle strane esercitazioni militari anticoronavirus. Come se a casa a settembre ci si preparasse per un raffreddore a dicembre. Successivamente, ad ottobre Wuhan ospita le olimpiadi militari dove immagino abbiano partecipato atleti di tutto il mondo». E un altro puntualizza: «Serve solo per abbassare il valore degli immobili e delle attività italiane da acquistare dai cinesi… C’è già stata mesi fa la stessa cosa e ce ne saranno in futuro. Quello che è accaduto da lì ad oggi è sotto gli occhi di tutti».

Dagotraduzione dal Daily Mail il 13 luglio 2021. Un team guidato dall'Organizzazione mondiale della sanità che studia le origini del Covid-19 ha rivolto la propria attenzione al caso di una misteriosa donna italiana. La 25enne si è presentata nel novembre 2019 in un ospedale a Milano lamentando mal di gola e lesioni cutanee, un mese prima che il Covid fosse identificato a Wuhan. Secondo una ricerca pubblicata a gennaio, un campione di pelle della donna, analizzato sei mesi dopo il suo accesso all’ospedale, è risultato positivo al coronavirus. Il virus stava quindi circolando in Italia prima che il cluster esplodesse al mercato del pesce Huanan di Wuhan, e ulteriori studi potrebbero aiutare a ricostruire le tempistiche. Unico problema: nessuno sa chi sia questa donna. Il Wall Street Journal ha scritto che le strutture che hanno curato il suo caso - il Policlinico di Milano e l'Università degli Studi di Milano – non hanno dettagli sulla donna. Raffaele Gianotti, il dermatologo che l'ha curata, è morto a marzo pochi giorni prima che l'OMS richiedesse ulteriori ricerche sulla paziente. Il team che indaga sulle origini della pandemia nell’Oms ha infatti raccomandato a tutti i paesi di cercare possibili casi di Covid-19 precedenti al primo caso confermato di Wuhan. I casi sospetti precedenti a quella data potrebbe aiutare a fissare una cronologia della diffusione precoce del virus. Per questo il team ha chiesto a tutti i paesi di analizzare i campioni del 20149 conservati nelle banche dati del sangue. Diversi studi hanno scoperto persone infettate dal Covid-19 prima che venissero segnalati i primi casi del virus nelle loro zone, ma il caso della donna italiana rimane uno dei più intriganti. Un esame del sangue prelevato dalla donna nel giugno 2020 è risultato positivo agli anticorpi del coronavirus. Mesi prima, il 10 novembre 2019, alla donna era stato prelevato un campione di pelle dal dottor Gianotti. Quando la pandemia ha colpito l'Italia all'inizio del 2020, il dottor Gianotti ha esaminato i campioni di pelle archiviati per cercarvi tracce di Covid-19, secondo quanto riportato dal Wall Street Journal. Il medico ha effettuato due test sul campione di pelle della donna, ed entrambi hanno rilevato la proteina spike e il guscio proteico, ma il campione era troppo degradato per condurre un terzo test cruciale. Questo test avrebbe permesso al dottor Gianotti di sequenziare geneticamente il virus, fornendo una conferma più definitiva che la donna avesse effettivamente avuto il Covid-19 e potenzialmente permettendo ai ricercatori di confrontarlo con casi provenienti dalla Cina. «Sono rimasto deluso solo per una cosa. Che non possiamo confermarlo con un'altra, terza tecnica», ha detto al Wall Street Journal Massimo Barberis, coautore della ricerca del dottor Gianotti. Barberis ha sottolineato che, quando il sangue della donna prelevato a metà del 2020 è risultato positivo agli anticorpi, c’era la possibilità che avesse contratto la malattia dopo novembre 2019, visto che in quel momento l’epidemia dilaga nel Nord Italia. Ma l'identità della donna rimane un mistero e secondo il dottor Barberis, tra i ricercatori sta svanendo il desiderio di capire come è iniziata la pandemia. «La gente non è interessata», ha detto al Wall Street Journal. Ma la ricerca sull'origine del Covid-19 continua. La scorsa settimana, un gruppo di scienziati che ha respinto la teoria secondo cui il virus sarebbe trapelato da un laboratorio di Wuhan ha insistito sulla sua teoria in una lettera.  La coalizione internazionale di esperti ha affermato che non esiste ancora «nessuna prova scientificamente convalidata» a sostegno della cosiddetta «teoria delle perdite di laboratorio». Tra i firmatari ci sono il dottor Peter Daszak, il presidente britannico di EcoHealth Alliance, che ha incanalato denaro nella ricerca presso l'Istituto di virologia di Wuhan, e il consigliere scientifico del governo britannico Sir Jeremy Farrar. La lettera, pubblicata su Lancet, segue un articolo della stessa rivista uscito lo scorso febbraio, in cui si affermava che la teoria delle fughe di laboratorio creava «paura» e «pregiudizio». Ma nelle ultime settimane la lettera è stata pesantemente criticata: è infatti emerso che almeno uno dei firmatari aveva legami finanziari non divulgati con il laboratorio di Wuhan. Ventiquattro degli scienziati che hanno firmato la lettera dell'anno scorso hanno anche messo il loro nome sulla nuova edizione, in cui si affermava che «le accuse non sono di alcun aiuto» e che l'«indizio più forte» sull'origine del virus indica che si sta evolvendo in natura. Ma tre scienziati non sono apparsi nel recente aggiornamento, tra cui il professor Peter Palese che in precedenza aveva detto a MailOnline che «molte informazioni inquietanti» erano emerse dalla lettera e voleva «avere le risposte a tutte le domande». La scuola di pensiero tradizionale è che il coronavirus sia emerso per la prima volta nei pipistrelli e sia passato a una specie ospite prima di essere finalmente trasmesso agli umani. Tuttavia, alcuni ritengono che il virus sia trapelato dall'Istituto di virologia di Wuhan, che lo nega. 

Perché l’idea che il coronavirus sia nato in Italia piace molto alla Cina. Paolo Mauri su Inside Over il 17 giugno 2021. Mentre al G7 in Cornovaglia si chiedeva una nuova indagine dell’Oms sull’origine di Sars-CoV-2, già da qualche giorno stava circolando la notizia che proprio l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha richiesto di effettuare una seconda serie di test sui campioni di uno studio che suggeriva che la malattia circolasse al di fuori della Cina già a ottobre del 2019. C’è infatti una crescente pressione internazionale per saperne di più sulle origini della pandemia che ha ucciso più di 3 milioni di persone in tutto il mondo ed il ritorno in auge della teoria sulla possibile fuga da un laboratorio cinese, che sta ribaltando totalmente la narrazione ufficiale degli scorsi mesi, sta mettendo alle corde l’organismo delle Nazioni Unite retto da Tedros Adhanom Ghebreyesus, che lo scorso 22 gennaio ebbe a dire, subito dopo la sua visita in Cina, che apprezzava “l’impegno dei massimi dirigenti e la trasparenza che hanno dimostrato” qualche giorno dopo che proprio l’Oms dichiarava, in un tweet, che basandosi sui dati raccolti dalle autorità cinesi non si riscontrava “nessuna evidenza di trasmissione tra uomo e uomo”. A marzo ci ricordiamo tutti come andò a finire. Dicevamo che l’Oms ha chiesto di riesaminare quei campioni, tra i quali ci sono quelli dello studio italiano che riferiva di come si fossero trovati anticorpi del virus in un piccolo campione di abitanti nel Nord Italia nel periodo di ottobre/dicembre del 2019, ovvero circa due mesi prima che fosse ufficialmente identificato per la prima volta a Wuhan. Questo studio, al momento della sua uscita – a novembre del 2020 – aveva spinto i media statali cinesi a suggerire che il virus potesse non aver avuto origine in Cina, ma i ricercatori italiani erano stati molto chiari a suo tempo, sottolineando che i risultati avevano sollevato dubbi su quando il virus fosse emerso per la prima volta piuttosto che su dove. Per la propaganda di Pechino, però, tanto era bastato per gettarsi a capofitto nel tentativo di allontanare dai propri confini l’origine della pandemia, tentativo che era già stato fatto a marzo dell’anno scorso indicando gli Stati Uniti, e in particolare la delegazione sportiva che si era recata proprio a Wuhan per i giochi mondiali militari di ottobre, come origine ultima. Ora che l’Oms ha chiesto di condividere nuovamente il materiale biologico alla base di quello studio e di ripetere i test in un laboratorio indipendente, come detto dal dottor Giovanni Apollone, direttore scientifico dell’Istituto Nazionale dei Tumori (Int) di Milano a Reuters, dalle parti del Politburo, un po’ sibillinamente, si ricomincia a far circolare l’idea di poter addossare ad altri l’origine della pandemia. Sul media statale cinese Global Times si legge, infatti, che “gli osservatori cinesi hanno affermato che questo indica che gli esperti internazionali hanno iniziato a rintracciare le origini di Covid-19 in regioni al di fuori della Cina e il lavoro di tracciamento potrebbe spostarsi per coprire più Paesi che hanno riportato prove precoci, compresi gli Stati Uniti”. Ad onor del vero, dato che c’è in ballo il nostro Paese che rappresenta un partner importante per Pechino, il media aggiusta il tiro aggiungendo che “tuttavia, gli osservatori hanno sottolineato che questo non significa che il virus abbia avuto origine in Italia o in altri Paesi, poiché rintracciare la fonte è un lavoro complicato e difficile che richiede una grande quantità di indagini e studi globali”. Un colpo al cerchio e uno alla botte, con la chiosa finale che serve anche a fornire un paravento per i risultati ambigui – e sostanzialmente inconcludenti – ottenuti proprio dalle squadre di ricerca dell’Oms che sono state a Wuhan per indagare sull’origine dell’epidemia. Del resto è difficile arrivare a un risultato certo quando i ricercatori cinesi hanno rifiutato di fornire dati grezzi sui primi casi di Covid-19 al team dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che indagava sulle origini della pandemia lo scorso gennaio. Esattamente lo stesso ostruzionismo che si era avuto a gennaio del 2020, quando veniamo a sapere che gli inviati dell’agenzia avevano faticato a ottenere informazioni dalla Cina durante i primi cruciali giorni della pandemia che contraddicono palesemente le parole di elogio del presidente Tedros Adhanom Ghebreyesus. A giugno dell’anno scorso l’Associated Press aveva ottenuto delle registrazioni in cui funzionari dell’Oms si lamentavano, nelle riunioni effettuate durante la settimana del 6 gennaio – quando giungevano le prime notizie di persone che svenivano per strada a Wuhan e a Hong Kong –, che Pechino non stava condividendo i dati necessari per valutare il rischio dato dal virus con il resto del mondo. Solo il 20 gennaio la Cina confermò che il nuovo coronavirus era contagioso e il 30 gennaio l’Oms dichiarò l’emergenza globale. Non proprio il massimo della trasparenza. Tornando al caso “italiano” riesploso di recente, l’agenzia delle Nazioni Unite ha contattato tutti i ricercatori che hanno pubblicato o fornito informazioni sui campioni raccolti nel 2019 che sono risultati positivi a Sars-CoV-2, ma non ha ancora l’interpretazione finale dei risultati. Quanto ottenuto dai ricercatori italiani, pubblicato dalla rivista scientifica dell’Int, ha mostrato però, come dicevamo, solamente che in Lombardia a ottobre del 2019, erano presenti alcune persone che avevano sviluppato gli anticorpi del virus, non che vi fosse un’effettiva circolazione e che “nessuno degli studi pubblicati finora ha mai messo in dubbio l’origine geografica”, come detto ancora il dottor Apollone a Reuters. “Il dubbio crescente è che il virus, probabilmente meno potente rispetto ai mesi successivi, circolasse in Cina molto prima dei casi segnalati”, ha aggiunto il ricercatore. Per il Global Times però, tanto basta per scagionare l’origine cinese del virus. Sulla testata viene infatti detto che un anonimo immunologo “di base a Pechino” ha affermato che “se le prove della presenza di Covid-19 in Italia fossero confermate e i campioni fossero stati trovati prima di dicembre 2019, questo dimostrerebbe che Wuhan potrebbe non essere stato il luogo in cui ha avuto origine il virus e che gli scienziati internazionali dovrebbero quindi esaminare possibilità più ampie”. Sarebbe anche una possibilità plausibile se ci fosse stata trasparenza da parte della Cina – che come abbiamo visto è venuta a mancare sin dalle prime cruciali giornate – e se non ci fosse il sospetto che sia stato fatto un repulisti generale per eliminare ogni possibile prova dell’origine del virus; sospetto supportato anche dalla decisione di Pechino di non permettere ai ricercatori dell’Oms di accedere ai dati in modo diretto, ma solo dopo l’intermediazione degli scienziati cinesi.

Gismondo: “Anche a Milano il covid circolava a novembre 2019”. Giampiero Casoni il 28/05/2021 su Notizie.it. Gismondo: “Anche a Milano il covid circolava a novembre 2019. Tutti abbiamo detto che veniva dai mercati umidi di Wuhan, ma da noi già c'era”. Maria Rita Gismondo non mette becco nelle faccende degli 007 americani sulla responsabilità della Cina in tema di covid ma di una cosa è certa: “Anche a Milano il covid circolava a novembre 2019”. La direttrice del laboratorio di microbiologia clinica, virologia e diagnostica delle bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano ha detto la sua all’Adn Kronos e ha spiegato che nessuno “può dire” se il coronavirus sia fuggito da un laboratorio cinese. Tuttavia a suo parere “che Sars-CoV-2 esista da più tempo rispetto a quando è stata dichiarata la pandemia, e rispetto a quando ancora prima si è parlato delle polmoniti di Wuhan, è assolutamente accertato”. Come fa la Gismondo a dirlo? “È accertato attraverso studi di filogenesi e anche da studi a cui abbiamo partecipato, trovando il virus nelle acque reflue già a novembre 2019”. Insomma, non è un endorsement al report dell’intelligence Usa di questi giorni pubblicato dal Wall Street Journal, ma una evidenza scientifica. Ad un convengo in Senato a cui era intervenuta la Gismondo aveva detto: “Stiamo parlando di un virus di cui ancora non è stata chiarita l’origine. A fine dicembre 2019 è arrivato al mio reparto al Sacco, uno dei due centri di riferimento nazionale per le bioemergenze, il bollettino del ministero della Salute su 41 polmoniti di strana eziologia a Wuhan”. E ancora: “Tutti poi abbiamo detto che questo virus veniva dai mercati umidi di Wuhan, peccato che poi abbiamo scoperto che casi di polmonite da un virus sconosciuto c’erano stati anche prima nel 2019. Recentemente il mio staff, con l’Istituto superiore di sanità e con il Cnr, ha pubblicato un lavoro dimostrando che nelle acque reflue di Milano il virus c’era già a fine novembre. Scordiamoci quell’origine”. Quindi il virus circolava molto tempo prima che il virus fosse fonte di preoccupazione planetaria. “Il virus circolava già da tempo in una forma probabilmente più attenuata, dopo di che delle mutazioni l’hanno reso più aggressivo. Io credo che in Cina ci siano stati molti più casi, come d’altra parte anche le autorità cinesi hanno affermato, di quanti siano stati dichiarati, e certamente molto prima di quando sono stati rivelati all’Oms e al mondo intero”.

Coronavirus, "relazione tra morti e inquinamento". Lo studio inquietante: perché in Lombardia ci sono così tante vittime. Libero Quotidiano il 06 marzo 2021. Da decenni Bergamo e altre città della Pianura padana hanno avuto una delle peggiori qualità dell'aria in Europa. Ora l'inquinamento, che è stato a lungo considerato una delle principali cause di cancro nella zona, potrebbe essere la causa di un così alto numero di persone morte di coronavirus. Lo sostiene un articolo del Los Angeles Times che riporta il risultato di una ricerca pubblicata nel numero di dicembre della rivista Cardiovascular Research dove si conclude che l'esposizione a minuscole particelle di 2,5 micrometri o più piccole, note in stenografia scientifica come particelle PM2,5, era correlata con una percentuale più alta di morti evitabili da covid tra coloro che contraevano la malattia. Questo significa che a parità di altre condizioni, fra le quali la qualità delle strutture sanitarie e le misure di sanità pubblica adottate per fermare la diffusione del virus, i pazienti Covid che vivono in queste aree inquinate corrono un rischio maggiore di morire a causa della malattia rispetto ai pazienti che respirano aria più pulita. "Quando sei esposto a livelli di inquinamento elevati, il tuo corpo è stato sotto stress", spiega l'autore principale dello studio, Andrea Pozzer, ricercatore italiano dell'Istituto Max Planck in Germania, "poiché il Covid prende il sopravvento e causa malattie simili a quelle dell'inquinamento atmosferico, alla fine, le possibilità di un esito fatale sono maggiori". Una scoperta che vale non solo per Bergamo ma anche per il Nord America e l'Europa, dove ogni metro cubo d'aria contiene, in media, da 10 a 20 microgrammi di particelle PM2,5. In questo intervallo, gli studi hanno scoperto che ogni microgrammo aggiuntivo è correlato a un ulteriore 8 per cento di rischio di morte per i pazienti Covid. Anche secondo Piersilvio Gerometta, cardiochirurgo dell'ospedale Humanitas Gavazzeni di Bergamo, è convinto che l'inquinamento atmosferico della zona abbia aggravato la crisi del coronavirus, anche se non ci sono studi a sostegno di ciò. "Il recupero da malattie polmonari e cardiache è sempre consigliato in luoghi con aria pulita. Non ci rendiamo subito conto che stiamo respirando male, ma ciò che respiriamo conta molto".

Coronavirus, lo studio italiano pubblicato su Nature: maggior impatto nelle zone inquinate. Le Iene News il 07 marzo 2021. Dallo studio, pubblicato su Nature Scientific Reports, emerge una forte correlazione tra, da un lato, una maggiore mortalità per Covid-19 e l’impatto del virus sulle terapie intensive e, dall’altro, l'inquinamento ambientale, la mobilità, la densità abitativa, la densità ospedaliera, la temperatura invernale e l'anzianità della popolazione. Esisterebbe una forte correlazione tra una maggiore mortalità per Covid-19 e l’impatto del virus sulle terapie intensive, da un lato,  e l'inquinamento ambientale, la mobilità, la densità abitativa, la densità ospedaliera, la temperatura invernale e l'anzianità della popolazione, dall'altro. È quanto emerge dallo studio "A novel methodology for epidemic risk assessment of Covid-19 outbreak" pubblicato su Nature Scientific Reports. Lo studio, realizzato da un team dell’Università di Catania, prende in considerazione diversi fattori per stimare il rischio a priori dell’impatto del coronavirus sulle diverse regioni italiane. Come si legge sull’Ansa, i ricercatori spiegano che “le regioni sono state classificate in quattro diversi gruppi di rischio (molto alto, alto, medio e basso) e la graduatoria predice molto bene quello che è avvenuto realmente durante la prima e la seconda ondata di contagi. La differenza fra le regioni giustifica pure le diverse misure di contenimento che andrebbero quindi correttamente differenziate non soltanto in base al numero corrente dei casi di infezione, ma anche in base al rischio a priori". A marzo scorso, con Giulia Innocenzi, avevamo intervistato il professor Alessandro Miani, presidente della Società italiana di medicina ambientale, proprio a proposito della possibile correlazione fra inquinamento e diffusione del coronavirus. “Un legame c’è”, ci aveva detto il professor Miani. “L’Italia è il paese con il numero di morti da inquinamento atmosferico superiore in Europa. Siamo a 75mila decessi all’anno causati dall’inquinamento atmosferico. Questo significa che le popolazioni residenti nelle regioni che hanno un maggiore tasso di inquinamento sono sicuramente più fragili, più esposte a una serie di patologie sia acute che croniche. Quindi hanno una comorbidità che nel caso di una infezione virale le rende più soggette al rischio di avere complicanze gravi o decessi”. Anche la ricerca “Beyond virology: environmental constraints of the first wave of Covid-19 cases in Italy", pubblicata sulla rivista scientifica “Environmental Science and Pollution Research”, ha fatto emergere l'influenza che il surriscaldamento globale e l'inquinamento atmosferico avrebbero sulla trasmissione e la sopravvivenza del Covid-19. Lo studio, guidato da Christian Mulder, titolare della cattedra di Ecologia dell'università di Catania, ha studiato l’andamento spazio-temporale della prima ondata di coronavirus in 82 centri urbani d’Italia. "La prima ondata della pandemia ha evidenziato drammaticamente i ruoli chiave del clima e della chimica dell'aria nelle epidemie virali”, ha detto il professor Mulder. “E in Italia i primi focolai rispecchiano l'industrializzazione del nostro Paese”. Questi studi ci ricordano ancora una volta che l’inquinamento atmosferico e il cambiamento climatico sono un’emergenza non più rimandabile. 

Janna Brancolini per "Los Angeles Times" il 6 marzo 2021. Quando Chiara Geroldi si strucca, vede l'inquinamento. La sua terrazza è piena di polvere che deve essere spazzata costantemente e i suoi capelli si sporcano più velocemente. «Bergamo è una zona altamente inquinata - ha detto Geroldi, 50 anni, che lavora come archivista - È una città molto industriale. L'aria non è buona qui, soprattutto in inverno». Per decenni, Bergamo e altre pittoresche città della Valle del Po, hanno avuto una delle peggiori qualità dell'aria in Europa. L'inquinamento è stato a lungo considerato una delle principali cause di cancro nella zona, piena di fabbriche e autostrade affollate di camion che trasportano merci. Molte delle case sono fuori dalla rete principale del gas, il che significa che, in inverno, le stufe a legna e le stufe a pellet rilasciano il particolato nell'aria stagnante. Ora, gli scienziati stanno indagando se questo problema di lunga data abbia svolto un ruolo nel peggiorarne un altro. Le prime ricerche suggeriscono che l'esposizione a lungo termine a particelle microscopiche nell'aria sporca di Bergamo - e che si trovano anche a Los Angeles - è associata a un maggior rischio di morte per COVID-19, che è una malattia respiratoria. «È possibile che tutti noi abbiamo problemi ai polmoni - ha detto Geroldi, i cui genitori si sono entrambi ammalati di COVID-19 nella primavera del 2020 - Se [gli scienziati] lo dicessero, ci crederei». Il mondo ha guardato con orrore mentre Bergamo diventava il primo posto del mondo occidentale a essere colpito dal coronavirus, con la città che ha subito tante morti e ha visto le processioni di camion militari che hanno trasportato corpi fino a Firenze per essere cremati. Un anno dopo, il tasso di mortalità COVID-19 in Italia rimane il quarto più alto al mondo, dopo Messico, Perù e Ungheria, secondo la Johns Hopkins University. Dei 99mila decessi del Paese, quasi un terzo si è concentrato nella ricca regione settentrionale della Lombardia. I ricercatori in Europa hanno notato rapidamente che i punti caldi del coronavirus sembravano corrispondere ad aree relativamente inquinate in tutto il mondo, come Bergamo, New York e parti della Cina, e hanno iniziato a indagare. Uno studio pubblicato nel numero di dicembre della rivista Cardiovascular Research ha concluso che l'esposizione a minuscole particelle di 2,5 micrometri o più piccole, note in stenografia scientifica come particelle PM2,5, era correlata con una percentuale più alta di morti evitabili da COVID-19 tra coloro che contraevano la malattia. Ciò significa che, a parità di altre condizioni - compresa la qualità delle strutture sanitarie e le misure di sanità pubblica adottate per fermare la diffusione del virus - i pazienti COVID-19 che vivono in queste aree inquinate corrono un rischio maggiore di morire a causa della malattia rispetto ai pazienti che respirare aria più pulita. «Quando sei esposto a livelli di inquinamento elevati, il tuo corpo è stato sotto stress - ha detto l'autore principale dello studio, Andrea Pozzer, ricercatore italiano dell'Istituto Max Planck in Germania - Poiché il COVID-19 prende il sopravvento e causa malattie simili a quelle dell'inquinamento atmosferico, alla fine, le possibilità di un esito fatale sono maggiori». Le scoperte del suo team sono particolarmente rilevanti in luoghi come il Nord America e l'Europa, dove ogni metro cubo d'aria contiene, in media, da 10 a 20 microgrammi di particelle PM2,5. In questo intervallo, gli studi hanno scoperto che ogni microgrammo aggiuntivo è correlato a un ulteriore 8% di rischio di morte per i pazienti COVID-19, ha detto Pozzer. Nel 2019 Bergamo aveva una media di 18,5 microgrammi di particelle PM2,5 per metro cubo d'aria. A Los Angeles, era il 12,7. I residenti di Pechino respirano aria particolarmente tossica con una media di 42,1, così alta che un microgrammo aggiuntivo non fa la differenza così grande per il risultato, ha detto Pozzer. Ma in una città come Bergamo, «ogni piccola cosa può avere un impatto significativo sulla mortalità». Lo stesso vale per luoghi come Los Angeles, dove le disparità nell'esposizione all'inquinamento potrebbero essere un fattore che contribuisce a tassi di mortalità COVID-19 più elevati riscontrati tra le persone di colore. Piersilvio Gerometta, cardiochirurgo di 64 anni dell'ospedale Humanitas Gavazzeni di Bergamo, è personalmente convinto che l'inquinamento atmosferico della zona abbia aggravato la crisi del coronavirus, anche se non ci sono studi a sostegno di ciò. «Il recupero da malattie polmonari e cardiache è sempre consigliato in luoghi con aria pulita -ha detto Gerometta, che ha contratto il COVID-19 nel marzo 2020 dopo aver curato pazienti nel reparto covid del suo ospedale - Non ci rendiamo subito conto che stiamo respirando male, ma ciò che respiriamo conta molto». La scorsa primavera centinaia di pazienti COVID-19 sono entrati nel suo ospedale ogni giorno. In poco tempo, gli stessi operatori sanitari hanno iniziato a prendere il coronavirus, portando a una carenza di personale. «I pazienti deceduti sono rimasti per ore nei loro letti, in prossimità dei vivi, perché nessuno era disponibile a spostare i corpi - ha detto Gerometta - È stato davvero un inferno. Qualcosa che spero di non vedere mai più». Lo stesso valeva per Geroldi, il cui padre 76enne è finito in terapia intensiva. Ogni giorno Geroldi attendeva con timore la telefonata di mezzogiorno del personale ospedaliero che gli forniva aggiornamenti periodici sulle sue condizioni. Sua sorella si prendeva cura della madre ottantenne a casa. Entrambi i genitori si sono ripresi completamente. Elena Ferrario, presidente della sezione bergamasca di Legambiente, ha affermato di sperare che la crisi del coronavirus motiverà i funzionari ad adottare misure per migliorare la qualità dell'aria, compresa l'espansione delle rotte di trasporto pubblico: «Vorrei che non avessimo una memoria così breve». Alla domanda se la Lombardia abbia intenzione di agire sulla ricerca che collega i decessi del COVID-19 e la qualità dell'aria, Raffaele Cattaneo, l'assessore regionale per l'ambiente e il clima, ha dichiarato in un comunicato: «Le interazioni tra scarsa qualità dell'aria e aumento delle malattie respiratorie sono note da tempo. Restano confermati e sono tra le ragioni alla base delle nostre politiche per migliorare la qualità dell'aria». Ci sono segnali che Bergamo stia andando nella giusta direzione, ha detto Nicola Eynard, 57 anni, architetto ed ex consigliere comunale. Anche Eynard si è ammalato di COVID-19 nel marzo 2020. Gli ospedali erano così pieni che il suo medico gli consigliò di rimanere a casa per riprendersi e sua moglie gli trovò una bombola di ossigeno. Per due settimane ha lottato per respirare. Le strade erano silenziose tranne che per il rumore delle ambulanze: «È stato un periodo terribile, anche per le persone intorno a me. Le persone della mia età sono morte. È stato davvero drammatico». Dalla sua esperienza al Consiglio, Eynard sa che ci vuole tempo, pazienza e volontà politica per cambiare le abitudini delle persone. «Prima della pandemia, molte persone consideravano le questioni ambientali come problemi futuri e astratti» ha detto. Ora è cautamente ottimista sul fatto che le persone sentano il loro rapporto diretto con le loro vite: «È abbastanza facile capire che in un ambiente più inquinato, le persone hanno maggiori probabilità di ammalarsi, ma non è qualcosa che le persone sentono come un problema vicino. Il Covid, d'altra parte, è qualcosa che ci ha toccato tutti. Forse questo è qualcosa che può scuotere la coscienza delle persone».

Da blitzquotidiano.it il 12 gennaio 2021. Scoperto il nuovo paziente 1 Covid italiano. Si tratta di una donna milanese di 25 anni, cui era stata fatta una biopsia della pelle per una dermatosi atipica. Era il 10 novembre 2019, prima quindi del bambino milanese, in cui era stata documentata la presenza del virus. Quindi il Covid era già in Italia, a Milano, a novembre 2019. La scoperta pubblicata sul British Journal of dermatology dai ricercatori guidati da Raffaele Gianotti, dell’Università Statale di Milano. “Sulla base di quanto osservato in questi mesi sui malati di Covid – spiega Gianotti all’Ansa -, che presentavano lesioni cutanee, mi sono chiesto se non fosse possibile trovare qualcosa di simile prima dell’inizio ufficiale della pandemia. Ed effettivamente lo abbiamo trovato negli esami istologici fatti su alcuni pazienti nell’autunno del 2019″.

Nuovo paziente 1 italiano, cosa dice la ricerca. I ricercatori hanno riesaminato le biopsie cutanee di dermatosi atipiche, per cui non era stato possibile fare una diagnosi ben precisa nell’autunno 2019. “Nei nostri lavori già pubblicati su riviste internazionali abbiamo dimostrato che esistono in questa pandemia – continua – casi in cui l’unico segno di infezione da Covid-19 è quello di una patologia cutanea”. E questo è stato il caso della giovane donna, che presentava solo lesioni cutanee (per cui si era sospettato inizialmente un lupus eritematoso), e un lieve mal di gola. La sua biopsia, eseguita il 10 novembre, ha mostrato la presenza di sequenze geniche dell’Rna del virus SARSCoV2, "le impronte digitali" del Covid-19 nel tessuto cutaneo.

L’assenza di sintomi e gli anticorpi. La paziente, contattata successivamente, ha riferito l’assenza dei sintomi dell’infezione da Covid. Ma anche la scomparsa delle lesioni sulla pelle ad aprile e la positività degli anticorpi nel sangue a giugno 2020. Questo “è dunque il caso documentato a livello scientifico più antico della presenza del SarsCov2 – conclude Gianotti -. Ma probabilmente, continuando a cercare, lo troveremmo anche su campioni di ottobre 2019”. Questo nuovo studio si aggiunge a quelli dei mesi scorsi che avevano rilevato la presenza del coronavirus nelle acque reflue del Nord Italia a dicembre 2019. Quello dell’Istituto nazionale dei Tumori di Milano che aveva trovato gli anticorpi al virus nei pazienti di uno screening per il tumore del polmone tra settembre 2019 e marzo 2020. Poi quello del bambino milanese risultato positivo ad un test fatto all’inizio di dicembre 2019. (Fonte Ansa).

Covid, nuovo paziente 1 in Italia: è una 25enne milanese con dermatosi atipica positiva a novembre del 2019. Tiziana De Giorgio su La Repubblica l'11 gennaio 2021. Scoperto un caso precedente al bimbo che già a dicembre era stato contagiato grazie a uno studio dell'Università Statale pubblicato sul British Journal of Dermatology. Trovato il nuovo paziente 1 di Covid-19 italiano: è una donna milanese di 25 anni, sottoposta il 10 novembre 2019 a una biopsia della pelle per una dermatosi atipica, prima quindi del bambino di quattro anni di cui era stata documentata la presenza del virus con un test fatto a dicembre 2019. A dirlo è uno studio internazionale coordinato dall'Università Statale di Milano e pubblicato sul British Journal of Dermatology, che ha indagato le biopsie cutanee dell'autunno prima dell'esplosione della pandemia, trovando il Covid in una giovane paziente che aveva (apparentemente) solo uno sfogo rosso sulle braccia. Le patologie cutanee sono presenti in circa il 5-10 per cento dei pazienti con un'infezione da Covid-19. Un gruppo di patologi coordinato da Raffaele Gianotti, ricercatore dell'ateneo milanese, con il supporto dei laboratori dell'Istituto Europeo di Oncologia e Centro Diagnostico Italiano, ha riesaminato al microscopio una decina di biopsie cutanee di dermatosi atipiche osservate negli ultimi mesi del 2019 che non avevano una diagnosi precisa. "Abbiamo cercato nel passato perché nei nostri lavori già pubblicati su riviste internazionali è stato dimostrato che esistono, in questa pandemia, casi in cui l'unico segno di infezione da Covid 19 è quello di una patologia cutanea - spiega Gianotti -  Mi sono domandato se avessimo potuto trovare indizi della presenza della SARS-CoV-2 nella cute di pazienti con solo malattie della pelle prima dell'inizio della fase epidemica ufficialmente riconosciuta". La biopsia di una giovane donna che risale a novembre, tre mesi prima del caso di Codogno, ha mostrato la presenza di sequenze geniche dell'RNA del virus, le impronte digitali del Covid-19 nel tessuto cutaneo.  "Attraverso indagini immunoistochimiche portate avanti nel nostro laboratorio - spiega Giovanni Fellegara, responsabile del laboratorio di anatomia patologica del Centro Diagnostico Italiano - è stato possibile dimostrare la presenza di antigeni virali nelle ghiandole sudoripare". Un dato poi confermato dal riscontro nelle stesse strutture di sequenze geniche dell'RNA virale identificato con la tecnica RNA-FISH dall'Istituto Europeo di Oncologia. "Abbiamo dimostrato la presenza di sequenze virali SARS-CoV-2 anche in sei pazienti del 2020 affetti solo da dermatosi ma senza sintomi sistemici da infezione COVID-19", aggiunge Massimo Barberis, direttore dell'unità clinica di diagnostica istopatologica e molecolare dello Ieo. La giovane, contattata a posteriori, ha raccontato di non avere avuto altro sintomo e che quelle lesioni sono scomparse dopo cinque mesi. Da un test sierologico fatto a giugno 2020, poi, ecco gli anticorpi nel sangue. "Sulla base dei dati presenti in letteratura mondiale questo è il più antico riscontro della presenza del virus SARS-CoV-2 in un essere umano", scrive l'Università degli Studi, che aveva già retrodatato all'inizio di dicembre il primo tampone positivo al virus in Italia, eseguito su un bambino di quattro anni per un sospetto morbillo.

Coronavirus, la nuova paziente 1 italiana positiva il 10 novembre 2019: quando è nata davvero la pandemia? Le Iene News l'11 gennaio 2021. Il caso della donna italiana positiva al Covid a novembre 2019 conferma la tesi per cui il coronavirus sia nato ben prima della sua scoperta a dicembre a Wuhan, in Cina: si tratta del “più antico riscontro della presenza del virus in un essere umano”. Le domande sull’origine - e su quando sia arrivato in Italia - restano però largamente senza risposta e l’Oms sta ancora studiando la nascita del nuovo virus: noi de Le Iene abbiamo approfondito una possibile teoria. Continua a non fermarsi la corsa del coronavirus, che negli ultimi giorni è tornato a crescere in tutta Italia lanciando l’allarme per l’arrivo della terzo ondata. Ma se il virus prosegue a marciare in avanti, sembra che lo stia facendo anche all’indietro: un gruppo di ricercatori guidati da Raffaele Gianotti dell’università di Milano ha infatti retrodatato il “paziente uno” italiano al 10 novembre 2019. Si tratta di una donna milanese di 25 anni, la cui positività sarebbe stata individuata grazie a un campione di pelle prelevato per una biopsia in quella data. Una scoperta importantissima, perché aiuta a far luce su alcune domande ancora rimasta senza risposta: quando è nato il nuovo coronavirus? E quando è arrivato in Italia? Perché, ricorda l'università di Milano, “sulla base dei dati presenti in letteratura mondiale questo è il più antico riscontro della presenza del virus in un essere umano”. Originariamente il primo caso individuato era di un paziente maschio nella città di Wuhan, in Cina, il primo dicembre 2019. Bisognerà però aspettare fino a gennaio 2020 per comprendere che si trattava di un nuovo virus. Sappiamo invece che il primo caso di contagio avvenuto in Italia è stato ufficialmente tracciato il 17 febbraio 2020. La scoperta di una paziente positiva in Italia il 10 novembre è un ulteriore tassello che conferma l’ipotesi che il coronavirus circolasse ben prima della scoperta dei primi casi. Non è però ancora chiaro quando il virus abbia fatto il “salto”: la teoria scientifica a oggi più accreditata indica il pipistrello come animale in cui sarebbe nato il virus, e ci sarebbe stato un passaggio intermedio prima del contagio umano. Non è ancora ufficialmente chiaro quale possa essere stato questo animale. Proprio per cercare di rispondere a tutte queste domande l’Oms ha deciso di inviare una missione a Wuhan, il presunto luogo di nascita della pandemia. Gli scienziati sono arrivati oggi, 11 gennaio, in Cina, dopo giorni di tensioni in cui il governo di Pechino sembrava non voler collaborare con l’autorità sanitaria dell’Onu. Noi de Le Iene abbiamo approfondito una possibile teoria sulla nascita del coronavirus: abbiamo analizzato alcune circostanze  e un possibile legame tra laboratori di biocontenimento statunitense e cinesi. E’ possibile, anche alla luce della nuova scoperta, che il virus sia esploso a Wuhan ma non sia davvero nato lì? Il governo americano di Donald Trump ha in passato accusato la Cina non solo di aver visto nascere il virus nel proprio territorio, ma anche di ritenerla colpevole della sua diffusione tramite il laboratorio di Wuhan. Di contro il governo di Pechino ha sostenuto la tesi secondo cui potrebbe essere stato l’esercito americano a portare in Cina il coronavirus, in occasione delle olimpiadi militari svoltesi proprio a Wuhan nell’ottobre del 2019 e cui hanno partecipato molti soldati statunitensi. Un evento, quello delle olimpiadi militari, che ha raccolto 10mila persone provenienti da oltre 100 paesi. Le accuse di Pechino sono solo schermaglie politiche, o potrebbe esserci un fondo di verità? Potete rivedere il nostro servizio in testa a questo articolo.

·        La Caduta degli Dei.

Vittorio Feltri contro Michele Serra e compagni: "Avete infangato la Lombardia, ora dovete nascondervi".  Vittorio Feltri su Libero Quotidiano il 07 giugno 2021. Oltre un anno fa la Lombardia era la regione più sbeffeggiata d’Italia, soprattutto dalla stampa, specialmente quella di sinistra, ossia quasi tutta. Le erano rivolte accuse sanguinose perché travolta dalla pandemia che l’aveva colpita aggressivamente, provocando una strage. Allora la malattia era contrastata da tentativi terapeutici improvvisati e quasi mai efficaci al punto di poter guarire chi ne era affetto. La gente era terrorizzata e non sapeva a quale santo votarsi. Anche nel resto del Paese il virus mieteva vittime, ma ancora non era dilagato come da noi, dove la densità abitativa è intensa, per cui il pericolo di contagio altissimo. Cosicché era opinione diffusa che al Nord la sanità non fosse di alto livello come si pensava. Il primo ad essere bersagliato fu il capo del Pirellone, Attilio Fontana, contro il quale si scagliarono politici e giornalisti progressisti. Ricordo un articolo becero di Michele Serra, apparso sula Repubblica, nel quale i lombardi furono presi a pesci in faccia, descritti come colpevoli del proprio destino in quanto portati a vivere solo per guadagnare, trascurando qualsiasi altro valore. Tutta la pubblicistica nazionale si uniformò a questo giudizio sommario. Emergeva dai testi una malcelata soddisfazione nel constatare che la regione più ricca e organizzata si rivelasse la più massacrata dal Covid. Intanto il governatore della Lombardia subiva addirittura inchieste giudiziarie quasi che l'untore fosse lui. Non usciva una prima pagina di quotidiano che non recasse un titolo grondante disprezzo nei confronti della Lombardia negletta. Fu una campagna denigratoria senza precedenti. L'ondata delle infezioni intanto divenne straripante, e la Giunta regionale, davanti alle statistiche mortuarie spaventose e al tutto esaurito nei vari ospedali, decise di costruire al volo una struttura sanitaria suppletiva alla Fiera di Milano. Fu realizzata in tempi da record grazie alle donazioni dei cittadini, tra i quali partecipammo con cifre non miserrime anche Alessandro Sallusti, allora direttore del Giornale, e il sottoscritto, anzi soprascritto. Egli ed io promuovemmo con le nostre testate sottoscrizioni che valsero la raccolta di alcuni milioni. Naturalmente, invece di essere applauditi, fummo coinvolti in polemiche prive di senso. Passammo per complici di Fontana, quasi che costruire in fretta un nosocomio per soccorrere chi rischiava la pelle fosse un grave reato. Poi la Lombardia reagì con i fatti: arrivarono Moratti e Bertolaso e miracolosamente la situazione si ribaltò. I meccanismi del soccorso a chi era sul punto di andare all'altro mondo furono perfezionati e, per non farla troppo lunga, ora questa è la regione più efficiente, secondo tradizione, e nessuno osa più sputare su di essa. L'ospedale in fiera ha dimesso l'ultimo paziente, i vaccini procedono a ritmo veloce. Insomma, il problema è in via di soluzione. Qualcuno (tanti) ci dovrebbe delle scuse, che non giungeranno. Fontana non sarà risarcito, scoveranno altri motivi per rompergli le scatole. Siamo abituati al peggio. Infine, una notizia. A Bergamo e provincia, luoghi massacrati lo scorso anno dal virus, ormai non si muore più. Lo scandalo consiste in questo dettaglio: nessuno lo dice.

La Lombardia non perde il vizio: ennesima truffa sulle mascherine. Dopo gli scandali sulle forniture che hanno coinvolto anche il governatore Fontana, finisce in manette un imprenditore varesino. Michelangelo Bonessa su Il Quotidiano del Sud il 19 maggio 2021. Manette per gli ordini fantasma di mascherine. In Lombardia per l’ennesima volta si torna a parlare di truffe sui dispositivi medici. E non materiali qualsiasi, ma le mascherine proprio nel mezzo della prima ondata di Sars-Cov-2 del 2020. La Guardia di finanza di Varese ha infatti arrestato un imprenditore varesino accusato di aver truffato Aria spa e Aler Milano: alla prima ha sfilato 429mila euro «millantando la disponibilità di un carico di 200mila mascherine mod. FFP3 provenienti dalla Cina» scrivono i militari. Alla seconda «grazie all’illecita intermediazione di un dipendente di Aler, l’arrestato ha frodato l’Azienda lombarda edilizia residenziale (in sigla Aler) di Milano fornendo mascherine tipo FFP2, oggetto di appalto, che sono risultate prive della certificazione e della prescritta marchiatura CE».  Ora l’imprenditore, a cui nel frattempo sono stati sequestrati 460mila euro, dovrà rispondere, unitamente ad altri soggetti indagati a piede libero, dei reati di truffa aggravata in danno di ente pubblico, frode in pubbliche forniture ed auto riciclaggio. Ma non è l’unico caso, né probabilmente l’ultimo, di cui si sentirà parlare, perché durante i primi sei mesi del 2020 ai conti della Regione Lombardia è successo di tutto, con Aria spa che tentava disperatamente di trovare rifornimenti di materiali e medicinali nel caos generato dalla pandemia.

I PRECEDENTI. E le segnalazioni e le denunce sono state tante, come in questo caso: l’indagine è infatti partita da una segnalazione per operazione sospetta ai fini della normativa anti-riciclaggio nella quale venivano evidenziate presunte condotte illecite poste in essere dall’imprenditore. E non è l’unico varesino finito nei guai per vicende di forniture: lo stesso presidente regionale Attilio Fontana è finito indagato per la ormai nota questione dei camici. Anche il valore della fornitura è simile: la Dama spa, di proprietà della famiglia del governatore leghista, aveva tentato di vendere camici per 517mila euro ad Aria spa. Quando l’azienda aveva trasformato l’ordine in donazione, Fontana aveva tentato di rifondere i famigliari con un versamento da 250mila euro che però è stato segnalato e bloccato dalle istituzioni preposte ai controlli anti-riciclaggio perché, tra l’altro, il conto personale del governatore è in Svizzera. E non è l’unico scandalo sulle mascherine in Lombardia: ormai i casi scoperti dalle forze dell’ordine sono sempre più frequenti: solo pochi giorni fa era emerso il caso di una cittadina cinese che aveva un deposito affittato in nero in pieno centro di Milano con 5 milioni di mascherine irregolari che vendeva abusivamente ad aziende e singoli cittadini. Un caso che se fosse successo in una qualunque città del Sud avrebbe avuto ben altra eco sulla stampa nazionale. E ancora prima si erano visti sindaci, come quello di Opera, cittadina alle porte di Milano, arrestato sempre per una gestione allegra delle mascherine di cui era venuto in possesso. Quasi una dimostrazione che la politica al governo in Lombardia, a tutti i livelli, non si è dimostrata all’altezza della situazione, per usare un eufemismo.

L’ATTACCO DI M5S.  E proprio sull’ennesimo caso di truffe sulle forniture si è mossa l’opposizione alla giunta Fontana: «I leghisti – attacca il consigliere del M5S Gregorio Mammì – dovrebbero spiegare nel dettaglio tutte le spese effettuate dalla Regione Lombardia nel 2020, con un focus particolare sui primi sei mesi dell’anno quando sono state spese decine di milioni di euro per tamponare i buchi di vent’anni di malagestione. Invece, forse proprio per far dimenticare il fallimento di un sistema tanto decantato dal centrodestra negli ultimi decenni, la Lega preferisce fare la guerra a 60 migranti dei 599 che il Ministero vuole redistribuire nelle varie regioni».

I SINDACI LEGHISTI. Il riferimento di Mammì è all’attacco dei sindaci leghisti in Lombardia che per bocca di Fabrizio Cecchetti, coordinatore della Lega lombarda, e Giacomo Ghilardi, coordinatore regionale sindaci Lega della Lombardia hanno polemizzato a distanza con il Viminale usando come motivazione per il rifiuto proprio la pandemia: «La Lombardia è in assoluto la Regione che ha pagato il prezzo più alto al Covid, anche in termini economici, per via delle tante chiusure ripetute. Sul territorio abbiamo tante famiglie in difficoltà, tante famiglie rimaste senza lavoro e senza reddito, per cui ogni euro disponibile serve per aiutare la nostra gente. Su questo non si discute: prima gli italiani, prima le nostre famiglie». Visti i guai degli imprenditori varesini, manca solo il riferimento alle “nostre aziende”.

Fabio Savelli per il "Corriere della Sera" il 5 maggio 2021. A guardarla a prima vista sembra una classifica ingannevole, in cui i primi della classe in una fascia d' età giovanile sono spesso in coda in quella prioritaria, degli anziani. In un gioco di specchi in cui i più meritevoli rischiano però di apparire i più improvvidi perché vaccinano in maniera prevalente chi dovrebbe attendere ancora un po', senza coprire tutti quelli che col Covid vanno incontro a ospedalizzazioni e decessi. Un paradosso che sembra riguardare l' operato di Sicilia, Calabria, Campania e Sardegna. Uno spartito non proprio fedele al dettato del commissario Francesco Figliuolo. Così scopriamo che Basilicata e Campania sono in testa per quota di vaccinati nella fascia d' età tra i 50 e i 59 anni, al momento dedicata prevalentemente al personale sanitario, scolastico e militare. Un quarto dei residenti di queste due regioni ha già avuto almeno una dose: il «primato» mostra la capacità di somministrazione della Campania che però sembra procedere molto più lentamente con gli over 80. In quella tra i 40 e 49 anni anche la Puglia è nei primi posti ed è invece sotto la media nazionale nella fascia 60-69. Sui trentenni ancora in testa la Basilicata, ma ha somministrato due dosi solo al 2,6% tra i 70 e i 79 anni. Le motivazioni, almeno a sentire le Regioni coinvolte, devono sfuggire a facili interpretazioni: si sostiene, infatti, che una parte consistente della popolazione anziana non vaccinata è diffidente al vaccino e, molto spesso, rifiuta la somministrazione. E ancora: il ruolo dei medici di base - le sentinelle dei più fragili perché con loro a quotidiano contatto - non aiuta come era lecito sperare, non riuscendo a coinvolgere la popolazione che corre i maggiori rischi Covid. Ieri la Fimmg, la federazione che li rappresenta, ha però rovesciato il punto di vista: con una lettera alla struttura commissariale ha segnalato lo scarso coinvolgimento per «la mancata o insufficiente fornitura di vaccini a vantaggio dei grandi hub». È chiaro che nel piano logistico si sia attribuita una corsia preferenziale ai grandi punti vaccinali capaci di somministrare sieri a migliaia di persone in un giorno. Ma è altrettanto evidente come in alcune regioni, come la Sardegna, sia bassissima l' adesione dei professionisti di medicina generale alla campagna forse anche per il timore di responsabilità in caso di situazioni avverse o per il carico di lavoro cresciuto nell' ultimo anno. Di certo siamo di fronte a una quota di anziani non raggiungibile: almeno 200 mila over 80, di cui il 75% al Sud, che sfugge ai radar. La Campania li inquadra come ideologicamente no-vax perché la regione guidata da Vincenzo De Luca ha effettivamente coperto il 100% degli anziani prenotati e sostiene di non poter raggiungere gli altri. E il «federalismo vaccinale» si nota dalla strategia di Sicilia, Sardegna e Campania di immunizzare gli abitanti delle isole minori. E spinge il Lazio a ventilare l' ipotesi di vaccinare negli stadi durante le partite degli Europei. Ci sono ragioni di opportunità: la stagione estiva è alle porte e mettere in sicurezza 200 mila persone che vivono in 30 isole minori presenta dei vantaggi. Ieri la regione guidata da Nello Musumeci ha rotto gli indugi. Oggi è previsto un vertice col commissario Figliuolo, il ministero degli Affari regionali e l' Ancim, l' associazione che riunisce i Comuni delle isole minori. Tra le ipotesi la possibilità di effettuare vaccini di massa.

Cinque storie di buona sanità siciliana, per archiviare i viaggi della speranza. Giusi Spica su La Repubblica il 15 aprile 2021. In molti casi spostarsi al nord per curarsi non è più inevitabile. Dai volti ricostruiti in 3D alla banca del sangue raro: ecco i protagonisti dell'eccellenza isolana. Il superchirurgo belga che opera i bambini di tutta Europa, la scuola di chirurgia maxillo-facciale che ricostruisce i volti con l’aiuto della stampante tridimensionale, la rete per la cura delle malattie del fegato con i farmaci innovativi, l’équipe che ha eseguito il primo trapianto di utero in Italia, la banca del sangue con oltre 25mila donatori. Sono cinque eccellenze siciliane che hanno un volto e un nome. Il professor Jean de Ville de Goyet, grande esperto belga di chirurgia addominale e dei trapianti pediatrici, è stato arruolato da Ismett nel 2017. Da allora ha eseguito più di 70 trapianti. Ha operato bambini siciliani, laziali, campani, pugliesi, valdostani, lombardi. Per lui sono arrivati anche da fuori nazione: da Danimarca, Ungheria, Romania, Ucraina. Viaggi della speranza “al contrario”, da Nord a Sud, verso l’Isola dove ogni anno un paziente su dieci prende l’aereo per farsi curare. «Utilizziamo una tecnica unica che si chiama “bypass Meso Rex” per le malformazioni del sistema portale: per questo i nostri piccoli pazienti vengono da tutta Europa», spiega de Ville, approdato a Palermo dopo essere stato al Bambino Gesù di Roma e in altri centri fra Parigi e Bruxelles. Dal Sant’Orsola di Bologna è arrivato invece Alberto Bianchi, 59 anni, che nel 2018 — dopo aver vinto un concorso da professore associato all’università di Catania — ha impiantato una scuola di chirurgia maxillo-facciale specializzata nell’uso delle tecnologie. È stato uno dei primi chirurghi italiani a introdurre l’uso della stampante 3D per realizzare protesi personalizzate in titanio con cui ricostruire i volti sfigurati delle vittime di incidenti stradali ma anche di pazienti affetti da tumore. Negli ultimi sei mesi sono stati sei gli interventi di ricostruzione della mandibola su pazienti oncologici. "Gli altri due filoni di ricerca — spiega il professore belga — sono la simulazione computerizzata degli interventi e la Tac intraoperatoria unica in Sicilia". Il prossimo obiettivo è creare a Catania una “smile house” per restituire il sorriso ai bambini con malformazioni: "Al momento — dice — ne operiamo 10-12 l’anno e siamo stati inseriti fra i centri di eccellenza dalla Società italiana per la labiopalatoschisi". La Sicilia è all’avanguardia nelle cure delle malattie del fegato, grazie a una rete di quindici centri per la cura delle epatiti con i nuovi antivirali, coordinata dal Policlinico di Palermo. A guidarla è Antonio Craxì, professore di Gastroenterologia e Medicina interna e direttore del dipartimento di Promozione della salute all’università di Palermo. "Il progetto in cantiere — spiega Craxì — è la rete per i tumori primitivi del fegato, finanziata dalla Regione, che prevede la gestione multidisciplinare e comprende unità di epatologia, radiologia, chirurgia e oncologia di cinque aziende sanitarie: Policlinico di Palermo, Policlinico di Messina, Garibaldi-Nesima di Catania, Villa Sofia-Cervello di Palermo e Ismett". A settembre del 2020 la Sicilia esegue il primo trapianto di utero in Italia. Il primato è del Policlinico di Catania, in collaborazione con l’ospedale Cannizzaro. È stato eseguito su una trentenne siciliana dall’équipe composta dai professori Pierfrancesco e Massimiliano Veroux e dai ginecologi Paolo Scollo e Giuseppe Scibilia. "Lavoravamo a questo obiettivo da quattro anni — spiega il professor Paolo Scollo — siamo gli unici in Italia a essere autorizzati a questo tipo di trapianto che nel resto d’Europa si fa in Svezia. Nel nostro Paese è permesso solo da donatrici di cui sia stata certificata la morte cerebrale, in altre parti del mondo si fa anche da donatrici viventi". Un’altra eccellenza è la Banca dei gruppi sanguigni rari di Ragusa, l’unica in Italia oltre a quella di Milano. Anche in piena pandemia la città iblea è riuscita a mantenere il primato in Europa: il 7,9 per cento degli abitanti dona il sangue, rispetto a una media italiana del 3 per cento e a una europea vicina al 4. "Dal 2011, anno di nascita della Banca dei gruppi rari, abbiamo tipizzato 25.132 donatori in network con undici servizi trasfusionali e identificato 31 gruppi sanguigni rari", dice il responsabile del servizio trasfusionale dell’ospedale ragusano Giovanni Garozzo. Da quando è nata, ha risposto a 381 su 476 richieste di emazie di gruppi rari. La sanità che funziona, nonostante la sanità che non funziona.

LA LOMBARDIA NON HA IMPARATO NULLA, SANITÀ PRIVATIZZATA ANCORA DI PIÙ. Il cambiamento in peggio delle nuove linee guida della Giunta Fontana. Dopo le tragedie provocate nella gestione della pandemia, nuovo passo avanti verso il modello Usa. Michelangelo Bonessa su Il Quotidiano del Sud il 27 maggio 2021. Come prima, peggio di prima. La nuova legge regionale sanitaria della Lombardia non sembra orientata a imparare dagli errori del passato: i privati, infatti, avranno ancora più spazio rispetto al passato se passeranno le nuove linee guida su cui sta lavorando l’Amministrazione guidata dal leghista Attilio Fontana. Nelle prime slide del documento che sta girando in questi giorni in Regione i privati sono citati subito come un elemento essenziale della nuova struttura: ad esempio sui malati cronici, uno dei fallimenti più clamorosi della legge Maroni del 2015, si parla di «equivalenza, integrazione e complementarietà all’interno del Sistema sanitario regionale dell’offerta sanitaria e sociosanitaria delle strutture pubbliche e delle strutture private accreditate». Anzi si parla di «riconoscimento delle medesime prerogative delle aziende ospedaliere a quegli operatori privati che abbiano i requisiti previsti dall’art. 4 del disegno di legge 502/1992».

VERSO IL MODELLO USA. Quindi un ulteriore passo avanti verso il modello di sanità americana, proprio in un momento storico in cui gli Stati Uniti hanno riscoperto il valore di uno Stato sociale più strutturato. Allo stesso tempo la giunta lombarda ha almeno il merito di aver accettato alcune indicazioni che sono state fornite dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, come l’istituzione delle Case di comunità, un passo nella direzione della ricostruzione della sanità territoriale smantellata negli ultimi decenni a favore dei sistemi ospedalieri. Ma forse in questo caso ha più meriti il Piano nazionale di ripresa e resilienza, che infatti viene citato proprio a proposito di questa parte delle linee guida: «In relazione alle previsioni del Pnr si ritiene di individuare una Casa della Comunità ogni 50mila abitanti circa» si legge nel testo. Sarebbero tra l’altro le stesse strutture a dover supportare la presa in carico dei malati cronici: la legge 23 del 2015 era stata definita sperimentazione proprio perché proponeva un nuovo modello per questi pazienti, ma a oggi solo circa il 10% (varia da provincia a provincia) ha aderito al nuovo protocollo. Sono tante le proposte, comprese alcune incursioni su quello che pare il futuro di molte prestazioni mediche come la telemedicina su cui si prospetta un «potenziamento nelle forme della televisita, teleconsulto, telemonitoraggio in coerenza con le direttive nazionali e in una logica di integrazione con il sistema di prenotazione regionale e il fascicolo sanitario elettronico».

I SINDACI. E l’altro grande tema ancora sottotraccia della sanità lombarda, cioè il coinvolgimento della conferenza dei sindaci: l’idea di un ruolo di primo piano delle Amministrazioni locali nella gestione della sanità territoriale implicherebbe moltissime conseguenze sia organizzative, sia sui 20 miliardi di euro di valore del bilancio regionale. Non pare un caso, infatti, che il sindaco di Milano Giuseppe Sala abbia creato una lista elettorale tutta dedicata alla Salute, quasi un portarsi avanti sull’idea di sanità comunale che si prospetta in Lombardia. Alcune idee espresse nelle linee guida sembrano già morte prima di prendere vita ufficialmente, come l’idea di costituire un’unica Ats come consigliato da Agenas: il territorio lombardo è troppo grande e multiforme e dunque pare tecnicamente impossibile, o quanto meno, molto molto improbabile che un unico ente possa gestirlo amministrativamente.

LE POLEMICHE. Si tratta, tra l’altro, proprio di uno dei temi che agitano la maggioranza in queste settimane: le diverse anime dell’Amministrazione Fontana si stanno scontrando tra iperfederalisti e centralizzatori. Tanto che non si trova ancora la quadra tra le varie istanze: tuttora la maggioranza in Regione sta cercando un equilibrio tra le sue varie componenti. Per oggi era prevista una presentazione ufficiale di queste linee guida, ma dopo l’ultima riunione di maggioranza le varie anime dell’Amministrazione Fontana non sembrano ancora in grado di trovare l’accordo definitivo: l’ufficializzazione delle linee guida è stata quindi rinviata, probabilmente alla prossima settimana. Nel frattempo Letizia Moratti, vicepresidente e assessore al Welfare, è stata costretta a smentire le tensioni che in realtà sono note a tutti a Palazzo Pirelli: «Nessun dissidio, c’è stato un confronto molto costruttivo e molto positivo che per altro dura già da qualche settimana con diversi incontri. Quindi andremo avanti sicuramente e rapidamente.

ARIA CAMBIA VERTICE. Ma la crisi della giunta lombarda non si ferma su nessun piano e ora è stato cambiato l’ennesimo dirigente apicale della sanità lombarda: Silvio Sperzani è il nuovo amministratore unico di Aria spa. L’incarico è stato ratificato ieri dalla Regione Lombardia attraverso l’approvazione di una delibera della Giunta che ne prevede la nomina. Lorenzo Gubian, che era stato nominato amministratore unico dopo le dimissioni in blocco – chieste dal governatore Fontana – di tutta la governance di Aria, dopo le polemiche legate alle prenotazioni per le vaccinazioni degli over 80, tornerà nel suo ruolo originale di direttore generale. Sperzani, milanese, classe 1962, proviene da Doom, la società del cantante Fedez che, insieme alla moglie Chiara Ferragni, aveva polemizzato con la Regione Lombardia a causa delle mancanze della campagna di vaccinazione.

La sanità lombarda più presente in procura che dentro gli ospedali. Una lunga scia di dirigenti coinvolti nelle inchieste: il covid ha riaperto i problemi irrisolti su corruzione, appalti e incarichi dopo gli anni degli scandali di Formigoni. Michelangelo Bonessa su Il Quotidiano del Sud il 22 aprile 2021. Arresti, interrogazioni parlamentari e siluramenti. La Lombardia sembra avere un problema con la classe dirigente sanitaria, soprattutto dalle parti di Pavia. Il Sars-Cov-2 sembra aver aggravato una situazione già compromessa dagli scandali e processi che avevano portato alla fine dell’era Formigoni: in un anno si sono visti manager del comparto sanitario finire contestati, indagati o arrestati. L’ultimo nome finito nel calderone è quello di Angelo Cordone, nominato direttore generale del Besta: il senatore del Partito democratico Franco Mirabelli ha presentato un’interrogazione al ministro Speranza per chiedere chiarimenti. “Come mi ero impegnato a fare, ho presentato un’interrogazione al Ministro della Salute in merito alla nomina di Angelo Cordone a Direttore generale del Besta, deliberata all’unanimità, il 16 aprile scorso dal Consiglio di amministrazione dell’Istituto – ha annunciato Mirabelli – Angelo Cordone, già direttore sanitario dell’IRCCS dal 26 gennaio 2019 al 31 dicembre 2018, nel gennaio 2021, è stato rinviato a giudizio nell’ambito del processo sui presunti bilanci truccati della fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia, di cui è stato direttore generale dal 1° gennaio 2012 al 31 dicembre 2015. Secondo l’accusa, nei bilanci dal 2009 al 2012 non sono state registrate perdite per un totale di 31,6 milioni di euro. Tali accuse, tuttavia, sono state archiviate per prescrizione, mentre sono rimaste quelle relative agli anni successivi. A inizio del 2019, il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pavia ha respinto la proposta di archiviazione da parte del pubblico ministero, per un’ipotesi di falso in atto pubblico”. E sul caso Cordone si sono scatenati anche altri rappresentanti dell’opposizione all’Amministrazione lombarda: “La giunta di Attilio Fontana non perde occasione per far parlare di sé a causa di scelte inopportune – ha attaccato il deputato M5S ed ex consigliere regionale Stefano Buffagni – L’ultima in ordine di tempo è la nomina di Angelo Cordone a direttore generale del prestigioso Istituto Neurologico Besta di Milano. Cordone sarebbe stato rinviato a giudizio nell’ambito dell’indagine per i presunti bilanci truccati dell’Ospedale San Matteo di Pavia. Al di là della vicenda giudiziaria che spetterà ai magistrati chiarire, è davvero possibile che non esistessero altre figure adatte a quel ruolo? Fontana non pensa che a volte si debba considerare alcune situazioni e agire di conseguenza soprattutto per garantire fiducia nei cittadini?”. Ma il caso Cordone è solo l’ultimo in ordine di tempo, perché già altri dirigenti del settore sanitario lombardo sono finiti nei guai: Filippo Bongiovanni, ex direttore generale di Aria spa, è finito indagato per il caso dei camici che l’azienda di famiglia di Attilio Fontana avrebbe cercato di vendere a Regione Lombardia. Un ordine poi trasformato in donazione, ma che non ha risparmiato il manager dall’essere iscritto nel registro degli indagati con lo stesso Fontana. Il presidente lombardo per altro è indagato sia per la questione camici che per un presunto autoriciclaggio per un conto milionario in Svizzera a lui intestato. Sul caso però Fontana ha espresso serenità: “Se non sono turbato io, mi auguro che i miei cittadini siano ancora meno turbati di me. Io sono assolutamente sereno e tranquillo, non devo far altro che aspettare che i giudici assumano i loro provvedimenti”. Ma ancora prima di Cordone c’è stato un altro caso legato a Pavia: Michele Brait, direttore dell’azienda socio sanitaria territoriale di zona, è stato arrestato con l’accusa di aver truccato gli appalti per il servizio ambulanze. Brait, sospeso dal suo ruolo di direttore generale dell’Asst Pavia, era finito in manette insieme al funzionario dell’azienda Davide Rigozzi e ad Antonio e Francesco Calderone, gli amministratori di fatto della coop First Aid che si era aggiudicata l’appalto da quasi due milioni di euro su cui verte l’indagine per turbativa d’asta. L’ennesimo brutto colpo per la classe dirigente sanitaria lombarda. Anche se Brait si sta difendendo come un leone parlando del suo arresto come “un atto di violenza giudiziaria tanto infondato quanto irragionevole”. E prima di entrare nell’era delle vaccinazioni, la cronaca aveva registrato un altro caso sempre a Pavia: i vertici del San Matteo erano finiti indagati per turbata libertà del procedimento di scelta del contraente e peculato per una vicenda legata ai test sierologici. Sul tema ci sono due inchieste degli investigatori di Pavia e Milano: l’ipotesi della Procura è che “tutti i risultati delle attività di ricerca e sperimentazione effettuate dalla Fondazione Irccs San Matteo di Pavia” siano stati “trasferiti” all’azienda piemontese, “favorendola” a discapito di altre potenziali concorrenti nel settore dei test sierologici per la diagnosi di infezione da Covid-19. Alcune inchieste giornalistiche avevano messo nel mirino in particolare il responsabile del laboratorio di virologia molecolare Fausto Baldanti perché era anche in organismo di lavoro messo in piedi dalla Regione Lombardia, incaricati di studiare la qualità dei test di tutte le aziende. Un ente da cui poi Baldanti si è dimesso, ma le indagini non sono finite anche se nel frattempo il Consiglio di Stato ha riconosciuto come valido l’accordo tra Diasorin e San Matteo. Non si tratta della “concessione di bene pubblico”, né sussiste “un problema di concorrenza “perché, a differenza del contratto di appalto e della concessione, strutturalmente non vi è una limitazione nella scelta dell’amministrazione ad un solo partner” essendo la ricerca “aperta”. Pavia sembra dunque al centro della nuova crisi del sistema dirigenziale della sanità lombarda che negli anni ha vissuto già altre crisi, come quando i manager del San Raffale si sparavano in testa dopo il crac dell’ospedale. Poi però la sanità regionale sembrava essersi ripresa, almeno fino alla crisi pandemica dovuta al Covid che l’ha fatta a pezzi.

Aria fritta. Report Rai PUNTATA DEL 19/04/2021. Claudia Di Pasquale, collaborazione di Giulia Sabella e Federico Marconi. In questi giorni è partita la campagna vaccinale massiva, il suo successo dipenderà anche dall'andamento delle vaccinazioni in Lombardia, che con i suoi 10 milioni di abitanti è la regione più popolosa d'Italia. Solo pochi giorni fa Fontana ha annunciato la somministrazione di due milioni di dosi. Ma non è tutto oro quello che luccica. Negli ultimi mesi in Lombardia è successo di tutto. Si sono accumulati annunci, proclami, disguidi e disservizi. Sono saltate diverse teste. Si sono succeduti due assessori al welfare, due assessori alla famiglia, due consulenti per la campagna vaccinale, tre direttori generali al welfare. Il piano vaccinale è stato rivisto più volte, è stata cambiata persino la piattaforma per la prenotazione dei vaccini ed è stato azzerato il cda della società regionale Aria. Sono cambiamenti finalizzati solo a migliorare la lotta alla pandemia? O si è consumata anche una sotterranea guerra politica?

ARIA FRITTA di Claudia di Pasquale collaborazione Federico Marconi e Giulia Sabella immagini di Giovanni De Faveri ricerche di Paola Gottardi.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO La campagna di vaccinazione nella Regione Lombardia, 10 milioni di persone è la regione più popolosa d'Italia. Fontana, il governatore ha annunciato nei giorni scorsi due milioni di vaccinati, di dosi. Speriamo che funzioni, perché è importante per il motore economico del paese. È proprio per questo che in questi mesi sono saltati, è saltato l’assessore al Welfare Gallera, al suo posto è venuto l’ex ministra dell’Istruzione, l’ex sindaca di Milano, Letizia Moratti. Sono saltati, si sono avvicendati tre direttori generali al welfare. Poi ci sono stati anche due consulenti a febbraio Bertolaso, c’era già un covid manager. Poi hanno cambiato due portali e hanno istituito anche i vax manager: ma a che cosa serviranno. Però quando poi c’è il pronti e via con un meccanismo che hanno messo in piedi tutte queste persone dovrebbe funzionare come un orologio svizzero. E invece c’è il caos, ma la colpa non è mai dei politici. Piuttosto del portale. La nostra Claudia Di Pasquale.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO  Questo è l'hub per la campagna vaccinale massiva di Malpensa Fiere. Terminata l'inaugurazione lo scorso 31 marzo il governatore della Lombardia passa al j’accuse.

ATTILIO FONTANA - PRESIDENTE REGIONE LOMBARDIA – CONFERENZA STAMPA 31/03/2021  Grazie al cielo queste polemiche stanno… polemiche che sinceramente io trovo stucchevoli e che non sono degne di un Paese come il nostro!

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO Le polemiche sono quelle che riguardano il funzionamento del sistema informativo di prenotazione dei vaccini, comprensivo di call center e piattaforma di adesione. Lo ha realizzato la società della Regione Lombardia Aria Spa, nata un anno e mezzo fa su input della Lega.

SAMUELE ASTUTI - CONSIGLIERE REGIONE LOMBARDIA La giunta dà mandato ad Aria, sua società controllata al 100%, di andare a costruire la piattaforma di prenotazione, piattaforma che ha dei problemi significativi già in una fase iniziale, ma il vero disastro lo vediamo invece successivamente, nel momento in cui questa piattaforma deve iniziare ad avvisare i lombardi che è arrivato il loro momento di vaccinarsi e dove devono andare.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO  Mario Tacca ha quasi 85 anni e risiede a Crema. Si è registrato sulla piattaforma di Aria a metà febbraio. Solo un mese dopo ha ricevuto un messaggio di avviso con data e luogo della vaccinazione.

MARIO TACCA Cittadino guarda che sei chiamato a fare la vaccinazione a Casalmaggiore, sono rimasto allibito, Casalmaggiore? Ho l'ospedale qui a due passi! È una cosa da manicomio!

CLAUDIA DI PASQUALE  Da Crema a Casalmaggiore quanti chilometri ci sono?

MARIO TACCA Credo che siano attorno ai 90-95 chilometri, mi rifiutavo proprio perché dicevo poi bisogna andare anche un'altra volta sono circa 400 chilometri.

CLAUDIA DI PASQUALE Ma quanti centri vaccinali ci sono qua nei dintorni?

MARIO TACCA Quattro. Ho pensato di essere lo sfortunato di turno, ma poi mi sono accorto che non ero il solo.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO Qui siamo invece a Malnate, in provincia di Varese, il signor Gianluigi Masini di 81 anni si è registrato sul portale di Aria a febbraio e ha ricevuto la convocazione per il vaccino un mese dopo, a mezzanotte.

STEFANO MASINI – FIGLIO DI GIANLUIGI MASINI La prenotazione era alle 8.35 a Cremona

CLAUDIA DI PASQUALE  Quanti chilometri ci sono da Malnate fino a Cremona?

STEFANO MASINI – FIGLIO DI GIANLUIGI MASINI Sono sui 170 chilometri.

GIANLUIGI MASINI Gli ho detto, ma stai scherzando? Devo andare a Cremona per farmi il vaccino con tutti gli ospedali che ci sono qui a Varese? Annulla pure la prenotazione.

CLAUDIA DI PASQUALE Avete provato a chiamare il call center comunque della Regione?

GIANLUIGI MASINI L'ha chiamato mia figlia e gli ha risposto così, che sono problemi nostri non suoi

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO La storia di Gianluigi Masini è finita sul quotidiano locale Varesenews, le istituzioni allora si sono mosse e alla fine lui si è vaccinato a Varese.

STEFANO MASINI – FIGLIO DI GIANLUIGI MASINI Se non scrivevamo a Varesenews? Se mio papà era da solo, cosa succedeva?

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO Sono tanti gli anziani spediti dal sistema di prenotazione di Aria a fare il vaccino lontano da casa. Quelli di Bergamo sono stati mandati ad Antegnate, quelli di Crema a Cremona, e viceversa, c'è chi da Pavia è dovuto andare a Pieve Emanuele, in provincia di Milano. Qui siamo invece a Codogno, da dove tutto è partito. Questo è il centro vaccinale e lui è il signor Giuseppe Cigolini di 83 anni.

GIUSEPPE CIGOLINI Io abito là, guardi là, quel palazzo giallo là vede?

CLAUDIA DI PASQUALE E qua c'è il centro vaccinale.

GIUSEPPE CIGOLINI Sì, e mi hanno mandato l'sms di andare a Soresina.

CLAUDIA DI PASQUALE A Soresina?

GIUSEPPE CIGOLINI A Soresina con il carrellino questo, andavo piano piano arrivavo dopo 15 giorni, ma perché devo andare a Soresina quando ho il centro qua che vaccinano? Abito a 100 metri cazzo...

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO Un centinaio di insegnanti di Mantova invece sono stati convocati a Crema presso la clinica Sanitas. Un medico se n’è accorto e ha fatto questo post.

AGOSTINO DOSSENA – EX PRIMARIO ANESTESIA OSPEDALE CREMA, VOLONTARIO Mi immaginavo che una persona che ha davanti 100 chilometri per venire a farsi vaccinare, ci sarebbe stata tanta rinuncia, a un certo punto è scomparsa la lista e quindi noi ci siamo trovati praticamente la lista con zero persone.

CLAUDIA DI PASQUALE E quindi di fatto ieri che avete fatto?

AGOSTINO DOSSENA – EX PRIMARIO ANESTESIA OSPEDALE CREMA, VOLONTARIO Zero persone, zero vaccini, ho detto: cavolo, rischio il penale, lo faccio volontariamente e mi ritrovo a fare niente, mi sono proprio incazzato.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO Qui siamo invece sul Lago di Iseo in provincia di Brescia. Questo è l'hub vaccinale, si potrebbero fare ben 800 vaccini al giorno, quando entriamo però il centro è quasi vuoto.

VOLONTARIA Sicuramente è il sistema di prenotazione che non funziona .

CLAUDIA DI PASQUALE È un problema? VOLONTARIA Potremmo essere 30 volontari, ieri sera hanno detto a qualcuno di non venire, siamo qua a vuoto in tre.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO Episodi simili sono capitati anche a Chiuduno, in provincia di Bergamo, a Monza, a Como, al centro vaccinale di Varese e a Cremona: proprio qui, nei giorni 20 e 21 marzo, l'hub vaccinale della fiera ha rischiato di restare deserto.

ATTILIO GALMOZZI – MEDICO E ASSESSORE CREMA I volontari sono pronti. Ad un certo punto incominciano ad accorgersi che c'è qualcosa che non va perché a fronte di centinaia di persone segnalate per quel giorno non si stava presentando nessuno.

CLAUDIA DI PASQUALE Quante dosi erano state preparate?

ATTILIO GALMOZZI – MEDICO E ASSESSORE CREMA 552

CLAUDIA DI PASQUALE E questa cosa è successa soltanto una volta o è accaduta…

ATTILIO GALMOZZI – MEDICO E ASSESSORE CREMA È successa anche il giorno dopo. Questo a causa della piattaforma di Aria che non ha avvisato i cittadini che dovevano essere i destinatari di quelle dosi di quel giorno.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO Per un errore del sistema di prenotazione della società regionale Aria, centinaia di dosi rischiavano di essere buttate e sprecate, l'azienda sanitaria locale ha allora chiesto aiuto ai sindaci.

GIANLUCA GALIMBERTI – SINDACO DI CREMONA Bisognava rimediare a un buco di 500 persone ma in poco tempo, in poche ore.

CLAUDIA DI PASQUALE Ma anche voi vi siete messi a chiamare i cittadini?

GIANLUCA GALIMBERTI – SINDACO DI CREMONA Beh sì, certo.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO Il sindaco di San Bassano è andato a prendere gli anziani direttamente a casa, pur di farli vaccinare.

GIUSEPPE PAPA - SINDACO DI SAN BASSANO (CR) Pronti, via! Chi non rispondeva al telefono siamo andati nelle case a suonare al campanello e ho preso il pulmino, alle due eravamo pronti e siamo partiti, siamo andati in Fiera.

GIUSEPPE PAPA - SINDACO DI SAN BASSANO (CR) Vi trovate preparati, con dietro medicine quello che dovete prendere perché stiamo via almeno un paio d'ore e la tesserina sanitaria e nient'alter e tanta voglia di fare 'na girada.

CLAUDIA DI PASQUALE Quanti anni avete?

DONNA 90 il 3 di aprile.

CLAUDIA DI PASQUALE E lei quanti anni ha?

DONNA 92

CLAUDIA DI PASQUALE Ma voi avete prenotato il vaccino?

DONNA Sì, abbiamo prenotato in farmacia.

CLAUDIA DI PASQUALE E vi è mai arrivata una risposta?

DONNA No, no, risposta non ha risposto nessuno.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO Anche le aziende sanitarie locali hanno preferito bypassare il sistema di Aria e autogestire le prenotazioni.

CLAUDIA DI PASQUALE Li avete chiamati direttamente voi i cittadini da vaccinare?

GERMAN MARIA UMBERTO PELLEGATA - DIRETTORE ASST CREMA Sì, abbiamo attivato un call center temporaneo con una decina di operatori tutti volontari dipendenti dell'ospedale e li abbiamo chiamati.

CLAUDIA DI PASQUALE Anche a Varese si erano verificati problemi simili e cioè che il centro vaccinale restasse vuoto.

GIANNI BONELLI - DIRETTORE ASST DEI SETTE LAGHI Abbiamo cercato in quel caso di coprire gli slot rimasti vuoti con altre categorie.

CLAUDIA DI PASQUALE Chiamate direttamente voi?

DIRETTORE ASST DEI SETTE LAGHI Sì, sì, sì, sì

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO All'ospedale Niguarda di Milano è capitato invece il contrario. Il sistema di Aria ha inviato 300 anziani in più rispetto a quelli previsti causando lunghe file. Il consulente Bertolaso ha quindi attaccato Aria con questo post. Alcuni giorni dopo la stessa Moratti ha scritto un tweet contro Aria, definendola incapace di gestire le prenotazioni, anche il presidente Fontana il 22 marzo ha attaccato Aria ma in una conferenza stampa.

ATTILIO FONTANA - PRESIDENTE REGIONE LOMBARDIA – CONFERENZA STAMPA 22/03/2021 I disservizi informatici che si sono registrati durante la campagna vaccinale hanno creato disagi a molti nostri cittadini, è questo il motivo per il quale ho chiesto ai membri del cda di Aria di fare un passo indietro.

MARIO MAZZOLENI - EX CONSIGLIERE CDA ARIA SPA Improvvisamente si decide con questa azione coordinata penso tra Moratti, Salvini, eccetera che la responsabilità fosse del consiglio di amministrazione, consiglio di amministrazione che era in scadenza peraltro, come battuta dico essere licenziato in conferenza stampa non è mai simpatico.

CLAUDIA DI PASQUALE Come cda avete chiesto spiegazioni dei vari disservizi che stavano accadendo?

MARIO MAZZOLENI - EX CONSIGLIERE CDA ARIA SPA Abbiamo chiesto da dove nascevano i problemi, quali fossero gli errori, abbiamo chiesto di intervenire e abbiamo ricevuto rassicurazioni.

CLAUDIA DI PASQUALE Da parte di chi?

MARIO MAZZOLENI - EX CONSIGLIERE CDA ARIA SPA Dalla struttura tecnica, quindi dal direttore generale e la sua struttura.

CLAUDIA DI PASQUALE Quindi le rassicurazioni le ha date di fatto Gubian?

MARIO MAZZOLENI - EX CONSIGLIERE CDA ARIA SPA Il referente tecnico apicale è ovviamente Gubian.

CLAUDIA DI PASQUALE E Gubian è stato ora messo da parte?

MARIO MAZZOLENI - EX CONSIGLIERE CDA ARIA SPA No, Gubian che è la persona che ha continuato a rassicurare sia il consiglio di amministrazione che credo la politica che i problemi sarebbero stati superati, rimane al suo posto.

PIETRO BUSSOLATI - CONSIGLIERE REGIONE LOMBARDIA Beh, Lorenzo Gubian è una seconda fila dei dirigenti veneti chiamato dalla Lega in quanto leghista a guidare Aria, acquisisce un potere enorme perché viene cacciato l'ex enfant prodige di Forza Italia, Ferri e tutto il cda e lui acquisisce ancora più potere.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Lorenzo Gubian, manager vicino alla Lega, già direttore generale viene nominato amministratore unico di Aria. Il CdA si dimette, viene identificato come capro espiatorio del caos, cioè di quel sistema che attraverso la convocazione con sms al vecchietto in carrozzella lo aveva prenotato ad un centro di vaccinazione 100 chilometri distante da dove abitava, quando un centro di vaccinazione ce l’aveva davanti al naso. Sono anche responsabili di quegli hub che abbiamo visto impietosamente vuoti. Però per capire cosa è successo dobbiamo tornare a gennaio. Quando il sistema, quando Poste propone a uso gratuito alla Regione Lombardia tre piattaforme per la prenotazione. Avrebbero consentito al cittadino di prenotarsi direttamente, scegliere lui luogo e data della vaccinazione. Mentre invece l’unità di crisi guidata da Bertolaso avrebbe preferito un portale di adesione. Cioè avrebbe preferito un sistema attraverso il quale il cittadino si prenota e poi successivamente gli arriva un sms in cui verrà convocato per la vaccinazione. Per questo l'unità di crisi della Lombardia chiede di modificare a Poste il sistema. Perché lo fa? Immaginiamo noi perché probabilmente non era pronta in quel periodo logisticamente a far partire la campagna di vaccinazione. Quando ottiene come risposta picche da Poste, a dieci giorni dall'inizio della campagna di vaccinazione degli over 80, l'unità di crisi, guidata da Bertolaso molla la patata bollente ad Aria. Che in pochi giorni deve mettere su in 4 e 4- 8 un portale, un sistema di prenotazione, il call center. E scoppia il caos che abbiamo visto. Però, insomma, Aria è cornuta e mazziata: perché poi verrà attaccata immediatamente da Bertolaso, dalla Moratti, da Fontana e il CdA sarà costretto a dimettersi. Viene nominato, come abbiamo detto, amministratore unico Gubian, che però è anche l'uomo che ha redatto una relazione che è rimasta a lungo riservata nella quale si identifica proprio l'unità di crisi guidata da Bertolaso come la responsabile della scelta di aver mollato la patata bollente ad Aria pochi giorni prima della campagna di vaccinazione. Proprio Bertolaso che è stato il primo ad attaccarla. Ma lui è esperto, dice conosce solo l'aria fritta.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO 29 marzo 2021. All’inaugurazione del nuovo centro vaccinale di Crema arriva il consulente Guido Bertolaso. FOTOGRAFO Signori, da questa parte, grazie.

CLAUDIA DI PASQUALE Lei è stato il primo a criticare il sistema di Aria delle prenotazioni, disguidi che ci sono stati.

GUIDO BERTOLASO - CONSULENTE CAMPAGNA VACCINALE REGIONE LOMBARDIA Ne abbiamo già parlato, non voglio fare polemiche ma quando leggo che è stato Bertolaso che ha voluto Aria, che ha insistito per Aria e che ha detto che Aria era il sistema migliore di questo mondo, io fino ai primi giorni di questo febbraio conoscevo l'aria che respiriamo, L'aria che tira come trasmissione, conoscevo l'aria fritta come modo di dire romano.

CLAUDIA DI PASQUALE Scusi Bertolaso... nel documento, nella ricostruzione fatta da Gubian quindi dal direttore di Aria è stato lui a scrivere che il 7 di febbraio lei ha visto il sistema di Poste e ha deciso di affidare ad Aria il servizio e l'8 di febbraio, sono delle date precise che scrive Gubian, non lo diciamo noi giornalisti, si dice che viene affidato il sistema ad Aria. Chi ha deciso di affidare ad Aria allora il servizio se non è stato lei?

GUIDO BERTOLASO - CONSULENTE CAMPAGNA VACCINALE REGIONE LOMBARDIA Allora, sapete che facciamo di bello? Mettiamo l'audio della famosa riunione del 7 di febbraio, ve lo andate a sentire, ascoltate quell'audio così verba volant parola invece stabilisce!

CLAUDIA DI PASQUALE Bertolaso, non voglio essere scortese chi ha deciso, scusi.

GUIDO BERTOLASO - CONSULENTE CAMPAGNA VACCINALE REGIONE LOMBARDIA Sei una stalker.

CLAUDIA DI PASQUALE Abbastanza... chi ha deciso di anticipare la campagna vaccinale dal primo marzo al 18 di febbraio?

GUIDO BERTOLASO - CONSULENTE CAMPAGNA VACCINALE REGIONE LOMBARDIA Nome, cognome e numero di matricola!

CLAUDIA DI PASQUALE Sì… non abbiamo risposte però Bertolaso, così.

GUIDO BERTOLASO - CONSULENTE CAMPAGNA VACCINALE REGIONE LOMBARDIA Buon lavoro.

MARIO MAZZOLENI - EX CONSIGLIERE CDA ARIA SPA Pensare in dieci giorni di riuscire a costruire un portale che metta insieme le informazioni e che quindi parte ex novo quando le Poste con una struttura ad hoc e per tanto tempo non sono riuscite a rispondere alle esigenze che sono state manifestate, è un po' utopistico.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO A gennaio, infatti, le Poste Italiane offrono alla Regione Lombardia a titolo gratuito ben tre tipologie di piattaforma un portale per la prenotazione dei vaccini. La Regione, però, chiede delle modifiche non realizzabili, secondo le Poste, in tempi brevi e così in corsa entra in gioco la società regionale Aria spa che offre la realizzazione e gestione del sistema informativo al prezzo di 18 milioni e mezzo di euro.

SAMUELE ASTUTI - CONSIGLIERE REGIONE LOMBARDIA Ma questa piattaforma non è che è arrivata dal cielo, arriva da una delibera di giunta votata dal presidente e dalla vicepresidente, i responsabili sono il presidente Fontana e la vicepresidente Moratti.

CLAUDIA DI PASQUALE Presidente possiamo scambiare qualche battuta?

PAOLO SENSALE - PORTAVOCE ATTILIO FONTANA No grazie!

CLAUDIA DI PASQUALE Finalmente è partito il portale di Poste.

PAOLO SENSALE - PORTAVOCE ATTILIO FONTANA No grazie, via.

CLAUDIA DI PASQUALE Presidente noi vorremmo soltanto chiederle per quale motivo in corsa i primi di febbraio avete dato ad Aria il compito di realizzare…

PAOLO SENSALE - PORTAVOCE ATTILIO FONTANA Su, su, su, le interviste si chiedono e si concedono.

CLAUDIA DI PASQUALE ...di realizzare il portale che è costato comunque 18 milioni e mezzo di euro, ci sa spiegare, chi è che ha preso questa decisione, presidente?

PAOLO SENSALE - PORTAVOCE ATTILIO FONTANA Oh Signore!

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO Per mettere a tacere ogni polemica, la Regione Lombardia è tornata sui suoi passi, ha cestinato il sistema di Aria ed è passata al portale gratuito di Poste, online dal 2 aprile. Ma i 18 milioni e mezzo di euro stanziati per Aria saranno pagati lo stesso?

PIETRO BUSSOLATI - CONSIGLIERE REGIONE LOMBARDIA Aria è una società al 100% controllata da Regione Lombardia, quindi i costi che Aria sostiene in un modo o nell'altro Regione Lombardia li deve remunerare; in ogni caso i costi che sono stati sostenuti verranno in qualche modo ripianati da parte dei lombardi.

SIGNORA WANDA - TESTIMONIANZA RILASCIATA A RADIO POPOLARE 1930 sono nata e ho aderito a questa campagna vaccinale il 16 febbraio, dopo un mese e mezzo non mi stanno chiamando. Ogni tanto chiedo a quel numero verde che mi dicono non abbiamo informazioni. Non sono arrabbiata, sono indignata. Ecco, io vorrei sapere se questa gente, cominciando dal presidente della Regione Lombardia si rende conto di quello che fa? Che sta giocando con la vita del prossimo? Ce li hanno sulla coscienza questi morti?

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO Questa è una delle tante testimonianze raccolte dal programma radio condotto dal professore Vittorio Agnoletto, su Radio Popolare.

VITTORIO AGNOLETTO Noi abbiamo visto in questa regione vaccinare migliaia e migliaia di persone che non avevano nessun motivo per essere davanti alle persone con disabilità o agli ultraottantenni.

CLAUDIA DI PASQUALE Per esempio?

VITTORIO AGNOLETTO Che senso ha andare a vaccinare i professori universitari o il personale dell'università? Non vanno in università da mesi e mesi e qualcuno magari anche da un anno.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO Lo stesso Agnoletto in quanto docente universitario ha ricevuto più mail di invito a vaccinarsi al Pio Albergo Trivulzio di Milano.

CLAUDIA DI PASQUALE Anche assegnisti e dottorandi?

VITTORIO AGNOLETTO Tutti, tutti.

CLAUDIA DI PASQUALE Frequentatori?

VITTORIO AGNOLETTO E io ricevo questi messaggi che vogliono vaccinare i professori, insistono, mi dicono comunque verrai chiamato, qui mi dicono ma perché non ha chiamato in sostanza, e poi dopo ricevo quello di 100 anni che non riesce ad avere il vaccino! È tutto completamente capovolto!

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO Intanto per velocizzare le vaccinazioni la Regione Lombardia ha stanziato 48 milioni di euro per coinvolgere nella campagna vaccinale anche le strutture sanitarie private, come San Donato, Humanitas e Centro Diagnostico Italiano.

LETIZIA MORATTI - VICEPRESIDENTE E ASSESSORE AL WELFARE REGIONE LOMBARDIA Gli over 80 finiranno l'11 aprile e tra gli over 90 siamo la regione fra le migliori regioni.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO Per riuscire a rispettare questa deadline la Moratti annuncia inoltre che dal 7 all'11 aprile gli over 80 si possono presentare liberamente presso i centri vaccinali, senza prenotazione. Subito dopo però Bertolaso la corregge e specifica che questo vale solo per chi si è già prenotato sul portale di Aria e non è stato chiamato. In ogni caso il risultato è questo.

DONNA FUORI CAMPO Questa è la fila per fare la vaccinazione.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO Anziani in fila per ore fuori dai centri vaccinali anche sotto la pioggia. È così che il 12 aprile il presidente Fontana può fare questo annuncio.

ATTILIO FONTANA - PRESIDENTE REGIONE LOMBARDIA Abbiamo vaccinato con una dose tutti gli over 80 che si erano iscritti al… che avevano aderito al progetto che ho presentato…

GIOVANNI DE FAVERI Restiamo sugli ottantenni presidente Fontana… voi avete accelerato negli ultimi giorni la campagna degli ottantenni, le sembra giusto, corretto, far fare code infinite in questi ultimi giorni a…

CLAUDIA DI PASQUALE La Regione ha detto che in realtà gli over80 che potevano recarsi nei centri vaccinali sono stati tutti vaccinati almeno con la prima dose entro l’11 di aprile.

ERCOLE BONARDI Non è vero, io sono la testimonianza, con due persone in famiglia che non sono state vaccinate. Ho mia mamma e mia suocera, di 87 e 88 anni, e non sono ancora state vaccinate.

CLAUDIA DI PASQUALE E lei si è registrato sul portale?

ERCOLE BONARDI Mia madre si è registrata presso la farmacia il 17 di febbraio. Provo rabbia e impotenza. Mia madre ha due protesi alle ginocchia. Per cui aspettare, come è successo, ore al centro vaccinale, non poteva farlo.

EMILIO DEL BONO - SINDACO BRESCIA Un territorio come il nostro che ha pagato quello che ha pagato lo scorso anno che ancora oggi ha un andamento dei contagi così elevato, avrebbe dovuto essere un territorio controllato in modo speciale. L'età della mortalità media è di 81 anni e nella seconda ondata, quella che stiamo vivendo, dai 70 agli 80 anni, quindi qui bisognerebbe concentrare lo sforzo più rapido, più efficace in queste settimane.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO Intanto la Lombardia supera ormai ben 31mila morti per Covid. Nella seconda ondata la provincia più colpita è quella di Brescia con punte di 1000 contagi al giorno.

CLAUDIA DI PASQUALE Suo padre aveva quasi 84 anni, aveva fatto la richiesta per prenotare il vaccino?

ACHILLE FARINA Sì, papà aveva fatto la richiesta subito nel primo giorno in cui si sono aperte le iscrizioni online, le richieste online, me ne aveva parlato perché mi aveva appunto detto ci ho messo tutto il giorno perché non riuscivo.

CLAUDIA DI PASQUALE E qualcuno l'aveva mai chiamato per fissare un appuntamento?

ACHILLE FARINA Papà non è mai stato chiamato, non ha ricevuto nessun tipo di convocazione ed era molto preoccupato per questo. Ha cominciato a manifestare sintomi compatibili con il Covid, dopo una settimana è stato ricoverato all'ospedale Poliambulanza di Brescia e poi improvvisamente nella notte fra il 16 e il 17 marzo le condizioni sono improvvisamente precipitate e successivamente, mi hanno chiamato la mattina, dopo dicendomi che papà era deceduto. E poi è subentrata anche una grande rabbia perché papà stava benissimo e se l'avessero vaccinato sarebbe ancora qui con noi e questo è il grande rammarico perché abbiamo lasciato indietro una parte della popolazione particolarmente fragile, gli over 80, per invece privilegiare molte categorie che probabilmente sono state avvantaggiate rispetto ai nostri anziani e questo io credo che sia molto grave.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO Intanto il 9 aprile si sono aperte le prenotazioni per i lombardi con estrema vulnerabilità o grave disabilità non in carico a una struttura ospedaliera. Roberto Monaco è uno di loro. Da ben 39 anni ha la sclerosi multipla e rientra nella categoria dei disabili gravi.

ROBERTO MONACO Io ho iniziato a provare il 9 aprile mattina, tutto contento perché finalmente era arrivato il mio momento. Clicco su disabile grave. Prenoto vaccino. Accedo. E invece mi esce fuori questo messaggio, mi dice che io non faccio parte della categoria, e io non sono disabile. Non sono previsto. Come, io rientro addirittura in due categorie perché ho la 104 e la sclerosi multipla. La Asl mi dà i miei ausili, mi passa la carrozzina…

CLAUDIA DI PASQUALE Quindi le ASST, oggi si chiamano così qui in Lombardia, non hanno comunicato questi dati al portale. Quando loro dovrebbero averli questi dati no?

ROBERTO MONACO Ma certo. A me gli ausili me li danno perché ho la 104. Mi sono ammalato nel 1982, eravamo ai mondiali in Spagna. Io stavo aspettando questa cosa…

CLAUDIA DI PASQUALE Da tempo immagino…

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO Sono tantissimi i disabili lombardi i cui nominativi non sono stati caricati sul portale in tempo per l’apertura delle prenotazioni. Sono soprattutto quelli di vecchia data, la cui documentazione non è mai stata digitalizzata.

ALESSANDRA LOCATELLI - ASSESSORE ALLA FAMIGLIA REGIONE LOMBARDIA C’è un problema che riguarda l’informatizzazione di questi elenchi e il fatto che alcune persone che avevano un’invalidità molto vecchia e diciamo definitiva non hanno più fatto la revisione.

CLAUDIA DI PASQUALE Cioè lei sta dicendo che è colpa dei cittadini che non hanno fatto la revisione?

ALESSANDRA LOCATELLI - ASSESSORE ALLA FAMIGLIA REGIONE LOMBARDIA No, non c’è colpa di nessuno.

CLAUDIA DI PASQUALE Non è il cittadino che deve digitalizzare la propria domanda

ALESSANDRA LOCATELLI - ASSESSORE ALLA FAMIGLIA REGIONE LOMBARDIA No, ci mancherebbe.

CLAUDIA DI PASQUALE Cioè, se le aziende sanitarie non l’hanno mai fatto non è colpa loro.

ALESSANDRA LOCATELLI - ASSESSORE ALLA FAMIGLIA REGIONE LOMBARDIA No, assolutamente no. Noi ci stiamo trovando davanti a questa grande emergenza e dobbiamo trovare il modo di risolvere il problema nel più breve tempo possibile.

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO Per assistere e supportare i fragili e le loro famiglie nella campagna vaccinale, la Moratti ha lanciato una nuova figura: quella del vax manager.

CLAUDIA DI PASQUALE Che cos’è il vax manager?

FORTUNATO NICOLETTI - PRESIDENTE ASSOCIAZIONE NESSUNO È ESCLUSO È guarda… volevamo capirlo anche noi, infatti ho scritto ai nove vax manager che sono stati individuati da Regione Lombardia, quindi uno per ogni ATS, me ne ha risposto uno solo: “Egregio dottor Nicoletti, la sua richiesta non è chiara”. Va be’... Quindi io non la posso aiutare.

CLAUDIA DI PASQUALE Cosa ha chiesto al vax manager?

FORTUNATO NICOLETTI - PRESIDENTE ASSOCIAZIONE NESSUNO È ESCLUSO Ho chiesto se potevano accelerare l’inserimento dei codici fiscali, e mi è stato detto che non è loro competenza. Sì, però cosa fai tu come vax manager? Quello vorrei capire.

TELEFONO ATS Città metropolitana…

CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO Proviamo a contattare allora tutti i vax manager.

TELEFONO … ci scusiamo e la invitiamo a chiamare più tardi.

CLAUDIA DI PASQUALE Bergamo

TELEFONO ATS Insubria. A causa dell’intenso traffico, la preghiamo di lasciare un messaggio…

CLAUDIA DI PASQUALE Brescia TELEFONO (Squilla)

CLAUDIA DI PASQUALE Proviamo la ATS di Pavia.

TELEFONO Risponde il numero verde di ATS della Val Padana…

ATS… CLAUDIA DI PASQUALE Salve, buongiorno. Chiamavo perché desideravo parlare con il vax manager.

DONNA È al telefono in questo momento.

CLAUDIA DI PASQUALE C’è gente disperata, lei..

DONNA Non lo dica a me che io ascolto la gente disperata, e non sono in grado di dare una risposta

CLAUDIA DI PASQUALE Questa mattina abbiamo chiamato tutti i vax manager della Lombardia, non ha risposto nessuno

ALESSANDRA LOCATELLI - ASSESSORE ALLA FAMIGLIA REGIONE LOMBARDIA Perché sono tantissime le persone che si stanno prenotando…

CLAUDIA DI PASQUALE No, non rispondono. Non rispondono al telefono

ALESSANDRA LOCATELLI - ASSESSORE ALLA FAMIGLIA REGIONE LOMBARDIA L’obiettivo è comunque quello di vaccinare tutti e di mettere in sicurezza le persone con gravi disabilità e le persone vulnerabili il prima possibile.

CLAUDIA DI PASQUALE Cioè, non è che io devo trovarmi che non posso registrarmi, poi mi dicono chiama il medico, il medico non ne sa niente, il medico mi dice di chiamare il vax manager, il vax manager non mi risponde…

ALESSANDRA LOCATELLI - ASSESSORE ALLA FAMIGLIA REGIONE LOMBARDIA Però non è così. Così si confonde davvero la gente se diciamo così. Io dico: se c’è un problema, lo superiamo. Questa fase è molto complessa, non si poteva immaginare di non avere nessun problema, anche tecnico nell’accesso.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Vabbè questo lo abbiamo capito. Insomma dopo aver cambiato, messo mano per sei volte al piano vaccinale, dopo aver sostituito l’assessore al welfare, tre direttori generali, due manager consulenti per il covid, adesso sono spuntati anche i vax manager. Che però, abbiamo visto, o non rispondono o non hanno le idee chiare su come fare. Abbiamo anche capito che il problema è la raccolta dei dati, raccoglierli e intanto averli e anche introdurli. Perché se tu hai gli invalidi, i più fragili che sono invisibili, come fai a tutelarli? Per questo hanno anche cambiato due portali. Uno l'hanno buttato, con un costo preventivato, tutto, sistema compreso di 18,5 milioni di euro. Ora chi paga? La Regione ha messo in mora Aria, che però aveva esternalizzato la gestione e la realizzazione di questo portale. E i fornitori andranno anche pagati. Proprio in questi giorni la Corte dei Conti ha bacchettato Aria per la mala gestione e perché è disorganizzata e perché ha utilizzato un eccesso di consulenze. Ecco, di tutto questo avremmo voluto parlarne con il governatore Fontana, che attraverso il suo legale ha gentilmente declinato l'invito. Ci ha detto: i temi della vostra inchiesta sono quotidianamente trattati nelle sedi istituzionali in modo esauriente. Inoltre, ha anche detto, non è il caso che il governatore rilasci un'intervista a voi di Report perché c'è un contenzioso civile in atto. Infatti il governatore ci ha chiesto come risarcimento 250mila euro, una cifra che coincide, lo dico senza ironia, è una pura coincidenza, con la cifra che aveva fatto rientrare dalla Svizzera, 250mila euro, per risarcire la ditta del cognato e della moglie che avevano ottenuto una commessa di mezzo milione di euro di camici direttamente, senza gara d'appalto, proprio da Aria, e che in seguito a un'inchiesta di Report era saltata. Insomma, quello che abbiamo capito è che la vaccinazione è necessaria per fermare la corsa del virus. Perché altrimenti muta e vengono delle varianti che potrebbero essere resistenti al vaccino. Ecco il nostro inviato Manuele Bonaccorsi è andato in quel paese dove il virus sta correndo di più in questo momento: in Brasile. Con 3mila morti al giorno, la curva, l'incidenza più alta di morti giornaliere. Un impatto sulla sanità che è impressionante. I medici che sono costretti a intubare i pazienti senza sedazione perché mancano i medicinali e addirittura nei cimiteri sono costretti a fare il turno di notte. Perché non sanno più dove seppellire i propri cari.

Aria Spa, quei software diversi che non comunicavano all’origine del colossale disastro vaccinazioni. UN CASO ALITALIA IN SALSA LOMBARDA Solo i dirigenti che si sono succeduti possono vederla positivamente perché gli stipendi sono alti come i benefit e le consulenze che si possono assegnare ad amici e conoscenti. Michelangelo Bonessa su Il Quotidiano del Sud il 17 aprile 2021. Doveva risolvere i problemi gestionali della Lombardia, invece Aria spa secondo alcuni è diventata una Alitalia in salsa lombarda. Un’azienda che vive di finanziamenti pubblici, ma non riesce mai a ottenere i risultati sperati. Solo i dirigenti che si susseguono possono vederla positivamente perché gli stipendi sono alti come i benefit e le consulenze che si possono assegnare ad amici e conoscenti. Ora ci ha pensato l’ultima relazione della Corte dei conti lombarda a descrivere nel dettaglio tutte le storture e i limiti di Aria spa. Un esempio sono i milioni spesi senza gare pubbliche: “L’istruttoria ha inoltre mostrato un’elevata incidenza degli acquisti non soggetti a gara per circa un miliardo di euro”, ha sottolineato la Corte in una nota. Ma ci sono tanti altri capitoli, come l’eccesso di consulenze esterne. La disorganizzazione e l’impreparazione di una società che dichiara di avere seicento dipendenti. E molto altro che secondo Marco Fumagalli, consigliere regionale M5S, non è altro che l’ennesima Alitalia italiana: “Da quello che leggo sulla relazione non vedo altro che la classica Alitalia, cioè uno scenario simile a una qualunque società pubblica dove ci sono sprechi di denaro, il vero problema è che a Fontana è mancato il coraggio politico di sistemare i problemi che già c’erano quando c’è stata la fusione”. Già perché Azienda regionale per l’innovazione a gli acquisti (Aria) è nata dopo che nel 2018 la Corte dei conti aveva messo in luce i problemi organizzativi e le sovrapposizioni tra Lombardia Informatica e Arca. Una situazione da cui si poteva uscire secondo l’Amministrazione regionale con la creazione di un unico ente. O almeno così riteneva Davide Caparini, attuale assessore al Bilancio della Lombardia, e “ideatore” di Aria. Ma a quanto pare non si è risolto molto, perché alla prima crisi seria l’azienda è stata completamente travolta. In parte dai suoi limiti interni, in parte dalla crisi politica della giunta Fontana. Perché mentre cercavano di far passare la tesi di un “attacco alla Lombardia” in realtà le forze della maggioranza che sostiene Fontana erano in guerra dall’estate 2020. La Lega aveva appena avuto proprio il governatore indagato per la nota questione della fornitura di camici: Aria infatti stava per acquistarne uno stock del valore di 517mila euro dalla Dama spa, azienda di famiglia di Fontana, e nonostante l’ordine sia stato trasformato in donazione, è stata aperta un’inchiesta della magistratura. Il caso in primavera aveva assunto contorni così pesanti che Filippo Bongiovanni, allora dg di Aria, è stato spostato ad altro incarico e intanto è stato indagato pure lui. Dopo questo caso, è iniziato uno scaricamento progressivo di tutte le colpe sull’allora assessore al Welfare Giulio Gallera di Forza Italia. Lo stesso poi costretto alle dimissioni alla fine dell’anno per lasciare il posto a Letizia Moratti e Guido Bertolaso. Ma proprio l’ex assessore è stato tra chi ha infilato il dito nella piaga quando Aria è andata del tutto in tilt cercando di organizzare le prenotazioni delle vaccinazioni. Un colpo su colpo che ha sballottato ancora di più i 600 dipendenti dichiarati da Aria spa. Perché nel frattempo i dirigenti continuavano a saltare: nel giro di un anno sono stati cambiati tre direttori generali. L’ultimo è durato otto mesi. Comunque di più del primo coordinatore della campagna vaccinale lombarda Giacomo Lucchini, anche lui consulente esterno, che è stato rapidamente sostituito da Guido Bertolaso. Tutte vittime degli errori, ma soprattutto della tensione crescente all’interno della maggioranza di governo in Lombardia. Uno scontro così duro che ormai alcuni politici lombardi di centrodestra si sono convinti che alle prossime regionali sarà impossibile vincere. “La battaglia è persa” ha commentato uno di loro. Perché gli errori sono troppi e anche le fratture createsi all’interno dello schieramento. Ma il capitolo Aria resta aperto, perché è uno delle parti essenziali del sistema sanitario lombardo. Quindi prima o poi la politica dovrà metterci mano visto che la Corte dei conti ne ha decretato di fatto l’inutilità se non la dannosità, almeno con gli assetti attuali. Da Aria però non ci stanno e replicano con una nota: “In merito ai lanci di agenzia riguardanti "Aria e la programmazione acquisti degli Enti del SSR" e "Aria solo 36% acquisti", la società Aria rileva che i risultati conseguiti dalla Centrale Acquisti regionale sono assolutamente allineati al dato nazionale”. “L’amministrazione regionale lombarda – prosegue la nota – aveva comunque già deciso di rafforzare l’ambito programmatorio e di studiare le modalità di rafforzamento della committenza”. Inoltre “è stata avviata tra Regione Lombardia e Aria, una specifica ricognizione puntuale del patrimonio sanitario strumentale per indirizzare gli investimenti con maggiore accuratezza”. E “in materia di acquisti ha già individuato come priorità l’implementazione in maniera incrementale delle forme di aggregazione fornendo cogenti indicazioni verso la centralizzazione degli acquisti e lasciando, in via residuale, le possibilità di acquisto in autonomia stabilendo il tetto di spesa di 200.000,00”. Dunque come conferma la nota, persino la stessa Aria sapeva che qualcosa non andava bene, specialmente per una certa libertà si spesa lasciata ai territori. La stessa che di fatto ha originato il sistema dei mille software diversi da cui è derivato il caos dei dati in Lombardia.

È UN INUTILE CARROZZONE LOMBARDO: C’È “ARIA” DI INEFFICIENZE E SPRECHI. Dalla relazione emerge che non aveva nemmeno le strutture tecnologiche adeguate per gestire le prenotazioni per i vaccini: molti passaggi venivano trascritti a mano. Michelangelo Bonessa su Il Quotidiano del Sud il 16 aprile 2021. La Corte dei conti regionali affonda l’ultimo colpo su Aria spa. Oggi verrà infatti presentata alla giunta regionale una relazione che definisce la centrale acquisti regionale come un inutile carrozzone. Impossibilitato a svolgere il lavoro per cui viene pagata la società perché non ha il personale per svolgerlo. I contenuti del documento, anticipati dal TgLa7, sono l’ennesima mazzata per un’azienda che dalla primavera 2020 sta vivendo una crisi scoppiata proprio a causa della pandemia. Aria non aveva nemmeno le strutture tecnologiche adeguate per gestire le prenotazioni per i vaccini: molti passaggi dovevano essere completati con trascritture a mano. Dunque nessuno stupore per il caos totale con cui è partita la campagna in Lombardia. Aria secondo la Corte dei conti è un gigante con i piedi d’argilla, quasi più un problema per la gestione sanitaria che il suo centro d’eccellenza. Perché l’azienda era nata con grandi ambizioni, ma poi con la pandemia è sprofondata. Prima ci sono stati i mesi delle spese impazzite per cercare rifornimenti per gli ospedali lombardi. Nella foga di quei giorni il direttore generale di Aria Filippo Bongiovanni era finito indagato perché una delle aziende da cui doveva rifornirsi l’azienda era di proprietà della famiglia del governatore Attilio Fontana. La Dama spa aveva ottenuto un appalto per una fornitura di camici del valore di 517mila euro. L’ordine però fu trasformato in donazione poco prima che il caso scoppiasse sui media. Nel frattempo iniziarono le prime indagini su Aria e si scoprì di un tentato versamento da 250mila euro da Fontana a Dama. Il bonifico era stato bloccato dall’anticorruzione della Banca d’Italia perché arrivava dalla Svizzera: Fontana cercava di risarcire la famiglia del mancato introito. Finì però indagato anche lui, pure per autoriciclaggio oltre che per eventuali frodi sull’ordine di camici. Bongiovanni venne sostituito, ma fu solo il primo di una lunga serie di manager che hanno dovuto lasciare la dirigenza di Aria spa. Perché gli errori non sono mancati in nessun periodo dell’anno. Il sostituto di Bongiovanni è durato otto mesi. Ma i suoi successori sono durati poco, perché pochi giorni fa il presidente Fontana si è trovato costretto a chiedere le dimissioni dell’intero consiglio di amministrazione: gli errori erano ormai davvero troppi durante le prime settimane di campagna vaccinale. File lunghissime, sms partiti in piena notte, cambiamenti improvvisi di date e appuntamenti fissati a decine di chilometri dalla residenza. Un cambio al vertice che ha però causato diversi malumori, persino all’interno della stessa maggioranza lombarda oltre che di alcuni costretti a dimettersi. Alla fine Aria è diventata il campo di battaglia anche della politica, con l’ex assessore al Welfare Giulio Gallera che non ha mancato di sottolinearne gli errori e le mancanze dopo aver perso la poltrona proprio per le continue inefficienze. Ora interviene anche la Corte dei conti a mettere nero su bianco quanto ormai pareva chiaro a tutti, cioè l’esistenza di un problema strutturale all’interno di un sistema sanitario che vale oltre 20 miliardi di euro all’anno di spesa pubblica. E potrebbe non essere l’ultimo atto della Corte perché già all’inizio di marzo il procuratore regionale Luigi Cirillo avvertiva che i fascicoli aperti su quanto successo nel 2020 in Lombardia erano una ventina e tutti già assegnati. Qualcuno di questi potrebbe riguardare proprio Aria spa che ha gestito decine di milioni di euro in un periodo di grande confusione, con ordini mai arrivati. Tra l’altro non è la prima volta che la Corte interviene sul problema Aria: già nel 2018, quando ancora l’azienda era divisa in Lombardia Informatica e Arca, i magistrati contabili avevano messo in luce una gestione dei costi e dell’organizzazione interna da rivedere. Perché i costi di gestione e compiti assegnati da Regione non erano equilibrati. Poi le cose non sembra siano migliorate.

ACQUISTI SENZA GARA, TROPPE CONSULENZE: LA CORTE DEI CONTI AFFONDA “ARIA SPA”. Vincenzo Damiani Il Quotidiano del Sud il 17 aprile 2021. Dall’analisi della società che gestisce la sanità della Regione Lombardia emerge “una scarsa rotazione degli incarichi di affidamento dei servizi stessi, in distonia con principi di economicità, efficacia, imparzialità, buon andamento, parità di trattamento trasparenza, proporzionalità e pubblicità”. Una società poco organizzata, che si affida troppo ai consulenti esterni e che spesso sono sempre gli stessi, soprattutto quando si tratta di questioni legali. Una società che, nonostante la sua mission, incide poco o nulla sull’efficientamento degli acquisti degli Enti del sistema sanitario regionale. Per Aria Spa, azienda controllata dalla Regione Lombardia e al centro delle polemiche per la gestione delle prenotazioni delle vaccinazioni anti Covid, è netta la bocciatura che arriva dalla Corte dei Conti. Ieri c’è stata l’adunanza della Sezione regionale di controllo, i giudici si sono concentrati su due aree principali: l’assetto societario (governance, bilancio e personale) e la gestione degli acquisti di beni e servizi sanitari in Lombardia, su un periodo di riferimento che copre il 2019 e il primo semestre del 2020. “Un fattore critico trasversale riguarda l’inadeguatezza di un sistema informativo di Aria spa in relazione agli obiettivi strategici ad essa assegnati di supporto al governo integrato della spesa guidato dall’analisi dei dati”, scrivono subito i magistrati.  Sono 319 le pagine di rilievi, dalle quali emerge anche che “Aria spa non solo non partecipa alla programmazione degli acquisti degli enti del Ssr, con una propria programmazione” ma “neppure dispone dei piani biennali così approvati e delle informazioni ivi contenute”. Secondo la Corte dei Conti, “l’istruttoria – si legge nella relazione – ha mostrato uno scarto significativo tra il modello organizzativo adottato da Aria e le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili, rilevando altresì criticità relative ad una molteplicità di discipline contrattuali, all’incremento del personale attribuito agli uffici di staff, al mancato rispetto del principio di onnicomprensività del trattamento economico dirigenziale, all’affidamento di incarichi esterni per servizi legali, e al ricorso eccessivo alle consulenze”. È sugli appalti che i giudici mostrano perplessità: a fronte di una media degli acquisti programmati tramite l’Agenzia pari quasi al 70% del totale, l’istruttoria sui dati di bilancio ha rivelato che gli acquisti effettivi tramite il canale centralizzato non superano il 36%. “La quota residuale degli acquisti è gestita in maniera frammentaria ed autonoma, con possibili diseconomicità ed inefficienze”, bacchetta la Corte dei Conti. Non mancano i rilievi anche nei confronti della stessa Regione Lombardia: “La Regione, in veste di principale committente di Aria spa, dovrebbe acquisire dalla società, all’atto di ogni affidamento, la curva del carico di lavoro in corso e la dimostrazione dell’impatto che il nuovo lavoro può avere sulle unità operative, al fine di accertare la reale capacità della società di svolgere la commessa, senza creare danni o ritardi ai progetti avviati”. Aria finisce per rivestire il “ruolo di mero collettore” e questo provoca “un’insufficiente attività di coordinamento del Tavolo tecnico degli appalti”.  Ad esempio, per quanto riguarda solamente i lavori pubblici di edilizia sanitaria, in undici interventi in corso “Aria non risulta aver mai assunto il ruolo di soggetto aggregatore, bensì la diversa funzione di stazione appaltante delegata”. Neanche il monitoraggio degli acquisti sanitari risulta sufficientemente presidiato dal sistema di raccolta attualmente in uso, “strutturalmente inadeguato a fornire dati di buona qualità”. L’istruttoria di ieri ha inoltre mostrato “un’elevata incidenza degli acquisti non soggetti a gara per circa un miliardo di euro”. Nel dettaglio sono 201.598 le procedure sotto i 40mila euro per un importo complessivo di 1,1 miliardi di euro nel periodo oggetto di esame, a fronte di circa 11 miliardi di euro per le procedure ordinarie. “Una dimensione rilevante, questa, sia in valore assoluto, che in termini percentuali (circa il 10%)”, sottolinea la Corte dei Conti. Non solo: nonostante la Lombardia, al pari delle altre Regioni del Nord, sia beneficiaria di una fetta più importante del fondo sanitario nazionale rispetto alle Regioni del Mezzogiorno, minima, per non dire residuale, è la parte riservata agli investimenti. “La debolezza dell’attività di programmazione da parte del sistema Regione-Aria-enti del servizio sanitario regionale – evidenziano infatti i magistrati contabili – è confermata anche nel campo degli investimenti, a cui è dedicato solo l’1% del fondo sanitario, con un’attività di aggregazione degli acquisti limitata allo 0,2% di tutte le procedure di appalto bandite nel periodo in esame”. “La spesa per investimenti degli enti del servizio sanitario regionale – si legge – e in particolare per l’acquisto di attrezzature sanitarie, risulta sovrastata dalla spesa corrente per consumi intermedi”. All’adunanza di ieri sono interventi anche il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, e l’amministratore unico della partecipata, Lorenzo Gubian, i quali, prendendo atto dei rilievi della Corte hanno dato assicurazioni per il futuro di superare le criticità segnalate. Persino nella gestione dell’attuale emergenza sanitaria legata alla pandemia Covid, i giudici evidenziano “criticità”: “Esulano – scrivono i magistrati – dall’esame condotto dalla Corte le vicende più recenti strettamente connesse alla gestione di alcuni aspetti dell’emergenza affidati ad Aria spa, nonostante sia palese l’oggettiva influenza dei fattori di criticità qui rilevati”. E poi è stato riscontrato un “ricorso eccessivo, nel numero e negli importi conferiti, alle consulenze che collide con il pieno rispetto del principio di buon andamento e auto-organizzazione dell’amministrazione pubblica”. In particolare, in relazione all’affidamento dei servizi legali emergerebbe “una scarsa rotazione degli incarichi di affidamento dei servizi stessi, in distonia con principi di economicità, efficacia, imparzialità, buon andamento, parità di trattamento trasparenza, proporzionalità e pubblicità”. La Corte dei Conti, infine, invita la Regione Lombardia a maggiori controlli: “La Regione, tra l’altro, quale unico socio pubblico, ha l’obbligo di vigilanza nei confronti della società in house”.

Andrea Sparaciari  per it.businessinsider.com il 14 aprile 2021. Quasi una dose di vaccino su 11 in Lombardia è stata somministrata a un cittadino classificato nella categoria “altro”. Una nebulosa che al 12 aprile contava 180.483 affiliati (su 2.054.076 vaccini totali somministrati). Certo, la Lombardia non raggiunge il picco di Sardegna, Calabria e, soprattutto, Sicilia, che viaggiano tra il 30 e il al 40%, tuttavia sempre un buon piazzamento. Anche perché, come denuncia il consigliere regionale M5s, Marco Degli Angeli, «non c’è trasparenza nei dati che formano la categoria “altro”, visto che ogni Ats (Agenzie Tutela Salute) ha riunito in quel gruppo pazienti appartenenti a gruppi differenti. Così i dati sono poco chiari, c’è molta confusione e il controllo sulle somministrazioni diventa quasi impossibile». Lo scorso 10 marzo Degli Angeli aveva chiesto a ogni singola Ats della Lombardia un report dettagliato che riportasse quali e quanti vaccini fossero stati effettuati, nonché il dettaglio delle categorie di appartenenza dei cittadini vaccinati, partendo dal fatidico V-day del 27 dicembre 2020. Quanto ha ottenuto ha dell’incredibile: «Una Ats ha dichiarato che il suo gestionale non consente di ricavare il dato richiesto in maniera puntuale. In altri casi alcune Ats non hanno restituito il dettaglio mensile dei vaccini effettuati oppure non hanno saputo elencare le categorie a cui il vaccino è stato somministrato. Altre volte ancora la farraginosità dei dati rende complicata l’analisi e, inoltre, sembrerebbe che, in alcuni casi, la somma dei numeri dei vaccini messi a disposizione appare non corrispondere matematicamente a quelli inoculati», attacca Degli Angeli. Nella documentazione che Business Insider Italia ha potuto visionare, infatti, non vi è alcuna omogeneità: le Ats di Pavia e della Montagna, ad esempio, nel loro database raggruppano alcuni vaccinati in una non bene specificata categoria “altro”, senza alcuna spiegazione delle caratteristiche del vaccinato. Ci sono invece Ats, come quella di Bergamo o di Brescia, che in modo tra l’altro differente, azzerano la categoria “altro”, inserendo i vaccinati in altri macro raggruppamenti (ad esempio, forze dell’ordine, operatori sanitari, volontari Areu, ecc…). La Ats Città metropolitana di Milano, la più grande di tutte, invece, nel suo report non riporta proprio la categoria “altro”, così come quelle dell’Insubria e della Brianza. Una confusione incomprensibile, visto che tutte le Agenzie dipendono dall’assessorato al Welfare di Regione Lombardia, il quale dovrebbe aver dato regole univoche per catalogare ogni singolo destinatario di ogni singola dose di vaccino. Così facendo, invece, le Ats rendono impossibile avere contezza del dettaglio e la domanda resta aperta: a chi sono state somministrate queste dosi? Inoltre, anche il modo di rendicontare risulta differente: alcune Ats hanno inviato fogli Excel («sembrano più delle reportistiche create manualmente e con fogli di calcolo», commenta Degli Angeli), altre hanno inviato stampate di estrazioni ottenute dal sistema Siavr, il software che gestisce la sanità regionale. Il che significa che i dati li hanno in qualche modo inseriti… Altre proprio non hanno inviato nulla. Una babele di dati che rende assai difficile il controllo puntuale da parte del Pirellone sulle attività vaccinali e che pone seri dubbi circa i numeri inviati dalla Lombardia al Governo centrale per garantire che i vaccini non vengano sprecati, ma inoculati alle categorie prioritarie. «Siamo in una regione fuori controllo – conclude Degli Angeli – che non riesce nemmeno a garantire uniformità nelle informazioni restituite dalle Ats territoriali. Qui non si tratta nemmeno di mancanza di trasparenza, ma di completa incapacità, improvvisazione organizzativa e manageriale da parte di una classe politica, che governa da più di 20 anni la nostra regione, creando danni sanitari, economici e di immagine devastante per i cittadini lombardi».

Ennesimo flop della Lombardia. Impossibile identificare i 180.403 "altri" vaccinati: ogni Ats cataloga i dati a modo suo. Andrea Sparaciari su it.businessinsider.com il 13 aprile 2021. Quasi una dose di vaccino su 10, in Lombardia è stata somministrata a un cittadino ricadente nella categoria “altro”. Una nebulosa che al 12 aprile contava 180.483 affiliati (su 2.054.076 vaccini totali somministrati). Certo, la Lombardia non raggiunge il picco di Sardegna, Calabria e, soprattutto, Sicilia, che viaggiano tra il 30 e il al 40%, tuttavia sempre un buon piazzamento. Anche perché, come denuncia il consigliere regionale M5s, Marco Degli Angeli, «non c’è trasparenza nei dati che formano la categoria “altro”, visto che ogni Ats (Agenzie Tutela Salute) ha riunito in quel gruppo, pazienti appartenenti a gruppi differenti. Così i dati sono poco chiari, c’è molta confusione e il controllo sulle somministrazioni diventa quasi impossibile». Lo scorso 10 marzo Degli Angeli aveva chiesto a ogni singola Ats della Lombardia un report dettagliato che riportasse quali e quanti vaccini fossero stati effettuati, nonché il dettaglio delle categorie di appartenenza dei cittadini vaccinati, partendo dal fatidico V-day del 27 dicembre 2020. Quanto ha ottenuto ha dell’incredibile: «Una Ats ha dichiarato che il suo gestionale non consente di ricavare il dato richiesto in maniera puntuale. In altri casi alcune Ats non hanno restituito il dettaglio mensile dei vaccini effettuati oppure non hanno saputo elencare le categorie a cui il vaccino è stato somministrato. Altre volte ancora la farraginosità dei dati rende complicata l’analisi e, inoltre, sembrerebbe che, in alcuni casi, la somma dei numeri dei vaccini messi a disposizione appare non corrispondere matematicamente a quelli inoculati», attacca. Nella documentazione che Business Insider Italia ha potuto visionare, infatti, non vi è alcuna omogeneità: le Ats di Pavia e della Montagna, ad esempio, nel loro database raggruppano alcuni vaccinati in una non bene specificata categoria “altro”, senza alcuna spiegazione delle caratteristiche del vaccinato. Ci sono invece Ats, come quella di Bergamo o di Brescia, che in modo tra l’altro differente, azzerano la categoria “altro”, inserendo i vaccinati in altri macro raggruppamenti (ad esempio, forze dell’ordine, operatori sanitari, volontari Areu, ecc…). La Ats Città metropolitana di Milano, la più grande di tutte, invece, nel suo report non riporta proprio la categoria “altro”, così come quelle dell’Insubria e della Brianza. Una confusione incomprensibile, visto che tutte le Agenzie dipendono dall’assessorato al Welfare di Regione Lombardia, il quale dovrebbe aver dato regole univoche per catalogare ogni singolo destinatario di ogni singola dose di vaccino. Così facendo, invece, le Ats rendono impossibile avere contezza del dettaglio e la domanda resta aperta: a chi sono state somministrate queste dosi? Inoltre, anche il modo di rendicontare risulta differente: alcune Ats hanno inviato fogli Excel («sembrano più delle reportistiche create manualmente e con fogli di calcolo», commenta Degli Angeli), altre hanno inviato stampate di estrazioni ottenute dal sistema Siavr, il software che gestisce la sanità regionale. Il che significa che i dati li hanno in qualche modo inseriti… Altre proprio non hanno inviato nulla. Una babele di dati che rende assai difficile il controllo puntuale da parte del Pirellone sulle attività vaccinali e che pone seri dubbi circa i numeri inviati dalla Lombardia al Governo centrale per garantire che i vaccini non vengano sprecati, ma inoculati alle categorie prioritarie. «Siamo in una regione fuori controllo – conclude Degli Angeli – che non riesce nemmeno a garantire uniformità nelle informazioni restituite dalle Ats territoriali. Qui non si tratta nemmeno di mancanza di trasparenza, ma di completa incapacità, improvvisazione organizzativa e manageriale da parte di una classe politica, che governa da più di 20 anni la nostra regione, creando danni sanitari, economici e di immagine devastante per i cittadini lombardi».

COVID, È ANCORA CAOS VACCINAZIONI, IN LOMBARDIA UN QUARTO DEI DECESSI. Il direttore vicario dell’Oms, Ranieri Guerra, è indagato per aver rilasciato false informazioni ai pm sul piano pandemico. Michelangelo Bonessa su Il Quotidiano del Sud il 10 aprile 2021. La Lombardia viaggia verso la zona arancione da lunedì, ma i morti non calano. Anzi, la regione continua ad avere un quarto dei morti totali italiani nonostante rappresenti solo un sesto della popolazione totale dello Stivale: ieri sono aumentati di 95 unità, per un totale di 31.595 decessi su 112.861 totali. Nello stesso tempo, secondo l’ultima conferenza stampa dell’Istituto superiore di sanità, in Italia i posti in terapia intensiva sono 3743, di cui 830 in Lombardia. Ma in Regione in tanti sono così sicuri del passaggio in arancione da confermarlo alle agenzie di stampa e dunque ci si prepara per il passaggio in arancione, quando tutti i negozi saranno autorizzati a riaprire e ragazzi degli ultimi due anni delle medie e delle superiori potranno tornare a scuola (seppure questi ultimi al 50%). I ristoranti, però, restano chiusi.

GUERRA INDAGATO. Nel frattempo, però, non sono risolti i problemi sui vaccini, né arrivano buone notizie per l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) perché il direttore vicario dell’organizzazione, Ranieri Guerra, è indagato per aver rilasciato false informazioni a magistrati di Bergamo che indagano sul piano pandemico nazionale mai aggiornato dallo stesso Guerra quando era dirigente del Ministero: secondo le indagini, il piano anti-epidemie non è mai stato aggiornato dal 2006 in poi, se non tecnicamente con un timbro di aggiornamento. Le carte, però, restavano le stesse. Quando però Guerra era stato sentito la prima volta dai pm aveva detto che il piano pandemico influenzale non aveva bisogno di aggiornamenti in quanto negli ultimi anni non si erano registrati gravi episodi epidemiologici. In realtà, in base all’inchiesta, sia l’Oms sia l’Unione europea avevano dato indicazioni diverse e Guerra, che tra il 2014 e il 2017 era Dg della Prevenzione al ministero della Sanità, avrebbe dovuto aggiornarlo. Inoltre, nel filone di indagine si vuol far luce anche sulla rimozione nel giro di 24 ore del rapporto dal titolo “An unprecedented challenge – Italy’s first response to Covid-19” a cura di un team di ricercatori della divisione europea dell’Oms in cui si spiegava l’inadeguatezza del nostro Paese di fronte all’epidemia di Coronavirus. «Sono stupito e amareggiato per questa situazione, non conosco di cosa si tratti, non ho la più pallida idea sul perché i magistrati abbiamo deciso in tal senso – ha commentato Ranieri Guerra -Avevo parlato con i magistrati lo scorso novembre e avevo dato la mia disponibilità a un nuovo confronto. Non conosco le domande che i magistrati nella rogatoria hanno mandato all’Oms».

La disponibilità di Guerra, però, arriva tardi: quando il caso del rapporto sparito era esploso, l’Oms aveva addirittura opposto ai magistrati che indagavano l’immunità diplomatica per impedire gli interrogatori.

LA CAMPAGNA VACCINALE. Chiarire però se il mancato aggiornamento e la non applicazione del piano pandemico abbiano contribuito alla strage lombarda e italiana è essenziale. Soprattutto per il futuro, perché come è arrivato il Sars-Cov-2, potrebbero arrivare altri virus micidiali. Motivo per il quale gli Stati dovrebbero avere piani pandemici aggiornati e la capacità di applicarli. Ma mentre i magistrati bergamaschi cercano di far luce su questo punto oscuro delle pieghe della burocrazia di alto livello, la campagna vaccinale lombarda continua ad avere problemi e ritardi, sebbene l’intervento dello Stato abbia risolto alcuni problemi. «Errori e informazioni contraddittorie nel piano vaccinale lombardo continuano a creare disagi. Da questa mattina si registrano problemi diffusi per la prenotazione della vaccinazione delle persone estremamente vulnerabili e per i disabili, aperta proprio oggi ai soggetti non in carico ai reparti ospedalieri – ha dichiarato in una nota il capogruppo del Pd in Regione Lombardia, Fabio Pizzul – In molti non sono riusciti a prenotare perché il sistema non riconosceva i loro codici fiscali e li indicava come categoria non ancora abilitata alla prenotazione. Un ulteriore problema riguarda i caregiver e i familiari delle persone fragili minorenni o già vaccinate che, contrariamente a quanto detto in precedenza, si potranno prenotare non da oggi ma a partire dal 16 aprile. Questi ulteriori disagi colpiscono una categoria prioritaria per l’immunizzazione e che in misura significativa sta ancora attendendo il vaccino, penso anche ai disabili più gravi, quelli che devono essere vaccinati a domicilio. L’aver spostato così in avanti questa categoria, all’interno della campagna di massa, la espone anche a ulteriori ritardi», conclude Pizzul. Nel frattempo l’Amministrazione regionale continua a lavorare sulla ripartenza. L’ultima iniziativa sono i treni Covid-tested: il governatore leghista Fontana ha firmato un’ordinanza grazie alla quale sarà possibile organizzare treni sulla tratta Milano-Roma con passeggeri negativi al Covid. Con un test negativo eseguito nelle ultime 48 ore o un test gratuito prima di salire, sarà possibile viaggiare quasi normalmente.

Al Nord più della metà dei lockdown regionali, Lombardia signora in rosso d’Italia: 10 chiusure. Al Sud primato positivo per la Sardegna. Male Campania e Calabria, colpite rispettivamente da 9 e 7 lockdown. Luca La Mantia su Il Quotidiano del Sud il 3 aprile 2021. Con l’ultima ordinanza del ministro Roberto Speranza saliranno a 10 i periodi in zona rossa trascorsi dalla Lombardia. Nessuna fra le regioni e le province autonome italiane ha fatto peggio di quella amministrata da Attilio Fontana da quando, lo scorso novembre, la strategia adottata nella lotta all’epidemia di Covid in Italia ha assunto il carattere della differenziazione territoriale. Oltre due mesi, o giù di lì, destinati ad aumentare. Al netto dei regimi speciali stabiliti per le passate festività natalizie e il venturo lungo weekend pasquale, che allungano ulteriormente il tempo trascorso in lockdown per i cittadini lombardi.

DISASTRO NORD. In cinque mesi, in sostanza, la Lombardia è stata in zona gialla appena quattro volte e in arancione sei. Una bomba sociale ed economica che è stata sganciata sul tessuto produttivo più importante del Paese che, un anno dopo, continua a essere il distretto più interessato dal contagio. Nel complesso il rosso lombardo pesa quasi un quarto su quello dell’intero Nord; 48 le zone rosse totali della macroregione, oltre il 50% delle 89 che hanno interessato (e interessano ancora) il Paese. Tre i cambi di colore peggiorativi – l’ultimo disposto tre settimane fa – pari a quelli migliorativi. Subito dopo – al Settentrione – si colloca il Piemonte con nove lockdown regionali, sei zone arancioni e cinque gialle. Un secondo posto quasi in ex aequo con la provincia autonoma di Bolzano, che conta meno zone rosse (sette) ma più arancioni (undici) e solo due gialle. Dieci volte in arancio, invece, per l’Emilia Romagna, che si salva dal podio grazie alle sole quattro zone rosse. Una in più del Veneto che, tuttavia, nel computo totale risulta la migliore fra le regioni del Nord, avendo trascorso con il regime di minor restrizioni la maggior parte degli ultimi mesi ed è tornato arancione dopo tre settimane di rosso. Non male la Liguria, mai finita in lockdown ma con tante zone arancioni (dodici).

CENTRO VIRTUOSO. Da un punto di vista numerico la palma di macroregione più virtuosa va al Centro, anche per il minor numero di distretti territoriali che la occupano. Il Lazio maledice la seconda metà di marzo che l’ha visto per due settimane in zona rossa. Ma le sue performance sono fra le migliori in assoluto: quattordici volte in giallo e quattro in arancione, fino a maggio miglior condizione possibile con la momentanea sospensione della zona subito inferiore. Se si considera solo il regime di lockdown regionale, la peggiore risulta essere la Toscana, con sei settimane in rosso. Due in più dell’Abruzzo che, però, ha trascorso in arancione la maggior parte della seconda e della terza ondata. Meglio (o peggio) ha fatto l’Umbria, che con questo particolare colore si è confrontata sedici volte. L’incidenza del Centro, in ogni caso, è limitata: quindici zone rosse totali, circa il 17% di quelle disposte in tutta Italia.

IL SUD. Il dato sale a circa il 30% se si considerano il Sud e le Isole, che in zona rossa (prese tutte insieme) con le ultime disposizioni arriveranno a 27 periodi trascorsi. Alla macroregione va però la palma della miglior regione in assoluto: la Sardegna, unica a potersi fregiare di ben tre periodi in zona bianca. Un sogno vanificato dalla ricrescita dei contagi che ne ha comportato la retrocessione in arancio per seconda volta. Dodici le zone gialle per il territorio governato da Solinas. Buona anche la gestione del Molise, dove i periodi passati in zona rossa e arancione sono rispettivamente tre e quattro, mentre quelli in zona gialla sono sinora stati tredici. In coda la Campania, che dopo quattro settimane consecutive non è ancora riuscita a liberarsi del rosso, che l’ha interessata per nove volte. La segue la Calabria che è stata ben sette volte in lockdown, sette in arancione e sei in giallo.

TROPPE IDEE E TUTTE CONFUSE IL VENETO ARRANCA SUI VACCINI. L’assessore prima dice di seguire le indicazioni dell'Oms, poi quelle del Ministero della Salute, quindi una non meglio precisata “prassi”. Giuseppe Pietrobelli su Il Quotidiano del Sud il 31 marzo 2021.

“Ecco prendete il tempo… solo 54 secondi per registrarsi. Il nostro è il sistema più veloce d’Italia e del mondo”. Nel consueto scenario della sala della Protezione Civile a Marghera, con la consueta enfasi venetista, il governatore leghista Luca Zaia gongola. Sta presentando il portale unico per le prenotazioni dei vaccini “da parte dei veneti”, che dovranno inserire solo il codice fiscale e il numero di telefono. Entrerà in funzione giovedì 1 aprile, assicura, senza rendersi conto che quello è il giorno dei “pesci d’aprile”. Purchè non sia un annuncio senza seguiti, come è accaduto altre volte in questa lunga battaglia con la pandemia. Zaia è stato costretto a varare in grande fretta un sistema per le prenotazioni dei vaccini, visto il crescere del malumore generale, di fronte al quale lo stesso governatore (con l’assessore Manuela Lanzarin) ha dovuto ammettere: “Non tutto ha funzionato, ci sono stati errori. Ma chiediamo un po’ di pazienza, so che ognuno ha la sua formula magica. Ci piacerebbe che fosse possibile fissare un appuntamento all’infinito, il problema è che non sappiamo se avremo i vaccini per rispettarlo”. Zaia, insomma, mette già le mani in avanti. Se la campagna non procederà come previsto, la colpa sarà dei vaccini che non arrivano. La decisione di un unico portale per tutte le 9 Unità sanitarie locali del Veneto è stata presa perché c’erano troppe difformità tra realtà territoriali diverse. Basti pensare che domenica a Treviso, in via sperimentale e su idea di Zaia, sono stati convocati 4.700 cittadini in quattro punti di vaccinazione diversi, tutti nati nel 1936. Non serviva una lettera, c’era stata una convocazione attraverso i mezzi di comunicazione. Bastava presentarsi lì, avere 84 anni e farsi vaccinare, assieme anche a un’altra persona convivente, familiare o badante, purché con più di 65 anni. La Regione ha celebrato il Vax day come un trionfo. In realtà la gente che ha partecipato è stata numerosa, ma al punto da ammucchiarsi nell’attesa e nel quarto d’ora successivo al vaccino, necessario per verificare che non ci fossero reazioni negative alla inoculazione. Nessuno, poi, ha chiesto lo stato di famiglia agli accompagnatori e quindi, teoricamente, anche un figlio non convivente può aver beneficiato del vaccino. La chiamata a raccolta di Zaia per classe d’età ha stupito non pochi, visto che ieri era prevista la presentazione del portale unico. In effetti la sanità veneta appare ancora come una specie di Babele, anche il governatore distribuisce tabelle per dimostrare che il Veneto è al primo posto per dosi somministrate a parità di popolazione. Basta aprire i portali delle Usl per rendersi conto che ognuno procede per conto proprio. C’è chi viene convocato per posta, chi deve prenotarsi on-line, chi deve aspettare il proprio medico di base. Un guazzabuglio dove non c’è certezza. È vero che sono state seguite le linee guida di vaccinare personale sanitario, ospiti delle case di riposo e forze dell’ordine, in prima fascia. Ma questa fase non si è ancora conclusa, mentre sono cominciate le chiamate degli ultraottantenni. E qui tutto si è complicato. Il Veneto aveva scelto di cominciare dai nati nel 1941, per andare a ritroso fino ai più vecchi. Una scelta difforme rispetto ad altre regioni, che hanno deciso di vaccinare prima i più anziani, perchè più fragili. L’assessore Lanzarin aveva detto dapprima di voler seguire le indicazioni vaccinali dell’Organizzazione mondiale della sanità, poi quelle del ministero della Salute, quindi una non meglio qualificata “prassi”. La verità e che da Roma, con il vecchio governo, era arrivata solo l’indicazione di vaccinare gli over 80. La scelta di lasciare scoperti i più vecchi è stata presa dalla giunta regionale, che poi ha fatto parzialmente retromarcia. “Noi vogliamo che ci sia una modalità di prenotazione uguale per tutti, semplicissima, non serve nemmeno inserire il proprio nome”. Gli accessi saranno possibili anche da farmacie, Comuni, sedi di associazioni di volontariato. In Veneto negli ultimi giorni non tutto è filato liscio. Domenica gli assembramenti nel Trevigiano, ma anche lunghe code di ultra ottantacinquenni a Jesolo, con proteste. Un autentico caos a Padova, nei padiglioni della Fiera, dove si sono ripetute le code e le proteste dei giorni precedenti. Venerdì erano addirittura intervenuti i carabinieri per riportare l’ordine. Chissà se adesso il sistema elettronico funzionerà. “Se non andrà bene butteremo i computer dalla finestra – ha detto Zaia – e torneremo alle chiamate di massa”. Non si è capito se scherzasse, di sicuro la chiarezza non brilla sotto il cielo di Venezia.

IL SISTEMA SANITARIO LOMBARDO HA PIÙ BUCHI DI UN COLABRODO. Nei mesi in cui gli ospedali pubblici lombardi erano al collasso, quelli privati offrivano una visita domiciliare per diagnosticare il Sars-Cov-2 a 450 euro. Michelangelo Bonessa su Il Quotidiano del Sud il 7 aprile 2021. La gestione della campagna vaccinale non trova pace in Lombardia. E nel frattempo è stata formulata la nuova Delibera delle regole, il documento fondamentale che stabilisce come si spenderanno i 20 miliardi di euro del bilancio sanitario regionale. Una versione ridotta rispetto al passato, meno di cinquanta pagine rispetto alle centinaia delle versioni precedenti, e già sta sollevando mal di pancia all’interno dell’Amministrazione perché alcune indicazioni fornite dal Consiglio regionale sembra siano state ignorate. “Un libro dei sogni” l’ha definito un consigliere “in cui mancano gli indirizzi deliberati dal Consiglio”. E mentre la nuova legge sanitaria lombarda fa già discutere ancor prima di entrare in vigore, emergono alcuni errori storici del modello applicato finora come il ruolo eccessivo del privato convenzionato e nel contempo un centralismo organizzativo ancora più marcato che nel passato. Per i privati nel documento della giunta Fontana si sottolinea che “La pandemia che ha colpito duramente la Lombardia nel corso del 2020 ha messo nuovamente in risalto come la collaborazione tra le diverse componenti del sistema sociosanitario possa essere molto utile per arginare anche le difficoltà più complicate”. Ma nei mesi in cui gli ospedali pubblici erano al collasso, quelli privati offrivano una visita domiciliare per diagnosticare il Sars-Cov-2 a 450 euro. Un esempio di come la collaborazione tra pubblico e privato in Lombardia pare squilibrata a favore delle grandi famiglie della sanità come i Rotelli. Un’altra impostazione su cui Regione sembra voler procedere è quella della specializzazione degli ospedali più piccoli, i così detti “spoke”. Compartimentalizzare la sanità però non ha portato grandi successi quando poi il sistema viene investito da una pandemia. Eppure nelle nuove linee di indirizzo pare proprio che l’Amministrazione Fontana sia decisa a proseguire su questa strada. In altri casi la “delibera delle regole” deve provare a mettere per iscritto le formule su come rimediare ai buchi storici del sistema sanitario lombardo come il piano da 700 milioni di euro per le strutture territoriali psichiatriche: “A partire dal 2021, su cui l’attenzione sarà focalizzata in particolare sulle strutture territoriali psichiatriche così come previsto dalla DGR n. 4386/2021, si darà avvio ad un importante piano pluriennale di interventi sul territorio per un importo complessivo pari a 700 milioni di euro che consentirà di determinare almeno un punto di accesso per tutti i servizi territoriali ogni centomila abitanti”. La salute mentale infatti è stata una delle grandi ignorate dell’ormai ex eccellenza lombarda. Un tentativo di rattoppare il sistema dopo lo choc del 2020, ma che per ora ha convinto pochi. Anche perché molte decisioni pratiche sono rinviate a “specifici provvedimenti” successivi. Nel frattempo continua il caos sulla campagna vaccinale. A scuotere l’ambiente c’è stato anche il caso della nonna di Chiara Ferragni che è stata contattata rapidamente dopo un intervento sui seguitissimi social della nuora. Regione Lombardia ha negato che la telefonata ricevuta il giorno successivo sia stata legata al cognome della donna, ma nessuno ci ha creduto. E per l’Amministrazione è diventata l’ennesimo inciampo comunicativo. Un dramma su cui le opposizioni in Consiglio continuano a martellare Fontana e alleati: l’ultima è stata la consigliera regionale del partito democratico Paola Bocci che ha raccolto diverse segnalazioni. Cittadini residenti a Milano città, inviati a vaccinarsi a Pieve Emanuele, Binasco e San Donato Milanese. Persone che dal quartiere Giambellino sono state indirizzate a Iseo, in provincia di Brescia. E anche i residenti nei comuni di Città Metropolitana destinati a sedi in altre province, ad esempio da Gorgonzola a Lodi, pur avendo centri vaccinali vicini a casa. Bocci, la quale ha raccolto le testimonianze, le ha messe nero su bianco in una lettera indirizzata al vicepresidente e assessore regionale al Welfare Moratti e al direttore generale dell’assessorato, Giovanni Pavesi, oltre ad aver depositato un’interrogazione in Consiglio. Nell’interrogazione l’esponente del Pd chiede di sapere “se e come Regione Lombardia si stia adoperando per rivedere le assegnazioni, sia per la prima dose, sia per il richiamo successivo, individuando punti vaccinali più prossimi al domicilio dei richiedenti”. E per concludere il quadro di una Regione ancora in balia di brutta aria, c’è il caso dei camici di Fontana: pare che sia ormai vicino al rinvio a giudizio per il governatore lombardo per la tentata vendita, poi trasformata in donazione, di uno stock del valore di 517mila euro prodotto dalla Dama spa, ditta della famiglia di Fontana. I pm sono vicini a tirare le fila delle indagini su questo fronte, mentre quelle sul conto in Svizzera della famiglia del governatore leghista in questo caso indagato per falso in voluntary disclosure e auto-riciclaggio sono ancora in pieno svolgimento.

DIETRO IL FLOP LOMBARDO LE PECCHE DEL SISTEMA BUROCRATICO-CLIENTELARE. Non è una questione di colore politico ma la crisi di un modello ritenuto simbolo dell’efficienza. Paolo Pombeni su Il Quotidiano del Sud il 31 marzo 2021. I rapporti tra il governo e le regioni sono costantemente sotto la lente della pubblica opinione nonostante le componenti responsabili nei due fronti facciano ogni sforzo per non dare molto spazio alle polemiche. Ci si rende infatti conto che è molto difficile andare avanti senza una collaborazione perché ciascuna parte detiene il controllo di snodi essenziali: lo stato l’approvvigionamento dei vaccini e le strutture centralizzate della distribuzione; le regioni le infrastrutture territoriali che devono poi gestire le inoculazioni. Nonostante non manchino sforzi da una parte e dall’altra, il sistema funziona male e sarebbe ora di fare una seria riflessione sulle cause di questa situazione che porta alla presenza di incredibili differenze fra una regione e l’altra (ma a volte anche fra le province di una stessa regione). Non è questione del “colore politico” delle regioni, perché disfunzioni se ne trovano in un campo e nell’altro. Per dire, la Toscana ha una giunta di centrosinistra che ha orgogliosamente vinto una sfida elettorale difficile ed ha risultati più che modesti, ma soprattutto si è piegata a vaccinare categorie forti (che, come ha detto candidamente il presidente Giani, ci tempestavano di richieste) lasciando indietro gli ottantenni e i fragili. Il caso più eclatante rimane però quello della Lombardia. La regione orgogliosamente e a volte un po’ bullescamente abituata a considerarsi la capitale morale d’Italia contro lo scassato Lazio della Capitale storica, sede del potere politico, ma inefficiente, è stata letteralmente stracciata dalla performance della regione guidata da Nicola Zingaretti. Si può buttarla nella più becera polemica politica accusando di tutto il leghismo, il berlusconismo e quant’altro, ma così non si va molto lontano. Si dovrebbe cercare di capire come mai una regione che vanta eccellenze ospedaliere che attirano pazienti da tutta Italia, che dovrebbe godere di una rete diffusa di cultura manageriale-organizzativa non fosse altro per la quantità di grandi imprese che vi hanno residenza, si sia ridotta a non riuscire a gestire un sistema di convocazioni efficienti degli ottantenni (e vedremo se andrà avanti così anche scendendo nell’età dei pazienti). Non si può neppure dire che manchino personalità all’altezza: la chiamata di Bertolaso testimonia al tempo stesso il ricorso ad una competenza sperimentata e la scarsità di risultati che ha potuto ottenere. Per dirla con una immagine che ci pare significativa: un personaggio di quel tipo riesce a realizzare in tempi rapidi e con efficienza una singola opera di significato non banale (l’ospedale alla Fiera), ma fallisce nel mettere a sistema gli interventi necessari su scala complessiva. Non convincono le spiegazioni semplicistiche: è colpa della distruzione della sanità di base a favore delle eccellenze ospedaliere (lo si è fatto anche altrove); dipende dalla scarsità dei vaccini (anche qui: stesso meccanismo che nelle regioni virtuose). Non si può dimenticare che la Lombardia aveva già registrato un clamoroso fallimento ai tempi della campagna per la vaccinazione antiinfluenzale, segno che è nel “sistema” e non solo nei “vertici” che vanno ricercate le distorsioni che ora stanno pagando a caro prezzo. L’assessore Gallera non aveva certo dato l’impressione di essere l’uomo giusto al posto giusto, ma l’assessore Moratti che è arrivata con tutt’altro pedigree non è che abbia riscosso successi. Una seria indagine sul mancato funzionamento del sistema regionale lombardo sarebbe nell’interesse di tutto il paese, perché è un caso di studio emblematico da più di un punto di vista: per le dimensioni di popolazione, per le risorse economiche di cui dispone, per la sua stessa storia. E’ presumibile infatti che il flop sulla campagna vaccinale dipenda dall’usura, per non dire di peggio, di un sistema burocratico-amministrativo dove si sospetta che l’opera del clientelismo partitico abbia provocato una situazione che non poteva reggere alla prova di una emergenza. Non si tratta di istituire tribunali del popolo improvvisati, di scatenare la caccia a qualche capro espiatorio, perché sono cose che non servono a niente. Si tratta di capire come un sistema che un tempo era stato modello di efficienza si sia degradato a questo punto. Giungere a risultati in questa indagine servirebbe a fermare in tempo fenomeni di consunzione dei sistemi pubblici che sicuramente sono all’opera anche in altre regioni e che dunque è nell’interesse generale poter bloccare. Che ci siano state gestioni “allegre” di varie partite sanitarie lo hanno messo in luce inchieste e ormai anche sentenze passate in giudicato: andiamo da casi eclatanti come quelli che sono costati tanto all’ex presidente Formigoni a quelli un po’ più da bassa cucina clientelar-amministrativa che hanno coinvolto nella prima fase un’azienda i cui vertici avevano parentele col presidente Fontana. Sono tutte vicende che segnalano un degrado, più o meno importante, della macchina amministrativa, con le ricadute che si sono viste. E tuttavia andrebbe aggiunto che si dovrà capire perché in regioni che certo non sono state esenti da questi tipi di degrado (ci riferiamo per esempio al Lazio) invece il sistema abbia retto alla prova dell’emergenza pandemica. Occuparsi di questo fenomeno non deve servire alle lotte della politica-politicante, che tanto ne traggono vantaggio marginalmente, ma al lavoro di ricostruzione del tessuto del potere pubblico che è quanto servirà al Paese per affrontare la fase della sua nuova ricostruzione.

Coronavirus in Lombardia, dalle convocazioni sbagliate ai centenari dimenticati: ecco gli ultimi tre mesi di errori nella campagna vaccinale. Zita Dazzi su la Repubblica l'1 aprile 2021. Un lungo elenco di disguidi: ne ha parlato anche il generale Figliuolo nella sua visita per lanciare gli hub. È un dossier alto come un dizionario, quello dei "disguidi" che si sono verificati negli ultimi tre mesi, quelli di cui ha parlato ieri il commissario nazionale per l'emergenza Covid generale Paolo Figliuolo, arrivato per verificare i problemi negli hub lombardi.

Il portale in tilt. Si comincia col portale dell'agenzia regionale Aria per l'iscrizione alla campagna vaccinale. Il 15 di febbraio viene avviato il portale ma salta subito. Centinaia di migliaia di persone cercano di entrare nel sito. Lunghe attese e utenti respinti perché il sistema non riconosce i numeri di telefono fissi. Nei giorni successivi la situazione si normalizza, ma gli sms di risposta per la maggior parte degli anziani non arrivano.

Gli sms mancanti. Il sistema informatico di Aria registra quasi 100 mila anziani al giorno nella prima settimana, ma dopo due settimane solo il 15-20 per cento di chi si è iscritto ha ricevuto risposta. Alla fine di febbraio, con 597 mila over 80 prenotati, l'assessora al Welfare e vicepresidente della Regione Letizia Moratti riconosce i ritardi e manda 450 mila sms di scuse agli anziani rimasti senza risposte. Sostituisce il direttore generale del Welfare, Marco Trivelli, col manager veneto Giovanni Pavesi. Dal 18 di febbraio cominciano le vaccinazioni degli over 80 con alcuni testimonial d'eccezione, da Liliana Segre a Carla Fracci. Nella prima settimana vengono convocati in 50 mila, ma gli appuntamenti sono spesso a chilometri di distanza dal domicilio. Per esempio, i cittadini di Segrate vengono chiamati a fare il vaccino a Cesano Boscone, perché Cesano ha il Cap 20090 che era il vecchio Cap di Segrate.

I centri vaccinali senza persone da vaccinare. Il sistema di Aria collassa nel weekend del 20 e 21 marzo, quando alla Fiera di Cremona sono pronti a vaccinare 300 persone e nessun anziano della zona è stato convocato da Aria. I sindaci della zona vengono attivati uno per uno e qualcuno, come quello di San Bassano, prende un furgone e va a prendere i suoi pensionati a casa per portarli a fare il vaccino. Caos anche a Como dove per 700 dosi di AstraZeneca arrivano solo 16 insegnanti al centro vaccinale di via Napoleona. Senza l'elenco dei nomi l'Asst Lariana ha così iniziato a chiamare al telefono altri aventi diritto per non sprecare le dosi e la giornata di lavoro. Problemi simili anche a Varese, Codogno, Milano, Iseo.

Anziani in overbooking. L'11 marzo Guido Bertolaso, consulente di Moratti per la campagna vaccinale, arriva a sorpresa fuori da un ospedale e su Facebook protesta: "La coda degli anziani fuori dal centro vaccinale di Niguarda per gli errori di Aria che manda 900 convocazioni al posto delle 600 previste è una vergogna". Letizia Moratti con un tweet promette di risolvere i disguidi: "Le cose che non funzionano vanno cambiate, occorrono decisioni drastiche e rapide su Aria. I cittadini non devono pagare le inefficienze della burocrazia". Il giorno dopo il presidente Attilio Fontana azzera i vertici della società regionale e promette il passaggio delle prenotazioni a Poste Italiane.

I centenari dimenticati. Da settimane fioccano decine e decine di segnalazioni di ultra novantenni e ultra centenari mai convocati a fare il vaccino, fra loro la partigiana Laura Wronowski, anni 97, e Giuliana Manasse Biraghi, anni 105. Centinaia di segnalazioni arrivano ai giornali: gli anziani di tutta la Lombardia scrivono per sapere che ne è stata della loro richiesta di vaccino e se devono ripresentarla. La Regione, dopo il siluramento di Aria, promette a 115 mila anziani una telefonata con appuntamento entro il 2 aprile dal call center regionale con verifica degli elenchi da parte di Ats. Per altri 205 mila nonni la somministrazione arriverà entro l'11 aprile, termine ultimo per la prima dose a tutti.

Gli appuntamenti ai morti. Intanto c'è chi riceve l'appuntamento fuori tempo massimo. "Mio padre è morto di Covid a 91 anni, in una settimana. Era prenotato sul portale dal 15 febbraio, non aveva ricevuto mai l'appuntamento. Ci hanno chiamati il giorno dopo il suo funerale", denuncia il figlio, Paolo Bortolussi. Decine di segnalazioni simili arrivano in queste ore di frenetiche prenotazioni. Gli sms finalmente partono, ma i problemi non cambiano: "Mia zia è ottantenne ed è stata convocata per il vaccino il 9 aprile alla Fabbrica del vapore di via Procaccini - racconta Stefano Corti - . Abita a Cesano Maderno, in Brianza, da sempre. Dovrà prendere il treno delle Nord, scendere a Cadorna, prendere il 19, quindi il 10. Penso siano 20 anni che mia zia non viene a Milano. Sono pazzi"

All’origine del disastro Lombardia: ospedalizzazione esasperata e medicina del territorio sparita. La “delibera delle regole” di Formigoni e la riforma sperimentale di Maroni: la resa nei confronti del privato. Michelangelo Bonessa su Il Quotidiano del Sud il 2 aprile 2021. La delibera delle Regole e il regno formigoniano sono stati l’inizio del disastro sanitario lombardo. Poi a peggiorare il tutto è intervenuta anche la sperimentazione voluta da Roberto Maroni. Ma per capire come mai la miglior sanità italiana sia quella ad aver retto peggio le ondate di Sars-Cov-2, bisogna addentrarsi nei meandri della burocrazia e conoscere le peculiarità del sistema lombardo: per citarne una, l’assessore al Welfare più potente d’Italia è senza portafoglio pur essendo in teoria responsabile di 20 miliardi all’anno di spese. E questi giorni sono l’occasione giusta perché la legge regionale 23 che regolava la sanità lombarda è scaduta, va riscritta in breve tempo perché per discutere del bilancio regionale non si può prescindere dal capitolo salute che ne assorbe gran parte. Un tema tanto importante che la Commissione Sanità regionale ha tirato un pesante schiaffone politico alla giunta annunciando ufficialmente la calendarizzazione del percorso di revisione della norma: il presidente leghista e il vicepresidente forzista della commissione hanno sottoscritto una lettera con le opposizioni che dà alla giunta un mese di tempo per cominciare a sentire le varie componenti del sistema sanitario per procedere alla riscrittura della legge. “In questo modo la legge verrà modificata a partire dalle istanze dei rappresentanti del sistema sanitario regionale e si concentrerà sugli aspetti da rafforzare in considerazione delle mutate condizioni del sistema – ha spiegato Emanuele Monti, presidente leghista della commissione – e sullo sblocco di assunzioni e fondi per sviluppare la medicina territoriale”. Quindi l’assessore deve adeguarsi, oppure il Consiglio andrà avanti per i fatti suoi. E vogliono partire dalla medicina territoriale. Proprio quella massacrata dagli ultimi vent’anni di modello Formigoni poi peggiorato da Maroni con una riforma che ha schivato “l’incostituzionalità grazie alla definizione di sperimentazione” sottolinea Gregorio Mammì, consigliere regionale dei 5 Stelle e membro della commissione sanità.  È stato infatti con Formigoni che il sistema lombardo ha cambiato passo imperniandosi sulla delibera delle regole: un tomo di circa 400 pagine che stabilisce alcune direttive importantissime come “la suddivisione territoriali delle Ats e delle Asst – elenca Mammì – l’analisi dei risultati dell’anno precedente che di solito si fa a dicembre per decidere come orientare i fondi per i mesi successivi, ma anche come si decidono gli appalti: ad esempio stabilisce che i contratti li decide il direttore dell’Ats con il risultato che abbiamo alcune zone in cui sono forti alcune specialità e assenti in altre, un meccanismo che ha generato anche un travaso di manager dal pubblico al privato su cui forse dovremmo interrogarci  – prosegue Mammì – le faccio un esempio: nella zona sud di Milano manca un’emodinamica pubblica, quindi chi ne ha bisogno va al Monzino, ora il direttore generale di quell’ospedale era uno di quelli che faceva programmazione per Regione”. Ma la delibera delle regole decide anche molto altro: come le normative per l’approvvigionamento, quali piattaforme utilizzare, l’analisi dei tempi di attesa e l’importante capitolo delle extra tariffazioni. Quest’ultima infatti può servire a orientare le scelte delle aziende ospedaliere: “Se per una certa prestazione fino a ieri rimborsavamo 100 euro come Regione – spiega Mammì – decidendo di darne 200 possiamo spingere l’ospedale a concentrarsi su quella prestazione”.  Ma anche la scelta delle piattaforme è fondamentale perché è quella che ha contribuito al caos lombardo sui dati: ciascuna autorità territoriale ne aveva una sua, creando non poche difficoltà a Regione per uniformare i numeri da comunicare a Roma. Tutte queste decisioni, comprese quelle relative a decine e decine di programmi specifici sono concentrate nelle mani della giunta. Che vorrebbe continuare come in passato presentando all’ultimo la delibera che il Consiglio dovrebbe approvare di fatto scatola chiusa. Però i danni sono stati troppi, tanto che dalla stessa maggioranza che sostiene Fontana e Moratti è arrivato l’ultimatum e la dichiarazione chiara della volontà di ricostruire la medicina del territorio. Perché al momento il tentativo di centralizzare tutto sugli ospedali è stato un fallimento se non per i ricchi: la “sperimentazione Maroni” aveva l’ambizione di ospedalizzare anche i malati cronici, ma non sembra aver toccato minimamente le stelle a cui aspirava. “Hanno mandato tre milioni di lettere – calcola Mammì – ma sono riusciti a completare la presa in carico solo del 7-8 per cento dei cronici, per quanto come sottolineato da Agenas per questa piccola percentuale il servizio è migliorato”.

 Il sistema in generale è ancora troppo per pochi: “L’altro giorno ho chiamato l’ospedale di Legnano per prenotare una visita e nonostante la prescrizione imponesse la visita entro 30 giorni mi hanno dato ottobre come disponibilità – racconta Mammì – invece chiedendo l’intramoenia (cioè pagando privatamente ndr) potevo farlo il giorno dopo”.

RAZZA PADANA - Cara la mia Milano pandemica che strano vederti così. Francesco Specchia su Il Quotidiano del Sud il 2 aprile 2021. I tagliolini all’astice e il branzino al forno profumavano di cucina antica. Il cameriere zelante sgranava la lista dei vini come un rosario, il caffè fumava e la sala -con noi e un altro paio di tavoli di raccomandati ricchi- risuonava di un silenzio monacale, quasi romantico. Chi lo dice che, nella Milano pandemica avvolta dal colore della zona rossa (come la vergogna) e in un passato perduto, i ristoratori oggi chiudono e fanno la fame? Fanno la fame, ma non tutti. Io, per esempio, in zona Porta Venezia sono entrato regolarmente a pranzo in un ristorante très chic, varcando il retro e passando per le cucine, tanto per eludere le norme che impongono la chiusura dei locali. Mi accompagnavo ad un imprenditore simpaticissimo travolto anche lui dalla crisi che ha fermato la locomotiva. Era un cliente abituale, così in confidenza col ristoratore da permettersi -il massimo dello snob- il privilegio dell’apertura personale. Non è l’unico locale che viola le regole. E il privilegio non è tanto per rientrare nelle spese (la catastrofe economica è democratica); ma giusto per concedere l’illusione della normalità ai tanti manager, impiegati, abitatori del centro annichiliti dal Covid. Annichiliti dal Covid e dalla sua cattiva gestione, ammettiamolo. Milano mia, crogiuolo e lavacro della miglior razza padana, come ti sei ridotta. Non ti ho mai visto così disorganizzata, così sperduta, così politicamente sciatta. Abbiamo sbagliato tutto: la tratta dei camici e delle mascherine; i tamponi venduti a peso d’oro; l’emarginazione dei medici di base che potevano salvarci dalla furia dell’ospedalizzazione; la gestione della piattaforma delle prenotazioni. Prima le Poste, poi “Aria” che già nel nome ti dava l’idea di evanescenza, ora ancora le Poste. Ci voleva un generale degli alpini per farti un cazziatone, come sotto la naia. Milano mia. Ad attraversarti, in questi giorni, mi sembra di galleggiare nella tristezza di Luci a San Siro di Vecchioni. Piazza Duomo livida anche col sole, senza turisti, solcata da autoctoni col sorriso a mezz’asta. I tassisti fermi con lo sguardo verso via Manzoni o via Torino, private dell’eterno vocìo dei negozi spenti. I musei chiusi. Il piazzale di Palazzo Reale trasformato nel sagrato di una chiesa senza parrocchiani. I Navigli blindati con l’acqua che neanche sembra più scorrere. I ghisa disperati perché non ci sono auto e non riescono a fare le multe, forse se le fanno tra loro. Le colonne di Piazza S.Lorenzo liberate dalle mandrie degli studenti universitari intasati di birra e belle speranze; nella desolazione di pare quasi di vedere lo spettro del trombatissimo assessore Gallera che s’aggira senza pace. Al Parco Sempione verde-e-marrone come dicono Elio e le Storie Tese non suonano più i bonghi e nessuno si fa più le canne. Le università con lo smart working. Le chiese senza preti aperte solo a qualche ultraottantenne in preghiera per ottenere la chiamata del vaccino (somministrato unicamente a un over 80 su tre). Mia suocera che attende da un mese il suo turno e all’Asl la sfanculano; mentre i vicini di casa under 70 -un politico, uno psicologo e un avvocato che non frequenta il tribunale dall’88 – hanno già avuto la loro dose di Astrazeneca, fottendosene della massa plebea. Milano col cuore in mano. Quando ero ragazzo, abituato alle placidezze della mia Verona scendevo dal treno in Centrale e vedevo che tutti si trasformavano in milanesi: si tiravano su il bavero del paletot, nelle mani si materializza dal nulla una ventiquattrore in pelle, il sorriso si stirava in un rimbrotto di saluto e il ritmo del passo, all’improvviso, diventava quello d’un marciatore. Milanesi doc. Quando chiedevo lumi su quella strana metamorfosi mi rispondevano: A Milan, anca i moron fann l’uga, a Milano anche i gelsi fanno l’uva. Io annuivo. Mai capito che cacchio significasse; intuisco fosse una lode al lavoro duro e onesto. Oggi perfino i viaggiatori alla Stazione hanno perso il passo. E’ tutto cristallizzato nel tunnel col riverbero della luce lontana. Tutto desolante, laddove, passato l’Expo, eravamo il centro del mondo. «Nel 2020 il Pil di Milano ha registrato una caduta senza precedenti: sfiora il -11% in termini di valore aggiunto, più che in Italia e in Lombardia. Dobbiamo accorciare le filiere, essere ancora più uniti e fare sistema. Dobbiamo trasformare la crisi in opportunità», mi dice l’imprenditore con tagliolino in bocca. Ha ragione. Cara Milano hai passato la peste, la guerra, Tangentopoli e Fabrizio Corona. Ce la farai anche stavolta…

Vittorio Feltri, la risposta a Paolo Liguori: "Milano fa schifo? Evita di brindare e pensa ai disastri di Roma". Vittorio Feltri su Libero Quotidiano il 29 marzo 2021. Ieri il mio collega e amico Paolo Liguori ha scritto un articolo di fondo sul Giornale diretto da Alessandro Sallusti per dire che Milano e la Lombardia in genere fanno schifo. Perché la sanità è un disastro, i commerci languono, l'economia piange. Insomma, secondo il giornalista, la regione e soprattutto il suo capoluogo hanno perso ogni primato e sono diventate perfino più buie, sembrano avviate a una morte precoce. Indubbiamente il direttore storico di varie testate televisive Mediaset afferma alcune verità, ma non tutta la verità. In particolare, attacca il territorio più evoluto del Paese forse perché ci vive e ci lavora da decenni, essendosene innamorato. Succede: quando ti sei affezionato a qualcuno, o a qualcosa, che poi ti delude, sei portato a coprirlo di insulti. Naturalmente esagerati. È innegabile, il Covid ha ferito noi polentoni, però non soltanto. L'Italia intera boccheggia, è stata trasformata in una prigione dove è vietato lavorare e produrre come un tempo, le disposizioni che ci bloccano tuttavia non sono parto delle istituzioni locali, bensì del governo che cambia colore trascurando di cambiare i divieti mortiferi. Tornando alla Lombardia, reale che è in ginocchio, eppure senza il suo Pil il bilancio nazionale sarebbe all'incirca come quello dell'Albania. Milano non è deceduta, dorme a causa del sonnifero che le viene impartito da Roma, la quale si vanta di aver fatto 900 mila vaccinazioni nel Lazio, cioè quante l'Inghilterra ne somministra in un giorno. Capirai che prodezza. D'altronde, se l'esecutivo non è in grado di procurarsi un numero sufficiente di dosi, è impossibile immunizzare il popolo sia del Nord sia del Sud. È accertato, la Lombardia ha avuto più vittime. Ovvio. Ha 11 milioni di abitanti, con una densità di abitazioni e di esercizi commerciali assai fitta, i contagi sono più facili. Bergamo nella fase acuta della pandemia è stata abbandonata da Conte, idem Brescia e varie altre città. Nonostante ciò questa regione rimane pilota. Segnalo a Liguori che ieri il Cnel ha diffuso dati da cui si evince che a Milano si campa in media dieci anni di più che a Napoli, sebbene attorno alla Madonnina si sviluppi uno smog record. Come si spiega questo strano fenomeno? O l'inquinamento è salutare oppure la sanità Milanese è molto più efficiente, a onta delle critiche, di quella partenopea. Le statistiche sui grandi numeri non sbagliano mai, e dimostrano che la mia regione, che ormai è pure la tua, Paolo, rimane la locomotiva del Paese alla faccia del virus. Peccato che le sue sorti in questo momento dipendano da Roma, la quale non sarà ladrona, tuttavia registra 30 morti l'anno per soli incidenti stradali provocati dalle buche trascurate dalla signora Raggi. Infine devo darti atto che il sindaco di Milano, Beppe Sala, è un campione di insensatezza, non perché è divenuto verde, ma perché ha ridotto la metropoli a un ginepraio cosparso di piste ciclabili più perniciose che inutili, incentivando per giunta l'uso dei monopattini, i quali esaltano l'irresponsabilità di parecchi ragazzi. In pratica la circolazione si sta paralizzando quantunque il traffico sia diminuito grazie alle proibizioni confermate da Draghi, l'uomo della provvidenza che ha provveduto esclusivamente a confermare la detenzione della gente. La Lombardia è paragonabile al primo della classe: allorché prende un brutto voto, i compagni festeggiano. Almeno tu, evita di brindare.

L'orgoglio ferito di Milano. Milano è indietro! Impensabile, incredibile, orribile, mai successo nell'ultimo quarto di secolo in Italia. Eppure, è così. Paolo Liguori - Dom, 28/03/2021 - su Il Giornale. Milano è indietro! Impensabile, incredibile, orribile, mai successo nell'ultimo quarto di secolo in Italia. Eppure, è così. L'affermazione si riferisce all'andamento delle vaccinazioni, che però, in questo momento, è il fulcro dell'emergenza nazionale. Il governo Draghi scommette sulle vaccinazioni tempo e quantità -, l'Europa è altrettanto frenetica e Milano e la Lombardia, abituate ad essere sempre all'avanguardia, sono pericolosamente indietro. C'è chi la butta in politica, chi lancia accuse e chi si difende, ma qui il fatto è più grande e più grave, va molto oltre le singole responsabilità. Non scherziamo con le cose serie: ricordate Giulio Gallera? Hanno scritto che era tutta colpa sua, ma non era vero, oggi cerchiamo di non moltiplicare lo stesso errore. Lo sconcerto dei cittadini di una regione, di una grande città, abituate a camminare sempre in testa al gruppo, a dare l'esempio, ad indicare gli errori e i ritardi altrove, è molto grande, merita una risposta seria, non si può risolvere con una semplice caccia ai responsabili. Il sistema sanitario lombardo ha certamente mostrato le sue piaghe e la pandemia ha fatto da detonatore: è talmente vero che, sotto i colpi del Covid, si sono incrinate molte altre certezze in giro per il mondo. Il mito dell'efficienza tedesca, per esempio, ha subito un duro colpo dopo le parole di scusa della Cancelliera Merkel e dopo l'ammissione che la stessa Germania sta faticando a procurarsi i vaccini, proprio come l'Italia. Però, Milano e la Lombardia di scuse non ne hanno avute e non si capisce neppure da chi dovrebbero averne. C'è un sottile vento di incertezza che percorre tutto il mondo nell'epoca del Covid, se è vero che, in piena discussione sui possibili disastri ambientali, un vero disastro economico parte e continua da giorni nel Canale di Suez per una causa banale. Il Grande Canale è troppo piccolo per i grandi trasporti di oggi. Cause oggettive, giustificabili, ma il declino evidente e rapidissimo di Milano e Lombardia è sotto i nostri occhi e coinvolge le istituzioni più diverse. Lasciamo da parte per un attimo la Salute e facciamo un salto in Tribunale, più esattamente alla Procura di Milano. Non sono mai stato un grande estimatore del modo in cui la Procura ha gestito la Giustizia a Milano, sono venuto a lavorare e a vivere in questa città 29 anni fa ed ho avuto sempre argomenti e spazio per criticare la gestione di Mani Pulite di Borrelli, Di Pietro, Davigo e Colombo. Poi, è stata la grande stagione della caccia persecutoria a Silvio Berlusconi e alle sue imprese, dopo che il fondatore decise di entrare in politica. Vicende ben conosciute che, da un esame ormai storico, dipingono la Procura come una Fortezza che si autodefinisce il luogo assoluto del Bene, impegnato nella Lotta contro il Male. Un falso, usato dalla politica, che poteva attrarre, nonostante tutto, molti milanesi, orfani della sinistra. E oggi? Quella stessa procura sembra un organismo in rotta, dopo aver subito nel processo contro due successivi amministratori delegati dell'Eni una sconfitta senza precedenti. Assoluzione con formula piena, nonostante richieste di condanna altissime e con la Procura Generale che parla apertamente di denaro pubblico sperperato. Ma il peggio rischia di venire ancora dallo stesso grande vaso scoperchiato da Luca Palamara, sentito di recente a Perugia sulle modalità delle nomine dei Procuratori Aggiunti a Milano. Lottizzazione tra le correnti è la tesi che Palamara documenta con i suoi sms: sempre politica al comando, come negli anni ruggenti, ma di livello più basso. Come finiscono quasi tutte le avventure rivoluzionarie in un mondo libero, da temibili persecutori a carrieristi spietati. Torniamo in città, nel territorio del sindaco Sala, e qui parliamo di una Milano che usciva fortissima dall'Expo: un simbolo di modernità e di rinnovamento, anche urbanistico, da additare come esempio. In un solo anno di Covid, lo spirito si perde, si corrompe e non soltanto per la scomparsa dentro le case dei dipendenti pubblici e una enorme chiusura degli esercizi commerciali. La città sembra prigioniera, contratta, addirittura più buia (sarà una forma di risparmio?), ma un Comune come Milano non può restare inerte. E infatti interviene in maniera pesantissima e discutibile, prima con la campagna «Milano non si ferma», poi sulla viabilità e sul traffico: il centro si riempie di piste ciclabili, che levano spazio al traffico su ruote, che è aumentato inevitabilmente per effetto dell'abbandono dei mezzi pubblici e dei camioncini necessari ad approvvigionare la città. E molti ciclisti interpretano il lockdown come un via libera per circolare senza rispettare il codice della strada. E si moltiplicano in modo esponenziale i monopattini, grande business per qualcuno, ma non per la città, che per tutto l'inverno giacciono abbandonati come spazzatura postatomica. Dicono che Sala non abbia voluto lo scempio e che sarebbe stato influenzato da due suoi assessori, ma il Sala dell'Expo (e anche quello che avrebbe voluto il ritorno al lavoro dei dipendenti pubblici) forse non avrebbe subito. Quello odierno, invece, annuncia l'abbandono del Pd e si iscrive ai Verdi Europei, scelta criptica. Su tutto, c'è la sofferenza sanitaria della regione e della città, con l'emergenza Covid più forte d'Italia. Un anno fa era la disinformazione, il dinamismo, un «caso», oggi è un «caos»: il sistema informatico autonomo è andato per Aria e ci sono volute le Poste, errori e ritardi si sono accumulati a scelte discutibili sulle categorie da vaccinare (professori universitari, con università chiuse?) e oggi il lavoro è diventato ancora più difficile per i responsabili. Ne usciremo certamente, perché non si può fare diversamente, ma la frustrazione e l'orgoglio ferito della Lombardia saranno lunghi e difficili da curare.

L'ospedale napoletano è in prima linea per la lotta al Covid. Luca Zingaretti e Luisa Ranieri: “Siamo molto orgogliosi di Ascierto e di tutti gli operatori del Pascale”. Rossella Grasso su Il Riformista il 28 Marzo 2021. Nella lotta al Covid Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione G. Pascale di Napoli è stato in prima linea sin da subito. Prima con la scoperta che il Tocilizumab poteva far retrocedere la carica virale dei pazienti gravi, ora con l’avvio della sperimentazione del vaccino italiano Takis Rottapharm. Ma non è finita qui: i medici dell’unità d’immunologia clinica dell’ospedale Pascale, hanno proposto di trattare l’infiammazione ai polmoni causata dal Covid-19 con un anticorpo monoclonale utilizzato per il trattamento dell’artrite reumatoide. Un’idea raccolta dai colleghi del Cotugno, dove sono ricoverati i pazienti colpiti dal coronavirus, che hanno avviato subito la sperimentazione. E i risultati sembrano essere più che incoraggianti. Il Pascale si conferma dunque una vera e propria eccellenza in Italia e in tutto il mondo. Luca Zingaretti e Luisa Ranieri un anno fa hanno voluto omaggiare il Pascale con un breve video con cui esprimono tutto il loro orgoglio nei confronti di tutti gli operatori dell’ospedale a partire da Paolo Ascierto. “Un saluto a tutti gli operatori del Pascale e questo messaggio è rivolto soprattutto al professor Paolo – esordisce l’attore in un video girato insieme alla moglie nella loro casa –. Volevamo dire che siamo molto orgogliosi. Noi siamo vicini al Pascale per ragioni, in passato, dolorose, però siamo rimasti vicini alla struttura. Veramente complimenti, siamo molto fieri”. All’epoca dal Pascale era partita la sperimentazione del Tocilizumab, ma il video torna attuale oggi con tutte le sperimentazioni in atto al Pascale. Zingaretti attualmente è reduce anche da un ricovero allo Spallanzani dopo aver contratto il Covid. I due ringraziano con simpatia per tutto il lavoro che gli operatori stanno svolgendo. “Lei da napoletana è ancora più fiera”, dice ancora Luca, indicando la consorte e invitandola a intervenire. E l’attrice non si fa pregare: “Io fierissima, fierissima!! Solo i napoletani! Solo i napoletani!”, esclama con gli occhi pieni di gioia. Poi è ancora Zingaretti a parlare: “Io da napoletano acquisito, perché ormai mezza famiglia mia è diventata napoletana. Quindi veramente tanti tanti complimenti e un saluto”. E la Ranieri aggiunge: “In bocca al lupo per questa sperimentazione, speriamo che sia la strada giusta per tutti noi”. A concludere è il marito, che si rivolge di nuovo ad Ascierto: “A lei e tutti quelli che al Pascale lavorano e si spendono tutti i giorni. Ciao”. Al Pascale è appena iniziato il reclutamento per la sperimentazione di Fase 1 del vaccino italiano E-Vax. Si tratta di un vaccino a Dna, ideato dalla società romana Takis con la monzese Rottapharm biotech e vede la collaborazione dell’Ospedale San Gerardo di Monza, dello Spallanzani di Roma e all’Irccs Pascale di Napoli. “È un vaccino italiano che dal punto di vista scientifico e razionale ha tutte le premesse per essere un’ulteriore arma per sconfiggere il Covid”, ha detto Paolo Ascierto, direttore del Dipartimento di Melanoma e Terapie Innovative dell’Irccs Pascale di Napoli. “Contiamo per questa estate di avere i primi dati sugli 80 pazienti, ad agosto inizieremo la fase 2 che si chiuderà in 3 mesi e per l’inizio del 2022 inizierà la fase 3 che può durare 6 mesi. A quel punto se i dati saranno buoni potremo avere un nuovo vaccino”. Al Pascale saranno trattati circa 30 pazienti e già sono arrivate candidature spontanee per partecipare allo studio. “C’è tanta fiducia, ce n’era tanta anche all’inizio quando è iniziata la pandemia, anche negli studi sull’animale, a cui abbiamo contribuito”, ha concluso Ascierto.

Monica Serra per “La Stampa” il 24 agosto 2021. Ai pm per primo lo ha detto l'assessore Raffaele Cattaneo, responsabile della task force regionale per l'emergenza e diretto interlocutore di Dama. Ma le conferme sono arrivate da più parti: il governatore Attilio Fontana sapeva dei rapporti negoziali tra Dama, la società del cognato Andrea Dini e della moglie Roberta, e la centrale unica degli acquisti della Regione, Aria, «ancor prima della formalizzazione della fornitura» dei 75 mila camici, il 16 aprile 2020. E non solo il 12 maggio successivo come dal presidente sostenuto. Il dato emerge dall'informativa finale del Nucleo speciale di polizia valutaria della Gdf che ripercorre accertamenti, interrogatori e testimonianze che hanno spinto i pm a chiudere l'inchiesta per frode nelle pubbliche forniture. L'indagato numero uno è proprio Fontana che a stretto giro, col suo avvocato Jacopo Pensa, potrebbe chiedere un interrogatorio ai magistrati. Cattaneo (non indagato) - e che da quanto emerge avrebbe «agevolato» e «favorito» la società dei Dini, tra l'altro in forte crisi economica già prima della pandemia - ha dichiarato: «Intorno a metà aprile ho detto a Fontana che c'era anche Dama tra i soggetti che avevano le carte in regola per diventare fornitore. Ho avuto la percezione che il presidente non fosse entusiasta ma che ritenesse fondate le mie considerazioni in ordine all'interesse pubblico. Fontana non ha detto né di andare avanti né di bloccarci». L'accusa formulata dai pm Luigi Furno, Paolo Filippini e Carlo Scalas, si concentra però sul secondo momento: quello in cui «per tutelare la sua immagine politica», Fontana avrebbe spinto il cognato a trasformare la fornitura in donazione, permettendogli - in concorso con gli altri indagati - di venire meno all'accordo iniziale e di non consegnare gli ultimi 25 mila camici pattuiti, in un momento di forte emergenza per la Regione. In questo senso significativo è stato l'interrogatorio reso dall'ex dg di Aria, Fabrizio Bongiovanni, il 24 maggio. Che tra l'altro ha fatto finire indagato anche Pier Attilio Superti, vicesegretario generale della Regione. «Io ho ricevuto la volontà del Presidente da Superti. Non era negoziabile perché avrebbe rappresentato una clamorosa rottura con la persona del Presidente». Bongiovanni ha spiegato di aver accettato perché «sono un dipendente regionale. Mi è stato rappresentato in maniera diretta che questa era la volontà del Presidente su un tema che gli stava a cuore. Io ero in distacco presso Aria ma venivo pagato da Regione Lombardia ed ero stato nominato da Regione Lombardia». Dagli accertamenti è anche emerso che parte dei 50 mila camici consegnati ad Aria non potevano essere immessi sul mercato perché i tessuti con cui erano stati realizzati erano «privi di certificazione». E ancora nella lunga informativa sono raccolte le chat e i messaggi - sopravvissuti alle numerose cancellazioni dei protagonisti della vicenda - tra Roberta Dini (moglie di Fontana, non indagata) e un'impiegata della Regione. In un messaggio del 27 marzo, Roberta Dini scrive: «Tanto guarda poi verrà fuori un altro casino su ste forniture». L'impiegata ai pm ha riferito di averlo «interpretato» nel senso che «qualsiasi cosa si facesse in Regione sarebbe nato uno scandalo mediatico». 

Francesca Brunati e Igor Greganti per l’ANSA il 31 marzo 2021. La Procura di Milano vuole far luce sui 5 milioni e 300 mila euro depositati su un conto Ubs a Lugano, prima gestiti attraverso due trust alle Bahamas, del presidente della Lombardia Attilio Fontana e capire se davvero l'intera somma, scudata nel 2015, sia la generosa eredità lasciata dalla madre. Con una rogatoria in Svizzera, trasmessa oggi, prende il via così un nuovo filone d'indagine nato da quello con al centro il cosiddetto caso 'camici' e nel quale il governatore, già indagato per frode in pubbliche forniture, risulta iscritto anche per false dichiarazioni nella voluntary disclosure e autoriciclaggio, reati contestati dai pm Luigi Furno, Carlo Scalas e Paolo Filippini e dall'aggiunto Maurizio Romanelli. Il sospetto è che parte di quella cifra sia frutto di un'evasione fiscale, anche con rimesse portate in Svizzera in contanti, ma che risulterebbe prescritta. Sotto osservazione di inquirenti e investigatori, in particolare, ci sarebbe il 2005, anno in cui, in base agli accertamenti finora svolti e dei quali il Nucleo speciale di polizia valutaria della Gdf dà conto in un'informativa, il patrimonio su quel conto oltreconfine è passato da 2,5 a 4,3 milioni di euro. Un incremento al momento ritenuto anomalo, ma che per la difesa sarebbe effetto di un errore contabile. Gli inquirenti, però, vogliono far chiarezza e hanno ipotizzato i due nuovi reati per la richiesta di assistenza giudiziaria all'autorità elvetica, che si è resa necessaria in quanto ci sarebbero, in sostanza, flussi non chiari e mancherebbero alcuni documenti per avere tutte le spiegazioni possibili su alcune movimentazioni. Il falso nella voluntary verte, stando all'ipotesi, nella dichiarazione sull'origine dei soldi e l'autoriciclaggio, invece, sul reimpiego dal 2015 in poi delle somme che si sospettano frutto di evasione. Fontana, che non vuole assolutamente "lasciare ombra alcuna in ordine alla procedura della Voluntary", rivendicando la regolarità dello scudo fiscale su quella che a suo dire è veramente un'eredità, si è messo a disposizione della magistratura milanese ed è pronto a fornire i documenti che mancherebbero e eventualmente a presentarsi di persona al quarto piano del Palazzo di Giustizia. Ed è proprio di questo che i suoi legali, gli avvocati Jacopo Pensa e Federico Papa, stamane hanno parlato con il procuratore Francesco Greco in un incontro nel quale, peraltro, hanno concordato un comunicato stampa "congiunto", vista la delicatezza del caso che arriva in un momento difficile per la Regione Lombardia a causa dell'emergenza Covid e del piano vaccinale. L'inchiesta, da cui è generata la nuova tranche svizzera, riguarda l'affidamento diretto, senza gara, del 16 aprile 2020 di una fornitura di 75 mila camici e altri dpi, per far fronte alla prima ondata di Coronavirus, per oltre mezzo milione di euro a Dama spa, società di Andrea Dini, cognato del governatore, e di cui Roberta Dini, moglie di Fontana, detiene una quota. Indagati anche Andrea Dini e l'ex dg di Aria, centrale acquisti regionale, Filippo Bongiovanni (per frode in pubbliche forniture e un'ipotesi di turbativa) e una dirigente di Aria. Secondo i pm, per cercare di risarcire il cognato per i mancati introiti, dopo che, a maggio, venne a galla il conflitto di interessi e la compravendita fu trasformata in donazione, Fontana cercò di bonificargli 250mila euro provenienti dal suo conto a Lugano. Un'operazione finita, però, nel mirino dell'antiriciclaggio della Banca d'Italia come sospetta e poi segnalata alla Gdf e alla Procura milanese. Da qui gli accertamenti nella seconda e parallela tranche d'indagine, anche attraverso l'Agenzia delle Entrate, e oggi l'avvio della rogatoria.

Da ansa.it il 5 aprile 2021. Attilio Fontana avrebbe saputo dei soldi in Svizzera dal '97, quando venne aperto dalla madre il primo conto su cui sono confluiti quasi 3 milioni. Ne sono convinti i pm di Milano sulla base di una consulenza che avrebbe accertato che la donna firmò, probabilmente non in Svizzera, per l'avvio del rapporto bancario, il documento fu scannerizzato e il governatore, in altro momento e verosimilmente nella banca elvetica, firmò la delega a operare sul conto, che poi venne chiuso coi soldi spostati su un altro aperto nel 2005 con 2,5 milioni. Fontana ha sempre ribadito che seppe dei 5,3 milioni nel 2015 come eredità lasciata dalla madre. Fontana "continua a dire, in modo ormai prostrato, che su quel conto non ha mai operato nemmeno per un euro, prima del 2015, ha sempre saputo che quel conto c'era, lo sapeva fin dagli anni '70, perché i genitori, come avveniva in tante famiglie benestanti, gli avevano detto che avevano messo i loro risparmi all'estero e solo alla morte della mamma ha saputo della cifra che gli era stata lasciata in eredità". Lo ha spiegato l'avvocato Jacopo Pensa, a proposito dell'indagine sui soldi in Svizzera. "Tutto viene riportato come sotto l'ombra del sospetto - è la constatazione di Pensa - che sembra già diventato una condanna".

Mic. All. per "Il Messaggero" l'1 aprile 2021. Forniture fatte passare per donazioni, bonifici sospetti e annullati, conti esteri. Il vaso di Pandora giudiziario, per il governatore Attilio Fontana, si è scoperchiato nei primi mesi dell'emergenza sanitaria. Il 16 aprile 2020, per la precisione, con l'affidamento diretto e senza gara della commessa per la fornitura di 75 mila camici e altri dispositivi di protezione destinati al personale sanitario della Regione Lombardia per far fronte alla prima ondata di Coronavirus. Per l'approvvigionamento da mezzo milione di euro viene scelta la Dama spa, società di Andrea Dini, cognato del governatore, e di cui Roberta Dini, moglie di Fontana, detiene una quota. In maggio viene a galla il conflitto di interessi e l'operazione di compravendita viene trasformata in donazione. A questo punto, per la Procura di Milano, che ha indagato il politico per frode, il governatore commette un passo falso: Fontana, secondo l'ipotesi dell'accusa, cerca di risarcire il cognato per il mancato introito con un bonifico da 250 mila euro fatto partire da un conto corrente svizzero. L'operazione, però, finisce nel mirino dell'antiriciclaggio della Banca d'Italia: viene segnalata come «sospetta» dalla Uif e il report viene inoltrato alla Guardia di finanza e alla Procura. Ecco i problemi: il bonifico non ha una causale coerente con l'importo, mentre il versamento è stato disposto da soggetto considerato sensibile, visto l'incarico politico svolto. Nel frattempo, per lo scandalo legato alla fornitura dei camici, vengono indagati anche Dini e l'ex dg di Aria, centrale acquisti della Regione Lombardia, Filippo Bongiovanni: le ipotesi sono frode in pubbliche forniture e turbativa nel procedimento di scelta del contraente. A carico del governatore, invece, partono accertamenti paralleli sui conti correnti, tramite l'Agenzia delle Entrate e, da ieri, con l'avvio della rogatoria.

IL BONIFICO. Il bonifico in favore di Dini è partito da un conto svizzero intestato a Fontana, aperto presso la banca Ubs Ag di Lugano. Su quello stesso conto, il politico aveva fatto nel settembre 2015 uno scudo fiscale per 5,3 milioni di euro, detenuti fino ad allora da due trust. Il fondo era originariamente della madre del governatore, Maria Giovanna Brunella, dentista, morta a 92 anni nel giugno 2015: la donna era intestataria dei trust, creati alle Bahamas tra il 1997 e il 2005. «Quel conto non solo è perfettamente legale e frutto del lavoro dei miei genitori - aveva spiegato il presidente leghista, sottolineando di avere semplicemente ereditato il denaro dalla madre - ma è dichiarato, pubblico e trasparente». Ma ecco le operazioni su cui sta indagando la Finanza. Il primo conto estero viene aperto dalla madre del politico leghista nel 1997. Al figlio, in quel periodo sindaco di Induno Olona (Varese), viene affidata la «procura», cioè la delega a operare. Nel 2005, il patrimonio viene spostato in un secondo deposito collegato a un trust con sede a Nassau. In questo caso Fontana risulta «erede beneficiario» ed è proprio qui che si sarebbero registrati i movimenti considerati sospetti.

I CELLULARI. La procura di Milano, lo scorso settembre, aveva chiesto di acquisire il contenuto dei cellulari degli indagati. «C'è il diffuso coinvolgimento di Fontana in ordine alla vicenda relativa alle mascherine e ai camici, accompagnato dalla parimenti evidente volontà di evitare di lasciare traccia del suo coinvolgimento mediante messaggi scritti», aveva scritto il pm nella richiesta, allegando un messaggio del 16 febbraio in cui Dini scriveva alla sorella: «Ordine camici arrivato. Ho preferito non scriverlo ad Atti». E lei: «Giusto bene così». Secondo gli inquirenti, all'epoca la Dama spa si trovava in una situazione di difficoltà economica, dovuta principalmente alla cancellazione di molti ordini a causa dell'emergenza sanitaria. Il 29 febbraio, aveva sottolineato ancora la Procura, Dini aveva informato la sorella del calo di fatturato dell'azienda di famiglia: «Per la prima volta in 3 generazioni parlerò con i sindacati per ridurre il personale». E ancora: «Poi si chiudono se possibile NY e Montenapoleone dove perdiamo da sempre ma adesso è troppo». Il 19 marzo Roberta Dini aveva scritto: «Bisogna cercare di riconvertirsi in mascherine». I messaggi erano stati estrapolati dal cellulare di Dini, che era stato sequestrato.

Michela Allegri per “il Messaggero” il 2 aprile 2021. Transazioni e investimenti in valute estere, dubbi sulla provenienza di 2,5 milioni di euro accreditati su un conto bancario svizzero e, soprattutto, una firma considerata falsa in calce ai documenti utilizzati per aprire quel rapporto finanziario. Ad aggravare la posizione del presidente della Lombardia, Attilio Fontana, indagato dalla procura di Milano per false dichiarazioni e autoriciclaggio, c'è una consulenza grafologica disposta dagli inquirenti su uno dei documenti bancari depositati dal governatore durante la voluntary disclosure, cioè lo strumento che il fisco mette a disposizione dei contribuenti per regolarizzare la propria posizione fiscale. Nel mirino dei magistrati e del Nucleo di polizia valutaria della Finanza c'è in particolare una firma: quella che riporta il nome della madre di Fontana - deceduta nel 2015 - e che è stata utilizzata nel 2005 per aprire il conto Ubs a Lugano sul quale potrebbero essere state depositate - è la tesi degli investigatori - somme frutto di evasione fiscale. Secondo la consulenza, quella firma sarebbe falsa: è stata comparata con quelle messe dalla signora su denunce e altri atti. Ora gli inquirenti puntano a capire chi potrebbe averla apposta: verrà fatto un confronto con la grafia del governatore che, alla morte della madre, ha ereditato il conto svizzero e i 5,3 milioni che conteneva, che sono stati scudati. Ma non è tutto. I magistrati hanno anche fatto partire una rogatoria verso la Svizzera per avere altre informazioni: vogliono consultare gli estratti conto e gli originali dei documenti bancari. E anche capire alcuni movimenti che sono stati effettuati dopo il decesso della madre di Fontana. Si tratta di transazioni in valute estere: yen, dollari, sterline e franchi svizzeri. Operazioni su cui gli investigatori hanno poche informazioni e sulle quali vogliono fare accertamenti, visto il ruolo politico ricoperto dal presidente leghista. A Fontana viene contestato l'autoriciclaggio per investimenti in strumenti finanziari, ma anche immobiliari, che avrebbe fatto dal 2015, secondo l'accusa dopo aver scudato il denaro in modo irregolare: dichiarando che i 5,3 milioni di euro presenti sul conto estero erano un'eredità. Oltre a risparmiare 170mila euro di sanzioni tramite la procedura di voluntary, il governatore lombardo avrebbe anche reimpiegato denaro ottenuto - secondo i pm - in modo illecito: su 2,5 milioni depositati sul conto avviato 16 anni fa, gestito da un trust alle Bahamas, non sarebbero state pagate le tasse.

I DUBBI. Per gli inquirenti sarebbe dubbia anche l'origine dei 2,5 milioni utilizzati per l'apertura del conto: la madre di Fontana, dentista, all'epoca percepiva circa 25mila euro all'anno di pensione e non sarebbe stata in grado di versare una cifra simile. Il sospetto è che siano anche stati portati in Svizzera molti contanti, ma per il momento si tratta solo di un'ipotesi: per chiarire è necessario ottenere gli estratti conto e verificare se ci siano stati bonifici o depositi di denaro liquido. Dubbi che potrebbero venire chiariti dalla rogatoria, anche se non è scontato che le autorità svizzere accolgano le richieste della magistratura italiana.

LA DIFESA. Intanto Fontana, che non è mai stato interrogato, tramite i suoi legali, gli avvocati Jacopo Pensa e Federico Papa, ha detto di voler fornire chiarimenti e ha sempre sostenuto che quei soldi erano i risparmi di una vita di lavoro della madre dentista. Il governatore ha raccontato di avere saputo l'entità della somma nel 2015, dopo la morte della donna, e di avere aderito allo scudo fiscale. La madre del presidente, ha spiegato l'avvocato Pensa, «curò il suo patrimonio anche da anziana, recandosi con una certa periodicità autonomamente in Svizzera, dove aveva il suo conto in banca fin dagli anni 90». La difesa, inoltre, esclude «nel modo più assoluto» che per l'apertura del conto sia stata utilizzata una firma falsa. L'inchiesta sul conto svizzero è scaturita da quella sulla fornitura di camici e dispositivi di protezione destinati al personale sanitario della Lombardia. La commessa era stata affidata - senza gara - alla Dama srl, società del cognato di Fontana, Andrea Dini, e della quale la moglie del presidente detiene il 10 per cento. Quando era venuto a galla il conflitto di interessi, l'acquisto era stato trasformato in una donazione e il governatore aveva cercato di risarcire il cognato con un bonifico da 250mila euro, partito da Lugano, ma bloccato dopo una segnalazione Uif. In questo caso Fontana è indagato per frode nelle pubbliche forniture.

Attilio Fontana indagato. Reato? Troppa trasparenza. Un tempismo molto sospetto. Enrico Paoli Libero Quotidiano l'1 aprile 2021. Un modello per il Paese, un indagato la Procura. Tutto nel giro di poche ore. Nel giorno in cui la Lombardia, guidata dal presidente Attilio Fontana, riceve il plauso del commissiario straordinario all'emergenza Covid, Francesco Paolo Figliuolo, e del capo dipartimento della Protezione civile, Fabrizio Curcio, per il piano vaccinale, il presidente della Regione si ritrova iscritto nel registro degli indagati. Le ipotesi di reato sono autoriciclaggio e false dichiarazioni nella «voluntary disclosure» compilata nel 2017 dal governatore in relazione a un conto svizzero finito sotto la lente del pm. Si badi bene, per un atto compiuto dallo stesso esponente della Lega, essendo stato lui a dichiarare quei soldi. (Ftg) Il governatore della Lombardia Attilio Fontana è indagato nell'ambito dell'indagine sui 5,3 milioni di euro depositati su un conto svizzero, sul quale è stata avviata una rogatoria. Fontana avrebbe fatto false dichiarazioni nella "voluntary disclosure" La Procura milanese ha inoltrato, a questo proposito, alle autorità elvetiche una rogatoria per «completare la documentazione allegata alla domanda di voluntary disclosure» presentata da Fontana per «approfondire alcuni movimenti finanziari» del governatore. Il procuratore capo di Milano, Francesco Greco, spiegando l'azione del proprio ufficio, ha ribadito che la difesa del presidente si è detta «disponibile a fornire ogni chiarimento» anche con produzione di documenti o «presentazione spontanea dell'assistito». Insomma, non c'è nulla da nascondere. Al centro delle indagini un conto bancario intestato a Fontana aperto alla Ubs di Lugano e «non operativo fin dagli anni '80», sul quale dal 2017 sono confluiti 5,3 milioni di euro che il governatore lombardo ha "scudato", dichiarando che si trattava di un'eredità. Fino al 1997, anno in cui la madre del presidente è deceduta, il capitale era gestito da una fondazione di famiglia attraverso due trust alle Bahamas, di cui Fontana risultava il beneficiario. E proprio per far luce sulla provenienza di quei fondi, i pm milanesi Paolo Filippini, Carlo Scalas, Luigi Furno, coordinati dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli, hanno chiesto la collaborazione delle autorità elvetiche. Il conto Ubs intestato al governatore Fontana è finito al centro dell'inchiesta milanese sulla fornitura di 75mila camici e altri dispositivi anti Covid che, in piena pandemia, Dama Spa - società del cognato di Fontana, Andrea Dini, e di cui la moglie del governatore Roberta ha una quota minoritaria - si è vista assegnare da Aria, la centrale acquisti di Regione Lombardia. Fornitura prontamente trasformata in donazione. I legali di Fontana, gli avvocati Jacopo Pensa e Federico Papa, hanno ribadito che il governatore è intenzionato a fare piena luce sulla provenienza dei 5,3 milioni depositati Oltralpe, con il chiaro intento di «non lasciare ombra alcuna in ordine alla procedura della voluntary disclosure, su cui i magistrati intendono fare chiarezza definitiva», chiarendo pure gli eventuali «errori contabili». Fontana rivendica con forza la «regolarità dello scudo fiscale» su quella che, a suo dire, è «veramente un'eredità».

Lombardia, la reputazione perduta. Giangiacomo Schiavi su Il Corriere della Sera il 22 marzo 2021. C’era un’immagine fino a ieri associata alla Lombardia: pratica, solida, efficiente. Non c’è più. La pandemia l’ha...

Mattia Feltri per “La Stampa” il 23 marzo 2021. Qui ci si occupa spesso di Matteo Salvini, e spesso ce ne si occupa per biasimarlo. Non spesso, quasi sempre. E per biasimarlo persino troppo. Si è un po' esagerato anche nei toni per cui oggi lo dico con particolare entusiasmo: bravo Matteo! Chi sbaglia paga, ha detto, come legge scolpita nel marmo, a proposito delle lentezze nelle vaccinazioni (la media nazionale è dell' 82.4 per cento di vaccini inoculati sulla disponibilità, e sono sette le regioni sotto media). E allora bene Matteo, chi sbaglia paga (la prima regione sotto media è il Friuli, 82 per cento, guidata dal leghista Massimiliano Fedriga). Anzi, benissimo, chi sbaglia paga (la seconda regione è l'Umbria, 81.6 per cento, guidata dalla leghista Donatella Tesei). Grande Matteo, da ora in poi chi sbaglia paga (la terza regione è il Veneto, 80.1 per cento, guidata dal leghista Luca Zaia). Così si fa perbacco, chi sbaglia paga (la quarta regione è la Lombardia, 78.3 per cento, guidata dal leghista Attilio Fontana). Queste sì che sono parole da leader, chi sbaglia paga (la quinta regione è la Calabria, 71.5 per cento, guidata dal leghista Antonino Spirlì). Adesso per gli incompetenti è finita, chi sbaglia paga (la sesta regione è la Liguria, 71 per cento, guidata da Giovanni Toti che non è leghista ma, per appoggiarlo, la Lega ritirò il suo candidato). Ormai arriva Matteo e sono grane per tutti, chi sbaglia paga (la settima regione è la Sardegna, 70.6 per cento, guidata dal candidato leghista e autonomista Christian Solinas). Capito cari leghisti? È finita. Chi sbaglia paga. Vabbè, scherzavo, è già pronto un bel condono.

 Flop vaccini in Lombardia, il caso: "Ho già avuto le due dosi di Pfizer e ora mi riconvocano per AstraZeneca". Tiziana De Giorgio su La Repubblica il 24 marzo 2021. Il racconto di Alberto Scanni, per anni a capo del dipartimento di Oncologia del Fatebenefratelli ed ex direttore generale dell'Istituto dei tumori: "Mi è arrivata una mail che mi chiedeva di confermare la prenotazione, ma tra l'altro avrei dovuto farlo un'ora e mezza prima rispetto all'invio della stessa mail". All'ora di cena la convocazione per il vaccino è arrivata. Un sollievo, penserebbe chiunque, vedere una proposta di appuntamento con la prima dose già fissata per il giorno dopo, la seconda i primi di giugno, entrambe alla Fabbrica del Vapore di Milano. Il codice fiscale identificativo era giusto, c'erano pure tutte le indicazioni del caso come il nome del farmaco anti-Covid che sarebbe stato utilizzato, la richiesta di consegnare, all'arrivo, la scheda anamnestica compilata. Il consenso informato. La tessera sanitaria. "Peccato che io il vaccino l'avessi già fatto". C'è un altro capitolo surreale che si aggiunge all'epopea della campagna vaccinale lombarda: mentre ci sono migliaia di persone che ancora aspettano di essere protette dal virus - fra sms mai partiti e anziani convocati a decine di chilometri di distanza da casa - c'è chi nel calendario della campagna di immunizzazione ci finisce più volte. È il caso di Alberto Scanni, per anni a capo del dipartimento di Oncologia del Fatebenefratelli ed ex direttore generale dell'Istituto dei tumori. È lui stesso a denunciare l'episodio, con tutto lo stupore e il rammarico per quegli ingranaggi che continuano a funzionare male. "Da medico - racconta - tempo fa sono stato convocato per la vaccinazione e ho ricevuto entrambe le dosi del vaccino Pfizer al Sacco". Tutto è andato come sarebbe dovuto senza problemi. Ma ecco che martedì alle 20.34 riceve una mail che proviene da un indirizzo dell'Asst Fatebenefratelli-Sacco, che rimanda a un portale dove poter ridefinire le date in caso di impossibilità. "Proposta prenotazione appuntamento vaccinazione Covid-19", c'è scritto nell'oggetto. L'oncologo, stupito, rilegge con attenzione. La prima dose è fissata per la mattina seguente, il 23 marzo. Il vaccino indicato è AstraZeneca, diverso quindi da quello già fatto e destinato al personale medico. E "si prega gentilmente di dare conferma della prenotazione rispondendo a questa mail entro le 19". Difficile pensare di rispettare la richiesta quando la mail viene recapitata un'ora e mezza dopo la scadenza stabilita. Ancora più difficile coprire quell'appuntamento prefissato se chi legge la protezione dal Covid ce l'ha già. "Possibile che non ci sia un elenco comune a tutti dove viene segnalato chi, come me, è già stato vaccinato? - si chiede Scanni, che racconta come la stessa cosa sia accaduta anche ad altri colleghi - Se c'è, qualcosa non funziona e mi spiace dirlo, ma tutti questi eventi di queste settimane non fanno fare bella figura alla sanità lombarda, che viene penalizzata pesantemente".

 Da Un Giorno da Pecora il 23 marzo 2021. Il vaccino? ”Ho 84 anni e ho da poco ricevuto la prima dose, in Lombardia, l'ho fatto convinto e sereno”. A parlare è il cantante Tony Dallara, che a Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, ha raccontato delle disavventure avuto per ricevere la vaccinazione. Che vaccino ha fatto innanzitutto? “Quello della Pfizer”. E' stato difficile riceverlo? “Si. Avevo fatto richiesta perché me lo venissero a fare a casa, visto che ho delle difficoltà anche per camminare. Ma nessuno mi ha mai risposto e sono dovuto andare io lì, affittando di tasca mia un'ambulanza”. Per il richiamo le hanno detto che verranno loro a farlo? “No, ci hanno detto di no. Dovrò farlo il 2 aprile, ma dovrò prendere ancora l'ambulanza a mie spese”. E' rimasto male dopo aver ricevuto questi rifiuti? "Mi sono arrabbiato, ci sono tanti che fanno i furbi mentre io che sono onesto mi dovrò pagare di nuovo tutto da solo. Non è questa la maniera di agire”, ha detto Dallara a Un Giorno da Pecora.

Elisa Porcelluzzi per ilsussidiario.net il 6 maggio 2021. Si commuove Tony Dallara, ospite insieme a sua moglie Patrizia a Oggi è un altro giorno insieme alla moglie Patrizia, quando arriva il videomessaggio della figlia Lisa. La donna dedica ai suoi genitori queste parole: “Ciao mamma, ciao papà. Questi pochi secondi non bastano per dire quello che avete fatto per me nella nostra vita, quanto siete importanti per me adesso e quanto lo sarete ancora in futuro. Grazie davvero di tutto, siete una fonte inesauribile d’amore, di ispirazione incredibile. Vi voglio un sacco bene”. Di fronte a questa sorpresa, Tony non riesce a trattenere le lacrime, commuovendo anche chi è in studio: “La mia famiglia è tutto”, ammette l’uomo. Tony Dallara, 84 anni, qualche anno fa è stato sottoposto a un piccolo intervento: “Hanno trovato un neo che ho dovuto togliere. Avrei voluto essere ma il dottore mi ha detto di dover riposare per cinque-sei giorni ed è quello che sto facendo. Verrò il sabato venturo”, aveva rivelato in collegamento con “Sabato Italiano”, spiegando le ragioni della sua assenza in studio. Nei mesi scorsi, invece, Memo Remigi ha rivelato che il collega e amico non gode di ottima salute: “È stato il mio idolo. Non sta per niente bene, sta messo male. La moglie Patrizia è una donna deliziosa che gli sta vicino…. Questo uomo ha rappresentato per me un punto di arrivo e lo imitavo perché era il mio punto di riferimento, il mio cantante preferito”. Il cantante di Campobasso, infatti, ha difficoltà di movimento dopo un lungo ricovero.

Tony Dallara: spende 125 euro per farsi vaccinare, scoppia la polemica! A marzo Tony Dallara, che vive a Milano, aveva chiesto il vaccino anti-Covid a domicilio: “Mia figlia aveva fatto la prenotazione per me, specificando che avrei avuto bisogno del servizio a domicilio perché di recente ho trascorso sei mesi in ospedale e non posso muovermi”, ha raccontato a Repubblica. Invece è arrivato il messaggio che si sarebbe dovuto recare fisicamente al poliambulatorio per essere vaccinato. Per non perdere l’occasione, Tony Dallara e la sua famiglia si sono organizzati per prenotare un’auto adatta, dato che il cantante usa la sedia a rotelle per spostarsi. Le compagnie di taxi non permettono di scegliere la vettura e così Tony Dallara ha noleggiato un’ambulanza: “Ho pagato 125 euro e sono andato a farmi vaccinare”. A inizio aprile dovrebbe aver ricevuto la seconda dose, ripetendo però la stessa trafila.

Dagospia il 29 marzo 2021. Da "Un Giorno da Pecora". Il sondaggista Nicola Piepoli, a 86 anni, a Milano non è ancora stato vaccinato contro il Covid. Lo ha spiegato lui stesso oggi a Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, dove ha raccontato ai conduttori Giorgio Lauro e Geppi Cucciari: “Ho presentato domanda a fine gennaio, e la regione mi ha risposto che non potevano vaccinarmi in quel momento perché non c'erano prodotti, aggiungendo che avrei dovuto attendere il mio turno”. E lei cosa ha fatto? “Ho atteso il mio turno”. Ora però siamo ad aprile. “E ho fatto un altro tentativo, mi sono riscritto nella stessa farmacia, dove ho 'finto' di esser nuovo. Mi hanno riscritto, tranquillamente, e la regione ha accettato la mia richiesta”. Le hanno finalmente comunicato la data del suo vaccino? “Mi hanno risposto pochi giorni fa spiegandomi che la richiesta è stata accettata e che riceverò via sms o al telefono la data della mia vaccinazione...”. Lei è preoccupato? “No, non sono né arrabbiato né preoccupato. Presto o tardi mi vaccineranno. Se non morirò prima... in quel caso, pazienza”, ha ironizzato Piepoli a Un Giorno da Pecora.

Da corrieredellosport.it il 29 marzo 2021. Ricky Albertosi si scaglia dritto contro il sistema vaccinale della Toscana e della Lombardia, in ritardo con il vaccino Covid per gli overo 80. Il portiere campione d'Europa nel 1968, durante il programma di Massimo Giletti su La7, 'Non è l'Arena', spiega infuriato: "Non mi hanno fatto ancora il vaccino e sono inc****to nero. Ho 82 anni, sono cardiopatico, ho un rene solo e sto ancora aspettando il farmaco". "Il mio medico riceve un flacone a settimana e può vaccinare sei persone. Ha 150 pazienti con oltre 80 anni. È partito da quelli che hanno 100 anni e sta andando a ritroso, ma se andiamo avanti così io prima dell'estate non sarò vaccinato. È un anno che non esco di casa. Ho paura, perché con le patologie che ho se prendo il virus muoio", continua Albertosi. "Devo solo aspettare, il mio medico non può far niente se non gli arrivano i flaconi. Ma mia figlia e mio genero che sono molto più giovani sono stati già vaccinati", ha concluso.

RAZZA PADANA - Gallera-San Pietro ora rinnega la Lombardia. Francesco Specchia su Il Quotidiano del Sud il 24 marzo 2021. “Il tempo è galantuomo e mi ha restituito un po’ di giustizia. Non potevo essere io né colui che faceva tutto bene né colui che faceva tutto male”. Ho una certa ammirazione per i riverberi sulle facce di bronzo. Eppure, Giulio Gallera, con l’aria sdrucita di uno a cui continuano a rigare la portiera della macchina appena uscita dal carrozziere, che esprime a L’Aria che tira su La7 i suddetti giudizi sulla giunta regionale lombarda -di cui prima di essere trombato era un luminoso alfiere-; be’, mi insuffla una sensazione di tristezza. Spiazza un po’, in effetti, che Gallera – la maschera migliore di Crozza dell’ultim’anno- commenti: “Io non ho nulla da rimproverarmi, il sistema ha fatto il massimo possibile di fronte a una pandemia senza precedenti” e scarichi Aria, la società di servizi preposta alla (disastrosa) vaccinazione lombarda: “Alla fine l’unico problema oggettivo che ho avuto io è stato quello dei vaccini antinfluenzali, come sempre decisi dalla società Aria (Azienda regionale per l’innovazione e gli acquisti) che aveva sbagliato completamente il percorso di acquisizione, a febbraio proponendo una gara con un prezzo senza senso a cui non aveva partecipato nessuno”. Cioè, tradotto: mica ero io l’incompetente, ma quegli stronzi dei leghisti di Aria. Ora, il dramma umano di Gallera merita la massima comprensione. E’ onestamente antiestetico vedere uno che da pupilllo di Berlusconi della prim’ora si trasforma in sindaco di Milano in pectore; e poi diventa l’onnipotente assessore della (un tempo) miglior Sanità d’Italia; e poi finisce licenziato in tronco come una colf filippina senza permesso di soggiorno, giusto per l’inezia di una pandemia malgestita. E, certo, Gallera non poteva mettersi mica lì a perder tempo a controllare Aria, una sua controllata. Gallera è uno di grandi strategie, mica di minuzie. Mi sono riguardato la sua agenda. L’assessore in effetti, in quei mesi, era abbastanza impegnato: a fare acrobatiche valutazioni tecniche sull’indice Rt (“Per infettare me, bisogna trovare due persone nello stesso momento infette perché è a 0,50 no?”. No, era un’assurdità per gli statistici che gli hanno suggerito di continuare a fare l’avvocato); a difendere la mitica “astronave” di design per vaccinazioni da 26 milioni di euro, roba subito cestinata da Draghi; a fare una corsetta in zona rossa violando le sue stesse ordinanze e fotografarsi pure su Facebook; a mantenere a casa, in piena emergenza, il personale sanitario perché “abbiamo medici e infermieri che hanno cinquanta giorni di ferie arretrate. Non li faccio rientrare in servizio per un vaccino nei giorni di festa”; a farsi suggerire dai giornalisti dati che avrebbe dovuto conoscere a memoria. E via con una sequenza di gaffes che nemmeno Mike Bongiorno nell’epoca d’oro. Solo che Mike non era assessore del Welfare della Lombardia. Rimane impressa, di Gallera, la tenacia. Vibra nei nostri cuori lombardi l’immagine di Gallera prima di essere sostituito dalla Moratti, aggrappato tenacemente alla sua poltrona come un capitano al timone della nave in tempesta, mentre invocava ad alta voce un incarico “risarcitorio” da capogruppo, da presidente di municipalizzata, da supertecnico. Ha ragione lui: il tempo è galantuomo…

Paolo Colonnello per "La Stampa" il 23 marzo 2021. Se n'era andato a Natale per aver detto, proprio al nostro giornale, che le vaccinazioni sarebbero iniziate con due giorni di ritardo. Matteo Salvini aveva voluto la sua testa accusandolo di incapacità. Ora che siamo sotto Pasqua e che anche senza di lui la situazione sembra perfino peggiorata, l'ex assessore al Welfare della Lombardia Giulio Gallera, potrebbe togliersi qualche sassolino dalla scarpa: «Ma non lo farò - dice - perché la situazione è drammatica».

Ma quindi, Gallera, non era tutta colpa sua se le cose andavano male in Lombardia?

«Diciamo che il tempo è galantuomo e mi ha restituito un po' di giustizia».

Non è che le cose brillassero quando c'era lei...

«Io non ho nulla da rimproverarmi, il sistema ha fatto il massimo possibile di fronte a una pandemia senza precedenti. Alla fine l'unico problema oggettivo che ho avuto io è stato quello dei vaccini antinfluenzali».

Una maledizione questi vaccini.

«Per quanto mi riguarda posso dire che l'errore è stato negli acquisiti».

Ma non li aveva decisi lei?

«No, erano come sempre decisi dalla società Aria che aveva sbagliato completamente il percorso di acquisizione, a febbraio proponendo una gara con un prezzo senza senso a cui non aveva partecipato nessuno. Ad aprile sbagliando di nuovo, poi strapagando i vaccini che comunque erano pochi e non si trovavano».

E tutti a dare la colpa a Gallera.

«Già, ma io me ne stavo zitto, perché il mio stile è risolvere i problemi dall'interno non mettendoli in piazza».

Ma intanto lei è quello che ha pagato. Si è sentito un "capro espiatorio"?

«La Lombardia è finita sotto un attacco mediatico inverecondo. Di fronte a questa narrazione immotivata, che la storia sta smentendo, io a un certo punto mi sono fatto da parte».

Smentite della storia? Forse non ha parlato con quelli che aspettano un vaccino da mesi.

«Io mi riferisco alla gestione della pandemia, alla fine tutte le regioni sono capitolate quindi non era vero che la Lombardia era la peggiore».

Ma per il disastro di questi giorni, c'è qualche responsabile?

«Be' dei responsabili ci sono».

Nomi e cognomi, per favore.

«C'è questa società, Aria, fortemente voluta dall'assessore Caparini e dalla Lega che si è dimostrata una realtà non efficiente e al di sotto delle aspettative. Il management non si è dimostrato all'altezza».

E allora perché hanno fatto fuori il presidente di Forza Italia?

«Esatto. Me lo chiedo anch'io, anche perché il nuovo amministratore unico, arrivato come direttore generale a ottobre, non mi sembra abbia dato prova di grande efficienza».

Ma la Lega quindi ha delle responsabilità in questo disastro?

«Il controllo e il coordinamento della società Aria era in mano all'assessore al bilancio della Lega».

Pensa che qualcun altro oggi dovrebbe farsi da parte?

«Non lo so (ride, ndr), non sta a me dirlo. Ma forse non è un problema di cambi ma di impegno da incrementare per vincere questa sfida».

Bertolaso dice che a giugno tutti i lombardi saranno vaccinati. È credibile?

«Io ormai sono fuori, non ho elementi per giudicare. Se ha detto questa cosa, ritengo sia credibile».

Al momento non si direbbe. La sua successora, Letizia Moratti, dovrebbe fare di più?

«Non sta a me dire quello che dovrebbe fare il vicepresidente Moratti».

 (ANSA il 22 marzo 2021) Il presidente della Lombardia Attilio Fontana sta provvedendo in queste ore a cambiare i vertici di Aria spa, la società della Regione sotto accusa per i disagi che si sono verificati nella campagna vaccinale. Secondo quanto si è appreso, Fontana sta azzerando tutte le cariche principali della società, dopo l'ultimo weekend in cui si sono verificati numerosi problemi nelle prenotazioni per il vaccino soprattutto a Cremona. (ANSA).

Francesca Morandi per il “Corriere della Sera” il 22 marzo 2021. Fosse un gioco, sarebbe un telefono senza fili. Dopo il blackout di sabato che aveva fermato oltre duemila sms di prenotazione per over 80 anni lombardi, ieri il bis a Cremona. Non doveva succedere, invece, è risuccesso che Aria, l' azienda che gestisce i servizi informatici per la Regione Lombardia, non riuscisse a recapitare le convocazioni ad anziani che da giorni vivono incollati al telefono, aspettando solo quello. «Le cose che non funzionano vanno cambiate e su Aria servono decisioni rapide e drastiche», promette l' assessore al Welfare Letizia Moratti. Praticamente in rima con il leader della Lega Matteo Salvini che qualche ora prima, in modo solo leggermente più sibillino, aveva commentato: «Chi sbaglia pagherà». Ieri a Cremona è andato in onda un (brutto) film già visto. Archiviato il sabato di caos sulle prenotazioni, che aveva coinvolto anche gli hub di Como e Monza, medici ed infermieri erano pronti a vaccinare ieri mattina nell' hub in Fiera. E invece, per il secondo giorno consecutivo è andato in tilt il sistema di Aria. Erano, infatti, solo 58 su 600 le prenotazioni di over 80 gestite con successo dalla piattaforma informatica. In due giorni, il sistema regionale ha inviato 160 messaggi sui circa 8 mila anziani in attesa di essere chiamati. Un buco non da poco. Così si è tornati alle vecchie maniere, con il personale dell' Asst attaccato al telefono quando si è capito che tirava brutta aria, nel vero senso della parola. A scorrere le adesioni negli elenchi, per chiamare le persone invitandole a correre in Fiera che sarebbe stato il loro turno. A fine giornata, il target di giornata è raggiunto, anzi superato, con 911 vaccinati. Un' altra pezza. Stavolta non è partito il tam tam a mezzo social per evitare non solo file e assembramenti, ma anche di rimandare a casa chi non rientrava nelle categorie previste, come è accaduto sabato scorso. «Attualmente - ha ribadito l' Asst - le categorie aventi diritto al vaccino sono over 80, sanitari extra ospedalieri, insegnanti e forze dell' ordine». Asst ha, dunque, invitato a non presentasi spontaneamente. Ma c' è chi lo ha fatto lo stesso, appena letto in Rete che si stava ripetendo il caos del giorno precedente. «Una cosa del tutto inaccettabile perché ci costringe a rallentare», attacca la ricercatrice Claudia Balotta, premiata dal presidente Sergio Mattarella per aver isolato il ceppo italiano del coronavirus. Così si apre la settimana in cui verrà accelerata la transizione al nuovo portale di Poste italiane che gestirà le prossime fasi della campagna vaccinale. Stamattina si inizia a ragionare sulle questioni tecniche, ma resta sul tavolo l'ipotesi di accelerare il trasloco per affidare alla nuova piattaforma anche la gestione dei richiami delle categorie già avviate. Ultimata la prima dose per le forze dell' ordine, restano 28 mila insegnanti che attendono l' sms di convocazione, con tutti gli interrogativi del caso. Per gli over 80, invece, Aria ha garantito di aver convocato tutti per la prima somministrazione entro i primi di aprile. Ma qui si apre l' altro nodo: l' agenda è stata riempita scommettendo, come del resto fanno tutte le Regioni, sulla puntualità delle consegne. Il 65 % delle dosi in giacenza sono di AstraZeneca, destinata ad altri slot. Ieri sono arrivate 55 mila dosi di Moderna e entro domani dovrebbero sbarcarne 135 mila di Pfizer. «Il governo deve intervenire subito in Lombardia prendendo in mano la gestione delle vaccinazioni, la macchina regionale è impazzita», attacca l' europarlamentare del Pd Pierfrancesco Majorino.

Sara Bettoni per il “Corriere della Sera” il 22 marzo 2021. Il caos in Lombardia per le vaccinazioni anti-Covid? Colpa di Aria, la società della Regione che coordina la campagna. Lo ha detto nei giorni scorsi Guido Bertolaso, consulente del Pirellone. Lo ha ricordato ieri su Twitter Letizia Moratti, vicepresidente della Lombardia. L'ha fatto capire il leader della Lega Matteo Salvini, parlando di «qualcosa che non va» e che deve essere cambiato. La classica goccia che ha fatto traboccare il vaso risale al weekend, con i centri vaccinali di Cremona, Como e Brianza pronti a fare punture, ma senza pazienti in coda perché la piattaforma gestionale non aveva inviato le convocazioni. Cos' è esattamente questa Aria su cui si scaricano tutte le responsabilità? Per capirlo bisogna innanzitutto sciogliere l' acronimo, che sta per Azienda regionale per l' innovazione e gli acquisti e tornare al 2019. In quell' anno il governatore Attilio Fontana, con il suo uomo forte Davide Caparini (tuttora assessore al Bilancio con delega alle Partecipate), decide di fondere le tre spa Centrale acquisti (Arca), Lombardia informatica (Lispa) e Infrastrutture lombarde (Ilspa) per ridurre gli sprechi e cancellare l' eco degli scandali che si portano dietro. Si calcola che l'operazione farà risparmiare 3,7 milioni di euro annui di costi operativi e il 13% del valore totale delle procedure di gara. L' obiettivo è creare un «soggetto unico in Italia per competenza e completezza nella capacità di innovazione, nella valutazione della spesa e nella rigenerazione dei processi di acquisto». Aria, per l' appunto, con i suoi 600 dipendenti. Come presidente viene scelto Francesco Ferri, di area Forza Italia. Gli fa da contraltare Filippo Bongiovanni, direttore generale vicino a Fontana e quindi alla Lega. A nemmeno sei mesi dalla nascita, la nuova società deve affrontare la pandemia. E fin da subito mostra limiti nell' approvvigionamento di mascherine e altri dispositivi di protezione. Il primo grande scoglio è la vicenda dei camici, dei calzari e dei copricapo forniti/donati dall' azienda Dama spa controllata da Andrea Dini, cognato di Fontana e partecipata al 10% dalla moglie. Tra gli indagati c' è anche Bongiovanni, che chiede e ottiene di essere destinato ad altro incarico. Al suo posto arriva dall' Azienda Zero del Veneto Lorenzo Gubian. Non meno complessa la questione dei sieri antinfluenzali. Aria lancia 13 gare per recuperare circa 2,6 milioni di fiale, alcune delle quali a prezzi record, altre arrivate molto tardi e per questo rimaste inutilizzate, con conseguente spreco di risorse. Ci sono poi gli intoppi nella gestione dei risultati dei tamponi e dei test anti-Covid. Arrivando al 2021, ecco i problemi con la campagna vaccinale, per cui sono destinati ad Aria 18,5 milioni di euro. Tra sms inviati a notte fonda per l' appuntamento il mattino successivo, overbooking o mancate convocazioni, le falle si moltiplicano. Tant' è che la Regione sceglie di passare alla piattaforma di Poste. E a giudicare dai tweet di Moratti, presto ci saranno cambi al vertice della spa. «Aria è un progetto fallimentare dell' assessore Caparini - dice il consigliere regionale del Pd Pietro Bussolati -, si è perso il controllo della società. La responsabilità è condivisa con la vicepresidente Moratti che ha disegnato il piano vaccinale». Secondo gli addetti ai lavori però la company è solo una parte del problema. Per lavorare a pieno regime servirebbe una pianificazione più solida della campagna, con obiettivi definiti e stabili. Il «qualcosa che non funziona», insomma, va oltre la sola Aria.

Vaccini in Lombardia, posti a rischio in Sicilia: un nuovo scandalo per Aria, l’agenzia benedetta da La Russa. Oltre mille lavoratori sperano in una proroga del contratto in scadenza contro le pressioni della Lega che vuole riportare a casa i call center decentrati nel catanese. di Gianfrancesco Turano su L'Espresso il 12 aprile 2021. Nel caos creativo della sanità italiana può capitare che due call center siciliani al lavoro per un’azienda privata trentina si trovino a rischio di disoccupazione perché il committente pubblico lombardo deve rinnovare un appalto dal quale dipendono millecento lavoratori con rispettive famiglie. Il committente è Aria, la famigerata azienda regionale per l’innovazione e gli acquisti responsabile di gravi ritardi nella campagna vaccinazioni prima che il suo consiglio di amministrazione fosse sciolto il 24 marzo su disposizione del presidente della giunta Attilio Fontana e della sua vice con delega al Welfare, Letizia Brichetto Moratti. Al contrario di quanto accade nelle squadre di calcio, da Aria sono stati mandati tutti via tranne il manager, Lorenzo Gubian, nominato direttore generale a metà febbraio e rimasto al suo posto con l’incarico provvisorio, ma rafforzato, di amministratore unico. Sempre in via provvisoria, dato che una proroga senza gara non si nega a nessuno in tempi pandemici, anche l’appalto per i call center catanesi di Aria, affidato alla trentina Gpi e in scadenza il 31 luglio, dovrebbe essere rinnovato di un anno. Nella vicenda dei telefonisti di Biancavilla e Paternò non c’è bisogno di tirare in ballo l’effetto farfalla e nemmeno l’eterogenesi dei fini per un’iniziativa clientelare nata quindici anni fa sotto l’occhio benevolente di un politico di destra e diventata oggi una battaglia occupazionale bipartisan. I call center Aria-Gpi in Sicilia sono soltanto un pasticcio all’italiana ambientato in una zona economicamente depressa dove una volta si era ricchi con i feudi, come gli Uzeda dei Vicerè di Federico De Roberto. Lungo i lembi delle sciare etnee al posto degli agrumi adesso si possono piantare una dozzina di bandierine a indicare i palazzi dove convergono le telefonate non solo dei lombardi in attesa di vaccino o di visita specialistica ma anche di clienti di Tim, di Sky, dell’Enel o di pensionati dell’Inps e dell’Inail. Cuffiette e microfoni hanno sostituito le macchine agricole come mezzo di produzione non solo a Paternò e Biancavilla, ma anche a Misterbianco, Adrano, Belpasso, Santa Maria di Licodia, Motta Sant’Anastasia. «I lavoratori di Paternò e Biancavilla sono giovani e qualificati», dice Concetta La Rosa di Filcams-Cgil. «Il sistema sanitario lombardo è complesso, bisogna avere conoscenza di una rete molto ampia. In vista di rinnovo della gara, che sia quest’anno o l’anno prossimo, chiederemo il mantenimento delle condizioni salariali e il vincolo territoriale per mantenere gli occupati attuali da parte di chiunque dovesse aggiudicarsi l’appalto dalla Regione, come consentono le linee guida dell’Anac. Internalizzare il servizio non sarebbe un risparmio per i lombardi». Il rischio di riportare i call center nel perimetro pubblico e di tagliare fuori dalla sanità lombarda Paternò e Biancavilla non sembra più dietro l’angolo ma di recente i rapporti fra le componenti della giunta lombarda sono stati messi a dura prova più volte, con la sanità sempre in mano ai berlusconiani, la Lega spaccata fra giorgettiani e salviniani e Fratelli d’Italia, partito cofondato dal paternese Ignazio La Russa, che si trova al governo a palazzo Lombardia e all’opposizione a Roma. A marzo del 2018 il vicerè di Paternò e vicepresidente del Senato è stato rieletto nel quarto collegio di Milano, dove esercita la professione di avvocato, e ha lasciato il suo posto nelle liste siciliane all’ex sindaco di Catania Raffaele Stancanelli, che ha perso ma si è rifatto l’anno dopo con il seggio a Strasburgo. L’avventura della sanità lombarda in Sicilia inizia nel 2005 quando la giunta allora guidata con polso fermo e ampio consenso dal Celeste Roberto Formigoni spinge sull’acceleratore delle privatizzazioni e dei decentramenti a scopo di efficienza. A luglio 2005 si apre il call center di Paternò destinato alle prenotazioni telefoniche dei cittadini lombardi. Il tutto avviene sotto l’ombrello di Lombardia call, partecipata da Lombardia informatica e guidata da Giovanni Catanzaro, numero uno degli stipendi pubblici lombardi con 270 mila euro annui. Il manager nato a Paternò fa parte di un gruppo di compaesani molto influenti, come gli imprenditori Antonino Ligresti (cliniche) e suo fratello maggiore Salvatore (finanza ed edilizia), ex datore di lavoro di Catanzaro alla Sai assicurazioni. Altri due fratelli paternesi sono impegnati in politica nelle file di Alleanza nazionale: Ignazio e Romano La Russa il cui padre Antonino è molto amico dei Ligresti. Cinque anni dopo, con Silvio Berlusconi per la quarta volta a palazzo Chigi, Ignazio La Russa diventa ministro della Difesa e il minore, Romano, assessore all’industria al Pirellone. Anche il call center di Paternò vede nascere un fratello pochi chilometri a nord, a Biancavilla. La Lega accoglie male la delocalizzazione del servizio tra gli amati meridionali. Il premio di consolazione è un terzo call center regionale da cento dipendenti e 3,5 milioni di spesa insediato stavolta a Milano. Ma ai leghisti non basta e a marzo del 2014 Roberto Maroni, eletto un anno prima presidente dai lombardi dopo diciassette anni di formigonismo, si scatena sulle onde di Radio Padania dicendo che bisogna riportare i call center regionali dov’è giusto che stiano cioè 1.300 chilometri più a nord. Il “prima i lumbard” del segretario leghista rimane senza effetto anche con l’avvento alla segreteria di Matteo Salvini. Per stroncare le polemiche, a giugno del 2015 si fa un passo verso un’ulteriore privatizzazione. I call center regionali vengono ceduti al gruppo trentino Gpi per 12,5 milioni di euro con un’operazione “a leva” quasi interamente finanziata da Unicredit. In cambio il compratore ottiene l’appalto dei call center regionali per 6 anni a 25 milioni di euro l’anno. Non sembra un cattivo affare, tanto più che i lavoratori di Paternò e Biancavilla nel 2018 si vedono cambiare il contratto da commercio a multiservizi, quello che inquadra i dipendenti delle ditte di pulizie. «Su base oraria è 1,60 euro l’ora in meno», dice Antonio Santonocito, segretario regionale del sindacato autonomo Snalv-Confsal che dichiara molti iscritti nei due call center siciliani. «Anche se la differenza è stata compensata come ad personam, si parla di oltre 200 euro per gli addetti che ne guadagnano in media 800 al mese e che sono in larga parte in smart working dall’inizio della pandemia. Proprio per questo mi chiedo che senso e che vantaggi può avere trasferire il servizio a Como oppure a Brescia». Le trasformazioni societarie, per un rinnovamento di facciata che l’emergenza sanitaria ha bocciato, continuano fino al 2019 quando le controllate regionali Lombardia informatica, Arca e Infrastrutture si fondono nella nuova Aria, affidata al presidente imprenditore Francesco Ferri, talent scout di nuovi politici per conto del cavaliere Berlusconi. Sullo sfondo ma con un ruolo da protagonista nella vicenda dei call center siciliani c’è la società che nel 2015 ha vinto l’appalto con la Regione Lombardia. La Gpi ha tutt’altra solidità rispetto a realtà come la Qe del bresciano Patrizio Argenterio, che gestiva a Paternò un call center fallito nel 2017 con cento lavoratori licenziati, un buco da 14 milioni di euro e conseguente processo penale. La Gpi fa capo alla famiglia di Fausto Manzana, presidente degli industriali di Trento. Suo figlio maggiore Sergio, 37 anni, si occupa specificamente del settore “Care” e ha lavorato sul servizio tamponi “drive through” nel Lazio. La holding trentina è quotata in borsa sul segmento Mta dove è cresciuta di oltre il 50 per cento negli ultimi dodici mesi e di oltre il 30 per cento soltanto dall’inizio del 2021. I dati economici dell’anno 2020 sono in crescita da 240 a 271 milioni di ricavi e un profitto netto vicino ai 10 milioni di euro. Nonostante gli ottimi risultati, l’azienda ha scelto di non anticipare la cigs quando lo scorso aprile i call center hanno lavorato a ranghi ridotti per il Covid-19. Gpi svolge servizio di Cup (centro unico prenotazioni) in Trentino e in altre nove regioni d’Italia. Soltanto nel giro degli ultimi sei mesi si è assicurata gare d’appalto per 33 milioni di euro dalla Basilicata, dalla Liguria, dalla Campania, dalla Puglia e dall’Emilia Romagna. Secondo quanto dichiarato da Gpi, il servizio dedicato all’emergenza sanitaria non ha riguardato le vaccinazioni della Lombardia, anche se i rappresentanti sindacali dei call center siciliani affermano il contrario. Di sicuro, la holding che è fra gli sponsor del Trentino volley, arrivata alle semifinali dei playoff, sta continuando a puntare sul mercato del lavoro in Sicilia, dopo avere assorbito 73 lavoratori per una piccola gara scaduta con un altro committente. Il tema di fondo è se Aria continuerà a puntare, e per quanto tempo, su uno schema così complicato. Il conto economico della società regionale viaggia intorno ai 200 milioni di euro e nella contabilità 2021 bisognerà inserire, oltre ai 25 milioni dati a Gpi e alle migliorie degli stabili in affitto in Sicilia, anche l’avventura del portale per le vaccinazioni dove le spese di call center pesavano per 11 milioni sui 18,5 complessivi. Ragioni contabili potrebbero suggerire un taglio delle commesse e sarebbe una sconfitta per tutti.

Resa dei conti sul disastro vaccini: la Lombardia si licenzia da sola. Claudio Marincola su Il Quotidiano del Sud il 23 marzo 2021. C’è chi dice che siano stati chiamati a vaccinarsi anche quei i malati che in base alle cartelle cliniche degli ospedali risultavano più fragili, senza sapere se nel frattempo fossero deceduti. Che agli allettati sia stato chiesto come a Lazzaro di alzarsi e camminare per raggiungere il centro vaccinale. Non sempre il più vicino, anzi spesso il più lontano, perché nessuno aveva aggiornato il Codice di avviamento postale. Certa è una cosa: i guai per la Lombardia non finiscono mai. Un lunga catena iniziata un anno fa, l’ultimo anello ieri: le dimissioni in blocco del Cda di Aria Spa, il grande pachiderma che gestisce in house il sistema sanitario regionale. Un colosso franato sull’ennesimo svarione: i disservizi informatici della campagna vaccinale. Disagi ovunque. Il governatore Fontana ha chiesto al vertice dell’azienda un passo indietro. E tanto è bastato ad afflosciare il gigantesco carrozzone che brucia ogni anno 11 dei 20 miliardi di euro che servono per tenerlo in piedi. La centrale d’acquisti seconda per dimensioni nazionali solo alla Consip. La moral suasion del presidente ha evitato il licenziamento in tronco per incapacità del board aziendale. Ma è un’ammissione di colpa, il fallimento della fusione fra le aziende decotte dell’epoca Formigoni, il disegno di Davide Caparini, potente assessore al Bilancio. L’unico a sopravvivere all’azzeramento societario sarà il dg Lorenzo Gubbian, forse perché arrivato solo nell’agosto scorso. Dietro di lui si tirerà una riga. Ma l’ennesimo scivolone sfregia l’immagine della locomotiva d’Italia. In molti avrebbe potuto ipotizzare un rallentamento. Nessuno avrebbe immaginato che proprio la sanità, il punto di forza, diventasse il tallone d’Achille. La dissennata gestione dei vaccini è la cartina di tornasole. “Siamo all’assurdo – racconta Matteo Piloni, consigliere regionale Pd – che, non essendoci una rete sanitaria territoriale, per individuare le categorie più fragili alle quali spettava il vaccino i medici degli ospedali hanno dovuto mettersi a cercare tra le cartelle cliniche per individuare tra diabetici e pazienti oncologici chi convocare”. E in mezzo c’è finito anche qualcuno per il quale l’immunità sarebbe arrivata comunque troppo tardi. Le liste sono state infatti inviate tramite il sistema sanitario al Centro unico di prenotazione (Cup) che ha fatto partite gli Sms agli anziani ai quali si poteva somministrare il siero. La procedura non prevedeva un messaggio di risposta con una disdetta. E’ bastata attivare la riprogrammazione delle agende causate dal caso-AstraZeneca e il sistema è andato in tilt “Ho il forte sospetto, che il messaggio possa essere stato spedito anche a qualche cittadino ormai deceduto”, ammette un operatore del call center milanese. Ed è molto più di un sospetto. Agghicciante. Le dimissioni a raffica di Cajazzo, Gallera e Trivelli; l’arrivo di Bertolaso, Moratti e Pavesi, con annunci di miracoli irrealizzabili. Ma il caos regna sovrano. Anziani che hanno ricevuto un Sms nella notte e non hanno avuto odo di organizzarsi. Altri che hanno dovuto chiamare figli e nipoti per recarsi a 50 km di distanza, resse, assembramenti, un errore dopo l’altro. Tanto da far dire all’ex sottosegretaria alla Salute Sandra Zampa: “Il modello Sanità Lombardia è fallito”. E a chiedere l’intervento del generale Figliuolo. Il passo indietro chiesto al Cda per Marco Fumagalli, consigliere regionale M5S, non basta. Spiega: “La mera accettazione delle dimissioni implica un accordo con il quale la regione si tutela da parte dei vertici di Aria per aver taciuto in relazione alla vicenda dei camici forniti alla regione dal cognato di Fontana . Il cambiamento dei vertici deve passare per una revoca”. Non è un mistero che dietro l’ultimo scossone si celi uno scontro tutto politico tra la Lega e Forza Italia. L’insofferenza del governatore verso donna Letizia, una presenza troppo ingombrante. E la Moratti, da parte sua, che ha già chiesto la testa di un paio di dirigenti e comincia lei stessa ad essere presa di mira. “Siamo alle comiche…chi comanda in Lombardia? – si chiede Pietro Bussolati, consigliere regionale dem – credo che i lombardi debbano saperlo, anche perché l’ad della società ha già dichiarato a mezzo stampa che il disastro della campagna vaccinale è colpa dei sistemi informatici e del tortuoso percorso vaccinale definito da Moratti e Bertolaso e non di Aria. Vogliamo sentire cosa hanno da dire il dg e il quasi ex presidente Ferri convocati giovedì prossimo in commissione”. La prima testa cadere è dunque quella di Francesco Ferri, uomo fidatissimo di Silvio Berlusconi, per il quale si adoperò in veste di talent-scout cercando profili adatti per Forza Italia. A seguire i consiglieri Marilena Ganci, Davide Rovera, Francesca Pili, Mario Benito Mazzoleni. Resta da capite che fine farà ora la fattura di 18 milioni mezzo presentata da Aria Spa alla regione Lazio per la copertura dei costi della campagna di vaccinazione per il semestre febbraio-luglio 2021. Una bolletta salata se si considera che la spesa per call center e assistenza da sola è costata ben 11 milioni e 800 mila euro. Un servizio che ora Poste italiane fornirà gratis. L’elenco dei disastri è un rosario da sgranare pregando che certe disavventure non si verifichino più. Dalla famigerata delibera, svelata proprio da questo giornale, dell’8 marzo 2020 in cui si disponeva il ricovero dei pazienti positivi presso le Rsa. Il cerino che ha acceso il fuoco e infettato gli ospiti delle strutture per anziani e disabili. Fatti sui quali sta ancora indagando la Procura, (per le vicende del Pio Albergo Trivulzio). La mancata zona rossa nella Bergamasca, il ritardo nella fornitura dei dispositivi di protezione, il calcolo per difetto delle vittime del Covid 19,classificate come simil-influenze. Fino al caso dei camici ordinati dalla Regione Lombardia, cioè da Aria Spa, alla società Dama Spa del cognato Andrea Dini. Un ordine per 500 mila euro che si è trasformato in una donazione, un “regalo” per occultare il presunto conflitto di interesse del presidente Attilio Fontana. Un caso, finito davanti alla Commissione d’inchiesta regionale Covid 19 guidata dal presidente Gianni Girelli, che ha portato alle dimissioni dell’allora dg di Aria Spa, Filippo Bongiovanni, ex finanziere, destinato ad altro incarico. Che la gestione sia stata opaca come una pietra di bigiotteria è ipotesi avanzata non solo dagli avversari politici. Lo ipotizza anche la Procura che indaga a tutti i livelli. Ma sono soprattutto i flop, le inefficienze che destano sconcerto. Per la campagna vaccinale anti-influenzale 2020/2021 la Regione è riuscita a spendere poco meno di 32 milioni. Una delle ultime a partire a causa dei bandi andati deserti. Delle 2milioni e 675mila dosi ne sono rimaste inutilizzate 900 mila. Altro capolavoro, firmato Lombardia.

Sui vaccinati tutti danno i numeri: la Lombardia deve cambiare aria. Michelangelo Bonessa su Il Quotidiano del Sud il 23 marzo 2021. Quanti sono i vaccinati in Lombardia? Non è certo. I numeri sono ondivaghi nell’ordine delle decine di migliaia. Non è un modo di dire: secondo l’ultimo report di Regione Lombardia aggiornato al 15 marzo i vaccinati sono 1.071.357, invece secondo un altro report con la stessa data e la stessa fonte sono 1.054.797. Oppure 1.098.956 se si contano i 44.159 non lombardi vaccinati in Lombardia. Se la Regione non avesse dato ampia prova dei propri limiti organizzativi nei mesi scorsi potrebbe sembrare strano, invece ormai è normale che i dati aggiornati allo stesso giorno diano risultati completamente diversi pur se la fonte dei report è sempre la stessa. Il primo dato infatti si trova sul sito di Lombardia Notizie, house organ regionale che ha iniziato a pubblicare report settimanali sull’andamento delle vaccinazioni. Ma mentre sul sito viene riportato il numero di 1.071.357 vaccinazioni, sul dettaglio inviato ai consiglieri regionali il numero è 1.054.797. Con l’aggiunta degli oltre 44mila vaccinati non lombardi. Entrambi i resoconti sono aggiornati al 15 marzo, eppure a seconda delle valutazioni ballano decine di migliaia di persone. Dati che forse verranno chiariti dai prossimi report, forse no, perché nel frattempo dal Pirellone si continuano a fornire dati a ripetizione, l’ultimissimo aggiornamento lo ha dato ieri il governatore lombardo Attilio Fontana subito dopo aver annunciato l’azzeramento dei vertici di Aria spa, l’azienda che sta gestendo le prenotazioni lombarde: “Il totale delle vaccinazioni in Lombardia è di 1.231.413: quelle somministrate agli over 80 sono 322.568 oltre a 60mila nelle rsa – ha aggiunto – La percentuale di chi ha ricevuto una dose degli over 80 che hanno aderito, circa 600mila, supera di gran lunga il 50%, in linea perciò con ciò che accade nel resto del Paese. A titolo di esempio in tutta Italia sabato sono stati inoculati 120mila dosi di cui in Lombardia 30mila dosi. Potete calcolare da soli la percentuale ma vi aiuto: corrisponde a un quarto di tutte le vaccinazioni del Paese”. Quindi secondo Fontana, nonostante i numeri, la Lombardia viaggia come un orologio. Eppure una provincia dopo l’altra cade sotto i colpi di un’organizzazione che sembra ormai non esistere. “La verità è che nessuno di loro sa come si organizza il sistema” contesta Carmela Rozza, consigliera regionale del Partito democratico. L’ultimo caso è stata Cremona, dove hanno ricevuto la prima dose in 35.470 e la seconda in 15.149: a centinaia sono stati chiamati perché per gli ospedali erano in lista, ma nessuno aveva inviato l’sms di conferma. Quindi nessuno si era presentato. Gli operatori sanitari hanno dovuto chiamare da soli le persone in lista chiedendo aiuto anche ai Comuni, con l’effetto che per 600 vaccini disponibili alla fine c’erano più di 800 persone in coda. Ennesima debacle organizzativa. “Non si capisce perché solo in Lombardia ci sia bisogno di questo sms di conferma – sottolinea Rozza – perché nelle altre regioni quando ci si registra viene assegnato automaticamente il giorno della vaccinazione”. Ma la situazione ormai è sfuggita di mano sotto molti punti di vista in Lombardia. Tanto che l’Amministrazione Fontana ha provato a tamponarla con una campagna più decisa di vaccinazioni nelle province dove i contagi stavano schizzando verso l’alto: nelle province di Bergamo (87.083 prime dosi e 30.572 seconde somministrate) e Brescia (106.700 e 45.898) infatti è stato necessario procedere in anticipo con le liste dei 60enni perché la realtà è soprattutto in alcuni comuni del bresciano e della bergamasca i numeri non sono mai migliorati molto nell’ultimo anno. Anzi, con le varianti si è tornati all’emergenza tanto da spingere Regione a cercare di mettere l’ennesima pezza a un sistema sanitario ridotto a un colabrodo. Per adesso. Non è che nelle altre zone però proceda tutto bene. Nella provincia di Pavia ad esempio, dove sono hanno ricevuto la prima parte del vaccino in 47.082 e la seconda in 22.253, i centri vaccinali sono talmente saturi che in centinaia sono stati dirottati verso altri hub. Mentre in quella di Lodi, 15.186 prime dosi e 7.802 seconde, sono state segnalate storie assurde come quelle di una donna di 92 anni impossibilitata a deambulare a cui non solo non è stato somministrato il vaccino a domicilio, ma quando le hanno dato l’appuntamento per il 21 marzo, lo hanno poi spostato in un altro luogo senza possibilità di riprogrammarlo con buona pace dell’ambulanza che aveva dovuto prenotare per raggiungere il luogo del primo appuntamento. La Città metropolitana di Milano, l’ex provincia in cui sono stati vaccinati una prima volta in 223.390 e 103.998 la seconda, è stata tra le prime invece a perdere del tutto il tracciamento del contagio e tra le prime a registrare casi di esplosioni di focolai di variante inglese, tanto che l’Amministrazione guidata dal sindaco Sala ha inviato parte della propria polizia locale per gestire le restrizioni della zona rossa imposta dalla regione poco tempo fa. E nel frattempo deve gestire la voglia dei milanesi di non rispettare le restrizioni come dimostrano le continue chiusure di locali imposte dal Prefetto Renato Saccone. A ciò si sono aggiunti gli ormai classici disservizi di Aria spa nelle prenotazioni che pochi giorni fa avevano portato alla creazione di una fila da 900 persone davanti all’ospedale Niguarda. Una scena che aveva suscitato le critiche anche di Guido Bertolaso, commissario regionale per la campagna vaccinale. A Como non va meglio, con 37.640 prime dosi e 19.973 seconde, perché circa 700 insegnanti che avevano diritto a ricevere il vaccino nel fine settimana non sono stati convocati per l’ennesimo problema al sistema di prenotazione. A Sondrio, dove sono stati vaccinati la prima volta in 16.630 e la seconda in 6.949, il problema degli ultimi giorni è stato principalmente la paura per le voci sul vaccino AstraZeneca: a decine avevano disdetto la prenotazione ignorando le rassicurazioni delle autorità politiche e sanitarie. Nella provincia di Varese, da dove arriva Fontana, i numeri delle vaccinazioni sono abbastanza alti: con 52.584 prime dosi e 27.951 seconde è tra le prime cinque province per somministrazioni. Numeri giustificati anche dalla campagna straordinaria a Viggiù, una delle quattro zone rosse dove sono state attuate vaccinazioni anche agli over 60 perché i contagi stavano esplodendo. Nel frattempo però anche gli anziani varesotti hanno preso parte al delirio delle prenotazioni: alcuni venivano mandati a Cremona, altri a Bergamo. Viaggi lunghissimi e difficili per chi ha superato gli 80 anni. A Monza, 52.645 vaccinati una volta e 27.691 la seconda, i medici due giorni fa sono rimasti ad aspettare 400 prenotati tra il personale scolastico, perché i famosi sms erano sempre fermi in qualche server. L’ennesimo disastro a cui gli operatori sanitari hanno rimediato attaccandosi al telefono e chiamando tutti quelli in lista per i giorni successivi.

Coronavirus, alla Lombardia serve un vaccino contro il caos. Un’altra figuraccia nella lotta al covid: solo 80 anziani al posto dei 600 attesi per le iniezioni di vaccino. Michele Inserra su Il Quotidiano del Sud il 21 marzo 2021. Lombardia pasticciona con un’Aria di polemica. Ci risiamo. Il sistema lumbard continua ad essere un fallimento nella campagna di vaccinazione nonostante il cospicuo rifornimento di dosi rispetto a quello destinato alle regioni meridionali. Dopo la coda degli anziani fuori dal centro vaccinale di Niguarda per gli errori di Aria, la società della regione Lombardia che gestisce le prenotazioni della campagna vaccinale, che l’11 marzo ha mandato 900 convocazioni al posto delle 600 previste, ieri il sistema ha mostrato di non essere di nuovo all’altezza della situazione. L’hub vaccinale di Cremona, in fiera, si è ritrovato praticamente deserto. Medici, infermieri e volontari, tutti mobilitati per garantire il numero di dosi programmato, hanno potuto vaccinare solo 80 anziani invece degli attesi 600. Così, a fronte di un buco di oltre 500 prenotazioni, l’Asst ha iniziato a chiamare direttamente le persone e i sindaci di Cremona e dei Comuni limitrofi affinché provvedessero ad inviare una lista di persone da contattare. Dopo l’ok dell’Ema, è ripartita a pieno regime in Italia la vaccinazione anti-Covid con Astrazeneca. Le disdette tra gli aventi diritto già prenotati sono state “solo” tra il 5 e il 10%. Ieri sono stati vaccinati con AstraZeneca anche il commissario per l’emergenza Francesco Paolo Figliuolo e il capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio. Il generale ha annunciato che «da metà aprile arriverà in Italia il vaccino Johnson & Johnson, l’obiettivo è di somministrare 500mila dosi al giorno». E l’Ue avverte: «Stop esportazioni di AstraZeneca se non rispetta il contratto». È slittato per questa settimana l’invio delle dosi di AstraZeneca in Italia. L’arrivo di 134mila dosi del vaccino previsto giovedì scorso è stato annullato per motivi logistici a causa della sospensione precauzionale delle somministrazioni del medicinale che era stata disposta nei giorni scorsi. Con la ripartenza delle somministrazioni del vaccino di Oxford – viene precisato dalla struttura Commissariale di Francesco Figliuolo – il carico verrà recuperato il prossimo 24 marzo e si sommerà alle altre 145 mila dosi ancora previste per quel giorno: saranno recapitate in tutto 279mila dosi. In arrivo a brevei 344mila le dosi di Moderna nell’hub militare di Pratica di Mare. Le fiale saranno poi distribuite nei centri vaccinali delle varie regioni. Si tratta finora del più grosso carico singolo fornito da Moderna.

BRASILIANA IN SARDEGNA. E’ arrivata in Sardegna la variante brasiliana del Covid: la presenza della mutazione sudamericana è stata confermata per la prima volta nella Regione dal laboratorio di Microbiologia e virologia dell’Azienda ospedaliera universitaria di Sassari, dopo la mappatura dell’intero genoma virale del Sars Cov-2. Esclusa invece l’ipotesi di variante brasiliana per altri campioni in Gallura.

REITHERA A CASERTA. È partita all’ospedale Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta la sperimentazione del vaccino italiano ReiThera, con testimonial d’eccezione lo scrittore Enrico Carofiglio e il giornalista Rai Geo Nocchetti. «Siamo probabilmente tra le prime aziende ospedaliere in Italia ad aver dato seguito alla sperimentazione della seconda fase di questo vaccino – spiega il direttore generale del nosocomio casertano Gaetano Gubitosa – e questa mattina abbiamo somministrato il vaccino ai primi cinque volontari; da domani, e per tutta la settimana, daremo il vaccino ad una decina di persone al giorno, reclutate dal responsabile aziendale della sperimentazione, il dottore Paolo Maggi».

Due giorni di disagi a Cremona e non solo. Flop Lombardia, vaccini nel caos: polemiche su "Aria", autogol Moratti che accusa la società della Regione. Carmine Di Niro su Il Riformista il 21 Marzo 2021. Un disastro gestionale e di comunicazione. La Lombardia, che secondo il presidente regionale Attilio Fontana, il consulente Guido Bertolaso e l’assessore Letizia Moratti dovrebbe essere un ‘modello’ per l’Italia, è alle prese con una gestione a dir poco caotica della campagna di vaccinazione. A non funzionare nella giornata di sabato sono state le convocazioni per il vaccino: a causa di un errore di gestione nel sistema di Aria, società al 100% della Regione Lombardia che si occupa delle prenotazioni della campagna vaccinale, l’hub vaccinale di Cremona sabato mattina era praticamente deserto. Praticamente nessuno degli aventi diritto aveva ricevuto infatti l’sms di convocazione, con l’ASST che ha rischiato seriamente di buttare via circa 500 dosi di vaccino anti-Covid destinato agli over 80. Solo 80 infatti gli utenti presenti invece degli attesi 600: “Non c’è un anziano in coda perché non sono partiti gli sms”, aveva denunciato il consigliere regionale del Partito Democratico, Matteo Piloni. Per fortuna la stessa ASST ha chiamato direttamente le persone e i sindaci di Cremona e del circondario per evitare di buttare le dosi, provocando il problema opposto: ad un certo punto infatti erano troppe le persone all’ingresso del polo vaccinale di Cremona, tanto da costringere l’azienda sanitaria a lanciare un appello a non recarsi all’hub ricordando che “presentandosi di propria volontà si contribuisce alla creazione di file e di affollamento”. Problemi simili che si sono registrati sabato anche a Monza e Como, sempre riconducibili a problemi nella piattaforma di prenotazioni Aria che non ha inviato l’sms di convocazione agli aventi diritto, in gran parte personale scolastico. Una vicenda che ha spinto l’opposizione in Regione Lombardia a chiedere le dimissioni di Attilio Fontana, mentre l’assessore al Welfare e vicepresidente regionale Letizia Moratti su Twitter accusava Aria: “L’inadeguatezza di Aria, incapace di gestire le prenotazioni in modo decente, rallenta lo sforzo comune per  vaccinare. È inaccettabile! Grazie agli operatori che si prodigano vaccinando comunque 30mila persone al giorno e grazie ai cittadini lombardi per la pazienza”. L’inadeguatezza di @AriaLombardia incapace di gestire le prenotazioni in modo decente rallenta lo sforzo comune per #vaccinare. È inaccettabile! Grazie agli operatori che si prodigano vaccinando cmq 30mila persone al giorno e grazie ai cittadini lombardi per la pazienza. Peccato però che la Moratti di fatto si sia lamentata della Regione di cui è vicepresidente: Aria è infatti controllata al 100% dalla stessa Lombardia ed è una ‘creatura’ del centrodestra. A volerla, con la fusione di Lombardia Informatica e Arca, l’ex centrale acquisti di Regione Lombardia, era stato il leghista Davide Caparini, assessore lombardo al Bilancio della Lega. Nel Consiglio di amministrazione siedono inoltre il direttore generale Lorenzo Gubian, nominato pochi mesi fa e difeso fortemente da Fontana, mentre il presidente è Francesco Ferri, di Forza Italia. A ricordare le responsabilità politiche anche il sindaco di Crema Stefania Bonaldi, che pur apprezzando la “sincerità” della Moratti le ricorda via Facebook che “lei è il capo e ha non il diritto, ma il dovere di intervenire e porre rimedi. È lì per questo e lo faccia immediatamente”. Il disastro lombardo ha spinto anche il leader del Carroccio Matteo Salvini a chiedere un cambio di passo. Ospite della Scuola di formazione politica della Lega a Milano, Salvini ha espresso perplessità sulla gestione della campagna di vaccinazione: “Se qualcosa non funziona bisogna cambiare, tutto è migliorabile, tutto è perfettibile” ha dichiarato il leader del Carroccio.

PROBLEMI ANCHE OGGI – Scenario simile registrato incredibilmente anche oggi. Medici e infermieri schierati nel padiglione allestito a CremonaFiere ma che davanti avevano il deserto: il problema è sempre il solito, con la piattaforma gestita da Aria che non ha funzionato e gli avvisi tramite sms agli utenti saltati, con zero convocazioni. Anche in questo caso ad intervenire è stata l’ASST di Cremona, che ha chiamato personalmente gli aventi diritto. La speranza è quella di ripetere il successo di ieri: nonostante infatti i disastri generati da Aria, sonono state vaccinate 1.100 persone, mai così tante in precedenza. Alle 17 le persone già vaccinate, spiega l’ASST di Cremona, sono state 603 (374 over 80 con Pfizer e 374 con AstraZeneca- altre categorie).

Fabio Poletti per "La Stampa" il 21 marzo 2021. Il sindaco di San Bassano (Cremona) ha trovato il pullman e 20 ultraottantenni. Se non fosse per lui, per gli altri sindaci del territorio, per Asst Cremona, addio piano vaccinale. Di seicento anziani in lista, solo ottanta ieri sono stati avvisati da Aria, la struttura di Regione Lombardia per le prenotazioni dei vaccini. Era già successo, ieri si è ripetuto il problema. Oltre che a Cremona anche a Monza, Varese e Como, dove su 700 posti messi a disposizione dall'Asst Lariana al mattino si sono presentati solo in 16. In pratica negli ospedali c'erano centinaia di dosi pronte ma non le persone che avrebbero dovuto riceverle. Perché non avevano avuto l'avviso per l'appuntamento. Perché? Mancano giustificazioni ufficiali. C'è chi dice che è andato in tilt il sistema informatico di Aria sulla conferma delle prenotazioni. E non sarebbe la prima volta. Ma il problema sembra ben più grave. Sembra infatti che il sistema di conferme preveda solo sms e non chiamate ai numeri fissi degli utenti, richiesti peraltro quando ci si mette in lista sul portale. Verrebbe da dire che grazie ad Aria il piano vaccinale in Lombardia fa acqua da tutte le parti. Letizia Moratti, l'assessore regionale al Welfare, da tempo in rotta di collisione con la struttura che risponde all'assessorato al Bilancio, a sera cinguetta via Twitter un commento assai piccato: «L'inadeguatezza di Aria Lombardia incapace di gestire le prenotazioni in modo decente rallenta lo sforzo comune per vaccinare. È inaccettabile! Grazie agli operatori che si prodigano vaccinando comunque 30 mila persone al giorno e grazie ai cittadini lombardi per la pazienza». Sarà, resta il fatto che in Lombardia, dato aggiornato alle 19.31 di ieri, sono state vaccinate 1 milione 202 e 664 persone. Praticamente poco più di una su dieci, visto che i lombardi sono 10 milioni. All'orizzonte non si vede ancora la fine del piano vaccinale per gli over 80, figuriamoci per tutti gli altri in attesa. Malgrado la promessa di finire, prima a giugno, poi entro l'estate. Alla fine si vedrà. Da Regione Lombardia ammettono che lavorare sui grandi numeri non è facile. Da Cremona, superato il primo scoramento per quello che è successo ieri, si chiedono come andrà a finire: «Non possiamo vivere nell'incertezza tutti i giorni». Vero, anche perché c'è il rischio di buttare via i vaccini. Agli anziani viene somministrato soprattutto il vaccino della Pfizer, una volta tolto dalla catena del freddo c'è il rischio che non possa più essere riutilizzato. Spiegano dalla struttura messa in piedi alla Fiera di Cremona, il più importante hub vaccinale di tutta la provincia: «Per evitare di sprecare vaccini noi diluiamo solo quelli che servono per gli utenti di ogni giorno. Nel caso qualcuno non si presentasse, abbiamo le liste di riserva tra quelli in lista per il giorno dopo». Ed è quello che è successo ieri a Cremona e nelle altre zone in difficoltà, dove l'organizzazione del territorio ha sopperito a quella di Regione Lombardia. Davanti alla lunga fila di sedie vuote, è partito il tam tam via Whatsapp e Facebook che ha coinvolto l'Asst e i sindaci di tutta la zona. Una scelta efficace, al punto che molti anziani nel pomeriggio sono andati in Fiera e sono stati rimandati a casa per mancanza di vaccini.

Prima i lumbard”, per risparmiare la Lombardia taglia il call center di Paternò, quello dei siciliani. Aria Spa pronta a dismettere il contratto con la società che gestisce le prenotazioni sanitarie: Mille i posti di lavoro a rischio. Claudio Marincola su Il Quotidiano del Sud il 17 marzo 2021. Troppe spese. La Lombardia deve tagliare. E che fa? Dismette il call center dei siciliani, quasi mille  lavoratori che da oltre dieci anni rispondono da Paternò alle chiamate di chi da Milano e dal resto della regione vuole prenotarsi per una visita o per una analisi. Per fruire nell’Isola degli stessi servizi, loro, i centralinisti, aspetterebbero mesi e mesi, oppure dovrebbero mettersi in lista e iscriversi ai viaggi della speranza. Il senso di frustrazione è grande. Ma questo è un altro discorso e poco importa. Importa che Aria Spa, l’azienda che gestisce il sistema sanitario lombardo, sperperando milioni e milioni di euro, sempre in ritardo su tutto, sia che si parli di mascherine, sia di vaccini, che sbaglia indirizzi e Cap, alla prima occasione metta in pratica il motto leghista, “prima i lumbard”. Tutto lascia pensare che il contratto siglato nel 2015 con la società del call center siciliano non verrà rinnovato: a rischiare il posto saranno soprattutto i tanti precari e subordinati che potrebbero non essere ripescati da chi si aggiudicherà l’appalto. L’incertezza è grande. Le mansioni e la sede di lavoro resteranno le stesse? E il contratto, già ritoccato con tagli anche di 200 euro mensili, verrà rispettato?  Il piano di dismissioni verrà formalizzato dal Cda di Aria Spa, il prossimo 24 marzo.

L’IDEA DEI  FRATELLI D’ITALIA (ROMANO E IGNAZIO LA RUSSA). La giunta guidata dal presidente Fontana prende così una fava e due piccioni. Scarica su Lombardia contact srl, partecipata al 100% da Gpi, tutte le colpe sui disguidi di questi giorni. E si libera di una presenza ritenuta ingombrante già ai tempi di Roberto Maroni, quando si levava forte il grido “vengono dal Sud a rubarci il lavoro”. In realtà, nessuno dei telefonisti s’è mai mosso dalla Sicilia. I numeri si digitano in Lombardia ma i telefoni squillano in provincia di Catania. Un’”idea” di Romano La Russa – all’epoca consigliere e assessore della regione Lombardia, nonché fratello dell’ex ministro della Difesa, Ignazio, originari entrambi di Paternò – per trovare un’occupazione ai loro compaesani, sapendo bene che un giorno l’urna li avrebbe ricompensati. Un’idea – non v’è dubbio – di ordinario clientelismo campanilistico che scatenò l’ira funesta del Carroccio. «Prendiamo atto che il Pdl lombardo agisce secondo logiche estranee agli interessi dei cittadini lombardi considerando anche il fatto che il servizio reso è piuttosto scadente e non senza disagi per i pazienti che spesso si vedono consigliare ospedali troppo lontani da casa», si lamentarono, indignati, i seguaci del capo di allora, il senatur Umberto Bossi. Le proteste montarono ma i siciliani puntarono i piedi e rimasero lì. All’altro capo della cornetta. E i cittadini di Paternò e Biancavilla, l’altro comune del Catanese dove ha sede uno dei due call center, si dichiararono riconoscenti ai fratelli La Russa, Fratelli d’Italia, antesignani,  ben prima che nascesse il partito della Meloni: «Avete dato lavoro a tanti ragazzi e a molti padri di famiglia», i messaggi di ringraziamento si sprecarono. 

LO STRANO CONTRATTO. Il timore di restare a spasso ora è grande. La precarietà si trascina da quando Lombardia Informatica cedette, nel 2014, con una gara pubblica, in cambio di 12,5 milioni di euro Lombardia Contact srl, il ramo d’azienda dei call center a Gpi spa. Quest’ultima – che gestisce il centro unico prenotazioni (cup) di numerose regioni italiane – in cambio ottenne una commessa da 20 milioni l’anno per la durata di 6 anni e si impegnò tramite la sua controllata a erogare servizi di contact center per le prenotazioni e assistenza sanitario. La società, supportata da Unicredit che mise sul tavolo 10 milioni di euro, si strutturò su tre sedi: Milano, con una sessantina di dipendenti, Paternò e Biancavilla. Ed eccoci, dunque, ai giorni nostri, alla scadenza di quel contratto apparentemente assai svantaggioso per il Pirellone: incassava 2,5 ml per pagarne 20 ogni 12 mesi. Nel 2019 Lombardia Informatica, partecipata al 100% dalla Regione, venne inglobata nel grande carrozzone di Aria Spa. E il cerchio si chiude. «Aria Spa è una sorta di regione parallela – sostiene Marco Fumagalli, consigliere regionale M5S – è il sottobosco del potere regionale. Dopo una serie di operazioni societarie, questo potere parallelo viene gestito tramite FNM, Ferrovia Nord Milano, dalla Lega e tramite Aria da FI e Fdl. Sarà curioso capire – continua Fumagalli – se il vento “nuovo” che ha portato la Moratti arriverà fino a imporre una governance credibile almeno in Aria Spa che a breve dovrà rinnovare il suo consiglio di amministrazione». Nel frattempo, il sistema sanitario regionale è andato in tilt a ripetizione. Sotto accusa è finita la piattaforma digitale, la software house sconnessa dagli ospedali. Mezzo piano vaccinale è saltato, i pazienti in attesa del vaccino sono rimbalzati da un nosocomio all’altro. E i siciliani? Nonostante la società Lombard contact abbia dichiarato un +18% di ricavi, l’azienda, che fa parte appunto del gruppo Gpi, non ha anticipato le retribuzioni in attesa che ai dipendenti arrivi l’avviso che i bonifici Inps sono arrivati. Mai come ora una telefonata ai telefonisti sarebbe gradita. 

Paolo Colonnello per “La Stampa” il 17 marzo 2021. Il centralino per le vaccinazioni anti-Covid della Regione Lombardia ha qualcosa di surreale: rispondono dopo un'attesa leggermente snervante dicendo che se un anziano ancora non è stato chiamato è «perché ci sono dei ritardi». Chi l'avrebbe mai detto? E se si chiede di sbirciare almeno una data possibile, la risposta è ancor più sconfortante: «Non abbiamo un database». Cioè, nel 2021, la Regione Lombardia, organizza un centralino per le ovvietà e senza un database. Ma che lo si paga a fare?

Chiara Baldi per “La Stampa” il 17 marzo 2021. C'è chi aspetta un messaggio per l'appuntamento da oltre un mese; chi, pur avendolo ricevuto e con una certa età, ha dovuto farsi accompagnare per 200 chilometri tra andata e ritorno per vedersi somministrare la sua dose di vaccino; c'è chi addirittura di convocazioni ne ha ricevute due lo stesso giorno in due luoghi e orari diversi. E poi c'è la notevole lentezza delle prime settimane, che ha portato la Lombardia a essere spesso in fondo alla classifica per dosi di vaccino anti-Covid somministrate. Una lentezza che, con difficoltà, si cerca ora di colmare: a oggi, delle 1.414.040 dosi consegnate, ne sono state somministrate 1.071.357, il 75,8 per cento. Nel Lazio è oltre l'83 per cento, lo stesso in Toscana, Emilia-Romagna, Piemonte, Puglia e Campania. La campagna vaccinale in Lombardia - la regione più popolosa d'Italia e anche la più colpita dal Covid con quasi 30 mila morti - procede non senza difficoltà. Il blocco di AstraZeneca ha stoppato le somministrazioni al personale sanitario, già partite in ritardo l'8 marzo, diverse settimane dopo altre regioni. Sono stati cancellati 33.500 appuntamenti, che verranno riprogrammati. Le somministrazioni si sono fermate a 51.800 su una platea di circa 250 mila persone. E non va meglio alla categoria più colpita dal virus, quella degli over 80. Che in Lombardia sono circa 726 mila, di cui 58 mila già vaccinati nelle case di cura. Al 15 marzo, ultimo giorno disponibile, la Regione ha somministrato 222.201 dosi, tra prima e seconda, ai 592.198 anziani che si sono prenotati. Per Samuele Astuti, consigliere regionale del Partito democratico, il rapporto tra popolazione target e dosi è ancora troppo basso: «Siamo solo al 30 per cento del rapporto fra le dosi inoculate agli over 80 e la popolazione complessiva del cluster, mentre altre regioni hanno fatto molto meglio. Basti pensare al Lazio dove il rapporto è al 55 per cento e alle Marche che sono al 48. A mancare - conclude Astuti - non sono i vaccini, come dicono sempre Bertolaso, Moratti e Fontana, ma l'organizzazione». Un'altra nota dolente è l'avvio della campagna per i fragili, circa 400 mila lombardi con gravi patologie, come per esempio i dializzati, gli oncoematologici, i trapiantati e i disabili gravi che non frequentano centri diurni, né vivono in residenze. Ieri il Consiglio Regionale ha approvato una mozione per inserirli tra le priorità. Ma la data di inizio non è ancora chiara: «In settimana», dicono dalla Regione, spiegano che «stanno aspettando le liste dalle varie Asst». Intanto qualche giorno fa alcune associazioni come Fish e Ledha, che rappresentano le famiglie disabili, hanno chiesto che vengano inseriti anche i 50 mila caregiver presenti in Lombardia tra le categorie prioritarie: anche su questo fronte Moratti ha dato rassicurazioni sebbene una data - di nuovo - non sia stata finora pronunciata. Da Palazzo Lombardia spiegano che i problemi finora riscontrati dagli utenti tra prenotazioni, messaggi mancanti o doppi, appuntamenti lontanissimi dal luogo di residenza sono dovuti al malfunzionamento della piattaforma fornita da Aria Spa, la centrale unica di acquisti regionale, con cui è in essere un contratto da 22 milioni di euro per gestire - fino a luglio - le prenotazioni dei vaccini. Ma sia Guido Bertolaso, consulente per la campagna vaccinale massiva, sia Letizia Moratti hanno silurato Aria per sostituirla con Poste Italiane. «Tuttavia», chiariscono dalla Regione, «i problemi continueranno ancora per qualche giorno, almeno fino a fine mese, quando sarà avvenuto il passaggio da Aria a Poste Italiane».

La Caporetto della Lombardia: tutti i disastri di "Aria Spa". Dopo la nostra denuncia l'opposizione presenta una interrogazione. Gli stipendi d'oro dei dirigenti. Claudio Marincola su Il Quotidiano del Sud il 16 marzo 2021. L’ultimo flop 5 giorni fa: 900 ultraottantenni convocati all’ospedale di Niguarda per vaccinarsi e solo 600 dosi disponibili. Caos, rabbia, sconcerto e 300 anziani sull’orlo di una crisi di nervi. Per riportare la calma è stato necessario l’intervento della Protezione civile che ha dovuto montare in fretta e furia due tendoni ospitarli. Era andata in tilt la piattaforma vaccinale di Aria Spa, “il volano di crescita tecnologica del sistema regionale lombardo”. L’epicentro delle inefficienze, il carrozzone che ha inglobato tutti i vizi dell’era Formigoni. Doveva ottimizzare i costi, migliorare la qualità degli acquisti di beni e servizi, fare da supporto ai progetti strategici per le opere infrastrutturali. Sta inanellando un disastro dietro l’altro quasi fosse vittima di un maleficio. A riportarla nell’occhio del ciclone è una vicenda ancora opaca. L’affidamento in extremis a Poste italiane dei servizi di prenotazione per far partire la campagna di vaccinazione anti-Covid ferma al palo. Peccato che per fare la stessa cosa la Giunta lombarda avesse già stipulato un accordo con Aria Spa, un accordo da 22 milioni di euro. Che fine farà quel contratto? Verrà comunque rispettato come chiede l’assessore al Bilancio Davide Caparini? Se lo chiedono anche i 7 consiglieri regionali lombardi, che in rappresentanza di altrettante forze politiche d’opposizione hanno presentato una interrogazione. Un elenco di tutti flop di Aria, la centrale di acquisti nazionale più grande dopo la Consip. Un’azienda che muove 11 miliardi di euro l’anno. Tra le funzioni assegnate ad Aria Spa c’è la gestione del sistema informativo socio sanitario e del servizio di prenotazioni per le visite specialistiche e gli esami diagnostici. Ebbene, nel giro di pochi mesi l’azienda ha combinato pasticci su pasticci. Dalla fornitura dei camici che la Regione ha acquistato dalla società del cognato e della moglie del governatore Attilio Fontana, oggetto di una inchiesta della Procura della Repubblica. Ai ritardi del bando dei vaccini anti-influenzali che hanno allungato a dismisura la campagna vaccinale. E ancora: i dati comunicati e contestati dall’Istituto superiore della sanità sulla diffusione del Covid che avevano fatto scattare la zona rossa senza che ve ne fossero gli estremi. Il filtro studiato per consentire la vaccinazione solo agli aventi diritto: ha smesso di funzionare su due dei tre canali disponibili. Tutto questo – e altro ancora – è oggetto dell’interrogazione firmata dai consiglieri regionali: Niccolò Carretta (Gruppo Misto-Azione); Pietro Bussolati e Samuele Astuti (Pd); Patrizia Baffi (Misto); Michele Usuelli (+Europa-Radicali); Gregorio Mammì (M5S) e Elisabetta Strada (Lombardi civici, europeisti). Aria Spa, guidata dal presidente Francesco Ferri, un pupillo di Silvio Berlusconi, ha incorporato la vecchia Arca, che si occupava di committenze e gare, e Lombardia Infrastrutture. Un colosso da 450 dipendenti. Spingono i pulsanti della sanità lombarda. Nell’arco di poco più due anni – per capire di cosa parliamo – hanno gestito solo per quanto riguarda il capitolo arredi e attrezzature due bandi. Il primo da 18 milioni e 755 mila euro. Il secondo, nel luglio scorso, da circa 7 milioni e 300 mila euro. Più di quanto possa permettersi qualsiasi altra regione italiana. “Il trio Fontana-Moratti-Bertolaso non vince, anzi genera disservizi, mancanze e vergogne per ‘intero Paese . Va giù duro Gregorio Mammì, consigliere 5stelle – la regione traino dell’Italia, l’eccellenza lombarda in fatto di sanità, ha sbagliato e continua a sbagliare. Hanno affidato Aria Spa, carrozzone scomodo anche a Bertolaso, diventato il braccio operativo della regione Lombardia sotto l’ala dell’assessore Caparini che due anni fa volle fortemente questa struttura nata sulle ceneri di altri fallimenti, sperpero continuo di soldi pubblici”. L’invio sbagliato degli Sms, le finte convocazioni per la somministrazione dei vaccini, l’acquisto di mascherine-pannolino. E non è tutto. “Nessuno si era preoccupato – riprende Mammì – di aggiornare i Cap comunali”. Uno svarione dopo l’altro che ha causato altri disguidi per i cittadini di Cornaredo, Colturano, Cusago, Mediglia, Pantigliate, Opera, Zibido San Giacomo, Segrate e Settala chiamati a raggiungere località lontane dallo loro residenza. “Purtroppo – ha allargato le braccia il direttore generale di Aria Spa Lorenzo Gubian – di regola i Cap che cambiano nelle zone geografiche rimangono ancora utilizzabili per un anno, Questo fattore ha creato confusione ha dato origine all’assegnazione degli anziani a centri più lontani”. Invece di fissare l’appuntamento in un centro vaccinale vicino al domicilio di residenza del paziente ultraottantenne, la Regione li ha mandati anche a 20 km di distanza. A Pieve Emanuele un signore che doveva fare la prima vaccinazione è stato mandato a Corsico invece che a Fizzonasco che era a pochi km da casa, E’ successo in tutti i comuni che hanno cambiato il Cap. Un roulette impazzita. “Aria paga anni di malgoverno politico a cui la giunta Fontana non ha avuto il coraggio di porre la parola fine – rincara la dose Marco Fumagalli, consigliere pentastellato – e a pagarne le conseguenze sono i dipendenti frastornati da tutte queste vicende e dai lombardi che ricevono sms alle 2 di notte per presentarsi alle 8 a fare il vaccino”. Dipendenti che in alcuni casi non se la passano affatto male: 18 dirigenti hanno retribuzioni che vanno dai 240 mila ai 90 mila euro. Per loro tira un’Aria niente male.

Lombardia, il flop di una sanità aiutata mentre gli altri subivano tagli e sacrifici. IL CONFRONTO CON LE ALTRE REGIONI SULLA ASSEGNAZIONE DELLE RISORSE. Vincenzo Damiani su Il Quotidiano del Sud il 3 marzo 2021.

LE DUE ITALIE. La Campania costretta a fare a meno di 10.490 dipendenti.

A MILANO E DINTORNI: Nello stesso periodo, i medici negli ospedali aumentavano di 290 unità. Mentre dal 2012 al 2018 l’Italia “perdeva” oltre 42mila operatori sanitari, tra medici e infermieri, e solo la Campania era costretta a fare a meno di 10.490 dipendenti, in Lombardia, nello stesso periodo, i medici negli ospedali aumentavano di 290 unità. È solo un dettaglio (non secondario, però) che mostra come, nel corso degli ultimi 15-20 anni la Regione di Attilio Fontana, e più in generale tutte quelle del Nord, abbiano potuto potenziare il sistema sanitario potendo beneficiare di maggiori risorse provenienti da una iniqua ripartizione del fondo nazionale, mentre il Sud era soffocato da lacci e lacciuoli imposti da Piani di rientro della durata decennale. Eppure, la sanità lombarda non ha brillato nella gestione dell’emergenza Covid-19, soprattutto durante la prima ondata, colpa anche di un sistema troppo ospedalocentrico e legato all’attività privata, a discapito della medicina del territorio.

Che il Sud sia stato storicamente penalizzato lo dicono fonti autorevoli come la Corte dei Conti: la spesa per investimenti, ad esempio, è stata del tutto squilibrata territorialmente: dei 47 miliardi totali impegnati in 18 anni (2000-2017), oltre 27,4 sono finiti nelle casse delle regioni del Nord, 11,5 in quelle del Centro e 10,5 nel Mezzogiorno. È questa l’analisi che emerge dal sistema dei Conti Pubblici Territoriali (CPT) e che riprende la Corte dei Conti: in termini pro-capite, significa che mentre la Valle d’Aosta ha potuto investire per i suoi ospedali 89,9 euro, l’Emilia Romagna 84,4 euro, la Toscana 77 euro, il Veneto 61,3 euro, il Friuli Venezia Giulia 49,9 euro, Piemonte 44,1, Liguria 43,9 euro e Lombardia 40,8 euro; la Calabria ha dovuto accontentarsi di appena 15,9 euro pro-capite, la Campania 22,6 euro, la Puglia 26,2 euro, il Molise 24,2 euro, il Lazio 22,3 euro, l’Abruzzo 33 euro. Altri indicatori confermano che, ogni anno, al Nord arrivano maggiori trasferimenti da Roma destinati alla sanità: dal 2017 al 2018, ad esempio, proprio la Lombardia ha visto aumentare la sua quota del riparto del fondo sanitario dell’1,07%, contro lo 0.75% della Calabria, lo 0,42% della Basilicata o lo 0,45% del Molise. Meno risorse e più vincoli finanziari, hanno portato ad un progressivo depauperamento di risorse umane che ha svuotato gli ospedali di personale e competenze. E che ha aumentato, nel corso degli anni, il gap Nord-Sud. In Puglia, ad esempio, dove si conta una popolazione di 4,1 milioni di abitanti, attualmente il personale sanitario a tempo indeterminato impegnato negli ospedali supera di poco le 35mila unità; in Emilia Romagna (4,4 milioni) i dipendenti sono invece oltre 57mila, in Veneto (4,9 milioni) quasi 58mila, in Toscana (3,7 milioni) sono quasi 49mila, in Piemonte (4,3 milioni) sono 53mila, non parliamo della Lombardia dove si sfiora le 100mila unità. La Campania, che fa 5,8 milioni di residenti, può contare soltanto su 42mila operatori sanitari, persino il Lazio (5,8 milioni di abitanti) ha appena 41mila dipendenti a tempo indeterminato al lavoro nella sua sanità. Nel 2017, la spesa sanitaria pubblica pro capite in Italia – secondo il rapporto “Osservasalute” elaborato dall’Università Cattolica di Roma – è leggermente aumentata rispetto al 2016 posizionandosi a 1.866 euro, ma è lievitata soprattutto al Nord. La situazione peggiore è in Campania, dove mediamente lo Stato spende 1.723 per residente, contro i 2.015 della Valle d’Aosta, i 1.904 della Lombardia oppure i 1.945 del Friuli Venezia Giulia. Dalla spesa ai posti letto negli ospedali il divario resta: la Campania ne ha 2,62 ogni mille abitanti, la Lombardia 3,47. Il Nord, mediamente, “viaggia” su oltre tre posti letto ogni mille residenti. Anche questa fotografia è scattata dalla Corte dei Conti nel “Rapporto 2020 sul coordinamento della finanza pubblica” e “immortala”, se ce ne fosse ancora bisogno, le drastiche e inique differenze tra le due Italie anche in un settore delicato come quello della salute, diritto garantito dalla Costituzione. C’è un Paese che, negli ultimi 15 anni, ha finanziato i suoi territori facendo figli e figliastri. Il problema è a monte: dal 2012 al 2017, nella ripartizione del fondo sanitario nazionale, sei regioni del Nord hanno aumentato la loro quota, mediamente, del 2,36%; altrettante regioni del Sud, invece, già penalizzate perché beneficiare di fette più piccole della torta dal 2009 in poi, hanno visto lievitare la loro parte solo dell’1,75%, oltre mezzo punto percentuale in meno. Tradotto in euro, significa che, dal 2012 al 2017, Lombardia, Liguria, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna e Toscana hanno ricevuto dallo Stato poco meno di un miliardo in più (per la precisione 944 milioni) rispetto ad Abruzzo, Puglia, Molise, Basilicata, Campania e Calabria.

CORONAVIRUS, LOMBARDIA MARZO 2020-MARZO 2021: TUTTO COME PRIMA ANZI PEGGIO DI PRIMA. Eppure per il governatore Fontana va tutto bene. Michelangelo Bonessa su Il Quotidiano del Sud il 13 marzo 2021. Come prima, peggio di prima. La Lombardia viaggia diretta verso un lockdown fotocopia di quello vissuto nell’ultima primavera, ma dall’Amministrazione Fontana non arrivano ammissioni di errori. Anzi. Il governatore lombardo ha dichiarato alla trasmissione Aria Pulita su Italia 7 Gold: «Non credo abbiamo sbagliato, questo virus è più complicato di quanto i nostri scienziati potessero immaginare, a un anno di distanza non abbiamo ancora individuato una cura specifica”. E sottolinea anche che le vaccinazioni vanno benissimo, salvo per le prenotazioni: «Questa settimana ho girato parecchi centri vaccinali e devo dire che le cose funzionano benissimo, il progetto di vaccinazione è eccellente e preso ad esempio da altre Regioni. Altro discorso è invece quello della predisposizione delle liste delle persone che devono essere sottoposte a vaccinazione, che ha subito intoppi e difficoltà che stiamo risolvendo». Quindi, stando a quanto afferma proprio Fontana, funziona tutto bene, tranne il primo passo su due delle vaccinazioni. Perché il procedimento prevede prima la prenotazione e poi la vaccinazione. Ma sulle prenotazioni il sistema lombardo ha dovuto chiedere una mano a Poste, cioè allo Stato. Sulle vaccinazioni all’Esercito e Protezione civile nazionale, cioè allo Stato. Ma la linea del va tutto bene, se non si considera tutto, pare sia stata sposata anche da Guido Bertolaso, chiamato a gestire la campagna vaccinale regionale, che prima ha dichiarato: “Riusciremo a vaccinare tutti se avremo vaccini per tutti”. E “Se non ci fossero stati errori, saremmo un modello”. Poi ha criticato Aria spa, l’azienda regionale che gestisce le prenotazioni, per gli errori nelle prenotazioni. Ma a capo delle operazioni in teoria ci sarebbe sempre Guido Bertolaso. Quindi va tutto bene, con una lunga serie di se. Quasi una riedizione di una nota scena de “I promessi sposi”, quando il gran cancelliere di Milano Antonio Ferrer calma la folla inferocita per la penuria di pane promettendo di linciare il vicario di provvisione Ludovico Melzi d’Eril, ma aggiungendo in spagnolo “si es culpable”, cioè “se è colpevole”, per non farsi capire dal popolo. Una scena simile a quella che si sta ripetendo in Lombardia, dove la popolazione e le aziende sono allo stremo dopo un anno di errori che hanno causato persino una settimana di zona rossa immotivata. Quella di gennaio su cui l’Amministrazione Fontana ha combattuto strenuamente contro l’Istituto superiore di sanità per spiegare che l’errore nei dati non era lombardo, ma dell’algoritmo usato dall’Iss, salvo poi far affermare all’allora dg del Welfare Trivelli che sapevano qual era l’errore tecnico, ma non come illustrarlo. E dopo un anno in cui l’operazione più consistente pare sia stata quella di silurare l’assessore al Welfare Giulio Gallera e una serie di dirigenti tra cui Filippo Bongiovanni (ex di Aria) tutto si ripresenta come prima, anzi peggio di prima. Perché questa volta il virus non è una sorpresa. L’Amministrazione Fontana ha anche varato un piano Marshall lombardo da 3,5 miliardi, ma difficilmente potrà decollare se prima non si risolve il problema della pandemia che blocca le attività di tutti. E se all’inizio proprio il governatore era stato il primo a sottolineare l’importanza di indossare la mascherina, poi proprio la sua giunta ascoltò più di altri le sirene della Confindustria che non voleva chiudere la regione per arginare il contagio. I ritardi nelle azioni del 2020 hanno contribuito al record negativo di morti della Lombardia. Lentezze nell’agire che si sono ripetute in più occasioni, come quando in estate furono dati incentivi economici ai dirigenti d’ospedale che chiudevano i reparti Covid, pur avendo la certezza che sarebbe arrivata una seconda ondata. O quando i vaccini antinfluenzali furono comprati in ritardo, costringendo la Regione a rifare le gare quando ormai il prezzo era lievitato. Nel frattempo persino Fontana e famiglia finivano nel mirino dei magistrati per la famosa fornitura di camici valutato complessivamente 517mila euro: la ditta da cui li stava comprando Aria spa era la Dama, di proprietà del cognato del presidente e della moglie. Una transazione poi diventata donazione. Ma che ha acceso anche i riflettori sul conto milionario in Svizzera del presidente lombardo perché aveva tentato di risarcire Dama con un versamento personale da 250mila euro. Un gesto in teoria generoso, ma che ha allertato l’antiriciclaggio della Banca d’Italia e i pm genovesi ancora a caccia del mitologico tesoro leghista da 49 milioni. E mentre il virus procedeva la sua corsa, la regione non riusciva a organizzare un sistema efficiente per i vaccini nonostante un imponente schieramento dell’Esercito per aiutare a tamponare più persone possibili e tracciare i contagi. Perché le prenotazioni erano sempre in capo a Regione, quindi nei 28 punti allestiti dai militari da subito arrivarono meno persone di quante se ne potessero tamponare. Un problema che si è riproposto con le vaccinazioni, come ammesso dallo stesso Bertolaso. Ma funziona tutto benissimo, se non si considera tutto.

Vaccini, è rissa in Lombardia. Gianfrancesco Turano su L'Espresso il 12 marzo 2021. Nelle regioni guidate dal centrodestra la campagna va a rilento. Il trio Fontana-Moratti-Bertolaso è il più in difficoltà dopo i fallimenti ripetuti dell’azienda regionale Aria. E scoppia la tensione con il blocco salviniano. In fuga verso il rosso con il centrodestra. In medicina si chiamerebbe effetto paradosso. Nella politica delle regioni italiane schierate contro la pandemia è un dato di fatto diffuso due volte al giorno sul sito del governo che segue i dati delle vaccinazioni. La corsa verso l'immunità avanza a passo di tartaruga proprio dove le giunte sono guidate da partiti che, fino all'arrivo di Mario Draghi, erano all'opposizione. Il risultato è una nuova ondata di chiusure, di zone colore arancione scuro o rosso profondo, con tutti gli indicatori di allarme in crescita: indice Rt, contagi oltre il livello di guardia dei 250 positivi ogni centomila abitanti, ricoveri, terapie intensive. Infine, il punto di sintesi è sempre nella tragedia dei morti che hanno da poco superato quota centomila e hanno ripreso a crescere in marzo dopo una flessione di sei settimane consecutive. Al di là delle polemiche sulle forniture, con 15 milioni di dosi attese e la metà ricevute, otto regioni si mantengono costantemente al di sotto della media nazionale nelle vaccinazioni. In ordine decrescente di incapacità sono Sardegna, Liguria, Calabria, Veneto, Lombardia, Umbria, Sicilia e Basilicata che, a metà della seconda settimana di marzo avevano oltre 800 mila dosi a riposare nei freezer. Adesso il governo Draghi punta a gestire le operazioni in modo più centralistico, dopo oltre un anno di arrancare dei modelli locali. Al di là del comune orientamento politico, le cenerentole della terza ondata presentano differenze enormi in termini di gestione logistica, di territorio e popolazione, di strutture e capacità di spesa. Gli elettori non sembrano disposti a gettare la croce addosso a Luca Zaia (Veneto) e a Giovanni Toti (Liguria), confermati con plebisciti trionfali alle elezioni del settembre 2020. Da Calabria, Sicilia e Sardegna tutti si aspettano il peggio, a cominciare dai residenti. Le altre sono troppo piccole per fare testo. Resta la Lombardia, la più ricca, la più popolata, la più colpita dalla pandemia. È il territorio dove il Covid-19 ha incrudelito su aree che resteranno nella memoria. Ieri Codogno, Lodi, Nembro. Oggi, dopo le scuole chiuse, dopo gli assalti ai territori della movida per Carnevale e San Valentino, dopo il conto puntualmente arrivato a distanza di tre settimane con il raddoppio dei positivi, Brescia e Milano sono nella zona di massimo rischio con dati allarmanti spinti dalla presenza delle varianti inglese, brasiliana, sudafricana.

Ciclone Letizia. Fra imbucati che non hanno tutti i torti “perché il vaccino scade”, anziani che aspettano la chiamata da un mese, aziende che vogliono applicare l'intraprendenza privata nella sanità vaccinando i dipendenti per conto loro, la Lombardia non dà ancora segno di uscire dal caos. Il presidente della giunta, Attilio Fontana, invita alla calma. «Quella dei vaccini non deve essere una corsa». Con queste parole pronunciate nella conferenza stampa di martedì 9 marzo l'esponente leghista ha voluto ribadire il “non c'è fretta” della sua vice e assessora al Welfare, Letizia Moratti, pronunciato al debutto del portale per la registrazione degli ultraottantenni lunedì 15 febbraio quando il sistema, partito in ritardo, è subito andato in tilt. Lo stesso Fontana dà segnali di difficoltà dopo un anno infernale in cui il modello sanitario lombardo, sbandierato all'unisono con l'ex assessore Giulio Gallera, ha mostrato troppo spesso la corda. Letizia Brichetto Arnaboldi Moratti, un cognome in più in Italia serve sempre, è un vicepresidente fra i più scomodi tanto che il presidente avrebbe anche fatto pesare un'ipotesi di dimissioni, con relativa decadenza della giunta ed elezioni anticipate. Reduce da anni di panchina nel gioco della politica, l'ex sindaca di Milano ed ex ministra azzurra si è presentata con la forza di un ciclone sulla scena lombarda che, per essere da decenni in mano al centrodestra, si presenta con un aspetto granitico poco corrispondente alla realtà. La componente forzista è divisa secondo la vecchia linea fra corrente laica, della quale faceva parte Gallera, e la corrente cattolico-ciellina alla quale appartiene l'ex dg della sanità regionale, Marco Trivelli, giubilato da Moratti e sostituito dal veronese Giovanni Pavesi, manager dell'azienda sanitaria Berica consigliato alla vicepresidente lombarda dal vicentino Domenico Mantoan, numero uno dell'Agenas, l'agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali. 

Una brutta Aria. «In questo momento», dice Fabio Pizzul, capogruppo dell'opposizione democrat a palazzo Lombardia, «il punto debole della cerniera è Aria che ci ha capito poco fin dall'inizio». Aria, l'azienda regionale per l'innovazione e gli acquisti controllata interamente da palazzo Lombardia, dovrebbe essere la quintessenza dell'efficientismo applicato alla sanità. Nell'aprile del 2020 Fontana l'ha nominata “soggetto attuatore per l'emergenza Covid-19” con l'incarico di provvedere a mascherine, camici e dispositivi di protezione. Il bilancio di Aria (200 milioni nel 2019) è esploso con 334 milioni di euro di trasferimenti dalla regione nelle poche settimane dopo il ricovero del paziente uno di Codogno. È stato l'inizio di un accentramento che ha incluso la realizzazione dei nuovi posti di terapia intensiva nell'area ex Fiera-Expo 2015 (21 milioni di euro di spesa), mai utilizzata per lo scopo di partenza e oggi riciclata come hub dei vaccini. A gestire il fiume di denaro è il presidente di Aria Francesco Ferri, ex Lombardia Informatica, noto alle cronache perché ha diretto l'Autodromo di Monza e perché Silvio Berlusconi gli aveva conferito l'incarico di selezionare il personale imprenditoriale di simpatie forziste attraverso il Centro studi liberale. Ferri, 45 anni, si è comportato con ampia autonomia, a costo di qualche frizione con Davide Caparini, assessore al bilancio e longa manus di Matteo Salvini che oggi sembra in calo di consensi, in parallelo con il Capitano. Da imprenditore privato dell'Ict e fondatore del gruppo Innext, Ferri ha ricevuto una commessa da Ferrovie Nord Milano (Fnm), la società di trasporto regionale guidata dall'architetto codognese Andrea Gibelli, uno dei principali esponenti del potere leghista di rito giorgettiano e nuovo padrone della Milano-Serravalle acquistata dalla regione a peso d'oro (520 milioni di euro) lo scorso novembre. Se è un conflitto di interesse, non è certo il primo e anche la gestione degli acquisti non è andata molto bene. La vicenda dei camici è finita in Procura con il coinvolgimento del cognato di Fontana, Andrea Dini, e della sua società (Dama). Le mascherine cinesi erano care e spesso fuori norma rispetto ai codici Ateco. I vaccini contro l'influenza sono stati acquistati a prezzi deliranti e oggi ci sono 10 milioni di dosi inservibili perché distribuite in ritardo e quando si era ormai capito che, grazie a distanziamenti e mascherine, quest'anno l'influenza non l'ha presa nessuno. In compenso, è stata lite continua con il commissario governativo Domenico Arcuri, oggi sostituito dal generale Francesco Paolo Figliuolo. L'estate scorsa Ferri è riuscito a giubilare il dg Filippo Bongiovanni, ex finanziere finito sotto inchiesta nella “camiciopoli” con il cognato di Fontana. Al suo posto è arrivato in ottobre dal Veneto Lorenzo Gubian già responsabile del Siss (sistema informativo socio-sanitario) della regione Veneto con Luca Zaia. L'ultima puntata, che sembra abbia fatto saltare i nervi a più di uno in giunta, inclusi Moratti e un altro neoassessore, Guido Guidesi, ex sottosegretario del primo governo Conte e braccio destro del ministro Giancarlo Giorgetti, è quella del portale/call center per le iscrizioni al vaccino degli over 80. Sui documenti di giunta, il costo dell'operazione è indicato in 18,5 milioni di euro per sei mesi (febbraio-luglio) di cui 11,5 milioni soltanto per l'attività di call center e 3,4 milioni per i sistemi applicativi. È stato un disastro che ha rallentato di molto l'immunizzazione degli anziani, passati da 143 mila il 3 marzo a 217 mila la settimana dopo, con un ritmo di circa 10 mila al giorno che allontana di molto l'obiettivo di chiudere all'11 aprile la cosiddetta fase 2 per i 720 mila cittadini della fascia più a rischio. Così il portale chiesto da Moratti e dal suo superconsulente Guido Bertolaso è finito nella spazzatura della pandemia e proprio Moratti ha dovuto affidarsi alle Poste per gestire le prenotazioni. Peccato che, per impegni precedenti con altre regioni come Sicilia, Abruzzo e Marche, le Poste non potranno occuparsi della richiesta lombarda almeno per un'altra settimana, secondo indiscrezioni raccolte nel consiglio regionale. Lo slogan, intanto, è sempre lo stesso: non c'è fretta.

Il fallimento della Lombardia nella gestione della Pandemia: Anche Salvini scopre il disastro. Ma pur di salvare il governatore Fontana il leader della Lega scarica le colpe sui tecnici. Michelangelo Bonessa su Il Quotidiano del Sud il 10 marzo 2021. Tira una brutta aria sulla Lombardia. I tanti errori della Regione iniziano a venire al pettine e Matteo Salvini sembra convinto di scaricare le responsabilità sui tecnici. Nei giorni scorsi rispondendo ai giornalisti ha detto che «bisogna correre, se qualcuno ha sbagliato paga, e quindi anche nella macchina tecnica della Regione Lombardia evidentemente c’è qualcuno che non è all’altezza del compito richiesto».

La colpa del flop lombardo nella gestione della pandemia sarebbe dunque colpa del braccio amministrativo dell’Amministrazione Fontana. Un passo avanti, comunque lo si intenda, perché dalla politica arriva la conferma ufficiale che all’ombra del Pirellone le cose non sono andate bene. Anzi.

I DATI DEL FLOP. I dati non mentono: la Lombardia ha un record negativo sul 2020 e sembra sulla strada per segnare un altro disastro nel 2021. Da giorni, infatti, arrivano notizie preoccupanti da Brescia, una delle province che ha pagato il dazio più pesante al Covid-19: le terapie intensive sono quasi sature e negli ospedali di tutta la regione è partita la corsa per riaprire i reparti per i malati di Sars-Cov-2, perché la primavera sembra pericolosamente vicina a replicare la peggiore stagione da inizio Novecento per il bollettino di decessi in Lombardia. Come ha ammesso Fontana «da una settimana, soprattutto a causa delle varianti, siamo entrati in quella che è definita come “terza ondata”. I dati ospedalieri sono in netta crescita e purtroppo le chiusure sono ancora necessarie per contrastare l’espansione del virus, ma non è la stessa situazione di un anno fa. Sappiamo come proteggerci». Con 47.619 tamponi effettuati, oggi intanto sono 4.084 i nuovi positivi in Lombardia, con il tasso di positività all’8,5%, in calo rispetto a ieri (10%). Sono in aumento i ricoveri sia in terapia intensiva (+14, 611) sia negli altri reparti (+216, 5.416). I decessi sono 63, per un totale complessivo di 28.853 morti in regione dall’inizio della pandemia. Nel frattempo si continua a discutere di altre possibili opzioni nel momento in cui l’Amministrazione lombarda ha dovuto arrendersi e affidare la gestione delle vaccinazioni allo Stato, lo stesso che negli ultimi mesi era il nemico numero uno della giunta Fontana. Da quando Giancarlo Giorgetti è entrato nel governo come ministro dello Sviluppo economico la musica però sembra cambiata. Adesso Attilio Fontana ha rilanciato la notizia della produzione del vaccino russo in Lombardia: «Una notizia positiva! Il vaccino Sputnik V avrà un polo produttivo anche in Lombardia. È il primo contratto europeo per la produzione locale del vaccino che nelle scorse settimane ha avviato il processo di autorizzazione per le somministrazioni in Europa» ha esultato il governatore lombardo su Twitter. Poche ore dopo, però, ha subito fatto un passo indietro: «Sul vaccino russo Sputnik la Regione Lombardia sta alla finestra. Non possiamo decidere. Aspettiamo e vediamo. Servirà l’autorizzazione di Ema perché la commercializzazione è vincolata all’approvazione dell’Agenzia europea per i medicinali».

I FURBETTI DEL VACCINO. Nel frattempo in Lombardia non mancano i furbetti del vaccino: sono duecentoventi le persone che hanno tentato di farsi vaccinare contro il Covid senza averne diritto, ma sono state individuate: è quanto rende noto la Direzione aziendale dell’Asst Santi Paolo e Carlo di Milano, dopo che ieri Radio Popolare ha svelato che in diversi si sono appropriati del link interno riservato al personale medico inserito negli elenchi degli aventi diritto forniti da Ats Città Metropolitana di Milano. «Il sistema di prenotazioni interne all’Azienda – si legge nella nota dell’Asst Santi Paolo e Carlo -grazie ad attente verifiche e controlli effettuati quotidianamente prima dell’accesso al Centro vaccinale collocato presso il Centro ospedaliero militare prevede l’identificazione del soggetto avente diritto: il giorno antecedente l’appuntamento si effettuano controlli incrociati con l’elenco degli aventi diritto e, successivamente in loco, si prosegue con l’identificazione dell’individuo, la compilazione di autocertificazione del diritto alla somministrazione del vaccino e colloquio informativo con il medico». «Grazie ai controlli interni – precisa l’azienda sanitaria – sono stati individuati, identificati ed eliminati dagli appuntamenti fissati n° 220 persone non aventi diritto (pari allo 0,4%, degli oltre 18.000 vaccinati) che, consapevoli di non essere autorizzati, hanno tentato senza successo di ovviare le regole».

IL TRENO-OSPEDALE. Ma ci sono anche i tentativi di innovare il sistema sanitario con un treno- ospedale: «Questo ospedale mobile può girare ovunque nel nostro Paese, speriamo non ce ne sia bisogno, ma purtroppo temo che già a breve sarà utilizzato» ha dichiarato il presidente della Regione, Attilio Fontana, presentando il “Treno sanitario” di Areu Lombardia. Il treno ha funzioni di trasporto per malati in varie zone d’Italia per alleggerire la pressione sugli ospedali oltre che per integrare i presidi medici presenti sul territorio. Lodando la collaborazione tra FS, Areu e Protezione civile, Fontana ha evidenziato che «ognuno ha portato le sue capacità per creare qualcosa di unico che potrà essere un modello anche per altri luoghi». Il direttore generale di Areu, Alberto Zoli, aveva confermato che il treno potrebbe essere operativo a breve perché, ha spiegato, «questa mattina il Cts già discuteva di usare questo treno per trasferire i pazienti da una parte più colpita a una meno colpita del Paese», aggiungendo che nella giornata Areu ha «trasferito 30 pazienti solo da Brescia verso altre realtà regionali». Il Dg di Areu ha sottolineato come siano già state stipulate «convenzioni tra Piemonte, Toscana ed Emilia Romagna affinché le équipe possano essere integrate con il personale di altre regioni. Sarà un treno delle regioni da un punto di vista sanitario, con capofila la Lombardia». Nonostante tutto, però il cammino della Regione verso la zona rossa sembra inevitabile, anche se, almeno a livello di materiale, la Lombardia dovrebbe essere messa meglio rispetto alla primavera 2020. Come ha ammesso lo stesso Fontana: «E’ chiaro – ha sottolineato il governatore – che i numeri non stanno migliorando».

Sanità lombarda, il carrozzone "Aria" infila solo flop e costa 11 miliardi all'anno. Claudio Marincola su Il Quotidiano del Sud il 9 marzo 2021. ANATOMIA di una regione che rischia di affondare. Un flop dietro l’altro. E dietro ogni flop c’è “Aria Spa”, il colosso che ha inglobato le vecchie bad company del Pirellone, le partecipate dell’epoca Formigoni.

Tutto è nato due anni fa e sotto le migliori intenzioni: un’unica stazione appaltante per lasciarsi alle spalle gli anni degli scandali lombardi e voltare pagina, ma non è andata così. Aria, acronimo che sta per Azienda regionale per l’innovazione e gli acquisti si è trasformata in un gigantesco carrozzone capace di infilare una serie ininterrotta di insuccessi. L’ultimo è il flop delle prenotazioni per le vaccinazioni. La centrale unica raccoglieva le iscrizioni degli ultraottantenni ma non le comunicava agli ospedali, che a loro volta non comunicavano tra loro.

IL CORTO CIRCUITO. «Anziani convocati d’urgenza la sera per la mattina dopo alle 7 in posti lontanissimi dal domicilio – racconta Michele Usuelli, consigliere regionale di +Europa-Radicali, che ha raccolto molte segnalazioni – salvo disdire la convocazione con un successivo sms. E dire che Aria Spa doveva funzionare come una software house per collegare e mettere in rete tutte le aziende ospedaliere. È stato creato un grande disagio, disfunzioni che toccano la carne viva dei cittadini». Per la cronaca, Aria Spa è la stessa dei bandi per i vaccini influenzali lanciati in ritardo e andati deserti. La stessa che inviava i dati per misurare l’incidenza del contagio facendo scattare il colore sbagliato, dati fuorvianti per i tecnici dell’Istituto superiore della Sanità che calcolavano la reale rapidità della curva di trasmissione del virus. L’idea era mettere insieme le partecipate della Regione, liberarle delle tante opacità del passato. Dare un nuova verginità a Lombardia informatica, società che appaltava all’estero quasi tutti gli incarichi pur potendo contare su un esercito di 450 dipendenti per un costo di 20 milioni di euro l’anno. Un nuovo look per Arca, il centro acquisto farmaci che impiegò ben sei anni per concludere l’appalto di kit sanitari per diabetici. Per non parlare di Infrastrutture Lombarde, (Lispa) rimasta orfana del dg condannato a 3 anni per turbativa d’asta. “Aria” nuova, dunque, in tutti i sensi. Per rifondarsi e fondersi, centralizzando bandi e convenzioni. Nel 2019, l’anno di nascita, Aria Spa ha gestito finora più di 200 gare, mobilitando un capitale di circa 10,7 miliardi di euro l’anno, la metà dell’intera spesa annua lombarda. L’unificazione della sede e della direzione generale, la riduzione del turnover e la razionalizzazione degli acquisti avrebbe dovuto portare un risparmio di circa 3 milioni l’anno. Ma tutti i buoni propositi della nuova Company sono saltati. Il leghista Davide Caparini, assessore regionale al Bilancio, può considerarsi a tutti gli effetti il padre di questo informe corpaccione che ora conta 600 dipendenti e nel giro di pochi mesi si è già bruciata la credibilità. «Tutti i disguidi che ci sono stati durante questo anno di pandemia hanno come riferimento Aria Spa – punta il dito Pietro Bussolati, consigliere regionale Pd – di fatto stiamo parlando di una società a tutti gli effetti fuori controllo».

IL PUPILLO DEL CAV E GLI UOMINI DELLA LEGA. A guidare Aria Spa all’inizio erano Francesco Ferri e Filippo Bongiovanni. Il primo, 45 anni, bocconiano dal curriculum brillantissimo, è un pupillo di Berlusconi per il quale ha svolto il ruolo di “cacciatore di teste”, giovani da lanciare in Forza Italia. Che poi non sempre si trattasse di “teste”, nel senso intellettuale del termine, questo è un altro discorso, un discorso che attiene alle idee del Cavaliere, sensibile, come si sa, anche alla bella presenza. Il confine tra nuova etica ed estetica aziendale è il profilo verso il quale ha mosso i primi passi Ferri, almeno fin quando la fusione ha retto. Il secondo, il dg Filippo Bongiovanni è scivolato sulla fornitura di camici forniti alla Regione dalla Dama Spa, l’azienda al 90% di proprietà di Andrea Dini, cognato di Attilio Fontana e per il restante 10% della moglie del governatore. Neanche il tempo di scrivere le dimissioni e, pochi giorni dopo essere finito nel registro degli indagati, Bongiovanni è stato ricollocato al Sireg, il sistema di controllo delle società regionali. Rimosso e promosso alle dirette dipendenze di Fontana, il governatore anch’egli indagato dalla Procura di Milano.

L’AFFIDAMENTO A POSTE È L’AMMISSIONE DEL FALLIMENTO. Dopo aver creato un colosso del genere, con la mission di votarsi all’innovazione, la scelta di affidare a Poste italiane la piattaforma informatica per le prenotazione appare quasi surreale. Poste lo farà a costo zero, mentre Aria aveva già previsto un budget da 20 milioni di euro. Michele Usuelli fu l’unico, due anni fa, a votare contro la nascita della multicompany lombarda. «La scelta di affidare a Poste italiane il circuito di prenotazione, dopo settimane e settimane di disservizi dovuti alla gestione – spiega ancora il consigliere radicale – è sintomatico del fallimento sostanziale del progetto Aria, nato dalle ceneri di altre partecipate con l’obiettivo di guidare la trasformazione digitale della Lombardia e che dimostra ogni giorno la propria inutilità e inefficienza. Coinvolta nel pasticcio dei dati sbagliati che hanno determinato l’inserimento in zona rossa della Lombardia a metà gennaio, incapace di gestire le poche migliaia di prenotazioni giunte fino a ora e per le quali si segnala ogni tipo di disguido, fallimentare persino nel fornire un servizio informatico decente alla regione, Aria viene adesso persino scaricata dalla giunta, che preferisce affidare la piattaforma di vaccinazioni alle Poste».

Salute e Assistenza. Lombardia, l'incapacità più contagiosa del virus. Michelangelo Bonessa su Il Quotidiano del Sud il 7 marzo 2021. È la regione più grande e ricca d’Italia, ma anche quella messa peggio. Non solo per i numeri dei decessi, ma anche per una crisi totale del sistema organizzativo: nel giro di un anno sono stati falcidiati politicamente tutti i vertici della sanità, eppure non si vede ancora la fine della crisi. Anzi, dopo aver addossato al governo nazionale tutte le responsabilità della crisi sanitaria, la Lombardia ha dovuto scegliere di affidarsi alle infrastrutture digitali di Poste Italiane. L’ultimo fallimento di una lunga serie mai ammessi del tutto dall’Amministrazione guidata da Attilio Fontana. E per non ammettere il disastro totale della sanità lombarda, nei giorni scorsi il neo commissario per l’emergenza Covid Guido Bertolaso ha preferito insultare gli specializzandi di medicina. Medici che però proprio ieri hanno ottenuto il giusto riconoscimento da parte del governo che ha firmato un accordo che prevede un contratto e una retribuzione anche per loro: «Finalmente è riconosciuta la dignità professionale di tutti i medici: con il coinvolgimento dei medici specializzandi avremo 40mila vaccinatori anti-Covid in più per l’accelerazione della campagna» afferma il presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici (Fnomceo) Filippo Anelli, chiedendo di «coinvolgere ora anche gli odontoiatri». «Dopo gli oltre 45000 medici di base, dopo i 40000 specializzandi, il Governo prenda in esame le modalità – rileva – per coinvolgere nella campagna vaccinale i 63600 odontoiatri italiani, che possono mettere da subito a disposizione le migliori competenze e le strutture adeguate». Potrebbe essere una buona notizia anche per la Lombardia dove la campagna per la vaccinazione degli over 80 stenta ancora a partire, mentre l’inefficienza del sistema lombardo ha il paradossale effetto di rompere la serenità delle famiglie: “Il caso dei messaggi impazziti inviati da Regione ha causato una serie di liti tra nonni e figli e nipoti – racconta Carmela Rozza, consigliera regionale del Partito democratico – perché gli anziani che non hanno ricevuto messaggi accusano i parenti di aver sbagliato qualcosa nella prenotazione”. E nel frattempo l’Amministrazione Fontana parla delle campagne di massa omettendo alcuni particolari: “Il tema vero è che la situazione è palese del gioco di fumo che stanno facendo Moratti, Bertolaso e Fontana: il re è nudo: in regione non funziona niente. Si inventano campagne di massa che non organizzeranno loro, ma la protezione civile nazionale”. E tutto mentre indiscrezioni avvertono che il caos sui messaggi non è ancora finito: “La cancellazione delle prenotazioni per la somministrazione del vaccino in Lombardia è l’ennesimo doloroso fallimento del sistema sanitario lombardo. Un fallimento che oggi porta il nome del governatore Attilio Fontana e della sua vice Letizia Moratti” ha commentato Pietro Bussolati consigliere regionale del Pd. L’ennesimo flop di una lunga serie che sembra non dover avere mai fine.

Il doppio delle risorse rispetto alle regioni del Sud non è servito a evitare il crollo della sanità nella pandemia. Vincenzo Damiani su Il Quotidiano del Sud il 7 marzo 2021. Tra il 2000 e il 2017, la Lombardia ha potuto investire per ammodernare i propri ospedali e acquistare strumentazione 40,8 euro pro-capite. Quasi il doppio rispetto alla Campania che non ha potuto spendere oltre i 22,6 euro pro-capite, il triplo rispetto alla Calabria (15,9 euro), più di tutte le regioni del Sud: Molise 24,2 euro, il Lazio 22,3 euro, Abruzzo 33 euro. Dal 2017 al 2018, poi, sempre la Lombardia ha visto aumentare la sua quota del riparto del fondo sanitario dell’1,07%, contro lo 0,75% della Calabria, lo 0,42% della Basilicata o lo 0,45% del Molise. E se non bastasse, nel confronto tra il 2010 e il 2020, l’incremento percentuale del fondo sanitario nazionale premia ancora la Lombardia che ha visto lievitare la propria fetta dell’11,4%, seguono Emilia Romagna del 9,9% e Toscana (8.2%). La Basilicata, invece, ha avuto un incremento percentuale molto più modesto (+4,9%); l’Abruzzo del 6,7%; Calabria +5,7%; la Puglia e la Campania di circa l’8,1%. Nel corso degli ultimi 15 anni almeno, da Roma sono “partite” maggiori risorse che hanno finito per alimentare la sanità delle Regioni del Nord, quella lombarda in particolare, a scapito di quelle del Sud e, così, il divario è aumentato sia sotto l’aspetto delle risorse umane che quelle strumentali. Parallelamente, le liste di attesa dalla Sicilia alla Campania sono lievitate e dal Mezzogiorno i pazienti sono stati costretti a raggiungere gli ospedali di Lombardia, Emilia Romagna e Toscana per curarsi. Mentre dal 2012 al 2018 l’Italia “perdeva” oltre 42mila operatori sanitari, tra medici e infermieri, e solo la Campania era costretta a fare a meno di 10.490 dipendenti, in Lombardia, nello stesso periodo, i medici negli ospedali aumentavano di 290 unità. Eppure, la sanità lombarda non ha brillato nella gestione dell’emergenza Covid-19, soprattutto durante la prima ondata, colpa anche di un sistema troppo ospedalocentrico e legato all’attività privata, a discapito della medicina del territorio. Che il Sud sia stato storicamente penalizzato lo dicono fonti autorevoli come la Corte dei Conti: la spesa per investimenti, ad esempio, è stata del tutto squilibrata territorialmente: dei 47 miliardi totali impegnati in 18 anni (2000-2017), oltre 27,4 sono finiti nelle casse delle regioni del Nord, 11,5 in quelle del Centro e 10,5 nel Mezzogiorno. Meno risorse e più vincoli finanziari, hanno portato ad un progressivo depauperamento di risorse umane che ha svuotato gli ospedali di personale e competenze. E che ha aumentato, nel corso degli anni, il gap Nord-Sud. La Campania, che fa 5,8 milioni di residenti, può contare soltanto su 42mila operatori sanitari, persino il Lazio (5,8 milioni di abitanti) ha appena 41mila dipendenti a tempo indeterminato al lavoro nella sua sanità. In Lombardia, invece, si sfiorano le 100mila unità.

Sara Bennewitz per "la Repubblica" il 9 febbraio 2021. Il Coronavirus tinge di rosso per 50 milioni i conti del gruppo della sanità che fa capo alla famiglia Rotelli. Se paradossalmente i 19 ospedali del gruppo, tra cui i milanesi La Madonnina e il San Donato, hanno lavorato di più, la pandemia ha penalizzato i conti: ha portato a minori ricavi per minori posti letto disponibili e maggiori costi per la sicurezza e la ricerca. Da una parte il personale è stato impegnato a fare fronte all'emergenza, dall'altra i pazienti regolari hanno diradato la richiesta di prestazioni anche quando a giugno l'emergenza è rientrata insieme al numero di ricoveri. Così, dopo aver chiuso il 2019 con un utile di 21,2 milioni, il gruppo Rotelli si appresta a mettere a bilancio una perdita di oltre 50 milioni, di cui circa la metà originata dal San Raffaele che con 1.442 posti letto è la struttura più grande del leader della sanità privata tricolore. Fonti ufficiali vicine a Rotelli, interpellate al riguardo, hanno preferito non commentare. Le perdite saranno comunque assorbite dalla Papiniano spa, holding dei Rotelli che aveva in cassa all' inizio dello scorso anno 140 milioni. Le risorse erano destinate allo sviluppo, ma hanno invece garantito l'operatività straordinaria. Il gruppo, che ancora non ha approvato il bilancio 2020, aveva chiuso quello consolidato 2019 con 1,7 miliardi di ricavi (+2,5% rispetto agli 1,65 miliardi 2018) 44,2 milioni di utile ante imposta (-13% rispetto ai 51 milioni del 2018) e 21,2 milioni di profitti netti (-19% rispetto ai 26,3 milioni del 2018). Rotelli aveva rilevato il San Raffaele, ospedale fondato da Don Verzè, nel 2012 attraverso un'asta competitiva, che l'aveva portato a staccare un assegno di 405 milioni e ristrutturare il debito con i fornitori che allora ammontava a circa un miliardo. Già nel 2014 i conti erano tornati in equilibrio e il San Raffaele era tornato a produrre cassa e utili, continuando a investire nella ricerca per cui è famoso in tutto il mondo. Nel 2019 il gruppo aveva accusato una lieve perdita di bilancio dovuta a maggiori investimenti, ma nessuno avrebbe immaginato che il 2020 sarebbe stato un annus horribilis. Il gruppo Rotelli nel 2020 ha trattato e assistito 9 mila pazienti affetti da Coronavirus, di cui un terzo concentrati sul San Raffaele. Lo Stato, che nel momento del primo lockdown aveva chiesto alla sanità privata di aprire le porte a tutti, al momento ha garantito un ristoro fino al 90% dei ricavi 2019, ma ancora non è stato fissato né l'indennizzo una tantum né il Drg (raggruppamento omogeneo di diagnosi che definisce il rimborso dovuto per le prestazioni della sanità privata) per la malattia. Tutta la sanità pubblica e privata ha affrontato spese enormi nella sicurezza e per la prolungata assistenza ai pazienti in terapia intensiva. Secondo uno studio di Assolombarda un malato di Covid-19 in terapia intensiva costa tra i 30 e i 40 mila euro. Inizialmente si era pensato di applicare al virus lo stesso Drg di una polmonite, ma la polmonite da Coronavirus è più grave e ha effetti più devastanti e prolungati, per cui anche i costi per trattarla sono significativamente superiori ai 3 mila euro stimati per la polmonite regolare. 

LA LOMBARDIA VA COMMISSARIATA. Covid e vaccini, un caso nazionale che il Governo deve affrontare. Roberto Napoletano su Il Quotidiano del Sud il 5 marzo 2021. Nell’interesse delle imprese e delle famiglie lombarde, ma prima ancora perché non si possono pregiudicare i tempi della ripresa del Paese. Con questi uomini e con queste strutture che hanno la responsabilità di guidare una comunità di undici milioni, si può vincere la guerra dei vaccini. in Europa, ma si perde drammaticamente in casa. Perché loro i vaccini non li sanno fare nei tempi che servono. Non sanno riconoscere le priorità e non hanno metodo. IL “CRIPTO leghista”, Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna e della Conferenza Stato-Regioni, meno di dieci giorni fa: “Ha ragione Salvini, ristoranti aperti anche la sera”. Non sappiamo se si riferiva a lui il professore bolognese, Pierluigi Viale, che definendo drammatica la situazione sanitaria del suo territorio, ha ripetuto ieri più volte in diretta Sky: “Siamo arrivati ballando sull’orlo del baratro”. Il professor Sebastiani sempre ieri in diretta Sky, stesso programma, deve commentare i suoi grafici sulla epidemia, ma prima sente il bisogno di dire: “Ho appena visto un servizio tv da Marte”. Si riferiva all’interruzione del programma sulla pandemia per ascoltare in diretta le dichiarazioni della presidente del Pd di cui francamente non conosciamo il nome che confermava le dimissioni del segretario Zingaretti. Scene ordinarie di comicità amara da Titanic Italia. Purtroppo, siamo solo all’inizio. Il bello tragico dobbiamo ancora raccontarvelo. Perché nel nuovo ’29 mondiale italiano c’è spazio per un umoristico Presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, che dopo avere impartito senza cattedra dotti sermoni su un governo (Conte 2) che decide senza preavviso, chiude lui dalla sera alla mattina le scuole lombarde di ogni ordine e grado e nemmeno si vergogna. D’altro canto, il Consiglio regionale della Lombardia, primo firmatario un nome una garanzia Giulio Gallera, ha votato a maggioranza una mozione anche qui meno di dieci giorni fa, che impegna il governo della Lombardia a chiedere al governo della Repubblica italiana di riaprire tutto giorno e notte: bar, ristoranti, palestre, piscine, cinema, teatri. Qui, però, sulla Lombardia non c’è più nulla da ridire. Perché se è vero che siamo tornati a un anno fa con le stesse tre Regioni – appunto Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto – che vedono crescere in modo esponenziale le terapie intensive e che al gruppone di testa si è aggiunta anche la Regione Campania, il punto più dolente di tutti è che esiste un caso Lombardia che è, a sua volta, un caso nazionale e rischia di tarpare le ali all’intero Paese per la rilevanza della sua economia e per la sua insuperabile crisi organizzativa. I test antigienici sono arrivati nelle scuole a tempo scaduto. Nella campagna vaccinale restano inutilizzati novemila medici di famiglia. Perfino Bertolaso non è riuscito a venire a capo di un sistema regionale così scassato da apparire incapace di reagire. Tre direttori generali cacciati in un anno e il flop dei test rapidi. Lasciamo perdere qui il capitolo delle inchieste a partire dalle residenze sanitarie per anziani perché su questo restiamo incurabilmente garantisti. Il punto è, lo ripetiamo, che il sistema esecutivo-amministrativo cambia i responsabili politici regionali ma appare oggettivamente incapace di riconoscere le priorità, di dotarsi di meccanismi organizzativi che funzionano, di fare le cose. Stiamo parlando di una Regione che riceve 20 miliardi l’anno dal bilancio pubblico per il servizio sanitario. Stiamo parlando di una Regione che insieme alla consorella Emilia-Romagna ha potuto assumere medici, infermieri mentre le altre Regioni tiravano la cinghia e dovevano licenziare migliaia di dipendenti. Per capirci il problema serissimo è che in Lombardia hanno deciso di vaccinare i docenti universitari che fanno lezione a distanza e nonostante che gli stessi docenti abbiano detto: fate prima i medici e i professori delle scuole medie che vanno, anzi andavano, in aula. Il Piemonte che segue a ruota la emula per cui privilegia i commercialisti che stanno dentro i collegi dei sindaci delle aziende sanitarie scambiandoli per quelli che passano il badge e fanno gli infermieri in terapia intensiva. Per fortuna, bisogna riconoscerlo, che è arrivato il governo Draghi che sa quello che deve fare in Europa e in Italia. Condividiamo in toto la scelta di ricostituire la regia centrale e di investire sulla protezione civile e sul generale Figliuolo puntando a utilizzare tutto ciò che è disponibile come spazi e logistica per correre nella vaccinazione senza inseguire propagande e usando l’algoritmo di modo che tutti i cittadini italiani sono finalmente uguali. Però in Lombardia – e lo diciamo noi che non facciamo passare giorno senza ricordare che se non torna a correre il secondo motore (Mezzogiorno) anche il primo si ferma – sui tempi della vaccinazione si giocano i tempi della ripresa del Paese. Perché lì è strategico l’interesse nazionale per la rilevanza della sua economia produttiva, di servizi e di eventi che non ha a nulla a che vedere con il carrozzone regionale lombardo e l’interesse degli amici degli amici. Se si vuole tutelare l’interesse nazionale la Regione Lombardia va commissariata perché è necessaria metterla sotto controllo in termini di funzionalità. Nell’interesse delle imprese e delle famiglie lombarde, ma prima ancora perché non si possono pregiudicare i tempi della ripresa del Paese. Con questi uomini e con queste strutture che hanno la responsabilità di guidare una comunità di oltre dieci milioni di persone, si può vincere la guerra dei vaccini in Europa, ma si perde drammaticamente in casa. Perché loro i vaccini non li sanno fare nei tempi che servono. Non sanno riconoscere le priorità e non hanno metodo. Questo, purtroppo, è un fatto.

Sos Lombardia, è lei la grande malata di tutta l'Europa. Claudio Marincola su Il Quotidiano del Sud il 6 marzo 2021. Volevano riaprire tutto: bar, ristoranti, cinema, teatri, palestre e piscine. E hanno presentato una mozione. Primo firmatario Giulio Gallera, l’ex assessore alla Sanità, ora semplice capogruppo di Forza Italia, licenziato in tronco per far posto a Letizia Moratti. Una richiesta “libera tutti”, una follia collettiva votata dalla maggioranza del Consiglio regionale lombardo poco più di due settimane fa, quando la variante inglese stava per diventare prevalente. Non osiamo immaginare cosa sarebbe accaduto se l’ennesimo tentativo di autolesionismo della coppia Gallera-Fontana anziché restare sulla carta si fosse realizzato. Altro che zona arancione rafforzata. La mozione impegnava il presidente e la giunta regionale ad intervenire nel confronti del governo per alleggerire le restrizioni, a partire dall’apertura serale dei ristoranti. La moltiplicazione dei contagi, l’ondata che avrebbe fatto collassare gli ospedali, travolgendo di nuovo la Lombardia, ormai la grande malata d’Italia. Non stiamo parlando di una regione qualsiasi ma della locomotiva che si trascina dietro una lunga fila di vagoni: 10 milioni di abitanti; poco meno di 850 mila imprese; circa 90 mila dipendenti solo nel comparto sanitario, che vuol dire circa 90 medici o infermieri ogni 10mila cittadini. Un territorio dove la spesa sanitaria pro-capite, prima del Covid, ammontava a circa 20 miliardi di euro l’anno, per l’esattezza 1.904 euro per cittadino, contro i 1.729 della Campania e 1.743 della Calabria. Ebbene, questa regione, la più ricca e la più sviluppata del Paese, è anche la regione europea più colpita dal Coronavirus.

DAL CERINO NELLE RSA ALLE GAFFE. Che questo triste primato non sia solo tragica fatalità ma anche risultato di errori reiterati è sotto gli occhi di tutti. Primo fra tutti la delibera dell’8 marzo 2020 in cui si autorizzavano gli ospedali a trasferire i pazienti positivi nelle residenze per anziani. Il cerino che infiammò le Rsa. D’allora una catena di svarioni. Dalla disputa su chi avrebbe dovuto istituire la zona rossa ad Alzano e Nembro, mentre nella Bergamasca le salme venivano trasportate al cimitero sui camion dell’Esercito, alle esternazioni a ruota libera. Alle gaffe sui social e in tv. La distanza? “Non serve se si indossa la mascherina”. Il valore 0,51 per l’indice R0? “Vuol dire che per infettare me – spiegava Gallera in un imperdibile sillogismo – bisogna trovare due persone nello stesso momento infette e questo non è semplice, perché bisognerebbe trovare nello stesso momento due persone contagiate per infettare me”. Perle di questo genere. Fino alla frase pronunciata in pieno periodo natalizio, frase che gli è stata fatale: “Non abbiamo ancora iniziati a somministrare i vaccini”. Perché? “Non potevo mica richiamare i medici dalle ferie…”. Gallera è uscito di scena. E per Matteo Salvini è stata una “liberazione”. E dire che qualche mese prima avrebbe voluto candidarlo a sindaco di Milano sfidando Beppe Sala.

NOVEMILA MEDICI DI BASE NON UTILIZZATI. Il capo leghista non poteva immaginare che aver reso inoffensivo (o quasi) Gallera non sarebbe bastato. Sulla scena ha continuato infatti a imperversare Fontana. E, anche dopo l’arrivo di Guido Bertolaso, la Lombardia è rimasta, in rapporto alle dosi di vaccino ricevute, la penultima in classifica per somministrazioni. “Tra gennaio e febbraio abbiamo ricevuto un milione di dosi di Pfizer-Biotech ma 300 mila, circa il 25%, sono rimaste in frigo – è la denuncia di Matteo Piloni, consigliere regionale del Pd, che al Pirellone è all’opposizione – ; con AstraZeneca abbia fatto anche peggio: delle 200 mila dosi ne abbiamo somministrate solo 20 mila”. L’organizzazione ha fatto acqua da tutte le parti. Ad andare in tilt è stata l’Azienda regionale (Aria spa) che si occupa degli acquisti. Descritta per anni come un fiore all’occhiello, si è rivelata sin dall’inizio della pandemia una mattone burocratico ritardando l’approvvigionamento dei dispositivi di protezione Il fallimento della campagna vaccinale è l’ultimo flop di una lunga serie. Mancano medici e infermieri ? S cercano con un bando che promette 40 euro l’ora ai primi e 30 ai secondi ma i 9 mila medici di famiglia che operano nella regione non vengono arruolati. “Siamo stati i primi a firmare un accordo con la Regione – spiega il dottor Enzo Scafuro, segretario regionale Smi Lombardia – ma finora nessuno ci ha risposto. Non possiamo somministrare le fiale nei nostri studi, perché il vaccino si conserva solo a certe temperature. Abbiamo chiesto perciò di sapere in quali strutture avremmo potuto farlo. Nessuna risposta. Abbiamo incontrato Guido Bertolaso senza che sia servito a sbloccare la situazione. Siamo fermi. Ai nostri pazienti ultraottantenni malati cronici nel frattempo è arrivato un Sms per comunicare il cambiamento della data, “spiacenti non abbiamo il vaccino”, c’era scritto. Io stesso per avere più informazioni ho chiamato il numero verde e dopo una lunga attesa mi è stato risposto “si rivolga al suo medico di base”. “Ma come sarebbe? Il medico di base sono io…!

IL FLOP DEI TEST RAPIDI E I 3 DG CACCIATI. Il caos regna sovrano. E le varianti colpiscono. Valga per tutti l’esempio dei test antigenici per gli studenti. Acquistati due mesi fa, costati 1 milione e 200 mila euro, sono arrivati a tempo scaduto. “A Bollate – spiega Matteo Pilone – gli studenti erano stati sottoposti ai test qualche giorno prima che scoppiasse il focolaio ed erano risultati tutti negativi. Erano ormai inidonei, non sono in grado rilevare le varianti”. Non c’è un settore in cui in Lombardia non ci sia stato almeno un pasticcio. E ha pagare è stato sempre il direttore generale, sostituito 3 volte in un anno. L’ultimo a saltare è stato Marco Trivelli, che ha resistito solo 8 mesi. Appena arrivata la Moratti ha chiamato al suo posto Giovanni Pavesi, già direttore generale dell’Ulss 5 Ovest Vicentina. L’elenco degli svarioni lunghissimo. L’errore nella documentazione dei contagi che ha fatto scattare il colore sbagliato e infuriare i membri del Cts e dell’Iss. Le vaccinazioni ai medici? La Fondazione Gimbe alla fine del gennaio scorso aveva infatti evidenziato come il 51% delle persone vaccinate in Lombardia non facevano parte del personale sanitario. Solo il 40% erano medici o infermieri. Il Pirellone ha contestato i numeri dandone altri molto diversi. Gimbe ha replicato che i dati forniti “non erano coerenti con l’attività vaccinale realmente svolta e comunicata al ministero della Salute dalla Lombardia”. E il virus si diffonde e se la ride.

La Lombardia replica il dramma 2020 e il disastro vaccini è colpa di Roma. La tragedia pandemia e il flop vaccini sono diventati sinonimo di incapacità amministrativa. Michelangelo Bonessa su Il Quotidiano del Sud il 5 marzo 2021. La Lombardia un anno dopo l’esplosione della crisi pandemica si prepara a rivivere lo stesso film. La zona rossa totale incombe, così come un’altra potenziale strage. Nella primavera 2020 20mila lombardi hanno perso la vita a causa di un contagio preso sottogamba. Il primo ad accorgersi che non si trattava di una semplice influenza fu proprio Attilio Fontana. Il governatore lombardo si mise in isolamento e fu sbertucciato tanto dal segretario del Pd Nicola Zingaretti, quanto dal sindaco Giuseppe Sala. Quella è stata l’ultima scelta azzeccata da Fontana. Da lì in poi la caporetto è stata totale: un errore dopo l’altro, una regione una volta famosa per la sua efficienza e il livello della sanità è diventata sinonimo di incapacità amministrativa. Nonostante i morti e nonostante un sistema ancora in panne: le vaccinazioni sono al palo, come ha ammesso Guido Bertolaso. Il sistema non funziona proprio a partire dalla piattaforma online di Aria spa, la centrale acquisti regionale: è costata 22 milioni di euro, ma Letizia Moratti, assessore al Welfare e vicepresidente, ha deciso di abbandonarla per una struttura che sarà messa a disposizione da Poste Italiane. L’ultimo di una lunga serie di disastri gestionali. All’inizio l’impreparazione era totale, perché tutti avevano sottovalutato il Sars-Cov-2: per assurdo proprio il fatto che negli ultimi tre anni si fossero manifestate ondate di polmoniti particolarmente forti ha aiutato l’espansione del coronavirus. Nelle zone di Bergamo e Brescia già dal 2019, come ha raccontato il Quotidiano del Sud, si erano registrati picchi più violenti di polmoniti. Ma erano derubricati a effetti della legionella o altre malattie di fatto da sempre presenti nel territorio tra Milano e le Alpi. Così quando è esploso il Covid, all’inizio nessuno si è allarmato più di tanto. Poi hanno iniziato a circolare i modelli matematici e pian piano anche i politici lombardi si sono allineati a Fontana. Ed è partita la corsa per cercare mascherine e camici. Ma la foga di reperire materiali che non c’erano ha creato un caos ancora più intenso. Arrivarono scatoloni vuoti, altri non furono nemmeno consegnati. E in quel caos persino lo stesso Fontana finì nei guai: è la vicenda della famosa fornitura da mezzo milione di euro per camici da ospedale. A comprarli era sempre Aria, ma a venderli era la Dama, società della moglie e del cognato di Fontana. Per tentare di metterci una pezza l’ordine fu trasformato in donazione e il governatore tentò di risarcire i parenti pagando di tasca propria 250mila euro. Peccato che il bonifico partì dal suo conto milionario in Svizzera allertando in un colpo l’anticorruzione della Banca d’Italia e i magistrati ancora alla caccia dell’ormai mitologico tesoro leghista da 49 milioni. Intanto il contagio esplodeva nelle rsa e in tutta la regione, mentre gli industriali continuavano a sostenere la necessità di non fermare la Lombardia e gli ospedali privati come il San Raffaele registravano ricchi affari grazie alle inefficienze del sistema pubblico: mentre era diventato quasi impossibile essere visitati e sottoposti a tampone gratuitamente, come prevede la legge, il San Raffaele offriva visite a domicilio a 450 euro a botta. Una scelta legittima, ma allo stesso tempo messa al centro delle critiche perché era l’immagine di dieci milioni di persone che pagano le tasse per un servizio sanitario di cui non godono. Ma è il sistema lombardo che nei decenni ha smantellato la sanità di territorio, una scelta che di fatto ha favorito i baroni della sanità come i Rotelli. Persino le decine di milioni di euro raccolti come donazioni dai lombardi furono sprecati per costruire l’ospedale in Fiera: da subito tutti i medici spiegarono che era inutile una cattedrale nel deserto, semmai bisognava seguire l’esempio degli alpini a Bergamo che avevano costruito padiglioni provvisori in più di fianco all’ospedale esistente. Ma niente, Regione entrava in quel momento nella fase di non ascolto. Guido Bertolaso, chiamato a spendere quei soldi (il dettaglio dei conti non è mai stato pubblicato), insultava i medici che lo criticavano. E dopo la primavera gli errori si sono aggravati. In estate prima sono stati silurati i vertici di Aria spa su cui sono state scaricate tutte le colpe. Poi la Regione invece di prepararsi alla seconda ondata, ha pagato i direttori sanitari per chiudere i reparti Covid aperti in fretta e furia qualche mese prima. Così in autunno la situazione si è ripresentata uguale: reparti che si riaprivano in fretta e furia e indici di contagio e di morti che si impennavano. Ma in Regione ormai si era fatto strada il leggendario “attacco alla Lombardia”. Qualunque errore, era colpa di Roma. E di Giulio Gallera, ex assessore al Welfare silurato dalla Lega come capro espiatorio.

E si arriva all’autunno inverno, quando invece di ammettere i propri errori, Fontana si presentò in una singolare conferenza stampa in cui con i suoi tecnici sostenne che la Lombardia non doveva entrare in zona rossa perché c’era un errore tecnico dell’Istituto superiore di sanità. Ma non spiegarono quale, nonostante le domande dei giornalisti. Era tutta colpa del presunto attacco alla Lombardia, linea sostenuta anche dal neo assessore al Welfare Moratti. Che a sua volta ha silurato i tecnici nominati da Gallera appena qualche mese prima e poi ha iniziato a presentare piani vaccinali. Continua a proporli, spiegando che se falliranno è colpa di Roma. Come in un eterno giorno della marmotta i lombardi sembrano condannati a rivivere lo stesso film del 2020: errori su errori e morte. Senza nemmeno una scusa da chi è in cabina di regia.

VACCINI, IL MEZZOGIORNO DÀ L’ESEMPIO. EMERGENZA COVID - LA RISPOSTA FORTE DEL SUD NONOSTANTE GLI ANNI DI TAGLI NELLA SANITÀ. Michele Inserra su Il Quotidiano del Sud il 5 marzo 2021. Entro metà mese la Campania potrebbe essere la prima regione “Scuola covid free” d’Italia. Somministrato l’81,7% delle dosi a disposizione. Bene anche la Puglia con il 78,4% e la Basilicata con il 73,9%. E a Caserta c’è la più grande sede vaccinale. Arranca la Calabria. Entro metà mese la Campania potrebbe essere la prima regione “Scuola covid free” d’Italia. La regione del governatore Vincenzo De Luca, grazie anche ad una macchina organizzativa che mette in risalto più pregi che criticità di questo lungo e difficoltosi percorso, è la grande spinta del Mezzogiorno nella campagna di vaccinazione per contrastare il Covid-19. E dà uno schiaffo morale alle “progredite” Lombardia e Veneto. Con più dosi di vaccini a disposizione, la Campania riuscirebbe a vaccinare tutta la popolazione a ritmi veloci. Non resta che aspettare l’accelerazione auspicata e l’arrivo delle fiale. Nelle ultime ore, a causa di un incremento connesso alla variante inglese, la regione ha disposto tamponi di massa nei comuni più colpiti (Pompei, Torre Annunziata e Castellammare di Stabia). A questo punto, fa sapere De Luca, è inevitabile la zona rossa a breve. Nella ‘classifica’ delle regioni in testa per la percentuale di vaccini somministrati c’è la Valle d’Aosta (90,9%) seguita dalla Provincia Autonoma di Bolzano (86,3%), dalla Campania (82.8%) e dalla Toscana (82,8%). La percentuale più bassa rispetto alle dosi consegnate è stata somministrata in Sardegna (60,1%) e Calabria (59,6%), dove regna il caos, complice scelte amministrative e organizzative improvvisate e illogiche (vedi il disorientamento degli ultraottantenni sardi poco inclini all’adozione delle nuove tecnologie, convocati via sms e costretti a rispondere via mail per confermare l’appuntamento). Secondo i dati contenuti nel Report vaccini anti-covid aggiornato alle 19,30 di ieri sera, sono 4.909.923 le dosi di vaccino anti-covid somministrate nel nostro Paese (3.022.534 a donne e 1.887.389 a uomini) mentre è di 1.535.081 il numero delle persone che hanno eseguito già prima e seconda dose Al momento sono stati iniettati il 75% del totale dei vaccini consegnati, ovvero 6.542.260 (4.537.260 consegnate da Pfizer-BionTech, 493.000 da Moderna, 1.512.000 da AstraZeneca). Solo nella giornata di mercoledì sono state 160.053 le dosi iniettate mentre fino a ieri sono state superate il milione di vaccinazioni per le persone over 80. Quanto alle categorie di vaccinati, 2.438.478 sono operatori sanitari e sociosanitari, 815.297 personale non sanitario, 423.518 ospiti di Rsa, 858.236 over 80 e 287.454 over 90, 97.149 forze armate, 277.245 personale scolastico.

SCUOLA COVID FREE. Sabato scorso la regione Campania ha disposto chiusura degli istituti a partire dal primo marzo. «Lo stop alla scuola era necessario per favorire il piano vaccinale dei docenti e per limitare l’espansione della variante inglese, che preoccupa – ha affermato Lucia Fortini, assessore all’Istruzione della Campania – Credo che per il 14 marzo avremo una vasta popolazione di personale scolastico vaccinato e potremo riprendere gradualmente le lezioni in presenza, sempre guardando però l’indice di contagio a quei giorni». Potrebbe essere questo il percorso per uscire dal lungo tunnel dei contagi in Campania. Abbiamo numeri importanti, ci sono 150mila pre-adesoni del personale scolastico di cui 120mila già trasformate in adesioni e 50mila persone vaccinate. La campagna vaccinale sta procedendo spedita, mi dicono i docenti e il personale Ata che sembra di stare in Svizzera, vuol dire che le Asl stanno lavorando bene – spiega ancora Fortini – i direttori generali si stanno impegnando, penso che per il 14 ce la faremo. A quel punto si farà anche un report sui contagi e ritengo che si possa ricominciare, sempre gradualmente. È difficile fare previsioni ma ritengo che si potrà riprendere con la primaria, le classi che hanno sempre maggiore difficoltà nella didattica a distanza. Tutto questo sempre che non ci sia un dilagare della variante inglese». «Eravamo preoccupati per loro – spiega poi Fortini a proposito dei maturandi di quest’anno – ma le parole del ministro Bianchi sono state rassicuranti rispetto a un esame di Stato che terrà conto delle difficoltà dei ragazzi quest’anno». «Credo che sia stato presentato un ricorso ma ritengo che stavolta il Tar ci supporterà – ha poi detto sui genitori ‘No Dad’ – Abbiamo preso una decisione di breve durata e rispetto all’ultimo stop del Tar sono emersi nuovi fatti. In primo luogo il piano vaccinale che ci spinge a tenere protetti i nostri docenti, perché appena vaccinato sei comunque a rischio, e poi il dilagare della variante inglese con la difficoltà del tracciamento perché mi dicono che sono ritenuti contatti stretti anche quelli sotto i due metri di distanza, perché è una variante più aggressiva con alte possibilità di contagio». Anche De Luca, nella serata di ieri, ha confermato che per la metà del mese tutto il personale scolastico sarà vaccinato.

IL CENTRO D’ECCELLENZA. Nelle scorse ore è stato inaugurato a Caserta il più grande centro vaccinale della Campania: 26 postazioni, più quattro di “riserva”, per somministrare fino a tremila vaccini al giorno. La sede è nella Caserma “Ferrari-Orsi” della Brigata Bersaglieri Garibaldi. Ora si attende solo l’arrivo delle forniture di vaccino, poi a pieno regime sarà possibile vaccinare fino a tremila persone al giorno.

ACCELERATE E CRITICITÀ. La Calabria continua ad andare avanti a ritmo lento. La disorganizzazione e la mancanza di strategie stanno penalizzando ulteriormente la regione. Bene, invece, la Basilicata, dove sono state somministrate il 73,9% delle dosi a disposizione. A sostenere il dato è soprattutto la città di Potenza e della sua provincia. Matera resta ancora indietro. Il piano vaccinale, comunque, sarà attuato nel carcere materna a partire da lunedì prossimo, come annunciato dal provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria per la Puglia e la Basilicata. Avanza in maniera spedita anche la vaccinazione in Puglia con il 78,4 delle dosi somministrate. Bene soprattutto Bari e Lecce. In Sicilia siamo al 72,8 delle dosi di vaccino somministrate, anche se si lavora ad ottenere risultati migliori. Accelerazione sul fronte delle somministrazioni con il vaccino AstraZeneca: la Struttura commissariale nazionale, titolare della distribuzione delle dosi, ha infatti comunicato alla regione Siciliana che la previsione durante il mese di marzo potrà aumentare di circa 100mila unità, portando complessivamente la dotazione mensile per l’Isola a poco meno di 240mila possibili inoculazioni.

TASK FORCE PORTA A PORTA. Il piano della task force militare potrebbe prevedere il vaccino porta a porta. Il generale Luciano Portolano, comandante del Comando operativo di vertice interforze (Coi), è pronto a gestire i militari schierati dal ministro Lorenzo Guerini per la lotta contro il Covid-19. Adesso è sceso in campo l’esercito per mettere in atto l’operazione Igea che sarà «capace di esprimere fino a 200 Drive through difesa su tutto il territorio nazionale. Ieri erano attivi 142, ma cambiano di giorno in giorno, alcuni sono stati chiusi perché non c’è affluenza. Si tratta di operazioni molto fluide, molto dinamiche».

Vaccini, trionfalismo lombardo a rischio flop. La regione più colpita dal Covid è fra le ultime a partire ma il trio Fontana-Moratti-Bertolaso promette immunità a tutti entro giugno con una dose ogni sette minuti. Mentre continua lo scaricabarile con Arcuri, i medici ironizzano: «Neppure se centrassimo i pazienti con la cerbottana». Gianfrancesco Turano su L'Espresso il 9 febbraio 2021. La variante lombarda, nota da tempo, è che qui si fa tutto meglio e più in fretta in ogni campo dell'agire umano. Letizia Brichetto Moratti, numero due della giunta regionale di Attilio Fontana e responsabile del welfare, o sanità perché il lombardo è una variante dell'inglese, è partita su questa falsariga con la determinazione che tutti le riconoscono. Il responsabile della campagna di vaccinazione, Giacomo Lucchini, ex manager del gruppo Kos e della Fiera di Milano scelto dall'ex assessore Giulio Gallera, è stato messo da parte. Licenziato, no. Si occuperà della logistica. Ma i suoi ritmi non erano considerati soddisfacenti e soprattutto erano troppo variabili. Tremila dosi al minimo con un record di 22 mila ma la media viaggiava poco oltre i diecimila vaccinati al dì dall'inizio dell'anno con un obiettivo di mezzo milione di somministrazioni per metà febbraio. Così ai primi di febbraio è tornato Guido Bertolaso, realizzatore dell'ospedale in Fiera sull'area dell'Expo 2015, flop certificato e costoso della prima ondata di Covid-19. Sono tornati anche i litigi con il potere centrale, rappresentato dal commissario all'emergenza pandemica Domenico Arcuri. Prima non mandava abbastanza fiale, adesso non manda abbastanza medici fra quelli reclutati attraverso le agenzie per il lavoro. La struttura commissariale ha ribaltato le responsabilità sulle otto Ats (Agenzie di tutela della salute) lombarde che non sarebbero abbastanza sollecite nelle visite mediche al personale ausiliario. Le solite schermaglie con Roma ladrona servono forse a fare dimenticare che la regione di gran lunga più popolata e più colpita dal Covid-19 partirà fra le ultime in Italia (24 febbraio) con la campagna vaccinale dedicata ai suoi 710 mila over 80 (dato Istat 2019). Il personale sanitario contattato dall'Espresso ha accolto con incredulità l'annuncio dell'ex numero uno della Protezione civile e del presidente Fontana che promettono di vaccinare entro giugno 6,6 milioni di lombardi, purché Arcuri fornisca i vaccini di Big Pharma come per ora sta facendo, visto che da qui a fine febbraio la Lombardia potrà contare su 378 mila dosi Pfizer per gli over 80 e 182 mila Astra Zeneca per gli under 55. «La campagna anti influenzale, che rispetto alla pandemia è una passeggiata, quest'anno è stata un incubo con i ritardi nelle forniture, le proteste dei pazienti, le restituzioni di fiale inutilizzate perché adesso tutti aspettano il vaccino anti Covid», dice un medico di base dell'Ats Montagna con trent'anni di esperienza. «Non so come si potranno raggiungere i risultati previsti a meno di vaccinare i passanti con la cerbottana». Anche il portale per prenotare le vaccinazioni è arrivato in ritardo sulle altre regioni che in alcuni casi (Campania, Abruzzo, Sicilia, Calabria, Marche) hanno scelto di appoggiarsi alle strutture informatiche messe a disposizione da Poste italiane. La Lombardia, con i suoi oltre dieci milioni di abitanti, ha preferito farsi il suo portale attraverso la controllata Aria (azienda regionale per l'innovazione e gli acquisti), guidata dall'ex Lombardia Informatica Francesco Ferri e da Lorenzo Gubian, già responsabile del Siss (sistema informativo socio-sanitario) della regione Veneto con Luca Zaia.

Tempi da Formula Uno. Domenica 7 febbraio nei padiglioni di Rho Fiera si è officiata l'ennesima cerimonia dedicata all'efficienza del modello lombardo. La presenza di un che di spettacolare è confermata dalle dichiarazioni dei vertici regionali che hanno paragonato la campagna vaccinale a un lavoro “da orchestra”. Il personale sanitario ha vaccinato, cronometro alla mano, 2.500 volontari di Areu (agenzia regionale emergenza urgenza) al ritmo di una persona ogni sette minuti sotto l'occhio vigile degli esperti del Politecnico, della Fiera, della Fondazione Ca' Granda (l'ospedale maggiore di Milano) e di Aria. Chi c'era ha avuto l'impressione di assistere alle prove di un Gp di Formula Uno. Alla fine delle simulazioni è stato detto che la struttura, destinata in origine alla terapia intensiva, costata 21 milioni di euro e finora utilizzata pochissimo, può sfornare 5.500 vaccinati ogni giorno con una struttura ridotta a dodici medici e dodici infermieri. Su ventiquattro ore di impegno sono appunto un cittadino ogni sette minuti per le quattro fasi richieste di accettazione, anamnesi, inoculazione e attesa per verificare eventuali effetti collaterali. Peccato che la vaccinazione notturna non sia ipotizzabile, ancor meno in un posto distante oltre mezz'ora dal centro della città con la metropolitana che peraltro nelle sei ore notturne è chiusa. Naturalmente Rho Fiera è solo uno, e neppure il maggiore degli “hub”, i punti di somministrazione che il duo Bertolaso-Moratti intende mettere a disposizione della campagna in numero maggiore ai 65 previsti da Lucchini. Il vecchio palazzo dello sport di piazza VI febbraio a Milano, vicino alla vecchia Fiera campionaria e all'attuale Citylife, potrebbe arrivare a novemila dosi quotidiane per concorrere all'obiettivo regionale di 157 mila iniezioni quotidiane praticate da un personale medico-sanitario di quattromila unità per una media di 39 dosi per ognuno dei vaccinatori. Le primule, i capannoni di Arcuri che arriveranno dopo Pasqua, per ora non vengono prese in considerazione. È inutile aggiungere che ogni residente in Lombardia si augura che l'impresa riesca. Ma è fattibile? E come si può paragonare l'esperimento da laboratorio celebrato il 7 febbraio dai vertici della politica lombarda alla pratica quotidiana?

Il virus burocratico. In Lombardia ci sono 1,7 milioni di persone considerate fragili per patologie pregresse. Nella prima tornata di vaccinazioni, si stima che 620 mila over 80 su 710 mila si trovino in situazione di fragilità. Diecimila non possono uscire e dovranno essere vaccinati a casa. Molti medici ritengono che probabilmente anche i restanti 80 mila, più che avere una salute di ferro, non amino andare dal dottore o non sappiano di essere malati come nell'opera teatrale di Jules Romain “Knock o il trionfo della medicina”.

Il personale sanitario che è già passato per le vaccinazioni riferisce di un'esperienza molto efficace per quanto riguarda la fase di somministrazione vera e propria. Sono in genere gli infermieri a inoculare le dosi che, nel caso di Pfizer-Biontech, devono essere in precedenza misurate nell'ordine di cinque o sei per ogni fiala conservata a -75°, in attesa dei vaccini Moderna che sono sostanzialmente dello stesso tipo salvo la conservazione a temperatura di frigo da cucina (-20°). Gli intoppi maggiori sono, e saranno, di tipo burocratico-amministrativo. C'è un consenso informato da firmare, un colloquio molto dettagliato sull'anamnesi di patologie, a partire da quelle allergologiche, e sui medicinali assunti. Il papello in cui ci si assume ogni responsabilità sui possibili effetti collaterali della vaccinazione richiede qualche minuto di lettura da parte di un operatore qualificato ma alcuni sanitari raccontano di sale d'attesa un po' troppo affollate da persone che sbarrano caselle a penna su scartafacci. Il colloquio anamnestico è business as usual per il personale specializzato che si confronta più o meno alla pari con il medico incaricato di dare il via libera alla vaccinazione. Un candidato ordinario pone problemi meno prevedibili. Anche se non si andrà tanto per il sottile eventuali incidenti influiranno sul numero di vaccinati e quindi sui tempi. Un confronto con i vituperati medici di base, una prima linea che opera da mesi in condizioni di grande stress, avrebbe rivelato che ci vogliono una decina di minuti per somministrare un vaccino influenzale ordinario a una persona il cui fascicolo sanitario è già noto al curante. Una quota consistente di ultraottantenni non è capace di gestire da sola il fascicolo sanitario elettronico che, fra Spid e funzionamenti a singhiozzo, può mettere a dura prova anche un navigatore ferrato. Intanto nella fase iniziale dell'esperienza nel Lazio si è visto che per non sprecare dosi è necessario adottare lo schema israeliano della panchina lunga in caso di pazienti che non si presentano, che non vogliono Astra Zeneca perché ha una copertura inferiore o che semplicemente finiscono fuori tempo massimo perché il candidato precedente non ricorda se è cardiopatico ischemico, dilatativo o ipertrofico.

Fiale e buone intenzioni. In questo momento l'attenzione della cronaca è puntata sulle grandi città, come Roma, dove la campagna di vaccinazione degli anziani è partita lunedì 8 febbraio con passo alquanto prudente: 2083 dosi messe a disposizione nella capitale e 3601 in tutto il Lazio su cinquanta punti di somministrazione complessivi. È una visione distorta perché, in primo luogo, la pandemia in Italia ha colpito in modo relativamente più duro le piccole realtà urbane rispetto alle metropoli. In secondo luogo, i centri meno abitati sono a maggiore rischio di allarmismo. «Basta una vaccinazione andata male e la gente non si presenta più», dice una dottoressa di base. «Gli incidenti si prevengono con grandi chiacchierate con i malati, possibilmente di persona perché al telefono ci vuole più tempo a spiegare e si spiega peggio. Io sto consigliando a tutti di passare dall'allergologo prima della somministrazione». Un ottimo consiglio che molti non vorranno o non riusciranno a praticare. Nonostante questo superlavoro a livello territoriale, punto debole del sistema dopo decenni di gestione che hanno trasformato il dottore di famiglia in una fotocopiatrice per ricette e visite specialistiche private, proprio ai medici di base le Ats lombarde hanno chiesto di diventare, su base volontaria, vaccinatori anti-Covid quando, secondo molti di loro, sarebbe stato meglio utilizzarli nella fase preparatoria della somministrazione. La maggior parte ha rifiutato di vaccinare, per mancanza di tempo. A maggior ragione c'è resistenza a mettere a disposizione gli ambulatori dove il minimo incidente può trasformarsi in un disastro. Chi ha aderito attende ancora di essere chiamato. Intanto i suggerimenti della giunta che cerca palestre e luoghi ampi per aumentare il potenziale di fuoco hanno moltiplicato le iniziative volontaristiche del genere “vacciniamo in parrocchia”. L'intenzione è apprezzabile ma inapplicabile a un sistema che richiede personale molto qualificato, come si è visto, non solo sotto il profilo medico-sanitario ma anche burocratico-amministrativo. «La buona volontà», conclude un altro medico, «va bene per il banco alimentare, non per la più grande campagna di vaccinazioni da parecchi decenni».

Gabriele De Stefani e Claudia Luise per "La Stampa" il 12 gennaio 2021. Ora la grande paura del Nord è risvegliarsi alla fine dell'incubo della pandemia e scoprire di non essere più il motore del Paese. E ritrovarsi lontano dalle locomotive d'Europa. Più di dieci anni tra recessione e crescita rallentata, seguiti dalla peggiore crisi sanitaria, economica e sociale del Dopoguerra: un uno-due che rischia di piegare le regioni più produttive d'Italia e tra le primissime d'Europa. Gli imprenditori sono più arrabbiati che spaventati, ma dal Piemonte al Friuli-Venezia Giulia, passando per Lombardia e Veneto, il sentiment è lo stesso: la capacità di reazione alla pandemia, e nello specifico il Recovery Fund, segnano un passaggio storico. O si sale sul treno al momento giusto o si finirà per rimanere fermi a guardare il resto d'Europa rimettersi a viaggiare veloce. I numeri I dati raccolti dall'economista Mauro Zangola fotografano realtà difficilmente immaginabili fino a qualche anno fa. In quasi tutte le principali regioni settentrionali è a rischio povertà più di un abitante su dieci: dal 10,1% dell'Emilia-Romagna, all'11,1% di Lombardia e Veneto al 14,2% del Piemonte. I tassi di occupazione ormai solo in pochissimi casi riescono a superare il 70% e ovunque si alza la quota di giovani che non studiano, né lavorano, né cercano un'occupazione (in Lombardia ed Emilia-Romagna sfiora il 15%, mentre solo il Veneto arriva ad avere un under 25 occupato su tre). Il Piemonte, ormai, è un caso: «È una regione ad alto rischio retrocessione, è sui livelli del Centro Italia» sintetizza Zangola. I dati gli danno ragione: in tutti gli indicatori sono i peggiori del Settentrione e affiancati a quelli della Liguria fanno emergere il Nord Ovest come il grande malato. L'origine sta nella frenata del Pil e della produttività: la ricchezza generata pro capite è di 31.793 euro (il Trentino supera i 43 mila, la Lombardia i 39 mila, il Veneto i 33 mila, l'Emilia-Romagna i 38 mila) e il valore aggiunto generato da ogni piemontese è più basso di circa un quarto e un quinto rispetto a un trentino, un emiliano o un lombardo.

Rabbia e sfiducia. «Nella mia azienda la fibra ottica c'è da appena un anno e per averla ci siamo dovuti pagare da soli l'ultimo chilometro. Come faccio a non essere arrabbiato e deluso per come siamo costretti a lavorare in Italia? Fra tre mesi avremo un'ondata di licenziamenti, è inevitabile». Le parole di William Gambetti, 120 dipendenti con la sua Duelegs nel distretto mantovano della calza, descrivono da sole lo stato d'animo e lo sguardo degli imprenditori del Nord. La rabbia e la delusione per i troppi anni senza politiche per l'industria e investimenti, in una parola senza una visione. La sfiducia anche davanti all'autostrada del Recovery. «Lo sanno tutti cosa serve, c'è poco da inventare: meno burocrazia, digitalizzazione, investimenti nella formazione. E invece questi progetti per sfruttare i fondi europei nessuno li ha visti. Siamo al "fidatevi di Conte che ci pensa lui", ma qui si è parlato più di monopattini che di investimenti strategici. Il problema non è l'Europa, siamo noi» sbotta Alessandro Vescovini, presidente della Sbe-Varvit, 700 dipendenti e 220 milioni di fatturato nella meccanica a Monfalcone. Alberto Dal Poz, presidente di Federmeccanica, prova a guardare avanti e sprona le categorie produttive: «Tocca anche agli imprenditori avere il coraggio di innovare: export, internazionalizzazione e condivisione globale del sapere sono elementi che la pandemia ha rafforzato e che serviranno ancora di più nel 2021. È cruciale mettersi al centro di network nazionali e internazionali, il mondo andrà verso una trasformazione digitale sempre più spinta ma non avverrà una trasformazione delle nostre imprese in autonomia. Dobbiamo essere terreno fertile per far attecchire questo cambiamento». Ma da sole, le imprese, non possono fare: «Bisogna ridurre il debito e attivare investimenti efficienti - sostiene il presidente dell'Amma, Stefano Serra -. Serve una grande semplificazione dei processi e, per il Recovery, un piano di dettaglio delle azioni, con iter amministrativi fluidi. L'obiettivo deve essere attirare investimenti e anche favorire il reshoring delle aziende che hanno lasciato il Paese».

Il fallimento della sanità di Lombardia e Veneto tra nomine agli amici e incapacità politiche. Il virus ha travolto nella prima ondata la Lombardia e nella seconda il Veneto che era stata tra le regioni più efficienti. I due sistemi spesso indicati come modello mostrano tutti i loro limiti. Paolo Biondani ed Andrea Tornago su L'Espresso l'08 gennaio 2021. Colonne di ambulanze ferme all'ingresso dei grandi ospedali del nordest, perché per i malati di covid non c'è più posto. Anziani costretti a restare per diversi giorni al pronto soccorso, in corridoi o stanzette di fortuna, perché i reparti attrezzati sono strapieni. Container frigoriferi sistemati nei cortili, perché anche gli obitori sono saturi. Dopo la Lombardia, la seconda ondata della pandemia ha travolto anche il Veneto. Erano due regioni modello, con una sanità pubblica forte ed efficiente, costruita dalla generazione dei nostri genitori e nonni, in un'Italia uscita distrutta dalla seconda guerra mondiale: gli stessi che, dopo decenni di lavoro e sacrifici, ora muoiono a decine di migliaia, in solitudine, falciati dal coronavirus. E traditi da disastrose gestioni politiche della pandemia. La Lombardia è ancora prigioniera dell'emergenza esplosa nella prima ondata, che sembra aver insegnato poco o niente. Tra febbraio e giugno 2020 questa regione ha registrato il più alto tasso di mortalità e quasi metà del totale nazionale delle vittime. Un bilancio così tragico avrebbe dovuto innescare contromisure rigorose nei mesi della tregua estiva. Invece i dati della seconda ondata, documentano un altro disastro: la Lombardia rimane il grande malato, con oltre un quarto dei decessi per covid accertati da ottobre ad oggi. Mentre l'assessore Giulio Gallera continua a collezionare figuracce: dalla gaffe sull'indice di trasmissione del virus («Se è 0,50, per infettarmi devo incontrare nello stesso momento due contagiati») alla corsetta con gli amici violando il divieto di sconfinamento, fino alla fallimentare campagna acquisti dei vaccini contro la normale influenza.

Quante morti ci è costato puntare sulla sanità privata e danneggiare quella pubblica. Per rispettare i parametri europei, molti Stati hanno tagliato le spese sanitarie incentivando invece le strutture private. In Italia si sono persi il 13 per cento dei posti letto per le cure urgenti dal 2010 al 2015. Ecco cosa emerge dallo studio della ong Corporate Europe Observatory, che monitora le azioni delle lobby di Bruxelles. Federica Bianchi su L'Espresso il 27 gennaio 2021. L'eccessiva privatizzazione del mercato della saluta porta morte. La pandemia del Covid-19 lo ha dimostrato senza possibilità di appello, a partire dalla Lombardia, la regione europea dove tutto è cominciato. È questa la sintesi di un rapporto di Corporate Europe Observatory , o Ceo, l'ong europea che indaga sull'operato delle lobby a Bruxelles, e che mette in guardia anche sui tagli alla spesa pubblica che la Commissione europea ha chiesto agli stati negli anni della Grande Crisi e che potrebbe chiedere di nuovo per ripagare i debiti accumulati con la pandemia. «È essenziale che l'Unione europea metta fine alle sue politiche neoliberali che sono sfociate in dannosi tagli dei budget e che hanno messo pressione per privatizzare e commercializzare i sistemi di salute pubblica e di cura degli anziani, indebolendo la risposta europea alla pandemia», dice Oliver Hoedman, il ricercatore responsabile del rapporto. Nella scorsa decade per rispettare i parametri economici imposti dalla Ue, i 27 sono stati spinti a tagliare la spesa pubblica, tra cui le voci relative alla sanità. Su richiesta delle istituzioni europee, in Italia il numero dei letti per le cure urgenti è calato del 13 per cento tra il 2010 e il 2015. Non solo. Mentre a dieci anni dalla Grande crisi l'Italia si ritrovava con un terzo dei letti di prima, la Germania raddoppiava le sue spese in sanità pubblica, trovandosi nel 2020 più preparata all'appuntamento con l'emergenza. Negli stessi anni, parte delle vecchie risorse destinate al pubblico sono state dirottate nel privato che, per definizione, ha come obiettivo non il bene comune ma l'utile. Operando secondo una logica di massimizzazione del profitto, le istituzioni sanitarie private si sono concentrate in servizi con minore rischio e con pazienti paganti, lasciando alle istituzioni pubbliche, sempre più a corto di fondi pubblici, le cure a maggior rischio e i pazienti meno benestanti. L'esempio utilizzato a Bruxelles è oramai quello della regione più ricca d'Italia, la Lombardia. Le immagini dei camion dell'esercito che trasportano le bare sono ancora vivide. Qui, nel giro di un decennio, tra il 2010 e il 2020, le strutture sanitarie private sono passate dal ricevere il 30 percento dei fondi pubblici italiani a oltre il 50 per cento per occuparsi, con i soldi dei contribuenti, dei pazienti privi di assicurazione. Hanno finito per sottrarre alla sanità pubblica quei miliardi indispensabili per la presa in carico dei pazienti al di fuori degli ospedali ma, con l'esplodere del Covid, gli ospedali sono stati per tutti l'unico luogo a cui rivolgersi. Peccato che fossero oramai a corto di letti, finiti nelle cliniche private. In Italia, più in generale, il numero dei letti in terapia acuta (che include l'intensiva) è sceso da 7 per mille abitanti nel 1990 a 2,6 nel 2015. Dei 5300 letti in terapia intensiva disponibili solo 800 erano in ospedali privati, circa il 15 per cento del totale, un numero troppo basso per reagire in caso di emergenza. Così con pazienti Covid e non Covid mescolati insieme, gli ospedali pubblici sono diventati velocemente focolai di infezione, poi trasmessa alle case di cura quando vi hanno inviato i pazienti che non potevano ospitare. Il tutto perché il pubblico aveva abdicato al suo fondamentale ruolo non profit, impossibile per un operatore privato: quello di spendere soldi per prepararsi alle emergenze nella speranza che non accadano mai. A Bruxelles, che oggi parla chiaramente della necessità di creazione di una “sanità europea” senza specificarne però i contorni, una lobby molto potente ma poco nota al di fuori degli esperti ai lavori, l'Unione europea degli ospedali privati (UEHP), da anni chiede alla Commissione di promuovere un mercato interno nel campo della salute, sostenendo che gli ospedali privati siano più efficienti di quelli pubblici. Ma a negare questa asserzione è già un rapporto dell'Ocse del 2019 che sottolinea come, ad esempio, gli Stati Uniti spendano per il loro sistema sanitario, quasi interamente privatizzato, circa il 17 per cento del Pil, quasi il doppio della spesa europea e oltre un terzo di quella della Germania, il Paese europeo che investe di più in sanità. Ovvero: un sistema sanitario privato è più costoso non solo per gli utilizzatori ma anche per gli stati che lo sovvenzionano con risorse pubbliche, nonostante la retorica messa in campo dalle lobby degli ospedali privati soprattutto in questi mesi di pandemia. E non è un caso, sottolinea Ceo, che il secondo Paese inizialmente più colpito dalla pandemia, la Spagna, non fosse preparato a farvi fronte. Tra il 2009 e il 2018, nonostante una crescita dell'8,6 per cento del suo Pil, ha visto la spesa sanitaria tagliata dell'11,2 per cento, con una parte delle risorse dirottate verso il settore privato. Eppure, nonostante il supporto della Commissione europea per i cosiddetti PPP, gli accordi tra pubblico e privato in campo sanitario, già nel 2018 la Corte dei Conti europea aveva pubblicato un rapporto intitolato “Partnership pubbliche e private nella Ue: difetti estesi e benefici limitati”, in cui, considerato lo sperpero di danaro pubblico, suggeriva di cessare la promozione di un maggiore uso di tali accordi di cui la Gran Bretagna è stata pioniera. Lo sguardo è ora rivolto al dopo pandemia, quando gli Stati dovranno tornare a rispettare le regole del budget comune. Un altro giro di tagli ai bilanci della sanità pubblica potrebbe rendere l'Europa completamente inerme di fronte alla prossima emergenza sanitaria. 

Le pressioni sui primari fatte dalla Regione Veneto per screditare Andrea Crisanti. Paolo Biondani ed Andrea Tornago su L'Espresso l'08 gennaio 2021. La lettera contro il professore pubblicata sulla stampa locale è stata una manovra dei vertici regionali, con i medici di Padova «presi per il collo» dalle «alte sfere». Un'inchiesta dell'Espresso svela i retroscena politici della gestione della pandemia nelle zone più colpite, da Milano a Venezia. Andrea CrisantiUn'inchiesta dell'Espresso svela i retroscena politici della gestione dell'emergenza covid nelle regioni più colpite nella prima e nella seconda ondata: Lombardia e Veneto. Nel numero in edicola da domenica 10 gennaio, già disponibile nella versione online, vengono ricostruite con testimonianze e documenti inediti , in particolare, un serie di manovre dei vertici regionali per screditare il professor Andrea Crisanti, l'artefice della massiccia campagna di controlli con i tamponi molecolari organizzata dall'ospedale-università di Padova, che era risultata decisiva per limitare i contagi e il numero di vittime tra febbraio e giugno. Con la tregua estiva, lo scienziato è stato emarginato dalla giunta Zaia, che ha spostato a Treviso e Venezia il coordinamento dei test sul virus. A partire da ottobre, con la seconda ondata della pandemia, il Veneto è diventato la regione italiana con il più alto numero di contagi e morti per covid. Al centro del caso c'è la questione dei test rapidi, il sistema di controllo, diverso dai tamponi molecolari, a cui si è affidato per primo proprio il Veneto, che ha poi coinvolto altre zone d'Italia grazie agli accordi raggiunti nella Conferenza delle regioni presieduta dal governatore emiliano Stefano Bonaccini. Le prime verifiche cliniche, condotte dallo staff di Crisanti nei laboratori di Padova, evidenziano che questi test veloci hanno alti margini di errore: la cosiddetta sensibilità al virus è del 70 per cento, quindi tre positivi su dieci rischiano di passare per negativi. E in un caso su dieci, la falsa negatività riguarda addirittura pazienti con «carica virale molto elevata»: i cosiddetti super-diffusori, cioè persone in grado di far esplodere nuovi focolai, nella erronea convinzione di non essere contagiosi. La verifica, condotta dallo staff di Crisanti con la collaborazione dei responsabili del pronto soccorso e delle malattie infettive dell'ospedale universitario di Padova, viene pubblicata il 21 ottobre. In quel momento è in corso una gara d'appalto da 148 milioni di euro per una maxi-fornitura di test rapidi in sette regioni, con capofila il Veneto, che coinvolge anche Lombardia, Emilia Romagna, Lazio, Piemonte, Friuli Venezia Giulia e Trentino. All'affare è interessata anche una grande multinazionale straniera. Pochi giorni dopo, su un giornale veneto filtra una lettera interna all’ospedale di Padova, indirizzata al direttore Luciano Flor, dove i primari del pronto soccorso, Vito Cianci, e delle malattie infettive, Anna Maria Cattelan, sembrano prendere le distanze dallo studio sui limiti dei test rapidi, sostenendo di non essere «mai stati contattati da Crisanti». Ora l'Espresso ha scoperto i retroscena politici di quella lettera. Che non metteva in dubbio i risultati della ricerca di Crisanti, ma replicava ad accuse di aver violato la privacy dei pazienti o le formalità procedurali di autorizzazione dei test clinici. E non fu spontanea, ma sollecitata «dalle alte sfere» della Regione Veneto, secondo l'espressione utilizzata nei giorni successivi da uno dei due primari, per spiegare l'accaduto ai collaboratori. Anche l'altro primario, parlando con medici che avevano partecipato ai controlli, ha confermato le pressioni dei vertici regionali, con queste testuali parole: «Siamo stati presi per il collo, con tutte le relative possibili minacce sottostanti». Dopo la prima lettera, Cianci e Cattelan avevano anche inviato una seconda comunicazione scritta al direttore dell'ospedale, con la precisazione che la verifica sui test rapidi era avvenuta «nell’ambito di un approfondimento diagnostico in pazienti sintomatici per sospetto covid-19 sulla base di criteri clinici e gestionali». Ma alla stampa veneta è stata passata solo la prima lettera, dove sembrava che Crisanti avesse fatto tutto da solo, utilizzando i dati clinici dei pazienti senza autorizzazione. Già in settembre una direttiva ministeriale firmata dal professor Giovanni Rezza, che è uno dei più importanti scienziati italiani nello specifico settore delle malattie infettive, avvertiva che i test rapidi possono servire a identificare focolai in una massa di persone, ad esempio «in porti, aeroporti o scuole», ma per i singoli individui rischiano di fornire «risultati falso-negativi». Il ministero della Salute e l'Istituto superiore di sanità, quindi, continuano a registrare tra i contagiati solo i pazienti che risultano positivi ai tamponi molecolari. Dopo il caso della lettera, tra i medici veneti è partita una raccolta di firme, promossa dal sindacato Anaao, per contestare il progetto di sostituire i tamponi molecolari con i test rapidi per i controlli sul personale sanitario. L'appello esortava i vertici della Regione Veneto a «non risparmiare sugli “eroi” della prima ondata lasciando subdolamente aperte le porte degli ospedali al virus, mettendo così in pericolo gli operatori sanitari, le loro famiglie, i cittadini». Il 20 novembre scorso anche il Comitato tecnico-scientifico (Cts) della stessa regione, mai interpellato prima, ha preso le distanze dai test rapidi, chiedendo di sottoporre medici e infermieri veneti a «esami molecolari»: almeno uno ogni otto giorni. Tra i firmatari, oltre a Crisanti, spicca il nome dell’infettivologa Cattelan. 

·        Gli Sciacalli razzisti.

Le elemosine hanno sfasciato il Mezzogiorno. Carlo Lottieri il 16 Novembre 2021 su Il Giornale. È un dato preoccupante quello segnalato dall'Inps là dove evidenzia che nel corso del 2021 nel Mezzogiorno si è avuto un raddoppio dei certificati di malattia. È un dato preoccupante quello segnalato dall'Inps là dove evidenzia che nel corso del 2021 nel Mezzogiorno si è avuto un raddoppio dei certificati di malattia. Ovviamente, la questione non è sanitaria, ma culturale e obbliga a interrogarsi su cosa s'è fatto in tutti questi decenni per danneggiare in tal modo il tessuto della società meridionale. È chiaro che questo numero abnorme di assenze dal lavoro per ragioni di salute è da ricondurre a un malcostume, le cui cause sono ben note. L'Italia, in generale, e ancor più il suo Mezzogiorno da troppo tempo disprezzano quella cultura del lavoro che comporta dedizione ai propri compiti e alla parola data. Dove le entrate non sono una conseguenza dell'attività, ma provengono da logiche redistributive, quella che s'impone è la logica dei più furbi. Le virtù borghesi s'affermano, come non si stancava di evidenziare Sergio Ricossa, nelle economie basate sul contratto, sull'impresa privata e sulla concorrenza. Se invece regna l'assistenzialismo, anche gli schemi morali che dovrebbero regolare i comportamenti dei singoli finiscono per essere trasformati e, naturalmente, in peggio. In una società nella quale un reddito può giungere tutti i mesi sul nostro conto corrente anche senza far nulla, si finisce per perdere ogni nesso tra la fatica e il premio, tra il lavoro e il salario. Quasi senza accorgersene, si entra in universo in cui ognuno cerca di vivere parassitariamente rispetto al prossimo, adottando ogni genere di imbroglio e malizia. Come spesso si evidenzia (ma mai a sufficienza!), il costo più oneroso del reddito di cittadinanza non è di carattere economico, ma invece sociale e culturale. E in fondo questa è solo l'ultima di una lunga serie di misure politiche che hanno guardato al Sud come a un semplice serbatoio elettorale: un vasto spazio nel quale distribuire favori (spesso di modesta entità) scollegati da quella capacità di fare e intraprendere che, invece, è condizione fondamentale per un vero sviluppo. Anni e anni di elemosine statali non hanno aiutato il Mezzogiorno, ma invece l'hanno corrotto in profondità. Ne discende che oggi il Sud ha bisogno di accantonare tutto questo, perché una nuova cultura della responsabilità può affermarsi soltanto se le nuove generazioni saranno chiamate ad affrontare nel bene e nel male tutti i rischi e tutte le opportunità del mercato. Carlo Lottieri

SPESA STORICA GHIGLIOTTINA SUL FUTURO DELLA SCUOLA E DEI RAGAZZI DEL SUD. Al Sud l’82% dei Comuni ha una spesa storica per l’istruzione inferiore del 30,89% rispetto a quella standard: ricevono cioè dallo Stato meno del necessario per garantire un servizio decente. Il Nord può invece permettersi di spendere più di quello di cui avrebbe bisogno perché ha avuto più risorse per almeno 15 anni. Vincenzo Damiani su Il Quotidiano del Sud il 16 novembre 2021. Al Sud l’82% dei Comuni ha una spesa storica per l’istruzione che è nettamente inferiore rispetto a quella standard: vuol dire che i sindaci ricevono dallo Stato meno soldi di quelli che sarebbero realmente necessari per garantire un servizio degno di questo nome. La situazione è diversa al Centro, dove oltre la metà degli enti, il 52%, registra una spesa storica superiore a quella standard e lo stesso vale per i Comuni del Nord-Est (51%) e, in misura minore, per quelli del Nord-Ovest (45%).

IL RAPPORTO

È quanto emerge da un nuovo report della fondazione Openpolis e Sose: il sistema italiano di federalismo fiscale, attraverso Sose, si occupa di stimare il fabbisogno finanziario di cui necessitano tutti i Comuni delle Regioni a statuto ordinario per offrire i servizi legati all’istruzione. Un calcolo che concorre a determinare la distribuzione delle risorse perequative del fondo di solidarietà comunale. «La maggior parte (3.929, cioè il 61%) dei Comuni italiani delle Regioni a statuto ordinario registra – si legge nel report – per la funzione istruzione una spesa storica inferiore a quella standard. In questo caso parliamo di enti che, o sono particolarmente efficienti nell’offrire ai cittadini i servizi legati all’istruzione, oppure scelgono di destinare più fondi a un’altra funzione rispetto a questa, o ancora hanno scarse risorse e quindi non riescono a spendere a sufficienza per garantire un livello di servizi adeguato». A soffrire maggiormente, poi, sono i Comuni più piccoli, infatti nei centri inclusi nelle fasce 60mila-99mila e oltre 100mila abitanti la spesa storica supera quella standard.

IL GAP SPESA STORICA

«Una condizione, quest’ultima, che può dipendere da una scelta delle amministrazioni di investire più risorse di quelle stimate, per ampliare l’offerta di servizi ai cittadini. Un’ipotesi che trova riscontro, per esempio, nei dati relativi alla superficie degli edifici scolastici comunali e statali. Se per i Comuni con oltre 60mila abitanti parliamo di oltre 13 metri quadri per abitante, per i territori con meno di 500 residenti il dato cala a 4 mq pro capite», scrive Openpolis. Così, mentre Napoli ha una spesa storica per l’istruzione di 78,24 euro e una spesa standard di 86,61 euro, Bologna ha una spesa storica di 189.36 euro e una spesa standard di appena 118.52 euro. E ancora: Bari presenta una spesa storica di 64.13 euro e una spesa standard di 74.8 euro; Firenze ha una spesa storica di 133.96 euro e una standard di 104.54 euro. Al Nord possono permettersi di spendere più di quello di cui realmente avrebbero bisogno, perché hanno potuto usufruire di maggiori risorse per almeno 15 anni. Al Sud, invece, i sindaci devono fare i salti mortali e ricevono meno soldi di quanti ne sarebbero necessari. Sino a quando non verrà superato definitivamente il criterio della spesa storica per la ripartizione dei fondi nazionali, la sperequazione non avrà fine e il Mezzogiorno continuerà ad ottenere meno risorse rispetto al Nord ma anche rispetto alle reali esigenze.

CONTI IN ROSSO

D’altronde, basti pensare che la Regione Puglia, nel 2016, per garantire ai 4 milioni di cittadini i servizi di istruzione, asili nido, polizia locale, pubblica amministrazione, viabilità e rifiuti, ha potuto spendere 2,22 miliardi ma avrebbe avuto bisogno di 2,32 miliardi, circa 100 milioni in più. In sostanza, la Puglia – avendo ottenuto trasferimenti statali inferiori rispetto al reale fabbisogno finanziario – ha dovuto stringere la cinghia, mentre il Piemonte nonostante un fabbisogno reale di 2,74 miliardi ne ha spesi 2,81, cioè 70 milioni in più. Le Regioni del Mezzogiorno, nel 2016, per tutti i servizi elencati hanno sopportato un costo complessivo di 7,90 miliardi (spesa storica), ma avrebbero avuto bisogno, secondo i calcoli di OpenCivitas, di almeno 8,18 miliardi (spesa standard), uno scarto negativo del 3,43%. Le Regioni del Nord, al contrario, hanno investito complessivamente 16,42 miliardi, nonostante il fabbisogno reale fosse di 15,23 miliardi: hanno speso di più avendo ricevuto più soldi da Roma. Se prendiamo in considerazione solamente il capitolo “istruzione”, le Regioni del Sud registrano uno scarto negativo tra spesa storica e spesa standard del 30,89%. Diversamente, il Nord ha potuto investire il 9% in più rispetto al reale fabbisogno.

Il Pnrr si è fermato a Eboli: progetti sbagliati e incertezze allargano il divario tra Nord e Sud. Reti idriche, asili, porti, assunzioni: i primi bandi non consentono al Meridione di recuperare il gap con il resto del Paese. E la soglia del 40 per cento, anche se sarà rispettata, non tiene conto di popolazione, Pil e disoccupati. Antonio Fraschilla su L'Espresso il 25 ottobre 2021. Il divario nord-sud è cresciuto negli anni difficili della pandemia e continua a crescere ogni giorno che passa. Ma questa frattura tra le due aree del Paese rischia di diventare ancora più profonda, per paradosso, dopo la piena attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Un piano che stanzia oltre 220 miliardi di euro, soldi concessi dall’Europa proprio per ridurre le distanze tra questi due pezzi d’Italia, considerando che nessun altro Stato dell’Ue ha al suo interno livelli così diversi di crescita come il nostro Paese. I primi bandi del Pnrr, e le prime graduatorie con distribuzione delle risorse, premiano però ancora chi alcuni livelli di assistenza e di servizi li ha già. Il dibattito politico nelle ultime settimane si è concentrato solo su due aspetti: la carenza di tecnici ed esperti negli enti pubblici delle regioni meridionali per presentare progetti adeguati ad attrarre le risorse del Piano, e la soglia minima del 40 per cento delle risorse cosiddette «territorializzate» che devono essere destinate alle aree che vanno dalla Campania alla Sicilia. Su entrambi gli aspetti il governo Draghi ha offerto le più ampie rassicurazioni. Il ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta ha avviato la selezione degli esperti da affiancare alle amministrazioni meridionali e la ministra del Mezzogiorno, Mara Carfagna, ha chiesto e ottenuto che in Parlamento passasse un suo emendamento per fissare al 40 per cento la soglia minima delle risorse che devono andare alle regioni più svantaggiate, in totale 82 miliardi di euro. Ma tra le promesse e l’avvio dei primi bandi qualcosa non torna e cresce la protesta degli amministratori meridionali. 

I PRIMI BANDI DEL PIANO

Agli onori della cronaca è arrivato recentemente il caso Sicilia: nessuno dei progetti per migliorare le condotte irrigue per agricoltura e imprese è stato finanziato per errori nella documentazione consegnata a Roma. Ma il vero problema è che degli 1,6 miliardi di euro messi a gara, solo 475 milioni (il 29 per cento del totale) è stato destinato a regioni del Sud. Al centro e al nord sono andati 1,1 miliardi di euro.

In Sicilia quasi il 50 per cento dell’acqua si perde perché le condotte sono vecchie e bucate in più parti, percentuali simili si registrano in Calabria (41 per cento) e Campania (46 per cento), mentre il record negativo di acqua che si disperde va alla Basilicata con il 56 per cento e alla Sardegna con il 55. Al Nord, la dispersione delle reti idriche è inferiore della metà: in Lombardia è del 28 per cento, in Emilia Romagna del 30 per cento, come in Liguria. Conti alla mano, per recuperare il gap e raggiungere livelli simili al Mezzogiorno occorrerebbe ben più del 40 per cento delle risorse: sul bando da 1,6 miliardi, però, Basilicata, Calabria, Sardegna, Campania e Puglia hanno avuto ammessi progetti per 475 milioni, il 29 per cento del totale. La Lombardia ha avuto finanziati progetti per 197 milioni, il Piemonte per 159 milioni, la Campania si è fermata a 168 milioni, Puglia e Sardegna sono arrivate a meno di 3 milioni. Non è andata meglio sugli asili nido e il bando da 700 milioni di euro ha visto decine di Comuni meridionali restare fuori dai finanziamenti. Qui il 58 per cento delle risorse è andato agli enti locali meridionali, con i Comuni della Campania che hanno attratto risorse per 138 milioni, seguiti da quelli della Lombardia che hanno ottenuto 58 milioni e della Sicilia arrivati a quota 56 milioni. Il divario nord-sud però così non si ridurrà, considerando che su 100 bambini in Sicilia solo 12 trovano posto in asili nido pubblici e privati, in Campania e Calabria 10 bambini, in Puglia 18, mentre in Valle d’Aosta i bambini che trovano risposta per servizi di nido sono 44, in Lombardia 31, in Piemonte 30, in Toscana ed Emilia Romagna 40 (dati Openpolis). Discorso analogo accadrà anche per un altro bando finanziato con il Pnrr, quello destinato all’assunzione di assistenti sociali: alcuni criteri premieranno i Comuni che già hanno un buon numero di assistenti sociali e chi non ha questa rete non avrà alcun fondo in più per ridurre i divari. Un’altra ripartizione delle risorse già conclusa è quella sui grandi porti commerciali. Il Pnrr varato dal governo Draghi ha fatto solo una fotografia dello status quo. Secondo i dati del ministero delle Infrastrutture, tra fondi già stanziati e Pnrr per la portualità, nei prossimi cinque anni saranno investiti 3,3 miliardi di euro e, assicurano, il 43 per cento andrà ai porti del Mezzogiorno. Ma già solo questa cifra non rispecchia nemmeno il traffico merci attuale, visto che il 47 per cento transita negli scali portuali da Napoli in giù. Tra fondi per progetti e infrastrutture di certo c’è che solo i porti di Genova e Trieste riceveranno un miliardo di euro, molto di più degli scali di Napoli, Gioia Tauro, Augusta o Palermo. Qualcosa non torna perfino nella distribuzione territoriale degli esperti assunti a tempo determinato per aiutare le amministrazioni pubbliche in difficoltà nel presentare i progetti finanziati con il Piano Ue. Dei mille giovani tecnici chiamati in servizio, per una spesa di 320 milioni di euro, secondo la bozza del Dpcm, chi ne riceverà di più è la Lombardia con 131 assunti, seguono Campania e Lazio con 101 e 87, mentre l’Emilia Romagna ne avrà 64, qualche unità in meno della Puglia. La Calabria ne avrà 40, la Toscana 52 e il Piemonte 62. Ma non si dovevano aiutare gli enti pubblici senza personale? 

L’ALLARME DI SINDACI ED ESPERTI

Il professore dell’Università di Bari Gianfranco Viesti, esperto di società ed economia meridionale, non è molto sorpreso da questo avvio di attuazione del Pnrr e non ha molta speranza in una vera riduzione dei divari grazie a questo fiume di denaro in arrivo da Bruxelles: «Anche prendendo per buona la cifra di 82 miliardi di risorse che andranno davvero al Mezzogiorno, la vera domanda è: quanti di questi soldi rappresentano concretamente nuovi investimenti? Sulle infrastrutture abbiamo assistito a una partita di giro, con opere finanziate da tempo con fondi statali ai quali adesso sono subentrati i soldi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Conti alla mano, studiando le poche cifre certe del documento sul Pnrr consegnato in Parlamento e a Bruxelles, solo 35 miliardi di risorse aggiuntive andranno al Mezzogiorno. Il resto è un grande punto interrogativo. Ma anche dando per certa la soglia del 40 per cento, questa non basta certo ad avvicinare i livelli dei sevizi nelle regioni del sud alla media nazionale. Per gli asili nido, al Mezzogiorno dovrebbero andare il 70 per cento delle risorse, solo così Reggio Calabria potrebbe avvicinarsi a Reggio Emilia: oggi la prima città ha 3 asili nido, la seconda 60. C’è poi il grande tema della burocrazia: è evidente che considerando il poco tempo per realizzare i progetti il sistema burocratico del Sud non può competere. Occorrono misure speciali e immediate per aiutare la macchina degli enti locali». Proprio quello della burocrazia è il tema che preoccupa di più i sindaci. Cinquecento amministratori meridionali si sono riuniti in una grande rete, tra questi il primo cittadino di Acquaviva in Puglia, Davide Carlucci: «Abbiamo creato un'alleanza tra sindaci di tutto il Sud. L'occasione è stata proprio il Pnrr: non vorremmo che fosse l'ennesimo treno perso per eliminare il divario con il resto d'Italia, che invece negli ultimi anni è cresciuto. La soglia del 40 per cento sembra un'enormità, è in realtà un tradimento delle indicazioni che ha dato l'Unione Europea stanziando i fondi in base alla popolazione, al Pil pro capite e al tasso di disoccupazione degli ultimi cinque anni. Se si fossero utilizzati questi parametri anche nella distribuzione delle risorse all'interno della nostra nazione, al Mezzogiorno sarebbe dovuto andare il 68 per cento. La Lombardia, così, otterrà 35 miliardi di euro, quasi la stessa somma della Francia che ha gli stessi indicatori economici ma una popolazione sei volte superiore, mentre la Calabria, terza regione più povera d'Europa, ne avrà solo 9,5. Inoltre sebbene il presidente del Consiglio Draghi abbia a più riprese sottolineato la necessità di rafforzare la pubblica amministrazione, nulla di concreto è stato fatto. Oggi Bassano del Grappa, di 43mila abitanti, può contare su 256 dipendenti a tempo indeterminato, mentre Corato, 48mila abitanti, ha 128 unità, la metà». Carlo Marino, presidente dell’Anci Campania, aggiunge: «Dal governo ci attendiamo tre cose: mettere i Comuni al centro della spesa e dare loro delle procedure semplificate; un piano straordinario di assunzioni che destini ai Comuni meridionali 5 mila giovani progettisti; garantire senza trucchi che il 40 per cento delle risorse resti al Sud. Punti sui quali, a partire dall’ultimo, siamo pronti a dare battaglia». Dall’Unione europea intanto si dicono preoccupati per la distribuzione reale delle risorse del Piano in Italia. Dolors Montserrat, presidente della Commissione per le petizioni, ha dichiarato «ricevibile» una istanza di verifica sulla spesa dei fondi Ue fatta dai sindaci del Sud. Una istanza che chiede un costante monitoraggio all’Ue sull’impiego delle risorse del Piano.  Montserrat nella lettera di risposta ha aggiunto: «Ho chiesto alla Commissione europea di condurre un'indagine preliminare sulla questione». I primi bandi del Pnrr sono già più di un campanello d’allarme.

L’allarme dell’Istituto Tagliacarne e di Unioncamere. Metà della ricchezza italiana in venti province, nessuna è al Sud. Andrea Esposito su Il Riformista il 9 Ottobre 2021. Nelle prime venti province italiane si concentra più della metà della ricchezza prodotta in Italia. E tra quelle non ce n’è una del Sud. Bisogna scorrere fino alla quarantesima posizione della graduatoria – guidata, manco a dirlo, da Milano – per trovarne una leggermente più giù di Roma. Ed è quella di Cagliari, certo non quella di Napoli che è soltanto 83esima, preceduta da Palermo e seguita da Salerno. Segno che il gap tra il Nord e il Sud del Paese aumenta, nonostante il Mezzogiorno abbia per certi versi retto meglio all’urto della pandemia. Ecco la drammatica fotografia scattata dal Centro Studi Tagliacarne e da Unioncamere attraverso un report dedicato agli effetti del Covid sul valore aggiunto prodotto nelle aree metropolitane italiane. Il primo dato che balza all’occhio è la differente velocità alla quale viaggiano i vari territori italiani. A Roma e a Milano e dintorni, per esempio, si produce il 19,7% della ricchezza dell’intero Paese: un dato addirittura in aumento di due punti percentuali rispetto al 2000. Ma il capoluogo lombardo si conferma leader anche nella classifica provinciale per valore aggiunto pro capite con 47.495 euro e stacca la capitale addirittura di sette posizioni. La provincia più “vicina” a Milano è quella di Bolzano, lontana addirittura di 21 punti percentuali: uno scarto mai così alto dal 2012. Insomma, Milano vola rispetto al resto d’Italia nonostante l’impatto della pandemia sia stato più sensibile nelle province del Nord, dove si concentrano le aree a maggiore vocazione industriale e le imprese con meno di 50 addetti che, soprattutto nei settori della moda e della cultura, sono risultate le più penalizzate dalla crisi. Qui il valore aggiunto è calato del 7,4%, mentre al Sud la flessione è stata del 6,4: danni limitati grazie alla più consistente presenza pubblica nell’economia e alla massiccia presenza di imprese attive nei settori della green e blue economy, per certi versi meno colpiti dal Covid. «La crisi non ha risparmiato nessuna provincia – spiega Andrea Prete, presidente di Unioncamere – ma al Sud gli effetti sono stati più limitati grazie ai provvedimenti messi in campo dal Governo nazionale e dalla tenacia delle imprese». Ma come si sono comportate le province della Campania? Quella di Napoli ha perso il 6,9% di valore aggiunto, cioè meno di quelle di Caserta (-9,2%) e di Avellino (-8,2%), ma nettamente di più rispetto a quella di Benevento (-3,3% grazie alla consistente presenza del settore pubblico nell’economia locale) e di quelle di Milano e di Roma (rispettivamente -5,6 e -6,6%). In Campania come nelle altre province meridionali, dunque, «la crisi ha agito su un’area già provata economicamente e socialmente in termini di reddito pro capite e di incidenza delle situazioni di povertà». Ora, ovviamente, si tratta di rimettere in moto il sistema economico. E, soprattutto, di ridurre quelle diseguaglianze che il Covid ha reso ancora più evidenti. Lo strumento c’è ed è il Piano nazionale di ripresa e resilienza nell’ambito del quale la Campania vede ora finanziati i primi nove progetti. Poca roba, se si considera la consistenza del gap in termini di servizi e infrastrutture che allontana sempre di più i territori dell’Italia meridionale da quelli dell’Italia settentrionale e dal resto d’Europa. Una situazione che associazioni come la Svimez hanno denunciato a più riprese sottolineando la necessità di abbandonare una volta per tutte l’idea del Nord come unica “locomotiva” dell’economia nazionale e di considerare il Sud come “secondo motore” dello sviluppo del Paese. La politica sembra avere recepito il messaggio: ieri il ministro Enrico Giovannini ha precisato che il 56% dei 62 miliardi da investire in infrastrutture e mobilità sostenibile andrà al Mezzogiorno. Stesso discorso per il decreto per la rigenerazione urbana che vale quasi tre miliardi per 159 progetti destinati a migliorare la qualità della vita nelle città meridionali senza consumare suolo. «Ora l’importante è avviare le iniziative del Pnrr – conclude Prete – Non c’è un minuto da perdere». Andrea Esposito

Autonomia differenziata, il cadavere riesumato da un blitz della Lega. Un disegno di legge per attuare il regionalismo differenziato collegato alla legge di bilancio. Il piano B del Carroccio in caso di flop elettorale: tornare al Federalismo padano. Claudio Marincola su Il Quotidiano del Sud l'1 ottobre 2021. Accompagnata all’uscita dalla porta principale, l’autonomia differenziata è pronta a rientrare dalla finestra. Con il solito blitz leghista è riapparsa sotto forma di disegno di legge, un collegato alla nota di aggiornamento al Def. Un fantasma pronto a riprendere forma tutte le volte che il fanatismo elettorale lo richiede. Ma questa volta sotto le sembianza del “federalismo spinto” ci potrebbe essere dell’altro. La scappatoia esistenziale di una parte del Carroccio. Le bandiera del popolo padano sono rimaste negli armadi, basterebbe spolverarle e riportarle in piazza per tornare alle origini. Il blitz è stato ispirato dai soliti governatori oltranzisti, il lombardo Attilio Fontana e il veneto Luca Zaia e con la benedizione di Giancarlo Giorgetti. Una rete di protezione in vista del possibile flop alle amministrative. Il dopo Salvini insomma è già cominciato. Se il sogno di una Lega sparsa su tutto il territorio nazionale sfuma, come dicono i sondaggi, si torna all’antico. Salvini, dicono le malelingue, si è esposto nella difesa del suo ex digital-guru Luca Morisi per non lavare i “panni sporchi”. La caduta dal podio è vicina. Ed ecco allora rispuntare il vecchio disegno, i confini segnati dal sacro fiume Po, l’occhio strizzato agli elettori delle regioni del Nord, la resurrezione del bossismo, come raccontato da questo giornale qualche giorno fa.

FEDERALISMO AD OROLOGERIA

La riesumazione dell’autonomia differenziata, dunque, come effetto collaterale. La Lega che si slega. Ed ecco che, depotenziato dalla crisi sanitaria, logorato dal protagonismo dei governatori, il federalismo ad orologeria si materializza nella sua forma più estremista. La versione già bocciata del primo governo Conte. L’interpretazione più talebana dei criteri di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione. Un nuovo assetto federale per regolare il rapporto economico-finanziario tra lo Stato e le autonomie territoriali. Che vuol dire superamento del sistema di finanza derivata, maggiore autonomia di entrata e di spesa agli enti decentrati. E al diavolo i princìpi di solidarietà, riequilibrio territoriale e coesione sociale che dovrebbero guidare tutte le scelte del PNNR secondo i dettami Ue. Non c’è da stupirsi se ancora una volta l’attenzione dei governatori e della Lega – ma non solo – riguarda la parte economico-finanziaria dell’autonomia differenziata. La legge n. 42/2009 ha introdotto il principio di territorialità per regolare l modalità di attribuzione alle Regioni del gettito dei tributi regionali e delle compartecipazioni al gettito. Ed è questo che fa gola, la possibilità di tener conto del luogo di consumo, localizzazione dei cespiti, prestazione del lavoro, residenza del percettore. In una parola la fiscalità regionale, ovvero la fiscalizzazione dei trasferimenti statali alle Regioni e alle Province. Attuare il federalismo per i leghisti di ieri e di oggi – detto in soldoni – ha sempre voluto dire questo: incassare i dané e tenerseli in cassaforte considerando propri anche quelli destinati alla perequazione. Da qui la richiesta di rideterminare l’aliquota dell’addizionale regionale Irpef per garantire alle Regioni a statuto ordinario entrate corrispondenti ai trasferimenti statali soppressi. Ciò che prima ti veniva passato per trasferimento dallo Stato si può trattenere a monte. A pensarci bene non è molto diverso dal principio declinato in ambito sanitario con il decreto legislativo n. 68 del 2011. E i risultati sono, purtroppo, sotto gli occhi di tutti; disparità di trattamento, disuguaglianza, assenza di medicina territoriale, ospedali tagliati, trattamenti economici differenziati, migrazione sanitaria, viaggi della speranza etc, etc. Da giorno in cui la Lega ha iniziato a cavalcare quella che doveva essere la tigre dell’autonomia poco o niente s’è fatto. Arranca la determinazione dei fabbisogni standard, indicatori tratti da una banca dati, informazioni che provengono dal territorio per costruire un meccanismo perequativo. Non si riesce a dare forma e contenuto ai Lep, i livelli essenziali delle prestazioni previsti dal Pnrr: per farlo bisognerà aspettare almeno fino al 2026. In compenso, come se nulla fosse, si torna a parlare del luminoso destino che attenderebbe le regioni del Nord pronte ad affrancarsi dal centralismo cristallizzante. Il solito tormentone, la solitaria accelerazione di un partito in crisi di identità. Il ritorno a scoppio ritardato di un modello che lo stesso Salvini aveva riposto nel guardaroba tra gli abiti dismessi. Indumenti logori, lisi, già usati. Le iniziative assunte ormai vari anni fa, in un altro clima politico e sociale, in un’altra Italia, da alcune Regioni, in particolare Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna spacciate per atti di fondazione. Referendum-farsa ai sensi dell’articolo 116, comma 3, della Costituzione.

COME FINIRÀ?

In passato blitz di questo tipo si sono conclusi con un nulla di fatto. E così dovrebbe essere anche questa volta. Tanto più che una bocciatura netta al disegno leghista è arrivata anche dagli esperti nominati dalla ministra agli Affari regionali, Mariastella Gelmini. Una commissione di docenti, giuristi e tecnici che ha giudicato il passaggio di alcune competenze, come ad esempio l’istruzione, impraticabile. Anche perché l’impianto generale scelto per il riconoscimento dell’autonomia differenziata dovrà essere uguale per tutti. E invece i percorsi per arrivare all’autonomia sono molto diversi fra loro.

RISPOLVERATE LE PRE-INTESE

Nella scorsa legislatura furono firmati tre accordi separati. In realtà pre-intese senza alcun valore giuridico dall’allora segretario Gianclaudio Bressa, esponente del partito democratico. Una strada diversa è stata invece quella scelta dall’ex ministro agli Affari regionali, anche lui dem, Francesco Boccia, un sistema di legge quadro, la definizione di un perimetro entro il quale declinare le varie forme di autonomia. Poi la Pandemia ha smontato tutto, messo a nudo le crepe, smascherato gli egocentrismi, i personalismi gli sprechi e le inefficienze proprio delle regioni e dei governatori che più di altri agitavano il vessillo dell’autonomia.

LO SCONTRO CON FICO

Fin qui il passato e anche il presente, con l’ultima recente riesumazione ad uso interno leghista. Con il sospetto che questa volta intorno al tema del federalismo si possa costruire una sorta di alleanza. L’asse Giorgetti-Gelmini è cosa fatta (e non promette nulla di buono). Vorrebbe saldarsi con un fronte moderato al quale si sta avvicinando sempre di più Luigi Di Maio, il ministro sempre più stressato dai conflitti del M5S, sempre più insofferente all’alleanza con il Pd. Lo scontro con Roberto Fico a Napoli, il sostegno ai “propri” candidati lo tiene molto più occupato delle questioni internazionali, uno scontro che va oltre l’orizzonte stretto delle prossime elezioni amministrative. Il regionalismo differenziato potrebbe essere contropartita per un accordo più ampio che taglierebbe fuori Giuseppe Conte. Il regionalismo differenziato come contropartita. Un negoziato scellerato sulla pelle del Mezzogiorno.

Gli scienziati calabresi trovano l’arma naturale contro il covid. Una ricerca Unical e Cnr-Nanotec, in collaborazione con gli spagnoli: l’eugenolo è al momento l’antivirale più potente tra quelli conosciuti. Fabrizia Flavia Sernia  su Il Quotidiano del Sud il 17 ottobre 2021. UN composto di origine naturale, l’eugenolo, si è rivelato un potenziale antivirale contro il Covid-19. È il risultato di una collaborazione fra gli scienziati della Calabria e quelli spagnoli, in particolare fra l’Istituto di nanotecnologia l’Istituto di nanotecnologia del Consiglio nazionale delle ricerche di Rende, Cnr-Nanotec, il Dipartimento di farmacia e scienze della salute e della nutrizione dell’Università della Calabria, l’Istituto spagnolo di biofisica e sistemi complessi dell’Università di Saragozza e, fra gli altri, l’Istituto di Investigazione Sanitaria (IIS) di Aragona. La ricerca, pubblicata su Pharmaceuticals, ha mostrato che la piccola molecola di questo composto naturale inibisce la proteina 3CLpro del virus SARS-CoV-2, fondamentale per la sua replicazione e apre la strada a nuove prospettive di studio e approfondimenti.

Sforzi ancora impegnativi per i nuovi farmaci anti-Covid

Con la pandemia da Covid-19, si legge nell’abstract, “sono stati avviati sforzi altamente collaborativi per affrontare l’emergenza, con l’obiettivo di migliorare l’individuazione delle infezioni, tracciare l’insorgenza di contatti potenzialmente contagiosi, regolare le terapie mediche preesistenti, sviluppare vaccini per la prevenzione e anticorpi monoclonali per il trattamento precoce e identificare nuovi farmaci contro questa infezione virale. Sfortunatamente, scoprire specifici composti antivirali contro SARS-CoV-2 è ancora impegnativo. Attualmente, solo il farmaco ad ampio spettro Remdesivir è stato approvato nonostante la sua attività relativamente bassa”. Poiché 3CLpro è “essenziale per la replicazione virale”, si rende “un bersaglio interessante, per lo sviluppo di farmaci. La maggior parte degli sforzi per sviluppare un farmaco antivirale specifico per SARS-CoV-2 mirano a inibire questa proteina 3CLpro, grazie al suo ruolo chiave nella replicazione del virus”.  Lo conferma Bruno Rizzuti, ricercatore del Cnr-Nanotec di Rende e primo autore del lavoro. “I composti di origine naturale sono un possibile punto di partenza e spesso presentano alcuni vantaggi: struttura molecolare semplice e facilmente modificabile, assenza di brevetti, facile reperibilità e basso costo”, spiega, aggiungendo che il lavoro “Sub-micromolar inhibition of SARS-CoV-2 3CLpro by natural compounds”, pubblicato sulla rivista Pharmaceuticals si colloca in questo filone di ricerca.

“Il nostro team di ricerca – aggiunge Rizzuti – aveva già condotto studi sulla quercetina come molecola da utilizzare contro il COVID-19. I risultati del nuovo lavoro hanno mostrato che l’eugenolo, una piccola molecola naturale, è in grado di bloccare l’attività enzimatica della proteina 3CLpro, la proteina più importante utilizzata per la replicazione virale”. “Quando abbiamo visto che l’eugenolo era attivo contro il Coronavirus – spiega ancora il primo autore –, ci siamo chiesti se si trattasse di un unicum. Consultando la letteratura, abbiamo appreso che una sua attività antivirale debole, ma misurabile, era riportata nei confronti di altri virus. Nulla faceva presagire che tale attività fosse viceversa così evidente nei confronti del Sars-Cov-2”.

È il più potente composto naturale contro Sars-Cov-2

“L’eugenolo, rispetto alla quercetina – conclude Rizzuti –, è attivo ad una concentrazione circa dieci volte inferiore. Si tratta del composto non-sintetico più potente trovato finora contro il virus SARS-CoV-2, anche se sono necessari altri studi per migliorarlo”. L’eugenolo è il costituente principale dell’olio essenziale di diverse piante aromatiche, principalmente dei chiodi di garofano ed è “comunemente utilizzato come disinfettante locale in odontoiatria”, spiega Filomena Conforti, professore associato al Dipartimento di Farmacia, Salute e Scienze della Nutrizione dell’Università della Calabria, a Rende, e coautrice del lavoro. “È quindi presumibile, aggiunge la ricercatrice, “che possa essere usato come antisettico della mucosa orale contro il coronavirus. Così come altre molecole a cui siamo esposti in natura, ha una buona tollerabilità nell’uomo e speriamo che si possano potenziare le sue proprietà come antivirale. Il fatto che si tratti di una sostanza di estrazione vegetale è solitamente accolto con favore dal grande pubblico che, a torto o a ragione, tende a fidarsi più facilmente dei rimedi di origine naturale”.

Come l’eugenolo, altre potenti armi naturali anti-Covid

I risultati complessivi presentati nel lavoro, si legge nelle Conclusioni, indicano che la proprietà dell’eugenolo di essere “un potente inibitore di questa proteina” è “in comune con l’estragolo (anche se con potenza inferiore) e meno pronunciata per l’anetolo”. Questi risultati, scrivono gli autori, “forniscono quindi indicazioni che le sostanze naturali possono essere utilizzate direttamente contro COVID-19, in condizioni o formulazioni appropriate”. Bisogna tuttavia ricordare, spiega ancora Rizzuti, che queste sostanze non sono ottimizzate in natura per combattere il Covid 19: accade per caso che siano attive contro la replicazione virale”. Un aspetto su cui interviene Fedora Grande, ricercatrice dell’Università della Calabria. “Questa molecola appare particolarmente efficace nel bloccare la proteasi principale 3CLpro ( la proteina più importante nella replicazione virale, ndr) del coronavirus. Abbiamo anche testato altri fitocomposti della stessa famiglia, in particolare estragolo e anetolo, presenti in basilico, finocchio e anice. Nonostante siano meno attivi dell’eugenolo, mostrano anch’essi promettenti proprietà inibitorie. Questo ci fornisce indicazioni sulle potenziali modificazioni che potrebbero essere apportate sulla struttura chimica comune tra queste molecole per migliorarne l’attività antivirale. Inoltre, queste molecole sono talmente piccole da poter essere considerate dei ‘frammenti chimici’ utili per essere modificate al fine di ottimizzarne le proprietà”.

Sviluppi di un possibile farmaco

Sui futuri sviluppi, i ricercatori osservano che occorrerà studiare, “come accade con qualsiasi farmaco da sviluppare”, alcune potenziali limitazioni, derivanti principalmente dalle espressioni di questi composti, una volta somministrati – cioè proprietà di assorbimento-distribuzione-metabolismo-escrezione – utili a determinare “la loro biodisponibilità e la loro concentrazione efficace per inibire la replicazione virale”. Le “opportune vie di formulazione e somministrazione saranno pertanto fondamentali per il successo terapeutico”. Ma indipendentemente da ciò, i risultati riportati nel lavoro “possono rappresentare una pietra miliare verso la scoperta di altri composti naturali con proprietà più favorevoli”.

I Comuni più indebitati sono al Sud ma gli aiuti di Stato volano al Nord. Vincenzo Damiani u Il Quotidiano del Sud il 23 giugno 2021. I Comuni del Sud sono in difficoltà nel far quadrare i conti e sono i più indebitati. Ma gli aiuti per superare la crisi generata dal Covid si sono concentrati soprattutto al Nord. È quanto emerge dall’indagine della sezione delle Autonomie della Corte dei conti che ha approvato la “Relazione sulla gestione finanziaria di Comuni, Province, Città metropolitane per gli esercizi 2019-2020”. Complessivamente, attraverso l’analisi della gestione di cassa dei Comuni «si è rilevato – si legge nel report – che nell’esercizio 2020 non si sono manifestate le tensioni temute per effetto della crisi sanitaria in quanto è stato offerto, in via preventiva, un adeguato sostegno alle immediate esigenze di risorse stimate alla luce degli andamenti storici dei flussi delle riscossioni e dei pagamenti».

Ma questo non vale per tutti gli enti locali: i magistrati, infatti, rilevano che «l’indagine condotta sulle procedure di riequilibrio finanziario pluriennale conferma come le criticità finanziarie sono prevalentemente concentrate negli enti del Centro-Sud».

L’INDEBITAMENTO. Come sempre, i numeri descrivono la situazione: nel 2019, il debito pro-capite dei Comuni è molto più elevato al Sud rispetto al resto d’Italia. La Campania è quella messa peggio, con un debito per abitante pari a 2.206 euro, il più alto del Paese e sul quale incide la “vicenda Napoli”. Ma la Calabria non può certo sorridere: il debito pro-capite accumulato dai Comuni è di 2.159 euro. Si tratta delle due regioni più in difficoltà a cui fa da contraltare la Puglia, dove il debito pro-capite nel 2019 era di 951 euro, sotto la media italiana, pari a 1.228 euro. Sopra la media, invece, la Basilicata (1.325 euro). Al Nord, le due regioni più in “sofferenza” sono la Liguria (1.649 euro pro capite) e il Piemonte (1.547 euro), mentre le altre sono tutte sotto la media nazionale: Lombardia (1.060 euro), Veneto (733), Emilia Romagna (758), Toscana (907), Friuli (1.025). «I Comuni (5.558) osservati – si legge nella relazione – presentano complessivamente debiti pari, nel 2018, a 63.790,9 milioni di euro e nel 2019, pari a 62.443,6 milioni di euro, con una riduzione pari a -2,1%. I Comuni più grandi (oltre i 250.000 abitanti) hanno manifestato tra il 2018 e il 2019 una inversione di tendenza rispetto a quanto rilevato nel precedente rapporto, registrando una riduzione dell’indebitamento pari a 320,96 milioni di euro». «Si osservano – precisano i magistrati contabili – significative variazioni sull’indebitamento complessivo tra il 2018 e 2019 in termini percentuali sia per i Comuni della Regione Calabria (133 milioni, + 5,5%), sia per quelli della Regione Lazio (247 milioni + 3,4%) e per importi decisamente inferiori, anche per alcuni Comuni della Sicilia, rispetto alla tendenza delle altre autonomie locali a ridurre l’indebitamento complessivo anche con percentuali importanti, come nel caso dei Comuni della Campania che hanno ridotto del 16,5% il proprio indebitamento per un ammontare complessivo di 217,2 milioni di euro ed i Comuni della Regione Lombardia del 15,5% pari a un ammontare complessivo di 371,3 milioni».

AIUTI PER IL COVID: LA DISTRIBUZIONE. Questa la situazione pre Covid: ora vediamo cosa è successo nel 2020. Il decreto Rilancio ha previsto l’istituzione di un fondo con una dotazione di 3,5 miliardi di euro per l’anno 2020 per assicurare agli enti locali le risorse necessarie per l’espletamento delle funzioni fondamentali. La dotazione è stata successivamente integrata con ulteriori 1,67 miliardi per il 2020, di cui 1,22 miliardi in favore dei Comuni e 450 milioni in favore di Province e Città metropolitane. «Il riparto del fondo – spiega la Corte dei conti – è demandato a un decreto del ministro dell’Interno (di concerto con il ministero dell’Economia e delle finanze e previa intesa in Conferenza Stato Città e Autonomie locali), sulla base degli effetti determinati dall’emergenza Covid-19 sui fabbisogni di spesa e sulle minori entrate». Risultato: «Analizzando i dati pubblicati dal ministero dell’Interno a fine 2020 – evidenziano i magistrati – si evidenzia una netta prevalenza di ristori per presumibile perdita di gettito stimata nei Comuni del Nord Italia (53%) a fronte di una particolare contrazione delle entrate nella zona nord-occidentale, che ha maggiormente risentito degli effetti della crisi sanitaria. In particolare, solo in Lombardia vengono assegnate risorse (con clausola soglia minima e salvaguardia acconti) per un importo totale di circa 880 milioni. Seguono, poi, i Comuni del Lazio con 413 milioni di risorse assegnate e del Veneto con 377 milioni». «Provando ad aggregare i dati secondo l’area di appartenenza dei Comuni – si legge ancora – emerge che la maggior parte delle risorse destinate al ristoro delle entrate è stata destinata agli enti appartenenti alle Regioni del Centro-Nord, come conseguenza delle stime effettuate dalla Ragioneria sulla perdita di gettito riscontrata, attraverso un confronto con l’esercizio precedente. La distribuzione dei ristori per le maggiori spese sostenute a seguito dell’emergenza presenta lievi differenze». I Comuni della Lombardia hanno ricevuto il 20,4% del totale dei ristori per le mancate entrate, segue il Lazio con il 17,3%, Toscana con il 12,1% e il Veneto con l’11,1%. La Campania ha ricevuto il 6,6%, la Puglia il 3%, la Basilicata lo 0,5% del totale, la Calabria l’1,5%. Per quanto riguarda, invece, i ristori per le maggiori spese sostenute, i Comuni lombardi hanno ricevuto il 26,6% del totale del fondo.

COMUNI IN DISSESTO. È sempre al Sud che si concentra il maggior numero di Comuni che hanno dichiarato “fallimento”. I dissesti attivi, deliberati tra il 2016 e il 2020 sono 154, «con una significativa concentrazione territoriale – scrivono i magistrati – in Calabria (42 casi), Campania (35) e Sicilia (40). I rimanenti 37 casi si rilevano nel Lazio (11), in Puglia (6), in Basilicata (4), in Abruzzo (3), in Lombardia (3), nel Molise (3), nelle Marche (2), in Piemonte (2) e, infine, un caso in Liguria (Lavagna), uno in Toscana (Massarosa) e uno in Umbria (Terni).

LO STATO DI SALUTE DEI COMUNI. Dall’analisi dei rendiconti finanziari, il risultato di amministrazione dei Comuni risulta complessivamente positivo (38,7 miliardi), ma al netto degli accantonamenti, dei vincoli e della parte destinata agli investimenti si determina un disavanzo di circa 6 miliardi (5,98 miliardi). I Comuni che hanno registrato un disavanzo sono complessivamente in aumento del 28% rispetto allo scorso esercizio: dall’indagine, si nota che prosegue nel 2019 la ripresa nella dinamica della spesa per gli investimenti che trova riscontro sia negli impegni (+17,7%) sia nell’incremento delle somme iscritte al fondo pluriennale vincolato (+15,2%), indice dell’avvio di iniziative da realizzare nel medio-lungo periodo.

Chi comanda davvero al San Raffaele, l'ospedale dei ricchi che ha i conti in rosso causa Covid. Rivoluzione al vertice del più grande polo sanitario italiano. Sempre più stretta l'alleanza tra la famiglia Rotelli e il finanziere tunisino Kamel Ghribi. Mentre lasciano il cda banchieri e nomi noti della finanza chiamati solo due anni fa. Nel 2020 il gruppo ha perso 65 milioni e sono aumentati i debiti con le banche. Vittorio Malagutti su L'Espresso il 28 settembre 2021. Il ribaltone è andato in scena nei mesi estivi. Zero pubblicità, nessun comunicato ufficiale per annunciare le novità in arrivo nel più grande polo ospedaliero privato del Paese. A soli due anni di distanza dal riassetto del 2019, con la nomina ai posti di comando di nomi noti della politica e dell’economia nazionale, primo tra tutti l’ex ministro Angelino Alfano, il gruppo San Donato della famiglia Rotelli cambia rotta un’altra volta. Tra la fine di luglio e i primi di settembre è stato ridisegnato l’organigramma di vertice di un colosso della sanità che cura quasi 5 milioni di pazienti l’anno per un giro d’affari che supera 1,7 miliardi di euro. Hanno dato le dimissioni, tra gli altri, il presidente del San Raffaele, Enrico Tommaso Cucchiani, banchiere già al vertice di Intesa, e il suo collega Federico Ghizzoni, l’ex capo di Unicredit che due anni fa aveva trovato posto nel board del Policlinico San Donato, dove invece resta presidente Alfano. In uscita anche i manager Patrick Cohen, ora a capo della francese Axa assicurazioni, il banchiere d’affari Flavio Valeri (ex Deutsche Bank), Vittorio Emanuele Falsitta, avvocato milanese, in passato parlamentare di Forza Italia, e infine il commercialista Roberto Poli, da sempre al fianco di Silvio Berlusconi. La girandola di incarichi e dimissioni, con il taglio di oltre la metà delle poltrone nei consigli di amministrazione, finisce per rafforzare la posizione di Kamel Ghribi, l’uomo d’affari tunisino con passaporto svizzero che da qualche anno è il più ascoltato consulente dei quattro eredi del fondatore Giuseppe Rotelli, scomparso nel 2013: la vedova Gilda Gastaldi e i figli Paolo, Marco e Giulia. Ghribi, 59 anni, già vicepresidente del Policlinico San Donato, ha da poco fatto il suo ingresso anche nel board delle holding Papiniano e Velca, come unico componente esterno alla famiglia. Non solo, il manager arabo, approdato anni fa a Lugano, è diventato anche partner d’affari del gruppo ospedaliero in una società milanese, la Gksd, che nei mesi scorsi, tramite alcune controllate, si è lanciata in una serie di nuove attività. Si va dalle costruzioni, di cui si occupa la Gksd Edile, alla consulenza in materia di appalti e opere civili, affidata alla Gksd Monitor. Con la sua GK investment holding di Lugano, Ghribi partecipa a queste iniziative con una quota del 50 per cento, pari a quella dei Rotelli, imprenditori con base a Milano e residenza dichiarata a Montecarlo, il paradiso fiscale della Costa Azzurra. In questi affari si è ritagliato un ruolo anche Davide Bizzi, noto alle cronache finanziarie degli ultimi anni per la sua partecipazione a grandi operazioni come il rilancio (ancora da completare) dell’area industriale ex Falck a nord di Milano poi ceduta al gruppo Prelios. Più di recente, però, il suo nome è finito nel gran calderone dell’inchiesta vaticana che vede protagonista e principale imputato il cardinale Angelo Becciu. Bizzi, che non è indagato, è stato chiamato per una fumosa offerta, subito ritirata, per l’acquisto del palazzo di Londra attorno a cui ruota la complicata vicenda giudiziaria approdata a processo in questi giorni. La frequentazione con Ghribi risale a qualche anno fa e in passato Bizzi aveva già affiancato il gruppo San Donato in alcune iniziative. Adesso invece troviamo l’immobiliarista tra i consiglieri d’amministrazione della neonata Gksd Edile, che qualche mese fa ha assorbito una serie di attività messe in vendita dallo stesso Bizzi. A quanto pare, quindi, i Rotelli sono alla ricerca di nuove opportunità d’affari in settori diversi dalla sanità e per aprirsi un varco in terre incognite si sono affidati ai consigli dell’amico e socio tunisino, un manager che ama vantare una carriera avventurosa, ricca di contatti nelle alte sfere della politica e della diplomazia internazionale, dagli esordi come trader petrolifero e poi in veste di mediatore, una ventina di anni fa, tra il governo americano e il dittatore libico Muammar Gheddafi. Dopo una vita di viaggi, e incontri, esibiti in rete nel suo sito personale, Ghribi si è infine insediato a Lugano. Transitano da lì, adesso, anche i suoi affari con il gruppo San Donato. Come rivelato dall’Espresso un anno fa, nel 2018 i Rotelli avevano investito 10 milioni nella holding luganese del finanziere tunisino. Le azioni sono state da poco restituite al mittente, ma gli accordi tra le parti prevedono che il pagamento, 10 milioni più un altro milione a titolo di interessi, possa essere rimandato fino al 2023. Al momento quindi, Ghribi ha un debito di 11 milioni con la famiglia di cui è socio e anche consulente. Il rapporto fiduciario con il finanziere tunisino appare ancora più saldo ora che il gruppo milanese ha congedato buona parte dei consiglieri, tutti personaggi di spicco del potere nostrano, ingaggiati un paio di anni fa per affrontare al meglio, come recitavano i comunicati dell’epoca, «le impegnative sfide del futuro». E così, poche settimane fa, Paolo Rotelli, 32 anni, il maggiore dei tre eredi del fondatore, è tornato a occupare la poltrona di presidente del San Raffaele ceduta nel 2019 a Cucchiani, mentre suo fratello Marco, 28 anni, è ora vicepresidente di un altro grande ospedale milanese come l’Istituto ortopedico Galeazzi, un gradino sotto l’avvocato torinese Patrizia Poliotto, scelta al posto del berlusconiano Poli per il ruolo di presidente. Tra i pochi consiglieri passati indenni dal ribaltone troviamo Augusta Iannini, magistrato, a lungo tra i massimi dirigenti del ministero della Giustizia, nota anche come la consorte di Bruno Vespa. Iannini ha lasciato l’incarico nel board del San Raffaele conservando un posto tra i cinque consiglieri del Policlinico San Donato. La manovra varata nei mesi estivi non ha risparmiato neppure i top manager a cui è affidata la gestione degli ospedali. Elena Bottinelli e Francesco Galli, amministratori delegati rispettivamente del San Raffaele e del Policlinico San Donato sono stati sostituiti da Marco Centenari e Sara Mariani. La nuova squadra dirigente è chiamata ad affrontare la fase di gran lunga più complicata degli ultimi anni. Nel 2020 la pandemia ha cambiato i connotati dell’attività ospedaliera. Per mesi interi, buona parte delle strutture sono state riconvertite per affrontare l’emergenza Covid-19, con la sospensione di tutti i ricoveri e gli interventi chirurgici salvo quelli di emergenza. Al San Raffaele, nel pieno della prima ondata, ad aprile del 2020, oltre il 90 per cento delle sedute operatorie sono state rimandate, con la metà circa dei posti letto occupati da pazienti Covid-19. E così, anche se le norme nazionali e regionali prevedono ristori per gli ospedali privati in prima linea durante la pandemia, i conti del gruppo hanno sofferto un vistoso calo dei ricavi a cui vanno sommati i costi straordinari per la creazione di nuovi posti in terapia intensiva e l’acquisto di farmaci, materiale sanitario e dispositivi di protezione. Il bilancio consolidato della holding Papiniano, a cui fanno capo i 18 ospedali dei Rotelli (tutti in Lombardia, salvo due a Bologna) con 5.600 posti letto e 11 mila dipendenti, è quindi andato in rosso per 65,3 milioni nel 2020, contro i 20 milioni circa di profitti dell’anno precedente. Il risultato negativo si spiega in buona parte con le difficoltà del San Raffaele, la struttura più importante del gruppo, in prima linea contro il Covid-19, che nel 2020, con i ricavi in calo di quasi il 10 per cento, ha perso 57 milioni. Nel frattempo sono aumentati i debiti con le banche ,passati nell’arco di dodici mesi da 565 a 700 milioni circa anche per effetto di una nuova linea di credito di 85 milioni accordata al San Raffaele da Bnl, Intesa e Unicredit. È possibile che già quest’anno, grazie anche alla netta diminuzione dei ricoveri d’urgenza dovuti alla pandemia, i numeri del bilancio tornino a migliorare. In prospettiva, però, la famiglia milanese sembra decisa a cercare nuove occasioni di business fuori dalla Lombardia dove al momento si concentra quasi per intero il giro d’affari del gruppo. Basti pensare che gli ospedali controllati dalla holding Papiniano valgono l’11 per cento circa di tutti i posti letto accreditati dalla regione governata dal leghista Attilio Fontana. Si spiegano anche così le manovre recenti dei Rotelli in direzione Roma, con il tentativo di rilevare il Fatebenefratelli in grave difficoltà. Lo stop di papa Francesco ha bloccato l’operazione, così come in Puglia sono andati a vuoto i primi approcci per tentare il salvataggio della Casa Sollievo della Sofferenza, il nosocomio di Padre Pio. Ghribi però pensa in grande e non è il tipo da arrendersi facilmente, anche se per il momento deve accontentarsi di promuovere l’eccellenza sanitaria del San Raffaele tra i ricchi del nord Africa e della penisola arabica. Tutti posti dove il consulente dei Rotelli è di casa. Almeno dai tempi di Gheddafi.

Sanità Lombardia, ecco come il privato sceglie gli interventi più redditizi. Le liste d’attesa. DATAROOM di Milena Gabanelli e Simona Ravizza su Il Corriere della Sera il 27 giugno 2021. La Lombardia è l’unica Regione italiana che ha stabilito per legge parità di diritti e doveri fra soggetti pubblici e privati convenzionati che operano all’interno del servizio sanitario. Le intenzioni della norma n. 31 voluta nel 1997 da Roberto Formigoni sono quelle di promuovere la competitività tra strutture per soddisfare meglio i bisogni dei pazienti, che possono scegliere dove farsi curare, e accorciare le liste d’attesa. E la Regione rimborsa indifferentemente gli uni e gli altri (all’interno di tetti di spesa contrattati). Ma la sanità lombarda presa spesso anche come esempio da esportare in altre regioni, ha davvero un sistema pubblico-privato in grado di garantire cure più tempestive? I dati, forniti dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) e che per la prima volta è possibile rendere pubblici, permettono di capire come funziona nella realtà il modello. L’analisi riguarda le tipologie dei ricoveri e degli interventi chirurgici eseguiti nel pubblico e nel privato e la corrispettiva entità dei rimborsi ottenuti dal sistema sanitario. Quel che emerge non è una conseguenza dell’intasamento degli ospedali causato dal Covid, perché è stata fotografata la situazione considerando i numeri del 2019. Dopo è andata solo peggio.

Posti letto a confronto. I posti letto totali sono 29.308, 70% pubblici e 30% privati. Vuol dire che di tutti i tipi di ricoveri, oltre 1,2 milioni, il 70% è pubblico e il 30% privato. Intanto su 100 posti letto in un ospedale pubblico, 45 sono occupati da chi entra per un’emergenza passando dal Pronto soccorso. Su 100 posti nel privato, solo 20 pazienti arrivano dal Ps. Per gli altri 80, le strutture accreditate possono programmare per tipologia i ricoveri. Per accedere in ospedale chi ha bisogno di un intervento chirurgico deve prenotarsi la visita specialistica: per le strutture pubbliche c’è un sistema di prenotazione trasparente dove il contact center regionale dice dov’è possibile andare e in che tempi. Per quelle private, invece, bisogna rivolgersi alle singole strutture accreditate che nella stragrande maggioranza dei casi non hanno mai voluto mettere a disposizione pubblicamente le loro agende, nonostante siano state sollecitate a farlo già a partire dal 2016.

Quali prestazioni offre il privato? Per una lunga lista di ricoveri e interventi chirurgici il rapporto pubblico-privato 70 a 30 s’inverte, con alti volumi in una serie di prestazioni. Vediamo quali. Primo: gli interventi ben pagati, spesso a rischio inappropriatezza perché il medico ha ampia discrezionalità nel decidere se è utile o meno eseguirli. Sono quelli per obesità, che le strutture accreditate eseguono per il 74,5%, con un rimborso di 5.681 euro; sulle valvole cardiache, che valgono 21.882 euro e sono svolti dal privato per il 51% (a Milano per il 66,2%); le artrodesi vertebrali, dove vengono inchiodate le vertebre della schiena, fatte per oltre l’80% dal privato. Nell’agosto 2019 il rimborso da 19.723 euro è stato tagliato di quasi il 40% dall’allora direttore generale della Sanità Luigi Cajazzo, proprio per renderli meno redditizi e tentare di limitare gli interventi inutili.

Interventi più remunerativi. Secondo: le prestazioni più remunerative delle specialità di cardiologia/cardiochirurgia e ortopedia. Si tratta di interventi che prevedono l’impianto di protesi, dove le strutture private già hanno margini di guadagno elevati perché negli acquisti hanno meno vincoli e standard del pubblico. A Milano, dove sono concentrati i colossi della Sanità accreditata, i privati impiantano il 60% dei defibrillatori (rimborso 19.057 euro), il 68% delle valvole cardiache (17.843 euro), l’88% dei bypass coronarici (19.018 euro). Inoltre: il 90% degli interventi sulle articolazioni inferiori (12.101 euro), e il 68% delle sostituzioni di anca e ginocchio (8.534 euro). Nell’intera regione comunque, per gli stessi tipi di intervento, la percentuale di prestazioni svolte dal privato supera il 40%, con punte che arrivano al 77%. Terzo: su oltre 500 tipi d’intervento, il privato fa la metà del suo fatturato con 25 prestazioni, il pubblico 43. Segnale evidente che l’attività si concentra in ambiti di specialità più convenienti. Le più diffuse riguardano le malattie degenerative del sistema nervoso, che valgono l’8,8% del fatturato, la sostituzione di articolazioni maggiori o il reimpianto degli arti inferiori (8,5%), le diagnosi del sistema muscolo-scheletrico (3,7%), e gli interventi sul sistema cardiovascolare (4,4%).

Milano: dominio del privato. Su Milano, se si prendono in considerazione anche i pazienti da fuori Regione, la sanità privata, rispetto ai grandi ospedali pubblici, raggiunge percentuali tra l’85 e il 97% degli interventi e ricoveri di cardiologia, cardiochirurgia, ortopedia, e quelli ad alto fatturato, ma a rischio di inappropriatezza. È la stessa Regione Lombardia ad ammettere: «La Sanità privata si è concentrata su alcune specifiche linee di attività che, tuttavia, impongono controlli incisivi in termini di appropriatezza» evitando che «gli erogatori si concentrino su attività caratterizzate da buona redditività e da non verificata necessità epidemiologica» (qui il documento).

Cosa fa il pubblico?. Gli interventi molto costosi e rischiosi, a partire dai trapianti, che può farli solo l’ospedale pubblico. E poi l’80% delle emorragie cerebrali, l’87% delle leucemie, l’82% delle neoplasie dell’apparato respiratorio, il 75% dell’ossigenazione extracorporea. I neonati gravemente immaturi sono curati per l’87,2% nelle strutture pubbliche. Oltre a tutti quegli interventi poco remunerativi, ma molto comuni: parti (81,8%), aborti (90%), calcoli (80%), polmoniti (78%), appendiciti (83,9%), tonsille (79,3%). Le operazioni per tumore al seno sono, invece, equamente ripartite. A conti fatti gli ospedali pubblici sono in perdita, con la Regione che ogni anno deve ripianare i bilanci: 44 milioni il Policlinico di Milano, 58 il San Paolo e il San Carlo, 87 i Civili di Brescia, 75 il Papa Giovanni XXIII di Bergamo. Mentre i gruppi privati fanno utili importanti: 27 milioni il gruppo San Donato della famiglia Rotelli, 66,9 l’Humanitas di Gianfelice Rocca, 6,7 la Multimedica di Daniele Schwarz. Certo, il pubblico sconta inefficienze, mentre il privato è più manageriale, ma non basta a spiegare un divario di questa portata.

Le liste d’attesa restano. Le linee guida nazionali danno i tempi: nel caso di rischio di aggravamento rapido della malattia l’intervento chirurgico deve essere eseguito entro 30 giorni. In Lombardia per un intervento chirurgico oncologico bisogna aspettare 66 giorni nel 36% dei casi; per uno non oncologico 83 giorni nel 23% dei casi. In Regioni comparabili per offerta sanitaria, vediamo altri numeri: in Veneto solo il 6% delle operazioni urgenti sui tumori non viene eseguito entro i 30 giorni, per gli altri interventi gli sforamenti sono del 9%. In Emilia Romagna sono rispettivamente del 22% e del 15%. E questo era l’andamento fino ad attimo prima dell’arrivo della pandemia. Va detto che in quei mesi durissimi, con le strutture pubbliche al collasso, il privato ha messo a disposizione il 40% dei posti letto per pazienti Covid.

Modello da riformare. Tirando le fila, il modello non garantisce nei fatti quella «parità» di diritti e doveri prevista dalla legge regionale, non risolve le liste d’attesa, ma porta pian piano al deperimento del pubblico e all’accaparramento dei medici migliori. A quel punto sarà difficile tornare indietro. Infatti è in discussione un piano di riforma che in autunno dovrà sfociare in una legge, considerata dall’assessore al Welfare Letizia Moratti una delle priorità del proprio mandato. Nelle linee di indirizzo allo studio, l’assessore scrive che è necessario «un miglior governo dell’offerta». Dovrebbe voler dire: ti accredito per fare di più quello che serve e non solo quello che ti conviene. Vedremo se dalle parole si passerà ai fatti. (ha collaborato Alessandro Riggio)

Da "Ansa" l'1 luglio 2021. Un bambino residente nel Mezzogiorno ha un rischio del 50% in più di morire nel primo anno di vita rispetto ad uno che nasce nelle regioni del Nord. Tanto che, solo nel 2018, se il Mezzogiorno avesse avuto lo stesso tasso di mortalità infantile delle regioni del nord, sarebbero sopravvissuti 200 bambini. A mettere in luce le profonde disparità è uno studio in pubblicazione sulla rivista Pediatria, presentato in conferenza stampa della Società Italiana di Pediatria (Sip). In base agli ultimi dati Istat disponibili, nel periodo 2006-2018 si è verificata una progressiva diminuzione della mortalità neonatale (nei primi 28 giorni di vita) e infantile (nel primo anno di vita), che hanno portato l'Italia a raggiungere tra i più bassi del mondo. In particolare, nel 2018 si sono avuti 1266 decessi nel primo anno di vita e la mortalità neonatale è stata del 2,01 per 1000 nati vivi. Si continua però ad osservare un'ampia variazione territoriale. Nel Mezzogiorno dove si sono avuti il 35,7% di tutti i nati, i decessi neonatali e infantili sono stati rispettivamente il 48% e il 45% rispetto a quelli avvenuti in Italia. La Sicilia, la Calabria e la Campania sono state quelle con i tassi più elevati. Inoltre, le differenze diventano ancora più evidenti per i figli di genitori stranieri che risiedono al Sud (+100%). "L'idea che nascere in un particolare territorio possa offrire una minore probabilità di cura e di sopravvivenza non è accettabile", ha commentato la presidente Sip Annamaria Staiano. "Serve sinergia per invertire questi trend allarmanti e la Sip sta già mettendo in campo iniziative per intervenire in modo proattivo su un modello assistenziale così a rischio di disuguaglianze," ha concluso Giovanni Corsello, ordinario di Pediatria all'Università di Palermo ed Editor in Chief di Italian Journal of Pediatrics.

SANITÀ SCIPPATA PER DARLA AI PRIVATI E COME SEMPRE IL SUD PAGA PIÙ DI TUTTI. Il trend 2010-2019: dal calo delle strutture pubbliche agli organici tagliati. Allarme della Corte dei conti sulle disparità territoriali. Vincenzo Damiani su Il Quotidiano del Sud il 18 giugno 2021. L’assistenza ospedaliera in Italia corre verso il privato. Nel 2010 gli ospedali erano 1.165, il 54,4% gestiti direttamente dai sistemi regionali sanitari pubblici. Nel 2019, invece, le strutture di ricovero sono diventate 992, di cui il 51,9% pubbliche, cioè 515, mentre quelle private sono 477. Se però, al conteggio aggiungiamo le case di cura non accreditate, 64 in tutta Italia, ecco che c’è addirittura il sorpasso del privato con 541 centri. A scattare la fotografia è il nuovo annuario statistico del Sistema sanitario nazionale pubblicato dal ministero della Salute, che descrive come si sta evolvendo la sanità in Italia. La maggior parte degli ospedali privati sono concentrati al Nord, ma iniziano a diffondersi anche al Sud: il record spetta alla Lombardia, con 64 strutture accreditate, seguono Lazio e Campania con 61, poi c’è la Sicilia con 59, Emilia Romagna (44), Piemonte (38). Le altre son distanti, ma le cliniche private proliferano ovunque: ad esempio in Calabria ce ne sono 29, in Puglia 26, Toscana 21, Veneto 17.

LE STRUTTURE. «Il sistema sanitario nazionale – si legge – dispone di circa 190mila posti letto per degenza ordinaria, di cui il 21,4% nelle strutture private accreditate, 13.202 posti per day hospital, quasi totalmente pubblici (83,8%) e di 8.043 posti per day surgery in grande prevalenza pubblici ( 76,2%). A livello nazionale sono disponibili 3,5 posti letto ogni 1.000 abitanti, in particolare i posti letto dedicati all’attività per acuti sono 2,9 ogni 1.000 abitanti». Il Sud, però, sui posti letto è largamente penalizzato: «La distribuzione risulta piuttosto disomogenea a livello territoriale», è scritto nel report ministeriale. E in effetti, stando ai dati, le differenze sono palesi: in Puglia ci sono 10.153 posti letto nel settore pubblico, contro i 12.571 dell’Emilia Romagna, i 13.449 del Piemonte, i 15.798 del Veneto, regioni simili per numero di residenti. La Campania, molto più popolosa, ha solo 11.916 posti letto, 11.771 la Sicilia. Anche sui «posti letto destinati alla riabilitazione e lungodegenza, 0,6 ogni 1.000 abitanti, c’è una notevole variabilità regionale» a discapito del Mezzogiorno.

GLI ORGANICI. Meno strutture, meno posti letto e anche meno personale ospedaliero per il Sud. Nel 2019 i dipendenti in Italia ammontano a 603.856 unità e risultano così ripartiti: il 72,2% ruolo sanitario, il 17,5% ruolo tecnico, il 10,1% ruolo amministrativo e lo 0,2% ruolo professionale. Il Piemonte conta 54.117 lavoratori complessivi, il Veneto 56.778, l’Emilia Romagna 58.628, 48.219 la Toscana e la Lombardia 88.142; contro i 35.453 dipendenti della Puglia, i 39.879 della Campania, i 39.272 del Lazio, o i 18.048 della Calabria. Nel dettaglio, mentre la Puglia ha 6.431 medici, l’Emilia Romagna, a quasi parità di popolazione, ne ha 8.742; il Piemonte 8.412, il Veneto 7.672, la Toscana 8.109. Al Nord, per ogni mille abitanti ci sono 12,1 dipendenti nel comparto sanità: medici e infermieri, ma anche tecnici di laboratorio, amministrativi, operatori socio sanitari. Al Sud la media si abbassa drasticamente, sino a 9,2 dipendenti ogni mille residenti. Se la Puglia avesse avuto le stesse risorse dell’Emilia Romagna e avesse, quindi, potuto mantenere lo stesso rapporto dipendenti/residenti, oggi avrebbe 16.662 medici, infermieri, amministrativi in più. Come si può chiedere alla Puglia, a quasi parità di popolazione, di riuscire a svolgere lo stesso numero di esami e visite mediche che si riescono a fare in Emilia Romagna che ha 23mila lavoratori in più?

LA CORTE DEI CONTI. Anche la Corte dei Conti ha evidenziato la disparità «Negli ultimi due anni – scrivono i giudici contabili – sono divenuti più evidenti gli effetti negativi di due fenomeni diversi che hanno inciso sulle dotazioni organiche del sistema di assistenza: il permanere per un lungo periodo di vincoli alla dinamica della spesa per personale e le carenze, specie in alcuni ambiti, di personale specialistico. Come messo in rilievo di recente, a seguito del blocco del turn-over nelle Regioni in piano di rientro e delle misure di contenimento delle assunzioni adottate anche in altre Regioni (con il vincolo alla spesa), negli ultimi dieci anni il personale a tempo indeterminato del Sistema sanitario nazionale è fortemente diminuito». Le Regioni in Piano di rientro sono quelle del Sud, che per anni, 10 la Puglia ad esempio, essendo sotto il controllo dei ministeri della Salute e dell’Economia non hanno potuto assumere. Non solo: dal 2012 al 2018 l’Italia ha “perso” oltre 42mila operatori sanitari e il record spetta al Sud: è infatti la Campania ad aver dovuto fare a meno di 10.490 dipendenti sanitari.

Emiliano: «Affrontato il Covid con un quarto delle risorse del Nord». L'incontro dell'associazione Welfare a Levante. La Gazzetta del Mezzogiorno il 09 Luglio 2021. «Abbiamo affrontato l’emergenza Covid in Puglia dimostrando una capacità di gestione tra le migliori di Italia. E lo abbiamo fatto pur vivendo uno storico gap, con un quarto delle risorse e del personale rispetto ad alcune regioni del Nord Italia a parità di abitanti». Lo ha detto il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano intervenendo oggi ai lavori congressuali dell’associazione di categoria Welfare a Levante, su invito del presidente Antonio Perruggini, che si sono svolti all’Anche Cinema di Bari. «Voi - ha detto Emiliano rivolgendosi ai rappresentanti delle strutture socio sanitarie - siete stati nella prima fase della pandemia il bersaglio numero uno del Covid. Il sistema sino a prima dell’emergenza era fondato sul rispetto del Dm70, in sintesi il Governo diceva alle regioni: o li fai tu i tagli, oppure ti commissariamo e li facciamo noi. Questa azione noi in Puglia l’abbiamo realizzata e i risultati attesi sono arrivati, lo dicono i conti in ordine e i dati sui Lea, visto che siamo la regione che più è cresciuta in Italia nei livelli essenziali di assistenza. Ma adesso che affrontiamo una nuova fase della pandemia non meno complessa, bisogna attuare le perequazioni. E per farlo servono risorse e personale».

Michele Emiliano a Stasera Italia su Rete4 (Rete Lega) del 3 maggio 2020. «Innanzitutto noi abbiamo aumentato di millecinquecento posti i posti letto autorizzati da Roma. E abbiamo subito approfittato di questa cosa. Devo essere sincero: il sistema sanitario pugliese è un sistema sanitario regolare. Noi non abbiamo mai avuto problemi sulle terapie intensive. Quindi però, Pomicino evidentemente è intuitivo, capisce che questo è il momento per cui le sanità del Sud…siccome i nostri non possono più andare al Nord per curarsi perché è troppo pericoloso, devono essere rinforzate per limitare la cosiddetta mobilità passiva. Quindi io l’ho detto chiaro: io non terrò più conto dei limiti, posti letto, assunzioni, di tutta questa roba, perché non siamo in emergenza. Farò tutte le assunzioni necessarie, assumerò tutte le star della medicina che riuscirò a procurarmi, cercherò di rinforzare i reparti. Manterrò i posti letto in aumento. Anche di più se possibile. Chiederò ai grandi gruppi privati della Lombardia per i quali c’è una norma che li tutelava in modo blindato. Immaginate: io potevo pagare senza limite i pugliesi che andavano in Lombardia presso queste strutture, se queste strutture erano in Puglia c’era un tetto massimo di spesa  fatto apposta…Siccome questo tetto deve saltare, io sto proponendo a questi grandi gruppi di venire e spostarsi al Sud per evitare il rischi Covid, ma soprattutto per evitare il rischio aziendale per loro. Perché è giusto che questa mobilità passiva: 320 milioni di euro di prestazioni sanitarie che la Puglia paga alla Lombardia in prevalenza, solo perché quel sistema è stato supertutelato. Adesso tutti dovremmo trovare il nostro equilibrio e la nostra armonia». 

AIUTI DI STATO, ANCHE CON IL COVID IL NORD FA L’ASSO PIGLIATUTTO. Il 56% degli aiuti alle imprese nel 2020, durante la pandemia, è stato “assorbito” dalle imprese del Settentrione. Anche rapportando l’importo erogato al numero di imprese per regione, le aziende del Nord risultano destinatarie di aiuti pro capite più elevati. Vincenzo Damiani su Il Quotidiano del Sud il 16 giugno 2021. Il 56% degli aiuti alle imprese nel 2020, durante l’emergenza Covid-19, è stato “assorbito” dalle imprese del Nord, con le imprese lombarde prime beneficiarie (22%, oltre 23 miliardi di euro), seguono quelle venete (11%, 11,7 miliardi) ed Emilia Romagna (10%, pari al 10,3 miliardi). Le imprese del Centro e del Sud e Isole, invece, hanno ricevuto, rispettivamente, il 21 e il 23% degli importi di aiuto concessi. È la Corte dei conti, analizzando il Registro nazionale degli aiuti (Rna), a ricostruire quale strada hanno fatto i fondi messi a disposizione dello Stato per sostenere il mondo produttivo italiano durante il lockdown e la crisi che ne è conseguita.

LA CRISI DEL 2020 E GLI AIUTI VERSO IL NORD

“Nel corso del 2020 – si legge nel “Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica” – le conseguenze economiche della crisi sanitaria hanno reso necessario un consistente intervento pubblico a sostegno delle imprese, intervento agevolato dall’introduzione del regime temporaneo in tema di aiuti di stato a livello europeo. Tali interventi, essendo soggetti a specifici obblighi di comunicazione e pubblicazione, possono essere monitorati e analizzati attraverso il Registro Nazionale degli Aiuti”.

Alla Lombardia spetta anche il primato in termini di importo medio degli aiuti erogati, oltre 61 mila euro per ogni azienda. “Nel confronto con la distribuzione territoriale del 2019 – scrivono i magistrati contabili – l’operatività degli aiuti di Stato nel 2020 accentua il livello di concentrazione delle erogazioni nelle aree settentrionali (nel 2019 queste ultime assorbivano infatti il 48 per cento degli importi concessi). Anche rapportando l’importo erogato al numero di imprese per regione, le imprese delle regioni del Nord e, in particolare, di Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Emilia-Romagna risultano destinatarie di aiuti pro capite più elevati”. Secondo i dati forniti dal Mise, nel corso del 2020 sono state circa 2,7 milioni le concessioni di aiuti individuali (0,5 milioni nel 2019), con un controvalore complessivamente pari a 110,4 miliardi (8,7 miliardi di euro nel 2019).

“Tale differenza – viene spiegato – si è generata, per la parte preponderante, a seguito dei provvedimenti emergenziali presi nel corso dell’anno ed è da attribuire, in modo prevalente, agli interventi con garanzie pubbliche gestiti da Banca del Mezzogiorno MedioCredito Centrale S.p.A. attraverso il Fondo di garanzia per le Pmi”. Al ministero per lo Sviluppo economico è ascrivibile la quota principale di interventi concessi, sia in termini di numero (67% del totale corrispondente a 1,5 milioni di concessioni) sia in termini di valore (94% del totale, pari a oltre 100 miliardi). “Tali misure di aiuto – si legge ancora – non sono tutte gestite in via diretta dalle amministrazioni ministeriali. Per molte di esse, i ministeri responsabili si avvalgono di soggetti concedenti che, nel 2020, sono stati circa 133. Tra questi emergono, in particolare, le figure di Banca del Mezzogiorno MedioCredito Centrale, l’Agenzia delle entrate e il Gestore servizi energetici”.

L’INTERVENTO DELLE REGIONI: PUGLIA E CAMPANIA PRIME

Alle Regioni e Province autonome si ricollega il 2,6% dell’importo delle concessioni (13,4% in termini di numero concessione). Tra queste figurano in primo piano la Campania e il Lazio, in termini di numero concessioni (rispettivamente 178 mila e 43 mila), mentre prevalgono, in termini di importo concesso, la Puglia e la Campania (rispettivamente 431,8 milioni e 380,6 milioni).

I BENEFICIARI

Analizzando, invece, i beneficiari degli aiuti di Stato e, in particolare, emerge che alle piccole imprese sono stati destinati 2,4 milioni di aiuti (89% del totale), per un valore di circa 63 miliardi (57% del totale). Seguono, la categoria della media impresa con 300mila aiuti (10% del totale), per un valore di 44,4 miliardi (40% del totale), e quella della grande impresa con un numero nettamente inferiore di aiuti (circa 10 mila), per un controvalore di 2,5 miliardi (2% del totale). “Se, tuttavia, si considera l’importo medio degli aiuti – evidenzia la Corte dei Conti – al crescere delle dimensioni aumenta anche il valore medio della concessione. Infatti, le piccole imprese si attestano sul valore medio di 26 mila euro, quelle medie su 160 mila euro e i soggetti più grandi su 251 mila euro”. Anche sotto il profilo della distribuzione per obiettivi, gli aiuti concessi nel 2020 risultano particolarmente concentrati sugli interventi più direttamente legati alla crisi. In particolare, sui 25 obiettivi censiti, i primi dieci per importo complessivo di aiuti concessi assorbono il 99% del totale; già solamente ai primi tre obiettivi è riferibile circa il 95% dell’importo delle concessioni. Mentre “con riferimento agli strumenti di agevolazione, nel 2020 le garanzie pubbliche risultano quelle a maggior diffusione, sia in termini di numero concessioni che di importo concesso, cubando oltre un milione e mezzo di aiuti pubblici (57 per cento del totale) per un controvalore di 97,6 miliardi (88 per cento del totale). Trattasi di un dato che mette in luce il ruolo centrale svolto da questo strumento nel fronteggiare l’esigenza di liquidità delle imprese a causa della crisi. Difatti, nel 2019 gli interventi di garanzia pubblica si attestavano su valori molto più limitati e inferiori ad altri strumenti, quali le sovvenzioni e i contributi in conto interesse. Questi ultimi, seppur in crescita rispetto al 2019, vedono la loro incidenza ridotta al 7 per cento”. Altro strumento in crescita rispetto al 2019 è rappresentato dai prestiti/anticipazioni rimborsabili con i quali sono state erogati aiuti per circa 4 miliardi (4 per cento del totale).

I SETTORI ECONOMICI PIÙ AIUTATI

Infine, per quanto riguarda i settori economici, in termini di importo concesso gli aiuti si concentrano verso le attività di costruzione di edifici residenziali e non residenziali per circa 4 miliardi e quelli destinati a ristoranti e attività di ristorazione mobile per 3,2 miliardi. Gli altri settori più importanti si attestano su importi totali intorno ai 2 miliardi di euro. Lo studio dei settori, con riguardo al numero di agevolazioni, indica, tra le principali attività, la ristorazione, con oltre 170 mila concessioni (oltre 27 mila nel 2019), bar e altri esercizi simili senza cucina, con circa 114 mila concessioni, e le costruzioni circa 103 mila (circa 20 mila nel 2019). “La versione definitiva del Piano nazionale di ripresa e resilienza – è l’analisi dei magistrati contabili – potrà determinare la destinazione di ulteriori risorse alle politiche di incentivo alle imprese, principalmente in chiave di incremento di produttività e di riconversione delle attività verso un’economia sostenibile. Al riguardo, si sottolinea come nel testo definitivo del PNRR, in sede di valutazione dell’impatto macroeconomico delle risorse aggiuntive (stimate in 182,7 miliardi), la componente relativa ai trasferimenti alle imprese è quantificata nel 18,7 per cento (circa 34 miliardi). In prospettiva, le decisioni in materia di misure a sostegno delle imprese dovranno contemperare l’esigenza di una progressiva riduzione dell’intervento pubblico a seguito del superamento dell’emergenza, con quella di accompagnare gli operatori economici nella fase di ripresa, attraverso strumenti caratterizzati da maggiore selettività e orientati al miglioramento strutturale della produttività del sistema economico”.

INVESTIMENTI DEGLI ENTI PUBBLICI, COMUNI PROTAGONISTI

Un discorso a parte lo merita la spesa degli Enti pubblici per gli investimenti fissi che vede sempre più protagonisti i Comuni rispetto a Regioni e Province. “La realizzazione di investimenti pubblici – si legge nel report – vede in prima linea gli enti territoriali e i dati di contabilità nazionale offrono un quadro da cui emerge con evidenza la situazione di grave criticità che ha progressivamente colpito il settore negli ultimi venti anni. Dal 2001 al 2019, infatti, il mondo delle autonomie territoriali ha fatto registrare una caduta della spesa in conto capitale in termini reali di poco inferiore al 55 per cento, pari ad una perdita del volume di spesa (a prezzi 2015) di circa 28 miliardi. L’andamento negativo si è riverberato anche sugli investimenti fissi lordi che rappresentano oltre il 50 per cento della spesa in conto capitale e che si sono ridotti di oltre il 48 per cento (dai 24,2 miliardi del 2001 – sempre a prezzi 2015 – ai 12,5 del 2019). La flessione più consistente ha riguardato le regioni (-54,5 per cento) e le province (-45,3 per cento), sottosettori che tuttavia cumulano una spesa molto contenuta in valore assoluto; la contrazione di poco superiore al 45 per cento registrata dai comuni ha, invece, un peso ben diverso dal momento che oltre il 70 per cento degli investimenti territoriali si riconduce a tale livello di governo”. Dallo studio della Corte dei Conti emerge che la quota prioritaria di spesa per investimenti appartiene proprio ai comuni: fra gli 8 e i 10 miliardi nel quadriennio 2017-2020. Una quota che ogni anno sfiora il 90 per cento della spesa in conto capitale complessiva. Dal 2017 al 2020 non si è interrotta la tendenza incrementale, seppure nel 2020 si sono palesati segni di difficoltà con una crescita che si è fermata al 2,4 per cento sul 2019 a fronte del 13,7 per cento dell’anno precedente. Nonostante tutto, lo sforzo dei comuni ha prodotto nel 2020 investimenti per 9,8 miliardi a fronte degli 8,3 miliardi del 2017. Le percentuali più significative di incremento si registrano nei comuni del nord ovest.

Paese iniquo anche sui fondi Covid: il Nord fa sempre la parte del leone. Gli aiuti per gli enti locali - L’85% delle erogazioni premia i territori in cui il reddito medio pro capite è più alto. Michele Inserra su Il Quotidiano del Sud il 22 aprile 2021. Il Nord fa la parte del leone anche sulla ripartizione dei fondi Covid degli enti locali aggiudicandosi gli aiuti più consistenti pari alla metà del totale, ben 2.546 milioni di euro. Centro e Sud hanno ricevuto aiuti pari rispettivamente al 20,8% (1.042 milioni) e al 28,5% (1.431 milioni) del totale. È l’immagine di un Paese ancora una volta diviso quella fotografata dallo studio elaborato dal Consiglio e dalla Fondazione nazionale dei commercialisti che analizza la ripartizione dei fondi destinati ai Comuni alle prese con la crisi economica derivante dall’emergenza pandemica da Covid-19. Nel corso del 2020 sono stati erogati 5.020 milioni di euro suddivisi tra il Fondo per l’esercizio delle funzioni fondamentali degli enti locali e la cosiddetta solidarietà alimentare, al netto delle compensazioni specifiche per il mancato gettito determinato da esenzioni tributarie decise a livello nazionale. La situazione determinata dall’emergenza pandemica e le conseguenze finanziarie legate all’incertezza sulla dimensione delle perdite di gettito degli enti locali e sulle risorse integrative disponibili hanno comportato la necessità di un intervento mirato al sostegno finanziario delle amministrazioni locali, anche in relazione a una prevedibile perdita di gettito da entrate proprie.

GLI INTERVENTI. Il primo intervento (4.220 milioni di euro), il cosiddetto “Fondone”, che copre l’85% delle erogazioni, si concentra nelle aree del Settentrione e nel Lazio per effetto dei parametri ancorati alla capacità fiscale registrata nei singoli Comuni, fornendo di fatto un aiuto maggiore nei territori in cui il reddito medio pro capite è più alto. In particolare ha infatti distribuito 2.239 milioni di euro al Nord, 896 milioni al Centro e 1.085 al Sud. Il secondo intervento (800 milioni) ha invece erogato risorse maggiori ai Comuni del Mezzogiorno per effetto di un parametro legato al reddito pro capite, utilizzato per intensificare l’intervento in quei Comuni dove era inferiore alla media nazionale. Nello specifico: 307 milioni al Nord, 146 milioni al Centro e i rimanenti 346 al Sud. Pertanto, dal complesso dei due interventi, è risultato un aiuto da 2.546 milioni al Nord, 1.042 milioni al Centro e 1.431 milioni al Sud. Ma veniamo alle singole regioni. Per quanto riguarda il Fondo per l’esercizio delle funzioni fondamentali, le prime tre per aiuti ricevuti sono Lombardia, Lazio e Veneto, mentre per la solidarietà alimentare, sul podio Lombardia, Campania e Sicilia. Emerge una concentrazione delle risorse a favore degli enti situati nelle regioni del Nord che raccolgono il 53% delle risorse, mentre il dato delle regioni del Sud si ferma al 26%. La parziale eccezione della Regione Lazio è spiegabile con l’incidenza della città di Roma, caratterizzata da una capacità fiscale analoga a quella delle Regioni del Nord.

LA FORBICE AMPLIATA. Queste percentuali dimostrano che, anche per la distribuzione delle risorse del Fondo per il 2021, determinante è l’incidenza dei criteri legati al gettito e, quindi, alla capacità fiscale, attribuendo, quindi, una quota maggiore di risorse ai territori caratterizzati da capacità fiscale maggiore. A spiegare l’ulteriore ampliamento della forbice che separa il Nord e Roma dal resto del Paese è l’introduzione del criterio di ripartizione correlato alla perdita di gettito dell’addizionale Irpef che, inevitabilmente, accentua la correlazione stretta fra la capacità fiscale (e quindi il reddito medio) dei territori e l’intensità dell’aiuto statale. Un’attenzione particolare meritano anche le risorse integrative del Fondo funzioni fondamentali per il 2021, che ha visto un acconto pari a 220 milioni di euro, di cui 200 milioni ai Comuni e 20 milioni alle Città metropolitane e alle Province. La sua ripartizione accentua ulteriormente la concentrazione delle risorse a favore degli enti situati nelle regioni del Nord, che raccolgono il 58%, mentre il Sud si ferma al 18%.

La Puglia riceve meno vaccini rispetto al Nord, Emiliano sbotta: «Divideteli in base ai residenti». «La Puglia è la terza regione per dosi inoculate rispetto a quelle ricevute: se avessimo abbastanza vaccini saremmo in sicurezza già entro l’estate». Vincenzo Damiani su Il Quotidiano del Sud il 20 aprile 2021. Puglia e Campania, rispetto ad altre Regioni del Nord, continuano a ricevere meno dosi di vaccino in proporzione alla popolazione residente e Michele Emiliano sbatte i pugni sul tavolo.In una lettera inviata al commissario straordinario, Paolo Francesco Figliuolo, il governatore ha sottolineato che «la ripartizione dei vaccini deve essere fatta in parti eguali tra le regioni in base alla popolazione per consentire gli stessi tempi di inoculazione».

LA LETTERA. La Puglia ha ricevuto un milione e 71mila dosi e ha 4,2 milioni di residenti, l’Emilia Romagna, invece, con 4,4 milioni di abitanti ne ha ricevute un milione e 418mila; il Piemonte (4,3 milioni) ne ha ottenute 1,36 milioni; il Veneto, 4,9 milioni di residenti, ne ha avute 1,41 milioni; la Campania (5,8 milioni) 1,44 milioni. «La Puglia – evidenzia Emiliano – è la terza regione in Italia per vaccini somministrati rispetto a quelli ricevuti. Ma non ci consegnano abbastanza vaccini da Roma per tenere questo ritmo. E quindi dobbiamo rallentare la nostra velocità di somministrazione per mancanza di vaccini. Ho scritto al commissario Figliuolo per ottenere altri vaccini, almeno sino a che non arriveranno i carichi previsti per mercoledì, che ho chiesto comunque di anticipare». Emiliano evidenzia le disparità tra i territori in materia di sanità: «La Puglia – scrive – oggi è per capacità vaccinale sopra quasi tutte le più grandi Regioni italiane, alla pari dell’Emilia Romagna che, a parità di abitanti, ha il doppio degli ospedali e della medicina territoriale della Puglia, ventimila medici, infermieri e operatori sanitari in più rispetto a noi e un budget sanitario su cui contare di circa 400 milioni all’anno più ricco del nostro. Questo a causa di uno storico divario tra regioni del Nord e quelle del Sud. Facciamo le nozze con i fichi secchi, siamo stremati dalla fatica per la mancanza di personale, ma stiamo facendo da pugliesi tutto il nostro dovere fino in fondo. Se avessimo vaccini per tutti potremmo mettere in sicurezza la popolazione entro l’estate».

LA PENALIZZAZIONE. Il Sud è effettivamente penalizzato dal punto di vista degli organici: la Campania, infatti, che ha 5,8 milioni di residenti, può contare soltanto su 42mila operatori sanitari; in Emilia Romagna (4,4 milioni) i dipendenti sono invece oltre 57mila, in Veneto (4,9 milioni) quasi 58mila, in Toscana (3,7 milioni) sono quasi 49mila, in Piemonte (4,3 milioni) sono 53mila, e non parliamo della Lombardia dove si sfiorano le 100mila unità.  In Puglia, dove si conta una popolazione di 4,1 milioni di abitanti, il personale sanitario a tempo indeterminato impegnato negli ospedali supera di poco le 35mila unità; persino il Lazio (5,8 milioni di abitanti) ha appena 41mila dipendenti a tempo indeterminato nella sua sanità. I numeri sono messi nero su bianco dalla Corte dei conti nel suo “Rapporto 2020 sul coordinamento della finanza pubblica”. Far funzionare una Terapia intensiva, un reparto di Malattie infettive, uno di Pneumologia, per di più durante una pandemia, senza avere il personale numericamente adeguato è roba da acrobati. La sanità è il settore che, più di altri, necessita di una iniezione di liquidità al Mezzogiorno per recuperare quel gap che si è creato negli ultimi 20 anni di sottofinanziamento rispetto al Nord. La spesa per investimenti in sanità, ad esempio, è stata del tutto squilibrata territorialmente: dei 47 miliardi totali impegnati in 18 anni (2000-2017), oltre 27,4 sono finiti nelle casse delle regioni del Nord, 11,5 in quelle del Centro e 10,5 al Sud. È questa l’analisi che emerge dal sistema dei Conti pubblici territoriali (Cpt): in termini pro-capite significa che mentre la Val d’Aosta ha potuto investire per i suoi ospedali 89,9 euro, l’Emilia Romagna 84,4, la Toscana 77, il Veneto 61,3, il Friuli 49,9, il Piemonte 44,1, la Liguria 43,9 e la Lombardia 40,8. La Calabria, invece, ha dovuto accontentarsi di appena 15,9 euro pro-capite, la Campania di 22,6, la Puglia 26,2, il Molise 24,2, il Lazio 22,3, l’Abruzzo 33.

IL GAP NEI FINANZIAMENTI. Altri indicatori confermano che, ogni anno, al Nord arrivano maggiori trasferimenti da Roma destinati alla sanità: dal 2017 al 2018, ad esempio, la Lombardia ha visto aumentare la sua quota del riparto del fondo sanitario dell’1,07%, contro lo 0,75% della Calabria, lo 0,42% della Basilicata o lo 0,45% del Molise. Dal 2012 al 2017, nella ripartizione del fondo sanitario nazionale, sei regioni del Nord hanno visto aumentare la loro quota, mediamente, del 2,36%; mentre altrettante regioni del Sud, già penalizzate perché beneficiarie di fette più piccole della torta dal 2009 in poi, hanno visto lievitare la loro parte solo dell’1,75%, oltre mezzo punto percentuale in meno. Significa che, dal 2012 al 2017, Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana hanno ricevuto dallo Stato poco meno di un miliardo in più (per la precisione 944 milioni) rispetto ad Abruzzo, Puglia, Molise, Basilicata, Campania e Calabria. Ecco come è lievitato il divario tra le due aree del Paese: mentre al Nord sono stati trasferiti 1,629 miliardi in più nel 2017 rispetto al 2012, al Sud sono arrivati soltanto 685 milioni in più. 

Albertini: “Sanità lombarda alla napoletana, non si capisce la scelta”. È bufera. Pubblicato da Gennaro De Crescenzo su brevenews.com Venerdì 2 aprile 2021. Gabriele Albertini e la Sanità lombarda alla napoletana, lo scivolone a "Stasera Italia", su Rete4. Albertini: “Sanità lombarda alla napoletana, non si capisce la scelta”. È bufera. Se c’è una cosa che abbiamo imparato da questa pandemia, è che in Italia nemmeno i luoghi comuni funzionano. Ad esempio quelli che indicavano la Lombardia come eccellenza si sono dimostrati assolutamente fasulli, così come quelli che, viceversa, davano le Regioni del Sud come arretrate da questo punto di vista. Ma Gabriele Albertini, ex Sindaco di Milano, da qualche anno ai margini della politica che conta, probabilmente avrà vissuto su un altro pianeta negli ultimi 14 mesi. O più semplicemente,  il senatore ex Forza Italia non ha avvertito i problemi e i disagi dei propri concittadini in questa terribile fase della nostra esistenza. Nel corso della trasmissione "Stasera Italia", su Rete4, Albertini, nel commentare le mostruosità a livello organizzativo che hanno caratterizzato la sua Regione dal punto di vista sanitario, si è lasciato andare al classico luogo comune delle cose fatte alla napoletana. Peccato, perché se così fosse, probabilmente si sarebbero salvati migliaia di lombardi, considerando che la Campania è la Regione col tasso di mortalità più basso in Italia e tra i più bassi in Europa. E invece, Albertini fa il gioco delle 3 carte cercando di abbassare l’attenzione sui disastri lombardi. A segnalare lo scivolone, l’ennesimo, è il Prof. Gennaro De Crescenzo. Il Presidente del Movimento Neoborbonico attraverso la propria pagina Facebook, ha postato lo spezzone ‘incrminato’ con un durissimo, ma legittimo sia chiaro, commento. Albertini: “Sanità lombarda alla napoletana”. Protesta del Movimento Neoborbonico ”IL “RAZZISMO” DI ALBERTINI (ANCORA) A RETEQUATTRO? Di fronte alla vergogna della folla di ottantenni lombardi accalcati per i vaccini e di fronte alle polemiche contro la Regione Lombardia, l’ex sindaco e senatore milanese Albertini ha parlato di “UNA ORGANIZZAZIONE E DI UNA MOSSA STRANA, NON LOMBARDA, IMPROVVISATA E CHE POTREBBE ESSERE PIÙ NAPOLETANA CHE LOMBARDA”. La conduttrice Barbara Palombelli questa volta è intervenuta per dire ad Albertini di evitare queste tesi e la risposta è stata ancora più carica di luoghi comuni e sfumature “razziste” (“in questo periodo anomalo stiamo assistendo a delle reinvenzioni delle tipologie territoriali”). Al senatore Albertini, evidentemente, non bastano 30 anni circa di inchieste e scandali lombardi (da Poggiolini al San Raffaele, dalle cliniche private agli assessori arrestati fino ad Expo o alle inchieste di questi giorni). Ad Albertini non bastano neanche i disastri di un’emergenza che ha visto morire oltre 30.000 poveri lombardi (6 volte di più dei morti campani). Per Albertini il parametro negativo era, è e sarà… Napoli e questa, in qualsiasi altro paese civile, si chiama discriminazione. E per questo motivo, dopo il recente caso dei “meridionali inferiori” di Feltri, sempre su Retequattro, chiediamo l’intervento urgente dell’ordine dei giornalisti e contatteremo gli sponsor della trasmissione per comunicargli che non potremo più acquistare i loro prodotti…

Movimento Neoborbonico e Movimento per il Nuovo Sud”. Pubblicato da Gennaro De Crescenzo su Venerdì 2 aprile 2021

"Ci vuole il quadruplo vaccino contro questi iettatori". De Luca operato in Veneto, il governatore contro i portaseccia: “Sto bene, dal nord vengono qui a curarsi”. Ciro Cuozzo su Il Riformista il 26 Marzo 2021. “Da qualche tempo persone amiche e conoscenti mi chiedevano "ma come stai?". Una volta, due volte, tre volte. Ringraziando il signore sto bene. Ma qualche giorno fa scopriamo su un giornalaccio che "il presidente della Campania si è andato a fare una operazione chirurgica in una clinica privata di Peschiera del Garda" (in Veneto, ndr). Abbiamo oggi in Campania tutte le eccellenze mediche chirurgiche per cui dal nord vengono qui a curarsi”. Così il governatore Vincenzo De Luca risponde alle notizie relative alle sue condizioni di salute diffuse negli ultimi giorni. “Hanno anche detto che mi ero andato a preparare per un intervento chirurgico in Basilicata prima di andare in Veneto. Una preparazione a base di “aglianico del Vulture“. Dopo mesi di sciacallaggio mediatico, di notizie false, di strumentalizzazioni, che andavano avanti durante la campagna elettorale, abbiamo registrato quest’ultimo fiore, quest’ultima perla. Chiarisco – ribadisce – a tutti gli amici e cittadini che sto bene. “In Campania abbiamo bisogno del quadruplo vaccino, due per il Covid e altre due dosi per combattere una categoria particolarmente nutrita in Campania quella dei "portaseccia", soggetti dotati di poteri occulti, a volte per eredità. Questi eredi di Rosario Chiàrchiaro personaggio di Pirandello (protagonista di una novella, un uomo scacciato dal banco dei pegni per essere stato considerato uno iettatore, ndr)”. “Andiamo avanti con relative querele di diffamazione, violenza privata” aggiunge “perché in una democrazia ognuno è libero di dire e fare quello che vuole ma ne deve rispondere e invece qui, in Italia, non succede mai nulla”. De Luca si chiede se “in un Paese serio possano essere concepite cose del genere senza mandare direttamente in galera i protagonisti di queste porcherie, con relative querele per diffamazione e violenza privata”. 

La lettera. Salvini se ne faccia una ragione, non sono una furbetta dell’antivirus. Pina Tommasielli su Il Riformista il 26 Marzo 2021. L’attacco scomposto di Matteo Salvini all’Unità di crisi della Campania svela un malcelato nervosismo perché è accaduta una cosa che mai avrebbe voluto  che accadesse: la sanità regionale, dall’inizio della pandemia a tutt’oggi, ha gestito molto meglio della Lombardia tutte le varie fasi della pandemia, se si pensa alla strage degli  anziani nel Pio Albergo Trivulzio e al flop vaccinazioni di questi giorni. In Campania, nelle Rsa pubbliche e private, noi siamo andati a fare i tamponi e a mettere in sicurezza i nostri anziani. In Lombardia, invece, su sollecitazione dell’Assessorato alla Sanità, le Rsa hanno ospitato malati di Covid, a suon di lauti rimborsi per posto letto. In Campania, a oggi, tra fragili e over 80 abbiamo vaccinato 210mila persone, mentre in Lombardia la macchina vaccinale è totalmente inceppata, anche in presenza dei fuoriclasse della managerialità nazionale. Capisco che Salvini abbia la necessità di sciacallare sulla retorica vecchia  e stantia della casta, dei furbetti del vaccino e dei «privilegiati dell’Unità di crisi», ma temo che se ne dovrà  fare una ragione. Ma andiamo con ordine: il 27 dicembre, il Vaccination day europeo, il vaccino somministrato per la prima volta è stato il Pfizer. C’era paura, sconcerto e legittima titubanza, anche tra gli addetti ai lavori, ma tanta voglia di uscire dall’incubo. Molti di noi, da un anno in prima linea contro il Covid ma  a mani nude, vedendo morire colleghi e familiari e sfidando la paura, sono corsi a vaccinarsi, consapevoli della responsabilità verso il prossimo, dell’urgenza di infondere coraggio ai colleghi e a chi necessità di cure. Dunque siamo andati a vaccinarci con le gambe che ci tremavano, senza calcolare il pericolo. Altro che casta e furbetti. Salvini venga a prendere lezioni di compostezza istituzionale e di abnegazione professionale. Noi l’inno di Mameli non lo cantiamo al Papeete con lo spritz in mano, ma  lavoriamo ogni giorno, fuori e dentro le istituzioni, a  capo chino, per uscire dall’incubo e onorare questo Paese.

Paolo Griseri per "la Stampa" il 18 gennaio 2021. Sentivamo la mancanza del vaccino per censo. L'idea di Letizia Moratti, neo assessora della Lombardia, di consegnare più dosi alle regioni che hanno un Pil più alto è di quelle che ci proiettano immediatamente nell'Italia di fine Ottocento. Quando il voto era appannaggio dei più abbienti secondo la teoria per cui chi più ha più decide. Dopo il vecchio slogan «Prima i Lombardi» e la sua versione salviniana «Prima gli italiani», la parabola del centrodestra approda dunque ad un più universale «Prima i ricchi». Così, piatto, senza mediazioni. Tutti gli animali sono uguali, avrebbe detto Orwell, ma di fronte alla siringa, i Paperoni sono più uguali degli altri. A meno che, con astuzia, Moratti non abbia voluto utilizzare il vaccino per spingere gli evasori a dichiarare il loro reddito. Il bastone e la puntura. Quanti accetterebbero?

Da repubblica.it il 19 gennaio 2021. Contributo che le Regioni danno al Pil, mobilità, densità abitativa e zone più colpite dal virus: sono questi i quattro parametri che la vicepresidente e neo assessora al Welfare della Regione Lombardia Letizia Moratti ha chiesto di tenere in considerazione per la ripartizione dei vaccini anti-Covid, con una lettera al commissario Arcuri. Il presidente della Campania, Vincenzo De Luca, attacca: "Leggo con sconcerto le affermazioni della signora Moratti a sostegno di una distribuzione di vaccini legata al Pil delle diverse regioni. Si fa fatica a credere che si possa subordinare l'uguale diritto alla vita di tutti a dati economici. Si direbbe che siamo a un passo dalla barbarie. La signora Moratti è persona intelligente e civile. Mi auguro che voglia chiarire che si è trattato di un'affermazione non meditata, che non risponde alle sue convinzioni". Sulla questione interviene con una nota anche il movimento "Dema" del sindaco di Napoli Luigi de Magistris: "Dopo la secessione dei ricchi arriva la vaccinazione dei ricchi! Parole inaccettabili quelle pronunciate dalla Moratti che, in un momento storico difficile e complesso come quello che stiamo vivendo, tuonano come un progetto eversivo che mina l’unità e la coesione nazionale. Ancora una volta la Lombardia tenta di mettere a norma il divario tra Nord e Sud, chiedendo risorse vaccinali in funzione della ricchezza dei suoi territori, escludendo i fabbisogni dei cittadini e criteri di equità sociale. Un’idea malsana che viola la Costituzione e si appresta a riservare al Sud ancora atti iniqui e diseguaglianze inaccettabili".

Chiara Baldi per lastampa.it il 20 gennaio 2021. «Io ho già parlato con il commissario Arcuri e gli ho proposto quattro criteri: le zone più colpite, la densità abitativa, il tema della mobilità e il contributo che le regioni danno al Pil. Secondo me questi criteri dovrebbero essere tenuti in considerazione non tanto per modificare la distribuzione dei vaccini perché questo non sarà possibile, ma se non altro per accelerare nei confronti di quelle regioni che corrispondono a questi criteri». A parlare è la neo vicepresidente e assessora al Welfare Letizia Moratti nella riunione coi capigruppo del Consiglio Regionale a cui ha spiegato i nuovi criteri che vorrebbe proporre al commissario per l’emergenza Domenico Arcuri il quale, ha spiegato Moratti, «si è dichiarato d’accordo con alcuni di questi criteri, gli sto preparando una lettera ma ovviamente questo sarà confronto nella conferenza Stato-Regioni». Un audio che smentirebbe Moratti su quanto dichiarato oggi in Consiglio Regionale: «Non ho mai pensato di declinare vaccini e reddito». All’attacco il gruppo del Movimento Cinque Stelle: «Prendiamo atto del fatto che l’assessore Moratti abbia avvertito il bisogno di rettificare l’infelice uscita di ieri pomeriggio. Non comprendiamo invece la necessità di mentire. Nell’audio diffuso da alcune testate giornalistiche, relativo alla riunione dei capigruppo di ieri pomeriggio, l’assessore ha inequivocabilmente legato il criterio del PIL al piano vaccinale. Come peraltro confermato dalle successive parole dello stesso presidente Fontana. Le scuse e il conseguente implicito e immediato ritiro della proposta stessa, che registriamo con ovvia soddisfazione, sarebbero state sufficienti. Vergognarsene al punto di arrivare a mentire, invece non è certo sinonimo di un buon avvio per chi vorrebbe riformare la Sanità in Lombardia», commenta il capogruppo del Movimento Cinque Stelle, Massimo De Rosa, riguardo alla rettifica dell’assessore Letizia Moratti riguardo le dichiarazioni di ieri.

Ettore Livini per repubblica.it il 20 gennaio 2021. Il Pil, alla fine, conta davvero e il vaccino contro il Covid – almeno per ora – è un affare riservato solo ai ricchi. I numeri parlano da soli: al 18 gennaio le dosi somministrate in tutto il pianeta erano 41,39 milioni. Quasi 13 milioni sono state usate negli Usa, 4,5 in Gran Bretagna, 2,6 in Israele, 1,8 negli Emirati arabi. L’unica nazione in via di sviluppo entrata per ora in classifica è la Guinea, dove la campagna di immunizzazione è arrivata a quota 25 iniezioni grazie a una campagna sperimentale con un prodotto russo uscito dai laboratori del Gameleya Institute. E il rischio è che il sovranismo farmaceutico “diventi una catastrofe morale per tutti – ha detto il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus – visto che i giovani e gli adulti sani nella parte più ricca della terra saranno vaccinati prima degli infermieri e degli anziani di quella meno abbiente”. La corsa al vaccino in effetti, con buona pace delle tante parole spese quando la cura contro la pandemia non era ancora disponibile, è diventata una gara dove chi offre di più vince. L’Oms assieme a Gavi Alliance ha provato a mettere assieme Covax, una sorta di centrale di acquisti comune per comprare le dosi e distribuirle in modo equo in tutto il mondo. L’idea era di riuscire a smistare da questa stanza dei bottoni 2 miliardi di vaccini entro il 2021, ma il traguardo è molto lontano. Le donazioni e gli stanziamenti nazionali (l’Europa ci ha messo 400 milioni, l’Italia 103, la Gran Bretagna 750) sono stati di molto inferiori alle attese con gli Usa per ora alla finestra. Quelle private – con la Fondazione Gates in testa – sono arrivate con il contagocce. “E le grandi case farmaceutiche hanno fatto la gara per farsi approvare i farmaci dalle nazioni più ricche senza chiedere l’ok all’Oms” accusa Ghebreyesus e soddisfano subito le richieste di chi è in grado di pagare in contanti. La speranza dell’organizzazione è di riuscire a inviare le prime dosi nei paesi più fragili a fine marzo grazie a un accordo con Pfizer. E anche l’Europa, dopo la tirata d’orecchi, sembra pronta a muoversi per garantire una copertura universale più ampia. Bruxelles ha già ordinato 2,3 miliardi di dosi dalle società che stanno studiando i vaccini. L’idea è di girare quelle in surplus ai Balcani e all’Africa “studiando un meccanismo con i paesi membri”, ha detto il commissario alla salute Stella Kyriakides. Dosi che potrebbero arrivare in anticipo rispetto a quelle promesse da Covax. Il grande assente in questo sforzo di vaccinazione planetaria sono gli Stati Uniti che sotto la presidenza di Donald Trump hanno boicottato tutte le iniziative dell’Oms. Un approccio che molti sperano ora possa cambiare con l’arrivo alla Casa Bianca di Joe Biden.

Letizia Moratti, la sua proposta sui vaccini in base al Pil è già realtà nel mondo. Le Iene News il 19 gennaio 2021. Una proposta della neo vicepresidente della Lombardia ha acceso le polemiche: “Distribuire i vaccini tra le regioni anche in base al contributo che danno al Pil”. Un’idea che ha causato più di una polemica, ma che purtroppo nel mondo sta già avvenendo: se continueremo su questa strada però non ci libereremo mai della pandemia. “Distribuire i vaccini per il coronavirus tra le regioni anche in base al contributo che danno al Pil”: la proposta della neo vicepresidente della Lombardia Letizia Moratti ha sollevato un’enorme polemica politica. In molti hanno reagito in maniera sdegnata, a partire dal ministro della Salute Roberto Speranza: “Tutti hanno diritto al vaccino indipendentemente dalla ricchezza del territorio in cui vivono”, ha scritto su Twitter. Ma è davvero così? Oppure quello che ha proposto Letizia Moratti per le regioni italiane in realtà sta già avvenendo in tutto il pianeta? Nella lunga corsa alla vaccinazione contro il coronavirus infatti ci sono paesi che vanno più veloci, altri più lenti, altri ancora che zoppicano. Ve ne abbiamo parlato solo ieri qui, analizzando le cause di questi diversi ritmi. Però ci sono paesi che a questa corsa non sono nemmeno stati invitati, e sono proprio i più poveri del mondo. L’allarme lo ha lanciato ieri - in una strana coincidenza temporale con le dichiarazioni di Letizia Moratti - l’Organizzazione mondiale della sanità: “Nei paesi poveri del mondo sono state somministrate solamente 25 dosi di vaccino”. Venticinque, tra l’altro tutti distribuiti in Guinea, tutti provenienti dalla Russia. Una delle persone vaccinate è il presidente del paese. Per dare meglio l’idea del contrasto, nei paesi del mondo ad alto reddito sono state somministrate più di 40 milioni di dosi. Il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom, ha usato parole durissime per condannare questo scempio: “Il mondo è sull’orlo di un catastrofico fallimento morale, e il prezzo di questo fallimento sarà pagato con le vite dei cittadini più poveri del mondo. Non è giusto che i giovani in salute nei paesi poveri siano vaccinati prima dei medici e degli anziani dei paesi poveri”, ha aggiunto Adhanom. La ragione di questo scempio purtroppo è semplice: i paesi ricchi hanno stretto accordi economici importanti con le case farmaceutiche attualmente autorizzate a commercializzare i loro vaccini, e la penuria di dosi in tutto il mondo ne ha causato l’indirizzamento solamente verso chi può fare la migliore offerta. L’allarme per la distribuzione dei vaccini è stato lanciato già a dicembre da Oxfam e da Amnesty International: secondo un report delle due associazioni, il 90% degli abitanti di 67 paesi a reddito medio o basso non avranno accesso al vaccino contro il coronavirus. I motivi sono due: i vaccini costano troppo e i paesi ricchi del mondo ne hanno comprato quasi interamente la disponibilità per tutto il 2021. I paesi ricchi del mondo, ricorda Amnesty, rappresentano il 14% della popolazione e hanno già comprato il 53% delle dosi di vaccino che dovrebbero essere disponibili nel 2021. Guardando solo i prodotti di Pfizer e Moderna, gli unici due già approvati dalla maggior parte dei paesi ricchi, il dato sale al 95%. E così mentre i ricchi potranno vaccinarsi varie volte (il Canada ha già opzionato dosi sufficienti a vaccinare cinque volte la popolazione), ci sono miliardi di persone che per adesso sono rimaste fuori e potrebbero morire a decine di migliaia. Tra i paesi esclusi ce ne sono cinque dove si sono registrati oltre due milioni di casi: Kenya, Nigeria, Ucraina, Pakistan, Myanmar. E con loro altri 64 paesi che nel 2021 potrebbero non vedere nemmeno una singola dose di vaccino. Cosa rischiamo però se il sistema continuasse così, e i vaccini fossero davvero distribuiti in base al Pil dei singoli paesi? Semplice: non ci libereremmo mai della pandemia di coronavirus. Se il virus continuasse a circolare liberamente in questi paesi, che sono abitati da miliardi di persone, continuerebbe a trovare un modo per entrare anche nei paesi ricchi: gli stretti rapporti commerciali e i movimenti di persone sarebbero veicoli perfetti per il Covid-19 per girare indisturbato per tutto il pianeta. Esattamente come accaduto all’inizio della pandemia. Inoltre è plausibile pensare, date le conoscenze attuali sui virus, che il contatto tra persone non vaccinate e vaccinate spingerebbe il Covid-19 a mutare per poter contagiare di nuovo chi è protetto. E nel mondo globalizzato contemporaneo è impossibile immaginare di chiudersi completamente al contatto con i paesi dove la campagna vaccinale rischia di non partire mai. Nel caso italiano, il dato è ancora più chiaro guardando ai numeri degli immigrati regolarmente residenti sul nostro territorio: soltanto da Ucraina, Pakistan e Nigeria - tre dei cinque paesi citati sopra - sono 485mila. Negli ultimi dieci anni, sono arrivate 197mila persone da questi tre paesi. Un calcolo che prende in considerazione solo tre paesi e solo gli immigrati regolari: allargando lo sguardo agli altri stati e anche ai migranti irregolari, il numero cresce di molto. Insomma, i rischi nell’escludere i paesi poveri del mondo dalla vaccinazione contro il coronavirus sono enormi per tutti, non solo per loro. Non c’è un minuto da perdere nel distribuire equamente le dosi in tutto il pianeta, non solo perché la salute è un diritto umano che non dovrebbe essere messo a rischio a causa del reddito, ma anche perché è nell’interesse di tutti noi.

Roberto D’Agostino per Vanity Fair.it il 24 gennaio 2021. Una cosa che la pandemia ci ha insegnato, come se non lo sapessimo già, è che non siamo tutti sulla stessa barca, facendo lo stesso viaggio, di fronte alle stesse ondate e venti in questo mare di disperazione. Mentre tutto il paese è scapocciato, umiliato dai sacrifici e depresso dalle restrizioni, c'è un altro livello là fuori. Un livello superiore. È un livello di nessuna paura e di totale indecenza, dove i ricchi, i famosi e i “famosi per essere famosi” decollano per vacanze esotiche slegati dalle regole e leggi che inchiodano tutti gli altri nelle loro case, nei loro quartieri, nelle loro bolle di fatica e guai. Come può essere che gli innocenti escursionisti del fine settimana siano interrogati dalla polizia per aver acquistato caffè da asporto mentre altri possono rifugiarsi nelle loro seconde case, godersi le vacanze qua e là o scivolare all'estero per lunghi periodi di tempo, prendendo il sole e godendosi il lusso senza sosta, convincendosi di essere martiri del Covid perché devono accontentarsi di due cubetti di ghiaccio nei loro cocktail invece di tre? Per le festività natalizie, il celeberrimo pallonaro Neymar ha fatto felici 500-amici-500 invitandoli in un resort brasiliano per fare il “trenino” e suonare le trombette. Una vacanza, ma anche una cena in un ristorante, sembra ormai un sogno irraggiungibile per la maggior parte di noi, ma Paul McCartney, il circo delle Kardashian e Beyoncé varie e avariate sembrano aver messo radici a St Barts, l’isola caraibica dei cresi, senza alcuna preoccupazione al mondo. Seguendo l’esempio di Murdoch, un californiano ha offerto 25mila dollari all’ospedale Cedars-Sinai di Los Angeles per una dose. Con la vita sprangata per virus, dove sono finite quelle buone a tutto ma capaci solo di postare foto con le chiappe rifatte al vento, chiamate influencer? Taylor Mega, Chiara Nasti e Giulia De Lellis se ne impippano di mascherine e zone rosse-arancioni-gialle e, con le mammelle in resta, sono volate a Dubai "per lavoro" dove hanno trovato già spiaggiata Elisabetta Gregoraci fresca reduce e combattente delle ammucchiate al “Grande Fratello Vip”. Poter ancora girare per il mondo, andare e venire come ti pare in un momento di merda come questo e inzeppare Instagram con ‘’stories’’ dove scoprono cosce e natiche e si scollano davanti e dietro, con curve e ancheggiamenti oggi riservati solo ai travestiti, ci vuole molto. Sì, ci vuole un pelo sullo stomaco alto così per sollazzarsi sulla spiaggia di Dubai, brindando al tramonto: "Un'altra pina colada, tesoro? O vuoi prima fare una nuotata nell'oceano?’’ Ora non biasimo nessuno di loro. Ci sarà sempre chi sarà più ricco e fortunato di te, mentre ci sarà sempre chi sarà più povero e meno fortunato. Tuttavia, prudono le manine quando tocca leggere che i ricchi membri britannici del Knightsbridge Circle - un club privato da 25.000 sterline all'anno - vengono trasportati su jet privati in India, Dubai e Abu Dhabi per soggiornare in ville di lusso mentre ottengono il doppio colpo del vaccino Pfizer, rilassandosi in un cinque stelle ville prima di prendere la seconda dose. E tutto questo per circa 40.000 sterline ciascuno. C'è da chiedersi quale sia la moralità di coloro che sono felici di pagare per salire a bordo di un jet privato e volare dall'altra parte del mondo per saltare la coda in India, una nazione povera di 1,3 miliardi, molti dei quali vivono in baraccopoli sgangherate ai limiti della sopravvivenza. Del resto, anche nell’ex paese del comunismo, a Varsavia, hanno cominciato le vaccinazioni dai vip. Cantano i Beatles: "Money can't buy me love". L’amore non si può comprare. Il vaccino sì.

Vaccini in base al Pil, la Moratti ha sdoganato l’assurda idea di molti. Giulio Cavalli su Notizie.it il 19/01/2021. Non di sola Moratti muore la dignità in tempi di pandemia: si chiama capitalismo ed è l’olio che lubrifica il mondo e che schiaccia gli oppressi. Eccola qua la sciura Letizia Moratti, la milanesissima borghesissima ex sindachissima che ha sempre amministrato le cose pubbliche come se fossero il suo salotto, quella che divide il mondo in ricchi e poveri, in privilegiati che la politica deve continuare a preservare e in fastidiosi bisognosi di cui disfarsi per non rovinare il mobilio. La vice presidente e assessora che non avrebbe dovuto far rimpiangere Gallera (e non era difficile, viste le sciagurate gesta del predecessore) ha partorito la fulminante idea di assegnare il vaccino prima alle regioni che producono più Pil e senza nemmeno rendersi conto della castroneria che le frullava per la testa ha preso carta e penna ed è riuscita a scriverla nero su bianco in una lettera inviata al commissario Arcuri. Avrà pensato, la gerarca Moratti, che il soldo sia sempre un motivo valido per stabilire le priorità, del resto quella è la sua forma mentis, e che non ci fosse nulla di male nell’avere il coraggio di dire quello che, soprattutto in Lombardia, in molti hanno messo in pratica in questi mesi di pandemia in cui la chiusura delle fabbrichette della Val Seriana terrorizzavano la classe dirigente molto di più della fila di camion militari che svuotavano la bergamasca dalle vittime del virus. In sostanza la differenza tra Letizia Moratti e gli imprenditori e i politici d’assalto sta solo nell’aver scritto quelli che molti altri pensano e non dicono, una leggerezza che si può perdonare all’ex sindaca che ingolfò il comune di Milano di super consulenze ai suoi amici degli amici, che cambiò le regole per permettere al figlio di costruirsi una Bat-caverna in città e che accusò il suo sfidante Giuliano Pisapia di un reato che non aveva mai commesso in diretta televisiva. Letizia Moratti è così, con quella sicumera che accompagna sempre i prepotenti che si considerano impunibili, coloro che si ritengono sovversivi e riformisti perché hanno il coraggio di scoperchiare le schifezze che gli altri non hanno nemmeno il coraggio di pensare. E chissà se vale davvero la pena ricordare ai tanti Moratti che ci sono in giro l’articolo 32 della Costituzione, quello che dice chiaramente che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti” e che soprattutto in Lombardia viene calpestato giorno dopo giorno, da decenni, perfino sventolato, qui dove sono fieri di avere regalato un pezzo del SSN ai privati più ingordi per trasformare i pazienti in clienti, la salute in profitto e gli ospedali in un covo di lupi che inseguono il fatturato con la bava alla bocca. Però non di sola Moratti muore la dignità in tempi di pandemia e sarebbe riduttivo e miope prendersela solo con lei. Il pensiero della Moratti lo abbiamo annusato in questi mesi nelle richieste più o meno velate di chi proponeva di curare con meno foga gli anziani perché improduttivi, chi proponeva magari di chiuderli in casa, chi se la prende con i virologi colpevoli di “terrorizzare gli italiani” e di fare scendere i consumi: è la stessa architettura di idee di chi dice che “se muore qualcuno, pazienza” ma l’importante è che non scenda il fatturato. Nasci, cresci, fattura, spendi e crepa; e se non fatturi e se non spendi allora crepa prima perché non sei funzionale al sistema: la Costituzione non scritta che indirizza certa destra è da anni questa cosa qui, che poi ha un nome e un cognome, si chiama capitalismo ed è l’olio che lubrifica il mondo e che schiaccia gli oppressi. C’è anche un altro piccolo particolare che varrebbe la pena sottolineare: mentre noi siamo qui a discutere delle beghe morattiane nostrane nei Paesi più poveri del mondo (lo dice l’OMS) sono state vaccinate 25 persone, 25 persone in tutto. Forse il problema è un po’ più vasto della semplice Lombardia.

Il Paese che non ama. Mauro Munafò su L'Espresso il 19 gennaio 2021. È questa qui la destra italiana. Ed è sempre stata così. Grazie Letizia Moratti, te lo dico davvero. Grazie. Grazie perché la tua ultima uscita permette ancora una volta, e senza ipocrisie e mezze misure, di ricordare a tutti gli smemorati che cosa è la destra in Italia. La neo assessora in Lombardia ha infatti messo per iscritto un'assoluta ovvietà, un pensiero in perfetta continuità e coerenza con quanto questa parte politica predica e realizza da anni nel nostro Paese.  Secondo Moratti infatti, i vaccini devono essere distribuiti tenendo in considerazione anche quanto una regione contribuisce al Pil. Tradotto: la Lombardia che è una regione più ricca, deve averne di più e prima degli altri. È questa, e lo è da sempre, l'unica dottrina politica che anima le destre: il dio denaro. I ricchi hanno ragione, i poveri hanno torto. Non è una gaffe, tanto che qualche mese fa le stesse identiche cose le aveva dette anche un leghista, l'europarlamentare Angelo Ciocca, che aveva chiesto proprio di far arrivare i vaccini prima in Lombardia perché i lombardi "producono" di più. Le persone annullate e appiattite su un solo parametro: quanto possono produrre, quanta ricchezza possono generare, quanti soldi possono far girare. E quindi, come rovescio della medaglia, la povertà come colpa, la disoccupazione come incapacità, la vita ridotta alla sola dimensione del Pil. E allora di cosa ci stupiamo oggi, di cosa ci stiamo indignando esattamente? Lo scempio della sanità privata nelle ricche regioni del Nord, i soldi che girano sempre nelle tasche delle stesse persone (leggere la precisa inchiesta di Gianfrancesco Turano sul tema) non erano abbastanza? A quanto pare no. E allora grazie ancora assessora Moratti per avercelo ricordato.

La sanità in Lombardia resta un affare di Silvio Berlusconi e dei suoi amici. Gianfrancesco Turano su L'Espresso il 18 gennaio 2021. San Donato, Humanitas, Maugeri: sono i tre colossi delle cliniche private fanno decine di milioni di profitti all'anno grazie agli accrediti regionali. Alla guida ci sono uomini vicini al leader di Forza Italia e fra gli azionisti abbondano finanziarie estere e fondi. Per questo, dopo l'addio di Gallera, la poltrona è andata a un'altra berlusconiana di ferro: Letizia Moratti. La Lombardia si divide in tre parti. Milano, in mano a un moderatissimo centrosinistra. Il resto della regione, in mano alla Lega. E la sanità, gestita negli ultimi quarant’anni da un uomo più noto per le tv private, per i successi calcistici e per le sue discese in campo: Silvio Berlusconi. Naturalmente è una gestione indiretta, non è che può fare sempre tutto lui. Ma assessori e imprenditori della sanità privata portano il suo marchio. Il ritorno di Letizia Brichetto, vedova del petroliere Gianmarco Moratti nominata da Attilio Fontana dopo gli altrettanto forzisti Giulio Gallera e Mario Mantovani, conferma e garantisce il modello che sostiene gli accordi interni al centrodestra. I circa 20 miliardi annui di fondi della sanità, il piatto più ricco fra le regioni italiane, devono essere gestiti dagli uomini di Silvio a prescindere dai risultati elettorali di Forza Italia, in costante declino rispetto ai consensi salvinisti.

Emiliano: «Puglia grande come il Veneto ma con la metà degli ospedali». Il governatore contesta la spartizione delle risorse della sanità: «L’Italia non rispetta da anni l’articolo 3 della Costituzione». Vincenzo Damiani su Il Quotidiano del Sud il 17 gennaio 2021. «L’Italia nega l’articolo 3 della Costituzione, perché non dà parità di diritto alla salute dei cittadini del Sud rispetto a quelli del Nord Italia. È un dato di fatto che tutti conoscono e tutti fingono di ignorare, un dramma su cui non riusciamo ad attirare l’attenzione. Siamo costretti sempre a fare le nozze con i fichi secchi». Firmato Michele Emiliano. Il presidente della Regione Puglia ieri ha sbottato pubblicamente e volutamente davanti a telecamere e taccuini dei cronisti presenti all’inaugurazione del nuovo ospedale Covid realizzato in appena 45 giorni nella Fiera del Levante di Bari: una mega struttura da 154 posti letti di terapia intensiva, sub intensiva, malattie infettive e pneumologia, attrezzata con due sale operatorie e sala Tac. La soddisfazione per aver portato a termine un’opera importante in tempi stretti ha, però, fatto posto alla rabbia per una situazione che in Italia non cambia e che il nostro giornale denuncia da quasi due anni: le maggiori risorse in campo sanitario, e non solo, che lo Stato continua a riservare alle regioni del Nord rispetto a quelle del Sud per un iniquo metodo di ripartizione del fondo nazionale. Emiliano lo dice pubblicamente e senza peli sulla lingua: «Vi prego aiutateci a denunciare questa cosa – dice rivolgendosi ai giornalisti in sala – la Puglia ha la metà degli ospedali di Regioni con popolazione identica alla nostra. Il Veneto ha il doppio degli ospedali della Puglia con poche centinaia di residenti in più; l’Emilia Romagna ha il doppio del personale sanitario. La Regione Puglia ha un buon equilibrio sanitario ma non è una corazzata come altre Regioni dal punto di vista finanziario, di posti letto e del personale. Questo perché l’Italia nega alle regioni del Sud l’articolo 3 della Costituzione. È un dato di fatto», ribadisce. E i numeri sicuramente sorreggono la tesi di Emiliano: dal 2017 al 2018, ad esempio, la Lombardia ha visto aumentare la sua quota del riparto del fondo sanitario dell’1,07%, contro lo 0.75% della Calabria, lo 0,42% della Basilicata o lo 0,45% del Molise. Lo stesso Veneto nel 2018, rispetto al 2017, ha ricevuto da Roma lo 0,87% in più. Insomma, il Nord continua ad ottenere più soldi rispetto al Sud, è un dato oggettivo e certificato. E’ successo anche durante il 2020: lo Stato italiano per un pugliese ha speso mediamente 1.826 euro, contro i 1.918 riservati ad un emiliano. È questa la quota pro-capite che emerge dalla ripartizione del fondo sanitario nazionale: alla Puglia, 4,1 milioni di abitanti, dei 113,3 miliardi complessivi, sono stati riservati 7,49 miliardi; l’Emilia Romagna (4,4 milioni di residenti) ha ricevuto 8,44 miliardi: quasi un miliardo in più nonostante una popolazione quasi identica. Per un campano lo Stato spende 1.827 euro, per un calabrese, appena 1.800 euro, contro i 1.916 euro che “riceve” ogni friulano, i 1.935 euro di spesa pro capite del Piemonte o i 1.917 euro della Toscana. Assumere, costruire nuovi ospedali, investire nei macchinari è molto più facile se si dispone quasi di un miliardo in più all’anno. Un più equo meccanismo di attribuzione delle risorse permetterebbe, ad esempio, alla Puglia di ricevere, mediamente, 250 milioni in più all’anno: è la cifra che l’Emilia Romagna, a quasi parità di popolazione, ha incassato in più dal 2005 ad oggi. Negli ultimi 13 anni ha ricevuto 3 miliardi in più rispetto alla Puglia.

·        Succede in Lombardia.

(ANSA il 2 dicembre 2021) - La procura di Milano ha chiesto il rinvio a giudizio per il governatore della Lombardia Attilio Fontana e altre 4 persone per la vicenda dell'affidamento da parte della Regione di una fornitura, poi trasformata in donazione, da circa mezzo milione di euro di 75 mila camici e altri dpi a Dama, la società di suo cognato Andrea Dini. La richiesta è stata firmata dai pm Carlo Scalas e Paolo Filippini e dall'aggiunto Maurizio Romanelli. L'accusa è frode in pubbliche forniture. Oltre a Fontana, la richiesta di processo riguarda Andrea Dini, titolare di Dama e cognato del governatore lombardo, Filippo Bongiovanni e Carmen Schweigl, rispettivamente ex dg e dirigente di Aria spa e, infine, Pier Attilio Superti, vicesegretario generale della Regione. La chiusura delle indagini risale alla fine dello scorso luglio e gli indagati, che inizialmente avevano chiesto di essere interrogati, hanno rinunciato all'esame, ma hanno depositato memorie. "Il presidente Fontana - aveva spiegato l'avvocato Jacopo Pensa - ritenendo evento utopistico che la Procura, dopo l'avviso di chiusura indagine, possa mutare impostazione accusatoria a seguito di un suo interrogatorio ha deciso di riservare le proprie difese alle fasi processuali successive di fronte a giudici terzi". L'inchiesta, che ha visto lo stralcio in vista dell'istanza di archiviazione del capo di imputazione in cui solo Dini e Bongiovanni rispondono di turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente, ha al centro la fornitura di dispositivi di protezione individuale, tra cui appunto 75 mila camici, da consegnare in piena pandemia nella primavera 2020 alla Regione. Ne vennero consegnati in realtà solo 50 mila, in quanto venne a galla il conflitto di interessi poichè Dama è società del cognato di Fontana. Per questo la fornitura fu trasformata in donazione, con la conseguenza, secondo la ricostruzione degli inquirenti, che l'ordine non venne perfezionato per la mancata consegna di un terzo del materiale, cosa che ha portato i pm a formulare l'accusa di frode in pubbliche forniture. Ora la parola passa al gup. 

Caso camici: difesa Fontana, richiesta processo non sorprende  

(ANSA il 2 dicembre 2021) "Tutto come volevasi dimostrare. Non c'è nulla di sorprendente dal momento che non è stata accolta la nostra richiesta di archiviazione. D'ora in poi avremo a che fare con un giudice davanti al quale ci difenderemo seduti allo stesso livello dell'accusa. Fontana è certo della sua estraneità alle vicende contestate". Così l'avvocato Jacopo Pensa che, assieme a Federico Papa, ha commentato la richiesta di rinvio a giudizio da parte dei pm di Milano nei confronti del governatore della Lombardia Attilio Fontana e di altre 4 persone. (ANSA).

Un Premio contro il Covid. Report Rai PUNTATA DEL 27/11/2021 di Luca Chianca. Il Premio Lombardia è Ricerca è considerato un piccolo “nobel” all'italiana. In palio ogni anno c'è un premio da un milione di euro. Soldi pubblici che nell'autunno del 2019 sono andati al ricercatore che più si è distinto per aver contribuito a migliorare la qualità della vita delle persone che invecchiano. Pochi mesi dopo è arrivata la pandemia e, ironia della sorte, gli anziani della Regione Lombardia sono stati quelli più colpiti. Come hanno scelto il vincitore e dove sono andati tutti questi soldi per la ricerca?

“UN PREMIO CONTRO IL COVID”. di Luca Chianca , collaborazione Alessia Marzi. È il 9 novembre 2019. Al Teatro Alla Scala di Milano viene decretato il vincitore del premio internazionale “Lombardia è ricerca” in memoria di Umberto Veronesi. 

8 NOVEMBRE 2019 – III EDIZIONE PREMIO “LOMBARDIA È RICERCA”

ATTILIO FONTANA – PRESIDENTE REGIONE LOMBARDIA Io credo che un premio dedicato a un grande scienziato quale il prof. Veronesi dovesse e debba essere di grande qualità perché ricordiamo una persona di grandissima qualità, per cui è doveroso nei suoi confronti.  

LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Il premio è finanziato dalla regione Lombardia, e il tema dell'edizione 2019 è la “Healthy aging”, e cioè come si fa a invecchiare in salute. Una ricerca importante visto che siamo il paese più longevo d’Europa. La Regione premia con un milione di euro uno dei più noti biologi cellulari al mondo, Guido Kroemer. 

SILVIA PRIORI – PRESIDENTE GIURIA PREMIO LOMBARDIA È RICERCA 2019 Per aver scoperto nella restrizione calorica in grado di indurre l'autofagia un fattore chiave per la longevità.  

LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Durante il digiuno, infatti il corpo umano mangia alcuni suoi componenti spesso dannosi, ripulendo e ringiovanendo il nostro organismo.  

GUIDO KROEMER – VINCITORE PREMIO LOMBARDIA È RICERCA 2019 Possiamo concepire quel fenomeno l'autofagia come il meccanismo più potente anti- aging, anti-invecchiamento che esista nelle nostre cellule nel nostro organismo. 

LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Quando il professor Ettore Bergamini ascolta le motivazioni con cui è stato premiato Kroemer con un milione di euro, storce un po' il naso perché lo studio sul rapporto tra digiuno, autofagia e longevità lui l’aveva pubblicato 20 anni fa per il centro di ricerca sull'invecchiamento dell'Università di Pisa.  

LUCA CHIANCA Kroemer rispetto a lei che cosa scopre?  

ETTORE BERGAMINI - GERONTOLOGO Per quanto riguarda l'autofagia direi niente, per quanto riguarda la possibilità di indurla con l'uso della spermidina, questa qui è una cosa che ha fatto lui.  

LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Bergamini aveva scoperto che lasciando le cavie per 20 ore a digiuno i topolini si alimentavano attingendo alle loro riserve. E vivevano anche più di altre cavie perché si depuravano alimentandosi e distruggendo anche le sostanze più dannose presenti nell’organismo.   

ETTORE BERGAMINI - GERONTOLOGO Finché ce n'è bisogno funzionano, quando l'organismo si accorge che sono vecchie allora le macella e l'autofagia è il processo attraverso il quale vengono macellate queste cose.  

LUCA CHIANCA E ce le mangiamo? 

ETTORE BERGAMINI - GERONTOLOGO Ce le mangiamo, infatti autofagia significa mangiare se stessi, no? 

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO È un bel meccanismo. Buonasera. Allora da qualche anno la Regione Lombardia premia i migliori ricercatori al mondo. É una sorta di premio Nobel italiano dedicato alla memoria e alla ricerca di Umberto Veronesi. Ora. Il tema del 2019 - quello prima della pandemia – era dedicato all'Healthy aging, cioè alla capacità di invecchiare in maniera sana. Il cospicuo finanziamento, dovrebbe proprio da statuto della Regione, dovrebbe avere una ricaduta sul territorio. In realtà, nel 2019 l’ha vinto uno dei migliori biologi cellulari al mondo, il professor Guido Kroemer; però questa è una scelta che non è piaciuta a tutti. Perché? Il nostro Luca Chianca. 

LUCA CHIANCA FUORI CAMPO L’assegnazione del milione di euro a Kroemer, però, è avvenuta tra le polemiche. A pochi mesi dalla premiazione esce dalla giuria, Luigi Ferrucci, uno dei massimi esperti al mondo sul tema dell’invecchiamento. È il Direttore scientifico del National Institute of Aging di Baltimora. Ha declinato l’intervista con Report, ma ci ha scritto: Guido (Kroemer) è un grande scienziato, ma la motivazione è falsa.  

LUCA CHIANCA Parole pesantissime… 

SILVIA PRIORI – PRESIDENTE GIURIA PREMIO LOMBARDIA È RICERCA 2019 Ma sì, io non riesco a capire. La scoperta di Kroemer è stata che invece di far fare il digiuno al paziente assumendo queste sostanze si riesce ad attivare l'autofagia. Un rimedio che può essere prescritto e dato ai pazienti. 

LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Mentre è provato da anni che il digiuno stimoli l’autofagia, non è certo che la spermidina abbia lo stesso effetto perché ancora non c’è uno studio clinico pubblicato.  

ALESSANDRO LAVIANO - MEDICINA TRASLAZIONALE E DI PRECISIONE, SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA Perché non mi sento al momento di prescriverle perché al momento non ho la certezza che gli effetti positivi della longevità sono proprio dovuti alla Spermidina. 

LUCA CHIANCA Questo perché non esiste un vero e proprio studio clinico. 

ALESSANDRO LAVIANO - MEDICINA TRASLAZIONALE E DI PRECISIONE, SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA Certo non sappiamo cosa succede quando dobbiamo dare la spermidina a dei soggetti sani e a dei pazienti, questo ancora manca nella letteratura.  

LUCA CHIANCA Cosa ben diversa invece sul rapporto tra digiuno e longevità, lì c'è uno studio clinico. 

ALESSANDRO LAVIANO - MEDICINA TRASLAZIONALE E DI PRECISIONE, SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA Lì c'è uno studio clinico pubblicato su una rivista importante che si chiama Science Translation Medicine in cui si è dimostrato che migliorano alcuni aspetti per esempio la pressione, colesterolo, trigliceridi, marcatori d'infiammazione che notoriamente sono associati alla longevità.     

LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Pochi mesi prima la premiazione si dimettono altri tre giurati perché si scopre un conflitto di interessi con una candidata.  

LUCA CHIANCA Farla vincere dopo aver posto quel problema sarebbe stato il colmo. 

SILVIA PRIORI – PRESIDENTE GIURIA PREMIO LOMBARDIA È RICERCA 2019 Vede se lei vuole passare il messaggio che tutti si sono riuniti e alla fine han detto caspita adesso dobbiamo cambiare idea è un suo problema, ma non è così. 

LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Il Professor Supuran, uno dei tre professori dimessi, è di un'altra idea. 

CLAUDIU SUPURAN – PROFESSORE CHIMICA FARMACEUTICA UNIVERSITÀ DI FIRENZE L’impressione è che loro volevano a tutti i costi dare a questa greca e quando abbiamo visto che ha pubblicato con alcuni di loro, francamente io ho detto: no, mi dimetto. 

LUCA CHIANCA  Ha vinto l'altro che era una buona riserva. 

CLAUDIU SUPURAN – PROFESSORE CHIMICA FARMACEUTICA UNIVERSITÀ DI FIRENZE Scientificamente uno ineccepibile.  

LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Con un indice di pubblicazioni tra i più alti in assoluto, Guido Kroemer era sicuramente uno dei migliori candidati. Ma siccome vince con lo studio che tratta di digiuno, autofagia e longevità, provoca l’irritazione di chi quella parte l’aveva già studiata e testata: i professori Bergamini, e Monzani di Pisa, scrivono al Governatore Fontana per far sapere che sul tema c’erano prima loro e che erano disponibili a fornire assistenza ai cittadini lombardi sulla base delle loro scoperte. 

FABIO MONZANI – DIRETTORE UNITÀ OPERATIVA COMPLESSA GERIATRIA UNIVERSITÀ DI PISA Ed è in questa veste che mi sono sentito di far notare alla regione Lombardia che insomma… 

LUCA CHIANCA Che c'eravate anche voi. 

FABIO MONZANI – DIRETTORE UNITÀ OPERATIVA COMPLESSA GERIATRIA UNIVERSITÀ DI PISA Che c'eravamo anche noi e che eravamo a disposizione per collaborare. 

LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Dalla Regione nessuna risposta. Siamo nel gennaio del 2020, un mese prima l'inizio del primo focolaio lombardo. Anche il Prof. Incalzi, all'epoca presidente della società italiana di gerontologia e geriatria scrive al Presidente Fontana. 

RAFFAELE INCALZI – PRESIDENTE SOCIETÀ ITALIANA GERIATRIA E GERONTOLOGIA 2018-2020 Esprimendo la disponibilità dei geriatri a supportare la Regione Lombardia nel caso in cui avesse intenzione di promuovere iniziative, attività a favore dell'Healthy aging in cui rientri anche la componente alimentare. 

LUCA CHIANCA Risposta? 

RAFFAELE INCALZI – PRESIDENTE SOCIETÀ ITALIANA GERIATRIA E GERONTOLOGIA 2018-2020 Io non ho ricevuto risposta. 

ETTORE BERGAMINI - GERONTOLOGO A gennaio certamente la Regione aveva l'informativa che sarebbe stato utile valorizzare i geriatri locali. Se si fosse valorizzati i geriatri in funzione preventiva probabilmente le persone avrebbero affrontato la malattia in condizioni diverse. 

LUCA CHIANCA FUORI CAMPO  La fotografia di Eurostat sull’impatto del virus in Lombardia è impietosa: è la regione europea che ha contato più morti nella prima fase della pandemia. Tra questi gli anziani sono quelli che hanno avuto la peggio. Tuttavia, il presidente Fontana durante la premiazione celebrava proprio il modello lombardo. 

8 NOVEMBRE 2019 – III EDIZIONE PREMIO “LOMBARDIA È RICERCA”

ATTILIO FONTANA – PRESIDENTE REGIONE LOMBARDIA Io credo che il nostro modello sia un modello che dobbiamo continuare a portare avanti. Anzi io sono convinto che il nostro modello dovrebbe essere esportato nel resto del paese dove purtroppo non c'è la grandissima sensibilità che abbiamo in Lombardia. 

LUCA CHIANCA Presidente buonasera Chianca di Report. 

ATTILIO FONTANA – PRESIDENTE REGIONE LOMBARDIA Buongiorno. 

LUCA CHIANCA Per il premio “Lombardia è ricerca” perché non ha mai risposto al presidente della società di geriatria e all'università di Pisa? Anche in base a quello che poi è successo. La Lombardia è stata la Regione più colpita per morti di Covid specialmente gli anziani. Presidente… 

PAOLO SENSALE – PORTAVOCE PRESIDENTE REGIONE LOMBARDIA  Sei un buffone e basta, sei un buffone e basta. 

LUCA CHIANCA Presidente basterebbe rilasciare un'intervista, senza insultare. 

PAOLO SENSALE – PORTAVOCE PRESIDENTE REGIONE LOMBARDIA Avete ricevuto una risposta scritta. 

LUCA CHIANCA Ma la riposta scritta.. avete fatto il copia incolla di quello che c'è su internet, ma facciamo un'intervista. 

PAOLO SENSALE – PORTAVOCE PRESIDENTE REGIONE LOMBARDIA Registra bene, fate teatro. 

LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Insomma, Fontana non risponde a noi come non aveva risposto ai geriatri lombardi. Alla fine del milione di euro stanziato dalla Regione, solo 300 mila li ha intascati Kroemer, 700 sono andati a due enti privati con sede in Lombardia.  

RAFFAELE INCALZI – PRESIDENTE SOCIETÀ ITALIANA GERIATRIA E GERONTOLOGIA 2018-2020 La regione Lombardia ha un limite strutturale quello di aver formato un servizio sanitario nazionale ospedalocentrico, con centri di eccellenza con un ottimo ritorno economico, ma purtroppo è priva di un servizio di assistenza territoriale e domiciliare di servizi geriatrici adeguati e questo è un limite gravissimo. 

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Insomma, perché abbiamo raccontato questa storia? Perché poi, alla fine, come al solito, soldi pubblici in Lombardia finiscono nelle casse di privati; privati di eccellenza - per carità - però il problema è che nulla è finito sul territorio, nulla è finito a quei geriatri che hanno anche studiato e testato l’healthy aging. Questo è un vecchio copione, quando invece sarebbe stato importante fare prevenzione capillare sul territorio a favore di quegli anziani che vanno spesso incontro a delle patologie come diabete, colesterolo, ipertensione, che potrebbero risultare fatali nel momento in cui impattano con il Covid. Qui invece una tranche da 700 mila euro è andata a due istituti: all’Istituto Europeo Oncologico – quello che fu appunto, di Veronesi - per una ricerca che ha a che fare col tumore legata sicuramente all’invecchiamento. Una ricerca importante, per carità. L’altra tranche va invece all'Istituto per la Fibrosi Cistica. Anche qua: una malattia rara che merita, che ha la sua dignità e merita di essere trattata anche in maniera diversa anche con finanziamenti organici. E infatti finito lo studio, l’Istituto sulla Fibrosi Cistica chiuderà.

Luigi Ferrarella per corriere.it il 16 agosto 2021. Quelle mascherine facevano schifo, 9 dei 18 milioni di pezzi ordinati dalla Regione Lombardia a una ex ditta di pannolini sono rimasti inutilizzati in magazzino perché nessuno negli ospedali le sopportava, e così 8 milioni e passa di euro dei contribuenti sono stati buttati al vento: ora, «per questo fallimentare risultato dell’investimento di denaro pubblico», la Procura della Repubblica di Milano dispone «la trasmissione degli atti alla Procura regionale presso la Corte dei Conti per l’eventuale danno erariale». Perché di più i pm non possono fare, visto che la superficialità dei (non) controlli della Regione (e in parte del Politecnico) non consente penalmente di contestare alcun reato, né di truffa né di frode in pubbliche forniture. La partita di 18 milioni di mascherine, al prezzo di 45 centesimi l’una per totale di 8,1 milioni più Iva, fu commissionata il 26 marzo 2020 — riassume adesso la richiesta di archiviazione del pm Mauro Clerici — dalla centrale acquisti regionale Aria spa (allora guidata da Filippo Bongiovanni) alla società Fippi spa di Rho «in seguito alle indicazioni impartite da Regione Lombardia». Tutto fu meno che un successo, visto che Gianluca Chiodini, uno dei vertici della direzione generale Welfare, il 7 maggio 2020 contava che metà delle mascherine giacessero mestamente nel deposito di stoccaggio in Fiera. E del resto le mascherine Fippi non risultano essere mai state distribuite nei reparti ospedalieri, ad eccezione di una piccola quantità arrivata al Niguarda e a Busto Arsizio, perché personale sanitario e pazienti le hanno sempre rifiutate trovandole insopportabili. Il punto è infatti che la normativa, tanto più quella costellata di deroghe emergenziali Covid, pretendeva requisiti sulla capacità di filtraggio delle mascherine, ma nulla prescriveva sulla portabilità della mascherina e quindi sulla sua completa idoneità a essere utilizzata. E nel caso delle mascherine Fippi i consulenti tecnici del pm ora evidenziano che «il disegno a bandana, e la mancanza di un supporto sagomabile ad appoggiare il naso, inficiavano la tenuta superiore dell’aria e rendevano pressoché impossibile l’utilizzo per chi portava gli occhiali». Un problema non evidenziato però non solo dalla Regione, ma neppure dal gruppo Polymask costituito — secondo quanto riferito dal professor Giuseppe Sala — dal Politecnico di Milano nel «Dipartimento di Scienze e Tecnologie aereospaziali» per aiutare la Regione a individuare aziende idonee e disposte a riconvertire la propria produzione: cinque i test di affidabilità eseguiti, ma la Guardia di Finanza osserva come «non risulti l’effettuazione di prove formali di ergonomicità e/o funzionalità del prodotto realizzato da Fippi, il quale mostrava invece ictu oculi le criticità evidenziate dagli operatori sanitari», i quali non a caso non utilizzarono le mascherine nel 72% dei casi. Nel contesto emergenziale, scrive dunque il pm, «la scelta della giunta lombarda di incaricare Aria spa di acquistare i dispositivi sanitari tramite affidamento diretto ha inciso senz’altro sul rigore nei controlli nelle diverse fasi dell’operazione. Ne è derivata una gestione assai criticabile della vicenda, con la spendita di denaro pubblico di fatto all’evidenza male utilizzato: le mascherine acquistate giacciono inutilizzate nei magazzini e l’investimento di 8,1 milioni di euro (più Iva) non ha contribuito neppure in minima parte al contrasto dell’emergenza pandemica». Tuttavia penalmente non c’è reato. Infatti le mascherine, autorizzate dall’Istituto Superiore di Sanità, secondo le consulenze tecniche «non presentavano criticità sotto il profilo del filtraggio tali da favorire il diffondersi del contagio, ma gravi carenze di ergonomia e vestibilità, perché divenivano non sopportabili anche dopo brevi periodi di tempo»: solo che, riguardo questo aspetto, non si può dire che la Fippi abbia ingannato la Regione, visto che il modello era proposto con trasparenza e «gli organi deputati all’acquisto non hanno rilevato le incongruenze». E nemmeno ci sono gli estremi per una turbativa d’asta, perché — anche se secondo la Guardia di Finanza milanese ci sarebbero «chiare evidenze di un accordo già stretto tra il rappresentante della task-force regionale Raffaele Cattaneo e la Fippi spa il giorno prima della pubblicazione sul sito della Regione dell’avviso rivolto all’imprese» — complessivamente per la Procura «non si ha evidenza di alcun accordo collusivo intercorso tra la Regione e la Fippi».

L'accusa del fondatore di Emergency. Coronavirus, Gino Strada contro la Lombardia: “Peggio della Camorra, sanità devastata e lottizzata”. Redazione su Il Riformista l'11 Aprile 2020. “Gente che ha devastato la sanità italiana e la sanità pubblica, altro che modello Lombardia. Pazienti lasciati morire nelle case di riposo senza nessuna umanità o pietà. Tutto questo penso sia moralmente, prima ancora che giuridicamente, un crimine”. Gino Strada interviene alla trasmissione Propaganda Live su La7. E usa toni forti, poco diplomatici, per descrivere le problematiche emerse nel sistema sanitario italiano durante l’emergenza coronavirus. In particolare il medico e fondatore di Emergency ha criticato il modello della Lombardia. “Non ci si può esimere dal fare una riflessione su chi ha gestito la sanità in Lombardia negli ultimi 20 anni, perché gli stessi che l’hanno gestita oggi cercano di apparire come i salvatori, come gente che ha la situazione in mano”, ha detto Strada ricordando come nella Regione si siano verificati quasi la metà delle morti italiane (10.238 secondo la Regione, 18.849 in tutto il Paese, quindi sarebbero più della metà, ndr) e che i morti italiani sono circa un quarto dei morti registrati su scala mondiale. “La Lombardia – ha continuato Strada – vede i suoi ospedali lottizzati che perfino la camorra sarebbe stata in difficoltà a farlo così, in modo esteso e puntuale. Spero che da questa cosa se ne esca con i cittadini che aprano gli occhi sulla realtà, al di là di tutta la propaganda politica che in questo momento trovo nauseante”. Analizzando la risposta alla pandemia il medico ha riconosciuto che sarebbe stato “obiettivamente” inaspettata un’evoluzione simile del virus, ma il problema è stato quindi non essere riusciti a proteggere gli ospedali. “Se un ospedale si infetta non è più in grado di curare non solo i pazienti da Coronavirus ma anche i cardiopatici, i diabetici e chi ha bisogno”, ha detto Strada che commentando la gestione, da parte di Emergency, di una terapia intensiva di nuova costruzione a Bergamo ha fatto un’osservazione sulle difficoltà burocratiche e politiche: “Una cosa che ho capito in questa emergenza è che è più facile aprire una cardiochirurgia in Sudan che un posto letto in Italia“.

Monica Serra per "la Stampa" il 28 luglio 2021. Alla fine, a dare il "colpo di grazia" al governatore Attilio Fontana è stato un suo uomo di fiducia: l'ex dg di Aria Fabrizio Bongiovanni. Nel corso di un lungo interrogatorio, il pomeriggio di martedì 25 maggio, quando le indagini della Gdf erano agli sgoccioli, a sorpresa Bongiovanni ha raccontato ai pm che, dopo una riunione al Pirellone del 19 maggio 2020, «l'ordine» di trasformare il contratto dei camici in parziale donazione «arrivò da Pier Attilio Superti», il vicario del segretario generale della Regione Lombardia. E che Superti sottolineò che si trattava della «diretta volontà del presidente Fontana, alla quale si doveva dare esecuzione». Anche per questo, i pm Luigi Furno, Carlo Scalas e Paolo Filippini, nell'avviso di conclusione delle indagini notificato ieri, tra gli altri, al governatore della Lombardia, parlano a chiare lettere di un «accordo collusivo» intervenuto tra Fontana e il cognato Andrea Dini, titolare della Dama spa, società in cui la moglie del governatore, Roberta Dini (non indagata) detiene il 10 per cento delle quote. Un accordo che «anteponeva all'interesse pubblico, l'interesse e la convenienza personali del presidente della Lombardia». Il caso oramai noto è quello dei 75 mila camici e 7 mila set per gli ospedali che la centrale unica degli acquisti regionali Aria, nel bel mezzo dell'emergenza sanitaria, il 16 aprile 2020, aveva commissionato alla Dama per 513 mila euro. A cui era anche seguita, da parte della società con sede a Varese, una proposta di fornitura di altri 200 mila camici per un milione e 200 mila euro. Sul contratto stipulato inizialmente tra Dini e Aria nessun ruolo viene attribuito dall'accusa al governatore. Che però, secondo i pm, «una volta emerso il conflitto di interessi derivante dal rapporto di parentela con il fornitore», quando Dini aveva già consegnato i primi 50 mila camici, si sarebbe prodigato per trasformare il contratto di fornitura in donazione, e per spingere Aria a rinunciare ai 25 mila camici non ancora ricevuti dal cognato «al fine di contenere il danno economico per Dama spa». Per i pm coordinati dall'aggiunto Maurizio Romanelli, l'obiettivo sarebbe stato uno soltanto: «Tutelare l'immagine politica di Fontana», che rischiava di venire travolto dalle polemiche in un momento delicatissimo della sua gestione. Sulla mancata consegna di quei 25 mila camici si fonda ora l'accusa di frode nelle pubbliche forniture contro tutti gli indagati che rischiano di finire sotto processo: Fontana, il cognato Dini, l'ex dg di Aria, Bongiovanni, l'ex direttrice acquisti di Aria, Carmen Schweigl, e il vicario del segretario generale della Regione, Superti (tirato in ballo da Bongiovanni). «Sono molto amareggiato per le questioni di carattere morale e politico che emergono da questa vicenda e che rappresentano esattamente il contrario della verità», è il commento del governatore, difeso da Jacopo Pensa e Federico Papa. «Dimostrerò che la teoria dei pm è errata. Volevo evitare che la Regione avesse un esborso per dispositivi che ho sempre pensato fossero oggetto di donazione». A dare il via alle indagini, condotte dal Nucleo speciale della polizia valutaria della Gdf, a maggio dello scorso anno, la «segnalazione di un'operazione sospetta» di Bankitalia. Una volta emersa la questione e - per l'accusa - chiesto al cognato di trasformare la fornitura in donazione, Fontana aveva provato a rimborsare a Dini il valore dei quasi 50 mila camici già consegnati alla Regione. Ma il bonifico di 250 mila euro, partito da un conto svizzero del governatore, non era andato a buon fine «per mancanza di sufficiente provvista e di un'idonea fattura giustificativa». E la segnalazione della sua fiduciaria, attraverso Bankitalia, era arrivata sulla scrivania dei pm. Dando vita, tra l'altro, anche a un altro filone d'inchiesta, che resta aperto: quello sui 5 milioni di euro che Fontana avrebbe ereditato dalla madre su conti svizzeri, in cui è indagato per autoriciclaggio e falso in disclosure.

Bertolaso, addio alla Lombardia tra le polemiche ma Fontana continua a difenderlo: «Ottimo lavoro». Pd e M5s all’attacco: «Ha fatto perdere tempo a tutti e non si capisce cosa abbia fatto se non legare il suo nome all’inefficienza». Michelangelo Bonessa su Il Quotidiano del Sud il 28 aprile 2021. Uno scroscio di applausi per il secondo addio ai monti di Bertolaso. Quelli dell’Amministrazione Fontana che lo ritiene un ottimo consulente e quelli delle opposizioni perché sperano che non torni mai più. E forse avrà applaudito anche Matteo Salvini: il segretario della Lega, ancora due giorni fa è tornato a proporre il suo nome come candidato sindaco di Roma. E 48 ore dopo Bertolaso saluta la giunta Fontana parlando di «progetti da povero pensionato» che avrebbe da portare avanti perché il lavoro sugli hub vaccinali è di fatto concluso, mancano solo dosi sufficienti per raggiungere una copertura abbastanza ampia della popolazione. «Confidiamo sia un addio» hanno scritto i consiglieri regionali del Movimento 5 Stelle. «Non sarà ricordato come un eroe» gli hanno fatto eco i colleghi del Partito democratico.

LA DIFESA DI FONTANA. L’unico felice di averlo avuto in Lombardia è Attilio Fontana: il governatore leghista ha infatti tenuto a puntualizzare che il coordinatore della campagna vaccinale lombarda parte per Roma, ma tiene un piede in Lombardia. Il governatore lombardo ha comunque provato a blindarlo: «Guido Bertolaso – ha detto – sicuramente ha dimostrato di aver fatto un ottimo lavoro, che sta proseguendo, credo che di lui avremo ancora bisogno, quindi sono assolutamente convinto che continueremo a lavorare perché c’è un progetto che è quello della vaccinazione importante e rilevante, quindi continuerà a lavorare per la Regione Lombardia e lo ringrazio per quello che ha fatto fino a oggi. Bertolaso, pur abbandonando fisicamente la Lombardia, continuerà quindi a svolgere il suo ruolo di coordinatore della campagna vaccinale, seppur non a tempo pieno e con una presenza meno assidua sul territorio. Probabilmente sarà meno fisicamente presente, ma continuerà a seguire la campagna vaccinale».

L’ATTACCO DEL MOVIMENTO CINQUESTELLE. Ma in tanti ricordano come Bertolaso fosse anche l’autore della presunta “astronave” in Fiera. Un nucleo di terapie intensive che, invece di aiutare gli ospedali, ha creato per tutto il 2020 problemi di gestione del personale al sistema sanitario lombardo: perché l’ospedale in Fiera è stato costruito lontano da tutti i nosocomi del territorio e per riempirlo di sanitari sono state svuotate le altre strutture di chi si era già specializzato in cure anti Covid. Un problema sempre negato dal commissario e dalla giunta leghista, ma confermato da tutti i rappresentanti dei medici e infermieri lombardi. Sorridono, infatti, le opposizioni perché il nome del commissario è per loro sinonimo di inefficienze e ritardi del sistema: «Bertolaso se ne va. Di nuovo. Confidiamo questa volta sia un addio – ha attaccato Massimo De Rosa, capogruppo regionale di M5s – Ricorderemo le conferenze stampa fiume dei primi giorni, infarcite di baldanza e annunci disattesi e le fughe stizzite e imbarazzate delle ultime apparizioni pubbliche, prima che l’assessore al Welfare decidesse di oscurarlo completamente. Bertolaso e il suo modello avevano abbandonato la Lombardia già da quando la visita del generale Figliuolo aveva imposto il cambio di passo e l’adozione del portale di Poste italiane. M5s non si sente certo in dovere di ringraziare chi ha fatto perdere tempo a lavoratori, imprese e studenti. È arrivato senza che nessuno ne sentisse il bisogno. Non si capisce cosa abbia realmente fatto, visto che ancora oggi non sappiamo chi fra lui, Fontana e Moratti abbia fatto ritardare di due mesi il piano vaccinale scegliendo di puntare sul portale della Regione Lombardia invece che su quello di Poste Italiane. E ora, nel pieno del massimo sforzo di questa prima fase del piano vaccinale, decide che la sua esperienza in Lombardia è terminata. Ancora una volta Bertolaso lascia il lavoro a metà. Esattamente come avvenuto in Umbria. Un’altra medaglia su un curriculum degno dei “migliori”».

IL PARTITO DEMOCRATICO. Anche il Partito democratico saluta il secondo addio del manager senza rimpianti: «Bertolaso torna a Roma – ha detto il capogruppo Fabio Pizzul – In Lombardia ha legato il suo nome a un’evidente inefficienza della prima fase della campagna vaccinale, quella dedicata agli ultraottantenni, che portava il timbro di Bertolaso e Moratti ed è stata fallimentare. Si è svoltato solo quando è arrivato il generale Figliuolo e la Regione Lombardia si è adeguata in tutto e per tutto alle indicazioni nazionali. Ora vedremo a quali ruoli Bertolaso sarà chiamato, di certo non sarà ricordato come il salvatore della Lombardia per quello che ha fatto sulla campagna vaccinale».

Francesca Galici per ilgiornale.it il 2 aprile 2021. Ogni Paese, ogni epoca, ha i maître à penser che merita. L'Italia del 2021 evidentemente si merita Chiara Ferragni. L'influencer e imprenditrice digitale ha prima alzato la voce sul ddl Zan insieme a suo marito e poi ha fatto la morale a Regione Lombardia per la gestione dell'emergenza coronavirus e per la campagna vaccinale. Con un lunghissimo post sui social, infatti, la bis mamma Ferragni ha raccontato la storia di Luciana Violini. Non certo una signora qualunque, ma l'anziana nonna di Fedez. La donna, 90enne, non era ancora stata chiamata per effettuare la vaccinazione e questo ha scatenato l'ira dei nipoti. Chiara Ferragni e Fedez sono consapevoli di avere una voce molto influente, tanto che imputano alla loro rabbia social la chiamata ricevuta dalla signora Violini in queste ore per sottoporsi alla vaccinazione. Ma Regione Lombardia dà un'altra versione rispetto a quella fornita dalla coppia. "Lei è la nonna di Fedez? Alle 12 può venire a fare il vaccino", avrebbe detto l'operatore telefonico alla nonna del rapper. Questo ha fatto arrabbiare ancora di più Chiara Ferragni, che si è sfogata sul suo profilo Instagram con un lungo monologo sui favoritismi e sulle pecche della gestione della campagna vaccinale della Regione Lombardia. "Se ieri ero arrabbiata, oggi lo sono ancora di più pensando che nonna Luciana, che aveva diritto di essere vaccinata da mesi, riesce a far rispettare un suo diritto solo perché qualcuno ha paura che io possa smuovere l’opinione pubblica", ha scritto Chiara Ferragni, che poi si domanda: "E invece le altre nonne che hanno lo stesso diritto e non hanno chi può farsi sentire mediaticamente come faranno?". Chiara Ferragni tira in ballo un po' tutti nel suo post, dai vertici della Regione Lombardia fino al presidente del Consiglio. "Vogliamo che vi diate una mossa, che se sbagliate chiediate scusa, e poi lasciate le vostre poltrone a chi ne ha le capacità. Vogliamo vaccinare il prima possibile i nostri cari più fragili e smettere di avere paura che tra quei 500 morti al giorni possano esserci anche i nostri affetti". Si rivolge, quindi, a Mario Draghi, al quale esprime stima e comprensione, e all'intero parlamento: "Basta chiacchiere! Adesso bisogna rimboccarsi le maniche, vogliamo tornare a essere orgogliosi di essere lombardi, italiani, europei, perché oggi non siamo più certi di poterlo essere!". L'accusa di fare favoritismi, però, non piace all'Ats di Milano, che con una nota offre la sua ricostruzione dei fatti: "Nessuno dei nostri operatori ha chiesto alla signora se fosse 'la nonna di Fedez'". L'azienda quindi, spiega come si sta svolgendo la vaccinazione: ""L'Ats Città Metropolitana di Milano riceve ogni giorno decine di segnalazioni in merito a cittadini over 80 che non sono stati ancora convocati per la vaccinazione anti-Covid. Alla luce di verifiche nella maggior parte di casi si tratta di disguidi dovuti ad errori nella compilazione della domanda, tutte queste persone vengono contattate telefonicamente e convocate per la somministrazione".

La polemica. Chi è la nonna di Fedez, lo scontro tra Chiara Ferragni e la Lombardia per il vaccino. Vito Califano su Il Riformista il 2 Aprile 2021. Chiara Ferragni accende la polemica del giorno: con la Regione Lombardia. Protagonista della querelle la nonna del marito, il cantante Federico Lucia in arte Fedez. La signora si chiama Luciana Violini. L’influencer e imprenditrice ha pubblicato un lungo post su Instagram spiegando che la nonna di suo marito ha compiuto pochi giorni fa 90 anni e che oggi avrebbe ricevuto il suo vaccino anti-covid. Questo solo però dopo le critiche della stessa Ferragni attraverso alcune stories sui social. “Lei è la nonna di Fedez? Alle 12 può venire a fare il vaccino”, la telefonata dell’operatore. Una versione che la Regione ha smentito. Luciana Violini, 90 anni, è la nonna del cantante che nel settembre 2018 ha sposato l’imprenditrice e influencer a Noto, in Sicilia. I due hanno avuto due figli: Leone e Vittoria, quest’ultima nata il 23 marzo 2021. Federico Lucia aka Fedez è nato a Milano nell’ottobre 1989. È cresciuto a Buccinasco ma la sua famiglia è originaria di Castel Lagopesole, frazione del Comune di Avigliano in provincia di Potenza, in Basilicata. In un’intervista di qualche anno fa al Corriere della Sera ha raccontato di discendere dal brigante Ninco Nanco, luogotenente del generale Carmine Donatelli Crocco di Rionero, una figura piuttosto influente nella rivolta che coinvolse circa 10mila persone, oltre 6mila fucilati, feriti o imprigionati secondo i numeri riportati dal patriota e politico Umberto Zanotti Bianco. Una specie di guerra civile che durò circa cinque anni, con tribunali militari, stato d’assedio e l’incendio dei boschi come tattica istituita dalla Legge Pica. Impiegati 120mila soldati. “Leonardo era mio nonno paterno, di Castel Lagopesole, 600 abitanti in Basilicata. Tramite mia nonna ho un legame di sangue con Ninco Nanco, il brigante: nella foto del suo cadavere è uguale a mio padre”, aveva detto Fedez. Ninco Nanco fu giustiziato il 13 marzo 1864. Il post su Instagram di Chiara Ferragni, dal titolo “BASTA”: “Se ieri ero arrabbiata oggi lo sono ancora di più pensando che nonna Luciana, che aveva diritto di essere vaccinata da mesi, riesce a far rispettare un suo diritto solo perché qualcuno ha paura che io possa smuovere l’opinione pubblica. E invece, le altre nonne che hanno lo stesso diritto e non hanno chi può farsi sentir mediaticamente come faranno? Chiedo il vaccino per tutte loro, per tutte le persone fragili, per tutti coloro i cui diritti fino a oggi sono stati calpestati. Ho molto riflettuto nelle ultime settimane se espormi e dire la mia su una situazione molto complicata e più grande di me o no, ma dopo questo ho deciso di farlo. Ho letto molto, mi sono informata cercando di ascoltare pareri diversi di gente che reputo esperta e con opinioni discordanti ma ho deciso di parlare e dire quanto sono delusa, dispiaciuta, amareggiata e anche un po’ incazzata. Incazzata nel leggere ancora di altri 500 morti solo ieri. Sono incazzata perché da più di un anno siamo chiusi in casa, da più di un anno la gente muore, da più di un anno i bambini non vanno a scuola e si chiede alle aziende, ai commercianti, ai ristoratori e non solo di avere pazienza e tenere duro. Ma la gente che ha dovuto chiudere le proprie attività è stanca, sono stanchi i miei amici in cassa integrazione sono stanchi e stanno ancora peggio quelli che il lavoro lo hanno perso. Prima non si riescono a comprare le mascherine o si comprano dalla Cina e sono pure troppo care, poi non si hanno i reagenti per i tamponi, e poi saltano i tracciamenti dei contagi e non si sono rinforzate le terapie intensive e adesso sto casino con i vaccini. Vedere l’Europa a corto di vaccini perché non è riuscita a fare un accordo decente con le case farmaceutiche è desolante. Vedere la Lombardia che fa un caino dietro l’altro è scoraggiante. Mi fa arrabbiare vedere i responsabili che continuano a sbagliare, sia quelli che c’erano e sono andati via che quelli che ci sono sempre stati e sono ancora sulle loro poltrone senza vergogna. Fino ai nuovi responsabili, quelli che sono arrivati e non si prendono le colpe di quello che continua a succedere. A me, come a tutti, non interessa chi siete, da quale partito arrivate e quale è la vostra storia, quello che ci interessa è l’incapacità di non riuscire nemmeno a prendere correttamente le prenotazioni di un vaccino di quello che potrebbe essere il nonno di tutti e si è fatto chilometri nella speranza di vaccinarsi. Quello che ci lascia senza parole è vedere quanto siamo indietro con le vaccinazioni nonostante siamo stati i primi in Italia a trovarci in questo casino e a causa vostra saremo gli ultimi a uscirne. Vogliamo che vi diate una mossa, che se sbagliate chiedete scusa e poi lasciate le vostre poltrone a chi ne ha le capacità. Vogliamo che chi sbaglia paga, come è giusto che sia. Vogliamo vaccinare il prima possibile i nostri cari più fragili e smettere di aver paura che tra quei morti al giorno possano esservi i nostri affetti. Da persona privilegiata quale sono nelle scorse settimane ho pensato a cosa avrei potuto fare per aiutare a migliorare la situazione come ho provato a fare lo scorso hanno ma non ho trovato una soluzione. E allora ho capito che intanto potevo fare questo appello per tutti i messaggi di followers che mi hanno raccontato le loro storie durissime legate al covid e mi hanno chiesto di parlarne. Questo appello lo faccio a Mario Draghi, persona che stimo e per la quale va il mio supporto e comprensione perché non posso nemmeno immaginare quanto è incasinata la situazione che ha ereditato. Questo appello lo faccio ancora di più ad ogni singolo politico, ministro, parlamentare, presidente di regione, ecc. a loro dico: basta chiacchierare! Basta! Adesso bisogna rimboccarsi le maniche e lavorare perché la gente è stanca! Vogliamo tornare ad essere orgogliosi di essere lombardi, italiani, europei! Perché oggi non siamo più certi di poterlo essere! #svegliaItalia #wakeupEurope”.

L’ATS – “Nessuno dei nostri operatori ha chiesto alla signora se fosse ‘la nonna di Fedez’”, ha replicato l’Ats della Città Metropolitana di Milano in una nota. “L’Ats Città Metropolitana di Milano riceve ogni giorno decine di segnalazioni in merito a cittadini over 80 che non sono stati ancora convocati per la vaccinazione anti-Covid. Alla luce di verifiche nella maggior parte di casi si tratta di disguidi dovuti a errori nella compilazione della domanda, tutte queste persone vengono contattate telefonicamente e convocate per la somministrazione”, spiega l’ATS. La nonna di Fedez sarebbe stata contattata oggi perché gli operatori stanno “recuperando” chi ha aderito alla campagna vaccinale commettendo errori nella compilazione della domanda. Nel caso specifico la nonna di Fedez avrebbe “omesso il comune di residenza nella compilazione dell’adesione”.

LEGA – La risposta del vicecapogruppo alla Regione Lombardia Andra Monti. “La Lombardia sta al top nelle vaccinazioni dei novantenni. Però, secondo la Ferragni noi facciamo schifo. Perché non abbiamo vaccinato la nonna di Fedez! – ha dichiarato – La campagna vaccinale è una corsa contro il tempo ma in questi giorni il caso mediatico monta attorno ad una delle coppie più social del mondo: i Ferragnez”. Il sistema di prenotazione è comunque sotto attacco da settimane. Il sistema Aria è stato accantonato dopo i ritardi delle scorse settimane. A partire da domani sarà attivo il sistema di prenotazione di Poste Italiane. A oggi la Lombardia ha somministrato 1.678.434 dosi su 1.980.280 dosi consegnate, l’84,8% del totale. Il totale delle somministrazioni totali sono 10.591.038 mentre sono 3.318.983 le persone che hanno ricevuto la prima e la seconda dose.

Coronavirus, dimesso dall'ospedale di Lodi? Tre ore dopo il tampone, era positivo: "Tutti contagiati". Libero Quotidiano il 09 marzo 2021. Lo hanno dimesso dall'ospedale ma l'uomo era ancora positivo al coronavirus e ha contagiato tutti. A raccontare l'assurda vicenda a Il Giorno è un uomo di 48 anni di un comune alle porte di Lodi che era in quarantena  perché era stato contagiato da un parente che era stato ricoverato a Lodi per problemi respiratori in realtà non collegati al covid. "Hanno dimesso mio suocero dall’ospedale senza aspettare l’esito del tampone: solo dopo tre ore abbiamo saputo che era positivo", denuncia adesso mentre è ancora sconvolto per l'accaduto. La persona ricoverata, era un settantenne affetto da una rara patologia ai polmoni. Il 12 febbraio non riusciva più a respirare proprio per le complicazioni dovute alla malattia di cui già soffriva. Quindi l'uomo è stato trasportato con una ambulanza del 118 al Pronto soccorso del Maggiore. L’uomo è rimasto lì per un paio di giorni, in attesa di un posto nel reparto di Pneumologia per malati no Covid. Quando l'anziano, dopo le cure, si è stabilizzato è stato dimesso dai medici e mandato a casa per continuare lì la convalescenza. Peccato che avesse anche il Covid. "Quel pomeriggio è andata mia moglie in ospedale a recuperare mio suocero e riportarlo a casa", spiega. "Nessuno dal reparto, però, le aveva detto che stavano aspettando l’esito del tampone e di metterlo in isolamento". Così la scoperta della positività è arrivata direttamente dal reparto del Maggiore dopo oltre tre ore dalle dimissioni. "Per noi è stato uno choc. Siamo rimasti in casa da quel momento per evitare rischi. Poi abbiamo fatto tutti il tampone, non senza difficoltà, e abbiamo scoperto che io, mia moglie e mia figlia siamo positivi. Mio suocero è dovuto tornare in ospedale perché ha bisogno dell’ossigeno". Una storia assurda, un contagio a catena che poteva essere evitato. 

Chiara Baldi per "la Stampa" il 24 febbraio 2021. Ieri all'ospedale di Chiari, l' unico «sporco», come vengono chiamati in gergo i nosocomi dedicati al Covid, c' erano cento pazienti ricoverati, di cui un terzo in terapia subintensiva, quindi attaccati ai caschi. «Siamo al limite. La nostra disponibilità è di 110 posti letto, poi dobbiamo chiudere tutte le specialità chirurgiche», spiega Mauro Borelli, direttore generale della Asst Franciacorta. «I nostri pazienti hanno un' età media di 50 anni e oltre il 50 per cento è contagiato dalla variante inglese». Il tempo, talvolta, sa essere «infame». E ieri, poche ore dopo l' annuncio della «zona arancione rafforzata», in provincia di Brescia era difficile che qualcuno trovasse un aggettivo più azzeccato per descrivere quello che sta succedendo. «Il 23 febbraio 2020 aspettavamo il decreto che chiudesse dalla sera alla mattina le scuole. Oggi, esattamente un anno dopo, aspettiamo l' ordinanza di Regione Lombardia che chiude dalla sera alla mattina le scuole», commenta Valentina Bergo, assessora all' Istruzione del Comune di Rovato, 19 mila anime, il primo della Franciacorta che si incontra arrivando da Milano: è questa l' area in cui il virus imperversa maggiormente, proseguendo fino a Brescia città. A Rovato, in piazza Cavour, la principale del paese, alcuni tavolini dei bar sono occupati. Ma le 18, l' ora fatidica della chiusura, non sono ancora scoccate. «Sono le ultime ore di libertà prima della nuova chiusura», commenta una signora. «In un anno», spiega Bergo, «non è cambiato nulla, non si è imparato nulla, siamo ancora qua a chiudere i paesi e dire alle persone che non possono fare la loro vita. La luce in fondo al tunnel è il vaccino, sempre che arrivi». Guido Bertolaso, consulente del presidente Attilio Fontana per il piano vaccinale, ha promesso proprio ieri un cambio nella strategia di somministrazione per dare priorità alle zone più colpite. Da settimane i dati della provincia più estesa della Lombardia - e la seconda per numero di abitanti, con più di 1, 2 milioni di persone in oltre 200 comuni - non fanno presagire nulla di buono. Dal primo gennaio a ieri, quando ha registrato ulteriori 506 nuovi positivi in 24 ore, la Bresciana ha avuto in tutto 20.417 nuovi contagiati: una media di oltre 378 al dì. In più, c' è una massiccia presenza di varianti. La vicepresidente lombarda Letizia Moratti, annunciando il provvedimento che colloca tutta la provincia e altri otto comuni (sette della bergamasca - Viadanica, Predore, Sarnico, Villongo, Castelli Calepio, Credaro e Gandosso - e uno, Soncino, in provincia di Cremona) in «zona arancione rafforzata» - cioè con le scuole di ogni ordine e grado chiuse fino al 2 marzo -, ha detto: «In quest' area le varianti, che si manifestano soprattutto nella forma "inglese", sono presenti al 39 per cento del totale dei casi». Mentre per Bertolaso «a Brescia siamo di fronte alla terza ondata». «Più che terza ondata, direi che è la prima che non è mai finita: in un anno negli ospedali della zona non abbiamo mai avuto meno di 40 pazienti ricoverati e i reparti Covid non sono mai stati chiusi», commenta Borelli, dalla sua Asst. A Flero, 25 chilometri a sud est di Rovato, il sindaco Pietro Alberti, 63 anni, dieci giorni intubato a marzo, è pronto a spiegare ai suoi cittadini il nuovo sacrificio. Ma avverte: «Dire che siamo soddisfatti per l' ennesima chiusura no, ma se è necessario siamo pronti a questo sacrificio. Certo - rimarca - Bertolaso ci ha promesso i vaccini e ora ci aspettiamo che vengano a farceli». Anche a Brescia città si respira aria di sconforto mentre, alle 17.30, si aspetta ancora che venga pubblicata l' ordinanza di Fontana. Nella sua pasticceria in via D' Acquisto a Brescia, Iginio Massari guarda il video del nipote che butta via la mascherina dopo aver saputo che la scuola chiuderà di nuovo: «Ora si sono inventati la zona arancione rafforzata, ma che vuol dire? Che, di nuovo, si stanno concentrando sulle persone e non sulla malattia. E siamo di nuovo noi commercianti a rimetterci».

Lombardia arancione da domani. Lo scontro sull'Rt sbagliato. Stefania Chiale per "Il Corriere della Sera" il 23 gennaio 2021. Con un indice di contagio Rt sceso a 0.82, inferiore rispetto ad altre 18 regioni d'Italia, la Lombardia da domani torna in zona arancione. Il ministro della Salute Roberto Speranza firmerà l'ordinanza che attesta il passaggio cromatico, finora vincolato allo scadere del 31 gennaio o alla sentenza del Tar del Lazio a cui la Regione si era rivolta. E invece il cambiamento, con una settimana di anticipo rispetto a quanto previsto dalle normative, è stato motivato dai nuovi dati emersi dal monitoraggio settimanale della Cabina di regia e dalla rettifica, da parte della Regione Lombardia, dei valori che l'avevano spedita in zona rossa. Rettifica certificata dall'Istituto superiore di sanità, e smentita da Palazzo Lombardia, alla fine di una giornata di accuse, contro accuse e polemiche. Perché il riassunto delle ultime 24 ore ruota attorno alla discussione sui «dati sbagliati». Non quelli contestati dalla Regione e oggetto del ricorso al Tar del Lazio, ma quelli che la stessa Lombardia avrebbe trasmesso al ministero della Sanità la settimana scorsa e che avrebbero portato la Regione in zona rossa. Nella giornata che attesta il cambio cromatico, lo scontro è sulla responsabilità degli ultimi sette giorni in rosso. In mezzo, la relazione dell'Iss, che sarà la base della nuova ordinanza del ministro Speranza: certifica che a motivare lo spostamento in arancione è stata una rettifica di dati della Regione in data 20 gennaio (esattamente un giorno dopo la deposizione del ricorso al Tar del Lazio), e che «rende necessaria una rivalutazione del monitoraggio». Rettifica mai avvenuta, ribatte la Regione: «Solo un necessario aggiornamento di un "campo del tracciato". Azione, condivisa con l'Iss, resasi necessaria a fronte di un'anomalia dell'algoritmo utilizzato dall'Iss per l'estrazione dei dati per il calcolo dell'Rt». In tarda serata la matassa non sembrava ancora sbrogliata: era stato convocato nuovamente il Comitato tecnico scientifico nazionale tra le polemiche divampate in giornata. Ad accenderle, la richiesta a Palazzo Lombardia di trasmettere al ministero della Salute i nuovi dati ammettendo di aver sbagliato il calcolo dell'Rt nell'ultimo monitoraggio. Versione respinta da Milano: «Abbiamo sempre fornito informazioni corrette. A Roma devono smetterla di calunniare la Lombardia per coprire le proprie mancanze», ribatte il presidente Attilio Fontana. Mentre le opposizioni chiedono che «chi ha sbagliato, ora paghi».

Lombardia zona rossa, i sindaci del centrosinistra: «Dati Rt sbagliati forse già dal 12 ottobre». Maurizio Giannattasio su Il Corriere della Sera il 25 gennaio 2021. Dai sette amministratori di centrosinistra la richiesta di dati «in formato open», disponibili per tutti. Giorgio Gori: «Vogliamo capire da quanto va avanti questo difetto di sistema nel calcolo dell’Rt». Beppe Sala: «Per un periodo da definire i dati non erano veri». Il sospetto è che a causa dei mancati conteggi dei guariti la Lombardia sia finita nella «zona» sbagliata non solo a gennaio ma anche in altre occasioni. È l’allarme lanciato dai sette sindaci di centrosinistra dei capoluoghi lombardi (Milano, Bergamo, Brescia, Mantova, Cremona, Lecco e Varese) che lunedì hanno chiesto alla Regione di poter avere accesso agli «open data» a partire dalla data del 12 ottobre. Sull’altro fronte i sei governatori leghisti chiedono di rivedere i criteri di assegnazione delle zone, ossia l’algoritmo che secondo Attilio Fontana si è inceppato. «Un sistema — dicono in coro Fontana, Massimiliano Fedriga, Christian Solinas, Nino Spirlì, Donatella Tesei e Luca Zaia — che può avere conseguenze devastanti sulla vita delle persone e sull’economia come nel caso della Lombardia». «Un errore clamoroso del ministero» aggiunge il leader della Lega, Matteo Salvini e in tarda serata Letizia Moratti rincara la dose: «È sbagliato l’algoritmo, non i nostri dati. Va cambiato». La replica è del viceministro della Salute Pierpaolo Silieri: «I dati vengono dalle Regioni e sono loro che li comunicano al ministero, non siamo noi che diamo i numeri di positivi e sintomatici». Proprio quei numeri che i sette sindaci lombardi vogliono vedere, indicando una data precisa: il 12 ottobre. Da quando, cioè, non è più obbligatorio il doppio tampone negativo per dichiarare guarito un malato di Covid, ma sono sufficienti 21 giorni di isolamento. Secondo i sindaci è da quella data che iniziano i problemi. Se il campo dove deve essere indicato lo stato clinico di sintomatico, asintomatico o paucisintomatico non viene compilato si continuano a conteggiare come positivi anche i guariti. È l’effetto «cumulo» che ha determinato il calcolo dell’Rt sbagliato come è successo il 15 gennaio con la Lombardia in zona rossa. Parla a nome di tutti Giorgio Gori, sindaco di Bergamo: «Ci sia dato il modo di capire cosa sia successo dal 12 ottobre, settimana per settimana e se quindi l’errata classificazione della Lombardia riguardi solo la decisione del 15 gennaio e se la zona rossa sbagliata sia stata di una sola settimana o se anche prima di Natale sia accaduto che l’Rt sia stato calcolato in modo più elevato e la Lombardia abbia subito limitazioni che non avrebbe dovuto subire». Questione di trasparenza. Quella che secondo i sindaci è mancata. Lo dice senza mezzi termini Beppe Sala: «Fontana dice che i dati sono pubblici. Non è così, ma soprattutto sono veri o no? Per un tempo da definire non erano dati veri». Sala sottolinea che non si tratta di una questione politica, ma tecnica. «Il tema non è dare colpe, ma risolvere. La politica non c’entra». Anomalie che si sono ripetute anche a livello di piccoli Comuni con dati che da un giorno all’altro crollavano oppure si gonfiavano. Ma se i sindaci chiedono di vedere i dati, le opposizioni, a partire da Pd e 5 Stelle, chiedono le dimissioni di Fontana. Lunedì, sotto la Regione erano in 600, tutti con le calcolatrici in mano.

Ecco dov' è l'errore: migliaia di guariti sono stati conteggiati come ancora positivi. Simona Ravizza per "Il Corriere della Sera" il 23 gennaio 2021. Un numero, e proprio il più importante per l'ingresso in zona rossa, in controtendenza rispetto agli altri indicatori. Da una parte una forte crescita, dall'altra numeri stabili. In Regione Lombardia la domanda rimane nell'aria per giorni: com' è possibile che abbiamo un Rt - l'indice che calcola la diffusione del virus - a 1,4, mentre più o meno per lo stesso periodo l'Rt sui ricoveri in ospedale è sotto soglia (0,93), i casi assoluti fermi a 13 mila e rotti, lo stesso i contagi ogni 100 mila abitanti (a quota 133)? Il fatto che il dato dell'Rt preso in considerazione dal ministero della Salute sia vecchio stavolta non basta a spiegare la situazione. Il dilemma viene sciolto alla fine con una lunga telefonata. Al cellulare ci sono l'epidemiologo Stefano Merler della Fondazione Bruno Kessler di Trento (che fa i conti per il ministero della Salute e l'Istituto superiore di sanità) e l'epidemiologo Danilo Cereda dell'assessorato alla Sanità della Lombardia (autore dei report di Regione Lombardia sui contagi). Il problema è che il numero di casi indicati dalla Regione su cui viene calcolato dall'Istituto superiore di sanità l'Rt è sovrastimato. Vengono contati più infetti di quelli che realmente ci sono. Sembra paradossale, ma è la verità: tra i casi ci sono anche centinaia di guariti. Sono soprattutto coloro che dal 12 ottobre, in base alle nuove norme del ministero, possono interrompere l'isolamento tra i 10 e i 21 giorni dalla comparsa dei sintomi senza più il doppio tampone negativo. Tutti loro nei report compilati da Cereda compaiono come persone con «inizio sintomi», ma senza la descrizione dello stato clinico (asintomatico, paucisintomatico, sintomi). Se il campo non è compilato, in assenza di informazioni, quando guariscono, non vengono depennati. In sintesi: entrano nel conteggio, ma non escono mai. Perché Regione Lombardia non mette la descrizione dei sintomi? «Quel campo non è obbligatorio, è sbagliato forzarlo», spiegano dagli uffici della Prevenzione di Regione Lombardia: «L'informazione la forniamo nel momento in cui i medici ce la segnalano». Per riuscire a superare il problema negli ultimi giorni la direzione generale di Regione Lombardia decide di compilare quel campo. In accordo con l'Istituto superiore di sanità. Perché soltanto adesso? La giustificazione: «Nessuno mai prima ci ha detto che altrimenti i guariti non sarebbero stati conteggiati». Nell'allegato tecnico che accompagna il ricorso di Regione Lombardia al Tar, integrato nelle ultime ore, l'assessorato alla Sanità scrive: «Finora la sovrastima dell'Rt ( che si trascina dal 12 ottobre, ndr ) è stata mascherata dal fenomeno più rilevante in termini numerici dell'aumento dei casi della seconda ondata (oltre 300 mila) - sottolinea la Lombardia -. Pertanto tale fenomeno si è osservato solo adesso evidenziando in tal modo la sovrastima del Rt». Insomma: finora mai nessuno della Regione s' è accorto della questione. Sulla responsabilità della situazione assurda, la relazione dell'Istituto superiore di sanità di ieri, è netta: «Il 20 gennaio 2021, la Regione Lombardia ha inviato come di consueto l'aggiornamento del suo database - si legge nel documento -. Si constata una rettifica dei dati relativi anche alla settimana 4-10 gennaio 2020 (quella decisiva per la zona rossa, ndr ), che riguarda il numero di casi in cui viene riportata una "data di inizio sintomi" (...) per cui viene data una indicazione di stato clinico laddove prima era assente». Insomma: la Lombardia compila il campo che fino a questo momento è rimasto vuoto. I cambiamenti riducono in modo significativo il numero di casi inclusi nel calcolo dell'Rt. Per il periodo 15-30 dicembre la Lombardia passa da 14.180 casi dichiarati a soli 4.918. Risultato: «I dati forniti dalla Lombardia cambiano il numero di soggetti sintomatici notificati dalla stessa Regione. Alla luce della rettifica si rende necessaria una rivalutazione» della zona rossa. Ma è possibile che, a quasi un anno dallo scoppio dell'epidemia, in Lombardia ci siano ancora problemi sulla trasmissione di dati cruciali per la vita dei cittadini?

Claudia Guasco per "Il Messaggero" il 24 gennaio 2021. «Colpa di un algoritmo sbagliato». «Abbiamo inserito dati a caso in un campo privo di informazioni». «Noi non abbiamo validato i dati alla cabina di regia, li abbiamo validati nel senso che li abbiamo confermati». Ore 18 di ieri, il governatore lombardo Attilio Fontana, la sua vice Letizia Moratti e gli esperti della sanità regionale decidono di fare chiarezza sul gran pasticcio dei numeri del contagio che hanno blindato per una settimana la Lombardia in zona rossa quando in realtà era arancione. Conclusione: prima che Fontana si alzi e se ne vada spazientito e dopo spiegazioni dei tecnici che aggiungono perplessità su raccolta e trasmissione dei dati, il presidente invia il suo messaggio all'esecutivo. «Alla prossima riunione della conferenza delle Regioni avanzerò al governo la richiesta che, nell'ambito del prossimo scostamento autorizzato dal Parlamento, venga inserita esplicitamente una somma che equivale al danno che le nostre categorie hanno subito».

MAXI CAUSA. Quella di Fontana, in realtà, è una contromossa. La Regione infatti intende parare il colpo economico della class action nella quale si stanno compattando le associazioni di commercianti e imprenditori, sostenuta dal sindaco di Bergamo Giorgio Gori e dal collega di Varese Davide Galimberti. Una maxi causa alla quale, a oggi, hanno aderito tre associazioni, una ventina di commercianti e che si sta allargando. «Ci siamo attivati per avere i documenti dalla Regione ai fini della richiesta di risarcimento dovuto al presunto errore di calcolo dell'indice Rt», spiega l'avvocato Francesco Borasi, che ha informato dell'azione legale anche il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli. Con l'epidemia di Covid le imprese lombarde hanno accusato un crollo dell'export per 13 miliardi, quattro aziende su dieci chiuderanno l'anno in perdita, il quadruplo rispetto al 2019, il massimo di sempre. Per i negozi, calcola il presidente di Confesercenti Gianni Rebecchi, «stimiamo circa 600 milioni di volume d'affari perso e adesso, dopo undici mesi di sacrifici, scopriamo che ci sono stati errori di calcolo. Sussistono tutti i presupposti per far partire una class action contro i soggetti che hanno provocato un danno di questo tipo». La chiusura dei negozi nella seconda settimana di saldi, calcola il presidente di Ascobaires Gabriel Meghnagi, «ha bruciato 250 milioni di euro di incassi a Milano e provincia, accertiamo chi ha sbagliato e chiediamo degli aiuti». E anche il presidente di Confartigianato Lombardia, Eugenio Massetti, preme affinché «si provveda urgentemente a ristorare le attività economiche che sono state inutilmente penalizzate, senza effetti reali sul contenimento dell'epidemia».

DATI SBAGLIATI. Il rimpallo di responsabilità tra Regione e governo, insomma, è questione di soldi e non tanto di onore, come sostiene l'assessore al Welfare Letizia Moratti: «Il ministro Speranza pretendeva che dicessimo l'errore era nostro. Ma non potevamo accettarlo per la nostra dignità». Fontana insiste che, causa di tutto, è un algoritmo dell'Iss che non funziona. Dunque il calcolo dei contagi è sbagliato non solo in Lombardia ma in tutte le Regioni? «Molto probabile, ma questo riguarda il ministero della Sanità. Non lo so e non mi interessa», taglia corto. I numeri del ministero, però, sono ben diversi. Ribadisce Speranza: «La relazione dell'Iss è chiarissima. La Regione Lombardia, avendo trasmesso dati errati, ha rettificato i dati propedeutici al calcolo del Rt e questo ha consentito una nuova classificazione. Questa è la semplice verità. Il resto sono polemiche senza senso che non fanno bene a nessuno. Soprattutto a chi le fa». Il direttore della Prevenzione Gianni Rezza tira le fila: «La cabina di regia si è riunita per il monitoraggio dell'andamento epidemiologico dal quale è emerso che erano presenti alcune incongruenze nei dati della Lombardia che la Regione stessa ha corretto, rinviando il file il 20 gennaio. Ciò ha permesso di ricalcolare l'Rt». Fine. I tecnici del Pirellone hanno sbagliato a indicare la data di «inizio sintomi» di un numero considerevole di casi sintomatici e non hanno compilato lo «stato clinico» dei contagiati, che una volta guariti non sono stati depennati. Martedì l'opposizione aspetta Fontana in aula.

"Tg1 indecente sulla Lombardia". E il caso ora finisce in Vigilanza. Deputati e senatori leghisti della Commissione Vigilanza Rai hanno convocato il direttore del Tg1 per chiarimenti sui servizi andati in onda sul Tg1. Novella Toloni, Domenica 24/01/2021 su Il Giornale. Non si placa la polemica sulla Lombardia finita in zona rossa per un errore nel calcolo di dati da parte del ministero della Salute. La vicenda, che ha penalizzato un'intera regione, i cittadini e l'indotto economico, ha innescato una serie di polemiche a catena e ora anche la Commissione di Vigilanza Rai scende in campo. I consiglieri della Lega in commissione hanno riscontrato, infatti, una serie di infrazioni commesse dal Tg della rete ammiraglia di viale Mazzini a danno della regione Lombardia proprio sulla questione Rt e dati. I deputati e senatori della Lega in Commissione Vigilanza Rai (Giorgio Bergesio, Massimiliano Capitanio, Dimitri Coin, Fusco Umberto Fusco, Elena Maccanti, Alessandro Morelli e Simona Pergreffi) chiedono che il direttore del Tg1, Giuseppe Carboni, dia spiegazioni in commissione sulla messa in onda di alcuni servizi del Tg1 delle 20 del 23 gennaio considerati tendenziosi. "La Lega chiederà con urgenza la convocazione del direttore del Tg1 in Vigilanza - si legge in una nota ufficiale degli esponenti leghisti - gli indecenti e falsi servizi confezionati questa sera per giustificare il disastro del ministero della Sanità sulla zona rossa in Lombardia sono solo la punta dell'iceberg". Nel mirino dei deputati e dei senatori della Lega - che compongono la Commissione Vigilanza Rai - anche la mancata messa in onda di approfondimenti e servizi adeguati su fatti di rilevanza nazionale e internazionale. Inaccettabile per la prima rete: "Dopo aver bucato i fatti di Washington e dopo non essersi accorta della crisi di governo, la Pravda del direttore Carboni oggi ha dato sfoggio di un becero giornalismo a tesi, piegato sulle menzogne del ministero della Sanità". Il richiamo al direttore del Tg1 è strettamente correlato alla messa in onda di due servizi relativi al caso della Lombardia in zona rossa. I rappresentati leghisti nella nota specificano che in essi: "Non abbiamo sentito nulla sui reali motivi del passo indietro del ministro Speranza, ovvero che l'algoritmo dell'Iss non teneva conto dei dati ospedalieri, oltre ad utilizzare erroneamente il dato dei sintomi. Si è dato, infine, credito alla bugia dei dati rettificati dalla Regione, quando si è trattato invece di una integrazione richiesta da Roma alla luce del ricorso al Tar della Regione".

Zona rossa per errore, è caccia al colpevole. Le mail della Lombardia: “I dati sono cambiati adesso ricalcolate l’Rt” Zona rossa per errore, è caccia al colpevole. Le mail della Lombardia: “I dati sono cambiati adesso ricalcolate l’Rt”. Michele Bocci su La Repubblica il 24/1/2021. Dall’Iss i primi dubbi il 7 gennaio, ma Milano ha risposto solo il 19. Sala a Fontana: basta risse, mostri i numeri. Ci sono tre mail che tracciano la storia della decisione, presa a posteriori il 22 gennaio, quando la Lombardia era in zona rossa da una settimana, di farla tornare in arancione. Quei documenti raccontano dell’allarme scattato a Roma sui dati della Regione e della decisione di quest’ultima di chiedere, venerdì scorso, il cambio di classificazione.

I sintomatici. Il tema centrale è il sistema con cui si contano i positivi sintomatici. Solo quelli, ripetono ormai da 36 settimane i tecnici della Cabina di regia e dell’Istituto superiore di sanità, sono usati per calcolare l’indice di contagio della malattia, cioè a quale velocità questa passa da una persona all’altra. È logico: non è possibile prendere in considerazione anche chi non ne ha. L’Istituto sabato ha spiegato che «ogni volta che viene rilevato un caso clinico, viene compilato il relativo campo “stato clinico” nel quale viene indicato il grado di severità dei sintomi, da paucisintomatico a severo e, quando possibile, anche la data della loro insorgenza». Per quanto riguarda la Lombardia, dicono dall’Istituto, «ha segnalato dall’inizio dell’epidemia nell’ultimo periodo, una grande quantità di casi, significativamente maggiore di quella osservata in altre regioni, con una data di inizio sintomi a cui non ha associato uno stato clinico e che pertanto si è continuato a considerare inizialmente sintomatici. Questa anomalia è stata segnalata più volte dall’Iss alla Regione».

L’allarme del 7 gennaio. Quest’ultima frase del comunicato dell’Iss riporta ai primi scambi tra Roma e Milano avvenuti all’inizio dell’anno. Il 7 gennaio i tecnici dell’Istituto inviano una mail al dipartimento del welfare della Lombardia che qualcuno definisce “accorata”. Nel testo si segnalava che qualcosa non andava nei dati, e venivano invitati i tecnici a controllare bene cosa stesse succedendo. La lettera non ha avuto effetti, tanto che venerdì 15 gennaio l’Rt della Lombardia è schizzato a 1,4. Come ha spiegato a Repubblica Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto, da quando è iniziato il monitoraggio, il mercoledì l’anteprima dell’Rt viene inviata alle Regioni proprio perché facciano un controllo. La Lombardia però non ha avuto niente da ridire: «Non c’è stata alcuna contestazione in quei giorni — ha spiegato Brusaferro — Nel monitoraggio di venerdì 15 è passato tutto senza problema». La Lombardia ha iniziato a protestare dopo la firma dell’ordinanza del ministro alla Salute che la metteva in zona rossa, non prima, e soprattutto ne ha fatto una questione politica. I tecnici intanto hanno studiato i dati e lunedì scorso sono ripartiti i contatti con l’Istituto.

La mail del 19: tutto da rifare. Il 19 dicembre, martedì, l’assessorato spedisce all’Istituto la seconda mail fondamentale in questa storia. «Con la presente, a seguito delle odierne interlocuzioni, si richiede che venga eseguito un calcolo dell’indice RTSintomi recependo le modifiche definite a livello tecnico relative al conteggio dei pazienti guariti e deceduti». È la prima richiesta della Lombardia, che riconosce come qualcosa sia cambiato nei dati inseriti nel database. Per il periodo tra il 15 e il 30 dicembre (sul quale si è calcolato l’Rt del 15 gennaio) è stato rettificato il numero dei casi sintomatici e asintomatici. Così le persone che hanno avuto i primi sintomi in quei 15 giorni sono passate da 14.180 a 4.918. Un bel salto, che fa scendere l’Rt medio da 1,4 a 0,88.

«Si chiede la rivalutazione». E il giorno del monitoraggio, cioè il 22, il capo del dipartimento del Welfare Marco Trivelli invia una mail all’Istituto e al ministero alle 12.25, cioè 5 minuti prima della riunione della Cabina di regia. «Gentilissimi, tenuto conto dell’integrazione del flusso dei dati trasmesso mercoledì 20 rispetto a mercoledì 13, effettuata a seguito del confronto tecnico tra Iss e assessorato al Welfare relativa alla riqualificazione del campo stato clinico (...) si chiede la rivalutazione dell’indice Rt nella settimana trentacinquesima. Ora per allora». Le mail dicono che è la Regione a chiedere la modifica dell’Rt e anche che i dati del 22 sono diversi da quelli comunicati il 15, al contrario di quanto sostenuto dal governatore Attilio Fontana. «Buttare in rissa la questione dell’Rt lombardo certamente contribuisce a non fare emergere la verità. E i cittadini lombardi, questa volta più che mai hanno il diritto di sapere come stanno le cose», ha detto ieri il sindaco di Milano Beppe Sala: «La cosa più semplice per chiudere la questione è che la Regione Lombardia faccia vedere i dati. Il calcolo dell’Rt è un fatto eminentemente tecnico, non politico».

Iss a Fontana, da maggio 54 segnalazioni a Lombardia. (ANSA il 26 gennaio 2021) Da maggio scorso "l'Iss ha inviato 54 segnalazioni di errori, incompletezze e/o incongruenze alla Regione Lombardia, l'ultima il 7 gennaio scorso". Così al governatore lombardo, Fontana, l'Istituto superiore di sanità in una nota che aggiunge: "Il sistema è in uso da 36 settimane e nessun altra regione finora ha segnalato anomalie di questa entità sull'immissione dei dati". "Le Regioni - dice l'Iss - hanno completa autonomia nel caricamento di aggiornamenti e rettifiche senza alcun intervento o richiesta verso l'Iss che, laddove ne abbia evidenza o sospetto, può segnalare errori, incompletezze o incongruenze alle Regioni". (ANSA) - ROMA, 26 GEN - Bagarre in Aula al Pirellone subito dopo il discorso del governatore lombardo Attilio Fontana a proposito del ritorno della Lombardia in zona arancione. Al termine del suo intervento, il consigliere Michele Usuelli di +Europa, si è polemicamente inginocchiato davanti al presidente Fontana, chiedendo che i dati disaggregati sulla pandemia fossero resi pubblici. "Dato che non so più come chiederlo, ve lo chiedo in ginocchio" ha detto. Un comportamento che ha provocato l'immediata reazione dei consiglieri di Movimento 5 Stelle e Pd, che hanno esposto dei cartelli ("Verità per i lombardi", "Basta bugie", "Ora basta", "La zona rossa è colpa vostra"), chiedendo le dimissioni della giunta. Dai banchi della maggioranza hanno replicato con il coro "Andate a lavorare", mentre il presidente Fontana, la vice Moratti e parte della giunta hanno lasciato l'Aula. A quel punto presidente del Consiglio Regionale, Alessandro Fermi, dopo aver formalmente censurato Usuelli ha sospeso la seduta. Prima dell'inizio dei lavori, il consigliere del Pd Pietro Bussolati aveva polemicamente consegnato a Fontana un abaco.

Lombardia e indice Rt, nuova verifica sui dati per i cambi di fascia. Dopo lo scontro sulle 54 segnalazioni inviate dall’Iss alla Regione e la dura replica di Fontana («Siete una parte politica») parte la verifica sui numeri inviati dai tecnici del Pirellone per stabilire i passaggi in zona rossa o arancione a cui sono legati i ristori. Fiorenza Sarzanini su Il Corriere della Sera il 27 gennaio 2021. Dal maggio scorso al 7 gennaio «la Lombardia ha mandato per 54 volte dati sbagliati o incompleti» e le «incongruenze sono sempre state segnalate». Così l’Istituto superiore di sanità torna a marcare gli errori della Regione sul calcolo dell’indice Rt. E lo scontro si riapre. La replica del governatore Attilio Fontana è immediata: «L’Iss dovrebbe essere organo terzo e invece si comporta come una parte politica». Adesso comincia però la verifica sui numeri forniti dai tecnici del Pirellone a partire dallo scorso ottobre per stabilire se i passaggi in fascia rossa o arancione fossero basati su parametri non corrispondenti con la situazione reale. Un dettaglio non da poco, visto che proprio a questo sono legati i ristori concessi ad attività commerciali e locali pubblici — primi fra tutti bar e ristoranti — costretti a chiudere.

I calcoli. La relazione dell’Iss è stata preparata in vista della discussione di fronte ai giudici del Tar del Lazio cui la Lombardia si è rivolta per far annullare l’ordinanza del 16 gennaio 2021 che ha fatto finire la regione in zona rossa. Scrivono gli esperti dell’Istituto: «Si segnala che dal mese di maggio 2020 l’Iss ha inviato 54 segnalazioni di errori, incompletezze e/o incongruenze alla Regione Lombardia, l’ultima delle quali in data 7 gennaio 2021». Poi entrano nel dettaglio: «La percentuale di casi incompleti per la sintomatologia (assenza di informazioni nel campo “stato clinico”) è pari al 50,3% a fronte del 2,5% del resto d’Italia nel periodo 13 dicembre 2020-13 gennaio 2021». E in particolare: «Gli ultimi inserimenti da parte della Regione Lombardia risalgono alle ore 10.58 e alle ore 14.51 del 20 gennaio 2021 con una rettifica dei dati pregressi presenti alla data 13 gennaio 2021: eliminando la segnalazione di una data inizio sintomi in 4.875 casi segnalati; diminuendo di 17.654 casi quelli classificati in precedenza come sintomatici; aumentando di 12.779 casi quelli classificati come asintomatici».

La circolare. Secondo i tecnici del ministero della Salute i dati sulla determinazione dell’indice di contagio Rt sono stati sbagliati dopo l’entrata in vigore della circolare del ministro Roberto Speranza del 12 ottobre scorso che consentiva l’uscita dalla quarantena «alle persone che risultano ancora positive a 21 giorni dalla comparsa dei sintomi, ma da una settimana sono asintomatiche». Nei report della Lombardia erano stati conteggiati come persone con «inizio sintomi», ma senza la descrizione dello stato clinico. E dunque non sono stati inseriti nel campo dei «guariti». Un dettaglio cheha fatto inevitabilmente salire l’indice Rt portando la regione in fascia arancione o rossa. Nella relazione resa nota ieri l’Iss spiega che «a partire dal 29 maggio la Regione Lombardia ha ricevuto settimanalmente il “Report di qualità e completezza dei dati” in cui è stata segnalata da Iss una anomalia relativa alla presenza di un numero elevato di casi incongruenti ovvero in cui era segnalata una data inizio sintomi ma erano dichiarati nello stato clinico come “asintomatici” o con presenza di una sola “guarigione” o “decesso”».

La zona rossa. Il problema si aggrava a gennaio, quando il governo decide di modificare i parametri per il cambio di fascia: con Rt pari a 1 si va in arancione, con Rt a 1,25 si va in rosso. Scrive l’Iss: «Il 7 gennaio si chiede alla Lombardia di verificare la completezza dei campi relativi allo stato clinico. Il 13 gennaio viene attribuito alla Lombardia sulla base dei casi caricati un Rt di 1,4che manda in zona rossa la regione. Il 19 gennaio nel corso di una riunione tecnica richiesta dalla Lombardia viene segnalata l’ipotesi che in particolare la mancata compilazione della voce relativa allo stato clinico potrebbe essere alla base della distorsione dell’Rt. Successivamente la Lombardia richiede all’Istituto “che venga eseguito un calcolo dell’indice Rt sintomi recependo le modifiche definite a livello tecnico relative al conteggio dei pazienti guariti e deceduti”. Il 20 gennaio la Lombardia invia l’aggiornamento del suo database e realizza anche una rettifica dei dati pregressi. I cambiamenti riducono in modo significativo il numero di casi che hanno i criteri per essere classificati come sintomatici e pertanto inclusi nel calcolo dell’Rt».

Il riconteggio. Il resto è noto. Il ministero della Salute prende atto della rettifica e il 22 gennaio emette l’ordinanza che fa tornare la regione in fascia arancione. Ma esplode la polemica su chi abbia davvero commesso l’errore. I dati appaiono chiari, ma il governatore nega che siano stati i tecnici del Pirellone a commettere l’errore. A questo punto tutti i report inviati da fine ottobre — compreso quello che il 6 novembre scorso ha fatto scattare la zona rossa — saranno nuovamente analizzati. Ma Fontana attacca: «L’Iss è in difficoltà per proprie mancanze e continua a spostare il tiro dal vero tema, il malfunzionamento dell’algoritmo per l’Rt. Uscite a orologeria con un solo obiettivo: colpire la Lombardia».

Zona rossa, di chi è la colpa? Così un dato ha punito la Lombardia. La verità sullo scontro tra Lombardia e Iss. Quel blitz della Finanza e lo scambio di mail: "Non hanno voluto attendere..." Giuseppe De Lorenzo, Domenica 31/01/2021 su Il Giornale. Esistono polemiche che conviene analizzare a bocce ferme. Lo scontro tra Attilio Fontana e l’Iss è una di queste. Si tratta di una vicenda in cui nessuna delle due parti in causa è del tutto esente da errori, è evidente, ma è altrettanto vero che non è una sola (il Pirellone) la colpevole del "pasticcio Lombardia".

Come invece è emerso su gran parte della stampa. Proviamo a ricostruire i fatti. Come noto il 16 gennaio, dopo aver letto il report della cabina di regia sulla 35esima settimana, il ministro Speranza firma l’ordinanza che "ricaccia" la Lombardia in zona rossa. Il Pirellone contesta, è convinto che i numeri dicano l’opposto. Ritiene soprattutto che un dato in particolare, l’Rt-sintomi, abbia qualcosa che non quadra. “Non era coerente con gli altri indicatori”, dicono al Giornale.it fonti del cts della Regione. Sul momento il Pirellone chiede di sospendere l’ordinanza, anche solo 48 ore, per capire perché quell’Rt sia a 1,4 quando tutto suggerisce che l’epidemia stia regredendo. Ma Roma decide di tirare dritto e i negozi sono costretti a chiudere. In quel momento, effettivamente, quale sia il problema non è chiaro. I tecnici dell’Iss e quelli lombardi si mettono al lavoro (tra le due parti, va detto, vi è stima reciproca) e alla fine trovano il baco. Lo abbiamo spiegato ieri (leggi qui): si tratta di un intoppo nell’algoritmo pensato dall’Iss che non aveva “calcolato” l’effetto prodotto da una serie di fattori. Proviamo a riassumere. L’Rt sintomi si calcola sul numero di infezioni tra una settimana e l’altra. Ogni volta che la regione rileva un caso positivo, carica i suoi dati in un sistema pensato apposta dall’Iss. L’intoppo si è creato intorno a due indicatori: la “data inizio sintomi” e lo “stato clinico”. Se questi due campi sono completi, nessun problema: l’algoritmo li considera come sintomatici e tutto va bene. Quando però è presente solo la “data inizio sintomi” e non lo “stato clinico”, il processo si ingarbuglia. L’Iss all’inizio li considera inizialmente “sintomatici”, poi però se guariscono (o muoiono) senza che nessuno abbia indicato uno “stato clinico” li depenna d’imperio. Creando uno scalino che falsa l’Rt. La maggior rapidità di guarigione, dovuta alle nuove regole del ministero, che permette agli infetti di tornare in libertà dopo appena 10 giorni, ha aumentato il numero di casi “guariti” all’interno del periodo di osservazione dell’Rt. Inceppando così l’algoritmo. Di chi è la colpa? Va detto che la Lombardia non sempre compila tutti i campi richiesti nel sistema di sorveglianza fornito dall’Iss. L’Istituto l’ha spiegato nella dura nota di qualche giorno fa: il Pirellone ha segnalato “una grande quantità di casi, significativamente maggiore di quella osservata in altre regioni, con una data di inizio sintomi a cui non ha associato uno stato clinico”. Per non parlare delle 54 segnalazioni di errori, incompletezze e/o incongruenze. Per l’Iss è questo il vulnus. Per la Lombardia invece no: la tipologia di dati, per quanto incompleti sullo “stato clinico”, si somigliano lungo tutte le settimane sin da maggio 2020. Non è mai stato un problema e nell’ultimo mese non è cambiato granché. Si è molto discusso sull’obbligatorietà o meno di compilare il campo “stato clinico”: il Manuale (leggi qui) fornito dall’Istituto alle regioni dice che l’indicatore “deve essere raccolto”. Ma è pur vero che anche senza indicarlo il sistema fa caricare comunque la scheda paziente: non è cioè “obbligatorio”. Il fatto è che, come abbiamo provato a spiegare ieri, i dati sui positivi non vengono raccolti da una sola persona: sono un flusso di informazioni che partono da migliaia di malati, arrivano ai medici di base, passano dai sistemi delle Asl e infine arrivano alla Regione. Il Pirellone sostiene di aver sempre tenuto il dato coerente con quelli provenienti dalle Asl, “anche con eventuali incompletezze”, senza “forzarne la lettura”. Senza cioè attribuire gradi di gravità dove il medico non ha fornito indicazioni. Il ragionamento è: se c’è una data inizio sintomi, sono “sintomatici”. E amen. L’Iss invece fa una considerazione diversa. Nel caso in cui lo “stato clinico” non venga mai aggiornato nel corso del tempo, sebbene ci sia una “data inizio sintomi”, quando viene documentata la “guarigione” o il “decesso” il caso viene considerato asintomatico. Perché? Mistero. Secondo l’Iss “non è plausibile che ci sia una ‘data di inizio sintomi’ di una persona senza alcun sintomo documentato fino alla guarigione o alla morte”. Un assunto in realtà strano. È più facile infatti che il medico inserisca la data inizio sintomi, ma non specifichi la gravità, o si dimentichi di aggiornare la scheda, piuttosto che s’inventi una “data inizio sintomi” per un asintomatico. No? Appare inconcepibile, infatti, che una persona “morta” venga considerata “asintomatica” solo perché non è stata specificata la gravità del sintomo: se c’ha lasciato le penne, di certo qualcosa avrà avuto. Un soluzione in fondo ci sarebbe: se i casi con “data inizio sintomi” ma senza “stato clinico” sono considerati “sintomatici” all’inizio, lo si potrebbe fare anche una volta guariti o morti. In questo modo l’Rt non conterrebbe errori. In questo contesto s’inserisce il botta e risposta sulla “rettifica” o “l’aggiornamento” dei dati. La Lombardia - dice una fonte nel cts confermata da un’altra dell’Iss - ha modificato lo “stato clinico” dei pazienti su indicazione dell’Istituto, ma non ha cambiato il totale dei casi registrati: “Il nostro intervento, che è stato concordato con loro, ha permesso di aggirare l’ostacolo che si era creato nel loro algoritmo. Abbiamo seguito le indicazioni, anche se non eravamo e non siamo d’accordo sull’inserire d’imperio informazioni che non abbiamo. In una mail del 7 gennaio, l’Iss ci aveva addirittura chiesto di smettere di dichiarare i pazienti guariti. Ma come si fa?”. Dal Pirellone suggeriscono quindi di cambiare gli automatismi del software invece di agire sulle informazioni che arrivano dal territorio. “Quando abbiamo deciso di inserire lo ‘stato clinico’ sapevamo che ci avrebbero accusato di aver inviato dati sbagliati. Ma se avessimo tenuto il punto, la Lombardia sarebbe rimasta in zona rossa. I nostri tecnici sapevano di rovinarsi la reputazione, ma hanno preferito far tornare la regione in zona arancione. L’Iss infatti ci aveva detto: ‘O li cambiate o non modifichiamo il colore'”. Insomma, sarebbe ingiusta l’accusa di essere poco precisi sulla raccolta dati: “Ci sono regioni che non caricano appositamente la data inizio sintomi. In alcuni casi emergono persone in terapia intensiva che nel sistema appaiono asintomatiche”. C’è poi un’altra faccenda da risolvere. Perché una volta sollevato il dubbio non si è aspettato di risolvere il problema prima di infilare la Lombardia in zona rossa? “All’Iss è mancata l’intelligenza di guardare alla situazione complessiva della nostra regione, fossilizzandosi solo sull’Rt sintomi. Avevamo un Rt ospedaliero basso e l’incidenza inferiore a Emilia Romagna e Veneto, eppure nessuno si è chiesto: perché l’Rt sintomi non è coerente con gli altri indicatori?”. L’Iss dal canto suo sostiene di aver fatto circolare il dato in anticipo come sempre, chiedendo al Pirellone di verificarlo e validarlo col criterio del silenzio assenso: “La Lombardia - si legge in una nota - non ha finora mai contestato questa stima”. Perché? “I dati sono arrivati lo stesso giorno in cui al Pirellone si è presentata la Guardia di Finanza inviata dalla procura di Bergamo che indaga su Alzano e Nembro - spiega una fonte al Giornale.it - Hanno sequestrato tutti i computer e i cellulari della Prevenzione sanitaria che fa il controllo delle stime. Il giorno in cui avremmo dovuto dare il via libera o meno all’Rt, quell’ufficio non ha potuto lavorare”. Dunque il silenzio assenso avrebbe fatto passare la stima che l’Iss ha poi pubblicato, provocando la zona rossa. “Quando poi abbiamo chiesto 48 ore per lavorare insieme prima di far scattare le restrizioni - conclude la fonte - Speranza ci ha risposto di no ed è andata com’è andata”.

·        Succede nell’Alto Adige.

Il paradosso di Bolzano: ristoranti aperti la sera nonostante per l'Europa sia rosso scuro. Le Iene News il 26 gennaio 2021. Il presidente della provincia autonoma dell’Alto Adige ha deciso che valgono le regole da zona gialla. Per le ordinanze nazionali però Bolzano è ancora in zona rossa mentre la Commissione europea vuole inserirla tra quelle “rosso scuro”. I ristoranti continuano a restare aperti a Bolzano anche a cena (solo con prenotazione), nonostante la provincia autonoma dell’Alto Adige sia per le ordinanze nazionali, assieme alla Sicilia, ancora una zona rossa. Il presidente Arno Kompatscher ha deciso che qui valgono le regole da zona gialla, in vigore già nel Trentino, con scuola in presenza e negozi e bar aperti con servizio al tavolo fino alle 18. L’indice Rt è sceso a 1 e non è più sopra a 1,25, soglia che aveva fatto scattare la “zona rossa”, ma per rientrare in regole meno restrittive si deve aspettare almeno il 29 gennaio. La giunta provinciale ha anticipato i tempi, e ha riaperto i ristoranti dal 7 gennaio. Non si fermano però le polemiche per questa decisione, tra la soddisfazione di commercianti e ristoratori e chi teme nuovi contagi. Anche perché la stessa Commissione europea sembra pensarla diversamente. Ha appena proposto di introdurre le zone “rosso scuro”, con rischio rafforzato. All’interno ci finirebbero tre regioni italiane (Veneto, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia-Romagna), più appunto la provincia autonoma di Bolzano. La soglia valutata, che coinvolgerebbe una ventina di zone Ue, è quella di chi ha superato i 500 casi ogni 100mila abitanti negli ultimi 14 giorni. Per gli abitanti di queste aree si propone di introdurre l’obbligo di tampone prima della partenza e di quarantena all’arrivo per poter viaggiare nell'Ue. La proposta è europea, la decisione se applicarla spetterà ai singoli Stati membri. Sempre che poi venga rispettata.

·        Succede nel Veneto.

Il giallo veneto. Report Rai PUNTATA DEL 26/04/2021 di Danilo Procaccianti. Cosa è successo alla sanità veneta? Nella gestione del virus all'inizio sono stati i primi della classe. Ma a gennaio hanno registrato il tasso di mortalità più alto d'Italia. Nonostante il parametro di occupazione delle terapie intensive fosse stato superato, già a novembre, il Veneto è rimasto in zona gialla. Perché? Uno degli artefici dei successi della prima ondata è stato il prof. Andrea Crisanti che però durante la seconda ondata è stato messo da parte e non sono stati ascoltati i suoi allarmi sulla sensibilità dei tamponi rapidi di cui il Veneto ha fatto largo uso. 

“IL GIALLO VENETO” Di Danilo Procaccianti Collaborazione Chiara D’Ambros – Marzia Amico Consulenza Andrea Tornago Immagini Cristiano Forti – Chiara D’Ambros Montaggio e grafica Monica Cesarani SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO C’era un modello italiano che è stato tanto celebrato dal New York Times e anche dal Financial Times, era quello della gestione della pandemia in Veneto nella prima ondata. Il modello tracciare e testare. È in questo ambito che emerge la figura del professor Andrea Crisanti, il cui modello scientifico viene anche citato e ripreso da Nature, che è una rivista scientifica prestigiosa, la più prestigiosa al mondo. Solo che poi avviene un cortocircuito. Nella seconda ondata della pandemia il Veneto conta più morti di tutti ad un certo punto: e che cosa è successo? Che Crisanti, per esempio, non c’era per via del mistero di uno studio che avrebbe, se pubblicato, messo in crisi tutta la strategia adottata dal governatore del Veneto fino in quel momento. Una storia che sembra ripercorrere quella del dossier ritirato del ricercatore dell’Oms Zambon. Il nostro Danilo Procaccianti.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Vo’ Euganeo, tremila anime in provincia di Padova. Qui è nato il modello Veneto della lotta al Covid durante la prima ondata della pandemia. Il 20 febbraio dello scorso anno, infatti, arriva il primo contagiato del Veneto, Adriano Trevisan, morto tre giorni dopo. A quel punto, su decisione del governatore Zaia, l'intera città viene messa in quarantena e ogni abitante viene testato. I test vengono effettuati presso il laboratorio di microbiologia di Padova diretto dal professor Andrea Crisanti, fino ad allora poco conosciuto al grande pubblico. È proprio lui che ha una felice intuizione, procedere con un secondo screening a distanza di 15 giorni.

ANDREA CRISANTI, DIR. LABORATORIO VIROLOGIA UNIVERSITA’ DI PADOVA Abbiamo fatto tutti i test la seconda volta e ci siamo resi conto che questa misura aveva bloccato la trasmissione del 98%, e quindi praticamente lei deve considerare che a Vo’ non c’è stato più nessun caso.

LUCA ZAIA, PRESIDENTE REGIONE VENETO, 21/04/2020 (VIDEO FB) Voi sapete la partita di Vo’ come è nata. 21 febbraio si inizia, io ho dato disposizione di fare i primi 3000 campioni, poi ho conosciuto il professor Crisanti che mi ha telefonato e mi dice guardi… Si ricorda, no? Governatore, avete fatto una roba unica nel senso che non esiste al mondo. Cosa dice se ci sostenete per gli altri 3000 tamponi? E il professore ha avuto un’intuizione unica. Dal punto di vista scientifico è un case history ormai Vo’, no?

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Un case history unico, un modello celebrato in tutto il mondo che ha permesso al Veneto di superare la prima ondata pandemica con numeri irrisori rispetto alla vicina Lombardia. Durante la seconda ondata, però, le cose si mettono male.

GIANCARLO GIUSEPPE ACERBI, SINDACO DI VALDAGNO (VI) Mi diceva un operatore di servizi funebri, “io non ho mai visto in una mattina, e sono quarant’anni che lavoro qui, venti bare una dietro l’altra qui all’obitorio dell’ospedale di Valdagno”. DESIRE’ GHIOTTO Guardate che dicembre qui nel vicentino è stato come Bergamo in aprile. La mamma l’hanno mandata per la cremazione a Bologna, è tornata dopo trenta giorni.

DANILO PROCACCIANTI Quando uno dice il modello veneto della prima ondata perché, appunto, le riconoscono delle azioni. Sennò, significa allora nella prima ondata è andata bene, è stata fortuna, nella seconda sfortuna?

LUCA ZAIA, PRESIDENTE REGIONE VENETO Ma senta, secondo lei, ci siam tutti rincitrulliti? Gli uomini e le donne della prima ondata sono gli stessi.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO In realtà gli uomini non sono proprio gli stessi perché nella seconda ondata la regione Veneto decide di fare a meno del contributo del professor Crisanti.

DANILO PROCACCIANTI Perché in qualche modo la scaricano?

ANDREA CRISANTI, DIR. LABORATORIO VIROLOGIA UNIVERSITA’ DI PADOVA Guardi, non lo so. La seconda ondata è caratterizzata, penso, dall’obiettivo politico della regione di dimostrare che era tutto merito loro quello della prima ondata e che quindi praticamente avrebbero potuto fare a meno di me.

LUCIANO FLOR, DIRETTORE GENERALE SANITÀ REGIONE VENETO Il professor Crisanti ha il merito, e nessuno gliel’ha mai disconosciuto, di avere introdotto precocemente la capacità di diagnosi: bastassero i tamponi, l’epidemia avrebbe un’altra storia.

DANILO PROCACCIANTI Vabbè, il dato incontrovertibile è che lui nella prima ondata c’era e nella seconda invece non c’era e nella seconda siete stati maglia nera, diciamo, per numero di morti ogni 100.000 abitanti.

LUCIANO FLOR, DIRETTORE GENERALE SANITÀ REGIONE VENETO Che l’epidemia in autunno il Veneto lo abbia colpito gravemente e duramente non lo dico io, lo dicono i numeri.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO E i numeri della seconda ondata sono impietosi per il Veneto. Questi sono i casi positivi ogni centomila abitanti, la curva rossa è la media italiana mentre la blu è quella del Veneto, nettamente sopra proprio da novembre a fine gennaio. Stessa cosa per i ricoveri in terapia intensiva e per i deceduti, dove si vede chiaramente che durante la prima ondata il Veneto ha avuto meno deceduti rispetto alla media italiana mentre nella seconda è stato un disastro.

MAURIZIO MANNO, COORDINAMENTO VENETO SANITÀ PUBBLICA Duemila decessi in più rispetto al numero di decessi che ci sarebbero stati se il Veneto si fosse comportato come la media nazionale.

DANILO PROCACCIANTI Che è successo?

LUCA ZAIA, PRESIDENTE REGIONE VENETO La verità è che ci è arrivata una folata di vento fuori dal comune. La prima fase non aveva quelle sintomatologie così aggressive come in questa, in questa ondata che abbiamo avuto.

DANILO PROCACCIANTI Perché lei a un certo punto diceva: noi ne abbiamo di più perché ne troviamo di più perché facciamo più tamponi.

LUCA ZAIA, PRESIDENTE REGIONE VENETO Quello di positivi assolutamente sì.

DANILO PROCACCIANTI Però diciamo che appunto i ricoveri in terapia intensiva e i deceduti quelli insomma da lì non si scappa. Quelli aumentavano.

LUCA ZAIA, PRESIDENTE REGIONE VENETO Quello è un vero valore: abbiamo forse avuto la più vera, la più grande ondata in quel momento.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Il virus sarà pure cambiato ma è cambiata anche la strategia della regione Veneto che, oltre a fare a meno del professor Crisanti, ha investito come poche altre regioni italiane sui tamponi rapidi e nel proprio piano di sanità pubblica dell’ottobre 2020 si dice chiaramente che il test di riferimento è il test rapido anche per gli operatori sanitari e nelle strutture per anziani.

ANDREA CRISANTI, DIR. LABORATORIO VIROLOGIA UNIVERSITA’ DI PADOVA Non si dovrebbero usare i tamponi antigenici per screenare il personale delle Rsa e il personale sanitario. Basta che mi entra una persona infetta in una Rsa e lì ci stanno praticamente le condizioni ideali per far divampare la trasmissione.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Purtroppo è quello che è successo in Veneto nelle Rsa, strutture Covid free che in un attimo si sono trasformate in focolai dopo esiti di tamponi rapidi falsi negativi.

ALESSANDRO LUIGI BISATO, SINDACO NOVENTA PADOVANA (PD) Ricevo una telefonata, una chiamata da parte del presidente della casa di riposo che mi riferisce che dopo la prima ondata della pandemia in cui non c’era stato nessun caso di positività, si stava verificando un primo caso.

DANILO PROCACCIANTI Quindi un positivo e poi che succede?

ALESSANDRO LUIGI BISATO, SINDACO NOVENTA PADOVANA (PD) Succede che il giorno dopo il presidente, sorpreso, mi richiama dicendomi che dopo che hanno rifatto i test molecolari sono risultati ulteriori 24 persone positive, sulle stesse persone, un giorno dopo.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Il falso negativo per una struttura, infatti, è un grande problema perché è in base alla positività o negatività che si decidono i protocolli. Nelle Rsa, per esempio, c’erano delle aree dedicate agli ospiti Covid positivi che ovviamente erano totalmente isolate rispetto alle aree con ospiti risultati negativi. Anche gli operatori erano vestiti in maniera diversa a seconda se avevano a che fare con positivi o negativi.

DAVIDE BENAZZO, SEGRETARIO GENERALE FUNZIONE PUBBLICA CGIL ROVIGO Se io ho un certo tipo di rischio biologico, ho certa strumentazione, ho la tuta, ho la doppia mascherina, ho la cuffia eccetera. Se invece ho dei negativi, ho tute diverse, sicuramente meno protettive di quelli che invece son le tute utilizzate dentro le strutture Covid.

LUCA ZAIA, PRESIDENTE REGIONE VENETO Se io vado ogni quattro giorni, è l'indicazione ministeriale, nella casa di riposo con il rapido, se decidessi di andarci con il molecolare, non ci vado ogni quattro giorni. Ho 30mila ospiti, è impossibile. Guardi, sa qual è il tema, mandi in onda almeno ‘sta roba qui, gliela dico io: a marzo, senza dispositivi - non avevamo le mascherine, non sapevamo nulla del virus, non avevamo i tamponi - son morti meno anziani che in un altro periodo dell’anno, cioè a novembre dicembre, quando avevamo dispositivi, avevamo le mascherine e avevamo la diagnostica.

DANILO PROCACCIANTI Però questa è come dire l'accusa che le fanno, perché dicono...

LUCA ZAIA, PRESIDENTE REGIONE VENETO Mica l’ho portato io il virus!

DANILO PROCACCIANTI Se testiamo agli operatori sanitari anche delle Rsa

LUCA ZAIA, PRESIDENTE REGIONE VENETO Ogni quattro giorni

DANILO PROCACCIANTI Con i rapidi arrivano dei falsi negativi.

LUCA ZAIA, PRESIDENTE REGIONE VENETO Ma ogni quattro giorni, mi perdoni, il molecolare non lo puoi fare a nessuno.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Eppure, il professor Crisanti aveva messo in guardia la regione sulla fallibilità dei tamponi rapidi di prima e seconda generazione. Conduce un approfondimento diagnostico sui tamponi rapidi dell’azienda Abbott. Nella scheda vantano una sensibilità al virus del 95%. Crisanti li testa in doppio. Significa che alle circa 1500 persone a cui viene fatto il tampone rapido, in contemporanea viene fatto un tampone molecolare. Si scopre che i tamponi rapidi sbaglierebbero tre volte su dieci.

DANILO PROCACCIANTI Lei, scoprendo questa cosa, dice: io, in autotutela, non firmo più referti di negatività di questi tamponi perché per me valgono poco.

ANDREA CRISANTI, DIR. LABORATORIO VIROLOGIA UNIVERSITA’ DI PADOVA Poi io devo fare il test all’infermiere, devo fare il test all’operatore sanitario, devo fare il test al medico e poi che faccio? Gli dico che è negativo, se non sono convinto che il test funziona? Gli ho detto: io non lo faccio.

DANILO PROCACCIANTI Lei si affretta subito a dire non esiste questo studio.

LUCIANO FLOR, DIRETTORE GENERALE SANITÀ REGIONE VENETO Attenzione. Lo studio bisogna capire se è uno studio di una persona o se è lo studio di un ospedale o che si fa in un ospedale. E quando a me viene chiesto di fornire lo studio, io direttore generale dell’ospedale non sono stato in grado di fornirlo perché non c'era.

DANILO PROCACCIANTI Lei dice: si è inventato tutto, Crisanti l’ha fatto da solo.

LUCIANO FLOR, DIRETTORE GENERALE SANITÀ REGIONE VENETO Sentite, sentite un attimo solo: non c'era un’autorizzazione a condurre uno studio.

DANILO PROCACCIANTI Quindi che si fa, si rubava le cartelle? Come ha potuto farlo da solo, questo non capisco.

LUCIANO FLOR, DIRETTORE GENERALE SANITÀ REGIONE VENETO Io lo studio non ce l'ho.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO L’approfondimento diagnostico ovviamente esiste, eccolo qua. Il professor Crisanti lo ha inviato al direttore Flor il 21 ottobre ed ecco risultati e tabelle. Non solo, l’approfondimento diagnostico il professor Crisanti lo aveva fatto con i primari del pronto soccorso e di malattie infettive dell’ospedale di Padova, Vito Cianci e Anna Maria Cattelan, su input dell’unità di crisi dell’ospedale, come dimostra questo audio esclusivo che vi facciamo ascoltare. A parlare è proprio il primario del pronto soccorso, Vito Cianci.

VITO CIANCI, PRIMARIO PRONTO SOCCORSO OSPEDALE DI PADOVA (AUDIO) Noi avevamo ricevuto l’input all’interno di un’unità di crisi di dover svolgere dal giorno 18 di settembre i test in doppio, antigenico e molecolare, ai pazienti che venivano in pronto soccorso.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Eppure scoppia un caso perché gli stessi primari che hanno collaborato con il professor Crisanti scrivono una lettera all’allora direttore Luciano Flor per prendere le distanze dallo studio. Qualche giorno dopo devono fare una rettifica in cui affermano che la ricerca “è avvenuta nell'ambito di un approfondimento diagnostico e che tale iniziativa sia contemplata anche in una nota ministeriale tecnica”. Perché allora in un primo momento i due primari hanno disconosciuto Crisanti? Da quello che ci risulta avrebbero subito pressioni.

VITO CIANCI, PRIMARIO PRONTO SOCCORSO OSPEDALE DI PADOVA (AUDIO) Perché siamo stati presi per il collo e con tutte le relative possibili minacce sottostanti che possono provenire in maniera indiretta o velata.

DANILO PROCACCIANTI Lei non ha minacciato nessuno quindi? LUCIANO FLOR, DIRETTORE GENERALE SANITÀ REGIONE VENETO No, io ho semplicemente detto “avete fatto uno studio?” Me lo scrivete. Al professor Crisanti ho detto “hai fatto uno studio?” Mandamelo. Se hanno aggiunto “presi per il collo” diranno, denunceranno chi li ha presi per il collo. Sono io che li ha presi per il collo?, faccio presto a chiarire questa faccenda.

DANILO PROCACCIANTI Il direttore generale della sanità veneta il perché li ha presi per il collo ce lo spiega a margine dell’intervista.

LUCIANO FLOR DIRETTORE GENERALE SANITÀ REGIONE VENETO (FUORI ONDA) Detto inter nos la ditta ci fa causa e ci chiede i danni quindi meglio dire lo studio non c’è. Cazzo, glielo dico sette volte e non capisce… Perché pensi che io mi sono affrettato a dire che lo studio non c’è? Ora lui, cazzo, è un puro. È un ingenuo. Non riesce a star zitto. Bisogna che capisca, cazzo, che ci sono tanti di quei rapaci in giro che ti fanno secco.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO La purezza, forse, stride con la logica della sanità pubblica. Che cosa è successo? È successo che il solito Crisanti aveva scoperto che su dieci tamponi rapidi del tipo che hanno usato, tre erano inaffidabili, davano risultati inaffidabili che tradotto significa che su dieci operatori sanitari potresti fare entrarne tre con il virus nelle Rsa. Esploderebbe una bomba che poi, alla fine, è quello che è successo. Quali alternative avrebbe avuto Zaia? Noi non lo sappiamo. Sappiamo, però, quello che abbiamo ascoltato dalle parole del suo direttore generale, Flor, il quale ha detto di aver esercitato delle pressioni affinché non venisse fuori, venisse pubblicato lo studio fatto da Crisanti. Questo anche a sua tutela perché aveva paura che l’azienda che produceva tamponi avrebbe potuto fare una causa. Mai lui, dice Flor, è ingenuo, è uno, è un puro, non capisce. Sembra di rileggere il copione del dossier dell’Oms ritirato, quello del ricercatore Zambon, perché poi anche Crisanti è stato messo da parte perché chi è indipendente e puro non è governabile. Il dossier, lo studio di Crisanti avrebbe potuto mettere in crisi la strategia adottata fino a quel momento dalla sanità veneta, quella del tampone rapido. Ora Zaia, al quale riconosciamo il merito, gli diciamo anche grazie di metterci sempre la faccia con noi di Report, ha detto: ma guardate che quando non avevamo le mascherine, a marzo, non avevamo dispositivi medici, non avevamo tamponi, sono morte meno persone che a novembre, quando avevamo tutto, avevamo anche la diagnostica. Insomma, qual è la differenza? È proprio quello che noi gli contestiamo, il fatto di non aver istituito una zona rossa, perché a marzo, in piena prima pandemia, il virus non circolava così tanto come nella seconda ondata e ha potuto anche scorrere, il virus, e contagiare perché aveva la foglia di fico dei tamponi rapidi. Ecco, una strategia che ha anche consentito il fiorire di una contabilità sui contagi un po’ creativa, un po’ fantasiosa, ma anche molta confusione sui numeri per esempio dei posti in terapia intensiva e anche sugli asintomatici. Tutto per rimanere aggrappato a quella zona gialla, che forse così gialla poi non era.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Ci sarebbe un altro motivo per cui in Veneto i numeri della seconda ondata sono stati tra i peggiori d’Italia, il fatto che la regione sia rimasta in zona gialla, nonostante gli ospedali fossero pieni e nonostante i deceduti delle Rsa crescessero a dismisura.

ROBERTO VOLPE, PRESIDENTE URIPA Nella prima ondata abbiamo stimato circa 600 i decessi, nella seconda ondata sicuramente siamo andati oltre i 2500. La seconda ondata rispetto alla prima ci ha visto messi a nudo perché non c’è stata l’ombrello del lockdown sul territorio.

DANILO PROCACCIANTI Insomma, se capisco bene, una delle ragioni principali è il fatto che il Veneto sia rimasto in zona gialla.

ROBERTO VOLPE, PRESIDENTE URIPA Voi potete immaginare ventimila persone che entrano ed escono ogni giorno dalle nostre strutture. Prima ondata trovavano una famiglia sostanzialmente statica, coniuge e figli a casa; nella seconda ondata la stessa famiglia aveva il coniuge e il figlio che andava a scuola o lavorava.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Avrebbe dato giovamento a tutti una zona rossa in Veneto, avrebbe dato respiro alle Rsa ma anche agli ospedali che sotto pressione hanno cominciato a non poter accettare tutti gli anziani malati provenienti dalle case di riposo. Quella di Cortina d’Ampezzo, una delle prime ad essere colpite, aveva tutti gli ospiti positivi al virus.

CLAUDIO TALAMINI, DIRETTORE RSA “ANGELO MAJONI” CORTINA D’AMPEZZO Le comunicazioni ufficiali della Ulss è che non ce la facevano, e quindi non potevano accogliere ospiti positivi.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO I medici di tutti gli ospedali veneti a novembre hanno provato in tutti i modi a far sentire il loro grido d’allarme, per loro era inconcepibile rimanere in zona gialla.

ANDREA ROSSI, VICESEGRETARIO DI ANAAO VENETO Perché era il periodo dei container, delle celle frigorifere in cui siamo arrivati anche a Verona ad avere 180 morti a settimana. La mia opinione è che a dicembre il Veneto doveva essere almeno arancione, e non lo è stato.

PAOLO GIRLANDA Mia madre è rimasta quattro giorni in pronto soccorso e quando è arrivata nel reparto di pneumologia di Borgo Trento ha avuto un aggravamento tra mezzanotte e le sei di mattina e non ho riscontrato nella cartella clinica visite in quelle sei ore lì.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Uno dei Covid center più importanti era l’ospedale di Montebelluna in provincia di Treviso. Anche qui i medici erano sotto pressione e hanno chiesto aiuto all’ex sindaco di Montebelluna, Laura Puppato, ex senatrice che sulla gestione della seconda ondata pandemica in Veneto ha presentato un corposo esposto in tutte le procure venete.

LAURA PUPPATO, SENATRICE PARTITO DEMOCRATICO 2013-2018 Esattamente un medico mi ha detto: “io non sto rispettando il giuramento di Ippocrate, io non sto facendo quello che dovrei ma solo ciò che posso quindi io chiedo aiuto”.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Dopo le denunce di Laura Puppato, il ministero decide di fare una ispezione in quell’ospedale. Gli ispettori sottolineano la mancata presenza dei referenti regionali quel giorno, sono quelli che avrebbero dovuto chiarire eventuali criticità. Gli ispettori, tuttavia, nelle conclusioni non ravvisano elementi di miglioramento da implementare. Ma c’è un piccolo giallo perché l’ispezione era stata annunciata sette giorni prima e sono successe delle cose in quei sette giorni.

LAURA PUPPATO, SENATRICE PARTITO DEMOCRATICO 2013-2018 La prima è che hanno cominciato a scendere i ricoveri, solo a Montebelluna perché nella provincia di Treviso ci sono altri due ospedali Covid, in uno sono raddoppiati i pazienti in quella settimana, nell’altro sono aumentati del 25%, solo a Montebelluna sono crollati.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Non solo in previsione dell’ispezione c’erano meno malati, ma hanno anche inviato 14 medici in più e 30 infermieri in quell’ospedale di Montebelluna.

CLAUDIO BELTRAMELLO, MEDICO IGIENISTA Vedi la gente morire, il pronto soccorso o il tuo reparto che state impazzendo, personale infettato, il disastro. Il tuo direttore generale che dice: “No, no, tutto tranquillo, non c’è problema, il sistema sanitario è in equilibrio”. Vai fuori di testa.

DANILO PROCACCIANTI Perché vedevano quello che stava succedendo.

CLAUDIO BELTRAMELLO, MEDICO IGIENISTA E certo, lo hanno chiesto in tutti i modi tutti i sindacati, tutti i medici: chiudete, non lascia.., basta, non riusciamo a gestire più infetti e continuavamo con ‘sta zona gialla. Poi in questa regione il dissenso non è molto amato…

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO La testimonianza del dottor Beltramello non è l’unica che abbiamo raccolto. Molti professionisti ci raccontano di avere paura e si tratta di professionisti importanti, c’è anche qualche direttore di unità operativa.

MEDICO REGIONE VENETO (al telefono) Ah, sì, sì, rischia dalla ghigliottina al plotone di esecuzione

DANILO PROCACCIANTI Stiamo parlando di medici però

MEDICO REGIONE VENETO (al telefono) Li considerano come dei soldatini che devono dire sempre sì anche se magari questo va contro la buona pratica medica e soprattutto, se tu ti esponi mediaticamente, vieni messo nel libro nero e fucilato al momento

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO La cosa grave è che ad avere paura è anche Andrea Rossi, vicesegretario dell’Anaao Veneto, uno dei sindacati più rappresentativi dei dirigenti medici.

ANDREA ROSSI, VICESEGRETARIO ANAAO VENETO (al telefono) Mi sto esponendo meno, insomma, ecco per farla breve

DANILO PROCACCIANTI Ha paura che gliela fanno pagare?

ANDREA ROSSI, VICESEGRETARIO ANAAO VENETO (al telefono) Possono esserci delle ritorsioni, ecco. Di fatto, noi critichiamo anche i dati che la regione Veneto ha mandato a livello nazionale e quindi la cosa è piuttosto delicata.

DANILO PROCACCIANTI Perché il Veneto è rimasto in zona gialla? Uno si aspetta dal governatore Zaia: chiudo tutto, zona rossa, qua i numeri stanno salendo. Insomma, l'autonomia

LUCA ZAIA, PRESIDENTE REGIONE VENETO Ma, guardi, questa non è questione di autonomia, è una questione di carte, poi le potrei aggiungere anche di più, così le do un piccolo scoop: noi abbiamo anche scritto al ministero chiedendo se c'erano ulteriori indicazioni da dare rispetto al nostro colore di zona.

DANILO PROCACCIANTI Questo quando?

LUCA ZAIA, PRESIDENTE REGIONE VENETO Questo io non lo ricordo, lei si ricorda la data? A dicembre deve essere stato, ‘na roba del, verso dicembre.

DANILO PROCACCIANTI La contestazione unica che le faccio è questa mancata zona rossa, cioè

LUCA ZAIA, PRESIDENTE REGIONE VENETO Sì, sì, è la quarta volta, è la quarta volta che me la fa. Siccome io non sono duro di comprendonio, l’ho capita.

DANILO PROCACCIANTI Quindi non si pente cioè, lo rifarebbe?

LUCA ZAIA, PRESIDENTE REGIONE VENETO No, guardi, qui non c'è una questione di pentimento. C'è anche il chiusurista, come lo chiamate voi, che dice che bisogna sempre chiudere dappertutto. Dopodiché, se ti va bene hai chiuso solo, e quindi hai fatto bella figura. Se ti va male, qualcuno magari ci avrà rimesso tutto quello che aveva.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO C’era un dato, però, che avrebbe dovuto destare più attenzione di altri nel concedere la zona gialla al Veneto. Quello riguardante le terapie intensive.

MAURIZIO MANNO, COORDINAMENTO VENETO SANITÀ PUBBLICA Sulla base di un parametro fondamentale che era la disponibilità presunta di posti letto che era stata dichiarata essere 1016 posti letto in totale.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO La disponibilità di mille posti letto di terapia intensiva dichiarata dalla regione Veneto è stata contestata da chiunque, a partire dal sindacato degli anestesisti.

ALESSANDRO VERGALLO, SEGRETARIO NAZIONALE AAROI-EMAC, ANESTESISTI RIANIMATORI L’abitudine di annoverare tra i posti di terapia intensiva tre categorie che non sono propriamente di terapia intensiva non fa bene al valore reale di questi numeri. Si tratta dei posti cosiddetti Creu, che sono posti attrezzati probabilmente riteniamo con la dotazione di un respiratore acquistato ad hoc. Poi ci sono altri posti letto, che sono i 111 di lettini operatori, destinati a tutt’altro uso, che non consentono una degenza di pazienti che necessitano di rianimazione e mi par di ricordare circa 176 posti derivati da una riconversione dei cosiddetti posti sub intensivi.

DANILO PROCACCIANTI Che numeri avete mandato a Roma per tenervi ‘sta zona gialla? Cioè, per esempio, sui dati delle terapie intensive, insomma molti dicono numeri gonfiati

LUCIANO FLOR, DIRETTORE GENERALE SANITÀ REGIONE VENETO La nostra ipotesi massima di dotazione di posti letto in rianimazione è mille. DANILO PROCACCIANTI Però l'indice di occupazione si calcolava sui mille e voi questi mille obbiettivamente non ce li avevate. Lei ha parlato di posti letto e di planimetrie ma la materia prima cioè i medici: quanti rianimatori anestesisti lei ha assunto negli ultimi mesi?

LUCIANO FLOR, DIRETTORE GENERALE SANITÀ REGIONE VENETO Ascoltate, ascoltate. Tutti quelli che c'erano.

ALESSANDRO VERGALLO, SEGRETARIO NAZIONALE ANESTESISTI RIANIMATORI No, noi stimiamo che il numero totale di colleghi pur non specialisti reclutabili sia stato intorno ai cento, 120

DANILO PROCACCIANTI E invece quanti ne sarebbero serviti?

ALESSANDRO VERGALLO, SEGRETARIO NAZIONALE AAROI-EMAC, ANESTESISTI RIANIMATORI Secondo nostre stime, almeno per rispettare gli standard, almeno 400/450 almeno

LUCIANO FLOR, DIRETTORE GENERALE SANITÀ REGIONE VENETO Ma vorrei dirle una cosa sul discorso del giallo e dei posti letto. Noi, il famoso 30%, noi lo avevamo superato quindi non è stato il parametro di rianimazione che ha fatto rimanere il Veneto in zona gialla.

DANILO PROCACCIANTI Però non mi ha risposto sui posti letto, cioè sono 700, non sono mille

LUCIANO FLOR, DIRETTORE GENERALE SANITÀ REGIONE VENETO I posti, i posti letto che sono stati effettivamente attivati dei mille disponibili sono 700, che fossero 300 su mille o fossero 300 su 700 è ininfluente.

DANILO PROCACCIANTI E però un po’ cambia. Insomma, la percentuale, insomma, l’allert diventava un po’ più rosso

LUCIANO FLOR, DIRETTORE GENERALE SANITÀ REGIONE VENETO Ma cambia forse per l'allert. Noi non abbiamo mai avuto meno di 50 posti letto di rianimazione liberi.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Insomma, abbiamo capito che forse sui dati e sul numero dei posti letto effettivi di terapia intensiva non ce l’abbiano raccontata giusta. Però Zaia e Flor hanno detto: guardate che noi i numeri li abbiamo dati, li abbiamo trasmessi come da regola all’Istituto Superiore di Sanità. Insomma, tuttavia sono rimasti in zona gialla, non abbiamo ben capito come funziona questo algoritmo dell’Istituto Superiore di Sanità che però ci ha detto ma, guardate, che non dipende da me l’istituzione del colore di una regione ma è una decisione politica, quindi del ministro della Salute. Ora, indipendentemente dai numeri, è stato sottovalutato o addirittura soffocato il grido d’allarme di alcuni medici. Per quello è anche grave, lasciatecelo dire, che alcuni di loro possa immaginare di essere punito solo per il fatto di raccontare, denunciare le criticità. Per quello che riguarda invece l’ospedale di Montebelluna, dei pazienti che sono stati spostati in occasione, in previsione dell’ispezione da un ospedale all’altro, e anche i medici che erano stati inviati, ecco su questo indagherà la magistratura, come su tutti gli esposti presentati dall’ex parlamentare Puppato. Ora, però, insomma, qualcosa di strano in Veneto deve essere accaduto in quel periodo perché ha contato 2000 morti in più rispetto la media nazionale. Questo da una parte, dall’altra c’era invece Zaia che rassicurava l’opinione pubblica e parlava del 95% degli asintomatici tra i contagiati. Ecco, sono due numeri, due percentuali che cozzano tra loro. Che cosa è successo?

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Ovviamente, fino a prova contraria dobbiamo fidarci dei dati inviati dalla regione Veneto all’Istituto Superiore di Sanità. Qualcosa, però, non torna.

CLAUDIO BELTRAMELLO, MEDICO IGIENISTA Ma scusa, se eri così bravo a tracciare quindi a identificare i contatti eccetera perché la malattia si è così tanto diffusa?

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Il Veneto ha sempre detto che era una delle regioni migliori a tracciare, il presidente Zaia ha spesso parlato di una capacità di tracciamento dei positivi dell’85%, eppure, sempre nel famoso periodo di novembre, le cose non andavano così bene

IMPRENDITORE (AL TELEFONO) In azienda siamo in 13, io risulto positivo e nei giorni seguenti altri cinque. Nessun tracciatore ci ha mai chiamato per sapere con chi eravamo stati in contatto

ALBERTA MALTAURO Son risultata io positiva tramite il tampone eseguito al lavoro e da lì non sono stata mai contattata da nessuno, né io né la mia famiglia.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO E non sono solo i singoli cittadini a dire che il tracciamento non funzionava, lo dicono anche i sindaci di interi territori.

GIANCARLO GIUSEPPE ACERBI, SINDACO DI VALDAGNO (VI) Il tracciamento a un certo punto è saltato. Cioè, ma lo dicevano i cittadini: ci chiamavano, dicevano “mi hanno detto che sono positivo però nessuno mi ha più contattato”

DANILO PROCACCIANTI Voi avete parlato spesso di, sul tracciamento dell’85,5%. Moltissimi che noi abbiamo sentito, parliamo di quei giorni, di quei mesi ovviamente, ci dicono “non mi ha chiamato nessuno”: statisticamente non mi torna questo dato.

FRANCESCA RUSSO, DIR. PREVENZIONE E SANITÀ REGIONE VENETO Certo è vero che la gente non era più, l’80%, l’85, che è adesso in questo momento perché c’è stato un problema perché quando arrivano troppi casi tutti in contemporanea fai fatica a chiamare proprio tutti

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Sempre a novembre, il 4 e 5 per l’esattezza, il Veneto non trasmette i dati all’Istituto Superiore di Sanità che inspiegabilmente decide di lasciare il Veneto in zona gialla con classificazione “non valutabile rischio alto”.

FRANCESCA RUSSO, DIR. PREVENZIONE E SANITÀ REGIONE VENETO Allora, è successo che noi abbiamo iniziato già verso insomma la fine di ottobre metà ottobre adesso non mi ricordo a trasmigrare i dati da un software a un altro, questo… Abbiamo avuto insomma dei momenti in cui dati non era proprio completamente aggiornati… L’Istituto, giustamente, ha detto: per questo parametro vi mettiamo “non valutabile”.

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO Un altro dato che a noi è sembrato anomalo è quello degli asintomatici. Il presidente Zaia ha più volte detto che in Veneto erano il 95% dei casi. Come è possibile visto che la media italiana degli asintomatici è intorno al 60%?

LUCA ZAIA, PRESIDENTE REGIONE VENETO, 21/04/2020 (VIDEO FB) Tradotto in soldoni vuol dire che il 97% dei positivi, il 97% dei positivi non ha sintomi.

FRANCESCA RUSSO, DIR. PREVENZIONE E SANITÀ REGIONE VENETO Bhe, c’è stato un periodo in cui effettivamente rispetto al numero dei casi che erano tanti la maggior parte di questi erano asintomatici

DANILO PROCACCIANTI È un altro tipo di epidemia o c’è stato un problema? Perché a pensar male uno dice siccome l’Rt si considera su sintomatici

FRANCESCA RUSSO, DIR. PREVENZIONE E SANITÀ REGIONE VENETO Guardi, mamma mia, capacità matematiche che non avremo mai... Non ci sarei mai arrivata a questo

DANILO PROCACCIANTI FUORI CAMPO A inserire i dati sulla piattaforma regionale sono i tracciatori, sono loro gli unici che chiamano le persone risultate positive e oltre a risalire alla catena dei contatti devono anche chiedere se hanno o meno dei sintomi. Ebbene, questi operatori hanno notato proprio a novembre, durante la procedura di inserimento dei dati, la presenza di una anomalia.

DANILO PROCACCIANTI Qual è l’inghippo?

DIPENDENTE DIPARTIMENTO PREVENZIONE E SANITÀ REGIONE VENETO L’inghippo è che nel periodo diciamo di novembre, quando io inserivo Danilo Procaccianti vedevo che era asintomatico, c’era già scritto

DANILO PROCACCIANTI Di default?

DIPENDENTE DIPARTIMENTO PREVENZIONE E SANITÀ REGIONE VENETO Di default. E ho detto ma come mai? Nessuno ha chiamato Danilo. Nessuno aveva chiamato queste persone per sapere come stavano. Comunque, io poi ho saputo che era finalizzato a far vedere che noi ce la facevamo con i tracciamenti. E secondo, che la gente era asintomatica e siccome il sintomo è uno dei fattori che ti dice se il sistema sanitario può reggere, in quel modo, tu avevi sì tanti positivi, ma erano tutti asintomatici.

DANILO PROCACCIANTI Se io ho molti asintomatici è ovvio che rimango in zona gialla, questo è il dubbio

FRANCESCA RUSSO, DIR. PREVENZIONE E SANITÀ REGIONE VENETO Ci può essere stato un problema tecnico, adesso io non lo so, io questo non glielo so dire, io so soltanto che noi abbiamo avuto un problema, un problema, un passaggio di trasmigrazione dei dati e basta.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Certo che se c’è stato un problema, non è un problema da poco. Se fosse vera, confermata la testimonianza della dipendente del dipartimento prevenzione che ha raccolto il nostro Danilo Procaccianti, sarebbe una testimonianza incredibile. Perché, che cosa dice? Dice che praticamente quando lei cercava di contattare i contagiati, si trovava già una scheda precompilata, dove c’era scritto che era asintomatico. Ora, che cosa comporta un fatto del genere? Innanzitutto, la ricaduta è che tu dimostri di saper tracciare ma è una tracciabilità fittizia se questa scheda è precompilata. E in più dimostri anche, denunciando un alto numero di asintomatici, che non hai pressioni presso le tue strutture sanitarie. Al punto che a un certo punto Zaia annuncia in una conferenza stampa di novembre che il Veneto ha il 95% degli asintomatici, un dato un po’ particolare se nel resto del nostro Paese gli asintomatici sono il 60%. Ora, su questo c’è un mistero, però. Oggi proprio l’ufficio stampa della regione Veneto ci scrive, ci dà tutti i dati ufficiali sugli asintomatici e abbiamo visto che il dato del 95% non c’è mai, non compare da nessuna parte. Perché Zaia tira fuori quel numero sugli asintomatici? Insomma, c’è un po’ di confusione e il sospetto è che venga anche un po’ alimentata questa confusione per rimanere aggrappati a quella zona gialla. Insomma, è il consueto braccio di ferro a cui stiamo assistendo dall’inizio della pandemia, tra chi ha l’esigenza di difendere l’imprenditoria e l’economia e chi ha invece l’esigenza di curare e assistere. Non ci sarebbe nulla di male nel difendere l’imprenditoria e l’economia, anzi, sarebbe auspicabile, ma devi anche pensare a come tutelare i più fragili.

Laura Berlinghieri per “la Stampa” il 15 gennaio 2021.  «I posti letto sono al limite: in area medica e in Rianimazione; per i pazienti Covid e non, con una netta predominanza dei primi». Lo sguardo di Mirko Schipilliti (Anaao), medico del Pronto soccorso del Sant' Antonio di Padova, è parziale. Ma il quadro che dipinge è sovrapponibile a buona parte delle strutture venete. Ieri, per la diffusione del contagio, nella regione è stata l' ennesima giornata nera: 101 decessi e 2.076 nuovi casi. E sono 79.825 gli attualmente positivi, primato nazionale mantenuto da un mese. Complice la stretta di Natale, la pressione negli ospedali sta lievemente diminuendo. «È il 14esimo giorno di calo», spiegava ieri il governatore Zaia. Dei 700 posti letto attivi nelle terapie intensive, ieri mattina 351 erano occupati da pazienti Covid. «Il picco è stato raggiunto tra il 31 dicembre e l' 1 gennaio, con 663 ricoveri. Da allora l' occupazione è calata continuamente» precisa il direttore della sanità regionale, Luciano Flor. «La diminuzione è lenta, ma costante. Credo si stiano finalmente vedendo i frutti delle restrizioni», aggiunge il sindaco di Treviso, Mario Conte. «Continuiamo a fare tantissimi tamponi, ma le positività sono il calo e registriamo moltissimi asintomatici. È necessario continuare a stringere i denti, ma pretendiamo ristori per chi ha dovuto fermare le attività». L' augurio è che le oscillazioni nei contagi e nei ricoveri possano diventare un trend, ma per ora la situazione resta critica. L' ultimo report di Ministero della salute e Iss indica che il Veneto ha superato da settimane le soglie del 30% e 40% di occupazione dei posti letto in Rianimazione e in area medica, rispettivamente al 37% e al 45%. D' altra parte la regione è stabilmente nella «fase 5», la più grave, del piano ospedaliero. Fase che, se la pressione dovesse aumentare, potrebbe condurre all' attivazione di 6.000 posti letto di area medica e 1.000 di Terapia intensiva. Punto su cui non si placa la polemica. «Numeri gonfiati. Il Veneto ha dichiarato al Ministero della Salute di poter attivare 1.000 posti letto di Rianimazione solo per rimanere in zona gialla, ma manca il personale per 300 di questi», l' accusa di Pasquale Santoriello (Anaao), chirurgo ortopedico nell' ospedale di Montebelluna. Struttura del Trevigiano che, a metà dicembre, era stata controllata dagli ispettori del Ministero della Salute. Continua Santoriello: «Ieri notte, uno dei due medici di guardia nel reparto Covid era un ortopedico, a supporto dell' internista. C' è difficoltà con turni e riposi, considerando i tanti contagi tra il personale. Ortopedici e otorini aiutano i colleghi, ma alcuni non praticano l' arte medica da 30 anni, facendo solo chirurgia». Tra i sanitari contagiatisi sul lavoro c' è Andrea Zancanaro (Anaao), allergologo e internista all' Angelo di Mestre. «Sono positivo dal 22 dicembre, ricoverato tre giorni in Medicina» racconta. «Lavoro in area non Covid. Alcuni pazienti si sono positivizzati durante il ricovero - il virus ha un periodo di incubazione anche di 14 giorni, quindi il rischio non può essere "zero" - e da lì è divampato il focolaio, con il contagio di noi medici». La situazione, per i sanitari, è difficile. «Bardata come un' astronauta, mi sono ritrovata a pensare al mio respiro. A volte mi devo fermare, perché non ho fiato», è la testimonianza di Eleonora Losito, infermiera a Villa Salus, a Mestre. Lo sforzo a cui sono sottoposti i sanitari è drammatico. Un mese fa i sindacati confederali padovani denunciavano che alcuni infermieri indossavano il pannolone durante il turno, mancando il tempo per andare in bagno. Il racconto prosegue con le parole di un medico della Medicina Covid dell' Angelo, a Mestre. «I posti di Rianimazione sono preziosi e scarseggiano, a maggior ragione ora. Per questo è difficile che il reparto sia riempito con 90enni. Significherebbe non avere disponibilità per il ricovero di un 30enne, dopo un incidente». Negli ospedali veneti è un gioco di incastri. Eppure di tutto si tratta fuorché di un gioco. «Da novembre, in reparto, non c' è stato un giorno con un solo letto libero», spiega Andrea Vianello, responsabile della Sub-intensiva dell' Azienda ospedaliera di Padova. «Ieri mattina si è liberato un letto, è stato occupato in due ore. I pazienti sono molto gravi e la mortalità è del 10%. Abbiamo ricoverato persone dai 23 ai 94 anni. Si lavora in sinergia tra i reparti, cercando un equilibrio. Quando si è al limite, si cerca di trasferire più rapidamente il degente verso una più bassa intensità di cure, dando spazio al paziente che necessita di essere ricoverato». Il carico è importante anche nelle Malattie infettive di Venezia e Mestre, entrambe prossime al limite. «Il ricovero d' elezione per un positivo è qui» spiega Giovanni Leoni, chirurgo a Venezia e vicepresidente nazionale dell' Ordine dei medici. «Se non c' è posto, si dirotta il paziente altrove, spesso in Medicina». Ma, nella pandemia, le altre patologie non hanno avuto pietà del quasi totale stravolgimento delle attività ordinarie operato negli ospedali veneti, per ricavare spazi, personale, macchinari con cui curare i pazienti positivi. Ad accendere la luce su questo aspetto è Ivano Dal Dosso (Anaao), chirurgo a San Bonifacio, nel Veronese. «Qui e a Villafranca le Rianimazioni sono dedicate solo al Covid. Se dovesse arrivare un paziente con necessità di una Terapia intensiva "pulita", non la troverebbe e andrebbe trasferito in un centro hub. Il Covid è la priorità, ma non possiamo far finta che le altre patologie siano sparite».

·        Succede nel Lazio.

Fuochi fatui. Report Rai PUNTATA DEL 07/12/2020 di Chiara De Luca collaborazione di Edoardo Garibaldi. A Roma le cremazioni sono in tilt. Più di mille salme sono in attesa, nei cimiteri, di essere cremate. Ama S.p.A., che ha in gestione i servizi cimiteriali, non sa più dove metterle: per questo vengono accatastate in luoghi non consoni come i depositi per gli automezzi del cimitero di Prima Porta. Eppure nel 2017 in una memoria, approvata dalla Giunta Raggi, era stato previsto tutto.

FUOCHI FATUI Di Chiara De Luca Collaborazione Edoardo Garibaldi Immagini Alfredo Farina.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Ora passiamo invece a una vicenda dove il Comune di Roma sapeva già tutto quattro anni fa. Tuttavia... la nostra Chiara De Luca.

PERSONA 1 Questo qua è lo spazio destinato a conservare i mezzi, lo hanno predisposto. Come vedi c’è anche un odore…

CHIARA DE LUCA Mamma mia.

CHIARA DE LUCA Ma quello lassù, “sconosciuto”, che significa?

PERSONA 1 Ma, non lo so.

CHIARA DE LUCA Se lo sono persi?

PERSONA 1 Ma vai a capire…

CHIARA DE LUCA FUORI CAMPO I crematori sono saturi e dunque le salme le accatastano dove possono.

CHIARA DE LUCA Ma com’è che ci stanno tutte queste bare?

DIPENDENTE AMA Queste sono quelle che vanno in cremazione.

CHIARA DE LUCA Ce ne stanno parecchie?

DIPENDENTE AMA Eh sì! CHIARA DE LUCA Come mai?

DIPENDENTE AMA Come mai… Le cremazioni se ne fanno 70 al giorno. Se ne entrano 90 – 100…

CHIARA DE LUCA Quante ce ne stanno in tutto al Flaminio?

DIPENDENTE AMA Non lo sappiamo questo.

CHIARA DE LUCA Quante sono le salme ferme a Roma?

ALESSANDRO RUSSO - RESPONSABILE AMA FP CGIL ROMA - LAZIO Abbiamo raggiunto un oicco intorno ai 2mila, in questo momento siamo intorno alle 1800 cremazioni in attesa, 1500 di vere e proprie salme, sopra le 200 sono resti mortali che sono il frutto delle operazioni di riesumazione.

CHIARA DE LUCA FUORI CAMPO Le hanno dislocate tra il cimitero di prima porta al Flaminio, il cimitero monumentale del Verano, il Laurentino e quello di Ostia in attesa di cremazione.

LUCIANO TAFFO - PRESIDENTE EXEQUIA Ultimamente, addirittura, hanno ritirato fuori un deposito al cimitero Verano per poterli portare dentro una galleria con un ingresso senza finestre, e non c’è, non so, mi sento a disagio anche io perché poi, da lì, dopo venti giorni bisogna andarle a riprendere e portarle al cimitero di Prima Porta cioè sono 30-40 km di strada da fare…

CHIARA DE LUCA Una famiglia quanto aspetta tra cremazione e consegna dell’urna?

LUCIANO TAFFO - PRESIDENTE EXEQUIA Ci sono famiglie che hanno aspettato più di tre mesi.

CHIARA DE LUCA FUORI CAMPO L’accumulo è dovuto al fatto che gli unici sei forni presenti al cimitero di Prima Porta non bastano. Anche le sepolture sono al collasso: al cimitero Laurentino, da questa estate, non si effettuano più sepolture perché non c’è posto.

ALESSANDRO RUSSO - RESPONSABILE AMA FP CGIL ROMA – LAZIO Per il cittadino vuol dire che quando vai a portare il proprio caro al cimitero Laurentino non lo puoi tenere lì te lo spostano al Flaminio, vuol dire oltre 40 km dall’altra parte della città.

CHIARA DE LUCA FUORI CAMPO Per questo da tempo c’è l‘emigrazione delle salme. Ma quelle che provengono da Roma sono rifiutate dai forni delle altre regioni perché hanno paura che la tardiva burocrazia romana li immobilizzi.

LUCIANO TAFFO - PRESIDENTE EXEQUIA Noi siamo abituati, se io parto da Anzio e vado a cremare a Grosseto, gli porto l’autorizzazione alla cremazione e quello alle 7 di sera mi fa la cremazione. A noi romani ci allontano. Se io gli porto la salma e l’autorizzazione alla cremazione non è pronta ma arriva dopo 20 giorni, a un certo punto il forno si blocca.

CHIARA DE LUCA Dottor Ippolito, mi scusi, Chiara De Luca Report so che oggi c’è stato un incontro con i sindacati.

FABRIZIO IPPOLITO – RESPONSABILE DEL SERVIZIO CIMITERI CAPITOLINI E non possiamo parlare mi scusi.

CHIARA DE LUCA So che oggi c’è stato un incontro con i sindacati, volevo chiederle quali sono le strategie che Ama sta mettendo in campo per far fronte al problema delle cremazioni.

FABRIZIO IPPOLITO – RESPONSABILE DEL SERVIZIO CIMITERI CAPITOLINI Dovete parlare con l’ufficio stampa, dovete parlate con il nostro ufficio stampa.

CHIARA DE LUCA Sì, siamo qui insomma le volevo chiedere se può dirmi cosa state facendo. Insomma, mi dicono che ci sono più di 2000 salme in attesa di cremazione.

FABRIZIO IPPOLITO – RESPONSABILE DEL SERVIZIO CIMITERI CAPITOLINI Parlate con l’ufficio stampa, grazie.

CHIARA DE LUCA FUORI CAMPO Ma oltre a causare i ritardi, Ama mette i bastoni tra le ruote se vai a cremare le salme in un altro comune o in un’altra regione perché impone il pagamento di una tassa.

GIOVANNI CACIOLLI - SEGRETARIO NAZIONALE FEDERCOFIT Tiè, vuoi scegliere un forno crematorio che non è il mio? Bene, paga: 434 euro e 32 centesimi.

CHIARA DE LUCA Al comune di Roma?

GIOVANNI CACIOLLI - SEGRETARIO NAZIONALE FEDERCOFIT Al comune di Roma.

CHIARA DE LUCA Un’altra tassa?

GIOVANNI CACIOLLI - SEGRETARIO NAZIONALE FEDERCOFIT Un’altra tassa.

CHIARA DE LUCA FUORI CAMPO Dunque Ama incassa più di 400 euro per un servizio che nei fatti non fa. E ne incassa più di 700 quando invece lo fa. I soldi ci sono, non si capisce allora perché non si ponga un rimedio. Le salme vengono lasciate per settimane anche in semplici casse di legno.

GIOVANNI CACIOLLI - SEGRETARIO NAZIONALE FEDERCOFIT Per la cremazione lo zinco non è ammesso. Avere un deposito con cadaveri, che sono sottoposti a processi decompositivi, comportano formazione di gas, di liquidi eccetera che hanno degli odori nauseabondi, ma sono anche pericolosi per la salute pubblica.

CHIARA DE LUCA FUORI CAMPO Il possibile pericolo aumenta se si considera che nel caos le salme sono abbandonate senza distinguerle dai morti Covid.

NATALE DI COLA – SEGRETARIO CGIL ROMA LAZIO Se in una prima fase erano molto più chiari i percorsi tra Covid e non Covid, in questa ultima fase sembra che l’emergenza stia travolgendo anche i protocolli.

CHIARA DE LUCA Il Covid che ruolo ha avuto?

NATALE DI COLA – SEGRETARIO CGIL ROMA LAZIO Il Covid a Roma ha aiutato i cimiteri perché nella prima ondata il numero di morti è diminuito nelle Capitale a causa, grazie al lockdown.

CHIARA DE LUCA Quindi non c’erano incidenti.

NATALE DI COLA – SEGRETARIO CGIL ROMA LAZIO Non c’erano più diciamo morti violente. In autunno c’è stata con una forte presenza del Covid nella nostra regione un aumento della mortalità. Ma non è giustificabile avere migliaia di salme con un aumento di poche centinaia di morti durante un anno. Per capire: se domani a Roma non morisse più nessuno e non ci fosse richiesta di cremazioni, ci vorrebbero oltre 50 giorni per smaltire la lista di attesa.

CHIARA DE LUCA FUORI CAMPO Il comune lo aveva già previsto nel 2017. L’aveva scritto in una memoria l’ex assessore Pinuccia Montanari. Indicava tra gli interventi urgenti l’ampliamento del cimitero Laurentino e la costruzione di nuovi impianti crematori: quattro al cimitero di Prima Porta e la costruzione di un nuovo tempio crematorio all’interno del cimitero Laurentino.

PINUCCIA MONTANARI - ASSESSORE ALLA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE ROMA 2016-2018 Le tranche necessarie appunto per iniziare erano state anche messe a disposizione. Sono cinque milioni all’anno. È chiaro che però questo si scontra col fatto dell’approvazione del bilancio.

CHIARA DE LUCA Ma, mi scusi, come mai allora siamo in una situazione in cui ci sono 2000 salme in attesa di cremazione al cimitero di Prima Porta e al cimitero del Verano.

PINUCCIA MONTANARI - ASSESSORE ALLA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE ROMA 2016-2018 Proprio perché avevamo previsto che la situazione sarebbe diventata critica, pensavo che su questo aspetto fossero andati avanti. C’era già tutto, quindi c’erano i fondi, c’erano i progetti, potevano fare le gare immediatamente. Ma perché non le hanno fatte, non lo so.

CHIARA DE LUCA Salve sindaca Chiara De Luca, Report. Come è possibile che ci sono più di mille salme in attesa di cremazione dislocate tra il cimitero del Flaminio, Laurentino, del Verano e che aspettano 20 giorni per essere cremate.

VIRGINIA RAGGI - SINDACO DI ROMA Sì, siamo a conoscenza di questa richiesta di aumento del servizio. Chiaramente abbiamo chiesto ad Ama di potenziare. La società Ama ci ha detto, ci ha confermato che lo sta già facendo, ma abbiamo chiesto comunque dei report proprio per avere contezza.

CHIARA DE LUCA Però sindaca voi ne eravate a conoscenza anche nel 2017. La sua Giunta ha approvato una memoria in cui si diceva che ci sarebbe stato un aumento delle cremazioni, un aumento dei morti, in cui avevate stabilito di creare nuovi quattro forni al Flaminio.

VIRGINIA RAGGI Grazie le ho risposto. Grazie.

CHIARA DE LUCA Voi lo sapevate già che ci sarebbe stata questa situazione, avevate addirittura deciso di costruire un nuovo tempio crematorio al Laurentino. Ama aveva fatto anche un progetto, perché non è stato attuato? VIRGINIA RAGGI Può chiedere direttamente all’azienda.

CHIARA DE LUCA Sono stati stanziati anche i fondi, l’azienda mi ha detto di chiedere al comune di Roma, sindaca. Erano stati stanziati anche dei fondi.

UFFICIO STAMPA SINDACO DI ROMA Per favore, siamo qui per fare un’inaugurazione.

Grazie CHIARA DE LUCA Sì, però è una questione fondamentale. Le lascio la memoria, era stata approvata dalla sua giunta. C’è scritto nero su bianco. Perché chiedete…

 UFFICIO STAMPA SINDACO DI ROMA Per favore siamo qui, la sindaca ha risposto.

CHIARA DE LUCA Perché chiedete una tassa ai cittadini per fare le cremazioni fuori? Sì, però… Niente.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Insomma abbiamo capito che Ama e Comune si rimpallano le responsabilità. Che Ama sia una società particolare e in difficoltà lo capiamo dal fatto che sono 4 anni che non presenta il bilancio. Poi fino al 2017 offriva anche un servizio, il servizio funebre comunale utilizzando, servendosi, delle società private. Poi che cosa è successo che l’ha sospeso e nel vuoto si sono infilati i furbetti che attraverso loghi assonanze e maquillage di vetrine offrono un servizio all’inconsapevole cittadino.

PERSONA 1 Si pronto?

EDOARDO GARIBALDI Si, buongiorno, volevo delle informazioni per un funerale. Cercavo le onoranze funebri comunali.

PERSONA 1 Sì, sì. Gli uffici del comune di Roma per i servizi funebri sono stati chiusi nel 2017 per quell’affare di Mafia Capitale. Il comune di Roma però scelgono alcune agenzie che sono idonee a fare un servizio funebre decente, dignitoso e non eccessivo nel prezzo. Io sono una di quelle.

EDOARDO GARIBALDI Ah, ok, quindi una sorta di pubblico?

PERSONA 1 Sì, sono autorizzato.

CHIARA DE LUCA FUORI CAMPO Lo fanno alla luce del sole, alcune agenzie addirittura lo mettono in bella mostra davanti la propria sede dove si legge chiaramente “servizi funebri comunali”.

PERSONA 2 La cassa è questa qua che vede qui esposta. Poi c’è la macchina, il personale e una composizione floreale per un totale di 1200 euro.

CHIARA DE LUCA Questi sono proprio i prezzi base comunali? Le spiego, io mi sono rivolta qui perché ho visto sul sito comunale.

PERSONA 2 Signora, allora: l’Ama non svolge più servizi funebri. Cioè, noi svolgiamo con i prezzi dell’Ama.

CHIARA DE LUCA Allora che significa quello che scrivete sul sito?

PERSONA 2 Tariffe comunali… Noi svolgiamo le tariffe del Comune di Roma.

VALTER FABOZZI - MEMBRO FEDERCOFIT LAZIO Ma sono imprese private che chiaramente il cittadino chiama essendo ancora convinto che esista questo servizio di Ama che è un servizio comunale che dà la garanzia del pubblico. Loro vengono a domicilio, si presentano con la scritta Ama che sono abbreviazioni di altre cose, con il logo di Ama, con il logo del comune di Roma e chiaramente poi, quando stanno a contatto con il cittadino, il cittadino si rende conto solo dopo aver svolto il servizio, dopo aver dato un acconto che stanno trattando con persone che nulla hanno a che fare con questa cosa.

CHIARA DE LUCA Per fugare ogni dubbio non esistono delle tariffe comunali che il comune vi impone?

VALTER FABOZZI - MEMBRO FEDERCOFIT LAZIO Assolutamente, non c’è nessuna tariffa comunale. Il termine “tariffa comunale” è un termine che è un refuso di un concetto che esisteva venti anni fa.

CHIARA DE LUCA FUORI CAMPO In realtà applicano delle tariffe che neppure si avvicinano a quelle che proponeva Ama: per il servizio completo chiedeva un prezzo base di mille euro.

PERSONA 3 Per quanto riguarda i costi del servizio funebre noi facciamo tariffe base che partono da 1400 euro.

PERSONA 3 Noi siamo …., non siamo Comune di Roma.

CHIARA DE LUCA Ah, no, perché avevo io visto il logo del Comune di Roma, pensavo che fosse…

PERSONA 3 No, no, perché non c’è più. Il Comune non fa più servizi funebri da quando è capitata questa cosa abbiamo deciso di fare delle tariffe per chi cerca un servizio più economico, nel senso più comunale, poi comunque.

CHIARA DE LUCA E mettete il logo così le persone poi.

PERSONA 3 Quello non lo so perché non mi occupo io di siti internet. Il numero è il nostro, il logo, abbiamo un logo simile, però non lo so perché si collega.

CHIARA DE LUCA Non è quello del comune di Roma?

PERSONA 3 Non lo so, io sono …, non lo so perché esce così sinceramente.

CHIARA DE LUCA Sapete che ci sono delle agenzie a Roma che si spacciano per Ama, utilizzano il vostro nome, dicono di fare delle tariffe comunali.

FABRIZIO IPPOLITO – RESPONSABILE DEL SERVIZIO CIMITERI CAPITOLINI Avete posto le domande alla dottoressa Lucchetti come ufficio stampa vi sta raccogliendo tutte le risposte anche che non passano tutte dai nostri uffici, insomma.

CHIARA DE LUCA Un dubbio almeno me lo può sciogliere? Come mai Ama ha dismesso il servizio funebre?

FABRIZIO IPPOLITO – RESPONSABILE DEL SERVIZIO CIMITERI CAPITOLINI Non dovete chiedere a noi ma al Comune.

CHIARA DE LUCA Però Ama l’ha dismesso, no, ci sarà una motivazione ufficiale.

FABRIZIO IPPOLITO – RESPONSABILE DEL SERVIZIO CIMITERI CAPITOLINI No, no, dovete chiedere al Comune di Roma, non l’ha deciso Ama.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Ama ci fa sapere che ha avviato una serie di azioni legali nei confronti di quelle aziende che usano impropriamente logo o assonanze per evocare servizi funebri riferenti alla partecipata. Anche il commune di Roma ha detto stiamo vigilando e vedremo e facciamo delle verifiche, però insomma, le agenize funebri a Roma sono 500 e i furbetti sono ancora tanti e agiscono indisturbati come abbiamo visto. Nel mentre si rimpallano la patata bollente c’è la fila per le cremazioni. I cittadini aspettano per i propri cari anche settimane, mesi addirittura, però il Comune ha detto che si sta dando da fare per costruire 3 nuovi forni, dovevano essere 4, ma quello del laurentino è già saltato, perchè scavando hanno trovato un’antica vasca romana, è intervenuta la sovrintendenza che ha vincolato. Insomma ma è possibile pagare una tassa sulla pietas, se una persona sceglie di tenere le ceneri del proprio caro a casa gli risolve un problema perchè non hanno posto neppure per le sepulture. Ora hanno messo i limiti per le cremazioni, 200 a settimana. I familiari del 201esimo devono deve decidere entro 5 giorni se cremare e in quel caso devono portarlo fuori Roma e pagare un supplemento, oppure verrà inumato d’ufficio. Insomma è incredibile, guadagnano anche se gli togli un problema.

·        Succede in Puglia.

Emiliano, disperato, regala l'assessorato alla Sanità della Puglia al centrodestra Annarita Digiorgio. su Panorama il 21 dicembre 2021. Rocco Palese, ex parlamentare di Forza Italia e assessore regionale al Bilancio della Puglia ai tempi del governatore Raffaele Fitto, nonché ultimo candidato presidente del centrodestra contro Nichi Vendola, sarà il nuovo assessore regionale alla sanità pugliese al posto del professor Pierluigi Lopalco. E se possibile la nomina farà discutere ancora più di quella del predecessore. Stupì infatti tutti i bollettini d’Italia la calata politica dell’epidemiologo prezzemolino di tutti i programmi tv che nell’estate del 2020, nel bel mezzo tra prima e seconda ondata, decise la discesa in campo candidandosi alle regionali pugliesi nella lista civica di Michele Emiliano. Forte dei 15 mila voti presi alla rielezione del ras pugliese fu nominato assessore regionale alla sanità. Ruolo che tra le polemiche e le divergenze politiche e organizzative con il Governatore ha lasciato a novembre, conservando però il seggio in consiglio regionale proprio nella lista civica di Emiliano. Oltre che trasferendo la cattedra da Pisa alla facoltà di medicina dell’università del Salento, facoltà che nel frattempo con sua firma aveva pochi mesi prima contribuito a istituire. La nomina di Palese al posto di Lopalco, dopo un interim di Emiliano, è stata annunciata direttamente dal Presidente, con consueta nonchalance e spregiudicatezza, per nulla preoccupato di qualunque possibile e naturale attacco di trasformismo o inciucio: “Palese è una delle personalità tecniche più rilevanti della Regione, è un nostro dipendente. E' una delle persone che potrebbe svolgere questo ruolo avendo insieme esperienza politica e grande competenza tecnica". A spianare il terreno alla nomina di Palese nella loggia di Emiliano era stato lo scambio di amorosi sensi tra Emiliano e Salvini. Prima il governatore la scorsa estate, travolto dalle critiche di chiunque ma nel silenzio del Pd, aveva detto "Salvini sta facendo un grande sforzo per delineare una visione di Paese, è un politico che ha una sua onestà intellettuale”, poi la scorsa settimana ha ricambiato Salvini venuto a Bari per l’assemblea regionale, in cui ha aperto ai candidati civici di Emiliano e attaccato più Fitto che il governatore. "Anche perché - ha detto ieri Emilaino annunciando la nomina dell’esponente di destra - ho scoperto che trasformare la società civile, persino un accademico bravissimo e anche simpatico come Pierluigi Lopalco, in un politico non è facile, la fatica politica è molto più difficile da gestire per una persona normale”. Certo è strano che a fare questo appello al ritorno della politica contro il civismo sia Emiliano che proprio in settimana, dopo che il Csm gli ha vietato di iscriversi a Pd, (nonostante da magistrato in aspettativa sia stato persino segretario e presidente del Pd regionale), ha ora fondato un suo partito nato come federazione delle civiche (di tutti i colori) che lo hanno sostenuto in campagna elettorale, e che con una intervista al Fattoquotidiano si è auto proposto come nuovo leader di centro al posto di Renzi e Calenda perchè, a suo dire, sarebbe un civico più attrattivo verso sinistra e 5 stelle. Ma Emiliano si sa cambia posizione in base a chi si trova davanti, esattamente come se è con gli ambientalisti dice che vuole ilva chiusa e se è con i sindacati dice che ci pensa lui a mandarla avanti (a un certo punto disse pure di voler entrare nel cda).

Allo stesso modo di come dopo una lunga battaglia contro Tap (il cantiere che gli ricordava Auschwitz) e aver convocato il referendum (perso) anti trivelle, proprio ieri Emiliano ha dato il suo parere positivo in conferenza stato regioni alla ricerca di gas anche in Puglia col Pitesai.

E che dopo essere stato con il suo fido Boccia il supporter della linea Conte due, tre, quattro e cinque, ora è il primo governatore supporter di Draghi che difende ad ogni costo pur ingoiando la qualunque. Oltre al Pitesai ad esempio Emiliano oggi ha smesso persino di contrastare le posizioni del Governo su Ilva (che pure non sono cambiate rispetto a quelle di Renzi). Ha fatto ridere tutti la dichiarazione di un paio di settimane fa, quando il Ministro Carfagna ha deciso di stralciare un finanziamento di 50 milioni del precedente governo a un fantomatico acquario green a Taranto, mentre il vice Conte Mario Turco si è stracciato le vesti, pur di non attaccare Draghi, Emiliano, uscendo dalla riunione che lo cancellava, ha detto che l’acquario si farà. Sapendo che mai i pugliesi quando non vedranno nessun acquario se ne ricorderanno.

Per assurdo forse stupisce meno la nomina di Rocco Palese che quella di Lopalco, essendo i pugliesi da anni abituati al trasformismo spinto.

Dal primo mandato infatti Emiliano prosciuga l’opposizione a suon di nomine, incarichi e deleghe per allargare sempre più il suo consenso e al contempo indebolire il cosiddetto centro destra ridotto a rango di comparsa.

Iniziò con Di Cagno Abbrescia, suo avversario alle comunali a sindaco di Bari, e poi nominato presidente di Acquedotto Pugliese. Altrettanto con Schittulli, candidato Presidente del centrodestra contro Emiliano alle regionali del 2015 e poi nominato suo consigliere personale al fianco di Albano e Lino Banfi. E poi Spina, già sindaco di Bisceglie, da destra passò a sinistra per una nomina in Innovapuglia, e Massimo Cassano, sottosegretario al Lavoro del Pdl, ora commissario dell’Arpal l’agenzia regionale al lavoro.

Passando agli appoggi politici al sindaco di centrodestra di Barletta, fino al più drammatico a Foggia, la cui ultima amministrazione commissariata per mafia era guidata da esponenti della Lega molto vicini a Emiliano. Sentito in tribunale nel processo per mafia l’ex presidente del consiglio Iaccarino, di cui ha fatto il giro d’Italia il video in cui sparava dal balcone emulando un amplesso, ha dichiarato “io a Foggia sono l’uomo di fiducia di Emiliano che mi ha dato mandato di formare un governo di salute pubblica”.

Il più famoso però resta l’appoggio, anche alle ultime elezioni, a Pippi Mellone. Dopo Casapund la scorsa settimana il sindaco di Nardò era in prima fila all’assemblea della Lega con Salvini. Insieme a un’altra famosa del centrodestra pugliese, Adriana Poli Bortone, responsabile proprio della sconfitta di Palese nel 2010 quando lei allora nell’Udc presentò una sua coalizione spaccando il centrodestra e facendo vincere Vendola.

E a Bari Salvini anziché attaccare Emiliano se l’è presa con Fitto, candidato governatore non condiviso nel 2020 e per cui la Lega non si è mai spesa in campagna elettorale facendo vincere Emiliano “non possiamo parlare di futuro candidato il passato” ha detto il capo della Lega. Mentre nè lui ne nessun altro dell’opposizione ha detto nulla del direttore generale del policlinico di Foggia che la settimana scorsa è stato arrestato e costretto alle dimissioni. Difeso dal segretario regionale del pd con grande fastidio di Letta.

E in quella stessa occasione Salvini ha aperto anche a un candidato particolare per Taranto “città che merita di più e in cui vinceremo”. E’ Giovanni Gugliotti, che appunto era in sala all’assemblea della Lega, attuale presidente della Provincia di Taranto eletto grazie a Michele Emiliano. All’epoca Gugliotti era candidato di centrodestra contro il sindaco del pd di Taranto Melucci, che riuscì a battere grazie a molti voti dei grandi elettori consiglieri comunali del pd, che festeggiarono pubblicamente la sua elezione insieme ad Emiliano che, con la solita spregiudicatezza, gli dedicò anche un post su facebook dichiarandola una sua vittoria. King maker di quella elezione fu Rocco Defranchi, coordinatore della civica di Emiliano e ora da lui nominato responsabile della comunicazione della Regione.

Gugliotti e Melucci sono stati fianco a fianco con Emiliano in questi anni nella lotta contro Ilva, fino a consegnare entrambi le fasce tricolore al prefetto e a listarsi a lutto quando il governo Conte non li convocava ai tavoli.

L’ultimo faccia a faccia lo hanno avuto un mese fa proprio al tavolo di Emiliano, che li ha convocati entrambi per decidere il candidato delle amministrative di Taranto. Gugliotti chiese le primarie, ma Melucci e il pd rifiutarono. L’ultimo tentativo di tenerli insieme fu la venuta a Taranto di Emiliano che da Presidente di Regione annunciò lui dal palazzo comunale la nuova giunta di Taranto allargata addirittura a esponenti proveniente da at6, la sigla storica della destra tarantina dell’ex sindaco noto alle cronache Giancarlo Cito. Ma l’apertura a destra e la nomina di tanti esponenti vicino a Gugliotti nelle partecipate comunali guidate dal Pd di Melucci, non bastò a frenare le ambizioni politiche dei civici di Emiliano. E così pochi giorni dopo la maggioranza del consiglio comunale di Taranto, vedendosi rifiutare le primarie dal pd e da Melucci, si è ritrovata dal notaio a firmare le proprie dimissioni facendo cadere così con 6 mesi di anticipo l’amministrazione Melucci, ora sostituita da un commissario prefettizio.

Adesso la cosa incredibile è che il centro destra, dopo aver detto che il candidato sindaco di Taranto lo avrebbero scelto a Roma Salvini Meloni e Tajani, sta appoggiando proprio Gugliotti, il candidato che voleva fare le primarie col centrosinistra, insieme a una coalizione variegata composta persino da consiglieri regionali delle liste civiche di Emiliano che siedono nella sua maggioranza, ma che a Taranto si candidano col centrodestra.

Mentre Emiliano vince sempre, vuoi che la spunti il candidato del centrodestra (Gugliotti) che quello del pd (Melucci). Entrambi avversari di Ilva e fautori della decrescita felice a suon di turismo e crociere (che forse a loro avviso non inquinano). Con l’unico obiettivo di rivendicare risarcimenti e soldi, di cui Taranto sarà subissata nei prossimi anni attraverso il Pnrr che va ad aggiungersi ai 2 miliardi del Cis, a quelli per le bonifiche, e a quelli per i Giochi del Mediterraneo nel 2026. Mentre il primo registro dei tumori infantili della Regione Puglia, appena pubblicato e firmato proprio dal Prof. Lopalco, attesta che Taranto non ha problematiche sanitarie più allarmanti (e comunque in netto calo) rispetto alle altre province di Puglia e d’italia, in contrasto con la narrazione mortifera raccontata in questi anni.

Non a caso sono del tutto scomparsi i 5 stelle che pure a Taranto con il 50 per cento alle ultime politiche hanno eletto 5 parlamentari (di cui tre fuoriusciti) tra cui il vice Conte ex sottosegretario Mario Turco. Il quale tenendosi lontano dalla disputa elettorale dichiara che ora il suo compito è selezionare i competenti per professionalizzare la politica. E se le selezioni le fa lui, vaste programme.

Non se la passa meglio il Partito Democratico pugliese, commissariato dal Segretario Letta un mese fa perchè lo statuto regionale violava quello nazionale. Emiliano, Boccia e Decaro hanno deciso di ricandidare il segretario uscente Lacarra, nominato in era Renzi con un accordo tra correnti ma mai passato da primarie né da un congresso vero. Il nome mette d’accordo i maggiorenti pugliesi, ma non la minoranza interna degli esponenti dell’area Orlando. E così proprio ieri è stato ricongelato il congresso già slittato a data da destinarsi.

Questo dopo una riunione a porte chiuse dove insieme a Boccia ha partecipato in contrasto alla decisione del Csm che gli ha vietato la partecipazione a un partito politico, proprio Michele Emiliano (che nelle foto postate all’interno del circolo era senza mascherina).

E che continua a nominare esponenti di destra.

Cosa di cui in Puglia, come abbiamo detto, non si scandalizza più nessuno. Ancor più in un momento in cui tutta la politica nazionale è di grossa coalizione.

"Qui le relazioni - ha dichiarato ieri Emiliano - tra maggioranza e opposizione non sono drammatiche, nel senso che qui al momento opportuno collaboriamo come se fossimo una unica squadra. Quindi ho chiesto a Rocco Palese di darmi una mano in un momento un po' complicato”. E il momento opportuno è sempre quello delle poltrone. Basterebbe solo avvisare Francesco Boccia, eletto in parlamento perché Emiliano lo inserì nel listino bloccato nella sua quota, e ora responsabile nazionale enti locali del Pd, tornato primo partito nei sondaggi, di smetterla col refrain “sennò vincono le destre”.

Covid, la meglio gioventù: Bari è la prima città in Europa per gli under 19 vaccinati: "E' un caso sociologico". Gianvito Rutigliano su La Repubblica il 22 ottobre 2021. Vaccinato l'84, 67%. Il direttore dell'Asl: "C'è un aspetto organizzativo che ha funzionato, ma sono questi ragazzi, come generazione, ad aver dato una risposta straordinaria". La popolazione pugliese completamente vaccinata raggiunge quota 84,67 per cento, contro una media nazionale dell'81,23. Ma un caso molto particolare riguarda la fascia di età 12-19 anni, in cui la Puglia registra una copertura del 72,13 per cento contro una media italiana del 65,54. E il dato che emerge con maggiore forza tra i giovanissimi è quello della provincia di Bari e del capoluogo in particolare.

Malato di Covid lasciato in ambulanza per 28 ore, se ne discuterà in Regione. Iniziativa del consigliere della Lega, Michele Conserva. La Voce di Manduria martedì 30 marzo 2021. Il consigliere regionale della Lega, Giacomo Conserva, chiederà l'audizione in commissione sanità del direttore generale della Asl di Taranto, Stefano Rossi, per riferire su quanto sarebbe accaduto all'interno di un ospedale delal provincia di Taranto dove il paziente di 78 anni con sintomi da infezione Covid sarebbe rimasto per 28 ore in ambulanza. Di seguito i particolari dell'episodio. “Ventotto lunghe ore di attesa prima di essere sbarellato e portato in reparto. Assurdo, indegno, ignobile. E’ quanto accaduto ad un 78enne in un ospedale dell’Asl di Taranto. Positivo al Covid, ha trascorso la notte di sabato e tutta la Domenica delle Palme a bordo di un’ambulanza in coda, in mancanza di posti letto. Non era il solo, anche altri pazienti erano in ‘attesa’ come lui a bordo di ambulanze in coda. Una notizia che è stata riportata da numerosi organi di stampa dopo aver letto lo sfogo via social di un’operatrice sanitaria che ha assistito il 78enne. Ha mangiato, bevuto e fatto i suoi bisogni negli appositi presidi e sempre nell’ambulanza ha dovuto fare la terapia con l’ossigeno”. Questo è quanto dichiara il consigliere regionale della Lega, Giacomo Conserva.

“Ho richiesto ufficialmente – continua - un’audizione urgente in III Commissione Sanità della Regione Puglia convocando il Direttore Generale dell’Asl di Taranto, Stefano Rossi. Questa vicenda merita chiarezza. Dove sono finiti i posti letto previsti nel nuovo Piano Ospedaliero per la gestione dell’emergenza Covid-19? Qual è la situazione attuale dei posti disponibili di terapia intensiva e il tasso di occupazione degli stessi? Vogliamo delle risposte. Tutto questo è disumano”. “L’episodio, purtroppo non isolato, rappresenta la fotografia del nostro sistema sanitario al collasso a causa di scelte politiche inadeguate. Un sistema che regge grazie al grande lavoro senza sosta di medici, infermieri e operatori sanitari che ogni giorno sono in prima linea per fronteggiare la pandemia da Covid-19 e curare le persone” ha concluso Conserva.

11 ore in attesa di ricovero Covid: la precisazione del Marianna Giannuzzi. ​Non ha tardato ad arrivare la replica da parte della direzione medica del presidio ospedaliero “Marianna Giannuzzi” sul caso dell’uomo di Avetrana rimasto ad aspettare in ambulanza per circa 11 ore prima di essere ricoverato. Francesca Dinoi su La Voce di Manduria venerdì 27 novembre 2020. Non ha tardato ad arrivare la replica da parte della direzione medica del presidio ospedaliero “Marianna Giannuzzi” sul caso dell’uomo di Avetrana rimasto ad aspettare in ambulanza per circa 11 ore prima di essere ricoverato. A narrare l’esperienza, era stato il figlio del paziente, l’avvocato Mirko Giangrande in un’intervista rilasciata al Nuovo Quotidiano di Taranto, in cui lamentava, appunto, la lunga attesa a cui erano stati sottoposti a causa di un affollamento di ambulanze nel piazzale dell’ospedale. La direzione medica, in base alle notizie pervenute dal responsabile del Pronto Soccorso, racconta che all’arrivo del signor Giangrande in ospedale, l’assistito era stato visitato, eseguito il tampone naso-faringeo per verificare l’eventuale positività al Covid-19 e somministrata la terapia adeguata. In seguito, all’esito della positività del tampone, veniva fatto accomodare nell’area attrezzata all’osservazione breve fino a 48/72 ore e alle ore14:00 del giorno successivo, ricoverato nel reparto Medicina Covid, occupando il primo posto letto disponibile. «Al signor Giangrande non sono mai mancate le cure di cui ha avuto necessità in una giornata tuttavia congestionata per l’arrivo contestuale di numerose ambulanze del 118.», chiarisce la responsabile, riconoscendo l’imprevisto. Della stessa opinione anche la direzione Asl di Taranto che rivolge le proprie scuse al signor Giangrande ed al figlio, ribadendo che al paziente era sempre stata assicurata la massima sicurezza grazie all’esemplare competenza di tutti gli operatori sanitari presenti. Francesca Dinoi

Parla il figlio dell'uomo rimasto 11 ore in ambulanza prima del ricovero al Giannuzzi. L’avvocato Mirko Giangrande racconta in un’intervista al Nuovo Quotidiano di Taranto il calvario del padre ricoverato al Giannuzzi dopo un’attesa di 11 ore in ambulanza. La Redazione de La Voce di Manduria martedì 24 novembre 2020. Un calvario di 11 ore. Tanto è durata l’attesa in ambulanza di un uomo di Avetrana domenica scorsa. A raccontare l’incredibile vicenda al Nuovo Quotidiano di Taranto è il figlio del povero malcapitato, Mirko Giangrande. I particolari che l’avvocato riferisce hanno dell’incredibile. Il paziente, positivo già da diversi giorni, è stato prelevato dalla sua abitazione dopo aver effettuato una cura anti-Covid domiciliare. Giunto nel piazzale dell’ospedale Giannuzzi, dopo le prime ore, l’uomo - provato dall’attesa ed in evidente stato di agitazione - ha allertato il 112 ed il 113 addirittura dall’interno dell’ambulanza. Le comunicazioni con la famiglia avvenivano tramite whatsapp, visto l’affaticamento respiratorio e la difficoltà nell’effettuare chiamate vocali. Intorno alle 16.30, gli è stato effettuato un prelievo di sangue, ma il povero malcapitato – già da più di 4 ore all’interno dell’ambulanza – non dava segni di miglioramento e la febbre continuava ad aumentare. Il racconto del figlio del pover’uomo si fa sempre più inquietante: «Io vivo fuori, mi sono sentito impotente oltre che angosciato. In più – aggiunge l’avvocato – la cura intrapresa a casa si era interrotta durante le ore in ambulanza. Aveva solo l’ossigeno a sua disposizione e la febbre continuava a salire. Non sapevo cosa fare così, ormai stravolto, ho contattato il consigliere regionale Renato Perrini che si è adoperato a denunciare all’Asl di Taranto quanto stava accadendo» riferisce Giangrande. Stando a ciò che ha raccontato lo stesso avvocato durante l’intervista, sarebbero state ben cinque le ambulanze in coda per ore, così come riferitogli dal padre. L’avvocato non ci sta e promette di andare a fondo sulla vicenda: «Mi preme evidenziare che questo è accaduto ad un uomo di 57 anni in grado di comunicare con l’esterno e di mantenere lucidità. Ma se fosse capitato ad un uomo anziano? Non si può correre il rischio di morire in attesa di essere ricoverati. Questi inconvenienti potevano essere comprensibili a marzo, ma non a novembre perché, come cittadini, ci saremmo aspettati una maggiore organizzazione» aggiunge Giangrande, che poi conclude: «Tenere bloccate le ambulanze per così tante ore è inconcepibile. E se dovessero servire per un’emergenza? Non ho parole».

Verso mezzanotte, dopo la previsione di spostarmi all’Ospedale di Castellaneta, a 100 km di distanza, e la mia forte opposizione (ho preso la valigetta e stavo per scendere dall’ambulanza per recarmi al pronto soccorso), mi introducono in Pronto Soccorso. Qui mi rifanno il tampone e la radiografia. Fino alle 4 nel corridoio, poi in una stanzetta. Il ricovero effettivo in reparto avviene il giorno, 23 novembre 2020, dopo alle 14.00».

Le denunce servono, ma purtroppo non bastano. Solo ieri il figlio della vittima ha denunciato il caso al TgNorba. Annamaria Rosato su Tgnorba il 27 gennaio 2021. Le denunce servono, ma purtroppo non bastano. È deceduto oggi pomeriggio al Moscati di Taranto il paziente, negativo al tampone, che il 5 gennaio scorso, fu ricoverato al ss. Annunziata per una polmonite. Il giorno delle sue dimissioni, l 11 gennaio, fu sottoposto nuovamente al tampone e risultò positivo. Venne trasferito al Moscati dove fu intubato. Le sue condizioni peggiorarono. Ieri il figlio ha denunciato al Tg norba la vicenda. Oggi la triste notizia. Intanto Vincenzo di Gregorio, vice presidente della commissione sanità alla regione Puglia, chiederà al direttore generale della Asl, Rossi, tutta la documentazione relativa al paziente per capire cosa non ha funzionato.

FRATELLI D’ITALIA CHIEDE UNA COMMISSIONE D’INCHIESTA SULLE MORTI COVID AL ” MOSCATI” DI TARANTO. Il Corriere del Giorno il 10 Febbraio 2021. Fratelli d’Italia ha denunciato da tempo e senza sosta quello che stava avvenendo all’ospedale Moscati, soprattutto i tantissimi morti nelle tende allestite fuori dall’ospedale, presenterà una proposta di legge, primo firmatario Renato Perrini, per l’istituzione di una Commissione d’Inchiesta sulle morti per Covid a Taranto. Da ieri sera tutta Italia sa cosa è successo a Taranto durante la prima fase della seconda ondata Covid. Il servizio andato in onda in un programma di approfondimento giornalistico nel programma “Fuori dal Coro” su Rete 4 dal titolo inequivocabile "Virus, sotto accusa le morti sospette all’ospedale di Taranto", ma tutto ciò purtroppo non è una sorpresa per chi ha denunciato da tempo e senza sosta quello che stava avvenendo al Moscati, soprattutto i tantissimi morti nelle tende allestite fuori dall’ospedale. Nel servizio un operatore sanitario ha spiegato di aver riferito anche al magistrato inquirente che “quelle morti potevano essere evitate. Se è così, in attesa che le autorità preposte assumano le iniziative che riterranno opportuno e doveroso avviare per rendere giustizia alle famiglie, spesso inascoltate, a noi consiglieri regionali – dicono in una nota congiunta i consiglieri regionali di Fratelli d’ Italia Luigi Caroli, Giannicola De Leonardis, Antonio Gabellone, Renato Perrini, Francesco Ventola e il capogruppo Ignazio Zullo – spetta il compito  di fare chiarezza sulle responsabilità politiche, perché spesso si addebitano ai professionisti in prima linea responsabilità che invece sono collegate all’inadeguatezza dell’indirizzo politico-amministrativo e all’inefficacia delle misure gestionali e organizzative che vengono messe in campo“. Per questo Fratelli d’Italia presenterà una proposta di legge, primo firmatario Renato Perrini, per l’istituzione di una Commissione d’Inchiesta sulle morti per Covid al Moscati di Taranto. “Non siamo, non possiamo e non vogliamo trasformarci in un tribunale, non è il nostro ruolo e obiettivo, ma in quanto opposizione abbiamo il dovere di capire come viene tutelata la vita e la salute dei pugliesi. E i risultati del lavoro di una Commissione d’inchiesta potrebbero anche mettere in luce, salvaguardare e valorizzare il lavoro di tanti professionisti (medici e operatori sanitari) che lavorano al meglio della loro professionalità e umanità in quello che è nel frattempo diventato l’Oncologico di Taranto, una struttura ospedaliera dotata oggi di strumentazioni all’avanguardia nella cura del cancro“.

TARANTO, LA SECONDA PROVINCIA IN ITALIA PER DIFFUSIONE DEL COVID. Il Corriere del Giorno il 5 Aprile 2021. Le giornate di Pasqua e Pasquetta sono state dedicate alla vaccinazione contro il Covid-19 dei “caregiver”, genitori, tutori, affidatari, familiari conviventi (maggiorenni e non in condizione di fragilità) di minori di 16 anni. Nel Tarantino, negli ultimi sette giorni si è passati da 28.819 positivi a 31.186, quasi 3mila in più. Record contagi a Taranto: il consigliere regionale Perrini (FdI) attacca ASL Taranto: “Rossi che smentiva quanto io denunciato, oggi non ha nulla da dire ?” La provincia di Taranto in questo momento è la seconda area più colpita d’Italia, preceduta solo da Prato, negli ultimi sette giorni come rivelano gli ultimi dati del Ministero della Salute. Al sesto posto c’è anche la provincia di Bari con 372 contagi ogni 100mila abitanti nell’ultima settimana. Nel Tarantino, negli ultimi sette giorni si è passati da 28.819 positivi a 31.186, quasi 3mila in più. Su 3978 test per l’infezione da Covid-19 nel giorno di Pasquetta sono stati registrati in Puglia 677 casi positivi con un tasso di positività del 17% e 20 decessi. I nuovi infetti sono così distribuiti: 265 in provincia di Foggia,, 211 in provincia di Bari, 125 in provincia di Lecce, 44 in provincia di Taranto, 23 nella provincia BAT, 5 in provincia di Brindisi, 3 casi di residenti fuori regione, 1 caso di provincia di residenza non nota. I20 decessi sono stati registrati 9 in provincia di Bari, 6 in provincia di Taranto, 2 in provincia di Brindisi, 2 in provincia di Foggia, 1 residente fuori regione. Dall’inizio dell’emergenza sono stati effettuati 1.926.979 test. Solo 145.721 i pazienti guariti. I casi attualmente positivi sono 51.220. Le giornate di Pasqua e Pasquetta sono state dedicate alla vaccinazione contro il Covid-19 dei “caregiver”, genitori, tutori, affidatari, familiari conviventi (maggiorenni e non in condizione di fragilità) di minori di 16 anni, nati dal 1 gennaio 2005 in poi, con disabilità grave ai sensi della legge 104/92 art. 3 comma 3. “Rileggo tutte le precisazioni che la Asl di Taranto ha fatto alle mie denunce e mi chiedo: se io avevo torto quando segnalavo i disservizi e la disorganizzazione della gestione Covid, la nostra provincia non dovrebbe avere problemi sanitari. Invece, ieri abbiamo avuto la sorpresa di vedere la provincia di Taranto sul podio di quelle messe peggio dopo quella di Prato siamo infatti quella che registra in percentuale più contagi, ben 420 casi ogni 100mila abitanti“ commenta il consigliere regionale di Fratelli d’Italia, Renato Perrini. “Quindi non andava tutto bene, così come raccontavano i vertici dell’Asl replicando alle mie denunce. Se oggi siamo cos? penalizzati è proprio per tutto quello che io vedevo – visitando ospedali ed hub vaccinali – e segnalavo, non con spirito di polemica ma perché se anche il direttore generale, Stefano Rossi, si fosse fatto un giro fra le strutture sanitarie, se avesse ascoltato i suoi medici che denunciavano di lottare contro il virus a mani nude, se avesse dato retta alle lamentele dei medici di base e alle proteste dei pazienti, non avrebbe perso tempo a scrivere e far scrivere a me. Ma avrebbe avuto più tempo per fare in modo che oggi la situazione a Taranto non fosse cosi grave! Che dire, complimenti ! ” conclude Perrini.

LA PUGLIA “MAGLIA NERA” NELLA LOTTA AL COVID. VACCINI TROPPO A RILENTO. Il Corriere del Giorno il 4 Aprile 2021. Il risultato delle proiezione elaborate da Lab24 del Sole24Ore è tragicamente impietoso. La media giornaliera di 10.570 vaccini somministrati nell’ultima settimana pone la Puglia all’ultimo posto tra le regioni italiane per velocità di immunizzazione della popolazione, soprattutto se confrontata alle regioni del Nord, ma non solo, infatti anche se raffrontata rispetto alle altre regioni del Sud , con Sicilia, Campania e Calabria in testa, il cui termine di somministrazione è fissato tra marzo e maggio 2022. Secondo i sindacati dei medici pugliesi la campagna vaccinale è gestita “nell’anarchia assoluta“, i ritardi si accumulano ed “il caos regna sovrano” e “così finiremo nel 2022“. Commenti in linea alle proiezioni elaborate dal Sole24Ore sulla base dei dati ufficiali del Ministero della Salute, secondo i quali la Puglia è maglia nera per capacità di somministrazione giornaliera dei vaccini: al ritmo attuale di 10.500 inoculazioni al giorno si evidenzia nella ricerca statistica ci vorranno 1 anno, 3 mesi e 8 giorni per vaccinare il 70% della popolazione. Quindi, ben 11 mesi di ritardo rispetto all’obiettivo fissato dal Governo che intende completare la campagna vaccinale ad agosto di quest’anno. La bocciatura senza giustificazioni nei confronti del governatore Michele Emiliano e dell’assessore alla Sanità Pier Luigi Lopalco ieri è stata manifestata nel documento sottoscritto pressochè all’unanimità dai sindacati Fp medici, Cgil, Simet, Snami, Smi, e Ugs ed inviato alla Regione Puglia. In questa fase secondo i sindacati “i comitati di distretto e i nuclei operativi aziendali hanno formulato provvedimenti operativi sul progetto campagna vaccinazione anti-Covid difformi, nella maniera più assoluta, rispetto al protocollo di intesa firmato” lo scorso 5 marzo con la Regione Puglia . “L’ultima novità – dicono i sindacti – è l’iniziativa regionale comunicata il due aprile di organizzare, in tutta la regione, dopo solo due giorni cioè il quattro aprile il vaccine day per caregiver e familiari conviventi di soggetti fragili. E organizzare una seduta vaccinale in due giorni denota l’improvvisazione con cui si gestisce la campagna vaccinale“. I medici pugliesi evidenziano come “non si abbia ancora certezza di come verranno organizzate le vaccinazioni al di fuori degli ambulatori d e se ci saranno i vaccini“.  Una contestazione che trova conferma sul fronte dei ritardi nella somministrazione vaccinale, anche nei dati statistici. Il risultato delle proiezione elaborate da Lab24 del Sole24Ore è tragicamente impietoso. La media giornaliera di 10.570 vaccini somministrati nell’ultima settimana pone la Puglia all’ultimo posto tra le regioni italiane per velocità di immunizzazione della popolazione, soprattutto se confrontata alle regioni del Nord, ma non solo, infatti anche se raffrontata rispetto alle altre regioni del Sud , con Sicilia, Campania e Calabria in testa, il cui termine di somministrazione è fissato tra marzo e maggio 2022. Le dosi consegnate alle singole regioni, quelle somministrate e la percentuale sul totale. Il dato è fornito anche in rapporto al numero di abitanti. Per essere vaccinati servono due dosi a distanza di 21 giorni per Pfizer, 28 per Moderna, da 78 a 84 giorni per Astrazeneca. Per chi è stato positivo al covid è possibile effettuare una sola dose, salvo in casi di immunodeficienza  . Con i vaccini Pfizer, Moderna e Astrazeneca, gli unici attualmente disponibili, la vaccinazione è completa con due dosi. Per i guariti può bastarne una, salvo in caso di immunodeficienza, ma “eseguita ad almeno 3 mesi di distanza dalla documentata infezione e preferibilmente entro i 6 mesi dalla stessa“. (ricerca Lab24-Sole24Ore). Va ricordato che quella elaborata dal Sole24Ore è una proiezione statistica sui dati del Ministero della Salute, il cui risultato è legato al numero di dosi a disposizione dei centri vaccinali di ogni regione. AstraZeneca e Pfizer dovrebbe consegnare già nelle prossime circa 175.500 nuove dosi e quindi è auspicabile che la capacità di somministrazione vaccinale possa aumentare e quindi dovrebbero ridursi i tempi di immunizzazione della popolazione . Le vaccinazioni effettuate in Puglia sino alla data odierna sono 638.976. Gli hub vaccinali saranno al lavoro anche oggi e domani per la vaccinazione dei caregiver, affidatari, tutori, genitori, familiari conviventi di minori di 16 anni. L’elenco degli hub vaccinali, gli orari di apertura e i raggruppamenti per lettere alfabetiche, è disponibile sul sito della Regione Puglia.  Per organizzare al meglio i flussi, si procederà in base al cognome del minore con disabilità, secondo quanto predisposto dal calendario di ciascuna Asl. La diffusione del virus in tutta la Puglia elabora dei numeri che spaventano la provincia di Taranto dove sono stati riscontrati 574 nuovi casi in più nelle ultime 24 ore. in un territorio che era stato “graziato” nella prima pandemia del Covid di marzo/giugno 2020, adesso sta pagando un conto pesante in questa ultima fase con un incremento medio dei nuovi casi “positivi” che è stato del 53% negli ultimi tre giorni. La settimana “nera” ha sradicato ogni barriera di contenimento del virus con 2.437 nuovi casi riscontrati da domenica 28 marzo ad oggi. Un quinto dei contagiati pugliesi nello stesso periodo sono tarantini. La provincia di Taranto, sempre nella stessa settimana , è prima in Puglia nel rapporto tra nuovi positivi e popolazione con 422 contagiati ogni 100.000 residenti nella provincia jonica, contro la media regionale che è stata del 315 per centomila (dati riferibili all’ultima settimana). Anche la media giornaliera dei decessi attribuiti alle complicanze dell’infezione virale è preoccupante con 6,8 morti al giorno, 48 nell’ultima settimana tra Taranto e provincia. Anche per la catena dei decessi per Covid in Puglia, Taranto ha una quota importante con 23 decessi sui cento decessi in tutta la Puglia. Tutto ciò nonostante fra dicembre e febbraio in Puglia c’è stata una corsa alle vaccinazioni. La volata però non ha riguardato over 80, fragili o ammalati allettati, ma minorenni e gente che si è iscritta alle associazioni di volontariato per poi sventolare la tessera e pretendere il vaccino, beneficio questo che è stato concesso. Sono alcuni dei dati che emergerebbero dalle inchieste del Nucleo ispettivo regionale sanitario pugliese (Nirs) su quanti si sarebbero vaccinati non avendone diritto. Secondo le indagini, dallo scorso dicembre a metà febbraio in Puglia alcune decine di minorenni, tra i 14 e i 17 anni, sono riusciti a vaccinarsi pur non avendone diritto. Con loro anche alcune decine di persone che hanno approfittato della dicitura ‘volontari‘ ai quali era concesso il vaccino prima di una circolare regionale che ne ha specificato la tipologia, ovvero i volontari del servizio 118, quelli che portano le bombole a casa dei pazienti con il Covid, e quelli che lavorano nel servizio di emergenza-urgenza. Su come i minorenni abbiano potuto ottenere la vaccinazione, il coordinatore del Nirs, avvocato Antonio La Scala, non sa dare una spiegazione: “Non so come abbiano fatto, quel che è certo è che non ne avevano assolutamente diritto”. Ed adesso la vicenda è nelle mani delle varie Procure della Repubblica in Puglia. Lo scandalo degli scandali è stata la vaccinazione dei sacerdoti a Taranto. Un centinaio di sacerdoti delle Diocesi di Taranto e Castellaneta sono stati sottoposti alla vaccinazione anti-Covid, circostanza confermata dallo stesso arcivescovo di Taranto, monsignor Filippo Santoro, e che fa discutere, in ragione della “fame” di vaccini sul territorio. La vaccinazione di massa per i preti che per età o perché qualificati come personale scolastico non erano già stati immunizzati è stata portata avanti nella giornata di lunedì scorso in un hub appositamente attrezzato al Seminario Arcivescovile sulla strada di Martina Franca come confermato da mons. Santoro martedì in una intervista alla Tgr Rai Puglia: “Io sono totalmente sereno” sono le parole del vescovo alla Tgr “ho parlato con il Prefetto, che mi ha informato che (quella dei sacerdoti) rientra nelle categorie di persone che ne hanno diritto” a cui ha fatto seguito una nota dell’Arcidiocesia di Taranto firma del portavoce don Emanuele Ferro : “In relazione alle polemiche sulle vaccinazioni anti Covid effettuate in questi giorni ai sacerdoti dell’Arcidiocesi di Taranto, questa stessa Arcidiocesi intende precisare e chiarire di non aver mai auspicato, chiesto e preteso trattamenti di favore, o corsie preferenziali e privilegiate, verso gli esponenti del clero”. Una versione subito smentita dal Prefetto di Taranto : “L’arcivescovo mi ha legittimamente rappresentato un quesito sulla esigenza di sottoporre i sacerdoti alla vaccinazione. Io, in virtù del mio ruolo di coordinamento territoriale, dopo aver valutato quanto previsto nel piano vaccinale nazionale e in quello regionale e ritenendo che vi fosse la possibilità di vaccinare i sacerdoti, mi sono limitato a interfacciare la Curia con la Asl. Ho quindi semplicemente svolto il mio ruolo di coordinamento fra istituzioni. Non ho rilasciato alcuna autorizzazione e comunque non avrei potuto farlo perché non ne ho la competenza“. Amen. Questa è la Puglia di Emiliano. Questo accade a Taranto, città dove la legge è un opinione e la Procura della Repubblica invece di indagare, dorme “sonni” silenti conseguenti ai suoi noti conflitti d’interesse.

Taranto, la pm scrive a Emiliano: «Io, positiva e abbandonata». Ida Perrone da sabato è risultata contagiata dal covid. «Nel mio ufficio ce ne sono altri sei, non si chiude e non si va in smartworking Le istituzioni sanitarie latitano. Cesare Bechis su corrieredelmezzogiorno.corriere.it il 12 aprile 2021.

Il post di Ida Perrone. E’ positiva al Covid-19 da tre giorni e nel suo ufficio ci sono altre sei persone infettate. Eppure si sente abbandonata dalla Asl. La segnalazione è stata postata sulla pagina Facebook del presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, da un pubblico ministero in servizio alla Procura di Taranto. E’ Ida Perrone, balzata agli onori della cronaca anni fa quando esplose il caso dei così detti «stipendi d’oro» al Comune di Taranto. Chiese 35 condanne. Ora la sua condanna è il virus. Ecco quanto ha comunicato ieri alle 11.25 al presidente Emiliano. «Michele, buonasera. Sono Ida Perrone, pm a Taranto. Ci conosciamo . Da sabato sono risultata positiva al coronavirus. Sei contagi in ufficio. Un focolaio. Non si chiude e non si va in smartworking. Domenica di Pasqua sono stata contattata da una eccellente dottoressa medici del Lavoro per il triage ma non dalla Asl, nonostante il sollecito di oggi. Latita il medico di base, irraggiungibile, latita la Asl. Se non fosse per un professionista specialista, sarei abbandonata a me stessa. Non mi curerebbe nessuno. Nessun interesse per la rilevazione dei contatti esterni e il virus galoppa, la variante inglese galoppa fino a 3000 contagi in più in una settimana a Taranto e provincia. Mi domando cosa accade, ti domando cosa accade».

Taranto, Pm scrive su Facebook ad Emiliano: ''Abbandonata dalla Asl''. Ida Perrone scrive e denuncia la sua esperienza sulla bacheca del Governatore. Annamaria Rosato il 12 aprile 2021 su norbaonline.com. Una Pm di Taranto, Ida Perrone, positiva al Covid, scrive al presidente Emiliano e denuncia di essere stata abbandonata dalla Asl e dal medico di base. Nel post pubblicato sulla bacheca del governatore racconta la sua esperienza. “Da sabato sono risultata positiva al Covid. 6 i contagi in ufficio. Un focolaio. Non si chiude e non si va in smart-working. Latita il medico di base, latita la Asl. Se non fosse per un professionista specialista sarei abbandonata a me stessa. Non mi curerebbe nessuno. Mi domando che accade. Ti domando che accade . Il presidente emiliano ha subito risposto alla Pm e ha risolto il problema. Il medico della asl ha contattato ida perrone e le persone che avevano avuto contatti con lei e ha prenotato il tampone per tutti.

Facebook 13 aprile 2021 10.27 MultiRadio Massafra. TARANTO - LA PM IDA PERRONE POSITIVA AL COVID SCRIVE A EMILIANO E DENUNCIA DI ESSERE STATA ABBANDONATA DALL' ASL. EMILIANO LA FA SUBITO CHIAMARE DALL' ASL. La pm di Taranto,Ida Perrone, positiva al Covid,scrive a Emiliano, denunciando di essere stata abbandonata dall' ASL. A questo è seguita subito la risposta di Emiliano ,risolvendo il problema. Commenti:

Maurizio Mangione. La situazione è analoga per tutti. Io sono stato fortunato ad avere un medico di base come il dr Tilli che ha seguito con estrema attenzione me e mia moglie oltre che aiutarmi con mio padre visto che il suo medico era pressoché inutile. Di certo non si… 

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Antonio Tamburrano. Signora cara è da un anno che siamo in queste condizioni, se ne è accorta e fa sentire la sua voce solo ora che sta toccando in prima persona il problema! È da un anno che sentiamo episodi di ogni tipo.. almeno lei è stata fortunata a differenza d… 

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Mariangela Pioltini. Cara dottoressa purtroppo questa situazione c'è dappertutto io sono Lombarda e non dico altro...

Giorgia La Gioia. Accade che per seguire i protocolli covid 19 la gente che resta a casa e cerca di curarsi da sola nel frattempo se è fortunata sopravvive altrimenti muore glielo dico io che sono sopravvissuta da sola con tre minori in casa...... Ecco cosa succede sign… 

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Marco Addabbo. Mi chiedo solo se fosse una operaia Emiliano avrebbe avuto la stessa velocità di risolvere la cosa...

Lucia DE Carlo. Pensa noi gente comune ,se lei che è una PM non viene assistita ,ascoltata ,pensa noi che già il medico di base a mala pena risponde al telefono per dire ai propri assistiti di chiamare il 118 ,p.s ,ecco poi come gli ospedali sono super affollati !!Ne… 

Tonia Palmisano. Ha ragione la PM. C'è tanta gente nelle case con il Covid, e per fare il tampone ci vuole un sacco di tempo, prima la gente si aggrava, si infettano tra di loro in tanti, e tanti muoiono, tutto va a rilento. Poi non parliamo di tanti medici di base, c'… 

Lory Altamura. Per non parlare che vieni contattato dalla voce guida e sbaglia persona...chiamo asl non sanno spiegarselo anzi ti rispondono mettetelo in macchina con voi e al momento del tampone spiegate accaduto...ma grazie ai servizi... 

Francesca Bernalda. Assurdo se era un cittadino qualunque che avrebbe fatto sai quante persone sole è abbandonate sono morte ma lei e privilegiata alla faccia dei comuni cittadini ma andate a...

Donato Monaco. Vergogna solo xche la signora in questione è un Magistrato si è mosso il cavaliere Emiliano... E noi essere normali non siamo nulla... SVEGLIAMO TUTTI CHE CI STANNO TOGLIENDO TUTTO...

Vincenzo Polignano. Ognuno si fa gli affari suoi hanno paura bisogna avere pazienza e darsi coraggio da soli...

Giovanna Gio Rotelli. Solo perché ha denunciato qualcuno che conta e non un semplice operaio, pensionato. Che schifo!!!

Tommaso Semeraro. Beneeee!! Ancora una volta.. Questo è tutto a voi la risposta... Vergognoso.

Davide De Summa. Per seconda cosa si favorisce sempre l'amico perché ci sono tanti poveracci che Emiliano non farà chiamare dalla Asl!!!

Tiberio Moramarco. Questa persona se ricordate bene ad inizio mandato uso questa frase (vi devo strabiliare) io pur avendolo votato del suo mandato ricordo solo le cozze e le plafoniere d'oro.

Franco Rossi. Dottoressa le auguro buona guarigione di vero cuore.

Giuseppina Lippo. La novità dove sta... Ci siamo passati pure noi povera gente, almeno il virus nn fa distinzione di ceto.

Carmela Di Giorgio. Quindi a lei si risponde e i poveri e i poveri cristi crepano.....

Antonietta Greco. Medici di base? Un miraggio!!! Semplicemente VERGOGNOSO...

Davide De Summa. Per prima cosa la signora dovrebbe cambiare medico.

Luigi D'Aprile. Bella cosa, rispondo ad un p.m. Lasci nella merda il resto della popolazione….vergognosa...

Altri post. Facebook Piazzanews.it 13 aprile 2021 ore 18.23 CASTELLANETA. DEBELLIAMO LA PANDEMIA CON UNA COMUNICAZIONE PUNTUALE ED EFFICACE. Siamo grati alla Dr.ssa Ida Perrone, Pm. al Tribunale di Taranto, per la Sua testimonianza (riportata su alcune testate giornalistiche locali), sottoposta al Governatore Emiliano, per essere stata abbandonata dal proprio Medico di base nonché dalla stessa ASL/TA, concludendo la sua nota “… Mi domando che accade… Ti domando che accade…” Da premettere che la Dr. Isa Perrone, sabato scorso, era risultata positiva al coronavirus. Nel mentre ci auguriamo che la Dr.ssa Perrone possa risolvere al meglio, e nel più breve tempo possibile, la Sua positività, registriamo con interesse la risposta di Emiliano, che ha risolto il problema della Pm, attivando la stessa ASL ed il suo personale. Quindi, se vuole e può, il Governatore sa attivarsi e rispondere. Peccato non lo faccia anche con chi ha pianto e sta piangendo da tempo la perdita dei loro cari. Ci siamo resi, da tempo, portavoce indegni delle disavventure, delle difficoltà e delle necessità degli utenti del territorio e, in speciale modo, prima perorando la causa per la vaccinazione delle persone oncologiche ed ora delle persone fragili con gravi patologie, battendoci anche per la loro vaccinazione in loco, preferibilmente presso il nosocomio in caso di malori non contemplati tra gli effetti collaterali del vaccino a farsi. Certo, non siamo amici del Governatore Emiliano e non crediamo né pretendiamo che ci risponda, ma una piccola attenzione verso il territorio sarebbe opportuno che lo stesso la metta in atto. In questo tempo di pandemia non abbiamo bisogno in alcun caso di fare o di ricevere azioni di guerra, bensì si dovrebbe rivolgere tutta l’attenzione e gli sforzi comuni ad un unico obiettivo: debellare quanto prima e per quanto sia possibile, al più presto, questo dannato virus. Pensiamo anche che il Direttore Generale non abbia fatto un grande gesto, conferendo mandato “… ad un legale di fiducia al fine di procedere penalmente contro tutti coloro che diffamano il personale sanitario, diffondendo notizie false, fuorvianti e idonee a creare allarmismo nella collettività…” Siamo certi che alcuno abbia avuto ed ha intenzione di diffamare il personale sanitario e parasanitario, che sta profondendo tutti gli sforzi, ed oltre, per combattere il Covid19 con notevole sacrificio ed abnegazione. Esimio Direttore, avv. Stefano Rossi, ognuno di noi ha delle responsabilità e dei ruoli istituzionali, che necessitano innanzi tutto di equilibrio e tanta ma tanta pazienza. E siamo certi che Lei abbia contezza e piena coscienza del ruolo che ricopre. Crediamo che la Sua sia stata una reazione istintiva, che andrebbe, secondo il nostro modesto parere, riesaminata. Dopo tutto i soldi per il legale sono quelli della collettività ed andrebbero spesi per una più sollecita azione anti-virus. Ci meravigliamo se Emiliano non gliel’abbia suggerito. Ci permettiamo di farlo noi. Ci creda, non per spirito di contraddizione, ma nella piena collaborazione civile dei ruoli che ricopriamo d’ambo le parti. Piuttosto sarebbe necessario non far vagare al buio gli utenti, ma dare risposte certe dove, come, quando e con quale vaccino le persone fragili debbano vaccinarsi. Se riesce in questo intento, non crede che l’utenza si sentirà protetta ed avrà più fiducia nell’Istituzione, che Lei rappresenta? Sinora le varie circolari regionali hanno creato, e stanno creando, numerosi problemi di interpretazione tra gli stessi addetti ai lavori, che si palleggiano le varie competenze in materia ed, intanto, gli utenti fluttuano senza salvagente tra il Medico di base e/o il Medico ospedaliero. C’è assoluto bisogno di chiarezza e di trasparenza. Facciamo in modo di debellare la pandemia senza aggiungervi un pandemonio. MICHELE ESPOSITO

In Puglia esenzione del ticket sulle visite specialistiche per chi si è ammalato di Covid. Gianvito Rutigliano su La Repubblica il 9 aprile 2021. La delibera della giunta regionale è diventata operativa con l’invio della relativa circolare alle Asl dell’esenzione con codice P01: prestazioni specialistiche finalizzate alla tutela della salute collettiva, disposte a livello locale in caso di situazioni epidemiche. Un’esenzione del ticket sanitario per i pazienti guariti dal covid-19, in modo da rendere più accessibili le visite necessarie e monitorare gli effetti della malattia. La Puglia è una delle prime regioni in Italia ad applicarla, per far fronte ai problemi di chi è stato affetto da coronavirus che proseguono anche dopo il fatidico tampone negativo. La delibera di giunta 403 è diventata operativa con l’invio della relativa circolare alle Asl del territorio con cui sono stati trasmessi i dettagli dell’esenzione con codice P01 (“prestazioni specialistiche finalizzate alla tutela della salute collettiva, disposte a livello locale in caso di situazioni epidemiche”) appositamente per i post-covid. “È un aiuto soprattutto a livello sociale - spiega Mauro Vizzino, presidente della commissione Sanità del consiglio regionale pugliese - perché non tutti possono permettersi tac, radiografie, analisi del sangue, visite pneumologiche, fisiatriche o cardiologiche di cui hanno bisogno dopo essersi negativizzati. Continuiamo a rilevare che il covid porta a una serie di conseguenze e problemi, dai danni polmonari a quelli cardiaci, e per cui c’è necessità di controlli e cure specifiche nelle strutture pubbliche”. L’idea, già attiva in alcune regioni italiane, è stata recepita dalla Puglia grazie a un lavoro predisposto dalla presidenza della commissione Salute e il contributo di consiglieri di maggioranza e opposizione. “È nato tutto da una segnalazione di un dipendente regionale. - racconta Vizzino - Abbiamo raccolto la documentazione e ci siamo rapportati con il dipartimento promozione della salute e il direttore Vito Montanaro, con cui c’è sempre un proficuo lavoro, che a sua volta ha condiviso il percorso con l’assessore alla Sanità, Pier Luigi Lopalco. Abbiamo collaborato in tanti: si può dire che sia un obiettivo raggiunto dalla Regione nella sua interezza”. 

IL COVID HA UCCISO 5.000 PUGLIESI, MA EMILIANO E LOPALCO CHE FANNO? Il Corriere del Giorno il 7 Aprile 2021. Un vero e proprio fallimento della gestione sanitaria per l’emergenza Covid, per il quale, le opposizioni chiedono al Governo il commissariamento. Il senatore pugliese Dario Damiani di Forza Italia contesta la gestione Emiliano-Lopalco. Zullo (Fratelli d’ Italia): “abbiamo bisogno di capire perché in Puglia si muore di più rispetto a tutte le Regioni meridionali e insulari”. I numeri parlano meglio di tante parole, e talvolta sono anche impietosi . L’ultimo bollettino quotidiano della Regione Puglia traduce in numeri la situazione dell’emergenza Covid ed è quello dei decessi: 70 morti, 50 dei quali nella sola provincia di Bari, che da inizio emergenza sono diventati 5.000 . Un numero negativo, che sommando i numeri dei giorni scorsi a quelli che non erano stati conteggiati, nell’ultima settimana in Puglia danno un totale di 224 morti da Covid. Un dato che spiega senza tanti giri di parole e giustificazioni la verità su quello che sta accadendo, sopratutto se analizzati considerando i 2.240 ricoveri, dei quali in terapia intensiva. Infatti i 475 casi positivi riscontrati sono proporzionali al basso numero di tamponi effettuati nei giorni delle festività pasquali. Settanta decessi riportati nell’ultimo bollettino quando ne sono stati persi 55 nei giorni scorsi, risulta un dato difficile da capire ed interpretare, come evidenzia Ignazio Zullo capogruppo di Fratelli d’Italia nel Consiglio Regionale Pugliese, che ne chiede conto all’ assessore alla sanità Lopalco: “Ci dica come mai sfuggono 55 morti in una settimana, non faccia finta che è una cosa normale perché abbiamo bisogno di capire perché in Puglia si muore di più rispetto a tutte le Regioni meridionali e insulari“. Tutto ciò accade mentre non si ferma il lavoro di coloro i quali si prodigano per non far esplodere il sistema sanitario pugliese, attivando nuovi posti negli ospedali ma sopratutto cercando di aumentare l’assistenza domiciliare dei contagiati. La Asl Bari ha aumentato il servizio dei medici delle Usca- Unità speciali di continuità assistenziale portandolo da 18 a 36 ore, attrezzandoli con ecografi portatili, saturimetri palmari e kit per i tamponi, nel tentativo di evitare l’ospedalizzazione laddove possibile. Il Policlinico di Bari proprio a questo fine ha disposto una nuova diminuzione per gli interventi chirurgici non indifferibili , che era già stata imposta dalla Regione verso la metà di marzo, ma non tutti avevano seguito il volere dell’ assessorato alla sanità, e quindi si è continuato a programmare molte operazioni , giustificate dalla causale dell’urgenza. Per cercare di reperire anestesisti da distaccare presso l’ospedale Covid alla Fiera del Levante, , in una struttura costata circa 20 milioni di euro contro la metà prevista, sul quale sta indagando il pool della pubblica amministrazione della Procura di Bari guidato dal procuratore aggiunto Alessio Coccioli , sono stati attivati altri 14 posti-letto di rianimazione. Attivati anche 120 dei 152 posti disponibili, grazie ai sacrifici richiesti al personale, che non si è sottratto a doppi turni pur di garantire l’accoglienza dei pazienti , nonostante permanga la mancanza di anestesisti che resta una problematica inconfutabile, in quanto per attivare i posti di Terapia intensiva Covid in Fiera servono assolutamente gli anestesisti. Il direttore generale del Policlinico di Bari, Giovanni Migliore sostiene che fra il Policlinico ed il nuovo presidio in Fiera sia ricoverato il 30 per cento dei pazienti Covid di tutta la Puglia. All’epoca della prima emergenza Covid fra marzo ed aprile 2020 il picco massimo di ricoveri in Rianimazione era stato di circa 40 pazienti, mentre adesso bisogna fronteggiare più del doppio. L’ assessore regionale Lopalco ha assicurato l’impegno della Regione Puglia a reclutare anestesisti da altre aziende sanitarie ma al momento gli unici che si sono effettivamente spostati per due mesi verso la struttura ospedaliera in Fiera sono stati soltanto 4 medici e 4 infermieri in servizio all’ospedale San Paolo. Un vero e proprio fallimento della gestione sanitaria per l’emergenza Covid, per il quale, le opposizioni chiedono al Governo il commissariamento. Con una nota il senatore pugliese Dario Damiani di Forza Italia contesta la gestione Emiliano-Lopalco: “La Puglia continua a macinare record negativi nella gestione dell’emergenza sanitaria grazie al duo sciagura Emiliano-Lopalco. Ultima ‘perla’, la maglia nera nella somministrazione dei vaccini: appena 10 mila al giorno, un dato che colloca la nostra regione all’ultimo posto in Italia. Di questo passo, la campagna vaccinale si concluderà nel 2022, con un anno di ritardo rispetto all’obiettivo nazionale fissato a settembre 2021. La denuncia delle associazioni sindacali dei medici è un atto d’accusa contro la totale incapacità del governo regionale di farsi carico e gestire la situazione”. “Noi lo dicevamo da mesi e più volte abbiamo chiesto anche l’intervento del ministero affinché avviasse un’indagine sui tragici disservizi sanitari pugliesi, ma senza trovare ascolto. Oggi l’ennesima conferma con i pessimi dati sulle vaccinazioni, lasciate al caos più totale da Emiliano, che evidentemente ‘regna ma non governa’. Per non parlare della gestione della scuola, in cui la Puglia fa ‘diritto’ a sé, andando puntualmente contro la normativa nazionale pur di non assumere una posizione chiara e univoca. Si continua a giocare a scaricabarile sulla pelle dei cittadini, che nelle ultime settimane, nonostante la zona ‘rosso scuro’, subiscono l’impennata dei contagi come mai prima d’ora. Il sistema Puglia è ormai fuori controllo ed Emiliano che fa? Batte la ritirata affidandosi all’autogestione dei pugliesi: è la firma che certifica il suo fallimento di amministratore”. conclude il sen. Damiani.

Altamura, padre e figlia muoiono di Covid nello stesso giorno ma in due ospedali diversi. Entrambi avevano contratto il Covid e per l’aggravamento delle loro condizioni polmonari prima la donna e due giorni dopo il padre erano stati ricoverati in ospedale. La Gazzetta del Mezzogiorno il 27 Marzo 2021. Tragedia ad Altamura, in provincia di Bari, dove si piange la scomparsa di un padre e di una figlia morti entrambi per Covid nello stesso giorno, in due ospedali diversi. All’ospedale «Dimiccoli» di Barletta nella notte non ce l’ha fatta Angela , 46 anni, sposata e con due figli. Era ricoverata da diversi giorni in terapia intensiva e si sperava che le cure potessero salvarla. In mattinata invece è morto il padre Raffaele, 70enne, che era ricoverato in terapia intensiva all’ospedale della Murgia «Fabio Perinei» ad Altamura. Entrambi avevano contratto il Covid e per l’aggravamento delle loro condizioni polmonari prima la donna e due giorni dopo il padre erano stati ricoverati in ospedale. Le condizioni sono ulteriormente peggiorate fino a portarli entrambi alla morte, nonostante le terapie somministrate, tra cui pure il plasma iperimmune, ma senza alcun miglioramento del quadro clinico.

Taranto, intera famiglia sterminata dal Covid: muoiono padre, madre e figlio. Il figlio di 46 anni è stato il primo a mancare, subito dopo entrambi gli anziani genitori. Federico Marangio su La Gazzetta del Mezzogiorno il 23 Marzo 2021. Una intera famiglia sterminata dal Covid. Sono queste le storie più drammatiche che ci consegnano le corsie degli ospedali in prima linea contro il virus. La tragedia, consumatasi nell’hub Covid del Moscati, è iniziata qualche giorno fa con il figlio di 46 anni che ha gettato i genitori nella condizione che neppure la lingua italiana contempla. Non esiste infatti un termine che indichi l’innaturalità della perdita di un figlio. A seguire, a distanza di pochi giorni, il padre. Ultima, in ordine di tempo, la madre. Ha combattuto con grande determinazione sino a quando il suo corpo non ha ceduto all’avanzare dell’infezione da SARS-CoV-2 che, prima le ha causato una gravissima insufficienza respiratoria per poi finirla con un aggravamento improvviso contro il quale non c’è stato più niente da fare. Sopravvive a questo dolore la nuora che nel giro di un mese ha assistito a ben tre funerali di affetti che rappresentavano il suo mondo. L’aumento dei casi e il proliferare del contagio in qualche modo hanno reso più reale questo virus, strappando dalle nostre vite almeno un conoscente o un parente di qualcuno in un tornado di sofferenza inarrestabile. È quando si sbriciola ogni certezza che è richiesta tutta la nostra capacità di reazione. Facile a dirsi. Il lutto, come scaturigine del dolore, è al centro di un tema vecchio come il mondo che chiunque vorrebbe neutralizzare ed evitare, per quanto possibile. «La rielaborazione della perdita di una persona cara è una fase molto dolorosa che avviene in tempi diversi in ognuno di noi». Tanto ha sottolineato la psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, esperta in neuropsicologia, Anna Nicolì, la quale ha approfondito. «I sentimenti che si susseguono nelle diverse fasi dell’elaborazione – ha aggiunto – vanno dall’iniziale negazione e senso di colpa alla rabbia, alla consapevolezza e alla tristezza. Il divieto imposto dalle restrizioni per il Covid rende più difficile l’elaborazione. Alle persone sopravvissute spesso non è stato possibile avere il tempo necessario per salutare i congiunti o per condividere con la comunità la perdita avvenuta. Davanti ad una morte per Covid ci si sente “congelati” e increduli per non essere riusciti a vedere i propri cari. Tra i pochi consigli c’è quello di evitare per il primo periodo di ascoltare notizie collegate al Covid-19, di restare chiusi in casa per molte ore e di continuare a interagire con i conoscenti anche a distanza». L’avvento della pandemia ci obbliga al confronto con l’incombere del dolore a cui è difficile rimanere indifferenti. Il perenne tentativo dell’uomo di trovare un riparo dal male forse oggi è un monito tutto leopardiano a ritenerci felici per il solo fatto di essere scampati all’infelicità.

IL TAR PUGLIA SOSPENDE L’ORDINANZA DI MICHELE EMILIANO SULLA SCUOLA. Il Corriere del Giorno il 24 Febbraio 2021. La decisione della Regione è contraddittoria nelle sue motivazioni e non coerente con la classificazione della Puglia in zona gialla. Secondo il TAR Puglia Regione Puglia nell’ordinanza di Emiliano “non motiva a sufficienza il sensibile scostamento dal livello nazionale di garanzia dell’assolvimento dei servizi scolastici”. Secondo il presidente della Terza sezione del TAR Puglia, Orazio Ciliberti la decisione della Regione è contraddittoria nelle sue motivazioni e non coerente con la classificazione della Puglia in zona gialla. Emiliano è intervenuto sugli standard minimi fissati per la didattica dal Dpcm del 14 gennaio con l’obiettivo di consentire la vaccinazione degli operatori scolastici che, però, non può essere effettuata in soli 15 giorni: “Il limite del 50 per cento una soglia al di sotto della quale deve ritenersi non sufficientemente assolto, né garantito lo standard minimo dei servizi scolastici“ si legge nel provvedimento . La Regione Puglia nell’ordinanza di Emiliano “non motiva a sufficienza il sensibile scostamento dal livello nazionale di garanzia dell’assolvimento dei servizi scolastici”, ed inoltre il riferimento alla necessità di vaccinare tutti gli operatori scolastici non convince. “I tempi prevedibili e previsti di tale attuazione – non indicati dall’ordinanza, ma ricavabili da comunicati delle strutture sanitarie pubbliche e da univoche notizie di stampa – non sono affatto compatibili con la durata di pochi giorni dell’efficacia dell’ordinanza“. Ancora una volta il Tribunale Amministrativo Regionale pugliese, ha annullato un’ordinanza del Governatore Michele Emiliano, che nonostante sia ancora un magistrato “dormiente” (in aspettativa) dimostra di utilizzare i poteri regionali a suo uso e consumo. L’udienza per la sospensiva è stata fissata al 17 marzo, oltre la scadenza dell’ordinanza. Il Governatore però in serata, calpestando ed ignorando la sentenza del TAR che lo ha ridicolizzato, ha annunciato un nuovo provvedimento per superare la decisione giudice amministrativo. Emiliano con la solita nota stampa della Regione Puglia ha giustificato il suo comportamento arrogante “Per evitare contrasti col provvedimento del giudice sto per emettere un’ordinanza che lega la temporanea sospensione della didattica in presenza ad un termine per la esecuzione della campagna vaccinale nelle scuole. Con questo si soddisfa un’esplicita richiesta di motivazione” aggiungendo “Sono costretto ad intervenire per evitare che domani le scuole siano improvvisamente invase, in mancanza di provvedimenti di regolazione sanitaria, da tutti gli studenti in presenza con danno gravissimo per la salute del personale scolastico in piena pandemia da “variante inglese” che ormai sta sostituendo le altre meno pericolose e meno contagiose”. I sindacati della scuola, con nota congiunta Cgil Scuola, Cisl, Uil, Gilda e Snals alle dichiarazioni di Lopalco che paventavano una proroga della Dad per tutta la primavera, hanno dichiarato la loro ferma contrarietà ribadendo la proclamazione dello stato di agitazione in caso di provvedimenti della Regione. Reazioni anche da parte dell’opposizione. “La posizione assunta da Fratelli d’Italia è una battaglia di civiltà, con la consapevolezza che questo centrosinistra continua a prendere in giro i pugliesi. Per questo lo abbiamo detto in aula e lo ribadiamo: la proposta del PD è una modifica di legge farlocca! Perché fa credere che si rende obbligatoria la vaccinazione anti-covid agli operatori sanitari, ma di fatto non è così. Perché quando si parla di obbligo vaccinale si parla di un obbligo che può essere stabilito solo dallo Stato, e per tutta la popolazione. Peraltro si tratta di una modifica di legge inutile, visto che lo stesso assessore Pierluigi Lopalco ha ribadito che nel testo non si fa altro che incentivare la vaccinazione. Perché la Regione, è bene ribadirlo, non pu? disporre obblighi in assenza di una legislazione nazionale. Questa legge non parla, infatti, di obbligo, ma recita una cosa lapalissiana: "la pratica di prevenzione si applica anche per la vaccinazione anti-Coronavirus-19 purché la pratica di prevenzione sia prescritta in forma di obbligo di legge statale"”. Continua la dichiarazione del gruppo regionale di Fratelli d’Italia: “Se poi si vuole rendere obbligatorio il vaccino anti-Covid, si solleciti allora il Governo nazionale. Noi di Fratelli d’Italia abbiamo anche proposto di presentare una mozione, ma l’ex premier Conte aveva sostenuto che non avrebbe mai inserito l’obbligatorietà: ora è subentrato il Governo Draghi, magari la pensa diversamente. Ma evitiamo di dare false informazioni facendo credere che da questo momento gli operatori sanitari hanno l’obbligo di vaccinarsi. Volersi appuntare medaglie per far credere all’esterno che la Puglia è la prima regione che impone la vaccinazione è una fake news: appunto una notizia farlocca“. “E che sia tale lo sa anche bene la stessa maggioranza, visto che fino a tarda sera ha cercato di avere in aula numeri che non c’erano…e che hanno trovato dopo un’ora, dando vita a una votazione molto più pittoresca di film comico. La dignità del Consiglio regionale non è mai caduta così in basso” conclude la nota di Fratelli d’Italia.

Scuole, il Tar «boccia» Emiliano ma lui fa una nuova ordinanza: torna il «fai da te». Il giudice: ordinanza non coerente con la classificazione della Puglia in zona gialla. Il Governatore: correggo il tiro ma non posso consentire un'invasione a scuola. La Gazzetta del Mezzogiorno il 23 Febbraio 2021. Il governatore della Puglia Michele Emiliano ha emanato una nuova ordinanza e lo ha fatto ieri era poco prima della mezzanotte, dopo che i giudici del Tar avevano bocciato, su ricorso del Codacons Lecce, la sua precedente ordinanza emanata lo scorso fine settimana che disponeva la Dad (Didattica a distanza) al 100% in tutte le scuole di ogni ordine e grado, dal 22 febbraio al 5 febbraio. Ieri sera, come detto, Michele Emiliano ha corretto il tiro e, dopo aver anticipato di voler emanare un nuovo provvedimento che legava la temporanea sospensione della didattica in presenza ad un termine per la esecuzione della campagna vaccinale nelle scuole, ha firmato invece firmato una nuova ordinanza valida da oggi al 14 marzo, che ripropone la Ddi (didattica digitale integrata), ma con due novità significative: il prolungamento della durata fino al 14 marzo; la possibilità per le famiglie di richiedere la didattica in presenza presso le scuole dell’infanzia e del ciclo primario, dove è stata rimossa la soglia del 50% della popolazione studentesca per classe. Tale limite rimane invece nelle scuole superiori.

Qui il testo della nuova ordinanza, la n.58

IERI, GIORNATA CONVULSA - E' durata solo poche ore l'ipotesi di un rientro in aula nelle scuole elementari e medie pugliesi, mentre alle superiori restava la didattica a distanza al 50%, dopo il decreto urgente del Tar di Bari che ha sospeso l'ordinanza del presidente Michele Emiliano che per due settimane aveva imposto la scuola "fai da te", lasciando agli istituti la possibilità di organizzarsi per garantire fino al 50% di lezioni in presenza. Il Governatore, in serata, ha annunciato un nuovo provvedimento che dovrebbe superare il giudice amministrativo. Per farla breve, non cambia nulla. Ma questo tira e molla sta gettando nel caos decine di migliaia di famiglie. L'approccio della Regione - secondo il presidente della Terza sezione, Orazio Ciliberti - appare contraddittorio nelle sue motivazioni e non coerente con la classificazione della Puglia in zona gialla: Emiliano è intervenuti sugli standard minimi fissati per la didattica dal Dpcm del 14 gennaio con l'obiettivo di consentire la vaccinazione degli operatori scolastici che, però, non può essere effettuata in soli 15 giorni: "Il limite del 50 per cento - è detto nel provvedimento - è una soglia al di sotto della quale deve ritenersi non sufficientemente assolto, né garantito lo standard minimo dei servizi scolastici". La Puglia "non motiva a sufficienza il sensibile scostamento dal livello nazionale di garanzia dell’assolvimento dei servizi scolastici", e non convince il riferimento alla necessità di vaccinare tutti gli operatori scolastici. "I tempi prevedibili e previsti di tale attuazione - non indicati dall’ordinanza, ma ricavabili da comunicati delle strutture sanitarie pubbliche e da univoche notizie di stampa - non sono affatto compatibili con la durata di pochi giorni dell’efficacia dell’ordinanza". L'approccio "chiudo le scuole in attesa del vaccino", dunque, non va bene. "Se l’esigenza fondamentale fosse davvero quella dichiarata di consentire la “attuazione del piano vaccinale degli operatori scolastici”, il provvedimento regionale impugnato dovrebbe essere prorogato o rinnovato per un periodo più lungo, la qual cosa non potrebbe che vanificare l’apporto didattico e formativo dell’anno scolastico 2020-2021 per alunni e studenti in Puglia, in violazione dei livelli essenziali di prestazione fissati dallo Stato". L'udienza per la sospensiva è fissata al 17 marzo, oltre la scadenza dell'ordinanza che, a questo punto, potrebbe essere superata da un nuovo provvedimento. Intanto i sindacati della scuola, con nota congiunta Cgil Scuola, Cisl, Uil, Gilda e Snals alle dichiarazioni di Lopalco che paventavano una proroga della Dad per tutta la primavera, hanno dichiarato la loro ferma contrarietà ribadendo la proclamazione dello stato di agitazione in caso di provvedimenti della Regione. Il Tar, ora, ha rimesso tutto in discussione. Come già detto, però, Emiliano ha deciso di confermare la sua linea. «Per evitare contrasti col provvedimento del giudice - ha anticipato in una nota inviata dalla Regione -  sto per emettere un’ordinanza che lega la temporanea sospensione della didattica in presenza ad un termine per la esecuzione della campagna vaccinale nelle scuole. Con questo si soddisfa un’esplicita richiesta di motivazione». E aggiunge: «Sono costretto ad intervenire per evitare che domani le scuole siano improvvisamente invase, in mancanza di provvedimenti di regolazione sanitaria, da tutti gli studenti in presenza con danno gravissimo per la salute del personale scolastico in piena pandemia da “variante inglese” che ormai sta sostituendo le altre meno pericolose e meno contagiose».

·        Succede in Sicilia.

La spalmata.  Report Rai PUNTATA DEL 26/04/2021 di Walter Molino. Morti e malati di Covid considerati solo dei numeri, per evitare le restrizioni e le chiusure delle attività economiche della Sicilia. Un'inchiesta partita da un piccolo centro di elaborazione dei tamponi di Alcamo ha terremotato la sanità regionale. Il governatore Nello Musumeci, l'assessore alla Sanità e suo delfino, Ruggero Razza, i più importanti dirigenti degli uffici regionali, passati per le giunte di centrodestra e centrosinistra sono stati intercettati, in un'indagine definita dai gip "la punta dell'iceberg di ripetute falsità". Per evitare le chiusure della "zona rossa", uomini e donne al vertice del governo regionale avrebbero falsificato i dati sui morti e sui contagiati Covid-19 per mesi, spalmandoli su più giorni, così come quelli sui ricoveri in terapia intensiva. A Report intercettazioni inedite a audio esclusivi.

LA SPALMATA di Walter Molino collaborazione Federico Marconi riprese Dario D’India - Alfredo Farina montaggio Andrea Masella

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Bentornati, siamo in Sicilia dove chi avrebbe dovuto tutelare la salute ha invece taroccato i numeri. Ma non solo questo. C’è anche una storia di dichiarazioni di membri del comitato tecnico scientifico sull’imminente istituzione di una zona rossa, poi improvvisamente rientrate. E anche una storia di verbali ancora misteriosamente secretati. E anche la storia di un governatore che sarebbe stato ingannato.

WALTER MOLINO FUORI CAMPO Ma se al cimitero le bare si accumulano, nelle stanze del Palazzo dell’assessorato regionale alla Salute c’è chi per mesi ha brigato per spalmarli i morti per il virus. Lo scopo era quello di evitare la zona rossa.

MARIA LETIZIA DI LIBERTI - DIRIGENTE DIPARTIMENTO PER LE ATTIVITÀ SANITARIE Il problema fondamentale è se diventiamo completamente zona rossa.

FERDINANDO CROCE - CAPO DI GABINETTO DELL’ASSESSORE ALLA SALUTE Ma oggi?

MARIA LETIZIA DI LIBERTI - DIRIGENTE DIPARTIMENTO PER LE ATTIVITÀ SANITARIE Ne abbiamo avuto 26, solo che però 6 erano riferiti a tutta la settimana. Allora ne abbiamo dati 19…

FERDINANDO CROCE - CAPO DI GABINETTO DELL’ASSESSORE ALLA SALUTE In un giorno non sono pochi

MARIA LETIZIA DI LIBERTI - DIRIGENTE DIPARTIMENTO PER LE ATTIVITÀ SANITARIE C’è il dato dei deceduti e quindi ti diminuisce la terapia intensiva, ma non perché la gente torna nei reparti

FERDINANDO CROCE - CAPO DI GABINETTO DELL’ASSESSORE ALLA SALUTE La terapia intensiva diminuisce perché ce li scotoliamo

SIMONE ISABELLA - PRESIDENTE ASSOCIAZIONE FAMILIARI VITTIME DI COVID IN SICILIA La frase che più mi ha scioccato è quella in cui si parla di “scotolarci” le persone dalle terapie intensive. Cioè le terapie intensive diminuivano non perché guarivano ma perché ci “scotoliamo” le persone delle terapie intensiva.. WALTER MOLINO Ce le togliamo…

SIMONE ISABELLA - PRESIDENTE ASSOCIAZIONE FAMILIARI VITTIME DI COVID IN SICILIA Ce li togliamo… quindi questo “scotolarsi” le persone creava un vantaggio a qualcuno o meno? Mio padre lottava in terapia intensiva. Io speravo che con l’eparina gli si sciogliessero i trombi che nel frattempo si erano formati. Io speravo che mio padre ritornasse alla sua vita normale, di una persona che faceva le vacanze con la moglie, con gli amici. Di una persona che donava il sangue, che portava l’ambulanza del 118, una persona per gli altri, una persona viva! Mio padre è morto a 72 anni ma… ma stava meglio di me! Leggere oggi che i nostri genitori erano dei numeri… l’abbiamo già vissuta questa cosa dei numeri...

WALTER MOLINO FUORI CAMPO Lei è Maria Letizia Di Liberti, dirigente di lungo corso della Regione Sicilia. Era al vertice del Dipartimento per le Attività Sanitarie, l’ufficio che raccoglie i dati sui contagi Covid-19 sulla piattaforma “Qualità Sicilia”. E’ su questi numeri che il governo decide come assegnare le fasce di rischio alle diverse regioni. Di Liberti si occupa di sanità dal 2012 ed è rimasta in carica sotto i governi di centrodestra di Raffaele Lombardo e di centrosinistra di Rosario Crocetta. Poi è stata confermata dall’attuale presidente della Regione Nello Musumeci. Fino a quando, il 30 marzo scorso la Di Liberti è finita agli arresti domiciliari: la Procura di Trapani l’ha accusata di aver falsificato i dati sui decessi e sui contagi dopo avere ascoltato la sua telefonata con l’assessore alla Salute Ruggero

Razza MARIA LETIZIA DI LIBERTI - DIRIGENTE DIPARTIMENTO PER LE ATTIVITÀ SANITARIE Biancavilla, i deceduti glieli devo lasciare o glieli spalmo?

RUGGERO RAZZA - ASSESSORE ALLA SALUTE DELLA REGIONE SICILIANA Ma sono veri?

MARIA LETIZIA DI LIBERTI - DIRIGENTE DIPARTIMENTO PER LE ATTIVITÀ SANITARIE Si, solo che sono di 3 giorni fa.

RUGGERO RAZZA - ASSESSORE ALLA SALUTE DELLA REGIONE SICILIANA E spalmiamoli un poco

WALTER MOLINO FUORI CAMPO Quello che invece voleva spalmare i morti è addirittura l’assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza. Avvocato penalista di origini catanesi è considerato il delfino di Nello Musumeci. E’ lui che ha ideato il movimento “Diventerà bellissima”, determinante per la vittoria delle elezioni regionali nel 2017. Indagato per falso, Razza si è dimesso e di fronte ai magistrati ha preferito rimanere in silenzio.

ENRICO TRANTINO - AVVOCATO RUGGERO RAZZA Piuttosto che determinare l’effetto dirompente e rischio panico come se fossero tutti i dati delle ultime 24 ore, si distribuivano, si spalmavano, utilizziamo l’espressione che tanto ipocritamente ha insolentito tanti italiani..

WALTER MOLINO Ipocritamente, lei dice

ENRICO TRANTINO - AVVOCATO RUGGERO RAZZA E’ naturale. Ipocritamente perché comunque spalmare è un termine utilizzato nel lessico italiano per dire “spalmare debiti”… in quel caso si trattava di spalmare i dati dei morti.

WALTER MOLINO Quindi lei dice che l’allora assessore Razza non cercava di evitare la zona rossa.

ENRICO TRANTINO - AVVOCATO RUGGERO RAZZA Assolutamente no!

WALTER MOLINO C’è un grande assente in questa vostra ricostruzione, ovvero il diritto dei cittadini di conoscere la verità sui dati, non trova?

ENRICO TRANTINO - AVVOCATO RUGGERO RAZZA Ma scusate, ci stiamo dimenticando che non è che ha chiesto scusa il sindaco di Polizzi Generosa per avere sbagliato i dati: ha chiesto Angela Merkel scusa perché i dati erano sbagliati!

WALTER MOLINO E l’assessore Razza ha chiesto scusa?

ENRICO TRANTINO - AVVOCATO RUGGERO RAZZA Si.. A chi deve chiedere scusa?!

WALTER MOLINO Beh, la Merkel a chi ha chiesto scusa?

ENRICO TRANTINO - AVVOCATO RUGGERO RAZZA Ha chiesto scusa la Merkel al popolo tedesco perché aveva dato dei dati sbagliati! WALTER MOLINO FUORI CAMPO La spalmata sarebbe servita secondo i magistrati per evitare di finire nella zona rossa. Fatto che avrebbe esasperato i commercianti che avevano già esercitato pressioni sull’ assessore Razza.

MAURIZIO AGNELLO - PROCURATORE DI TRAPANI Nelle telefonate tra la Di Liberti e i suoi collaboratori si faceva riferimento ad altri colloqui avuti con l’assessore, probabilmente o di persona o utilizzando altri mezzi - ecco perché abbiamo sequestrato telefonini e i computer – in cui la Di Liberti diceva: “L’assessore è seccato.. perché i commercianti si lamentano”.

WALTER MOLINO FUORI CAMPO Che tutelare l’economia fosse la preoccupazione principale dei dirigenti regionali lo dimostra un audio del 4 novembre 2020. La Sicilia sta per passare da giallo ad arancione. Il dirigente regionale Mario La Rocca, che non è indagato, invia ai direttori delle aziende sanitarie questo messaggio vocale.

MARIO LA ROCCA - DIRIGENTE REGIONALE - MESSAGGIO AUDIO DEL 04/11/2020 Oggi in funzione dei posti letto di terapia intensiva, decideranno in quale fascia la Sicilia risiede. Non è accettabile che noi si subisca ulteriori restrizioni perché c’è resistenza da parte di qualcuno ad aprire posti letto di terapia intensiva. Non sento cazzi…!

WALTER MOLINO FUORI CAMPO La Rocca intima di aumentare il numero delle terapie intensive registrate sulla piattaforma della Protezione civile, perché ci sarebbero medici che invece di occuparsi dei malati Covid, vorrebbero tutelare la loro attività privata di intramoenia

MARIO LA ROCCA - DIRIGENTE REGIONALE - MESSAGGIO AUDIO DEL 04/11/2020 E da alcuni rumors sembrerebbe che la Sicilia venga classificata come arancione. Non credo che sia utile o bello perdere una situazione comunque di sicurezza anche economica…

WALTER MOLINO FUORI CAMPO Quella di tutelare la sicurezza economica più del contrasto alla diffusione del virus, sembra un’ossessione dei dirigenti di Musumeci

MAURIZIO AGNELLO - PROCURATORE DI TRAPANI Il contesto è quello di una ripetuta alterazione di questi dati numerici sempre al ribasso. Lascia, ci ha lasciati sgomenti quando… riguardava anche decine e decine di deceduti. Perché quando dice: “Guarda che noi dobbiamo ancora inserire i morti dell’altro giorno…”.

NELLO MUSUMECI – PRESIDENTE REGIONE SICILIANA – ASSEMBLEA REGIONE SICILIANA 01/04/2021 Tu non puoi dire che in un giorno ci sono stati 26 morti quando invece i 26 morti sono stati in 4-5 giorni. Ma alla fine, alla fine, comunque li collochi nelle giornate il saldo finale della settimana, lo dico a chi ci segue da casa, è sempre 26.

 SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Alla fine ha ragione il governatore: il saldo quello è. Quello che però non dice Musumeci è che la manipolazione dei dati sui contagi e sui tamponi, che ha rallentato l’istituzione della zona rossa, quello sì ha contribuito a rendere più salato il saldo finale. Ecco se poi vogliamo rimanere sui termini “scotolare”, “spalmare”, “saldo”: beh ci pare l’outing inconscio di chi sta cercando di traslare cinicamente termini propri della contabilità creativa su una tragedia come quella del Covid. Perché sta tutelando gli interessi di commercianti e imprenditori, gli stessi che si sono già rivoltati contro l’assessore Razza, come risulterebbe anche dalle indagini. Ora che rappresenterebbero anche un bacino di voti, qualche volta. E anche coloro che sponsorizzano le campagne elettorali. Razza con i magistrati non ha voluto parlare, ma lo abbiamo sentito nelle intercettazioni dire che l’istituzione di una zona rossa sarebbe “il fallimento della politica”. Ma allora i 5mila morti che la Sicilia ha contato fino ad oggi? La mancanza di posti letto di terapia intensiva? Un sistema sanitario che non funziona? Un comune su quattro in zona rossa? Che cos’è? Insomma, se poi non sei in grado di far funzionare un sistema allora viene più semplice modificare i numeri che lo rappresentano. Per questo, ad un certo punto, hanno anche deciso di accentrare la raccolta dei dati e di impedire agli enti locali di informare i loro cittadini.

WALTER MOLINO FUORI CAMPO L’inchiesta che ha terremotato la sanità siciliana è partita da Alcamo, in provincia di Trapani. Poi è arrivata fino a Palermo, dentro i palazzi della politica. Dove c’era chi, più della pandemia, temeva di perdere consenso.

MAURIZIO AGNELLO - PROCURATORE DI TRAPANI Quello che mi ha sorpreso è che c’era da una parte Musumeci, il presidente della Regione, che invocava a gran voce la zona rossa, e dall’altro lato invece l’assessorato alla Sanità che voleva un attimino avere un atteggiamento un po’ più tranquillizzante.

WALTER MOLINO Come siete arrivati da un laboratorio di Alcamo all’assessorato regionale alla Sanità a Palermo?

MAURIZIO AGNELLO - PROCURATORE DI TRAPANI C’era il fondato sospetto che ci fosse a monte un accordo di natura illecita.

WALTER MOLINO Tra chi? MAURIZIO AGNELLO - PROCURATORE DI TRAPANI Fra qualche funzionario pubblico e il legale rappresentante del laboratorio. Mi fu fatto un esempio di una nave da crociera che era approdata a Trapani che dalla mattina alla sera furono processati ufficialmente 960 tamponi tutti negativi. E non era possibile.

WALTER MOLINO FUORI CAMPO Sono le 14.30 del 15 marzo scorso. La dirigente del dipartimento sanitario Di Liberti è allarmata per il numero dei nuovi contagi a Palermo e vorrebbe nasconderne una sessantina. Parla con il commissario all’emergenza Covid Renato Costa che non è d’accordo.

MARIA LETIZIA DI LIBERTI - DIRIGENTE DIPARTIMENTO PER LE ATTIVITÀ SANITARIE Lo capisci che oggi abbiamo 500 casi e 355 sono solo a Palermo?

RENATO COSTA - COMMISSARIO EMERGENZA COVID-19 DI PALERMO Eh, ma gioia mia io più di darti i dati…

MARIA LETIZIA DI LIBERTI - DIRIGENTE DIPARTIMENTO PER LE ATTIVITÀ SANITARIE C’è un incremento… una delle cose che si può fare è di diluirli in 2 giorni perché tutti in una sola giornata… 355 sono un numero esageratissimo!

RENATO COSTA - COMMISSARIO EMERGENZA COVID-19 DI PALERMO Li vuoi dividere? Dividili!

MARIA LETIZIA DI LIBERTI - DIRIGENTE DIPARTIMENTO PER LE ATTIVITÀ SANITARIE Nooooo… no, ce ne puoi togliere 60.

RENATO COSTA - COMMISSARIO EMERGENZA COVID-19 DI PALERMO Io… io lascerei questi Letizia.. ti dico la verità.

MARIA LETIZIA DI LIBERTI - DIRIGENTE DIPARTIMENTO PER LE ATTIVITÀ SANITARIE Va bene

WALTER MOLINO FUORI CAMPO Ma 32 minuti dopo, la Di Liberti lo richiama. Ha parlato con l’assessore Razza: quei dati devono essere modificati. Stavolta il commissario Costa è costretto ad essere d’accordo.

MARIA LETIZIA DI LIBERTI - DIRIGENTE DIPARTIMENTO PER LE ATTIVITÀ SANITARIE Ho parlato con Ruggero, gli ho mandato i dati, dice che sono troppi, di non darli tutti.

RENATO COSTA - COMMISSARIO EMERGENZA COVID-19 DI PALERMO Va bene

MARIA LETIZIA DI LIBERTI - DIRIGENTE DIPARTIMENTO PER LE ATTIVITÀ SANITARIE Di spostarli a domani un poco, ma te lo devo dire però, perché altrimenti..

RENATO COSTA - COMMISSARIO EMERGENZA COVID-19 DI PALERMO Va bene gioia mia, certo!

MARIA LETIZIA DI LIBERTI - DIRIGENTE DIPARTIMENTO PER LE ATTIVITÀ SANITARIE quindi li abbasso a 285!

RENATO COSTA - COMMISSARIO EMERGENZA COVID-19 DI PALERMO 285, va bene!

WALTER MOLINO Quindi lei un controllo sui dati ce l’ha.

RENATO COSTA - COMMISSARIO EMERGENZA COVID-19 DI PALERMO Dal punto di vista statistico è assolutamente ininfluente questa spalmata, come la stiamo chiamando, di dati.

WALTER MOLINO Questi numeri condizionano le scelte politiche di diventare rossi o rimanere arancioni. E quindi muovono interessi.

RENATO COSTA - COMMISSARIO EMERGENZA COVID-19 DI PALERMO E’ la stupidaggine del numero avulso da qualsiasi contesto che non serve. Alto, basso… il numero è assolutamente inutile se tu non hai contezza di come stanno le persone!

WALTER MOLINO Non sentiva la pressione della politica addosso?

RENATO COSTA - COMMISSARIO EMERGENZA COVID-19 DI PALERMO Assolutamente no!

WALTER MOLINO Da quelle telefonate sembrerebbe che le stavano proprio addosso!

RENATO COSTA - COMMISSARIO EMERGENZA COVID-19 DI PALERMO Assolutamente no! Io interpreto quelle telefonate come un parere, e sono sempre state come un parere, un’opinione.

WALTER MOLINO Anche perché lei è un commissario ad acta, non un opinionista. Quindi chi le chiede delle cose, le chiede delle informazioni fondate sulla sostanza.

RENATO COSTA - COMMISSARIO EMERGENZA COVID-19 DI PALERMO Assolutamente sì

WALTER MOLINO FUORI CAMPO Il Commissario Costa si è sempre battuto contro il malaffare nella sanità. Nega di essersi sottomesso alle pressioni dall’assessorato, tuttavia alla richiesta di spalmare i morti, a sentirlo nelle intercettazioni, ha ceduto. Così come hanno accettato il bavaglio anche le aziende sanitarie provinciali, alle quali è stato impedito di diffondere i dati dei contagi a livello locale. Qui siamo nella sede della Azienda Sanitaria di Trapani.

WALTER MOLINO Sono un giornalista di Rai 3, stavo cercando il commissario Zappalà.

USCIERE Posso farla parlare con la segreteria.

ADDETTA STAMPA Se lei mi da il suo numero, io la chiamo direttamente così parliamo… In questo momento il direttore oggi non c’è, è fuori sede.

WALTER MOLINO FUORI CAMPO Il Commissario dell’Azienda Sanitaria di Trapani, Paolo Zappalà non è indagato e ha preferito risponderci solo via e-mail. Zappalà nega che dall’assessorato alla Salute sia mai arrivato l’ordine di tacere sui nuovi contagi. Eppure, questo messaggio audio inviato ai giornalisti locali proprio dal suo ufficio stampa, sembra clamorosamente smentirlo.

WHATSAPP AUDIO DELL’UFFICIO STAMPA ASP TRAPANI del 18/10/2020 Ti giro il totale dei positivi di oggi, sabato 18 ottobre. Da oggi, per volontà dell’assessore, non sarà più fatto un report ufficiale perché dobbiamo fare riferimento esclusivamente al report della Regione Siciliana. Quindi al fine di avere un’informazione univoca, dall’assessorato vogliono che tutte le ASP si uniformino a questo criterio.

WALTER MOLINO FUORI CAMPO Ma poi i dati che i singoli comuni e le Asp di riferimento inviavano, non coincidevano con quelli diramati dal report della Regione siciliana. Tra i primi ad accorgersene il sindaco di Messina

CATENO DE LUCA - SINDACO DI MESSINA Non si muoveva una foglia sul territorio se non passava tutto attraverso Musumeci e Razza. Io ho denunciato in tempi non sospetti la non corrispondenza tra i dati che venivano rappresentati da parte dell’assessorato e quelli che erano i dati che noi invece raccoglievamo sul territorio. Tanto è vero che ai primi di gennaio, quando dopo le mie battaglie è stato nominato anche per la città di Messina un commissario Covid, ha certificato che oltre 3.200 nominativi positivi non erano stati inseriti nella banca dati. Quando mi sono permesso di dire che i dati erano farlocchi della città di Messina sono stato quasi minacciato di essere un soggetto che creava allarmismo e che stavo commettendo un reato.

WALTER MOLINO FUORI CAMPO Il 7 gennaio 2021 un membro del Comitato tecnico scientifico anticipa a La Stampa che la Sicilia è sulla soglia della zona rossa. Il professor Antonello Giarratano fa parte di quel comitato tecnico scientifico.

ANTONELLO GIARRATANO – COMITATO TECNICO SCIENTIFICO REGIONALE Noi avevamo numeri pazzeschi e avevamo un sistema di tracciamento che purtroppo non era particolarmente efficiente.

WALTER MOLINO Qual era la vostra posizione come comitato tecnico scientifico dopo quella riunione del Comitato tecnico scientifico dei primi di gennaio 2021?

ANTONELLO GIARRATANO – COMITATO TECNICO SCIENTIFICO REGIONALE Un lockdown ancora più rigido, è quello che abbiamo sempre suggerito noi. Il comitato tecnico-scientifico deve dire le cose come stanno.

WALTER MOLINO FUORI CAMPO Ma poi tutto rientra misteriosamente. Il sindaco di Messina ha chiesto il verbale della riunione.

CATENO DE LUCA - SINDACO DI MESSINA Non ce l’hanno ancora consegnato.

WALTER MOLINO E secondo lei lì dentro c’era scritto… c’erano gli elementi che dovevano dire questo.

CATENO DE LUCA - SINDACO DI MESSINA Non si scappa. Anche perché ci furono dichiarazioni di stampa di qualche componente che già aveva espresso la sua opinione in merito alle misure da intraprendere immediatamente. Componente… Per tutta la Sicilia eh! Ovviamente poi fu tacitato perché non se ne parlò più.

WALTER MOLINO FUORI CAMPO Quel verbale fantasma resterà lettera morta e la Sicilia diventerà zona rossa soltanto il 17 gennaio, dieci giorni dopo.

NELLO MUSUMECI – PRESIDENTE REGIONE SICILIANA – 15/01/2021 I dati sono allarmanti e purtroppo non c’è altra soluzione: non si può giocare con la vita e con la vita delle persone.

WALTER MOLINO Ma secondo lei perché i verbali del comitato tecnico scientifico non sono mai stati resi pubblici?

ANTONELLO GIARRATANO – COMITATO TECNICO SCIENTIFICO REGIONALE Eh questo diciamo non lo puo’ chiedere a me. Noi da marzo abbiamo fatto verbali, sono tutti lì. Ma da gennaio non siamo più stati ascoltati.

WALTER MOLINO FUORI CAMPO Una zona rossa stava per essere annunciata anche alle cinque del pomeriggio del 19 marzo scorso. L’assessore Razza chiama il presidente Musumeci. I numeri della provincia di Palermo sono allarmanti.

RUGGERO RAZZA - ASSESSORE ALLA SALUTE DELLA REGIONE SICILIANA Abbiamo una situazione molto difficile a Palermo e provincia. L’incidenza ha superato la quota dei 250 per 100.000 abitanti e solo oggi superiamo i 400 casi solo a Palermo.

NELLO MUSUMECI - PRESIDENTE REGIONE SICILIANA Minchia!

RUGGERO RAZZA - ASSESSORE ALLA SALUTE DELLA REGIONE SICILIANA Si impone la necessità di dichiarare la zona rossa.

NELLO MUSUMECI - PRESIDENTE REGIONE SICILIANA E certo! 

RUGGERO RAZZA - ASSESSORE ALLA SALUTE DELLA REGIONE SICILIANA Per ora non diciamo nulla, però già alle cinque e mezza, quando usciranno i numeri sui cosi…..

NELLO MUSUMECI - PRESIDENTE REGIONE SICILIANA Allora fatti mandare un rapporto, dai, e la dichiariamo stasera per domani!

WALTER MOLINO FUORI CAMPO Ma anche in questo caso l’allarme zona rossa rientra. Dopo la telefonata, l’assessore sparisce. Alle sei del pomeriggio del giorno dopo è il presidente Musumeci, preoccupato, a cercare Razza.

NELLO MUSUMECI - PRESIDENTE REGIONE SICILIANA Non ti sei più fatto sentire ieri… non so più niente su Palermo!

RUGGERO RAZZA - ASSESSORE ALLA SALUTE DELLA REGIONE SICILIANA Cosa… Palermo?

NELLO MUSUMECI - PRESIDENTE REGIONE SICILIANA La zona rossa!

RUGGERO RAZZA - ASSESSORE ALLA SALUTE DELLA REGIONE SICILIANA Ah… no…non ti… abbiamo i dati… è sotto… è abbondantemente sotto i 250…!

NELLO MUSUMECI - PRESIDENTE REGIONE SICILIANA Eh.. minchia …allora perché.. mi avevi detto 400!

RUGGERO RAZZA - ASSESSORE ALLA SALUTE DELLA REGIONE SICILIANA No.. ieri erano 400.. ma nella settimana.. eh… sono stati a duecen... sono a centonovantasei (196) per 100.000 abitanti!

MAURIZIO AGNELLO - PROCURATORE DI TRAPANI Il Gip di Trapani dice che il Presidente è stato ingannato dal suo assessore, per questi dati. Il 19 l’assessore Razza dice al presidente: “Guarda che abbiamo su Palermo numeri spaventosi”, suscitando una reazione colorita del presidente.

WALTER MOLINO “Minchia..”

MAURIZIO AGNELLO - PROCURATORE DI TRAPANI Esatto. Tipico di noi siciliani. E l’indomani è lo stesso presidente a dover richiamare l’assessore e gli dice: “Come finì?” - “No, niente i numeri sono dimezzati”.

NELLO MUSUMECI - PRESIDENTE REGIONE SICILIANA - ASSEMBLEA REGIONALE SICILIANA 01/04/2021 Ero il primo a dire: “Ma perché Roma ci vuole nella zona arancione quando noi potremmo stare per due settimane, tre settimane nella zona gialla?”. E qualcuno dalla tribuna mi ha accusato di essere schizofrenico, incoerente… “Perché tre volte dici chiudi e una volta dici apri?”. E un po’ d’ignoranza, consentitemelo! La pandemia si gestisce non con una prospettiva di 3-4-5 settimane ma valutando l’incidenza quotidiana del dato del contagio!

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Insomma, un governatore che è stato ingannato dai suoi fedelissimi. In testa c’è l’assessore alla sanità Razza, che è l’uomo che forse avrebbe dovuto essergli più fedele. Perché è quello che gli ha costruito intorno un movimento che gli ha consentito di vincere le elezioni. E invece più che a Musumeci e al mandato che gli aveva conferito, Razza è stato più fedele ad altre logiche. Quali, forse, lo scopriranno le indagini che nel frattempo si sono spostate dalla procura di Trapani a quella di Palermo. Che non indaga più sui morti, sul numero dei morti, cioè… perché “la spalmatura” non avrebbe inciso sull’istituzione di una zona rossa. Mentre invece, come abbiamo già detto, la manipolazione dei dati riguardanti i contagi e i tamponi, quelli sì, hanno inciso sull’indice dell’RTI e quindi sulla zona rossa. Loro poi magari, assessore e dirigenti, penseranno di aver agito per il bene di parte della popolazione della Sicilia. È sempre così: ognuno interpreta un fatto, anche se è scomodo, anche se è brutto, come gli fa più comodo.

L'inchiesta della Procura di Trapani. “Inviati all’Iss dati falsi sul covid”: arresti in Sicilia, indagato l’assessore Razza. Vito Califano su Il Riformista il 30 Marzo 2021. Arrestati tre funzionari nell’Assessorato della Salute della Regione Siciliana per via dei dati manipolati sull’emergenza coronavirus e inviati all’Istituto Superiore di Sanità. Indagato anche l’assessore Regionale alla Salute Ruggero Razza. Questo quello che emerge dalle accuse di falso materiale e ideologico. I carabinieri del Nas di Palermo e del Comando Provinciale di Trapani stamane hanno eseguito un’ordinanza di misura cautelare agli arresti domiciliari nei confronti di alcuni appartenenti al Dipartimento Regionale per le Attività Sanitarie e Osservatorio Epidemiologico (Dasoe) dell’Assessorato. L’inchiesta è della Procura di Trapani. Per evitare restrizioni, dunque, questo secondo l’accusa, gli indagati avrebbero modificato i dati sul numero dei contagi e dei tamponi, quelli inviati all’Iss, condizionando i provvedimenti adottati per il contenimento della diffusione del virus. Ai domiciliari sono finiti la dirigente generale del Dasoe Maria Letizia Di Liberti, il funzionario della Regione Salvatore Cusimano e il dipendente di una società che si occupa della gestione informatica dei dati dell’assessorato, Emilio Madonia. Indagato l’assessore regionale per la Salute Razza, al quale è stato notificato un invito a comparire e contestuale avvisto di garanzia, oltre al sequestro dei telefoni cellulari per falsità materiale e ideologica. Sebbene su Razza, si chiarisce, “non emerga ancora compendio investigativo grave”, hanno spiegato gli inquirenti, “è emerso il parziale coinvolgimento nelle attività delittuose del dipartimento”. L’inchiesta è nata dalla scoperta che in un laboratorio di Alcamo, in provincia di Trapani, erano stati forniti dati falsati su decine di tamponi. I pm hanno avviato accertamenti che sono arrivati all’assessorato regionale, come riporta l’Ansa. Ad avvallare le ipotesi di reati diverse intercettazioni sui dati alterati e inviati all’Iss. Gli episodi di falso documentati nell’inchiesta sarebbero una quarantina a partire da novembre fino allo scorso 19 marzo. Perquisizioni sono state condotte nei confronti di altri sette indagati per la ricerca di materiale informatico e altri documenti. La Sicilia al momento è Zona Arancione. Dall’inizio dell’emergenza i contagi riportati sono stati 172.450, i morti 4.607.

(ANSA il 30 marzo 2021) - Avrebbero alterato i dati sulla pandemia (modificando il numero dei positivi e dei tamponi) diretto all'Istituto Superiore di Sanità, condizionando i provvedimenti adottati per il contenimento della diffusione del virus. Con questa accusa i carabinieri del Nas di Palermo e del Comando Provinciale di Trapani stanno eseguendo un'ordinanza di misura cautelare agli arresti domiciliari nei confronti di alcuni appartenenti al Dipartimento Regionale per le Attività Sanitarie e Osservatorio Epidemiologico (Dasoe) dell'Assessorato della Salute della Regione Siciliana. Le accuse sono: falso materiale ed ideologico. Ai domiciliari sono finiti la dirigente generale del Dasoe Maria Letizia Di Liberti, il funzionario della Regione Salvatore Cusimano e il dipendente di una società che si occupa della gestione informatica dei dati dell'assessorato Emilio Madonia. L'inchiesta nasce dalla scoperta che in un laboratorio di Alcamo (Tp), da qui la competenza della Procura di Trapani, erano stati forniti dati falsati su decine di tamponi. I pm hanno avviato accertamenti che sono arrivati all'assessorato regionale. Diverse intercettazioni confermerebbero l'alterazione dei dati inviati all'iss.

(ANSA il 30 marzo 2021) - L'assessore regionale alla Sanità della Sicilia Ruggero Razza è indagato nell'ambito dell'inchiesta della Procura di Trapani sui dati falsi sulla pandemia comunicati dal Dipartimento dell'assessorato all'Istituto Superiore di Sanità. Oggi gli è stato notificato un invito a comparire con avviso di garanzia. E' accusato di falsità materiale ed ideologica. I carabinieri gli hanno anche sequestrato dei telefoni. Secondo i militari del Nas, che conducono l'inchiesta, "sebbene non emerga ancora compendio investigativo grave, è emerso il parziale coinvolgimento di Razza nelle attività delittuose del Dasoe", il Dipartimento Regionale per le Attività Sanitarie e Osservatorio Epidemiologico. L'indagine che coinvolge Razza ha portato oggi a tre arresti. Gli arrestati, tra cui la dirigente del Dipartimento, sono accusati di aver alterato, in svariate occasioni, il flusso dei dati diretti all'Iss sulla pandemia modificando il numero dei positivi e dei tamponi e a volte anche quello dei decessi. Dal mese di novembre sarebbero circa 40 gli episodi di falso documentati dagli investigatori dell'Arma, l'ultimo dei quali risalirebbe al 19 marzo 2021. Sono state effettuate perquisizioni domiciliari nei confronti di altri sette indagati alla ricerca di materiale informatico e documenti utili alle indagini. Infine sono state acquisite email e dati presso i server dell'assessorato Regionale alla Salute e Dipartimento.

(ANSA il 30 marzo 2021) - "Spalmiamoli un poco…" Così l'assessore alla Salute Ruggero Razza diceva alla dirigente regionale che avrebbe dovuto comunicare i dati dei decessi per Covid in Sicilia all'Istituto Superiore di Sanità. Sia Razza che la dirigente, Letizia Di Liberti, sono indagati per falso. "I deceduti glieli devo lasciare o glieli spalmo?", chiede lei non sapendo di essere intercettata. "Ma sono veri?", chiede Razza. "Si, solo che sono di 3 giorni fa", risponde. E Razza dà l'ok: "spalmiamoli un poco". La dirigente prosegue: "ah, ok allora oggi gliene do uno e gli altri li spalmo in questi giorni, va bene, ok. Mentre quelli del San Marco, i 6 sono veri e pure gli altri 5 sono tutti di ieri… quelli di Ragusa, Ragusa 5! E questi 6 al San Marco sono di ieri.. perché ieri il San Marco ne aveva avuti ieri altri 5 del giorno prima, in pratica. Va bene?" "Ok", risponde l'assessore Razza. In tutto gli indagati sono 7. Secondo gli inquirenti avrebbero alterato i dati sulla pandemia (modificando il numero dei positivi, dei tamponi e dei decessi) diretto all'Istituto Superiore di Sanità, e condizionando così i provvedimenti adottati per il contenimento della diffusione del virus. Oltre a Razza e Di Liberti sono indagati Mario Palermo , Direttore del Servizio 4 del DASOE; Salvatore Cusimano, dipendente della Regione Siciliana, Emilio Madonia, dipendente della Società "Pricewaterhousecoopers Public Sector srl" , che gestisce il sistema informatico dei flussi dei dati dell'assessorato, Giuseppe Rappa e Roberto Gambino, dipendenti dell'Asp di Palermo.

(ANSA il 30 marzo 2021) - "Ho letto le agenzie, inutile dire che in questi casi si resta sorpresi. Noi le zone rosse le abbiamo anticipate non nascoste: è storia. Ma bisogna avere rispetto per la magistratura, ho fiducia nell'assessore Ruggero Razza, se fosse responsabile da solo adotterebbe le decisioni consequenziali. Bisogna essere sereni e fiduciosi, sono convinto che la verità emergerà prestissimo". Così il governatore della Sicilia, Nello Musumeci, commenta a Omnibus su La7, l'inchiesta che ha portato ad arresti per alterazione dei dati su tamponi e positivi trasmessi all'Iss in cui è coinvolto come indagato, l'assessore alla Salute Razza. "Il Comune di Palermo si costituirà Parte Civile in questo procedimento giudiziario, visto che proprio sui dati si sono basate molte scelte e provvedimenti amministrativi in questi mesi". Lo afferma il sindaco Leoluca Orlando. "Come "presidente dell'Anci Sicilia convocherò il direttivo - aggiunge - per valutare tutte le iniziative da assumere ivi compresa la costituzione di Parte Civile e ogni altra azione a garanzia del rispetto del diritto alla salute di tutti e dell'esercizio corretto delle competenze comunali".

Salvo Toscano per corriere.it il 30 marzo 2021. La Sanità siciliana si risveglia travolta da uno tsunami. Che investe in pieno il governo della Regione. Un’inchiesta della procura di Trapani ha portato a tre arresti, facendo luce su alcune presunte irregolarità relative ai dati regionali sulla pandemia da Covid. Numeri falsati, morti «spalmati» su più giorni, tamponi «gonfiati», comunicazioni a Roma inesatte: questo ritengono di avere appurato gli inquirenti che tra gli altri indagano anche l’assessore regionale alla Salute Ruggero Razza, il quale ha chiesto al presidente della Regione di accettare le sue dimissioni.

Le intercettazioni. «Spalmiamoli un poco…», diceva intercettato l’assessore Razza alla dirigente regionale che avrebbe dovuto comunicare i dati dei decessi per Covid in Sicilia. E parlava di morti. «I deceduti glieli devo lasciare o glieli spalmo?», chiede lei. «Ma sono veri?», chiede Razza. «Sì, solo che sono di tre giorni fa», risponde. E Razza dà l’ok: «Spalmiamoli un poco». «Si è cercato», spiega il gip di Trapani Caterina Brignone, «di dare un’immagine della tenuta e dell’efficienza del servizio sanitario regionale e della classe politica che amministra migliore di quella reale e di evitare il passaggio dell’intera Regione o di alcune sue aree in zona arancione o rossa, con tutto quel che ne discende anche in termini di perdita di consenso elettorale per chi amministra».

Ai domiciliari. I carabinieri del Nas di Palermo e del Comando Provinciale di Trapani hanno eseguito stamattina l’ordinanza di misura cautelare agli arresti domiciliari, emessa dal Gip di Trapani, su richiesta, nei confronti di personale del Dipartimento regionale per le attività sanitarie e Osservatorio epidemiologico (Dasoe) dell’assessorato della Salute della Regione siciliana. I reati contestati sono: falso materiale e ideologico in concorso. Gli arrestati sono accusati di aver alterato, in diverse occasioni, il flusso dei dati riguardante la pandemia da Covid modificando il numero dei positivi e dei tamponi. Quei dati falsati dei bollettini quotidiani venivano comunicati all’Istituto superiore di sanità, alterando di fatto la base su cui adottare i provvedimenti per il contenimento della diffusione del virus. Ai domiciliari sono finiti la dirigente generale del Dasoe, Maria Letizia Di Liberti, il funzionario della Regione Salvatore Cusimano ed Emilio Madonia, dipendente della Pricewaterhousecoopers Public Sector, società che si occupa della gestione informatica dei dati dell’assessorato, i dipendenti dell’Asp di Palermo Giuseppe Rappa e Roberto Gambino. All’assessore Razza è stato notificato un invito a comparire, con il contestuale avviso di garanzia, ed è scattato anche il sequestro dei telefoni cellulari. A carico di Razza non emerge «compendio investigativo grave», scrivono gli inquirenti ma sarebbe emerso un «parziale coinvolgimento nelle attività delittuose del Dasoe». Estraneo all’indagine il governatore Nello Musumeci, di cui Razza è il delfino politico. Il presidente della Regione «pare tratto in inganno» dalle informazioni non veritiere.

Musumeci e Orlando. «Ho letto le agenzie, inutile dire che in questi casi si resta sorpresi. Noi le zone rosse le abbiamo anticipate non nascoste: è storia. Ma bisogna avere rispetto per la magistratura, ho fiducia nell’assessore Razza, se fosse responsabile da solo adotterebbe le decisioni consequenziali. Bisogna essere sereni e fiduciosi, sono convinto che la verità emergerà prestissimo», ha commentato il governatore della Sicilia, Nello Musumeci. «Il Comune di Palermo si costituirà parte civile in questo procedimento giudiziario, visto che proprio sui dati si sono basate molte scelte e provvedimenti amministrativi in questi mesi», ha detto in una nota il sindaco di Palermo Leoluca Orlando. «Chiediamo le immediate dimissioni di Razza», ha chiesto il segretario regionale del Pd Sicilia, Anthony Barbagallo.

Le dimissioni di Razza. L’assessore Ruggero Razza ha chiesto a Musumeci di accettare le sue dimissioni. Razza dice che la Regione non aveva nulla da nascondere sui dati perché «proprio noi abbiamo spesso anticipato le decisioni di Roma e adottato provvedimenti più severi». «I fatti che vengono individuati – prosegue Razza – si riferiscono essenzialmente al trasferimento materiale dei dati sulla piattaforma che sono stati riportati in coerenza con l’andamento reale dell’epidemia, tenuto conto della circostanza che sovente essi si riferivano a più giorni e non al solo giorno di comunicazione. Come sempre, il fenomeno della lettura postuma delle captazioni può contribuire a costruire una diversa ipotesi che, correttamente, verrà approfondita dell’autorità giudiziaria competente individuata dal Gip. Ma deve essere chiaro che ogni soggetto con l’infezione è stato registrato nominativamente dal sistema e nessun dato di qualsivoglia natura è mai stato artatamente modificato per nascondere la verità. Ciò nonostante, soprattutto nel tempo della pandemia, le istituzioni devono essere al riparo da ogni sospetto. Per sottrarre il governo da inevitabili polemiche ho chiesto al presidente della Regione di accettare le mie dimissioni». Un passo indietro che già era stato invocato dalle opposizioni.

Rino Giacalone per "la Stampa" il 31 marzo 2021. Ruggero Razza da ieri ex assessore siciliano alla Salute è l'unico a poter parlare tra gli indagati, per falso materiale e ideologico, in un'inchiesta della Procura di Trapani sui falsi dati sul Covid trasmessi negli ultimi 5 mesi da Palermo a Roma, i pericoli sulla diffusione del virus nascosti per fare bella figura. Indagine scattata a novembre scorso quando i Carabinieri di Trapani hanno scoperto anomalie nei risultati forniti agli utenti da un laboratorio d'analisi di Alcamo. Le intercettazioni subito attivate hanno però portato a sentire come a tavolino venivano scritti i numeri sulla crisi pandemica (dai contagi ai decessi, dai ricoveri ai tamponi e relativi esiti) che dall'assessorato venivano trasmessi all'Istituto Superiore di Sanità. Razza però ha deciso di stare in silenzio. Lo ha fatto ieri pomeriggio davanti ai pm Agnello, Morri e Urbani. Lo ha fatto anche con i giornalisti, fuggendo di corsa dal Palazzo di Giustizia. Ieri i carabinieri hanno copiato i contenuti del server dell'assessorato, lì potrebbero esserci le ulteriori prove su come in cinque mesi da novembre fino al 19 marzo, truccando i numeri, l'isola e alcune sue città come Palermo e Catania, hanno evitato di finire in zona rossa. Palermo doveva diventarlo già lo scorso 19 marzo. Le intercettazioni sono il cuore dell'inchiesta per la quale sono finiti ai domiciliari la dirigente del Dipartimento Regionale per le Attività Sanitarie e Osservatorio Epidemiologico, Letizia Di Liberti, deus ex machina (per lei i pm avevano chiesto il carcere), proprio lei che aveva firmato una direttiva alle Asp siciliane evidenziando che non trasmettere i dati correttamente avrebbe costituito grave omissione, e due suoi collaboratori, Emilio Madonia e Salvo Cusimano, peraltro suo nipote. Ogni giorno per ordine della Di Liberti c'erano dei numeri da non superare, delle soglie da rispettare, così come lei stessa concordava col suo assessore Razza, privato di buon mattino dai militari del Nas del suo telefonino. Indagati sono anche il suo vice capo di gabinetto Ferdinando Croce e il funzionario che operava al server, Mario Palermo. Ciò che emerge dalle intercettazioni è che a Palermo una vasta platea sarebbe stata a conoscenza che i report erano taroccati, tra i consapevoli spunta anche il nome del medico Renato Costa scelto dal sindaco Orlando come commissario per l'emergenza. Il gip Caterina Brignone, che ha trasmesso per competenza le carte alla Procura di Palermo in oltre 200 pagine ha espresso un giudizio pesante: «I fatti risultano di straordinaria gravità per la consapevole e volontaria alterazione di elementi conoscitivi...Uno scellerato disegno che ha colpito la popolazione isolana e ha impedito l'adozione di misure di contenimento più severe». Il presidente Musumeci ha detto di credere al suo ex assessore e intanto lui ha preso l'interim. Tace sul fatto che il gip scrive che lui "a sua insaputa" è stato ingannato. Maggioranza solidale con Razza, mentre le opposizioni attaccano: il Pd ha 50 interrogazioni sull'emergenza rimaste senza risposta, il presidente dell'antimafia, Claudio Fava ha ricordato che mentre venivano truccati i numeri, Musumeci e Razza attaccavano il Governo Conte dicendo che le «furbizie non pagano».

Riccardo Arena per "la Stampa" il 31 marzo 2021. Se non fosse volgare, si potrebbe definire solo così: un casino. Meglio dire caos, ma la sostanza non cambia. La gestione dei dati Covid in Sicilia attraversa momenti di marasma, di numeri che ballano, di cifre che cambiano, di addizioni e sottrazioni improvvisate: «Mille e 824 meno 589 quanto viene? Fallo pure a mano», dice il 14 novembre la dirigente regionale dell'assessorato alla Salute Maria Letizia Di Liberti al nipote-funzionario Salvatore Cusimano. Che risponde: «Ottocentoventiquattro meno 589, 235». Alla zia, che da ieri è ai domiciliari come il figlio della sorella, sembra perfetto: «Ok, sommali a quelli di oggi di Catania. Sì, sommali, che lui lo sa, che glieli abbiamo tolti ieri che erano 800. Stavo pensando se glieli lasciamo tutti, 1829, glieli lasci però gli aggiungi mille tamponi, okay? Perché tanto oggi sono quelli di ieri e ci sta». A leggere le montagne di intercettazioni quel che dà all'occhio è l'improvvisazione, il pressappochismo, la spregiudicatezza: «Ma mettici duemila tamponi, fregatene», dice la Di Liberti al terzo arrestato, Emilio Madonia, l'8 novembre. Numeri buttati lì, come la spalmatura dei morti, benedetta in maniera estemporanea dall'ormai ex assessore regionale alla Salute, Ruggero Razza, indagato, per arrivare a uno strano pareggio di bilancio: evitare la zona rossa e l'aggravamento delle impopolarissime misure restrittive in Sicilia. Il 4 novembre arriva in assessorato il dato dei morti di Biancavilla: 7. «Mi sembra esagerato», osserva al telefono la Di Liberti. «Non sono tutti di oggi - conferma il suo collaboratore Mario Palermo - solo che li ha mandati oggi perché prima non c'erano e quindi che facciamo, non li diamo? Uno è di oggi, due di ieri, uno è dell'altro ieri e uno del 19 (ottobre, due settimane prima, ndr), ma ce li dobbiamo mettere per forza perché sennò alla fine ce li teniamo sulla pancia come l'altra volta!». C'è da decidere che fare: la Di Liberti non spalma i cinque morti dello stesso giorno a Ragusa, ma chiede attraverso un collega l'intervento di Razza per il resto: «Digli solo Biancavilla, i deceduti glieli devo lasciare o glieli spalmo?». «E spalmiamoli un poco», conferma l'assessore in sottofondo, nell'intercettazione. Il 19 marzo la Di Liberti dice a Razza che Palermo è da lockdown e alle 16.51 l'assessore informa il presidente della Regione: la soglia prevista dai decreti Draghi è stata superata. «Abbiamo una situazione molto difficile, l'incidenza ha superato la quota dei 250 per 100 mila abitanti e oggi superiamo i 400 casi solo a Palermo», dice Razza. «Minchia», risponde alla siciliana Nello Musumeci. «Si impone la necessità di dichiararla zona rossa - riprende l'assessore- Questo ovviamente, secondo me, dobbiamo un attimino calibrarlo e capire come farlo. Non so se tu vuoi sentire Orlando». «E certo», risponde Musumeci. «Decidiamo se glielo vogliamo dire oggi o se glielo vogliamo dire domani, perché se glielo diciamo a Orlando, lui se la vende subito». «Sì, se la vende subito, ma il problema - precisa Musumeci - è che non glielo possiamo comunicare due ore prima, alla gente». Miracolosamente però, sabato 20, a Palermo torna "tuttapposto": «Ah no abbiamo i dati è sotto è abbondantemente sotto i 250!», dice Razza. Musumeci concede il bis: «Eh, minchia, allora perché mi avevi detto 400?». «No - balbetta Razza - ieri erano 400, ma nella settimana eh sono stati duece... sono a 196 per 100 mila abitanti". Lunedì 15 i magheggi avevano lambito anche il commissario per l'emergenza a Palermo, Renato Costa: «Eh, ma lo capisci che oggi abbiamo 500 casi e 355 sono solo a Palermo? - gli dice la Di Liberti - e quindi una delle cose che si può fare è di diluirli in due giorni, perché tutti in una sola giornata 355 sono un numero esageratissimo». Costa tentenna un po': «Li vuoi dividere dividili!», ma poi cambia idea. Per poi cambiarla di nuovo. «Quindi li abbasso a 285», chiede la Di Liberti. «Gioia mia, a 285, va bene». «E domani o 295, comunque là siamo, li aggiungiamo, li spostiamo a domani». Domani, un altro giorno di Covid.

Felice Cavallaro per il "Corriere della Sera" il 31 marzo 2021. Allevato da Nello Musumeci come un figliol prodigo, Ruggero Razza rischia di diventare la sua più grande delusione se davvero, come scrive il gip, ha nascosto i dati manipolati e lo ha «ingannato». Anche perché da quando è governatore il suo vero vice, l'assessore più fidato, è sempre stato l'avvocato quarantenne figlio di un generale dei carabinieri, il liceo alla scuola militare della Nunziatella, laurea a pieni voti in giurisprudenza a Catania, attività professionale nello studio dei penalisti Trantino. Un curriculum di tutto rispetto per un giovane avviato alla politica proprio da Musumeci ai tempi di Alleanza nazionale, leader del gruppo Azione giovani, mai estremista, come piaceva al suo maestro con il quale ha poi fondato il partito-movimento «Diventerà bellissima». Approdo di un percorso che lo ha visto ricoprire prima l'incarico di vice presidente della Provincia di Catania, ruolo con cui s'è presentato al suo elettorato come il delfino dell'area, poi addirittura lanciarsi nella azzardata candidatura a presidente della Regione. Era il 2008, aveva 28 anni e fu spazzato via con altri da Raffaele Lombardo. Era già un ricordo l'altra avventura di «Alleanza siciliana», sempre pilotata da Musumeci, in sintonia allora con Francesco Storace. «Preistoria», diceva lui. E forse di questo Razza non ne ha mai parlato nemmeno con la donna di cui si è innamorato abbattendo ogni barriera interna all'Assemblea regionale. Perché è accaduto che dal banco del governo Musumeci i suoi occhi abbiano incrociato quelli di una giovane deputata del M5s, Elena Pagana, dieci anni meno di lui. Un colpo di fulmine. Ed è nata una segreta storia d'amore. Una cosa seria anche se per tanto tempo smentita e accolta con smorfie di disapprovazione soprattutto fra i grillini. Un segreto violato per primo da un blog redarguito due anni fa da Razza con un post ermetico ma chiaro: «Fatevi i c... vostri». Ben diverso l'ultimo annuncio dello scorso Capodanno sul suo profilo Facebook quando un Razza euforico ha finalmente pubblicato la foto con la sua Elena, frattanto in fuga dal Movimento. Una foto con lei al settimo mese di gravidanza. E infatti sembra che questa inchiesta partita da Trapani, le forzate dimissioni e l'amarezza di Musumeci coincidano con un imminente parto. La coppia, a gennaio sommersa da like e auguri, attende un bebè. Di qui l'annuncio del futuro papà con un augurio inviato agli amici: «Buon 2021...! Che sia un anno di serenità, rinascita e gioia. Ce lo meritiamo». Si prospetta un anno ben diverso, che rischia di bruciare una carriera politica per il sospetto di avere avallato i dati truccati per evitare di colorare di rosso la Sicilia. Anche a costo di «spalmare i morti». Orrenda immagine che ha provato a ridimensionare ieri sera nel primo interrogatorio.

L'inchiesta della Procura di Trapani. Chi è Ruggero Razza, l’assessore alla Sanità in Sicilia indagato per la presunta manipolazione dei dati covid. Vito Califano su Il Riformista il 31 Marzo 2021. Ruggero Razza si è dimesso da assessore alla Salute della Regione Sicilia. Una decisione maturata a seguito dell’inchiesta della Procura di Trapani sui presunti dati falsi forniti all’Istituto Superiore di Sanità nell’ambito dell’emergenza coronavirus. “Stamattina ho incontrato l’assessore Razza, era molto provato. Mi ha consegnato la lettera di dimissioni, che è stata protocollata”, ha annunciato ieri il governatore Nello Musumeci. Le accuse sono di falso materiale e ideologico. Una dirigente, Maria Grazia Di Liberti, e due collaboratori – Salvatore Cusimano, nipote di Di Liberti, ed Emilio Madonia – del Dipartimento Regionale per le Attività Sanitarie e Osservatorio Epidemiologico (Dasoe) dell’Assessorato, sono stati arrestati. L’interim dell’assessorato è stato assunto dallo stesso Presidente Musumeci. L’ex assessore è accusato di essere a conoscenza della falsificazione. Razza è considerato uno dei fedelissimi del governatore siciliano Nello Musumeci. La Gazzetta del Sud scrive che sarebbe stato addirittura tra i papabili prossimi eredi alla Presidenza della Regione. È nato nel 1980, a Milano. È uno dei pilastri della cabina di regia di Diventerà Bellissima, partito creato da Musumeci, di orientamento autonomista e meridionalista e ispirato “ai valori cristiani e sociali della civiltà europea e mediterranea”, al quale è legato fin dagli anni ’90. Razza è avvocato penalista. Ha conseguito la maturità classica alla scuola militare della Nunziatella. Ha militato in Azione Giovani – movimento giovanile di Alleanza Nazionale – e quindi ha fondato Alleanza Siciliana e ha fatto parte del movimento politico La Destra. È stato nel 2012 prima assessore e poi vicepresidente della Provincia di Catania nel 2018. È stato quindi nominato all’assessorato alla Sanità. Razza aspetta il suo primo figlio. “Benché abbia piena la consapevolezza di aver operato in questi difficili mesi nel rispetto del mandato affidatomi  – recita un passaggio della lettera di dimissioni – e che la nostra Regione abbia sempre anticipato provvedimenti di contenimento dell’epidemia, senza mai attardarsi nelle scelte più adeguate per proteggere i siciliani, ho il dovere, proprio perché il momento della pandemia lo impone, di sottrarre il governo da qualsiasi ombra affinché si possa adeguatamente operare in questo difficilissimo momento”. Data cardine della vicenda è il 4 novembre 2020, quando è stata introdotta la classificazione delle Fasce di rischio per colori. I giornali hanno riportato anche delle intercettazioni. La Sicilia in questo momento è Zona Arancione. Secondo i dati dall’inizio dell’emergenza ci sono stati 172.450 positivi e 4.607 morti per covid dall’inizio dell’emergenza.

In una regione dove l'onore conta è un brutto smacco, ma la Toscana ha fatto cose peggiori per avere vantaggi. Paolo Guzzanti su Il Quotidiano del Sud il 31 marzo 2021.

CHE VERGOGNA e che peccato. Vergogna perché la Sicilia – si è scoperto ieri – ha fatto carte false per avere aperture ingiustificate. che non le toccava e che peccato perché la Regione non era partita male: i dati iniziali erano tutt’altro che erano pessimi e adesso tutto è infangato e non ha purtroppo alcun valore. In una Regione in cui l’onore conta, è un brutto smacco. Naturalmente la Sicilia non è sola: la Toscana – amministrazione di sinistra – ha fatto altre cose deplorevoli per trarre illeciti vantaggi, ma più che altro vantaggi che hanno certamente causato la malattia e la morte di cittadini che avrebbero avuto diritto al vaccino immediato per raggiunti limiti d’età e se lo sono visto negare. Come al solito sono le intercettazioni che portano a galla il marcio e in Sicilia sono andate avanti per orine della magistratura da novembre a marzo. Poi, le manette.  La Procura che indaga è quella di Trapani che ieri mattina ha fatto conoscere i primi dati dell’inchiesta e ha provocato un terremoto che prima o poi andrà a colpire la stabilità stessa del governo regionale, secondo il parere di chi conosce la storia. E la storia è molto semplice: sono stati falsificati i dati sulla percentuale e i casi di Covid, per cercare di mantenere la Regione in zona arancione. Sono intervenuti i carabinieri del comando provinciale di Trapani e quelli del Nas che hanno svolto arresti e perquisizioni secondo le indicazioni dei tribunali del tribunale di Trapani. Per la cronaca il gip e Caterina Brignone IBM sono Sara Morri e Francesca Urbani e si sa soltanto che l’inchiesta è stata molto intensa e accurata. A quanto pare se le intercettazioni hanno rilevato un imbroglio totale sul numero dei casi di COVID-19, sul numero dei decessi a partire dal novembre 2020 e sarebbero stati falsificati tutti i rapporti delle terapie intensive, della situazione epidemiologica. Insomma, un disastro morale, sanitario e politico. Come si usa dire, il condizionale è d’obbligo ma per quel che si sa dalle carte dalle intercettazioni della procura non ci sarebbero molti dubbi su che cosa è accaduto nella provincia di Trapani. Le persone arrestate o denunciate sono erano fino a ieri pomeriggio una dozzina circa ma lo scandalo minaccia di allargarsi. Tra gli indagati c’è anche l’attuale assessore regionale alla salute Ruggero Razza sotto interrogatorio a Trapani si è dimesso affermando di avere “il massimo rispetto per la magistratura e che in il Sicilia l’epidemia è sempre stata monitorata con cura, come evidenzia ogni elemento oggettivo a partire della occupazione ospedaliera e dalla tempestività di decisioni che nella nostra regione, sono sempre anticipatoria punto non avevamo bisogno di nascondere contagiati o di abbassare l’impatto epidemiologico perché proprio noi abbiamo spesso anticipato le decisioni di Roma e adottato provvedimenti più severi.” Queste le parole dell’uomo che allo stato attuale sembra il maggiore responsabile nell’inchiesta avviata dalla procura di Trapani. Come si può vedere si tratta di parole che non riempiono alcun vuoto perché riaffermano in modo generico le pretese benemerenze della sanità siciliana. Le quali benemerenze, peraltro, sono reali, perché la Sicilia era partita bene, con provvedimenti efficaci capacità di reagire all’epidemia. Ma tutta questa impressione iniziale svanirebbe come nebbia al sole se i risultati della indagine della procura di Trapani si dimostrassero validi e suffragati da prove. La notizia di questo scandalo è rimbalzata immediatamente nella capitale. Tutte le forze politiche sono state investite e nel complesso si può dire che il governo Draghi a poche settimane dalla sua partenza si trova ad affrontare qualcosa di più di una semplice anche se drammatica mancanza di strumenti efficaci contro il virus ma anche contro il malaffare, i trucchi, gli imbrogli, le menzogne con cui le amministrazioni e cercano di barcamenarsi salvando gli interessi delle corporazioni più influenti punto così è stata con la vicenda dei magistrati e degli avvocati, le vaccinazioni ai giornalisti, in genere tutte le vaccinazioni per categoria, cioè tutte quelle che non riguardavano i cittadini di età compresa fra dieta superiore agli 80. Tutte queste notizie false manipolate hanno provocato un corto circuito e falsi dati programmatici sulla distribuzione dei vaccini e in definitiva- se l’inchiesta darà i risultati che promette di dare- si scoprirà che gli imbrogli possono avere causato la morte di molte persone. Non si tratta soltanto del caso siciliano, dal momento che in molte regioni italiane la corsa dei furbi all’arraffare i vaccini e stata prevalente sulla difesa dei diritti di coloro che percentualmente per causa del Covid non soltanto si ammalano, ma muoiono. Il bilancio finale finora azzardato dall’Istat e che tra 1000 tra il 2020 e il 2019 mancano all’ appello 380.000 cittadini italiani. Non sono tutti soltanto i morti per Covid, sicuramente molto più dei 100.000 ufficialmente denunciati, ma anche di tutti i non nati, dei malati di altre malattie che a causa del Covid non hanno potuto o voluto raggiungere gli ospedali per essere curati in tempo, più il crollo della natalità e anche dell’insediamento degli immigrati legali che costituiscono una percentuale della popolazione attiva. Il governo Draghi si trova quindi di fronte a una situazione che non è fatta soltanto di episodi a macchia di leopardo, o di arlecchinate con diversi e opposti criteri di applicazione delle cure, ma anche di fronte alla condiscendenza nei confronti di chi è più forte e influente a scapito di chi è più debole. Quanto è accaduto ieri in Sicilia avrà certamente sbocchi sul programma, avrà certamente sviluppi ulteriori ed è possibile che l’inchiesta di Trapani si ripercuota anche su altre procure che già da tempo hanno aperto fascicoli per individuare i profittatori della epidemia. Di tali profittatori sono a quanto pare di due tipi, quelli che intercettano e consumano i vaccini che non sono loro destinati sottraendoli a coloro che ne hanno diritto, coloro che senza alcun timore né vergogna sono pronti a far diffondere il virus attraverso il contagio diffuso per aver procurato dati falsi sui malati, i ricoveri, le morti, le anamnesi e le diagnosi. Uno scandalo per ora solo alle prime puntate, ma che presto è destinato a dilagare sia al Sud che al Nord.